Il Castello dell'Oblio

di Registe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Invocatrici ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Prigione di ricordi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Quella lezione solo per noi due ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Ostinazione ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - La falce di petali ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - C'è sempre una prima volta ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Attesa ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Fuga da Alderaan ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - L'araldo del Grande Satana ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Il Nucleo Nero ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Kaspar nel Paese dei Balocchi ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Serpeggiano i dubbi ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Follia dilagante ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Quando una Ninfa si annoia ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Alla maniera degli umani ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - L'orribile verità ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Sfida tra i ghiacci ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Prova di amicizia ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Il piano in frantumi ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - A bordo della Black Moclips ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Sacrificio ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - Donna e drago ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - L'ultima mossa ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 - La scelta più difficile ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 - Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Premessa delle Registe




Premessa aggiornata: per una maggiore comprensione della saga vi consigliamo di leggere per prima la storia "XIII Order", che fune da prologo all'intera serie ;)




Salve a tutti^^
Questa storia e' un enorme crossover iniziato per caso e per gioco più di dieci anni fa con personaggi presi da tutto l'immaginabile: film, telefilm, videogiochi, manga, anime e chi più ne ha più ne metta. Era il nostro gioco preferito da bambine, ora e' diventata una passione che portiamo avanti nel tempo libero, qualcosa che condividiamo e a cui siamo, ormai, profondamente affezionate. Ecco perche' alla fine, dopo mille indecisioni e ripensamenti, abbiamo deciso di pubblicarla.
Prima di iniziare pero' sono necessarie diverse premesse (vi prego sopportateci):

1. Tutti o quasi tutti i personaggi sono Out of Character, ovvero non rispecchiano assolutamente la loro caratterizzazione originale.

2. Non preoccupatevi se compariranno personaggi tratti da film o anime che non conoscete. Non ha importanza conoscere il loro background, noi li trattiamo come se fossero personaggi originali reinventandone anche le storie.

3. E' una cosa lunga. Molto. Ed è ancora in progress. In realta' nemmeno noi sappiamo come e soprattutto SE finira' XD


4. Questa è una lista di tutto ciò da cui abbiamo tratto personaggi, luoghi e situazioni. Ripetiamo, non è necessario che li conosciate anche voi, ma per curiosità potete dare un'occhiata :)

- Star Wars (compresi i libri non ufficiali)
- Signore degli Anelli e Silmarillion
- Stargate SG 1
- Indiana Jones
- Kingdom Hearts (tutti i giochi)
- Sailor Moon
- La saga di Shannara di Terry Brooks
- I libri game della serie Lupo Solitario
- Dai no Daiboken (I Cavalieri del Drago)
- I Cavalieri dello Zodiaco
- Vampire Knight
- Final Fantasy VII, X e XII
- Baldur's Gate
- Yu-Gi Oh!
- Full Metal Alchemist
- Tokyo Mew Mew
- Magic Knight Rayearth
- Pokémon
- Battlestar Galactica
- altro che non ci ricordiamo al momento

Senza contare vari personaggi originali!

OK, le premesse per vostra fortuna sono finite:)
Speriamo di divertirvi e di non farvi fuggire inorriditi^^ Fateci sapere cosa ne pensate, il vostro parere e' molto importante per noi!




Prologo


Coruscant

Coruscant




Narratore: “(*colpo di tosse*)… 1, 2, 3, prova, prova... bene, amici lettori, eccoci qua! Un caloroso benvenuto a tutti, in particolare alle mie beneamate lettrici! Mi presento: sono il Narratore (con la N maiuscola, mi raccomando!), e sono qui... beh, per narrare ovviamente!
La nostra storia comincia negli spazi insondabili della Galassia, dove un potente, affascinante e carismatico Narratore era in grado di assoggettare chiunque alla sua volontà con il solo suono della sua voce vellutata. I suoi sudditi lo amavano e lo temevano, ed Egli era generoso con gli amici e implacabile con i nemici. Il suo splendore... “
REGISTE: “Narratore!!!!!!”
Narratore: “oh cavoli, mi hanno già scoperto... “
REGISTE: “Cosa hai detto?!”
Narratore: “ehm, nulla, nulla, mie divine Registe! Come state? Posso fare qualcosa per voi?”
REGISTE: “oh certo: potresti fare quello per cui ti abbiamo scritturato (cosa di cui in tutta onestà ci stiamo già pentendo...).”
Narratore: “ma lo sto facendo! Sto narrando!”
REGISTE: “sì, la storia sbagliata. Che ne dici di cominciare a fare sul serio? O preferisci tornare a narrare soap operas su Lady Channel?”
Narratore: “glip, non sia mai! D'accordo... d'accordo mie Registe, al vostro servizio! Ordunque...
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana... cioè, aspettate un attimo, manco per niente: la Galassia è proprio la nostra, e siamo agli inizi di quello che voi terrestri chiamate ventunesimo secolo. Solo che i terrestri non hanno mai saputo guardare più in là del loro naso: per secoli hanno creduto di essere il centro dell'universo, totalmente ignari di ciò che accadeva oltre i confini del loro piccolo mondo azzurro. E anche ora le cose non vanno meglio: mentre loro si accapigliano per il possesso di una goccia di petrolio, nella Galassia da circa vent'anni è in corso un conflitto di portata ben più vasta: quello tra Impero Galattico e Alleanza Ribelle... “

 

Le vetrate dei grattacieli splendevano di rosso e oro nella luce del tramonto. Presto su quella faccia di Coruscant sarebbe calata la notte, ma non le tenebre: le luci artificiali facevano brillare il pianeta-città come un piccolo sole a qualsiasi ora del giorno e della notte. Coruscant, il cuore pulsante dell'Impero, non dormiva mai.
Il governatore Tarkin invece non vedeva l'ora di buttarsi sul letto e dimenticare in fretta quella giornata da incubo. Doveva sforzarsi per tenere gli occhi aperti mentre digitava sul datapad i dati delle battaglie del giorno, seduto alla sua scrivania all'ultimo piano del grattacielo più alto del pianeta.
Si sentiva completamente esausto, ma la cosa non lo meravigliava. Tre attacchi ribelli in tre settori diversi della Galassia erano decisamente troppi per un giorno solo, soprattutto se doveva contrastarli senza l'aiuto di nessuno. Su Naboo quell'imbecille del governatore Saruman era entrato nel panico quando aveva visto i Ribelli sciamare a orde fuori dai tombini della capitale Theed, ed era toccato a Tarkin coordinare le difese via ologramma. Stessa cosa per gli attacchi su Geonosis e Kamino: i suoi amici Boba e Maul erano degli ottimi guerrieri, coraggiosi e dotati di presenza di spirito, ma non se la cavavano troppo bene in strategia. Quello era il campo di Tarkin.
Tra i Signori Oscuri l'anziano governatore era stato il primo a entrare al servizio dell'Imperatore; militava nelle sue fila sin da quando Palpatine era ancora un senatore della Vecchia Repubblica, più di venti anni prima, e lo aveva appoggiato nel colpo di stato legale con cui si era proclamato sovrano della Galassia. E malgrado nelle sue vene non scorresse né il potere della magia né quello della Forza restava sempre la mente tattica più brillante dell'Impero, tanto che tra tutti i Signori Oscuri l'Imperatore aveva scelto proprio lui per governare il prestigioso settore di Coruscant, il centro e la capitale della Galassia. Questo perché da anni l'Imperatore Palpatine preferiva risiedere sulla Morte Nera, la stazione spaziale grande quanto una luna che era la sua base e la sua fortezza.
Tarkin digitò gli ultimi comandi sul datapad e lo posò sulla scrivania, abbandonandosi sullo schienale dell'imponente poltrona di pelle. Si passò le mani sugli occhi, pensando alle cose che gli rimanevano da fare prima di poter mettere la parola fine a quella giornata da dimenticare. Forse era il caso di passare a fare un saluto ai bambini. Erano giorni che gli impegni di lavoro gli impedivano di andare a trovare sua figlia Shandra.
In quel momento il comlink sulla scrivania trillò, e Tarkin dovette resistere all'impulso di prenderlo a pugni.
“Governatore Tarkin!” era il viceammiraglio Kratas, e il tono della sua voce suonava come guai in arrivo. “E' stata rilevata dell'attività sospetta nei bassifondi!”
Kratas non fece nemmeno in tempo a finire la frase che in lontananza si udì un'esplosione, e Tarkin capì che il suo agognato riposo non sarebbe arrivato tanto in fretta.
Lo dicevo io che i Ribelli si erano ritirati troppo in fretta da Naboo, Kamino e Geonosis...
In quel momento tutte le luci del settore si spensero di colpo. Il grattacielo del governatore rimase a stagliarsi come un faro solitario al centro di un mare di oscurità. Dalla vetrata dietro la scrivania Tarkin poteva vedere fumo e fiamme sprigionarsi da un edificio in lontananza.
La centrale elettrica!
Quei bastardi però non avevano calcolato che il palazzo del governatore era autoalimentato. Se pensavate di isolarmi vi siete sbagliati di grosso! E restavano ancora gli ologrammi personali per comunicare con i soldati nella zona del blackout.
Nel giro di due secondi Tarkin era in piedi e urlava ordini a destra e a manca: isolare la zona colpita, pattugliare i bassifondi, mettere in funzione i generatori ausiliari, evacuare Shandra e Neos nel bunker anti-tutto. Nel frattempo malediceva tra sé e sé i responsabili della sicurezza del settore governativo. Avevo fatto terminare i loro predecessori solo un mese fa e già mi tocca trovarne di nuovi...
“Tutto il settore X-45 è da considerarsi zona di guerra fino alla cessazione del codice rosso, è chiaro viceammiraglio Kratas?”
“Agli ordini, signore. E i civili?”
Dopo tanti anni persino i più competenti tra i suoi sottoposti ogni tanto facevano domande idiote.
“I civili sono irrilevanti” Tarkin liquidò l'argomento con un gesto secco. “Esegua gli ordini viceammiraglio, e in fretta!”
Non appena ebbe chiuso la chiamata l'ologramma trillò di nuovo, ma stavolta Tarkin fu molto più felice di aprire la comunicazione. Nella luce azzurrina dell'ologramma apparvero due volti familiari e graditi: Boba Fett e Darth Maul, i suoi migliori amici.
“Ehilà Tarkin! Siamo su uno Star Destroyer qua in orbita! Volevamo veniti a trovare, e mi sa che abbiamo fatto bene!”
“Decisamente!” Tarkin concesse loro uno dei suoi rari sorrisi. “I Ribelli hanno fatto saltare la centrale elettrica e probabilmente mirano al mio palazzo!”
“Tarkin... sei sicuro che si tratti di loro?” Maul era pensieroso, la fronte aggrottata, gli occhi gialli stretti a fessura. Il suo amico era un iridoniano: aveva il viso lungo e affilato tipico degli appartenenti alla sua razza e numerose piccole corna gli crescevano sulla sommità del capo privo di capelli. In più la sua faccia e l'intero corpo erano ricoperti di tatuaggi rossi e neri che si era fatto fare ai tempi del suo addestramento Sith, e che lo rendevano particolarmente minaccioso. Malgrado l'aspetto spaventoso (almeno per i canoni di un umano) Tarkin si fidava ciecamente di lui, così come di Boba. I tre Signori Oscuri erano legati da anni da una solida amicizia; i loro talenti in campi diversi li rendevano una squadra versatile e temibile, tanto che i soldati imperiali, un po' per scherzo un po' sul serio, avevano finito per ribattezzarli “il trio Destroyer”, soprannome che ormai era rimasto loro appiccicato e che veniva usato persino dagli altri Signori Oscuri.
“Che ti dicono le tue percezioni Sith?” chiese Tarkin a Maul.
“Hai presente noi milanisti dopo la finale di Champions del 2005? Ecco, silenzio di tomba.” Tarkin ormai era abituato alle metafore sportive dell'amico, che era un grandissimo appassionato degli sport della Terra I. “Però ho un brutto presentimento. Pensavo... visto che lo scopo degli aggressori sembra quello di colpire te, non potrebbe trattarsi... “ esitò appena un attimo, “... non potrebbe trattarsi di quel figlio di puttana di Kaspar?”
Kaspar. Solo il suo nome bastava a far ribollire il sangue di Tarkin. Non aveva mai odiato nessuno come lui, nemmeno i Ribelli, nemmeno la principessa Leia in persona.
“Quel bastardo ne sarebbe capacissimo” aggiunse Boba. “Potrebbe essersi trovato dei nuovi seguaci, sarebbe proprio da lui.”
Kaspar era un mago, e di straordinaria potenza per di più. Proveniva da un'altra dimensione, un mondo lontano al di fuori della Galassia; anni prima lui e la sua gente avevano avuto l'insana idea di espandere le loro conquiste ai danni dell'Impero, ma erano stati sonoramente sconfitti.
Narratore: “e non solo dall'Impero, aggiungo io: i Ribelli hanno avuto una larga parte nel processo, anche se Tarkin non lo ammetterebbe mai.”
Kaspar si era salvato proprio grazie alla sua magia. Nella Galassia le creature dotate di potenziale magico si contavano sulle dita di una mano (ed erano tutte dalla parte dei Ribelli, per di più), e l'Imperatore bramava da tempo di avere almeno una di esse sotto il proprio controllo. In questo desiderio Kaspar aveva intravisto una possibilità di salvezza: non aveva esitato a tradire il suo mondo e a offrire i suoi servigi e il suo potere a Palpatine. L'Imperatore lo aveva addirittura nominato Signore Oscuro, e Tarkin era convinto che si trattasse dell'errore più madornale, più gigantesco e insensato mai commesso dal signore della Galassia. Perché Kaspar aveva ben presto iniziato a ordire complotti ai danni degli altri Signori Oscuri, nella speranza di guadagnare ancora più potere.
Era solo colpa sua se Daala era stata costretta a lasciare l'Impero, e Tarkin non glielo avrebbe mai perdonato, mai. Da quel momento non aveva desiderato altro che essere lui in persona a mettere fine alla deprecabile vita di quell'intrigante.
Il bastardo poi aveva la straordinaria capacità di cadere in piedi dopo ogni batosta, ed era sempre riuscito a cavarsela e a mantenere il suo posto nonostante il fallimento delle sue infinite macchinazioni. Almeno fino a qualche mese prima.
L'ultimo colpo di Kaspar era stato anche il più ambizioso: stavolta aveva mirato direttamente al trono. Aveva fallito, ma ancora una volta era riuscito a cavarsela per il rotto della cuffia, scampando clamorosamente alla giusta punizione. Era fuggito all'ultimo momento grazie alle Pietre Dimensionali, degli artefatti magici che permettevano di teletrasportarsi. Le Pietre facevano parte del patrimonio di oggetti magici dell'Imperatore (manufatti raccolti dagli imperiali nel corso degli anni in svariati modi, ortodossi e non), da cui Kaspar aveva trafugato diversi altri esemplari che ora restavano nelle sue mani. Da allora di lui non avevano avuto più notizia, ma nessuno dubitava che prima o poi sarebbe tornato per portare a termine i suoi folli piani.
Il sospetto di Maul non era affatto infondato: Kaspar odiava Tarkin quasi quanto Tarkin odiava lui. Era molto probabile che tentasse di attaccarlo.
“Se così fosse mi farebbe quasi piacere.” disse Tarkin con un lampo omicida negli occhi azzurri. “Sarebbe ora di chiudere definitivamente i conti con quella feccia. Comunque per adesso non possiamo escludere nessuna possibilità. Voi potreste scendere di persona sul campo?”
“Non chiediamo di meglio.”
“Bene. Ci terremo costantemente in contatto, vi informerò immediatamente di tutti gli aggiornamenti dai satelliti e dalla flotta.”
“Ti porteremo la testa di Kaspar come souvenir, vedrai!”
“Lo spero. Lo spero vivamente. Ma mi accontento anche della testa di qualche Ribelle importante.”
Dopo averli salutati e aver augurato loro buona fortuna chiuse la comunicazione; a quel punto si accorse che alle sue spalle si era formato un gruppetto di soldatini spaesati e ansiosi che attendevano nervosamente i suoi ordini.
Qui sarebbero tutti persi senza di me.
Sospirò e si diresse al terminale di comando, pronto a iniziare l'ennesima battaglia.

 

I tre Ribelli contemplavano soddisfatti gli effetti dell'esplosione. Il blackout si era diffuso in tutto il settore, come previsto, e l'oscurità avrebbe protetto la loro avanzata verso il palazzo del governatore. Per il momento il piano procedeva a gonfie vele.
“Meglio muoverci, dobbiamo riunirci agli altri” disse Mara.
“Arrivo subito” rispose Aragorn, e si rivolse ai pochi tecnici della centrale che ancora non si erano dati alla fuga e che li guardavano con gli occhi spalancati, terrorizzati e incuriositi allo stesso tempo. “Tornate alle vostre case, e in fretta. Qui tra pochissimo brulicherà di assaltatori, e quelli non fanno differenza tra nemici e civili innocenti.”
“Non capisco... perché ci avete fatto uscire prima di far saltare la centrale?” uno dei tecnici, il più anziano del gruppo a giudicare dai capelli grigi, aveva trovato il coraggio di parlare. “Perché ci avete salvati? Voi siete... “
“Ribelli.” lo interruppe Aragorn. “Ribelli, non terroristi. Noi non facciamo del male ai cittadini innocenti, anche se lavorano per l'Impero. E ora sbrigatevi, via di qui, prima che sia troppo tardi!”
Nello sguardo del tecnico brillò una luce nuova, qualcosa di molto simile al rispetto. Accordò loro un breve cenno del capo e corse via senza una parola, seguito dai compagni.
“Spero che non soffrano troppo per le ripercussioni di questo incidente.” disse Gandalf mentre li guardava allontanarsi. La lunga barba grigia del vecchio stregone era tutta scompigliata e un po' annerita per il calore dell'esplosione. “Non vorrei che l'Impero li ritenesse responsabili.”
Non c'era niente da fare comunque, e i tre procedettero rapidamente verso il punto di incontro nei bassifondi. Il traffico nelle corsie aeree attorno ai grattacieli era stato bloccato, segno che l'arrivo degli assaltatori era imminente. Che sprecassero pure tempo a cercarli là fuori: il loro obiettivo era il centro governativo. Potevano vederlo in lontananza: il grattacielo più alto di tutti, una lancia di luce conficcata nel cielo nero. Ma non sarebbe stato facile arrivarci.
“Una volta riuniti a Luke e gli altri noi andremo avanti verso il palazzo del governatore.” ricapitolò Gandalf. “Mentre i gruppi di O'Neil e Han creeranno dei diversivi in giro per i bassifondi.”
A Mara faceva piacere di essere stata assegnata al gruppo di Aragorn e Gandalf. Si trovava sempre molto bene a lavorare con loro: insieme alla principessa Leia erano i membri più influenti dell'Alleanza, ma al contrario di lei non erano per nulla altezzosi o scostanti. Le piacevano perché erano persone alla mano, piene di senso dell'umorismo, che non ti giudicavano e che trattavano tutti, dalla nobile principessa al più umile spazzino di Minas Tirith, con la stessa genuina, squisita gentilezza. E dire che Aragorn era un re! Governava la Terra II, il pianeta che ospitava la base principale dell'Alleanza Ribelle, e Gandalf era il suo fedele primo ministro. Ma nessuno più di loro detestava i convenevoli e le formalità, e Mara ormai non si sentiva più in imbarazzo a dare loro del tu o a tirare loro palle di fango durante la Festa d'Autunno a Minas Tirith. Era uno dei motivi per cui amava l'Alleanza Ribelle: in questo era ben diversa dall'Impero, incasellato nelle sue rigide gerarchie.
Ed ecco un altro motivo per cui adorava Aragorn e Gandalf: a loro non importava nulla che lei in passato avesse servito l'Impero, o che fosse stata addestrata all'uso del Lato Oscuro della Forza dall'Imperatore in persona. Si fidavano di lei, senza riserve né pregiudizi. Mara non avrebbe mai potuto essere loro abbastanza grata per questo.
Discesero di un altro livello, mentre alle loro spalle le sirene d'allarme si facevano sempre più assordanti. Finalmente dalle ombre dietro una piattaforma arrugginita emerse la sagoma di Luke, che agitò una mano nella loro direzione. Non ce n'era bisogno: Mara aveva lo aveva già percepito da diversi minuti. La sua presenza calda e luminosa l'aveva guidata fino a lui attraverso le pieghe della Forza, come aveva fatto quel giorno di diversi anni prima quando si erano incontrati per la prima volta.
“Tutto bene? Dal botto che si è sentito oserei dire di sì!”
“Tutto a posto Luke! Possiamo procedere!”
Il gruppo di Ribelli si mise in marcia attraverso i bassifondi; la mano di Luke cercò la sua, e i due proseguirono insieme, uniti. Con Luke al suo fianco Mara sentiva di poter affrontare qualsiasi fantasma del proprio passato; la sua stretta le trasmetteva calore e forza, le infondeva coraggio.
Se aveva abbandonato l'Impero era stato solo e soltanto per Luke, e non se ne era mai pentita.

 

“Il settore X-45, eh?” disse il suo amico Darth Maul, scendendo con un salto dalla rampa della loro astronave. Atterrò al suo fianco, abbassò il cappuccio e osservò dall’alto del grattacielo gli speeder privati degli abitanti di Coruscant che si allontanavano dall’area, spaventati e confusi dall’improvvisa mancanza di corrente elettrica. Avvenimento più che raro, nella capitale dell’Impero Galattico “Sia che si tratti dei Ribelli che di Kaspar, devono aver progettato questo attacco da molto tempo. Non si aggirano le difese di quel settore così facilmente”.
Boba annuì, e mentre si incamminavano verso l’ascensore che li avrebbe condotti ai livelli inferiori della grande città alveare controllò le munizioni dei suoi blaster almeno quattro volte; li sistemò nelle fondine e negli scomparti segreti della sua armatura, poi fece scivolare le dita lungo la cintura magnetica e ne estrasse il piccolo generatore nucleare modello CF4 che portava con sé proprio per casi di emergenza come quello.
L’ascensore non funzionava, come aveva sospettato.
Fece scattare una vibrolama lungo il quadro comandi, ed in pochi attimi la luce giallo-azzurrina fuse le estremità della pulsantiera ed illuminò i cavi all’interno. Accese il generatore nucleare e, con la pazienza che derivava da innumerevoli anni trascorsi come cacciatore di taglie, iniziò a collegare i fili dell’ascensore con la nuova fonte di energia sotto lo sguardo curioso del suo amico. Maul era un eccellente Sith ed un grande intenditore di Playstation e consolle di tutta la galassia, ma non si era mai soffermato molto su quei lavori “da droidi di riparazione”. Lui invece preferiva affidarsi sempre e solo alle proprie mani.
“Diecimila crediti che si tratta di Kaspar” fece l’iridoniano.
“Scommetti sempre basso, eh?” fece lui, ascoltando il ronzio del motore dell’ascensore che riprendeva vita “Io punto almeno trentamila crediti sui Ribelli”
“Cosa ti dà la certezza che ci siano loro dietro questo blackout?”
“Nessuna certezza, amico mio. E’ che mi piace scommettere sempre sulla mia vita” sorrise soddisfatto sotto il casco mandaloriano quando l’ascensore si illuminò di colpo e le porte di transparacciaio si aprirono accompagnate da un festoso dlin dlon. Fece sparire il generatore nello scomparto ed entrò a passo deciso. “I Ribelli sono un problema gestibile”.
Lasciò in sospeso la frase, sapendo che il suo amico avrebbe compreso. Erano quasi venti anni che schermagliavano contro l’Alleanza Ribelle, ed a lungo andare i loro attacchi, compresi i giganteschi commandi, erano diventati prevedibili. I loro servizi segreti conoscevano qualsiasi dettaglio sulla vita e le abitudini della resistenza. Sebbene tutti i cacciatori di taglie mandati contro di loro (Boba stesso aveva tentato diverse volte di catturarne qualcuno) fossero tornati sempre a mani vuote, la maggior parte delle loro attività in entrata ed in uscita dal loro pianeta erano tenute sotto controllo; conoscevano i loro strateghi, i guerrieri ed i maghi. Conoscevano ciò che potevano e ciò che non potevano fare.
Con Kaspar era diverso.
Lo era sempre stato, sin dal primo giorno che quel mago aveva messo piede alla corte dell’Imperatore Palpatine. I suoi incantesimi lo rendevano padrone di migliaia di possibilità, ed il suo genio malvagio le espandeva come una gigantesca cassa di risonanza; non sapevano dove fosse fuggito, ma aveva con sé le Pietre Dimensionali ed il devastante potere bellico degli Oggetti Millenari trafugati dalle casseforti imperiali. Abbastanza per essere un problema molto più serio di un disorganizzato manipolo di soldati ribelli. Avevano promesso a Tarkin che gli avrebbero portato la testa di Kaspar come souvenir, ma tutti e tre sapevano che era solo un’espressione metaforica: spingerlo ad abbandonare l’attentato e ad andarsene sarebbe stato un risultato più che eccellente.
Dlin dlon.
Dal basso sentirono il fischiare degli Star Destroyer di sicurezza, e l’attimo dopo la sottile striscia di cielo che ancora si intravedeva tra le sommità dei palazzi fu oscurata dalla lunga sagoma triangolare di un’astronave. Una di esse fece sbarcare le sue truppe su una piattaforma di atterraggio a pochi isolati da loro, mentre le altre due deviarono in direzioni opposte.
“Tipico” mormorò Boba “Creano dei diversivi per distrarre il grosso delle truppe, mentre un manipolo cerca di espugnare il palazzo di Tarkin. Questo è un attacco dei Ribelli, porta quasi la loro firma”.
“Così pare. Adesso sbrighiamoci e corriamo agli elevatori J, K e K-bis. Se vogliono entrare nel palazzo governativo quelli saranno i primi ascensori ad essere presi di mira” disse il Sith. Il corto cilindro della sua spada laser volò nella sua mano “Ma c’è comunque qualcosa che non va. Percepisco un tremito nel Lato Oscuro”.
“Credi sia sicuro proseguire?”
“Sicuro o no, dobbiamo raggiungere il palazzo di Tarkin. Proteggerlo è la nostra priorità”.
Con un agile salto si portò su un balcone ad almeno cinque metri da loro, atterrò senza fare alcun rumore e corse verso il successivo, scivolando con leggerezza tra le poche abitazioni che avevano il coraggio di esistere là sotto, nei bassifondi della capitale della galassia, il luogo dove solo i pazzi, i Sith, i Ribelli ed i cacciatori di taglie più esperti osavano mettere piede. E loro erano un elegante miscuglio di tutte quelle categorie. Digitò il codice di attivazione nella pulsantiera montata al bracciale della sua armatura, e lungo le spalle sentì il familiare calore che accompagnava l’attivazione del suo zaino a razzo. Senza nemmeno una scintilla che avrebbe potuto rivelare la sua posizione il dispositivo partì, e si trovò a levitare a svariati metri d’altezza, proprio accanto alla figura vestita di nero del suo atletico amico. Gli scivolò accanto e lo salutò con una mano.
“Scommettiamo che arrivo prima di te?”
“Ehi, non vale!” protestò il Sith “Nemmeno Usain Bolt può vincere contro quel razzo che hai attacco sulla schiena!”
Solo Maul può conoscere i nomi di tutti gli atleti di quell’insulso pianetino …
“Non so chi sia questo Bolt, ma non credo proprio che sia più veloce di te!”
“Forse su quello ti do ragione …” disse “Ma comunque non scommetto contro le tue diavolerie!”
Scivolarono rapidi per le vie inferiori della Città-che-non-dorme-mai.
La pattuglia di assaltatori appena sbarcata li salutò e continuò nelle sue manovre, ma loro corsero sempre avanti, aumentando la velocità.
Boba sapeva che Tarkin era sempre stato l’obiettivo in cima alla lista nera dei Ribelli, secondo solo all’Imperatore in persona. Era sempre stato la mente strategica ed il portafogli vivente dell’Impero Galattico, e catturare lui sarebbe equivalso a mettere in ginocchio non solo l’intera Coruscant, ma anche i dipartimenti dei servizi segreti e delle unità di ricerca scientifica e bellica che esistevano solo per obbedire alle sue disposizioni. Il governatore Tarkin e Darth Maul erano i suoi migliori amici, ed insieme erano un gruppo vincente.
L’area d’accesso agli ascensori inferiori era incredibilmente calma, contro ogni previsione. Salì di qualche metro per osservare la scena dall’alto, ma gli assaltatori di guardia stavano pattugliando il perimetro come da protocollo. Nessuna traccia dei Ribelli, di Kaspar, o di qualsiasi attacco nemico.
Osservò anche le pareti dell’edificio, e per sicurezza eseguì anche due scansioni termiche sul basamento del palazzo e sugli edifici circostanti, conoscendo l’antipatica abitudine dei Ribelli di balzare fuori dai nascondigli più inaspettati, tubature di scarico incluse. Nulla.
Maul apparve con un salto in mezzo a loro, ed i soldati si misero sull’attenti alla vista della lunga tunica nera e dei tatuaggi inconfondibili del Sith; Boba spense lo zaino e scese alla sua destra.
“Qualcosa non va” bisbigliò l’altro tra i denti. I suoi occhi gialli si spostarono a destra ed a sinistra in rapida rassegna sui soldati “Le mie percezioni non sono nitide. I Ribelli devono essere da qualche parte, ma non riesco a localizzarli”
“Diamo ordine agli assaltatori di setacciare il terreno”.
“Puoi giurarci. Ma adesso entriamo. Tarkin ha bisogno di noi”.
Non fece in tempo a pronunciare quelle parole che l’ascensore spalancò le sue porte e ne uscì una coppia di lame scintillanti.
Boba sentì il click di un blaster alle sue spalle, ma i sensi Sith del suo amico furono più veloci: la raffica diretta contro di loro si infranse contro la spada laser del suo amico, ed il ronzare dell’energia attivata tra le sue mani gli diede un senso di sicurezza. Estrasse i blaster con la massima velocità, ma un fendente della spada del re Aragorn gli fece volare via una delle armi e fu costretto ad indietreggiare di qualche passo, dando tempo anche alla figura di Gandalf di uscire per intero dall’ascensore.
I soldati di guardia puntarono i fulminatori nella loro direzione.
“Sorpresa!”
Si levarono i caschi uno alla volta, e Boba riconobbe con profondo disgusto almeno una decina di facce che avevano fatto la storia dell’Alleanza Ribelle. Il contrabbandiere Han Solo gli regalò un sorriso di sfida, Lando Calrissian mise il suo blaster in bella vista, ma fu soprattutto l’espressione scura in volto di Anakin Skywalker a fargli desistere qualsiasi tentativo di sortita. Se l’ex Sith partecipava a quella missione non c’era da meravigliarsi che i sensi del suo amico fossero stati offuscati. Maul puntò la sua spada laser a doppia lama nella loro direzione, ma anche lui sapeva bene che gli avversari erano in troppi, specie se li stavano circondando come in quel momento. Boba valutò anche l’idea di accendere lo zaino a razzo e prendere rapidamente quota, ma l’oggetto non avrebbe retto il suo peso unito a quello di Maul.
“Boba, potresti ripetermi quella parte in cui hai detto che I Ribelli sono un problema gestibile?”
“Davvero l’ho detto io?”
“Siamo anche di memoria corta, eh? Adesso vedi di tirare fuori uno dei tuoi trucchetti da cacciatore di taglie navigato o qui andrà a finire male”
“Sempre meglio che essere presi a palle di fuoco da Kaspar”
Una palla di fuoco saettò proprio oltre le loro teste. Boba la vide abbattersi contro il gruppo di Ribelli mascherati da assaltatori, e l’attimo dopo il suo amico lo spinse a terra evitandogli una raffica di lame glaciali a meno di un palmo dalla testa. Rotolò sul fianco, recuperò il blaster a terra e sparò dove prima vi erano le sagome del ramingo e lo stregone, ma nel fumo e nella confusione colpì solo il motore di uno speeder che esplose in una nuvola di scintille. Alcuni dei loro avversari sollevarono gli scudi deflettori portatili, ma quelli si infransero dopo una seconda ondata di sfere infuocate. Maul si sollevò sulle ginocchia e gli fece cenno di ripararsi in un vicolo.
Una folata di vento più violenta di quelle che tempestavano Kamino scivolò alla base dei grattacieli e scaraventò in aria i loro aggressori ed i velivoli, che si schiantarono contro le pareti dei palazzi tra le grida dei civili sfortunati che non avevano avuto il tempo di evacuare. In un luogo come Coruscant, dove persino il clima era attentamente regolato e selezionato, un vento di quel genere poteva avere soltanto un’origine. Proprio come i cristalli di ghiaccio e le sfere infuocate.
Un ruggito scosse il basamento, ed i Ribelli ancora in piedi si scambiarono sguardi dubbiosi, radunandosi attorno al sovrano “Ma non ci avevano garantito che sarebbe stata a difendere Naboo?” sentì Han Solo gridare tra le centinaia di allarmi che risuonavano praticamente per tutto il pianeta “Licenzierei in blocco tutti i membri dei nostri servizi segreti … se solo ne avessimo!”
Bastò la potenza di un secondo ruggito per far esplodere il transparacciaio sopra di loro, poi la lunga testa squamosa e nera di un drago comparve al fianco del palazzo governativo; una zampa, lunga quanto metà della plancia di uno Star Destroyer, schiacciò uno degli speeder. Le sue ali erano chiuse, costrette tra le due ali di edifici, ma la creatura incuteva lo stesso un pieno timore.
Boba vide Aragorn e Gandalf rimettersi in piedi, sguainare le spade e portarsi davanti al drago, agitando le lame proprio sotto il suo muso per attirarne l’attenzione.
Pazzi.
Come se potessero anche solo scalfire le squame di Zam …

“Ehi, guarda da questa parte!” gridarono, mentre Gandalf illuminava la sommità del suo bastone “Invece di prendertela con i nostri amici perché non ti batti con noi?”
Forse è la volta buona che ci liberiamo di quei due … pensò Boba, con lo sguardo fisso verso di loro. Gli riconosceva del coraggio, anche se quella che stavano compiendo era una palese idiozia.
“BRUTTI DEFICIENTI!” si sentì una voce oltre gli allarmi, e dal fumo che si diramava in ogni direzioni ne uscì uno speeder che si diresse verso il ramingo e lo stregone a tutta velocità. Dove i Ribelli ne avessero trovato uno intatto dopo quell’attacco selvaggio era un mistero, poi Boba vide la cascata di capelli rossi di Mara Jade sporgersi fuori dal velivolo e caricarsi di peso i due pazzi furiosi. Li sentì protestare e cercare di divincolarsi, ma la sagoma di Anakin Skywalker alla guida dello speeder si curvò sul quadro comandi e scattò attraverso le strade di Coruscant.
Il drago soffiò nella loro direzione, ma quando i fumi grigi si dissiparono nel cielo dello stesso colore, dei loro nemici non ne era rimasta traccia a parte i veicoli fuori uso e qualche blaster abbandonato nella colluttazione. Stava per chiedere a Darth Maul se fosse saggio inseguirli, quando quello spense la spada laser, si abbassò il cappuccio, tirò un grande respiro di sollievo e si avvicinò all’enorme mole del drago. “Credo di aver perso il conto delle volte che ci hai salvato, Zam!”
Poi, improvvisa come sempre, la sua forma cambiò. Le squame svanirono e si ritirarono nel corpo, svanirono la coda e le ali e la testa assunse una forma rotonda.
Osservare Zam mentre mutava forma era sempre sorprendente. Prima che i suoi occhi fossero in grado di registrare tutti i passaggi della trasformazione lei era lì, totalmente umana, il corpo che aveva perso la mostruosità di qualche attimo prima per diventare piccolo ma perfetto e flessuoso.
“Sei l’unica persona per cui posso trovare merito o piacere nel salvarti, Maul” rispose lei “Non posso dire lo stesso per l’idiota in tua compagnia”.
L’idiota, beninteso, era proprio lui.
“Suvvia, perché non concedi a Boba …?”
“La mia risposta è no”.
Zam non era una persona facile al perdono. Il suo inflessibile senso dell’onore non concedeva indulgenze a nessuno. I poteri della sua razza clawdita, in grado di mimare centinaia di creature, la rendevano una delle chiavi di volta nelle operazioni militari dell’Impero, che portava a termine con un’efficacia migliaia di volte superiore a quella di interi plotoni di assaltatori.
Era una donna che aveva amato in maniera appassionata un povero imbecille. Una persona che aveva messo in dubbio la sua fedeltà perché era in preda ai dubbi: nonostante lei avesse giurato ed impegnato la propria parola di amarlo alla follia, quell’uomo aveva continuato ad accusarla di infedeltà. La nascita di un bambino era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
L’uomo aveva continuato ad accusarla, calpestando il giuramento di lei. Non aveva riconosciuto Neos, il bambino frutto della loro unione, come suo. In quel modo aveva calpestato il suo orgoglio di donna e quello di madre con un solo gesto, ma in compenso era riuscito a svegliare la furia del drago.
Quando il povero imbecille si era reso conto del suo errore, la donna che lo aveva atteso per tanto tempo aveva creato un impenetrabile muro di ghiaccio. Zam aveva tagliato ogni contatto con quell’uomo vile e meschino, e per quanto quello cercasse di scusarsi e promettesse di cambiare, lei era diventata feroce ed inaccessibile come un drago intorno alle sue uova. L’uomo aveva supplicato in tutti i modi che conoscesse, ma la cambiatrice di forma si limitava ad allontanarlo da lei, alterca.
Il povero imbecille, ovviamente, era lui.
Gli occhi di Zam, color del cristallo, erano fissi su di lui. Non era lo sguardo di una donna innamorata, ma nemmeno quella di una bestia feroce pronta a balzare sulla preda; era lo sguardo che normalmente si riservava agli escrementi sul margine della strada, e Boba aveva imparato quali erano i momenti migliori per discutere con Zam e quali no. I secondi erano inevitabilmente di più dei primi. “A giudicare dalla velocità con cui scappavano, direi che i Ribelli ormai saranno tornati sulla Terra II” commentò lei.
“È troppo divertente vederli scappare quando arrivi!” disse Maul, stiracchiandosi. Capiva benissimo di trovarsi in una situazione delicata, e riusciva quasi sempre a rompere il ghiaccio “Finalmente Tarkin potrà dormire sogni tranquilli per stasera”
“Come se me ne importasse” sibilò lei tra i denti. Diede loro le spalle e si avvicinò agli ascensori “Pensate seriamente che sarei venuta con questa velocità se Neos non si fosse trovato in questo palazzo? Che mi sarei rotta l’osso del collo per quel vostro sadico e cinico amico?”
Maul fece spallucce “L’importante è il risultato …”
Lei entrò nell’ascensore e chiuse loro le porte in faccia.
Boba stava per immergersi nei suoi pensieri più cupi quando l’amico gli posò una mano sulla spalla “Pensa positivo, Boba. Tarkin è al sicuro, ed al momento non credo che i Ribelli abbiano la fantasia di attaccare una seconda volta. Andiamo a vedere se lì dentro stanno davvero tutti bene e poi abbiamo anche tempo di accendere la Playstation” disse, avvicinandosi all’ingresso “E poi cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. Essere single ha i suoi vantaggi: lo spazzolino ed il sapone ti durano il doppio! Ok, battuta pessima …”
Boba lo ascoltò per metà, ancora immerso nei pensieri che riguardavano Zam, come tutte le volte che si incontrarono. Quindi sentì a malapena le grida di Tarkin che, pochi livelli più in alto, sbraitava contro gli addetti tecnici della sicurezza del suo palazzo. Non ne sarebbero sopravvissuti molti.
 

Narratore: “Ok, direi che come prologo è lungo a sufficienza. E visto che si tratta di una gigantesca sega mentale di Boba direi che possiamo tagliare qui prima che la gente si annoi senza aver nemmeno letto il primo capitolo. Ora credo che potremmo …”
REGISTE: “… iniziare a raccontare il primo capitolo!”
Narratore: “Veramente io intendevo narrare della gloria del Narratore, disceso tra i mortali come un angelo da una sola ala che …”
REGISTE: “Che finì licenziato dopo il prologo”
Narratore: “Ma io …”
REGISTE: “Niente ma. Hai impiastrato otto pagine di prologo, dopo questa mattonata siamo fortunati se ci è rimasto un lettore o due. Certo, meglio pochi ma buoni, però un po’ di pubblico ogni tanto non guasterebbe”
Narratore: “Uff, e va bene … mi autorizzate a passare al prossimo capitolo?”
REGISTE: “E prossimo capitolo sia! Dopo questa presentazione dei personaggi sarebbe il caso di iniziare ad immergere i nostri amici lettori nel cuore della nostra storia … se qualcuno non ne riemerge potrebbe essere un bel problema visto che l’assicurazione sulla responsabilità civile ci è scaduta da un bel po’!”
Narratore: “Queste Registe insolventi …”
REGISTE: “Cosa hai detto?”
Narratore: “Che siete le donne più speciali di questa galassia, ovviamente!”
REGISTE: “Così va meglio …”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Invocatrici ***


Narratore: bene, Registe, il vostro momento sta per arrivare……
Registe (tra loro): suvvia, il titolo si può sentire…… almeno crediamo……

Narratore: vi date una mossa? I lettori stanno fremendo! E che cavolo, avete ammorbato i lettori con quel prologo chilometrico ed ora che fate? Cincischiate?
Registe: NARRATORE, TACI O TI DETRAIAMO LO STIPENDIO!
Narratore: ma se non mi avete mai pagato in vita vostra……
Registe: Narratore, non riesci a capire che l’annuncio del titolo è un momento delicato? Nel titolo c’è l’anima della storia, in poche parole c’è il riassunto della trama è quell’elemento che fa vagare la fant……
Narratore: Registe, non ve lo volevo dire, ma siete su questa pagina già da circa dieci righe ed i lettori si stanno spazientendo…… un’altra riga e saranno così annoiati da andarsi a leggere qualche fanfiction yaoi di basso livello…… quindi prendete carta, penna, microfono, quello che avete sotto mano e preparatevi!
Registe: ma chi gli ha dato tutto questo potere? …… Noi due temo …… va bene, un respirone profondo e via ……

 

Il Ramingo e lo Stregone:

Il Castello dell’Oblio




Capitolo 1 - Invocatrici


Mara Jade

Mara Jade




 

Narrarore: Molto bene, ora che le Registe hanno fatto il loro bell’annuncio e si sono levate dai piedi direi di iniziare, perché da questa serie ci saranno enormi cambiamenti, nulla sarà come prima, le normali battaglie tra Impero ed Alleanza assumeranno nuove dimensioni, la Galassia scoprirà qualcosa che fino a questo momento era rimasto velato dai limbi dello spazio-tempo. E nuovi personaggi (no, mica originali, quello mai… copiati da un signore chiamato Nomura che se ci scoprisse chiederebbe troppi soldi di cauzione e finiremmo sul lastrico…) saliranno alla ribalta: pagine bianche su cui scrivere, figure che intrecceranno le loro vicende con quelle della galassia. Ma per ora non vi aggiungo altro, anche perché devo fare il lavoro per cui sono stato chiamato: narrare.
Chiudete bene gli occhi e concentratevi…… no, solo in senso metaforico, come fate a leggere ad occhi chiusi?


Mara allontanò la piccola May prima che si avvicinasse troppo al caminetto acceso, ricevendo solo qualche calcetto di protesta; la bimba era sempre silenziosa, anche troppo per una della sua età. L’idea di portarla a pescare su fiume con Luke e Mistraal per farla svagare un pochino l’aveva sfiorata, ma a Daala non piaceva molto l’idea che sua figlia passasse troppo tempo con i bambini dell’Alleanza.
Daala, la sua migliore amica, era lì tra loro per una sfavorevole congiuntura astrale. Congiuntura astrale chiamata Kaspar.
Fino a pochi mesi prima era stata uno dei più validi ammiragli dell’Impero Galattico, e nonostante la sua condizione di donna era riuscita dove solo pochi, anzi, pochissimi uomini erano riusciti; portarsi ai vertici del potere, sfiorare i cieli di Coruscant, ricevere persino diversi encomi dall’Imperatore Palpatine. Aveva anche trovato la persona con cui trascorrere felice il resto della sua vita: Mara non era mai stata molto convinta che sposare il governatore Tarkin fosse stata una buona idea, ma nonostante l’enorme differenza d’età Daala era stata così innamorata da non voler sentire ragioni.
Poi era arrivato Kaspar. Il peggiore acquisto tra i Signori Oscuri dell’Imperatore. Quel mago imbroglione non aveva mai visto di buon occhio il governatore Tarkin, ed era stato pronto a qualsiasi inganno pur di rovesciare lui ed i suoi amici dalle loro alte posizioni. Mara aveva perso il conto degli innumerevoli attentati che Daala e suo marito avevano subito, forse la sua amica glieli aveva mai raccontati davvero tutti. Finché un giorno quel mago non aveva deciso di colpire il suo più acerrimo avversario in maniera vile, ed aveva organizzato un intero complotto volto a screditare la stessa Daala, arrivando a farla accusare di alto tradimento. E sarebbe stata condannata a morte se non fosse stato per il suo intervento. Mara da tempo aveva abbandonato l’Impero. Lo aveva fatto per sua libera scelta, per amore e per un futuro che doveva essere migliore per lei e per tutte le persone che popolavano quella galassia; aveva fatto il possibile per permettere alla sua amica di fuggire dai blocchi di detenzione e farla accogliere all’Alleanza nonostante Daala avesse militato per anni contro i Ribelli.
Non aveva mai avuto la vocazione di unirsi all’Alleanza, di passare il tempo a festeggiare ed a combattere l’Impero. Era lì perché non aveva altro posto dove andare e perché i Ribelli avrebbero accolto nella loro città anche una nemica, se questo le fosse servito. E Daala aveva ancora bisogno di quel riparo. Ne avevano parlato qualche minuto prima che la sua amica le affidasse May il tempo necessario per andare a farsi una doccia: le comunicazione con Tarkin si erano diradate, ed erano mesi che non vedeva la sua prima figlia; nonostante May le occupasse tutto il tempo a disposizione non riusciva a nascondere la rabbia che provava dentro. Ma sulla sua testa pesava una condanna a morte, e non poteva tornare all’Impero in quel momento, non prima che all’Imperatore fosse sbollita la furia.
Mara sospirò, osservando l’abitazione che i Ribelli avevano offerto alla sua amica: era una casa non troppo grande, ma dotata di quel senso di pace che in fondo permeava tutta la Terra II; certo, mancavano tutte quelle belle tecnologie che rendevano meravigliosi gli appartamenti di Coruscant, ma forse anche il camino scoppiettante, le pentole sporche e piene di cibo, l’assenza del ronzare dei droidi avevano il loro fascino. Lei e Daala avevano trascorso tutto il pomeriggio in quel salotto, chiacchierando delle bambine e dei loro progressi, e per diverse ore avevano allontanato dalla loro mente lo spettro dell’Impero e il dolore di Daala.
La piccola May era morbidissima, aveva delle guance rosse da far invidia a delle mele mature. Ormai gattonava dappertutto, e Daala non riusciva a voltare l’angolo che la piccola scivolava fuori dal lettino e si andava a nascondere per tutta casa oppure cercava di uscire all’aria aperta. La prese in braccio e le cantò una filastrocca che Gandalf stava insegnando a tutti i bambini dell’Alleanza, mentre nella stanza vicina giungeva il familiare rumore dell’asciugacapelli di Daala che entrava in funzione “Sta tranquilla, adesso la mamma esce dal bagno e ti prepara qualcosa di buono!”.
May sorrise, come ad aver capito, e scese dalle sue ginocchia per prendere il nuovo peluche che lei stessa le aveva regalato.
L’urlo di Daala coprì il rumore dell’asciugacapelli, che si interruppe di colpo.
Prima ancora di ragionare Mara era in bagno, con la spada laser accesa, illuminando con la sua luce rossa il viso di un tizio che non aveva mai visto in vita sua.
Daala era ancora lì, i capelli rossi umidi ed armata solo di un asciugamano “ESCI SUBITO DAL MIO BAGNO, MANIACO!”
“Cielo, signora, sono spiacente …… non pensavo …… forse mi hanno mandato nel momento sbagliato ……” fece il ragazzo, ancora più rosso perché illuminato dalla luce della lama “…… ma non c’è tempo, cercate di capirmi……”
Certo, tutto aveva tranne che la faccia da maniaco.
Anzi, a dire il vero era abbastanza carino. Aveva una cascata di capelli viola chiaro che gli arrivavano quasi alle ginocchia, con un taglio decisamente femminile e due occhi verdi allungati coloravano un viso pallido e delicato; non sembrava il solito ribelle ubriaco che si divertiva a sbirciarle di ascosto dalle finestre del bagno…… Ma la cosa singolare di quell’individuo era l’abbigliamento: la più grande, luminosa, complessa e PACCHIANA armatura d’oro che avesse mai visto nella sua vita (di armature ne aveva viste a bizzeffe, ma dorate mai), che sembrava pesare più del ragazzo che la stava indossando. Al roteare della sua spada mandò un bagliore rossastro che per poco non le accecò gli occhi, ma non abbassò la sua arma: non lo aveva mai visto all’Alleanza fino a quel momento, ed era abituata a considerare chiunque non conoscesse come un nemico, soprattutto quando c’erano Daala e May in giro e cacciatori di taglie che di sicuro stavano sondando la Galassia alla loro ricerca.
“ESCI SUBITO DAL BAGNO DELLA MIA AMICA O AFFETTO TE E LA TUA STUPIDA ARMATURA!”
“Signore, vi prego, riponete le armi …… Vengo in pace come emissario dei miei potenti padroni, e supplico la gentile Invocatrice di ascoltare le miei preghiere!”.
“Mara, secondo me questo è ubriaco come una zucchina” fece Daala, ripresasi dalla paura iniziale “Vado a chiamare i nani”.
“No, mia Invocatrice, la prego!”. Di certo non era un cacciatore di taglie o qualcuno al soldo dell’Impero, o avrebbe già cercato di ucciderle, considerato che anche lei era ricercata. Però non puzzava d’alcool ed aveva uno sguardo pieno, sincero, di una persona che sapeva benissimo ciò che stava dicendo.
Daala fece un respiro profondo ed allontanò la mano dalla porta, fissando prima la sua amica e poi il nuovo venuto; Mara sapeva che, a differenza sua, Daala preferiva avere un approccio razionale a qualsiasi problema, anche quando si ritrovava con uno sconosciuto in lattina dentro un bagno “Innanzitutto non so cosa sia un’Invocatrice, ma se mi devi dire qualcosa di urgente fallo e poi sparisci, altrimenti faccio un altro urlo che attirerà tutte le guardie di Minas Tirith e saranno guai seri”.
Non che l’esercito di Minas Tirith fosse famoso per la sua potenza ma…… magari ad un tipo strambo come quello avrebbe fatto impressione……
Ed in effetti i suoi occhi si ingrandirono ancora i più, ed agitò le braccia rovesciando con la sua armatura tutti i flaconi presenti sulle mensole “No, mia Invocatrice, qui stiamo perdendo solo tempo, ed i miei padroni non tollereranno altre interferenze! Il mio mondo ha bisogno di lei!”
“Va bene, Mara, ho cambiato idea. E’ davvero matto da legare. Tienilo un attimo qui che chiamo le guardie!”
“NO!”
Daala rimase immobile perché stavolta davanti a lei, al posto della porta, si era formato tra mille spirali qualcosa di ovale, grande quanto lei, che emanava un buio pesto come l’anima dell’Imperatore. Indietreggiò di colpo, non riuscendo a vedere oltre quella cortina di oscurità. Magia?
“Perdoni le mie maniere, Invocatrice, ma lei deve venire con me!”
Superò Mara e la sua spada accesa in un secondo, raggiungendo Daala e prendendola per un polso; da dove avesse tirato fuori tutta quell’agilità con un’armatura d’oro addosso non riusciva a spiegarselo, ma Mara si lanciò verso di lui “FERMATI IMMEDIATAMENTE!”
Il ragazzo spinse Daala verso la formazione oscura, e lei ne fu …… inghiottita?
“Adesso mi hai ……!”
La guerriera Sith saltò verso di lui, ma il ragazzo si ritirò in mezzo all’oscurità che aveva appena avvolto la sua amica, lasciando che la spada laser tagliasse soltanto qualche capello violaceo, mentre dalla strana massa di buio si stavano formando nuove spirali e l’oscurità sembrava indebolirsi “NON PENSARE DI CAVARTELA COSI, RAGAZZINO!”
Senza pensarci su, si lanciò verso la formazione oscura che ormai si era assottigliata di oltre la metà, e per un attimo sentì le tenebre penetrarle perfino nelle ossa.

 

La cosa che la colpì maggiormente fu il bianco. Un bianco forte, accecante, assoluto, che in contrasto con l’Oscurità da cui era appena uscita faceva soffrire gli occhi; un colore uniforme e assolutamente innaturale, soprattutto in una stanza chiusa come quella in cui era appena atterrata.
“Daala!”
La sua amica era lì, ed il ragazzo dagli occhi verdi le aveva appena lasciato il polso.
“Scostati che gli spacco quel bel faccino che si ritrova!”
Daala si allontanò, e la Sith spiccò un salto, pronta ad atterrare sulla testa del tipo e fargli passare la voglia di rapire la gente, la spada laser rivolta verso il basso. Ma quando si trovò a qualche centimetro da lui, il ragazzo si mosse di scatto e lei si ritrovò con le mani bloccate dalle sue.
Come ha fatto? Con tutto il peso di quell’armatura lui……
Si ritrovò di nuovo faccia a faccia con quello sguardo magnetico, terribilmente dolce anche mentre le stava spaccando le ossa dei polsi “Signorina, la prego, gli dèi non amano vederci lottare tra di noi, ed io non le farei mai del male. Capisco che siate agitate, ma lasciate che vi……”
“LASCIAMI. SUBITO!”
“Se lei mi promette di spegnere la sua spada e di ascoltarmi sì, sarò lieto di farlo”.
Sembrava più mortificato di lei, eppure continuava a mantenere la stretta, come se la implorasse di fargli un favore “La prego, non farei mai del male a nessuna di voi”.
“Mara, forse è bene che tu faccia quello che dice che questo matto. Anche perché non ho la più pallida idea di dove ci troviamo”.
La Sith ammise tra sé che la sua amica aveva ragione, e che da quella stretta non si sarebbe liberata facilmente; avrebbe potuto colpire il rapitore con un calcio dove gli avrebbe fatto seriamente male, ma aveva l’impressione che il suo piede si sarebbe sfracellato contro quell’armatura. Spense la spada ed in effetti il ragazzo lasciò la presa, anche se lei continuò a piantargli gli occhi addosso.
Oltretutto le sue percezioni Sith erano innervosite, quello strano palazzo bianco emanava una fonte di energia costante che non riusciva a definire, ma che stimolava costantemente ogni suo senso.
Il loro rapitore mandò un sospiro di sollievo, e rivolse loro un sorriso dolce, pacato, come se fossero sempre stati ottimi amici “Mie signore, come emissario dei miei potenti padroni vi do il benvenuto al Castello dell’Oblio!”
Che nome allegro……pensò Mara, continuando a tenere d’occhio il ragazzo.
La stanza in cui si trovavano era piccola, assolutamente bianca e senza nemmeno un mobile, una sedia o una finestra, solo qualche esile colonna davanti a loro che delimitava una porta massiccia, sempre bianca, decorata con dei simboli che non aveva mai visto fino a quel momento “Mia Invocatrice, so di essere stato inopportuno, ma abbiamo bisogno di lei”.
“Per fare cosa, se sono indiscreta?”
“Realizzare l’Invocazione Suprema e fornire ai miei saggi e potenti padroni l’energia necessaria per sconfiggere il Grande Satana Baan, il signore dei demoni”.
Le due si guardarono tra loro, sempre più meravigliate. Di che cosa andava parlando quel tizio?
Era sempre più improbabile che fosse uno sgherro di Kaspar, perché quel mago buffone avrebbe inventato qualcosa di molto più plateale ma elementare se voleva far loro del male, e di certo non era una trovata dell’Imperatore o un Pesce d’Aprile in anticipo dell’Alleanza Ribelle.
“Puoi…… ripetere?”
“Certo. Dovete realizzare l’Invocazione Suprema e fornire ai miei saggi e potenti……”
“Senti, ragazzino” fece Mara, sempre più innervosita “Adesso TU ci riporti subito a casa e questa storiella del signore dei demoni valla a raccontare a qualcun altro. Perché non abbiamo intenzione di restare in questo posto ad ascoltare le tue balle nemmeno un minuto di più!”
“NON SONO BALLE!” fece il ragazzo, stavolta con uno sguardo tra l’offeso ed il furioso (per quanto quella faccia tenera e morbida potesse sembrare furiosa) “Non avrei mai scomodato la somma Invocatrice se non fosse per uno stato di necessità. La prego, mia signora, ci aiuti e la riporteremo subito a casa!”
“Quella …… cosa …… oscura in cui siamo passati prima serviva per teletrasportarci?”
“Sì. I miei munifici padroni, i membri dell’Organizzazione, mi hanno permesso di accedere ai poteri del Castello per permettermi di aprire i Portali Oscuri. Se mi aiuterete vi riporterò a casa, avete la mia parola”. Per un attimo Mara percepì qualcosa di strano in lui, ma fu un guizzo così rapido nel suo cuore che non riuscì a definirlo.
Daala lanciò un altro sospiro profondo “Ormai teletrasportarsi sta diventando più facile che prendere un aviobus a Coruscant nell’ora di punta …… E questi tuoi munifici padroni cosa stanno facendo? Sarebbe carino conoscerli”
“COSI SPACCHEREI LA FACCIA ANCHE A LORO!”
Alle sue parole, il ragazzo si scosse “I miei padroni sono saggi e potenti! Loro ci proteggeranno dall’alto e la guideranno verso l’Invocazione Suprema, mia signora!”
Mara e Daala tornarono a guardarsi, indecise sul da farsi. Se si erano teletrasportate lì e nessuno sapeva dove fossero non c’erano molte probabilità che qualcuno, imperiale o ribelle, potesse venirle a prendere, e loro non avevano molta forza per opporsi a quello strano tipo ed a questi suoi misteriosi padroni. I pensieri di Daala, poi andavano in tutt’altra direzione …… perché pur trovandosi lì dentro le priorità nel suo cuore erano ben altre “Senti, tu …… nella remota ipotesi che accetti di darti retta …… E NON E’ DETTO CHE IO LO FACCIA …… ho bisogno prima di tornare indietro, a casa mia. Ho lasciato mia figlia da sola, e qualora decidessi di fare quello che vogliono i tuoi padroni non posso andarmene via senza affidarla a qualcuno”.
“Ed anche mio marito sarebbe in pensiero” fece Mara. Non osava pensare a quello che sarebbe successo se non le avessero più trovate …… i Ribelli avrebbero pensato ad una ritorsione dell’Imperatore o ad un’ulteriore vendetta di Kaspar. Non avrebbe mai lasciato Daala da sola con quel ragazzo in lattina, ma dovevano avvisare della loro sparizione e, magari, chiedere silenziosamente aiuto a qualcuno.
Daala fece lo sguardo più gentile che poteva “Posso almeno sistemare mia figlia prima di partire?”
Ed in effetti i suoi occhi colpirono il rapitore più di cento spade laser sguainate, perché quello sgranò gli occhi ancora di più e fece una faccia tenera e comprensiva “Mia Invocatrice, le aprirei il Portale adesso stesso, ma ……”
“MA?” la voce di Daala tornò un tuono.
“Ma…… forse è bene che io chieda ai miei padroni, sì …… loro sono saggi e potenti, ma anche molto comprensivi …… sì, attendete un attimo!”.
Senza aggiungere altro formò alle sue spalle un altro di quei Portali e vi svanì dentro, lasciandole sole in quella stanza, con l’unica compagnia della grande porta bianca che torreggiava davanti a loro. Mara le si avvicinò, sfiorando con le dita uno degli intarsi, estendendo le proprie capacità oltre, sotto gli occhi sgranati della sua amica: percepì un intenso flusso di energia, più intenso addirittura di quello che sembrava permeare l’intero castello. Non riusciva a sentire forme di vita oltre quella porta, ma sembrava confusa, un vortice assolutamente unico nel suo genere e, come constatò, anche pericoloso “Non mi piace questo posto ……”
“In che guaio ci siamo cacciate? Sinceramente non ci ho capito nulla delle parole a vanvera di quel tizio …… anche se non mi sembra malvagio, solo decisamente strano”
Mara ricordò quella strana sensazione che la aveva colpita mentre il loro rapitore parlava “In lui c’è qualcosa che non va. Ma non chiedermi cosa. Piuttosto dovremmo trovare un modo per andarcene”.
“Io non ne vedo”.
“Nemmeno io”.
“Allora non ci resta che stare al gioco e cercare di uscirne il prima possibile”.
Sapeva che quella era l’unica possibilità che avevano. Non che la aiutasse a stare meglio……




“Padron Vexen?” l’aria era sempre gelata ed innaturale quando scendeva in quel laboratorio, un metodo semplice ed elementare per tenere alla larga scocciatori e ficcanaso. Che, nella visione del suo padrone, equivaleva a tutti gli abitanti delle galassie, se stesso escluso. Dal tavolo alla sua destra facevano bella mostra alcuni mazzi di erbe che non aveva mai visto, e che sprigionavano un tenue profumo dolciastro. Rendevano quello studio ancora più sinistro e misterioso, l’ambiente ideale per la solitudine del suo padrone. Lui era seduto alla scrivania, ma non alzò lo sguardo “Non dovresti essere con l’Invocatrice?”.
“Ero venuto perché l’Invocatrice mi ha fatto una richiesta, era sensata e ……”
“E la risposta è no” si limitò a girare la pagina del volume, annotando qualcosa ai lati, ma non incrociò gli occhi con il suo servitore nemmeno per un attimo “Ho già visto e sentito abbastanza, ed il fatto che tu sia venuto da me a porre domande inutili è un’ulteriore perdita di tempo. Adesso esci di qui”.
“Co … come lei desidera, padron Vexen …… spero solo che ……”
“Non perdere tempo a sperare e fai il tuo lavoro!”.
Ebbe l’impressione che la temperatura del laboratorio si fosse abbassata di colpo, segno che il numero IV dell’Organizzazione riteneva quella conversazione conclusa; alle sue spalle aprì un portale oscuro, lasciando l’uomo biondo alle sue letture. Di certo i membri dell’Organizzazione erano saggi e potenti, ma padron Vexen era il più saggio ed il più potente di tutti loro ……
Adesso doveva solo tornare indietro, parlare con l’Invocatrice e la sua amica e dire loro che ……

 


“COME SAREBBE A DIRE CHE NON POSSIAMO?” fecero le due in coro. Mara si trattenne da saltare di nuovo alla gola di quel tizio soltanto perché non voleva di nuovo trovarsi con i polsi fracassati “MA I TUOI PADRONI NON ERANO GENTILI, MISERICORDIOSI, ETC ETC?”Quanto avrebbe voluto rompere le ossa a quel damerino! “Non si rendono conto che siamo bloccate qui dentro senza poter avvisare le nostre famiglie? I nostri cari?”.
“Se potessi parlare con loro sono sicura che potremmo trovare un accordo” fece Daala, sempre diplomatica ma con gli occhi verdi ridotti ad una fessura, segno evidente che la sua diplomazia si stava lentamente sgretolando.
Il ragazzo in armatura continuava ad essere sempre più dispiaciuto: “Mi rendo conto del disagio, ma se ci voleste aiutare …… vi riporteremo a casa in un batter d’occhio, parola mia ……” fece con la sua voce dolce, tenera, che faceva di lui il rapitore meno convincente del mondo.
“Sai cosa mi ci pulisco con la tua parola?”.
La cosa più preoccupante era che probabilmente si trovavano in chissà quale dimensione del cavolo, e non avevano modo di ritornare a casa o di comunicare con l’Alleanza. E si trovavano in compagnia di un ragazzo in armatura dai lineamenti quasi femminili che sembrava in punto di esplodere in lacrime da un momento all’altro. Con dei fantomatici “Membri dell’Organizzazione” ed un “Grande Satana” che condivano questa situazione che sembrava tratta dalle avventure tra le dimensioni di Aragorn e Gandalf raccontate davanti al fuoco. Solo che a trovarcisi dentro non aveva nulla di fantastico, al contrario ……
Daala, la pratica, espresse a parole l’unica soluzione che potevano trovare “Ci vorrà molto tempo?”.
Lo sguardo del loro rapitore si rasserenò, ma il tono della sua voce si abbassò “Dipenderà solo da lei, mia Invocatrice”.
“Se dipende da me, prima ti diamo retta e prima ce ne torniamo a casa!”.
“Daala, hai intenzione seriamente di seguire questo pagliaccio?”.
“Non sei tenuta a seguirmi, Mara. Non so perché ma questo tizio ce l’ha con me ……”.
“Non ti lascio da sola in questo posto. Se non posso tornare a casa mia è bene che ti guardi le spalle. Non sarò Zam, ma meglio di niente!”.
“Ehm ……” il ragazzo adesso sorrideva, come se dalla loro decisione fosse dipeso qualcosa di più grande, che si annidava nella sua coscienza. Mara ebbe ancora una strana sensazione, un tremito nel Lato Oscuro che non riusciva a spiegare bene, ma il sorriso sincero di quel ragazzo la colpì. Fece caso solo in quel momento a due suoi piccoli tatuaggi rossi sulla fronte, che rendevano quel viso ancora più particolare “…… visto che vi accompagnerò anche io ovunque andiate …… credo di essere stato molto maleducato a non essermi presentato fino a questo momento”.
Fece un grazioso inchino, accompagnato dalle parti dorate della sua armatura che risuonavano al contatto “Il mio nome è Mu, Sacerdote della Casa dell’Ariete e servitore dei potenti Membri dell’Organizzazione. Sarò al vostro fianco fino a quando non vi riporterò a casa!”.
“Bene, lattina deambulante, ora che ti sei presentato io sono Mara Jade. E sappi che se provi a farci qualche strano scherzo ti riduco ad un ariete arrosto, stanne certo!”.
“Io sono Daala, ma ho il sospetto che tu già lo sapessi, Mu!”.
“Certo!” un altro sorriso rallegrato “I Membri dell’Organizzazione sanno sempre tutto!”.
Si allontanò da loro e si avvicinò al grande portone bianco che, immobile, sormontava la stanza e sembrava osservare tutti quanti loro. Il ragazzo si avvicinò ad uno dei simboli, e lentamente sfiorò il contorno di ciascuno di loro in modo meccanico finché non appoggiò entrambe le mani al centro dei battenti. Mara sentì di nuovo il potere oltre quella porta muoversi, come richiamato dai gesti della loro improbabile guida.
“La prima Stanza della Memoria la attende, mia signora”.
Il portone si aprì, e furono investite da una luce bianchissima.



“Sono un emissario del sommo Kaspar, e lui ti ordina di venire con me, adesso”.
Ash sapeva che l’incarico di governatore del pianeta Dagobah non gli era stato dato per la sua intelligenza. E sapeva anche che la sua carica di Signore Oscuro serviva solo per far divertire gente grande-intelligente-importante come il governatore Tarkin o il governatore Saruman.
Però sapeva alcune regole importanti su come funzionasse la Galassia:
1) Kaspar è un pericolo pubblico.
2) I Ribelli sanno cucinare bene e fanno tantissime feste.
3) Mai far arrabbiare l’Imperatore.E la scena davanti ai suoi occhi faceva trillare quel piccolo campanello d’allarme che da tanto tempo era in disuso dentro al suo cervello; una persona che diceva di venire per ordine di Kaspar non poteva far altro che portare guai a non finire. Specie se era un uomo alto, dalle spalle enormi, pieno di cicatrici ed uno spadone grande quanto il suo proprietario. Soprattutto se la persona a cui stava dando ordini non era un qualsiasi imperiale, ma la povera Zachar.
Da quando si erano trovati insieme in isolamento su Dagobah, Ash non aveva mai visto la giovane maga sorridere; anzi, ad essere precisi non l’aveva mai vista senza delle lacrime che scendessero, in mostra o ben nascoste, lungo le sue guance. Tutte le volte che la invitava a giocare con lui o ad aiutarla a dare la caccia a qualche Pokémon delle paludi lei diceva che non se la sentiva, ringraziava l’offerta e poi se ne tornava nei suoi alloggi.
Zachar era la fidanzata di Kaspar, e da quando Ash la conosceva non aveva mai fatto altro che girargli intorno come un piccolo ed impaurito satellite intorno ad un grande e roboante pianeta. Lo aveva sempre seguito ovunque, ma da quando quel farabutto di Kaspar l’aveva abbandonata dopo l’ultimo complotto fallito non riusciva a distrarsi, e l’Imperatore l’aveva mandata su quella gran massa di acquitrini che era il pianeta Dagobah sia per punirla dei suoi fallimenti sia per staccarla dal pensiero fisso di Kaspar. Ed ecco che, proprio nella sua stanza, vi era stato uno strano sbuffo di magia oscura ed era comparso quell’uomo dallo sguardo truce che metteva ad Ash una gran paura. Non sapeva che Kaspar avesse sgherri di quel tipo.
Ma, conoscendo il mago, non sarebbe stato poi così improbabile.
“Kaspar vuole che tu mi segua oltre questo portale, Invocatrice. E, se lo conosci bene, sai che non ama ripetere due volte lo stesso ordine”.
“Ma … io …”
La ragazza sembrava ipnotizzata alla sola idea che Kaspar la volesse di nuovo al suo fianco.
“Ma perché …… lui non ……?”
“Lui ha mandato me e questo ti dovrebbe bastare”.
“Ti dovrebbe bastare a dire di NO!” fece Ash, sbucando dalla scrivania dietro cui si era nascosto “Zachar, quello lì ti ha abbandonata, no? E poi anche l’Imperatore dice sempre che di Kaspar non bisogna fidarsi!”.
Lo sguardo dell’uomo lo fulminò sul posto. Dietro degli occhiali che a tutto servivano fuorché per vedere, un solo occhio si muoveva libero. Il destro rimaneva nell’ombra, decorato da una cicatrice che lo rendeva ancora più cupo e pericoloso, e quello sfregio sul viso sembrava puntare proprio lui, Ash. Aveva parlato a sproposito. Oh, no, il governatore Tarkin dice sempre di non farlo!
Il comlink per segnalare la presenza dell’intruso alle guardie era andato fuori uso quando il soldato era apparso nella stanza; era atterrato sull’unica scrivania da lavoro della guarnigione ed aveva calpestato tutto ciò che vi era sotto i suoi stivali, ologramma compreso. E per quanto il suo cervello non fosse molto acuto, Ash sapeva che cercare di correre verso l’uscita sarebbe stato un enorme sbaglio. Rovistò nelle tasche, rendendosi conto che le sue Pokéball erano sul tavolo, proprio vicino all’uomo.
Zachar invece non sembrava agitata (certo, lei è una maga, sa lanciare le Palle di Fuoco! Io invece vorrei tanto non essere qui!). Tra le sue dita vi erano piccoli cristalli di ghiaccio, residuo del primo incantesimo che aveva tentato di lanciare allo sconosciuto comparso di fronte a lei da un portale pieno d’Oscurità. Ma al solo pronunciare il nome di Kaspar l’incantesimo si era sciolto, e della grande tempesta di ghiaccio non erano rimasti che pochi frammenti; minuscoli, sciolti, grondavano dalle sue dita formando una lieve pozza d’acqua. “Ti manda davvero lui?”.
L’uomo sbuffò “Certo, è la quinta volta che te lo ripeto. Ha bisogno che tu faccia qualcosa per lui!”.
“E tu …… come lo conosci?”.
“Signorina Invocatrice, Kaspar ha molti modi. Lui ed i miei signori, i saggi e potenti Membri dell’Organizzazione, hanno bisogno del tuo aiuto per una missione importante; Kaspar in persona mi ha detto di rivolgerti a te, perché di te si fida!”.
“Sì, si fida così tanto che la ha lasciata da sola!”.
Oops, aveva riparlato a sproposito …… Ash vide l’uomo impugnare lo spadone enorme che portava legato alle spalle e tornò nel suo mutismo.
“Ash, ti prego” fu Zachar a tirarlo fuori dai guai “Non ha importanza quello che è successo. Se questo signore ……”.
“Mi chiamo Auron” fece quello, senza però smuoversi.
“Se il signor Auron è un suo emissario e se dice che Kaspar si fida di me io DEVO andare!”.
“Ehi, Zachar, ma ……”
Assolutamente inutile. Augurò a se stesso di non innamorarsi mai a quel modo, perché quando alla maga veniva fatto il nome di Kaspar non ci capiva più nulla; e, cosa peggiore, l’Imperatore NON sarebbe stato contento di questa nuova visita imprevista. L’uomo fece un gesto con la mano, e davanti alla ragazza comparve di nuovo quella strana forma oscura che aveva accompagnato quell’Auron nella sua prima apparizione. E Zachar voleva entrare lì dentro? Ash si ricordò di quando era entrato in una buia caverna di Dagobah per riprendere il suo Bulbasaur ed erano rimasti due giorni senza trovare l’uscita, prigionieri in un’oscurità fissa, angosciante.
Doveva almeno provare a farla ragionare: “Zachar ma …… non vorrai entrare LI dentro, vero?”.
“Se vi è passato il signor Auron posso farlo anche io, no?”.
“Ma …… è buio!”
Lei si lasciò scappare un sorriso, il primo che vedeva da quando era atterrata lì “Se Kaspar ha bisogno di me lo faccio volentieri! E poi sai che so difendermi!”.
“E …… CHI LO SPIEGA A PAPA’ IMPE?”.
“Tu, Ash”.
Davanti agli occhi del ragazzo balenarono diverse condanne a morte eseguite per volontà del suo signore, e nessuna di quelle sembrava attirarlo più di tanto. Le parole per spiegarlo gli morirono in gola quando Zachar mise il primo piede dentro quella massa di buio e l’uomo dalle spalle larghe la sospingeva “Zachar, ASPETTA UN ATTIMO!”.
Tuffarsi dietro a quei due sarebbe stata una cosa davvero irragionevole e stupida.
Infatti fu ciò che fece Ash.
Senza ragionare sulla sua azione corse verso il tavolo, raccolse tutte le Pokéball che trovò a portata di mano, se le mise nelle tasche e nel cappello e corse verso la maga, allungando un braccio e cercando di fermarla. Ma lo slancio fu fin troppo eccessivo, perché se l’attimo prima si trovava con il corpo in mezzo a quella formazione oscura, nel momento successivo lui e Zachar erano sdraiati per terra in un luogo che non conoscevano.
Un palazzo tutto bianco, addirittura più scintillante del bagno di Saruman, capace di accecare gli occhi; erano in quella che sembrava un’anticamera, ma senza alcuna finestra, mobile o decorazione.
“Dove siamo?”.
“Questo, mia Invocatrice, è il Castello dell’Oblio. E’ qui che dovrai portare a termine la tua missione”.
“Kaspar è qui, da qualche parte?”.
“Sì”.
Ad Ash si gelò il sangue nelle vene; nessuno voleva trovarsi faccia a faccia con quel mago folle, men che mai voleva fare qualcosa per lui. Essere coinvolti in uno dei suoi rocamboleschi piani per conquistare il trono era l’ultima cosa che desiderasse. Zachar però non era dello stesso avviso, perché sulle sue labbra era apparso un gran sorriso “Allora andiamo, Kaspar non ama aspettare! Gli farò vedere che posso rendermi utile!”.
Il signor Auron non li stava ascoltando, ma stava armeggiando davanti all’unico portone della stanza, cercando di aprirlo. Ash si chiese come un uomo grande e grosso come lui stesse facendo tanti sforzi per aprire una semplice porta …… forse ha dimenticato le chiavi ……
“MALEDETTO MU!” fece Auron, con tanta violenza che i due sobbalzarono “COME HAI FATTO AD ENTRARE PER PRIMO?”. Ignorando chi fosse questo signor Mu, l’unica cosa su cui Ash si soffermò fu il pugno dell’uomo abbattersi sul portone senza lasciare nemmeno un segno o una scalfittura.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Prigione di ricordi ***


Capitolo 2 - Prigione di ricordi



Damiral Daala

Daala


 

La stanza al di là della porta era talmente diversa dall’anticamera che a Daala sembrò di essersi teletrasportata in un altro mondo. Pareti di lucente acciaio grigio, illuminazione al neon, porte automatiche munite di dispositivi per digitare la combinazione di apertura…sembrava in tutto e per tutto una base militare imperiale.
“Dove siamo finiti?!” chiese, non senza una nota di paura nella voce. Se si trovavano davvero in territorio imperiale allora quel ragazzino dall’aria innocente era una spia, e le aveva appena condotte dritte dritte in una trappola.
“Questo dovreste saperlo voi, o almeno una di voi” la guida rivolse a entrambe un breve inchino, come a volersi scusare. Poi notò il loro sguardo confuso e intimorito, e si affrettò a spiegare: “Le Stanze della Memoria prendono le sembianze di luoghi che si trovano nei ricordi di chi vi entra”.
Daala poggiò una mano contro la parete più vicina, liscia e fredda al tocco.
“Vuoi dire che questa è…una specie di illusione?”. Era difficile da credere. Sembrava tutto così…vero.
Mu si limitò ad annuire. “Vogliamo proseguire?” chiese poi, accennando con la testa in direzione di una porta aperta.
“Noi non andiamo da nessuna parte” disse Mara, piantandosi di fronte a lui con le braccia conserte “se non ci spieghi esattamente cosa vuoi che facciamo!”
“L’Invocatrice deve superare una prova. Una per ogni Stanza. E poi…”
“NON CI AVEVI PARLATO DI PROVE DA SUPERARE!” si vedeva che Mara stava facendo ricorso ad ogni briciola di autocontrollo che le rimaneva per non saltare alla gola del ragazzino. Cosa che, come avevano avuto già modo di constatare, non sarebbe servita assolutamente a nulla. “E fammi indovinare, magari sono anche pericolose, eh sardina in scatola?”
“Beh, questo non possiamo saperlo finché non ci arriveremo…” fece Mu con una vocina timida timida.
Mara stava per ribattere qualcosa, ma Daala la interruppe: “E dopo queste prove, cosa succederà?”
“Arriveremo alla Stanza dell’Invocazione Suprema. Mia Invocatrice, lei è l’unica che ne può sfruttare appieno il potere. E’ una prescelta. I miei padroni l’hanno portata qui per questo, perché solo lei può risvegliare lo spirito che…”
“RECLUTE, AAAA-TTENTI!!!”
Daala sobbalzò, il cuore in gola, voltandosi di scatto verso la voce che aveva mandato quell’urlo improvviso. Anni di disciplina imperiale ebbero il sopravvento, e istintivamente si mise sull’attenti, la mano destra all’altezza della fronte. Da una delle porte era entrato un soldato imperiale, un capitano a giudicare dai gradi sulla divisa. Anche lui era un’illusione??
“Che cosa state facendo qui? Perché non indossate le vostre divise?” abbaiò il nuovo arrivato. “Quali sono i vostri numeri di matricola?!”
Vedendo che non rispondevano, il capitano sbuffò e storse la bocca in un’espressione di profondo disgusto: “Come immaginavo…nuovi arrivi. Dite un po’, vi hanno spiegato che questa è un’accademia militare e non un collegio femminile?”
Mara stava per replicare (e a giudicare dal suo sguardo non doveva trattarsi di una risposta particolarmente gentile), ma Daala le poggiò una mano sul braccio, invitandola al silenzio con uno sguardo. Quel posto, le parole del capitano…anche la sua faccia, era sicura di averla già vista da qualche parte…
“Credo di aver capito dove ci troviamo” sussurrò.
“Venite con me” stava dicendo intanto il capitano. “Vi porto agli alloggi delle reclute”.
“Facciamo come dice” suggerì Mu, e tutti e tre seguirono l’ufficiale lungo un corridoio rivestito dello stesso acciaio grigio che ricopriva ogni centimetro di quel posto. Durante il tragitto superarono varie porte aperte a destra e a sinistra, e Daala si ritrovò a fissare con stupore stanze che aveva creduto di non dover più rivedere per il resto della sua vita. Le sale computer, la palestra, la sala tattica, la mensa con il suo soffitto altissimo e le tavolate che non finivano mai, i bagni comuni, il poligono di tiro…e infine le camerate dei soldati semplici, file e file di cuccette a castello impilate lungo le pareti come gli scaffali di una biblioteca. Istintivamente i suoi occhi volarono verso un punto più o meno a metà della parete di sinistra, fermandosi su una cuccetta identica a centinaia di altre, contrassegnata da una targhetta su cui erano incise delle cifre. Un numero tra tanti in una lunga, lunghissima serie.
Daala avrebbe riconosciuto quel letto e quella targhetta anche a occhi chiusi. Erano stati la cosa più vicina a una “casa” che aveva avuto per cinque lunghi, durissimi, faticosi anni.



“Forza, soldato Quattrocchi! Muovi quelle gambe! Avanti, avanti, così! Ma che avete oggi tutti quanti, sembrate degli zoppi ubriachi che cercano di camminare su un filo con una palla di ferro legata ai piedi!”
L’istruttore del corso di difesa personale era identico a come Daala se lo ricordava, compresa la sua snervante abitudine di dare soprannomi idioti alle reclute. Stentava ancora a credere che un’illusione potesse essere così realistica, eppure erano passati un bel po’ di anni da quando aveva frequentato l’Accademia Militare Imperiale di Carida, e quell’uomo ormai avrebbe dovuto essere in pensione, o se non altro molto più vecchio di come le appariva ora.
“Più larghe quelle gambe, vuoi perdere l’equilibrio e fare un bel frontale con il duracciaio del pavimento, eh soldato Cicciopanza? Non sarebbe la prima volta!”
Un’altra sfortunata recluta venne messa ko, e la fila avanzò. C’erano ancora tre allievi davanti a lei, dopodiché sarebbe arrivato il suo turno.
Daala sospirò. A quanto pareva non c’era modo di sottrarsi a quella seccatura. Mu le aveva spiegato che le Stanze della Memoria erano come dei piccoli mondi, popolati da cose e persone che prendevano vita dalle menti di chi vi entrava. Ogni volta sceglievano a caso un ricordo diverso in una persona diversa. Quel Castello dell’Oblio, o come diavolo si chiamava, doveva avere un senso dell’umorismo davvero perverso, perché era andato a pescare proprio uno dei periodi più frustranti della sua vita. Certo, riflettendo a posteriori doveva ammettere che in fondo era da lì che era iniziato tutto, ma i sette anni di accademia militare erano stati un vero travaglio per Daala. La mentalità maschilista che dominava nell’esercito imperiale non rendeva la vita facile alle pochissime donne che avevano il coraggio di intraprendere quella carriera.
Tutto era esattamente come lo ricordava, compreso il suo stesso ruolo. Consultando l’archivio olografico, il capitano che li aveva trovati aveva scoperto che Daala risultava già un’allieva iscritta dell’accademia, al quinto anno. Ovviamente si era infuriato per averla trovata senza divisa, e le aveva assegnato per punizione il turno nelle cucine.
“Certo, che se la nostra valente guida ci aiutasse…insomma, come facciamo a superare la nostra prova se dobbiamo stare tutto il giorno qui a pelare patate?” Daala ce l’aveva messa tutta a sfoderare il suo miglior sguardo da “damigella in difficoltà”, e il povero Mu aveva capitolato. L’avevano lasciato alle prese con una pila di patate più alta di lui, e sgattaiolando dal retro delle cucine erano riuscite a tornare indietro fino alla stanza d’ingresso. Avevano spalancato il portone che doveva condurre nell’atrio del Castello e…..si erano ritrovate nei bagni delle reclute.
“Non troverete l’uscita finché non supererete la prova” spiegò Mu quando tornarono da lui, confuse e infuriate. “Se posso darvi un consiglio, la cosa migliore da fare è adattarsi alle regole di questo posto, e agire come se ne faceste parte. La Prova non tarderà a manifestarsi, vedrete”.
E così Mara era tornata al suo corso di primo anno, indossando la nuova divisa che i droidi le avevano fatto trovare sulla sua cuccetta. Daala aveva seguito i suoi compagni di un tempo, e adesso eccola lì, a fare la fila in palestra e a maledire in silenzio Mu, il Castello dell’Oblio e quei fantomatici membri dell’Organizzazione che non avevano nulla di meglio da fare nella vita che rapire oneste madri di famiglia e costringerle a servire i loro oscuri e incomprensibili piani.
“Fuori Sgorbio, FUORI!! Sparisci dalla mia vista o ti mando a pulire i cessi per i prossimi vent’anni!! Avanti il prossimo…oh, ma guarda chi abbiamo qui! La nostra Bambolina!” Daala avanzò al centro dell’enorme sala, gli occhi di tutti puntati su di lei. “Prego, facci vedere cosa sai fare!”.
Il suo avversario era un ragazzo poco più alto di lei. Un ragazzo…Daala ebbe l’improvvisa sensazione di essere tremendamente fuori posto in quella palestra. Non perché era l’unica donna in mezzo a tanti uomini, no; a quello ormai era abituata. Ma tutti gli altri allievi erano molto più giovani di lei….eppure nessuno sembrava farci caso. La trattavano come se lei fosse stata ancora la Daala appena uscita dall’adolescenza che si era iscritta all’accademia di Carida piena di ingenue speranze. Incredibile…allora era davvero prigioniera dei suoi ricordi…
Troppo presa nei suoi pensieri non notò in tempo il pugno diretto contro di lei a tutta velocità. La colpì in piena faccia, facendole perdere l’equilibrio. Cadde a terra con un tonfo molto poco dignitoso. Sarà anche un’illusione, ma il dolore è terribilmente reale…
“Che stai facendo?! Questa non è una lezione di danza classica, alzati e combatti dannazione!”
Si rimise in piedi non senza fatica, cercando di ignorare le risatine intorno a lei. E’ una finzione Daala, ricordati che è una finzione…loro non esistono davvero!
L’avversario la caricò con decisione, cercando di effettuare una presa per bloccarle le mani dietro la schiena; Daala si lasciò cadere sul pavimento, sfuggì alle braccia del ragazzo e sferrò un calcio dal basso con tutte le sue forze. L’altro però schivò con facilità, portandosi fuori dal suo raggio d’azione con un salto all’indietro.
“Hai già il fiatone, Bambolina? Non ti vergogni?!”
Neanche da giovane era stata un asso nel corpo a corpo, figuriamoci adesso. Tanti anni a fare l’ammiraglio l’avevano del tutto disabituata a quegli esercizi da truppini.
“Forza Bulldog, mettila ko! Che aspetti?!”
Il suo avversario tornò all’attacco più rapido di prima, facendo piovere su Daala una grandinata di calci e pugni da tutte le direzioni. Lei riusciva a stento a parare o schivare, ma il soldato Bulldog non le lasciava neppure il minimo varco per tentare a sua volta un attacco. All’improvviso lui fece per caricare un calcio poderoso sul suo fianco destro e Daala si spostò nella direzione opposta per evitarlo, ma mise male i piedi e si sbilanciò leggermente…ma quel tanto che bastava per permettere all’avversario di superare la sua guardia e mirare dritto al viso con un pugno che, Daala si rese conto in una frazione di secondo, non sarebbe mai riuscita ad evitare…
…almeno fino a che il soldato Bulldog non incespicò, finendo quasi a terra. Daala vide che le sue braccia e le sue gambe si muovevano in modo strano, come se fossero ceppi di legno tirati da fili invisibili. Sul volto di Bulldog comparve un’espressione di stupore misto a paura, ma Daala non si fermò a chiedersene le ragioni e colpì duro, una ginocchiata in pieno petto e poi un pugno sotto la mandibola, caricandosi con un urlo da vera guerriera.
Bulldog si abbatté a terra con un tonfo e un gemito di dolore. Nella palestra piombò il silenzio.
Era questa la prova…?
Dalla folla degli allievi partì qualche timido applauso, ma la voce dell’istruttore fu come una doccia fredda sul suo entusiasmo: “Hai avuto fortuna”. Dopodiché le voltò le spalle e dichiarò che concedeva loro dieci minuti di pausa.
Fu solo allora che Daala notò gli allievi del primo anno, allineati lungo la parete per assistere alla lezione dei più grandi. In mezzo a loro Mara le faceva l’occhiolino, alzando il pollice in segno di vittoria.
“Mi hai aiutata usando i tuoi trucchi Jedi, vero?” le chiese a bassa voce quando le fu arrivata vicino.
I Jedi e i Sith come la sua amica Mara avevano poteri che... Daala non avrebbe saputo definirli con un termine migliore di “telecinesi”, ma sapeva che era estremamente riduttivo. Agivano sul mondo circostante e addirittura sulle menti di animali e persone per mezzo di quella che chiamavano la Forza, una sorta di flusso di energia mistica che collegava ogni creatura vivente. “Si è notato molto?”
“Non so se vale superare la Prova barando…”
“Io preferisco definirlo gioco di squadra”. Il sorriso di Mara era così contagioso che Daala non poté fare a meno di sorridere a sua volta. “Grazie” le disse, e aggiunse: “Certo che ormai parli proprio come una ribelle!”. Ma era una presa in giro bonaria, e Mara per tutta risposta scoppiò in una gran risata.
“Ehi, Daala, complimenti!”
Daala si voltò verso la voce e vide che due ragazzi in divisa stavano venendo verso di loro, salutandole con la mano.
“Oh cavoli…”
“Li conosci?” chiese Mara.
“Quello è…è Kratas!”
“Il tuo viceammiraglio?” Mara squadrò i due ragazzi con aria critica. “In effetti gli somiglia…cacchio come è invecchiato male! Oddio…ma l’altro non sarà mica….”
“Proprio così….Needa!" Needa era nientedimeno che l'attendente personale dell'Imperatore. "Lui e Kratas erano amicissimi ai tempi di Carida.”
“Sei stata grandiosa!” il giovane Kratas sfoggiava un sorriso a trentadue denti. Era stato uno dei suoi pochi amici a Carida, per questo quando era stata promossa ammiraglio l’aveva voluto al suo fianco come vice. Un comandante ha bisogno di sottoposti di cui potersi fidare ciecamente, e Kratas le era sempre stato leale.
“Ehm…grazie…”
“Scommetto che anche a questo esame prenderai il massimo…beata te!”
“Beh, alla fin fine l’istruttore borbotta ma poi all’esame non è troppo cattivo…” fece Needa. “Quello che mi preoccupa davvero è l’esame di Montare le Granate. Me lo sto portando dietro dal primo anno….ho una paura…”
“Lascia stare, io pure non l’ho ancora dato!”
“Bill l’ha fatto tre volte e ogni volta ci ha rimesso un dito…”
“Sempre meglio di Joe che l’hanno rispedito a casa in una scatola di fiammiferi…”
“No, no, basta, zitto Kratas, non mi ci far pensare! Ci faccio pure gli incubi la notte…il bello è che mio zio pretende che io finisca tutto entro quest’anno…ha detto che può raccomandarmi per una posizione MOLTO importante, ma se non mi diplomo…..”
“Dai Needa, tu almeno dopo hai la strada spianata…io e Daala invece…Daala? Non ti senti bene?”
Daala si rese conto che li stava fissando con gli occhi sgranati. Inutile, non si sarebbe mai abituata. I loro discorsi, le loro espressioni, persino il modo di gesticolare e le inflessioni della voce…aveva visto altre illusioni prima d’ora, ma così dettagliate mai. Nemmeno un mago come Kaspar sarebbe riuscito a produrre una cosa del genere. Quelli erano i suoi amici di un tempo, come potevano non esserlo?
E se questo Castello in realtà ci avesse fatte viaggiare nel tempo?Però in questo caso… perché qui nessuno si accorge che sono più vecchia di quanto dovrei?
Cominciava ad avere paura, veramente e seriamente paura. Oltretutto avevano superato la Prova e l’uscita ancora non si trovava.
“Ehi senti Daala..” la voce di Kratas sembrava arrivare da lontanissimo. “Che ne dici se stasera, dopo la lezione di Strategia e Tattica…ecco, potremmo cenare insieme da qualche parte…conosco un locale poco fuori l’accademia dove fanno musica della Terra I e dell’ottimo succo di juri…”
Kratas era diventato improvvisamente rosso come un peperone e non riusciva a guardarla negli occhi. Questo non c’era davvero nei suoi ricordi. Aveva sempre sospettato che Kratas avesse una cotta per lei, ma lui non si era mai fatto avanti in quel modo, né ai tempi dell'accademia né meno che mai dopo, quando lei si era sposata ed era diventata un suo superiore. Cosa diamine significava…?
“Io…”
“Recluta Daala?”.
Una voce perentoria alle sue spalle la tolse dall’impaccio di dover rispondere. Era l’istruttore.
“Hai l’ordine di presentarti immediatamente nella Sala Tattica. Qualcuno di MOLTO importante ha chiesto di te.”

 

Daala si fermò di fronte alla porta della Sala Tattica per riprendere fiato e riordinare i suoi pensieri. Si rendeva conto di essere terribilmente impresentabile con la divisa sgualcita, i capelli scompigliati e il livido sulla guancia che, lo sentiva, stava crescendo a vista d’occhio, ma non le avevano concesso nemmeno il tempo di darsi una rinfrescata. Daala sapeva perché: la persona che la stava aspettando oltre quella porta era troppo importante e troppo potente per essere lasciata ad attendere anche un solo secondo più del dovuto. Non le avevano detto chi era, ma lei lo aveva capito immediatamente. Quel giorno, quel ricordo, era forse il più importante della sua vita. Da lì in poi era cambiato tutto.
Mara non aveva accettato di buon grado l’idea di mandarla lì da sola.
“Se è una cosa così importante” le aveva detto accompagnandola “non sarebbe meglio affrontarla in due?”.
“Non c’è nulla da affrontare…credo” era stata la sua risposta. Guardò l’amica negli occhi: “Senti, non so se quello che dice il ragazzino in armatura è vero, ma se questi sono veramente i miei ricordi…se è così, allora c’è Tarkin ad aspettarmi dietro quella porta.”
“Sul serio?”
“Ci siamo conosciuti qui.”
“Non me lo avevi mai raccontato” malgrado la situazione gli occhi verdi di Mara brillavano di curiosità. Daala aveva sospirato, cercando di riassumere la storia nel modo più stringato possibile. Non avevano molto tempo.
“Lo sai che nell’esercito imperiale sono tutti maschilisti. Beh, ero stufa marcia di fare la responsabile di satelliti meteorologici o il supervisore di rifornimenti mentre ai miei coetanei dell’ultimo anno venivano affidati i primi incarichi di comando. Avevo studiato le registrazioni di centinaia di battaglie ed elaborato delle nuove tattiche, mai sperimentate prima, ma…”
“…ma gli alti ufficiali non davano ascolto a una donna, vero? Idioti.”
“Esatto. Allora ho pensato di inserire le tattiche di mia invenzione nella rete olonet della flotta, sotto un nome in codice. Hanno vinto delle battaglie contro i Ribelli grazie a me.” si concesse un sorriso. “Tarkin è sempre stato il capo dei Servizi Segreti, non ci ha messo molto a scoprire chi era il misterioso stratega.”
“E siccome ha più cervello di tutti gli altri messi insieme ti ha promossa ammiraglio. Wow…sei stata grandiosa.” Il sorriso di Mara era sincero e carico di ammirazione, ma si spense quasi subito mentre la sua fronte si corrugava sotto il peso di nuovi dubbi. “Però…capisco che è un bel ricordo e tutto, ma credi…credi davvero che riviverlo di nuovo possa aiutarci a uscire da qui?”
“Non lo so” ammise Daala. “Ma abbiamo altra scelta?”
Ovviamente non ne avevano. La cosa migliore da fare è adattarsi alle regole di questo posto, e agire come se ne faceste parte, aveva detto Mu, ed era l’unico indizio che avevano. Se lo sarebbero fatto bastare.
Daala trattenne il respiro mentre le porte della Sala Tattica si aprivano senza far rumore davanti a lei.
Tarkin era lì. Gli occhi fissi sullo schermo di un datapad portatile, stava camminando su e giù per la stanza quando la sentì arrivare e si fermò, voltandosi a guardarla. Anche lui, come tutte le altre persone in quella Stanza della Memoria, era più giovane. Daala avrebbe voluto correre ad abbracciarlo, ma si trattenne; quel Tarkin non la conosceva. Non ancora.
Saluti, convenevoli, domande: le sembrava di recitare un copione già scritto. Il copione dei suoi ricordi che riprendeva vita, animato dalla magia del Castello dell’Oblio. Tuttavia non era tutto esattamente come allora. Lei era diversa. La Daala di un tempo era intimorita ed emozionata, con il cuore che le batteva in petto così forte da farle temere di rimbalzare fuori dalla gabbia toracica. Ora invece di fronte al governatore Tarkin c’era una Daala calma e distaccata, che prevedeva tutto ciò che sarebbe accaduto mentre il suo cervello lavorava furiosamente in cerca di un’idea per uscire da quella dannata prigione di ricordi. Forse Mara aveva ragione, rivivere il passato non aveva senso. I momenti più belli di una vita sono speciali proprio perché unici e irripetibili.
“….davvero eccellente. Ho in mente di darti una promozione e un incarico più consono alle tue capacità.”
Sarà un onore, era la frase successiva nel copione. Daala aprì la bocca per pronunciarla…
“Tuttavia…”
Cosa…?
“Tuttavia voglio prima un’ulteriore dimostrazione di ciò che sai fare. Le tattiche che hai elaborato sono eccellenti, ma hai avuto tutto il tempo del mondo per pensarci. Un vero comandante deve essere in grado di prendere decisioni in un lampo nel bel mezzo di una battaglia.”
Tarkin accese un proiettore tridimensionale sulla scrivania alle sue spalle e le luci nella stanza calarono; tutto intorno a loro apparvero stelle e pianeti, la riproduzione fedelissima e in miniatura di un piccolo settore di galassia. Oltre ai corpi celesti c’erano astronavi da guerra di tutti i tipi e dimensioni, sia imperiali che ribelli, e non pochi buchi neri.
Daala osservò la proiezione. La battaglia si svolgeva intorno a una piccola luna: le astronavi imperiali erano più grandi, ma in netta minoranza, circondate da nugoli di caccia ribelli che potevano colpire a tutta velocità e poi allontanarsi prima che i grossi incrociatori avessero il tempo di manovrare contro di loro. Come se non bastasse, i ribelli erano riusciti a spingere buona parte delle navi imperiali nella zona dei buchi neri. Non era una battaglia, ma una carneficina.
“Tu sei l’ammiraglio al comando di questa flotta imperiale” disse Tarkin. “Hai esattamente cinque minuti per rovesciare le sorti della battaglia e schiacciare i ribelli. Vediamo cosa sai fare.”
La sensazione di calma era del tutto sparita. Daala credeva di avere in mano la situazione, di conoscere alla perfezione tutto quello che sarebbe successo, e invece…qualcuno aveva appena stracciato il copione, e ora si andava avanti improvvisando nella maniera più totale. Le cose non erano andate affatto così! Tarkin l’aveva promossa di grado a e portata via da Carida quello stesso giorno, non l’aveva mai voluta mettere alla prova….
La Prova!
Doveva essere quella. Doveva risolvere quel maledetto problema di strategia per trovare l’uscita dalla Stanza della Memoria.
O almeno spero.
Tornò a concentrarsi sulla simulazione. Poteva anche essere negata per le arti marziali, ma la strategia era il suo campo. Aveva guidato flotte in battaglie reali, non sarebbe certo stata una simulazione a spaventarla.
Certo, le altre volte non era prigioniera di un mondo di illusioni in un castello magico che….no, no, non doveva pensarci. Il tempo scorreva inesorabile. Doveva concentrarsi.
La proiezione le dava la possibilità di interagire con essa tramite comandi vocali, di muovere le astronavi imperiali come se fossero state pezzi degli scacchi.
“Unità Gamma e Delta, disimpegnatevi. Riparatevi dietro la luna più vicina.”
Le astronavi si spostarono obbedienti nel punto prestabilito. Daala fece arretrare la flotta per quanto possibile, spostando le navi più danneggiate (contrassegnate da puntini rossi lampeggianti) dietro la luna per dare loro la copertura necessaria a intraprendere le operazioni di riparazione.
No, così non va.
Temporeggiare spesso era una buona strategia, ma il timer le segnalava che dei cinque minuti a disposizione due e mezzo erano già scaduti. Tarkin si era ritirato in un angolo e la osservava in silenzio, e lei si impose di ignorare del tutto la sua esistenza.
Doveva esserci un trucco, una scorciatoia per affondare tutti i ribelli in un colpo solo, comprese. Le navi nemiche erano troppe per essere distrutte in cinque minuti, anche con una flotta di numero molto superiore. Poi, come in un lampo, ricordò l’Accademia, ricordò la prima lezione di Strategia e Tattica, il primissimo consiglio che ogni insegnante dava a tutti gli allievi.
“Visualizza dati e specifiche della flotta nemica.”
Alla sua destra si aprì una schermata tridimensionale, e non appena Daala lesse le informazioni che scorrevano davanti ai suoi occhi capì che poteva farcela. Conosci il tuo nemico, era la lezione numero uno. Si concesse un sorriso: ora sembrava quasi troppo facile.
“Concentrare tutto il fuoco sul bersaglio Epsilon. Ignorate i caccia, puntate solo su Epsilon, ora!”
Il bersaglio Epsilon era la nave più grande della flotta ribelle, nonché, senza alcun dubbio, il centro di controllo dei droidi. Perché i piccoli caccia ribelli che sciamavano in ogni angolo della mappa non erano guidati da piloti umani; erano droidi-caccia, e qualunque ammiraglio sapeva che unità del genere erano coordinate da un grosso cervello centrale. Per poter trasmettere gli impulsi ai droidi-caccia il computer centrale doveva per forza trovarsi a poca distanza dalla battaglia, e Epsilon, in posizione arretrata e ben difesa, era l’unica nave abbastanza grande per ospitarlo.
Il timer segnava mezzo minuto alla fine quando i suoi valorosi incrociatori forzarono il blocco di caccia e fecero saltare Epsilon in una piccola esplosione di luce colorata. Daala sorrise….e il sorriso le morì sulle labbra, perché i droidi-caccia continuavano a muoversi e ad attaccare come se nulla fosse.
Panico. Non era possibile, se non era quella nave, allora quale…? Doveva esserci, doveva, e i suoi occhi sfrecciavano da una nave all’altra alla febbrile ricerca del bersaglio giusto…ma non poteva essere nessuna di quelle, erano tutte troppo piccole, non…..
A meno che…
“La luna!” gridò. “Bombardate la luna! Levate energia agli scudi, turbolaser a piena potenza, fate saltare in aria quella maledettissima luna!”
Nel momento in cui le navi imperiali fecero fuoco all’unisono sul piccolo satellite accaddero due cose. I droidi-caccia si disattivarono e iniziarono ad andare alla deriva nello spazio, finendo preda dei turbolaser imperiali o della terribile gravità dei buchi neri. Il conteggio del timer arrivò a zero.
La battaglia era vinta, ma stavolta Daala era troppo esausta per sorridere.
“Eccellente” disse la voce di Tarkin alle sue spalle, ma sembrava…lontana. Improvvisamente la stanza intorno a lei iniziò a cambiare, il proiettore, le sedie, la scrivania, tutto venne inghiottito da una luce accecante. Per un attimo Daala fu sola in una distesa di bianco splendente, senza sotto né sopra, troppo spaventata persino per gridare. Poi il bianco collassò verso di lei e Daala credette di venirne schiacciata, ma fu il suo corpo ad assorbire la luce. Sentì un’enorme energia scorrere dentro di lei, un flusso vitale caldo e benefico che le infondeva nuova forza, scacciando la paura dal suo cuore. Era una sensazione inebriante.
Quando riaprì gli occhi si trovava di nuovo in una stanza bianca del Castello dell’Oblio, con Mara che l’aveva stretta in un abbraccio stritolante e Mu che sorrideva benevolo accanto a lei. Le divise di Carida erano sparite, tutti e tre portavano gli abiti (e nel caso di Mu l’armatura) che indossavano all’entrata.
Ancora stordita, Daala si divincolò delicatamente dall’abbraccio di Mara, che le stava dicendo in tono concitato qualcosa che non riusciva a capire, e si guardò intorno.
Fu allora che i suoi occhi incrociarono quelli sgranati e stupefatti di una persona che conosceva molto, molto bene, e che non sarebbe dovuta essere lì.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Quella lezione solo per noi due ***


Capitolo 3 - Quella lezione solo per noi due


dark kingdom

Il Regno delle Tenebre





Quando Ash riaprì gli occhi, il grande portone si era aperto. Non sapeva dire con precisione quanto tempo fosse passato, ma il suo stomaco brontolava come pochi e questo voleva dire che erano passate diverse ore. Zachar di certo non aveva dormito. Era lì, quasi in fibrillazione, tesa nella sola idea che tra poco avrebbe potuto rivedere il suo Kaspar; ovvero per lo stesso motivo per cui Ash sarebbe tornato a dormire. Kaspar.
Papà Impe non sarebbe stato contento.
Niente affatto.
“Invocatrice, il percorso dentro le Stanze della Memoria è stato aperto …….”
“Ce ne ha messo di tempo!” replicò Ash, stiracchiandosi e controllando le tasche nel timore di aver perso qualcuna delle Pokéball “Zachar, ma sei proprio sicura di voler andare avanti? La spada di quel tizio mi mette tanta, tanta paura!”.
“Ash, non sei tenuto a venire”. La maga aveva già il primo piede in quella porta. Come, COME faceva a non avere paura? I battenti si erano aperti, il portone era enorme quanto tutta la parete, eppure non si riusciva a vedere cosa ci fosse oltre. Soltanto una grande luce abbagliante che non prometteva assolutamente nulla di buono. E lei ci stava saltando dentro senza timore. Ash si chiese se da grande sarebbe diventato anche lui coraggioso come Zachar. O stupido, se la ragazza faceva tutto quello solo per far felice quel farabutto di Kaspar.
Prima di avere altro tempo per riflettere sull’offerta, Ash venne sollevato di peso da Auron e fu costretto suo malgrado a mettere piede in quella famosa stanza.


“Che posto è questo?”.
A grande sorpresa, fu proprio Auron a parlare. Ash si stropicciò gli occhi, chiedendosi quale cavolo di guida era quel bruto se poi non sapeva con esattezza dove li avesse condotti. La differenza con l’ambiente bianco del Castello dell’Oblio era forte.
Si percepiva il gocciare di chissà quale liquido in lontananza, forse cadendo da una delle masse rocciose che componevano il soffitto sopra di loro; odore di umido che penetrava sin nel cervello.
“Io …… conosco questo posto” fu Zachar a parlare “Ma …… come possiamo essere qui? Non eravamo al Castello dell’Oblio?”.
Zachar conosceva quel posto orribile? E lui che pensava che le paludi di Dagobah fossero il posto più noioso, sporco, brutto e buio della galassia!
“Ne deduco che appartenga ai suoi ricordi, Invocatrice”. Auron evidentemente si era già ripreso dalla sorpresa; mollò la presa, facendo scendere con ben poca grazia il ragazzino e fissando il soffitto. Stupido armadio tutto muscoli!
“I miei …… sì ……” Zachar prese a camminare per il sentiero che avevano davanti, senza dare nessuna spiegazione ad alcuno di loro. Auron si sistemò gli occhiali (che, a dirla tutta, stonavano tantissimo su una faccia truce come la sua), lanciò un sospiro e si incamminò a passi rapidi verso di lei, obbligando il povero Ash a seguirli.
“Zachar, ma che posto è questo?” fece Ash, correndo a più non posso e portandosi accanto a lei.
“Questo, Ash, è il Regno delle Tenebre” perché quel nome non prometteva assolutamente niente di buono? “Questo è il luogo dove sono nata”.
Che allegria ……
La loro guida probabilmente fu dello stesso pensiero, perché storse il labbro senza farsi vedere dalla ragazza, contemplando il paesaggio che si profilò davanti ai loro occhi alla fine di quel sentiero. Rocce senza fine, sopra ed a lati, grigia con striature di nero che emanavano un brillare soffuso. Una grande rocca in pietra nera che ricordava un teschio comparve dall’oscurità, con le cavità che sembravano orbite illuminate di vive luci rosse e blu. Da quella roccia venivano decine, centinaia di voci, unite a suoi e rumori sinistri. Nemmeno un alito di vento, e l’odore di chiuso stagnante che dopo qualche minuto già stava dando alla testa “Auron, dimmi, come facciamo ad essere qui?”.
“Non vi siamo davvero, mia Invocatrice. Questo luogo è una proiezione dei suoi ricordi. Da qui troverà l’energia per effettuare l’Invocazione Suprema”.
La cosa non tranquillizzò affatto Ash. Questo era il luogo da cui venivano Zachar, Jack e ……
“Kaspar!” la maga pronunciò quella parola come un incantesimo guaritore e si lanciò verso il fondo del sentiero, diretta alla rocca.
Sentì l’occhio sano della loro guida su di lui, e quello ormai perduto volto nella direzione di Zachar. Dovevano seguirla, e Ash perse il conto di quante volte si era pentito di aver messo piede in quello stupido portale oscuro cacciandosi nell’ennesimo pasticcio della sua vita.


Zachar credeva di essere preparata a quanto stava per succedere. Auron le aveva detto tutto: ciò che avrebbe incontrato, le persone con cui avrebbe parlato, ogni cosa sarebbe stata soltanto un riflesso dei suoi ricordi, nulla più. Finti, evanescenti.
Eppure, alla fine della lezione di magia a cui aveva da poco assistito, si era recata di corsa nella fatidica aula, vuota, con i corpi carbonizzati di qualche compagno di classe che non era riuscito a sopravvivere all’interrogazione. Il suo cuore ricordò i battiti veloci che avevano animato il suo petto, in quello stesso luogo, molti anni prima.
Lei era nata e cresciuta lì. Plasmata dalla stessa magia di quella dimensione priva di sole o stelle, si era ritrovata lì, uscita dai bozzoli della regina madre, unica donna tra una moltitudine di uomini pronti a dare la vita per la Regina Periglia, la sovrana del Regno delle Tenebre. Ed in quel mondo non vi potevano essere due donne.
Zachar si trovò di nuovo ad osservare l’aula. Toccò la scrivania in legno, il vetro della finestra, persino del sangue rappreso sul pavimento. Erano molto più che riflessi dei suoi ricordi. Erano terribilmente reali.
Era stata considerata un abominio, un prodotto di scarto. Se le avevano concesso di allenarsi per diventare uno dei Quattro Malvagi, i luogotenenti, gli occhi e le dita della regina, era solo perché la sua sovrana si era incuriosita nel vedere un’altra donna oltre lei e le aveva concesso quella possibilità. Non di certo perché intendeva essere generosa.
Generosa? Periglia? scosse la testa al solo pensiero.
Nel Regno delle Tenebre non c’era possibilità per i deboli, e non c’era una seconda possibilità per tutti coloro che non fossero riusciti a raggiungere la prestigiosa carica. Zachar non riusciva a ricordare tutti i loro visi, ma i duecento uomini che si sarebbero disputati il titolo in un torneo di magia all’ultimo sangue erano lì, da qualche parte nel suo cuore. Aveva combattuto contro molti di loro, ne aveva uccisi diversi, accettando la verità che nel Regno delle Tenebre non vi era spazio né per i deboli né per gli incompetenti. Vedendo i corpi carbonizzati che giacevano ai suoi piedi si ricordò di quanto avesse vissuto nella paura per tutti quegli anni, e l’unico motivo per cui aveva sempre trovato la forza di guardare indietro e non dimenticare quei giorni era stato perché aveva conosciuto Kaspar, il suo Kaspar, proprio in occasione di quel torneo mortale.
All’epoca era il capo dei Quattro Malvagi, l’unico sopravvissuto alla strage compiuta dai loro nemici, i signori argentei del Regno della Luna: la Regina lo aveva incaricato di addestrare i duecento partecipanti al torneo in tutte le arti magiche, si era occupato per un mese intero di allenarli, prepararli, forgiarli per diventare le creature più potenti di quel luogo. All’epoca era solo una ragazza debole ed indifesa, incapace di lanciare anche la magia più elementare, derisa da tutti i compagni che già la davano per morta, soprattutto Endimion e Nevius, i maghi più preparati del gruppo.
Il suo sguardo corse alla finestra, da cui la sbirciavano gli occhi dubbiosi di Ash e quello scuro, freddo, della loro improbabile guida. Aveva chiesto loro di lasciarla sola e di osservarla da lontano, ignorando le proteste del signor Auron; perché aveva riconosciuto quella lezione, quella serata, e sapeva che il suo destino quella notte avrebbe preso una grande svolta.
Voleva restare sola con Lui.
Voleva rivivere quei momenti meravigliosi che il Castello dell’Oblio sembrava regalarle.
Voleva rivedere il Suo sorriso, sentire i Suoi baci che le mancavano da troppo tempo, scoprire di nuovo la gioia dietro i Suoi occhi di ghiaccio che, da quando erano al servizio dell’Imperatore, si era fatti di giorno in giorno più freddi e calcolatori. La gente, in modo particolare quell’odioso del governatore Tarkin, non faceva altro che criticare Kaspar e la sua ambizione: ma nessuno lo conosceva, non come lei. Perché la persona che aveva tradito l’Imperatore ed aveva cospirato alle sue spalle era stata la stessa che, tanti anni prima, aveva mostrato compassione per lei. Nonostante lei fosse una donna ed una maga scarsa, lui l’aveva presa a cuore e l’aveva allenata di nascosto dopo le lezioni che praticava con i suoi compagni. Le aveva dato la forza per andare avanti, le aveva spiegato come imbrigliare gli incantesimi più potenti, ed era stato proprio lì, in quell’aula in cui si trovava, molto tempo fa, che la sua ruota del destino aveva preso un altro senso.
Quella sarebbe stata la loro ultima lezione privata, ed il suo cuore batteva al ricordo delle ore successive.
“Stasera sarà la tua ultima lezione, dobbiamo assicurarci che tu sia pronta per domani……”
Sobbalzò alla sua vista. Non si era accorta della sua presenza, ma Kaspar comparve proprio alle sue spalle: i suoi capelli argentati, quasi bianchi, fluivano e sembravano attraversati dal sottile gioco di luci del globo di fiamme che stringeva tra le mani.
No, non è lui, è solo un ricordo! pensò, cercando di ricordare gli avvertimenti dell’uomo vestito di rosso che l’aveva portata lì. Il vero Kaspar mi sta aspettando oltre questa Stanza della Memoria!
Proprio come quella volta, il mago si rialzò e le venne vicino. Poteva sentire i suoi occhi di ghiaccio su di lei, esaminarla, preoccupato per il torneo del giorno successivo che avrebbe significato la vita o la morte di lei “Hai avuto un miglioramento spaventoso in un tempo brevissimo, il che va sicuramente a tuo onore…purtroppo non c’è stato il tempo di concentrarsi sugli incantesimi di livello superiore al settimo, che invece Endimion e Nevius conoscono….quindi dovremo cercare di impararne almeno due o tre stasera. Non c’è altra scelta. Direi di cominciare dall’evocazione di demoni, che ti potrà essere molto utile”.
Lo stesso ricordo, le stesse frasi. Ma lei era migliorata di molto rispetto a quella volta, aveva fatto pratica nella galassia e non era più la piccola pel di carota che tremava alla sola idea del torneo. Perché sapeva già come sarebbe andato a finire.
Quel Kaspar poteva anche essere un ricordo, ma era così vivo ……
Non era mai stata brava ad evocare demoni, ed era un incantesimo che lo stesso Kaspar preferiva non utilizzare se non necessario. Aprire un portale che facesse entrare il mostro da un altro mondo era relativamente facile, ma il problema era controllarlo. Incurante degli sguardi preoccupati che giungevano dalla finestra, la ragazza iniziò il lento rito che avrebbe condotto il demone tra di loro. Sapeva già quello che sarebbe successo, ma non le importava. Avrebbe rivissuto quella serata mille e mille volte. Il ricordo di quella lezione era ancora vivo ed infuocato dentro di lei.
Lasciò che Kaspar la guardasse mentre muoveva le dita in aria, lasciando dietro di esse delle flebili luci color smeraldo che in una decina di secondi si unirono tra loro, formando la chiave invisibile che era il primo pilastro di un bravo mago evocatore. Kaspar, anche se questo davanti a me è solo un tuo ricordo farò di tutto per renderti fiero di me!
Stavolta non rimase stupita nel vedere la creatura saltar fuori dal portale, come invece lo era stata molto tempo prima: ma anche così quell’essere mostruoso, con quel muso di lucertola coronato da corna nere e le vaste ali rosse le mise comunque una certa impressione. Da quel giorno aveva tentato ben poche volte un’evocazione, proprio perché non riusciva a tollerare al suo fianco la presenza di un demone come quello “Bene così, controllalo adesso! Usa la tua energia magica come delle briglie per guidarlo….prova a dargli un ordine!”.
Forte della sua esortazione, Zachar guardò intorno a sé, cercando un oggetto contro cui incanalare l’ira del demone, ed evitò persino lo sguardo dei suoi due spettatori per non metterli in pericolo. Il banco già fracassato sulla sua destra sarebbe stato un eccellente bersaglio. Cercò di comunicare con la creatura evocata: non con le parole umane, ma con l’energia che lega un incantatore al mostro da lui richiamato. Successe tutto come su un copione già scritto.
Nello stesso attimo in cui configurò il banco nella sua mente fu lanciata contro il muro, scaraventata dalla furia aerea delle ali del demone. Aveva dimenticato quanto potesse essere potente una creatura di quel genere. Atterrò sul pavimento, proteggendosi lanciando su di sé l’incantesimo Pelle di Pietra, disperdendo l’energia del colpo per tutta la sala.
Il demone prese la rincorsa, mostrando la sua zampa splendente per i venti artigli affilati, abbattendosi su di lei come un’aquila avrebbe fatto su un pulcino indifeso, lanciando un ruggito di pura soddisfazione.
In questo momento …… Kaspar lo fermerà …… come fece quella volta. Immobilizzerà questo essere immondo con uno dei suoi potenti incantesimi e ……
L’artiglio si conficcò nella sua gamba, lasciando che il sangue bagnasse il pavimento e strappandole un urlo di puro dolore mentre il corpo della belva tremò, fremente per il pasto in arrivo. Kaspar era a qualche metro da lei, seduto sulla cattedra, le mani incrociate sotto il mento mentre assisteva al duello. Zachar chiamò a sé un incantesimo di guarigione, ma il demone fu più rapido.
Una seconda zampa le inchiodò a terra la mano, e lei scansò la testa per evitare un morso che le avrebbe staccato il capo di netto. I suoi occhi tornarono sul suo maestro, lui sarebbe intervenuto di certo …… eppure quella volta mi salvò subito, non ……
“Se non riesci a fermare un demone non credo che potrai mai battere Endimion o Nevius nel torneo”.
Lui lo disse con voce quasi annoiata, fissando la scena davanti ai suoi occhi. Nella stanza era calato un gelo innaturale, che la giovane maga sentì perfino nelle ossa. Zachar non riusciva a capire. Nonostante il dolore ed il sangue che stava perdendo rimase a fissare il ricordo con le sembianze dell’uomo che aveva amato. Era sicura che prima o poi sarebbe venuto ad aiutarla. Lo aveva fatto allora, l’avrebbe soccorsa anche in quel momento……
Non è così che dovevano andare le cose……
Cercò di rimettersi e chiamare un Cono di Ghiaccio ma cadde in ginocchio, fermata dalla coda serpentina del demone, finendo un’altra volta alla portata delle sue zanne. La mano sinistra, ferma sulla coscia, perse la magia di guarigione e la luce verde si spense.
Devo avere fiducia in Kaspar, nel VERO Kaspar. Lui arriverà e ……
Il mostro perse la presa su di lei, ruggendo e dandole di colpo le spalle; Zachar si volse, ma al posto del suo amato ed adorato Kaspar era entrata in chissà quale modo la sua improbabile guida, che aveva conficcato la spada in una delle zampe, costringendo il mostro ad arretrare e cambiare bersaglio. Riprese il controllo dell’incantesimo di guarigione, anche se i suoi occhi tornarono sul ricordo di Kaspar: era ancora immobile, lo sguardo fisso, come se non si fosse accorto che era entrato qualcuno nella loro aula privata. La sensazione di freddo aumentava.
“Zachar, vieni qui!”.
Vide il cappellino di Ash sporgere timoroso da dietro un banco, e non se lo fece ripetere due volte. La gamba continuava a farle male, e si trascinò al suo fianco cercando di contenere la perdita di sangue “Il signor Auron era preoccupato” fece il ragazzino, girando nervosamente la testa dal demone a Zachar a Kaspar “Credeva che non ce l’avresti fatta da sola!”.
“Io ce l’avrei fatta!” rispose lei, sforzandosi di mantenere un aspetto deciso “Sarei sopravvissuta, perché Kaspar mi avrebbe ……!”.
Dal suo riparo vide Auron mancare il colpo, la sua spada non trovò altro che l’aria mentre il demone si sollevava verso il soffitto. Il mostro ruggì, ferito ad una delle zampe posteriori, e planò su di lui accompagnato dall’urletto isterico e terrorizzato di Ash, ma la spada della loro guida in un attimo fu attraversata da una luce azzurra che in pochi secondi lo avvolse, fungendo la barriera contro cui il demone si infranse. Ma più che su quello scontro, i pensieri di Zachar andavano ancora all’uomo che amava, che fissava il duello quasi ipnotizzato, con gli occhi di ghiaccio immobili sulla creatura. Perché non era corso in suo soccorso?
Nei miei ricordi non era affatto andata così la storia …… Tanti anni prima lei aveva perso il controllo su quel mostro, ma lui era intervenuto, preoccupato per lei: l’aveva salvata con i suoi incantesimi ed aveva ributtato quella creatura infernale in un varco. In quel Castello ci doveva essere assolutamente qualcosa di sbagliato.
Il demone mancò il petto di Auron per un soffio: durante il suo affondo l’uomo indietreggiò, spalancando di colpo dietro di sé uno di quei Portali Oscuri che avevano attraversato per giungere al Castello dell’Oblio e ci si tuffò dentro, lasciando agli artigli del demone soltanto un brandello di stoffa rossa “Dov’è finito?” fece Ash, guardando con terrore il mostro evocato che, non trovando più la sua preda, aveva rivolto lo sguardo di brace su loro due. Temendo di essere trasformato in un simpatico spiedino per quel mostro, Ash sgusciò da sotto il banco e prese la rincorsa verso la finestra.
Zachar allungò un braccio per fermarlo ed impedirgli di attirare ancora di più l’attenzione, ma la creatura puntò dritta contro di lui. Un sibilo ed il Portale Oscuro si formò sopra la sua testa, e la loro guida calò da là sopra; la spada adesso era attraversata da sottili fulmini azzurri, e con essa colpì la bestia dove l’ala di pipistrello si univa al corpo. Il ruggito che ne seguì fu immondo, e Zachar vide l’ala staccarsi di netto dal corpo, rilasciando icore misto a sangue che si aggiunse al caleidoscopio di luci ed odori di quella battaglia. Ash saltò attraverso la finestra, ma prese male la rincorsa e cadde a faccia in giù nelle rocce al di fuori.
Fu solo allora che il ricordo di Kaspar si mosse, ma Auron nemmeno se ne accorse, troppo impegnato a rialzarsi ed a rimettersi in guardia. Il mago cantilenò qualcosa e mosse le dita nell’aria proprio come Zachar aveva fatto poco prima, realizzando una Chiusura del Portale. Zachar non vi era mai riuscita, perché da sempre Kaspar le aveva detto di non forzare il rientro di un demone se non aveva abbastanza energia e sicurezza per riuscirvi, pena gravi conseguenze.
Ma Kaspar, anche se un ricordo, era lo stregone più abile che lei avesse mai visto. Il demone, mentre ancora stava fronteggiando il suo avversario, fu circondato da diverse luci che ricalcarono il disegno utilizzato per evocarlo; ancora ferito, fu costretto a rientrare, lasciandosi alle spalle soltanto un ruggito.
Auron mandò un respiro di sollievo e si appoggiò alla sua spalla.
Ma gli occhi di Kaspar erano di nuovo su di lei “Non ci siamo ancora. Sinceramente non credo che tu possa farcela, domani. Ho il sospetto che queste lezioni private con te siano state solo una MIA perdita di tempo”. Si alzò e raccolse i registri.
“Ti conviene allenarti per bene se non vuoi morire domani”.
Gli occhi di Zachar si riempirono di lacrime “KASPAR!”
“NON UNA PAROLA DI PIU!” fece lui, facendo svolazzare alle sue spalle il mantello bianco “Se vivrai o morirai domani dipenderà solo da te!”.
Lei non riuscì a trattenere le lacrime quando la figura che lei tanto amava si chiuse la porta alle spalle, ed i suoi singhiozzi coprirono il rumore dei passi che si allontanavano.


Auron rinfoderò la spada, felice di aver allontanato il pericolo dall’Invocatrice. E se fosse stata quella la prova? Se lei non l’avesse superata?
A quanto pareva il giorno dopo ci sarebbe stato un torneo, e forse lì si sarebbe manifestata l’energia che la ragazza avrebbe dovuto carpire, ed allora non sarebbe stato concesso nemmeno a lui di intervenire. Un altro giorno.
La scommessa con Mu che si avviava inesorabilmente verso la sua sconfitta.
Cercò di non pensarci e tirò un respiro profondo.
L’aria era ancora gelida, di quel freddo siderale che distrugge ogni cosa.
Padron Vexen era al lavoro, e lo sarebbe stato sempre. Non li avrebbe lasciati a morire in quella Stanza della Memoria. Perché lui era il membro dell’Organizzazione più saggio e più potente di tutti, ed aveva a cuore la loro salvezza e quella delle Invocatici.


“ZACHAR, CORAGGIO!” Ash non riusciva a farla smettere di piangere.
“Insomma, Kaspar fa sempre così!”.
Ma, se possibile, la cosa sembrava renderla ancora più nervosa. Aveva gli occhi fissi verso la porta dove il suo maestro era sparito, e non aveva rivolto nemmeno una parola di ringraziamento ad Auron. L’uomo si era dato una ripulita e si era seduto sull’unico banco integro, lasciando al ragazzo il compito di consolare la maga.
“Ma come faccio …… le cose non sono andate così! DOVEVA ESSERE TUTTO DIVERSO! Kaspar … lui mi avrebbe salvata, mi avrebbe preso tra le sue braccia e portata nel suo castello, e invece …”
Lei vomitò quel fiume di parole con gli occhi arrossati, stringendo i pugni, mentre Ash continuava a non capire bene quello che succedeva intorno a lui. Come sempre, d’altronde.
Se in quella Stanza della Memoria dovevano incontrare i ricordi di Zachar, come mai questo particolare era fuori posto? Stando a quello che lei aveva biascicato tra un singhiozzo e l’altro, Kaspar avrebbe dovuto innamorarsi di lei e coronare il suo alquanto discutibile sogno d’amore. Non aveva intenzione di interpellare di nuovo Auron per paura di finire spiattellato come il demone di poco prima, e l’uomo in rosso gli metteva paura più che mai. Se questi Membri dell’Organizzazione erano così potenti … brr… non osava pensarci ……
Provò a sfoderare un altro sorriso “Senti, ti ricordi di quando Auron ci aveva parlato di una prova da superare?” e finché non la devo superare io andrà tutto bene “Magari era QUESTA la prova? Affrontare un demone brutto, cattivo e pieno di artigli mi sembra una gran bella prova di forza e di coraggio. Quasi come sfidare Moltres con a fianco soltanto Bulbasaur! E tu sei stata molto forte! Vabbè, magari ti ha ferita, però non ti sei tirata indietro e quindi …”.
“ASH, NON E’ QUESTO IL PUNTO!” fece lei, scossa da un tremore ancora più forte a causa del freddo pungente che era comparso da quando il ricordo di Kaspar aveva fatto la sua entrata “LUI NON SI E’ INNAMORATO DI ME, LO CAPISCI?”
Secondo me è una gran fortuna, ma preferisco non dirglielo troppo apertamente …
“QUESTO VUOL DIRE CHE DOMANI AL TORNEO NON MI AIUTERA', NON FERMERA' ENDIMION ALLA FINALE ED IO MORIRO'!”.
Aveva dei begli occhi verdi, ma così iniettati di sangue e velati di lacrime rendevano il suo viso più incavato e stanco. Le mani continuavano a tremarle, non l’aveva visto in quello stato nemmeno dopo le torture dell’Imperatore; questo torneo di cui parlavano doveva essere davvero terribile!
Gli occhi di lei adesso sembravano vuoti mentre fissava la porta, oltre la quale si intravedevano solo altri banchi e sedie in rovina, circondati da una nebbia innaturale “All'epoca non ero abbastanza forte per sconfiggere Endimion. Non lo sono mai stata …… e solo uno di noi può uscire vivo dal torneo! Nella realtà Kaspar imbrogliò per salvarmi, usò i suoi poteri per bloccarlo il tempo necessario per sconfiggerlo” i suoi occhi si mossero, aggrappandosi ai frammenti dei suoi ricordi che apparivano terribilmente distanti “Ma domani non sarà con me ed io morirò!”.
Ad Ash quel tono di disperazione non piaceva per niente; si trovava tra una maga depressa ed un armadio-ammazza-demoni armato di spada, con la sola compagnia delle sue Pokéball in una Stanza della Memoria dove la gente moriva in un soffio.
Magari tra un po’ mi sveglio nel mio letto e tutto ciò sarà un brutto sogno causato dall’impepata di cozze di ieri sera…
Ma doveva tirarla su, le dispiaceva vederla in quello stato. Era una ragazza gentile, una delle poche che non lo prendeva a pedate (il governatore Tarkin) e non gli diceva che era un idiota (sempre il governatore Tarkin), perciò tirò fuori l’ultima carta “Ma dai, pensa che se tutto va male siamo in un mondo di ricordi, no? Quindi non possiamo morire, giusto? Perciò ……”
“Siamo solo ospiti in questo mondo” fece Auron, gelando il suo sorriso compiaciuto e tutta la sua esuberanza in un colpo “La vita e la morte non hanno altre leggi che le loro, persino nel Castello dell’Oblio. Morire in una Stanza della Memoria o nel vostro letto non ha alcuna differenza”.
Ma questo qui proprio vuole deprimerla ancora di più?
“Non morire domani, Invocatrice. La tua vita è preziosa”.
Zachar calò in un mutismo insopportabile e non guardò nessuno di loro negli occhi, ed Ash sentì parte di quella tristezza pesare anche su di lui. Questo incubo, se davvero lo era, diventava più deprimente ogni secondo che passava.


“Un duello di questa importanza dovrebbe avere toni assai più epici, e invece….bah! La vita a volte è ingiusta!”.
Il sorriso beffardo di Endimion sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto, ormai ne era certa.
Quella mattina si era presentata al torneo con le gambe che le tremavano. L’arena era piena proprio come tanti anni prima, mostri di ogni forma e dimensione che si agitavano, urlavano, sollevavano striscioni di mille colori per esaltare i loro maghi preferiti; il mostro telecronista era fomentato come allora, e le ovazioni per i futuri Malvagi risuonavano per tutto il Regno delle Tenebre. Aveva combattuto tutti gli scontri, proprio come un tempo. Era ancora più forte ed abile, aveva falciato i suoi avversari con più determinazione, sfoderando una grinta che all’epoca era sicura di non avere.
Grinta o, forse, dolore.
E dopo diversi avversari, chi più abile degli altri, si era ritrovata alla finale del torneo a fronteggiare il gelido Endimion, uno degli incantatori più dotati del Regno delle Tenebre ed una delle persone che l’aveva più spesso dileggiata durante i suoi labili allenamenti. Ricordava di aver combattuto quella sfida tra la vita e la morte non solo per se stessa ma per Kaspar, fissando dopo ogni vittoria quel meraviglioso sorriso e quegli occhi di ghiaccio dal basso, incrociando lo sguardo dell’uomo per il quale sarebbe vissuta e morta come il più potente dei portafortuna.
Adesso aveva guardato in alto, sì.
Ci aveva provato per un’ultima volta.
Ma il Kaspar che stava quasi accucciato ai piedi della Regina la guardava con lo stesso interesse con un avrebbe osservato una mosca volare e posarsi sull’immondizia. Lei non era altro, ora, per lui. La Regina aveva sempre favorito Endimion, e ai suoi occhi era già morta. Lo era sempre stata, ed era inutile cercare appigli lì.
“Vai, Zachar, spacca tutto!”.
In piedi sul bordo dell’arena, incurante del fatto che una palla di fuoco vagante avrebbe potuto abbattersi su di lui da un momento all’altro, Ash si era procurato in chissà quale modo un maglione con la lettera Z ricamato in bianco su stoffa arancione ed urlava come se stesse assistendo alla finale della sua adorata Lega. Era praticamente l’unico che tifava per lei, ma i mostri e tutti gli abitanti della Stanza sembravano ignorare la sua presenza. Lo sguardo impenetrabile, Auron era qualche gradino più sopra; non aveva dubbi che aveva osservato ogni sua mossa.
“La tua fortuna sfacciata non può durare per sempre, pel di carota. Rassegnati!”.
Ma era arrivata alla finale, il suo vecchio amico Jack e l’impeccabile Nevius avevano superato i loro gironi e si erano seduti sul posto dei vincitori; il quarto malvagio sarebbe stato scelto dal vincitore di questo scontro all’ultimo sangue. Endimion, dai capelli neri come il suo mantello, già si pregustava la vittoria, e Zachar sentì dentro di sé l’odio per quella Stanza della Memoria. Il passato reale non era quello, era LEI ad aver vinto quello scontro (seppur con l’aiuto di Kaspar), era LEI ad essere stata nominata Quarto Malvagio.
Ed aveva fatto sempre il possibile per onorare quel compito.
Piena d’angoscia, nemmeno si accorse che il suo avversario era già balzato in avanti, mandandola all’indietro con una Vampa di Agannazar; lei schivò l’attacco di riflesso, poi un’altra fiamma ed un’altra ancora, con la mente che sembrava piena di parole, formule, incantesimi che rimbalzavano da ogni parte.
Dalle sue labbra non voleva venire nemmeno l’incantesimo più elementare, nemmeno quelli con cui aveva sconfitto tutti i maghi nei precedenti incontri. E la cosa di cui si rese conto subito dopo era che Endimion, proprio come allora, era partito alla carica con magie di livello infimo, proprio per prenderla in giro. Gli occhi del suo avversario erano freddi, e lanciò quasi con noncuranza due incantesimi diversi da entrambe le mani, facendo sfoggio di una concentrazione che Zachar sapeva di non poter eguagliare.
Kaspar continuava a stare accucciato ai piedi della Regina, non era accanto a lei, non la osservava preoccupato dal primo degli spalti dove, al suo posto, stava Ash che agitava le braccia.
Endimion incrementò il potere degli incantesimi “Che c’è, pel di carota, dov’è tutta la tua baldanza?” fece, passando a creare nel campo una Ragnatela, magia di secondo livello “Eppure per essere arrivata in finale qualcosa di buono ce l’hai!”.
Prima o poi uno dei suoi incantesimi mi spazzerà via ……
Da sola non ce la farò mai ……

Ancora una volta tornò quel freddo innaturale che la aveva accompagnata per tutto il giorno e la notte prima, impalpabile ma che bruciava sulla sua pelle; il suo avversario non aveva evocato nessuna magia connessa al ghiaccio, quindi nella sua mente un campanellino in lontananza diede l’allarme.
No, il vero pericolo è davanti a me!
Le Meteore di Melf scaturite dalle dita del suo nemico non la colpirono impreparata: eresse uno scudo di fuoco appena in tempo, lasciando che le magie nemiche si dissolvessero nelle fiamme, loro naturali alleate, e lasciò che corressero lungo il suo braccio. Kaspar non l’avrebbe aiutata, ed era inutile aspettarsi qualcosa da quel ricordo che sembrava il cagnolino della Regina.
Lanciò con rabbia quel fuoco tutto intorno a sé, liberandosi della Ragnatela con cui il suo avversario sperata di catturarla ed umiliarla: alla sua destra notò che Auron era sceso dalla postazione, mettendosi in prima fila al fianco di Ash, e lesse nel suo occhio una discreta approvazione.
Ma non bastava se voleva uscire viva da quel duello “Meraviglioso, la nostra dolce fanciulla ha deciso di dare un po’ di show? Meno male, diventare Malvagio per aver battuto un’ameba come te sarebbe stato poco onor ……”
Mise a tacere la sua bocca lanciandogli addosso una Palla di Fuoco, l’incantesimo che aveva sempre prediletto e che Kaspar in persona le aveva insegnato con giorni e settimane di pazienza.
Il vero Kaspar mi attende fuori di qui! Quello lassù è solo una brutta copia! fece, senza più nemmeno volgere gli occhi al palco regale. E se per rivedere Kaspar devo sconfiggere Endimion con le mie mani, ebbene lo farò!
Il nemico alzò le braccia, avvolgendo il suo corpo ed i vestiti scuri con una flebile luce azzurrina, che gli permise di prendere in pieno l’incantesimo senza scottarsi; era ancora in piedi, ed il vento dell’arena faceva svolazzare il suo mantello, dando al ragazzo un tono ancora più spettrale.
“Avanti, dai un senso alla mia vittoria!”.
“Mi sono davvero stancata di te!”.
La Catena di Fulmini rispose alla sua chiamata, scivolando tra le dita. Partì qualche scintilla che abbatté un paio di mostri troppo vicini al campo, e prese tempo scivolando sulla sabbia del pavimento per allontanarsi da Endimion. La magia continuò ad aumentare nelle sue mani, riempiendo l’aria di elettricità; i suoi capelli erano scomposti, ormai liberi, sentiva il potere dell’incantesimo attraversare il suo corpo.
Lo caricò, pronta a lanciare tutta l’energia che aveva in corpo su quel ghigno da bellimbusto.
“ZACHAR, HA UNA BARRIERA!”.
Fece Ash, ma lo aveva già notato. Mentre lei si stava caricando, Endimion si era difeso con la Protezione dell’Elettricità, quasi sfidandola a venirgli incontro.
Stavolta posso vincere il torneo anche da sola!
Le scosse delle sue mani crepitarono contro la barriera, facendo esplodere il mondo intorno a lei in mille scintille azzurre, circondandoli di un fumo dall’odore dolciastro e fastidioso; il sussurro di Endimion diventò un urlo, ed i loro incantesimi cozzarono l’uno contro l’altro. Zachar non aveva mai avuto il cuore così in gola. Credeva che il suo avversario fosse preparato solo con incantesimi d’attacco, ma dovette ammettere che la sua barriera non aveva nemmeno una crepa perché la stava erigendo con tutta la potenza che aveva in sé.
“Sai, tavola da surf, che con tutto il tempo che ci hai messo a preparare l’incantesimo mi hai fatto capire che cosa volessi lanciare?” fece lui, gli occhi scuri illuminati dall’energia sfavillante delle loro magie unite.
“Certo che lo so”.
Si concesse un sorriso compiaciuto come mai ne aveva avuti nella sua vita.
Kaspar, guardami adesso!
Lasciò che Endimion ammirasse per l’ultima volta il potere del fulmine, poi le sue saette azzurre si dissiparono in un colpo, mostrando la loro vera natura. Sottili lame di ghiaccio presero il loro posto, mimetizzate dal baluginare di luce, e contro di esse lo scudo di Endimion si dimostrò del tutto inefficace. Prima che il mago potesse chiamare la Protezione dal Ghiaccio le lame della ragazza furono nel suo corpo, ed una si conficcò nel suo collo da parte a parte.
Il corpo del suo nemico non aveva nemmeno raggiunto terra che già la folla dei mostri era in visibilio, ed anche quelli che avevano tifato Endimion per tutta la partita si alzarono e gridarono il suo nome, con molto più entusiasmo di quando lei aveva vinto il vero torneo del Regno delle Tenebre; Ash, pur guardando con un certo schifo il cadavere ai suoi piedi, fu il primo a correrle incontro e fece con le dita il suo classico gesto di vittoria. Persino Auron era meno corrucciato del solito.
Quando guardò in alto, per cercare gli occhi di Kaspar, tutto il mondo intorno a lei divenne di un bianco splendente, accecante, come non ne aveva mai visti. Non vi era né un sopra né un sotto, solo un’immensa luce e la sensazione di qualcosa (o qualcuno) di incredibilmente potente che la stava aspettando ma, allo stesso tempo, stava riversando in lei una grande energia.
Sentì questo potere riempirla ed entrare in sincronia con i battiti del suo cuore, maree di energia che si accumulavano nel suo corpo senza che lei potesse controllarle. Non era doloroso ma …… nemmeno molto piacevole …… aveva la terribile sensazione di non essere sola.
Come era arrivata, la luce sparì.
Non c’era più la regina con lo sguardo accigliato, non c’erano i mostri della tifoseria, l’arena era sparita ed Endimion non era più riverso a terra; Ash indossava di nuovo la sua solita maglietta, mentre Auron sembrava più rilassato del solito.
“Eccellente lavoro, mia Invocatrice. Hai superato la prova proprio come si aspettavano i Membri dell’Organizzazione. La prima Stanza della Memoria è stata superata, ed è il primo passo che porterà alla distruzione del Grande Satana Baan e della sua genia di demoni”.
Ma Zachar non lo stava ascoltando. Davanti a lei c’era qualcuno che le fece dimenticare in un colpo torneo, regina, Auron, membri dell’Organizzazione, demoni e Castello dell’Oblio. Le sue labbra si spalancarono in un sorriso, perché aveva superato la prova e la persona che aveva tanto atteso era giunta da lei, per ricompensarla della sua fedeltà e del suo amore.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Ostinazione ***


Capitolo 4 - Ostinazione


castle oblivion

Castello dell'Oblio, interno




Narratore: “Amici lettori, facciamo ora un passo indietro e vediamo cosa sta succedendo altrove mentre Zachar affronta i suoi ricordi nella prima Stanza della Memoria. Torniamo nella Galassia e voliamo a Coruscant, nel palazzo del nostro beneamato governatore… “


“…e comunque la risposta è sempre NO. Enne-o, te lo devo scrivere? O preferisci una grossa insegna al neon? Se vuoi ho un droide protocollare che può tradurtelo in sei milioni di lingue diverse!”
“Risparmiati il tuo sarcasmo da quattro soldi, Tarkin.” Un qualsiasi ammiraglio che avesse dato una risposta del genere al governatore Tarkin si sarebbe giocato all’istante la carriera e probabilmente anche la vita, ma Zam era un caso a parte. Lo era sempre stata. Lui poteva anche essere suo superiore nella scala gerarchica dell’Impero, ma lei aveva giurato fedeltà all’Imperatore in persona, non a quella massa di buffoni che erano i Signori Oscuri. Il governatore avrebbe fatto bene a tenerlo a mente. “Abbiamo fatto questo discorso mille volte. Non puoi impedirmi di vedere mio figlio.”
“Perché non lo dici a voce un po’ più alta già che ci sei?! Dovresti essere tu quella a cui importa.”
“Oh, certo, ora mi vorrai far credere di aver preso Neos con te per buon cuore. So bene che lo fai solo perché così io sono costretta a proteggere te e quegli idioti dei tuoi amici.”
Tarkin le regalò uno di quei suoi sorrisi che le facevano tanto venire voglia di prenderlo a pugni: “Situazione che è massimamente vantaggiosa per entrambi. Io tengo la tua preziosa progenie al sicuro dalle mire di papà Impe, e tu ci guardi le spalle dovesse sbucare Kaspar con uno dei suoi simpatici attentati. Ma se continui ad andare a trovare il bambino tutti i giorni prima o poi qualcuno inizierà a farsi domande, perciò vedi di tirare un freno al tuo istinto materno, grazie.”
La cosa più odiosa era che le parole di Tarkin, per quanto crudeli, contenevano un fondo non indifferente di verità. Zam sapeva cosa si diceva in giro: che Neos era figlio illegittimo del governatore Tarkin, e circa l’identità della madre scomparsa circolavano le più assurde e improbabili teorie. Voci fastidiose oltre che infondate, senza dubbio, ma se non altro inoffensive. Se invece si fosse cominciato a mormorare che la vera madre era lei….Neos aveva ereditato i suoi poteri, non c’erano dubbi, e l’Imperatore avrebbe fatto di tutto per mettere le mani sull’ultimo esponente della sua razza. Lo avrebbe trasformato in un’arma da guerra al suo servizio, come aveva fatto con lei….
Zam non avrebbe mai permesso che accadesse. Mai.
Amareggiata voltò le spalle a Tarkin, gettando uno sguardo distratto sul panorama fuori oltre la grande vetrata dell’ufficio del governatore. Grattacieli, traffico, luci, caos, Coruscant era tutta uguale. Neos le mancava terribilmente.
Mettere un freno all’istinto materno…solo un uomo potrebbe uscirsene con un’idiozia del genere.
L’uomo in questione stava blaterando qualcos’altro adesso, ma Zam non gli prestava più attenzione. La voce di lui non era altro che un fastidioso ronzio di sottofondo nella trama dei suoi pensieri.
Finché all’improvviso, troppo all’improvviso, il ronzio cessò, come tranciato di netto.
Zam si rese conto di non vedere più il riflesso di Tarkin nella vetrata e si voltò di scatto, colta tutto a un tratto da un’inquietudine inspiegabile.
Nella stanza non c’era traccia del governatore.
Così come in tutto il resto del palazzo.


“E’ un’altra illusione…?”
“No, mia Invocatrice. Le illusioni si trovano solamente nelle Stanze della Memoria, e ora noi ne siamo usciti. Questa persona è il suo Intercessore, è qui per aiutarla nel suo cammino.”
Tarkin non credeva ai suoi occhi. Gli sembrava di trovarsi in un sogno. Un attimo prima stava parlando con Zam, e quello dopo…c’era stata una luce, una luce bianca e accecante che lo aveva costretto a chiudere gli occhi, e quando li aveva riaperti era lì, in quel posto assurdo. Forse era un sogno. O peggio, un qualche trucco di Kaspar. Già una volta quel mago da strapazzo aveva tentato di ucciderlo con una tattica del genere…
“Tarkin…sei tu?”
Non era affatto sicuro che quella davanti ai suoi occhi fosse la vera Daala e non l’esca di una trappola. A giudicare da come lo guardava, lei doveva nutrire gli stessi dubbi nei suoi confronti.
Forse fu proprio quello a convincerlo, alla fine. Lentamente mosse qualche passo verso di lei e le prese le mani tra le sue, come per sincerarsi che fosse reale. Una persona normale al loro posto non ci avrebbe nemmeno pensato, sarebbe corsa istintivamente a gettarsi tra le braccia dell’altro; ma loro erano troppo astuti, troppo sospettosi, e soprattutto avevano troppi nemici per permettersi di abbassare la guardia anche solo per un momento.
“Stai bene?” chiese lei. “Shandra…?”
“Non era con me quando…quando sono scomparso. Ti prego, dimmi che non c’è Kaspar dietro tutto questo.”
Erano mesi che non si sentivano: troppo rischioso anche sui canali protetti, l’Imperatore non doveva scoprire che Daala era ancora viva. Per quanto ne sapeva poteva essere successa qualsiasi cosa dall’ultima volta che l’aveva contattata.
“No, o almeno non credo…” rispose Daala, cedendo infine alla tentazione e abbracciandolo. “A meno che non abbia a che fare con l’Organizzazione o il Castello dell’Oblio. Il posto dove ci troviamo ora.” aggiunse, notando il suo sguardo confuso. “Speravo che i tuoi Servizi Segreti ne sapessero qualcosa…”
Tarkin si limitò a scuotere la testa, sciogliendosi delicatamente dall’abbraccio. La sua attenzione era stata catturata dalle due figure che li osservavano in silenzio, in un angolo di quella vasta stanza bianca. Una gli era familiare, e fu sollevato di vederla: traditrice o no, Mara era rimasta sempre un’amica di sua moglie, e li avrebbe protetti se necessario. L’altra invece…quel ragazzino dai capelli viola ricoperto di placche d’oro sembrava uscito dai cartoni animati che piacevano tanto a Shandra. Fu a lui che Daala si rivolse: “Mu, spiegagli tutto quello che hai già detto a noi.”
Bastarono poche parole per mandare Tarkin ai matti. Quella storia era semplicemente assurda, più inverosimile della trama di un romanzo di serie Z (Narratore: peggio, di una fanfiction di serie Z!), completamente campata in aria!
“Senti ragazzino, parliamoci chiaro e tondo, chi ti ha mandato qui?”
“L’ ho detto, signor Intercessore: i membri dell’Organizzazione, i saggi e potenti signori del Castello dell’Oblio.”
“Chi ti ha mandato qui DAVVERO. Kaspar? I Ribelli? CHI?!”
Il ragazzino sgranò gli occhi, intimorito: “Signore, è la verità…le giuro che è come ho detto, non è una trappola, i membri dell’Organizzazione non farebbero mai del male a nessuno, loro…”
“Però non si fanno problemi a rapire le persone, vedo!”
“…loro stanno cercando di salvare il nostro mondo, per questo…”
“Beh, se lo salvassero da soli. La tua storia non ha senso! Perché delle creature di un altro mondo dovrebbero volere proprio noi?”
“Credetemi, non c’era altra scelta.” Il ragazzino sospirò. La sua voce sembrava lo squittio di uno scoiattolo, e Tarkin pensò che se era davvero un servo di Kaspar era quasi più ridicolo del suo padrone. Probabilmente in tre potevano riuscire a metterlo ko ed estorcergli qualche informazione alla buona vecchia maniera…ma poi si rese conto che se una come Mara non lo aveva già fatto doveva esserci un motivo.
Meglio andarci piano.
“I membri dell’Organizzazione non vi avrebbero mai prelevati se non fosse necessario” continuò Mu. “Ma non sono stati loro a scegliervi. Sono poche le persone che hanno il potere di compiere l’Invocazione Suprema, ed è il Castello a decidere chi. Il Castello vi ha scelti.”
“Sì certo, addossiamo la responsabilità sul Castello! Come se un edificio fosse in grado di intendere e di volere!”
“Lo è.”
Un brivido salì lungo la schiena di Tarkin, che perse la sua consueta risposta pronta. Improvvisamente si sentiva osservato, e non solo da Mara, Mu e Daala, ma da qualcos’altro, una presenza invisibile, qualcosa che era tutto intorno a lui e in nessun posto in particolare.
Sta solo cercando di suggestionarmi! Non devo mostrargli che ho paura.
La spiegazione di Mu non era finita: “Anche se non del tutto, purtroppo. Lo spirito del Castello è addormentato. Con l’Invocazione Suprema potremo risvegliarlo totalmente, e con il suo potere i membri dell’Organizzazione sconfiggeranno il Grande Satana Baan.”
“Il Grande Satana…cosa?!”
“Il demone che ha conquistato il nostro mondo.” c’era tristezza ora nella voce di Mu, una tristezza che dilagò fino agli occhi, spegnendo ogni luce sul suo volto liscio e infantile.
“Suvvia, ogni mondo ha il suo tiranno.” Tarkin alzò le spalle, simulando una sicurezza che non provava. “Il mio consiglio è: passate dalla sua parte e sarete tutti più felici. E ora riportaci indietro. Subito.”
“Non posso”. Lo squittio di uno scoiattolo, ma uno scoiattolo molto determinato.
“Almeno lui sì però” intervenne Daala. “E’ me di cui avete bisogno. Puoi riportare Tarkin indietro, ce la farò anche senza di lui.”
Lo scoiattolo non voleva sentire ragioni: “Anche l’Intercessore è fondamentale. La magia del Castello lo ha fatto venire qui, ma sono stati i suoi sentimenti a chiamarlo, mia Invocatrice. I membri dell’Organizzazione avevano previsto che sarebbe successo, dopo la prima Prova. E’ un aiuto che il Castello vuole darle, una prova che non è malvagio come voi credete.”
Tarkin però non stava seguendo più le parole della loro guida. Si era appena reso conto di una cosa.
“I membri dell’Organizzazione hanno bisogno del potere di questa…Invocazione Suprema. Quindi non sono poi così potenti come dici.”
“I membri dell’Organizzazione sono saggi e…”
“…e hanno bisogno di noi.” Tarkin sorrise, mentre l’altro lo fissava con uno sguardo sempre più confuso. “Nel nostro mondo di solito per ottenere una cosa bisogna offrirne un’altra in cambio. Cos’ hanno i tuoi padroni da offrire a noi?”
Lo aveva preso in contropiede. Mu balbettò qualcosa di incoerente, chiaramente spiazzato dalla domanda. Poteva darsi che nemmeno Mara fosse in grado di torcere un capello a quel ragazzino misterioso, ma c’erano tanti modi per minacciare una persona. Negarle la propria collaborazione era uno di quelli.
“Lei non capisce…” disse infine Mu, una sfumatura di disperazione nella voce. “Il nostro mondo ha bisogno di aiuto, non…”
“Risposta sbagliata. Temo che tu ci abbia confuso con i Ribelli.”
Mara a dire il vero era una ribelle, ma si guardò bene dal proferire parola.
“I miei padroni vi riporteranno indietro una volta finito tutto.”
“Di nuovo risposta sbagliata. Perché non vengono loro a parlare con noi?”
A questa domanda Mu non seppe rispondere.
“Forse perché non esistono? Ragazzino farai bene a dirmi la verità se non vuoi fare una brutta fine quando i miei amici ci troveranno.”
“Certo che esistono! Ci osservano sempre, ci guidano da lontano…” Mu abbassò lo sguardo, la voce ridotta a un mormorio: “Ed è vero, hanno bisogno di voi. Abbiamo bisogno di voi. Siete la nostra unica speranza.”
“Tarkin…” Daala osservava il ragazzino con un misto di stupore e pietà. “L’unica cosa che possiamo fare è andare avanti. Temo che non abbiamo altra scelta.”
“Oh sì che ce l’abbiamo.” Con deliberata lentezza Tarkin si sedette sul pavimento bianco, mettendosi comodo con le gambe incrociate e la schiena appoggiata a una parete. Poi trafisse Mu con una di quelle occhiate che mandavano i soldati imperiali a eseguire i suoi ordini a gambe levate e con il cuore in gola.
“Dì ai tuoi padroni che finché non scenderanno dall’Olimpo per trattare con noi possono scordarsi l’Invocazione Suprema.”


Non stava facendo un buon lavoro. Sarebbero già dovuti entrare nella prossima Stanza, ma non c’era verso di convincere quell’Intercessore testardo. Mu sospirò: non voleva deludere i suoi padroni. Tra poco sicuramente Auron sarebbe uscito dalla prima Stanza con la sua lnvocatrice…padron Vexen aveva detto che era molto, molto importante che i due gruppi non si incontrassero mai, perciò Mu aveva fatto spostare la sua Invocatrice e gli altri dall’anticamera tra la prima e la seconda Stanza, chiudendoli in un’altra delle infinite stanze bianche del Castello dell’Oblio. Neanche quella piccola operazione era stata semplice, perché l’Intercessore rifiutava categoricamente di muoversi: alla fine aveva dovuto aprire un portale sotto i loro piedi. Per un attimo aveva considerato l’idea di farli riapparire direttamente nella seconda Stanza, ma l’aveva scartata subito: se l’Intercessore non voleva muoversi sarebbero rimasti bloccati lì dentro, e cosa ancora peggiore avrebbero ostacolato anche il gruppo di Auron. Almeno uno di loro doveva arrivare fino alla fine….
La verità era che l’Intercessore gli faceva paura. Una paura tremenda. Quello sguardo…gli pareva quasi di sentirselo bruciare sulla pelle, persino ora che aveva lasciato il gruppo indietro.
Da qualche minuto si trovava di fronte alla porta del laboratorio di padron Vexen, ma ancora non si decideva a entrare. L’aveva già disturbato una volta, e per un motivo futile, non voleva che lui pensasse…
“Che fai lì Mu, la bella statuina?”.
La voce lo colse di sorpresa, facendolo sobbalzare.
“Pa…padrona Larxen! Non l’avevo vista, mi scusi!”.
“Una bella statuina tutta d’oro, per di più”. Padrona Larxen soffocò una risatina, muovendo qualche passo verso di lui. C’era un’innata grazia felina in ogni suo gesto, anche il più piccolo, e questo soltanto bastava a dare un’idea di quanto fosse temibile. Padron Vexen diceva sempre che dovevano stare attenti con lei, perché era imprevedibile e incostante, e padron Vexen non sbagliava mai. Dopotutto era il più saggio e il più potente tra i membri dell’Organizzazione.
“Io comunque ti consiglio di non entrare. Il nostro caro Vexen è al lavoro, come al solito, e sai quanto rompe se lo disturbi.” Sul viso di Larxen apparve una smorfia che la fece sembrare una bambina. Era una dei più giovani tra i suoi padroni, e l’unica donna. “Ma se c’è qualche problema puoi chiedere a me.”
“Il fatto è che l’Intercessore… si rifiuta di proseguire finché non avrà parlato con uno di voi.”
Inaspettatamente padrona Larxen scoppiò a ridere, come se Mu avesse fatto una battuta irresistibile: “Oddei ma questo qui sta proprio fuori! Parlare con noi! Ma chi si crede di essere?!”
“Beh, forse…” Mu pensò che valeva la pena provare, anche se credeva già di sapere la risposta. “…forse sono semplicemente spaventati, è normale che lo siano, sicuramente le vostre parole possono rassicurarli molto di più di quelle di un’umile guida come me…”
Padrona Larxen aveva smesso di ridere, e gli scoccò un’occhiata divertita con i suoi grandi occhi verde acqua: “Beh, ma se le cose stanno così, allora significa che tu sei inutile.” Si sollevò in punta di piedi e gli sfiorò la punta del naso con l’indice, sussurrando con voce suadente: “E tu non vuoi essere inutile, vero?”
Aveva ragione. Che cosa gli era preso? La missione era la cosa più importante, non poteva permettersi di farsi ostacolare da scrupoli, o peggio da sciocche paure. C’era così tanto in gioco, e i membri dell’Organizzazione si erano fidati di lui per quell’incarico così importante, lo avevano scelto…
“Padrona Larxen, mi perdoni!” esclamò. “Io…io farò del mio meglio, lo prometto. Mi dispiace se l’ho disturbata inutilmente.”
Lei gli rivolse un sorriso smagliante: “Bravo ragazzo.”
Con queste parole padrona Larxen schioccò le dita e sparì, avvolta dalle tenebre di un portale oscuro. Mu rimase solo con i suoi dubbi, e soprattutto con il pensiero ben poco consolante che gli toccava di nuovo fare i conti con quella palla al piede del suo Intercessore.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - La falce di petali ***


Capitolo 5 - La falce di petali


auron

Auron




Narratore: "le Registe tengono a precisare al loro amato (si fa per dire) pubblico che questa scena ha inizio poco dopo quella del capitolo 4. Iniziate ad abituarvi al fatto che le Registe e la cronologia fanno a cazzotti assai spesso, ed è la cronologia ad uscirne vincitrice nel 99% delle………"
REGISTE: "Narratore, sappi che a Cento Vetrine stanno cercando proprio un nuovo narratore …… se non vuoi finire laggiù evita commenti che ……"
Narratore: "Ma lo sapete anche VOI che fate casino, inutile negarlo, inventate certe cose strampalate soltanto per ……"
REGISTE: "FUORI DI QUI!"



Kaspar, il suo Kaspar era davanti a lei!
Non un semplice ricordo, non un fantasma delle Stanze della Memoria, quello era il vero Kaspar! Poteva riconoscerlo dal respiro, dai capelli, poteva persino sentire il battito del suo cuore. Ed i suoi occhi.
Gli occhi di Kaspar andava da lei alla sua guida e ad Ash; incredulo, nervoso, le iridi della perfezione del ghiaccio che non sembravano assolutamente a loro agio. Zachar lo amava, era felice di vederlo lì, scintillante nella sua gloria e nel suo potere, così bello che la sua luce sembrava oscurare persino le superfici bianche del Castello dell’Oblio.

Narratore: "ci teniamo a precisare che questa descrizione di Kaspar è frutto della mente bacata di Zachar, il capitolo è filtrato con i suoi occhi! Se questa parte fosse stata dal punto di vista di Ash la descrizione di Kaspar sarebbe venuta ben diversa!"

“Kaspar!”.
Gli corse incontro, incurante dell’espressione preoccupata di Ash e dello sguardo corrucciato di Auron, e per poco non inciampò nelle sue stesse gambe per la foga.
“Kaspar, allora è tutto vero! Sei qui!”.
Lo abbracciò, dimenticando tutto quello che era successo. La fuga di lui, le torture dell’Imperatore, tutto si sciolse nel morbido tessuto del suo abito viola, nella certezza di forza che il mantello bianco gli conferiva. Poteva sentire su di lei il freddo degli Oggetti Millenari che il suo mago aveva trafugato, strofinando la propria testa sotto il suo mento e stringendolo per non lasciarlo più andare via.
“Zachar! Cosa ci fai TU qui? E, ad essere precisi, dov’è il qui?”.
La ragazza nemmeno sembrò ascoltare le sue parole, impegnata solo ad assaporare il sapore della sua voce, la voce che riusciva sempre a tranquillizzarla ma, allo stesso tempo, ad incutere terrore a tutti i nemici “ZACHAR, SCOLLATI!”.
Lei si ritrasse subito, come un cagnolino ammonito, abituata com’era ad obbedire immediatamente ad ogni suo ordine: perché Kaspar era sempre nel giusto, Kaspar aveva sempre ragione, Kaspar la proteggeva da ogni pericolo e per questo non voleva irritarlo. Lei gli doveva la vita: lui l’aveva salvata durante il torneo del Regno delle Tenebre, e quello che le aveva mostrato la Stanza della memoria era una mera falsità. Lo guardò di nuovo, ma non trovò per lei il sorriso che tanto si aspettava: c’erano soltanto due sopracciglia corrugate e gli occhi gelidi proprio come il ghiaccio perenne delle montagne più alte dei mondi.
Cosa lo irritava? Cosa aveva fatto di sbagliato?
Non aveva superato la prova come lui si aspettava?
“Zachar, di solito quando faccio domande mi attendo una risposta! In particolar modo da te!”.
“Ma Kaspar tu …… mi hanno detto che eri qui …… che ti eri alleato con i membri dell’Organizzazione …… non è così?”.
Vide l’aria intorno al corpo della persona che amava illuminarsi, brillare, con scintille rosse, gialle ed azzurre che diedero un tono ancora più cupo al suo abito; aveva di colpo creato intorno a sé delle barriere magiche come per proteggersi da qualche pericolo, come se si aspettasse di venir colpito. Evidentemente Ash pensò che quei colori fossero il preludio a qualche incantesimo terribilmente distruttivo, perché lanciò un urlo e si tuffò dietro la cosa più massiccia e resistente che riuscì a trovare (le spalle di Auron), ma la ragazza non prestò molta attenzione a nessuno dei due.
“Mi hai fatto chiamare da Auron perché io superassi quella prova, no? Ed io ce l’ho fatta, ho vinto la Stanza della Memoria!”.
“Ti sembra forse che abbia mai avuto bisogno del tuo aiuto per portare a termine qualche piano?”.
“Certo, tu sei così potente …… però …… mi ha detto ……”
I suoi occhi corsero alla guida, che stava scrutando il suo Kaspar in modo diffidente. Come era stato possibile? Perché Kaspar era così adirato?
“I membri dell’Organizzazione come al solito hanno visto bene; ho ricevuto da loro in persona l’ordine di convocarti in nome di Kaspar. Una lieve bugia a fin di bene, mia Invocatrice, perché ciò ti ha dato la forza di superare questa prima prova”.
Il suo tono era freddo, sembrava non provare alcun dispiacere nel ripetere quelle parole, ma Zachar sentì il cuore frantumarsi nel suo petto.
“Lei deve essere il mago Kaspar, l’Intercessore di Zachar. In effetti avrei dovuto aspettarmelo che sarebbe stato lei ad essere chiamato dal richiamo della prima Stanza”.
Una bugia.
L’ennesima bugia della sua vita.
Della sua piccola e fragile vita.
Tutti le avevano detto bugie per raggirarla. Il Trio Destroyer, Daala, persino Zam la mutaforma.
Ed ogni volta doveva arrivare Kaspar a proteggerla, a squarciare i veli di menzogne ed a ridare la luce alla sua esistenza. Ancora una volta si sentì una stupida: lo aveva deluso, aveva cercato di fare qualcosa da sola, con le proprie forze, ma sembrava vivere in un eterno teatro di marionette. Kaspar doveva essere davvero stanco di andarla a recuperare, ecco il perché del suo sguardo.
Abbassò la testa, sentendosi idiota, vergognandosi.
“Avete usato Zachar per farmi arrivare qui?” il suo tono di voce era ancora gelido, ma aveva qualche nota di compiacimento “Avete bisogno del mio enorme potere?”.
“Dubito che tu possa fare fisicamente qualcosa per noi, Intercessore. Il tuo potere magico è superiore alla media, o così dicono i membri dell’Organizzazione. Ma dubito siano anche solo lontanamente sufficienti per sconfiggere il Grande Satana Baan”.
“Tsk, se volete il mio munifico aiuto per distruggere questo nemico dovreste come minimo chiedermelo in ginocchio!”.
Zachar fissò l’ombra del suo uomo proiettata sul pavimento dalla luce innaturale della stanza, osservando il mantello bianco rimanere immobile, senza un filo di vento che lo facesse gonfiare, mettendo in risalto il potere di Kaspar. Non le sfuggivano le note di compiacimento nella sua voce, perché la guida aveva riconosciuto di aver bisogno di lui; ma riconosceva anche il tono di chi è pronto a scatenare una violenta tempesta di incantesimi su tutti coloro che avevano appena osato condurlo in quel Castello contro la sua volontà. Era fuggito dall’Impero Galattico, e non aveva intenzione di servire quei misteriosi Membri dell’Organizzazione senza ottenerne qualcosa in cambio.
Per la prima volta dal loro incontro, Auron si fece sfuggire un ghigno “Il Grande Satana non è un nemico come gli altri. Siede sul suo castello volante, circondato da migliaia di demoni furiosi. Il suo odio è antico come la terra ed il cielo e nelle sue dita scorre più magia che nelle vene di tutti gli incantatori del nostro mondo”.
“Mi credete un semplice maghetto di un pianetuncolo agricolo?”.
“Io so che tu sei l’Intercessore, il compagno dell’Invocatrice, ed insieme darete vita all’Invocazione Suprema. Questo risveglierà lo Spirito del Castello dell’Oblio, e guidato dai miei potenti e giudiziosi padroni porterà la pace e la giustizia”.
Kaspar rise.
Rise in modo gelido, ma per Zachar fu abbastanza. L’uomo che lei adorava tanto aveva di nuovo la situazione in pugno, ed adesso le cose sarebbero andate per il verso giusto. Lo fissò, ammirandolo di nuovo, contemplando lo scintillare d’oro di tutti gli oggetti che aveva ancora tra le mani; adesso sarebbe tutto finito e lui l’avrebbe portata di nuovo in salvo.
Kaspar rivolse ad Auron un sorriso calcolatore “E credi che io ascolti per un secondo di più le tue favole da bambini, soldato?”.
“Assolutamente sì, Intercessore”.
“Questa storia è sempre più inverosimile. Zachar, come hai potuto cadere nella bugia di questo tizio?”.
La ragazza abbassò di nuovo la testa, ma oltre ad un flebile “Scusami …” dalle sue labbra non uscì niente altro. Sapeva che, se avesse anche solo osato fissarlo, la sua ira la avrebbe travolta in pieno.
“Mi domando dove hai il cervello!”
“Sei solo un’oca, ti sembra che IO possa aver bisogno di te?”
“E ti credi degna di poter stare accanto a me? Dovresti prima essere UTILE, dannazione!”
“Spero che tu almeno sappia come farMi andare via di qui!”.
Zachar ascoltò la lunga serie di insulti che piovevano su di lei; cos’altro avrebbe potuto fare, oltretutto? Aveva sbagliato per l’ennesima volta.
Non aveva altra scelta che chiedergli scusa e sperare nella sua magnanimità: “Kaspar …… io …… non volevo, non pensavo …… perd ……!”
CIAFF!
Il bruciore alla guancia venne soltanto dopo; Zachar si ritrovò riversa a terra, colta di sorpresa, con Kaspar che la fissava pieno di disprezzo. All’arrivo del dolore si portò una mano alla guancia, sentendola pulsare anche attraverso i propri guanti, con gli occhi che le si riempirono immediatamente di lacrime.
Cercò di trattenerle, perché Kaspar si irritava quando la vedeva piangere.
Ma non l’aveva mai colpita in quel modo, mai. Come era giunta a meritarsi quello schiaffo?
Ash entrò immediatamente nel suo campo visivo “Zachar, ehi? Ehi?”.
Senza capire bene come, si ritrovò tra le mani un fazzoletto “Kaspar è stato davvero cattivo con te! Perché non gliela fai vedere tu? Proprio come al torneo!”.
“NON CE NE SARA’ BISOGNO!”
Era la prima volta che sentiva la propria guida alzare la voce.
“SENTI UN PO’, TESTA DI MOCHO VILEDA, TI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO?”
Auron portò la sua mole e la sua spada davanti a lei, fermandosi a pochi passi da Kaspar; il braccio destro era sollevato, e la mano stringeva l’elsa della spada ancora ferma sulla sua schiena.
“E tu che vuoi, soldatino?” rispose Kaspar, evidentemente nervoso per l’intervento.
“Personalmente vorrei ficcarti la mia spada su per il culo, ma ringrazia la magnanimità dei membri dell’Organizzazione se non ti affetto qui!”.
“Uh, sto tremando di PAURA!”
Narratore: "leggetelo con il tono con cui Scar si rivolge a Zazu all’inizio del Re Leone."
“E fai bene!”.
La scena avvenne rapidamente: Kaspar mosse la mano con cui l'aveva appena colpita ed evocò due Sfere Infuocate, che si mossero ad un suo cenno e raggiunsero il bersaglio in meno di un battito d’occhi. Auron ebbe pochi istanti per estrarre la sua arma, ma abbastanza da mettere tra se stesso e Kaspar la solida lama. Quella s'illuminò di luce azzurra, ed il suo padrone la portò di taglio, colpendo in sequenza prima una poi l’altra Sfera Infuocata.
L’energia degli incantesimi rimase sull’arma per un po’ ed il guerriero rimase immobile, puntando i piedi, lasciando che i grandiosi incantesimi di Kaspar attraversassero la spada ed in essa si dissipassero.
Kaspar si passò una mano tra i capelli, fiero dell’effetto di argento luccicante che davano; però gli occhi apparivano disturbati. La maga era sicura che Kaspar NON aveva preso in considerazione che una singola arma potesse assorbire uno dei suoi incantesimi più potenti.
Poi chiamò a sé il potere del fulmine, illuminando il suo braccio “Vediamo se questo incantesimo ti insegnerà a startene al posto, mercenario!”.
La Catena di Fulmini guizzò rapida, ma si infranse lungo una parete; Auron aveva di nuovo attraversato il Corridoio Oscuro, sgusciando nelle ombre rapido, incalzante, molto più di quello che il suo fisico sembrava permettergli. Kaspar evidentemente sentì la magia di apertura, perché eresse intorno a sé una barriera gelida quando il suo avversario ricomparve dal nulla; la spada scivolò lungo l’incantesimo, caricandola per assorbirne la forza.
Zachar era certa di non aver mai visto un’arma simile. Si diceva che Lilancor, la spada che l’ammiraglio Daala aveva sottratto ad un drago e che adesso pendeva, rubata, al fianco dello stesso Kaspar, possedesse degli enormi poteri, ma lei non l’aveva mai vista in azione. L’incantesimo difensivo di Kaspar si incrinò, e lei vide i piccoli cristalli di ghiaccio sciogliersi lungo la lama, che si aprì un varco verso il suo obiettivo.
Ash era così nervoso che le stringeva il braccio.
Sentì un brivido percorrerle la schiena quando Kaspar avvolse la sua mano sinistra di Strali Oscure, attingendo in pieno ai poteri delle ombre; lui trovava gli incantesimi di Oscurità affascinanti ma poco coreografici, ma quando li sferrava voleva dire che si stava innervosendo oltre ogni misura.
Auron era spacciato, ne era certa.
Perché nessuno poteva competere con la foga di Kaspar.
E la guancia continuava a farle male.
“Ehi, Zachar, che succede?”.
I due duellanti si erano fermati. Il cozzare della lama contro la magia, il rumore di stivali e scarpe che battevano il pavimento, le parole che sussurravano incantesimi arcani svanirono come neve al sole; una brezza lieve era entrata nella stanza priva di finestre. Lei percepì la magia vibrare, cantare e danzare lì dentro, ed evidentemente anche Kaspar doveva essersi reso conto del cambiamento: con una mano ancora piena di magia si guardò intorno, voltando l'occhio in alto. Dal soffitto scendeva una cascata di petali rosa, accompagnata dal profumo più dolce che lei avesse mai sentito.
I petali sfioccarono uno ad uno verso il pavimento, apparentemente inesauribili. Auron aggrottò entrambe le sopracciglia, ma mantenne la sua spada ben piantata avanti a sé. Da un nuovo Portale Oscuro emerse una figura vestita di un lungo cappotto nero, che lasciava scoperta soltanto la parte inferiore, da cui sbucavano stivali altrettanto neri. Dei pendagli grigi si scontrarono tra loro, lasciando un suono argentino al passo del nuovo venuto, cambiando colore in vicinanza delle magie che aleggiavano ancora nella stanza. Ma la cosa che colpì maggiormente Zachar fu lo sguardo della nuova arrivata, che con la sua mera comparsa aveva calamitato lo sguardo di tutti i presenti.
Aveva degli occhi ancora più belli di quelli di Kaspar, di un azzurro profondo come le acque di un lago e, realizzò nemmeno due attimi più tardi, altrettanto pericolosi.


“Auron, cos’è questo trambusto?”.
Ash rimase a bocca aperta e non la richiuse per un bel po’. La donna si era mossa con grazia, lasciando cadere al suo massaggio una miriade di petali rosa che sbucavano ovunque, dal cappuccio alle maniche. Si era spostata in modo sinuoso verso il signor Auron, rivolgendo a lui ed a Zachar un sorriso inquietante per poi portarsi a meno di tre passi da Kaspar.
I suoi capelli erano di un rosa vivo, mossi, che le giungevano fino alle spalle, proprio come una corolla di fiori su un viso pallido ma fermo; era molto più alta della maggior parte delle ragazze che Ash aveva mai visto (non tantissime, a dire la verità) e dalle spalle larghe e ferme che accompagnavano un passo delicato ma deciso.
Poi aveva parlato.
E la voce NON era assolutamente quella di una ragazza.
No, decisamente no.
Auron abbassò la testa in segno di rispetto: “Padron Marluxia, mi scusi. Non intendevo disturbarla”.
Il sorriso del nuovo arrivato era terribilmente inquietante “Non temere, Auron. Da quel che mi dicono vari uccellini anche Mu ha avuto diversi problemi con il suo Intercessore”.
Ah, allora questo / a è uno dei fantomatici Membri dell’Organizzazione! pensò Ash, fissando sbalordito gli abiti e le fattezze del / della nuovo / a arrivato / a.
Ha degli occhi che mettono davvero paura …… brr …… appena torno a casa devo assolutamente chiedere un consiglio a Brock! Lui è così esperto con le ragazze che saprà dirmi se questo / a qui è un uomo o una donna!
Per quanto Auron fosse più alto e minaccioso del membro dell’Organizzazione, questo padron Marluxia doveva incutergli un certo timore. Il soldato infatti si era ritratto subito, abbandonando il tono furioso con cui si stava rivolgendo a Kaspar pochi minuti prima; ma evidentemente il mago non doveva essere rimasto poi così colpito dal nuovo arrivato, perché sfoderò uno dei suoi sorrisi più pericolosi, scosse il mantello per avere un po’ di coreografia, si sistemò con grazia i capelli per coprire l’Occhio Millenario e si avvicinò all’ uomo che continuava a perdere petali come un ciliegio nel pieno della sua fioritura.
“Tu saresti quello che comanda qui dentro?”.
Un altro sorriso gelido in risposta: “Tecnicamente sì”.
“Quindi sei stato TU a dire a questo stupido soldato di rapire Zachar per arrivare fino a me, giusto?”
“Oh, è stato il Castello dell’Oblio a scegliervi, non di certo io”.
Lo sguardo di Ash impazzava per la stanza: Zachar era ancora accanto a lui, con gli occhi sgranati e la guancia colpita che era diventata ancora più rossa e gonfia. Auron aveva ancora la spada sguainata, ma sembrava assolutamente paralizzato dall’apparizione di questo Marluxia.
I petali non cadevano più dal soffitto, ma avevano lasciato un odore dolciastro, proprio come quello di un Vileplume o di decine di rose avvizzite ed abbandonate su un balcone; quelli che avevano toccato terra, trasportati da una brezza leggera, vorticavano rapidamente sul pavimento, raccogliendosi in un’unica massa rosa che si avvicinava a Kaspar. Provò ad indicare la cosa a Zachar, sicuro che si trattasse di una magia non esattamente benevola, ma la ragazza non rispondeva né alle sue parole né ai mille tentativi di tirarle la manica.
I suoi occhi verdi erano sgranati, fissi soltanto su Kaspar.
L’uomo dai capelli rosa scivolò in avanti, portandosi a pochi centimetri dalla faccia del suo avversario.
O è pazzo o è stupido! Nemmeno papà Impe si avvicinerebbe così tanto a Kaspar! Cioè, lo farebbe solo se Kaspar fosse immobilizzato, senza un braccio ma magari anche due e sotto almeno un centinaio di scudi anti-magia!
“La cosa ti disturba, Intercessore?”.
“Non sono un Intercessore. Sono Kaspar, il più potente stregone che esista! E faresti bene a ricordartelo, obbrobrio di sesso confuso!”.
Le sopracciglia (cielo, sono rosa anche quelle!) assunsero una piega minacciosa, e come risposta i petali alle spalle di Kaspar si agitarono di nuovo, vivissimi, fino a quando la massa trasportata dal vento non cambiò colore, passando dal marrone ad un verde intenso. “Padron Marluxia, mi autorizza a spaccare la faccia a questo qui?”.
Si mette male ……
“Per ora ci serve intero, Auron. Non dimenticartelo”.
“Ma la ha insultata, padrone!”
“Allora perché non hai mai rotto uno zigomo o due ad Axel? La cosa non mi sarebbe affatto dispiaciuta!” Ash non capì di chi stessero parlando, ma la loro guida divenne rossa come il suo soprabito.
Gli occhi del Membro dell’Organizzazione scintillarono, profondi come il mare di Kamino ed ancora più tempestosi “Però ……” il suo tono mellifluo faceva accapponare la pelle “…… il nostro gentile Intercessore dovrebbe imparare come comportarsi alla presenza di un padrone del Castello!”
Si mette MOLTO male ……
L’uomo alzò il braccio, accompagnato dal fruscio del suo abito nero. Da sopra la sua testa cadde un solo, unico petalo, di un rosa più vivo degli altri e grande almeno il doppio; attraversò l’aria con deliberata lentezza, incurante dello sguardo dei tre nuovi venuti, scivolando come mosso da un vento impalpabile. Appena toccò il palmo del Membro dell’Organizzazione brillò, carico di energia, esplodendo in centinaia di nuovi petali, una cascata rosa, rosso sangue e persino nera; il braccio dell’uomo si abbassò, e nella sua mano destra era apparsa un’enorme falce.
Si mette DAVVERO male ……
In altre situazioni Ash avrebbe pensato che quella falce fosse stata l’arma più ridicola che avesse mai visto nel corso della sua breve ma assai movimentata vita. Il manico, lungo e leggermente ricurvo, era di un verde intenso, sormontato in cima da uno strano simbolo bianco e giallo, che ricordava un paio di strane decorazioni che aveva notato nello stesso Castello. La lama della falce era di un rosa molto intenso, quasi rosso, dalla lama curva e appuntita in più segmenti, che conferiva all’arma l’aspetto di un fiore sul suo stelo. Ma nelle mani di quell’uomo, con quel sorriso e quegli occhi pericolosi, Ash non ci trovò assolutamente nulla da ridere.
SONO CAVOLI!
Con l’istinto di sopravvivenza che gli aveva permesso di arrivare con tutti gli organi e gli arti al loro posto senza mai passare per una condanna a morte dell’Imperatore, Ash acchiappò Zachar per le spalle e la spinse, faccia e ventre a terra, contro la parete alla loro sinistra. Qualche centimetro sopra le loro teste l’aria vibrò, mossa dal braccio del Membro dell’Organizzazione, caricata di una qualche forma di energia; Kaspar non fu abbastanza svelto ad erigere un incantesimo di protezione, perché volò all’indietro contro una colonna.
“Il più potente stregone che esista …… ? Ho visto ragazzini rispondere meglio al mio colpo!”.
I petali che si erano accumulati nella stanza si contorsero, fondendosi, e a quel colore verde smeraldo prese forma una pianta gigantesca, che coprì con le sue spire tutto lo spazio che separava l’uomo dai capelli rosa da Kaspar.
Kaspar si rialzò, sgusciando dietro la colonna, lasciando che il vegetale appena evocato si attorcigliasse dietro il pilastro bianco. La sua faccia era furiosa, ed in pochi secondi Ash vide se stesso trasformato in un simpatico mucchietto di cenere “Posso evocare molto di meglio di una piantina!”.
Un instante più tardi una vampata di fuoco rosso scaturì dalla sua mano destra e colpì il vegetale come una lunga, massiccia lancia fiammeggiante; la sollevò e la scagliò indietro, incenerendo una delle sue ramificazioni. La pianta iniziò a contorcersi su se stessa, poi restò immobile mentre qualche altro filo di fumo esalava dalle sue fibre.
“TUTTO QUI?” gridò Kaspar. Un attimo dopo si lanciò verso l’avversario con le mani, di nuovo avvolte dalle fiamme, volte verso l’alto, un’arma di selvaggia magia. Verso il soffitto, constatò Ash con orrore, si erano formate diverse scintille che si aggregavano fra loro, preparando la strada per il distruttivo Sciame di Meteore che poteva mettere chiunque in seria difficoltà. L’aria si era fatta incandescente, e trascinò una Zachar ancora allibita più lontano possibile dal raggio d’azione del mago.
Quel Marluxia non si mosse.
Il fuoco scaturì nuovamente prima tra le sue dita e poi dall’alto, diretto contro l’avversario da una decina di direzioni diverse.
Poi Auron apparve di nuovo dal nulla, teletrasportandosi con uno dei suoi portali e si fermò tra le fiamme ed il suo padrone, impugnando la sua enorme spada che adesso brillava di una luce rossastra tale da sembrare essa stessa composta di fiamme. Lo Sciame di Meteore partì senza esitazione, una macchina di morte che correva contro i suoi avversari, pronta a non lasciare nulla di loro a parte le loro armi. Ma Auron le affrontò senza fuggire, con l’arma posta davanti e di taglio a sé.
Nonostante il calore, la schiena di Ash si imperlò di sudore “Zachar, ti prego, dimmi che SAI cosa dobbiamo fare ……”
La lama di Auron si portò verticalmente e poi di lato, intercettando con mortale precisione ognuna delle sfere infuocate dirette contro il suo padrone; gli occhi di quello erano chiusi, immobili, e soltanto la presa delle dita sul manico della falce tradiva un certo nervosismo, ma non ce ne fu bisogno. L’arma della loro guida si illuminò ad ogni colpo, diventando più intensa delle fiamme stesse, e per ogni sfera infuocata che colpiva la spediva lontano; quasi tutte si schiantarono sul pavimento o sul soffitto, lasciando notevoli segni neri, ma un paio arrivarono addirittura a Kaspar.
Il mago, pur non avendo calcolato la mossa, si avvolse nel suo mantello e fece sparire il contrattacco.
Quando lo Sciame di Meteore si dissolse, la loro guida abbassò l’arma, Era stanco, provato, il respiro affannato ed il braccio destro spossato dalla fatica. L’abito era più liso di prima e Ash intravide il sego di una bruciatura sul collo; ma si sentì sollevato nel vederlo tutto sommato intero.
Nessuno prima d’ora aveva mai respinto un incantesimo di Kaspar: ed il mago doveva saperlo bene, perché era ancora più furioso di prima, con gli occhi che non si fermavano mai e mantenevano una guardia costante, finché non si fermarono proprio su di loro due. Era la seconda volta che quel soldato parava le sue magie.
“Zachar, forza, che aspetti a darmi una mano?”.
“Non credo che ne avrai bisogno. Non ti servirà quella ragazza”. L’uomo dai capelli rosa, che non si era mosso per tutta la durata dello scontro, si fece avanti scrollandosi dalle spalle la cenere che ancora fluttuava. Aveva perso il sorriso del suo ingresso, ma il suo sguardo era carico di determinazione.
“O meglio …… dopo avrai bisogno di un bravo mago guaritore ……”
Un’aura oscura avvolse la falce, che iniziò a rilasciare petali. Sembrava che la stessa oscurità avesse deciso di rispondere alla chiamata di quell’uomo. Un passo in avanti ed un portale Oscuro lo avvolse ed il passo successivo era lì, a meno di un metro da Kaspar, lasciando che fosse la lama rosa ad emergere dalle tenebre prima del suo stesso corpo.
Zachar si alzò, ma non fece in tempo.
Quel Marluxia roteò l’arma in una spirale, portando con sé tutta l’Oscurità che sembrava nascosta in quel portale. Mosse il braccio rapidamente, Ash non riuscì a seguirne del tutto la traiettoria, vide solo punte di rosa, giallo e verde che sembravano danzare nella notte. Ne seguì un’esplosione enorme, e Kaspar, colpito tra capo e collo, al petto ed alle gambe volò all’indietro, attraversando tutta la lunghezza dell’anticamera. Non appena toccò terra il sangue iniziò a sgorgare copioso ed Ash, che proprio non riusciva a sopportarlo, si nascose gli occhi dietro le mani.
Da quella posizione notò assai poco, tranne che quel Marluxia, con grazia e lentezza, aprì la mano. La falce rimase in aria per qualche secondo, ancora pulsante di magia, poi si dissolse in una cascata di petali rossastri neri. Nella stanza regnò il silenzio, rotto soltanto dal respiro affannoso di Auron, che era caduto su un ginocchio e tentava di rinfoderare la spada; Ash poteva sentire il proprio cuore andare a mille, perché soltanto Zam Wesell era mai riuscita a mettere Kaspar a cuccia.
“Eccellente lavoro, Auron” fece l’uomo, rivolgendo i suoi passi verso il mago disteso a terra “Devo ammetterlo, Vexen ha fatto miracoli con la tua spada”.
“Padron Vexen è saggio e potente. Nessun suo lavoro è mai fallito!”.
“Sì, come no ……” si inchinò accanto a Kaspar, scostando gli abiti insanguinati e puntando dritto alle sue tasche ed alle sue mani.
Zachar si sollevò di scatto: “NON TOCCARLO!”.
“Signorina Invocatrice, le ripeto, per il momento mi serve vivo” si rimise in piedi e fissò proprio il punto dove si trovavano loro due. Nella mano sinistra, ancora grondante di sangue, stava l’Occhio Millenario. E, comprese Ash con terrore, nel Portale Oscuro che si era formato alle sue spalle stavano prendendo il volo diversi oggetti, luminosi e non, che pochi attimi prima facevano parte della collezione dei furti di Kaspar.
“Come osi!”
La ragazza creò tra le sue dita una piccola lama violacea e la scagliò contro l’uomo che aveva appena sconfitto e derubato l’unica persona che per lei importasse; ma quel Marluxia si spostò di pochi passi, lasciando che l’attacco venisse assorbito dalle candide pareti del castello.
Zachar, ti prego, non lo irritare …… non lo fare …… ti prego …… o, se proprio devi, fallo quando io sono uscito dal suo raggio d’azione, ti prego……
“Madamigella, sono desolato nel dover dire che il nostro primo incontro non è stato dei più piacevoli” rivolse lo sguardo a Kaspar, ancora immobile sul pavimento, svenuto, ancora ignaro di aver perso i suoi inseparabili tesori “Le consiglio di tenere a freno il suo Intercessore la prossima volta ……”
Il suo ultimo sorriso colpì Ash ancora più nel profondo; c’era qualcosa che trasudava pericolo da quelle stesse labbra, come un predatore che invitasse le proprie vittime a seguirlo nella sua tana. Stavano giocando alla sua partita, e dovevano rimanere tutti interi. Se Kaspar non era riuscito a fermare anche solo uno di quei Membri dell’Organizzazione voleva dire che erano davvero nei guai.
“Ah, Auron …… ti consiglio di andare. Ti assicuro che la seconda Stanza della Memoria è ancora libera e pronta ad attendere i nostri ospiti”.
Gli occhi blu dell’uomo fissarono con voluta lentezza tutti i presenti, poi svanirono insieme a lui in un altro portale, che sfioccò nell’aria accompagnato da un’esplosione di petali neri.
Zachar corse verso Kaspar, mentre Auron, barcollando, si diresse verso l’enorme portone che sembrava volesse inghiottirli, per poi acchiappare il mago svenuto. Né Ash né la ragazza riuscirono ad obiettare, perché l’attimo successivo furono nuovamente avvolti nella luce ed abbandonarono l’anticamera ancora segnata dallo scontro mortale.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - C'è sempre una prima volta ***


Capitolo 6 - C'è sempre una prima volta


Ash ketchum

Ash e Pikachu




C’era una pioggia fitta e incontrollabile. Il sole era ormai calato, lasciando sui vetri delle finestre soltanto il ticchettare delle gocce d’acqua che scendevano senza sosta, impedendole la maggior parte della visuale. Zachar però cercava animatamente di scrutare oltre il vetro, di proiettare il suo sguardo oltre quella massa d’acqua, alla ricerca di tracce della città in cui erano apparsi.
Dunque questa è la Terra I. La romantica e famosa Terra I, dove tutti vanno almeno una volta nella vita …… quanto vorrei andarci …… io e Kaspar, soltanto noi due ……
La nuova Stanza della Memoria li aveva accolti in un luogo riscaldato ed asciutto, pieno di tavoli e di gente che mangiava, parlava o beveva; uomini e donne seduti, che guardavano con preoccupazione l’acqua che scendeva oppure che dedicavano le loro attenzioni al cibo o alla musica. Su un soppalco diversa gente sembrava in fermento. Un ristorante semplice, una miseria in confronto a quelli di Coruscant, ma caldo ed accogliente.
Torino, ecco come si chiamava quella città.
Non appena Ash aveva messo piede in quel locale si era guardato intorno, come se stesse rivivendo un sogno. Ed in effetti era proprio così, le aveva detto il ragazzo. Quel luogo veniva dai suoi ricordi, durante una delle primissime missioni per conto dell’Impero e, come disse con un sorrisetto indecifrabile, la prima volta che ebbe dei contatti con l’Alleanza Ribelle.
“Sai, all’inizio io, Misty e Brock non avevamo nemmeno ben capito chi ci avesse contattato. Credevamo che questa storia dell’Impero e dell’Alleanza fosse una simpatica versione del gioco delle guardie e dei ladri. Dovevamo aiutare l’Impero a studiare i Pokémon, e non ci sembrava vero che qualcuno avesse chiesto il nostro aiuto. Ci sentivamo davvero importanti!”. “E non ti dispiace aver lasciato la Terra I? Era la tua casa, in fondo …” “Oh beh!” rispose lui, grattandosi la testa “All’Impero si possono vivere un sacco di avventure! Lo so che i Signori Oscuri ridono alle mie spalle, ma anche a casa la gente mi diceva che ero stupido e non capivo niente!”. Scosse il capo, come ad allontanare dei pensieri negativi, poi si allontanò verso un gruppo di figure che stavano sedute ad un bancone.
Come al solito la gente non faceva caso a lei, perciò si era preoccupata subito di appoggiare il corpo straziato di Kaspar su un divano, curandolo al meglio delle proprie capacità; Kaspar non le aveva mai insegnato molto di magia bianca, perciò non era una guaritrice eccezionale. Aveva appoggiato lo stesso le mani sul corpo dell’amato, cercando di velocizzare la guarigione delle ferite.
Aveva usato parte del suo tocco anche con Auron: il guerriero, impegnato dallo scontro, si era lasciato cadere su un divanetto, la spada tra le mani, versando l’acqua contenuta in una bottiglia sui segni delle scottature. Senza aggiungere altro gli si era avvicinata ed aveva fatto scomparire il bruciore, sorridendogli.
Nonostante tutto, quell’Auron era una persona buona. Aveva preso le sue difese, e nessuno oltre Kaspar aveva mai fatto una cosa simile.
Continuava a piovere senza sosta, sempre con maggior violenza. La sagoma della Mole Antonelliana, l’edificio più famoso di Torino, che fino a qualche attimo prima si stagliata nel cielo come un monito, adesso sembrava inghiottita da enormi nuvole nere, cariche di pioggia e di fulmini nascosti. Chissà se tutta quell’acqua era un’invenzione della Stanza oppure le cose erano andate davvero così nei ricordi di Ash.
Cercò con lo sguardo il ragazzo: seduto ad un tavolo con i bicchieri pieni di aranciata, stava scambiando battute con i ricordi animati di Misty e Brock, quei due suoi amici che Zachar aveva incontrato qualche volta in giro per Coruscant. Di certo non erano loro, ma solo altri fantasmi della Stanza della Memoria: eppure Ash sorrideva, scherzava, faceva battute ad alta voce proprio come se si trovasse davvero nella piovosa Torino di molti anni prima.
Senza che nemmeno lo avesse chiesto, un cameriere le fece scivolare in mano un bicchiere di cristallo con una bevanda rosata, dolce, frizzante sotto la lingua; Zachar lo assaporò e si sedette su una sedia alta accanto al divano dove riposava Kaspar, contemplando le mosse di Ash.
Quello era un suo ricordo, e solo lui sapeva come muoversi.
Narratore: "Zachar non è molto famosa per la sua intelligenza, quindi non ha preso in considerazione quanto possa essere poco saggio fidarsi di Ash. Una cosa del genere un membro del Trio Destroyer non l’avrebbe MAI fatta!"
Notò che, dal soppalco rialzato, avevano fatto la loro comparsa due nuove ragazzine, vestite in maniera quasi carnevalesca. La più grande, una tredicenne dai capelli neri ed i grandi occhi viola, stava palesemente improvvisando una camminata quasi sensuale, con un top verde e una minigonna che avrebbe fatto sfigurare quelle delle donne delle case di piacere di Coruscant. Ed anche la più piccola non scherzava: un trucco pesante, quasi finto su una bambolina della sua età, finiva per sciupare la sua faccia rotonda e morbida, dai capelli lunghi e rosa raccolti in un modo curioso.
Era certa di averle già viste da qualche parte.
Le guardò di nuovo, perdendosi per qualche secondo nelle proprie riflessioni.
Lei non era mai stata bambina: le creature selezionate per diventare i Quattro Malvagi nascevano da dei bozzoli e ne uscivano già adulti e formati, con tutte le conoscenze necessarie alla loro sopravvivenza già insite in loro. Non era mai stata come quella combriccola, non aveva mai avuto altri vestiti che le divise che le erano state assegnate, non aveva mai cercato di fare la corte a qualche suo coetaneo.
Non aveva mai giocato.
Le due nuove arrivate non avevano ancora finito di scendere le scale che il ricordo di Brock si alzò di scatto, lasciando cadere la propria sedia, e si tuffò verso la ragazza dai capelli neri: “Salve, meravigliosa fata! Io sono Brock!”.
“Ehm…… salve! Io sono Ottavia!” rispose quella, palesemente in imbarazzo. Con quei suoi vestiti sembrava che avesse voluto attirare l’attenzione di tutti i maschi eppure, a ben vedere, non sembrava assolutamente felice di fare la conoscenza con l’allenatore di Pokémon.
“Lo so, sei intimidita dal mio fascino sproporzionato, ma non ti preoccupare: dammi del tu e dì pure sinceramente che sei pazza di me!”.
Ash, dall’altra parte, aveva uno sguardo tra il divertito ed il serio, come se stesse riflettendo su quello che per lui era un copione già visto, una scena di cui, per una volta, conosceva già la regia. Il suo Pikachou era molto agitato, ed iniziò a mandare delle piccole scosse elettriche quando l’altra bambina, quella dai capelli rosa, si sedette sul divano proprio accanto a lui. Zachar notò che la faccia di Misty non era delle più felici.
“I tuoi occhi profondi come il cielo esprimono tutta la poesia del tuo animo. Non mi servono parole! La tua bellezza e la tua grazia mi soddisfano!”.
“Ti trovo anche io affascinante, Brock!” fece la ragazza, con una chiara espressione di disgusto.
La maga era sempre più incuriosita da quella scena. Appoggiò la schiena sulla sedia, allungò il braccio ed assaporò un altro bicchiere di quel buon liquido spumeggiante, dimenticandosi per la prima volta di avere Kaspar poco distante da lei. Quello strano teatrino davanti ai suoi occhi aveva qualcosa di magico, particolare, curioso come poche cose nella sua vita. Le due nuove arrivate, con i loro vestiti singolari, erano riuscite ad attirare l’attenzione di Ash, Misty e Brock, eppure dalle loro espressioni riusciva a comprendere che vi era ben poco di vero e gioioso nei loro gesti. Stavano palesemente nascondendo qualcosa, ed era altrettanto evidente che Brock e gli altri vi erano cascati in pieno. Parte di lei era così sorpresa dalla scena chiassosa e colorata che si dimenticò persino che tutti, lì dentro, erano solo il frutto delle illusioni di Ash.
“Perfetto, se è così preparerò una gran festa per il mio matrimonio domani!”.
“COOOSA, cioè, voglio dire, come, caro Brock, non ti sembra di fare una cosa affrettata?”.
Le venne da ridere.
Così, semplicemente.
Non stava capendo nulla di quella scena, ma le espressioni di quel Brock, i tentativi della ragazza di sgusciare come un’anguilla, le smorfie quasi seducenti che la bambina dai capelli rosa indirizzava ad Ash erano uniche.
Brock provò a prendere quell’Ottavia per la vita, e lei per divincolarsi inciampò su dei tacchi troppo alti per lei, mandando all’aria un paio di tavolini e rovesciando diverse bevande dai colori indefiniti sul pavimento. Nessuno protestò, nessun cameriere venne a rimproverarli, ma il ragazzo se approfittò per tenderle cavallerescamente la mano. La bambina dai capelli rosa si alzò dal divano e corse verso di lei, facendola alzare prima che quel maniaco di Brock la sollevasse tra le braccia.
“Brock, ti presento mia sorella Chibiusa” fece lei, riprendendo l’equilibrio “In realtà siamo venute qui per conoscere te ed i tuoi amici! Siete così famosi …… ho sentito dire che siete gli allenatori di Pokémon più forti, abili ed astuti della storia”.
Il suo tono falso e smielato non avrebbe ingannato nessuno.
Nessuno tranne Brock.
In un attimo le due nuove arrivate furono praticamente immobilizzate al tavolo dove già sedevano i tre allenatori. Ash si alzò e le strizzò l’occhio.
Zachar non sapeva bene cosa fare, ma trovò naturale rifargli l’occhiolino. All’Impero tutti sostenevano che Ash fosse un moccioso stupido, incompetente ed idiota: un ragazzino che ficcava il naso dappertutto e che veniva allontanato sistematicamente da qualsiasi incarico delicato. Eppure era lì, faccia a faccia con il suo passato, a suo agio come un pesce nel mare blu.
Quando lei aveva affrontato la propria Stanza della Memoria non aveva fatto altro che piangere, dimenarsi, aspettare soltanto che Kaspar arrivasse a risolvere i suoi guai; Ash invece stava giocando in solitario, e dimostrava molto più coraggio di quanto nessuno potesse mai ammettere.
Forse era un ingenuo, ma di certo non uno stupido.
“Vado un attimo in bagno!” disse ad alta voce, e con quella scusa si avvicinò a lei.
“Te la stai cavando alla grande!” rispose, sincera dal profondo del cuore.
Lui sorrise, ed i suoi occhi andarono al soppalco soppalco da dove erano appare le due strane ragazze.
Fu lì che Zachar li vide: almeno una ventina tra uomini, donne e ragazzi era in subbuglio; armeggiavano tra le sedie ed i tavoli, smuovevano enormi sacchi e si scambiavano battute ed insulti.
“Quella volta, tanti anni fa, ci cascammo in pieno ……”
“In che senso, Ash?”
“Ottavia, Chibiusa …… è tutta una messinscena dei Ribelli”.
I Ribelli …… lei guardò in alto, e in effetti li riconobbe. Erano tanti, troppi, ma qualcuno dei loro visi era assolutamente indimenticabile; un paio di loro stavano provando degli strani costumi, alcuni cercavano senza successo di stiparsi nelle toilette, altri ancora stavano facendo degli strani gesti ad Ottavia.
“Quella volta proprio non ce ne accorgemmo!” fece Ash, guardando quasi divertito il tavolo dove i propri amici continuavano la loro conversazione, come congelati in una scena che apparteneva solo al passato. Quei sorrisi, i trucchi, le smorfie, per un attimo Zachar sentì come se quei momenti di spensieratezza fossero incastonati nella memoria di Ash, accompagnati ad un misto di sentimenti che non era in grado di descrivere appieno.
“Ottavia e Chibiusa sono delle Guerriere Sailor …… il loro compito era travestirsi e conquistare la fiducia mia e di Brock per potersi introdurre in un laboratorio segreto dove l’Impero stava studiando i Pokémon. E con Brock …… devo ammettere che ci sono riusciti in pieno! Come se poi fosse difficile attirare Brock ……!”
Lo disse con un sorriso mesto, e Zachar non gli chiese di più.
Forse Ash aveva creduto davvero a quella strana avventura, e l’idea di essere stato raggirato doveva fargli male. Buffo, pensare che nessun imperiale si fosse mai preoccupato dei suoi sentimenti. Dall’alto i Ribelli stavano preparando un teatrino davvero singolare: chi si travestiva, chi si truccavano, stavano facendo un trambusto incredibile senza che nessuno venisse a fermarli. Uno di loro provò spudoratamente dei baffi finti.
"Si sono finti la famiglia di Chibiusa ed Ottavia! Quella volta misero su uno show niente male, è la loro specialità, dopotutto!" fece lui, lasciando un forte sospiro.
Ash è …… realmente …… caduto in una trappola come questa? Insomma, si sarebbe capito lontano un miglio che stavano cercando di raggirarli …… Ma come ha fatto a ……
Ma lasciò che le parole le morissero in gola, seguendo con gli occhi lo sguardo che Ash dirigeva ai suoi compagni, ancora immersi nelle loro chiacchiere, con le sfere Poké in bella vista e con le loro creature che facevano un allegro sfoggio dei loro poteri.
Non aveva il diritto di dargli dello stupido. In fondo, rifletté, anche lei era stata raggirata da forze più grandi, e aveva rischiato addirittura la vita. Anzi, si chiese se forse non dovesse imparare qualcosa da quel ragazzino con il berretto rosso e le sue sfere Poké sempre in tasca.
Poi i suoi occhi tornarono verso Auron, che aveva osservato la scena senza muovere un muscolo, intento soltanto a stringere la propria spada e tenere i ragazzi sotto controllo; lei si ricordò che non erano in quella Stanza soltanto per rivangare i vecchi ricordi “Ash …… hai idea di quale possa essere la prova? C’è qualcosa che non va nei tuoi ricordi?”.
“No …… per adesso è proprio tutto come un tempo. Misty e Brock stanno cadendo nella trappola come quella volta, e penso che li asseconderò; ma quando ci sarà un cambiamento te lo dirò! Fidati!”.
Le fece quel suo strano gesto di vittoria con le dita e tornò al suo tavolo, dove Chibiusa, la Sailor dai capelli rosa, lo avvinghiò letteralmente e gli riempì la bocca di dolcetti.
Certo che mi fido … puoi scommetterci, Ash!


“Mi domando cosa ci trovi di tanto divertente!”.
Ash, Misty e Brock erano saliti al piano superiore, guidati dalle loro nuove amichi: c’era agitazione là sopra, una valanga di Ribelli nascosti ovunque, dietro le piante, nei bagni, qualcuno persino appeso sopra il lampadario. Gli unici rimasti intorno ad un tavolo erano una manciata, tutti travestiti come se fossero un’allegra famigliola, mentre i tre giovani allenatori di Pokémon non sembravano accorgersi di essere vittime di una grande burla dei Ribelli.
“Zachar, gradirei essere ascoltato quando parlo!”.
La ragazza staccò gli occhi dalla scena, trovandosi a fissare Kaspar. Quel Marluxia gli aveva portato via assolutamente tutto: la spada, il sacchetto con le Pietre Dimensionali, gli oggetti Millenari che portava al collo. E perfino l’Occhio.
Ma i suoi occhi veri, brillanti e vivi, esprimevano al meglio la rabbia e la frustrazione di Kaspar: guizzavano da una sedia all’altra, maledicendo in silenzio ogni singolo tavolo, ogni singolo cliente, ogni singolo Ribelle che entrasse nel loro raggio d’azione.
Poche volte lo aveva visto così furioso.
Ed umiliato.
Nessuno si era mai preso gioco di lui come quel Marluxia.
Gli occhi di ghiaccio si fermarono su di lei, la donna che era sempre stata al suo fianco, che l’aveva curato e protetto. Ma la sua espressione non cambia, osservò Zachar.
Mi guarda con odio …… come se fossi sua nemica ……ma io non lo sono, non ……
“Zachar!” la sua voce era il sibilo di una frusta “Dov’è quel maledetto Membro dell’Organizzazione, dov’è? E dove ci troviamo?”.
Lei gli rispose, prendendo il suo tempo nel raccontare tutto. Le Stanze della Memoria, il Castello dell’Oblio, le promesse di Auron, tutto questo mentre i suoi occhi verdi fissavano i Ribelli, cercando in silenzio il suo amico che si era di nuovo buttato a capofitto nella trappola dei loro nemici. Uno di loro parlava in un falsetto palesemente inventato, ed era un nano quel piccolo fagotto barbuto che spacciavano per un neonato?
La sua mano cercò quella di Kaspar, come se volesse condividere con lui quei momenti. Certo, erano in una situazione scomoda e pericolosa, ma erano insieme: erano una combinazione in grado di superare ogni ostacolo, i loro cuori ed i loro poteri congiunti. Ma la mano dell’uomo che amava non raggiunse la sua: era stretta in un pugno intorno a cui zampillavano incantesimi pronti a rispondere alla sua chiamata, era la mano con cui avrebbe voluto uccidere l’uomo dai capelli rosa che lo aveva ridotto in quel modo.
Zachar si rese conto che le sue parole ed il racconto non avevano raggiunto il suo cuore; non l’aveva ascoltata nemmeno per un attimo, immerso com’era nei suoi pensieri.
“Invece di ridere tanto alle battute di quel ragazzino idiota dovresti pensare a come aiutarmi quando prenderò a Palle di Fuoco quella stupida guida ed i suoi padroni! Gliela farò vedere io!”.
Zachar non si accorse che, per la prima volta, non aveva obbedito al suo volere.
I suoi occhi smeraldo erano fissi su Ash ed i suoi amici, nonché sulla loro bizzarra famiglia. Vide due Ribelli fingersi i genitori di Chibiusa ed Ottavia e riempire di complimenti i tre giovani allenatori di Pokémon, notò i sorrisi, le caramelle che passavano di mano in mano, le pacche sulle spalle, le voci spensierate.
Per la prima volta finse soltanto di ascoltare le parole altisonanti di Kaspar, lasciando che il suo cuore ed i suoi pensieri andassero lontano da lui.
Il nano travestito da poppante ruttò vigorosamente, e lei si fece scappare l’ennesima risata della serata.


"Su, forza, andiamo a fare un bel giretto romantico!" fece Ottavia, prendendo Brock per la mano e lanciando un sorriso mieloso.
"Dove va la mia Venere io la seguirò! Forza, Ash, la serata è tutta per noi!".
Ash, con Chibiusa appoggiata al suo braccio come una coppia di sposini, si voltò per salutare Zachar e poi fu inghiottito dalla pioggia e dalla gente che circolava a Torino persino in una serata come quella.
Zachar intonò un incantesimo che l’avrebbe riparata da tutta quell’acqua e si preparò ad uscire, controllando che i suoi capelli fossero ben legati e che la magia rispondesse come al solito; non voleva perdere di vista il ragazzo, specie perché non aveva idea di come si potesse manifestare la prova. La maniglia della porta era fredda al tatto.
Poi Kaspar la fece ritornare sui suoi passi: “Dove te ne stai andando, eh, Zachar?”.
“A controllare Ash!”.
“Resta qui seduta! Ho bisogno dei tuoi poteri per riprendere le forze!”.
“Ma … ma se non vado, io ……”
I suoi occhi brillarono: “Da quando in qua questioni i miei ordini, cervello di gallina?”.
“Invocatrice, lei ha ragione, dovrebbe proprio andare con Ash”.
Auron lasciò la posa immobile a cui si era abbandonato pochi minuti prima; allungò un braccio e si versò della birra in un bicchiere appoggiato al tavolo vicino. L’unico suo occhio aperto si fermò su Kaspar, indagando il mago senza mai perdere il contatto con la propria lama: “La prova di questa stanza ruoterà intorno al ragazzo, quindi è bene che lei vada con Ash, Invocatrice”.
“Da quando in qua dai ordini alla MIA ragazza? Zachar, non ti azzardare nemmeno ad ascoltarlo!”.
Lei passò lo sguardo dall’uno all’altro, ma i suoi occhi corsero alla porta del ristorante. Non era solo la prova ciò di cui era preoccupata: temeva per Ash, che non fosse in grado di badare a se stesso, che non riuscisse a fronteggiare con fermezza i propri ricordi.
Il cuore le andava a mille, perché da quando era entrata in quel castello bianco il suo corpo non tremava al sentire gli ordini di Kaspar, le sue gambe non si muovevano spontaneamente verso lui, la sua testa non era occupata solo e soltanto da lui.
Il suo “Mi dispiace” si perse nella pioggia.
Aveva visto tanta acqua scendere dal cielo soltanto sul periferico pianeta di Kamino, famoso per i suoi temporali e maremoti, dove le città erano vere roccaforti che sorgevano negli oceani e sfidavano ogni giorno la collera degli abissi. Torino, come moltissime città della Terra I, normalmente godeva di un clima accettabile, e mai la ragazza avrebbe pensato di trovarsi nel bel mezzo di un nubifragio. I suoi stivali neri avanzavano a fatica tra i fiumi di fango che inondavano le strade; vide un’automobile, uno di quei ridicoli mezzi di trasporto che usavano su quel pianeta, venire trascinata per decine di metri. L’acqua cozzava contro la sua protezione energetica, lasciandola asciutta, ma lo stesso non poteva dirlo per gli abitanti di quel ricordo: correvano alla rinfusa, si raccoglievano sotto decine di ombrelli o si chiudevano nelle case.
Trovare Ash non fu difficile: estese un suo incantesimo di divinazione per tutta la stanza e la città virtuale, lasciando che la stria luminosa le guidasse il passo tra gli alti palazzi, i giardini e le strade.
Non osava pensare a quello che Kaspar le avrebbe urlato contro quando fosse tornata indietro.
Probabilmente l’avrebbe colpita di nuovo. O peggio, l’avrebbe odiata.
Poi lo sentì di nuovo. Il freddo pungente, quella morsa di gelo che penetrava sin nelle ossa. Non era la temperatura di quella stanza ma qualcosa di più forte, sovrannaturale: era quello stesso freddo intenso che l’aveva pervasa nello scontro contro il demone e contro il ricordo di Endimion.
Scacciò l’immagine nelle sopracciglia aggrottate di Kaspar che riempiva la sua mente.
Non riusciva a capire in quale direzione si stesse muovendo, né sarebbe riuscita a tornare indietro con le sue forze; stanca di venir rallentata dal pantano ai suoi piedi si arrampicò su un balconcino a meno di un metro da terra e fu allora che sentì l’urlo del ragazzo.
Si precipitò dietro la scia luminosa, lasciando che le gocce d’acqua esplodessero sulla barriera intorno a lei, avvolgendola in una cupola di vapore; sorpassò due ponti, attraversò il giardino principale ormai ridotto ad una grande pozzanghera e, quando alzò gli occhi, si accorse di essere nella strada ai piedi della Mole Antonelliana.
“Zachar!”
Ash sbucò dall’incrocio alla sua sinistra, e per poco non inciampò in una pozzanghera di proporzioni bibliche; il suo Pikachou adesso era fuori dalla sfera e si era rannicchiato contro il suo giubbotto per non bagnarsi.
"CI SONO I RIBELLI!" fece lui, correndo nella sua direzione come se avesse un drago a tre teste alle calcagna; nessuna traccia di Misty, Brock o delle loro due amabili accompagnatrici.
C’erano decine se non un centinaio di Ribelli tutti intorno a loro: chi sbucava dai tombini, chi dalle finestre, i più impavidi erano aggrappati ai cornicioni e puntavano tutti alla piccola astronave che stava prendendo il largo, al grido di “Dagli ai Signori Oscuri!”.
“Zachar ……… QUESTO non era previsto! Non ci hanno mai teso un agguato! Cioè, non qui! Hanno aspettato di avere l’accesso libero al laboratorio!”.
“Beh, immagino che adesso dovrebbe comparire questa famosa prova! E dove sono Misty e Brock?”.
"Ehm .... sono stati più rapidi di me!" fece lui, indicando una massa argentata il cui muso faceva la sua bella comparsa nel giardino di una di quelle abitazioni, accompagnato dal rumore di un motore in accensione "I Signori Oscuri sono venuti a prenderci ... ma sono stato lento e mi hanno chiuso il portello in faccia!".
L’astronave imperiale prese il volo, abbattendo un paio di soldati che erano stati così stupidi da lanciarsi contro lo scafo; quei ricordi, veri o falsi che fossero, non si erano di certo fermati per riprendere Ash. Cosa alquanto verosimile, in fondo: l’Impero non si sarebbe fermato per salvare nessuno. Per coloro che non tornavano dalle missioni si preparava immediatamente un necrologio da mandare alle famiglie, se ne avevano.
Guardò il ragazzo, bagnato dalla testa ai piedi e con un’espressione terrorizzata in faccia. E lo capiva: adesso centinaia di facce ribelli erano rivolte verso di loro. “Perché non sei andato con loro? Lo sai che possiamo morire in questa Stanza!”.
“In effetti avresti fatto davvero bene a scappare a gambe levate, mocciosetto!” fece una voce di donna profonda, forte, proprio sopra le loro teste.
Un lampo illuminò la Mole, e Zachar vide chi aveva parlato. Erano due ragazzi, un maschio ed una femmina, con delle divise bianche che era sicura aver già intravisto in qualche dossier dell’Impero; quei due erano anche al ristorante, tra coloro che si erano presi gioco della debolezza e dell’ingenuità del piccolo Ash.
“Preparatevi a passare dei guai”.
“Dei guai molto grossi”.
“Proteggeremo il mondo della devastazione”
“Uniremo tutti i popoli della nostra nazione”
“Denunceremo i mali della verità e dell’amore”.
Ma che vogliono adesso questi due? E cosa stanno dicendo?
“Estenderemo il nostro potere fino alle stelle!”.
Uh, quello provano a farlo tutti ……
La ragazza dai capelli tra il rosa ed il viola, così accesi che da soli illuminavano la via buia, saltò giù da un balcone del grande edificio e si piantò davanti a loro “Io sono Jessie”.
“E io James” fece il ragazzo, dalla voce suadente ed i capelli di un azzurro che non aveva mai visto fino a quel momento. Aveva in mano una rosa che, a dispetto di ogni legge della fisica, era perfetta nonostante la pioggia scrosciante. “Team Rocket, pronto a partire alla velocità della luce!”.
“Arrendetevi subito oppure preparatevi a combattere!”.
“Ash, spero che tu sappia chi siano questi due matti …… Sono ancora più strambi di tutti i Ribelli che io abbia mai visto!”.
Ma il ragazzo si mise improvvisamente a frugare tra le proprie tasche in preda al panico. Una delle sue sfere Poké cadde in una pozzanghera, e senza prestare molta attenzione ai due nuovi arrivati si lanciò di testa per recuperarla, sollevando una montagna di schizzi.
Poi si girò verso di lei, mettendo nello zaino il cappello ormai inservibile “Zachar, hai mai usato un Pokémon?”.
Ma che domande mi fa?
“Ash, io uso la magia” fece lei, simulando una tranquillità che non provava, sentendosi stringere da ogni lato dai Ribelli “Non saprei nemmeno da che parte iniziare. A buon conto non ho nemmeno ben chiaro cosa sia un Pokémon!”.
“Argh ……” il suo tono non prometteva nulla di buono “…… mi sa che devo darti un corso accelerato. Penso di sapere in cosa consista la prova!”.


Era arrivato alla settima tazza di caffè quella sera, ma era certo che ne avrebbe avuto bisogno di almeno un altro paio. Il suo unico occhio fissava quello dell’Intercessore, e se gli sguardi avessero potuto uccidere lui sarebbe già diventato un ammasso di cenere sul divanetto.
“Noto che nemmeno tu riesci a dormire!”.
“Oh, a me piace stare sveglio”.
Era la terza volta che quel mago cercava di lanciargli contro, fingendosi impegnato a tamburellare le dita sul tavolo, un incantesimo di Sonno. E di sicuro si sarebbe addormentato nella grossa se non avesse appoggiato sulle ginocchia la sua spada priva di fodero, lasciando che gli incantesimi di protezione lanciati da padron Vexen facessero effetto.
Solo che lo pervadeva il sonno naturale, quello di cui avrebbe avuto bisogno dopo una dura battaglia.
Appoggiò la tazzina di caffè sul tavolo: “Oh, anche io. Non si sa mai cosa può succedere quando si chiudono gli occhi, al giorno d’oggi”.
Quel Kaspar sapeva, e stava giocando a chi dei due resistesse più a lungo. Con una sola piccola, minuscola, infinitesimale differenza: lui non avrebbe mai ucciso nel sonno quell’uomo, per quanto abietto potesse essere, perché serviva ai saggi membri dell’Organizzazione. Ma il mago non aspettava altra occasione che farlo scivolare nel mondo dei sogni e polverizzarlo con uno dei suoi incantesimi o peggio. E la sfida volgeva verso la disfatta, visto che nonostante il caffè si sentiva a pezzi mentre l’avversario non aveva toccato né cibo né bevande ed era ancora lì, i lineamenti quasi corrosi dall’odio. Auron non volle essere nei panni dell’Invocatrice al suo ritorno.
Per non addormentarsi pensò a come se la stesse cavando Mu là fuori, con il suo Intercessore: gli avevano detto che ne aveva trovato uno particolarmente problematico, ma più dannoso di quel Kaspar …… come avrebbe fatto il piccolo dolce Mu a gestirlo? E non c’erano solo Invocatici ed Intercessori in quel castello. Poco prima di partire per prelevare Zachar aveva sentito padron Vexen riferire agli altri membri dell’Organizzazione che avevano delle visite decisamente poco gradite. Un ospite indesiderato che non sapevano bene come gestire, e Mu rischiava di incontrarlo da un momento all’altro; il piccolo sacerdote a stento sapeva come difendere se stesso, figurarsi una compagnia sotto la sua guida. Ma prima fossero riusciti a portare a termine l’Invocazione Suprema, meglio sarebbe stato per tutti.
Kaspar gli rivolse il sorriso più falso del mondo: “Ti ordino altro caffè?”.


Due contro due. Due Pokémon, due allenatori. La combinazione preferita di Jessie e James.
Ash sapeva benissimo che, se l’Impero aveva lui, Misty e Brock come consulenti dei Pokémon, l’Alleanza Ribelle aveva quei due. Erano solo ricordi, ma gli erano sempre stati antipatici: le loro battute, la loro aria di superiorità, il modo con cui riuscivano ad intrufolarsi ovunque gli faceva saltare i nervi.
Non aveva mai avuto l’occasione di farsi valere, perché nessuno all’Impero usava i Pokémon, quindi non era mai riuscito a trovare qualche avversario degno di quel nome. Per l’Imperatore i Pokémon erano creature utili solo quando poteva sfruttare i loro poteri e liberarli contro i loro avversari, si era sempre fatto beffe del significato di amicizia, lealtà e duelli regolari che animavano quelle creature del suo mondo. Con Misty e Brock c’erano solo scontri amichevoli che si erano diradati da quando erano stati assegnati a pianeti diversi. Gli sarebbe piaciuto avere uno di loro a fianco.
Per quanto Zachar fosse buona e gentile continuava a guardare il Pokémon che lui le aveva assegnato come se fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere sotto il suo naso. All’inizio aveva pensato di darle il suo Charizard, che era abbastanza evoluto da cavarsela quasi da solo, ma aveva ricevuto come risposta una gigantesca fiammata in faccia. Bulbasaur e Pidgeotto non lavoravano in coppia con altri se non lui, quindi la scelta era ricaduta sul piccolo Squirtle.
Quando Zachar lo aveva fatto uscire dalla sfera aveva mandato un urletto di terrore, fissando la tartarughina azzurra che improvvisava un balletto dentro una pozzanghera.
Ma come avrebbe reagito se le avessi dato un vero Blastoise?
Squirtle si fece più affettuoso possibile e le saltò in braccio, ma lei per riflesso si ritirò “Zachar, tranquilla, va tutto bene!”.
Lui aveva Pikachu, ovviamente. Una grande battaglia in una Stanza della Memoria richiedeva un compagno d’avventura eccezionale e lui lo aveva. Per la maga le cose stavano diversamente.
“Ti ricordi quello che ti ho detto?”.
“Sì, ma io …… non capisco …… non l’ho mai fatto! E se questo coso non mi obbedisce?”.
“C’è sempre una prima volta!” la pioggia continuava a scrosciare, lasciando intravedere soltanto le tute bianche dei loro nemici “Fai come me! Pikachu, ATTACCO TUONOSHOCK!”.
I ricordi dei loro avversari avevano sfoderato anche loro dei mostri di buona categoria. Arbok, il Pokémon di Jessie, contro cui aveva fatto partire l’attacco, scivolò in avanti, lasciando che l’energia elettrica si disperdesse al suolo. “Visto, Zachar, è facile!”.
“Se lo dici tu ……” la sua amica sembrava ancora dubbiosa.
“Rilassati e fai come me! Ti divertirai!”.
“E va bene! SQUIRTLE, ATTACCO TUONOSHOCK!”
Eh?
I grandi occhi di Squirtle andarono dalla ragazza a lui, sul musetto un’espressione di puro dubbio e panico; scosse la testa violentemente, e persino i loro avversari fermarono la partita, per poi scoppiare a ridere proprio come piaceva fare ai veri Jessie e James. Persino Pikachu si grattò la pelle gialla tra le orecchie. Non ha capito proprio niente ……
E lei si accorse che qualcosa non quadrava a causa di quello che aveva detto, perché anche sotto la pioggia scrosciante i Ribelli si stavano prendendo gioco di lei “Ash, perché ridono tutti? Perché la tua stupida tartaruga non fa quello che gli dico?”.
Aveva gli occhi ancora più tristi del solito, e ad Ash questo non piaceva, perché le persone tristi erano noiose, non amavano giocare e lo consideravano uno stupido; attraversò la grande pozzanghera di fango che li separava e le mise la mano sulla spalla. “Ash, cosa ho sbagliato? Ho detto la stessa cosa che hai detto tu, no? Ti ho imitato …… e tutti ridono di me!”.
Oh, allora è questo il problema?
“Dai, prima ti ho elencato qualche mossa utile per far lavorare Squirtle. Ma ti ricordi, ti avevo detto che lui è un Pokémon d’acqua” si sforzò di farle un grande sorriso per risollevarle il morale, cosa che sembrava impossibile in quegli ultimi giorni “Non puoi far fare ad un Pokémon d’acqua mosse di tipo elettrico, non funziona così! Prima ti avevo spiegato le varie mosse dei Pokémon come Squirtle, usa il suo elemento. Pikachu può usare Tuonoshock solo perché l’elettricità è il suo tipo”.
“Ma come posso aver sbagliato anche una cosa così elementare?” e scoppiò in lacrime per l’ennesima volta dall’inizio di quell’avventura “Possibile che non riesca a fare da sola nemmeno le cose più semplici? Forse Kaspar ha ragione, io non ……”
“No Zachar” prese in braccio Squirtle, che mandò molti versi di felicità. Poi lo mise proprio in braccio alla maga, lasciano che il piccolo Pokémon scambiasse delle effusioni d’affetto.
“Kaspar non ha ragione. Non ti preoccupare se sbagli! Io lo faccio sempre, eppure sono qui! E alla fine sono uno dei pochi a non essere mai passato per le condanne a morte dell’Imperatore!”.
Devo aiutarla a sorridere almeno un po’!
“E poi dobbiamo superare la prova! Non ti preoccupare, anche se sbagli ci siamo sempre io e Pikachou a coprirti le spalle!”.
“WEEZING, CORTINA DI FUMO! Adesso!”.
Non fece in tempo a vedere la reazione della sua compagna di sfida, perché tutto intorno a lui era comparsa una cortina fumogena di color grigio intenso. Il mostro di James era in grado di usare quell’attacco a suo vantaggio, togliendo la visuale ai Pokémon e intossicando gli allenatori. Il fumo gli bruciava le narici e gli occhi non smettevano di lacrimare; sentì che Zachar era ancora lì perché anche lei prese a tossire in modo violento.
“Perfetto tempismo, James!” fece la voce dell’avversaria “Forza Arbok, avvolgi quello stupido topo giallo nelle tue spire e riducilo ad un purè!”.
Ash cercò di guardarsi intorno alla ricerca della famigerata macchia viola, ma il serpente era sfuggito dal suo controllo; Pikachu era agitato, e lo capiva anche senza vedendo, gli bastava ascoltare i suoi squittii. Il cuore gli batteva all’impazzata. Era il duello di Pokémon che aveva sempre sognato, e non poteva perdere il controllo per un po’ di fumo irritante!.
Vide il Pokémon con la coda dell’occhio, una forma scura che scivolava nella nebbia alla sua destra e si voltò per avvisare Pikachu. L’attimo dopo il suo amico gli sparì dalla visuale, ed il suo verso fu uno squittio acuto e lungo. “Pikachu, resisti!”.
Alla faccia di tutti i regolamenti si tuffò nel punto che avevano stabilito come campo di battaglia, urlando il nome del suo Pokémon. Non se lo sarebbe mai perdonato se il suo più grande compagno di avventure e disgrazie fosse stato distrutto in un stupido castello bianco. Ma non vedeva niente, ed anche la pelle iniziava a bruciare.
Dov’è Misty con i suoi Pokémon d’acqua quando serv ……
“Squirtle, PISTOLACQUA, muoviti!”.
Si girò e come tutta risposta ricevette uno schizzo d’acqua in piena fronte che lo mandò di nuovo disteso sulla strada nell’ennesima pozzanghera di quell’avventura, mandando giù due buone sorsate di fango. Quando sollevò la testa e riuscì a scostare i capelli bagnati dagli occhi vide che la cortina fumogena di Weezing si era dissipata, portata a terra dalle gocce d’acqua della piccola tartaruga e lavate dalla pioggia. Ricevette altri schizzi in faccia, e vide Pikachu che saltellava felice accanto a lui, mentre il Pokémon serpente si era allontanato, mollando la presa sull’avversario e fissando allenatore e creatura con degli occhi che non promettevano nulla di buono.
“Ash, io e Squirtle avremmo un’idea!” quando si rimise finalmente in piedi sembrava più una montagna umana di fango che un ragazzo, ma la cosa più importante era che Zachar fosse entrata nello spirito giusto. Sì, aveva fatto bene ad assegnarle il piccolo Pokémon d’acqua.
“Puoi intrattenere un po’ quei due buffoni?”.
“Un po’ …… quanto?” Pikachu è stanco e questa battaglia non accenna a finire……
“Non lo so. Ma puoi farlo?”.
Quanto vorrei dirle di no, ma in fondo …… “E’ adesso che inizia il divertimento. Pikachu, ATTACCO SUPERFULMINE! Colpiscili entrambi ORA!”.
Il goffo Weezing non durò molto, perché la sua massa grigia era lenta, pesante, e l’attacco di Pikachu ebbe più effetto di quanto sospettato; ma il problema era il serpente viola, che evitava con rapidità ogni saetta che arrivava al terreno. Scivolava, rotolava, scattava, il ragazzo dovette ammettere che i loro avversari non erano degli sprovveduti come aveva sempre ritenuto. Erano degli imbroglioni, dei ladri e dei gran maleducati, ma sapevano sostenere un duello.
Jessie era in piedi su una panchina e sbraitava così forte che l’avrebbe sentita persino il signor Auron dal suo ristorante “Arbok, brutto verme senza spina dorsale, evitalo! Schivalo! Avanti, non fartelo scappare!”.
“Pikachu, sbrigati, aumenta la velocità ed eludi gli attacchi!”.
Seguì con lo sguardo ogni curva del suo amico, e per la prima volta si accorse che aveva smesso di piovere, anche se il cielo restava coperto da nuvole nere; anzi, l’acqua che riempiva la strada si stava ritirando velocemente, lasciando trasparire i marciapiedi ed i ciottoli, attratta da qualcosa alle sue spalle. Ma preferì non staccare gli occhi dal duello.
“Weezing, forza, reagisci ……”
“James, lascia perdere quel lavativo del tuo Pokémon e aiutami! Arbok, avvolgi nelle tue spire quello schifoso topo di fogna giallo!” sbraitò la ragazza, prendendo James per le orecchie ed obbligandolo a mettersi accanto a lei per tutto il duello.
“Ash, ci siamo quasi ……”
La voce di Zachar era ferma, in quel momento. La sua amica aveva ritrovato la forza, e la piccola maga che si era messa a piagnucolare aveva trovato un po’ di grinta. Ash si sentiva davvero felice.
Era la prima persona adulta con cui si trovasse davvero bene.
Era contento per lei, ed in fondo, pensò con orgoglio, un po’ era anche merito suo.
“Ash, scansati!”.
Si girò, e capì dove era andata a finire tutta l’acqua della strada. Squirtle era in piedi, le corte zampe protese in avanti, e sembrava calamitare ogni cosa che fosse del suo elemento. La pioggia aveva iniziato a cadere soltanto sopra di lui, spinta da dei venti che sfidavano ogni legge della fisica, ed i rivoli di acqua e fango che avevano inondato la strada si erano raccolti ai piedi delle sue zampette, formando un gorgo di notevoli proporzioni. Evidentemente anche i ricordi di Jessie e James dovevano essere stati presi alla sprovvista, perché lanciarono un urlo gemello insieme a quello di decine di Ribelli che avevano concentrato la loro attenzione soltanto sul duello tra Pikachu e Arbok.
Zachar, sarà anche la prima volta che duelli con i Pokémon, ma forse dovresti smettere di usare la magia e combattere come una vera allenatrice! Potremmo essere un buon team!
“Ci siamo Squirtle …… ATTACCO IDROPOMPA, ADESSO!.
Il getto d’acqua che si formò era più potente di qualsiasi cascata del pianeta Naboo o di qualsiasi altra che il ragazzo avesse mai visto. Non credeva che il suo piccolo amico sarebbe mai riuscito a fare una cosa del genere. L’attacco colpì in pieno il serpente, mandandolo a schiantarsi proprio contro la faccia disperata della sua padrona: poi i due, uniti a James ed a Weezing, furono sparati in alto, sempre più in alto, oltre l’altezza della Mole Antonelliana, silenziosa osservatrice di quello strano duello.
Si sentì pervadere da una gioia indescrivibile “Evvai, Zachar, abbiamo vinto! Yuppie! Siamo stati grandi! Aspetta che lo racconti a Misty e Brock e ……”
Tornò la luce.
Bianca e accecante, intensa come fissare il sole stesso, il simbolo che la prova era stato superato comparve, lacerando il mondo. Torino, la Mole, i Ribelli, l’arena, la pioggia, tutto esplose nella luce bianca, come immagini riflesse su decine di specchi che venivano infrante in un sol colpo. La maga diventò sempre più luminosa, assorbendo dentro di sé l’energia necessaria per portare avanti quel fantomatico rito, ma stavolta aveva sulle labbra un’espressione molto più gioiosa, soddisfatta, libera. Lo sguardo di chi aveva vinto una parte delle proprie paure.
L’attimo dopo si ritrovarono di nuovo in un’anticamera del Castello dell’Oblio. Era fredda, vuota, pietrificante come quella di prima, ed alle sue spalle sentì il portone della seconda Stanza della Memoria chiudersi. Davanti a loro, identico, si stagliava l’ingresso per la prova successiva.
“Zachar, secondo te quante ce ne saranno ancora ……”
“Non lo so, però ……”
Lui guardò il punto dove la sua amica indicava: distesi alla loro sinistra vi erano Auron e Kaspar, il primo con le mani strette intorno alla sua spada e l’altro con le mani avvolte da scintille azzurre, cariche di energia. Ma entrambi stavano dormendo nella grossa.
Zachar si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto: “Ash, direi che loro hanno fatto la scelta più saggia! Che ne pensi di fare un riposino?”.
“E’ il piano più geniale che abbia mai sentito, Zachar!”.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Attesa ***


Capitolo 7 - Attesa


Where Nothing Gathers

La sala dei troni nel Castello dell'Oblio




Controllò a fondo il proprio respiro, ripassando a mente tutti i passaggi. La stanza dove si trovavano al momento era la solita anticamera bianca, immacolata, che sembrava illuminata come se mille candele fossero state accese per magia. E, di sicuro, molta magia era impregnata nelle mura di quel castello.
Non era difficile per lui percepirla, un intreccio di incantesimi arcani che sfuggivano persino alla sua comprensione; un luogo davvero affascinante, pieno di segreti, il posto adatto per colui che un giorno avrebbe trovato il modo di governare le galassie e le dimensioni.
Gli piaceva. Quindi doveva essere suo.
A tutti i costi.
Ma in quel momento Kaspar sapeva di non potersi distrarre troppo: da come era apparso quel Marluxia era probabile che quei fantomatici membri dell’Organizzazione li osservassero da lontano, scambiandosi commenti, decidendo cosa farne di loro come se fossero dei burattini con cui trastullarsi. Ma Kaspar non avrebbe mai accettato di essere una marionetta, mai. Doveva essere rapido, prima che la sua vittima si svegliasse; erano rimasti per ore in quel ristorante, il mercenario e lui, e per quanto avesse provato a farlo cadere nel sonno più profondo la sua spada sembrava deflettere anche quel tipo di incantesimi, perciò aveva temporaneamente rinunciato alla sua vendetta. Adesso, però, avrebbe rimesso a posto le cose.
Quello sporco ed insolente soldato aveva parlato anche troppo e si era immischiato con lui, il più grande stregone della galassia, ed aveva permesso che quel deviato essere che perdeva petali lo derubasse del suo prezioso bottino. E Zachar aveva ascoltato la voce di quell’Auron, non la sua!
Avrebbe punito anche quell’ameba idiota quando sarebbe stato il momento giusto, ma per ora gli serviva viva e con gli incantesimi ben pronti.
Nella stanza non vi era nessuno, ed al momento non percepì tracce di incantesimi di divinazione rivolti verso di loro, segno che forse anche lo sguardo dei padroni del Castello era altrove. Chiamò nella mano sinistra una Lama di Luce, un frammento di energia non più grande di un pugnale elfico, ma aveva gli occhi puntati sulla spada del nemico.
Lentamente fece il giro del suo corpo addormentato, pregustando la faccia di quel signorino dai capelli rosa quando avrebbe scoperto che il suo mastino preferito era stato vittima di uno “spiacevole incidente notturno”. E se avesse osato mettere fuori il suo nasino alla francese o la sua ridicola falce fucsia avrebbe carbonizzato lui e tutte le sue piantine ……
Avvolse con calma la Lama nelle pieghe del mantello, facendo attenzione che nemmeno un raggio di luce violacea toccasse la sua vittima, cercando di mascherare al meglio qualsiasi emissione di energia. Il piano non sarebbe fallito.
Quell’uomo avrebbe imparato cosa volesse dire sfidare lui, Kaspar.
“Che cosa stai facendo?”.
Per la sorpresa perse la concentrazione, e nel sobbalzare la Lama di Luce smise il contatto con la sua mente, svanendo in una serie di spruzzi colorati e lasciando un alone spiacevole sulle pieghe del mantello. Trafisse con lo sguardo colei che si era permessa di rovinare il suo piano. “Zachar, chiudi il becco! Quello che faccio sono affari miei!”.
“Non credo proprio! Tu …… tu stavi pensando di assassinare Auron ……?”
Stupida oca.
“No, gli stavo solo rimboccando le coperte …… certo, idiota, e se fossi rimasta al tuo posto avremmo un seccatore di meno di cui occuparci!”.
“Auron è una brava persona e non ti devi permettere di toccarlo neanche con un dito!”.
Cosa?
Non era sicuro di aver sentito bene ……
Da quando in qua quella gallina osava rivolgersi a lui in un modo simile? Non aveva mai questionato un suo ordine, aveva sempre obbedito a qualsiasi suo desiderio e adesso credeva di poter alzare la testa solo perché in quel castello tutti la consideravano un’Invocatrice sacra e intoccabile? Di colpo tutto l’odio che aveva accumulato su quel soldato si riversò su di lei: “Zachar, non so cosa ti stia passando per la testa, ma se ti sento ancora ribattere un mio ordine io ……”
“Cosa mi faresti, sentiamo?”.
Non aveva mai sentito un simile tono di voce dalle sue labbra: lei sapeva soltanto piangere, lamentarsi, implorare e guaire ai suoi comandi, invece in quel momento gli sembrava di star parlando con la sgualdrina mutaforma in persona. Un gelo improvvisò calò nelle sue ossa, ma ormai le sue guance erano livide per il furore: “Oca, stai al tuo posto e restaci! Non sei e non sarai niente senza di me o non ti ricordi?”.
Al diavolo quell’Auron, al diavolo i membri dell’Organizzazione, al diavolo tutti!
Perché Zachar si comportava come una bambola difettosa, cosa le passava per la testa?
Più i secondi passavano più non riusciva a comprenderla, più vedeva quegli occhi verdi riempirsi di odio, gli stessi occhi che aveva visto pieni sempre e solo di lacrime e di ammirazione.
“IO ti ho salvato dagli intrallazzi del Trio Destroyer in cui TU e la tua stupida ingenuità vi eravate lanciate! Saresti MORTA mille volte, lì ed al torneo, se IO non fossi intervenuto!” se quella ragazza credeva di poter alzare la testa si sbagliava di grosso ……
“Tsk. Adesso non inventarti storie …… mi avrai anche salvata dal Trio Destroyer una volta, ma nel torneo me la sono cavata da sola! Se fossi stata ad aspettare il tuo aiuto sarei finita carbonizzata al primo Sciame di Meteore di Endimion!”.
“ZACHAR, TU VANEGGI!”.
“Io? No di certo!”.
Lo stava sfidando …… ma cos’aveva quella benedetta ragazza nella testa? Intelligente non lo era mai stata, ma non si sarebbe mai permessa di controbattere la sua opinione …… e stava mentendo, ne era certo, ma quando mai quell’idiota sarebbe riuscita ad eguagliare Endimion con le sue forze ……
Il piano di far fuori quel mercenario era solo rimandato, ma doveva almeno sistemare quella situazione, Zachar gli serviva docile, obbediente e soprattutto con tutti i ricordi al loro posto; si alzò dal posto dove stava ancora chinato e con un paio di passi decisi si portò dritto davanti a lei, usando tutta la sua altezza per intimorirla. Ma evidentemente non bastò.
“Stai dicendo una marea di sciocchezze, Zachar! E’ da quando siamo in questo Castello che non ti riconosco più!”.
“Forse sono io a non riconoscere più TE! Perché volevi uccidere Auron?”.
Si era montata la testa, ma anche le sottigliezze più evidenti non balzavano ai suoi occhi “Lui ed i suoi padroni mi hanno seccato, ed intendo dar loro una bella lezione!”.
“E credi sul serio di potercela fare?”.
Questa poi …… non ha mai dubitato di me nemmeno per un secondo, eppure ……
Il gelo gli prese le ossa ed il sangue, mentre sentì la collera che montava in lui come un fiume in piena; davanti ai suoi occhi ormai vorticava solo l’immagine di lei, con gli occhi quasi più vividi del solito ed i capelli come una corona di fiamme. Dall’espressione severa e distaccata capì che da lei non avrebbe tratto nient’altro, almeno per quella sera; e, cosa ancora peggiore, il suo piano era saltato e non avrebbe trovato con altrettanta semplicità un momento propizio per incenerire quel mercenario. Ma almeno doveva svegliare quell’ameba e ricordarle chi fosse il realtà.
La fissò un’altra volta, aspettandosi che almeno lei abbassasse la testa.
Ma non accadde nulla.
Sollevò la mano e la mosse con scatto verso la sua guancia.
Non arrivò al bersaglio desiderato.
Tsk. Mi ero dimenticato del cane da guardia .......
La mano di quello schifoso soldato era stretta intorno al suo polso, enorme come una zampa di un orso e non meno mortale. Kaspar era certo che se quel bruto lo avesse voluto gli avrebbe potuto stritolare le ossa in un batter d’occhio; lo fissò con tutta l’ira che aveva in corpo, ma l’altro gli rispose con uno sguardo tagliente come la sua lama “Mia Invocatrice, quest’essere le sta dando fastidio?”.
“Sì, Auron” non aveva mai sentito dalla sua bocca un tono così soddisfatto. Ma l’avrebbe fatta pagare cara a quella scimmiotta, le avrebbe ricordato a chi doveva obbedienza “Però sono sicura che adesso non darà più altri problemi”.
“Se vuole posso rompergli un osso o due. Mi leverei una bella soddisfazione”.
Stupido mercenario, bruto, armadio, cane! Sarò io a “levarmi una bella soddisfazione” quando ti troverai senza la tua bella spada e riceverai il mio Sciame di Meteore dritto sulla tua faccia! Ti farò passare la voglia di trattarmi in questo modo, parola mia!
Lei scosse la testa, e per un secondo su di lei riapparve un’espressione preoccupata “No, Auron. Lui è il mio uomo e non voglio che gli venga fatto del male. Inoltre hai detto che è anche un Intercessore, giusto? Deve restare incolume!”.
Ah, ti preoccupi di me ADESSO, eh?
L’armadio continuò a stringergli il polso, e con uno strattone lo lanciò senza troppi riguardi lontano da lei. Kaspar sbatté la testa contro il pavimento del Castello dell’Oblio ma si sforzò di rimettersi in piedi, di non farsi vedere debole davanti a quei due “Prova ancora a sfiorare l’Invocatrice e compierai l’Invocazione Suprema con un braccio in meno”.
Avrebbe voluto rispondergli, ma per il momento era meglio restare in silenzio. Sarò io a farti a pezzi, schifoso mercenario, e non mi limiterò a strapparti un solo braccio; esploderai nel più bel tripudio di sangue che questo castello abbia mai visto, parola mia!
“No, dai, Auron, dagliele sode! Spaccagli la faccia!”.
E a tempo debito si sarebbe premurato di far sparire anche quello stupido moccioso dalla faccia di ogni dimensione …



La sala riunioni del Castello dell’Oblio era uno spettacolo da far girare la testa se guardata dal basso. Aveva la forma di un cilindro: in orizzontale non era più larga della piazzetta di un villaggio, ma in verticale…beh, si stentava a vedere il soffitto. Anche il trono più alto sembrava solo un puntino lontano, una macchia bianca distinguibile a stento dalla parete ugualmente bianca a cui era attaccata. Ce n’erano tredici, di seggi di quel tipo, tutti infissi alle pareti in una lunga spirale che correva dal soffitto al pavimento come una stravagante scala a chiocciola. L’ultimo, il più basso, toccava quasi terra. Ma in quel momento non era occupato. Così come non era occupata la maggior parte degli altri.
Le uniche quattro persone presenti nella stanza sedevano ai posti più alti, e indossavano tutte lo stesso tipo di soprabito nero con cappuccio con il quale Marluxia si era presentato agli occhi increduli di Zachar e Kaspar.
Sul trono superiore stava allegramente spaparanzata una ragazza dalla corporatura minuta e i capelli biondi, corti tranne che per due ciuffi che dalla sommità del capo si sollevavano fino a ricaderle sulle spalle, simili a due esili antenne. Larxen -perché di lei si trattava-era profondamente intenta a leggere un libro dalla copertina un po’ consunta su cui spiccava il disegno di un uomo barbuto armato di sciabola sullo sfondo verde di una giungla.
Il secondo trono era occupato da un ragazzo dai capelli rosso fuoco, seduto a braccia conserte e dall’aria palesemente annoiata. Ogni tanto girava pigramente la testa in direzione degli altri troni, chiaramente aspettando qualcosa o qualcuno, e allora le piccole gocce blu che aveva tatuate sotto gli occhi sembravano accendersi lievemente dei riflessi delle pareti bianche. Vexen sedeva sul terzo trono, chinato in avanti su un fascio di fogli che stava pian piano riempiendo di una scrittura fitta e decisamente incomprensibile. Colui che Mu e Auron ritenevano il più saggio e potente tra i membri dell'Organizzazione era un uomo alto, di età indefinibile, con il viso magro e affilato incorniciato da due curiosi ciuffetti. Il resto dei capelli, di un biondo chiaro come la sabbia, gli ricadevano lisci dietro le spalle. Lo sfregare della sua penna sul foglio e il fruscio delle pagine del libro di Larxen erano gli unici suoni udibili nella stanza.
L’ultima persona sedeva isolata dagli altri, sul sesto trono a partire dall’altro. Era un ragazzo giovanissimo, un adolescente di corporatura minuta che sembrava ancora più piccolo e fuori posto accanto all’imponente schienale del suo trono, scolpito a forma di simbolo dell’Organizzazione come tutti gli altri. L’espressione del ragazzo era indecifrabile dietro il ciuffo di capelli d’argento che gli nascondeva metà del viso dai lineamenti delicati.
Narratore: "un look da emo, insomma!"
REGISTE: "Narratore! Già da adesso cominci! Vedi di tacere!"

L’arrivo di Marluxia spezzò finalmente il silenzio. Il Leggiadro Sicario si materializzò al centro della stanza, gettò un’occhiata ai troni, e con un altro sbuffo di oscurità riapparve sul più alto tra quelli ancora a disposizione (il quarto).
“Ah Marly, sembri un albero di Natale!” fu il saluto di capelli-rossi.
Larxen sollevò lo sguardo dal libro e scoppiò a ridere. Non riusciva davvero a decidere cosa fosse più comico in Marluxia, se lo spadone che portava goffamente in cintura, il grosso e pacchiano pendaglio d’oro allacciato al collo, lo scettro in mano o quella miriade di strani oggettini scintillanti che gli sfuggivano da tutte le tasche.
“Sei in ritardo” Vexen ripose penna e fogli e lanciò uno sguardo interrogativo al nuovo arrivato. “Cos’è quella roba?”
“Hai svaligiato un antiquario?”. Capelli-rossi sembrava divertirsi molto a prendere in giro il suo compagno, il quale per tutta risposta sfoderò il più smagliante dei suoi sorrisi: “Potremmo dire che ho svaligiato la casa di un mago. Tutti questi oggetti appartenevano al secondo Intercessore”
“Vuoi dire quello che non sei riuscito a sconfiggere da solo e hai dovuto chiedere l’aiuto di Auron?”.
Amplificata dall’eco, la risata di Larxen percorse la sala come una corrente di scintille scoppiettanti.
Marluxia emise un sospiro teatrale: “Sei superficiale come al solito, Axel. E anche tu, Larxen. Possibile che non riusciate a capire l’importanza di questa conquista?”
“Altre pacchianate da aggiungere al corridoio dei trofei?”
“Sono oggetti magici”. Era stato il ragazzo più giovane a parlare. In tono del tutto neutro, come se la questione non suscitasse per nulla il suo interesse. Marluxia gli rivolse un sorriso ancora più ampio del precedente: “E bravo il nostro Zexion! Mi fa piacere vedere che c’è almeno una persona intelligente qua dentro”
“Eh vabbè, con il suo potere c’ero buono pure io!” fece Axel alzando le spalle.
Vexen sbuffò: “E a cosa servirebbero esattamente?”
Marluxia sollevò lo sguardo verso lo scienziato: “Dritto al punto come al solito” sorrise. “Lo studioso del gruppo sei tu: non vuoi divertirti a scoprirlo?”
Prima che Vexen potesse formulare un qualunque tipo di risposta, Larxen intervenne: “Perché dovremmo darli tutti a lui? Non mi sembra giusto!”
“Forse perché tu non ci capiresti niente?” fu la risposta seccata di Vexen.
“Dì piuttosto che li vuoi solo per te! Con la scusa dello studioso ti prendi sempre il controllo di tutto!”
Axel alzò gli occhi al cielo. Ecco che ricominciava. Si sporse oltre il bracciolo del trono e incontrò lo sguardo di Zexion: “Scusa Mr. Fiuto, ma non potresti semplicemente dargli un’annusatina tu?”
Il ragazzo si strinse nelle spalle: “Io sento la presenza di magia. Ma per capire come usarli dovremmo fare un po’ di esperimenti”.
Alla parola “esperimenti” lo sguardo di Vexen scintillò: “Appunto! Ragion per cui è compito mio!”
“Beh, IO non sono d’accordo! E in caso l’Alzheimer te l’abbia fatto dimenticare, nonno, ti ricordo che i numeri sono stati aboliti. La mia opinione vale quanto la tua!”
Vexen rise, sprezzante: “Senti chi parla di sanità mentale!”
Marluxia colse il lampo selvaggio che stava attraversando lo sguardo di Larxen e si schiarì la voce, determinato ad evitare il peggio: “Ho un’altra idea che dovrebbe mettere d’accordo tutti. Ci divideremo equamente gli oggetti, e ognuno cercherà di capire il funzionamento del proprio. Quando l’avremo scoperto decideremo che uso farne. Cosa ne dite?”
Axel non era per niente entusiasta: lo studio non era mai stato il suo forte. Perché doveva essere lui a pagare le spese dei capricci del vecchio e della ragazzina?!
Sfortunatamente per lui, tutti gli altri acconsentirono.
“Bene” disse Marluxia. “Scegliete pure”.
Un gesto elegante e dalla mano dell’Assassino si sprigionò un tralcio di tenera bouganville dai fiori viola intenso. La pianta rampicante serpeggiò pigramente tra le dita del padrone, poi si divise in tanti filamenti, ciascuno dei quali si attorcigliò attorno a un oggetto diverso e lo fece fluttuare fino al centro della stanza, sotto lo sguardo di tutti. Normalmente un elementale dei fiori come lui non sarebbe riuscito a generare una pianta senza un suolo adatto e condizioni climatiche favorevoli. Il Castello dell’Oblio naturalmente permetteva di bypassare certe formalità, e se c’era una cosa che a Marluxia piaceva era proprio fare sfoggio del suo potere.
Gli occhi verdi di Axel passarono in rassegna la singolare sfilata di oggetti con aria sempre più critica. Poiché nessun altro sembrava intenzionato a prendere la parola, si passò una mano tra le punte ispide dei suoi lunghi capelli (Narratore: "questo invece è un look alla Dragon Ball!") e sospirò: “E va bene, a me date il sacchettino sorpresa!”. Il tralcio di bouganville corrispondente sfrecciò in men che non si dica da lui e gli fece cadere in grembo il sacchetto di velluto. Sopra c’era ricamata una K dorata. Axel lo aprì con cautela e al suo interno trovò due pietre sfaccettate grosse come uova di gallina. Evitò di dire che gli sembravano comunissimi fermacarte.
“Io voglio lo scettro!” fece Larxen con un gridolino eccitato. Gli scettri sono il simbolo dei re e degli imperatori, perciò dovevano per forza avere grandi poteri. Magari poteva comandare sulle altre persone! Si immaginò il presuntuoso Vexen inginocchiato a terra a pulire i bagni del Castello mentre lei lo colpiva in testa con lo scettro, e un sorriso estasiato le si dipinse sul volto.
“Io prenderò questa…beh, sembra una chiave” disse Marluxia indicando il monile che aveva tenuto al collo fino a poco prima. “Anche se dovesse risultare priva di poteri, se non altro è elegante”.
Vexen indicò una foglia di bouganville più larga delle altre su cui era adagiata una pila di piccoli frammenti dorati “Non sono monete…” strizzò leggermente gli occhi. “Che cosa…?”
Marluxia si strinse nelle spalle. “I pezzi di un puzzle, credo. C’è anche una catena a cui dovrebbero essere legati tutti”.
Zexion fece per aprire la bocca, ma Vexen parlò prima di lui: “Dateli a me”
“Ti passo anche la relativa scatola” disse Marluxia estraendola da una tasca, e spedì il tutto a Vexen via bouganville.
“Oh, Vexy, ma che cattivo!” esclamò Larxen in un tono dispiaciuto palesemente fintissimo. “Guarda che faccia il povero Zexy, mi sa che lo voleva lui! Levare un giocattolo a un bambino, ma non ti vergogni? Sei un mostro!”. Vexen sbuffò, ignorando la futile provocazione. Larxen gli scoccò un’occhiata maligna. “O forse il problema è proprio che ormai il bambino sta crescendo….eh, Vexy?”
Axel rabbrividì, colto di sorpresa dall’improvviso abbassamento di temperatura nella stanza.
“Larxen, HAI OLTREPASSATO IL LIMITE!”
“Basta così!” intervenne Marluxia. “Larxen, finiscila una buona volta!”
“Ehi, perché te la prendi solo con me? IO almeno non mi sono messa a strillare come una vecchietta ister….”
“Ho detto basta”. Axel si trovò costretto ad ammettere che qualche volta Bocciolo di Rosa aveva un suo certo carisma. Larxen lo bersagliò di smorfie e boccacce, ma almeno, per la gioia dei timpani di tutti, stette zitta.
Marluxia era palesemente soddisfatto: “Molto bene. Zexion….”
“La spada andrà benissimo” disse semplicemente il ragazzo. Se il battibecco precedente l’aveva offeso o colpito in qualche modo, non lo dava a vedere. Il suo unico occhio visibile, azzurro come il cielo d’estate, era lo specchio dell’indifferenza totale. Il solito obbediente ramo di bouganville gli consegnò l’arma, e solo allora tutti si accorsero che era avanzato un ultimo oggetto, talmente piccolo da risultare quasi invisibile in mezzo all’intrico di foglie e fiori. Era una semplice pallina dorata. Una biglia.
Larxen storse il naso: “Per quanto mi riguarda quella minchiata se la può pure tenere Vexen”.
Per una volta lo scienziato e la ragazza erano d’accordo. Vexen ricevette la biglia d’oro dall’ultimo tralcio fiorito. Vi era inciso sopra il disegno di un occhio.
Ancora una volta fu Marluxia a riprendere le fila del discorso. Non dovevano dimenticare che lo scopo principale di quella riunione era fare il punto della situazione e stabilire il da farsi.
Secondo Vexen l’Intercessore mago non avrebbe più causato problemi. Al momento era isolato all’interno del gruppo, e poiché il combattimento contro Marluxia e Auron l’aveva indebolito, l’Invocatrice riusciva egregiamente a tenerlo a bada.
“Hanno litigato poco fa. Lui l’ha trattata male, e questo sta accelerando notevolmente il processo di condizionamento. A quanto pare anche l’influenza di fattori esterni ha un grosso peso. Un particolare da tenere a mente”.
“Per me quell’Intercessore è un idiota” commentò Axel. “Se le va proprio a cercare”
“Tanto meglio per noi”.
Marluxia era meditabondo: “Così dunque per ora è lei quella con più chances”.
“Per ora” confermò Vexen. “Ma il percorso è ancora lungo. In ogni caso, l’altra Invocatrice sta per entrare nella seconda stanza. Ne approfitterò per sperimentare…”
“Eh no, stavolta tocca me!”
Tutti, nessuno escluso, lanciarono a Larxen uno sguardo di pura esasperazione.
“Vale la stessa regola degli oggetti, no?” si lasciò sfuggire una risatina. “Una modifica a testa. Dopotutto, siamo in democrazia!”.
“E come speri di farla, la modifica, se non sai nemmeno come funzionano le Stanze?” le chiese Vexen a denti stretti.
“Oh beh…improvviserò, naturalmente!”. Larxen rise ancora, deliziata. L’espressione sconvolta stampata sulla faccia del vecchiaccio non aveva prezzo.
“Certo, come no…IMPROVVISARE!” Vexen fece correre lo sguardo tra gli altri compagni, in cerca di supporto. “E mandare il piano a quel paese, magari! Non è una cosa che possiamo permetterci!”
“Oh, sentite, io francamente mi sono rotto i c…....!”
Marluxia storse il naso: “La tua finezza è sempre incantevole, Axel. Stiamo discutendo di cose importanti, non….”
Carisma o no, questa volta Axel non aveva intenzione di sottostare ai rimproveri di Bocciolo di Rosa: “Dico solo che non ne posso più di tutte queste litigate! Perciò votiamo e facciamola finita: io sto con Larxen”. Al massimo, se proprio non avesse avuto voglia di lavorare, non sarebbe stato difficile smollare la sua modifica a quello stacanovista di Vexen. E comunque la possibilità di infiltrarsi nei ricordi dell’Invocatrice bonazza e della sua amica Quinta-di-Reggiseno non era certo roba da buttar via!
“Francamente credo che Axel e Larxen sappiano poco o niente delle Stanze” disse Zexion nel suo solito tono quieto. “La posta in gioco è troppo alta per rischiare”.
“Io invece mi ritengo assolutamente capace di farlo” affermò Marluxia, infondendo sicurezza in ogni sua parola. “E infatti se non l’avesse proposto Larxen l’avrei fatto comunque io. Dobbiamo restare uniti, ciascuno di noi deve dare il proprio contributo al piano in modo equo. L’unione dei nostri talenti è la nostra forza”.
“I nostri talenti sono diversi” ribatté Vexen, la voce quasi ridotta a un sibilo minaccioso.
Marluxia alzò lo sguardo verso di lui, sorridendo: “Appunto. Non trovi che sia un’affascinante possibilità di sperimentazione? Sei stato proprio tu ad insistere tanto…non tutte le persone in quelle Stanze sono necessarie, possiamo anche permetterci di azzardare un po’….non è forse ciò che spesso fanno gli scienziati?”
Vexen serrò la mandibola, furente, ma non disse nulla. Larxen, inutile dirlo, era raggiante: “Tre a due! Beh Vexy, visto che sei tanto fissato con l’efficienza nel lavoro, io mi metto subito all’opera!” e senza neanche un cenno di saluto sparì in un portale di oscurità.
Un brontolio dello stomaco aveva appena ricordato ad Axel che era quasi ora di pranzo: “Mi sa che la riunione è finita. Ragazzi…a più tardi!” e prima che qualcuno potesse fermarlo si tuffò a capofitto nel suo portale.
Anche Marluxia sollevò una mano e ne evocò uno. Ma non vi entrò immediatamente: “Un’ultima cosa, Vexen. Stavo controllando i movimenti del nostro ‘ospite eccezionale’…”
Lo scienziato lo interruppe seccamente: “Anch’io. E tutto procede secondo i piani”.
Ennesimo sorriso dell’Assassino. Cordiale. Compiaciuto. Pericoloso. “Non ne dubitavo. Ma sempre meglio controllare tutto due volte, non ti pare?” non gli lasciò il tempo di rispondere. “Buona giornata a voi” ed era sparito.
“Idioti”.
Dal suo trono in basso, Zexion osservava lo scienziato che raccoglieva i suoi appunti e brontolava tra sé e sé, del tutto dimentico della presenza di un’altra persona nella stanza.
Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Improvvisamente sembrava stanco, nauseato. Tuttavia si concentrò.
Lo avvertiva ancora.
“A proposito dell’ospite…”
Vexen non staccò lo sguardo dai fogli: “Sì?”
“Lui…non è vivo. Non nel modo che intendiamo noi, almeno”.
Zexion sentì distintamente il sospiro esasperato del suo collega più anziano: “Adesso mi spieghi cosa vuol dire quest’idiozia”.
L’unica guancia visibile del ragazzo si imporporò lievemente: “Il grande scienziato sei tu” disse, sarcastico. “Io ti ho avvertito”.
Uno sbuffo di oscurità eterea e anche il più giovane tra i membri dell’Organizzazione era andato, lasciando Vexen solo nella sala dei troni a bestemmiare perché Larxen aveva incollato gli ultimi due fogli dei suoi appunti con la gomma da masticare.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Fuga da Alderaan ***


Capitolo 8 - Fuga da Alderaan


Alderaan

Alderaan




Il sapore del succo di juri era dolce e inebriante sulle sue labbra, mentre nell'aria fresca della sera risuonavano limpide le note di una canzone. Non conosceva quella lingua, uno dei mille e più idiomi che si parlavano sulla Terra I, ma non ce n'era bisogno per capire che parlava d'amore. La colonna sonora perfetta per una serata magica come quella.
Lui era magico. Impeccabile nella sua divisa, con un sorriso splendido e occhi scuri e profondi che sembravano racchiudere tutti i segreti del mondo. Le verso' dell'altro succo di juri, accostandosi al suo viso e sussurrandole una frase galante nell'orecchio. Lei rise, inebriata dal suo profumo, e poggio' il calice su un tavolo vicino affinché le sue mani fossero libere di circondare quel volto tanto amato.
“Daala...sei bellissima...” sussurro' lui, avvicinando le labbra alle sue.
“Daala....”
“Daala....”
“DAALA!”
Si sveglio' di soprassalto, scattando a sedere tanto rapidamente che le prese un capogiro e per qualche secondo non riusci' a vedere altro che oscurità punteggiata di macchie gialle. Quando la vista le si rischiaro' c'era un altro volto maschile davanti a lei, ma non era lo stesso del sogno.
“Tutto bene?”
“Si'...si' scusate, tutto a posto...”
L'attimo di intorpidimento era passato, e Daala scosse la testa per scacciare gli ultimi brandelli di quello strano sogno nelle tenebre da cui erano venuti.
“La guida dice che la Stanza e' aperta” disse Tarkin “Possiamo andare”.



Convincere Tarkin a riprendere il viaggio non era stata un'impresa facile: il governatore era noto per avere una volontà d'acciaio e non cambiare idea tanto facilmente. Mara sapeva che Daala lo adorava anche per quello, ma alla lunga poteva risultare...frustrante. In quella stanza bianca isolata dal mondo le ore si erano trasformate in giorni senza che riuscissero più a tenerne il conto, e alla fine la fame e la sete si erano fatte sentire (per non parlare di altre esigenze ugualmente basilari...). Mara aveva i suoi poteri Sith ad aiutarla, e Tarkin sarebbe morto piuttosto che andare contro i suoi principi, ma Daala aveva deciso che era ora di farla finita, e dopo mille discorsi e suppliche era riuscita a persuaderlo. Probabilmente era l'unica persona in tutte le galassie in grado di uscire vittoriosa da un'impresa del genere. Impietosita la guida dai capelli viola aveva portato loro cibo e acqua, ma a quel punto la seconda Stanza era misteriosamente chiusa -Mu si era rifiutato di dare ulteriori spiegazioni a riguardo- e avevano dovuto aspettare che si riaprisse.
Quando finalmente si era degnata di farlo si erano ritrovati in quello che sembrava un parco.
L'erba verdissima e umida era tagliata con cura, e lunghe file di alberi fiancheggiavano dei sentierini di ghiaia bianca ai bordi dei quali si incontrava di quando in quando una panchina di ferro decorata con graziosi ornamenti floreali. Alcune di esse erano occupate da persone che conversavano a voce bassa. L'aria era fresca e pulita, il sole splendeva nel cielo.
“Alderaan”.
Il governatore aveva pronunciato quel nome a denti stretti, come fosse un insulto o una bestemmia.
“Riconoscerei la loro puzza di pacifismo ovunque”
“Tarkin, se non sbaglio tu sei stato una volta sola su Alderaan...” disse Daala.
Mara perse per un attimo il filo del discorso, incantata suo malgrado dal paesaggio attorno a lei. Oltre le chiome degli alberi, in lontananza, si intravedevano le cime di monti aguzzi e innevati che si stagliavano contro un cielo talmente azzurro da mozzare il fiato. E cosi' era quello il famoso pianeta di Alderaan, che era stato la prima grande roccaforte dei Ribelli e aveva pagato con l'annientamento quell'errore fatale. Il padre adottivo della principessa Leia, che era stato uno dei fondatori dell'Alleanza, era il senatore rappresentante di quel pianeta ai tempi della Vecchia Repubblica. La principessa in persona era cresciuta e aveva studiato su Alderaan. E ora quel mondo meraviglioso non esisteva più: per ordine dell'Imperatore gli Star Destroyer del governatore Tarkin lo avevano circondato e bersagliato con i turbolaser fino a farlo dissolvere in un'esplosione di detriti e polvere stellare. Era un monito per la Galassia, per mostrare a tutti cosa succedeva a chi osava sfidare l'Impero.
Affascinata, Mara mosse qualche passo lungo il sentiero, assaporando la pace di quel luogo. Penso' che sarebbe stato bello togliersi gli stivali per un attimo e godersi la sensazione dell'erba fresca tra le dita dei piedi. Dalle ombre degli alberi emerse una coppia di uomini vestiti di tuniche bianche che passeggiava, e la brezza porto' a lei uno stralcio della loro conversazione: “Ma se ponessimo l'uomo come presupposto...”
In alto, tra le fronde, uccelli di tutti i tipi cinguettavano dolcemente, innalzando al cielo un concerto cosi' sublime da far morire d'invidia i maestri d'orchestra piu' famosi della Galassia.
Per la prima volta nella sua vita, Mara senti' che comprendeva davvero l'odio della principessa Leia nei confronti di chi chi aveva distrutto il suo mondo natale, e si volto' di scatto verso il governatore, indignata senza nemmeno rendersene conto, per urlargli in faccia che....
Una raffica di spari lacero' la quiete del parco e il concerto degli uccelli cesso' all'istante, trasformandosi in una cacofonia di cinguettii terrorizzati. Un guizzo rosso e la spada laser brillava tra le mani di Mara, mentre i suoi sensi, amplificati dalla Forza, si espandevano tutto intorno, all'erta. Li' percepì poco prima di vederli: due uomini che correvano verso di loro a tutta velocità', armi spianate. Quella spada laser a doppia lama era inconfondibile.
“Maestro Maul?”
“Governatore Tarkin!” grido' quello che era palesemente il ricordo di Darth Maul. “Stanno arrivando, dobbiamo trovare una copertura!”
“Muoviamoci!” aggiunse Boba Fett, voltandosi per sparare una raffica verso un nemico ancora invisibile alle loro spalle. Ma si avvicinavano rapidamente, percepì Mara, ed erano tanti. Troppi.
“Facciamo come dicono!” grido' Tarkin e si lancio' dietro ai suoi due amici, seguito da Daala, Mara e dalla loro improbabile guida.
Gli inseguitori sbucarono poco dopo da una macchia di alberi, un gruppo di uomini e donne appartenenti a varie razze e con armi da fuoco di tutti i tipi. Non erano un plotone di soldati addestrati, sembravano piuttosto mercenari o...
“Ribelli di m....!”
Il maestro Maul roteo' la spada laser con grazia, rimandando i colpi di blaster contro gli avversari, e tra una piroetta e l'altra le fece segno di mettersi insieme a lui alla retroguardia del gruppo, mentre Boba scattava in avanti e cercava i portare gli altri in salvo. Tarkin e Daala avevano estratto i loro blaster, ma Mara sapeva che della mira del governatore non c'era assolutamente da fidarsi.
Corsero fuori dal parco, fino alla strada, dove le persone, terrorizzate dagli spari, scappavano urlando in tutte le direzioni. Il ricordo di Boba non esitava ad abbattere tutti coloro che, volontariamente o meno, intralciavano la loro fuga.
Mara paro' con la spada laser una raffica di proiettili e allontano' con un calcio un rodiano che era riuscito a sorpassare le sue difese. Senti' la Forza vibrare nei suoi pensieri come un campanello d'allarme e senza nemmeno voltarsi fece saettare all'indietro la lama rossa, mentre un grido di dolore saliva fino al cielo, innalzandosi oltre le cime dei monti.
La Forza, sua alleata di sempre, la avviso' in tempo anche del pericolo che incombeva sulla sua migliore amica; ma quando fece per aprirsi la strada verso di lei un ribelle sbuco' dal nulla, armato di una picca a energia che si infranse crepitando contro la sua spada laser. Disperata tento' di fintare un attacco sul fianco destro dell'avversario per poi superarlo sul sinistro, ma lui non ci casco', e Mara trovo' ancora una volta la picca ad intralciarle la strada. Per poco non perdette l'equilibrio, mentre percepiva con chiarezza agghiacciante il colpo del cecchino sul tetto che schizzava a tutta velocità' verso Daala....
“CRYSTAL WALL!!”
Il proiettile laser svani' a mezz'aria, dissolvendosi in un minuscolo sbuffo di fumo. Per un attimo parve che il combattimento si fosse congelato, e Mara pote' distinguere una cupola eterea sopra le loro teste, una barriera violetta che proteggeva il loro sparuto gruppetto dai colpi degli avversari. Accanto a Daala, Mu teneva le braccia sollevate verso il cielo, la fronte aggrottata per lo sforzo di tenere attivo l'incantesimo.
E cosi' il nostro amico sa usare la magia...
Mara colse l'attimo per spingere via il suo avversario con un'ondata di Forza, piantandogli la spada nel collo prima che potesse rialzarsi.
“Da questa parte!”
Protetti dalla magia di Mu, il Trio Destroyer e le due donne si rifugiarono in un vicolo e continuarono a correre, mentre i Ribelli, per nulla intimiditi, si lanciavano di nuovo all'inseguimento. Con la coda dell'occhio Mara noto' pero' che la cupola eterea sopra le loro teste ondeggiava e sfarfallava come un ologramma mal sintonizzato. Un proiettile si infilo' in una smagliatura nel sottile velo violetto e la colpi' di striscio al braccio, provocando una lieve bruciatura sulla sua pelle e strappandole un gemito. Impreco' sottovoce. Era chiaro che Mu non riusciva a concentrarsi bene sull'incantesimo se allo stesso tempo doveva correre ed evitare nemici.
“Correte!” grido' all'improvviso. “Andate avanti, qua ci penso io, vi raggiungo!”
Aveva un'idea.
Daala cerco' di ribattere qualcosa ma Mara evoco' la Forza e spinse lei e tutti gli altri avanti nel vicolo, verso la salvezza. Poi sollevo' la spada laser davanti al viso e attese, sola.
L'orda di ribelli apparve poco dopo; al vederla sola e immobile esitarono, e quell'attimo di dubbio fu loro fatale.
Mara sollevo' le braccia e lascio' che la Forza scorresse in lei, libera come un fiume in piena e infinitamente piu' potente. Tuttavia non la diresse contro i nemici, bensì in alto, verso i tetti dei palazzi che costeggiavano il vicolo, dove facevano bella mostra una serie di ponteggi e impalcature di un'impresa di ristrutturazione. Le saldature cedettero, viti e bulloni saltarono, e l'intera struttura rovino' fragorosamente al suolo, precipitando sulle teste dei malcapitati ribelli.
Mara non rimase nemmeno ad aspettare che il polverone si diradasse. Spense la spada e corse via, dileguandosi come un'apparizione tra le ombre del vicolo.



“Questo posto fa schifo!”
“E di grazia, cosa ti aspettavi da una fogna? Le terme dello Stregone Bianco?”
Il governatore sapeva sempre come metterti a tuo agio.
“Potevamo benissimo evitare di scendere quaggiù! Li avevamo seminati!”.
Il fango le si era appiccicato dappertutto, e i suoi stivali avevano imbarcato piu' acqua di quanta ne potessero contenere i canali intorno a loro. Alderaan poteva anche essere un luogo idilliaco, ma le sue fogne puzzavano esattamente come quelle di un qualsiasi pianeta malavitoso dell'Orlo Esterno.
“Mi avete detto voi che dobbiamo agire come nei nostri ricordi” ribatte' Tarkin. “Ebbene, mi duole informarvi che questo luogo incantevole fa precisamente parte dei miei ricordi!”
“Wow.” Mara sentiva che qualcosa di viscido e limaccioso le era rimasto impigliato nei capelli, ma cerco' di non pensarci. Procedevano in fila indiana, con soltanto il bagliore rosso della sua spada e di quella di Maul a illuminare loro il cammino. “Quindi questi sono i tuoi ricordi. E dimmi, cosa ci faceva uno come te in mezzo a questo schifo?”
“E' su Alderaan che Tarkin ha conosciuto loro per la prima volta” disse Daala, accennando con la testa ai ricordi di Maul e Boba, intenti a esplorare una serie di cunicoli poco piu' in avanti.
“Davvero? Non lo sapevo...” Ora che ci pensava il maestro Maul non le aveva mai raccontato di come aveva fatto la conoscenza dei suoi due amici. I tre erano cosi' diversi che si stentava a credere potessero andare d'accordo, eppure la loro amicizia era celebre in tutta la Galassia e rispettata persino dai Ribelli.
“Missione diplomatica” Tarkin storse la bocca al ricordo. “Boba e Maul mi erano stati assegnati come scorta. A dire il vero la diplomazia se n'e' andata a quel paese quasi subito, dato che questi simpatici pacifisti alderaaniani che andavano in giro vantandosi di non avere armi hanno tentato di farmi fuori”
“E adesso....cosa dovrebbe succedere?”
“Ci siamo nascosti qui per scappare dai Ribelli, dopodiché siamo riemersi in superficie in corrispondenza dello Spazioporto e abbiamo ripreso lo Slave I...il tutto condito con qualche emozionante sparatoria qua e la'.”
Dietro di loro, Mu faticava a tenere il passo. In quel tratto l'acqua melmosa arrivava sopra le ginocchia, e l'ingombrante armatura, ormai completamente inzaccherata di fango, lo rallentava terribilmente. Impietosita, Mara gli tese la mano e lo aiuto' a proseguire.
“Grazie” balbetto' la guida, che sembrava estremamente a disagio in quel posto. Fissava la melma con orrore, come se quella potesse all'improvviso animarsi e saltargli alla gola.
“Quindi, ehm...” si vedeva che Mu aveva intenzione di rivolgersi a Tarkin, ma non riusciva a guardarlo negli occhi. “Com'è' andata a finire poi?”
Il sorriso che Tarkin gli rivolse si sarebbe potuto definire quasi affabile: “E' andata a finire” disse in tono tranquillo “che ho distrutto questo pianeta.”
Senza degnarli piu' di uno sguardo, il governatore volto' loro le spalle e continuo' a farsi strada nel fango. Mara senti' che Mu era rimasto pietrificato li' dove si trovava, e lo strattono' lievemente per farlo proseguire. Aveva gli occhi sgranati e la la sua faccia aveva assunto un colorito cadaverico.
Voleva dire qualcosa per tirarlo su di morale, ma...esistevano parole per spiegare l'orrore della morte di un pianeta e di tutti i suoi abitanti? Un tempo era stata anche lei un'agente dell'Impero, e aveva commesso i suoi sbagli, ma adesso....
“Grazie” scelse di dire infine, abbandonando l'argomento spinoso. “Per aver salvato la vita a Daala.”
“Il mio dovere e' proteggere l'Invocatrice” rispose lui semplicemente, e arrossi'.
E' proprio un tipo strano...pero' mi piacerebbe scoprire qualcosa di piu' su di lui, se riuscissimo a guadagnare la sua fiducia forse....
Il tratto in acqua finalmente fini'. Mara aiuto' Mu a risalire all'asciutto, e il gruppo continuo' a seguire Boba e Maul in un intricato labirinto di cunicoli ricoperti di muffa.
“Sbaglio o quando ti sei presentato a noi hai detto di essere un sacerdote?”
“Prima di tutto sono un leale servitore di padron Vexen e dell'Organizzazione. Ma si', sono anche un sacerdote. O forse sarebbe piu' corretto dire che lo ero....” arrossi' di nuovo, imbarazzato. “Guarda” frugo' nell'armatura, all'altezza del petto, e ne trasse una specie di lunga collana fatta di grosse perle di colore ambrato. “Questo rosario e' un dono del mio confratello Shaka, e' uno dei simboli del nostro ordine e...” si interruppe all'improvviso, come se si fosse di colpo ricordato di una cosa piu' importante. “...ma quello che conta di piu' e' la missione adesso. Non possiamo distrarci, la posta in gioco e' troppo alta.”
Sempre piu' strano...
L'urlo di Daala interruppe le sue riflessioni, facendo scattare all'erta tutti i suoi sensi. Con un salto supero' Mu e Tarkin e le atterro' a fianco, spingendola dietro di se' per farle da scudo con il proprio corpo. Stavolta le sarebbe stata vicino, non avrebbe permesso che le accadesse nulla.
Poi la luce cremisi della sua spada squarcio' l'oscurità' davanti a loro, e Mara vide quello che i suoi sensi di Jedi avevano già' percepito un attimo prima.
Topi.
Una valanga di topi, una massa cosi' fitta di pelo grigio e maligni occhietti gialli che non si riusciva piu' a vedere neanche un pezzetto di pavimento. Ne' gran parte delle pareti, perché' le creaturine erano talmente tante che camminavano l'una sull'altra, simili a una gigantesca onda grigia.
Venivano verso di loro.
Rapidamente.
“Rimanete calmi!” grido' Tarkin. “Boba ha un lanciafiamme, state indietro e lasciate fare a lui!”
Ovviamente era troppo bello per essere vero.
“Governatore” Boba dovette fare un grande sforzo per mantenere ferma la sua voce. “Non so lei cosa si sia fumato, ma io non ho mai avuto un lanciafiamme con me.”
Attimo eterno di puro panico.
“CORRETE!!”
I sei si gettarono come un sol uomo nella direzione da cui erano venuti, con Mu che urlava e strepitava piu' forte di tutti gli altri messi insieme e lo squittio di migliaia di topi che li inseguiva, sempre piu' vicino. Mara senti' qualcosa che le sfregava la caviglia, e aumento' l'andatura, disperata.
“Governatore, mi sa che hai l'Alzheimer!”
“Giuro che nei miei ricordi era andata cosi'!!”
Malgrado l'armatura Mu stava polverizzando il record galattico sui cento metri, e persino Mara dovette faticare per stargli dietro. Lo afferro' per un braccio e lo costrinse a voltarsi, lasciando che gli altri li sorpassassero, e i due rimasero soli a fronteggiare la marea grigia in rapido avvicinamento.
“Usa la magia! Sei il piu' forte di tutti noi, usa la tua dannata magia ORA!!”
“Ma...ma io....”
Tremava, era terrorizzato. Mara protese le braccia in direzione dei topi, evocando una barriera di Forza per trattenerli. La marea grigia ondeggio' e si contorse come un titano che tenta di spezzare le possenti catene che lo imprigionano, ma non riusci' ad avanzare ancora. Mara socchiuse gli occhi per la concentrazione, infondendo ogni particella di energia che aveva in corpo nella barriera.
“Forza, Mu! Hai detto che devi proteggere l'Invocatrice, che la tua missione e' la cosa piu' importante, beh DIMOSTRALO!”
Mu era pallidissimo, ma le sue parole sembrarono avere un qualche effetto su di lui. Prese un profondo respiro, impose al suo corpo di smettere di tremare, e con gli occhi chiusi sollevo' le braccia al cielo e grido':
“STARDUST REVOLUTION!”
Mara rimase a bocca aperta: dai palmi aperti del sacerdote scaturi' una cascata di stelle, una raffica di proiettili splendenti che si abbatterono come una pioggia di meteore sulla marea di topi. Al contatto con il suolo le stelle esplosero in un tripudio di luce abbagliante, e Mara dovette ripararsi gli occhi con una mano, accecata. Quando li riapri' la luce era scomparsa, e i topi con lei. Il cunicolo era vuoto, l'unico suono nell'aria il lento gocciolare dell'acqua fangosa dal soffitto al pavimento.
Mu fissava le proprie mani come se non credesse a quello che era appena successo.
“Ben fatto.”
Mara avrebbe voluto dire la stessa cosa...ma non era stata lei a parlare. Ne' era stato nessun altro del suo gruppo. Era una voce maschile e solenne, e proveniva da qualche parte nelle tenebre alle loro spalle. Si voltarono in quella direzione con le armi in pugno, scandagliando il buio con occhi guardinghi.
“Chi e' la'?! Fatti vedere!”
“Non per portare sfiga, ragazzi, ma temo di dovervi avvertire che QUESTO non e' assolutamente nei miei ricordi...”
Concentrata su Mu e i topi non l'aveva sentito avvicinarsi, ma ora poteva percepirlo chiaramente. Chiunque si celasse tra le fitte ombre che avvolgevano quel luogo era una presenza forte, e la sua aura era intrisa di magia. Magia di alto calibro.
Poi udirono i suoi passi, lenti e misurati, e la luce cremisi della spade laser illumino' le pieghe di un lungo mantello. Dalle tenebre si materializzo' una figura incappucciata, vestita di una tunica scura ornata da ricami dorati. Piedi e mani erano avvolti in guanti e stivali di metallo, simili ai pezzi dell'armatura di un cavaliere. Sotto il cappuccio non si intravedeva nulla del suo volto, solo due fioche luci gialle la' dove avrebbero dovuto trovarsi gli occhi.
“Servitori dell'Organizzazione” esordi' lo sconosciuto. “Immagino che questa illusione sia opera vostra.”
Mara senti' il gemito soffocato di Mu: “Lui non dovrebbe....non dovrebbe trovarsi qui!”
“Lui CHI? Mu, conosci questo tizio?!”
“Silenzio!” intimo' l'incappucciato. “Esigo che mi riportiate immediatamente indietro!”
“Mettiti in fila amico, non sei l'unico che vorrebbe tornare a casa qui dentro.” gli grido' Tarkin di rimando.
“Non siamo dell'Organizzazione” disse Daala. “Tu piuttosto, chi diamine sei?”
A Mara sembro' di sentire lo sguardo dell'incappucciato bruciare sulla sua pelle mentre quegli enigmatici occhi gialli passavano in rassegna il loro piccolo gruppo, indugiando su ciascuno di loro.
“Il mio nome e' Mistobaan” disse infine la creatura, e dalle sue mani guantate di metallo spuntarono improvvisamente dei lunghi artigli neri. “Braccio Destro del Grande Satana Baan. Preparatevi a morire, schiavi dell'Organizzazione.”
Segui' un attimo di silenzio imbarazzante, interrotto dal rumore della mano di Tarkin che batteva contro la sua fronte.
“Questo qui non ha capito un accidente di niente!”



“CRYSTAL WALL!!”
La barriera di Mu li protesse dal primo attacco, ma persino agli occhi di Tarkin, che di magia non capiva nulla, era chiaro che quell'essere era immensamente piu' potente di tutti loro messi insieme. I suoi artigli si allungarono di colpo e affondarono nel Muro di Cristallo con la stessa facilita' di un grissino che passa attraverso il tonno. Solo l'armatura salvo' Mu dall'essere trafitto da parte a parte, ma il colpo gli fece perdere l'equilibrio e lo getto' a terra, dove atterro' con un sonoro clang.
Mara e Maul si lanciarono sul nemico con le spade sguainate, dando vita a un'intricata danza fatta di salti, capriole e bagliori rossi. Due guerrieri della Forza del loro calibro avrebbero dato del filo torcere a chiunque, ma la creatura incappucciata sembrava perfettamente a suo agio, e le spade laser non riuscivano nemmeno a scalfire i suoi tremendi artigli, che paravano ogni colpo con facilita'.
Boba apri' il fuoco, ma l'incappucciato si limito' a fare un gesto secco con una mano e una barriera magica si innalzo' a proteggere il suo corpo, sottile ma impenetrabile.
“E' inutile, se continui a sparare rischi solo di colpire Mara e Maul!”
“Stia zitto governatore, questo e' il mio campo, non il suo!”
Gia', per un attimo aveva dimenticato che in quel ricordo Boba e Maul ancora non si fidavano di lui. Non lo avrebbero ascoltato come ora facevano sempre.
“IN NOME DEL GRANDE SATANA BAAN STERMINERO' L'ORGANIZZAZIONE E TUTTI I SUOI SERVITORI! VI PENTIRETE DI AVER SFIDATO LA POTENZA DEL MIO SIGNORE!”
Dalle mani artigliate della creatura scaturi' un'esplosione di fiamme (l'incantesimo Palla di Fuoco, Tarkin ne era praticamente sicuro: troppe volte Kaspar e Zachar avevano provato a usarlo su di lui, e in qualche occasione anche con successo), e Maul venne centrato in pieno petto. Rotolo' sul terreno con i vestiti bruciacchiati e perse la presa sulla spada laser, che si spense e cadde in un canale.
Di male in peggio. Non potevano vincere in quel modo.
Tarkin prese un bel respiro e fece un passo in avanti, allargando le braccia per attirare l'attenzione.
“ASPETTA! Tu...Mistobaan, hai detto di chiamarti? Non siamo membri dell'Organizzazione! L'Organizzazione e' nostra nemica!”
L'essere spinse via Mara con un fendente dei suoi micidiali artigli e rivolse gli occhi gialli su di lui. “E' un patetico tentativo di salvarti la vita, umano? Tipico della vostra sporca razza, direi. Tradire per portare a casa la pelle. Non puo' esserci pieta' per quelli come voi.”
Razzista e fanatico, fantastico...i tipi cosi' sono praticamente impossibili da convincere. Beh, si da' il caso pero' che questo sia il MIO campo...
“No, non e' cosi'. Hai detto di essere prigioniero in questa illusione, ebbene, lo siamo anche noi. L'Organizzazione ci ha rapiti e portati qui, contro la nostra volonta'. Se anche a te e' successa la stessa cosa, e non ho dubbi a riguardo, e' inutile che stiamo qui a combatterci. Dobbiamo unire le forze. Vuoi distruggere l'Organizzazione? Bene, ti assicuro che anche noi non desideriamo altro.”
Quegli occhi gialli non avevano pupille, non avevano nulla di umano, ma Tarkin senti' che lo stavano studiando, soppesando, valutando. Sostenne il suo sguardo senza battere ciglio, lasciando che la creatura di nome Mistobaan scrutasse dentro la sua anima e leggesse nei suoi occhi la verita'.
“NO!!”
Tarkin non si era accorto che Mu era di nuovo in piedi, dolorante e sporco di fango dalla testa ai piedi, ma con un'espressione bellicosa sul volto infantile.
“Non dovete fidarvi di lui! Io lo conosco, il Grande Satana Baan l'ha mandato qui per fermare l'Invocazione Suprema! Se riesce nel suo intento sara' la fine del mio mondo!”
“Beh direi che e' un prezzo accettabile per uscire di qui...”
“Non possiamo...”
“TACI, RAGAZZINO!! Noi usciremo di qui a modo nostro, che tu lo voglia o no!”
“Non permettero' a questo demone di vagare libero per il Castello! STARLIGHT.....” Mu sollevo' le braccia, e tutto il suo corpo si illumino' di una luce gialla e abbagliante.
“No....fermatelo, MALEDIZIONE, FERMATELO!!”
“....EXTINCTION!!!!!”
La pioggia di stelle fu ancora piu' devastante di quella che aveva polverizzato i topi. Tarkin si getto' a terra e trascino' Daala con se', e li' rimasero con la faccia incollata al pavimento e le braccia a proteggere la testa, in attesa che la tempesta di luce passasse.
Infine l'oscurita' e il silenzio tornarono a reclamare il dominio di quel luogo, e per un lungo attimo nessuno riusci' a vedere nulla. Le spade laser erano spente, e Tarkin si rialzo' in piedi a tentoni, scosso ma ancora tutto intero. Trovo' la mano di Daala e la strinse nella sua, fissando il buio con occhi sgranati.
Poi apparve qualcosa.
Due fioche luci gialle, sospese nel mezzo delle tenebre.
“Oh porco Bail.....”
Sentirono i passi della creatura che si avvicinava, le luci gialle si facevano sempre piu' vicine.
“Mi avete stancato, vermi umani.”
Tarkin giuro' dentro di se' che se mai fosse uscito vivo da quel Castello (opzione che pareva ormai poco probabile) avrebbe preso quel ragazzino dai capelli viola e gli avrebbe fatto fare un bel bagno nel metallo fuso della sua armatura...
Come se fosse stata evocata dal suo pensiero, l'armatura di Mu si accese di un tenue bagliore dorato.
Da dove viene questa luce...?
Poi li udi'. Passi, voci concitate, fruscii: e vide le torce. La loro luce illumino' a giorno la scena, si poso' sul loro gruppo stremato e malridotto e su Mistobaan, che a parte qualche bruciatura sulla tunica sembrava piu' in forma che mai, in piedi di fronte a loro con gli artigli sguainati come un boia pronto a portare a termine l'esecuzione.
I Ribelli li avevano trovati.
Non erano in molti, appena poco piu' che una decina, ma perfettamente in grado di metterli ko nelle condizioni in cui si trovavano.
“E voi chi siete?!” grido' Mistobaan.
“State in guardia ragazzi!” fece quello che sembrava il capo dei nuovi arrivati. “L'Imperatore ha mandato un altro Sith!”
Tarkin comprese che si stava riferendo a Mistobaan. L'avevano scambiato per uno di loro.
Agi' d'istinto, sfruttando il momento di confusione generale: prese Daala per mano e inizio' a correre verso Mistobaan, facendo cenno agli altri di seguirlo. Quando passo' a fianco dell'essere incappucciato gli grido': “Coprici le spalle!”, e in quello stesso momento i Ribelli aprirono il fuoco su di lui. Mistobaan eresse una barriera magica, vanificando i colpi, e il combattimento ebbe inizio.
Tarkin continuo' a correre con Daala per mano, gettandosi nell'oscurita' del cunicolo e lasciandosi alle spalle lo scontro tra Mistobaan e i Ribelli. Mara lo affianco', illuminando la via con la sua spada, e Boba li seguiva portando sulle spalle il corpo ancora privo di sensi di Maul. Mu veniva per ultimo, rallentato dall'armatura.
Presto i rumori del combattimento si fecero sempre piu' fiochi e infine sparirono del tutto, e Tarkin comprese che, almeno per il momento, erano salvi.



L'uscita non si vedeva da nessuna parte.
Niente tombini, niente sbocchi su discariche, niente grate, nulla di nulla. Ormai piu' che una fogna sembrava un labirinto sotterraneo. Forse erano scesi troppo in basso, dovevano essere finiti per sbaglio in qualche vecchio cunicolo della metropolitana...
Anni prima, sul vero Alderaan, Boba e Maul avevano una mappa olografica dei condotti fognari, e lo avevano portato fuori senza nessuna difficolta' (Ribelli a parte, s'intende). Ora invece pareva che la mappa avesse fatto la stessa fine del lanciafiamme di Boba: svanita come se non fosse mai esistita.
Dopo ore che girovagavano a vuoto avevano deciso di fermarsi a riposare, e Tarkin si era reso conto di conoscere quel luogo, poco piu' di uno spiazzo all'intersezione di vari cunicoli: avevano passato li' una notte, lui e i suoi due amici, e per la prima volta avevano parlato, imparando a conoscersi meglio.
Forse era un buon segno. Forse stavano ritrovando la strada.
Ma quei due Boba e Maul non avevano voglia di parlare con lui. Tarkin si era offerto di dare una mano a medicare Maul (fortuna che almeno i kit di pronto soccorso non erano spariti!), ma Boba l'aveva mandato via con malgrazia. Strano. Le cose erano andate molto diversamente allora: ricordava che avevano parlato di calcio (beh, con Maul si finiva sempre a parlare di calcio, dopotutto), e poi i due gli avevano chiesto di Daala, e lui si era ritrovato sorprendentemente a raccontare tutta la loro storia, e infine li aveva intrattenuti con l'epico racconto di come era scappato a un attentato ribelle trascinandosi dietro uno scienziato ciccione tutto da solo. Avevano fatto battute, avevano riso...si erano divertiti.
Bah...stupida illusione malfunzionante.
Lascio' perdere i due ricordi e ando' a sedersi accanto agli altri. Daala era persa nei suoi pensieri, ma Mu e Mara erano immersi in una fitta conversazione. La cosa non gli piaceva affatto.
“...e certo che sei proprio strano, avevi piu' paura dei topi che di quel Mistobaan!” stava dicendo Mara, soffocando una risata bonaria.
“Beh, ecco...ho un po' la fobia dei topi, sai...”
“Mmmm, si', diciamo che me n'ero accorta!” rise ancora.
“Pero'... e' anche merito tuo se sono riuscito ad affrontare quel demone. Grazie.”
“Cosa...? Mio? E che ho fatto?”
“Mi hai incoraggiato. Quando mi sono fatto prendere dal panico per i topi sono state le tue parole a ricordarmi qual era la cosa piu' importante, e sono riuscito a reagire. Grazie davvero.”
“Oh...figurati. E...la cosa piu' importante sarebbe....”
“La mia missione, ovviamente. Quella e nient'altro. Avrei deluso i membri dell'Organizzazione se non fosse stato per te.”
“La missione...la ritieni anche piu' importante della tua fede?”
Tarkin decise che era giunto il momento di interrompere quella pagliacciata melensa.
“Familiarizziamo con il nemico, eh Mara? Ah gia'...che sbadato, dimenticavo che ormai per te e' un'abitudine”
“Governatore.” Mara lo fisso' senza alcuna traccia di cordialita' nei suoi occhi verdi. “Sai com'e', far saltare in aria le cose non e' l'unico modo per risolvere un problema. Ma immagino che questo tu non possa capirlo.”
“Oh beh non sono certo io ad aver tentato di far saltare in aria quel demone che poteva aiutarci, o mi sbaglio?” trafisse Mu con lo sguardo. “Ragazzino, prima o poi usciremo da questo Castello. E quando quel momento verra', giuro che ti faro' rimpiangere di essere nato.”
“Smettetela, tutti quanti.”
Daala si era alzata in piedi, il bagliore del loro piccolo fuoco da campo che tingeva il suo viso sporco ed esausto di bagliori arancioni. Anche ricoperta di fango e con i capelli scompigliati era pur sempre bellissima. I riflessi delle fiamme giocavano con i suoi occhi verdi, rendendoli ancora piu' profondi ed intensi.
“Credo di aver capito perche' non troviamo l'uscita.” disse. “Non possiamo aspettare che lo facciano loro” accenno' in direzione di Boba e Maul. “Perche' se questa dovesse essere la Prova... dobbiamo essere noi a superarla, con le nostre forze. Dobbiamo trovare noi l'uscita.”
In effetti sembrava plausibile. “D'accordo....qualcuno ha qualche idea? Io non ricordo assolutamente nulla...”
Mara si alzo' in piedi, avvicinandosi a uno dei condotti che si ramificavano dallo spiazzo, gli occhi chiusi e un'espressione concentrata sul volto. Tarkin immagino' che stesse cercando di percepire qualcosa con i suoi sensi Jedi, e percio' rimase incredibilmente sorpreso quando la vide dilatare le narici e annusare l'aria alla maniera di un cane.
“Ehm...che cosa staresti facendo?”
“Segui il tuo naso” rispose lei senza aprire gli occhi. “Gandalf dice sempre che e' la cosa migliore da fare in situazioni come queste.”
Tarkin senti' l'improvvisa esigenza di strangolare qualcuno. “Ottimo! Siamo nelle mani dei vaneggiamenti di un Ribelle! Ma che piano fantastico! Vi prego qualcuno si faccia venire in mente un'idea se.....”
“Trovato!!”
Eh?
“Di la'” Mara indico' un cunicolo alla sua destra. “Da quella parte l'aria e' meno stagnante. Probabilmente c'e' un'uscita piu' avanti.”
Prima che Tarkin potesse dire qualsiasi cosa gli altri stavano gia' seguendo Mara. Al governatore non resto' altra scelta che seguirli a sua volta, imprecando e borbottando contro i Ribelli e le loro stupide idee insensate.



Ovviamente non poteva essere cosi' facile. L'uscita c'era, e bisognava darne atto a Mara, ma...quello che lei non aveva calcolato era il folto gruppo di Ribelli che li attendeva al varco, frapponendosi irrimediabilmente tra loro e la liberta'.
Maul aveva perso la spada laser, ed era ancora troppo malridotto per combattere. Gli altri non erano in condizioni migliori: Mara zoppicava per una ferita ricevuta da Mistobaan, Boba era esausto, e lui e Daala...beh, loro erano pressoche' inutili in una situazione del genere. Come al solito presero posizione in retroguardia, sperando che non arrivasse nessuno a prenderli alle spalle.
Mara fu la prima a gettarsi all'attacco, usando la Forza per crearsi un varco tra i nemici, mentre Boba faceva fuoco di copertura. Mu copri' tutti con il Muro di Cristallo ed evoco' le sue cascate di stelle, mietendo un gran numero di vittime tra i Ribelli.
Per un attimo Tarkin si concesse di sperare.
Ma per ogni nemico che abbattevano altri tre sbucavano dall'oscurita' a prendere il suo posto, e la cosa durava troppo a lungo per essere un fenomeno naturale. Tanto piu' che le loro facce dopo un po' erano sempre le stesse...sembrava di stare in uno dei videogiochi di Maul, dove passavi ore e ore a far fuori orde di nemici sempre uguali. Con la differenza che se avessero perso questa volta non avrebbero avuto nessuna possibilita' di ricaricare la partita.
“Tarkin” Daala lo distolse dai suoi pensieri, poggiandogli una mano sul braccio. “Deve esserci un trucco, un modo semplice per uscire da questa situazione. La Prova che ho dovuto affrontare nella prima Stanza era cosi'.”
Un trucco...
Lo sguardo di Tarkin passo' in rassegna il cunicolo. Indugio' sui Ribelli, su Mara che sferrava fendenti rossi a destra e a sinistra guidata ormai dalla sola forza della disperazione, sugli incantesimi di Mu che diventavano sempre piu' deboli, su Boba che aveva quasi esaurito le celle di energia del suo blaster, su Maul che cercava di mettersi in piedi senza successo...
E sull'uscita.
Un quadrato di luce bianca appena dietro le spalle dei Ribelli. Cosi' vicino....
“Ci sono!” esclamo'. “La Prova non e' sconfiggere i Ribelli...e' arrivare all'uscita!”
“E come fai a sapere che una volta passati per quella porta saremo salvi?”
“Non lo so. Ma e' un rischio che dobbiamo correre. MU!” il ragazzo si volto' leggermente al suo richiamo, il volto tirato per la fatica. Non avrebbe retto ancora per molto.
“Smettila con gli incantesimi d'attacco e concentra tutta la tua energia sul Muro di Cristallo! Ce ne andiamo di qui!”
A onore del sacerdote andava detto che obbedi' senza protestare, e il Muro di Cristallo scintillo' di luce viola mentre tutta la potenza magica del suo evocatore fluiva ad alimentarlo.
“Tutti sotto la barriera! Mara, cerca di respingerli come hai fatto con i topi. Boba, scarica tutto il fuoco che ti resta. Se avete granate lanciatele. FORZIAMO QUESTO MALEDETTISSIMO BLOCCO!”
Che sto facendo, di solito ordini come questo li do alle navi, non a sparuti gruppi di persone a malapena in grado di reggersi in piedi...e non quando ci sono anche io in mezzo...
Ma era troppo tardi per tornare indietro, e lo sparuto gruppetto si mosse come un sol uomo, come una lama vivente scagliata contro l'armatura di un nemico.
Tarkin si impose di fissare solo il quadrato di luce bianca e corse, corse con tutte le sue forze.
Caos tutto intorno a loro, e colpi di blaster che crepitavano rabbiosamente contro il Muro di Cristallo, alla ricerca di un varco. Qualcuno lo spinse da dietro, e Tarkin incespico', si rimise in piedi, gli occhi sempre puntati sulla luce che doveva, doveva essere la salvezza.
La silhouette di un Ribelle si staglio' contro il bianco dell'uscita, ma duro' poco piu' che un attimo: un'onda di Forza di Mara la spazzo' via, lontano dal suo campo visivo. L'uscita era libera.
La luce li inghiotti'.
Non esistevano piu' direzioni in quel mare bianco e luminoso, i loro piedi poggiavano nella luce, sulle loro teste si estendeva infinita una volta di luce. Una sensazione di vertigine che duro' poco piu' di un battito di ciglia, poi Tarkin senti' di nuovo il suolo sotto di lui, e la luce scomparve. Era di nuovo tutto bianco intorno a loro, ma stavolta si trattava di un bianco molto familiare. Boba e Maul erano scomparsi.
Si trovavano di nuovo nel Castello dell'Oblio.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - L'araldo del Grande Satana ***


Capitolo 9 - L'araldo del Grande Satana


Myst Vearn / Mistobaan, character from Dai no Daiboken

Mistobaan




Nel corso degli anni aveva imparato ad apprezzare la biblioteca. C’era il profumo dei libri, prima di ogni altra cosa: un aroma intenso, delicato, un fiume di conoscenze recenti o sepolte che riposava lì, silente a portata della sua mano. Zexion aveva sempre prediletto la compagnia di un buon libro a quella di mille altri compagni di giochi.
Come se ce ne fossero mai stati ……
Era un flusso di sapere illimitato, quello della biblioteca del Castello dell’Oblio: un incantesimo arcano dava vita a fogli e penne, alla carta ed alla rilegatura, e mille mani invisibili facevano scorrere fiumi di inchiostro riempiendo ogni giorno scaffali su scaffali. Ogni libro nei mondi e nelle dimensioni, in ogni lingua e con ogni figura, tutto veniva sapientemente riscritto, vergato con calligrafia anonima e custodito nella biblioteca. Nessuno, nemmeno il Superiore, era riuscito a scoprire quale incantesimo permettesse al castello di accumulare tutto il sapere del mondo in quella maniera.
Grazie al suo potere era giunto più volte alla conclusione che la biblioteca potesse essere paragonata al cuore del Castello. Il suo olfatto era diverso da quello degli umani, e con tempo aveva imparato ad affidarsi più ad esso che agli occhi o alle orecchie: poteva rilevare la presenza di magia tutto intorno alle mura bianche dell’edificio, ma nella solitudine della biblioteca poteva percepire centinaia di incantesimi che danzavano insieme, si abbattevano, disegnavano spirali senza forma ed alteravano a loro piacere lo spazio della stanza. Nemmeno Xigbar, uno dei primi membri dell'Organizzazione, che diceva di comandare a suo piacere lo spazio e la gravità, era mai riuscito a controllare i mille scaffali che cambiavano ordine ogni giorno. Le stanze svanivano, se ne creavano altre, dove vi erano delle scale il giorno dopo ci si poteva trovare un solido muro o una cantina inaspettata.
In questo luogo trovare è perdere, e perdere è trovare, rifletté il ragazzo, fissando il motto della biblioteca inciso nella pietra, una lastra marmorea posta sopra l’uscita della stanza, circondato dal bassorilievo di un drago lungo, snello, che con le sue spire e le zanne aperte voleva forse spaventare gli intrusi.
Sì, quel misterioso labirinto non obbediva ad altri padroni che a se stesso e, forse, allo spirito che giaceva addormentato in qualche luogo segreto del Castello. Zexion riusciva a percepirne la forza: era un’energia indescrivibile come mai ne aveva sentite in vita sua. Aveva una natura duale, da quel che riusciva a comprendere dai mille odori delle stanze: luce e oscurità, vita e morte, pace e guerra, uomo e donna esistevano allo stesso tempo. Non che la cosa interessi a molti!
Il n. IV all’epoca lo aveva ascoltato, prendendo anche qualche appunto sulle sue osservazioni: ma la sua unica dea, la Scienza, esigeva molto più che parole vergate su dei fogli inconsistenti. Voleva qualcosa di solido da plasmare a piacimento, e l’attenzione dell’uomo più anziano era svanita in poco tempo.
Con tutti gli altri …… aveva ben poco desiderio di rivolgere loro la parola. I loro odori parlavano al posto delle loro labbra e anche la sola compagnia diventava sgradevole. Più di tutti quella di Marluxia che, purtroppo, sarebbe stato anche l’unico a prestare orecchio alle sue parole. Il n. XI cerca il potere come un’ape cerca il nettare ……
Ma, tra tutti i loro compagni, era quello di cui si sarebbe fidato di meno. Ne era spaventato.
Anzi, “terrorizzato” era il termine adatto.
Non riusciva a dimenticare l’odore che aveva percepito molti anni prima, quando il Leggiadro Sicario era entrato da poco tempo nell’Organizzazione: una mattina si era presentato a tavola con un sorriso più radioso del solito, aveva persino rivolto un saluto gentile a lui ed al Superiore. Ma era l’odore che emanava, il sapore dolciastro che nessuno di loro oltre lui poteva provare, lo aveva colpito come un maglio di ferro nascosto sotto un guanto di velluto. Aveva usato i suoi poteri per massacrare decine di persone, anche bambini, alla ricerca di una sua vendetta personale e nessuno era riuscito a resistergli. Eppure il giorno dopo il suo sorriso era stato così perfetto ……
Scacciò il ricordo di corsa, perché lo detestava.
Due libri caddero dallo scaffale; uno lo prese al volo, l’altro atterrò davanti ai suoi stivali. “Il Maestro d’Armi” di un certo … Crisio …volume II?
Non era la prima volta che il Castello lasciava cadere qualche tomo di sua iniziativa, così come poteva seppellire alcuni testi nelle sue profondità e non farli affiorare mai più. Una volta il n. IV aveva passato una giornata intera alla ricerca del terzo volume di un tale Hohenheim della Luce, sicuro di averlo visto in uno scaffale dell’ala ovest; il Castello glielo aveva nascosto e, solo al calar del sole, gli aveva fatto cadere dritto in testa un altro libro. Non quello che lo scienziato cercava, ma comunque qualcosa di interessante.
Ringraziò tra sé la biblioteca, poi raccolse i tomi e li rimise al loro posto, perdendo solo qualche secondo a lucidarne le copertine. Ho già letto tutto quello che mi serve, grazie. E non è questo il momento di fermarsi sui libri; devo concentrarmi sul piano.
Gli piaceva camminare, perciò aprì pigramente la porta della biblioteca e ne uscì, lasciando che il bianco dell’anticamera inghiottisse la stanza mentre lui scelse le scale. Gli altri membri dell’Organizzazione usavano i Portali Oscuri per qualsiasi spostamento (Axel addirittura per andare dal proprio letto alla porta della sua stessa stanza), ma lui preferiva comunque passeggiare se il percorso non era eccessivamente lungo.
Poi l’odore lo colpì violentemente, come un maglio di ferro allo stomaco, ed il ragazzo con i capelli d’argento si piegò sulle ginocchia, pentendosi di non essersi teletrasportato nel suo alloggio. Il tanfo era soffocante, e le sue narici fin troppo sviluppate portarono l’odore fin nel suo cervello, martellante. Annaspando per un po’ d’aria, i suoi occhi incontrarono quelli verdi di Mu: “Padron Zexion! Si sente bene?”.
No, guarda, sto alla perfezione, non lo vedi?
“S … stai lontano …… Lo sai che io ……” fece un grande sforzo di volontà per non rimettere la colazione e forse anche la cena precedente “Ma cosa diamine ……”
“Aspetti la aiuto io!”
“NON mi toccare, sacerdote idiota! Dimmi quello che devi e poi sparisci e levati questo puzzo!”.
Faticò per rimettersi in piedi, appoggiandosi debolmente al muro e rifiutando la mano che Mu gli tendeva con costanza: “Padron Zexion, dovevo dire una cosa a padron Vexen, ma sta facendo un esperimento e……”
“E dovevi proprio ammorbare ME?”.
Certo, capiva anche il povero sacerdote dell’Ariete perché temeva Marluxia, Larxen ed Axel come la peste; lì dentro lui era uno dei pochi che non si sarebbero persi in chiacchiere ed avrebbero risolto tempestivamente il problema “Senti, dimmi il problema!” fece, con le guance ancora paonazze. Era sensibile anche agli odori normalmente impercettibili per gli esseri umani, ma quel tanfo portato dalla guida era abbastanza potente da esplodergli nella testa.
L’altro cercò di levarsi la fanghiglia ed il lerciume da dosso con l’unico risultato di inzaccherare il pavimento candido: “Il mio Intercessore …… ha ricominciato a lamentarsi …… tanto …… e si è di nuovo seduto a gambe incrociate, esige un bagno, io non so dove portarlo e stavolta anche l’Invocatrice è d’accordo con lui e poi …”
“TU” Zexion trovò le forze per alzarsi di scatto in piedi, trafiggendo il sacerdote con lo sguardo del suo unico occhio visibile “TU SEI VENUTO DA ME PER UNO STUPIDO, MISERO, IDIOTA PERMESSO DI ANDARE IN BAGNO?”.
Era una delle poche volte in cui alzava la voce, e Mu era forse l’unica persona che si poteva davvero spaventare alle minacce di un ragazzo così minuto e bassino: “TU … TU SAI COSA MI STAI FACENDO CON QUELL’ODORE, VERO? VAI DA AXEL, CHE ALMENO PUZZA QUANTO E COME TE E NON NOTERA LA DIFFERENZA!”.
Il piccolo Mu si profuse in mille inchini, balbettando delle scuse, e stava per aprire un Portale in direzione della stanza del n. VIII quando Zexion percepì un secondo odore proprio alle sue spalle: aveva la forza ed il potere di qualcosa di magico e antico allo stesso tempo. L’odore stesso sembrava congelato, lasciando che il freddo lo colpisse allo stomaco ed al cervello. Aveva già avuto quella percezione prima di allora. Non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi, anche perché l’espressione di puro panico del giovane sacerdote era più eloquente di mille parole.
“Pa …… padron Zexion?”.
“Sì?”.
“Vuole ancora che …… ehm …… vada a parlare con il n. VIII?”.
Per una volta sarei più che felice di vedere il roscio in questa stanza ……
“Mu, non fare domande sceme. Certo che sì!” e non fece in tempo a terminare la frase che il sacerdote era scomparso in un Portale Oscuro, lasciando soltanto un barlume della sua armatura dorata e qualche ciuffo dei suoi capelli viola. Zexion trovò (non sapeva nemmeno lui bene dove) il coraggio di voltarsi: anche se coperto di fango, con un topo che ancora scivolava tra le pieghe della sua tunica e la manica destra strappata in più punti, il generale Mistobaan faceva ancora la sua trionfale figura. Alto ed imponente, lo fissò come un gigante poteva osservare una formica: Zexion si chiese come mai le proprie gambe fossero inchiodate al pavimento e non trovassero la forza di correre via.
Si sforzò di non vacillare e guardò l’oscurità sotto il suo cappuccio, cercando di decifrare il mistero di quelle luci brillanti al posto degli occhi e di quell’odore senza eguali.


Il nemico gli si parò davanti: “Ci rivediamo, membri dell’Organizzazione”.
Zexion deglutì mentre i ricordi del suo unico, breve incontro con l’Araldo del Grande Satana tornavano ad affacciarsi alla mente. Quella volta Mistobaan era comparso davanti al Superiore e all’Organizzazione al gran completo per parlamentare, e aveva lasciato il Castello di sua spontanea volontà non appena ottenuta la risposta che cercava. Zexion lo aveva osservato dall’alto del suo trono, a distanza di sicurezza, certo che in caso di problemi le sei lance di Xaldin e il possente tomahawk di Lexaeus si sarebbero levati per fare da scudo tra lui e la furia di quella creatura misteriosa. Ora invece l’emissario della famiglia demoniaca era a pochi passi da lui, in carne ed ossa, e le sue mani guantate strette a pugno erano molto, molto eloquenti.
Si sentì ancora più piccolo ed indifeso, proprio come quando Lexaeus lo fissava dall’alto in basso, acchiappandolo per la tunica come se fosse un gattino appena nato “Come sei giunto al Castello dell’Oblio?”.
Doveva farlo parlare.
Da solo non avrebbe avuto la minima possibilità.
“Il Grande Satana Baan è l’Essere più potente e saggio di questo mondo e di ogni dimensione; non ci sono barriere di spazio e tempo che possano reggere davanti alla Sua volontà!” fece Mistobaan, la cui voce era potente e sembrava volergli penetrare nella mente “L’eccelso Grande Satana Baan ha mille ed un modo per scovare coloro che si sottraggono al suo sguardo possente e VOI, insulsi membri dell’Organizzazione, troppo a lungo vi siete nascosti al Suo giudizio!”.
Axel, quanto ci metti?
Mistobaan sollevò un dito ammonitore “Forse sarete anche scappati dalla nostra dimensione, ma il Grande Satana Baan, dall’alto del suo trono celeste, sa. Vede. Il mio onnipotente signore ha mandato me, Mistobaan, generale del Maegudan, suo Braccio Destro e primo di tutti i suoi servitori ad eradicare la vostra esistenza e ad offrirla al mio Signore per punirvi di averLo sfidato!”.
“Noi non abbiamo sfidato nessuno!”. Per ora.
“TACI! Non avete piegato il ginocchio al mio unico ed onnipotente signore, e adesso la mia ira vi colpirà attraverso il mio sdegno!”.
L’odore del generale del Maegudan lo colpì di nuovo, ancora più violentemente: anche se intorno a lui l’aria sembrava perfettamente normale, l’energia sprigionata dal corpo sotto al mantello era eccezionale. Ogni muscolo, ogni nervo di Zexion la sentì esplodere per tutta la stanza ed il Castello intero. Fredda come il ghiaccio, la magia dell’intruso avvolse il suo proprietario, liberando strali di energia combattiva tenebrosa.
In pochi secondi il n. VI dell’Organizzazione vide scorrere davanti ai suoi occhi l’equazione del problema che era nato proprio davanti a lui.
Il generale Mistobaan, carico di energia, stava puntando dritto proprio contro di lui.
Di contro, lui era il peggior guerriero dell’Organizzazione.
Non aveva nemmeno un’arma.
Da sotto la tunica del nemico una mano avvolta in maglie metalliche si aprì di colpo, e l’incantesimo che ne uscì fu sufficiente a farlo schiantare contro la porta della biblioteca: un solo colpo e l’aria si era tinta di azzurro, il gesto con cui un essere umano avrebbe schiacciato una formica. Per il contraccolpo il ragazzo sentì il fiato abbandonare la sua gola per qualche attimo.
Devo resistere. Se dovesse dilagare ……
Entrambe le maniche furono scaraventate all’indietro, e le dita di Mistobaan si protesero verso di lui: l’attimo dopo esse diventarono dieci lunghi artigli che riflettevano i muri bianchi del castello. Esse si allungarono, uno, due, cinque metri, dirette contro il suo petto.
Prima solo di domandarsi di che magia si trattasse Zexion richiamò un Portale Oscuro, saltandoci dentro mani e piedi e ricomparendo qualche metro più in là.
Axel, Mu, muovetevi, dannazione……
Il nemico si voltò di nuovo: “Non credere di sfuggire alla mia ira ed a quella del mio Grande Satana!”, e gli artigli partirono di nuovo nella sua direzione. Seguivano i movimenti della sua mano, ma il generale non aveva problemi a governare quelle lunghe ed ingombranti estremità, roteando con foga un braccio e mandando le lame sottili contro il ragazzo.
Zexion vide uno di quegli artigli molto da vicino l’attimo in cui una ciocca della sua fronte fu recisa di netto. Scappò nel Portale, cercando di apparire alle sue spalle.
Sì, comparì proprio alle spalle del generale, ma il secondo successivo qualcosa di inaspettato di piantò nella sua schiena.
“Codardi esseri umani, vermi infidi, conosco bene la vostra viltà!” fece Mistobaan, con un tono di voce che ormai era alle stelle “Non sapete vincere se non attaccate alle spalle!”.
Il n. VI sentì il sangue scorrere sotto la tunica mentre qualcosa di gelido uscì dalla sua carne, mentre la sua mano destra cercò una parete su cui appoggiarsi; quando vide il nemico ritrarre i suoi artigli capì.
Un trucco degno di Xigbar……
Con il suo teletrasporto aveva lasciato campo libero al nemico, permettendogli di far entrare uno dei suoi artigli dentro il Portale Oscuro, approfittando dei pochi secondi che gli occorrevano per chiudersi. Ed il suo tentativo di fuga gli si era ritorto contro, lasciandolo ansimante e con un irrefrenabile bisogno di andarsene da lì.
Gli sono bastati pochi attimi per trovare un mio punto debole …… beh, io ne ho numerosi …… ha sfruttato ogni goccia di magia presente nella stanza, per lui è così naturale ……
L’aria sibilò e gli artigli tornarono di nuovo verso di lui.
Stavolta mirava in basso.
Voleva prenderlo vivo.
Indeciso se potesse essere una consolazione, Zexion rinunciò ad usare ogni forma di teletrasporto e si lanciò sul pavimento, rotolando in modo assolutamente poco dignitoso per sfuggire ad ogni colpo; l’avversario ritraeva ed estraeva le sue dita con velocità pazzesca, rendendole dritte, curve, tortili, creando un vero campo di lame impossibile da evitare del tutto. Sapeva che se non fossero arrivati i rinforzi in tempo sarebbe stato ridotto ad uno spiedino infilzato; doveva passare ad un contrattacco. Come se potessi fargli qualcosa in più del solletico……
Corse verso le scale, guadagnando qualche attimo in cui la sua sagoma sarebbe stata nascosta agli occhi di Mistobaan e fece appello a tutta la magia che aveva in corpo. L’aria gli rispose, correndo da sopra le scale e dagli angoli della stanza, radunandosi e soffiando con forza tutto intorno al nemico: gonfiò la sua tunica, attraversò le sue maniche, cercò in ogni modo di abbattersi al di sotto delle gelide maglie che proteggevano quello strano essere.
Zexion sapeva che il Castello dell’Oblio era dalla sua parte, ma non poteva fare miracoli: era in grado di lanciare attacchi formidabili come e più di un eccellente elementale del vento, poteva comandare l’aria e addomesticarla, ma il suo potenziale magico non era mai stato enorme. Non abbastanza da abbattere una creatura come Mistobaan o un qualsiasi elemento della famiglia demoniaca.
Un colpo d’aria scansò di colpo tutti i suoi ciuffi argentati, ampliandogli la visuale: “Non sono poi così indifeso, Mistobaan!”.
Chiese al vento un ultimo aiuto, e la finestra della stanza si aprì di colpo, lasciando entrare l’aria gelida e tutto l’odore della notte arida del limbo interdimensionale in cui erano imprigionati; il suo elemento si lanciò contro il polso del generale, torcendolo quanto bastava per allontanare gli artigli dalla traiettoria che conduceva proprio verso di lui. Zexion sentì l’odore della sua collera.
La porta della stanza accanto si aprì al suo comando, e nuova aria giunse di nuovo verso il nemico, diretta al polso sinistro. Il ragazzo non aveva mai usato tutta questa energia, nemmeno durante gli allenamenti speciali con Xaldin, ma in quei momenti si rese conto di quanto potente fosse la magia che il Castello gli forniva in prestito. Esserne padrone era … inebriante, almeno sotto quell’aspetto.
“Opponi resistenza, UMANO?”.
Strinse le mani e chiese al vento di unirsi, spingere, soffiare come un’unica massa proprio nella maniera con cui aveva visto il n. III abbattere più di un ostacolo; la magia nel suo corpo gli rispose, incredibilmente forte e grata di tante possibilità. Lasciò che si abbattesse contro il petto dell’avversario e lo spinse contro una parete, costringendolo a ritirare i suoi artigli. Forse…… posso farcela anche da solo ……
Il vento si ritrasse dall’avversario, lasciando che la tunica si sgonfiasse e tornasse a coprire ogni cosa. Il cappuccio non si era allontanato nemmeno di qualche centimetro, ed i mille odori che attraversavano la testa di Zexion gli dissero che il punto debole era proprio lì sotto, avvolto dalla stoffa e dall’armatura, il cuore dell’incredibile energia di Mistobaan.
“TOMA MESSAIJIN!”
L’odore arrivò in ritardo.
Quando il n. VI dell’Organizzazione si rese conto del pericolo le sue braccia e le sue gambe erano già avvolte da centinaia di fili argentati che in un attimo lacerarono la tunica ed arrivarono fino alla pelle. Il dolore prese il controllo di ogni pensiero nella sua testa, e l’aria ed il vento protettivo scivolarono dal suo controllo. Mistobaan era di nuovo in piedi, eretto come se non avesse mai subito nemmeno un attacco: “Muori sentendo la potenza della furia del Braccio Destro del Grande Satana Baan, essere indegno!”.
Il suo braccio era illuminato da una fiamma azzurra, ed i fili che stavano intrappolando il ragazzo si erano estesi per tutto il pavimento, creando la sagoma di una perfetta ragnatela; il nemico era in un angolo, e Zexion sentì i fili tirarlo inesorabilmente verso il basso, aggrappandosi su tutto il suo copro e penetrando anche nei muscoli, lasciandolo con un dolore senza paragoni.
“SOTTOMETTITI AL POTERE DELLA FAMIGLIA DEMONIACA!”.
Cercò di districarsi con tutte le forze che gli restavano: provò a lacerare i fili della ragnatela, ma nonostante le apparenze erano duri come l’acciaio. Uno gli passò tra le dita e tagliò il guanto nero, poi si conficcò in lui finché Zexion si rese conto che la mano sinistra era diventata assolutamente inservibile. Chiamò a raccolta i suoi poteri, ma percepì che le energie flebili che cercava di riesumare abbandonavano il suo corpo e si dipanavano sulla ragnatela fino a raggiungere il braccio illuminato di Mistobaan.
Il Castello gli accelerava la guarigione, ma i tagli erano troppo profondi, e per il dolore sentì anche le ultime forze mancargli.
Il generale del Maegudan attraversò la stanza ma Zexion, ormai per terra, vide solo in modo sfocato gli stivali corazzati del suo avversario e sentì il rumore metallico del loro piantarsi sul pavimento. L’odore successivo arrivò flebile, la sensazione sgradevole di inghiottire in un solo colpo delle albicocche rivestite della paprika più energetica, ed il ragazzo fece appello proprio al dolore che aveva in corpo per non svenire. L’immagine dei piedi di Mistobaan accanto al suo viso scomparve in un soffio di fiamme danzanti.
“Sono arrivati i rinforzi, cerebroleso!”.
“Uffa, avete iniziato una rissa senza di me …… E dire che sono stata io a far iniziare tutto il divertimento!”.
“Larxen, con te facciamo i conti dopo” fece il fin troppo distinguibile tono del n. VIII “Ora dobbiamo fermare questo bastardo prima che dilaghi!”.
“Uh, ma che bello, guarda quanto sangue! Il povero piccolo dolce tenero Zexy ha opposto resistenza, a quanto pare……”
Il ragazzo in quel momento si sarebbe fatto scivolare addosso qualsiasi insulto della Ninfa Selvaggia; il fuoco di Axel fece svanire la ragnatela in un attimo, ed i fili che si erano conficcati nella sua pelle caddero per terra, inanimati, mentre Zexion diede addio a tutte le sue forze e si lasciò andare sul pavimento. Però non lo raggiunse, e con la coda dell’occhio vide un familiare scintillio dorato attorno a lui, insieme a due braccia in armatura che lo sostennero e fecero sedere con dolcezza mista a forza in un angolo. Tornò un piacevole fresco, e tra lui ed il nuovo duello si eresse il Crystal Wall di Mu: “Padron Zexion, le chiedo perdono per il ritardo, le giuro, non trovavo padron Axel, lo ho cercato, ho incontrato padrona Larxen, poi lei mi ha detto che ……”
Il ragazzo non prestò alcuna attenzione ai farfugliamenti del sacerdote, limitandosi a lasciarlo fare mentre avvolgeva il suo mantello bianco attorno alle ferite, tamponando la perdita di sangue e ringraziando qualcuna delle sue primitive divinità. La magia del Castello dell’Oblio cominciò a farsi sentire di nuovo, creando un debole calore nella sua pelle, nei punti dove cercava di rimarginare le ferite.
Questo non mi risparmierà comunque una visita al laboratorio del n. IV ……
Al sicuro dietro la barriera di cristallo, Zexion si concesse le forze per guardare di nuovo: la ragnatela era sparita, da Mistobaan giungevano odori indicibili, come quelli di un vulcano in piena eruzione, e davanti a lui stavano due rassicuranti (si faceva per dire) figure vestite di nero. Axel aveva ancora le braccia avvolte nelle fiamme, ma la sua espressione non era delle più allegre.
Quella di Larxen, invece, era una maschera di puro piacere “Lascialo a me, Axel! Un po’ di moto mi farà bene!”.
La sua risata non aveva nulla di umano; la bambina dai capelli biondi aveva un sorriso che poteva raggelare i suoi compagni in un solo attimo.
“Larxen, non verrò a riprendere i tuoi pezzi per portarli al n. IV per farli riattaccare!”
“Oh, Axy, ma io porterò a Vexycaro i tuoi pezzi se mi impedirai di divertirmi!”.
Poi sparì in avanti, lasciando il n. VIII con un’espressione indecifrabile. Zexion si concentrò su Mistobaan: qualsiasi attacco avesse avuto in mente di scagliare, di sicuro nemmeno il Braccio Destro del Grande Satana aveva in mente cosa volesse dire fronteggiare la Ninfa Selvaggia in pieno assetto da battaglia.
I suoi artigli colpirono una decina di volte, diretti contro un bersaglio assolutamente imprendibile; forte dei poteri del Castello, la velocità della ragazza era come minimo quintuplicata, rendendola poco più di un fulmine aggraziato che scivolava tra le pareti e gli artigli. Niente Portali Oscuri, tutti riflessi, Larxen un attimo apparve proprio davanti al Crystal Wall e poi riapparve sul lato opposto della stanza: “Ehi, brutto coso col cappuccio, vieni a prendermi se ci riesci!”.
“Guarda da questa parte, idiota!”.
Un’enorme linguaccia rese Larxen ancora più impertinente.
“Ma cosa sei, il Braccio Destro Anchilosato del Grande Satana?”
Mistobaan lanciò un urlo di battaglia simile a quello di una bestia furibonda, e sul pavimento si creò di nuovo la sua mortale ragnatela, che però si infranse contro la sicurezza delle magie di Mu, mentre il n. VI notò che Axel continuava ad osservare la scena avvolto in un cerchio di fiamme. I fili si mossero verso la ragazza, lanciandosi da sotto i suoi piedi verso l’alto, cercando di intralciarla nel salto; per tutta risposta lei fece un enorme salto, protendendo le braccia e la schiena verso l’unico punto libero tra le maglie. Vi atterrò e poi tornò in aria di nuovo, sfuggendo alla trappola.
“Tutto qui quello che sai fare? Parli tanto ma sei così noioso!”.
Larxen sarà anche pazza, ma in questi momenti mette davvero paura.
“COME OSI, RAGAZZINA UMANA? Nessuno si prende gioco della volontà del Grande Satana!”.
Lei riapparve di nuovo in una delle maglie della ragnatela: “Oh, ma io non mi prendo gioco della volontà del tuo GSB! Io la uso soltanto come affilatoio per i miei kunai! E a proposito di kunai ……” risata che non presagiva nulla di buono “…… guarda meglio, stupido mucchio di metallo!”.
Mistobaan si voltò, e Zexion seguì il suo sguardo.
La ragazza era riapparsa di nuovo, stavolta in punta di piedi su uno dei suoi kunai: la sua piccola arma, gialla e azzurra, era conficcata nel terreno, dritta e precisa, proprio dove quattro fili della ragnatela si univano per delineare una maglia. Lo strumento era minuscolo, ma reggeva senza cedere il peso della sua padrona.
Poi Mistobaan ne vide un altro alla propria destra, e Zexion ne notò un altro ancora proprio alle spalle del loro nemico. Ed un altro ancora.
“Grigliata di Braccio Destro del GSB in arrivo, Axel!” fece lei con un sorriso, agitando la mano verso il suo compagno come se stesse in posa per una fotografia. Poi il suo corpo si illuminò di scatto, ed i fulmini attraversarono le sue braccia e le sue gambe per arrivare al piccolo kunai; prima che il generale potesse rendersi conto della trappola, le altre sette piccole armi della ragazza brillarono cariche di energia elettrica, luminose come globi di luce nella notte. I fulmini attraversarono le maglie della ragnatela partendo dai nodi, e conversero come un solo attacco luminoso verso il nemico.
Quello lanciò un ultimo urlo, e nelle narici di Zexion si abbatté con forza una sequenza di odori di carne bruciata, di fulmini, di magia in frantumi e la travolgente euforia dell’aroma di Larxen, simile ad un’albicocca, che disegnava il proprio tracciato approfittando della ragnatela dell’avversario. Percosse il suo petto e gli riempì le narici, disgustandolo. Il suo ultimo ricordo prima di svenire sul serio fu qualche commento di Axel sul fatto che dovessero trascinare il generale Mistobaan nel laboratorio di Vexen, il tutto condito con qualche imprecazione.
Poi lasciò che il Castello dell’Oblio si prendesse tutte le sue forze e si abbandonò al suo potere.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Il Nucleo Nero ***


Capitolo 10 - Il Nucleo Nero


Vexen

Vexen




Larxen non capiva perché tutti ce l'avevano con lei.
Vexen era un caso a parte, lui ce l'aveva sempre con lei, poco ci mancava che avesse da ridire persino sul suo modo di respirare. Ma gli altri...non poteva credere che dessero ragione al vecchio! Che delusione!
Che poi cosa aveva fatto di male? Dopotutto quel Mistobaan era una mina vagante in giro per il Castello, spedirlo in uno dei ricordi delle Stanze poteva essere un buon modo per sbarazzarsi di lui per sempre e senza fatica. Beh, a dire il vero lei non l'aveva fatto per quello. L'aveva fatto perché....
“...e che cavolo, mi annoiavo! E poi era il mio turno di manipolare le Stanze, lo abbiamo votato in democrazia!”
Marluxia scuoteva la testa con disappunto, i riccioli rosa che ondeggiavano a destra e a sinistra. Mistobaan non avrebbe dovuto incontrare l'Invocatrice e i suoi compagni, diceva.
Era stato un grande errore.
Una colossale imprudenza.
Bla bla bla.
Larxen non li ascoltava più. Pensava alla faccia che aveva fatto l'Intercessore quando lei aveva cancellato dalla Stanza il ricordo del lanciafiamme. Impagabile!
“Che c'è da ridere adesso?”
Anche le espressioni dei suoi compagni in quel momento erano impagabili. Si agitavano tanto per una cosa da nulla!
“Guardate che Mistobaan avrebbe potuto raggiungere Zexion e attaccarlo anche se io non lo avessi fatto finire nella Stanza”.
Argomentazione logica, ma evidentemente non abbastanza logica per Vexen-il-signore-della Logica: anche lui scuoteva la testa in un tripudio di ciuffetti volteggianti. Inaspettatamente Larxen gli sorrise e un attimo dopo, puff! gli si materializzò accanto, seduta su un bracciolo del suo trono.
“Dì la verità, l'unica cosa che ho rovinato è stato il tuo insulso esperimento” afferrò la catena d'argento che ornava la tunica di Vexen, rigirandosela tra le dita con aria casuale. “O mi sbaglio?” gli sussurrò, così vicina da poter sentire la lieve aura fredda che il corpo di lui emanava costantemente. Ma il gelo aumentò tutto d'un colpo, e la catena d'argento divenne troppo fredda da toccare. Larxen perse la presa e si ritrasse, mentre Vexen si lasciava avvolgere da un corridoio dell'oscurità e si rimaterializzava diversi troni più in basso. Le rivolse uno sguardo puramente omicida che era un autentico spasso.
“Il nostro esperimento, Larxen”. Marluxia non fece mostra di aver notato la scenetta appena avvenuta. “Avevamo lasciato Mistobaan libero nel Castello per un motivo preciso. Doveva trovare le Stanze, ma da solo, e al tempo debito. Doveva sembrare tutto naturale, non condizionato da noi. Avrebbe incontrato i suoi ricordi, e poi...noi avremmo scatenato tutto il nostro estro creativo. Avremmo capito fino a che punto può spingersi il potere delle Stanze senza danneggiare inutilmente le Invocatrici.” sospirò, una delle solite pause teatrali alla Marluxia. “Ora temo invece che il progetto sia irrimediabilmente compromesso.”
“Per riassumere in due parole lo sproloquio di Marluxia: Mistobaan doveva essere la nostra cavia ma ora tu hai mandato tutto a p...., Larxen.”
Marluxia storse il naso al turpiloquio, ma stavolta scelse di ignorare il n. VIII. “E per di più Zexion è rimasto ferito” aggiunse invece.
“Capirai che perdita! Anzi, se fosse morto ci avremmo pure guadagnato.”
Larxen era in guerra perenne con Vexen: il n. IV era sempre così freddo e altezzoso, ma per lo meno aveva una personalità, e provocarlo era uno dei suoi divertimenti preferiti. Zexion, si era resa conto con il tempo, era molto peggio: un'autentica ameba, sempre chiuso in te stesso, sempre lì a scrutarti torvo da dietro quel ridicolo ciuffo di capelli. Alle riunioni parlava pochissimo, e pareva che non gli interessasse nulla di quello che stavano facendo. Un essere così inutile era degno a malapena del suo disprezzo, e non era la prima volta che se ne usciva con commenti di quel tipo in sua presenza.
Commenti che il cerebroleso (così lo avevano soprannominato lei e Axel ormai da lungo tempo) regolarmente lasciava cadere nel vuoto, come se non li avesse nemmeno uditi. Noioso.
“Larxen, basta” ed ecco Bocciolo di Rosa che scattava a riportarla nei ranghi, puntuale come la morte e le tasse. Da quando avevano conquistato il Castello era diventato anche lui tremendamente serio e insopportabile, come se si credesse investito di una missione divina. Pfui!
Narratore: "povera Larxen, ti senti incompresa, eh?"
"E tu che cosa vuoi adesso??"
Narratore: "suvvia, non essere così diffidente! Sono venuto a trovarti per tirarti su di morale: abbiamo appena ricevuto la posta dei fan, e...beh, pare ci sia un certo RoxasXIII95 letteralmente impazzito per te! Hai fatto colpo!"
"Oh, finalmente qualcuno intelligente!"
Narratore: "bene, per averti consolata fanno 10 euro!"
REGISTE: "Narratore, finiscila di ricattare i personaggi e torna al tuo lavoro!!"
Narratore: "okay, okay, calmatevi...riprendiamo..."

“Vabbè, insomma che si fa con Mistobaan?” Doveva essere quasi ora di pranzo, perché Axel iniziava a dare segni di impazienza.
“Suppongo che dovremo eliminarlo. Mi piacerebbe sapere come ha fatto ad arrivare in questo limbo interdimensionale, ma immagino che non ce lo dirà mai. Meglio farla finita subito.”
“Per una volta sono d'accordo con te, Marluxia” fece Axel. “Chi se ne occupa?”
“Aspettate. Forse non ce ne sarà bisogno.”
Gli sguardi di tutti corsero verso il più basso dei troni occupati, dove Vexen sedeva con il gomito su un bracciolo e il mento poggiato sulla mano. Larxen conosceva bene quel sorrisetto, poco più che una sottile increspatura delle labbra, e quel guizzo divertito che si intravedeva nei suoi occhi verdi. C'era qualcosa che lui sapeva e loro no.
Vexen infilò la mano in una tasca della tunica e ne trasse fuori un oggettino minuscolo. Lo tenne alto sul palmo della mano perché tutti potessero vederlo, ma anche così era difficile distinguerlo dalla stoffa nera del suo guanto. Sembrava una piccola sfera dalla superficie irregolare, del colore dell'ebano. Nulla di particolarmente notevole...
“Un esplosivo. Magico. E potente, anche.”
“Uff Zexion, ti piace vincere facile. Dacci il tempo di pensarci, almeno.” Ma era chiaro che Axel di voglia di pensare ne aveva ben poca, tanto che si appoggiò allo schienale del trono con le braccia dietro la testa e un piede che penzolava oltre il bracciolo, in evidente attesa che qualcuno chiarisse il mistero per lui.
“Da dove salta fuori?”
Marluxia era tanto intelligente, ma ogni tanto faceva delle domande davvero idiote. Tutta quella suspence da parte di Vexen non poteva che voler dire una cosa.
“L'ho creato io.”
Appunto.
“Il massimo dell'energia nel minimo dello spazio. L'ho chiamato Nucleo Nero.”
“Vuoi l'applauso?”
Vexen la guardò come si guarda un insetto fastidioso o una gomma da masticare appiccicata sotto le scarpe, ma stavolta non le rispose. “E' regolato da un telecomando a distanza. Possiamo impiantarlo nel corpo di Mistobaan e costringerlo a obbedirci. Così avremo tutto il tempo per portare a termine l'esperimento senza temere colpi bassi da parte sua.”
“Ed esattamente...quanto è potente?” Difficile dire se Marluxia fosse soddisfatto o turbato da quel risvolto inatteso: Bocciolo di Rosa sapeva mascherare la sua espressione tremendamente bene. Tutto il contrario del n. IV, il cui volto era un libro aperto sulle pagine dei suoi pensieri. Lui sì che era soddisfatto, e compiaciuto, molto compiaciuto. Era sempre così quando inventava qualcosa di nuovo.
“Diciamo che quattro di questi potrebbero polverizzare il nostro Castello.”
“E tu hai costruito un coso del genere senza dirci nulla?!” Axel fissava il Nucleo Nero con aperta diffidenza. Larxen sapeva c'erano mondi in cui bombe ed esplosivi erano all'ordine del giorno, ma da dove venivano loro una cosa del genere non era mai esistita. In più quel Nucleo Nero doveva contenere un bel po' di energia magica, magari presa dal Castello stesso. Non osava immaginare cosa sarebbe successo se Vexen avesse deciso di usarlo contro di loro....
“Sono d'accordo con Axel” esclamò. “Dovremmo prendere le decisioni tutti insieme, ma tu fai sempre di testa tua, Vexen. Non siamo più nella vecchia Organizzazione, non sei il nostro capo!”
“Se mi sono unito al vostro complotto, cara la mia Larxen, è stato proprio per avere la libertà di sperimentare a mio piacimento!”
“Io invece avrei tanta voglia di sperimentare cosa succede se prendo quel Nucleo Nero e te lo ficco nel...”
“BASTA! Vedi di stare zitta una buona volta!”
“E tu vedi di stare attento” Larxen sorrideva, ma dentro di sé era seria, terribilmente seria. “Perché prima o poi potrei stancarmi della tua aria di superiorità. Più prima che poi, a dire il vero.”
Ma ecco di nuovo Marluxia il cane da guardia intervenire abbaiando furiosi ordini di farla finita, di smetterla di litigare come bambini, come diceva lui.
Stupido terzo incomodo, si intromette sempre.
Cosa avevano preso a fare il potere se ora non potevano neanche divertirsi un po'?
“C'è un problema nel tuo piano, Vexen” stava dicendo adesso Marluxia. “Quel Mistobaan è un fanatico. Scommetto che si lascerebbe saltare in aria dentro le Stanze della Memoria piuttosto che abbassarsi a obbedire a noi.”
“Oh io non credo proprio che lo farà.” ancora un sorriso, segno che stava per arrivare qualche altra grande rivelazione. Un'informazione che, come al solito, Vexen aveva tenuto solamente per sé in attesa del momento migliore per servirsene.
Ma sì, goditi in tuoi cinque minuti di gloria. Vedrai che presto sarò io a farti piangere lacrime amare.
Vexen fece correre lo sguardo tra tutti loro, gli occhi accesi per la soddisfazione.
“E adesso vi spiego il perché.”



Del n. IV si poteva dire di tutto, ma non che non fosse un bravo medico. Aveva fatto miracoli con le sue ferite, rimettendolo in sesto in men che non si dica. Malgrado ciò Zexion era esausto: partecipare a quella riunione aveva richiesto più fatica del previsto, e le fasciature sotto la tunica cominciavano a dargli un prurito fastidioso. Forse avrebbe dovuto a chiedere a Vexen di cambiarle. Rabbrividì al pensiero di dover sentire di nuovo su di sé il tocco gelido di quelle mani prive di gentilezza e affetto. Erano molto più fredde di come le ricordava.
Lui e Vexen erano rimasti soli nella sala riunioni. Marluxia era andato a supervisionare la prossima Stanza (meglio lui che Larxen, almeno sotto quel punto di vista), e gli altri due...non gli interessava nemmeno saperlo. Sapeva solo che sarebbero stati presenti all'operazione per impiantare il Nucleo Nero in Mistobaan, perché Larxen non si fidava a lasciare campo libero a Vexen. Forse non aveva tutti i torti. Dentro di sé Zexion non sapeva che pensare di quel piano: gli pareva un rischio tutto sommato inutile, ma gli altri, Marluxia in testa, avevano dato il loro consenso dopo che Vexen aveva rivelato loro la vera natura dell'essere chiamato Mistobaan. Ironia della sorte, probabilmente era stato proprio lui a spingere lo scienziato a indagare in quella direzione, quando gli aveva rivelato le sue percezioni sull'intruso.
Vedi che alla fine hai ancora bisogno di me...
“Mi serve che tu faccia una cosa per me.” disse improvvisamente l'uomo più anziano, come se avesse letto nei suoi pensieri.
Cosa? Hai davvero la faccia tosta di venirmi a chiedere...?
“Voglio ampliare il campo di indagine dell'esperimento, ma contando che con le Invocatrici e gli Intercessori non possiamo prenderci troppi rischi...mi servirebbe un altro soggetto.”
“Mistobaan non ti basta?”
“Evidentemente no, altrimenti non te l'avrei chiesto.”
“Beh, vattelo a prendere da solo.”
“Devo preparare il laboratorio per l'operazione di Mistobaan. Marluxia sta controllando la Stanza, e Axel e Larxen sono con me. Resti solo tu.” Le parole di Vexen erano sempre neutre, fredde, implacabili nella loro logica. Il n. IV aveva deciso che avrebbe soddisfatto quel suo ennesimo capriccio di scienziato e non si sarebbe fermato davanti a nulla e nessuno.
Zexion da parte sua cominciava davvero a infuriarsi: “Perché non ci mandi il tuo stupido schiavetto?!”
“Lui deve assistermi nell'operazione.”
Già, sempre lui, sempre quello stupido, insulso, inutile Camus. Persino lui è più importante di me.
“Sono ferito, in caso tu non te ne sia accorto.”
“E io ti ho curato, in caso tu lo abbia dimenticato. Vorrei non aver perso tempo inutilmente.”
Ecco, quello era il momento di alzarsi, sputargli in un occhio e urlargli in faccia tutto quello che pensava di lui. E allora perché aveva chinato la testa? Era davvero la sua voce quella che gli stava dicendo di sì?
Sono un idiota. Come se fosse ancora possibile tornare indietro, cambiare le cose...
“Bene” disse Vexen. “Il soggetto che devi andare a prendere è legato alle Invocatrici, l'ho scelto appositamente.” si concesse un sorriso. “Non sa usare la magia, non dovrebbe essere difficile da prelevare nemmeno per te.”



Il pianeta Kamino emanava degli odori disgustosi. Non tanto per via della pioggia scrosciante, o del mare in tempesta, o del vento sferzante il cui ululato faceva da perenne rumore di fondo a tutto quel paesaggio grigio e terribile. No, a stordire Zexion erano piuttosto i mille odori che permeavano i laboratori, gli immensi centri di produzione in cui giorno e notte venivano prodotte schiere di cloni soldati per l'esercito del sovrano di quella Galassia. Quel pianeta era una tetra fucina sempre in attività, produttiva, efficiente e spietata. Gli ricordava il laboratorio del n. IV.
A lui piacerebbe qui, ne sono sicuro.
Il suo obiettivo era una persona importante, e come tale godeva di tutte le protezioni possibili: scudi antimagia, allarmi ipersofisticati, guardie giorno e notte di fronte alla sua porta. Nulla che il potere del Castello dell'Oblio non potesse superare senza difficoltà. In barba a tutti gli antifurti e i soldati Zexion si teletrasportò direttamente negli alloggi del governatore Boba Fett: lui gli dava le spalle, immerso in una fitta conversazione via ologramma, e non lo udì nemmeno arrivare.
“Ancora niente, nemmeno nell'Orlo Esterno?”
“No Boba, me ne sono occupato di persona, ma...sembra svanito nel nulla. Non so davvero che pensare. L'Imperatore è furioso.”
“Dannazione Maul...è chiaro che c'è Kaspar di mezzo! Già una volta è successo, e nemmeno troppo tempo fa! Senza contare che è sparita pure Zachar, è ovvio che le due cose sono collegate!”
“Ma in quel caso Zam avrebbe visto qualcosa, non credi? Era lì quando è successo.”
“L'altra volta nemmeno le telecamere avevano visto nulla! Kaspar ne sa una più del diavolo, che ne sappiamo che incantesimo può aver usato!”
“Potrebbe essere opera dei Ribelli.”
“Non è il loro solito modo di agire...e le spie sulla Terra II non hanno notato nulla di anomalo...per me è Kaspar, ci scommetto quello che vuoi! Si è ripreso Zachar e poi hanno deciso di fare i bastardi con Tarkin!”
Ira e disperazione, questi gli odori che si intrecciavano attorno al corpo dell'uomo di nome Boba Fett. Zexion capì che era preoccupato per uno degli Intercessori, quello anziano che stava dando tanto del filo da torcere al povero Mu.
“Nessuna notizia da Zam, invece?”
“Anche se ci fosse non sarei io il primo a cui lo direbbe, temo...”
“Però se c'è una persona che può trovare Tarkin quella è lei. Zam è imbattibile in queste cose.”
“Zam è imbattibile in tutto quello che fa.”
“Già.”
Seguì un attimo di silenzio. Zexion decise che aveva osservato abbastanza, e sollevò le braccia per evocare il potere dei corridoi dell'oscurità.
“Va bene Maul, ti lascio alla tua ricerca. Io purtroppo qui sono invischiato in una serie di cazzate burocratiche con i kaminoani, ma appena ho finito ti raggiungo. Non ho intenzione di starmene con le mani in mano mentre Tarkin è in pericolo da qualche parte là fuori.”
“Bene. A più tardi allora.”
“Ciao.”
Solo in quel momento Boba Fett si voltò e lo vide. Nello stesso istante si accorse anche della nebbia nerastra e fluttuante che si muoveva attorno ai suoi piedi, ma era già troppo tardi. Il portale dell'oscurità si aprì, e Boba Fett ne venne inghiottito senza nemmeno avere il tempo di urlare.



Padron Zexion si era presentato mentre gli altri dormivano, portando con sé un uomo privo di sensi. Il nuovo arrivato indossava un'armatura stranissima, simile a quelle che portavano i guerrieri nel suo mondo ma molto più leggera, e fatta di un materiale che Auron non aveva mai visto.
“D'ora in poi lui si unirà al tuo gruppo” aveva detto padron Zexion nel suo solito tono laconico, ed era sparito senza dare ulteriori spiegazioni.
Subito dopo si era scatenato il finimondo.
Il tizio misterioso si era svegliato, e com'è logico aveva iniziato a tartassarlo di domande, accusandolo di essere il responsabile della sparizione di un certo “Tarkin”. Poi aveva visto l'Invocatrice e l'Intercessore, e da un secondo all'altro la sua furia si era quintuplicata. Si era scagliato contro di loro estraendo un'arma stranissima, ma fin lì Auron era riuscito a mantenere il controllo: aveva imprigionato lo straniero nella stretta implacabile delle sue braccia, e gli aveva torto il polso fino a che quello non aveva lasciato cadere l'arma con un grido di dolore.
A quel punto l'Invocatrice e l'Intercessore si erano svegliati, ed erano cominciati a volare gli incantesimi.
“Cacciatore di taglie, feccia della galassia!”
“Schifoso mocho vileda bastardo, cosa hai fatto a Tarkin?!”
“TU!! Te la farò pagare!”
“Brutto gorilla lasciami subito che gli spacco la faccia!”
“Non la passerai liscia stavolta! PRENDI QUESTO!”
Auron estrasse la spada un attimo prima che la prima palla di fuoco colpisse il nuovo arrivato, ma quest'ultimo approfittò dell'occasione per sfuggire alla sua presa e raccogliere la sua strana arma. La puntò contro Zachar e Kaspar e quella eruttò dei sottilissimi raggi verdi, che però vennero assorbiti da una barriera magica evocata dall'Intercessore.
Dannazione, mi ci vorrebbero sei mani per tenerli tutti a bada!
Kaspar era veramente un mago di potenza eccezionale: con una mano teneva eretta la barriera, con l'altra scagliava incantesimi a ripetizione, senza fermarsi. Usava la magia con la stessa naturalezza con cui respirava. Auron per sua sfortuna non possedeva questo dono innato, e doveva barcamenarsi brandendo la spada incantata da padron Vexen come un'enorme mazza da baseball per bloccare tutti quei proiettili magici. Un solo errore e il nuovo arrivato si sarebbe trasformato all'istante in un simpatico mucchietto di cenere.
E dopo chi lo spiega a padron Zexion?
Era il momento di passare a una tattica alternativa. “Mia Invocatrice, la prego! Questa persona è stata mandata qui dai saggi e potenti membri dell'Organizzazione!”
“Auron, questa persona una volta ha tentato di uccidermi!”
Di bene in meglio...
“Invocatrice mi ascolti, per favore!” Kaspar non gli avrebbe mai dato retta, perciò la sua unica chance era convincere lei. “Se i membri dell'Organizzazione hanno preso questa decisione ci sarà un motivo...evidentemente lui è importante per il successo di questa missione!”
“Storie!” gridò Kaspar, facendo partire l'ennesima palla di fuoco. Auron stavolta non si limitò a parare, ma passò al contrattacco, correndo verso il mago mentre quello ancora stava caricando l'incantesimo successivo. Tenne la lama dritta davanti a sé come uno scudo mentre con il piede andava a insinuarsi dietro la gamba di Kaspar, facendogli perdere l'equilibrio con un calcio ben assestato. Kaspar incespicò e il suo incantesimo si spense, e Auron gli sferrò senza troppe cerimonie un colpo alla nuca con l'impugnatura della spada. Il mago si afflosciò sul pavimento bianco come un sacco vuoto, privo di sensi.
Peccato solo che in quei pochi attimi l'Invocatrice ne avesse approfittato per incalzare il nuovo arrivato a suon di catene di fulmini, che quello era riuscito non si sa per quale intervento divino a schivare. Ora però era con le spalle al muro, e Zachar stava per vibrare il colpo fatale.
“NO!”
La bloccò appena in tempo, afferrandole le braccia; lei si divincolò, ma non poteva nulla contro la sua stretta d'acciaio.
“La prego Invocatrice...so che è difficile, so che le stiamo chiedendo già molto, ma deve fidarsi dei membri dell'Organizzazione!”
La ragazza lottò ancora per un po', ma sempre più debolmente. Gli dispiaceva doverle fare del male, non se lo meritava. Già ci pensava quel Kaspar a farla soffrire abbastanza.
“Dai Zachar, è solo il governatore Fett” meno male che Ash si degnava di venire in suo aiuto! “So che non ti sta simpatico, ma all'Impero lo sopporti sempre, no? E poi qui c'è il signor Auron che finora ci ha protetti benissimo!”
L'uomo in armatura, questo governatore Fett, li fissava tutti come fossero dei morti resuscitati dalle tombe.
Poveraccio, probabilmente starà pensando di aver mangiato troppo pesante e di star facendo un incubo...
Piano piano Zachar si arrese. Smise di divincolarsi e lasciò che le saette che guizzavano dalle sue dita si spegnessero. Auron però ancora non si fidava a lasciarla andare.
“E va bene, Auron” disse lei infine. “Non gli farò alcun male, te lo prometto.”
“Grazie, Invocatrice. E lui non ne farà a lei, questo glielo prometto io.”
Delicatamente la liberò dalla stretta, e lei si massaggiò i polsi doloranti.
“Mi dispiace di averle fatto del male.”
“Auron” disse lei guardandolo negli occhi. “Non lo faccio perché mi fido dell'Organizzazione. Lo faccio perché...forse è una follia, ma voglio provare a fidarmi di te.”
Il suo sguardo era intenso, profondo, e lui inaspettatamente si ritrovò a distogliere gli occhi dai suoi, imbarazzato.
“Invocatrice, io....”
“Ehm, scusate...qualcuno vorrebbe cortesemente spiegarmi che diamine di posto è questo?!?!”
Già, il governatore Fett. Sospirò. A quanto pare gli toccava ripetere le spiegazioni per l'ennesima volta. Ma del resto avevano tempo, almeno finché quel maledetto Intercessore non fosse rinvenuto.
Dopodiché...dopodiché avrebbero dovuto affrontare la prossima Stanza.
Auron sperò ardentemente che, almeno per una volta, filasse tutto liscio.


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Fonte della fan art a inizio capitolo: http://browse.deviantart.com/?q=vexen+arkoniel#/d1c5y0i

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Kaspar nel Paese dei Balocchi ***


Capitolo 11 - Kaspar nel Paese dei Balocchi


Kunzite

Kaspar




Coruscant al tramonto aveva un certo fascino, non c’era che dire: appena entrati in quella strana stanza erano stati investiti dai raggi dorati che rimbalzavano tra i mille grattacieli e le astronavi che scivolavano diversi metri più sotto. Certo, c’erano gli insulti dei guidatori e l’aria era satura di decine dei gas più inquinanti, ma quella era la capitale dell’Impero Galattico. Erano su un balcone tra i più elevati, da cui potevano controllare quasi tutta la città tentacolare che si dipanava per il pianeta.
Boba ebbe la sensazione che la loro guida ne fosse impressionata e si lasciò sfuggire un sorriso: per quanto in quel Castello ci fosse magia a palate, ciò che faceva davvero spalancare la bocca erano le meraviglie della tecnologia di Coruscant e del trionfo degli esseri umani.
“Sua eccellenza, il mondo si bea del ricevere il Suo sguardo”
Alle loro spalle, silenziosi, erano comparsi degli uomini avvolti in delle tuniche scarlatte di una moda che Boba non aveva mai visto a Coruscant. Sembravano degli stregoni ed erano decisamente fuori posto nel pianeta della scienza.
Mi hanno detto che in queste stanze potremmo incontrare dei ricordi …… ma come è possibile che …?
Quando si inchinarono, la decorazione sui loro mantelli scintillò alla luce del faro di uno speeder. Un’enorme K d’oro.
“Nostro signore, ci ha fatti convocare?”
I loro sguardi erano rivolti a Kaspar. E questo, secondo il terzo teorema di Tarkin, era sintomo di un grosso, enorme guaio in arrivo verso di loro. Ovviamente quell’Auron non era in gradi di rendersi conto che qualcosa non andasse, e chiedere aiuto ad Ash sarebbe stato quasi peggio che mandare a quel paese l’Imperatore di persona.
“Ovviamente, miei fedeli servitori!”
Stavolta Kaspar aveva un sorriso enorme stampato sulla faccia. Qualunque cosa stesse succedendo, in qualsiasi stranezza fossero piombati, sembrava a suo agio. Se stava fingendo aveva colpito nel segno, perché gli uomini si prostrarono davanti a lui fino a pulire il pavimento “Ora ditemi, miei uomini, sono io il vostro signore?”
“Eccellente Imperatore, lei ha ragione di testare la nostra fedeltà perché siam pur sempre fallaci esseri umani. Ma per certo sappiamo che lei domina questo mondo, lei è l’unico Imperatore, il sommo stregone e maestro dell’ordine degli Stregoni Incappucciati!”
Eh?
Boba scandagliò in un attimo le loro espressioni: ci doveva essere un errore, senza dubbio! Kaspar non era mai stato Imperatore della Galassia e mai lo sarebbe stato, almeno finché l’Imperatore Palpatine ed i suoi Signori Oscuri sarebbero rimasti in vita per impedirglielo. E Kaspar lo sapeva benissimo …… ma cosa gli salta nella testa?
“Ordunque fatemi strada, e fatevi interrogare! Voglio vedere la luce della verità nei vostri occhi!” fece il mago, con una solennità che raramente il cacciatore di taglie gli aveva mai visto.
“Kaspar, aspetta, ma cosa……?”
“Lasciami fare, Zachar. Ho la situazione in pugno!”
Si voltò e, scortato da quei maghi, entrò nel grattacielo senza voltarsi un attimo verso i suoi compagni di viaggio. Tra i quattro passarono degli attimi di puro silenzio.
La loro guida si sporse, quasi a cercare con gli occhi la base del grattacielo. Non la trovò (in pochi erano riusciti a toccare il terreno di Coruscant attraversando i suoi bassifondi, e persino i cacciatori di taglie esperti come lui tentennavano), ma in compenso indicò qualcosa sulla sommità del palazzo vicino “State davvero messi così male nel vostro mondo?”. Boba guardò, e le gallette che aveva usato per colazione gli ritornarono di prepotenza in gola. Non solo su quel palazzo, ma su ciascuno di quelli che i suoi occhi potevano scorgere c’erano enormi, terribili, disgustose statue di Kaspar in ogni posa, da quella benedicente ad una in cui sembrava fare una piroetta sul cornicione di un edificio. E non solo statue.
Gli occhi di ghiaccio che ammiccavano loro da un cartellone pubblicitario li conosceva benissimo.
E anche lo speeder che passò pigramente accanto a loro aveva una specie di polena a forma di Kaspar che spalancava il mantello per spiccare un salto nell’Infinito.
Meno male che Tarkin non è qui!
Doveva avvisare la guida, perché il campanello d’allarme che aveva nella testa era diventato più assordante di mille clavicembali rhodiani “Senti, Auron, qua mi sa che c’è un errore. Questa stanza non può appartenere ai ricordi di Kaspar” quella era l’unica certezza, grazie al cielo “Perché Kaspar non è mai stato Imperatore. Non ci sono maghi a Coruscant. E di certo non ci sono quelle immondizie sugli edifici e nelle pubblicità!”
Il guerriero sembrò tirare un sospiro di sollievo “Allora sono contento per voi.” Guardò con crescente disgusto le decorazioni di quel luogo, e sembrò soppesare quel qualche secondo le parole da scegliere: “Nella maggior parte dei casi è come avete già visto. Si rivedono momenti del passato molto intensi o particolari. Però la mente del soggetto può generare eccezioni”
“Kaspar dunque è così speciale da far deviare le Stanze della Memoria?”
Boba guardò l’ameba con un certo stupore: era la prima volta che la sentiva rivolgersi al suo padrone con un tono così …… di disprezzo ……? Stentava a riconoscerla. Doveva ammettere che nel suo sguardo c’era qualcosa di molto più indipendente e pericoloso, ed una certa fierezza che credeva di poter intravedere soltanto negli occhi di Zam.
Si rese conto che la cambiatrice di forma gli mancava.
“No” la loro guida continuava a fissare la ragazza “Evidentemente per lui il passato ha valore quasi nullo. I suoi sogni, i suoi desideri, tutta la sua mente è puramente proiettata in avanti. Se nel suo passato non c’è nulla di vitale, la Stanza della Memoria cerca nei suoi sogni”
Boba deglutì, ed anche Ash sembrò rendersi conto di quello che succedeva.
“Quindi … mi stai dicendo che questo è il futuro?”.
“Nessun futuro è definito! Men che mai uno di questo genere!” Auron era molto contrariato. Addirittura infastidito “Ricordatevi, è solo una proiezione. Adesso andiamo a riprenderlo o non usciremo mai da qui”

Nel camminare per i corridoi Boba riconobbe il palazzo in cui si trovavano: era la dimora dell’Imperatore Palpatine su Coruscant, un luogo che ormai il sovrano della Galassia aveva abbandonato da anni a causa del suo trasferimento sulla Morte Nera. Il cacciatore di taglie vi era entrato con i suoi amici in svariate occasioni, e lo avevano sempre trovato ordinato e protetto, ma anche tetro e freddo. Coruscant era il cuore pulsante dell’Impero, e non soltanto per il denaro che veniva versato in continuazione nelle sue banche; era il centro della burocrazia e del potere, il luogo dove le poche persone che davvero contavano nella Galassia potevano incontrarsi e decidere in pochi attimi le sorti di centinaia di miliardi di comuni abitanti. L’efficienza era sempre stata il primo comandamento, e nel palazzo dell’Imperatore era stata il criterio di scelta di qualsiasi cosa, dalle colonne alla scelta dei marmi per il pavimento. Boba lo aveva sempre considerato troppo grigio, troppo simile ad un qualsiasi palazzo per impiegati.
Quello in cui camminavano era invece un palazzo illuminato a giorno, circondato di statue di Kaspar in Gloria o Benedicente. Dove dovevano trovarsi delle semplici sfere da illuminazione artificiale, vi erano invece strani globi fluttuanti che avvolgevano ciascuna statua in un caleidoscopio di luci colorate. L’Ego di quel mago da strapazzo non aveva limiti come, purtroppo, anche il suo potenziale magico.
Non fu difficile ritrovarlo: dalle sale agli ascensori, dai corridoi ed i balconi, fiumi di gente si stava riversando verso quella che era stata la stanza in cui l’Imperatore Palpatine riceveva i suoi ammiragli ed i numerosi governatori dei vari sistemi, l’area più ampia dell’edificio; un’intera parete era stata sostituita da una vetrata in grado di dare al sovrano una completa visuale di Coruscant ad ogni momento del giorno. Ma dove prima vi era un sedile alto e nero, adesso si stagliava un trono di proporzioni stratosferiche, pacchianissimo, tempestato di oro e di ogni sorta di gemma preziosa, sollevato su almeno dieci gradini in marmo di Kessel. Kaspar era lì, con un sorriso estatico sulla faccia mentre due fanciulle, vestite in modo succinto, lo sventolavano.
Auron aveva un’espressione sempre più disgustata e, nonostante fossero riusciti a sgomitare tra i mille cortigiani ed essere giunti ai piedi del trono, Kaspar non li degnava di uno sguardo; Boba optò per la via diretta.
“Kaspar, adesso smettila di fare il coglione! Alza le chiappe e usciamo da qui!”
Gli stregoni nella sala puntarono i bastoni contro di loro ed Auron impugnò la spada.
“Possiamo atomizzarli, o Sommo?”
Senza fretta, Kaspar assunse una posa da imperatore romano spaparanzato sul triclinio e si fece calare in bocca un grappolo d’uva. “Smettila di giocare e usciamo di qui, idiota!” sibilò il cacciatore di taglie.
E non gli aveva ancora sparato soltanto perché quegli stregoni erano illusioni, ma potevano uccidere e lui non aveva ancora intenzione di morire lì dentro, per di più per mano di burattini di Kaspar!
Dai lati adesso sbucavano anche dei droidi con i blaster pronti a far fuoco, e il cacciatore di taglie capì che non era nella migliore delle posizioni; la spada della loro guida non sarebbe mai bastata contro quelle guardie e non poteva sperare in alcun aiuto da parte di Ash, che in tutto quel trambusto stava fissando con aria avida la ciotola di frutta accanto al trono del loro nemico.
“Riportiamo quest’essere nel manicomio, padrone?”
Manicomio?
“No, no, quanto zelo…… ormai che sono qui, vorrei fare un giretto con loro!”
“Signore, è sicuro che……?”
“Come possono questi semplici mortali farmi anche solo un graffio? Rilasciateli e fatemi preparare il mio speeder. Se quello che mi avete raccontato è vero, voglio fare un giro a vedere i miei trofei!”
Con riluttanza, i maghi ed i droidi abbassarono il fuoco, ed Auron rilassò il braccio.
Molti dei cortigiani si ritirarono, e Kaspar fece una piroetta estatica, facendo volteggiare il mantello e risplendere grazie alla luce che proveniva dalle vetrate: “Non vi rendete conto della meraviglia? So che non è un mio ricordo, ma qui tutti mi considerano l’Imperatore! Questo è il regno dei sogni!”
O il Paese dei Balocchi…

“TARKIN! TARKIN! Come fai a non riconoscermi? Sono io!”
Boba scosse l’amico, seduto su un lettino con una coperta a fiori pallidi. Kaspar stava lì e si godeva la scena, ma era l’ultimo pensiero del cacciatore di taglie. “TARKIN, NON SEI IL TIPO DA RESTARE IN UNA CASA DI RIPOSO……!”
“…… non c’è più niente da fare……”
“TU IN UNA CASA DI RIPOSO CHIAMATA VILLA ARZILLA? TI TERMINERESTI DA SOLO A SENTIRE UNA COSA SIMILE!”
A Boba non arrivarono né i grugniti della loro guida né la risate sguaiate di Kaspar.
Era sul punto di scoppiare.
Un’ora prima Kaspar li aveva fatti trascinare in un centro di cura per tossicodipendenti verso i livelli più bassi del pianeta; Boba era stato immobilizzato da almeno sette guardie, tentato come era di rompere il naso al nuovo Imperatore quando aveva trovato il suo amico Maul. Lo stregone lo aveva fatto rinchiudere lì dentro, come se il suo amico avesse mai usato anche solo un grammo di quelle sostanze che detestava e che falsavano i risultati sportivi. Il Sith aveva ancora del fuoco nei suoi occhi arancione, e gli aveva chiesto una Playstation, fosse stata anche la Playstation 3.
Boba aveva sorriso quando Maul aveva scagliato contro Kaspar degli elefantini di legno che le infermiere lo costringevano a intagliare.
Ma la cosa aveva soltanto scavato un vuoto profondo nel suo petto; questo è ciò che Kaspar sogna di farci. Io in manicomio, Maul rinchiuso qui dentro e ……
Non pensava quanto crudele sarebbe stata la conclusione della frase.
Una volta trascinato a forza via di lì, Kaspar lo aveva condotto in quella piccola casa di riposo, cadente e con le pareti ricche di muffa e crepe. Il cuore gli batteva all’impazzata, e la cosa più odiosa era che gli avevano sottratto persino le sue armi, dai blaster ai coltelli nelle maniche alle granate celate nei risvolti dell’armatura.
Non avrebbe permesso allo stregone di giocare così con la loro amicizia.
Ma se in Maul aveva trovato ancora una certa voglia di resistere, Tarkin sembrava soltanto uno straccio; il suo amico guardò Kaspar, ma l’espressione nei suoi occhi era più vuota delle casse reali di Minas Tirith.
Tutta colpa di questo stupido mocho vileda e dei membri dell’Organizzazione……
“Perché il mio amico è in questo stato? Cosa gli hai fatto, pezzo di merda?”
“Da come mi hanno detto ho semplicemente smosso tutte le sue certezze. Una volta che io sono diventato imperatore, deve aver avuto un qualche tracollo…… poi magari io ho premuto l’acceleratore, non lo nego…… l’idea di terminargli avanti la moglie e quelle mocciosette delle sue figlie deve avere per forza influ……”
“IO TI TERMINO QUI E ORA!”
Boba lasciò Tarkin e si avvicinò a Kaspar, per essere poi respinto da un muro invisibile.
“SEI SOLO UN VISCIDO VERME, LEVA LA TUA MAGIA E FAMMI ROMPERE IL TUO NASO!”
“…… non c’è più nulla da fare……”
Boba non sapeva dove guardare, se tranquillizzare il suo amico o ritentare un assalto a Kaspar. Gli stregoni ed i droidi c’erano ancora, ma Kaspar voleva dare loro una lezione da solo.
Forse quella realtà non sarebbe mai avvenuta, ma sapeva che in quello stregone figlio di un bozzolo c’erano già delle idee così nefaste. Forse tutti i suoi compagni di viaggio non si rendevano conto di quanto fossero allucinanti i pensieri di Kaspar.
Proiezioni delle Stanze o no, l’uomo demente davanti ai suoi occhi e quello che scolpiva gli elefantini di legno erano i suoi amici, in qualsiasi dimensione si trovassero; e non aveva dubbi che anche la propria proiezione fosse prigioniera da qualche parte, quasi certamente un manicomio.
Purtroppo le sorprese non erano finite. “Adesso c’è la ciliegina sulla torta!” fece Kaspar, ancora più giocoso mentre i soldati li trascinavano via.
“Trattieniti, o peggiorerai la nostra situazione!” brontolò Auron. Il soldato vestito di rosso aveva osservato la scena senza rivolgergli la parola, ma Boba avrebbe preferito da lui un aiuto più concreto. “Parli bene, tu. Quelli non sono amici tuoi, guida!”
Scorse il suo sguardo accigliato “Il nostro obiettivo è uscire da qui. Tutti e cinque”
L’astronave scese per diversi metri, raggiungendo quelle zone di Coruscant dove non arrivava né la luce del cielo né quelle dei locali e dei palazzi. Ash si strinse a Pikachu e chiese ad alta voce quando potessero andare via, mentre la guida si era rinchiusa nel suo silenzio. L’ameba invece continuava a stare accanto a Kaspar che, al contrario, non la degnava di uno sguardo.
Era stato in quell’area diverse volte, sempre per ingaggi e mai per divertimento personale, perché chiunque potesse trovare qualcosa di piacevole in quelle zone buie era anche gente ben poco raccomandabile, persone che invariabilmente finivano sulla lista nera di qualche potente. Decine di lunghi balconi sfuggivano al di sotto dell’astronave, privi di qualsiasi protezione ed illuminati da fatiscenti fari elettrici verdi e rossi; facevano bella mostra centinaia di donne, alcune quasi certamente bambine.
Ogni centimetro che la nave discendeva aumentava l’espressione di disgusto di Auron, che fissava le umane e le Twi’lek seminude storcendo il naso e lanciando sguardi omicidi verso Kaspar; il quale, con somma preoccupazione di Boba, aveva sfoggiato uno dei suoi peggiori ghigni. Il cuore prese a battergli all’impazzata e sentì un sudore gelido corrergli lungo la schiena e le tempie, perché nella sua testa si stava affacciando un’ipotesi orribile ……
Ad un cenno di Kaspar una piccola passerella si stacco dalla nave e si poggiò sul balcone “Scendi e guarda con i tuoi occhi. È il mio regalo personale!”
Boba saltò giù col cuore in gola. Perché già prima che Kaspar aprisse la sua dannata bocca aveva intravisto, tra le Twilek dai costumi sgargianti, l’unica persona che non avrebbe mai condannato a quel posto.
Zam, la sua proiezione o qualsiasi altra cosa fosse stava un po’ appartata dalle altre, camminando lentamente e lanciando sguardi sulla strada. Gli dava la schiena, nuda, incurante dell’astronave appena fermatasi che aveva attirato l’attenzione di molte altre ragazze.
“Zam!”
Si voltò, e Boba scoprì di non riconoscerla: così truccata, era indubbiamente più bella. Il vestito che aveva addosso era osceno, ma raramente aveva potuto osservare dal vero la sua perfezione. Eppure gli occhi erano nuovi, più spenti, come se la vita le fosse stata risucchiata di colpo. “Boba……”
Corse verso di lui, lo abbracciò e lo baciò senza alcun preavviso.
Appunto.
Non è vera. Non può esserlo.
Ormai lei mi odia. Da quando abbiamo litigato non mi ha mai toccato in questo modo. Ma anche se è solo un’illusione io …

“L’imperatore Kaspar ha permesso di vederci? Allora sei ancora vivo?”
Non aveva mai visto disperazione nei suoi occhi, eppure adesso c’era una paura che lei stessa non tentava di nascondere “Lui ha vinto, è stato più potente di voi e di me… e ho dovuto giurare di fare questo…”
Per la cambiatrice di forma la parola data era tutto. Boba lo sapeva fin troppo bene. Era entrata all’Impero, tanti anni prima, per obbedire ad un giuramento, non certo perché condividesse anche solo uno degli ideali dell’Imperatore Palpatine. Ed aveva giurato di amarlo.
Zam si sarebbe cavata gli occhi piuttosto che piangere, specie davanti a lui. Eppure la donna che stringeva tra le braccia singhiozzava, sperduta. Come osava Kaspar fare una cosa del genere? Persino quello che aveva fatto a Maul e Tarkin al confronto sarebbe sembrato passabile……Lei si sarebbe vergognata a farsi accarezzare come lui stava facendo adesso, nel modo più protettivo che conoscesse; voleva dirle di scappare, di lanciarsi da quella terrazza e volare via, ma se non lo aveva fatto era perché lo aveva giurato. Il sogno di Kaspar è quello di costringerla a giurargli fedeltà … per poi ridurla così …
Stupida, cocciuta, spaventosa, ma non voleva discutere con lei di questo. Il rombo di uno speeder truccato ed il suono di un clacson la fecero scattare come una molla, mentre un uomo enorme, dal volto pieno di cicatrici e con ancora il casco in testa scese e puntò il dito verso di lei.
Boba lo trapassò con lo sguardo, e con dolore sentì la ragazza staccarsi da lui.
“Devo andare. Un cliente” si asciugò le lacrime. “È stato bellissimo vederti. Davvero. Allora Kaspar è stato davvero magnanimo……”
Il cacciatore di taglie non fece nulla per fermare l’uomo che la prese con forza per il polso, spingendola sullo speeder, perché nella sua testa ormai non c’era altro che una furia cieca. Corse verso l’astronave di Kaspar più veloce che poté, spintonando tutte le altre donne, con l’unico pensiero di uccidere quello stregone maledetto e fargliela pagare per tutto, per gli elefantini di legno di Maul, per il dolore di Tarkin e per l’umiliazione di Zam. A qualsiasi costo, anche di farsi sparare. L’Organizzazione avrebbe dovuto trovarsi un altro Intercessore.
Con l’immagine di Zam che piangeva saltò nel portello, e l’attimo dopo si trovò bloccato da una decina di droidi e con delle manette ai polsi. “Cacciatore di taglie, feccia della galassia! Prevedibile come tuo solito!”

Per fortuna l’Intercessore si era addormentato prima che fosse costretto ad inserire la decima pallina nei suoi giochetti d’intrattenimento; aveva provato qualsiasi tecnica per distrarsi, non ultima quella di qualche esercizio da saltimbanco. Quell’Intercessore aveva spergiurato di fare a pezzi lui ed i suoi padroni, ma per fortuna non aveva le forze fisiche per farlo; poi l’Invocatrice era intervenuta, e dopo qualche ora il sonno aveva sconfitto tutti loro.
Mu non aveva orologi da polso o meridiane, ma sapeva che Auron ci stava mettendo troppo.
L’Invocatrice e l’Intercessore prima o poi avrebbero mangiato la foglia, si sarebbero resi conto che non erano gli unici a tentare la scalata alle Stanze della Memoria.
Certo, i membri dell’Organizzazione gli avevano garantito che tutto sarebbe andato bene, però…… però Auron ci stava mettendo più del solito. Troppo.
E più stringeva il suo rosario, più ripeteva le preghiere che lui e Shaka, il suo confratello più caro, avevano scritto in gioventù, più sentiva crescere l’inquietudine.
Padron Vexen aveva detto chiaramente che le Stanze della Memoria potevano riservare brutte sorprese.
Tre volte aveva sgranato le perle sacre, chiedendo consiglio agli dèi, e per tre volte aveva guardato verso la porta che era rimasta sprangata.
Chiedere non sarebbe costato nulla.
Non avendo voglia di avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con padron Marluxia ( e se la scommessa continua così mi ci troverò davvero, glip! ), si teletrasportò direttamente nella stanza di padron Axel. Era un’emergenza, ne era sempre più sicuro.
“Padrone, mi scus……”
“MI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO, FOTTUTO PRETE!” Mu si lanciò in mille scuse, perché se c’era un momento in cui padron Axel diventata intrattabile era quando mangiava. Raccolse in fretta il piatto di patatine fritte tra le mille imprecazioni del padrone. Ma, prima regola davanti a padron Axel e padron Vexen, non segnarsi. “Cosa vuoi? Che è successo?”
“Padron Axel, Auron ci sta mettendo troppo……”
“Già, al tuo posto pure io avrei paura. So della tua scommessa……”
Il sacerdote divenne porpora “No… non sia mai per quello… ma Auron tarda e lei sa che……”
Axel si rimise a mangiare, sporcando con le sue salse tutto il pavimento “Auron è in una situazione un po’ complicata, Mu. Non stiamo facendo nessuna modifica in quella stanza, ma Bocciolo di Rosa mi ha detto che non riguarda i ricordi, ma un futuro possibile. E sembra che l’Intercessore non abbia alcuna intenzione di uscire”. Lo disse naturalmente, poi terminò con un sonoro rutto.
“Ma padrone, allora che si fa?”
“Tu non farai nulla. La situazione è abbastanza delicata, e non escludo che qualcuno potrebbe anche rimetterci le penne. Ma in fondo possiamo correre qualche rischio, abbiamo il tuo Intercessore e la tua Invocatrice di scorta, anche più bonazza di quella lì”
Schioccò le dita ed il camino della stanza si accese. Ci si inginocchiò accanto e lasciò che le sue dita giocassero con la fiamma. Non aveva nulla da temere dal suo elemento. Solo piacere estatico, che appariva dal suo sorrisetto compiaciuto.
“Ora puoi andare. Dai una palpata all’Invocatrice Daala da parte mia! Ti daresti una svegliata!”
Mu nemmeno si segnò, nemmeno pensò al peccato della cosa. Uscì dalla stanza con il solo pensiero che Auron era in serio pericolo di vita. Certo, il piano sarebbe riuscito, l’Organizzazione avrebbe ottenuto l’Invocazione Suprema lo stesso, ma Auron? Con quale cuore sarebbe tornato da Mistobaan e gli altri, magari per aspettare ancora interi giorni prima che le porte della stanza si spalancassero perché i precedenti occupanti erano morti?
Strinse i grani del rosario fino a star male.
Poi un portale d’oscurità si aprì alle sue spalle “Io forse posso aiutarti, Mu. Mi servirebbe proprio una carta matta per…… movimentare un po’ questa partita così noiosa”.


Le elettromanette gli impedivano di compiere qualsiasi movimento; ad ogni tentativo di contorcere le braccia decine di scariche elettriche attraversavano i suoi muscoli, riducendolo alla totale impotenza. Ci erano voluti oltre dieci droidi per fermarlo, perché se avesse potuto avrebbe ucciso quel bastardo di Kaspar su due piedi. Lo fissò con odio, osservando il maledetto che si era adagiato su un triclinio nella sua lussuosa astronave e che lanciava sorrisi compiaciuti nella sua direzione.
“Piaciuto lo spettacolo? Ora sì che quella mutaforma è adorabile ……”

Narratore: adesso dovrebbe seguire una risata degno di un vero cattivo dei film di serie Z, ma ve la risparmieremo perché non siamo in un film di serie Z.
Registe: ci mancherebbe solo quello ……


“Ehi, Auron, io non ci sto capendo niente, però mi sa che è ora di pranzo. Quando usciamo da qui?”
Ash stava guardando Kaspar con una certa invidia, perché quello si stava facendo servire dei pasticcini.
“Sì, non hai torto. Beh, Intercessore, se ti sei divertito a sufficienza ora dobbiamo muoverci! Dobbiamo superare la Prova, qualsiasi essa sia” fece la loro guida, sistemandosi la spada sulle spalle ed alzandosi.
“Temo di non averne molta voglia!”
Il silenzio che ne seguì fu impressionante.
“Sto tanto bene qui. Sono imperatore, non ho nemici, niente preoccupazioni. L’Organizzazione venga a prendermi qui, se ne ha il coraggio”
“Spiacente, ma non possiamo restare qui a cincischiare”
“Perfetto, la cosa non mi preoccupa. Guardie, immobilizzateli tutti!”
Boba venne calpestato dai droidi da battaglia, che disarmarono il guerriero previo incantesimo di paralisi dei maghi, ed un droide distruttore fece a sottilette la sua spina dorsale rotolandogli sopra e puntando i blaster ai prigionieri. Le macchine ammanettarono tutti, compresa l’ameba di Kaspar che aveva un’espressione meravigliata ed afflitta, accatastando le loro armi nell’angolo più lontano dell’abitacolo.
Kaspar espose il sorriso sadicus che aveva imparato a copiare dall’Imperatore Palpatine: “Sarà bene che quel clone malfunzionante sia riportato nel manicomio dove stava; la sua mente non è stabile” disse, puntando il dito proprio verso di lui.
“Per me è la TUA di mente che non è stabile, Intercessore!”
“…… per quanto riguarda il mercenario ed il moccioso potete benissimo lanciarli fuori da questa astronave immediatamente!”
“EH?? EHI, KASPAR, NOI SIAMO TUOI AMICI!” Ash si dimenò come un’anguilla, guardando il mago con un’espressione di pura sorpresa. Soltanto un’idiota come lui avrebbe potuto anche solo concepire l’idea di poter avere una convivenza civile con Kaspar.
“Un Imperatore non ha bisogno di amici, ragazzino. Gli basta solo il POTERE!”
Mentre Kaspar sghignazzava, Ash si mise a piagnucolare.
“Kaspar, aspetta un attimo. Perché non ci rifletti un po’ sopra?” anche se legata, Zachar si era alzata in piedi. Il suo tono era più deciso di quanto Boba lo avesse mai sentito, ma riusciva a percepire delle tenere note di supplica “Ash e Auron sono miei amici e sono anche brave persone. Ti prego, risparmiali”.
Lo stregone la fissò come se la vedesse per la prima volta “Guardie, la ragazza invece potete portarla nel mio harem. Sarò anche sposato con la principessa di Hapes, ma questo non vuol dire che l’Imperatore non abbia diritto ad un po’ di …. divertissement personale, giusto?”
“COSA VUOI FARLE, BASTARDO?”
Il tono era quello di una persona che aveva perso la ragione, e Boba non si sarebbe mai messo davanti ad una massa di cento chili di muscoli come quella del mercenario se non fosse stato saldamente legato. Cosa che, al momento, era sfortunatamente vera. La loro guida provò a rialzarsi, trascinando con sé il droide distruttore che lo teneva incollato al pavimento dell’astronave. Anche così il suo tentativo di ribellione fu vano perché venne soppresso dagli incantesimi di due stregoni personali a guardia del nuovo Imperatore. L’unico occhio funzionante di Auron era rosso per la furia, e se avesse avuto ancora la sua spada a portata di mano Boba non avrebbe scommesso un centesimo bucato sull’incolumità della testa di Kaspar.
Nemmeno l’ameba sembrava felice di quella situazione. Strano, lei farebbe qualsiasi cosa Kaspar le dica ……
E appariva stupita della reazione eccessiva della loro guida.
Ma finché Kaspar si divertiva a passare i suoi occhi da Auron a Zachar, il cacciatore di taglie poggiò le ginocchia contro il proprio petto, cercando con tutte le forze di raggiungere uno dei coltelli o dei miniblaster che nascondeva sempre negli stivali. Si contorse, grato ad Auron di star distraendo così tanto l’attenzione di ogni guardia in quell’astronave.
I droidi avevano puntato le armi contro la loro guida, pronti a sparare. “Non ti intromettere nelle mie faccende, stupido mercenario. Zachar appartiene a me”.
Se provassi a dire una cosa del genere su Zam mi ritroverei gli arti in quattro sistemi solari diversi …… quell’ameba si merita un trattamento del genere!
Le sue dita scivolarono contro lo stivale, e si trattenne dall’imprecare. I droidi erano stati davvero efficienti, perché gli avevano sottratto anche la più piccola delle sue vibrolame.
“Come ti permetti di fare una cosa del genere alla TUA ragazza?”
La loro guida era assolutamente fuori controllo. Chissà perché se la prendeva così tanto per quell’ameba …?
Divertissement, eh?…… Vediamo come trovi divertissement un mio cazzotto sulla mandibola, Intercessore di merda uscito da un bozzolo ancora più di merda!” Più Auron cercava di dimenarsi e più tutti i droidi ed i maghi gli erano addosso. Boba rimase immobile quando qualcosa iniziò ad armeggiare intorno ai suoi polsi.
“Ottimo lavoro, Pikachu!”.
Ash, al suo fianco, aveva i polsi già liberi e con quelli cercava di slegarsi, non visto, le caviglie. Appena il Pokémon finì il suo lavoro Boba rotolò davanti al ragazzo, dandogli tutto il tempo per guadagnare movimento. Ormai Kaspar aveva gli occhi puntati solo su quella pazza guida e su Zachar, che era esplosa in lacrime.
“Cosa credi di essere, schifoso soldato, per dire all’Imperatore come trattare le sue cose”
“Beh, certo, l’Imperatore dei cretini……”
“Sono libero, Boba”
“Bella cosa, ma io sono disarmato”
“Io no. Io uso un po’ di tattica ribelle, tu prendi un’arma”
“Tu armato? Ash, resta al tuo posto e non metterti tra i piedi!”
“No, pure io voglio salvare Zachar, è mia amica!”
“Stai fermo e…”

“ALL’ATTACCO!”
Nel circolo di droidi in mezzo a cui c’era Auron delle Sfere Poké furono lanciate a velocità iperfotonica, ed una colpì Kaspar esattamente sul naso “Charmender, Squirtle, Bulbasaur, Pidgeotto! Forza, ragazzi, diamo a Kaspar una bella lezione!” La stupidità permise ad Ash di prendere a calci un mago e di correre a liberare Zachar, mentre il Pistolacqua di Squirtle dava a Kaspar una sonora lavata di capo “Fermateli, miei ……!” fu l’unica frase che riuscì a pronunciare prima che le liane di Bulbasaur gli si stringessero intorno al collo.
Boba aveva approfittato della distrazione per sottrarre un blaster ad un droide e colpirne altri, mentre Auron si era lanciato di peso su Zachar per metterla al riparo dalla confusione.
“Charmender, liberali!” Ash fece lo sgambetto ad uno stregone e portò ad Auron, ormai con i polsi slegati, la sua spada.
Kaspar fece saettare dalle dita dei fulmini, che vennero intercettati da Pikachu e furono riversati sul quadro comandi. Boba aprì il portello “Buttiamo fuori i droidi!”
Stiamo per essere salvati …… da Ash? Se lo raccontassi a Maul e Tarkin non mi crederebbero mai!
Pidgeotto non se lo fece ripetere e con un attacco Raffica tutte le macchine sull’astronave mandarono dei sinistri clangori man mano che cadevano giù per il grattacielo “E adesso via questi buffoni in tunica!”.
Erano ad un metro da un tetto ed il cacciatore di taglie spinse un paio di stregoni con tutta la forza che aveva in corpo, per poi spezzare i loro bastoni e buttarli verso il fondo; la piccola astronave sobbalzava e faticò a mantenere l’equilibrio mentre disarmava l’ennesimo mago. Un colpo di blaster dopo l’altro e mise fuori gioco un paio di droidi distruttori che stavano per ridurre il piccolo allenatore di Pokémon ad un simpatico mucchietto di cenere, e si scansò appena in tempo per permettere al Pistolacqua di Squirtle di spegnere l’incendio che si era appiccato troppo vicino al quadro comandi. Poi avvertì un enorme dolore al polso destro e perse la presa sul blaster, ed un’altra fitta partì da un ginocchio che non resse il suo peso e cadde.
Poco lontano da lui Kaspar si era rialzato, e dalle sue dita partivano diversi raggi che stavano convergendo proprio verso di lui; uno lo colpì al petto ed uno alla gamba, ed il potere dell’incantesimo lo sospinse all’indietro, proprio verso il portellone ancora aperto.
Il mago era furibondo, e con una sfera infuocata carbonizzò le liane che il Bulbasaur di Ash stava mandando in suo soccorso. “Salutami il terreno di Coruscant, governatore Fett!”.
Il terzo colpo fu più potente, e Boba si trovò con entrambe le gambe nel vuoto e la mano destra quasi inservibile per il dolore.
Le dita di Boba iniziarono a perdere la presa.
Poi lo sguardo furioso di Kaspar si spense di colpo: alle sue spalle Zachar aveva preso un blaster e l’aveva colpito in testa con un calcio. “Trovati un altro divertissement”.

“Tutto bene, Zachar?”
Boba tirò un respiro di sollievo quando Ash lo aiutò a rientrare sull’astronave. Senza preoccuparsi delle sue ferite il cacciatore di taglie si avvicinò a Kaspar, ancora svenuto, e gli mise le stesse elettromanette con cui era stato immobilizzato fino a poco tempo prima. I droidi presenti sul velivolo erano ridotti a cumuli di rottami e tutti gli stregoni presenti avevano fatto un lungo volo senza ritorno alla ricerca del leggendario terreno di Coruscant.
Quell’Auron serrava con una mano la sua lama, e con l’altra stava sorreggendo Zachar. Sul viso di lei c’era un’espressione di puro panico, anche se continuava a tranquillizzare la guida dicendo di stare benissimo.
Zachar che si ribella a Kaspar e Ash che ci salva?
Il prossimo passo è di sicuro Saruman che improvvisa una lap dance ……

La ragazza dovette fare appello a tutte le sue forze per non tremare. Continuò a non degnarlo nemmeno del suo saluto, ma si avvicinò ad Ash e gli regalò un sorriso: “Grazie, sei stato molto coraggioso”.
Il ragazzino sorrise, con il naso incollato al finestrino; Boba approfittò del momento di calma per occupare il posto del pilota, cercando di far decollare l’astronave ed allontanarsi dalla regione dei bassifondi. Con tutto il trambusto che avevano combinato erano scesi di una ventina di piani ed il sole era quasi del tutto scomparso da sopra le loro teste. Si erano avvicinati troppo alle fondamenta di Coruscant, e con un’astronave così ricca e decorata sarebbero stati delle prede attendibili per tutti gli abitanti dei bassifondi.
“Non c’è di che Zachar” fece Ash, con gli occhi puntati verso il grattacielo più vicino “Però mi sa che abbiamo un problemino…”
Scintillanti nelle ultime luci del tramonto, fecero la loro comparsa circa venti astronavi più piccole e aerodinamiche della loro; avevano le fusoliere argentate, e tutte portavano l’emblema di una grande K d’oro dipinto su entrambe le fiancate. Una di esse, probabilmente quella deputata al comando, aveva persino una statuetta dorata di Kaspar sul tetto che riusciva ad irradiare una luce ancora più fastidiosa di quelle che già sfolgoravano nel loro campo visivo. Le astronavi si affiancarono, scivolando leggere attorno alla loro imbarcazione, forzandoli lentamente a risalire ma privandoli di qualsiasi spazio per compiere manovre.
Il comlink interno vibrò e Boba si sintonizzò sulla frequenza “Polizia di Coruscant, ridateci l’Imperatore o facciamo fuoco. Ripetiamo, ridateci l’Imperatore o faremo fuoco
I quattro, Pokémon compresi, si guardarono con puro dubbio.
“Non sarebbe meglio se……”
“No”. Boba premette un paio di pulsanti e portò un microfono alla bocca “Se non vi allontanate dal cazzo l’unico modo in cui riavrete il vostro fottuto Imperatore è in pezzetti più piccoli delle monetine da un centesimo!”

Rimasero in quella situazione di stallo per oltre tre ore.
Di sicuro quei soldati erano illusioni create dall’Ego stratosferico di Kaspar, perciò avevano come unica e massima priorità la difesa del loro signore; allo stesso tempo erano tenaci, leali fino alla morte ed inflessibili, e questo terribile binomio teneva in stallo la situazione. E, come notò il cacciatore di taglie, le energie della loro astronave non erano infinite.
Lo stregone era ancora immobile, mentre Zachar intesseva intorno alla sua testa un incantesimo di Sonno; l’espressione della ragazza era più che mai indecifrabile, ma di certo Boba non aveva alcun interesse nelle tragedie di cuore dell’ameba di Kaspar.
In quel mondo non poteva contare su nessuno: quell’Auron era una persona abbastanza affidabile, ma non aveva idea di come pilotare una nave e non riusciva nemmeno a concepire l’idea di un mondo ricoperto unicamente da palazzi. Ash non era cerebralmente in grado di elaborare un piano di senso compiuto e la maga non gli avrebbe mai rivolto la parola.
Perciò si limitò a studiare le mappe olografiche nel database della loro nave.
Cercò di ricordare quali fossero i percorsi più agibili della regione che stavano sorvolando; vi era stato più volte, ed aveva usato i nascondigli di quei luoghi infimi per tendere più di un agguato a qualche altro cacciatore di taglie rivale. Non poteva conoscere a memoria tutti i vicoli, ma consultando la mappa olografica riuscì a progettare una via di fuga.
Per seminare quelle guardie avrebbero dovuto andare a piedi.
Lì avrebbero potuto persino giocare d’astuzia.
Auron approvò il suo piano, ed il governatore Fett fece scendere con deliberata lentezza la navetta, lasciando che i caccia intorno ronzassero come tante mosche, indecisi sulla formazione di volo più appropriata. Si lanciò per primo ed atterrò su dei sacchi dell’immondizia, in tempo per ricevere un Kaspar svenuto ed abbandonarlo con i suoi simili ( i sacchi dell’immondizia ).
Gli altri scesero rapidamente, ed Auron non seppe trattenere una smorfia “Questo posto è …… disgustoso ……”
“Benvenuto nei bassifondi di Coruscant, Auron!”.
Poteva capire come si sentisse quell’uomo, che da quanto aveva compreso veniva un mondo assolutamente primitivo. Lì sotto l’unica luce accettabile era quella delle insegne di qualche locale dalle attività oscene ed il fioco bagliore delle luci degli appartamenti centinaia di metri più in alto. Ovunque potesse girare lo sguardo c’erano solo tonnellate di rifiuti, speeder truccati ed animali sicuramente frutto di qualche mutazione genetica.
Boba attese che Ash avesse raccolto accanto a lui tutti i suoi Pokémon, poi lanciò una granata recuperata da uno dei droidi di servizio e lasciò che l’astronave andasse in mille pezzi proprio sotto lo sguardo delle navette di sentinella che non li avevano mai abbandonati.
“Questo li manderà abbastanza in crisi!”.
Spinse Kaspar sulle spalle della loro guida ed iniziò a correre, cercando di ricordare i percorsi che aveva elaborato diversi anni prima, nella vera Coruscant e non in quella dannatissima proiezione; non poteva sapere quanto il Castello dell’Oblio potesse essere fedele alla realtà e non aveva intenzione di scoprirlo in quel frangente. Non ascoltò Auron, che bofonchiava sull’importanza di trovare la Prova, ma continuò a scrutare tra le ombre per ricercare le strade che desiderava; riconobbe alcune sezioni, e trascinò il gruppo attraverso alcuni camminamenti interni ai palazzi che nessuna guardia imperiale avrebbe potuto conoscere.
Guardò gli altri: “State alla larga dalla gente di qui. Saranno anche illusioni, ma non voglio correre rischi”.
Boba non aveva mai celato il disgusto per la gente che viveva nei bassifondi: esseri di varie razze senza altro scopo che rubare, drogarsi o ubriacarsi, che avrebbero venduto le loro madri per due bottiglie di birra dei nani. Quel Castello doveva essere davvero formidabile, perché persino la puzza di quella zona malfamata era presente, impregnando anche i loro abiti.
Per farsi coraggio cercò di pensare a Zam, quella vera: la donna furiosa che gli aveva fatto girare la testa e che lui aveva umiliato a causa della sua gelosia. La visione di diverse ore prima lo aveva turbato.
Anche se per pochi secondi, era riuscito ad ottenere un suo bacio.
Si era dimenticato di quanto fosse diverso da quello di ogni altra donna.
“MANI IN ALTO!”.
Il governatore Fett maledì la propria distrazione. Estrasse il blaster dalla fondina e corse verso il pilastro più vicino, mentre Auron gettò con foga Kaspar per terra ed estrasse la spada in posizione di guardia. “State lontani e nessuno si farà troppo male!”
La poca luce non era di grande aiuto, ma non impedì loro di capire che erano circondati. Potevano sentire decine di persone attorno a loro, osservarli persino dai piani più alti; brusii e risate ovunque, e gente che si muoveva con una discreta agilità tra i rifiuti e le rovine degli edifici.
Se altro, non erano imperiali “Consegnateci l’Imperatore e faremo finta di non avervi visto!”
Chiunque fossero, Boba glielo avrebbe ridato volentieri e con un fiocco intorno al collo ma, se voleva riportare le chiappe a casa, il mago gli serviva tutto intero. Delle sfere infuocate comparvero e oscillarono sulle loro teste: dalle ombre uscì una figura assai familiare, un Ribelle, che però Boba non…
“Nevius!”
L’ameba si era svegliata dal suo torpore ed aveva acceso una Palla di Fuoco. Ma l’esperienza aveva insegnato a Boba che era raro trovare i Ribelli in gruppi inferiori alla decina, ed infatti dagli angoli, dal tombino, da delle lenzuola calate iniziarono ad uscire vari Ribelli infervorati. Fasulli, senza alcun dubbio, a giudicare dalle facce truci di gente come Aragorn o Gandalf; ma pur sempre Ribelli, e quindi mai da sottovalutare quando ci si trovava, come loro, in palese svantaggio numerico “Li conoscete?” fu l’unico commento della guida.
“Sì, e se non mi sbaglio ci troveremo nei guai fino al collo”
“Se si avvicinano all’Invocatrice…”
“Si avvicineranno, mi dispiace. È la loro forza del numero”.
Ma perché questa massa di muscoli si preoccupa solo di Zachar? Mi sembra l’unica in grado di cavarsela da sola qui dentro!
Il Ribelle che era emerso dal gruppo indossava la stessa divisa viola di Zachar e Kaspar, e Boba ricordò che, dei Quattro Malvagi del Regno delle Tenebre, uno era passato all’Alleanza abbandonando i suoi compagni: doveva essere proprio quel Nevius che avevano davanti agli occhi, con una folta cascata di capelli castani ed un’espressione spavalda dipinta sul viso. I suoi occhi erano fissi sullo stregone addormentato; protetto dalla forza del numero dei suoi compagni fece svariati passi nella sua direzione, ma Zachar gli si parò davanti, con le mani piene del potere azzurro dei suoi incantesimi.
Quello si arrestò davanti a lei, piantandole gli occhi addosso come se si fosse accorto della sua presenza solo in quell’attimo: “Zachar, dove c’è Kaspar ci sei anche tu al guinzaglio, vero?”
Auron gli si mise davanti come una quercia e puntandogli la spada “Per quanto muoia dalla voglia di lasciarvi Kaspar, adesso serve a noi. Vivo. Quindi smammate”.
Il sesto senso di Boba gli diceva che non se ne sarebbero andati così facilmente; erano in almeno un centinaio contro loro quattro, Ash compreso.
L’unica risposta di quel Nevius fu una risata ed un “Levati, soldatino!”.
Le dita del mago saettarono, colmando lo spazio intorno a loro di energia verde che il governatore Fett percepì risuonare nella testa come mille campane attivate nella sua scatola cranica; il flusso si accumulò nella mano del mago dell’Alleanza e si diresse contro Auron e la sua spada, circondandosi di strie biancastre e di strali nere, e sentì Ash stringersi ai suoi abiti mentre il colpo partiva.
“La mia spada è stata incantata dai saggi e potenti Membri dell’Organizzazione. Resiste alle magie reali, figuriamoci a quelle di un pupazzo come te!”.
Boba, rassicurato, sollevò lo sguardo e in un attimo accadde tutto. La lama di Auron ancora intrisa di colore verde, lo scatto, il fendente ed il secondo successivo la testa di Nevius rotolò per terra.
Boba scrutò la reazione dei Ribelli. Qualche anno fa, durante uno dei loro soliti commandi alla Morte Nera, un piccolo pilota dell’Alleanza era rimasto ferito alla gamba da dei Droidi Distruttori, ed in quel momento i Ribelli avevano sciamato con ancora più forza, atomizzando il droide con la forza del numero e stringendosi come chiocce intorno al soldatino. Non aveva idea di come potessero reagire quei Ribelli, ma come minimo li avrebbero calpestati nella fuga.
Fu quindi colpito nel vedere che i nemici erano immobili e silenziosi, con gli occhi puntati solo sul cadavere di Nevius.
Il perché lo capì con amarezza: il cadavere del mago sembrò ribollire, diventò incandescente e dopo una manciata di secondi ritornò intero come prima, vivo e vegeto “Dopo questa interruzione non ho voglia di lasciarvi vivi. Tanto prenderemmo Kaspar comunque!”. Già, le illusioni delle Stanze non possono morire. Noi invece sì, eccome!
“SCORDATEVELO!”.
Zachar sembrava aver ritrovato tutta la sua vitalità: le guance avevano ripreso colore, e gli occhi verdi brillavano come poche volte in vita sua; si lanciò contro la confusa accozzaglia di illusioni e rivolse contro di loro una gigantesca Catena di Fulmini, sfruttando i residui metallici nel terreno e lasciando carbonizzati sei dei loro avversari. Ma, come Nevius, i soldati si rialzarono dopo pochi secondi.
“La folle mente di Kaspar ha inventato queste schifezze?”
“No, cacciatore di taglie”, e l’espressione della guida non gli piacque per niente “Ho il vago sospetto che siano legati alla Prova. Ma non chiedermi in che modo”
Per Boba la Prova aveva perso qualsiasi interesse. Prese Kaspar sulle spalle, valido anche come scudo umano nella fuga, e spinse tutti loro in una strada, colpendo un paio di Ribelli con il blaster per spianare il passaggio; mentre la loro guida metteva l’ameba al riparo lui osservò impotente i due soldati nemici appena abbattuti che si tiravano su, come se fossero stati colpiti al massimo da un cazzotto. Come tipico dei Ribelli, i loro nemici sciamarono: da ogni piccola porta laterale sbucavano membri dell’Alleanza, per un attimo vide anche il Maestro Windu salutarlo da una finestra ormai in frantumi.
Pur conoscendo quel settore, non ricordava nemmeno la metà delle strade che stavano attraversando, con il cuore in gola e con Kaspar a mo’ di sacco di cemento. Ogni volta che i Ribelli si avvicinavano troppo, Zachar li scacciava o li abbatteva con la sua magia, salvo poi rivederli mettersi in piedi e continuare ad inseguirli.
Ash era in testa, e nel darsela a gambe inciampò. Non sarebbe stato grave se non avesse coinvolto a catena anche gli altri tre, infatti Boba ebbe un incontro ravvicinato con il suolo di Coruscant; quando convinse la guida a levare il suo stivaletto dal naso, alzò lo sguardo e capì il perché del silenzio inquietante che si era formato.
“Vorrà dire che prenderemo l’Imperatore e voi. Oppure prenderemo l’Imperatore e vi lasceremo qui, incollati al pavimento”.
Quel Nevius stava torreggiando sopra di loro, e tutto intorno a lui l’aria congelò.
Ash stava per protestare quando il mago, con un gesto, avvolse il loro gruppo da brina e fiocchi di ghiaccio, che salivano verso l’alto sino a creare diversi blocchi appuntiti di ghiaccio. Proprio come quello che avevano sopra la testa…
Prima che Auron si gettasse sull’Invocatrice per proteggerla, i cristalli di ghiaccio diretti verso di loro si infransero contro una parete sottile, fatta di acqua e gelo allo stesso tempo.
“CRYSTALL WALL!”.


Il governatore Fett non aveva ben chiaro cosa fosse successo: l’attimo prima erano inciampati, e stavano contemplando un’enorme stalattite di ghiaccio puntata proprio contro le loro teste. L’attimo successivo era comparso davanti a loro l’anello mancante tra l’uomo e la lattina, un ragazzo da capelli viola che aveva sollevato le braccia e mandato i frammenti di ghiaccio di Nevius a dissolversi contro la sua barriera incantata.
“MU? COSA DIAMINE CI FAI QUI?”.
Auron lo conosce. Ma dalla sua faccia credo ci sia qualcosa che non vada ……
Il nuovo arrivato non gli rispose: un braccio rimase teso in direzione di Nevius, mantenendo salda la barriera che li proteggeva. L’altro si mosse, circondandosi di energia; diverse spirali di luce si formarono intorno alle sue dita: poi il palmo si aprì e ne scaturì una cascata di stelle, una raffica di proiettili splendenti che abbatté più di venti Ribelli “STARDUST …… REVOLUTION!”.
Non aveva mai visto un incantesimo simile: era come osservare da vicino una piccola galassia, un globo di luce circondato da oscurità che liberava tutto il suo potere in un colpo solo, ed ebbe l’accortezza di coprirsi gli occhi per non rimanere accecato. L’attacco dell’uomo-lattina aveva creato un varco tra le fila dei loro nemici a destra, ed Ash si lanciò in quel buco superando tutto e tutti, Pikachu alle calcagna; gli altri gli furono dietro in un baleno, con il loro soccorritore ed Auron che chiudevano la fila.
“Mu, non dovresti stare qui! Hai la tua missione!”
“Ma Auron… come potevo lasciarti in pericolo?”
“E come sapevi che ero in pericolo, se sono indiscreto?”
“Non uscivi più e…”
“Ah, ti sei cagato sotto all’idea di perdere la scommessa, eh?”
“Auron, sei crudele, io…”
“Spiacente di interrompervi” Boba si mise in mezzo “Ma adesso avremmo tutti un altro problemino… quelli lì non si mettono di certo a fare salotto!”.
In effetti tutti i Ribelli caduti erano di nuovo vivi senza nemmeno un graffio, e tutti quelli che sapevano usare la magia avevano gli incantesimi pronti per essere lanciati. “Voi iniziate a correre, io e Mu vi copriamo”.
Pur di levarsi da quella pessima situazione Boba accettò di caricarsi di nuovo Kaspar sulle spalle, prendere per mano la sua ameba e correre con Ash verso destinazione ignota, persino nel bagno dei membri dell’Organizzazione ma non tra le grinfie dell’Alleanza. Quando si voltò vide che lo spadone di Auron respingeva senza sosta vari incantesimi, aiutato dal muro magico del nuovo venuto che, grazie al cielo, era dalla loro parte.

Per fortuna i maghi Ribelli non erano così eccezionali. L’Ego di Kaspar li aveva elaborati abbastanza stupidi e prevedibili, e per una volta Auron apprezzò lo stregone. Il suo spadone, incantato da padron Vexen in persona, poteva tenere testa agli incantesimi di medio e talvolta alto calibro. “Mu, hai idea di come si infurieranno i membri dell’Organizzazione?”
Il suo compagno allontanò diversi nemici con il Crystal Wall “Auron, sai che io non disobbedirei mai ad un membro dell’Organizzazione!”
Eppure il dannato problema permaneva: potevano anche abbatterli e ferirli, ma tutti quelli che andavano giù poi si ritiravano su. E non avevano tempo per impedire il processo, perché nel frattempo i Ribelli superstiti li assediavano da tutte le parti; la soluzione migliore sarebbe stata farli fuori tutti in un colpo solo, cosa praticamente impossibile… “E comunque, caro il mio mercenario ritardatario, ho un regolare permesso!”
“Ah, sì? E quale?”
“Beh…” si capiva chiaramente quando Mu stava per dire qualche cattiveria, perché diventava più rosso dei capelli di padron Axel “… quello che conta meno degli altri…”
“Padrona Larxen ti ha permesso di venire qui?”.
Come diceva padron Vexen, che era il più saggio ed il più potente dei membri dell’Organizzazione, se padrona Larxen decideva di fare qualcosa, era certamente qualcosa di sbagliato (nel migliore dei casi) o estremamente pericoloso (nella norma).
“Ma hai avvisato comunque padron Vexen?”
“No, Auron…… io volevo aiutarti e……”
“Beh, allora dovrò aiutarti anch’io!”. In quel momento l’Invocatrice e l’Intercessore di Mu erano chissà dove, magari stavano gironzolando nel Castello mettendo il naso dove non dovevano e la colpa sarebbe stata del suo amico “Mi hai aiutato fin troppo, Mu. Ora devi pensare all’Invocazione Suprema!”
“Sei nei guai, amico. Fatti almeno accompagnare all’uscita!”
Auron avrebbe voluto mandare a quel paese quel sacerdote testardo. Ma Mu aveva ragione, erano davvero nei guai, e per quanto la sua lama potesse deflettere i loro incantesimi e il Crystal Wall potesse dissolverli, non avevano molte possibilità contro un tale numero. Ad un tratto i Ribelli si riunirono: abbandonando qualsiasi tipo di incantesimo, corsero come un solo uomo contro di loro, attraversando le loro difese. Il mercenario si ritrovò scaraventato a mezz’aria, e di traverso vide il suo amico calpestato come uno zerbino dalla folla; provò a mettersi in piedi per raggiungere di nuovo l’Invocatrice, ma si era nemmeno rialzato sulle ginocchia che una seconda ondata di avversari si abbatté su di lui.

A dispetto di quello che aveva pensato, l’ameba impuntò i piedi “Lasciami, abbiamo abbandonato Auron indietro!”
“In caso non te ne sia accorta, oca, il tuo caro Auron ci sta parando il culo!”
Boba aveva ben motivo di preoccuparsi: non ci voleva l’orecchio allenato di un cacciatore di taglie per riconoscere il rumore di decine di Ribelli in carica selvaggia. Ash stava raccogliendo in fretta e furia le sue Pokéball che nella corsa erano rotolate in un tombino.
Come al solito, dopo il rumore di stivali sull’asfalto vennero le urla, e dopo le urla il polverone che mozzava il fiato ai nemici; la guida ed il suo nuovo amico non avevano fatto molta strada, ed erano due paia di braccia in meno sottratte alla loro difesa.
Zachar creò uno scudo contro gli incantesimi, ma persino Boba si accorse che non era molto più di un sottile strato di acqua colorata “Gli incantesimi di difesa non sono il mio forte… “ ammise la ragazza.
Certo, dall’allieva del mocho non si potrei aspettarmi molto. Ma, detesto ammetterlo, l’unica che può difenderci qui dentro è lei!
“Attacca con tutto quello che hai!”
Ai loro lati uscirono Bulbasaur e Charmender: il primo avvolse Nevius con delle liane, mentre il secondo gli diede fuoco; chi l’avrebbe mai detto che Ash si sarebbe rivelato più utile di Kaspar durante un combattimento?
“Squirtle, adesso bagnali tutti!”
La piccola tartaruga sparò un getto d’acqua da far invidia a Saruman. Boba, che aveva già individuato la combo in atto, costrinse Zachar a buttarsi a terra “Pikachu, Elettroshock!”
L’intera prima linea degli aggressori venne eliminata come con un esercito di birilli, poi Boba prese un paio di detonatori termici che aveva recuperato sull’astronave e li lanciò nel mucchio.
Ci furono due violente esplosioni che coinvolsero anche un edificio: ma persino i brandelli insanguinati dei loro nemici si riformavano in fretta, dando costantemente vita a nuove illusioni.
L’ameba stava combattendo, e non poco. Più ne abbattevano e meglio era…
“Ash!” fece lei “Puoi prestarmi Pidgeotto? Forse ho un’idea!”
Tra le dita apparvero numerose sfere di fuoco. Invece di ingrandirsi lei le lasciava fluttuare in aria, e continuava a produrne altre. Sembrava potesse incendiare l’aria intera. Poi diede vita a piccoli globi elettrici e di ghiaccio, accumulandoli sopra e davanti a lei, incurante dell’assalto dei Ribelli.
Boba non sapeva cosa stesse facendo, ma doveva per forza proteggerla; purtroppo i detonatori termici erano esauriti, e le munizioni del blaster erano quasi agli sgoccioli. E l’arma bianca contro una mandria dei Ribelli era del tutto inutile.
Lei alzò il braccio e tutte le sfere create vi si radunarono intorno, seguendo una spirale ben precisa che terminava nel suo palmo. “Vai, Pidgeotto, scelgo te! Fai il più grande attacco Raffica che puoi!”
Il Pokémon si alzò in volo dietro di lei e sbatté le ali, portando le sfere verso i nemici.
Ma Zachar non aveva finito l’incantesimo: serrò le dita e le sfere si ingrandirono, prendendo velocità nel processo e diventando quasi come la coda di una cometa che si scagliava sui loro nemici. Sui Ribelli si abbatté una pioggia incessante di meteore, cristalli di ghiaccio e sfere di fulmini, adesso abbastanza grandi da essere mortali. Sotto il vento creato da Pidgeotto, l’enorme incantesimo scaraventò lontano tanti di loro, a qualcuno dando fuoco e a qualcun altro lasciandolo privo di sensi. “Bene!” fece Boba. Altri tre o quattro di questi incantesimi e avrebbero potuto anche vincere. Corse verso uno dei cadaveri nemici e provò a colpirli ripetutamente col coltello, ma niente da fare: restavano qualche minuto a terra ma poi si riformavano, sia privi di testa sia ridotti a cenere o brandelli.
I pochi Ribelli superstiti da quel massiccio attacco si avventarono contro di loro: incuranti dei morti, delle ferite o della fatica continuavano ad avanzare.
Boba imprecò qualcosa tra i denti.
Poi qualcosa spense le pochi luci che ancora si intravedevano dal basso; il cielo sembrò spegnersi del tutto, ed il cacciatore di taglie sentì il gelo calargli nelle ossa, la terribile sensazione di qualcosa di oscuro e fuori dalla sua comprensione stesse per arrivare. L’enorme ombra calò su di loro, assorbendo la luce delle insegne e dei tabelloni pubblicitari; la cosa più simile ad un buco nero.
Il suo sesto senso di cacciatore di taglie lo salvò da morte certa, perché quando sentì il grido “ULTIMA!” alle sue spalle si buttò per terra. Evitò in un soffio una grande sfera che brillava di una luce nera, come se potesse assorbire la vita stessa; era enorme e prorompente, sentì l’energia crepitare sopra di lui quando essa si mosse verso i Ribelli. Impattò su di loro come un fiume in piena, riempiendo di Nulla quelle strade, come se un buco nero si fosse aperto davanti ai suoi occhi. Al suo confronto, anche l’attacco di Zachar sembrava insignificante. Boba si girò, aspettandosi qualche altro aiutante dell’Organizzazione pronto a dargli una mano, ma l’unico che trovò fu Kaspar.
Il mago aveva ancora le braccia distese in avanti quando cadde per la stanchezza, consumato dal potere dell’incantesimo, con ancora gli ultimi sprazzi di magia crepitanti tra le dita.
“KASPAR!” urlò la ragazza, per un attimo dimentica di tutto quello che quel bastardo le aveva fatto; corse verso di lui, cercando di richiamare con le sue mani qualsiasi incantesimo di guarigione riuscisse a ricordare. Il mocho doveva aver usato una magia terribile, perché Boba continuava a sentir l’aria crepitare tutt’intorno a lui, satura del potere distruttivo appena lanciato.
“Zachar! Guarda lì!”
Ad un cenno di Ash tutti si voltarono verso i Ribelli. Erano distesi a terra come decine di birilli, non ne restava in piedi nemmeno uno, nemmeno stregoni come Nevius e Lavok o giganti come Teal’C.
“Stanno brillando!”
Tutti quei corpi stavano dissolvendosi, emanando una luce quasi rosa. La luce attraversava tutta la strada, dava un’altra prospettiva dei bassifondi. Le scintille, il turbine di magia, la prorompente energia della Prova che avevano imparato a conoscere era di nuovo in azione. Arrivò tra le mani di Zachar, ancora in ginocchio accanto al suo uomo, e l’attimo dopo erano fuori da quella Stanza.

Non riuscì a definire quanto tempo fosse passato da quell’ultima esplosione di luce bianca. Si rimise in piedi con un certo sforzo, osservando il freddo e monocromo pavimento del Castello dell’Oblio ondeggiare sotto i suoi stivali in una stanza identica a quella dove l’aveva portato quello strano ragazzo con il ciuffo argentato poco tempo prima. Il ragazzino era il più vispo di tutti, lì dentro, mentre Auron stava ridestando l’ameba dal sonno; l’unica nota positiva era che quel maledetto mocho era ancora privo di sensi.
Il loro salvatore in scatola era sparito.
“Stavolta ce la siamo vista davvero brutta. Chi l’avrebbe mai detto che per superare la prova avremmo dovuto abbattere contemporaneamente tutti quei falsi Ribelli?” fece, stiracchiandosi “Ho temuto per un attimo che saremmo rimasti a vita in quella stanza”.
“I membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti. Ci avrebbero liberato comunque!” la guida si avvicinò a Zachar e la aiutò a rialzarsi. Anche se traballante, la ragazza si sforzò a camminare da sola “Kaspar ci ha…”
“CI HA MESSI IN UN MARE DI MERDA” rispose Boba, vedendo trascorrere davanti ai suoi occhi le immagini delle persone a lui care ridotte in uno stato disumano dentro quella Stanza folle. Gli occhi di Zachar vagavano dai suoi compagni di viaggio al suo Kaspar. “Ci ha salvati……”
“Continui a stare appiccicata a quel mocho? Dopo quello che ti ha detto?”
“Io…”
Doveva avere colto nel segno.
Boba sollevò Kaspar per il bavero e nessuno riuscì ( o ebbe voglia ) di fermare il suo pugno: “QUESTO E’ PER ZAM! QUESTO E’ PER TARKIN, E QUESTO E’ PER MAUL”.
Lo stregone era ancora svenuto, e a ogni colpo la sua testa rimbalzava all’indietro; Auron teneva Zachar per il braccio.
“Secondo me non gliene hai dati abbastanza…” di sangue dal naso già iniziava ad uscirne. “D’accordo, a me fa solo che piacere…… QUESTO E’ PER ME! QUESTO PER LA TUA RAGAZZA! QUESTO PER ASH! E PURE UNO DA PARTE DELLA GUIDA!”
“Ma Kaspar non…” sussurrò Zachar senza successo.
“E mi sembra che non ne ha avuti abbastanza, ancora non gli ho spaccato tutto lo zigomo!” sentì tutta la rabbia accumulata non solo nel corso di quell’avventura, ma anche di tutte le volte in cui lui ed i suoi amici avevano dovuto difendersi a caro prezzo dagli intrighi di quel mago. “QUESTO E’ PER PIKACHU!” Ash era tutto contento “QUESTO PER SQUIRTLE! QUESTO PER CHARMENDER! QUESTO PER BULBASAUR! E L’ULTIMO E’ DA PARTE DI PIDGEOTTO! Manca qualcuno?”
“Forse il mio amico Mu, ma lui non…”
“Non fa niente!” l’ultimo cazzotto glielo diede nello stomaco, poi lo abbandonò per terra. “A proposito, dov’è l’uomo-lattina?”.

Auron non aveva bisogno di trattenere Zachar, adesso. Non era corsa da Kaspar, stava solo piangendo debolmente; dopo quello che le aveva fatto, quello stregone se l’era proprio cercata. Una ragazza così buona e gentile e lui l’aveva trattata nel peggiore dei modi.
Non aveva sentito, in quella Stanza, né il gelo di padron Vexen né la sensazione che altri membri dell’Organizzazione stessero modificando gli avvenimenti: tutto era avvenuto a causa del parto della fredda e calcolatrice mente di Kaspar, e l’intera vicenda non aveva necessitato di alcun intervento da parte dei suoi signori.
L’unica malvagità, in quei momenti, era originata dal cuore dell’Intercessore. La frattura tra i due era inevitabile.
Ancora una stanza e l’Invocazione Suprema sarebbe stata completata.
I membri dell’Organizzazione avrebbero trionfato.
Non c’era nulla che desiderasse più che completare quella missione “Mu è tornato indietro. Ha ancora qualche lavoretto da sbrigare”.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Serpeggiano i dubbi ***


Capitolo 12 - Serpeggiano i dubbi


Black core Dai no Daiboken

Un Nucleo Nero




Vexen sorseggiò senza fretta la terza tazza di the di quel pomeriggio.
L’operazione di Mistobaan era stata un successo: l’impianto era riuscito alla perfezione, nessuna crisi di rigetto e nessuna infezione in atto. L’energia dell’esplosivo era stabile, alimentata forse dalla stessa enorme quantità di magia che fluiva nel corpo del soggetto.
Certo, l’esperimento non era stato privo di difficoltà.
Quando Axel e Larxen avevano dichiarato di voler assistere all’operazione era certo che se ne sarebbero andati dopo qualche minuto, annoiati, lasciandogli campo libero; e forse il n. VIII avrebbe seguito quella linea se non fosse stato per Larxen.
La ragazzina aveva lanciato un gridolino estatico alla vista dei bisturi, si era avventata sulle lame chirurgiche proprio come una bambina su una confezione di caramelle, urlando qualcosa come “Li devo provare tutti!”.
I momenti dell’operazione erano stati sempre a rischio di vita (la sua) e di triplice infarto cardiaco (di Mistobaan): la n. XII si era autoeletta aiutante e addetta ai bisturi, ed aveva scacciato Camus, il suo vero assistente, lanciandogli un kunai alle spalle mentre chiudeva la porta.
La Ninfa Selvaggia come assistente era stato qualcosa di terrificante, una furia a piede libero nel suo laboratorio che gli passava le fiale sbagliate e si divertiva a lanciargli i bisturi invece di appoggiarglieli in mano. L’apogeo era arrivato quando stava inserendo il Nucleo Nero nella gabbia toracica e si trovava accanto al principale complesso arterioso di Mistobaan; i suoi occhi furono coperti di colpo, sentì una voce sbarazzina che faceva “Cucù!” alle sue spalle e per poco l’esplosivo non cadde a terra.
Se in quel momento non erano ridotti in mille pezzettini lo doveva, suo malgrado, alla prontezza di riflessi del n. VIII.
Ma, nonostante quegli imprevisti, tutti i parametri vitali del soggetto rispondevano alla perfezione, e le strumentazioni non rivelavano alcuna anomalia nel metabolismo e nella frequenza cardiaca; mentre Larxen continuava ad ammirare estatica le lame sporche di sangue, Vexen sentì il n. VIII venirgli accanto e bofonchiare: “Temo il nostro amico sia stia svegliando. Meno male, non ne posso più di questo laboratorio!”.
Mistobaan era ancora coperto dal suo mantello con cappuccio, e la fibbia che teneva immobile la sua veste era rimasta intatta anche durante l’impianto. Zexion aveva percepito che non sarebbe stato saggio rivelare il volto del loro nemico all’aria aperta e, per quanto Zexion in fondo fosse ancora un ragazzino ingrato, Vexen aveva imparato a non discutere sulle sue sensazioni.
Prima o poi capirò come funziona il suo olfatto ……
Appoggiò la sua bevanda e si portò accanto al lettino operatorio; nel corso dell’impianto aveva per forza di cose intravisto il viso ed il corpo sotto quel mantello, e la verità che ne aveva scoperto lo aveva meravigliato non poco. Larxen e Axel avevano lanciato solo un’occhiata superficiale; erano degli idioti, non si rendevano conto dell’importanza dell’essere che avevano tra le mani!
“Apri gli occhi!”.
Lo disse con un’energia sorprendente, che era certo di non aver mai posseduto fino a quel momento. I poteri del Castello dell’Oblio davano realmente un senso di invincibilità.
“Adesso!”.
La creatura si alzò di colpo a seder sul lettino senza mostrare alcun capogiro, con le luci dei suoi occhi improvvisamente accese e puntate proprio su di lui; il n. IV trovò la forza di restare dov’era nel suo telecomando, quello che avrebbe trasformato il Braccio Destro del Grande Satana Baan in poltiglia se lui lo avesse desiderato.
Il vecchio Vexen sarebbe scappato nel punto più lontano del Castello alla vista di un essere del genere.
Ma non era preparato alla raffica di parole che lo sommerse qualche secondo dopo: “VOI, VISCIDI MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE, CHE AVETE OSATO SFIDARE LA COLLERA DEL GRANDE SATANA BAAN IN PERSONA! VOI, MALEDETTI ESSERI UMANI CHE VI SIETE ARROCCATI IN QUESTO CASTELLO PER SOTTRARSI ALL’IRA DI SUA ECCELLENZA IL GRANDE SATANA BAAN! VOI, VILI CREATURE CHE TENETE ME, IL BRACCIO DESTRO DEL GRANDE SATANA BAAN, RINCHIUSO IN QUESTO LUOGO MALEDETTO…

Narratore: Molti “Grande Satana Baan” dopo …… (32, secondo la testimonianza di Axel)

“……IO VI DISTRUGGERO NEL NOME DEL GRANDE SATANA BAAN!”
“Non così in fretta”.
Vexen lasciò che gli occhi di tutti si poggiassero su di lui, assaporando un certo senso di trionfo. Poteva già immaginare gli sguardi increduli di Axel e Larxen vedendolo affrontare con tanta sicurezza una delle creature più pericolose del loro mondo. Ricordatevi bene cosa posso fare, idioti.
Estrasse dalla tunica un telecomando sferico, nero e con un bottone azzurro ghiaccio impresso sopra, e vi appoggiò subito il pollice, lasciando che Mistobaan notasse quel piccolo ma terrificante strumento: “Una sola mossa ed il Nucleo Nero che ho impiantato dentro di te rilascerà abbastanza energia da polverizzare te e…… tutto quello che custodisci”.
Non poteva osservare nient’altro sotto quel mantello, ma era sicuro che i due fanali gialli che vedeva fossero in realtà occhi pieni di odio e di dubbio, era quasi certo di conoscere quali fossero i pensieri del generale del Maegudan in quel momento.
“E tu non vuoi che succeda una cosa del genere, giusto?”.
“IO MI FAREI SALTARE IN ARIA ANCHE ADESSO PUR DI NON CHINARE LA TESTA DAVANTI AD UN ESSERE UMANO CHE…”
“Ma non puoi… o sbaglio?”.
Raramente era stato così soddisfatto di una sua invenzione; la controprova che l’ingegno poteva avere la meglio su tutto, sia sulla tracotanza di gente come Mistobaan che sulla superbia di persone con Marluxia. Scienza ed ingegno erano il binomio perfetto.
Si alzò in piedi, lasciando però il telecomando bene in vista, certo che l’altro non avrebbe nemmeno osato sottrarglielo di mano per timore delle conseguenze: “So chi sei. E so del tuo Dono”.
“TU, VILISSIMO ……”
“Non mi piace molto ripetermi” era davvero lui la persona che dava le spalle al Braccio Destro del Grande Satana con tanta noncuranza? “Se non vuoi che prema accidentalmente questo pulsante farai esattamente quello che noi ti diremo senza discutere, intesi?”.
Sapeva perfettamente che l’altro non si sarebbe opposto. Avrebbe solo ricominciato a sbraitare sulla viltà degli esseri umani, ma per quel che gli riguardava poteva continuare ad alzare la voce per il resto dei suoi giorni; lo aveva fatto anche Xemnas, il loro precedente capo, all’epoca, ed adesso di lui restava al massimo qualche rivolo di sangue raggrumato sulle torri est del Castello.
Si voltò verso gli unici due spettatori del suo show, concedendosi per una volta una discreta soddisfazione notando che persino Larxen era livida di rabbia ed ammutolita.
La prima fase dell’esperimento era stata un successo.
Ma il suo vero capolavoro doveva ancora incominciare.


Mara si sentiva la testa pesante, come se mille Hobbit della Contea avessero iniziato a far bisboccia lì dentro; dopo tutto quel tempo passato in un’anticamera minuscola con la sola variante di un bagno apparso come per incanto in uno dei muri, la sua testa ed i suoi occhi erano stanchi di quel bianco incredibile, intenso. Sentiva la mancanza dei boschi, del fiume Anduin, era così disperata che avrebbe perfino riabbracciato i lastroni metallici della Morte Nera o i più brutti palazzi di Coruscant. Mu era riapparso dopo diverse ore di assenza ed aveva annunciato che sarebbero entrati nella Stanza della Memoria dopo qualche ora di sonno.
Era apparso provato e stanco, ma non era riuscita a capire nulla su ciò che avesse fatto in quel tempo; aveva provato a sondare la sua mente con i poteri Sith cercando di concentrarsi sopra le lamentele di Tarkin, ma era riuscita solo a percepire un forte senso di sollievo.
Si era quasi addormentata quando un Portale Oscuro si formò nel bel mezzo dell’anticamera, e tutti si alzarono di colpo.
Percepì una certa agitazione nella mente della loro guida: chiunque stesse entrando, non era atteso.
Il primo a uscirne fu un ragazzino molto più basso di lei, con una tunica nera decorata da catenelle d’argento e dei capelli tra il grigio e l’azzurro ed il look più emo che avesse mai visto.
REGISTE: "Narratore, basta con questa storia degli emo! Quante volte dobbiamo ripeterti che Zexion non è……?"
Narratore: "Ma mica è colpa mia! E’ un pensiero di Mara! Io mi limito solo a trascriverlo proprio perché sono un Narratore professionista."
REGISTE: "Se tu sei un Narratore professionista Larxen è la donna più pacifica del mondo……"
Narratore: "Ma io ……"
REGISTE: "Ok, riprendi a lavorare o qui perdiamo i già pochi lettori che abbiamo!"

Di sicuro sembrava qualcuno di importante, almeno dal modo in cui Mu chinò rapidamente la testa; stava proprio per prenderlo per il bavero e dirgli cosa pensava dell’Organizzazione e di quel dannatissimo Castello dell’Oblio quando dal Portale quasi svanito emerse una nuova figura.
Mistobaan? Credevamo di averlo lasciato nella Stanza della Memoria!
Con calma estese la propria concentrazione, usando i propri poteri Sith per avvicinarsi alle loro menti e comprendere cosa volessero in quel momento e quali fossero le loro intenzioni.
“Non sarà necessario, signorina”.
Prima ancora di poter estendere i suoi poteri Sith si accorse che l’unico occhio visibile del ragazzino era puntato proprio su di lei. Ha intuito quello che volevo fare?
“Assolutamente sì”.
Rispose, e per un attimo si accorse che tutti li stavano guardando. Si stava facendo anticipare e prevedere proprio come una principiante, per di più da un poppante che poteva avere sedici anni al massimo: “L’Organizzazione vuole che ti cambiamo il pannolino, ragazzino?”.
Il commento di Tarkin la salvò da ulteriori umiliazioni, visto che il ragazzo si girò verso il governatore; se l’insulto era giunto alle sue orecchie, però, non lo diede affatto a vedere. Mara ebbe la disgustosa sensazione che il piccoletto continuasse ad osservarla da sotto il ciuffo, anche se aveva voltato la testa. Poi vide Mu venire avanti ed inginocchiarsi per la seconda volta: “Padron Zexion, come posso servirla?”.
Poi guardò Mistobaan con una certa diffidenza: “Mio signore, è sicuro di……?”
“Tranquillo, Mu. Non ho alcuna intenzione di interferire o rallentare la tua missione. Abbiamo saputo di quello che è successo con Auron, ma chiariremo il tutto con Larxen. Ora cerca di dare del tuo meglio, perché non tollereremo altre prese di posizione!”.
Mara si chiese cosa avesse fatto il sacerdote in quelle ore; era rosso in faccia, e la testa così vicina al pavimento che per poco la sua fronte non lo toccava. Quel ragazzino era dunque uno di questi fantomatici Membri dell’Organizzazione? Se erano tutti così piccolini e smunti li avrebbe presi volentieri a cazzotti uno dietro l’altro.
“Si risparmi la sua ira, signorina Mara”.
Ancora questi suoi poteri. Che sia una specie di Jedi?
“Da questo momento in poi Mistobaan sarà un vostro compagno di viaggio, e vi accompagnerà fino all’Invocazione Suprema. Da lui non dovrete temere nulla, giusto, Mistobaan?” ma prima che quell’altro potesse eruttare anche una sola sillaba tornò verso Mu “Mi raccomando, un altro tentativo come quello scorso e l’Organizzazione non avrà più bisogno di te”.
“Ma io volevo solo ……”
“Siamo intesi, Mu”.
Il ragazzino diede loro le spalle e sparì. Mara non sapeva più cosa pensare: se quello era uno dei Membri dell’Organizzazione così tanto esaltati da Mu la situazione poteva sfuggire loro di mano da un momento all’altro. Quel ragazzino sembrava tanto indifeso, ma gli altri non avevano percepito quel suo strano potere come lei. E Mistobaan? L’ultima volta sembrava così ansioso di fare a pezzi i Membri dell’Organizzazione e adesso si comportava come il loro cagnolino ……
Per non parlare di Mu: per quanto a Tarkin non importasse nulla di quel ragazzo, Mara poteva vedere la sua espressione imbarazzata e delusa, come un bambino piccolo scoperto con le mani nel vaso delle caramelle. Non le era piaciuto il tono con cui quel moccioso si era rivolto al sacerdote e glielo disse; quello si limitò solo a rispondere: “I Membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti; hanno ragione ad essere adirati con me”.
Poi si chiuse in un silenzio davvero strano da parte sua e Mara decise di riprendere il sonno quasi interrotto, imitata da Tarkin e dalla sua amica; prima fossero usciti da quel Castello e meglio sarebbe stato.

“Auron, che cosa ci fai qui?”.
Il Portale Oscuro si era aperto nel silenzio più totale, cosa decisamente fuori posto per il suo amico.
Mentre gli altri dormivano, Mu ne aveva approfittato per restare sveglio e pregare gli dèi; anche se padron Vexen sosteneva che si trattava soltanto di superstizioni (e doveva per forza essere così, perché padron Vexen era il più saggio e potente tra i Membri dell’Organizzazione), lui trovava molto conforto nello stringere quel rosario.
Ricordava la pazienza con cui il suo confratello Shaka lo aveva realizzato davanti a lui, grano dopo grano, sotto i petali degli Sharasoyu, gli alberi gemelli del tempio della Vergine dove meditavano insieme sin da piccoli. Era l’unica cosa che gli rimanesse del mondo esterno, di tutto ciò che era avvenuto nella sua vita prima dell’incontro con i Membri dell’Organizzazione a cui si era offerto con gioia per aiutarli nel loro supremo compito.
Il suo amico uscì dal Portale e scrutò il suo gruppo: “E lui cosa ci fa qui?”.
Fissava Mistobaan, era ovvio: in quei pochi minuti il generale del Maegudan aveva urlato ai quattro venti la superiorità dei servitori del Grande Satana Baan, mostrando di non aver bisogno di mangiare, bere o dormire come i volgari esseri umani.
“Non fare caso a lui, Auron. Padron Zexion lo ha assegnato al mio gruppo per aiutarci!”.
“Potrebbero assegnare qualcuno anche a me! Non hai idea di che problemi ci dia Kaspar …… quel grandissimo pezzo merda!”.
“Auron!”.
Mu si sforzò di mettere il broncio, come faceva tutte le volte in cui cercava di limitare il numero di parolacce e di imprecazioni del suo amico. Un’altra vecchi abitudine del Tempio delle Dodici Case.
Il soldato ignorò Mistobaan e tornò a guardarlo; quando parlò aveva un tono confidenziale che applicava solo raramente “Comunque … grazie per prima ……”
“Ma Auron, ci mancherebbe, io ……”
“No. Posso immaginare le conseguenze. I Membri dell’Organizzazione non lo hanno gradito, vero?”.
Purtroppo era così, e nel non rispondere fece capire al suo amico molte più cose che non una valanga di parole; prima della missione avevano ricevuto l’ordine tassativo di non incontrarsi sino alla fine dell’Invocazione Suprema e di mantenere i loro gruppi separati ad ogni costo. Il Castello aveva mostrato bensì due prescelte, ed i loro padroni avevano deciso di prelevarle entrambe nel caso una di loro fallisse nell’impresa. Non dovevano assolutamente essere al corrente l’una dell’altra; chi di loro due fosse riuscita a superare per prima le quattro Stanze della Memoria avrebbe compiuto l’Invocazione Suprema.
I Membri dell’Organizzazione ripetevano spesso che dunque una delle due Invocatici avrebbe anche potuto essere …… sacrificata, a patto che l’altra restasse in vita.
Ma Mu non era sicuro di volere questa cosa fino in fondo “Sai una cosa, Auron …… mi chiedevo perché nessuno dei nostri padroni fosse venuto a salvarti in quella Stanza. Perché ti hanno lasciato lì? Con i loro poteri avrebbero potuto salvare te, l’Invocatrice e l’Intercessore ed aiutarvi nella prova!”.
“Immagino perché ritenessero sacrificabile il nostro gruppo”.
E’ proprio per questo motivo, non ci sono dubbi …… anche se ……
“Auron, come ti sentiresti se finissi davvero per perdere i membri del tuo gruppo?”.
Evidentemente il suo amico era preparato ad un’eventualità del genere, forse perché in quei giorni aveva avuto modo di rifletterci. Si levò con noncuranza gli occhiali e se li strofinò sull’abito rosso: “Mu, ritengo che i Membri dell’Organizzazione, che sono così saggi e potenti, abbiano sempre e comunque ragione; anche se …… se fosse possibile vorrei evitare questa situazione. Passi Kaspar, quel figlio di puttana lo vorrei morto subito, ma Zachar …… è una brava persona”.
Il sacerdote in fondo non poteva negare di essersi affezionato alla sua compagnia: certo, forse il governatore Tarkin era una persona che gli metteva i brividi, ma non lo avrebbe mai voluto morto; e poi c’era Daala, sempre così comprensiva, e Mara, pronta a darsi da fare per gli altri.
Avrebbe fatto il possibile per farli uscire vivi dalle Stanze.
Eppure ……
C’era un dubbio, più forte di qualsiasi altro, che lo stava tormentando. Un dubbio che nemmeno la saggezza e la potenza dei Membri dell’Organizzazione erano riusciti a placare nel corso della loro avventura.
“Auron, ammettiamolo, il tuo gruppo è il più vicino ad effettuare l’Invocazione Suprema. Nella tua Invocatice i cambiamenti operati dai nostri padroni e dalle stanze sono più evidenti e radicali di quelli in Daala, forse proprio a causa del comportamento di quel Kaspar. Riusciresti ad accettare veramente …… tutto quello che l’Invocazione Suprema comporta? Per Zachar?”.
L’altro abbassò gli occhi, scrutando con noncuranza il pavimento e strofinando tra loro le punte dei suoi stivali; chissà se il suo amico si era posto lo stesso problema.
Ai Membri dell’Organizzazione non sembrava una questione importante, specie se con quell’incantesimo fossero riusciti a tornare nel loro mondo ed a sconfiggere la famiglia demoniaca; ma le due guide avevano saputo sin dall’inizio quale sarebbe stata la prova finale che avrebbe permesso allo Spirito del Castello di uscire dal suo sonno millenario. Ed era una prova alla quale il sacerdote non avrebbe mai costretto né Daala né il suo Intercessore.
“Non lo so, Mu”.
E, nei suoi occhi, il sacerdote vide che non stava mentendo.
“Sono felice che i ricordi di Zachar siano mutati, la hanno resa una persona più indipendente e matura. E parte di me non vuole che lei arrivi sino alla fine”.
Beato te, Auron …… a me invece la nuova luce negli occhi di Daala non piace per niente. Nemmeno se sono i saggi e potenti Membri dell’Organizzazione ad ordinarmelo; un sacerdote non dovrebbe rendere infelice la gente.
Rimasero in silenzio diversi minuti, ciascuno con i propri pensieri; Mistobaan continuava a restare immobile e stranamente in silenzio, e Mu sentì crescere la tensione tra loro. Sapeva che anche Auron non stava accettando volentieri gli ordini dei loro padroni, e che proprio come lui si stava vergognando al solo pensiero di disobbedire a quelle persone meravigliose, i loro signori, che si prendevano cura di loro nel migliore dei modi.
Poi Auron sollevò la testa di scatto, spalancando gli occhi e tornando a fissarlo.
“Mu, abbiamo troppi dubbi. Ricordiamoci della nostra missione. E della nostra scommessa, spero che tu non ti sia dimenticato anche quella!”.
I Membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti.
I Membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti
.
Scacciò i suoi dubbi, spinto di nuovo dalla voglia di tornare in missione e non deludere i suoi superiori. Doveva arrivare alla fine delle Stanze della Memoria o i suoi padroni non avrebbero risvegliato il Castello. E doveva arrivarci prima di Auron, se non voleva perdere la scommessa.
E, si accorse subito, era proprio lui con il suo gruppo ad essere indietro.
“Non mi sono dimenticato di nulla, Auron. Quello di prima era solo un momento passeggero. E ti ricordo che possono ancora succedere molte cose e potrei essere io a vincere!”.
Lo disse con una certa spavalderia, ma con Mistobaan e Tarkin a rallentarlo non ne era così certo.
“Oh, io lo spero per te, Mu” il suo amico aprì un Portale dell’Oscurità per tornare dal suo gruppo “Perché, se vuoi un consiglio, faresti bene a pensare sin da ora in quale affascinante ristorante porterai il nostro adorabile padron Marluxia a cena …… e con quale scusa ……”
Poi sparì.
Mu, nella sua mente, chiese scusa ai Membri dell’Organizzazione per aver dubitato di loro e della bontà del loro piano; era di certo molto saggi e potenti, specie padron Vexen che era il più saggio ed il più potente di tutti.
Poi guardò la bella Invocatrice, immersa nel sonno e con i capelli rossi in totale disordine; si concentrò di nuovo sullo sguardo di padron Marluxia e la giustizia di padron Vexen, ma non riuscì a dissipare quella terribile sensazione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto e che lui, con le sue azioni, ne fosse la causa.
I Membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti.
Loro hanno la risposta.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Follia dilagante ***


Capitolo 13 - Follia dilagante


Mu

Mu




Tarkin fece per la milionesima volta l'analisi della situazione.
Si prolungavano quelle strane attese tra una Stanza e l'altra, e la guida rispondeva sempre in modo evasivo quando interrogata in proposito: stava nascondendo loro qualcosa, poco ma sicuro. Il suo comportamento poi era tutto tranne che coerente: nelle fogne di Alderaan aveva trattato quello strano demone incappucciato come il suo peggior nemico, ora invece ne tollerava la presenza nel gruppo senza alcuna obiezione. Ma se proprio bisognava parlare di coerenza, anche il demone non scherzava: da che voleva cancellare l'Organizzazione dalla faccia dell'universo era passato a obbedirle in silenzio e con rassegnazione.
Ma che diamine di poteri hanno questi qui...?
Come se ciò non bastasse, anche Daala aveva iniziato tutto d'un tratto a comportarsi in modo strano. Era nervosa, spesso brusca nei suoi confronti, come se la sua presenza le desse fastidio. Per carità, difficile restare a lungo in un posto del genere senza farsi venire un esaurimento, ma il fatto era che Daala si comportava cosí solo con lui. Con Mara sembrava la solita persona di sempre.
Porco Bail impotente, sono l'unico sano in mezzo a una gabbia di matti. Devo tenere gli occhi aperti.
“Mia Invocatrice.” improvvisamente Mu si era alzato in piedi, gli occhi fissi sulla porta della Stanza successiva. Tarkin si sentì raggelare. “Possiamo andare.”
L'attesa era finita. Tarkin si ritrovò a pregare divinità non meglio definite che le cose non precipitassero ulteriormente. Detestava ammetterlo, ma aveva paura.
Varcata la soglia si ritrovarono in un luogo ampio e aperto, spazzato dal vento e illuminato dalla sfera infuocata di un sole al tramonto. Gli bastò uno sguardo per capire che quel posto non faceva parte dei suoi ricordi: davanti ai loro occhi si ergeva un castello maestoso, le cui alte guglie bianche trafiggevano le nuvole e le tingevano del rosso sanguigno del cielo al crepuscolo. Sia loro che il castello si trovavano su una piattaforma sospesa a centinaia di metri dal suolo; Tarkin provò a guardare in basso e vide che stavano sorvolando una regione pianeggiante, costellata di piccoli villaggi dai tetti rossi e campi coltivati. Con la tecnologia della loro Galassia far volare palazzi come quello era un gioco da ragazzi, ma... l'architettura di quel castello era innegabilmente primitiva, e non somigliava a niente che Tarkin avesse mai visto nel suo mondo.
Qui c'è puzza di magia....
Alle sue spalle, Mu soffocò un gemito.
“Questo...questo è...”
“Sono i tuoi ricordi, guida?”
“No...temo che siano....” Mu sollevò una mano tremante e indicò il demone incappucciato. “temo che siano i suoi...”
Sotto il cappuccio lo sguardo di Mistobaan era impenetrabile. Se aveva riconosciuto quel posto non lo dava minimamente a vedere. Quella creatura era un autentico enigma.
“Quindi ci troviamo...dove?” Tarkin sentì che stava per perdere il controllo, e strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche per imporsi la calma. Accanto a lui, anche Mara era inquieta: “Percepisco delle presenze potentissime lì dentro...”
Mistobaan continuava a tacere, le luci gialle che aveva al posto degli occhi fisse sulle torri del castello. Fu Mu a rispondere per lui: “Questo è il Baan Palace, la fortezza volante del Grande Satana Baan.”
“Ci stai dicendo che dobbiamo andare a infognarci in un covo di demoni?!”
“Temo di sì...io...io non sono mai stato qui nella realtà...noi ribelli l'abbiamo sempre visto solo da lontano, ma è inconfondibile...”
Tarkin aveva appena sentito una parola che gli piaceva molto poco: “Ribelli?!”
“Sì” fece Mu con un sorriso nervoso. “Prima di servire l'Organizzazione facevo parte della Resistenza contro il Grande Satana...”
“Ma non eri un prete?” chiese Mara con stupore.
“Beh... è una lunga storia...”
“...che non ci interessa sapere.” concluse Tarkin per lui. “Non possiamo restare qui, siamo troppo esposti e...”
“Oh, benvenuto generale Mistobaan!” li sorprese una voce da lontano.
Sul ponte sospeso che collegava il castello alla loro piattaforma una figura solitaria si stava avvicinando. Era un essere strano, ancora più strano di Mistobaan: interamente vestito di nero, indossava una maschera su cui erano incise le fattezze di un volto sorridente, che gli copriva interamente il viso e la testa. In mano reggeva una falce, che mandava bagliori sinistri nella luce del tramonto.
Ma sono demoni o una squadra circense?!
“Generale.” La creatura si fermò di fronte a Mistobaan, ignorando tutti loro come se non esistessero: “Il grande Satana ti sta aspettando. Oggi è il grande giorno della tua nomina a Braccio Destro, non vorrai far attendere il nostro signore proprio in un'occasione così importante!”
Senza aggiungere altro il demone in maschera si voltò e si incamminò verso il castello, facendo cenno a Mistobaan di seguirlo.
“Andiamo con lui” disse Mu. Malgrado la sicurezza che cercava di infondere nelle sue parole era palesemente ancora molto scosso. Gli altri lo seguirono riluttanti, e anche Mistobaan si unì a loro, sempre trincerato dietro il suo muro di silenzio. Tarkin però non aveva intenzione di infilarsi nella tana del lupo senza prima almeno qualche informazione preliminare.
“Mistobaan...cosa sta per succedere? Dobbiamo saperlo se vogliamo uscire interi di qui.”
“I membri dell'Organizzazione si prendono gioco di noi.”
“Sì, di questo me n'ero accorto...”
“Pensano di ingannarci con queste illusioni, ma nessun incantesimo può riprodurre il sacro palazzo del Grande Satana, né tanto meno le Sue sublimi fattezze.”
“Eppure il Baan Palace è qui davanti a noi.”
“Un miserabile falso.”
“Ma i pericoli che incontreremo sono veri. Chi è quel tizio in maschera?”
“Killvearn, uno dei miei compagni al servizio del Grande Satana.”
“E cosa...”
“Umano, le tue chiacchiere mi stanno stancando.”
Se fosse stato a Coruscant con i suoi assaltatori avrebbe insegnato a quel demone presuntuoso cosa significava mancare di rispetto al governatore Tarkin. Poiché così non era, dovette tacere e ingoiare l'offesa, furioso. Non tanto per l'insulto, ma perché non aveva il potere di contrastarlo in alcun modo.
L'interno del palazzo era elegante, ma non sontuoso come Tarkin lo aveva immaginato. Era una bellezza semplice e spartana, come si addiceva a un condottiero o un capo militare. Questo Grande Satana non era una creatura da sottovalutare.
Nessuno protestò per il gruppo di umani che metteva piede nel “sacro palazzo” del signore dei demoni, e Tarkin e compagni furono ammessi senza problemi nella sala del trono, gremita di folla. Con stupore Tarkin si rese conto che Mistobaan e Killvearn erano delle eccezioni: gli altri demoni... non erano poi troppo diversi dagli umani. Sì, avevano lunghe orecchie a punta, i lineamenti più affilati e la pelle pallida e diafana come l'alabastro; una minoranza aveva la pelle verde chiaro, e uno era così piccolo e grinzoso da sembrare uno gnomo, ma per il resto... nella Galassia esistevano razze ben più strane o mostruose.
E io che mi ero immaginato artigli, corna e scaglie infuocate...
“Emanano tutti un'aura magica spaventosa...” sussurrò Mara.
Sul trono sedeva un demone anziano dai lunghi capelli argentati, vestito di una tunica nera dai bordi decorati con ricami d'oro.
“Fammi indovinare, quello lì è il più magico di tutti.”
Il Grande Satana, senza ombra di dubbio.
“No.” rispose inaspettatamente Mara. “C'è un'altra aura...un potere ancora più tremendo...” L'ex guerriera Sith era impallidita visibilmente, la fronte imperlata da piccole goccioline di sudore. Chiuse gli occhi, sopraffatta dalle sue percezioni. Quando li riaprì puntò il dito verso un angolo della grande sala, dove un uomo dai folti baffi neri stava appoggiato a una colonna, a braccia conserte. Sì, un uomo: niente orecchie a punta, niente viso affilato tipico dei demoni. All'apparenza era un umano come tutti loro.
In quel momento il Grande Satana sollevò una mano, e nella sala del trono calò istantaneamente il silenzio.
“Popolo della famiglia demoniaca” la voce del sovrano dei demoni era profonda e carica di autorità. “Siamo qui riuniti per festeggiare la promozione di uno dei nostri migliori generali. Mistobaan, avvicinati.”
“La prego generale, deve assecondare il suo ricordo.” sussurrò Mu vedendo che Mistobaan non accennava a muoversi. “Lei ha già vissuto tutto questo, vero? Agisca come nei suoi ricordi!”
Il demone incappucciato trafisse il giovane sacerdote con i suoi inquietanti occhi gialli, scrutandolo a lungo. Mu distolse lo sguardo quasi subito, turbato e spaventato.
“Ricorda questo, servo dell'Organizzazione.” la voce di Mistobaan era un ringhio basso, appena percettibile ma carico di minaccia. “Tu e i tuoi padroni la pagherete cara per aver osato profanare con le vostre vili illusioni il ricordo del giorno più bello della mia vita.”
Detto questo Mistobaan voltò i tacchi e si diresse verso il trono, pronto a recitare la sua parte nel copione di quella miserabile pantomima.
Vorrebbe ribellarsi, ma per qualche motivo non può. Cosa diamine gli ha fatto l'Organizzazione?!
Arrivato al cospetto del suo signore Mistobaan si inginocchiò. Il Grande Satana si alzò dal trono, sollevando le braccia in quello che sembrava un gesto benedicente.
“Mio fedelissimo e leale generale Mistobaan, in ricompensa dei tuoi preziosi servigi...”
“Mu” sussurrò Tarkin all'orecchio della guida. “Chi è il tizio con i baffi neri?”
“Il generale Baran. Il Cavaliere del Drago.” Il povero sacerdote sembrava sul punto di svenire per la paura. “E' la creatura più potente del nostro mondo. Dovrebbe essere neutrale e risolvere i conflitti, ma lui... lui ha scelto di servire il GSB, nessuno sa perché...”
“Forse il GSB pagava meglio.” commentò Tarkin con sarcasmo.
“Sentite, per il momento nessuno sembra fare caso a noi.” intervenne Daala. “Dobbiamo approfittarne. Forse la Prova è cercare qualcosa, o...”
“Guardate!” sussurrò Mara all'improvviso, indicando il trono. Tarkin seguì con lo sguardo la traiettoria del suo dito, e il respiro gli si mozzò in gola per lo stupore. La figura del Grande Satana... stava sfarfallando, come le immagini di un ologramma mal sintonizzato, o come la superficie di un lago increspata dal lancio di un sasso.
“Cosa diavolo...”
Piano piano, la figura del signore dei demoni iniziò a cambiare. I capelli argentati si accorciarono e sparirono, il suo elmo si trasformò un un cappuccio nero, la sua figura si abbassò e si incurvò... e alla fine...
“L'Imperatore Palpatine...” sussurro' Daala, gli occhi sgranati per l'incredulità.
Ma non era finita lì. Anche altri demoni al fianco del Grande Satana/Imperatore iniziarono a mutare nello stesso modo, trasformandosi sotto i loro sguardi attoniti e stupefatti in figure assai più familiari.
“Boba e Maul...”
“Saruman e il conte Dooku...”
“C'è persino Needa...”
“... e... e Kaspar!”
A parte loro, nessuno dei demoni nella grande sala del trono dava segno di essersi accorto dell'accaduto. La cerimonia andava avanti come prima, con una figura con il volto e la voce dell'Imperatore che continuava a parlare di “famiglia demoniaca” e “orgoglio dei demoni”.
Come se non bastasse aveva iniziato a fare un freddo cane.
“Mu, che significa questo?! Il GSB e i suoi generali si sono trasformati nell'Imperatore e i Signori Oscuri!”
“Io...” al sacerdote battevano i denti per il freddo; si strinse le braccia intorno al corpo, evitando lo sguardo di Tarkin. “Io non ne ho proprio idea.”
“Guida inutile!”
Mistobaan era sempre in ginocchio davanti al trono, ma ora guardava nella loro direzione, le luci sotto il cappuccio ridotte a due tenui fessure luminose. Anche lui doveva essere confuso e sconcertato, ma a suo onore andava detto che rimase saldo al suo posto, senza scomporsi.
“Mistobaan.” L'Imperatore sembrava giunto alla fine della sua orazione. “Rialzati ora, e prendi il posto che ti spetta come mio Braccio Destro, protettore e custode della famiglia demoniaca.”
Mistobaan si alzò lentamente e andò a posizionarsi alla destra del trono, in piedi. I suoi occhi luminosi erano sempre fissi sul loro piccolo gruppo, implacabili.
“Ora però, miei fratelli demoni, è tempo di pensare nuovamente al dovere.” Faceva uno strano effetto sentire l'Imperatore pronunciare parole simili. “C'è un gruppo di umani che si oppone a noi, e per quanto quei vermi non possano nulla contro il potere della famiglia demoniaca, uno di loro possiede dei poteri notevoli, pur essendo semplicemente un ragazzo. La sua presenza infonde coraggio e speranza nelle file dei nostri nemici. Questo non deve accadere. A tale scopo ho una missione per te, generale Baran.”
Con suo sommo stupore Tarkin si rese conto che l'Imperatore stava guardando verso di lui. Gettò uno sguardo alla colonna dove si trovava il Cavaliere del Drago, ma l'uomo con i baffi sembrava svanito nel nulla.
“Tarkin.” gli sussurrò Daala all'orecchio. “Stanno guardando tutti te.”
Era vero. Fino a un minuto prima nessuno aveva fatto caso alla loro esistenza, adesso invece tutti gli occhi erano puntati su di lui. Tarkin lesse rispetto in quegli sguardi, e timore, reverenza, persino paura.
“Generale Baran, avvicinati.”
E' folle... tutto questo è folle...
Incerto, Tarkin fece qualche passo in avanti, verso il trono. L'Imperatore, il GSB, o chiunque fosse quella visione partorita dalla mente malata del Castello dell'Oblio lo guardò con benevolenza e proseguì il suo discorso: “Questo cucciolo di umano che pensa di poterci sfidare si chiama Dai. Le nostre spie ci hanno riferito che di recente è entrato in possesso di un artefatto magico, una spada che amplifica ulteriormente il suo potere. Voglio che tu gli prenda quella spada, generale Baran. Trova il ragazzo, prendi la spada e portala da me. Mistobaan e Killvearn ti accompagneranno.”
La figura nerovestita che li aveva accolti all'entrata del Baan Palace si staccò dalla folla e andò a inginocchiarsi di fronte al trono. Adesso però al posto dell'anonima maschera sorridente c'era il volto di Kaspar.
Si vede che non è quello vero, altrimenti mi avrebbe già tirato una Palla di Fuoco...
“Sarà fatto come desidera, Grande Satana.” disse il Kaspar con la falce.
“Ai suoi ordini, mio signore.” improvvisò Tarkin, sperando vivamente di aver detto la cosa giusta. L'Imperatore sembrò soddisfatto, perché annuì e si alzò dal trono, chiaro segno che la riunione era conclusa. “Attendo il tuo ritorno trionfale, Cavaliere del Drago.”
Tarkin rimase congelato sul posto mentre la folla sciamava fuori dalla sala al seguito dell'Imperatore. Alla fine rimasero soli, lui, Daala, Mara e Mu più Mistobaan e la creatura con la falce che ora aveva la faccia di Kaspar.
“E' un onore andare in missione con lei, generale Baran.” gli disse Kaspar con un gran sorriso. “Devo ammettere che sono emozionato. Ammirare il potere del drago in azione non è un privilegio che capita tutti i giorni. Sono proprio curioso di vedere la celebre spada del Drago Diabolico, o magari perché no, la leggendaria trasformazione in Ryumajin...”
“Taci Killvearn!” Mistobaan si interpose tra loro due, sfruttando la sua alta statura per intimidire l'essere con la falce. “Vai a prepararti per la missione. Ti chiameremo quando sarà il momento di partire.”
Senza smettere di sorridere Kaspar fece un passo indietro e si esibì in una riverenza che sapeva più di derisione che di rispetto. “Come desidera, Braccio Destro del Grande Satana. Non c'è bisogno di scaldarsi tanto. Allora a più tardi, generali.”
Mistobaan non gli tolse gli occhi di dosso fino a che non ebbe lasciato la sala: “Certe cose non cambiano nemmeno nelle illusioni.” borbottò. Poi si rivolse a tutti loro: “Questa missione della spada di Dai non è mai avvenuta nella realtà.”
“Allora deve essere per forza la Prova.” disse Daala. “Se non altro stavolta l'abbiamo trovata subito.”
“Dovete stare attenti a quel Killvearn.” li avvertì Mistobaan. “Anche se ora ha una faccia diversa, il suo modo di fare è inconfondibile. Ha sempre provato invidia verso quelli più forti di lui, specialmente per il generale Baran. Io non mi sono mai fidato di lui, e non escludo che se ci sarà una battaglia potrebbe tentare qualche strano trucchetto dei suoi.”
Tarkin sorrise, ma era un sorriso amaro, senza alcuna traccia di gioia: “Non mi sarei aspettato nulla di meno da uno con la faccia di Kaspar.”
E così stavano per andare in battaglia al fianco di un Kaspar che li avrebbe pugnalati alle spalle, per ordine di un Imperatore che parlava come un Grande Satana e con l'aiuto di un demone incappucciato vincolato a obbedire a una misteriosa Organizzazione che reggeva i destini di tutti loro come i fili di altrettante marionette.
“E, fatemi capire...” lo sguardo incredulo di Mara correva da Tarkin a Mu e viceversa. “Credono che lui sia l'essere più potente di questo mondo?!”
“Parrebbe proprio di sì.” rispose il sacerdote allargando le braccia.
“Questa è follia!”
“No.” Mu scosse la testa, la voce ridotta a un sussurro. “Questo è il Castello dell'Oblio.”



“Insomma, ricapitoliamo... quelli lì sono il Grande Satana e i suoi generali...”
“... ma noi li vediamo con le sembianze dell'Imperatore e i Signori Oscuri...”
“... loro però si comportano sempre come il Grande Satana e i suoi generali...”
“... e pensano che Tarkin sia il Cavaliere del Drago...”
“... noi però continuiamo a vederlo come sempre...”
“... e di certo non ho sviluppato poteri magici strani nel frattempo!”
“Né ti sono cresciuti i baffi se è per questo...”
“E tu Mu ti ostini a dire che è tutto normale? Il tuo Castello dell'Oblio stavolta si è ubriacato di brutto!”
Gli alloggi del generale Baran erano tutti per loro. Con la scusa di prepararsi alla missione si erano chiusi lì dentro a fare il punto della situazione, mentre Mistobaan faceva un giro per il Baan Palace per raccogliere qualche altra informazione utile. La notte era calata ormai, ma alle prime luci dell'alba sarebbero dovuti partire. Dormire sarebbe stata la scelta più saggia, ma erano tutti troppo tesi per riuscirci.
“Non dovete fare a caso a tutto questo, può succedere che talvolta il Castello agisca così" disse Mu. "Può darsi che i vostri ricordi abbiano interferito con quelli di Mistobaan, ma è inutile stare troppo a chiedersi il perché.” Mara si rese conto che era almeno la decima volta che Mu cercava di distoglierli dalle loro riflessioni. “Ora la cosa più importante è pensare alla Prova e...”
“E BASTA, TU E LA TUA MALEDETTISSIMA PROVA!” in un improvviso scatto d'ira Tarkin diede una manata a un vaso su un tavolino e lo fece precipitare a terra, dove si infranse in mille pezzi. Mara trasalì: il governatore aveva esaurito la pazienza. “Tu ci stai nascondendo qualcosa, e io sono STUFO di...”
“Tarkin, basta così!” anche Daala si era alzata in piedi. “Ci manca solo che ti metti a fare l'isterico come al solito! Per favore risparmiaci almeno stavolta!”
Il governatore rimase interdetto, tanto che per una volta non seppe come replicare. Fissava Daala come se fosse stata posseduta da qualche strana entità, e per un lunghissimo istante rimasero a guardarsi in silenzio, lui stupefatto e lei con una luce battagliera negli occhi verdi. Mara seguiva la scena con il fiato sospeso. Tarkin era un isterico, senza dubbio, ma nella voce di Daala c'era un disprezzo che lei non aveva mai sentito prima d'ora.
“Daala ma...cosa diamine ti prende?” riuscì a dire lui alla fine.
“Come sarebbe a dire cosa mi prende? Sei tu quello che ha sempre reazioni esagerate.”
“E tu ultimamente sei strana...” Tarkin mosse qualche passo verso di lei e le prese le mani tra le sue. “Qui stiamo tutti quanti impazzendo, però...”
Lei si divincolò con furia: “Senti, non c'è alcun bisogno che ti sforzi a recitare la parte del marito premuroso!”
“Cosa....recitare?”
Se Tarkin era spiazzato, Mara lo era ancora più di lui. Tarkin aveva tutti i difetti del mondo, ma come marito non si poteva davvero criticare. Daala era sempre stata felice con lui.
“La tua memoria perde colpi con l'età?” il tono di Daala era sempre più velenoso. “Ti ho sposato per i tuoi soldi, non perché mi interessasse il tuo affetto!”
Per un attimo nella stanza calò un silenzio di tomba. Tarkin apriva e chiudeva la bocca senza riuscire a spiccicare parola, tutta la sua compostezza da spietato governatore imperiale finita miseramente in pezzi. Daala lo fissava con occhi gelidi, rabbia e disprezzo scolpiti in ogni tratto del suo bellissimo viso. Dall'altra parte della stanza Mu si sentiva chiaramente di troppo, e cercava di fare il vago guardando altrove.
Mara... Mara era semplicemente troppo sconvolta anche solo per cercare di capire.
“Tu... tu vaneggi!” fu tutto quello che infine riuscì a dire Tarkin.
“Ti dirò, non mi sono mai sentita così bene in vita mia.” replicò lei, e senza attendere risposta gli voltò le spalle e uscì dalla stanza, lasciandoli tutti di sasso. Mara rimase il tempo necessario a scambiare con Tarkin un'occhiata sconcertata, poi si alzò e le corse dietro, il cuore che le martellava all'impazzata nel petto.



Trovò Daala affacciata a un balcone, gli occhi chiusi e i capelli ramati lievemente scompigliati dalla brezza notturna. La luna splendeva nel cielo, appena offuscata da un sottile velo di nuvole sfilacciate. Mara si appoggiò alla balaustra accanto all'amica, ma lei non diede alcun segno di averla notata. Per dei lunghissimi minuti rimasero in silenzio, gli sguardi persi nelle tenebre della notte.
“Daala...” esordì infine Mara. “Che cos'è successo?”
“E' successo che sono un'idiota.” disse lei con una risata amara. “E me ne sono accorta troppo tardi.”
“Che vuoi dire?”
“Pensavo che fare carriera bastasse a ottenere la felicità. Pensavo che sposare una persona che non amavo fosse un sacrificio accettabile per raggiungere questo obiettivo. E sai qual è la cosa buffa? Dovevo essere rapita da un' Organizzazione misteriosa e rinchiusa in un Castello assurdo per rendermene conto.”
“Ma Daala, tu sei sempre stata innamorata di Tarkin, perché dici che...”
“E dai Mara, sai benissimo che non e' così!” la interruppe Daala. “Non lo è mai stato!”
“Ma...”
“Sai, credo che questo castello non ti mostri dei ricordi casuali. Sceglie quelli più importanti. Quelli che hai dimenticato, e che non avresti mai, mai, mai dovuto dimenticare.”
Mara era ammutolita. Possibile che per tutti quegli anni la sua amica avesse solo finto, e che li avesse ingannati tutti facendo credere di essere felice accanto a un uomo che non aveva mai amato? Lei che prima che iniziasse quella storia assurda non lasciava passare giorno senza ripetere quanto le mancassero il marito e la figlia più grande?
“Il primo ricordo che abbiamo incontrato qui era il mio passato, Mara... ed è stato come se mi cadesse una benda da davanti agli occhi. Allora ho capito... ho capito di aver sbagliato, e che avrei dovuto fare una scelta ben diversa.”
“Quale scelta?”
“Ti ricordi che abbiamo incontrato Kratas?”
“Sì, insieme a Needa, ma che c'entra con...”
“Ecco.” Daala era arrossita lievemente. “Da allora l'ho sognato sempre, tutte le volte che Mu ci ha permesso di fermarci per dormire. Io e lui uscivamo insieme ai tempi di Carida, e...”
“Cosa?! Davvero?! Ma... questo non me lo avevi detto!”
“E' così.” lo sguardo di Daala era sognante e malinconico, carico di mille significati che Mara non riusciva appieno a comprendere. Era spaventata. Quel cambiamento arrivava troppo in fretta, quelle rivelazioni troppo all'improvviso...
“Ero innamorata di lui, ma... ho messo a tacere i miei sentimenti in nome della carriera. Sono stata una stupida!”
“Daala...”
“Ho detto a Tarkin di stare bene, ma non è vero. Fuori sorrido, ma dentro mi sento a pezzi... ho buttato all'aria la mia vita...”
“Daala, non dire così! Hai due bellissime figlie che adori, ti pare poco? Avevi sempre desiderato diventare mamma...”
“E una di queste bellissime figlie probabilmente non la rivedrò più.” Daala sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. Mara avrebbe voluto confortarla in qualche modo, ma le parole cozzavano l'una contro l'altra nella sua testa e non volevano saperne di mettersi insieme a formare un discorso di senso compiuto. Raramente aveva visto la sua amica piangere. Daala aveva una tempra d'acciaio da far invidia persino a Tarkin, e non amava mostrarsi vulnerabile nemmeno alle sue amiche più intime.
“Scusa Mara, vorrei restare un po' sola ora.” le ultime parole le disse che già stava correndo via, i lunghi capelli che le oscillavano dietro le spalle come un mantello ramato. Mara rimase ad ascoltare l'eco dei suoi passi che si spegneva nei corridoi bui del Baan Palace, poi fece anche lei per tornare indietro, verso gli alloggi del generale Baran. Magari se fosse riuscita a dormire un po' le si sarebbero schiarite le idee...
In quel momento le sue percezioni la misero in allarme, e con la coda dell'occhio colse uno scintillio, qualcosa di dorato che si accendeva dei riflessi della luna. Si voltò di scatto e si ritrovò faccia a faccia con Mu.
“Che ci fai qui?!”
“Io...” il sacerdote era imbarazzatissimo.
“Ci stavi spiando?!”
“No! No, io... io sono arrivato adesso... non riesco a dormire e...”
Non ci volevano i sensi di un Jedi per capire che mentiva. Mara tuttavia decise di lasciar perdere: era qualcos'altro che adesso le serviva da lui.
“Mu... ti prego. Dimmi cosa sta succedendo. Daala ha cominciato a dire cose senza senso, e credo che tu ne sappia qualcosa. Per favore, Mu.”
“Vi ho detto tutto quello che so.” rispose lui, senza guardarla negli occhi.
Mara scosse la testa. “Senti Mu... io non so cosa pensare dei tuoi membri dell'Organizzazione, ma tu mi sembri una brava persona. Anche se ci hai rapite, se ci costringi ad affrontare queste Prove contro la nostra volontà... io credo che tu lo faccia perché credi davvero che sia la cosa giusta. Stai combattendo per una causa che ritieni nobile, si vede da come parli e da come ti comporti. Ma noi qui rischiamo di impazzire. Abbiamo fatto tutto quello che ci hai detto, ma ogni passo che facciamo in questo Castello ci porta via un briciolo di sanità mentale. Io credo che a Daala sia successo qualcosa... ti prego Mu, è la mia migliore amica... noi ti stiamo aiutando, aiuta anche tu noi, dicci quello che sai. Ti supplico.”
Se c'era una cosa che Mara aveva imparato sulla loro improbabile guida era che con lui la gentilezza aveva molto più effetto delle minacce o dell'aggressività.
Stavolta però non bastò nemmeno quello. Mu indietreggiò, sempre evitando di incontrare il suo sguardo, e alla luce della luna Mara vide che era arrossito fino alla radice dei capelli.
“Scusate... mi dispiace, mi dispiace veramente tanto... ora... devo andare!”
Mara non gli permise di fuggire. Si parò tra lui e l'uscita, obbligandolo a fronteggiarla.
“Se tieni davvero a questa missione abbi il coraggio di affrontarne tutte le conseguenze!”
“Mi dispiace...mi dispiace...” continuava a ripetere lui, come un disco rotto. “Non posso davvero.”
“Sei un vigliacco!!”
Mara mandò la gentilezza a quel paese e lo colpì con tutte le sue forze, un pugno carico di tutta la frustrazione che provava. Non pensò neanche per un attimo che lui era perfettamente capace di pararlo, o peggio di restituirglielo al doppio della potenza...
Ma Mu non si difese in alcun modo. Si lasciò colpire in pieno, senza un grido, senza battere ciglio. Subito sulla sua guancia iniziò a formarsi un livido violaceo. Lui lo sfiorò con la punta delle dita, il capo chino, completamente indifeso di fronte a lei.
Si e' lasciato colpire apposta...?
Poi Mu la spinse da parte e si allontanò a grandi passi, senza parlare, lasciandola sola con le stelle e le ombre della notte.
“Sei un maledetto vigliacco, Mu! UN VIGLIACCO!!”
Mara continuò a urlare ancora per qualche tempo, ma ormai solo la luna la stava ad ascoltare, facendo capolino da dietro il suo velo di nuvole.


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Fonte della fan art a inizio capitolo: http://www.pixiv.net/member_illust.php?mode=manga&illust_id=31694823

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Quando una Ninfa si annoia ***


Capitolo 14 - Quando una Ninfa si annoia


Larxen

Larxen




Axel era nel bel mezzo della sua quotidiana siesta post-pranzo quando ricevette una visita inattesa.
“Axel! Svegliati, dai, su forza Axel!”
Il numero VIII dell’Organizzazione si agitò pigramente tra le coperte, mugugnando qualcosa di molto simile a: “Ancora cinque minuti….”
“Oh che noia stai sempre a dormire! Dai alzati che devo dirti una cosa importante….”
Per tutta risposta Axel seppellì la testa sotto al cuscino. Ma il suo interlocutore non si fece scoraggiare, e gli strappò via il cuscino mandandolo a volare contro il muro.
“SVEGLIA!!”
Axel si arrese. Si stropicciò gli occhi e finalmente li aprì, mettendo a fuoco il disturbatore della quiete. Larxen. Già, quella vocetta acuta e incredibilmente trapanatimpani non poteva che appartenere a lei. Era sorridente e piena di energia, come al solito.
Ma non le si scaricano mai le pile?
“Yawn…okay, okay, sono sveglio….” si sollevò su un gomito “che diamine vuoi? E’ successo qualcosa?”
“Niente…o meglio, non ancora” rispose Larxen con un sorrisetto furbo “Ho una proposta da farti”.
“Ovvero?” chiese Axel mettendosi seduto.
“Beh, ecco…per farla breve, avrai notato che Vexen in questi ultimi tempi sta diventando decisamente…fastidioso. Pretende di darci ordini come se fosse il nostro capo e non ci dice mai nulla di quello che...”
“Larxen….” la interruppe Axel, che già aveva intuito cosa stesse passando per la testa della ragazza “Dove vuoi andare a parare?”
“E’ semplice, Axel. Io credo che dovremmo, come dire….eliminarlo.”
Axel si sentì rabbrividire: Larxen sorrideva come una bambina che pregusta un pomeriggio di divertimento al parco giochi.
“Ti rendi conto della cazzata che hai appena detto?!”
“Axel, quel vecchio ci nasconde qualcosa, è ovvio! Hai visto quel suo Nucleo Nero… chissà quante altre invenzioni pazze tiene nascoste nel laboratorio in attesa di usarle contro di noi! Ci scommetto quello che vuoi che lui non ha alcuna intenzione di dividere con noi il potere dell'Invocazione Suprema...”
“Larxen…posso capire il tuo ragionamento, ma….” Axel si alzò in piedi, guardando negli occhi la ragazza. “Qualsiasi cosa lui abbia intenzione di farci, aspetterà che il piano sia andato a buon fine per agire. E anche noi dovremmo fare così. Non ha senso mettersi l’uno contro l’altro in un momento delicato come questo.”
“Ma perché aspettare? Lui è molto più debole di noi, cosa vuoi che ci succeda?”
“Se pensi che sia così semplice allora perché sei venuta a chiedere aiuto a me?”
“Beh, in due ci si diverte di più!”
Axel sospirò. Immaginava che prima o poi sarebbe successa una cosa del genere. Larxen e Vexen erano due mondi completamente agli antipodi: lui razionale, prudente e riflessivo; lei irrequieta, incostante, infantile, non prendeva mai nulla sul serio, come se la vita non fosse per lei altro che un grande gioco. Ma se a Vexen non mancava il buonsenso per capire che era necessario mettere da parte le rivalità personali per la buona riuscita del piano, lo stesso non si poteva dire di Larxen. Axel sospettava che alla ragazza in fondo del piano non importasse nulla; probabilmente aveva accettato di farne parte semplicemente perché lo riteneva uno svago divertente. Ma ora si era stufata di quel gioco, e smaniava dalla voglia di cominciarne un altro.
“Senti, Larxen…Vexen ci serve, non possiamo ucciderlo ora.”
“Ci serve? Non vedo altra utilità in quel vecchio pedante e antipatico se non quella di fare da affilatoio per i miei kunai! Possiamo benissimo mandare avanti il piano senza di lui…e, se vuoi saperlo, anche senza quell’essere inutile di Zexion, che ancora non ho capito perché continuiamo a portarcelo appresso…. avremmo dovuto farli fuori subito insieme a tutti gli altri!”
“Senti, mi dispiace ammetterlo, ma la persona più importante per il piano è proprio Vexen. Ragiona: chi è che ha studiato il funzionamento delle Stanze della Memoria? Vexen. Chi ha capito come si usano? Vexen. Chi ha scoperto l’Invocazione Suprema? Toh guarda, sempre Vexen. Senza di lui non riusciremmo nemmeno a capire cosa dicono i libri sulle Stanze! E anche il potere di Zexion ci è utile.”
“Uffa!” fu il solo commento di Larxen all’intero discorso. “E va bene, ho capito! Come non detto! Certo che quando ti ci metti riesci a diventare ancora più noioso di Vexen…” . Fece un largo gesto con la mano e un corridoio oscuro si aprì alle sue spalle. Stava già per entrarvi, quando Axel la fermò: “Larxen!”
“Cosa vuoi ancora?”
“Non lo farai?”
“Non lo farò. Per ora almeno. Ma te lo dico subito, quando tutto sarà finito non riuscirai a fermarmi.”
“Sta bene. Ma non ti far venire strane idee in mente ora….ti conosco troppo bene, Larxen. Ricorda che ti tengo d’occhio”.
“Bla, bla, bla! Grazie per la fiducia, eh! Ma risparmiati il disturbo… non succederà proprio un bel niente” . Si voltò indispettita e si tuffò nel portale, che svanì pochi secondi dopo lasciando Axel finalmente libero di riprendere la pennichella interrotta.



Larxen attese a lungo che gli occhi si abituassero all’oscurità del laboratorio. Nel limbo in cui si trovava il Castello, il cui cielo era sempre nero, il giorno e la notte erano concetti puramente convenzionali, e Larxen aveva aspettato il momento in cui tutti andavano a dormire per mettere in atto il suo piano, certa che Axel non avrebbe mai rinunciato alle sue otto ore di sonno per sorvegliare lei.
Dopo qualche minuto riuscì a distinguere i contorni dei mobili attorno a lei: miriadi di scaffali stracolmi di libri, tavoli, macchinari strani. Si fece strada silenziosamente attraverso l’enorme stanza, attenta a non urtare nulla.
Per prima cosa devo trovare lui, dopodiché... che abbia inizio il divertimento!
Stava camminando in uno stretto corridoio tra due file di scaffali particolarmente lunghe, quando notò un debole chiarore davanti a sé. Si immobilizzò all’istante.
E' ancora sveglio?!
A passo felpato avanzò rasente a uno degli scaffali, e arrivata al bordo sporse la testa per dare un’occhiata. Il chiarore proveniva da una piccola lampada su una scrivania, alla quale era seduto Vexen. Lo scienziato dormiva. La testa appoggiata tra un immenso librone aperto e una pila di fogli di appunti, la penna ancora stretta fra le dita; il sonno doveva averlo colto nel bel mezzo del suo lavoro.
Alla faccia del grande studioso!
La ragazza uscì allo scoperto, avvicinandosi alla scrivania, ed improvvisamente un oggetto appoggiato allo scaffale di fronte catturò la sua attenzione: un grande scudo blu a forma di goccia, decorato da cinque punte sul bordo superiore. Sembrava forgiato in un metallo sconosciuto, estremamente lucido. L’arma di Vexen. Larxen lo raccolse da terra – malgrado le dimensioni era incredibilmente leggero – e lo impugnò per la maniglia nella parte posteriore, assicurandoselo al braccio: era il momento di cominciare. Si guardò intorno.
Quel tavolo laggiù per iniziare sarà perfetto!
Sbatté lo scudo sul tavolo con violenza inaudita, mandando in frantumi tutte le provette che vi erano ordinatamente schierate sopra; poi con un calcio buttò all’aria il tavolo stesso, mandandolo a schiantarsi contro uno scaffale, che traballò e rovinò al suolo in un tripudio di schegge. I libri furono scagliati in tutte le direzioni, alcune pagine si staccarono e svolazzarono allegramente per la stanza.
Spettacolare!
A quel fracasso tremendo Vexen si svegliò all’istante, ma non ebbe nemmeno il tempo di capire se ciò che gli si parava davanti agli occhi era un incubo oppure la realtà che Larxen, scivolatagli alle spalle, gli assestò un colpo tremendo alla nuca con il suo stesso scudo. Lo scienziato rotolò giù dalla sedia e si accasciò a terra privo di sensi; Larxen lo degnò appena di sguardo, poi tornò tutta soddisfatta alla sua opera di devastazione. Evocare i kunai, tagliare subito la gola a Vexen e andarsene sarebbe stato veramente banale e noioso: il laboratorio era insonorizzato, quindi non era necessario fare le cose di fretta. Poteva divertirsi un po’. L’unico che avrebbe potuto accorgersi di ciò che stava succedendo era Zexion, ma il ragazzino-ameba non le faceva alcuna paura.
Sollevò il braccio senza scudo ed evocò il fulmine, il suo elemento. Lampi e saette si abbatterono senza pietà sui mobili, mentre la ragazza vi danzava in mezzo menando colpi di scudo a destra e a manca, tirando calci, lacerando libri con i suoi micidiali kunai. Rise. Si stava divertendo un mondo!
La sua gioia raggiunse il vertice quando scoprì l’esistenza del forno, che regolò alla massima temperatura, gettandovi i libri ancora intatti e tutti gli appunti dello scienziato. Osservò con estremo godimento le fiamme circondare e divorare il mucchio di carta come un branco di belve con la sua preda indifesa.
Abbi solo un attimino di pazienza, Vexen, molto presto mi occuperò anche di te.



Un getto di acqua gelida in faccia lo strappò alle tenebre dell’incoscienza.
Cosa gli era successo…? Ricordava solo poche immagini di un incubo confuso, un dolore improvviso e lancinante, poi solo buio.
Per quanti sforzi facesse non riusciva a muovere le gambe e le braccia; non sentiva nulla, all’infuori di un dolore pulsante alla testa e la sensazione di bagnato sul viso.
Con uno sforzo immane riuscì infine a socchiudere gli occhi. Sbatté le palpebre più volte, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Quello sopra di lui… sì, era il soffitto del laboratorio, solo che ora tutte le luci erano accese. Provò a sollevare la testa piano piano; sembrava l’unica parte del corpo in grado di muoversi.
E ciò che vide fu sul punto di farlo svenire un’altra volta. Si trovava su uno dei suoi lettini operatori, e non riusciva a muoversi per il semplice motivo che aveva polsi e caviglie legati dalle stesse cinghie che erano servite ad immobilizzare Mistobaan durante l’operazione. Ma la cosa più terribile era lo spettacolo oltre il lettino: sedie rovesciate, tavoli distrutti, frammenti di vetro che galleggiavano sul miscuglio di composti chimici che inondava vaste porzioni del pavimento, libri carbonizzati, scaffali sfondati…
“…il…il mio laboratorio...” . Non poteva essere vero. Era un incubo, doveva essere un incubo... adesso avrebbe chiuso gli occhi, e quando li avrebbe riaperti si sarebbe risvegliato seduto alla scrivania, tutto sarebbe stato come prima…
“Se fossi in te mi preoccuperei più per me stesso che per il laboratorio.”
Vexen sussultò. Larxen? Girò faticosamente la testa in direzione della voce, e vide la ragazza in piedi accanto al letto, le braccia conserte e un sorrisetto divertito dipinto sulle labbra: “TU! Perché tutto questo?!”
“Beh, ovvio. Perché mi stai antipatico. Perché volevo divertirmi. E perché così finalmente la smetterai di darci ordini come se fossi il nuovo Superiore!”
“Per divertirti?! PER DIVERTIRTI?!” Vexen era sconvolto, fuori di sé per la rabbia. “Tu… sei pazza, completamente fuori di testa!! Sei… sei malata, non sei normale!! Liberami subito!!”
Larxen rise: “Che paura! Sei davvero un vecchio patetico. Anche ridotto così pensi di avere il diritto di darmi ordini…ma stavolta le cose non saranno così semplici, Vexen. Hai finito di giocare a fare il capo”.
“Io non faccio il capo! Cerco solo di darvi i consigli migliori, e finora seguendo le mie indicazioni è andato tutto a meraviglia!”
“Ti credi tanto astuto ed intelligente solo perché sei uno scienziato? Perché hai buttato gli anni migliori della tua vita a fare la muffa su un cumulo di libroni polverosi? Beh, se io fossi in te non ne sarei così fiera! Anch’io ho letto molti libri, anche se non sono gli stessi che piacciono a te….e ti assicuro che mi hanno insegnato molte cose. Oh si! E lo scoprirai tra pochissimo!”
“Cosa vuoi fare?!”
Larxen sorrise, sollevò le mani ed evocò i kunai. Risposta terribilmente eloquente.
Fu come se a Vexen avessero dato un pugno tremendo nello stomaco: “A-aspetta! Non fare sciocchezze! Quando lo scopriranno gli altri non avranno pietà per te!”
“Pensi davvero di valere così tanto agli occhi degli altri? A giustificarmi con loro penserò quando sarà il momento…e comunque TU non sarai lì per vederlo, no no no!”
“Ma io sono fondamentale per il piano, e loro lo sanno!! Se dovesse andare tutto all’aria per colpa tua non te lo perdonerebbero mai!!”
“Pazienza. Ne varrà la pena”.
“Sei pazza…non ti rendi nemmeno conto di quello che fai!! Vuoi mandare a quel paese l’Invocazione Suprema per i tuoi capricci personali?!” Quest’ultima frase fu più un grido isterico che altro: lo scienziato era completamente sopraffatto dal terrore ormai. Tentò disperatamente di liberarsi dai lacci che lo immobilizzavano, ma l’unico risultato concreto che ottenne fu di ferirsi i polsi e di far scoppiare Larxen in una fragorosa risata.
“Devo dire che a volte sai anche essere divertente Vexy! Ma adesso basta chiacchiere….vediamo un po’… - cominciò a girare intorno al lettino - ….da dove potrei iniziare? Qualche suggerimento?”
“No! Non farlo….” fu l’unica cosa che Vexen riuscì a mormorare con una nota di pianto nella voce. Le sue dita si strinsero convulsamente alla stoffa del lettino. Chiuse gli occhi, come se il non vedere avesse potuto far diminuire il dolore che sarebbe arrivato tra breve.
E il dolore arrivò, violento, intenso, terribile: partì dalla spalla destra, all’improvviso, e come una scossa elettrica attraversò l’intera lunghezza del braccio fino al polso. Vexen urlò come mai aveva fatto prima di allora. Si contorse disperatamente, e le cinghie che lo tenevano legato gli lacerarono la pelle.
“Che bello!” Larxen saltellava battendo le mani, estasiata, senza neanche badare alle gocce di sangue che colavano copiose dai kunai inzaccherandole la tunica.
REGISTE: "Narratore, ricorda sempre che parte del nostro pubblico è composto da bambini!! Niente cose troppo macabre!!"
Narratore: "Scusate, ma questa è una scena di tortura, come faccio a non essere macabro?"
REGISTE: "Ingegnati, Narratore, ingegnati! Dici sempre di essere onnipotente!"

“E’ proprio come nei libri d’avventura!” Larxen era al settimo cielo. “A un certo punto il protagonista finisce sempre torturato! Solo che poi è una noia, perché si salva sempre…il lieto fine è così banale! Non capisco perché non facciano mai vincere i cattivi, che sono molto molto più affascinanti!”
A Vexen arrivarono solo brandelli confusi di questo discorso; nella sua testa c’era spazio solo per il dolore. Socchiuse gli occhi, mentre ancora si agitava in preda all’agonia, guardò con orrore il braccio, la manica lacerata, il sangue che colava ovunque.
“M-ma perché……? Io in fondo non ti ho mai fatto niente… che bisogno c’è… di arrivare a questo…...” .
“Oh, sempre con le stesse domande!! Te l’ho già detto, o in quel momento il tuo prodigioso cervello di scienziato era scollegato? Voi vecchi non capite mai niente!”
E colpì di nuovo, con gioia efferata. Un taglio – anzi, quattro come i kunai – in pieno petto, per orizzontale. Subito dopo un altro in verticale, da sotto il collo fino alla pancia, a disegnare una macabra croce di sangue. Le urla di Vexen furono strazianti, ma Larxen rimase ad ascoltarle estasiata come fossero la melodia più dolce del mondo, finché non si indebolirono sempre di più trasformandosi in flebili gemiti di dolore.
“Allora Vexen, che ne dici? Come ci si sente a fare la cavia da laboratorio per una volta?”
Le risposero solo dei gemiti inarticolati. Malgrado fosse bloccato dalle cinghie ai polsi e alle caviglie Vexen continuava ad agitarsi senza posa.
“Ehi, Vexy, a parte che non è carino da parte tua non rispondere alle mie domande, ma smettila di muoverti! Sennò come faccio a colpirti bene la prossima volta?” Non la sentiva. “Ti ho detto di stare FERMO!” gli puntò un kunai alla gola, sfiorandogli la pelle con il metallo. Ma lo scienziato non riusciva ad impedire al suo stesso corpo di sussultare e tremare; con orrore sentì la lama sul collo che lo graffiava, e si aggrappò con forza alla stoffa del letto, mordendosi l’interno della bocca fino a farlo sanguinare per imporsi l’immobilità assoluta.
“Oh, ecco, bravo”. Attraverso il velo che appannava i suoi occhi Vexen vide il volto della sua aguzzina farsi più vicino. “Devo proprio ringraziarti, sai…” . La ragazza fece sparire i kunai da una mano e gli sfiorò con l’indice la punta del naso. “..non mi ero mai divertita così tanto!” . Vexen tratteneva il fiato, orripilato da quel contatto che lo terrorizzava quasi quanto il kunai poggiato sul suo collo. Larxen gli sfregò il naso un paio di volte con una risatina, poi passò ad afferrargli una ciocca di capelli, ci giocò attorcigliandosela attorno alle dita. “Che belli i tuoi ciuffetti! Me ne regali uno, vero?” Detto, fatto: un taglio netto e Larxen poté ammirare la ciocca recisa di capelli biondi sul palmo della sua mano. La fece sparire dentro una tasca della tunica con una risatina soddisfatta. “La terrò per ricordo di questa bella giornata! E ora vediamo, vediamo, vediamo… uhm… potrei tagliarti un orecchio! No… troppo banale, magari più tardi… fammi pensare…”
“No… smettila ti prego... basta… ti sei divertita abbastanza, no? Per favore…” Vexen non riconosceva più la sua stessa voce: era flebile, rotta e lamentosa come quella di una ragazzina. “Ti prego….! Ti… ti supplico… fermati...”
“Oh, come sei carino quando supplichi! Mi hai commosso… per farti piacere ti ucciderò prima del previsto così soffrirai di meno, d’accordo? Però non subito…. tra un pochino, va bene?”
Non era una ragazza quella. Era una belva feroce assetata di sangue. Sadica, efferata… pazza.
“E ora mi è venuta un’altra idea!!” Vide Larxen saltellare fino ai piedi del letto, e seguendola con gli occhi si accorse di un particolare a cui non aveva ancora fatto caso: la ragazza gli aveva tolto gli stivali mentre era svenuto. Comprese con gelido orrore ciò che stava per succedere.
“No, aspetta! Ti prego, fermati! Farò qualunque cosa tu voglia!”
I kunai lampeggiarono e colpirono senza pietà squarciandogli la pianta del piede sinistro. L’urlo dello scienziato fu disumano, ma forse la risata di Larxen lo era ancora di più.
“Basta, basta!! Ti supplico, ti supplico, smettila!!! SMETTILA!!!” .
Poi sentì di nuovo la voce della Ninfa Selvaggia, poco più che un sibilo vicinissimo al suo orecchio: “E va bene… mi hai convinta… ti taglierò la gola subito, visto che lo desideri tanto… ma solo perché sei tu, Vexy!
Morire squartato come un animale da macello….ecco la fine che avrebbe fatto, a un passo dall'Invocazione Suprema... chiuse gli occhi, sperando solo che tutto finisse al più presto.
Ma il colpo di grazia non giunse mai. Vexen sentì il rumore di qualcosa che fendeva l’aria, che sfrecciò a velocità folle a pochi millimetri dalla punta del suo naso e si allontanò. Subito dopo, l’urlo rabbioso di Larxen: “Come ti permetti di interrompere proprio sul più bello?!”
Spalancò gli occhi, incredulo: in piedi in fondo alla stanza, la mano alzata per afferrare al volo il chakram che stava tornando obbediente nella sua mano, c’era Axel.
“Basta così, Larxen. Direi che ti ho lasciato giocare anche troppo”
“Axel, dannazione!” lo scienziato si era appena reso conto di cosa era successo esattamente. “STAI UN PO’ PIU’ ATTENTO CON QUELLE TUE ROTELLE DEL CAVOLO!! PER POCO NON MI TAGLIAVI LA TESTA IN DUE!”
“Ehi! Scusa se mi sono scomodato per salvarti la vita! Se sapevo che avresti reagito così me ne sarei rimasto al calduccio sotto il mio bel piumone, ma chi me lo faceva fare di venire fino qui!”
“Liberami!!”
“Scordatelo!” intervenne Larxen frapponendosi tra Axel e il lettino operatorio. “Lui è MIO!”
“Spiacente, Vexen, mi sa che dovrai aspettare un po’. Il tempo di far ragionare la nostra cara amica qui presente.” Uno scintillio di fiamma attorno alla mano sinistra e anche il secondo chakram fu evocato. Larxen intanto aveva sguainato i kunai ancora rossi di sangue e aveva assunto la posizione d’attacco.
“Sai Axel, a pensarci bene non mi dispiace poi tanto che tu sia qui…è un po’ come nei libri, l’amico rompiscatole del protagonista a un certo punto sbuca sempre per salvarlo!"
“Adesso ´amico´ mi sembra una parola grossa... “ fece Axel scocciato, mettendosi in posizione di guardia.
"Un bel duello per animare ancora di più la nottata è proprio quello che ci vuole… solo che stavolta vinceranno i cattivi, oh sì!”
Axel scagliò contemporaneamente entrambi i chakram all’attacco, Larxen scattò in avanti, evitandoli, e il duello ebbe inizio.
Tutto ciò che invece poté fare Vexen, legato come un idiota proprio nel bel mezzo della stanza, fu rendersi conto di costituire un fantastico bersaglio per le armi volanti di Axel, note per l’assoluto fattore random con cui, nel folto delle risse, erano solite colpire indiscriminatamente amici e nemici.



Zexion non sapeva più da quanto fosse lì. Il getto caldo della doccia gli massaggiava piacevolmente il corpo, le dense volute di vapore sprigionate dal calore dell’acqua lo avvolgevano in un morbido mondo di luce soffusa che sembrava al di là dello spazio e del tempo. La realtà esterna era solo un’immagine lontana, sfocata, e anche gli odori che ne provenivano non riuscivano a raggiungerlo. Li ignorava, li rifiutava, lasciava che si smarrissero in quel mare di nebbia.
Finalmente si decise a chiudere l’acqua e ad uscire dal bagno, avvolto in un asciugamano bianco. La sua stanza era ampia e spaziosa, tutta bianca come il resto del castello, e un’intera parete era occupata da una vetrata immensa da cui la luce argentea della luna si riversava a fiotti all’interno, illuminandolo quasi a giorno. Il ragazzo si sedette sul letto. Fu allora che gli odori riuscirono a farsi prepotentemente strada fino a lui; non poteva tenerli lontani per troppo tempo, in virtù di quel suo potere che era allo stesso tempo benedizione e condanna. Percepì immediatamente qualcosa di inconsueto.
Quell’inconfondibile profumo di albicocca, carico di tutta l’allegra vivacità dell’estate… Larxen nel cuore della notte nel laboratorio di Vexen?!? Aveva forse appena scoperto in anteprima esclusiva l’ultimo gossip del Castello dell’Oblio?! E… no, non era finita lì! C’era anche un altro odore, forte e piccante come la paprika. E non solo... non solo... su tutto il laboratorio gravava come un sudario un penetrante odore di… di… sembrava un numero sorprendentemente alto di liquidi di vari tipi e sostanze chimiche, tutti mescolati assieme…
Vexen non avrebbe mai permesso che il suo prezioso laboratorio venisse danneggiato, per nessun motivo al mondo. La situazione doveva essere molto seria. Chiuse gli occhi per concentrarsi maggiormente. Le Invocatrici, gli Intercessori, le guide e tutti gli altri erano ai loro posti nelle Stanze della Memoria… ma sforzandosi di separare gli odori che componevano quel caleidoscopico miscuglio Zexion sentì come un pugno allo stomaco. Sangue. Sofferenza. Follia. In un attimo comprese con esattezza cos’era successo.
Giusto il tempo di avvolgersi l’asciugamano attorno alla vita con il nodo più stretto che sapesse fare, e si tuffò in un corridoio oscuro verso il laboratorio.



All’uscita del portale fu accolto da un chakram fuori controllo che schizzava nella sua direzione. Si gettò prontamente a terra; quello gli sfrecciò sopra la testa e tornò indietro compiendo una paurosa curva a gomito nell’aria.
Axel e Larxen erano impegnati in quello che sembrava un duello all’ultimo sangue, e sulle prime non si accorsero di lui. I chakram sfrecciavano come missili impazziti per tutta la stanza, e il loro padrone li lanciava con maggior forza ogni volta che tornavano nelle sue mani; Larxen sfruttava la velocità e l’agilità che erano sempre state il punto forte della sua strategia combattiva per evitarli e cercare di avvicinarsi all’avversario quanto bastava per sferrare un colpo con i suoi micidiali kunai. Zexion strisciò dietro i resti di uno scaffale per osservare la scena da una posizione sicura: era molto più grave di quanto avesse pensato. Il laboratorio era ridotto peggio di un villaggio dopo l’invasione di un’orda di barbari mezz’orchi, due membri dell’Organizzazione si stavano allegramente scannando tra di loro, e tutto mentre nel Castello erano presenti due gruppi di persone strambe e potenzialmente pericolose – tra cui Mistobaan con tanto di sorpresina dentro! – che in quel momento probabilmente non erano controllati da nessuno. E dove era andato a cacciarsi Vexen?
Scandagliò l’aria pregna di odori alla sua ricerca e lo localizzò ben presto; tenendosi al riparo dei mobili sfasciati riuscì a raggiungere il lettino operatorio senza incappare in altri incontri ravvicinati del terzo tipo con i chakram di Axel. Lo scienziato era ridotto in uno stato pietoso: aveva il volto cereo di un cadavere e le vesti lacere e intrise di sangue. Se non altro era ancora vivo.
Vexen sembrava svenuto, ma evidentemente dovette rendersi conto che c’era qualcuno accanto a lui, perché socchiuse gli occhi e cercò con fatica di sollevare la testa.
“Slegami…” . Per quanto fosse debole la sua voce non aveva perduto neanche allora quel fastidioso tono di comando.
Zexion non rispose subito. Si concesse un momento per guardarlo, come per imprimersi bene nella memoria l’immagine di quel momento. Poi sul suo volto sino ad allora inespressivo si dipinse un sorrisetto sarcastico: “Ne sei sicuro? Pensavo ti stessi divertendo con Larxen”.
Vexen contrasse la mascella e lo guardò con odio: “Idiota… liberami subito!”
“Se proprio ci tieni...” Lentamente sciolse le quattro cinghie, e lo scienziato provò con estrema cautela a muovere gli arti intorpiditi. Nel frattempo il combattimento dall’altra parte della non accennava a concludersi e quel che era peggio, i duellanti, trascinati dalla foga dello scontro, si stavano pericolosamente avvicinando al lettino operatorio. A un certo punto Axel non fu abbastanza svelto da schivare un fulmine dell’avversaria, che lo centrò in pieno mandandolo a rotolare proprio ai piedi di Zexion.
“Ehi, guarda un po’ chi è arrivato! Originale il tuo nuovo abbigliamento, te l’ha consigliato Marly?”.
Zexion si stupiva sempre della straordinaria resistenza del corpo scheletrico del numero VIII: malgrado avesse accusato un colpo durissimo si trovava nuovamente in piedi prima di aver finito di parlare, solo un po’ più bruciacchiato di prima. “Riparatevi voi due, anzi, meglio se riesci a portarlo fuori di qui, perché ho intenzione di surriscaldare un po’ l’atmosfera!!” Due intensi getti di fiamma scaturirono dalle sue mani e gli danzarono attorno, creando un letale scudo difensivo. Il calore era opprimente, e Zexion si rifugiò dietro il letto, trascinando lo scienziato con sé.
Per nulla intimorita Larxen evocò nuovamente i fulmini e si lanciò alla carica con un grido selvaggio, determinata ad espugnare il muro di fuoco. Fiamme e saette cozzarono tra loro crepitando nello sforzo di annullarsi a vicenda, mentre Larxen, giunta alla fine della sua corsa, spiccò un salto altissimo nel tentativo di attaccare dall’alto, piombando direttamente all’interno del cerchio difensivo. Ma Axel stavolta non si lasciò distrarre dal diversivo dei fulmini, e scagliò entrambi i chakram avvolti in un’onda di fuoco verso l’alto; Larxen si rese conto troppo tardi dell’imprudenza commessa, e venne colpita di striscio da un chakram impazzito, rovinando proprio ai piedi dell’avversario, che richiamò velocemente le sue armi per sferrare un altro colpo. Larxen si disimpegnò rotolando sul pavimento e da quella posizione focalizzò tutta la sua energia per indirizzare verso Axel una scarica di saette più potente del normale; lui riuscì a pararla con i suoi fidi chakram, ma nel farlo perse la concentrazione per mantenere il muro di fuoco, che svanì consentendo a Larxen di rialzarsi in piedi e schizzare via a tutta velocità. I due si fronteggiarono di nuovo; Larxen si massaggiava la spalla sinistra, su cui spiccava adesso una brutta bruciatura.
“Wow Axel combattere contro di te è uno spettacolo! Dai, su , continuiamo!! Non penserai mica di avermi battuta?!”
Nel frattempo, dietro al lettino operatorio, lo scienziato si lamentava: “Ma sei… sei matto?! Farmi cadere in quel modo…!”
“Preferivi morire bruciato? Forza, dobbiamo andarcene prima che quei due pazzi distruggano tutto!”
“Idiota… non posso attraversare un portale in queste condizioni… il braccio… è la ferita più profonda, sta… ahaaa…” Ci volle un po’ prima che fosse in grado di continuare: ogni parola era una fitta di dolore. “…sta ancora sanguinando, devi… fermare…” Una fitta più forte delle altre lo fece sussultare e gemere, ma Zexion aveva capito, e strappò quello che rimaneva della manica dello scienziato per ricavarne un laccio da stringergli intorno al braccio per arginare l’emorragia.
“Ahaargh!” Quella cosa che era appena passata sfrecciando accanto al suo orecchio sinistro era un chakram impazzito. “Porco Saïx!!” Cominciava a pentirsi seriamente di essere venuto.
“Lo…lo scudo….” riuscì a mormorare lo scienziato. “Là….”
“Là” era esattamente dall’altra parte del campo di battaglia.
Oh, al diavolo!
Zexion fece un ulteriore nodo di sicurezza all’asciugamano e partì correndo a testa bassa vero lo scudo di Vexen, compiendo il giro più largo possibile attorno ai due duellanti. Gli ultimi metri li fece praticamente in scivolata, e non appena ebbe raggiunto l’arma, abbandonata in mezzo ai resti di quella che un tempo doveva essere stata una macchina per gli elettrocardiogrammi, si affrettò a sollevarla sopra la testa per usarla a mo’ di testuggine protettiva nel viaggio di ritorno. Lo scudo sembrava l’unico oggetto rimasto integro nella stanza.
“Ecco! Stringiti, presto, dobbiamo entrare tutti e due qua dietro!” Vexen era talmente debole che non protestò quando Zexion lo spinse abbastanza brutalmente contro la parete per sistemare il grande scudo in modo che li proteggesse entrambi.
“Credo… di stare per svenire…” mormorò lo scienziato, poi si afflosciò contro il muro senza un lamento.
Zexion dovette reggere con una mano l’impugnatura dello scudo mentre con l’altra provò a sostenere lo scienziato svenuto per evitare che scivolasse fuori dal riparo, il tutto mentre quella che sembrava una palla di fuoco incontrollata si abbatteva a piena potenza contro il metallo blu, facendo tremare tutto.
Ma perché non me ne sono rimasto sotto la doccia…?!
Il suo asciugamano bianco si era tinto del rosso del sangue di Vexen almeno per metà. Zexion odiava l’odore del sangue, era nauseante. L’unica nota positiva era che il suo laccio emostatico di fortuna aveva arrestato l’emorragia al braccio dello scienziato.
Non doveva fare altro che aspettare adesso, come un soldato rinchiuso in trincea sotto i bombardamenti, e sperare che il combattimento terminasse al più presto.



Axel imprecò in maniera assai colorita quando vide il suo stivale destro cominciare a sciogliersi dopo che aveva accidentalmente messo il piede in una pozza enorme di denso liquido scuro.
“Stupendo!!” si esaltò Larxen. “Ehi, Vexen, hai visto, sono una scienziata anch’io! Ho inventato un nuovo acido corrosivo mescolando tutte le tue boccette, neanche tu saresti stato così bravo!!”
“Adesso basta, Larxen!” esclamò Axel saltellando goffamente su un piede solo “Finiamola con questa pagliacciata, combattere tra noi non ha senso! Sparisci di qui e basta!”
La risposta della Ninfa Selvaggia fu una linguaccia impertinente: “Scordatelo!”
“Non è stato affatto carino da parte vostra organizzare questa festa senza invitarmi.”
Larxen e Axel si immobilizzarono come statue di sale all’udire la nuova, ben familiare voce che si era intromessa nella loro conversazione: si voltarono simultaneamente giusto in tempo per vedere una figura nerovestita emergere da un portale, avvolta in un tripudio di coreograficissimi petali di rosa.
“Marluxia?!”
“Già, proprio io… e voi credevate di divertirvi senza di me?”
“Questo non è esattamente il mio concetto di divertimento, Marly…” sbuffò Axel. “Larxen l’ha combinata grossa stavolta... dammi una mano a sistemarla”.
“Uno contro due, eh? E va bene, io sono prontissima! Ci sarà da divertirsi il doppio!!”
Ma il nuovo arrivato non mostrò intenzione di evocare la propria arma; cominciò a camminare lentamente per la stanza, le braccia dietro la schiena come un lord inglese durante una tranquilla passeggiata, contemplando la devastazione che lo circondava. Il sorriso scherzoso che aveva sfoggiato al suo ingresso tutto d’un tratto era svanito, come se il giovane si fosse improvvisamente disfatto di una maschera che portava.
“Mi sembrava di ricordare che avessimo stretto un patto, subito dopo il complotto… avevamo stabilito di collaborare e aiutarci l’un l’altro fin quando l’Invocazione Suprema non sarebbe stata portata a termine… solo allora ciascuno di noi avrebbe intrapreso la propria strada… o mi sbaglio?”
“Marly, almeno tu devi darmi retta!” protestò Larxen. “Vexen pretende di darci ordini ed è chiaro che vuole usarci per i suoi piani personali! Non possiamo permettere che continui indisturbato a servirsi di noi, a sfruttarci!”
“No. Abbiamo iniziato questo progetto in cinque, e in cinque arriveremo fino alla fine. Ognuno di noi è necessario.” sentenziò Marluxia. “A proposito… dove sono finiti gli altri due?”
Axel indicò il lettino: “Là dietro, credo… sempre che i miei chakram non li abbiano beccati!”
Zexion uscì allo scoperto, indicando lo scienziato svenuto.
“Non riesco a portarlo fuori di qui da solo….”
“Dai, ti do una mano io.” si offrì Axel “Prima finiamo e prima potrò tornarmene a dormire!”
“Dove credi di andare? Abbiamo ancora un duello in sospeso noi due! O hai troppa paura?!” A quanto pareva Larxen non aveva intenzione di arrendersi nemmeno ora che aveva tutto il resto dell’Organizzazione contro; ma non poté fare neppure un passo in direzione di Axel, perché improvvisamente la lama fucsia di una falce apparve dal nulla a bloccarle la strada.
“Marly, levami quella disgustosa pacchianata da davanti, SUBITO!”
“Posso capire il tuo ardente desiderio di tornare dal tuo adorato Vexen, ma per oggi hai finito di combinare guai… perciò o ti arrendi subito oppure affronterai me… ma conoscendoti posso dedurre fin d’ora che la prima opzione non ti interessi, quindi… in guardia!”
Mentre Larxen si lanciava alla carica contro il suo nuovo avversario, Axel ne approfittò per caricarsi in spalla lo scienziato svenuto e abbandonare il campo di battaglia, subito seguito da Zexion.
Larxen e Marluxia combatterono a lungo, ed erano entrambi così agili e fluidi nei movimenti che la loro sembrava una danza più che una lotta. Larxen aveva ancora energie da vendere, ma Marluxia era più fresco e riposato, e alla lunga questo fattore iniziò a farsi sentire: i colpi della ragazza erano sempre meno precisi e pericolosi, le sue saette erompevano dal palmo della sua mano con meno potenza di prima, e la falce fucsia le defletteva senza difficoltà, lanciandosi poi all’attacco con rinnovato vigore. Ben presto la ragazza si ritrovò incalzata da ogni lato dai rapidissimi attacchi dell’assassino, che non le lasciavano un attimo di tregua e la costringevano a indietreggiare sempre di più e a concentrare tutte le energie rimanenti sulla difesa.
Infine Marluxia menò un tremendo fendente che Larxen schivò per un soffio, e prima che lei potesse recuperare l’equilibrio sollevò una mano e la investì con una raffica di petali di rosa che la mandò a sbattere contro il muro. Non si era ancora rialzata che già l’assassino era corso verso di lei, sollevando la falce per il colpo di grazia. La lama fucsia calò sibilando su Larxen per ben due volte.
“Bastardo! I miei kunai!!” gridò la ragazza fissando con occhi sgranati i moncherini delle sue armi: Marluxia aveva operato con precisione chirurgica. “Maledetto figlio di…” .
Un ultimo colpo, stavolta con il manico della falce, sulla nuca. Larxen si accasciò al suolo senza un lamento. Marluxia fece scomparire l'arma in uno sbuffo di petali, poi si passò una mano tra i capelli, detergendosi il sudore dalla fronte.
“Oh bene vedo che hai risolto il problema, Marly!”
Axel era rientrato in quel momento e aveva poggiato lo scienziato svenuto sul lettino operatorio, su cui Zexion (che nel frattempo aveva pensato bene di rivestirsi) aveva avuto il buon senso di stendere un lenzuolo pulito che aveva portato con sé.
“Credo che Larxen ci penserà due volte prima di combinare guai di nuovo.” disse Marluxia tranquillo.
In quel momento si sentirono dei gemiti provenire dal lettino: Vexen aveva ripreso conoscenza.
“Cosa… cos’è questa roba?” Lo scienziato indicava gli strani pezzi di pesante stoffa rossa che ora fasciavano le sue ferite.
“Ti abbiamo medicato” spiegò Axel. “Solo che non avevamo delle vere bende perché le uniche che c’erano in tutto il castello credo fossero qui, e sono andate perse in mezzo a tutto questo casino…così abbiamo usato pezzi dei miei asciugamani!”
“Spero che li abbiate disinfettati!”
“E come facevamo scusa? Anche i disinfettanti li hai tutti tu, e qui non è rimasta una sola boccetta intera!”
“Almeno li avrete lavati!”
Lo sguardo che Axel rivolse allo scienziato era genuinamente perplesso: “Lavare gli asciugamani?”
“Ma se mi avete fasciato con delle bende sporche è del tutto inutile! Possibile che non vi sia venuta in mente una cosa semplice come….”
“La tua gratitudine mi commuove, davvero. Ti ho salvato la vita? E allora zitto!!”
Marluxia intervenne in tempo per anticipare la risposta velenosa di Vexen: “Perfetto, allora è tutto sistemato. Se volete per il resto di stanotte resto io a sorvegliare le Stanze”.
“Tutto sistemato?!” Vexen non sembrava per niente d'accordo. “TUTTO SISTEMATO?!?! Guardate com’è ridotto il laboratorio! Vi pare TUTTO SISTEMATO?!?!”
“Scusa, ma cosa c’entriamo NOI? Non pretenderai che te lo rimettiamo a posto!”
“Certo che no, riuscireste soltanto a peggiorare la situazione! Ma almeno spero che abbiate provveduto ad eliminare Larxen!”
“Perché avremmo dovuto?”
“Forse perché è una pazza furiosa sadica che non ha fatto altro che ostacolarci invece che darci una mano?!?! Non ci ha causato altro che problemi a non finire, prima con Mistobaan e adesso addirittura con questo…! In questo laboratorio c’erano tutti i libri e i miei appunti riguardanti l’Invocazione Suprema e le Stanze della Memoria!”
“Andiamo, Vexen, come se tu avessi davvero bisogno di quei mucchi di carta!” Marluxia sorrise, incrociando le braccia sul petto. “Se ti conosco bene ti sarai preoccupato di custodire tutte quelle nozioni nel posto più sicuro che conosci, ossia il tuo cervello. E’ per questo che ti abbiamo voluto con noi nel complotto. Così come abbiamo voluto Larxen perché è una guerriera eccellente… al contrario di te. Ci è più utile viva che morta. Se non collaboriamo il piano non andrà mai in porto.”
“Belle parole, Marluxia… ma cosa succederebbe se ci trovassimo nel bisogno, che ne so, di operare nuovamente Mistobaan?! Tutta la mia attrezzatura è distrutta!”
“Uccidere Larxen non ci aiuterà a riaverla… ci penseremo quando e se sarà il momento”.
“Ma lei ci riproverà! Credete che a quella stupida ragazzina importi qualcosa del piano? Quella è matta, è malata, tenterà di nuovo di uccidermi! O di complicarci la vita in chissà quale altro modo! E’ un pericolo per tutti!”
“Posso essere d’accordo che questo sia effettivamente un problema” ammise Marluxia. “Qualcuno di noi dovrà sorvegliare Larxen giorno e notte ed impedirle di fare altre stupidaggini”.
“E chi?”
Fu Axel a risolvere definitivamente la questione: “Beh Marly, l’idea è tua, quindi direi che tocca a te!”
“E va bene. Non sarà un problema” Il Leggiadro Sicario sollevò da terra il corpo esanime di Larxen ed evocò un portale. “Allora direi che qui abbiamo finito! Buonanotte a tutti!” e sparì lasciandosi dietro una nube turbinante di petali di rosa.
“Evvai, finalmente si dorme!” Axel stava per tuffarsi a pesce nel suo portale quando si irrigidì di colpo e si voltò, mostrando a Vexen e Zexion un viso quasi cereo.
“Oddio… il telecomando del Nucleo Nero di Mistobaan!!”
“Tranquillo.” un fugace sorrisetto attraversò il volto ancora sofferente di Vexen. “E’ al sicuro, l’ho messo in uno scompartimento nascosto nel muro”.
Il colorito tornò sulle guance di Axel, che si lasciò andare ad un lungo sospiro di sollievo.
“Vexen... ti ho mai detto che sei un genio?”.



Zexion continuava ad aggirarsi per il laboratorio distrutto, scrutando ogni cosa da dietro la cortina di capelli argentei che gli ricopriva metà della faccia. Ma più che con gli occhi, come sempre, esplorava l’ambiente con il naso, facendosi svelare dagli odori nell’aria i segreti che quel luogo ormai morto aveva custodito. E quel giorno nel laboratorio si intrecciavano così tante scie di odori diversi che era davvero difficile distinguerle tutte: odore di alcool, odore di sapone, odore nauseabondo di robacce chimiche, odore di elettricità, metallico odore di sangue… un profumo di rose insopportabile per la sua stucchevole dolcezza, una punta di vaniglia che gli fece storcere il naso per il disgusto… un odore di crudeltà che gli annodava le viscere… ma sotto tutto questo… c’era qualcosa…
Fu distratto dallo sguardo che sentì improvvisamente bruciargli addosso. Vexen era riuscito faticosamente a mettersi seduto sul letto, e lo fissava infastidito.
“Come stai?” gli chiese freddamente.
“Oh, una meraviglia. Mai stato meglio in vita mia”.
Zexion ignorò il sarcasmo dell’altro e gli domandò a bruciapelo: “Il telecomando non è l’unica cosa che tieni nascosta, non è vero?”
“Non capisco di cosa parli”.
“Ma per favore. Puoi ingannare gli altri, ma sai benissimo che con me non funzionerà. Li sento distintamente… gli altri tre Nuclei Neri”.
“E allora? Pensavi che avrei impiantato in Mistobaan l’unico che avevo senza tenere delle riserve? Non mi sembra tanto strano.”
“Però non ce l’hai mai detto”.
“Cosa vorresti insinuare?” sibilò Vexen trafiggendo il ragazzo con lo sguardo. “Non sono io quello che se ne va in giro tentando di eliminare gli altri”.
“Già…” Zexion suo malgrado abbassò gli occhi. ”Ma comunque, sappi che io so”.
Calò il silenzio. Vexen voleva che se ne andasse, lo percepiva chiaramente; voleva restare solo. Zexion non se ne curò. Continuò il suo giro esplorativo nel laboratorio distrutto, sulle tracce di una scia di odori che aveva catturato la sua attenzione.
“E dovresti stare anche più attento a questi.” aveva raccolto alcuni pezzi del misterioso puzzle dorato che Marluxia aveva rubato all’Intercessore mago. Stava usando il suo potere per rintracciarli tutti e radunarli insieme. Vexen lo lasciò fare.
“Se posso darti un consiglio….sì lo so che l’eminente scienziato Vexen crede di non aver bisogno dei consigli di un ragazzino” aggiunse con pesante sarcasmo “…però io se fossi in te eviterei di ricomporre totalmente questo puzzle. Contiene una magia troppo grande e troppo pericolosa… persino per chi come noi dispone dei poteri del Castello dell’Oblio” Finì di raccogliere tutti i frammenti dorati e li sistemò in una scatola vuota rimasta miracolosamente illesa, che poggiò sull’unico metro quadro di scrivania ancora in piedi. Vi aggiunse anche la sfera a forma di occhio, che aveva rinvenuto sotto un cumulo di libri stracciati.
Vexen si limitò a squadrare il ragazzo con freddezza.
“Comunque su una cosa hai perfettamente ragione” continuò Zexion. Lo scienziato lo scrutava impassibile.“Larxen. E’… troppo pericolosa”.
“Va eliminata” concluse Vexen per lui, lapidario. Improvvisamente emanava un odore fortissimo di odio.
“Sagge parole, ma dubito possano essere messe in pratica”.
“Se lo pensassi davvero non avresti mai tirato fuori l’argomento… o mi sbaglio?” Vexen sorrise in un modo strano, sollevando solo un angolo della bocca. “Una soluzione l’avrei”.
Zexion sbuffò: “Già, tu sei quello che ha sempre la soluzione giusta per tutto, no?”
“Se non ti interessa…”
“Parla e basta.”
Vexen lo guardò sogghignando: “Semplice: veleno”.
“Avrei dovuto immaginarmelo…”
“Senti, non ho intenzione di perdere tempo con i tuoi commenti stupidi… vuoi farlo o no?”
Non era questione di volere o non volere. Quando è in gioco la tua stessa sopravvivenza la scelta diventa obbligata. Zexion sapeva di trovarsi al secondo posto nella lista nera della Ninfa Selvaggia, e conosceva bene anche quel proverbio, forse un po’ scontato ma certamente veritiero, secondo cui il miglior modo per difendersi è attaccare per primi.
“Ma tu lo hai ancora, un veleno?”
“Sì. Incolore, insapore ed inodore. Ci sono altri scomparti nel muro.”
Non aveva la forza di alzarsi; dovette indicare al ragazzo il nascondiglio segreto, insegnargli come aprirlo e spiegargli quale boccetta doveva prendere.
“E questo tu lo chiami inodore?! E’ semplicemente disgustoso!” Era un’ ampolla piccola e sottile piena di un liquido trasparente che alla vista sembrava comunissima acqua.
“Per la gente normale ti assicuro che lo è!” Vexen aveva sistemato un cuscino contro il muro e vi si era appoggiato per stare più comodo; Zexion per un attimo fu tentato di tirargli la boccetta addosso. “Ovviamente, dovrai darglielo tu. Io non sono in grado di muovermi e soprattutto non posso avvicinarmi a lei.” Sfortunatamente per Zexion il discorso non faceva una piega in quanto a logica e buonsenso.
“Troverò un modo.” Con un sospiro fece scivolare l’ampolla nella tasca anteriore della tunica. “Ora me ne torno a dormire. Dovresti riposare anche tu”.
“Tienimi informato”.
Zexion assentì. Prima di andarsene si girò un’ultima volta, come per aggiungere qualcosa; ma ci ripensò quasi subito e senza una parola si lasciò inghiottire dalla luce nera del portale.



Solo, finalmente.
Vexen chiuse gli occhi e si lasciò andare sul letto, stremato. Ora che la paura per la sua vita era passata non gli importava più delle ferite che gli avevano martoriato il corpo, né della dignità infangata e calpestata. Ma il laboratorio… quello era perduto per sempre.
I libri che ancora doveva leggere, gli strumenti che non sarebbe più riuscito a procurarsi, gli appunti, i suoi appunti, primi abbozzi di grandi opere che non avrebbero mai visto la luce. Anni di lavoro, fatica, passione. Tutto ciò a cui teneva era stato distrutto in un attimo, per capriccio. Per gioco. Ecco la ferita che bruciava davvero.
Ben presto la stanchezza ebbe il sopravento sul suo corpo ferito, e lo scienziato cadde in un sonno profondo e senza sogni.
Fu una voce carica di preoccupazione a risvegliarlo di soprassalto qualche ora dopo:
“Padron Vexen... o miei dèi, cos'è successo?!”
Vexen si passò una mano sulla fronte cercando di fare ordine tra i pensieri che vagavano disordinati per la sua testa, così pesante da sembrare di piombo. Si ritrovò due occhi azzurri che lo fissavano dall’alto, un po’ confusi, un po’ preoccupati.
“Camus…” riuscì finalmente a metterlo a fuoco. Era il suo assistente. “Camus… DANNAZIONE CAMUS, DOV’ERI MENTRE MI VIVISEZIONAVANO?!?”
“Padron Vexen, ero…insomma, dormivo, lei mi ha lasciato andare via prima ieri, ricorda? Mi ha dato la serata libera…”. Pena e paura erano incise in ogni lineamento del viso del giovane assistente, che ora si era inginocchiato accanto al lettino. “In nome degli dèi, padron Vexen, che le hanno fatto?!”
“Ti ho detto mille volte di non parlare di dèi in mia presenza.” Vexen fissò con rabbia l’assistente, un giovane dai capelli azzurri lunghissimi che portava un’armatura dorata pacchiana molto simile a quella di Mu.
No, era inutile prendersela con lui. Non c’entrava niente… non contava niente.
“E’ stata Larxen. E’ impazzita del tutto”.
“Padrona Larxen?! Ma com’è possibile che una persona saggia come lei….non posso crederci….”
“E’ così.” ribatté Vexen con durezza. “E ora vammi a prendere dei disinfettanti e delle bende vere, che quegli idioti non sanno neanche come si fa una fasciatura.”
“Subito, padron Vexen, non si preoccupi, ho delle scorte di medicinali nella mia stanza.”
Ritornò pochissimo dopo con tutto l’occorrente per il pronto soccorso. “Ecco, lasci fare a me…” cominciò a rimuovere con delicatezza le “fasce” improvvisate da Axel.
“Temo che queste cicatrici se le porterà addosso per sempre, padron Vexen… mi dispiace….mi dispiace davvero moltissimo” la sua voce era sinceramente triste ed indignata. “Se solo avessi saputo, sarei accorso immediatamente….è orribile quello che le hanno fatto, è abominevole, ma che motivo c’era?!”
Vexen non rispose, troppo stanco per rievocare quel momento orribile. Avrebbe popolato a lungo i suoi peggiori incubi, questo era certo. L’assistente lavorò in modo efficiente, preciso e meticoloso; alla fine gli applicò persino un cerotto sul graffio al lato del collo.
“Ora ripulisco tutto quanto e cerco di salvare il salvabile. Lei pensi soltanto a riposare.”
Non se lo fece ripetere due volte: nonostante le ore di sonno era ancora esausto, e il minimo movimento gli provocava tremende fitte di dolore.
“Camus?” chiamò dopo un po’.
L’assistente, che stava radunando in un angolo tutti i cocci di vetro con un grande spazzolone, si fermò e lo guardò: “Sì, padron Vexen?”
“Qualsiasi ordine ti diano gli altri… tu prima di eseguire riferisci sempre a me. Capito?”
“Certamente, padron Vexen. Del resto lei è il più saggio e il più potente dell’Organizzazione. E io sono direttamente al suo servizio, e le sarò sempre fedele”.
“Bene”.
Camus continuava a lavorare indefessamente, canticchiando ogni tanto qualcosa tra sé e sé. Vexen non gli badò. Si sentiva ancora così esausto che gli pareva di non aver riposato per niente. Chiuse gli occhi, e stava per scivolare nuovamente nel sonno quando…
“Padron Vexen?”
“Che altro c’è?!” Aprì gli occhi e si ritrovò davanti un vassoio. Una tazza enorme di thé bollente e profumato. Biscotti, tanti biscotti di tutte le forme e gusti. Zucchero, fette biscottate, dolcetti al cioccolato. Il sorriso gentile di Camus nel porgerli quella colazione a dir poco regale.
“Non ho fame…”
“Scherza?! Con tutto quello che le è successo deve mangiare qualcosa!” e senza aggiungere altro gli sistemò il cuscino dietro le spalle, gli mise in mano il vassoio e tornò al lavoro.
Ma chi gliel’ha chiesta tutta questa roba?! Non dovrebbe limitarsi ad obbedire agli ordini e basta?!
Sospirò e si decise ad assaggiare almeno un sorso di thè.
Dieci minuti dopo aveva divorato tutto fino all’ultima briciola.



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Fonte della fan art a inizio capitolo: http://browse.deviantart.com/?q=larxene+arkoniel#/d20xyt6

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Alla maniera degli umani ***


Capitolo 15 - Alla maniera degli umani


Tarkin

Tarkin




L'alba li colse ancora più esausti e spaventati di prima; nessuno di loro era riuscito a prendere sonno dopo i litigi della notte precedente.
Daala aveva gli occhi cerchiati di rosso, mentre Tarkin si era rifugiato di nuovo dietro la sua barriera glaciale di compostezza e indifferenza, ma Mara poteva percepire la tensione che lo attraversava. Marito e moglie si limitavano a ignorarsi a vicenda, come due perfetti sconosciuti che si trovano per caso a percorrere la stessa strada. Mara non riusciva a sopportare di vederli così.
In quanto alla guida... anche lui aveva le occhiaie, ma non erano nulla in confronto al grosso livido violaceo che gli era fiorito sulla guancia.
Te lo meriti. Ti meriteresti molto di peggio.
Era stata una sciocca a pensare di potersi fidare di lui. Solo perché i suoi modi erano gentili e aveva il faccino dolce e morbido di un bambino un po' spaurito non voleva dire che fosse una brava persona.
Tarkin ci aveva visto giusto fin dall'inizio.
Mistobaan era impenetrabile come sempre. Si presentò allo spuntar del sole nel loro alloggio, e senza una parola li condusse per una lunga serie di corridoi e sale fino a una piattaforma esterna. L'alba era uno spettacolo mozzafiato da quell'altezza: il sole sembrava molto più vicino, e la sua tenue luce rosata accarezzava le torri del Baan Palace avvolgendo il castello in un'atmosfera da sogno. Visto così poteva sembrare quasi un castello delle fiabe... ma Mara non era dell'umore per apprezzarne la bellezza. I suoi occhi si concentrarono invece sul gruppetto di persone che occupava la piattaforma, una serie di demoni che si inchinarono rispettosamente al passaggio di Tarkin.
Già... mi ero quasi dimenticata che ora lo credono il Cavaliere del Drago.
Per quanto la cosa fosse assurda, almeno potevano approfittarne per portare a termine quella stramaledettissima Prova senza rischiare la vita. Se Tarkin aveva il comando dell'operazione avrebbe potuto mandare il suo esercito di demoni a combattere al posto loro...
Il Kaspar con la falce li accolse con un sorriso da pubblicità di dentifricio, in tutto e per tutto simile a quello del Kaspar che conoscevano. Accanto a lui c'era Zam... o meglio, una creatura che ne aveva l'aspetto e che sosteneva di essere un demone di nome Hadler. Daala provò ad andarle vicino e parlarle, ma Mara si tenne in disparte. Era nauseata da tutte quelle illusioni, dalla rete di falsità e menzogne che i membri dell'Organizzazione stavano tanto sapientemente tessendo attorno a loro. Sentiva che se fosse rimasta in quel Castello ancora un po' le maglie si sarebbero strette ancora, e lei non sarebbe più riuscita a distinguere il falso dal vero... come era successo a Daala. Perché qualcosa era successo a Daala, non aveva alcun dubbio. Non credeva neanche un po' a tutte quelle storie del matrimonio per carriera e l'amore per Kratas. La sua amica non era così.
Solo che non aveva la più pallida idea di come farla rinsavire.
Una creaturina con le sembianze di Ash trotterellò accanto a Tarkin e piegò il ginocchio davanti a lui con deferenza: “Generale, al suo segnale siamo pronti a partire!”
“Molto bene, Larhalt.” Il governatore si mosse verso il centro della piattaforma, e tutti i presenti gli fecero immediatamente largo per consentirgli di passare. “DRAGHI!” la sua voce si librò alta e ferma nell'aria del mattino. “A ME!”
Un vento fortissimo si levò all'improvviso, e Mara fu costretta a schermarsi gli occhi con le mani. Poi il sole fu oscurato da un'ombra alata. Mara alzò lo sguardo e lo vide: il corpo sinuoso coperto di scaglie rosse e nere, le ali immense e membranose, e i fieri occhi cremisi, che li trafissero con uno sguardo in cui era racchiusa la saggezza di ere a lungo dimenticate. Zam talvolta si trasformava in una di quelle creature, ma questo era il primo vero drago in carne e ossa che Mara vedeva in vita sua. Il gigantesco animale atterrò sulla piattaforma facendola tremare, e chinò il capo squamoso di fronte a Tarkin in segno di sottomissione.
Wow... fossi in lui a questo punto mi gaserei...
Altre ombre si disegnarono nel cielo, altri draghi apparvero al richiamo del loro padrone, ciascuno di forma e colore diverso, sebbene nessuno grande come il primo. Accanto a lei Daala e Mu erano a bocca aperta di fronte a quello spettacolo imponente, ma Tarkin era tranquillo come se in vita sua non avesse fatto altro che allevare draghi.
Al contrario di loro, il governatore aveva messo a frutto la notte insonne nel migliore dei modi. Si era studiato la parte, comprese Mara non senza ammirazione. Probabilmente aveva estorto a Mistobaan tutte le informazioni possibili su questo fantomatico Cavaliere del Drago, e si era preparato per interpretare il suo ruolo al meglio. Era confortante sapere che almeno uno di loro non aveva perduto la lucidità e il sangue freddo.
Quando tutti i draghi furono atterrati Tarkin si voltò verso di loro e parlò: “L'umano ribelle Dai ha paura di affrontarci in campo aperto, ed è corso a nascondersi nella capitale di Papunica! Quello sciocco pensa che mura di pietra, frecce infuocate e quadrelli bastino a difendersi dal potere dei draghi e della nostra magia. Spetta a noi mostrargli quanto è folle il suo errore, e insegnare agli abitanti della città che c'è un solo destino per chi osa sfidare la famiglia demoniaca!”
I demoni alzarono i pugni al cielo e acclamarono il discorso di Tarkin. Il governatore sguainò una spada che portava legata dietro la schiena (Tarkin con una spada?! Ci manca solo Saruman con gli aghi da maglia e potrò dire di averle viste tutte!) e levò la voce al di sopra delle urla di esultanza dei demoni:
“PER LA FAMIGLIA DEMONIACA! PER IL GRANDE SATANA!”
I demoni erano in delirio; al grido di “Viva il Grande Satana” si precipitarono verso i draghi e vi montarono sopra, spiccando il volo nel cielo roseo e arancione dell'alba. Tarkin guardò verso di lei, facendo un impercettibile cenno con la testa in direzione dell'enorme drago rosso e nero. Mara capì immediatamente. La Forza rispose pronta al suo comando, e il governatore si sollevò in aria con una tripla capriola e atterrò con grazia sul dorso del drago. Dal suo sguardo furioso dedusse che non aveva gradito l'acrobazia aerea, ma Mara si limitò a fargli l'occhiolino e sorridergli mentre aiutava Daala a salire nello stesso modo. Il drago era talmente grosso che poteva portarli tutti e tre con facilità.
Bene governatore, siamo nelle tue mani adesso. Spero che tu abbia idea di come si fa a far volare questo coso.
Ma il drago non ebbe bisogno di comandi: spiccò il volo con un ruggito possente e sfrecciò dietro gli altri, raggiungendoli in un attimo e mettendosi alla testa del gruppo. Tutto ciò che Mara, Tarkin e Daala dovettero fare fu reggersi alle protuberanze squamose sul dorso del drago e pregare di non cadere, mentre dietro di loro il Baan Palace diventava un puntino sempre piu' lontano nell' immensità del cielo.



La prima cosa che Mu fece appena sceso dal drago fu vomitare.
“Oh, la nostra eroica guida soffre il mal d'aria.”
Con le occhiaie, il livido sulla guancia e la pelle di un pallore quasi verdognolo a causa del mal d'aria Mu sembrava veramente uno straccio usato. Forse una o due Stanze prima Mara gli avrebbe teso la mano e lo avrebbe aiutato a rimettersi in piedi, ma ora si limitò a lanciargli un'occhiata carica di disprezzo.
“Vedi di non fartela addosso quando inizierà la battaglia.”
Senza aspettare risposta gli voltò le spalle a andò a raggiungere Tarkin, intento a studiare una mappa che gli aveva consegnato Mistobaan.
Erano atterrati in una vasta pianura di fronte alla città. Le mura di pietra erano alte e i cancelli sprangati, e strizzando gli occhi si riusciva vedere un tenue riflesso blu e violetto tra le cime delle torri e le cupole dei templi: gli abitanti avevano eretto una barriera magica. I campi coltivati attorno alla città erano deserti.
Ci aspettavano. Questo mondo è ancora al Medio Evo come tecnologia, ma la magia è molto più presente che nella nostra Galassia. Anche se abbiamo i draghi non dobbiamo abbassare la guardia.
“Mandate un esploratore su un drago dietro quelle colline laggiù.” stava dicendo Tarkin. “Sapevano del nostro arrivo, potrebbero avere dei rinforzi nascosti pronti a prenderci alle spalle con qualche trappola magica.”
“La barriera intorno alla città è incredibilmente potente.” disse Mistobaan. “E ha una particolarità: ci impedisce addirittura di volarle al di sopra. E' come se fosse un campo respingente...”
“... ma nulla che gli inarrestabili draghi del Generale non possano abbattere, giusto?” fece Kaspar con un sorriso. Continuava a far roteare la falce tra le dita, un gesto che Mara trovava estremamente irritante.
“Non ho intenzione di caricare a testa bassa senza prima sapere con cosa ho a che fare.” ribatté Tarkin.
“Non la facevo così timoroso, Generale.”
L'occhiata che Tarkin lanciò alla creatura con la falce era omicida allo stato puro. Mara agì senza pensare: chiamò la Forza a sé e la fece prorompere fuori in un istante, una raffica letale di energia invisibile. Kaspar venne colpito in pieno e rotolò a gambe all'aria, finendo ad almeno sei metri di distanza. Quando si rimise in piedi con fatica Mara vide che i suoi occhi erano dilatati per la paura.
“Questo era solo un avvertimento, Killvearn.” la voce di Tarkin era glaciale. “La prossima volta non sarò così magnanimo.”
Con grande gioia di tutti, Kaspar si morse la lingua e tacque. Tarkin lo allontanò ordinandogli di andare in esplorazione, e inviò un altro gruppo di demoni sotto il comando di Zam/Hadler a valutare l'estensione della barriera magica sotto le mura. Mara e Tarkin rimasero soli insieme a Mistobaan, Mu e Daala.
“In due facciamo un Cavaliere del Drago piuttosto decente, eh governatore?” A dispetto di tutto, a Mara scappò un sorriso.
“Ottima coordinazione, non c'è che dire.” anche Tarkin sembrava divertito. “Vedi di restarmi sempre vicina. Avrò ancora bisogno dei tuoi trucchetti Jedi.”
“Prima o poi si accorgeranno che qualcosa non va.” sentenziò Mistobaan. “E Killvearn non ha tutti i torti. Stai dando l'impressione di temere il nemico, umano. Nella famiglia demoniaca la vigliaccheria non è ammessa.”
“Nel nostro mondo la chiamiamo prudenza” ribatté Tarkin. “E ho combattuto abbastanza battaglie da sapere cosa devo fare.”
“Ma non battaglie come questa. Voi umani siete subdoli e meschini in tutto. Noi attacchiamo a viso aperto, senza paura. La fede nel nostro Grande Satana ci sostiene.”
Tarkin fece un profondo sospiro: “Questa invece nel nostro mondo si chiama stupidità.”
Mistobaan probabilmente avrebbe ribattuto con qualche altra idiozia sul Grane Satana, ma Daala non gliene diede il tempo: “Basta così. Non siamo qui per un confronto culturale. Dobbiamo far crollare questa stupida città.” C'era rabbia nella voce di Daala, una furia repressa a fatica. Mara la percepiva, ma non era difficile da scorgere nei suoi occhi occhi verdi e freddi, nelle mani strette a pugno, nei muscoli tesi, nella mascella serrata.
“Dannazione, abbiamo dieci draghi. Cosa può avere quella barriera di tanto diverso da uno scudo deflettore?!”
Daala non si fermò ad attendere la risposta. Si allontanò a grandi passi e raggiunse il demone più vicino, prendendolo per un braccio.
“Il Generale ha dato ordine di attaccare.” la sentirono dire. “Che i draghi concentrino tutto il fuoco su un unico punto delle mura. Voialtri restate a coprirli con gli incantesimi, in caso di risposta da parte della città. E in fretta, il Generale vuole finire prima di pranzo.”
“Forse lei è un Cavaliere del Drago ancora migliore di noi due messi insieme.” sospirò Mara, mentre dieci fauci di drago si spalancavano all'unisono, vomitando un torrente fuoco sul lato ovest delle mura.
“Ci mancava solo questa...” Tarkin poggiò la fronte sul palmo della mano, sospirando.
“E' la magia che ti preoccupa, Tarkin?” Mara sapeva bene che il governatore detestava nel modo più assoluto qualsiasi cosa legata alla magia. Era un uomo pragmatico, che aveva costruito la sua fortuna sull'abilità politica, sugli imperi finanziari e i prodigi tecnologici: un autentico figlio della Galassia. La magia era irrazionale, inspiegabile e sfuggente, e non si lasciava controllare facilmente come un plotone di assaltatori imperiali o un turbolaser in grado di far saltare in aria interi pianeti. “Oppure è Daala?”
“E' da quando è iniziata questa storia assurda che sono preoccupato.”
“Già.” sospirò lei. Nella Stanza della Memoria di Alderaan lo aveva detestato e insultato, ma ora si sentiva solidale con lui. Dovevano restare uniti, i loro avversari erano altri. Tarkin l'aveva accusata di fraternizzare con il nemico quando l'aveva vista ridere e scherzare con Mu nelle fogne, e aveva ragione. Glielo disse.
“Ti perdono giusto perché ho l'impressione che tu c'entri qualcosa con il livido che ha sulla guancia.” Non la stava guardando: i suoi occhi erano concentrati sull'attacco in corso, e le fiamme dei draghi accendevano il suo viso scarno di inquietanti bagliori arancioni e rossastri.
“Sagace come al solito.” sorrise lei. Poi sospirò. “Vorrei che il maestro Maul fosse qui. Lui non perderebbe l'ottimismo nemmeno in una situazione simile.”
Dopo l'Imperatore Maul era stato suo secondo maestro nelle arti Sith, e anche se ora combattevano su fronti opposti Mara non aveva mai smesso di ammirarlo.
“Darth Maul?” C'era una lieve nota di stupore nella voce del governatore.
“Beh, sì. Tu sei lo stratega, ma il supporto morale del Trio Destroyer è lui.”
“Trio Destroyer?” Tarkin si voltò verso di lei, fissandola come se avesse perso la ragione.
“Che nome ridicolo!”



L'inferno si era scatenato sulla pianura di Papunica.
I campi erano in fiamme, e così gran parte degli edifici della città. Le grida delle persone che bruciavano arrivavano fin lassù dove Tarkin, Mara e Daala osservavano la battaglia in groppa al possente drago rosso e nero. Spinto dal massacro della sua gente il ragazzino di nome Dai era uscito allo scoperto con la sua spada portentosa: non doveva avere più di dodici o tredici anni, ma era agile, velocissimo e resistente, e i suoi colpi erano prodigiosi. Usava la lama in un modo che Mara non aveva mai visto prima, causando onde d'urto di potenza spaventosa con un semplice fendente. La spada magica scintillava nelle sue mani come una saetta, e con un solo colpo aveva tagliato in due uno dei draghi più piccoli. Un gruppo di maghi e guerrieri si batteva al fianco dell'eroe bambino, presso i cancelli della città ormai sfondati. Gli altri abitanti erano fuggiti, o bruciati, o morti. Mara aveva notato che dopo un po' i loro corpi carbonizzati si rianimavano, come i Ribelli all'uscita delle fogne di Alderaan; ma non appena si rimettevano in piedi le fiamme li consumavano di nuovo, tra urla di dolore e una puzza di carne bruciata da far rivoltare lo stomaco.
Stanare il ragazzino e i suoi compagni non era stato semplice. Malgrado la determinazione di Daala, la tattica del concentrare tutto il fuoco su un unico bersaglio non aveva sortito l'effetto desiderato. Dalle torri della città era iniziato un bombardamento serrato di proiettili magici: Mistobaan e altri demoni avevano eretto una barriera a loro volta, e la battaglia era ben presto entrata in una fase stallo.
“Così non va, sta diventando una guerra di trincea.” Mara aveva percepito il nervosismo di Tarkin.
Un dardo di saette crepitanti era arrivato fino a loro, e solo i suoi riflessi Jedi li salvarono dal finire abbrustoliti: Mara sollevò una mano e il proiettile deviò la sua traiettoria, rimbalzando a terra e disperdendosi in mille rivoli di energia scintillante.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere, perché fu proprio quell'incidente a far venire a Tarkin un'idea.
“Se però i loro incantesimi riescono ad attraversare la barriera...”
“Governatore, se la fai crollare diventi il mio mito ufficiale!”
E Tarkin ce l'aveva fatta. Urlando per sovrastare il frastuono della battaglia aveva ordinato a draghi e demoni di colpire i solo i punti della barriera da cui uscivano i proiettili magici del nemico.
“Probabilmente la barriera si apre per un istante al passaggio dei loro incantesimi... altrimenti non potrebbero colpirci!”
Era stato un lavoro lungo, perché non era facile colpire nel punto e nel momento preciso in cui la barriera si apriva, e i maghi nemici, al sicuro dietro le mura, erano sempre pronti a rinforzarla. Ma alla fine Daala ci aveva visto giusto: i draghi erano draghi, e sul lungo periodo la loro potenza di fuoco ebbe la meglio. Loro non si stancavano presto come i maghi umani.
Caduta la barriera la battaglia era finita, ed era cominciato il massacro.
Almeno fino a quando non era sbucato il ragazzino.
“E' incredibile... la sua spada può tagliare il fuoco dei draghi...”
Mistobaan fluttuava accanto al loro drago, sorretto da un incantesimo di volo. Mara si rivolse a lui: “Davvero nel vostro mondo esiste una persona così potente? Un semplice ragazzino...”
“Per la media umana è potente, è vero. Ma la sua forza non è nulla in confronto al potere della famiglia demoniaca.”
“Né tantomeno in confronto al potere del Cavaliere del Drago.” disse una voce alle loro spalle.
Il Kaspar con la falce non ne aveva avuto abbastanza, a quanto pareva. Ora si teneva a maggiore distanza da Tarkin, anche lui fluttuando pigramente tra un drago e l'altro, ma la luce maligna nei suoi occhi non era domata. E il suo sorriso... quel suo maledettissimo sorriso era ancora lì, e le faceva venire una voglia matta di prenderlo a pugni.
“Generale, lei potrebbe mettere fine a questa farsa in men che non si dica. Perché non affronta il ragazzino in duello? Le basterebbe starnutire per cancellarlo dalla faccia della terra.”
Mara raccolse di nuovo la Forza dentro di sé. Stavolta lo avrebbe colpito più duramente: forse non poteva uccidere né lui né nessun altra di quelle dannate illusioni, ma poteva sempre rompergli un osso o due. Ci avrebbe pensato due volte prima di venire a provocarli ancora.
La risposta di Tarkin la anticipò: “Sarebbe disonorevole intervenire nella battaglia del generale Hadler. Ha reclamato il ragazzino per sé, diamogli la possibilità di dimostrare il suo valore.”
Era vero. Il demone con le sembianze di Zam sembrava avere un conto in sospeso con il ragazzino Dai, e non appena le mura erano cadute aveva chiesto a Tarkin di poterlo affrontare personalmente. Ben felice di lasciare la prima linea ad altri, il governatore aveva acconsentito con entusiasmo.
Hadler/Zam non era l'unico a trovarsi nel cuore della battaglia. Tarkin aveva negato a Mu il privilegio di cavalcare un drago, e con una dose non indifferente di sadico piacere gli aveva ordinato di andare a combattere in prima linea.
“Vediamo fin dove sei pronto a spingerti per proteggerci.”
Gli occhi di Mu si erano fatti grandi per la paura, ma il sacerdote aveva serrato le labbra e senza emettere un solo lamento si era diretto verso il fronte come un martire che sale sul patibolo.
Mara si concentrò su di lui. Se quel Dai era un membro della resistenza contro i demoni, allora probabilmente Mu lo conosceva. Sempre se non aveva mentito riguardo al suo passato.
Ex sacerdote, ex membro della resistenza, servitore dell'Organizzazione... ma chi è davvero quel tizio?
Malgrado le sue paure non se la cavava male in combattimento, come già aveva dimostrato nella Stanza di Alderaan. Lo osservò mentre erigeva un Muro di Cristallo, contro il quale si schiantarono in rapida successione almeno cinque palle di fuoco senza che nessuna di esse riuscisse minimamente a scalfirlo. Tre maghi circondavano il sacerdote in armatura, ma Mu non badava a loro, si limitava a respingere gli incantesimi che gli arrivavano contro, cercando un varco per disimpegnarsi. Un guerriero vestito di rosso che indossava un grosso paio di occhiali sbucò all'improvviso alla sua destra, brandendo una spada scintillante di energia magica. Mu se ne accorse una frazione di secondo troppo tardi; il Muro di Cristallo respingeva gli attacchi magici, ma non aveva alcun potere contro i colpi fisici, e il guerriero lo oltrepassò con tutto il suo corpo, sollevando la spada sopra la testa per sferrare un affondo micidiale. Mu riuscì a stento a sollevare le braccia davanti al volto, e la lama cozzò senza danno sulle protezioni dell'armatura d'oro. Il colpo però fu così forte che Mu perse l'equilibrio e incespicò all'indietro, finendo a schiena per terra. La spada del guerriero rosso scintillò, catturando i raggi del sole, e come la scia di una stella cadente sfrecciò verso la testa del sacerdote...
All'ultimo momento Mu alzò una mano, il palmo aperto rivolto verso l'avversario.
“Star... STARDUST REVOLUTION!”
Il guerriero rosso si trovava a pochi centimetri da Mu, e la cascata di stelle lo travolse in pieno. L'impatto fu talmente forte che i suoi piedi si sollevarono da terra; gli occhiali volarono in una direzione, la spada in un'altra, e lui fu scaraventato contro il tronco di un albero, accasciandosi a terra come un cencio per non rialzarsi più. Con tutta la velocità che le sue gambe malferme gli consentivano, Mu si rimise in piedi e si guardò intorno. I tre maghi di prima erano impegnati contro altri avversari; nessuno badava a lui. Iniziò a correre in direzione di Dai, mentre nelle sue mani prendeva a brillare un nuovo incantesimo.
Pazzo! Neanche i draghi riescono a far fuori quel ragazzino!
Dai stava fronteggiando due draghi da solo, e non accorse del sacerdote che gli arrivava di corsa alle spalle. Mu lasciò che la magia nelle sue mani raggiungesse l'intensità massima, poi sollevò entrambe le braccia sopra la testa e aprì le dita di scatto, liberando con un urlo l'onda di energia.
Per un attimo Mara si concesse di sperare.
Quando il polverone sollevato dallo Starlight Extinction si diradò, Dai era ancora in piedi. Anche da quella distanza Mara riuscì a distinguere il terrore dipingersi sul viso stanco di Mu quando il ragazzino si voltò verso di lui, muovendo la spada in un gesto quasi casuale, come se volesse semplicemente scacciare una zanzara fastidiosa.
Mara si ritrovò a gridare senza pensare: “MU, NO!!”
L'onda d'urto del fendente lo prese in pieno, squassando il suo corpo come un tornado con una foglia secca. Pezzi di armatura d'oro volarono ovunque e caddero a terra con un forte clangore metallico. Mu fu scagliato poco lontano, logoro, contuso, sanguinante.
Non si muoveva più.



Non ricordava di essere saltata giù dal drago; non aveva nemmeno idea del perché lo avesse fatto. Prima ancora di rendersene conto si ritrovò in ginocchio tra il fango e la polvere, il corpo esanime di Mu stretto tra le braccia.
Il sacerdote respirava ancora.
“Stupido! Cosa credevi di fare?!”
“Volevo... solo... aiutarvi... io...”
“Zitto.” gli ordinò. Lo sollevò senza fatica; era così leggero senza armatura. Lontano dalla città, protetti da una barriera magica creata da Mistobaan, erano ammassati i feriti, affidati alle cure di un paio di demoni guaritori. Mara lasciò Mu nelle loro mani; il sacerdote continuava a gemere e supplicarla di recuperare la sua armatura, ma lei lo mise a tacere: “Zitto e lasciati curare. Meglio perdere l'armatura che la pelle, no?”
Un demone dai capelli verde smeraldo poggiò le mani sul petto di Mu e intonò una litania incomprensibile. Pian piano le sue dita si illuminarono di un bagliore dorato, e Mara vide che le ferite del sacerdote iniziavano a rimarginarsi. Tirò un sospiro di sollievo.
“Cosa... cosa facciamo adesso?” la voce di Mu era debole, poco più che il pigolio di un pulcino.
Mara scosse la testa: “Non ne ho idea. Se non ce la fanno nemmeno i draghi... “ lanciò un'occhiata ai demoni che ancora combattevano. Quello che sembrava Zam era sempre in prima linea, ma se il suo viso era identico a quello dell'amica lo stesso non si poteva dire dei suoi poteri. “Se solo la vera Zam fosse qui...”
Mu sollevò lievemente la testa: “Zam?”
“Lei.” indicò Mara. “Ma è solo un'illusione creata da questa stupida Stanza. Quella vera potrebbe trasformarsi in un drago lei stessa, e di certo non si farebbe buttare giù da un ragazzino.” sospirò “Nessuno è potente come lei.”
Già, e di sicuro se fosse qui al mio posto avrebbe già sconfitto tutta l'Organizzazione e raso al suolo questo maledetto Castello...
Un'improvvisa folata di vento proveniente dall'alto la distolse dai suoi pensieri. Rivolse lo sguardo verso il cielo e vide il drago rosso e nero planare dolcemente nella sua direzione. Fece un rapido cenno di saluto a Mu e spiccò il salto, atterrando sul dorso rugoso della bestia alle spalle di Tarkin e Daala.
Non la aspettavano buone notizie: marito e moglie avevano ripreso a litigare.
“E tu saresti il grande stratega? Ti stai facendo fare a pezzi da un ragazzino!”
“Non è un ragazzino quello!” si difese Tarkin. “E' una belva! Riuscirebbe a tenere testa persino a Zam! Cosa pretendi che...”
“Avevi dieci draghi, ce ne sono rimasti tre! Ti sei divertito a giocare al Cavaliere del Drago, ma la verità è che non hai la minima idea di quello che stai facendo!”
“Perché, tu sì?! Allora prego, prendi il comando, illuminaci! Sbalordiscici!”
Mai Mara si era sentita sola come in quel momento. Prigioniera in un Castello misterioso, non poteva fidarsi di nessuno di coloro che le stavano attorno. Mu era ambiguo e pieno di segreti, Mistobaan era una delle creatura più inquietanti che avesse mai incontrato... e poi c'erano i membri dell'Organizzazione, sfuggenti e sempre avvolti nell'ombra. Tarkin e Daala sarebbero dovuti essere suoi alleati, i suoi punti fermi, ma loro... erano cambiati.
Il Castello li ha cambiati, pensò, reprimendo a stento un brivido.
Daala sembrava completamente un'altra persona, e Tarkin... Tarkin non ricordava più il Trio Destroyer. Boba e Maul, i suoi amici di una vita... era come se per lui non fossero mai esistiti.
Le ci volle una buona dose di coraggio per affrontare il passaggio successivo nella logica di quel ragionamento.
Potrebbe aver cambiato anche me.
Era una prospettiva così terrificante che si rifiutò persino di pensarci. Cercò invece di tenere la mente occupata concentrandosi sulla battaglia: il demone con le sembianze di Zam e altri sotto il suo comando stavano ancora combattendo contro Dai e i suoi, ma erano sempre di meno. Oltretutto loro non si rigeneravano come gli avversari.
E nemmeno i draghi se è per questo. Maledizione.
Estese le sue percezioni verso la battaglia, cercando di abbracciarla tutta con i propri sensi, di insinuarsi tra le pieghe della magia che permeava l'aria intorno a demoni e umani in lotta e rendeva l'aria satura di energia crepitante. Sondò le aure di tutti, alla ricerca di un punto debole, di una smagliatura nell'intreccio di fendenti che intessevano un'impenetrabile ragnatela difensiva intorno al giovanissimo Dai. Doveva pur esserci un particolare, un punto da cui far partire una controffensiva, un dettaglio che era sfuggito a tutti loro...
L'urlo di Daala la riportò alla realtà. Mara trasalì; il drago si era inclinato su un fianco, e perdeva quota a una velocità impressionante. Urtarono la chioma di un albero, e Mara rimase impigliata tra i rami, finendo sbalzata dal dorso del drago. I rami le graffiarono il viso e le braccia mentre lei precipitava al suolo, rotolando tra le radici e la terra fresca. Dolorante, si risollevò a fatica su un gomito, cercando con lo sguardo che fine avevano fatto Tarkin e Daala.
Il drago si era accasciato a terra a qualche metro di distanza da lei. Sangue rosso vivido sgorgava copioso da uno squarcio trasversale che attraversava l'ala destra per tutta la sua lunghezza.
Non erano state le armi dei guerrieri di Dai a colpirlo, né i loro incantesimi. Ricoperta di sangue fino al manico, una falce inchiodava a terra l'ala ferita del drago.
Tarkin e Daala giacevano a terra accanto al corpo dell'enorme animale, bloccati da una delle sue zampe. In aria, poco sopra le loro teste, Kaspar rideva sguaiatamente, circondato da una doppia schiera di falci che gli volavano intorno a velocità sempre piu' elevata.
Mara tentò di rimettersi in piedi, ma la gamba destra cedette sotto il suo peso, lasciandola senza fiato per il dolore improvviso.
In alto, le falci si immobilizzarono simultaneamente, e Kaspar smise di ridere.
Inutilmente Tarkin e Daala lottavano per liberarsi dal peso della zampa del drago. Le falci ruotarono con terrificante lentezza fino a puntare nella loro direzione. Kaspar sollevò una mano, il volto illuminato da un sorriso folle.
“NO!”
Kaspar fece per abbassare la mano...
“KILLVEARN!”
L'urlo fu talmente potente che per un attimo coprì il frastuono della battaglia. Kaspar si voltò di scatto, le falci ancora sospese intorno a lui, e si ritrovò faccia a faccia con Mistobaan.
Il demone fluttuava a poca distanza da lui, gli occhi gialli scintillanti nelle tenebre del suo volto incappucciato.
“Hai fatto i conti senza di me.” fu tutto quello che disse. Mara sentì un orribile stridore metallico, e vide il sorriso di Kaspar congelarsi e distorcersi in una smorfia orribile, gli occhi di ghiaccio dilatati per il dolore, le pupille minuscole come punte di spillo. Il mago si piegò su se stesso, portandosi le mani al petto, e allora Mara abbassò lo sguardo e le vide: cinque punte acuminate che lo trapassavano da parte a parte, tingendosi pian piano del suo sangue.
Erano gli artigli della mano destra di Mistobaan.
Il demone li ritrasse con uno strattone, e Kaspar precipitò a terra senza un lamento, accasciandosi come uno straccio usato.
Le falci erano sparite.
Mistobaan ritrasse gli artigli, pulendosi il sangue sulla tunica. Le due luci gialle sotto il suo cappuccio erano immobili, impenetrabili.
Pochi minuti dopo si ritrovarono tutti a far compagnia a Mu nella zona feriti. Mistobaan aveva liberato Tarkin e Daala dalla zampa del drago, e aveva incaricato un demone di portare lontano il corpo di Kaspar, in caso dovesse rianimarsi.
La battaglia andava avanti, interminabile e sempre uguale, e il ragazzino e i suoi compagni non i stancavano mai.
“Grazie Mistobaan.” disse Daala. “Ci hai salvati.”
Il demone si limitò a fissarla con i suoi enigmatici occhi gialli, ma non disse nulla.
Non erano feriti gravemente, e la magia guaritiva dei demoni faceva davvero miracoli. In pochi minuti Mara sentì il dolore alla gamba ridursi sempre di più fino a diventare appena un leggero fastidio, e infine anche quella sensazione scomparve.
Tarkin era stato il più fortunato, e a parte pochi graffi e l'uniforme sporca e in disordine sembrava in piena forma.
E sorrideva.
“Quel Kaspar era molesto esattamente come il suo originale.” disse, rivolto a tutti loro. “Ma mi ha fatto venire un'idea.” Mara sentì rinascere la speranza dentro di lei. Le idee di Tarkin erano famose per essere tremendamente efficaci.
“Le tattiche demoniache non hanno funzionato.” Tarkin gettò uno sguardo di sbieco alla battaglia. “E' il momento di giocarcela alla nostra maniera.”



Un Jedi può offuscare le percezioni altrui, se lo desidera, ed evitare di essere visto e sentito, camminando sulla terra come uno spettro impalpabile. Certo, c'è sempre il rischio che qualche Maestro o mago particolarmente abile ti scopra comunque, ma il ragazzino Dai non rappresentava un pericolo in questo senso. Lui era un concentrato di forza bruta, energia allo stato puro. La sua spada poteva tagliare in due un drago, ma di certo non poteva avvertirlo di nemici in avvicinamento.
Mara si spostò lentamente in avanti, sfruttando la copertura dei resti delle mura della città. Il terreno era pieno di pietre e detriti, ma i suoi piedi calpestandolo non emettevano il minimo rumore. Estese i suoi sensi, all'erta, ma nessuno badava a lei. I nemici erano tutti oltre le rovine, lo sguardo rivolto verso la pianura, dove Tarkin e i demoni stavano facendo sfilare gli ostaggi. Mosse un altro passo, avvicinandosi ancora. Sbirciò in una fessura tra una pietra e l'altra: Dai le dava le spalle, a pochissimi metri da lei.
La tregua era stata un'idea di Tarkin. Poiché i nemici si rigeneravano ogni volta, i demoni avevano iniziato a prenderli prigionieri anziché ucciderli, e Tarkin aveva proposto una tregua per restituirli ai difensori della città.
“In cambio vi chiediamo solo i corpi dei nostri morti, per poterli seppellire con gli onori che meritano.” aveva detto, gridando dal dorso del drago (l'ultimo rimasto) per farsi sentire da Dai.
Il ragazzino aveva commesso la sciocchezza di accettare.
“I Ribelli sono tutti uguali, da qualsiasi mondo provengano.” aveva commentato Tarkin con un sorriso sadico. Poi Mara li aveva lasciati per andare a nascondersi tra le rovine. Un demone l'aveva portata in volo, facendo un giro largo per non farsi scorgere dai nemici. La sua parte era la più delicata, nonché cruciale per la riuscita del piano.
Un gruppo di maghi alla destra di Dai fece levitare i corpi dei demoni morti, innalzandoli in modo che Tarkin e i suoi potessero vederli distintamente.
“I corpi sono qui. Prima però liberate i prigionieri.”
Mara avanzò fino a dove poteva senza perdere la copertura dei massi caduti. Rimaneva comunque un buon tratto scoperto tra lei e Dai, ma i suoi poteri le consentivano di agire anche da quella distanza. Malgrado ciò, la velocità restava fondamentale: Dai era circondato da alleati, maghi e guerrieri dal potere non indifferente, che l'avrebbero distrutta non appena avessero capito cosa aveva intenzione di fare.
Il piano originario di Tarkin prevedeva che fosse Mistobaan ad andare al suo posto, ma il demone si era rifiutato categoricamente.
“Non è onorevole.” aveva sentenziato, e non c'era stato verso di smuoverlo dal suo proposito.
L'onore deve essere veramente importante per i demoni. Avrebbe potuto uccidere Kaspar colpendolo alle spalle, ma ha preferito guardarlo negli occhi. E così ha perso il vantaggio della sorpresa, e ha corso il rischio di farsi colpire a sua volta.
Mara invece non aveva rimorsi: quelle erano solo illusioni, e lei era stanca, tremendamente stanca. Voleva tornare a casa.
Tarkin segnalò ai demoni di liberare i prigionieri. Fortunatamente, al contrario di Mistobaan, loro gli obbedivano ancora. Una fila di uomini e donne feriti e laceri iniziò ad avanzare verso Dai e i suoi. Era il momento.
Mara chiamò a sé la Forza, e lasciandosi guidare dall'istinto colpì, veloce come un serpente che scatta sulla preda. Mosse il braccio in direzione di Dai e serrò il pugno, e all'istante il ragazzino si portò le mani al collo, annaspando disperatamente alla ricerca di aria. Mara sfruttò l'attimo di smarrimento degli avversari e sollevò l'altra mano, facendo un gesto verso di sé. Il corpo di Dai volò verso di lei, e in un istante la lama rossa della sua spada laser era alla sua gola, mentre con l'altro braccio lo teneva immobilizzato e con la sola forza della mente manteneva la presa ferrea sulla sua gola. Dai scalciava disperato, ma la mancanza d'aria lo rendeva troppo debole per reagire.
“FERMI O LO AMMAZZO!”
I guerrieri avevano sguainato le spade e le maghi dei maghi brillavano già della luce dei primi incantesimi, ma tutti si immobilizzarono all'istante come statue di sale alla minaccia.
La spada di Dai era nel fodero, appesa alla sua cintura. Mara la fece scivolare fuori con la Forza, afferrandola con la stessa mano che impugnava la spada laser.
Non appena le sue dita toccarono l'elsa il mondo fu invaso da un'accecante luce bianca. Per un attimo si ritrovarono a fluttuare in un mare di luce senza sopra ne' sotto, ma ormai era una sensazione familiare, e Mara la accolse con gioia.
Avevano superato la Prova.
Una volta tanto Mara fu persino felice di rivedere le pareti bianche del Castello dell'Oblio. La spada di Dai era sparita insieme a tutto il resto, ma Mu, con sua grande gioia, indossava di nuovo l'armatura.
Stravolti, si lasciarono cadere sul pavimento, tutti tranne Mistobaan, che continuava a fissarli dall' oscurità del suo cappuccio. Lui non si stancava mai, né mangiava o aveva bisogno di dormire.
Mara invece si sentiva come l'avesse calpestata un branco di rancor, e senza chiedere nulla a nessuno si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi.
Pochi minuti e già fluttuava felice tra le braccia di Morfeo.


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Fonte della fan art a inizio capitolo: http://el-woopo.deviantart.com/art/GRAND-MOFF-TARKIN-90185967

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - L'orribile verità ***


Capitolo 16 - L'orribile verità


Carahdras

Il Carahdras




“Zachar, aiuto!”.
“Reggiti, Ash!”
Boba vide stagliarsi dalla neve a pochi metri da lui una roccia nuda; la raggiunse con un balzo, assicurando contro di essa le microlame della sua armatura e stringendo il masso con tutte le sue forze mentre la valanga dipinse di bianco tutto quello che era intorno a lui.
La quarta Stanza della Memoria aveva scelto proprio i suoi ricordi; erano memorie di un’avventura vissuta diversi anni prima, quando ancora Kaspar non era un Signore Oscuro e la galassia centrale era un luogo pacifico e sicuro.
Quando la coltre di bianco smise di avvolgere la sua visuale, il cacciatore di taglie resettò i numerosi comandi della sua armatura, controllando che tutte le funzioni ed i parametri fossero sotto controllo e non avessero riportato danni a causa del gelo. Certo, le armature mandaloriane erano testate per resistere persino alle peggiori condizioni climatiche di Hoth, ma si trovavano sul Carahdras, il monte più alto e tempestoso della Terra II, e il governatore Fett sapeva di non potersi distrarre nemmeno un po’.
Il sistema di riscaldamento automatico sciolse la brina sulla visiera ed usò i sensori per cercare tracce dei suoi compagni. La macchia rossa che si agitava diversi metri più sotto era indubbiamente la loro guida.
Accese il suo zaino a razzo e scese. Auron aveva ancora Kaspar svenuto sulle spalle, ed il cacciatore di taglie si augurò che quel grandissimo bastardo non si svegliasse proprio in quel momento delicato; il soldato stringeva un polso di Zachar, impedendole di cadere nello strapiombo sottostante insieme ad Ash.
Per quel che lo riguardava, la maga poteva benissimo spiattellarsi sul fondo del burrone e non fare più ritorno. Ma da quanto aveva capito l’ameba era vitale per tornare a casa tutti interi “Ok, tenete duro, adesso arrivo!”.
Abbassò l’energia dello zaino e scese di quota, portandosi a livello dei due malcapitati che penzolavano.
Se adesso le dessi una bella coltellata nel fianco sono sicuro che Tarkin ne sarebbe felice.
La tentazione c’era eccome, soprattutto dopo tutto quello che Zachar e Kaspar avevano fatto passare loro.
“Ehi, Boba, sono qui! Ehi, dai, prendimi!”.
Ash era in preda al panico, e come tutti i ragazzini idioti stava guardano verso il fondo ed aveva iniziato a scalciare come un ossesso “VIENIMI A PRENDERE!”.
Boba tirò un sospirone sotto il casco e lasciò perdere qualsiasi cattivo proposito, soprattutto perché Auron non riusciva a reggere il peso dei due e di Kaspar sulle spalle allo stesso tempo.
“Perfetto, Ash, ti tengo. Lascia la mano di Zachar!”.
Raccolse il ragazzo e riprese quota, cercando di ricordarsi se aveva abbastanza propellente per trasportare due persone contemporaneamente; quei maledetti Membri dell’Organizzazione lo avevano rapito prima che potesse fare il controllo quotidiano del serbatoio di energia e sapeva che prima o poi lo zaino avrebbe smesso di funzionare.
Per sua fortuna l’oggetto resse il peso di entrambi, ed arrivato sul ciglio del burrone scaricò quel ragazzino idiota senza tanti complimenti, mentre la loro guida riuscì a portare Zachar in salvo ed a farla adagiare nella neve. Kaspar venne sbattuto per terra con molta malagrazia, proprio come il sacco dell’immondizia che era.
“Uffa, sono stanchissimo, non ce la faccio più!” fece Ash, rovistando per l’ennesima volta nel suo zainetto alla ricerca di cibo.
“Più che per la stanchezza” osservò il cacciatore di taglie “vi posso dire con sicurezza che tra poco arriverà una bella tempesta e calerà la notte. E dovremmo seguire loro”.
Fece un cenno della mano volto verso l’alto, a svariati metri sopra le loro teste, ricordando a tutti gli altri di chi fossero quei ricordi e cosa dovessero fare lì dentro.
Erano passati ormai diversi anni da quella missione: i Signori Oscuri erano stati mandati a calci nel sedere dall’Imperatore Palpatine sulla Terra II nel tentativo di riforgiargli l’Unico Anello, un’esperienza che il cacciatore di taglie aveva ben viva nella sua mente. Erano rimasti svariati mesi su quel pianeta, senza una navetta o mezzi per tornare indietro, ed avevano rischiato la vita un giorno sì e l’altro pure. E, tra le tante disavventure, avevano provato a scalare il Carahdras, la più grande montagna della Terra di Mezzo, con le sue nevi perenni e le mille tormente.
La Stanza della Memoria stava proiettando di nuovo quell’esperienza.
E di sicuro non aveva scelto a caso l’ambientazione del Carahdras.
Uno dei ricordi più importanti era avvenuto lì, su quella montagna, quella sera di tanti anni prima proprio a causa di una sosta forzata per una terribile tempesta di neve.
“Wow, Boba, è proprio come quella volta! Guarda là, c’è Darth Maul che trasporta le valigie di Dooku!”.
Già, dimenticavo …… c’era anche Ash quella volta ……
“Molto poetico” la voce dell’ameba era, se possibile, ancora più gelida dell’aria del monte “Io direi di cercarci un riparo alla svelta”.
“Sai, per essere un’ameba devo dire che sai fare delle osservazioni davvero geniali!”.
“Credi che mi faccia piacere stare nei tuoi ricordi?”.
“Oh, se lo desideri puoi sempre tornare nella stanza precedente e fare il divertissement del tuo caro mocho! Ti si addice!”.
Come da manuale Auron intervenne da bravo cane poliziotto, mettendosi davanti alla sua preziosa Invocatrice ed impedendo a Boba di continuare a dire ad alta voce cosa pensasse davvero di quella ragazza “Adesso basta. Seguiamo i tuoi ricordi, cacciatore di taglie!”.
Il governatore Fett lasciò cadere la discussione: la guida era lì soltanto per proteggere Zachar e Kaspar, e qualsiasi cosa potesse architettare ai loro danni sarebbe andata in fumo; detestava trovarsi senza alleati, senza Tarkin e Maul a coprirgli le spalle, senza un esercito di droidi e cloni e la certezza di avere qualche asso nella manica.
No, non aveva assi nella manica e non sapeva quale carta usare per uscire da quel luogo.
Come previsto, la sera scese molto rapidamente. Al tramonto le nevi del Carahdras avevano un colore sublime, arancione e rosa che si mescolavano all’azzurro del cielo; quel mondo aveva un cielo azzurro, limpido, non come quello terso di Coruscant o carico di nuvole nere come quello di Kamino. Era una delle caratteristiche della Terra II, il mondo dei loro avversari, i Ribelli. Qualsiasi paesaggio, dalla più umile campagna ai boschi degli elfi, riusciva a mozzare il fiato più di qualsiasi altro pianeta sotto il dominio imperiale. Purtroppo non era nella condizione di apprezzarlo al massimo: l’aria gelida stava penetrando sin sotto l’armatura, e guardando Ash in maglietta a mezze maniche si rese conto che doveva accelerare il passo.
Andò avanti, senza curarsi né della guida né di Zachar o Kaspar.
Ricordava benissimo l’ubicazione della grotta dove lui e gli altri avevano trovato riparo durante la vecchia, reale missione, ma le voci che giungevano da lì avrebbero potuto guidare benissimo anche un cieco.
Gli avevano spiegato che doveva rivivere i suoi ricordi …… beh, semplicemente non ne vedeva l’ora. L’avrebbe di nuovo stretta tra le braccia, fosse stata anche solo un’illusione.
Quando entrò nella caverna ritrovò tutti i Signori Oscuri riuniti, proprio come tanti anni prima.
“Ragazzi, qualcuno ha qualche idea su come scaldarsi? Non mi sembra che nei nostri zaini ci sia qualche fuscello di legna in dotazione!”.
Ecco il ricordo di Tarkin, stanco ed irritato proprio come quella volta; lanciava occhiate furibonde a tutto e tutti.
Se fosse stato per lui cancellerebbe qualsiasi ricordo di questo viaggio dalla sua vita!
Alle sue spalle sentì Auron arrancare mentre i membri del suo gruppo entravano nella caverna, ma non li degnò di molta attenzione: era molto più intento a sorridere davanti al ricordo di Saruman e Dooku che, a dispetto di ogni condizione climatica, si erano portati numerose valigie su per il monte contenenti i loro effetti personali. Quasi gli scappò una risata quando li vide aprire con eleganza le valigie ed estrarne con trionfo delle pellicce “Io e Dooku ci siamo portati qualcosa per coprirci perché siamo sempre preparati ad ogni evenienza!”.
“Saruman, per me potresti usare anche quella specie di pelliccia che ti ritrovi al posto della barba” fece con noncuranza il ricordo di Maul, che cercava di sintonizzare la sua radio portatile per ascoltare i risultati delle Olimpiadi di nuoto della Terra I.
“Per quel che mi riguarda voi, feccia della galassia, potreste anche scavarvi una buca come gli animali e dormire per terra. E buon pro vi faccia!”.
Una delle loro storiche litigate.
Quella volta vevano passato quel viaggio saltando alla gola l’uno dell’altro, con l’unica certezza che l’Imperatore non avrebbe accettato alcun fallimento nella missione, dovendo scendere a compromessi tra loro per poter arrivare vivi alla meta finale.
Si girò verso il suo gruppo: Zachar aveva un’espressione di puro odio dipinta sulla faccia quando vide Tarkin; pur sapendo che era soltanto un’illusione la sua ira traboccava da ogni poro. Di contro il ricordo del suo amico continuò ad ignorare tutti loro, continuando a sbraitare sulla condizione poco dignitosa ed arrivando ad accettare di dormire appiccicato a Maul per non congelare.
Nessuno degli altri Signori Oscuri prestò ai nuovi arrivati molta attenzione: Saruman e Dooku si prepararono con cura i loro giacigli e Maul si isolò dal resto del mondo mettendosi le cuffiette.
Ash fece un saluto con la mano alla proiezione di Brock, ma quello si sdraiò ed iniziò a russare così forte che avrebbe potuto causare da solo una valanga.
“Direi di imitarli” fece la guida, e per l’ennesima volta il corpo di Kaspar svenuto venne lanciato per terra ed abbandonato in un angolo, e Boba vide Ash staccarsi dalla squadra e sistemarsi accanto a Brock, proprio come tanti anni prima.
Adesso …… adesso è il mio turno …
Cercò Zam.
Quella notte di tanto tempo fa si erano semplicemente sdraiati uno accanto all’altra per combattere un po’ il freddo e nulla più; ma il cacciatore di taglie sapeva che da quella sera il suo cuore aveva iniziato a legarsi a lei in maniera indissolubile. Si era reso conto di chi fosse lei in realtà, di quello che provava dietro la sua aura di invincibilità, del fatto che vivesse in costante equilibrio tra i ricordi del passato e le sofferenze del presente. Aveva pensato a queste ed altre cose mentre si stringeva a lei, ed aveva imparato a guardarla sotto una nuova luce.
Aveva ringraziato il gelo del Carahdras per quello.
Avrebbe accettato di ripetere mille e mille volte quell’avventura solo per ripetere all’infinito quel momento, e adesso le Stanze della Memoria stavano per avverare il suo desiderio.
Ma, si rese conto solo in quell’attimo, lei non c’era.



Si erano addormentati tutti, Zachar compresa. Le immagini illusorie dei suoi amici erano sempre lì, avvolti in un sonno profondo tra qualche coperta ed il russare di Ash e Brock.
Dopo aver tanto pensato, il cacciatore decise di prendere il coraggio a quattro mani e seguire uno dei principali consigli di Tarkin “Vuoi scoprire qualcosa? Alza il sedere e cercalo!”.
Auron aveva annunciato di voler fare il primo turno di guardia, e si era seduto per terra, a gambe incrociate, fissando torvo la nevicata che infuriava a pochi metri dall’ingresso del loro rifugio; nonostante Boba fosse più che certo di non aver incontrato bestie pericolose su quel monte, l’uomo aveva deciso di instaurare lo stesso dei turni di guardia. E non era una cattiva idea, considerato che avevano sempre Kaspar tra i piedi.
“Qualcosa non va?” fece l’uomo, senza nemmeno voltarsi.
“Sì. I miei ricordi, i miei veri ricordi, non sono questi. Questa compagnia è incompleta, manca una persona!” la frase successiva la ammise in un soffio “Qualcuno di molto importante per me!”.
Auron si girò, fissandolo con il suo unico occhio da dietro le lenti degli occhiali. Boba aveva la netta sensazione di non andargli a genio, ed un cacciatore di taglie di solito non si sbagliava su queste deduzioni. Un peccato, perché il senso pratico del mercenario non gli dispiaceva. Ma aveva anche il presentimento che nascondesse loro qualcosa.
“Evidentemente non è qualcuno di così importante”.
“E INVECE LO E’! E’ la vostra idiota Stanza della Memoria ad essere difettosa!”.
Auron non aveva idea di ciò che stava dicendo.
Dopo Tarkin e Maul, Zam era la persona più importante della sua vita.
Anche dopo mille incomprensioni, lei aveva ancora in pugno il suo cuore. Quello era il ricordo in cui aveva scoperto di essere innamorato di lei, importante come poche cose al mondo.
Lo sguardo della guida era ancora più penetrante “Non credo che spetti ad un comune essere umano di dubbia reputazione il giudicare la potenza delle Stanze”.
Dubbia reputazione a chi?
Gli si parò proprio davanti, cercando di intimidirlo con la sua armatura ed il sordo rumore di un blaster che si attivava “Mi stai dando del pazzo, guida?”.
Non funzionò affatto. L’uomo davanti a lui non fece caso né al luccichio del metallo né alle armi in bella vista; continuò a guardarlo, torvo, al di sopra della sua ridicola montatura; Boba lo aveva visto in azione per pochi attimi, ma abbastanza da sapere che se quel mercenario poteva fermare Kaspar sarebbe stato capace di ridurlo in pezzettini da monetine da un centesimo in pochi istanti. Ma non poteva permettersi di dirgli che il ricordo di Zam non era importante.
Non dopo quello che era stato costretto a vedere nella Stanza precedente.
“Del pazzo non credo proprio. Della persona infida e senza scrupoli sì!”.
“Per quale motivo?”.
“Zachar mi ha raccontato quello che tu ed i tuoi compari le avete fatto in passato. Non vi siete fatti scrupolo ad ingannarla facendo leva sui suoi sentimenti!”.
“E a te cosa importa?”.
Quella guida era un perfetto idiota. Era chiaro che non si era mai trovato a tribolare ogni giorno contro le cospirazioni di Kaspar ed i suoi mille tentativi di ucciderli e farsi bello davanti all’Imperatore. Non aveva idea di quali intrighi lo stregone era capace e di quanto sacrificio era stato necessario per uscirne incolumi; per colpa sua Daala era stata accusata addirittura di alto tradimento ed era stata costretta a nascondersi addirittura presso l’Alleanza Ribelle, rendendo infelice il suo migliore amico.
Quell’oca di Zachar era stata l’unica alternativa possibile per salvare l’ammiraglio: erano stati costretti a sacrificare lei per permettere a Daala di fuggire, e lo avrebbero fatto non una, ma mille volte. Era una stupida ameba al servizio di Kaspar, ed il mondo sarebbe stato di certo migliore se quei due fossero spariti per sempre dalla faccia dell’Impero Galattico.
Non avevano bisogno della loro magia e della loro arroganza.
L’oca si era lamentata con la guida, e questo la rendeva ancora più fastidiosa di quanto non fosse.
L’uomo si prese in giusto tempo per guardarlo negli occhi, tenendogli testa come poche persone sapevano fare. Forse per mostrargli che non era solo un burattino al servizio dei Membri dell’Organizzazione.
“Il mio dovere è proteggere l’Invocatrice in ogni situazione. E non mi sento sicuro ad averti nel gruppo, cacciatore di taglie”.
Già, come se io mi sentissi sicuro a girare con Kaspar e Zachar senza nemmeno un plotone di assaltatori dalla mia parte ……
Per un attimo gli balenò l’idea di attaccarlo, aprirgli un buco nel petto e far fuori Zachar e Kaspar mentre erano ancora nel sonno. Si fermò solo ricordandosi ciò di cui era capace l’uomo davanti a lui. Se lo avesse abbandonato in quella Stanza non avrebbe saputo come uscirne.
Guardò di nuovo verso l’interno della grotta, ma l’immagine di Zam non si era formata in nessun angolo.
Auron non aveva intenzione di rivelargli nulla di più, e di sicuro non gli avrebbe estorto nemmeno una parola anche se fossero andati avanti a discutere per tutta la notte.
Se la Stanza della Memoria non voleva ricreare l’illusione della donna che amava lo avrebbe fatto lui: si sdraiò a terra e cercò di immaginare il corpo ed il viso di lei con tutta la forza che aveva. Non avrebbe permesso a quel maledetto Castello dell’Oblio di cancellare la sua bellezza e la sua perfezione. La amava ancora, nonostante tutto.



“Grazie …… per quello che hai detto”.
Zachar si portò alle spalle di Auron, sfiorandogli la manica. Era troppo agitata per dormire e faceva troppo freddo su quel monte, dunque non era riuscita a sprofondare in un sonno ristoratore; aveva sentito il governatore Fett alzarsi, minacciare Auron, alzare la voce incurante di tutti coloro che riposavano in quella grotta, esseri umani ed illusioni. Avrebbe preso volentieri quel clone maledetto a Palle di Fuoco e mandato le sue ceneri ai suoi due degni compari, ma non voleva che i Membri dell’Organizzazione se la prendessero con Auron per la sua scomparsa “Quest’uomo ed i suoi amici sono stati il mio incubo per molto tempo”.
Era certa di averlo colto alla sprovvista, ma vide con piacere che lui le rivolse un sorriso.
“Invocatrice, lei dovrebbe dormire”.
“Auron, posso chiederti di darmi del tu?”.
Si mise seduta vicino a lui, incantata e terrorizzata allo stesso tempo dal panorama al di fuori del loro rifugio. Nel Regno delle Tenebre non c’erano notte e giorno, solo una perenne oscurità; non c’erano vento o nuvole, e mai una sola goccia d’acqua era caduta dal cielo.
Era la prima volta che fissava una tempesta di neve e ghiaccio. Il vento, là fuori, mandava delle urla di dolore, scuoteva i fianchi della montagna ed il buio del cielo era costellato di neve, tanta neve che si abbatteva a pochi metri da loro. Uno spettacolo superbo, che non avrebbe mai avuto occasione di osservare con i suoi occhi se fosse rimasta in eterno al fianco di Kaspar.
Una delle tante occasioni nuove per cui si sentiva di dover ringraziare quello strano Castello.
Da quando era lì dentro si sentiva rinata, più forte, come se avesse iniziato ad aprire gli occhi sul mondo solo in quegli attimi.
Non si accorse di star rabbrividendo finché Auron non le avvolse il proprio mantello intorno alle spalle. Poteva sentire ancora il calore del suo corpo ed il suo profumo impregnato in quella stoffa rossa.
“Quel Boba Fett mi piace sempre meno. E mi dispiace che tu debba sopportare la sua presenza”.
“Lo so, ma …… quando tornerò all’Impero riavrò di nuovo lui ed i suoi amici tra i piedi. Dubito che riuscirò mai a liberarmi della loro insolente presenza. Ed io che un tempo ho anche cercato di aiutarli ……”
“Non sei obbligata a tornare con loro”.
Cosa?
E dove sarebbe potuta andare? Odiava l’Impero e chi lo comandava, odiava tutti i Signori Oscuri e la propria debolezza. Era chiaro quello che Kaspar ne pensasse di lei, le Stanze della Memoria le avevano mostrato la verità: era stata soltanto un’idiota a credere che il loro amore sarebbe stato eterno. L’Imperatore l’avrebbe fatta cercare ovunque, perché senza lo stregone lei rimaneva l’unica vera maga al suo servizio. Al suo ritorno da quel viaggio non sarebbe cambiato nulla. “Potresti rimanere qui!”.
Non era del tutto serio, lo poteva leggere dai suoi occhi e dalle pieghe intorno alla sua bocca. Era sempre stato imperscrutabile, ma nel corso degli eventi aveva imparato a non giudicare solo i suoi gesti calcolati e freddi, ma anche il suo raro sorriso. Forse lui si accorse dei suoi dubbi, perché le mise una mano sulla spalla “Potresti entrare nell’Organizzazione, dico sul serio! Sono sicuro che sarebbero felici di avere una maga come te nel gruppo!”.
Proprio così.
Tutti volevano la sua magia, non lei.
Kaspar voleva qualcuno che lo consolasse di tanto in tanto, l’Imperatore aveva bisogno di carne da cannone e di certo anche i Membri dell’Organizzazione avrebbero apprezzato un’incantatrice dalla loro parte.
“Sai, non è necessario che tu ti costruisca un’arma tutta da sola! Ne hanno così tante nel salone dei cimeli! Appartenevano ad altri membri, sono sicura che quello strumento musicale azzurro si adatterebbe molto a ……”
“E tu?”.
Non sapeva da dove le fosse scaturita quella domanda. Ma era lì, con lui, una delle poche occasioni che avevano di parlarsi senza nessun altro tra loro. Quando Kaspar le aveva dato del divertissement lui aveva reagito in maniera sorprendente, molto più di quanto il semplice ruolo di guardia del corpo gli avrebbe permesso.
Tu saresti felice se io restassi?”
Rimase a guardarlo, sorpresa per la propria intraprendenza.
Lui abbassò la testa, lasciandola in dubbio. C’era qualcosa di sbagliato in ciò che aveva chiesto?
Rimase lì, avvolta nel suo mantello, cercando di scrutare un cambiamento nei lineamenti dell’uomo che aveva accanto. Qualcosa che la aiutasse a capire cosa passasse nella sua testa, in parte curiosa di sentire la risposta.
Seguì un minuto di silenzio agghiacciante.
Auron aveva chiuso gli occhi ed il suo respiro si era fatto più profondo, grave “Zachar, devi andartene da qui”.
Ma cosa ……
“Mi dispiace, ma non ce la faccio più. Non voglio che tu arrivi all’Invocazione Suprema. Avrei dovuto fermarmi molto prima” scosse la testa, e la ragazza vide nei suoi occhi una letale unione di rabbia e tristezza “Una volta usciti da questa Stanza ti riporterò indietro!”.
“Auron, che cosa ……?”
“Ascoltami e rispondimi” si avvicinò a lei e le strinse con vigore la mano. Aveva le mani dure e tagliate, diverse dalla pelle perfetta e levigata di Kaspar. Ma quelle mani non riuscivano a celare il nervosismo della sua guida, e la ragazza ebbe paura di quello che l’uomo stava per dirle “Tanti anni fa, nel Regno delle Tenebre, come sei riuscita a sconfiggere Endimion?”.
“Auron, cosa c’entra con ……?”
“Dimmelo e basta!”
Il cuore le batté all’impazzata, non capiva per quale motivo lui si stesse comportando in quel modo. Rivide davanti a sé l’espressione snervante di Endimion, ma continuava a non capire perché la sua guida avesse un’espressione così agitata…… “Lo ingannai …… finsi di creare una Catena di Fulmini e poi evocai delle Lame di ……”
“NO”
Cosa gli prende adesso?
“No, Zachar! Questo è quello che è accaduto nella prima Stanza della Memoria! Io ti sto chiedendo quello che è accaduto DAVVERO!”
“Auron, calmati” doveva riprendere la situazione in pugno, perché stava dicendo frasi senza senso? “Fidati di me. Ti ripeto che ho ucciso Endimion con le mie mani, lo ho sconfitto e sono diventata una dei Quattro Malvagi del Regno delle Tenebre”.
“No. Non sono andate così le cose. E tu purtroppo non te lo ricordi più”.
Il ghiaccio del Carahdras la avvolse del tutto. Auron stava forse impazzendo? Non era così folle da non ricordare uno degli eventi principali della sua vita, non ne aveva alcun motivo. Fissò i suoi occhi, adesso terribilmente vicini ai suoi, che non riuscivano ad allontanarsi.
La sua mano la strinse quasi con violenza
“Zachar, le Stanze della Memoria hanno il potere di far rivivere i ricordi più importanti della nostra esistenza. Ma anche di modificarli, se necessario. I miei padroni, i saggi e potenti Membri dell’Organizzazione, hanno alterato i vostri ricordi. Tu ……” il suo tono si fece basso, ma le sue parole la martellarono, accompagnate dal forte vento al di fuori della grotta.
“Tu …… non hai mai vinto il torneo da sola. E’ stato Kaspar ad aiutarti”.
“Kaspar …… figuriamoci …… Auron, tu deliri!”.
Cosa stava dicendo? Ricordava ogni singolo atto di quello scontro. Kaspar era rimasto ai piedi del trono della regina, immobile come un cagnolino al guinzaglio; aveva perso ogni speranza in lei dopo le lezioni, l’aveva abbandonata e lei aveva dovuto tirare fuori gli artigli per rimanere in vita. Kaspar era stato solo un silenzioso spettatore.
“Zachar, non solo tu …… anche Ash …… e quel Boba. Mi ha detto di non trovare l’illusione della donna che ama in questa grotta. E’ un condizionamento dei miei padroni, sono certo che col tempo si dimenticherà di averla mai conosciuta qui”.
Non me ne importa niente del governatore Fett e di quella maledetta di Wesell!
Cosa sta succedendo? Perché mi sta dicendo queste cose?

“Le vostre menti sono condizionate, Zachar. I vostri veri ricordi sono stati cambiati, e così anche tu…… ti hanno resa più intraprendente e più forte, ti hanno liberata dal controllo di Kaspar! Ma tu …… non sei davvero così …… mi dispiace ……”
Lei …… non era davvero così ……
Cosa voleva dire ……..
E cosa volevano i Membri dell’Organizzazione, perché ……
E quali altri ricordi ……… quali sono i miei veri ricordi?
E, soprattutto, c’era una sola domanda che poteva porgli “Perché?”.
“Hanno bisogno che tu completi il passaggio attraverso le Stanze per portare a termine l’Invocazione Suprema. Nell’ultima stanza libererai l’energia accumulata durante questo viaggio, ma per farlo tu ……”
“IO COSA?”
“Dovrai morire”.
Zachar non trovò le forze per rispondere. Davanti a lei c’era solo Auron ed il suo spadone, ed intorno la grotta, i ricordi, Ash, Fett, la neve, tutto iniziava a vorticare. Chiuse gli occhi, aggrappandosi a tutti i suoi ricordi, incapace di distinguere quali fossero reali e quali finzione. Auron, l’unico punto fermo in quell’enorme vortice, la stava stringendo e la ancorava al mondo reale. Chiuse di colpo le palpebre e rivide il suo duello con Endimion, la magia che crepitava, il suo scudo alzarsi, i fulmini che mutavano in lame di ghiaccio e ……
E di nuovo lui, di nuovo lo scontro, ancora una volta la magia che si formava con identico tempismo, la stessa espressione dipinta una seconda, poi una terza ed una quarta volta sul volto dell’avversario. Strinse gli occhi più forte che poté e la scena iniziò a ripetersi, perfetta come prima, un caleidoscopio dipinto del sangue del suo nemico e della sensazione di vittoria e potere che si accostava a quella scena.
Tutta la soddisfazione era un sogno, le aveva detto Auron.
Possibile …… che ci fosse anche Kaspar in quel momento?
Si concentrò sulla sua memoria, ma quella scena si ripeté una quarta ed una quinta volta. Identica, precisa, delicata, e lasciò che svanisse nel nulla tornando a guardare il viso della sua guida. Non le ci volle molto a capire quanto gli fosse costato rivelare una cosa del genere “Auron …… immagino che i Membri dell’Organizzazione non siano molto contenti di ciò che tu mi hai rivelato”.
“Lo so ma …… non ce la facevo più ad ingannarti. Non voglio vederti morire”.
Lui le aveva detto che questa sua nuova forza era fasulla, scaturita dai falsi ricordi che il Castello ed i suoi padroni le avevano messo nella testa.
Ma se era una bugia ……
Senza nemmeno riflettere si protese verso di lui e lo baciò.
Non aveva alcun motivo per farlo, i suoi sentimenti erano solo bugie, ma ricordi condizionati o meno si lasciò trascinare da quella spinta. Il sapore di quelle labbra era un po’ salmastro, secco, ma almeno era reale.
Non gli diede nemmeno il tempo di rispondere o ricambiare, perché al semplice contatto del suo viso e del suo corpo aveva capito quale fosse l’unica via da seguire “Fammi uscire di qui. Userò l’energia accumulata per dare una lezione a questi Membri dell’Organizzazione. Non dovrai più servirli”.
Improvvisamente non aveva più freddo.
“Mi terrò questi ricordi falsi, Auron. Ma prima mi sbarazzerò di questa gente spregevole che gioca con la mente altrui”.
“No. Questo non puoi farlo!”.
La sua voce …… sembra diversa ……
Auron le lasciò la mano di colpo, alzandosi e portando un palmo proprio a livello della fronte “Zachar …… tu non devi fare del male ai Membri dell’Organizzazione!” fece, ma la ragazza ebbe l’impressione che la pupilla dell’uomo si restringesse mentre tutto il corpo si piegava in due.
“Auron, ti senti male?”.
“No. Non devi fare del male ai Membri dell’Organizzazione. Loro sono saggi e potenti!”.
Il tono di voce era tornato quello dell’Auron intransigente e fermo con chiunque, ma più che un soldato le sembrava un disco rotto “Non devi fare loro del male. Sono saggi e potenti. E io ……”
La spinse lontano, e lei si trovò con la schiena nella neve. I lineamenti di Auron sembravano sconvolti, continuava a portarsi la mano alla fronte e nella foga aveva lasciato cadere i suoi occhiali; raccolse subito tutta la magia a sua disposizione, e mentre l’uomo si agitava cercò con foga la presenza di qualsiasi incantesimo nell’aria che potesse star disturbando Auron.
Ma non c’era nulla, lì, oltre la neve.
“Non devi …… fare …… del male”.
Troppo tardi Zachar si accorse del pericolo. Aveva sempre puntato gli occhi sull’uomo e sulla sua spada, temendo una reazione violenta, ma non si accorse della strana boccetta fino a quando non fu troppo tardi. Lui la estrasse con violenza dalla cintura, strappando la corda, e gliela lanciò contro con inaudita violenza. Prima ancora del dolore delle schegge di vetro nel braccio alla sua mente arrivò una sensazione di intorpidimento profondo, e nonostante la coltre di ghiaccio il mondo intorno a lei si tinse di nero.
“Auron ……”



Mu era ancora scosso per la battaglia quando il Portale Oscuro si aprì davanti ai suoi occhi.
Non ci volle molto a capire che qualcosa non andava.
Auron era in uno stato pietoso, senza giacca e con un’espressione indicibile dipinta sul viso; non gli vide ferite addosso, ma se aveva abbandonato la sua Invocatrice la situazione era grave.
“Mu, ti devo parlare. ORA”.
Il sacerdote lanciò uno sguardo sospettoso verso la sua compagnia, incontrando solo gli occhi luminosi di Mistobaan che lo fissavano torvo; tutti gli altri erano addormentati, stremati, e solo gli dèi sapevano quanto Mu si sentisse in colpa per quello che stava succedendo. Il punto dove Mara lo aveva colpito continuava a pulsare, ma forse era solo la sua coscienza ad alimentare quel dolore.
“Ho deluso i Membri dell’Organizzazione, Mu. Non so cosa mi sia preso”.
Incurante di tutto Auron gli raccontò ciò che era accaduto nella Quarta Stanza, dalla litigata con quel Boba Fett fino al bacio con l’Invocatrice “Ora l’ho addormentata con uno dei sonniferi che ci ha consegnato padron Vexen …… ma adesso lei sa tutto, e quando si sveglierà ……”
“Auron, ti rendi conto di quello che hai fatto?”.
“Sì, Mu, non trattarmi da idiota! Ma non ce la facevo più”.
Si rimise con lentezza gli occhiali sul viso, ed il sacerdote sentì il suo sguardo posarsi su di lui.
“A costo di mandare a monte l’Invocazione Suprema non voglio sacrificarla!”.
“Auron, anche a me non piace l’idea di dover perdere la mia Invocatrice, ma è il nostro compito!”.
Ma non trovò la forza di supportare la sua affermazione.
Si rese conto di dirlo con gli occhi a terra, fissando gli stivali dell’amico e stringendo i pugni più che poteva. Strinse con forza anche il suo rosario, come a voler conficcare i grani nella pelle, ma l’unico dolore che sentiva era quello degli occhi di Mara mentre la sua amica annegava in dei ricordi che non le appartenevano.
“Auron …… dobbiamo fidarci di quello che ci hanno detto i Membri dell’Organizzazione!”.
“Perché?”.
Che domanda è questa?
“Perché sono saggi e potenti, è chiaro!” come poteva essere altrimenti?
Come poteva Auron dubitare della loro grandezza? Nella sua mente comparve l’espressione di padrona Larxen che danzava tra i fulmini e di padron Axel che poteva incendiare il mondo intero. Rivide lo sguardo serio di padron Marluxia che camminava a passo lento per le stanze e l’azzurro indecifrabili degli occhi di padron Zexion, che con i suoi poteri riusciva a sapere ogni cosa. Ed in ultimo, maestoso, c’era padron Vexen nel suo laboratorio, lo scudo nella mano sinistra, la cui mente poteva spingersi dove nessun altro uomo poteva arrivare.
Non aveva motivo di dubitare della loro onnipotenza.
“Mu …… ti sei sentito?”.
L’immagine dei suoi signori sfumò e tornò ad osservare il pavimento ed i piedi di Auron, incapace di spiegare perché il suo cuore fosse così in subbuglio.
“Anzi …… ci siamo mai ascoltati? Io e te” Cosa mi vuole dire?
“Me ne sono accorto poco fa, parlando con Zachar. Ma volevo esserne sicuro e per questo sono venuto da te. Tu stesso mi hai detto di non voler sacrificare i membri del tuo gruppo, ma ……”
“Ma i Membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti, loro sanno ciò che è giusto e ……”
“MU, CAVOLO, QUANTE VOLTE ABBIAMO RIPETUTO QUESTA CANTILENA?”
Tante.
Troppe.
Si era sempre nascosto dietro a questa frase.
L’aveva usata come scudo quando aveva rapito le due donne dalla loro casa ed aveva impedito a Daala di prendersi cura di sua figlia. L’aveva ripetuta a Mara sul Baan Palace quando lei lo aveva colpito. Ma soprattutto l’aveva ripetuta mille volte a se stesso.
Era la scusa sua e di Auron, la motivazione che li aveva condotti in quel Castello e li aveva portati a giurare fedeltà a quei cinque uomini vestiti di nero; era convinto della loro onnipotenza, convinto fino al midollo, loro erano saggi e potenti ……
L’ho pensato anche adesso ……
Auron lo scosse nelle spalle con violenza, e il suo sguardo incrociò quello del suo amico, e vide una luce di rabbia che iniziava lentamente a comprendere “Allora, Mu, quante volte l’hai ripetuta? Quante volte l’abbiamo usata per giustificare quello che non ci piace, eh?”.
“Auron, tu lo sai, io ……”
Si sentì scuotere come una bambola di pezza, e la testa iniziò a pulsare; mille immagini arrivarono alla sua mente, e lasciò cadere il rosario per stringere quella pioggia scrosciante di pensieri, suoni ed immagini che lo stava assalendo.
“IO NON VOGLIO FAR LORO DEL MALE, MA ……”
“MA? MA?”.
“MA I MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE SONO SAGGI E POTENTI! E ……”
Le parole erano arrivate prima ancora che lui potesse anche solo formulare l’idea, il semplice pensiero. Avevano attraversato la sua mente come un fulmine, oltre il viso di Daala, il pugno di Mara, il sorriso gelido di Tarkin e gli occhi di Mistobaan. Erano arrivate per prime, poteva sentirle rimbombare nelle orecchie.
La frase successiva la pronunciarono insieme, proprio come, tanto tempo prima, lui ed i suoi confratelli snocciolavano in coro i salmi appena imparati davanti al maestro Sion “ …… e padron Vexen è il più saggio e il più potente di tutti”.
Ebbe paura come mai fino a quel momento.
Paura di se stesso e di quelle frasi che improvvisamente gli suonavano come terribilmente estranee.
L’orribile sensazione che qualcuno gliele avesse insaccate a forza nel cervello.
A chi appartenevano quelle parole?
Fissò Auron, e capì che sul proprio viso vi era dipinta la stessa espressione di paura e disgusto che vedeva nell’amico.
“Hanno condizionato anche noi”.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Sfida tra i ghiacci ***


Capitolo 17 - Sfida tra i ghiacci


zexion, fanart not by me

Zexion




Poche cose riuscivano ad irritarlo più dello sguardo penetrante di Marluxia.
Ad esempio lo sguardo penetrante di Marluxia unito al sogghigno di Larxen.
Non aveva il potere di allontanare gli odori più sgradevoli, né di scegliere cosa o come percepire: Zexion scosse la testa e si fece coraggio, cercando per una volta di concentrarsi sugli occhi dei suoi interlocutori e non solo sul loro fastidioso odore.
“Ehi, cosa ci fa qui il piccolo, tenero, tondo e morbido Zexy?”
La soluzione migliore è ignorarla.
“Che c’è, quando hai finito di giocare con Vexen vieni da noi per farti consolare? Ma guarda che faccino triste triste che hai …”
Il ragazzo fece scivolare la mano sotto la manica della tunica. Fino a qualche secondo fa il vetro della piccola ampolla di veleno gli era sembrato gelido, pungente, doloroso, quasi come se Vexen vi avesse caricato dentro tutto il suo odio. Adesso sembrava molto più familiare, protettiva, ed il lasciarla scivolare non vista tra le sue dita gli conferiva un certo senso di sicurezza.
Un tempo si sarebbe fatto molti più scrupoli ad uccidere una persona, persino una pazza pericolosa come Larxen.
Ancora indeciso su come farle arrivare il contenuto di quella provetta, il n.VI diede le spalle alla Ninfa Selvaggia e rivolse lo sguardo all’altro membro dell’Organizzazione. Il n. XI era concentrato solo sul suo piano.
“Vuoi qualcosa di particolare, Zexion?”
Sì, vorrei che gli Inferni vi inghiottissero. Tutti quanti.
“E’ raro vedere la tua figura minuta in nostra compagnia!”.
“Non desiderate che io scopra qualcosa su tutti gli oggetti che avete svaligiato a quell’Intercessore? O siete già riusciti a venirne a capo da soli?”
Sì, era una scusa pietosa. Ma il ragazzo aveva imparato che anche le scuse più semplici potevano essere vitali. Gli odori gli risposero quasi immediatamente.
Marluxia non aveva avuto nemmeno un minuto libero da dedicare al suo oggetto: si portò la mano tutta intorno al collo con uno sguardo tra il furioso e lo scocciato, e la chiave d’oro fece una rapida comparsa tra le sue dita. Zexion ne percepì il potere in un attimo, in un modo più chiaro e distinto di quanto fosse riuscito a sentirne durante la riunione; l’idea che quello strumento restasse troppo a lungo nelle mani di Marluxia gli fece correre un brivido lungo la schiena.
Sentì su di sé il peso di quegli occhi blu: “Sei certo di riuscire a capire come funzioni?”
“Mettiamola così, n. XI: sono l’unico che può riuscirci”.
Si sforzò di ignorare l’odore che gli giunse in risposta “Questi oggetti sono particolari, ma non sono la nostra priorità. Dovremmo tutti dedicare il massimo dei nostri sforzi per portare a termine l’Invocazione Suprema”.
“Io non dormirei sonni tranquilli sapendo di avere al collo qualcosa di magico e poco controllabile ……”
Detestava quel sorriso. Gli dava costantemente l’impressione che lo stesse deridendo; che dietro a quel sorriso di approvazione si nascondesse un secondo interesse, più profondo, che nemmeno il suo olfatto prodigioso poteva prevedere.
“Il piccolo Zexion cerca di metterti paura, Marly? Io mi sentirei molto, molto intimorita!”
“Larxen, piantala. So dire NO da solo, grazie”.
Marluxia sciolse il laccio intorno al collo e si toccò la chiave d'oro. Il suo profumo di rosa dolciastra indicava una discreta quantità di dubbi, ma il ragazzo era quasi certo che il n. XI non gli avrebbe concesso l'oggetto. Per quanto fosse cosciente del rischio di portare al collo un oggetto magico non identificato, era chiaro che non volesse in alcun modo condividere qualcosa di potente con un altro Membro. Non che la cosa gli importasse, non era lì per quello.
Il suo vero obiettivo era Larxen, e la boccetta di veleno sembrava aumentare di peso ad ogni secondo che passava. Poteva sentire la sua natura indispettita, ancora mortalmente offesa per non essere riuscita a piantare tutti i suoi kunai nel corpo del n. IV.
“Larxen, sarebbe bene che io dia un’occhiata anche a quel tuo scettro!”.
“No”.
Risposta prevedibile. Odiava quella ragazzina, odiava la sua presunzione e soprattutto odiava Vexen che lo aveva trascinato in quella situazione. In quella ed in molte altre, ad essere sincero.
Lei mostrò lo scettro a bella posta, tirandolo fuori da chissà quale anfratto nella tunica: era stupendo, nero come la notte, e da così vicino Zexion notò delle decorazioni che non aveva mai ritrovato in nessun libro. L’odore che lo strumento emanava era quasi più forte della chiave, imbevuto di oscurità ed in grado di lasciare un brivido gelido per le sue ossa; non era in grado su due piedi di comprenderne il funzionamento, ma non aveva dubbi che solo una potente magia nera potesse aver forgiato quello scettro.
Qualsiasi fosse il suo effetto sarebbe stato davvero deleterio lasciarlo nelle mani di quella pazza.
“Larxen, daglielo”.
“E da quando in qua mi dai ordini, Mister Fucsia?”.
“Da quando ritengo che sia idiota avere uno scettro magico e non sapere come usarlo”.
Lasciò che fosse il n. XI a parlare: dopo l’ultima alzata di testa della Ninfa Selvaggia nemmeno lui si sentiva così sicuro a darle troppa libertà o a lasciarle in mano qualcosa di potenzialmente distruttivo.
Sapeva che Larxen lo avrebbe ascoltato; Marluxia poteva anche essere ridicolo con quei capelli rosa, ma era il membro più carismatico persino all’epoca dell’Organizzazione XIII. Era stato il capo del complotto ed aveva un notevole ascendente sull’umore della Ninfa Selvaggia.
Infatti la ragazzina esplose in una grande quantità di smorfie, facendo scorrere i suoi occhi da lui all’altro interlocutore “Uffa, certo che siete così noiosi ……
“Prenderò atto della cosa, Larxen. Ma tu consegnagli lo scettro”.
“Solo se il piccolo Zexy mi farà un favore ……”
Portarle la testa di Vexen? Tagliarmi tutti i capelli? Controllare il colore delle piastrelle del bagno di Marluxia? Come se fossi venuto qui davvero per studiare questi dannati oggetti …
Lei si alzò in piedi sul trono, puntando lo scettro verso la porta come una grande regina e con il suo pericoloso sorriso di bambina che le andava da una guancia all’altra “Voglio un’enorme tazza di cioccolata calda! La più grande del castello! E la voglio SUBITO!”.
Il n, IV ha ragione, è assolutamente pazza. Ma poteva andarmi peggio.
E la ragazza presuntuosa gli aveva involontariamente fornito l’occasione che desiderava. Si chiese se il Caso o la Fortuna stessero guardando benignamente nella sua direzione; non avrebbe avuto un’occasione migliore per avvelenarla nemmeno nei prossimi dieci anni.
Sentì su di sé lo sguardo di Marluxia e decise di prestarsi all’atto finale di quella pantomima. Abbozzò un lieve inchino nella sua direzione “Come comanda la principessa del Castello!” ed aprì un Portale Oscuro nella direzione delle cucine.
Mentre preparava la bevanda fissò la provetta, appoggiandola con cura nel palmo della sua mano. Poteva di nuovo sentire il carico d’odio racchiuso in quell’oggetto, la frustrazione accumulata dal n. IV per tutto quel tempo. Era certo che lo scienziato avesse sintetizzato quel veleno subito dopo il complotto, ma non era così ansioso di sapere a chi fosse destinato: a Larxen e Marluxia senza alcun dubbio …… per gli altri ……
Quando la cioccolata calda fu pronta stappò con precisione l’ampolla.
Poche gocce sarebbero bastate.



“Uffa, Zexy, ci hai messo davvero tanto! Ma sei andato a prepararla in qualche universo parallelo?”
Però le dimensioni della tazza erano davvero soddisfacenti: Larxen sorrise, strappandola dalle mani a quel bambino serio e musone.
Era noioso quasi quanto il n. IV ed ancora più inutile.
“Vediamo se sei stato bravo, Zexy! Se vuoi il mio scettro te lo devi sudare!”.
Quello lì non le rispose nulla, come suo solito. Non protestava, rimaneva fermo e zitto come una piantina, faceva il bravo cagnolino e nemmeno si degnava di guardarla, nascondendo il suo occhietto sotto quel ridicolo ciuffo.
A onor del vero la cioccolata aveva un odore meraviglioso. Ne aveva proprio bisogno, dopo essersi subita le ramanzine di Marluxia e di Axel l’unica cosa che potesse tirarla su di morale era proprio una deliziosa cioccolata calda “E non te ne lascerò nemmeno un sorso!”.
“Larxen, per favore, bevi e dai al ragazzo lo scettro. Non abbiamo una giornata da perdere dietro ai tuoi capricci, mi è bastata la notte scorsa!”.
“Uffa, Marly, sei quasi più noioso di Vexen … fammi gustare la cioccolata che il piccolo Zexy mi ha preparato con tanto affetto ……”
Il Portale Oscuro si aprì all’improvviso proprio a qualche centimetro da lei. Marluxia evocò in un attimo la falce, Zexion corse verso l’uscita e lei come d’istinto sguainò i kunai, scagliando con rabbia la tazza contro il muro dalla parte opposta della stanza. Chiamò a sé i suoi fulmini, ed avrebbe dato a chiunque avesse aperto quel Corridoio un frizzante benvenuto se non ne fosse uscito prima Axel, sudato e con le guance più rosse dei suoi capelli.
“Axel, mi sembra di averti detto di non aprire mai …”
“Tappati la bocca, Bocciolo di Rosa”
La ragazza ritirò le armi, anche se le avrebbe piantate volentieri in qualche punto dove al roscio impiccione avrebbe fatto davvero male.
“Ce l’hai con me, Axel? Prima interrompi il mio divertimento con Vexen, adesso te la prendi con la mia cioccolata! Sei davvero ……”
“Uff, Larxen, chiudi il becco!”
Guardò con profondo dispiacere la macchia marrone sul muro, immaginandosi come sarebbe stato divertente vedere al suo posto il sangue di Axel.
“Ragazzi …” era quasi senza fiato “… abbiamo un problema. Un grosso problema. Quel deficiente di Auron … ha spifferato tutto all’Invocatrice”
Tutto cosa?”
“Petalo Rosa, sai cosa vuol dire la parola tutto? Le stanze, l’Invocazione Suprema, il sacrificio ed il condizionamento”.
Larxen conosceva da troppi anni Marluxia per poter equivocare la sua espressione: dove una persona normale avrebbe lanciato un’imprecazione o una parolaccia lui invece si mordeva il labbro ed aggrottava le sopracciglia, fissando Axel come se volesse farlo esplodere da un momento all’altro. Aveva lasciato il roscio a supervisionare la stanza, e dovevano ritenersi fortunati che si fosse accorto della vicenda.
“A che punto stanno della stanza?”
“Non hanno ancora trovato la prova … ma credo sia questione di tempo. E quando finiranno si troveranno nella stanza dell’Invocazione Suprema”.
“Non se il nostro mercenario li fa scappare!”
“Beh, allora non c’è che una soluzione!” fece lei, sapendo che la sua idea sarebbe piaciuta a tutti “Diamo ad Auron una lezione con i fiocchi!”.
Sì, l’unica cosa che avrebbe potuto risollevarle il morale al momento era una bella battaglia con tanto, tanto sangue e qualche organo volante. Le avevano impedito di vedere il colore dell’intestino di Vexen e adesso aveva bisogno di scaricare un po’ le sue energie. Quel mercenario energumeno sembrava davvero divertente da mettere al tappeto, anche se mai quanto lo era stato Lexaeus.
Quel tradimento sembrava l’occasione propizia!
E sapeva benissimo che stavolta nessuno avrebbe potuto ribatterle!
Infatti con la coda dell’occhio vide un nuovo Portale Oscuro formarsi ad un comando di Marluxia, segnale che una nuova partita stava per iniziare “Dobbiamo riportarlo da Vexen e farlo condizionare. Larxen?”
“Sì, Marlycaro?”
“Auron ci serve vivo
Vivo non vuol dire per forza intero”.
Il sorrisetto che ricevette in risposta fu eloquente.
Il gioco poteva cominciare.
Acchiappò Axel per il bavero e si tuffò nel Corridoio Oscuro dietro a Marluxia, pregustando il suo nuovo, spassoso divertimento. Non si curò nemmeno di fare una pernacchia a Zexion prima di svanire tra gli strali delle tenebre.



Non ebbe tempo di guardarsi bene intorno che Axel cadde a terra come un sacco di patate. Il n. VIII si accucciò di colpo a terra, stringendosi le ginocchia al petto con foga e lanciando nel frattempo un paio di bestemmie. Tutta la neve intorno a lui si sciolse di colpo quando l’elementale del fuoco iniziò a produrre calore, ma la bufera continuava.
“Larxen, brutta puttana, perché mi hai trascinato qui?”
“Uffa, e che ne sapevo che ad aspettarci c’era una fighissima tormenta di neve?”
La cosa, se possibile, la divertiva ancora di più!
Tutto intorno a loro era bianco, con la neve che vorticava per il loro campo visivo senza sosta; a stento riusciva a vedere Marly, che pure si trovava a meno di dieci passi da lei, una macchia nera e rosa in quell’inferno bianco.
Visibilità scarsa.
Alto rischio di colpirsi a vicenda.
Condizioni climatiche avverse.
Lo scenario perfetto per la Regina delle Battaglie!
Guardò Axel e le venne da ridere: era riuscito a mettersi in ginocchio, ma era davvero buffissimo nel suo appallottolarsi su se stesso, stringendosi nella tunica. Lei sapeva benissimo che il suo compagno detestava il freddo e l’acqua, lo facevano quasi impazzire, ed era troppo bello vedere la sua faccia in preda al panico.
“Te l’avevo detto, Axel, che il tuo elemento fa emeritamente schifo! Ma guardati, sei tutto tremolante come un bambino piccolo ……”
Ti credi tanto forte, roscio, ma basta un po’ di neve per renderti ancora più inerme di Zexion …
“Larxen, piantala” Marluxia si avvicinò a loro, tirandosi su il cappuccio. Axel, che governava il fuoco, soffriva il gelo in maniera particolare, ma anche un elementale dei fiori non si trovava a suo agio in un simile clima; iniziò a muovere le dita rapidamente, e la ragazza era sicura di poterlo vedere serrare i denti.
Ma, a differenza di Axel, il n. XI non si scomponeva mai.
“Axel, non ci sei di alcuna utilità. Torna nelle anticamere e dai un’occhiata al gruppo di Mistobaan”.
“Sì, e visto che ci sei vai a piagnucolare da Vexen! Persino lui potrebbe sconfiggerti su una montagna!” e gli fece una sonora linguaccia.
L’altro non aveva nemmeno la forza di risponderle, ed appena comparve il Portale dell’Oscurità ci si lanciò a capofitto, e lei non riuscì a resistere di lanciare un’enorme palla di neve alle sue spalle, sperando di colpire in pieno quella testa roscia ed antipatica.
Seguì il compagno rimasto senza fare troppe storie, diritti verso la meta.
Scivolavano nella neve fino quasi alle ginocchia, e la ragazza si dovette affidare soprattutto all’udito per capire in che direzione spostarsi. Il gruppo guidato da Auron non era molto distante, si stava arrampicando su un sentiero diversi metri sotto di loro, ma oltre quella fitta cortina di neve non riusciva ad orientarsi, e la stessa sagoma di Marluxia era difficile da distinguere.
L’alba era spuntata da qualche ora, ma il cielo era fosco e grigio per la tempesta di neve della notte. Nella scarsa luce, il fondovalle innevato e pieno di rocce risplendeva, infastidendo gli occhi; si sporse e vide il gruppo disposto in ordine sparso, il gruppo dell’Invocatrice a diversi passi da quelli che sembravano solo le ombre dei ricordi di qualcuno.
Non si aspettavano un attacco.
Il suo compagno rallentò e le si portò al fianco, cauto anche nel semplice sporgersi dalle rocce, in attesa. Ma Marluxia attendeva sempre troppo, e se fosse dipeso da lui avrebbero aspettato in quell’inferno bianco per almeno un paio d’ore. E io detesto aspettare, e lui lo sa!
Lei si alzò in piedi e lo guardò “Hai un piano?”, scrutando in mezzo alla foschia dove le loro vittime comparivano e scomparivano tra i fiocchi.
“Oh, non credo che comunque a te interesserebbe ascoltarlo, mia cara. Basta non attardarci” disse, strofinandosi con forza le mani “E comunque sono un principe…… prima le signore!”.
Larxen non se lo fece ripetere due volte.
Come una vera Regina dell’Acrobazia prese la rincorsa nella neve, superò il suo compagno e si lanciò nel vuoto.
La macchia rossa era proprio sotto di lei.
Si lasciò trasportare dalla velocità e dall’aria gelida, tuffandosi verso terra proprio come un fulmine da una nuvola, il cui unico obiettivo era quello di distruggere qualsiasi cosa lungo la sua corsa.
Lei era il suo elemento, ed il suo elemento era morte.
Lanciò i suoi otto kunai tutt’intorno, lasciando che si imbevessero della sua stessa energia e che cadessero in un unico vortice insieme a lei.
Sentì l’urlo dell’Invocatrice, ma per quella massa di idioti era troppo tardi. Quando si trovò a meno di tre metri dalle loro teste lanciò un grido di battaglia non ben definito e guidò le sue armi contro l’obiettivo.
Il suo corpo rilasciò migliaia di scariche, e quando toccò terra il ghiaccio intorno a lei esplose in migliaia di schegge, gelido, mortale, e tutto intorno al suo corpo la neve iniziò a sciogliersi e fumare.
“Brutta bast ……”
L’Invocatrice fu lenta, troppo lenta. I suoi otto kunai raggiunsero il suolo, ma invece delle piccole armi affilate furono otto saette ad abbattersi sulle vittime. Larxen si teleportò proprio in mezzo a loro, assaporando l’elettricità che fluiva, godendosi l’esplosione.
La parete di roccia da cui si era appena lanciata esplose per il contraccolpo, e per diversi attimi tutti loro furono avvolti da schegge, massi, ghiaccio e fumo, una piccola valanga da cui lei si allontanò con un Portale, facendo rientrare i kunai tra le sue dita.
Auron fu il primo a rimettersi in piedi, con la sua spada rivolta verso l’alto ancora crepitante per i fulmini che aveva cercato di parare per difendere la sua preziosa Invocatrice, un gigante vestito di rosso che sembrava una fortezza nella tormenta.
Larxen gli fu addosso prima che la ragazza si rialzasse in piedi e si avventò contro il mercenario “Vuoi giocare a fare il cavaliere, Auron?” disse, scivolando accanto alla sua spada “Ma cosa farai adesso che sono arrivati i cattivi?”.
Lui roteò in fretta e furia la spada, ma non sarebbe mai riuscito nemmeno a sfiorarla “VOI … VOI VI SIETE PRESI GIOCO DI ME E MU!”
“Che ci volete fare … è troppo divertente sentirvi dire padrona Larxen è saggia e potente
Si mise a ridere, scivolando tra i fendenti della sua lama come un minuscolo pesce in una rete a maglie giganti, passandogli sopra e sotto, arrivando così vicina alla faccia del suo avversario e sfiorando la lunghezza delle sue labbra con un dito “Non ti andrebbe di ripeterlo ancora un po’? Mi dispiacerebbe perdere questo bel pappagallino!”.
Lui cercò di affondare la spada contro le sue gambe, ma lei in tutta risposta vi atterrò sopra, scivolando per tutta la lunghezza della lama ancora satura di magia ed usandola come rampa di lancio. Atterrò alle sue spalle, godendosi l’espressione confusa di quella stupida guida che poteva essere notata anche nel bel mezzo della tormenta.
“Ma non temere, tra poco tornerai a fare lo schiavetto ubbidiente!”
“Io non credo proprio” la n. XII scivolò a destra, lasciando che delle sottili lame di luce violastra si perdessero nella neve proprio dove si trovava lei qualche attimo prima. L’Invocatrice se era rimessa in piedi a fatica, con le gambe che le tremolavano, il respiro affannoso e del sangue che usciva dal suo labbro spaccato “Lascia stare Auron, brutta puttana, o dovrai vedertela con me!”.
“Ih ih, la bella bambolina roscia vuole fare la grande maga?” disse, guardando la tenera coppietta che si metteva quasi spalla a spalla “Sei davvero patetica”.
Poi i fulmini esplosero dalle sue dita e divamparono in tutte le direzioni. Uno degli aitanti di quel ricordo venne incenerito, ma si rialzò dopo qualche attimo e corse giù per la montagna in preda al panico, inseguito da tutti gli altri. Il ghiaccio e la neve nel raggio di quaranta passi esplosero e liberarono vapore.
D’istinto la sua avversaria si coprì la testa, ma le saette mirarono proprio al suo viso ed alle mani, risucchiando l’aria che cercava di respirare. La lama di Auron si frappose tra lei ed il pericolo, proprio come la Ninfa Selvaggia si aspettava.
Larxen attraversò in meno di una manciata di secondi un Corridoio Oscuro ed atterrò alle loro spalle; il suo avversario se ne accorse, ma non mirò a lui. La sua mano guizzò sulla schiena dell’Invocatrice, ed in un attimo la bella bambolina fu scagliata lontano, il corpo avvolto in decine di fulmini “Quella lì ti piace, eh, Auron? Allora forse dovrei farla soffrire ancora un po’. Nessuno si prende gioco dei Membri dell’Organizzazione!”.
Lui mugghiò qualcosa di poco traducibile, ed avanzò verso di lei con ferocia implacabile, incurante della neve e del vapore che ormai rendevano l’intero campo di battaglia impraticabile; la ragazza lasciò che l’arma arrivasse a pochi centimetri dal suo corpo prima di scivolare lontano, lasciando che la stupida guida impazzisse, menasse fendenti su fendenti senza ordine, assaporando la sua espressione furiosa. Era da quando non aveva messo al tappeto Mistobaan che non si divertiva così tanto.
Si teleportò a diversi metri e per puro divertimento raccolse una palla di neve e gliela lanciò dritta sulla fronte, facendogli volare via gli occhiali “Colpito!”.
“Larxen, adesso basta giocare!”
Anche tra le grida della gente in fuga e dei membri della compagnia dell’Invocatrice, le parole di Marluxia arrivarono superarono la tormenta ed i due duellanti si fermarono. Il n. XI aveva ancora il viso nascosto sotto il cappuccio, ma la sua falce parlava da sola.
Il corpo dell’Invocatrice ferita era disteso ai suoi piedi, ed anche in quell’inferno si poteva vedere come la punta dell’arma rosa fosse appoggiata alla sua gola con l’eleganza di un petalo di rosa. Il mercenario si fermò, ed il lampo d’odio che passò attraverso il suo unico occhio fu più eloquente di mille imprecazioni. La sua massa di muscoli era immobile.
Nemmeno Marluxia si spostò, con gli occhi che andavano dal mercenario allo stupido Intercessore, il mocho vileda che giaceva ancora svenuto in una scarpata qualche metro sotto di loro “Larxen, non ho intenzione di congelarmi le dita solo perché vuoi giocare con il nostro caro amico Auron. Ti avevo pregato di essere rapida”.
Certo, Marly, hai paura di congelarti i tuoi bei boccoli!
Si abbandonò ad un’espressione imbronciata. Era ben lungi dall’aver finito di strapazzare quel soldato traditore, il divertimento non era nemmeno a metà “Larxen, sbrigati, o gli altri ci daranno per dispersi. E non mi fido a lasciare troppo tempo Vexen da solo …”
“Uff, mi domando se Vexen non ti abbia attaccato la sua noiosità!”.
Il soldato non avrebbe mosso un muscolo, perciò la ragazza colpì con quanta forza aveva nelle sue sottili braccia dietro la nuca; i poteri del Castello l’avevano resa più forte, ed il mercenario cadde a terra con ancora la sua spada in pugno.
Era calato un silenzio assolutamente innaturale, rotto solo dai mille sibili del vento. Dei membri del gruppo nessuno si muoveva, e degli abitati dei ricordi si era persa ogni traccia, fuggiti lungo il versante est della montagna. Il suo compagno fece sparire la falce, lasciando che svanisse in uno strale d’oscurità ed in dei petali che rientrarono nella sua manica.
Scivolò accanto a lei e spinse Auron dentro un Portale Oscuro “Marly, continua ad immischiarti nelle mie battaglie e ti troverai un mio kunai in qualche posto dove ti farà molto male”.
Lui raccolse la lama del soldato e la lanciò nel Portale dietro al suo proprietario, e ne seguì un sonoro clang “Risparmia il fiato, Larxen. Il gioco è bello quando dura poco”.
Riluttante lei lo seguì attraverso l’oscurità, lasciandosi il freddo, la neve ed il divertimento alle spalle.



Tutto intorno a lui era silenzio, e la neve continuava a scendere, se possibile, ancora più fitta di prima. Si erano rimessi in marcia da nemmeno pochi minuti quando era comparsa quella donna con la tunica dell’Organizzazione ed aveva sconvolto tutto. Ash era stato scaraventato lungo un pendio quando una serie di fulmini era caduta dal cielo insieme a quella donna ed avevano fatto tremare il versante della montagna, ma si era stretto le Pokéball nelle tasche ed era atterrato sulla neve a faccia in giù.
Aveva visto il ricordo di Brock e quello del governatore Maul correre insieme agli altri Signori Oscuri lungo il versante, inciampando gli uni sugli altri in maniera indecorosa, proprio come gli originali. Il ragazzo era stato tentato di fuggire insieme a loro, ma Zachar era ancora lì sopra, era certo di averla udita gridare anche in mezzo alla tormenta.
Non era equipaggiato per una scalata, ma si aggrappò con tutte le sue forse ai pochi massi integri e si portò verso l’alto, cercando di recuperare Auron e Zachar; ma il gelo non era tollerabile, e la sua maglietta era quasi ridotta a brandelli mentre il suo cappello era volato chissà in quale valle nascosta del Carahdras. “Zachar!”
Quando era arrivato in cima la battaglia doveva essersi conclusa da poco: la prima cosa su cui inciampò fu il governatore Fett, con la sua armatura assai poco visibile ed i sensori termici che provavano a migliorare la visibilità dell’elmo. Poi notò la macchia viola e verde a diversi metri da lui e si lasciò il cacciatore di taglie alle spalle “Zachar, finalmente ti ho trovata!”.
La ragazza era ferita in modo grave, anche lui poteva rendersene conto: il corpo sembrava ancora avvolto da scariche elettriche e la schiena emanava fumo, con l’abito a brandelli e sporco di sangue in più punti. Ash cercò di non farsi prendere dal panico, ma non aveva mai visto la maga in quelle condizioni.
Cercò Auron, ma tutto intorno a lui c’era solo la tormenta.
Lei si rimise in piedi a fatica, appoggiandosi alla parete, ma non era per le ferite che tremava; le venne vicino, sorridendo perché era ancora viva nonostante quelle ferite.
“Zachar ……”
“Quei … quei bastardi …” strinse con forza le mani, e le lacrime che comparsero ai lati degli occhi si ghiacciarono immediatamente “Lo hanno portato via … hanno preso Auron …”
Trovò le forze chissà dove, mandando una Palla di Fuoco a schiantarsi sulla neve accanto solo per vederla esplodere, per sfogare la sua ira “E io non sono riuscita a fermarli!”.
Povera Zachar …… io non ci capisco molto, ma mi sa che Auron le piace un po’……
“Stai tranquilla. Usciamo da questa stanza ed andiamolo a riprendere”.
“Ash, tu … credi che ce la possiamo fare?”
Veramente non ne sono così sicuro “Ma certo!” mentì con un altro sorriso “Cerchiamo la Prova di questa stanza, usciamo e poi troveremo una soluzione”.
“Hai idea di cosa possa essere la prova?”.
“Forse io sì” fece il governatore Fett, di nuovo in piedi con Kaspar svenuto sulle spalle. Con il blaster indicò l’unico passaggio libero sul fianco della montagna, uno stretto sentiero che si inerpicava per vari chilometri senza che se ne vedesse la fine. La tempesta di neve ricominciò ad infuriare con foga sempre maggiore quando intrapresero i primi passi.


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Fonte della fan art a inizio capitolo: http://browse.deviantart.com/?qh=§ion=&global=1&q=zexion+arkoniel#/d1ze69j

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Prova di amicizia ***


Capitolo 18 - Prova di amicizia


Action Boba Fett

Boba Fett




Gli piombarono nel laboratorio come tre furie scatenate.
“Ma non lo avevi stordito?”
“Marly, tappati la bocca e tienilo fermo!”
Quando Auron mise piedi fuori dal Portale Oscuro aprì gli occhi di colpo; si rimise in piedi a fatica, barcollando, e con il braccio libero cercò di sbilanciare il n. XI e di riprendersi la sua Masamune “IO VI FACCIO A PEZZI!”.
Vexen scivolò di lato, con l’amara consolazione che il mercenario infuriato non avrebbe potuto fare più danni al suo laboratorio di quanti già non ne avesse combinati la Ninfa Selvaggia. Il n. VIII lo aveva già avvisato dell’inconveniente ed arrivò a dar manforte, scivolando tra i suoi due compari ed assestando all’uomo un calcio in pieno petto.
Sapeva che il condizionamento di Mu ed Auron era ben diverso dal lavoro raffinato che aveva eseguito su Mistobaan, un puro capolavoro del suo genio. I ricordi del Braccio Destro del Grande Satana erano stati modificati mediante la magia delle Stanze della Memoria: non aveva brutalmente inserito dati e nozioni, ma aveva alterato ricordi e sentimenti preesistenti, mai cancellando, mai distruggendo, soltanto plasmando con un’altra forma.
Piccole modifiche, che sommate insieme avrebbero cambiato nel cuore il loro nemico senza che quello potesse accorgersi di alcunché.
Il condizionamento che aveva usato su Mu, Auron e sul suo stesso assistente Camus era stato un prototipo, non aveva scomodato per quei tre esseri insulsi le preziose Stanze della Memoria. Li aveva operati proprio lì, sullo stesso lettino sul quale stavano cercando disperatamente di immobilizzare il mercenario. Quando aveva chiesto al Castello dell’Oblio di mostrargli delle guide adatte alla missione gli erano comparse le figure di Auron e del sacerdote, ma per convincerli a collaborare aveva usato un condizionamento rapido e grossolano. E, come tutte le cose realizzate in poco tempo, era bastata una piccola frattura nelle emozioni del soldato per sgretolare il suo lavoro e le numerose bugie che gli aveva inserito in testa.
Axel provò ad immobilizzargli le gambe, ed in cambio ricevette una ginocchiata all’inguine. Imprecò con tanta forza che Camus, che stava rintanato in un angolo a pulire, lasciò cadere la scopa e si segnò.
Anni di studio spesi sui libri del Castello gli avevano insegnato molte cose sul funzionamento del cervello umano, molte più di quante potesse mai sperare di trovare nel suo vecchio mondo, retrogrado ed incivile: aveva scoperto come bastasse solo stimolare alcuni neuroni per inserire ricordi finti nella sua mente, comandi o fargli dimenticare porzioni intere della loro vita. Non era come il condizionamento delle Stanze della Memoria, non era basato su modifiche graduali e toccanti, ma si era dimostrato utile.
Fino a quel momento.
Narratore: "Registe, considerato che la vostra memoria è piena di buchi come i formaggi svizzeri vi consiglio di segnarvi le righe qui sopra. Mi raccomando, non fate troppi pasticci quando parlate del condizionamento …"
REGISTE: "Narratore, noi? Incasinarci? Mai!"
Narratore: "mah … ne dubito …"

“Camus, passami dei sedativi. Tutti quelli che si sono salvati”.
Le due fiale scivolarono dalla mano del sacerdote alle sue. Vexen le osservò con attenzione: non erano ciò che desiderava, ma si sarebbe accontentato.
Uno dei pochi mobili sopravvissuti alla furia di Larxen andò in mille pezzi quando Auron, in preda ad una forza combattiva assolutamente irrazionale, scagliò con odio il n. XI contro una parete con tanto di falce “Levatemi le mani di dosso, BASTARDI CONDIZIONATORI!”
Vexen non osò immaginare come quel mercenario avrebbe ridotto le sue vertebre se fosse riuscito ad agguantarlo per il collo.
“Tenetelo fermo!”
“E ti pare facile?” borbottò il roscio. Poi tutti e tre si affollarono sopra di lui, premendolo a forza contro il letto: Larxen lo aveva acchiappato per le braccia, Marluxia si era ripreso in tempo per stringergli le gambe ed Axel vi si sedette sopra con tutto il (poco) peso che aveva in corpo.
Vexen iniettò il sedativo ad una velocità incredibile “Non temete, farà effetto”.
Dopo un altro paio di tentativi per divincolarsi l’uomo rimase immobile e tutti tirarono un sospiro di sollievo “Dunque il condizionamento è saltato”
“Già” fece Larxen, assumendo la sua odiosa espressione di bambina offesa “E tutto questo perché il signore-del-condizionamento è una schiappa emerita! Sono sicura che persino io sarei riuscita a fare di meglio!”.
Non trovò le forze per risponderle. Le avrebbe rinfacciato il suo laboratorio distrutto, anni di ricerca persi per un suo capriccio, ma l’ultima cosa che voleva in quel momento era ricominciare una battaglia. Era ancora stanco, ferito e sembrava che di colpo ogni cosa stesse prendendo una piega decisamente sbagliata. Dèi ladri.
Si avvicinò allo scaffale, cercando i bisturi. Una delle poche cose che la Ninfa Selvaggia aveva risparmiato “Vi avevo detto che questo condizionamento è più instabile di quello di Mistobaan. Può svanire da solo, se si creano le condizioni sufficienti”.
“Ho visto dalle Stanze che si è liberato dal nostro controllo per colpa dell’Invocatrice. Credo che gli piaccia molto quella specie di tavola da surf …… cosa ci troverà di …”
“Non ci interessando i tuoi commenti, Axel” fece Marluxia, sistemandosi la tunica mentre continuava a perdere petali dal cappuccio “L’importante è che Mistobaan sia stabile. Possiamo tenerlo a bada, ma se dovesse liberarsi e ci cogliesse da soli sarebbe un bel problema”.
Lo scienziato li rassicurò ancora una volta.
Il Braccio Destro del Grande Satana era l’unica cosa che non lo preoccupasse al momento. Soprattutto perché il suo Nucleo Nero lo avrebbe tenuto a bada anche se il condizionamento avesse dato problemi.
Il n. VIII diede voce ad un pensiero che aleggiava nel laboratorio già da qualche minuto “Dobbiamo tenere sotto controllo anche Mu. Se si è liberato questo idiota mercenario potrebbe farlo anche quel prete!”.
Il suo assistente stava già preparando un carrello operatorio di fortuna, sistemando i teli e gli strumenti proprio con il metodo e l’ordine che il n. IV apprezzava più di ogni altra cosa quando doveva operare “Prima occupiamoci di Auron. Camus?”
La lama era ancora coperta di sangue di chissà quale esperimento.
Quello di Mistobaan, presumo.
“Sterilizza questo bisturi. ORA. Auron ci serve ancora vivo, non possiamo permetterci di causargli una setticemia, con focolaio cerebrale per di più!”.
“Padron Vexen …… ehm … l’autoclave è stata distrutta nell’ultima …… ehm … visita di padrona Larxen … e non so se…”
Dèi ladri.
Dèi ladri.
Dèi ladri.

Se fosse dipeso da lui avrebbe congelato tutto e tutti, sbattendo la porta e risolvendo quella faccenda dell’Invocazione Suprema a modo suo, da solo, lontano da quella massa di idioti; la cosa più odiosa era vedere il sorrisetto della n. XII, che gongolava ogni volta che lo vedeva in difficoltà.
“Uff, cerchiamo di sbrigarci!”
Il n. VIII rivolse un braccio verso di lui, e dal palmo della mano esplose una fiammata “Sterilizza qui. E sbrighiamoci”.
Vexen evitò di rispondergli a tono, mandando giù l’ennesimo boccone amaro della giornata. Si limitò ad appoggiare il bisturi sulla fiamma e ad esaminare se tutti gli altri strumenti fossero pronti, preparandosi già a dover sopportare per la seconda volta la presenza della Ninfa Selvaggia durante una sua operazione chirurgica “Camus, mancano gli aghi da sutura! Camus?”
Si voltò, ma il suo assistente era sparito.
“CAMUS!”



L’Intercessore aveva di nuovo ricominciato a brontolare, ma stavolta il cervello di Mu era altrove. Ripensava alle parole di Auron ed al loro discorso, a quello che avevano fatto i Membri dell’Organizzazione, che però erano saggi e potent ……
No. Basta. Non è vero!
Erano soltanto bugie.

Ma era difficile, terribilmente difficile. Incurante della nuova lite scoppiata tra l’Invocatrice e l’Intercessore strinse il suo rosario tra le mani, scavando dentro di sé, cercando di non perdere di vista quei frammenti del suo passato che ora sembravano quasi oscurati. Lui era Mu, il Cavaliere della Casa dell’Ariete. Si era opposto con tutte le forze all’ascesa del Grande Satana e poi aveva scelto di entrare a servire i Membri dell’Organizzazione perché erano …
No, non aveva mai scelto di seguirli.
Scavò nei suoi ricordi, ma continuava solo a vedere i cinque uomini in tunica nera davanti a lui, quasi circonfusi di luce, carichi di potere.
E’ tutto sbagliato, è assolutamente tutto falso!
“Mu, ascoltami, ti prego!”
Era la prima volta che vedeva Camus da chissà quanto tempo. Non lo aveva sentito arrivare, ma era chiaro che tutti gli altri membri del suo gruppo avevano gli occhi fissi sul giovane sacerdote dell’Acquario. Di lui sapeva soltanto che era stato scelto come assistente personale di padron Vexen, ma in pratica non aveva più avuto modo di comunicare con lui. Vide subito che era pallido in volto, affannato, e con una luce negli occhi che non presagiva nulla di buono.
Non c’era bisogno di aggiungere che di certo i Membri dell’Organizzazione avessero condizionato anche lui “Mu, ti prego, è successa una cosa terribile!”.
“Camus, cosa ……”
“Io non lo so …” era nervoso, guardava da una parte all’altra, fissando con terrore Mistobaan e cercando di farsi notare il meno possibile. La sua voce si ridusse ad un sussurro, in modo che nessuno sentisse “Auron è stato portato al laboratorio di padron Vexen, e voglio fare una cosa strana, dicono che devono condizionarlo di nuovo. So che padron Vexen è il più saggio e più potente di tutti, però……”
“No, Camus, ascoltami!”.
Gli raccontò tutto, dai loro primi dubbi alla certezza assoluta, a quelle parole che salivano nella loro gola prima ancora del pensiero ed a quello che erano stati costretti a fare per tutto quel tempo. Ma mentre parlava continuava a pensare ad Auron; lo avevano scoperto e lo avevano portato via per evitare che parlasse troppo, e adesso era nei guai “Mu?”.
Il ragazzo dai capelli azzurri interruppe a metà il suo discorso. I suoi occhi vorticavano, aveva la stessa espressione incredula che aveva visto dipinta sul volto del suo amico “Io … ancora non riesco a crederci … loro …”
Si sforzò di non pronunciare quelle parole odiose.
“Verranno da te, Mu. Non sanno che tu ti sei liberato, ma vorranno controllare. Dobbiamo fingere di essere ancora condizionati, o faremo la fine di Auron. Io adesso devo tornare nel laboratorio o padron Vexen sospetterà di me, gli devo portare i suoi aghi ……”
Agli angoli dei suoi occhi si affacciò una lacrima “Ancora mi sembra impossibile, loro sono così saggi e … no, lo so che non devo dirlo, però credevo in loro. E in padron Vexen”.
“Lo so”.
Non trovò altro da dirgli, e lo lasciò scivolare nel Corridoio Oscuro prima che potesse chiedergli altro.
“Cosa voleva quell’altra lattina dorata?”.
Non ebbe il coraggio di rispondere a Mara. Non avrebbero capito. Si limitò a stringere il rosario con più forza, chiedendosi cosa avrebbe fatto il suo confratello Shaka al suo posto, o il maestro Sion o il Gran Sacerdote Dohko. Le persone che aveva stimato per una vita intera.
I grani erano gelidi sotto le sue dita, ed in risposta alle sue preghiere venne solo l’immagine di Auron che imprecava, che rideva, che faceva battute idiote su padron Marluxia; erano amici, anche se in realtà si erano conosciuti per la prima volta in quel Castello, quando le loro menti erano già controllate come dei burattini.
Ma questo rendeva quel mercenario un suo amico, anche se bestemmiava e peccava costantemente.
Isolò la sua mente, cacciò via le urla di Mara e dell’Intercessore, per un attimo si sforzò di dimenticare anche che si trovava nel Castello dell’Oblio e di essere in balia dei membri dell’Organizzazione. Strinse il rosario e cercò di meditare, di calmare il suo cuore, di cercare la sua strada come facevano i Sacerdoti delle Dodici case, liberandosi dal mondo che li circondava.
“Se non vuoi che ti faccia un altro livido sotto l’occhio ti conviene spiegarmi cosa sta succedendo, Mu!”
Cosa devo fare?
Auron era in pericolo. Ed era anche suo amico.
Prima che si rendesse davvero conto della sua scelta aprì un Portale Oscuro “Mara, mi dispiace, ho un affare urgente da sbrigare”.
Lo attraversò d’un fiato e la porta del laboratorio di padron Vexen fu proprio davanti a lui, giù nell’ultimo piano del Castello, dove la temperatura era molto più bassa che altrove e dove il n. IV aveva organizzato il suo regno.
Non sono mai rimasto a guardare ciò che non condividevo. Ho abbandonato il Tempio perché credevo che fosse mio dovere fare di più, agire, aiutare la mia gente.
Credeva di aver ormai dimenticato quei bellissimi ricordi …
Non ho mai accettato che il Grande Satana imponesse il bavaglio a noi sacerdoti, e mi sono sempre rifiutato di adorarlo come una divinità. Se mi sono unito ai Ribelli è perché il mio posto non è seduto in un Tempio, in attesa. Per quel che posso, combatterò anche io!
E lo avrebbe fatto per un amico.
Per la persona con cui aveva diviso quell’orribile esperienza, per il suo compagno di viaggio.
Ripensò alla gioia con cui avevano deciso di scommettere sulla loro vittoria.
“Camus, ma sei andato nel Nirvana a prendere questi benedetti aghi?”
Padron Vexen stava operando, perciò non avrebbe avuto modo di combattere al meglio delle sue possibilità; adorava lavorare soltanto in compagnia di Camus, ed era certo che il Cavaliere dell’Acquario lo avrebbe aiutato. Una volta liberato Auron avrebbero portato via di lì tutti e due i gruppi e sarebbero tornati a casa.
Lui e Camus contro padron Vexen.
Aveva lo Stardust Revolution e lo Starlight Exstinction dalla sua parte, e l’altro sacerdote era in grado di resistere molto bene agli incantesimi di ghiaccio dello scienziato dell’Organizzazione.
Baciò il rosario e lo lasciò scivolare nell’armatura, poi lanciò il suo attacco più potente contro la porta, mandandola in frantumi “PADRON VEXEN, LASCI SUBITO IL MIO AMICO AURON O IO …”
“Tu cosa, Mu?”
Quattro paia di occhi lo fissarono da sopra le tuniche nere.
Padrona Larxen. Padron Axel. Padron Marluxia.
Camus non mi aveva detto che erano ancora nel laboratorio …
“Vediamo il lato positivo della cosa. Non dobbiamo nemmeno scomodarci di andarlo a prendere”.
Il ghigno del n. VIII gli fece correre un brivido su per la schiena; non ce l’avrebbe mai fatta da solo contro tutti loro, e nemmeno Camus, che stava passando uno strumento a padron Vexen, avrebbe potuto fare la differenza.
I Membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti.
Le parole tornarono alla sua mente come una folgore, ma prima che potesse muoversi padron Axel svanì in un Portale e lo percepì ricomparire alle sue spalle. Poi qualcosa lo colpì con violenza alla nuca e vide tutto il laboratorio girare intorno a lui. L’ultima cosa che sentì fu padron Marluxia ordinare: “Vexen, cambio di programma. Lascia perdere di condizionare Auron. Leviamo loro il teletrasporto con una delle pozioni apposite e mettiamoli sotto chiave, abbiamo due gruppi assolutamente fuori controllo e Mistobaan con tanto di esplosivo dentro”.
“Ora che non ci servono più posso scuoiarli? Non ho mai levato la pelle ad una persona!”
“Larxen, inizi ad essere monotona”.
Poi anche il laboratorio svanì in un velo di sangue.



Sul costone di roccia la neve in alcuni punti arrivava persino alla cintura, e non aveva la certezza che le sue gambe stessero rispondendo al meglio delle forze. Zachar aveva lanciato sui loro corpi un incantesimo di riscaldamento, creando un sottile fuoco sotto la pelle che li avrebbe protetti dal morire assiderati.
Ash però continuava ad avere freddo, e nessuno aveva un mantello o un cappotto da prestargli per coprire la sua maglietta a maniche corte; per tenere in esercizio le dita infilava le mani nelle tasche e faceva scivolare le sue Pokéball una accanto all’altra, sussurrando qualcosa sicuro che i suoi amici riuscissero a sentirlo.
Il governatore Fett invece sembrava immune al gelo ed al vento, e la sua armatura si stagliava all’avanguardia del loro gruppo per ricordare loro la via; Zachar aveva insistito per farlo camminare davanti a tutti. Nonostante fosse difficile distinguere amici da nemici a più di un paio di metri di distanza, la maga voleva tenerlo sotto controllo a tutti i costi: era Fett, dopotutto, a trasportare Kaspar su una spalla, e non era mistero che avrebbe lanciato volentieri lo stregone giù da una rupe.
Lei non lo avrebbe mai permesso, nonostante tutto quello che Kaspar le aveva fatto.
Il piede di Ash incappò in una roccia nascosta, ed il ragazzo finì a faccia in giù nella neve. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per essere di nuovo a Dagobah, piena di paludi, alberi ammuffiti, bestie selvagge di ogni genere ed umidità alle stelle, ma almeno lì c’era una base imperiale confortevole in cui scaldarsi ed allenarsi con i suoi amici.
Sentì Zachar rimetterlo in piedi tirando la maglietta “Ash, dobbiamo accelerare. La tempesta sta aumentando”.
Era vero. Erano passate solo poche ore da quando avevano deciso di inerpicarsi per quel sentiero, ma ogni minuto che passava la tormenta diventava sempre più forte: all’inizio erano soltanto migliaia di fiocchi di neve, ma da qualche minuto nel vento c’erano anche frammenti di ghiaccio sottili come aghi. Molti di loro si infransero sull’armatura del governatore Fett, liberando dei tintinnii che risuonarono per il crepaccio in maniera sinistra.
Zachar creò intorno a sé una barriera, ma prima che l’incantesimo la rivestisse del tutto decine di schegge la raggiunsero al viso ed al braccio sinistro, lasciando delle sottili strie rosse che si solidificarono dopo qualche attimo. Incurante del dolore creò uno scudo anche intorno ad Ash, ma anche un semplice ragazzino come lui poteva accorgersi che le sue forze diminuivano man mano che salivano su per il sentiero.
“Ameba, se vuoi salvare il tuo bell’ammasso di muscoli ti conviene muoverti. Non ho intenzione di morire di freddo perché ti stanchi subito dopo pochi passi”.
Povera Zachar …
Ash era sicuro di aver letto da qualche parte che quando faceva troppo freddo le prime cose che cadevano erano le dita dei piedi, e si accorse con profondo dolore che riusciva a stento a muoverle dentro le sue scarpette da ginnastica, e che ogni tentativo gli lasciava solo fitte incredibili, perciò prese per mano Zachar e ricominciò a salire di gran carriera, affidandosi solo ad una macchia grigia per seguire la posizione del governatore Fett.
Non era in grado di stabilire il passare del tempo, perché il cielo che copriva il monte Carahdras era saturo di nuvole nere e grigie, e non aveva con sé nemmeno l’orologio che gli aveva regalato Brock per l’ultimo compleanno. Potevano essere passati pochi minuti come decine di ore, questo Ash non poteva saperlo.
Adesso anche il governatore Fett era costretto a rallentare, ed in più punti si dovette appoggiare al costone roccioso per mantenere l’equilibrio; a suo onore doveva ammettere che non aveva mai abbandonato la presa su Kaspar nemmeno per un minuto, ma il ragazzo sapeva che lo teneva in vita soltanto perché sembrava così vitale per tornare tutti quanti a casa interi. Ash ormai era coperto di neve fino a metà del petto, ma non osava fare movimenti bruschi: il sentiero che stavano attraversando correva lungo il versante del monte, ma alla loro destra vi era uno strapiombo di cui non riusciva a vedere il fondo per la tempesta.
Anche il più piccolo colpo di vento avrebbe potuto farli precipitare.
“Ash …”
Il ragazzo si accorse della sua voce solo quando la mano della sua amica lo strattonò; doveva averlo chiamato già da tre o quattro volte, ma il frastuono del vento e dell’eco coprivano qualsiasi suono.
Zachar era ancora spossata dall’ultimo combattimento, e nonostante tutti i suoi incantesimi protettivi sottili strati di ghiaccio si erano formati lungo il suo viso, mentre la barriera incantata intorno ai loro corpi si faceva ogni attimo più evanescente “Se non ce la dovessi fare …”
“Non dire stupidaggini, Zachar!”
“Cerca comunque …” il potere dell’incantesimo si dissolse, e persino il governatore Fett si girò dalla loro parte “… di uscire vivo da qui … e di salvare Au…”
Scivolò di lato senza più parlare, perdendo la presa sulla roccia alla sua sinistra e cadendo dritta verso il crepaccio, senza nemmeno le energie per mettersi in ginocchio ed affondare nella neve. Il ragazzo mise di corsa le mani nelle tasche alla ricerca della Pokéball con Bulbasaur, ma come per dispetto le sfere gli scivolarono via dalle dita, e la ragazza cadde di sotto prima che potesse allungare una mano per afferrarla.
Una figura vestita di nero fu più rapida di lui: veloce come soffio di vento ed altrettanto gelida, una mano comparve alle sue spalle ed acchiappò la ragazza per i capelli; il ragazzo non era sicuro di averla vista davvero muoversi.
Purtroppo ne seguì una voce orrendamente familiare “Appena in tempo! Senza di me la nostra cara, piccola e piatta Invocatrice si sarebbe spiattellata sulle rocce!”.
Da ciò che restava di un Portale Oscuro era ricomparsa quella strana ragazza che li aveva attaccati poco prima, quella che era caduta dal cielo come una tempesta di fulmini ed aveva rapito Zachar ed Auron. Sentì alle spalle il ronzare di un blaster attivo, ed il cacciatore di taglie fu subito davanti a lui, puntando l’arma alla ragazza “Cerchi di spaventarmi con quell’affarino, uomo-lattina? Guarda che ho appena salvato la vostra preziosa fanciulla, che ingratitudine!”.
“MI AVETE STANCATO” fece l’uomo, senza perderla di mira “FATECI USCIRE SUBITO DI QUI!”
“E’ per questo che siamo venuti”. Un altro globo di oscurità si aprì proprio alle sue spalle ed apparve Marluxia, la persona che era riuscita a fermare Kaspar; il ragazzo iniziò a tremare, e stavolta non certo per il freddo. Cosa vogliono da noi?
L’uomo dai capelli rosa prese Kaspar dalle spalle del governatore Fett e lo mise sulle proprie: sembrava addirittura più forte di Auron, visto che il peso del mago non lo fece vacillare nemmeno per un secondo. Boba guardò prima all’uno, poi all’altro Membro dell’Organizzazione, indeciso su quale dei due puntare la sua arma; Ash, dal canto suo, cercò di farsi sempre più piccolo (nella neve gli riusciva anche abbastanza bene) e sperare che un’eventuale battaglia non lo coinvolgesse troppo. Raccolse le Pokéball cadute, sfiorandole con i polpastrelli per sentire i suoi amici lì dentro: ma il gelo era profondo, ed il ragazzo si accorse che faceva ancora più fatica di prima a muovere le mani.
“Sarebbe davvero un problema per noi se l’Invocatrice e l’Intercessore morissero proprio ad un passo dalla fine” disse Marluxia “Credo che abbiate bisogno di un aiutino”.
“Da voi non vogliamo nulla!”
“Oh, Marly, l’uomo-lattina vuole rimanere qui al freddo e al gelo!”.
“Per me non ci sono problemi” rispose l’altro Membro dell’Organizzazione “A noi bastano l’Invocatrice e l’Intercessore. Se gli altri vogliono uscire vivi…” Ash si accorse che stava guardando proprio nella sua direzione “Devono venire con noi. Andiamo, Larxen, portiamo a termine questa prova e facciamola finita!”
“Ancora mi domando perché non ci abbiamo mandato Vexen!”.
“Perché lui ci serve nel suo laboratorio, mia cara”.
Ash non sapeva chi fosse questo Vexen, ma nemmeno gli importava troppo. La tormenta stava aumentando, e le due figure vestite di nero si stavano inerpicando per il sentiero innevato con la sua amica svenuta. Il cacciatore di taglie lo superò: l’arma era ben in vista.
“Non so te, Ash, ma io voglio uscire vivo di qui”.
“Anche io! Ma ho un po’ paura per Zachar e Auron…”
L’altro si incamminò dietro ai due Membri dell’Organizzazione “Per quel che mi riguarda possono andare al diavolo tutti e due. Voglio tornare a Coruscant dai miei amici”.
Anche io voglio tornare a casa. Ma insieme a Zachar.
E’ l’unica persona qui dentro che non mi creda un idiota …

Non gli rispose, perché non aveva fiato da sprecare. Tutte le energie se le stava succhiando quel freddo maledetto, e sapeva che il governatore Fett non gli avrebbe mai presto più attenzione di quanta ne potesse concedere ad una mosca. Senza l’incantesimo protettivo di Zachar ogni singola fibra del suo corpo urlava di freddo e di dolore, ma si rimise in marcia; non si sarebbe fatto lasciare indietro.



“Come sarebbe a dire che non potete aprirci uno dei vostri stupidi e fottutissimi Portali?”
“Credo di averlo ripetuto almeno una dozzina di volte” fece Marluxia, senza mai lasciare il corpo di Kaspar. Ash approfittò della pausa forzata per sedersi sul primo masso non ancora sommerso dalla neve e dal gelo e portò le mani al viso, cercando di riscaldarle per quanto possibile, guardando sempre con maggior timore l’uomo dai capelli rosa e quella ragazza che diceva di chiamarsi Larxen.
Il ragazzo non aveva la forza di guardare verso il basso: il sentiero li aveva condotti su per il fianco del Carahdras, costringendoli ad arrampicarsi in punti improbabili, attraverso percorsi che soltanto i Membri dell’Organizzazione riuscivano ad individuare. Continuava a non vedere il fondo del crepaccio, ma Ash era sicuro che cadere lì dentro sarebbe stato peggio che lanciarsi di testa dalla sommità del grattacielo più alto di Coruscant.
Si era fermati perché il sentiero si era interrotto sul più bello. Esso terminava proprio lungo il cuore di uno dei tanti costoni rocciosi che formavano la montagna. La superficie era fin troppo liscia, impossibile da scalare, e la loro marcia era stata stroncata.
L’unica via che la Stanza della Memoria sembrava concedere loro era uno spiazzo roccioso al loro fianco, proteso vuoto del burrone proprio dall’altro del versante. Tra loro ed il picco, però, vi era un balzo di circa una decina di metri.
Ed i Portali Oscuri sembravano fatti apposta per superare quel tipo di ostacolo, e per una volta Ash diede ragione al governatore Fett. Con il teletrasporto sarebbe stato tutto più facile, ma i due si erano mostrati inamovibili, soprattutto Marluxia, che li aveva squadrati con i suoi occhi blu. Gli causavano un gelo nelle ossa ben peggiore di quello del vento del Carahdras.
“Il Castello vuole che superiamo la prova. E’ lui che ci consente di usare i Portali, e teleportarci oltre questo crepaccio equivarrebbe a …”
“Barare!” fece allegra la ragazza, passandosi con molta poca delicatezza il corpo di Zachar da una spalla all’altra “E non potete capire quanto mi dispiaccia, io adoro barare!”
“Non me ne fotte un cazzo del vostro castello e della prova, IO VOGLIO USCIRE DI QUI SUBITO!” Boba gli puntò un blaster al petto ed iniziò ad insultarlo accostando tutte le imprecazioni che gli venivano in mente. L’altro glielo scostò con una mano e guardò oltre.
I tre iniziarono a litigare ad alta voce, con l’eco che ripeteva ogni singola protesta e con Kaspar e Zachar che non accennavano a svegliarsi.
Ash non prese parte alla discussione. Nessuno gli dava mai peso, ed aveva imparato da anni che la cosa migliore da fare quando gli altri prendevano decisioni era starsene in un angolo e rigorosamente NON parlare. I suoi suggerimenti non erano graditi.
Ma purtroppo non poteva far altro che pensare ed ascoltare, ascoltare e pensare e sperare di non morire congelato su quella montagna. Il baratro davanti a loro sembrava davvero insuperabile, non avevano nemmeno una fune o una scala con cui arrivarci; e di certo lassù non c’era nemmeno un alberello da fare a pezzi per provare a costruire un piccolo ponte o una scala.
L’idea gli venne tirando fuori dalla tasca le sue Pokéball e cercando di scaldarle con il palmo della mano.
Certo, poteva anche essere una stupidaggine, ma i tre non sembravano interessati a lui; e comunque fare un tentativo non avrebbe fatto del male a nessuno.
“Bulbasaur, scelgo te!”.
Sapeva che il suo piccolo amico era sensibile al gelo: come tutti i Pokémon d’erba ogni temperatura troppo alta o troppo bassa lo indeboliva, e Bulbasaur per tutta risposta gli comparve in braccio, stringendosi contro la sua maglietta. “Bulbasaur, lo so che fa freddo, ma avrei proprio bisogno del tuo aiuto!”.
“Ehi, cos’è quel mostriciattolo?” fece la ragazza.
“Si chiama Bulbasaur, ed è un mio amico” rispose Ash, avvicinandosi alla sporgenza sempre stringendo il Pokémon in braccio “Senti, credi di poter raggiungere l’altra parte della montagna con le tue liane?”.
La creatura non rispose, con gli occhi che vagavano da una parte e dall’altra e le foglie lungo la sua schiena strette una vicina all’altra per proteggerlo. “So che ce la puoi fare”.
Facciamo vedere ai Membri dell’Organizzazione che anche noi siamo una grande squadra!
Bulbasaur scivolò dalle sue braccia, camminò nella neve e si fermò sul costone, guardando oltre il crepaccio, lanciando diversi piccoli versi. Ash sapeva che il suo amico stava raccogliendo le forze, ma alle sue spalle sentì soltanto qualche risata, a cui ci si aggiunse quella del governatore Fett; ma era abituato ad essere deriso “Vai, Bulbasaur, fagli vedere come te la cavi!”.
Il piccolo Pokémon aspettò ancora qualche minuto e poi liberò le sue due liane: esse saettarono attraverso la tempesta di neve, e raggiunsero il versante opposto dopo qualche minuto. Si mossero lungo la superficie della roccia per un po’, alla ricerca di luoghi dove appendersi e cercare stabilità, lasciando tutti con il fiato sospeso. Il suo amico gli mandò un verso affermativo “Ehi, Bulbasaur ha raggiunto l’altra estremità! Possiamo lanciarci!”.
“Secondo te quella bestiolina è in grado di reggere il nostro peso? Ragazzino, smettila di prenderci in giro e torna a succhiarti il pollice in un angolo”.
“Ma lui …”
“Ash, ti prego, non ho voglia di fracassarmi l’osso del collo fidandomi del tuo Pokémon. Per una volta il Membro dell’Organizzazione ha ragione” disse il governatore Fett, con un tono di disgusto. Gli diede le spalle e tornò a rivolgere la parola alla ragazza bionda.
Ma perché non mi ascolta nessuno? Bulbasaur è fortissimo, ed io mi sono lanciato tantissime volte con le sue liane, non mi è mai successo niente e…”
“La tua idea non è da buttare, ragazzo”.
Marluxia gli venne così vicino da strappargli un brivido, scivolando come un’ombra sulla neve ed avvicinandosi a Bulbasaur “Questa tua creatura … basa la sua forza sull’erba, giusto?”.
Non capiva cosa volesse quell’uomo inquietante da lui e dal suo amico “Sì … lui è un Pokémon d’erba … sì, trae la sua energia dalle piante in generale e poi …”
“Questo mi basta”.
Quella Larxen si teleportò proprio vicino a loro, sogghignando “Ehi, Marly, vuoi davvero lanciarti su una liana nel vuoto? Se è così non posso mancare quando ti fracasserai su quelle rocce là sotto. Magari si vedrà tutto il cervello che sprizza!”.
Questa ragazza mi mette i brividi quasi più di Marluxia…
L’uomo dai capelli rosa sorrise da sotto il cappuccio “Non ho alcuna intenzione di saltare, mia cara. Sai che se possibile adoro camminare”.
“Quando camminerai su una liana sospesa nel vuoto sarà il giorno in cui Axel si tufferà di testa in un lago ghiacciato con tanto di rincorsa”.
“Stai a vedere e chiudi la bocca. La differenza tra il mio elemento ed il tuo, Larxen, è che io posso anche creare, tu puoi solo distruggere”.
Prima che Ash potesse anche solo fermarlo, il Membro dell’Organizzazione si chinò su Bulbasaur e sfiorò il germoglio sul dorso con la sua mano coperta da guanto. Per qualche attimo non accadde nulla, ma poi il corpo del suo amico iniziò ad illuminarsi di una luce verdognola; si lanciò nella sua direzione, ma il braccio libero di Marluxia lo fermò nella sua rincorsa “Stai fermo, ragazzino. Sto solo … migliorando la sua prestazione!”.
Sui fianchi blu e verdi del Pokémon si formarono dei bozzi, che man mano diventarono sempre più grandi e chiari, anche se Bulbasaur tutto sembrava tranne che preoccupato. I globi esplosero, e dal piccolo corpo partirono altre tre, quattro, sette, dieci liane che si unirono alle due già sospese nel vuoto. Il suo amico mandò diversi versi di sfida, con quella nuova energia che sembrava renderlo più forte ogni secondo.
Le nuove liane si mossero, attraversando la tempesta attorcigliandosi le une alle altre; quando raggiunsero l’estremità rocciosa si legarono alle altre due, lanciandosi attraversare da una nuova luce, più chiara, che partiva delle dita del Membro dell’Organizzazione ed attraversavano il corpo del piccolo Pokémon. Qualche minuto dopo dal corpo di Bulbasaur c’era un piccolo ponte naturale: stretto, non più largo di cinque piedi, ma abbastanza per far passare una persona alla volta.
L’uomo si rialzò e diede alla sua compagna un secondo sorriso di sfida “Prima le signore”.
Lei sbuffò, e con l’Invocatrice sulle spalle iniziò a camminare verso l’altro costone, cercando di non perdere l’equilibrio per il vento.
Marluxia con tanto di Kaspar-pacchetto si avvicinò per seguirla.
“Come hai fatto?” chiese Ash. Aveva visto diversi maghi dell’Amn studiare i suoi Pokémon, ma nessuno era mai riuscito a fare una cosa simile.
“Sono un elementale dei fiori, ed il tuo piccolo amico è un ottimo ricettacolo per le mie energie”.
Ovviamente il ragazzo non capì proprio nulla, ma non volle questionare ancora l’uomo misterioso, e seguì i suoi passi sul nuovo ponte di liane, con il governatore Fett che chiudeva la cordata.
Non ci fu bisogno di arrivare alla fine.
Nell’istante in cui quella Larxen, con tanto di Zachar sulle spalle, mise piede sul nuovo costone il bianco esplose nuovamente: le nevi sparirono in un attimo, il vento smise di soffiare e sul corpo della sua amica svenuta comparve la luce, tutta l’energia accumulata durante la prova che prese corpo dentro di lei.
Non appena comparsi nell’anticamera avrebbero cercato una via di fuga: certo, non avevano Auron dalla loro parte, ma forse la magia di Zachar unita a quella di Kaspar avrebbe potuto farli uscire. Avrebbero salvato la loro guida e sarebbero tornati a casa.
Già pregustando una gigantesca festa in compagnia di Misty e Brock, il ragazzo aprì gli occhi e si ritrovò nella solita, immutabile, bianca anticamera.
Senza né Zachar né Kaspar. Anche i due Membri dell’Organizzazione erano spariti.
Gli occhi di Boba Fett non erano visibili, ma di sicuro sotto quell’elmo c’era un’espressione di furia “Dove sono andati a finire tutti gli altri?”.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Il piano in frantumi ***


Capitolo 19 - Il piano in frantumi


Frozen Pride

Orgoglio Gelido, lo scudo di Vexen




“Come sarebbe a dire un cambio di programma?!”
A Mara il ragazzino dell'Organizzazione non piaceva. Le aveva fatto un'impressione sgradevole gia' al loro primo incontro, quando era apparso dal nulla per consegnare Mistobaan nelle mani di un molto stupefatto Mu. La facilita' con cui aveva letto i suoi pensieri era inquietante; una sensazione che Mara non aveva mai provato prima, nemmeno al cospetto dell'Imperatore. Era come camminare nudi per strada, esposti agli sguardi di tutti.
“Mu ha un altro compito da eseguire” fu tutta la spiegazione che offri' il ragazzino. “Vi accompagnero' io per l'ultimo tratto di percorso.”
La prima volta che Mu le aveva parlato dei membri dell'Organizzazione Mara si era immaginata un gruppo di anziani dalle lunghe barbe e gli sguardi severi sotto una fronte rugosa e accigliata, autoritari e carichi di potere. Il ragazzino che aveva di fronte era mingherlino, piu' basso di lei e pareva appena uscito dall'adolescenza, ma non per questo andava preso alla leggera.
Proprio come Mu. Ha lo stesso suo faccino angelico, ma col cavolo che ci casco stavolta.
“Io mi chiamo Zexion.” disse il membro dell'Organizzazione. “Ora, se volete...”
“Si', mi ricordo uno sciroppo con un nome simile” lo interruppe Tarkin, che esibiva il suo tipico sorrisetto alla “so tutto io”. Il governatore non sembrava per nulla intimorito, e pianto' in faccia al ragazzino il suo sguardo piu' glaciale. “Sbaglio o Mu diceva sempre che questa missione aveva la priorita' su tutto? A sentire lui pareva che fossimo in viaggio per prevenire l'Apocalisse. Com'e' che ora improvvisamente si e' trovato un compito piu' importante? O e' perche' qualcuno dei vostri piani e' andato storto, membri dell'Organizzazione? Dovete stare veramente a pezzi se addirittura uno di voi si e' scomodato per accompagnare noi poveri mortali nel nostro umile pellegrinaggio.”
“Questo non vi riguarda” fu la laconica risposta, ma Mara percepi' il nervosismo del ragazzo. Tarkin doveva aver colto nel segno.
Dovevano approfittarne.
“Adesso seguitemi. La prossima Stanza della Memoria e' l'ultima, dopodiche'...”
“Prima vogliamo sapere cosa e' successo a Mu.”
Se pensi che ti seguiremo come pecore ti sbagli, ragazzino.
“Come vi ho gia' detto non vi riguarda.”
“Sai com'e', neanche a noi riguarda la vostra Invocazione Suprema” ribatte' Daala. “ E siamo stufi di tutti questi misteri.”
“Che sta succedendo in questo Castello?” incalzo' Tarkin. Avevano stretto il ragazzino a cerchio, come un branco di cani da caccia che circonda la preda. Solo Mistobaan si teneva in disparte, osservandoli da lontano con i suoi enigmatici occhi gialli.
Zexion serro' le labbra e strinse i pugni, chiuso in un silenzio impenetrabile. Non doveva essersi aspettato un assalto cosi' furioso.
“Chi era il ragazzo con i capelli azzurri? Un altro vostro servitore?”
Questa domanda sembro' attrarre l'attenzione del ragazzino. Mara colse il suo sguardo sotto la frangia di capelli argentati, vide i suoi occhi azzurri sgranati, percepi' il suo stupore. Duro' appena un istante, ma le fu piu' che sufficiente per capire.
Non ne sapeva niente!
“Cosa vi ha detto quel ragazzo?” Zexion si era dominato in fretta, e il suo tono di voce appariva tranquillo e casuale.
“Quello che voi gli avete ordinato di dirci” sogghigno' Mara, e incrocio' le braccia sul petto lanciandogli un'occhiata carica di sfida.
Non funziono'. I loro sguardi si incontrarono per un solo istante, e Mara seppe che lui aveva capito. Bluffare non serviva a nulla con una creatura dai suoi poteri.
Ma come diamine fa?! Nemmeno un Jedi o un Sith riesce a leggere nella mente cosi'!
“Ha parlato con Mu” disse lui. “E subito dopo se ne sono andati, piantandovi in asso. Capisco. Aspettatemi qui, tornero' subito.”
Tarkin stava per ribattere qualcosa, ma il ragazzo non gliene diede il tempo. L'oscurita' apparve dal nulla e lo avvolse nelle sue spire, e pochi secondi dopo solo uno sbuffo di tenebre rimaneva la' dove il membro dell'Organizzazione era stato.
“Non ho idea di cosa stia succedendo, ma sono nei guai. E' successo qualcosa che non si aspettavano.” disse Tarkin.
“Dobbiamo approfittarne per andarcene da qui.” suggeri' Daala, e per una volta da quando i loro ricordi erano cambiati lei e Tarkin furono d'accordo.
“Mistobaan” disse il governatore. “Prova a rompere le pareti con la magia. Ci sara' un modo per uscire di qui senza attraversare di nuovo le Stanze.”
Era una buona idea. Se i membri dell'Organizzazione erano impegnati a fronteggiare qualche minaccia sconosciuta nessuno poteva intervenire per fermarli. Non avrebbero avuto un'occasione migliore.
Il rifiuto di Mistobaan congelo' in un istante tutte le loro speranze.
“No” fu tutto cio' che disse, e quando il silenzio' si prolungo' fino a diventare insopportabile seppero che non avrebbe aggiunto altro.
“Perche'?” chiese Daala.
“Non vi riguarda.”
“Ci riguarda eccome!” Tarkin era furioso. “E riguarda anche te, che sei prigioniero qui dentro tanto quanto noi. Pensavo che avessi una voglia matta di correre tra le braccia del tuo adorato GSB!”
Sotto il cappuccio gli occhi di Mistobaan si ridussero a due sottili fessure gialle.
“Non pronunciare il nome del mio signore invano, sporco umano.” Il suo tono di voce era diverso da quello pomposo e altisonante che usava sempre quando parlava del Grande Satana; calmo e misurato, pacato, ma infinitamente piu' minaccioso. Mara senti' un brivido correrle lungo la schiena.
“Altrimenti sara' su di te che usero' la mia magia.”



La porta tremo' sotto l'impeto della spallata di Auron, i cardini stridettero e scricchiolarono, ma non cedette. Il guerriero vestito di rosso si passo' una mano sulla fronte per asciugare il sudore e provo' di nuovo, buttandosi contro la porta della prigione con tutto il suo peso. Tutto cio' che ottenne fu l'ennesimo livido sulla spalla.
Mu gli poggio' una mano sul braccio, con gentilezza. “E' inutile, Auron. Sara' protetta da chissa' quali incantesimi.”
“Preferisco rompermi un braccio a forza di provare piuttosto che starmene qui con le mani in mano!”
Mu scosse la testa. Auron era la persona piu' forte che conoscesse, ma nemmeno lui poteva rompere una porta incantata dalla magia dei saggi e potenti membri dell'Organizzazione...
No!!
Si porto' le mani alle tempie, serrando gli occhi con forza.
Non sono saggi e potenti, non sono saggi e potenti, non lo sono, e' tutta una bugia, solo una bugia...
Lo sapeva, lo sapeva perfettamente ormai, aveva visto con i suoi occhi cosa stavano tentando di fare ad Auron... eppure ogni tanto quelle parole subdole ancora gli sussurravano nella testa, e per un istante gli sembravano cosi' reali, cosi' giuste...
Le sue dita si strinsero attorno al rosario di Shaka, cercandovi conforto. Dalle sue labbra usci' silenziosa una preghiera, parole che per troppo tempo aveva dimenticato. L'aria diventava gelida ogni volta che osavano pregare in presenza di padron Vexen...
… ed e' per questo che devo pregare, e pregare, e pregare ancora. Io sono il Sacerdote dell'Ariete del Tempio delle Dodici Case, non uno strumento nelle mani di padron Vexen!
Improvvisamente si rese conto che c'era troppo silenzio. I colpi di Auron contro la porta erano cessati.
Apri' gli occhi: “Auron?”
Il guerriero si mise un dito davanti alle labbra per fargli segno di tacere. “Passi. Arriva qualcuno.” sussurro'.
Mu strinse convulsamente il rosario. Auron gli fece cenno di non muoversi e si posiziono' al lato della porta, lo sguardo concentrato, tutti i muscoli del corpo in tensione.
Vuole saltargli addosso appena entrano, comprese con terrore, e scosse la testa rivolgendogli con lo sguardo una muta preghiera.
La voce che udirono oltre la porta non apparteneva a un membro dell'Organizzazione.
“State indietro!”
D'istinto si allontanarono dalla porta, e pochi secondi dopo la videro cadere verso di loro con un tonfo assordante che fece sussultare Mu.
Nel quadrato di luce che dava sul corridoio si stagliava la sagoma di un ragazzo in armatura dai lunghi capelli azzurri.
“Camus!”
“State bene tutti e due?”
“Tu piuttosto!” Mu aveva un groppo alla gola che non voleva saperne di sciogliersi. Corse ad abbracciare l'amico, il confratello di una vita, mentre lacrime non invitate si facevano strada lungo le sue guance. “Non sapevamo cosa ti fosse successo... temevamo che...”
“Non sanno di me” lo rassicuro' Camus, ricambiando l'abbraccio. “Pensano che io sia ancora sotto l'effetto del condizionamento.”
Mu avrebbe voluto dirgli mille cose. Si erano reincontrati da un anno, ma le menti di entrambi erano piene di falsita' e menzogne... era come se ora si vedessero davvero per la prima volta dopo tutto quello che...
“Camus, hai un piano?” Auron, il piu' pragmatico di tutti, aveva gia' gettato uno sguardo da entrambi i lati del corridoio per controllare se la via era libera. “Che si fa?”
“Non vi preoccupate, non avrete bisogno di camminare.” Camus sorrise, sciogliendosi delicatamente dall'abbraccio. “Il mini-detonatore con cui ho buttato giu' la porta non e' l'unica cosa che ho rubato nel laboratorio di padron Vexen.”
“Padrona Larxen non aveva distrutto tutto?”
Camus frugo' in uno scomparto dell'armatura e ne trasse fuori una boccetta piena di liquido azzurrino. “Padron Vexen tiene molti scomparti segreti nel muro, ma non ha mai fatto caso al fatto che io potessi vederlo mentre li apriva.” Porse la boccetta a Mu. “Bevete. Annullera' l'effetto della pozione che vi hanno dato i membri dell'Organizzazione.”
Ce n'era appena un sorso a testa, ma appena la ebbe mandata giu' Mu senti' qualcosa cambiare dentro di lui. Era una sensazione familiare, come se i suoi sensi diventassero piu' acuti, il suo corpo piu' forte, la magia nel suo sangue piu' viva... era di nuovo padrone del Castello dell'Oblio. Poteva di nuovo usare i corridoi dell'oscurità a suo piacimento.
Camus indico' un sacco che aveva posato vicino all'entrata. “Li' c'e' la tua armatura Mu, e la spada di Auron.”
“Grande! Sei un mito Camus!” Auron estrasse la Masamune dall'involto e se la assicuro' dietro la schiena, sorridendo soddisfatto. Mu sapeva che il suo amico si sentiva nudo senza la sua arma, e in effetti anche lui era rassicurato dal pensiero che Auron avesse di nuovo la sua spada da frapporre tra loro e l'Organizzazione.
“Dovete andarvene di qui” disse Camus. “Cercate aiuto. Noi tre da soli non abbiamo speranze contro l'Organizzazione.”
Mu si blocco' nell'atto di agganciare uno schiniere. “E tu?”
“E' meglio se resto qui. Posso cercare di rallentare i due gruppi, di ostacolare l'Invocazione Suprema fino al vostro ritorno... finche' credono che sono condizionato non correro' rischi.”
A Mu non piaceva l'idea di separarsi, ma il piano di Camus era sensato.
“Si', pero' ragazzi...” Auron sembrava dubbioso. “Dove adiamo? Cioe', a chi possiamo chiedere aiuto?”
“Io pensavo a qualche amico delle Invocatrici.” disse Camus. “Insomma, nel loro mondo ci sara' qualcuno che le sta cercando...”
“Da quel che ho capito Zachar non ha molti amici la' fuori.” disse Auron scuotendo la testa. Non saprei proprio dove andare...”
“Forse lo so io.”
A Mu era tornato in mente il campo di battaglia davanti alla citta' di Dai. Le urla della gente consumata dal fuoco dei draghi, la spada magica del ragazzino che falciava nemici come una macchina da distruzione. E una cosa che Mara gli aveva detto nel bel mezzo di quel caos, mentre giaceva ferito ed esausto nelle retrovie dell'esercito demoniaco.
Qualcosa riguardo a una persona capace di trasformarsi in drago.
Apri' un portale oscuro.
“Andiamo Auron. E tieni pronta la tua spada para-incantesimi, temo che potremmo averne molto bisogno.”



Camus stava tornando al laboratorio, e dalla sua andatura tranquilla si deduceva che non avesse alcuna fretta. E perche' avrebbe dovuto? Si credeva al sicuro, al di sopra di ogni sospetto, e aveva persino l'ardire di canticchiare ogni tanto qualcosa tra se' e se'.
Non noto' l'ombra scura e silenziosa che emergeva da dietro una colonna lungo il suo percorso, non vide lo scudo blu che si sollevava sopra la sua testa.
Il colpo lo prese dritto sulla nuca, e Camus si accascio' al suolo senza un lamento. Per qualche istante il clang della sua armatura echeggio' per tutto il Castello dell'Oblio, rimbalzando tra le pareti bianche, amplificandosi tra i saloni vuoti, e infine divenne sempre piu' debole e venne nuovamente inghiottito dal silenzio che sempre regnava sovrano nel Castello.
Zexion poso' a terra lo scudo di Vexen e guardo' il corpo svenuto di Camus con disgusto. Colpirlo gli aveva dato un certo piacere, doveva ammetterlo. Erano secoli che volevo farlo.
Apri' un portale direttamente sotto Camus, e un secondo clang risuono' nel laboratorio distrutto mentre Vexen si vedeva precipitare il corpo letteralmente davanti al naso e si rovesciava addosso la tazza di the' che stava bevendo per lo spavento improvviso.
“Sei impazzito?!” Vexen trattenne la tazza tra le dita con un movimento goffo, ma il contenuto (infuso di ribes, vaniglia e ginseng, a giudicare dall'odore) gli aveva bagnato tutto il davanti della tunica e gocciolava pian piano dall'unico ciuffetto che gli era rimasto. “Che diamine...”
“Abbiamo un altro problema” lo interruppe Zexion. “Questo idiota ha fatto in tempo a far scappare Mu e Auron. Ho trovato la cella aperta e vuota, e i loro odori freschissimi. Se n'erano andati da un paio di minuti, non di piu'.”
“E com'e' che i tuoi favolosi poteri non lo avevano percepito?” Vexen scaglio' via la tazza con un gesto stizzito, mandandola a infrangersi contro il muro. Dopo l'incidente con Larxen era diventato ancora piu' scontroso e intrattabile del solito, se cio' era possibile.
“Non posso essere ovunque in ogni momento, e lo sai. Il Castello e' immenso e con tutti gli odori che ci sono...”
“Risparmiati le scuse. In una cosa Larxen ha ragione, sei inutile. Non sei nemmeno riuscito ad avvelenarla.”
“Provaci tu se pensi sia cosi' facile! Ma gia', tu ormai non riusciresti ad avvicinarti a lei senza fartela addosso.”
“Vorrei vedere te al mio posto! Se pensi che...”
“Senti, smettila di lamentarti per favore! E' anche colpa tua se e' successo questo casino. Avresti dovuto controllare meglio Camus. Dopotutto e' il tuo schiavetto.”
“Gia'. Probabilmente il migliore che io abbia mai avuto.”
Zexion non gli tiro' un oggetto contundente in faccia solo perche' non aveva uno a portata di mano. Dèi ladri quanto lo odiava!
Gli volto' le spalle, furente, ed evoco' un portale. Non vedeva l'ora di andarsene da li'.
“Avverti gli altri della fuga di Auron e Mu.” disse Vexen ignorando del tutto il suo stato d'animo. “Io penso a ricondizionare Camus.”
“E con quali strumenti, scusa?” gli chiese senza nemmeno voltarsi. “Qui e' tutto distrutto. Facciamo prima ad abbandonarlo in qualche mondo sperduto.”
“Oh, beh, vediamo un po'... un paio di mani, un bisturi e una buona dose di abilita' e fantasia. Non mi serve altro.”
Anche se non lo vedeva poteva sentire il sorriso strafottente dello scienziato deriderlo da dietro le spalle.
Spero che il tuo schiavetto si scondizioni di nuovo e ti avveleni il the'.
Ma non sarebbe successo, lo sapeva. Vexen era troppo bravo, e la sua non era una vanteria priva di fondamento. Un tempo lo aveva ammirato per quello.
Si lascio' abbracciare dall'oscurita' del portale, pensando ai compiti che lo aspettavano. Non solo parlare con Marluxia e gli altri, ma anche tornare dall'Invocatrice e guidare il suo stupido gruppo per l'ultima Stanza della Memoria.
Sospiro', augurandosi almeno che non si trattasse di un posto maleodorante.


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Fonte della fan art a inizio capitolo: http://yensid-kun.deviantart.com/art/Vexen-s-Shield-54949751

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - A bordo della Black Moclips ***


Capitolo 20 - A bordo della Black Moclips


Black Moclips, black Moclips

La Black Moclips




Il ponte di legno oscillava lievemente sotto i loro piedi. L'acqua verde azzurra del lago era placida, appena increspata dalla brezza del mattino. Ma la nave non poggiava sull'acqua; il lago si trovava diversi metri sotto di loro, e l'enorme veliero fluttuava nell'aria, sospeso nel mezzo di una valle incontaminata e ricoperta di alberi dalle chiome verdi e folte.
“Di nuovo una piattaforma fluttuante.” il tono di Tarkin era annoiato. “Il Castello sta esaurendo la fantasia.”
La nave volante sembrava deserta, ma Mara non si faceva illusioni. Fece cenno agli altri di tenere la voce bassa e non muoversi, mentre lei estendeva le sue percezioni nell'ambiente circostante, in cerca di pericoli. Sperò che anche il ragazzino stesse facendo lo stesso, anche se il pensiero di doversi affidare ai suoi poteri non le piaceva per niente.
Il veliero aveva tre alberi, le vele bianche ammainate, i posti di vedetta apparentemente abbandonati. La chiglia era nera come l'ebano; da dove si trovavano non si riusciva a leggere il nome scritto sulla fiancata, ma Mara non ne aveva bisogno. Dopo tutto quel tempo era ancora inciso profondamente nella sua memoria, e nemmeno tutte le stregonerie del Castello dell'Oblio avrebbero potuto cancellarlo... o almeno così sperava.
“La Black Moclips.” sussurrò.
“Una missione ai tempi del tuo addestramento Sith?” chiese Daala a voce altrettanto bassa.
Mara scosse la testa, e stava per rispondere quando un tremito nella Forza le lanciò un avvertimento.
Anche il ragazzino se n'era accorto, e la anticipò. Corse verso una botola sul ponte e la spalancò, facendo loro cenno di entrare in fretta. Appena la botola si richiuse sopra le loro teste sentirono il ponte rimbombare dei passi di parecchie persone, dalla mole molto pesante a giudicare dal rumore. Anche senza vederli, Mara li riconobbe immediatamente.
La stanza dove si trovavano era buia, ma Mara non osava accendere la spada laser per timore che la luce filtrasse dalle fessure nel legno e qualcuno dei rettili di sopra se ne accorgesse. Lasciò che i suoi occhi si abituassero all'oscurità, e ben presto riuscì a distinguere delle sagome: casse, botti, sacchi, vele ripiegate, reti da pesca. La stiva, sicuramente.
“Dove diamine siamo?” la voce di Tarkin era poco più di un sussurro, ma non aveva perso la sua sfumatura tagliente.
“Nei miei ricordi.” rispose Mara. “Vi ricordate la missione sul Pianeta dei Druidi, quando ero ancora all'Impero?”
“Ah... vuoi dire quella missione? Quella in cui papà Impe...”
“Sì, non c'è bisogno di ripeterlo, grazie. Ti assicuro che me lo ricordo benissimo.”
Narratore: "Mara non ama molto parlarne, ma a voi lettori basti sapere che i Signori Oscuri fallirono quella missione in malo modo, e l'Imperatore... beh, diciamo che sbizzarrì la sua fantasia sadica, facendo impallidire persino i sogni più sanguinari della Ninfa Selvaggia."
Il solo pensiero bastava a farla rabbrividire, ancora dopo tutti quegli anni. Scacciò quelle immagini raccapriccianti dalla mente, concentrandosi invece su cosa significava per lei quel luogo, quella nave...
“E' dove hai incontrato Luke.” disse Daala all'improvviso.
“Sì.” sorrise al ricordo. L'Imperatore aveva mandato lei e il conte Dooku sul Pianeta dei Druidi a spiare i Ribelli, ma le cose non erano andate come previsto e Mara era stata presa prigioniera dagli scagnozzi del Morgawr, uno stregone di quelle terre. Nelle celle della Black Moclips, il veliero volante del Morgawr, aveva trovato un Ribelle, un Cavaliere Jedi, anche lui finito nelle grinfie del perfido stregone. Un nemico, una persona che avrebbe dovuto odiare e distruggere... ma si erano trovati a fare causa comune per sfuggire al Morgawr, e da quel momento in poi per Mara le cose non erano più state le stesse.
Per Luke aveva tradito l'Impero, per Luke aveva rinnegato il suo addestramento Sith e accettato di unirsi all'Alleanza Ribelle... per Luke, che a quel tempo era sposato con un'altra donna.
Ma lei aveva lottato per conquistarlo, e alla fine aveva vinto. Viridiana se n'era andata, era tornata da suo padre e non si sarebbe mai più fatta rivedere. Quel pensiero la riempiva ancora di una profonda soddisfazione.
“Luke deve essere prigioniero su questa nave.” disse. “Forse la Prova è liberarlo. Ma dobbiamo stare attenti, potrebbe esserci il Morgawr in giro...”
“Lui non è qui.” tutti si voltarono a guardare il ragazzino dell'Organizzazione. “Ci sono solo i suoi tirapiedi. E credo che questo Luke si trovi in una cabina a prua. E' l'unico essere umano che sento, oltre a noi.”
“So benissimo dove si trova la cella di Luke!” sbottò Mara. E come avrebbe potuto dimenticarlo? Era nella semioscurità di quella cabina che si erano scambiati il primo bacio. Quel ragazzino aveva l'incredibile potere di mandarla ai matti.
Zexion scrollò le spalle, incurante della sua rabbia. “In ogni caso sarà meglio che vi guidi io. Eviteremo le guardie, e ci metteremo di meno.”
Cos'è, ti si scuoce la pasta, ragazzino?
Da quando era tornato da loro Zexion sembrava avere una fretta tremenda di finire l'ultima Stanza della Memoria e arrivare all'Invocazione Suprema. Qualcosa doveva essere andato storto nei piani dell'Organizzazione, ma alle loro domande il ragazzino si era trincerato dietro un muro di silenzio, e senza l'aiuto di Mistobaan non potevano sperare di cavargli nemmeno una sillaba di bocca. Il demone incappucciato si teneva in disparte e non proferiva parola, e Mara non poté fare a meno di chiedersi per l'ennesima volta perché si rifiutasse di collaborare con loro.
Zexion non aveva mentito: con il suo aiuto impiegarono solo pochi minuti a raggiungere il ponte di prua. Riusciva a percepire la presenza degli scagnozzi dello stregone molto meglio di lei, e questo le dava fastidio. Mistobaan aveva lanciato su tutto il gruppo un incantesimo di insonorizzazione, così che nemmeno l'eco dei loro passi sul legno avrebbe attirato attenzioni indesiderate.
“Ci sono due guardie davanti alla cella.” annunciò il ragazzino in un sussurro, ben prima che la porta fosse in vista. Mara si concesse un sorriso.
Sarai anche un ottimo radar, ragazzino, ma ci sono certe cose che non sai fare.
“Ci penso io. Voi restate qui e non fatevi vedere.”
Senza voltarsi per controllare se avevano seguito il suo consiglio Mara avanzò in piena vista e camminò verso le guardie con perfetta tranquillità, come se facesse parte dell'equipaggio della nave. I due energumeni appartenevano alla stessa specie del Morgawr, creature che sembravano l'incrocio tra un umano e un rettile: camminavano su due gambe, ma il loro corpo era ricoperto di scaglie e avevano il muso appuntito tipico di coccodrilli e lucertole. Ed erano grossi. Incredibilmente grossi. Al vederla fecero per scattare a intercettarla, i pugni chiusi intorno alle loro armi, lunghe lance che avrebbero potuto abbattere un cinghiale, ma Mara aveva già sollevato una mano e si stava insinuando nella loro mente, veloce e invisibile come il pensiero.
“Il vostro turno è finito.” disse “Ora andrete a godervi il meritato riposo.”
Le menti semplici erano le più facili da influenzare. Un gioco da ragazzi anche per gli apprendisti Jedi alle prime armi.
“Il nostro turno è finito” ripeterono le guardie, lo sguardo vacuo e distante. “Ora andremo a goderci il meritato riposo.”
Quando i due rettili se ne furono andati Mara poggiò il palmo sul chiavistello della porta e lo fece saltare con una breve pressione nella Forza. Gli altri l'avevano raggiunta, e tutti insieme entrarono nella cella buia e soffocante.
“Luke?”
Una sagoma si mosse lungo la parete di fondo e avanzò verso di loro, un braccio davanti al volto per proteggere gli occhi dalla luce improvvisa.
“Chi... chi siete? Non sembrate servi del Morgawr...”
I suoi abiti erano laceri e sporchi, ma non era ferito. Mara avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e baciarlo, ma quel Luke era un'illusione, un ricordo, e ancora non la conosceva.
“Siamo amici” disse invece. “Siamo venuti a liberarti.”
Luke strabuzzò gli occhi, batté le palpebre più volte. Poi il suo sguardo mise a fuoco Tarkin e Daala.
“Imperiali!”
La prigionia lo aveva indebolito, perciò la sua reazione fu lenta. Non appena lo vide sollevare una mano Mara gli si lanciò contro e gli afferrò i polsi, cercando di non fargli male ma con fermezza.
“Luke, non c'è tempo per spiegarti, ma vogliamo davvero aiutarti. Ti prego, seguici prima che tornino le guardie!”
Luke si divincolò inutilmente nella sua stretta. Avrebbe potuto darle un calcio e liberarsi, ma il Jedi non era mai stato il tipo da colpire a cuor leggero una donna. Un altro dei tanti motivi per cui lo adorava: il suo Luke, cavaliere nobile, galante e incredibilmente testardo.
“Chi sei?”
“Qualcuno che ti ama.” disse semplicemente lei, e lo guardò negli occhi.
Narratore: "spiacente Mara, nel 90% degli anime o dei film una frase così strappalacrime avrebbe funzionato, ma non hai fatto i conti con il sadismo delle Registe... "
“Viridiana?” la voce di Luke era un sussurro, gli occhi sgranati per lo stupore. “Sei sotto un incantesimo di illusione?”
Narratore: "immaginate la tradizionale incudine da 50 chili che precipita sulla testa della nostra povera Mara.... "
“Luke, sono io, Mara...”
“Non conosco nessuna Ma....” improvvisamente lo sguardo di Luke si fece vacuo e il ragazzo si afflosciò a terra senza un lamento. Mara si ritrovò faccia a faccia con l'espressione spazientita di Tarkin. Il governatore aveva colpito Luke alla nuca con il calcio del suo blaster.
“Non c'è tempo per le spiegazioni” disse. “Andiamocene di qui, alle dichiarazioni d'amore penserai dopo.”
La cosa veramente fastidiosa del terrificante cinismo di Tarkin era che il più delle volte diceva cose sensate. Mara non protestò e si caricò il corpo svenuto di Luke sulle spalle, seguendo gli altri fuori dalla prigione.
“Suppongo ci tocchi saltare giù.” disse il ragazzino. “Non c'è altro modo per andarsene di qui.”
Tarkin alzò gli occhi al cielo. “Ci voleva un membro dell'Organizzazione per farci dono di questa brillante deduzione.”
“Tanto per dire un'altra ovvietà...” intervenne Daala. “Mi sa che la Prova non era liberare Luke.”
Mara vide il governatore aprire la bocca e lo anticipò sul tempo: “Io non lo abbandono qui, scordatevelo.”
“Comunque dobbiamo lasciare la nave.” decretò Zexion. “Mistobaan, puoi farci levitare in qualche modo?”
“L'incantesimo di volo dei demoni è individuale.”
“Posso farlo io.” disse Mara. “Avvicinatevi al parapetto.”
Mara spostò il peso del corpo inerte di Luke da una spalla all'altra e sollevò una mano, lasciando scorrere la Forza dentro di lei. Un istante dopo i piedi di Daala si staccarono lentamente dal ponte di legno, e l'ammiraglio fluttuò pian piano oltre il parapetto, guidata dalla concentrazione della guerriera Jedi. La fece poggiare con delicatezza sulla riva erbosa del lago, parecchi metri più sotto.
Stava per fare la stessa cosa con Tarkin quando il ragazzino mandò un grido d'allarme.
“Dannazione, arrivano!”
Mara imprecò tra i denti. Impegnata a far levitare Daala si era distratta dalla percezione dell'ambiente circostante.
Lo sapevo che non dovevo fare affidamento sul ragazzino!
L'atterraggio di Tarkin sulla riva fu molto meno delicato di quello di sua moglie: bisognava fare in fretta. Mara non badò agli insulti del governatore che venivano dal basso, ma concentrò il suo potere sul ragazzino, scaraventandolo direttamente in acqua. Almeno una piccola soddisfazione doveva levarsela.
In quel momento comparvero i rettili. Erano almeno una dozzina, tutti armati di asce pesanti o lance, e dall'aria decisamente poco rassicurante. Uno di loro, il capitano a giudicare dal pennacchio rosso che svettava dal suo elmo, grugnì qualcosa di incomprensibile indicando il loro gruppo con un dito dal lungo artiglio ricurvo, e i guerrieri partirono all'attacco.
Uno svolazzo del lungo mantello viola e Mistobaan si parò tra lei e la mandria di bruti in avvicinamento, le mani già scintillanti di magia.
“Vai, ti copro io!”
Non se lo fece ripetere due volte. Con uno sforzo sollevò Luke oltre il parapetto della nave e si gettò con lui nelle acque verdi-azzurre del lago, tenendolo stretto a sé con tutta la forza che aveva. L'impatto con l'acqua gelida le mozzò il fiato per un attimo, ma la sua prima preoccupazione fu far affiorare verso l'aria la testa di Luke. Lo sentì agitarsi lievemente tra le sue braccia: il contatto con l'acqua lo stava facendo rinvenire. Nuotando con un braccio solo e aiutandosi con le gambe riuscì a trascinarlo sulla riva, dove Daala le diede una mano a tirarlo fuori dal lago.
In quel momento una fragorosa esplosione le fece voltare entrambe verso la nave volante.
La Black Moclips era in fiamme. Urla e versi animaleschi segnalavano il panico evidente della ciurma, e Mara vide un paio dei grossi rettili buttarsi giù dal parapetto con gli abiti in fiamme e venire inghiottiti dalle acque del lago senza più riemergere. Poi i suoi occhi furono catturati dalla figura ammantata sospesa in aria vicino alla nave in fiamme, un angelo della morte che contemplava la propria opera distruttiva. Le sue dita artigliate brillavano ancora della magia che aveva inferto quel colpo tremendo alla Black Moclips.
La voce di Mistobaan risuonò chiara e possente al di sopra del crepitio del fuoco, degli schianti del legno che andava in pezzi e delle urla di terrore dei rettili: “QUESTO E' IL FATO CHE ATTENDE COLORO CHE OSANO CONTRAPPORSI AL VOLERE DEL GRANDE IMPERATORE PALPATINE!”
A quelle parole il cuore di Mara mancò un battito. Improvvisamente un ricordo le attraversò la mente come una scarica elettrica, e i pezzi del puzzle iniziarono lentamente ma inesorabilmente ad andare al loro posto.
Sul Baan Palace Daala le aveva detto che secondo lei le Stanze della Memoria non mostravano ricordi casuali, ma sceglievano i più importanti per ciascuna persona. Aveva ragione. Aveva maledettamente ragione... ma non del tutto. Avevano rivissuto i loro ricordi più importanti, questo sì, ma ogni volta c'erano state delle differenze.
Daala aveva rivissuto il suo primo incontro con Tarkin. Ma aveva anche visto Kratas invitarla ad uscire con lui, cosa che non era mai accaduta. E ora Daala credeva di essere innamorata di Kratas, e non di Tarkin.
Tarkin aveva rivisto il ricordo di come aveva conosciuto i suoi due migliori amici. Solo che quando aveva provato a parlare con loro quelli lo avevano trattato con superficialità e disprezzo. E ora Tarkin aveva dimenticato quell'amicizia, come se non fosse mai esistita.
Mistobaan... non era difficile intuire che per lui la nomina a Braccio Destro del suo Grande Satana doveva essere stato uno dei più grandi onori mai ricevuti. E mentre riviveva quel ricordo il volto del GSB si era trasformato in quello dell'Imperatore Palpatine, e i suoi generali erano diventati i Signori Oscuri...
… e adesso Mistobaan inneggia all'Imperatore, e scommetto che se gli chiedessi del Grande Satana non ricorderebbe neppure chi è...
Poi quel pensiero perse ogni importanza di fronte a un altro ben più terribile.
Vuol dire che anch'io dimenticherò di amare Luke?
Aragorn e Gandalf le avrebbero detto che era impossibile, fuori discussione, che non esiste incantesimo abbastanza potente e terribile da non poter essere sconfitto dall'amicizia e l'amore... ma Mara aveva visto con i suoi occhi Daala e Tarkin cambiare, e rinnegare tutto ciò in cui avevano creduto per anni....
“Mara?” la voce di Daala sembrava arrivare da un altro mondo. “Mara, stai fissando il vuoto da due minuti, che succede? Hai percepito qualcosa?”
Mara non le rispose. I suoi occhi cercarono il ragazzino, e lo trovarono steso sulla riva erbosa del lago a pochi metri di distanza, fradicio fino al midollo e con il ciuffo che gli nascondeva la faccia che lo faceva sembrare un cucciolo abbandonato nella tempesta. Non le ispirò alcuna tenerezza.
Stavolta gli avrebbe cavato la verità di bocca, costi quel che costi. Mistobaan era ancora impegnato a incenerire gli ultimi rettili che ancora si agitavano goffamente in acqua, e non poteva opporsi. Si mosse verso di lui, ma non aveva fatto neanche due passi che il ragazzino si alzò in piedi di scatto, indicando un punto alle loro spalle, verso il bosco che cresceva poco lontano dalla riva. Non riusciva a vedergli la faccia oltre la cortina di capelli argentei bagnati, ma era chiaro che aveva percepito qualcosa di pericoloso.
Un attimo prima di voltarsi nella direzione indicata dal ragazzino lo sentì anche lei.
Con la Forza allontanò Daala e Tarkin appena in tempo: un raggio oscuro apparve tra gli alberi diretto proprio nella loro direzione, ed i due atterrarono nuovamente nell’acqua gelida.
Nel sentiero appena creato nel fogliame comparve il Morgawr, proprio come lo ricordava: il suo corpo alto e muscoloso aveva ancora una forma umana, ma assomigliava molto ai rettili con cui aveva trascorso gran parte del tempo. La pelle era grigia, scagliosa e priva di peli, e gli occhi ambra erano simili a quelli di un serpente. Mara ricordava molto bene le crudeltà che aveva commesso.
La sola idea che quel mostro avesse torturato Luke la riempiva di rabbia.
Il ragazzino col ciuffo si appoggiò ad un albero, impacciato dalla sua tunica gonfia d’acqua. “Ecco, adesso un aiutino ci farebbe davvero comodo” commentò Tarkin nella sua direzione.
Non occorrevano poteri Jedi per capire come si sentisse.
La creatura discese verso di loro, supportato da un bastone nodoso con cui allontanava le pietre sul suo cammino. Non aveva bisogno dei suoi compagni rettili, la magia che scorreva in lui era più che sufficiente. La cosa che in quel momento la colpì furono le mani: molto più sottili e scarne di quelle di un essere umano, e le dita grigie terminavano in artigli scuri. Le dita che non stringevano il bastone si muovevano nervosamente.
“Umani fuggiti dalla Black Moclips, vedo” sussurrò, fermandosi proprio a pochi passi da lei. La sua voce ricordava il sibilo di un serpente, e Mara scoprì che non lo aveva dimenticato nemmeno per un istante. La creatura puntò il bastone verso di lei “Molto coraggiosi, molto coraggiosi davvero …”
Perché il ragazzino non interviene?
Tutta la fretta sembrava svanita, così come la sua presunzione. Ancora troppo stordito per lanciare un incantesimo, il Membro dell’Organizzazione si rivelava una palla al piede peggiore di Mu; alla luce dell’incendio della nave volante la pelle del Morgawr si tinse del colore del latte, dandogli un aspetto ancora più sinistro “E tutto questo … solo per lui?”.
La ragazza non aveva bisogno di guardare per sapere cosa stesse puntando il rettile con il suo bastone. Quella persona forse insignificante, quel ragazzo dall’abito strappato, quel semplice umano che giaceva privo di sensi sulla riva della spiaggia: la pelle dello stregone era troppo contratta per sorridere, ma doveva trovare molto divertente quella scena. Cinque persone avevano rischiato la loro vita e distrutto una nave volante preziosa per la vita di un umano. Agli occhi di un essere sibilante come lui, che probabilmente aveva abbandonato i sentimenti e le emozioni durante una delle tante mute della sua pelle, tutto quello non aveva senso.
Ma per lei sì. Aveva liberato l’uomo che amava.
L’uomo che probabilmente avrebbe dimenticato una volta uscita da quella maledetta stanza. Perché era così, ne era certa ormai, era quello il gioco crudele dei Membri dell’Organizzazione. I ricordi di Luke sarebbero scivolati via senza che lei se ne potesse accorgere una volta superata da fatidica prova; aveva un mostro davanti a lei, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era l’idea di perdere ogni memoria dell’uomo che amava, e gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Sì”
Accese la spada laser, fiduciosa nel familiare ronzio. La luce rossa tinse anche gli occhi del mostro di un colore di fiamma, e si ridussero a delle fessure che traboccavano d’odio.
“Soltanto per lui”.
“SOLTANTO PER LUI” fece una seconda voce. Mara ed il Morgawr si voltarono insieme, guardando il cielo. Della nave volante ormai non restava che un’impalcatura in pezzi che andava lentamente cadendo, sfracellandosi sulla superficie del mare, e l’aria sopra di loro era così carica di cenere che poteva oscurare il cielo. Il vento mosse un mantello candido “SOLTANTO PER IL GRANDE IMPERATORE PALPATINE!”
Mara si lanciò sul corpo di Luke, rotolando insieme sul fango e sulla sabbia, e nel farlo urlò. Contro chi, non ne era sicura. Forse contro Mistobaan, che adesso idolatrava un nuovo sovrano. O forse contro il ragazzino dal ciuffo, per dirgli quanto lo detestasse. Ma in parte urlava contro se stessa e contro la sua debolezza, perché una volta sconfitto lo stregone rettile la prova sarebbe stata superata ed i suoi ricordi sarebbero … non può, non deve finire così!
Cercò il piccoletto con il ciuffo, ma l’attimo seguente vide soltanto Mistobaan, avvolto nel suo mantello che piombava tra di loro alla ricerca del suo avversario; il corpo era avvolto in un’aura luminosa e gli occhi le bruciarono, e strinse con maggior forza il ragazzo svenuto mentre il loro alleato preparava il suo incantesimo. Il rettile sibilò, ma quando si protesse con il bastone quello era già in pezzi, spezzato dagli artigli d’acciaio del suo avversario.
In una furia cieca, quasi animalesca, Mistobaan proseguì nel suo volo, e penetrò attraverso le maglie difensive del suo nemico mandandole ad infrangersi contro la sua aura luminosa. Le piante intorno a loro diventarono cenere e l’acqua si illuminò di rosso mentre dal palmo della sua mano esplose un ultimo, grandioso incantesimo. Il ragazzino mosse una mano, e con un turbine d’aria protesse Daala e Tarkin, lasciando che il potere dell’essere incappucciato si abbattesse solo sul reale avversario.
Quando gli artigli di Mistobaan attraversarono il ventre del Morgawr non ci fu nessun suono tranne quello del corpo da rettile che ricadeva in pezzi sul terreno ormai deserto “Questo è quello che avviene a chi sfida il mio sovrano”.
No, Mistobaan, è solo una bugia! Non è questo in cui credi davvero, ti stanno ingannando!
Quando vide la luce bianca pianse a dirotto, lasciando liberi tutti i singhiozzi. Strinse il corpo di Luke pregando che si risvegliasse, perché anche se era soltanto un’illusione avrebbe potuto portarlo fuori di lì, farlo innamorare di lei, cambiare le regole di quella Stanza, sarebbero …
Il chiarore tra le mani di Daala occupò ogni cosa, e Mara sentì il corpo che aveva tra le braccia assottigliarsi, inghiottito da una nebbia impalpabile.



“Luke? Chi, quel ribelle?”
“Beh, sì, certo che è un Ribelle, Mara” fece l’Invocatrice, guardando con meraviglia i loro vestiti. Una volta usciti dalla Stanza tutto era tornato come prima, ed i loro abiti erano caldi ed asciutti. Zexion constatò con piacere che anche l’odore di quel mondo paludoso era svanito dalla sua tunica. “Insomma, credevo fossi felice di averlo rivisto!”
“E perché dovrei? E’ un ribelle come tutti gli altri, non capisco per quale motivo dovrei ricordarmeli tutti a memoria”.
E anche questa modifica ha funzionato. Per quanto non credevo fosse così necessaria.
Il n. VI dell’Organizzazione aprì un Portale Oscuro. Anche questo gruppo aveva superato la quarta prova, e da quello che poteva percepire l’altra Invocatrice con il suo Intercessore erano stati già trasportati nella stanza dell’Invocazione Suprema da Marluxia e Larxen.
Adesso occorreva solo portare a termine il piano, per quanto nel cuore del ragazzo ci fossero ancora molti dubbi. Prese per mano l’Invocatrice.
“Ma Mara, che ti prende? Luke è tuo marito!”.
“Mio marito? Daala, ma quale olomovie ti sei …”
Con molta meno gentilezza del previsto Zexion trascinò la donna nel Portale Oscuro, e ne aprì un altro proprio sotto i piedi dell’Intercessore, che scomparve senza dire una parola “Ora abbiamo altro da fare”.
Con un gesto lasciò le due persone nella stanza finale, senza nemmeno rivolgere loro la parola. Tutti i pezzi del puzzle stavano andando lentamente al loro posto: il disegno risultante era l’Invocazione Suprema, il mistico potere che avrebbe permesso a loro cinque di riportare il Castello nella loro dimensione e dominarla come padroni. Ma l’amara verità era che vedeva le tessere del puzzle, ma non la mano che le stava disponendo. Un pensiero inquietante, con cui lasciò il gruppo e si trasportò davanti a Marluxia e Larxen, abbandonando Mistobaan e Mara nell’anticamera.
“Possiamo procedere”.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Sacrificio ***


Capitolo 21 - Sacrificio


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Zachar




“Cosa ci fanno loro qui?”.
Non aveva ancora riaperto gli occhi che quella voce odiosa la investì con tutto il suo disprezzo.
“Credi che io abbia una sfera di cristallo? Certo che non lo so!”
“Beh, una cosa è sicura! Terminiamoli ora che sono svenuti e la Galassia dormirà sogni tranquilli. E io più di tutti!”
Terminiamoli ora che …
Zachar si alzò in piedi di colpo. Poteva ancora sentire il freddo del Carahdras nelle ossa.
Per istinto preparò una Sfera Infuocata tra le mani e la puntò verso l’uomo che aveva parlato: avrebbe riconosciuto la voce del governatore Tarkin ovunque. Lui e la sua mania di terminare chiunque gli dispiacesse.
Mentre accanto a lei Kaspar cercava di rialzarsi mise a fuoco la vista: non si era sbagliata. Vederla in piedi e con un incantesimo caricato nella sua direzione fece svanire dalla faccia del governatore il suo sorriso. In compenso cercò al fianco la fondina del blaster.
“Cosa volevate fare voi due?”
Cosa ci fanno loro qui?
L’Imperatore ci ha trovati?

Eppure dall’espressione dell’ammiraglio Daala era certa che anche loro fossero rimasti sorpresi dall’incontro. Anche se non gliene importava proprio nulla. Doveva trovare Auron.
Tenendo di mira i due si guardò intorno, e notò che non era una delle solite anticamere. Era una stanza ampia, priva di qualsiasi arredamento, bianca come solo nel Castello dell’Oblio ad eccezione di strani segni luminosi che riempivano il pavimento e le pareti di venature multicolori.
Si accorse solo in quel momento che oltre a lei e Kaspar non c’era traccia degli altri membri del loro gruppo: “Ash …? Che fine ha fatto?”
“Zachar …” dopo tutto quel tempo che era rimasto svenuto, le fece uno strano effetto sentire la voce di Kaspar “CHE ASPETTI, ZACHAR? POLVERIZZA QUEI DUE!”
Fece un grande sforzo per fermare la mano. Aveva passato una vita ad obbedire agli ordini di quel mago, ma aveva giurato a se stessa che non sarebbe stata mai più il suo burattino, sebbene avrebbe eseguito quell’ordine molto volentieri.
“ZACHAR, MA TI SEI IMBAMBOLATA?”. Si alzò in piedi a fatica, e lei dovette resistere all’impulso di aiutarlo a tenersi in piedi.
Che si facesse aiutare da qualche altro divertissement…
Ma, anche se debole, Kaspar era l’incantatore migliore della galassia. Lanciandole contro un insulto caricò la sua mano sinistra con una sfera infuocata e la scagliò contro l’ammiraglio Daala ed il governatore Tarkin prima che lei avesse tempo di fermarlo o farlo ragionare.
Ci fu un turbinio di oscurità, e la magia di Kaspar si abbatté su un Membro dell’Organizzazione.
Le fiamme lo avvolsero, e Zachar lo fissò con ancora più orrore quando vide che le fiamme, invece di ridurlo ad un mucchietto di cenere, si avvolgevano intorno al suo braccio e sparivano.
Il ragazzo appena apparso aveva uno sguardo impertinente e due occhi verdi che le ricordavano un uccello predatore.
“Senti, mocho, se vuoi un consiglio la prossima volta ficcati quella Palla di Fuoco nel …”
“AXEL!”
Aveva imparato a riconoscere subito la voce di quel Marluxia. L’uomo dai capelli rosa uscì da un Portale avvolto in una cascata di petali, falce in mano e gli occhi rivolti verso lei e Kaspar; con lui apparve anche la ragazza bionda che li aveva attaccati ed altri due, un uomo quasi anziano ed un bambino dal ciuffo tra l’argento e l’azzurro.
Aggiungendoci il ragazzo dai capelli rossi che aveva appena dissolto la sfera infuocata, facevano cinque Membri dell’Organizzazione. Chissà se sono tutti …
A giudicare da come Daala e Tarkin lanciavano occhiate aggressive agli uomini in nero era quasi certa che anche loro li avessero già incontrati. E non in modo pacifico.
“DOV’E AURON?”
“Oh, alla tavola da surf piace il nostro mercenario tutto muscoli?” quello dai capelli rossi che aveva appena intercettato la sfera infuocata le venne accanto, con un ghigno minaccioso che non prometteva nulla di buono. Sotto gli occhi aveva due tatuaggi scuri che mettevano in evidenza i suoi occhi vivaci, che guizzavano come quelli di un rapace. Resistette all’impulso di scagliargli addosso uno dei suoi incantesimi; non avrebbe raggiunto il suo scopo attaccandoli a testa bassa.
“Axel, lascia che sia io a parlare”.
“Ancora giochi a fare il capo, Bocca di Rose?”
“Non ho tempo da sprecare nei vostri battibecchi” disse Tarkin, allontanandosi da Daala “Sono decisamente stufo di essere trascinato per il vostro Castello pensante come un pacco. Se avete qualcosa da dirci, sbrigatevi! Visto che siamo giunti nella famosa stanza dell’Invocazione Suprema meriteremo pure qualche informazione in più!”.
Marluxia abbandonò il resto del gruppo e si portò tra di loro, mentre il suo compagno dagli occhi verdi si allontanò bofonchiando qualcosa; Kaspar lanciò ad entrambi uno sguardo omicida, e vide che tra le sue dita l’aria iniziava a scintillare ben nascosta tra il suo corpo ed il mantello bianco. Adorava colpire alle spalle, ma lo lasciò perdere. Doveva uscire di lì e trovare Auron e Ash, non importava quanti Membri dell’Organizzazione avrebbe dovuto calpestare.
“Invocatici. Intercessori. L’Organizzazione vi ringrazia per aver portato a compimento con successo tutte le prove”.
“Smettila di fare il rappresentante di droidi protocollari e vieni al dunque”. Il governatore Tarkin è un idiota a parlargli in quel modo. Non ha visto come ha sconfitto Kaspar …
Ma quel Marluxia non sembrava affatto turbato.
“Come preferite. Siete arrivati nella stanza dell’Invocazione Suprema …”
“Il bagno di un kaminoano è più arredato …”
“Stavo dicendo” continuò l’uomo con i capelli rosa, stavolta con un tono più seccato “Che ormai avete raggiunto la Stanza dell’Invocazione Suprema ed avete raccolto l’energia delle quattro Stanze della Memoria. Sinceramente avete superato ogni nostra aspettativa, non credevamo che riusciste ad arrivare entrambe fino alla fine …”
Entrambe? Zachar fissò Daala, e si rese conto che l’ammiraglio le stava ricambiando l’occhiata, con un’ombra di dubbio scolpita nel suo viso. Ma mi avevano detto che io ero l’Invocatrice …solo io, e Kaspar era …e perché adesso anche lei …?
“Il Castello dell’Oblio ci ha sorpreso quando ci ha mostrato i volti di due Invocatici, non di una soltanto. Ma meglio così. A noi basta che una sola di voi compia l’Invocazione Suprema per liberare lo Spirito del Castello e spezzare le catene che imprigionano il nostro mondo. Con il potere da voi sprigionato il male creato dal Grande Satana Baan sparirà una volta per tutte ed i popoli ve ne saranno immensamente grati. Noi per primi”.
L’ammiraglio Daala prese la parola “Diteci cosa bisogna fare così ce ne andremo tutti a casa”,
“Molto semplice, Invocatrice” il sorriso di quell’uomo le mandò un brivido freddo lungo la schiena “Basta che una di voi uccida il proprio Intercessore”.
Il brivido che si sentiva addosso divenne un colpo di migliaia di lame lungo i fianchi ed il petto.
Questo … questo Auron non me lo aveva detto.
Loro vogliono che io … che io uccida …

L’energia magica dietro di lei esplose, liberata con un unico attacco. Si scansò giusto in tempo, ed il globo ricco di acido e fiamme verdi saettò dalle dita di Kaspar ed andò dritto verso le spalle dell’uomo dai capelli rosa. L’ammiraglio Daala si lanciò a terra e lanciò un urlo, ma una cortina di petali rosa si avvolse intorno a quel Marluxia: la sfera acida si infranse contro di essi, crepitò in un profumo dolciastro e si dissolse in mille gocce. Alcune di esse raggiunsero il suo braccio, e Zachar fu costretta a richiamare un incantesimo di guarigione mentre Kaspar, ancora debole per l’attraversamento delle Stanze, cadeva in ginocchio accompagnato da un’imprecazione.
“Marly, un secondo di troppo ed avrei sentito l’odore della tua carne sfrigolare per l’acido” fece la ragazza bionda, quella che aveva osato colpire Auron tra i ghiacci “Perché mi privi sempre del divertimento?”
Zachar non aveva intenzione di ascoltare un secondo di più quei cinque pazzi.
L’ammiraglio Daala si rimise in piedi, e la maga si rese conto di non aver mai visto quella donna così determinata.
“Quello che chiedete è impensabile. Tarkin non sarà il marito che amo né tantomeno l’uomo migliore della galassia, ma …”
“Ehi, Daala, vacci piano, io …”
“Taci. Fai parlare me, una volta tanto!” ribatté lei, fissando con ira il Membro dell’Organizzazione. Il suo desiderio di ucciderlo era chiaro dal suo viso “Se pensate che io uccida mio marito solo per uscire di qui vi sbagliate di grosso. E vorrei proprio vedere come sperate di convincermi”.
La decisione dell’ammiraglio le diede una nuova forza nelle vene. Odiava Kaspar per quello che le aveva fatto, non c’era alcun dubbio. La odiava per averla trattata come un giocattolo, una pezza da piedi, un burattino. Lo odiava perché per colpa sua l’Impero la considerava un’ameba insignificante.
E lo odiava perché aveva tentato di uccidere Auron.
Ma non poteva cadere così in basso.
Avrebbe fatto solo il loro gioco, e non era così sicura di volerlo, non quando il risveglio dello Spirito del Castello avesse richiesto un tributo così alto.
Ed anche se non avesse dovuto sacrificare Kaspar non avrebbe accettato lo stesso.
“Daala”.
Quando parlò persino Kaspar rimase in silenzio.
“C’è una cosa che questi gentili signori non ci hanno rivelato. Hanno omesso un particolare molto importante”.
Auron ha rischiato la vita per rivelarmelo.
“L’Invocatrice che accetterà il patto morirà insieme al suo Intercessore”.
A quelle parole l’ammiraglio la guardò sconcertata, e lei vide alla sua destra uno dei Membri dell’Organizzazione, quello più anziano, svanire in un Portale Oscuro.



“L’Invocatrice che accetterà il patto morirà insieme al suo Intercessore”.
Prevedibile. Assolutamente prevedibile.
Il sorriso dipinto sulle labbra del n. XI vacillò per qualche secondo. Zexion vide la sua maschera di bellezza e perfezione assottigliarsi, e l’odore pieno di sicurezza e forza cedette il passo ad un profumo dolciastro, un piccolo segno di vacillamento.
Adesso che entrambe le Invocatici erano a conoscenza del doppio sacrificio dell’Invocazione Suprema il loro compito sarebbe stato più difficile: era certo che la maga di nome Zachar avrebbe volentieri ucciso l’altro Intercessore, il governatore vecchio ed irascibile, ma non avrebbe funzionato. Aveva sfogliato molte volte i testi relativi al procedimento, cercando di trovare un nesso logico tra il sacrificio ed il risveglio; ma l’odore di quei libri lo nauseava, sembravano impregnati della stessa Oscurità. Un qualsiasi sacerdote del loro mondo li avrebbe trovati come minimo blasfemi e peccaminosi.
Ma Zexion non era un sacerdote. Gli era bastata solo una lettura per capire il fascino che quelle parole avessero agli occhi di gente come Marluxia e Vexen, alla costante ricerca di qualcosa di superiore a loro, che potesse dissetare le fiamme nel loro petto.
Non potevano di certo mettere delle armi nelle mani delle ragazze e spingerle a forza contro i loro Intercessori: non erano quelle le regole del Castello.
Ed il n. IV lo sapeva meglio di lui.
Lo vide aprire un Portale Oscuro, sicuramente diretto al suo laboratorio.
L’odore di odio delle due donne aumentò, ed il profumo irritante di albicocca di Larxen non aiutava la concentrazione.
“Un motivo in più per lasciarci andare subito. Non ho alcuna intenzione di morire in questo stupido Castello. Le mie figlie mi aspettano”.
“Figlie?”
Axel si teleportò accanto a lei, così vicino da toccarla “Una come te è sprecata per far figlie con un vecchio gerarca mummificato”. Fece per acchiapparle la vita con un braccio, ma quella si scansò e cercò la fondina del blaster “Ma ti assicuro che se vuoi la pancia piena di marmocchi me ne posso occupare io … ti sorprenderebbe cosa so fare quando mi scal …”
“GIU' LE MANI DA MIA MOGLIE”
L’ira dell’uomo anziano era cresciuta a dismisura; Zexion lo aveva lasciato fare, senza nemmeno sprecare una parola. Il n. VIII non aveva certo bisogno dell’aiuto di un ragazzino per liberarsi di un vecchio pedante, dopotutto …
Anche quando il vecchio pedante teneva il ragazzo dai capelli rossi sotto mira di un blaster.
La sua non era una presa elegante e sicura. Non era certo un uomo che passasse il suo tempo libero con un’arma in mano. I suoi lineamenti d’acciaio mascheravano insicurezza, ed un suo colpo avrebbe di certo mancato il bersaglio.
Zexion lo sapeva, così come lo sapeva il governatore.
Ma nonostante questo non abbassò il blaster “Quello che accade tra me e Daala non ti deve interessare, roscio. Daala è anche un mio sottoposto, e se credi di avvicinarti a lei senza la mia autorizzazione ti sbagli di grosso”.
Persino Larxen fissava la scena divertita al discorso del governatore, ma l’amara verità era che on c’era assolutamente nulla da ridere “Non sarò un genio in magia, ma una cosa la capisco benissimo. Tu non puoi uccidermi di persona, o la tua Invocazione Suprema va a quel paese. Ma io posso farti un bel buco in mezzo al petto senza tanti problemi”.
Era una bugia, Zexion poteva percepirla. L’odore del governatore rivelava quello che le sue braccia, i suoi lineamenti ed i suoi occhi nascondevano. Cercava di minacciare Axel nascondendo le sue debolezze.
Così non andava.
Li avevano condizionati entrambi. Nella prima stanza avevano alterato i ricordi dell’ammiraglio Daala, instillando in lei un amore fantasma per un compagno di camerata, dando un nuovo colore al suo matrimonio con l’anziano governatore. Le avevano fatto credere di amare quel Kratas, e di aver sposato l’anziano governatore solo per fare carriera. Ed in lui avevano cancellato molti ricordi della sua strana amicizia, sforzandosi di rendere ancora più impenetrabile il suo cuore.
Ma quei gesti rivelavano il contrario, ed il ragazzo si rese conto che anche Marluxia aveva assaggiato l’amara verità.
Si amano ancora.
Nonostante il condizionamento.
Nonostante i falsi ricordi.
Non sanno perché si stanno difendendo a vicenda, ma lo fanno.
Si inventano scuse futili, ma la verità è che il condizionamento non ha attecchito.

L’uomo anziano con la bellissima e giovane moglie, la coppia che sembrava più facile da spezzare. Aveva sentito i loro sentimenti sin da quando lui era apparso nel Castello, ma aveva creduto che il potere delle stanze avrebbe potuto indebolirlo.
Indebolirlo sì. Spezzarlo no.
Vexen aveva abbandonato la stanza dell’Invocazione Suprema per completare la modifica dei ricordi delle Invocatrici: poteva sentire i suoi pensieri di ghiaccio decine di piani più sotto, mentre cercava di manipolare le menti delle due donne con fili invisibili. Ma ci sarebbe voluto ben altro per costringere l’ammiraglio Daala ad uccidere suo marito, e si chiese se dall’alto della sua onniscienza il n. IV lo avesse capito.
Poi un altro odore attraversò la sala. “Commuovente quadretto” disse Kaspar, tenendosi in piedi a fatica. Il potenziale magico di quell’uomo era innegabile, ma finché era ferito non avrebbe rappresentato una minaccia per nessuno di loro “Zachar, visto che vogliono tanto vedere morto il governatore Tarkin accontentali!”.
Prima che il n. XI potesse mettere bocca fu l’Invocatrice a rispondere: “Non funziona così, Kaspar. Deve essere Daala a farlo, non io”. Quando il mago fece per chiamare un incantesimo fu lei stessa a mettersi davanti “Se lo ucciderai non potremo più uscire di qui”.
La sua voce era molto decisa, ben diversa da quella della timida Zachar che era entrata nel Castello pochi giorni prima; l’unico caso in cui le modifiche di Vexen erano servite a far del bene, pensò con amarezza.
“E di chi è la colpa? Chi è l’imbecille che ci … che MI ha trascinato qui dentro? Chi è l’ameba senza cervello che mi ha costretto ad uscire dal mondo che mi spettava di diritto?”.
Ancora gli bruciava di essere stato riportato alla realtà, e quel Kaspar non era il tipo da serbare rancore in silenzio. La sua ira era grande quanto il suo potenziale, e senza i poteri del Castello a sorreggerli nemmeno loro cinque uniti sarebbero riusciti a tenergli testa. La ragazza dai capelli rossi si allontanò da lui, e per un istante credette che le modifiche di Vexen non sarebbero state necessarie. Gli occhi dell’Invocatrice parlavano da soli: “SMETTILA DI DARE SEMPRE LA COLPA A ME! NON SONO PIU IL TUO DIVERTISSEMENT, BASTA!”
Zexion era certo di aver visto un nuovo sorriso sbocciare sulle labbra di Marluxia.
“ZACHAR, NON TI AZZARDARE MAI PIU A RIVOLGERTI A ME CON QUESTO TONO!”
Adesso anche l’altra Invocatrice stava fissando la scena, ignorando persino lo sguardo avido del n. VIII al suo petto. I sentimenti che si sprigionavano da Zachar e da Kaspar erano più che sufficienti.
Il loro legame non è saldo come quello dell’altra coppia. L’Intercessore lo sta deteriorando senza accorgersene. Spero che il n. IV abbia il buon senso di…
Vexen entrò in azione.
Il n. VI lo sentì chiaramente. I suoi pensieri potevano essere macchie d’inchiostro sulle pareti del castello, per quando erano visibili. La stanza fu immersa da un gelo innaturale, e vide Axel stringersi nervosamente nella tunica e Marluxia sollevarsi con grazia il cappuccio. Era certo che agli angoli della stanza si fossero formati dei cristalli di ghiaccio. Ma la vera magia non era nel freddo, ma nel vortice di potere che Vexen, da lontano, stava rivolgendo sull’Invocatrice.
In quella stanza, e solo in quella stanza, si potevano cambiare tutti i ricordi di una persona: non solo quelli relative agli avvenimenti mostrati nelle Stanze, ma ogni cosa e con maggior forza.
Narratore: Registe, per favore, scrivetevelo qui perché altrimenti ve lo dimenticherete, vi conosco troppo bene!
Regista: Devo dargli ragione, sai che io me lo stavo dimenticando?
Regista: Siamo cadute troppo in basso. Il Narratore ci sta riprendendo in pubblico. Qui urgono provvedimenti.

“Sei tu che non devi più …” continuò lei. Poi il condizionamento si attivò. Nelle sue mani si creò una Sfera Infuocata più grande di quelle di Axel, che per un istante fece risplendere la stanza di un colore rosso intenso “TU … TU HAI UCCISO AURON! SEI STATO TU!”
Eccellente modifica, n. IV. Come al solito per te le menti degli altri sono solo un gioco.
Le menti di chiunque …

Kaspar non riuscì a negare. Prima che potesse anche solo risponderle con il suo solito tono l’incantesimo di lei partì, abbattendosi su di lui ed inondando la stanza del colore del fuoco. L’entusiasmo degli altri fu insostenibile, e per un attimo Zexion sentì le pareti del Castello vibrare, come per rilasciare Colui che dormiva nelle sue profondità. La magia delle mura fu così forte che il n. VI quasi svenne, assalito da quel potere che ruggita, feriva, pulsava in attesa che il sacrificio di un uomo lo riportasse in vita, e Zexion sentì un tuffo al cuore. La sensazione di aver sbagliato tutto.
Ma la magia non esplose, e quel caleidoscopio di odori si ritrasse, lasciando il ragazzo senza fiato.
Quando riaprì gli occhi Kaspar era ancora vivo. Ferito, in ginocchio, ma i suoi occhi di ghiaccio erano tutt’altro che spenti mentre fissavano il punto in cui l’incantesimo dell’Invocatrice si era infranto.
Tra lui e la Palla di Fuoco c’era una spada che tutti conoscevano bene.
“Questo mocho merita una bella lezione, Zachar” la Masamune si abbassò “Ma non qui. E non ora”.
L’aria che ancora crepitava di magia sollevò la veste rossa mentre Auron puntò la spada verso Marluxia “Sono questi bastardi il nostro obiettivo”.
Da un secondo Portale Oscuro uscì l’armatura d’oro di Mu.
Da un terzo comparve una donna vestita di viola, che con un solo movimento si portò tra l’ammiraglio Daala ed il n. VIII. Un semplice respiro del suo odore e Zexion capì che l’Invocazione Suprema era fallita.
Nel peggiore dei modi.


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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - Donna e drago ***


Capitolo 22 - Donna e drago


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Zam drago




Per una volta persino Kaspar fu felice di vedere la mutaforma.
Uscì dal Portale Oscuro con il suo fare superiore, superando con un rapido passo lo schifoso mercenario ed il suo amico dall’armatura d’oro. Zachar era ancora immobile, con lo sguardo infuriato, e passava rapidamente gli occhi da lui ad Auron.
Ma cosa le è preso a quella cretina? Se crede che IO abbia fatto fuori quell’armadio …che lo avrei fatto volentieri, quello non lo nego … ma il soldato vestito di rosso era vivo, vegeto, e molto più forma di lui. Se non si fosse sentito così a pezzi gli avrebbe volentieri lanciato una delle sue migliori Ultima.
Ma non staccò gli occhi dalla mutaforma. Zam Wesell era pazza ed imprevedibile. E, cosa ancora più importante, lo voleva morto. Il sentimento ovviamente era reciproco, ma Kaspar aveva imparato suo malgrado che era impossibile sconfiggere quella sgualdrina per le vie dirette. Scivolò oltre gli altri, lasciando pochi metri di distanza tra sé ed i Membri dell’Organizzazione che si stavano lanciando occhiate incuriosite.
Come avessero fatto Auron ed il sacerdote da strapazzo a portarla in quel Castello era un mistero che in quel momento non aveva intenzione di svelare, intento solo a cercare di recuperare le forze; gli incantesimi di guarigione non erano il suo forte, e si sedette a terra cercando di convogliare quanta più energia magica possibile verso le sue ferite, provando ad accelerare la guarigione.
La cacciatrice di taglie si muoveva con un passo fermo, senza alcun timore del Castello bianco. “Allora è vero” fece, rivolgendosi verso l’ammiraglio Daala “Stai bene? E Mara dov’è?”.
Già …
Dove andava l’ammiraglio Daala c’erano sempre Mara, la Sith traditrice e la mutaforma; Kaspar non aveva la minima idea (tantomeno gli interessava) su come le tre donne fossero riuscite a stringere amicizia, ma con suo sommo disgusto si erano rivelate uno splendido terzetto, la versione femminile del Trio Destroyer. Ma decisamente più letale.
Un giorno ti farò sputare tutta la tua boria, puttana. Ma adesso mi servi intera…
“Non so dove sia Mara. Questi gentili signori …” indicò gli uomini vestiti di nero “… ci stanno facendo qualcosa, Zam. Me lo sento. Vogliono che io uccida Tarkin”.
“Il mondo non verserebbe una lacrima, te lo assicuro”.
Tra lei ed il governatore non c’era mai stato buon sangue. La mutaforma era sempre stata un essere impulsivo ed una predatrice di natura, ma dotata di un senso dell’onore così rigido che non ammetteva repliche; Tarkin era calcolatore, pratico e privo di qualsiasi senso di eticità. Kaspar aveva cercato di sfruttare questo punto debole per isolare l’anziano gerarca, ma Zam Wesell continuava a rimanere il cane da guardia del Trio Destroyer, dell’ammiraglio Daala e delle sue patetiche bambine.
Prima che Tarkin potesse risponderle come suo solito la donna gli diede le spalle e si rivolse al sacerdote con l’armatura d’oro “Mi hai detto la verità. Ti ringrazio”.
Si incamminò verso i Membri dell’Organizzazione: “Da qui in poi ci penso io”.
Kaspar si augurò che quei quattro riuscissero a darle una lezione con i fiocchi, ad umiliarla proprio come quel Marluxia si era permesso di fare con lui. Se per quella donna l’onore era la cosa più importante allora avrebbe voluto vederla rotolare nel fango, ma si rese conto di aver bisogno di lei più del previsto. Zachar continuava a sbraitare come una matta: il mercenario la tratteneva, ma non sarebbe durato in eterno e così debole non avrebbe avuto la forza di resistere ad un incantesimo della sua ameba. Ma con lei avrebbe fatto i conti al ritorno.
Se fossero tornati.
E quello, come al solito, dipendeva dall’umore della cacciatrice di taglie.
Quel Marluxia la squadrava dalla punta degli stivali neri al corpetto viola all’elmo: i suoi occhi azzurri guizzavano alla ricerca di armi, Kaspar ne era sicuro. E per quanto Zam Wesell avesse armi nascoste su tutto il corpo, la sua arma migliore era il suo corpo stesso.
“Beh, ho visto donne molto migliori di questa qui!”.
Kaspar non poté che essere d’accordo con il ragazzo dai capelli rossi ed i tatuaggi.
“Senti, non so chi ti credi di essere ma qui abbiamo un’Invocazione Suprema in atto”.
“IO INVECE HO IN ATTO DI SPACCARVI LA…”
La mutaforma zittì il mercenario solo fissandolo. Il mago aveva sempre detestato che quella donna avesse gli occhi color del ghiaccio, molto simili ai suoi e con una sfrontatezza che la accompagnava ad ogni passo, in grado di ammutolire persino il governatore Tarkin e far preoccupare l’Imperatore. Quei Membri dell’Organizzazione non avevano idea di quale mastino Auron avesse sguinzagliato nel loro preziosissimo Castello dell’Oblio. “Ho detto che ci penso io. Non mettetevi in mezzo”.
Degli uomini in tuta quello che realizzò il pericolo fu il piccoletto con il ciuffo, che richiamò l’attenzione di Marluxia con diversi ceni del capo. Anche un cieco avrebbe visto la preoccupazione sulla sua faccia.
Ma il roscio non doveva essere solo cieco, ma anche molto, molto stupido. Si piegò in avanti ed i suoi compagni si allontanarono, lasciando che intorno a lui si formasse un cerchio di fuoco; dalle lingue di fiamma si staccarono due scintille che raggiunsero i suoi guanti. Ci fu un’esplosione di calore, e le scintille si ingrandirono fino a sembrare due dischi dall’anima bianca e delle punte rosse, che ricaddero tra le sue dita senza alcun rumore. Kaspar aveva visto qualche volta dei soldati dell’Amn usare dei chackrams ed altre armi primitive, ma quelli del ragazzo dai capelli rossi emanavano una notevole aura magica. Erano imbevuti del potere del fuoco. Istintivamente si appiattì contro la parete, e vide il mercenario ed il sacerdote imitarlo.
Il primo chackram saettò dalla mano sinistra del proprietario e percorse tutto il perimetro della stanza, mancando di poco la testa del governatore Tarkin; si diresse contro la mutaforma da dietro, mentre la seconda arma, ricoperta di un letto di fiamme, puntò dritta contro il suo viso.
La mutaforma scivolò in avanti, e con un guizzo fece scivolare il suo braccio nell’impugnatura dell’arma infuocata, lasciando che arrivasse dritta fino alla sua spalla per poi ricadere nel suo pugno, mentre il fuoco si spense contro la sua tuta. Rapida come un predatore si abbassò, e prima che Kaspar riuscisse a vedere il suo movimento si protese all’indietro ed afferrò il secondo chackram per una delle punte. Nel farlo atterrò sulle ginocchia, ma le due armi adesso erano solo due cerchi inutili nelle sue mani.
Il mago sentì la bile risalirgli in gola. Come avrei voluto umiliare Marluxia in questo modo.
Ma Wesell era una bestia, una delle poche cose sensate mai dette dall’Imperatore Palpatine. Era un’arma da guerra, addestrata per cercare, uccidere e distruggere, e quello era il suo lavoro, una cacciatrice di taglie, feccia della galassia. Una razza di cambiapelle fastidiosa ed odiata da tutti, di cui quella donna rimaneva l’unico esemplare. Kaspar non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea che quel roscio potesse farle anche solo un graffio.
“Axel, ti sei fatto prendere i chackrams? Che scarso!” fece la ragazza bionda, l’unica che sembrava divertita dalla scena “Dopo il complotto sei diventato pigro, eh?”.
Otto fulmini saettarono intorno alle sue dita, ma da quella distanza Kaspar non riuscì a vedere bene cosa stesse facendo. In compenso quando la mutaforma sibilò un “Accomodati” la sentì benissimo.
Corse verso l’angolo più distante dai loro avversari, cercando nel suo potenziale magico la forza per un incantesimo di difesa, ma anche quando intorno a lui si formò un piccolo tornado sapeva che non sarebbe stato sufficiente. Vide Auron trascinare Zachar, la MIA Zachar, contro l’ingresso, ed il governatore Tarkin fece lo stesso. Bastavano pochi giorni all’Impero per sapere che Zam Wesell non ammetteva intrusi durante una trasformazione.
Si accorse con sommo dispiacere che la stanza era molto ampia.
Enorme.
Con un soffitto alto come diversi piani di un grattacielo.
Mai dare alla sgualdrina troppo spazio di manovra.
La ragazza dai capelli biondi svanì in un Portale Oscuro, e la vide ricomparire in aria e ricadere sulla mutaforma come un unico, grande fulmine, accompagnata da un urlo di battaglia. Ma, come prevedibile, il fulmine si infranse su una massa di scaglie color sangue, e la ragazza si rialzò dal suolo appena in tempo, evitando una zampa grande quanto un essere umano.
Il drago socchiuse le ali e spalancò le fauci verso il Membro dell’Organizzazione dai capelli rossi, che lanciò un urlo di puro terrore. Provò a teleportarsi dove i suoi chackrams giacevano per terra, ma una zampata di Zam lo colpì alla spalla e fu costretto a ritirarsi.
La mutaforma agitò la coda, fissando i quattro avversari: il piccoletto aveva un’espressione di puro panico dipinta sul volto, e con una certa soddisfazione vide anche Marluxia indietreggiare, colto alla sprovvista dalla trasformazione della donna. Il ruggito fece tremare metà del Castello. Alla luce bianca emanata dalle sue pareti le squame rosse sembravano un’enorme macchia di sangue, una perfetta macchina di morte dotata di zanne, artigli ed ali.
Per una volta era felice di non essere lui il bersaglio della furia di Wesell.
Dall’altra parte della sala il sacerdote dai capelli viola si segnò il viso ed il petto mentre cercava rifugio dietro la spada del mercenario.
Quando il drago si protese in avanti i quattro si teleportarono ai suoi lati, tranne quello con i capelli rossi.
Un turbine di petali rosa avvolse la stanza, la familiare cascata che Kaspar aveva imparato a detestare, accompagnata dal suo profumo pungente. Ne caddero a dismisura, ancora più che nel precedente duello; alcuni rosa, altri scarlatti, decine neri, tutti accorsero dal soffitto, scivolando lungo le ali del drago e contro le sue squame. Il vortice intorno a lui ne tenne lontani molti, ed il mago sapeva che quello sarebbe stato solo l’inizio. Tra l’uno e l’altro era pronto a giurare di sentire dei sussurri, delle voci disperate che accompagnavano quella fioritura impazzita in un corteo funebre. La mutaforma non se ne curò, ma dal fondo della sua gola di drago partì una fiammata che colpì in pieno il ragazzo che era rimasto immobile davanti a lei; che ne uscì indenne, come se il fuoco si fosse disperso lungo il suo abito nero. Nessuno, prima di lui, aveva mai rivolto un sorrisetto arrogante ad una simile creatura “Drago sputafuoco, eh? Un punto a mio favore!”
“Marly, quando?” esclamò la ragazza con i kunai.
“Adesso”.
Sul pavimento lo strato di petali scivolò, come mosso da un vento invisibile; le dita dell’uomo dai capelli rosa li guidarono in una danza, trascinandoli contro le zampe del drago a migliaia, rapidi ed implacabili. Quando la prima ondata raggiunse le scaglie i petali si fusero tra loro, ed il loro colore pallido si fece intenso, robusto, finché non assunsero la forma di gigantesche radici. Kaspar seguì con gli occhi il loro percorso mentre altri petali continuavano ad unirsi ad esse in una rete marrone e verde: dal pavimento bianco alcune si avvolsero fin dove la zampa si congiungeva al torso, conficcandosi nel ventre alla ricerca di un punto debole. Si mossero come delle dita, reagendo ai movimenti della creatura, e si adattavano ad ogni suo soffio. L’ammiraglio Daala lanciò un urlo di avvertimento quando una seconda radice calò dall’alto, dove centinaia di petali cremisi si erano radunati. L’uomo dai capelli rosa mosse un braccio e la pianta si serrò tra la testa ed il collo, che si contorse nel tentativo di disfarsene.
Quel Marluxia non è come gli altri.
La radice si ritrasse verso il soffitto, trascinando con sé il capo della drago senza che le zanne lacerassero anche solo una fibra: incapace di voltarsi, le sue fiamme si spensero contro una parete, e per quanto agitasse la coda la mutaforma non trovò nessun avversario. La bestia emise diversi ruggiti ed il vento delle sue ali ottenne l’unico risultato di confondere ancora di più le persone che cercava di proteggere. Con un sorriso la ragazzina bionda si circondò di fulmini “La testa di un drago farà un figurone nella mia stanza!”, e persino Kaspar, dal suo cantuccio, vide il sorriso assetato di sangue. Si lanciò contro il drago con tutta la forza del suo corpo minuto, una saetta nera tra mille altri fulmini.
E rimase intrappolata tra le radici create dal suo compagno.
Ci fu un susseguirsi di imprecazioni, di piante carbonizzate e di petali allo sbaraglio, e la ragazza fu sommersa; il drago sparì così come era venuto, e d’un tratto l’enorme mole rossa fu meno che un punto. La massa di radici reagì ai movimenti del Membro dell’Organizzazione, stringendole le braccia e facendole cadere i kunai. Qualcuno lanciò un urlo e Marluxia lanciò un’esclamazione ben poco principesca quando la mutaforma ricomparve nella sua forma umana, con un sorriso beffardo. Se bastassero due piantine ad ucciderla l’avrei già fatto con le mie mani, rifletté il mago. Il vero problema, con Wesell, non era il fatto che potesse mutare in drago, in lich, in balrog o in qualsiasi altra creatura che conoscesse: il problema era che poteva passare da una forma all’altra nel tempo che Saruman avrebbe impiegato ad esclamare “Ohibo!”.
Scivolò tra le maglie delle radici con naturalezza, lasciando che quelle si abbattessero sulla sfortunata biondina.
L’attimo dopo fu alla gola di Marluxia, e Kaspar si lasciò scappare un grido di esultanza.
La donna percorse in un istante lo spazio che la separava dall’uomo dai capelli rosa e lo trascinò a terra, con un coltello alla mano “Fermate quella pazza!” urlò il ragazzo dai capelli rossi, che si spostò fino a dove erano caduti i suoi chackrams. Uno di loro si infiammò, ed il suo padrone lo mandò ad infrangersi contro la massa di radici; l’odore di bruciato fu a dir poco insopportabile, e la biondina che emerse dal fumo sembrava sul punto di cadere a terra.
Preda facile…
Con tutte le energie residue richiamò una Palla di Fuoco: avrebbe voluto e saputo far di meglio, avrebbe volentieri riversato su quei quattro il suo migliore Sciame di Meteore, ma si sentiva ancora troppo debole. La testa gli vorticava, ed il terrore costante che Wesell potesse improvvisamente saltargli addosso lo faceva star male. E doveva ringraziare l’odioso cacciatore di taglie per tutti i lividi che si ritrovava.
Pensando a lui e alla sua sgualdrina lasciò che il potere magico si risvegliasse in lui e lo scagliò con forza: teoria della magia o meno, non ci voleva uno studioso per capire che il fuoco non aveva alcun effetto sul roscio.
Ma sulla ragazza, forse …
La magia lasciò il suo guanto ed illuminò il percorso di una scia arancione, lasciando una lunga lingua di fiamme. Con sommo disgusto di Kaspar la ragazza se ne accorse in tempo, e scivolò alla sua destra rapida come saetta. Ma il colpo non andò del tutto a vuoto.
La Palla non trovò la biondina nel suo percorso, ma un altro Membro non fu così rapido a scansarsi: il moccioso dai capelli argentati fu colpito in pieno, e soltanto il suo urlo coprì l’odore di stoffa e carne bruciata. Meno uno. Il corpo ancora fumante fu scagliato lontano, e sulle facce dei suoi amichetti per la prima volta nacque un’espressione di panico mentre Kaspar sentì la rabbia montare di nuovo per preparare un secondo incantesimo.
Quei Membri dell’Organizzazione si erano presi gioco di lui, Kaspar, lo stregone più potente del mondo … beh, non avrebbero più avuto tempo per vantarsene. Scacciò via il tornado che lo proteggeva, spazzando in un colpo tutti i petali, le piante e le radici nella sala dell’Invocazione Suprema, e stavolta nelle sue mani fece traboccare il potere dell’acqua. Chiuse gli occhi, e lasciò che tutta l’acqua che scorreva fuori e dentro il castello accorresse alla sua chiamata e si sprigionasse al suo volere. L’odio, la frustrazione, tutto sembrò catalizzare i suoi poteri.
Il soffitto della stanza divenne azzurro, e Kaspar lasciò che la cascata liberasse tutti i suoi sentimenti in un unico, poderoso attacco che investì i suoi nemici, la mutaforma, le due guide e gli imperiali, creando un unico, grande gorgo. La prima gioia fu vedere Marluxia accasciarsi contro una parete, e subito dopo il colpo lasciò una grande macchia rossa dove Wesell aveva affondato il coltello. Si afflosciò proprio come un fiorellino calpestato da un esercito di nani ubriachi, pallido, e fu con un certo sadismo che il mago gli scagliò contro una seconda ondata e poi una terza, ricordandosi di come quel bocciolo impertinente lo aveva sconfitto ed umiliato davanti a Zachar, gli aveva sottratto gli Oggetti Millenari e lo aveva ridotto ad una bambola.
E poi ancora una Palla di Fuoco ed una Catena di Fulmini, colpo su colpo, incenerendo ogni suo pallido tentativo di difesa con i suoi ancor più ridicoli fiorellini.
Con la coda dell’occhio vide Wesell rialzarsi e puntare il padrone dei chackrams, che appena la vide arrivare saettò in un Portale Oscuro. “Ritirata!”, farfugliò, e riapparve davanti a Marluxia: prima che il mago potesse dargli la lezione che si meritava si caricò il suo compagno negli strali di tenebre ed evitò di un soffio il suo ultimo incantesimo.
“Mutaforma, fermali!” le urlò, ma quello riapparve molto più in là, raccogliendo il moccioso con il ciuffo, ancora disteso per terra.
Per ultima rimase la biondina. Scossa, con i suoi ciuffetti in disordine e metà faccia coperta di sangue, ma ancora in piedi. Se li guardò uno per uno e li salutò come se stesse per partire per una scampagnata “Siete stati bravi, mi avete fatto davvero divertire. Ma attenti …” per un attimo la sua faccia ricordò quella di una bambina impertinente che stava progettando una marachella.
“ … potrei tornare!”
Quando il Globo Acido raggiunse il punto in cui si trovava lei si era già teleportata altrove, dietro i suoi compagni.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 - L'ultima mossa ***


Capitolo 23 - L'ultima mossa


Lorestones

Tre delle sette Pietre della Sapienza




Fu la prima a toccare la Pietra della Sapienza. Grande come un uovo, la pietra emise un bagliore caldo e rassicurante a contatto del suo palmo, e l’animo di Daala accettò con gioia. La luce prese forma tra le sue dita, ed iniziò pigramente a vagare tra i suoi ricordi; scivolò tra le fredde stanze di Carida ed i simulatori, Tarkin con le mappe strategiche illuminate dietro al suo viso ed il locale con Kratas. Con la sua musica della Terra I e l’ottimo succo di juri.
Il calore arse lungo le sue dita, poi lungo le braccia, e quando arrivò alla testa tutte le immagini danzarono, illuminate dalla fiamma che faceva risplendere le pareti bianche dell’istallazione militare come fosse il sole al tramonto. Ma quando raggiunsero Kratas ed il suo sorriso, la musica, il sapore dolciastro della bibita che poteva sentire anche in quell’istante… tutto fu avvolto dalla luce. I suoi occhi si disgregarono, il locale svanì, quel ricordo andò in frantumi senza che lei potesse davvero rendersene conto. Come un fuoco.
Quando riaprì gli occhi la Pietra era di nuovo inerte, e Zam la fece scivolare dalle sue dita a quelle di Tarkin, mentre una seconda pietra illuminava gli occhi di Zachar “Ora ti senti meglio, Daala?”
Sì. Adesso sì. Scosse la testa un paio di volte, come per scacciare gli ultimi residui della sua infatuazione per Kratas, che volarono via come la cenere di un camino. Perché non era altro che cenere, dopotutto. Le Pietre della Sapienza avevano quel potere: guarire le ferite e le alterazioni della mente, oltre che quelle del corpo.
“Stando a quello che mi hanno detto quei due” fece la cacciatrice di taglie, indicando Mu e l’uomo vestito di rosso al suo fianco “I vostri ricordi sono stati modificati da quei buffoni in tunica nera. Condizionati, pare sia la parola giusta. Adesso le cose vanno meglio?”
Era davvero così fragile il suo amore?
Della gente aveva manipolato così facilmente i suoi ricordi?
Tutto quello che aveva costruito era diventato un giocattolo per uomini misteriosi. Gente che si era presa gioco di lei e della famiglia che aveva costruito contro ogni logica, quando l’opinione pubblica e l’Imperatore stesso parlavano di follia. Aveva costruito una vita stupenda solo per farsela portare via da cinque maghi incappucciati. Prima ancora che suo marito restituisse la Pietra della Sapienza a Zam gli si avvicinò e lo baciò.
“Per sicurezza” gli sorrise.
Quando tutti, Kaspar compreso, toccarono gli oggetti magici nella stanza tornò il silenzio. Il bianco delle pareti era ancora più innaturale. Tutte le aree illuminate, i simboli, tutto svanito. Nel punto in cui i Membri dell’Organizzazione li avevano osservati non c’era alcuna traccia. Per la prima volta da quando Daala aveva messo piede in quelle stanze si chiese quanto tempo fosse passato. Quello reale, il tempo in cui vivendo le sue figlie, non le continue illusioni a cui erano stati sottoposti.
“E’ passata più di una settimana dalla vostra scomparsa” rispose Zam. Le dava le spalle, scambiando occhiate assassine con Kaspar “L’Imperatore mi ha mandata a cercarvi, e mi ha lasciato le Pietre della Sapienza per spostarmi. Ma non avrei mai raggiunto questo Castello senza l’aiuto di quei due strampalati” disse, indicando le due guide.
Mu era lì vicino, incerto su dove guardare. Il livido sull’occhio non era ancora svanito del tutto, ma non era quello a rendere macilento il suo viso. Sguardo fisso a terra, le ricordava una delle tartarughe che riempivano le spiagge dell’Anduin, con una piccola testa nascosta dentro una pesante corazza. Non ci voleva un Jedi per leggere in quegli occhi verdi “Mu … scusami”.
Forse non sarebbe bastato per risolvere quello che era accaduto, ma glielo doveva.
“Ti abbiamo giudicato male. Io e Mara. Non è stata colpa tua”.
“Io avrei dovuto resistere, però …”
“Tutti avremmo dovuto”. Pensò al suo amore in frantumi e mandò giù il groppo alla gola “Ma tu sei riuscito a liberarti. Senza di te alcuni di noi non sarebbero qui”.
“Non che la cosa mi sarebbe dispiaciuta” brontolò Tarkin alle sue spalle. Kaspar era vicino a loro insieme alla sua ameba, e fremeva di rabbia. Li avrebbe polverizzati in un attimo per il solo piacere di giocare con i loro mucchietti di cenere. In compenso non aveva mai visto Zachar in quello stato: prima di toccare la Pietra della Sapienza aveva letto in lei una nuova grinta ed una donna diversa, ma adesso … una fontana di Naboo era il paragone più calzante.
Il sacerdote intervenne “Credo che ci siano altre persone che ci aspettano fuori di qui”.



L’abbraccio di Mara era forte e sincero. Si erano separate solo da poche ore, eppure da come la sua amica la stringeva sembrava trascorsa una vita intera. Daala avrebbe voluto parlare a lungo con lei, per ringraziarla di aver vegliato su di lei per tutto quel tempo, per non averla mai abbandonata nonostante i ricordi condizionati: perché era meraviglioso avere un’amica come lei.
Si era invece sorpresa di ritrovare Boba in quel castello, per di più seduto accanto ad Ash Ketchum. Zam se lo era squadrato da capo a piedi, un occhio su Kaspar ed uno sul cacciatore di taglie. Se non fosse stato per le grida di gioia del ragazzino ed i brontolii di Mistobaan l’anticamera sarebbe caduta in un silenzio imbarazzante.
“Prendi questa, idiota” brontolò Zam. Armeggiò nel prezioso sacchetto e ne estrasse una delle pietre magiche.
“Ci conosciamo, signorina?”.
Oh, no
La donna divenne di ghiaccio “Boba, mi auguro che tu sia condizionato”.
Il governatore Fett la scrutò come se davvero la vedesse per la prima volta mentre gli altri stavano ancora piangendo o discutendo. Daala detestava trovarsi in discussioni con Zam e Boba, perché portavano soltanto guai. Nemmeno lei aveva perdonato al cacciatore di taglie il modo con cui aveva voltato le spalle alla sua migliore amica e l’aveva accusata di tradimento “Zam, hanno manipolato anche quel poco di cervello che aveva. Dagli una pietra e chiudiamola qui”.
“Daala” fece lui “Tarkin! Cosa vuole questa tizia da me?”
Prima che Zam esplodesse sul serio Daala le prese le pietre di mano e le chiuse nel palmo dell’uomo; la magia scivolò tra le sue dita e fece effetto, glielo lesse negli occhi scuri. Boba guardò prima lei, e poi di nuovo Zam: nei suoi occhi si poteva trovare davvero di tutto.
Paura, in primis. Era da sciocchi non avere un po’ di sana fifa addosso quando si aveva dubitato dell’onore di Zam.
Dubbio. Ma Boba era il maestro dell’indecisione.
Vergogna.
E amore. Ma quello se lo doveva guadagnare.
Negli ultimi tempi, nella sua casetta provvisoria sul pianeta dei Ribelli, si era trovata spesso a discutere con Mara di quello che era avvenuto tra Zam e quell’uomo mentre facevano giocare le bambine lontano da nani chiassosi e principesse sospettose. Le era capitato spesso di lamentarsi un po’ del carattere di Tarkin, e la Sith spettegolava sempre sulle gaffes del suo Luke, ma avevano sempre sorseggiato i loro the con gioia, soddisfatte di avere mariti strani ma dolci a modo loro, che non avrebbero cambiato per nulla al mondo, nemmeno con re Aragorn. Ma Zam non aveva avuto quella fortuna: lei era un drago, e Boba la pallida imitazione di un lombrico. Aveva dubitato del suo onore, voltato le spalle al loro stesso figlio e la cosa più incredibile era che nemmeno si rendeva conto di quanto l’avesse ferita. E lei era stata fin troppo misericordiosa a lasciargli tutti gli arti al loro posto.
Mara si avvicinò alla sua amica ed indicò il sacchetto con le pietre “Resta solo una persona. Direi che anche Mistobaan ha diritto ad avere indietro i suoi ricordi. Non può passare la sua vita credendo di adorare l’Imperatore Palpatine!”.
“Perché no?”
Daala si congelò. Zam e Tarkin erano tornati a guardarsi, increduli di aver parlato insieme. Se erano d’accordo su qualcosa … se avevano la stessa idea … perché ho la netta sensazione che le conseguenze non mi piaceranno?
Suo marito sfoderò il sorrisetto che conservava per le occasioni speciali “Lo sapete meglio di me che papà Impe adora i souvenir, vero?”



 “Padron Vexen?”
La voce di Camus gli arrivava distorta e ovattata, come la sua testa si fosse trovata all'interno di una gigantesca bolla d'acqua. Vexen aprì gli occhi lentamente, stordito, cercando di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Era nel laboratorio semidistrutto, sdraiato sull'unico lettino sopravvissuto. Vide Camus che armeggiava intorno al suo braccio con bende e fasciature, e in un lampo ricordò cos'era successo.
“E' svenuto, padron Vexen. Non avrebbe dovuto attraversare un corridoio dell'oscurità in quelle condizioni.”
Aveva lasciato la Stanza dell'Invocazione Suprema per modificare ancora i ricordi dell'Invocatrice maga. La cosa stava andando per le lunghe, nessuna delle due sembrava intenzionata a uccidere il proprio Intercessore, così aveva deciso di mischiare un po' le carte in tavola e dare una spinta agli eventi. Non appena uscito dal portale oscuro aveva sentito le ferite sul braccio e sul petto riaprirsi e il calore del sangue impregnarsi nella stoffa della tunica e colargli sulla pelle, ma aveva stretto i denti. Era a un passo dalla realizzazione del piano a cui aveva lavorato per più di un anno, non poteva cedere, semplicemente non poteva. Aveva fatto in modo che l'Invocatrice credesse che il suo Intercessore avesse ucciso Auron... poi però le ferite, il macabro regalo dell'ultima visita della Ninfa Selvaggia, avevano iniziato a bruciare in modo insopportabile. Ma era certo di avercela fatta, prima che il suo corpo e la sua mente cedessero all'oblio.
L'Invocazione Suprema a quell'ora doveva essere già avvenuta.
Fece per alzarsi, ma Camus lo bloccò con un gesto gentile ma allo stesso tempo deciso.
“Padron Vexen, se si alza così in fretta rischierà di svenire di nuovo!”
“Spostati, maledizione! Non posso starmene a dormire in un momento simile! Non posso perdere l'Invocazione!”
“Padron Vexen...” il viso del giovane assistente si adombrò. “Io non so bene di cosa parla, ma mentre la medicavo si sono sentiti dei rumori strani nel Castello... come se qualcosa stesse crollando a pezzi. Ora però è tutto tranquillo...”
Dèi ladri, la più straordinaria forma di energia del nostro mondo si è appena dispiegata in tutta la sua potenza e io ero svenuto come un idiota... dèi ladrissimi e truffatori!
“Camus, senti” disse per levarselo dai piedi “vammi a preparare un thè.”
L'assistente obbedì subito, sparendo nella stanzetta adiacente al laboratorio dove tenevano il fornelletto portatile per far bollire l'acqua. Vexen ignorò i giramenti di testa e si rimise in piedi con caparbietà, recuperò la tunica che Camus aveva appoggiato su un cumulo di detriti che una volta era stato uno scaffale pieno di libri e la indossò sporca di sangue com'era. Usare di nuovo un corridoio dell'oscurità sarebbe stato rischioso, ma poteva sempre camminare fino alla Stanza dell'Invocazione Suprema e...
Improvvisamente percepì uno spostamento d'aria alle proprie spalle, accompagnato dal tipico rumore di un corridoio oscuro che si apriva.
Oh, finalmente qualcuno si degna di venire ad avvertirmi di...
“Ha fretta di andar via, padron Vexen?”
Dèi ladri.
Dal ghigno orribile dipinto sulla faccia del bestione vestito di rosso Vexen dedusse che l'Invocazione Suprema non era andata nel modo sperato. Auron e Mu lo fissavano torvi, ma nell'unico occhio del mercenario brillava un senso di sadica anticipazione che trasformò le gambe di Vexen in due budini tremolanti.
Dèi ladrissimi.
Auron gli fu addosso in meno di un respiro. Lo afferrò per la tunica intrisa di sangue e lo sbatté contro la parete con violenza inaudita. L'impatto gli mozzò il fiato e fece ardere le sue ferite appena medicate di un dolore indicibile e lancinante. Vexen sentì che la testa gli girava sempre di più e il suo sguardo si appannava, mentre macchie giallognole si affollavano ai margini del suo campo visivo. Lottare per liberarsi fu un tentativo patetico e inutile: la presa del mercenario era d'acciaio, e Vexen era così debole da non riuscire neppure a usare la magia.
“Padron Vexen, la voglia è troppa... di prenderla a calci!”
Vexen cercò lo sguardo di Mu, del mite, tonto, ingenuo, gentile Mu... ma le sue speranze si inabissarono quando vide che anche il sacerdote stava chiaramente apprezzando lo spettacolo che aveva davanti. Tentò comunque di giocarsi un'ultima, disperata carta.
“Pensavo che i vostri dèi vietassero l'omicidio...” riuscì in qualche modo a balbettare.
Fu Auron a rispondere: “Oh, ma noi non vogliamo uccidere... solo mutilare, o ferire gravemente!”
Il mercenario lo tenne inchiodato alla parete con una mano, mentre con l'altra si preparò a sferrare un pugno micidiale. Tremando, Vexen chiuse gli occhi.
“Padron Vexen, il thè lo vuole alla pesca o al limone?”
Camus! Si era dimenticato di Camus! Riaprì gli occhi: il suo assistente era tornato e fissava la scena a bocca aperta, con ancora due bustine di thè in mano, il suo solito sorriso ingenuo che si contorceva pian piano in una smorfia di stupore e paura. Per un attimo nella stanza nessuno parlò, e il pugno di Auron rimase immobile a pochi centimetri dalla sua faccia.
Vexen fu il primo a riprendersi dalla sorpresa, i riflessi acuiti dal puro istinto di sopravvivenza: si divincolò dalla presa di Auron approfittando della distrazione di quest'ultimo, gridando: “Camus, fai qualcosa, sono impazziti, vogliono ucciderci!”
Scoppiò il finimondo.
Un incantesimo di ghiaccio partì dalle mani di Camus con una rapidità di cui Vexen non avrebbe mai ritenuto capace il giovane assistente, e Auron fece appena in tempo a sguainare la Masamune e deviare la sfera di magia in un'altra direzione. Con le ultime forze che gli restavano Vexen si gettò da quella parte, lasciandosi colpire in pieno dal proiettile di ghiaccio. L'effetto benefico del suo stesso elemento si fece sentire immediatamente: Vexen sentì nuova energia affluire nel suo corpo stanco e martoriato, quanto bastava per evocare una stalagmite di ghiaccio proprio sotto i piedi del mercenario.
“Elementale del ghiaccio di merda!” Auron riuscì a evitare lo spuntone ghiacciato ma perse l'equilibrio e scivolò a terra tra sonore imprecazioni. Vexen raggiunse Camus dall'altro lato della stanza: le mani del suo assistente brillavano nuovamente della magia del ghiaccio, e lui e Mu si fronteggiavano senza che nessuno dei due avesse il coraggio di colpire l'altro per primo.
“Mu, come hai potuto fare del male a padron Vexen?!”
“Camus, apri gli occhi! Ti ha condizionato di nuovo! Cerca di ricordare, sei stato tu a farci scappare da...”
Eh, no!!
Vexen afferrò Camus per un braccio: “EVOCA UN PORTALE, CE NE ANDIAMO DI QUI!!” Glielo urlò dritto nell'orecchio, tanto per essere sicuro di sovrastare del tutto le pericolosissime parole di Mu. Fortunatamente il condizionamento resse e l'assistente obbedì all'istante.
L'ultima cosa che sentì prima di essere avvolto dalle tenebre fu la sequela di sonore bestemmie lanciata da Auron.



Narratore: "Vexen... Vexen, svegliati! E che cavolo, è la seconda volta che svieni nel giro di un capitolo! Non posso ogni volta perdere dieci righe per raccontare del tuo risveglio!"
“Dove... dove siamo?”
“Vicino all'entrata delle Stanze della Memoria, padron Vexen. Ho pensato che volesse controllare la situazione nel Castello.”
“Bravo. Finalmente qualcuno che mette in moto il cervello qui dentro.”
Camus lo aiutò a rialzarsi dal pavimento bianco. La sensazione di benessere provocata dall'incantesimo di ghiaccio era solo un ricordo: un altro viaggio nei corridoi oscuri e come minimo sarebbe finito in coma.
Dèi ladri.
Se Auron e Mu erano venuti a cercarlo significava che qualcosa era andato terribilmente storto. Zoppicando Vexen si avvicinò al portone della Stanza della Memoria e vi poggiò il palmo della mano, invocando il potere del Castello dell'Oblio.
Mostrami cosa sta succedendo... mostrami dove si trovano le Invocatrici...
Il Castello rispose prontamente al richiamo del suo padrone, e una visione occupò la mente di Vexen, nitida e definita: la Stanza dell'Invocazione Suprema. Portava i segni di una battaglia recentissima, le pareti un tempo immacolate ora annerite dal fuoco di molti incantesimi. Alcune porzioni del muro erano addirittura crollate. Le Invocatrici erano lì, tra le macerie, con gli Intercessori, e Mistobaan, e tutti gli altri membri dei due gruppi comprese le bestioline buffe del ragazzino col berretto, e in più c'era una donna vestita di viola che Vexen ricordava vagamente di aver visto tra i ricordi di uno degli Intercessori. In quel momento un corridoio oscuro si aprì e ne uscirono anche Auron e Mu.
Gli unici che non si vedevano da nessuna parte erano gli altri membri dell'Organizzazione.
“Quel bastardo ci è scappato per un soffio” stava dicendo Auron. “Ormai sarà lontano, come gli altri. Non credo che avranno il coraggio di rimettere piede qui per un bel po'.”
“Continuiamo a cercarli.” disse la donna vestita di viola. “Potrebbero essersi nascosti da qualche parte.”
“Fanno tanto gli spacconi, ma in realtà sono dei codardi, signora” fece il mercenario con disprezzo. “Si credevano tanto potenti, ma nemmeno con l'aiuto del Castello dell'Oblio possono sperare di sconfiggere qualcuno in grado di trasformarsi in un drago.”
Trasformarsi... in un drago?!
“Oh, ti assicuro che il drago non è neanche lontanamente la più terribile delle creature di cui Zam può prendere sembianze e poteri!” intervenne l'Invocatrice con la divisa verde, che ora era felicemente abbracciata al marito a cui fino a poco tempo prima avrebbe voluto spaccare la faccia.
Vexen barcollò e perse il contatto con la superficie lignea del portone, e la visione sparì all'istante.
Un disastro.
Una catastrofe.
Le Invocatrici scondizionate, gli altri membri fuggiti o nascosti in qualche anfratto del Castello a leccarsi le ferite, l'Invocazione Suprema perduta per sempre... e una donna drago, più forte di tutti loro messi insieme. Persino Marluxia aveva scelto la fuga di fronte a lei.
Ottenere i poteri del Castello dell'Oblio non richiedeva grandi sforzi. Bastava stabilirvisi per un certo periodo di tempo, e il Castello ti riconosceva automaticamente come padrone. Era successo ai membri dell'Organizzazione tanti anni prima, era successo persino ad Auron, Mu e Camus che altro non erano che loro schiavi.
Poteva succedere, no, sarebbe successo sicuramente, anche alla donna drago. Mu e Auron glielo avrebbero spiegato.
Sarebbe diventata potentissima. Indicibilmente potente.
Avrebbe ottenuto la facoltà di controllare le Stanze della Memoria, e fare ciò che Vexen aveva appena fatto.
Trovare le persone. Ovunque fossero.
Vendicarsi.
Il pensiero era così terribile che le gambe gli cedettero definitivamente. Se Camus non lo avesse sostenuto sarebbe caduto in ginocchio.
“Padron Vexen...”
“Torniamo al laboratorio. Ora.”
“Non può attraversare di nuovo un corridoio oscuro padron Vexen.”
“Allora vai tu, ma in fretta. Prendi tutto ciò che può servire, abbandoniamo il Castello.”
I grandi occhi azzurri di Camus si spalancarono per lo stupore: “Cosa?”
“Zitto e fai come ti dico! Non abbiamo tempo! Prendi quello che vuoi dal laboratorio, ma portami tutto il contenuto degli scomparti segreti nelle pareti. Tutto quello che trovi lì dentro, mi hai capito bene? E ora MUOVITI!”
L'attesa gli parve interminabile. Si sedette per terra, appoggiato a una parete, il cuore che gli batteva a mille, e sperò che nessuno di quei pazzi scatenati al piano di sopra sentisse il bisogno di venire lì proprio in quel momento. Ormai non aveva più energia nemmeno per chiedere al Castello di regalargli un'altra visione sugli spostamenti dei suoi nemici.
Camus ritornò di lì a poco, carico di libri, cassette di pronto soccorso e bustine di thè. Legato alla sua cintura Vexen riconobbe un familiare sacchettino di stoffa nera, e ordinò all'assistente di passarglielo immediatamente.
Ne trasse fuori un dispositivo rettangolare di colore nero, dotato di una rudimentale antenna e di una serie di pulsanti.
Esitò.
Se l'avesse fatto non sarebbe più potuto tornare indietro.
“Padron Vexen, sento delle voci. Si avvicinano!”
Le sentiva anche lui. E dei passi, passi di numerose persone. Venivano dall'alto, da una rampa di scale alla sua sinistra.
La donna drago e i suoi compagni.
Il panico lo investì in un'ondata irrefrenabile, ma allo stesso tempo gli diede una scarica di adrenalina, la forza di aprire un ultimo portale. Meglio finire in coma che tra le grinfie di quei pazzi. Camus gridò qualcosa in protesta, e i passi sulle scale accelerarono. Le voci erano vicinissime ormai. Vexen premette in sequenza i pulsanti sul dispositivo, poi si abbandonò all'abbraccio della fredda oscurità del passaggio tra i mondi.
Ma un ultimo barlume di lucidità era sopravvissuto nella sua mente sconvolta dal terrore. Un pensiero più forte di qualsiasi paura, che lo spinse quasi inconsciamente ad impostare il timer sui dieci minuti.
Dieci minuti. Per sicurezza.
A una persona dotata del suo potere ne sarebbero bastati molti meno per accorgersi del pericolo.
L'oscurità lo avvolse.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 - La scelta più difficile ***


Capitolo 24 - La scelta più difficile


Castle Oblivion

Il Castello dell'Oblio




Il dolore si era fatto insopportabile.
Zexion non riuscì a trattenere i gemiti quando Axel lo trascinò fuori dal Portale Oscuro. Sentì in bocca il sapore delle sue lacrime mentre la fitta partiva dal petto e si irradiava su tutta la pelle, quello che prima era solo un bruciore adesso era un’ondata di fuoco che non riusciva a contenere e che gli serrava la gola e le viscere. L’unico odore che si faceva strada in quella terribile scia era quello dei vestiti e della tunica quasi in fiamme. “Merda!” fu l’unico commento del n. VIII quando lo lasciò cadere per terra senza troppi riguardi. Nemmeno il pavimento gelido gli diede il minimo sollievo; sentì la magia del Castello correre in suo soccorso, ma il dolore non voleva smettere.
Ho bisogno di lui.
Farfugliò qualcosa tra i gemiti, ma l’unico commento fu quello di Larxen “Posso dargli il colpo di grazia? Così smette di assillarci!”
“Sta zitta e pensa, idiota! Marly, tu sei il grande capo, che cazzo dovremmo fare adesso, eh?”
Poteva sentire la frustrazione del n. XI: forte, incontrollabile, si faceva strada persino in quel dedalo di odori di dolore e morte, insinuandosi nel suo cervello e aggiungendo solo fastidio. Il passaggio nel Portale Oscuro aveva indebolito i loro corpi, e se le ferite di Zexion lo stavano lasciando sul punto di svenire, anche i colpi ricevuti dal Leggiadro Sicario non erano da meno.
“L’Invocazione Suprema è fallita”
“Quello lo vedo da me, Bocciolo! Ma cos’era quella … quella donna?”
“Non mi interessa che cosa sia, mi interessa quello che ci farà se ci metterà le mani addosso di nuovo” Zexion lo vide appoggiarsi ad una parete, cercando di mantenere intatta la sua aura regale “Non siamo nelle condizioni di affrontarla in uno scontro diretto”.
“Anche quello lo vedo da me! Andiamocene da qui e…”
“NO” rispose l’altro, sforzandosi di rimanere in piedi “Il Castello non si abbandona. Non possiamo permettere a quella gente di rimanere troppo a lungo qui dentro; hai idea di cosa potrebbe succedere se Mistobaan o quella donna diventassero padroni del Castello? I loro poteri aumenterebbero a dismisura e verranno a cercarci e … ti lascio intuire il resto, Axel!”
Larxen rispose qualcosa di violento, ma Zexion perse qualsiasi interesse.
Il pavimento bianco era l’unico punto confortevole, la sua presenza un misto di magia e protezione: il Castello dell’Oblio velocizzava la loro ripresa fisica, ed era solo per merito suo se il ragazzo riusciva ancora a respirare, ad esistere, a non svanire nel buio. Gli odori intorno a lui erano centinaia, ma adesso giungevano confusi, intricati, la sua mente non riusciva più a separarli; gente che odiava, duellava, combatteva, tutti e nessuno cercavano di forzare la sua testa, pensieri che si facevano strada sin dai piani più remoti del castello e la magia dell’Invocazione Suprema che era lì, sempre più potente. Attendeva di tornare in vita.
L’istinto di tanti, tantissimi anni prima lo spinse a cercare l’unico odore davvero sicuro per lui. Senza riflettere sull’insensatezza del gesto cercò il familiare odore alla vaniglia tra i meandri del castello. Lo fece con tutte le sue forze, con quel poco di energia che ancora aveva. Ne scovò la traccia ed isolò la sua mente, chiudendola al vociare dei suoi compari. Si strinse intorno a quel profumo senza sapere nemmeno perché, e fu solo quando ritrovò la sua posizione che un nuovo odore si fece strada. Forte e violento.
“I … i Nuclei Neri!”
Gridò disperato, superando il brontolare di Larxen “Ha attivato i Nuclei Neri!”
Quella semplice frase bastò a mettere a tacere gli altri “I NucleI NerI?” Che storia è questa?” rispose il n. XI, che gli venne accanto e lo sollevò da terra con uno strattone “L’unico Nucleo Nero di Vexen era dentro il corpo di Mistobaan, giusto?” lo scosse con più forza “Ce ne sono altri? Quando li ha creati? Tu ne sapevi qualcosa?”
“No …” mentì, travolto dall’odore d’odio dell’uomo “ … ma li ha attivati … adesso … ne ha altri, ne sono certo, sono nel suo laboratorio, li percepisco, dobbiamo …”
“C’è un modo per disattivarli?”
“Vi ripeto che non ne ho idea, io non …”
“MI STAI DICENDO CHE QUEL FOTTUTISSIMO SCIENZIATO CI HA MESSO SU PER IL CULO ABBASTANZA ESPLOSIVO DA DISTRUGGERE TUTTO IL CASTELLO?” gridò Axel. Panico. “Castello dell’Oblio, è stato bello conoscerti! Marly, per quel che mi riguarda tieniti i tuoi sogni di gloria, io ci tengo alla pellaccia!” un gesto della mano e l’attimo dopo era svanito, tuffandosi di testa in uno dei loro Corridoi Oscuri. Zexion stava per svenire, la testa gli vorticava e l’odore della promessa esplosione era tutto intorno a lui.
“Per una volta il roscio ha ragione, Marly! Non è divertente saltare in aria! Al diavolo il piano e l’Invocazione Suprema!”; il ragazzo sentì la presa del n. XI allentarsi intorno alla sua tunica, poi l’altro lo scagliò di nuovo per terra.
“Non ci resta altra scelta, a quanto vedo. Non sappiamo quanto tempo ci resti prima che quei congegni esplodano con noi dentro” aprì un portale proprio nel punto in cui Axel era svanito “Torniamo nella nostra dimensione e studiamo un altro piano”
“E del peso morto che ne facciamo?”
“Uh, Zexion …” tra le lacrime il ragazzo sentì l’altro tornare di nuovo al suo fianco, inquietante come un angelo della morte “… puoi aprire un portale da solo? Credi di poterne attraversare uno?”
Il n. VI non sapeva la risposta, ogni fibra del suo corpo era in piena agonia, l’incantesimo che lo stregone gli aveva scagliato continuava a bruciare la pelle ed il cuore. “Io … no … ma …”
“Capisco. Quindi non ti dispiace se ti lasciamo qui, no? Ci leveresti la seccatura di seppellirti una volta arrivati dall’altra parte”
Cosa …?
“Andiamo, Larxen, ogni secondo è prezioso”
Aspettatemi …
“Bye bye Zexy! E’ stato un vero peccato non poterti vivisezionare!” fu l’ultima, crudele frase che sentì dalle labbra della Ninfa Selvaggia prima che lei ed il suo compagno si inabissassero nelle tenebre. L’odore degli esplosivi cresceva, si avvicinava, invadeva la sua mente ed il suo corpo con tutta la violenza, l’odio e la presunzione del creatore dei Nuclei. Solo, il ragazzo provò a chiamare a sé i poteri del Castello per aprire un ultimo, disperato corridoio, ma la magia morì tra le sue dita in un sottile paio di strali. Zexion si accasciò sul pavimento ed attese la fine.
Coma hai potuto …?
Quando la porta si aprì aveva già perso i sensi.



“Mu, il tuo credo dice qualcosa riguardo all’omicidio di un minore? Perché se non sei d’accordo parla adesso o goditi lo spettacolo, amico!”
“Mah, non saprei, Auron …” Mara non aveva mai visto così stravolta l’espressione del giovane sacerdote dai capelli viola. Era sempre stato tranquillo e remissivo, con i suoi occhi verdi tenuti bassi, ma adesso il suo sguardo era carico di odio “… di recente ho avuto dei terribili vuoti di memoria … non ti dà problemi se mi volto dall’altra parte, vero?”
Il minore in questione era il poppante in tunica dell’Organizzazione che li aveva accompagnati nell’ultima Stanza della Memoria, il ragazzino con il ciuffo d’argento che sembrava capace di leggerle nella mente. Lo avevano trovato disteso sul pavimento, svenuto, con addosso il segno di uno dei migliori incantesimi di Kaspar andati a segno.
Le dava una certa soddisfazione vederlo in quello stato. La sua espressione di superiorità se ne era finalmente andata da quel faccino angelico, e nell’unico occhio visibile c’era la vaga coscienza di una persona appena risvegliata con lo spadone di un mercenario infuriato alla gola. A giudicare dall’energia magica nella stanza i suoi compari dovevano averlo abbandonato lì, aveva sentenziato Mistobaan: l’essere incappucciato aveva esteso i propri poteri per tutto l’edificio, ma i loro avversari sembravano svaniti nel nulla a parte il moccioso.
Le dispiaceva per Mistobaan. Più di quanto potesse immaginare.
Era stata un’idea combinata di Zam e Tarkin, una delle peggiori condizioni astrali: avevano deciso di non fargli toccare le Pietre della Sapienza e lasciare nella sua mente i ricordi posticci di servitore dell’Imperatore Palpatine. Mara sapeva come andavano quelle cose.
L’Imperatore gradiva molto gli omaggi dei suoi servitori, e un essere come Mistobaan gli avrebbe fatto molto, molto comodo. Avrebbe approfittato di quei ricordi posticci per farne una bambolina obbediente, abile, zelante e con un’autonomia decisionale che coloro che subivano il lavaggio del cervello non avevano. Aveva provato a far ragionare Zam, a far leva sui suoi sentimenti, a farle immaginare come si potesse sentire lei in una situazione del genere. Ma la sua amica ne aveva abbastanza delle punizioni dell’Imperatore, e non aveva intenzione di accumulare un nuovo fallimento per salvare un blaterante e chiassoso essere incappucciato. Non se la sentì di controbattere: i ricordi delle torture dell’Imperatore la svegliavano spesso di notte, tra le braccia di Luke.
E adesso erano lì, davanti al Membro dell’Organizzazione. “Aspettate un attimo” disse Tarkin, facendosi strada tra tutti loro ed allontanando il piccolo Ash “Prima di ucciderlo vediamo se ha qualcosa da dirci. Ed ho come il sospetto che ne abbia…”
Auron abbassò la spada, ma il suo enorme pugno serrava ancora il bavero del ragazzo, che sembrava ancora più sparuto del solito. Ci siamo fatti intimorire da gente come lui …
“Suvvia, padron Zexion, non ha proprio nulla di interessante da raccontarci?”
Il ragazzino gemette qualcosa.
“Proprio nulla? Un vero peccato, perché se le cose stanno così …”
Zam venne loro vicino, trascinando con brutalità Kaspar insieme a lei; per quanto il mago avesse combattuto nella battaglia aveva ancora un po’ di energia, e prima che si potesse dileguare in qualche modo la mutaforma lo aveva acchiappato saldamente e lo teneva per il polso come un bambino piccolo. Mara non si sentiva sicura, e fissava il mago immaginando ad ogni secondo che potesse divincolarsi e fuggire con il suo inimitabile stile. La sua amica si portò davanti al ragazzo, e non era necessario dominare la forza per sentire il suo terrore “Kaspar aveva degli oggetti che appartenevano al nostro Imperatore e che mi ha gentilmente rivelato che avete voi. Se non vuoi che sparga i tuoi arti per tutto il Castello, moccioso, ti conviene dirmi dove sono”.
“Alcuni … alcuni li ho io …”
E’ proprio vero che Zam ridà la parola ai muti …
“Molto bene. Ma alcuni non vuol dire tutti. Sempre che tu non preferisca che io ti strappi alcuni arti e non tutti”.
Le metteva paura quando assumeva quel tono. La Zam a cui lei era abituata era una donna silenziosa e gentile, ma nel momento in cui entrava in battaglia cambiava. Le avevano disegnato addosso l’abito di macchina da guerra, e lei per scacciare ogni scrupolo di coscienza lo indossava.
“LI HANNO GLI ALTRI, SONO FUGGITI, NON LI HO, VE LO POSSO GIURARE!” né Mu né il suo amico mercenario trattennero un sorriso crudele alla vista del piccoletto che si dimenava “Ma c’è un problema … il Castello … il Castello sta per esplodere …”
“Ce ne racconti un’altra, padron Zexion!”
“E’ VERO! VEXEN HA ATTIVATO I NUCLEI NERI!”
“CHE COSA?”
Mistobaan, che era rimasto misteriosamente in silenzio per tutto quel tempo, balzò in avanti come una furia, mandando gambe all’aria il povero Ash (Mara ancora non aveva ben capito cosa ci facesse lì quel piccoletto) ed il governatore Fett “COSA AVETE FATTO, SCHIFOSI PARASSITI? NON VI RENDETE CONTO DI QUELLO CHE SUCCEDERA AL DONO DELL’IMPERATORE PALPATINE?”
Il suo artiglio volò verso la testa del ragazzo, e l’essere incappucciato guardò Zam con odio quando quella deviò il colpo spostandogli il polso. Mara non aveva ben chiaro cosa fossero questi Nuclei Neri, ma la reazione del suo compagno di viaggio non presagiva niente di buono. Ma fu l’unico occhio visibile del loro sparuto nemico che le fece correre un brivido di sudore freddo lungo la schiena e le spalle, lo sguardo imbevuto di terrore alla vista di Mistobaan. Come a rispondere all’interrogativo il ragazzo riprese a parlare “I Nuclei Neri sono … sono potentissimi esplosivi magici … e uno …”
“E AVETE OSATO METTERNE UNO DENTRO DI ME, MALEDETTI!”
La donna rimase impietrita, fissando prima il prigioniero e poi Mistobaan, di nuovo dall’uno all’altro mentre tutti gli altri membri del gruppo sembravano statue di ghiaccio e persino Kaspar rimase in silenzio. Quando Ash propose di fuggire immediatamente alcuni lanciarono segni di approvazione. Non poteva vedere l’espressione di Mistobaan, ma non poteva permettersi in alcun modo di lasciarlo lì, non dopo quello che aveva fatto per loro e quello che gli altri stavano tramando alle sue spalle. Un esponente dell’Alleanza Ribelle non lasciava indietro nessuno.
Lei e Zam chiesero in coro al ragazzino se ci fosse un modo per disinnescarli.
“Non ne ho idea, ve lo giuro, io …” anche la pressione del coltello della cacciatrice di taglie sulla gola non servì ad altro che a farlo cadere nel panico “… è stato Vexen, è stato lui! Io non ne avevo idea, ve lo giuro, io …”
“Smettila di squittire” rispose Tarkin, scivolando accanto a loro. La sua fronte era imperlata di sudore gelido, ma il governatore, quando era alle strette, aveva sempre delle ottime soluzioni “E attacca il cervello, se ne hai uno. Se questo Vexen non è un perfetto idiota avrà pure un modo per disinnescare un esplosivo così potente. Io lo avrei di certo”.
“Non lo so, davvero, io…”
“Ti conviene pensarci molto bene. Ho fatto saltare in aria due pianeti, e un Castello pensante con un moccioso dentro in più non peseranno troppo sulla mia coscienza”
Se il ragazzino aveva quei poteri di cui si vantava si sarebbe accorto subito che Tarkin non stava minacciando a vuoto “Lui … lui controlla il ghiaccio, però …”
“E’ vero” disse Mu “Padron Vexen è un elementale del ghiaccio. E anche Camus governa quell’elemento abbastanza bene. Se io fossi lui userei proprio il ghiaccio per controllare un oggetto così pericoloso”
“Ho sentito abbastanza” tuonò Mistobaan “E non sarà uno stupido esplosivo a far tremare la mia fede nell’Imperatore Palpatine”. Mosse le dita, ed intorno a lui l’aria assunse mille tinte azzurre, potando il gelo fin dentro le loro narici; gli altri si allontanarono dalla creatura, e più di uno lo fissò meravigliato. Un cerchio blu si formò intorno ai suoi piedi, e guidato dalle mani e dalle parole magiche si espanse, circondando il loro compagno di viaggio. L’aria luminosa fu attratta dal cerchio e formò un grande vortice intorno a lui, che con un ultimo gesto invitò i primi cristalli di ghiaccio a convergere contro il suo corpo. Il gelo coprì prima l’armatura, risalendo lungo i piedi fino alle dita ed agli artigli, poi toccò al mantello. La stoffa si irrigidì, cosparsa da decine di piccoli cristalli che si unirono l’uno sull’altro; sotto il cappuccio non sfuggì nemmeno un lamento, poi le piccole luci dei suoi occhi brillarono per un ultimo attimo e poi si spensero.
L’energia magica di Mistobaan non era ancora svanita del tutto quando l’aria si compattò del tutto, ed il corpo del vecchio servitore del signore dei demoni fu avvolto da una grande bara di ghiaccio che cadde sul pavimento senza perdere nemmeno una scheggia.
Impressionante.
Ha avuto il coraggio di congelarsi da solo.

“Lasciamo perdere gli oggetti, filiamocela!”
Mistobaan. Anche da sotto gli strati di ghiaccio poteva percepire la sua forza. A bordo della nave volante, nella battaglia contro i draghi, forse persino nelle fognature della Seconda Stanza aveva portato dentro di lui un esplosivo pericoloso ed aveva combattuto con loro per dovere, senza confessare nulla, senza chiedere aiuto. Forse urlava come un matto ed era imprevedibile, combatteva come un indemoniato e li considerava degli esseri inferiori, ma lei cosa avrebbe fatto con un esplosivo del genere nel corpo? Avrebbe gridato contro i propri compagni, avrebbe nascosto tutto dentro di sé, avrebbe scelto di isolarsi? Mistobaan aveva preso tutte quelle vie.
Lei ne sarebbe stata capace?
Quelle domande rimasero nella sua testa ancora per molto, avvolte intorno alla bara di ghiaccio che il mercenario vestito di rosso si mise sulle spalle. Continuò ad osservare il suo coraggioso compagno di viaggio. Tra un Corridoio Oscuro e l’altro il suo pensiero rimase su quella scelta estrema, che pochi avrebbero affrontato con lo stesso coraggio del braccio destro del Grande Satana.
Fu passando tra Daala e Zam che trovò la sua risposta.
I miei amici. Chiederei a loro, e lo farei sempre.
Mistobaan non aveva avuto quella fortuna. Da qualche parte, in un mondo sconosciuto, forse qualcuno dei suoi amici stava cercando sue notizie, o forse era sposato o aveva una ragazza, ma nessuno era stato vicino all’essere incappucciato in quel momento difficile. E per colpa di un destino ingrato avrebbe dimenticato tutto e sarebbe stato sfruttato dall’Impero come una macchina da guerra. Zam questo dovrebbe saperlo fin troppo bene.



Uscirono in fretta dall’ultimo Corridoio Oscuro. Dopo un periodo che le era sembrato un’eternità, tornò a rivedere il cielo. Nel Regno delle Tenebre non esisteva il cielo, sopra di loro c’era sempre stata solo una parete rocciosa, niente altro. Era una delle poche cose che aveva apprezzato della Galassia e dell’Impero, quel manto azzurro dalla luce intensa che diventava un abisso oscuro ricco di stelle. Il cielo di quella dimensione non era nulla di grandioso se paragonato a quello di altri pianeti, senza una luna ed un paio di luci in lontananza. Ma era pur sempre un cielo, non un soffitto bianco, e Zachar si stupì che l’aria intorno a lei fosse fresca e portasse il profumo di erba bagnata.
Sotto di lei, intorno a lei, un prato che si stendeva senza fine ed un sentiero interrato. Davanti ai suoi occhi ed a quelli di tutto il gruppo vi era il Castello dell’Oblio.
Visto dall’esterno era … non trovava parole per descriverlo, non ricordava nessuno dei palazzi che aveva visitato. Le mura avevano un colore che andava dal giallo all’ocra, e si estendevano in ogni direzione, quasi come le avesse accostate un architetto capriccioso; sembrava incredibile che dentro un edificio simile ci potessero essere tante Stanze come quelle che aveva visitato. Le torri erano disposte in modo assolutamente casuale: un paio sembravano unite al corpo centrale per mezzo di qualche incantesimo di levitazione, erano ancora più confuse di un castello Ribelle. I tetti verdi incutevano un aspetto beffardo, e Zachar percepì dentro al Castello un’energia forte e vivida, quella che aveva sempre sentito strisciare tra i muri bianchi ed i pavimenti gelidi, che li aveva accompagnati per tutto il viaggio.
Il Castello era vivo, e adesso lo percepiva con più forza. Un Castello che non tollerava intrusi.
Era stata un’estranea lì dentro: i Membri dell’Organizzazione si erano presi gioco di lei sin dall’inizio, avevano mandato Auron per rapirla e confonderla, ed avevano usato i suoi sentimenti per … non lo sapeva più nemmeno lei. Dell’Invocazione Suprema non le importava più nulla.
Da quando aveva toccato le Pietre della Sapienza i suoi ricordi erano esplosi, e la fatica per recuperarne i frammenti era enorme. Auron. Kaspar.
Auron. Kaspar.
La battaglia contro Endimion e la sua vittoria. Il duello insieme ad Ash. E Auron, ovviamente.
Scosse la testa, dando le spalle al Castello che era stato il teatro di quella farsa gigantesca; aveva ospitato le bugie di quegli uomini misteriosi, ed aveva contaminato il suo unico amore, quello che le aveva dato la forza per tutta la vita, il legame con Kaspar. Era orribile pensare di essersi dimenticata di tutti i loro momenti insieme, e lo sguardo di ghiaccio di lui le ricordava in ogni attimo il suo errore; non l’avrebbe perdonata facilmente per questo e lo sapeva. A stento riusciva a perdonare se stessa. “Non sei obbligata a seguirli”
Auron era rimasto in silenzio da quando lei aveva toccato le Pietre, guardandola con il suo unico occhio solo ogni tanto “Mi hai detto che odi l’Impero, e non c’era nessuna bugia. E vedo come ti guardano quelli là” fece, indicando i governatori Tarkin e Fett “Dopo quello che ti hanno fatto in passato lasciali perdere, puoi andartene, credo che nessuno ti fermerebbe”.
“Non rimango per loro”.
Kaspar, appena usciti dal Portale Oscuro, aveva cercato di liberarsi lanciando un incantesimo di dissimulazione, ma la mutaforma lo aveva tramortito col manico del coltello e lo trascinava con lei intenzionata a portarlo dall’Imperatore. Kaspar aveva tradito il sovrano ed era fuggito con i suoi oggetti magici, e l’Imperatore lo aveva fatto cercare per tutta la galassia ed anche oltre; lo avrebbe punito, ma forse non ucciso. Aveva bisogno di lui, e Zachar lo sapeva molto bene “Ha bisogno di me, adesso più che mai. Il mio posto è vicino a lui”.
“Non credo proprio”. Senza volerlo erano rimasti in disparte; la ragazza vide Ash guardare incuriosito Mistobaan con il naso incollato alla bara di ghiaccio, ed il gruppetto degli imperiali stava interrogando il ragazzino dal ciuffo d’argento “Zachar, quando ti ha dato del divertissement non era affatto condizionato, io lo so! Non era un pensiero falso, in quella Stanza ti ha mostrato la sua vera natura, questo non vuol dire nulla per te? Vuoi davvero continuare a farti sfruttare da lui?”
“Kaspar mi ama”.
Lo disse chiudendo gli occhi, respirando a pieni polmoni l’aria della notte “E io amo lui”.
Aveva bisogno di crederci. Dopo centinaia di ricordi falsi e di bugie, di una valanga di inganni e tradimenti aveva bisogno della sua unica e grande certezza. Il ricordo del loro primo bacio, vero ed intoccabile, era lì, nella sua mente, proprio in quell’istante. Doveva continuare a credere nel loro amore nonostante tutto, altrimenti sapeva che sarebbe crollata.
Non si aspettava la sua stretta; colmò la distanza tra loro e la prese tra le braccia, appoggiando il mento tra i suoi capelli “Vieni con me”. Il suo profumo era forte e vivo, e lei non trovò la forza (o non volle trovarla) di allontanarsi “Sei una ragazza eccezionale, Zachar. Sarò solo un mercenario, ma quel pallone gonfiato non si merita una come te”.
“Auron …”
Era tornato per lei. Avrebbe potuto guadagnare la sua libertà e lasciarla in quel Castello maledetto, ma era rimasto al suo fianco. Appoggiata nella sua stoffa rossa ripensò al momento in cui Kaspar l’aveva abbandonata sul campo di battaglia, lasciando indietro lei e Jack e di come lei fosse stata felice che lui si fosse portato in salvo. Ma con Auron era stato diverso, lui l’aveva protetto, lei l’aveva baciato, e anche se quel ricordo era solo un frammento della sua mente condizionata era lì, non riusciva a scacciarlo. “… mi dispiace”.
Fu un soffio. Portò con sé il profumo dell’erba e la luce del Castello dell’Oblio e portò il ricordo del gelo del Carahdras in quella notte speciale. L’incantesimo si formò dalle sue labbra ed avvolse l’uomo; la magia arrivò alla sua testa, alle sue narici e fino nella bocca, e quando Zachar lo richiamò indietro Auron era caduto addormentato. Crollò su di lei e lo appoggiò sull’erba, sfiorando la sua fronte per rendere il sonno profondo e più potente; ignorò lo sguardo del sacerdote in armatura, guardando prima il mercenario e poi Kaspar. Doveva rimanere al fianco di Kaspar perché … perché era la cosa giusta, tutto lì. E Auron … avrebbe fatto meglio a dimenticarla, per il bene di entrambi. Un altro secondo tra le sue braccia ed avrebbe fatto una scelta di cui si sarebbe pentita a vita.
Kaspar, devo credere in te. Non ti deluderò un’altra volta.
Il boato li avvolse. Si voltò verso il Castello, e per riflesso innalzò intorno a tutti loro uno scudo di energia. La luce era intensa, ed avvolse l’intero edificio nel totale fragore di esplosivi alla massima potenza. Sentì la magia dei Nuclei Neri rilasciarsi sin da dentro il castello, e per un attimo essa vibrò nella bara, chiamando quella che dormiva nel corpo dello strano mostro incappucciato. “Il ghiaccio resiste!” gridò qualcuno, anche se la mutaforma aveva cambiato aspetto ed usava le sembianze di un chissà quale mostro ripugnante per fortificare il contenitore, avvolgendo Mistobaan in una raffica di Blizzaga. E poi si alzò la magia del Castello.
L’essere addormentato dell’Invocazione Suprema per un fragile istante prese vita, e la maga percepì tutta la sua spaventosa potenza, come se centinaia di draghi fossero stati liberati di colpo. Nuclei Neri contro Castello, pochi tra loro potevano percepire lo scontro tra le due magie e la loro lotta, un’immensa luce ed un rumore assordante. Duellavano tra le torri, dentro le mura, il loro scontro aveva il ritmo di due cuori pulsanti che liberavano le loro energie.
Dopo l’ultimo bagliore il Castello svanì, e l’energia dei Nuclei Neri si sprigionò.
Quando ritrovò il coraggio di aprire gli occhi, la sua magia non percepì più nulla. Nel punto in cui sorgeva l’edificio non vi era nemmeno un mattone, un cardine, un frammento di torre; solo un’enorme voragine, verso la quale Ash si affacciò ed iniziò a lanciare sassi per puro divertimento.
“Impressionante” fece il governatore Tarkin.
L’esistenza del Castello adesso sembrava l’ultimo dei loro evanescenti ricordi. Si avvicinò anche lei alla fossa senza vederne il fondo, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che testimoniasse la sua avventura, qualcosa di solido per convincerla che qualcosa di reale, in quell’avventura, c’era stata. Ma in quel luogo adesso c’era solo un terribile silenzio, ed i poteri oscuri che avevano dimorato lì erano svaniti, solo qualche pulviscolo incantato nell’aria. L’unica cosa concreta che le era rimasta era il profumo di Auron che poteva sentire tra i suoi capelli.
Ingoiò le lacrime prima che qualcuno potesse deriderla.
“Sei sicura di quello che hai fatto, Zachar?”
“Non lo so ancora, Ash”.
Il ragazzino si sistemò il berretto e fissò la lunga distesa di prati “Secondo me dovresti andare con lui, sei ancora in tempo! Saresti davvero felice! Certo, mi dispiacerebbe non vederti più, però …” estrasse dalla tasca una delle sue Pokéball “… non mi piace che i miei amici siano tristi. E’ come se obbligassi Charizard a fare un bagno in piscina!”.
La voce del governatore Tarkin si fece sentire con prepotenza: “Avete finito di osservare il paesaggio?”
Avrebbero riportato l’ammiraglio Daala e la sua amica sulla Terra II, dove sarebbero tornate a festeggiare tra i Ribelli, mentre gli Imperiali avrebbero portato con loro il ragazzino con il ciuffo e la creatura nella bara di ghiaccio. E Auron … lui ed il suo amico sacerdote sarebbero tornati nella loro dimensione, un mondo di cui lui le aveva parlato a malapena e che solo adeso si ritrovava ad immaginare. E vi immaginò se stessa, al suo fianco, forse in una delle sue mille avventure sui campi di battaglia, il soldato e la maga, senza nessun sovrano a cui rendere conto e poi …
“Lo so, Ash. Ma il mio posto è con Kaspar nonostante tutto. La nostra storia è iniziata insieme. Dobbiamo andare fino in fondo”.
Lo prese per mano e si avvicinò al resto del gruppo. La mutaforma strinse le pietre magiche e si lasciò alle spalle quel limbo sconosciuto.

Narratore: "Occielo, ma Zachar è una pirla! Ma io dico … l’occasione della sua vita … e invece … "
REGISTE: "Non è la prima e non sarà l’ultima della serie, Narratore. Certo * faccina delle Registe in modalità fangirl* noi saremmo andate subito con Auron … ma anche di corsa … "
Narratore: "Chiudiamo qui il capitolo prima che invadiate le pagine con la vostra bavetta … la conclusione di questa avventura nel prossimo capitolo! E ricordatevi, evviva il Narratore!"

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 - Un nuovo inizio ***


Capitolo 25 - Un nuovo inizio


Emperor Palpatine Throne Room

La sala del trono dell'Imperatore sulla Morte Nera




Odio. Oscurità. Era difficile descrivere il flusso di odori che ammantava quel luogo. Gli Imperiali lo avevano trascinato per i corridoi di quella gigantesca stazione orbitale, chiamata Morte Nera, senza fornirgli alcuna spiegazione, tranne un’unica, secca frase della donna-drago “Se osi anche solo nominare di aver visto Daala e Mara … i droidi delle pulizie dovranno inserire dei microscopi ottici per recuperare tutti i tuoi pezzi, intesi?”
Zexion non poté fare altro che obbedire. Quel posto era diverso da qualsiasi altro luogo mai visitato, una base composta da mille metalli e grande quanto una luna, piena di soldati e droidi che non lo degnarono di uno sguardo mentre attraversavano i corridoi. Le loro emozioni erano deboli, quasi inesistenti, l’odore che esalava dalle migliaia di guardie era evanescente. Nessuno a cui poter chiedere aiuto, nessuno a cui potesse importare qualcosa di un ragazzino in tunica nera che veniva trascinato verso il cuore della stazione spaziale. Zexion aveva sentito l’odore di colui che governava in quel posto non appena aveva messo piede lì dentro; era stato investito dai suoi sogni e dalle sue ambizioni, così imponenti che permeavano le mura ed i soffitti, quasi come se ogni singola molecola di quel posto fosse imbevuta della sua volontà. Un potere oscuro, che lo travolse nel momento in cui fu accompagnato nella sala del trono.
Quando entrò nella sala del trono venne spinto con ben poca grazia sul pavimento, in attesa che la figura sul trono, posto al termine di un’enorme scalinata, parlasse.
“E’ questo il ragazzino di cui mi avete parlato?” fece la voce secca, flebile solo in apparenza.
“Sì, imperatore” fece il governatore Tarkin, fissando nervoso il suo sovrano.
“E’ incredibile come i miei Signori Oscuri, le punte di diamante dell’Impero, siano riusciti a farsi rapire da un bambino … se non fosse che mi avete riportato Kaspar e quella strana creatura nella bara di ghiaccio vi avrei lanciati fuori dal portello per la vostra incompetenza. ”.
Gli odori dei Signori Oscuri fremettero: poteva sentire la loro paura, il rammarico, qualcuno di loro esultare dal fondo del cuore. Ma era l’uomo seduto sul trono a preoccuparlo: piccolo, raggrinzito come una vecchia mela ed avvolto in un umile panno nero, l’odio che percepiva in quella persona diventava più vivo ogni secondo che trascorreva. L’Imperatore Palpatine era l’unica forza che governava quell’immenso mondo di metallo.
E, con suo sommo disappunto, i suoi occhi si fermarono su di lui “Dammi un motivo valido per cui tenerti in vita, moccioso”.
“Io …” avrebbe preferito non una, ma mille volte trovarsi davanti a Saïx in berserk “… io so delle cose … sul Castello … anche se è andato distrutto credo che …”
“Niente che non possa venire a sapere lasciandoti per qualche ora con un buon droide inquisitore”.
Zexion non riusciva a percepire l’odore delle proprie emozioni. Ma la paura la sentì nella gola, strangolargli le corde vocali, senza più il suo teletrasporto si sentiva ancora più debole ed inutile. Di nuovo si guardò intorno, ma nessuno dei visi gli venne in aiuto; al massimo un po’ di compassione nei loro profumi, ma non avrebbero mosso un’unghia per aiutarlo.
E di chi è la colpa?
Lui mi ha lasciato lì dentro, poteva venirmi a prendere e non l’ha fatto …

“Il suo silenzio parla da solo” fece l’Imperatore “Governatore Fett, scorti questo moscerino nella …”
Non posso finire così! “No, aspettate. Io … io possiedo un dono, un potere speciale” se quella era l’unica via, l’avrebbe percorsa. Morire in una cella non era la soluzione che gli serviva, non quando qualcuno doveva pagare per tutto quello “Posso individuare le persone e le cose … ed anche i sentimenti, i pensieri in parte … con il mio olfatto. E’ una mia dote, non ce l’ha nessun altro, se mi risparmiate la vita la metterò al vostro servizio!”
L’unica cosa che valesse davvero. Non pensò alle conseguenze, l’unico imperativo per lui era vivere. Vivere ed andare avanti. Prima che quel mondo di metallo ed oscurità lo schiacciasse. Gli occhi del signore della galassia furono di nuovo su di lui: ebbe una sensazione strana, quasi di freddo, simile a quella che aveva usato su di lui l’amica dell’Invocatrice. Di essere scrutato, controllato, visto da migliaia di occhi invisibili che si incunearono dentro la sua mente.
Lui sapeva. Ed anche Zexion. L’uomo sul trono era in grado di avvicinarsi ai suoi pensieri con un potere diverso dal suo ma altrettanto efficace, e da sotto il cappuccio nero vide un ghigno tra due guance avvizzite che non prometteva nulla di buono.
“Sembri sincero e sicuro di te, ragazzino” un brusio generale tra i Signori Oscuri “Ma farai bene a renderti davvero utile, perché non amo sentirmi raccontare frottole … non è vero, Signori Oscuri?”
Zexion respirò a fondo “Ho pensato ad una tua possibile collocazione. I miei servizi segreti necessitano di essere riorganizzati a dovere, e forse uno come te potrebbe farmi comodo … sempre che tu sia davvero abile come dici … un radar su due gambe può avere la sua utilità, ma sappi che sarai sorvegliato”.
Se non vi erano altre possibilità … “La ringrazio, Imperatore”.
“NON COSI IN FRETTA!”
Percepì l’odore ma non poté fare nulla per evitarlo. Vide solo dei fulmini azzurri esplodere nel suo campo visivo e si ritrovò dall’altra parte della stanza, scagliato contro il duracciaio della stanza e poi sul pavimento mentre i governatori si allontanarono di corsa. Non erano come gli incantesimi di Larxen, ma mentre le scintille attraversarono il suo corpo sentì il volere del loro padrone attaccare, schiacciare, infilarsi nelle sue ossa e nella testa. Sentì la sua voce gridare, ma come se non fosse lui davvero. O forse lo era.
Quando la scarica terminò vide le saette azzurre ritornare nelle mani dell’Imperatore e svanire sotto le maniche nere della tunica; cercò di rimettersi seduto, ma il suo corpo era ancora attraversato da scintille e l’abito emanava sottili volute di fumo “Uno paga per tutti, ragazzino. Per te e per tutti i tuoi amici che si sono presi gioco dell’Impero … e per ricordarti cosa succede a chi prova ad ingannare me”.
Ingannare? Nella testa di Zexion non c’era posto, al momento, per quella parola. C’era solo un dolore martellante per tutto il corpo ed un terribile sapore amaro, ma non era nemmeno quello ciò che lo feriva. Si lasciò trascinare da due assaltatori verso la porta senza opporre troppa resistenza, e senza riflettere “Scongelate quel Mistobaan su Tatooine e poi portatemelo qui” sentì brontolare il sovrano “Per Kaspar apportate il lavaggio del cervello standard e poi assegnatelo al battaglione 8, ho un paio di idee per come impiegarlo; poi …”
Il seguito Zexion non lo ascoltò più. Non lo riguardava, del resto. I soldati abbaiarono qualche ordine, e seguì gli uomini vestiti di bianco attraverso infiniti corridoi, lanciando solo delle occhiate distratte a quella base. Si lasciò spingere su una navetta senza fare storie, ed anche immerso nello spazio non degnò le stelle di uno sguardo. Imprecò tra i denti contro tutti i Membri dell’Organizzazione, quelli ancora vivi e quelli che non erano niente altro che fantasmi; ma imprecò soprattutto un nome in particolare. Nessuno gli aveva requisito la piccola fiala che teneva tra le pieghe della tunica, non si erano nemmeno degnati di darle un’occhiata; eppure era lì, qualche goccia di quel liquido incolore che poteva dare la morte in un attimo.
Vicino al portello la estrasse e la fissò. La persona che gliela aveva messa in mano non si era fatta alcuno scrupolo: aveva lasciato che i Nuclei Neri esplodessero senza avvertirlo, era fuggito insieme al suo stupido assistente ed alle sue preziose bustine di the, non si era degnato di cercarlo.
Premendo il pulsante di quegli ordigni magici aveva fatto esplodere non solo il Castello, ma tutto quello che vi era all’interno; aveva permesso che i ricordi del passato non fossero altro che polvere morta, se li era lasciati alle spalle senza alcun rimorso. Il n. IV aveva lasciato che il passato svanisse perché era uno scienziato, e non si voltava mai indietro.
Facendo scivolare la fiala al suo posto, Zexion si decise di fare altrettanto.
Se non c’era modo di recuperare quello che era stato avrebbe trovato un’altra strada. Ed avrebbe restituito il contenuto di quell’ampolla al suo creatore, goccia dopo goccia, come ringraziamento per quei Nuclei Neri. Lo avrebbe cercato ed avrebbe saldato il conto.
Perché lo hai fatto?

Narratore: “Ok, ok, prima che Zexion ci ammorbi con le sue melens…”
REGISTE: “Narratore, se non vuoi finire sul set di Cento Vetrine chiudi la bocca e fai partire l’epilogo!”
Narratore: “Oh, meno male, i nostri pochi lettori tireranno un sospiro di sollievo! Queste storie non creano fan, Registe, cercate di farvene una ragione”
REGISTE: “Narratore, se osi riproporre quella storia dell’Angelo da Un’Ala Sola che spacca tutto firmiamo seduta stante il foglio del tuo licenziamento”
Narratore: “Non è colpa mia se i personaggi di Nomura fanno successo …”
REGISTE: “Beh, anche i Membri dell’Organizzazione lo sono. Poi ovviamente noi li perfezioniamo”
Narratore: “Ho i miei dub …” guarda le Registe che scribacchiano su un foglio “…avete ragione voi, sublimi Registe!”
REGISTE: “Bene, ora va meglio …ADESSO ALZA LE CHIAPPE E NARRA L’EPILOGO!”



- Dimensione senza nome, in una grotta nella foresta –

“Padron Vexen, è sicuro di …?” la frase del suo assistente fu interrotta da uno scaffale ammuffito che cedette sotto il peso dell’ennesimo libro. La vecchia grotta che aveva utilizzato quando era ancora uno scienziato ai margini della legalità, prima di entrare nell’Organizzazione, li aveva accolti con il familiare odore di muffa e di legno bagnato. Ma nessun animale vi aveva fatto la tana, ed alcune delle vecchie suppellettili erano ancora lì, coperte di polvere ma funzionanti e gli alambicchi ben al sicuro in un piccolo scomparto. Aveva ordinato a Camus di rendere abitabile quel luogo e l’altro aveva obbedito, tutto contento nella sua mente condizionata.
Il piano di una vita era fallito; non solo l’Invocazione Suprema, ma anche il suo sogno di scienziato più brillante degli universi. I pochi libri che aveva portato con sé dal Castello non sarebbero bastati a compensarlo della perdita dell’unica, vera biblioteca che la sua stupida dimensione potesse mai avere. Ma c’era la sua vita in palio, perciò con un certo rammarico allontanò il ricordo del vecchio laboratorio e dei volumi ormai svaniti.
Si ritornava alle origini.
Prima che il Superiore lo inserisse in quel Castello di sbandati era stato un medico girovago; si era guadagnato da vivere così, dispensando cure dove le ridicole superstizioni dei religiosi del suo mondo non arrivavano. Non c’era minuscolo villaggio del suo mondo che non avesse bisogno dei servigi di gente come lui, anche quando i sacerdoti lo etichettavano come eretico, snaturato e collaboratore del demonio. Ci avrebbe rifatto l’abitudine. “Camus, lascia perdere quello scaffale e preparami un the!”.
Avrebbe ricominciato dall’inizio. Non vi erano altre possibilità.


- Stessa dimensione, ad un crocevia in una regione meridionale –

Auron aveva imprecato così forte che lo avrebbe sentito persino il Grande Satana. Mu si era segnato ed aveva sgranato il suo rosario, ma la furia del suo amico era incontenibile; si era sfogato abbattendo la lama contro una dozzina di alberi, domandandosi perché la prima ragazza di cui si fosse seriamente innamorato lo avesse abbandonato. Il sacerdote non aveva risposto: la maga aveva pianto prima di separarsi, aveva pianto quando gli aveva chiesto di prendersi cura di quel mercenario e Mu glielo aveva promesso. Ma non se la sentì di turbare Auron con quel dettaglio.
Avrebbero fatto meglio a lasciarsi quella disavventura alle spalle.
A conti fatti, l’unica cosa che aveva guadagnato da quell’esperienza al Castello dell’Oblio era stato un nuovo amico. Irascibile e violento, ma un buon amico.
I suoi ricordi erano tornati a posto, e lasciò che fossero loro a guidarlo “Auron, non so te ma … non ho intenzione di restarmene a piangere su quello che è accaduto”.
Non era più uno schiavo dell’Organizzazione; Camus era ancora sotto il giogo del n. IV, ma non avevano idea di dove fosse e come salvarlo. Quindi avrebbe continuato a lottare per il suo mondo che era stato costretto ad abbandonare: la sua terra era invasa dalla famiglia demoniaca, e se gli altri sacerdoti avevano voltato le spalle al loro popolo lui non l’avrebbe fatto. La Resistenza lo attendeva a braccia aperte, e lui non avrebbe sprecato questa nuova possibilità.
Auron lo fissò da sopra gli occhiali “Hai qualche idea?”


- Sempre la stessa dimensione, in un prato verde con una simpatica stradina gialla (avete presente il finale di Kingdom Hearts I con Sora, Paperino e Pippo che corrono? Bene, stessa ambientazione e stessa musica di sottofondo) -

“Come sarebbe a dire che non possiamo più evocare le armi?”
“Axel, se il Castello dell’Oblio è andato distrutto abbiamo perso tutti i nostri poteri. Niente Corridoi Oscuri, niente evocazioni, niente potenziamento degli incantesimi” rispose Marluxia, con la sua solita faccia sapiente.
Certo, Larxen non era affatto contenta della situazione. Per colpa di quello stupido pallone gonfiato di Vexen adesso era lì, sul ciglio della strada, senza nemmeno uno dei suoi superpoteri e con due noiosi e lamentosi compagni di viaggio. L’unica cosa divertente era vedere Marly arrancare sotto il peso della sua falce: lei era stata previdente, sì, sì, i suoi kunai erano perfetti per ogni occasioni, piccoli, tascabili e sempre appuntiti. Ed aveva ancora lo scettro nero che avevano preso a quell’Intercessore che sembrava un mocho, mentre Axel aveva cacciato nella tunica il suo stupido sacchetto con le ancor più stupide pietre all’interno.
“Beh, la soluzione è semplice!”
I due la guardarono, e fu contenta di avere la loro attenzione per qualche secondo: “Cerchiamo Vexen e facciamogliela pagare!”
“E dove pensi di trovarlo, Larxen, se sono indiscreto?”
“Semplice … andiamo a caso. Il nostro mondo non è tanto grande! Ci divertiremo da matti!”
Sì, l’idea le piaceva! Guardò il ciuffetto del n. IV con fare estatico, già certa che quella caccia avrebbe dato i suoi frutti.
Vexycaro, non crederai di essere riuscito a sfuggirmi, vero?
“Larxen, se il particolare ti sfugge avremmo bisogno di cose basilari come cibo e denaro, non possiamo attraversare un mondo pieno di sacerdoti e demoni senza niente altro che le nostre armi e quel feticcio di dubbio gusto che tieni in mano”.
Avrebbe voluto dire a Marluxia quello che ne pensava dei suoi capelli e di come glieli avrebbe tagliati tutti e messi nel didietro quando Axel si degnò di rendersi utile “Rubare? Libertà di imprecare? Una bella caccia all’uomo? Finché non troviamo niente di meglio … fai strada, sorella!”
Sotto i tatuaggi comparve il ghigno delle grandi occasioni “Marly, se ti accontenti della compagnia di due poveri ladri come noi sei il benvenuto!”.
“L’ultimo che arriva al prossimo villaggio paga da bere, Axel!” fece lei, e si lanciò con un gridolino lungo la strada, seguita dal roscio e dalla sua valanga di imprecazioni. Dopotutto c’era il sole, l’aria correva tra i suoi capelli e lei era la Ninfa Selvaggia, la Regina della Caccia e la Signora dei Mille Inseguimenti. La sua vittima aspettava da qualche parte, ed avrebbe tenuto i kunai affilati per quell’occasione, non importava quanto tempo ci sarebbe voluto.
Sto arrivando, Vexycaro!
Era pronta per un nuovo gioco.


F I N E




Narratore: “Eh, no, ancora un attimo di attenzione, amici lettori! Ora che le Registe stanno oziando, tutte contente di aver terminato la stesura di questa serie, c’è qualcosa che IO voglio raccontarvi. Ovvero qualche particolare, qualche piccola curiosità su questa storia che quelle due rincoglionite non vi racconteranno mai ma di cui IO sono venuto a conoscenza avendole ascoltate durante la stesura del copione. Infatti la prima stesura di questa serie non era esattamente così come l’avete letta …

- il primo abbozzo di questa serie nacque quando le Registe non avevano ancora giocato a Kingdom Hearts Chain of Memories. Quindi di cosa diavolo doveva parlare in origine questa storia? Beh, di Final Fantasy X! Doveva essere un’avventura tra i pianeti di Star Wars, con tanto di Eoni ed Invocazione Suprema di contorno, ed era prevista l’apparizione non solo di Auron, ma almeno di Yuna e Seymour. Però Yuna è stata messa da parte perché c’erano già troppi personaggi femminili dolci (Mara, Daala e Zachar), ed anche Seymour è stato tralasciato perché aveva una personalità troppo simile a Kaspar. Ma non temete, Yuna e Seymour ricompariranno nella serie in altre vesti, altri tempi ed altri luoghi.

- sempre in questa fantomatica prima stesura, le due Invocatrici con i due Intercessori avrebbero dovuto visitare dodici pianeti, ciascuno custodito da uno dei Cavalieri dello Zodiaco. Quando le Registe si sono accorte che 12 nuovi personaggi sarebbero stati un po’ troppi persino per loro hanno cancellato tutto ed hanno deciso di tenere solo il dolce Mu come guida. Camus doveva essere il custode del pianeta ghiacciato Hoth, ed è entrato solo perché serviva un assistente per Vexen, altrimenti sarebbe stato cestinato come gli altri … considerato che diventerà un personaggio principale nei capitoli a venire (non potete capire, amici lettori, Camus è… è… il mio personaggio preferito perché è … semplicemente Camus!) ha avuto molta fortuna a poter entrare gia' da ora.

- Poi è arrivato Chain of Memories. E qualcuno si sarà anche chiesto “Ma dov’è Lexaeus?”. Ebbene, ricordo ancora di aver sentito le Registe per le vie di Fregene, mentre andavano a comprare il gelato “Ma Lexaeus … è ciccione … sta sempre zitto … e se …” “Cestinato”. Adesso capirete quanto sono inique e parziali quelle due streghe. Poi ovviamente se ne sono pentite in capo a due serie ed hanno deciso di farlo ritornare (quando quelle lì scartano qualcuno dai provini state tranquilli che riciccia in qualche serie successiva quando si accorgono di essere a corto di personaggi)

- Axel doveva morire in questa serie (sì, amici lettori, le Registe prima dicono una cosa e poi fanno assolutamente il contrario). E stranamente non lo facevano perché stava loro antipatico. La sua unica colpa era quella di non avere molta personalità, come forse avrete notato in questa serie: Marluxia era quello carismatico ed aveva dato prova di sé contro Kaspar. Larxen era la ragazza sadica e crudele, unica ed irripetibile. Zexion e Vexen sono un caso clinico a parte, sono due raccomandati di acciaio inox che le Registe vi propineranno per TUTTE le serie a venire con scene melense ed insopportabili da fangirl … ma tornando ad Axel, era quello venuto meno bene e non ne erano soddisfatte. E poiché nelle grandi risse ci sta sempre bene che scappi un morto avevano pensato di fargli lasciare le penne nella battaglia contro Zam. Poi si sono fatte prendere dai 5 minuti di bontà e lo hanno tenuto in vita. Se avrete abbastanza coraggio da sorbirvi altre 8 serie vedrete che questo personaggio sfuggirà dal loro controllo e potrebbe persino starvi simpatico.

- Perché Vexen ha fatto esplodere il Castello dell’Oblio? Non crederete sul serio che l’ha fatto per terrore di Zam e dei suoi poteri? Quando lì c’era il più grande laboratorio del mondo? Ma assolutamente no! E’ una scusa bella e buona delle Registe, ecco uno stralcio di una loro conversazione:

“Oddio, ma questo Castello non sarà troppo potente?”
“Mmmh, in effetti sì, abbiamo esagerato …”
“Dobbiamo disfarcene o causerà troppi squilibri nella trama”
“Ho un’idea! Facciamo attivare a Vexen i Nuclei Neri!”
“Ma con che scusa? Sei tu l’esperta in vexenologia …”
“Tranquilla, una qualche motivazione ce la inventeremo quando scriveremo quel pezzo”
“Ok, però evitiamo che sembri una scusa troppo palese …”

e inoltre…”

REGISTE: “Narratore?”
Narratore: “Sì?” (voce flautata)
REGISTE: “Con chi stai blaterando?”
Narratore: “Con nessuno, mie divine Registe” Amici lettori, voi non avete letto nulla di quelle piccole curiosità, VERO? “Sto arrivando, Registe, sono pronto per la stesura della prossima avventura, aspettatemi!”

Beh, ragazzi, devo andare! Acqua in bocca e non fidatevi di quelle due imbroglione, vedete cosa imbastiscono alle vostre spalle? E ricordatevi, diffidate di Vexen, Zexion e di tutti i personaggi raccomandati! Seguite sempre Camus e diventerete delle persone migliori! Alla prossima!

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