About Ginny - dietro le maschere

di Gufo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** And remember, when you think you're free, the crack inside your f*** heart is me ***
Capitolo 2: *** Little lies, little lies, making up tragedies, nothing is what it seems... ***



Capitolo 1
*** And remember, when you think you're free, the crack inside your f*** heart is me ***


Sapete che c’è? Che prima di andare al mare volevo ricominciare a scrivere fan fiction, che è un’estate noiosa e che ho tempo da perdere, che ho rivisto “About Ginny” nella mia cartella e l’ho dovuta correggere e ri-postare, perché era un regalo, è un regalo, per Carola. E lei non sarà contenta, perché sì, ho deliberatamente stravolto i personaggi partendo da un missing moment e andando in un universo alternativo... quindi siete tutti avvisati, pian piano tutto si ingarbuglierà.

Qui si gioca con sentimenti.

E ora vi lascio al primo capitolo, spero di rivedervi al prossimo,

Gufo

 

è Il titolo del capitolo è una frase della canzone “The speed of pain” di M.Manson  (much love for him), tradotto letteralmente sarebbe “e ricorda, quando pensi di essere libero, la crepa nel tuo f*** cuore sono io.

 

 

 

And remember, when you think you’re free,

the crack inside your f*** heart is me

 

Era una mattinata tranquilla, alla tana: il sole splendeva già alto e caldo nel cielo, un po’ troppo caldo per essere ancora  Luglio.

Fred e George cercavano di catturare qualche nano in giardino, per testare nuovi dolcetti magici; Ron, Hermione ed Harry erano in cucina a fare i compiti; gli altri erano usciti per delle commissioni.

Ginny, però, aveva solo finto un impegno e si era ritrovata da sola in un piccolo bar lontano dal centro, a Diagon Alley.

 

Il ventilatore andava a pieno regime, c’era una frescura invidiabile e davanti a lei stava l’ennesimo tè ghiacciato della mattinata, eppure Ginevra Molly Weasley non riusciva a rilassarsi: troppi pensieri le vorticavano in testa e un senso di completo disagio la attanagliava.

Mentre con i candidi denti mordicchiava la cannuccia e con le mani giocava con la condensa del bicchiere, lo sguardo vagava nel vuoto, fissandosi ora su questa ora su quella faccia, guardando tuttavia con la coda dell’occhio la porta, pronta a scattare e nascondersi se qualcuno di familiare avesse varcato la soglia.

Ma che cos’era che l’angustiava a tal punto di mentire alla sua famiglia e di defilarsi nonostante ci fosse Harry a casa sua?

Innanzitutto lei si riteneva una stupida e anche un’incompresa: era maturata molto nell’ultimo periodo ma nessuno se ne rendeva conto, del resto come avrebbero potuto? Un anno fa non stava nella pelle all’idea di frequentare Hogwarts, non tanto per le lezioni quanto per vedere e conoscere finalmente Harry. Lui era il suo amore platonico fin da quando l’aveva visto al binario, quando era andata ad accompagnare i fratelli al treno.

Ginny soffiò aria nella cannuccia, cominciando a far le bolle nel tè, quel borbottio le facilitava la riflessione, dava un suono al ribollire di pensieri che aveva in testa.

Correzione al pensiero precedente: la sua non era una “cotta per Harry”. Lei si era innamorata dell’immagine che tutti avevano di lui: il bambino sopravvissuto, l’eroe che sconfisse Voldemort, il salvatore del mondo magico, il prescelto. Certamente uno come lui avrebbe avuto un grande potere e sarebbe stato buono, lui sarebbe stato diverso dagli altri e sensibile.

Sì - pensò con ironia Ginny continuando a soffiare ne tè e corrugando le sopracciglia- buono, bravo, bello, coniglietti rosa, arcobaleni e unicorni e blablabla, quante stupidate.

E dire che qual famoso giorno, al suo primo “incontro” con lui, avrebbe voluto salire sul treno e chiedergli una foto, un autografo, ma sua madre non aveva voluto, si era fermamente opposta, l’aveva trascinata via quasi ancor prima che partisse il treno, cosa che non aveva mai fatto in tutti gli anni che aveva accompagnato gli altri. Ora la ringraziava, non avrebbe sopportato di essere accumunata da Harry e gli altri alla miriade di ochette urlanti che lo seguivano solo per la sua fama, ma allora c’era rimasta davvero male.

Aveva passato l’anno successivo (l’ultimo prima di poter andare a Hogwarts!) a fantasticare del suo ingresso nel mondo giallo-oro di Grifondoro (non aveva alcun dubbio che sarebbe stata smistata lì): Harry era diventato il migliore amico di suo fratello Ron (l’aveva saputo dalle lettere che sua mamma leggeva a cena), l’avrebbe conosciuta e, certamente, sarebbe finito per innamorarsene. Perché lei era speciale.

E invece l’anno che aveva trascorso a Hogwarts si era trasformato in un incubo.

Il ghiaccio nel bicchiere si era sciolto del tutto, Ginny guardò nel bicchiere e bevve un gran sorso per cercare di frenare l’istinto di piangere.

Il suo smistamento era stato quasi perfetto: era arrivata con gli altri alunni del primo anno e lei era indubbiamente una delle più carine, con la divisa e i capelli ben in ordine, era avanzata verso lo sgabello e si era seduta senza inciampare o fare movimenti bruschi (si era esercitata molto con le seggiole di casa per evitare brutte figure); il cappello l’aveva assegnata a Grifondoro e il tavolo della sua casa era esploso in un boato di gioia.

Peccato non ci fosse Harry. E già dall’inizio poteva anche prevedere che il resto sarebbe andato peggio, ma non era una veggente, lei. Solo un’illusa, una sognatrice.

Aveva fatto tutta una scena, tanto esercizio anche, per nulla: lui non l’aveva vista e lei non l’avrebbe visto se non la mattina dopo, a colazione, dall’altro capo del tavolo, quando era immerso in una conversazione fittissima con suo fratello. Nessuna possibilità di conoscersi, quindi. Non che lei non avesse fatto un tentativo. E due, e tre, e centomila nei giorni a seguire, ma era sempre stato inutile, al più la considerava come “la sorellina di Ron”, una che andava bene se c’era ma di cui non si sentiva la mancanza.

Passavano così le settimane e i mesi, lei sfogava le sue frustrazioni su un diario che le rispondeva come una vera amica; l’aveva trovato tra i suoi libri, credeva fosse un inaspettato regalo da parte dei suoi genitori, come incoraggiamento per il suo primo anno lontana da casa, che non le avessero voluto dire nulla perché a quanto le risultava gli altri suoi fratelli non avevano avuto nessun regalo prima di partire. Purtroppo quel regalo così apprezzato era ben altro: un oggetto magico oscuro, che si era impossessato di lei e le aveva fatto fare cose orribili. Solo a questo punto Harry si era accorto di lei.

Come l’aveva vista?

Ginny contemplò la sua immagine distorta nell’ultimo rimasuglio di tè. Era una debole.

Non era riuscita a capire che il diario fosse stregato:

stupida.

Non sapeva come muoversi nella scuola, non aveva grandi amicizie e se ne stava da sola, in cerca di lui:

sfigata.

I suoi voti non erano alti, solo nella media, come il suo aspetto:

mediocre.

Aveva fatto la figura della stupida bambinetta innamorata di un principe azzurro, ogni volta che Harry le rivolgeva la parola lei ammutoliva e scappava imbarazzata:

codarda.

Lui non la cercava mai, la salutava appena mentre passava nei corridoi e solo perché era la sorellina del suo miglior amico. A lui non era mai interessato conoscerla.

Dato che era quasi mezzogiorno, si alzò e pagò i suoi innumerevoli drink, poi se ne tornò a casa: alla Tana non eran permessi malumori, si doveva sempre sorridere ed andare avanti, anche se dentro ci si sentiva morire.

 

Alla Tana Molly Weasley stava preparando il pranzo, vide entrare la figlia e le rivolse un sorriso: erano un po’ di giorni che si trovava con le amiche a studiare, stava diventando proprio brava, una figlia perfetta. Lei credeva che quel brutto episodio del diario l’avesse scottata, invece si era dimostrata forte: non solo aveva combattuto contro quella cosa schifosa cercando di liberarsene, ma dopo aveva chiesto più volte perdono e si era castigata da sola, ora stava dando prova di essere degna della loro fiducia. Non che prima non lo fosse, certo; chi può mai pensare di ritrovarsi tra le mani un oggetto talmente oscuro?  Lei aveva detto che pensava fosse un loro regalo.

Sì incupì. Loro non le avevano mai fatto molti regali e Ginny non si era mai lamentata, le era sempre andato bene così, però c’era qualcosa di inespresso in lei, glielo si poteva leggere nel profondo degli occhi, come se avesse dei desideri segreti che si vergognava a confessare per paura di essere derisa. Non fosse stata la più piccola e unica figlia forse avrebbe avuto meno problemi a chiedere apertamente tutto ciò che voleva sapere o avere.

Il fatto di doversi confrontare con così tanti fratelli, tutti maschi, forse la metteva in soggezione. Una ragazza ha esigenze diverse dai ragazzi e forse Ginny si sentiva fuori posto, ma d’ora in avanti ci avrebbe pensato lei a darle occasione di “parlare tra ragazze”.

Ridacchiò.

E poi c’era Hermione e le sue amiche di scuola. Sarebbe stata bene, sarebbe diventata una donna stupenda.

 

 

Altra giornata, altro drink.

Ginny seduta allo stesso tavolo dello stesso bar ordinò un succo d’arancia e limone.

Era una bevanda diversa ogni giorno, la solfa si ripeteva identica ormai da una settimana circa.

Anche oggi aveva detto che si doveva incontrare con un’amica per fare un compito particolarmente difficile, ma senza l’aiuto offerto (e non richiesto) di Hermione Granger, la più brava di tutta Hogwarts.

Certo le dispiaceva averle mentito, averla fatta rimanere alla Tana, lei sola con Molly e tutti gli altri maschi (probabilmente impegnati a giocare a Quiddich), sicuramente si sarebbe annoiata, avrebbe fatto dei compiti (se ancora gliene rimanevano), avrebbe aiutato sua madre nelle faccende domestiche non osando rintanarsi in un cantuccio con un libro per non sembrare ingrata dell’ospitalità. Tuttavia era Hermione che aveva accettato di trascorrere un po’ delle sue vacanze alla Tana, evidentemente lei voleva stare con i suoi due amici: Harry e Ron. Loro non erano vere amiche, altrimenti Hermione le avrebbe parlato di più a Hogwarts, l’avrebbe fatta inserire nel gruppo, in fondo su tre componenti ne conosceva uno (e anche molto approfonditamente), se avesse fatto amicizia con l’altro, il terzo avrebbe dovuto accettarla come amica. E se quel terzo era Harry e chi poteva farla accettare era Hermione e così non era stato... bhè, non c’era nessun motico perché si dispiacesse se “Hermy” si annoiava, no? E comunque, a giustificarsi, non avrebbe comunque potuto accettare un aiuto su un compito che non c’era.

Madama Doréssa la guardò da dietro il balcone, non le piacevano le ragazzine sole a perdere tempo nei bar; sapeva che di solito si rifugiavano lì per isolarsi, turbate da qualcosa, ma nondimeno era sempre pericoloso fermarsi a lungo nello stesso bar: una buona fetta della clientela abituale non era gente raccomandabile per una ragazzina di, quanti? Dodici o tredici anni? Tutti si potevano approfittare della sua ingenuità.

Ginny, sconsolata, sospirò e affogò nel suo primo bicchiere di succo. Stava guardando i rimasugli sul fondo e sui lati del bicchiere quando la sua attenzione venne distolta dalla porta che si aprì: si piegò di scatto, nascondendosi.

La persona che varcò la soglia non poté certo metterla di buon umore: Draco Malfoy in persona, il principino di Serpeverde, nemico odiato e giurato del suo Harry. Di Harry.

Non che a lei in particolare avesse fatto qualcosa, la chiamava Lenticchia, Piattola e storpiava il suo cognome, ma niente di che. Se non fosse stata una Weasley e i Weasley non avessero litigato (a ragione!) con i Malfoy, lui non l’avrebbe considerata più che una qualsiasi bambinetta del primo anno, tanto che non era particolarmente... nulla: né una prima della classe (secchiona), né brutta (mostro), né stupida (troll) e così via, gli sarebbe stata indifferente.

Riacquistando il raziocinio si chiese confusamente che cosa fosse venuto a fare in un bar come quello, frequentato da gente di poco conto e folletti: non era certo un ambiente adatto a lui che si vantava di discendere da una delle più potenti famiglie purosangue e di frequentare solo ambienti esclusivi.

- Weasley! Ma che sgradita sorpresa incontrarti qui!

Ginny si raddrizzò lentamente non perdendo di vista il Serpeverde, continuando a osservarlo muta.

- Bhè? Hai perso la parola? Che ci fa qui una come te? Non hai una famiglia con cui fare interessanti discussioni sull’ultimo cappello in saldo ai Magazzini Magici?

- Lasciami in pace, non voglio litigare, non sono dell’umore adatto, per favore, vattene.

- Oh oh oh, la bambina ora si mette a piangere? Ehi, Weasley, l’unica volta che ti sei dimostrata utile eri posseduta… ora, non è che potresti fare un’ulteriore buona azione e te - ne – vai –via – da - qui?

- No, non posso. Poi sono arrivata prima. Vai via tu se ci tieni...

Lo guardò con sfida, ma non incontrò il suo di sguardo, che stava vagando tra i tavoli del bar. All’improvviso, senza dire una parola, si sedette di fronte a lei e ordinò una burrobirra.

Incredibile.

Ginny lo guardò male, con sospetto, ma lui nulla, impassibile, sembrava aver fissato lo sguardo sulla sua camicia inamidata.

- Non ci sono macchie.

- Come, scusa?

Finalmente sembrò accorgersi di dove si era seduto.

-Sulla camicia, intendo, non ci sono macchie. È inutile che la fissi. E poi… bhè, se non volevi nemmeno vedermi, perché ti sei seduto qui?

- Cara Weasleiuccia… volevo proporti un affare.

- A me?

Ginny era stranamente interessata. Non le aveva mai rivolto la parola prima, se non per schernirla davanti agli amici e, comunque, era stata sempre solo considerata come la sorellina di Ron, l’amichetta di Harry Potter, non come persona.

Forse era uno scherzo.

- Ho notato – continuò lui, imperterrito- che sei sola. Ciò mi pare stranamente... strano. A casa tua ci dovrebbero essere molti dei tuoi innumerevoli fratelli e anche il tuo amore, Harry Potter... ti ha scarcata e ora tu sei tutta sola?

Pausa.

Ginny si mise a fissare ostinatamente il tavolo, labbra serrate, senza emettere un sol fiato.

- È inutile che fissi il tavolo, non ci sono tarli. Anche se per te potrebbe essere una novità, questa.

Ancora nulla, non sembrava proprio voler raccogliere le sue provocazioni.

- Comunque… volevo semplicemente proporti un lavoretto estivo, dato che non sembra che tu stia facendo nulla di che. Dovresti sostituirmi.

Finalmente lo guardò in faccia e, forse per la prima volta, si concentrò su quello che le sta dicendo: un lavoro serio l’avrebbe tenuta occupata senza scuse idiote e per tutta l’estate, avrebbe guadagnato qualche soldo e avrebbe fatto capire che anche lei era capace di fare qualcosa, che non era più la bambina dell’anno scorso. Lei era cambiata.

- Ti ascolto.

- Finalmente! Si tratta, come ti dicevo, di prendere il mio posto per quanto riguarda la vendita al pubblico di accessori magici alla moda, ovviamente non sono adatto a trattare con i clienti se non di alto rango, quindi tu dovresti occuparti di mezzosangue e babbanofili: la tua gente, insomma. Che ne dici? È fino a un giorno prima della scuola, cioè: sabato è l’ultimo giorno di lavoro e lunedì si prende l’Espresso. Ovviamente una volta ad Hogwarts non ci conosceremo più, nemici come prima, se si può dire, d’accordo?

- Hm… negozio di moda e commessa. Quante ore sono? Chi è il proprietario? È d’accordo? La  paga?

- Ok. Una cosa alla volta, piano. Il negozio è di mia madre, oltre a me ci sono due commesse, donne. Diciamo che vendiamo prodotti di alta classe, quindi il lavoro non è particolarmente impegnativo... è aperto dalla mattina alla sera, orario continuato e si fanno anche aperitivi e brunch nello stesso negozio, con i clienti; naturalmente non si deve stare lì per tutto l’orario, ci sono i turni. La paga, ovviamente, viene divisa tra me e te, quindi lavorerai a paga ridotta di circa… due terzi? Ok? Che sarebbero…

Ginny lo stava per mandare al diavolo, chi si credeva di essere quel bellimbusto platinato?

- Circa  5 galeoni?

- Cinque galeoni?

- Sì, 5 galeoni al giorno, un terzo di quanto prendo io. Questa è l’offerta, prendere o lasciare.

- A-accetto!

- Sicura? Pronta a iniziare da domani?

- Così? Subito? Ma non ho nulla da mettermi!

Malfoy si diede una fintissima e plateale manata in fronte

- Oh per Merlino! Avrai una divisa, non ti preoccupare. Ci vediamo qui domani mattina alle nove, non farmi aspettare, ti porto in negozio e ti spiego in dettaglio.

Appena finito di discutere Draco si alzò bruscamente e se ne andò, gettando qualche moneta sul balcone della Madama, bastante a saldare sia il suo conto che quello di Ginny e lasciare una mancia consistene.

Lei, svelta, tornò a casa decisa a dare a tutti la bella notizia: aveva trovato un lavoro!

 

Sua madre boccheggiò dopo averle estorto a forza il negozio in cui avrebbe lavorato e ancora ne era incredula. Sua figlia che lavorava dai (e per!) Malfoy.

- È solo un lavoro da commessa, mamma! E mi pagano bene!

Il signor Weasly si prese la testa fra le mani, fissò il giornale con lo sguardo perso di chi ha subito un trauma.

- Non posso credere che ti abbiano accettata, Lucius si vergognerebbe a lavorare con qualcuno di noi…

- Oh, papà! Smettila! Perché non avrebbero dovuto accettarmi? Sono così incompetente? Sono così… così stupida?

La voce le si incrinò pericolosamente sull’ultima parola, attirando l’attenzione per la prima volta su di lei e non sul tipo di lavoro che avrebbe fatto.

- No, cara, non è che noi crediamo che ti sia stupida o incapace, ma ecco vedi… dopo quello che è successo non vogliamo rischiare ancora. I Malfoy non sono gente perbene.

-Molly…

- No, Arthur, fammi parlare! Chi ti ha messo il diario stregato tra i libri? I Malfoy! Chi ti ha sempre insultata? I Malfoy! Chi non sopporta la nostra famiglia? …

- I Malfoy!!! I Malfoy!!! I Malfoy!!! Basta, ho capito. Non posso guadagnarmi dei soldi perché quei soldi vengono dai Malfoy!

- No, non per questo, ma perché sono pericolosi. Non ci fidiamo e non lasceremo nostra figlia in balia di quelli, vero Arthur??

- Ginny, cara, anche io la penso come tua madre… e poi non è necessario lavorare, o se vuoi potresti fare dei piccoli lavoretti in casa, ti daremo una mancetta, così avrai i tuoi soldi.

- Non ho più otto anni, per la miseria! – e così urlando scappò in camera sua, sbattendo dietro di sé tutte le porte.

La signora Weasly impugnò il coltello e continuò ad affettare le verdure con più veemenza del solito, diventando sempre più rossa in faccia finché non sbottò qualcosa, incantò il coltello perché continuasse da solo e andò a chiamare i gemelli: certamente avevano combinato qualcosa che l’avrebbe distratta da Ginny.

Il signor Weasley riprese a guardare distrattamente il giornale: sapeva bene che la figlia non si sarebbe arresa e avrebbe quasi scommesso che la mattina sarebbe comunque andata al negozio e loro non avrebbero più potuto fare nulla: le donne della famiglia erano piuttosto cocciute. Forse, in fondo, quel lavoro le avrebbe fatto bene, distogliendola dai suoi pensieri; lui si era fin troppo accorto della sua finta allegria, era la sua piccolina dopotutto e non voleva che soffrisse.

Dal giardino si sentì rimbombare per tutta la casa l’urlo della signora Weasley che riprendeva George: aveva fatto crescere un buffo, e brutto, naso oblungo a Ron; il signor Weasley ridacchiò, riaprì meglio il giornale con un colpo secco e si rimise a leggere.

In camera, Ginny, si buttò sul suo letto e per circa due minuti si sfogò piangendo. Dal cortile salivano le grida della madre: tutto era ritornato alla normalità, lei era un capitolo chiuso, nessuno più le faceva caso, l’attenzione era già rivolta altrove.

Si mise alla scrivania, piuma in mano:

“Caro” Draco Malfoy

Ci ripensò e riscrisse:

Malfoy 

Sbarrato.

Draco

Peggio.

Rimise via pergamena e piuma e iniziò a far le valige.

 

La mattina dopo, quando Molly salì a svegliarla in camera, non la trovò più lì, come non vide più nulla che appartenesse strettamente alla figlia; si precipitò in soggiorno dove teneva il suo orologio che indicava la posizione dei membri della famiglia: la lancetta di Ginny era stata rimossa. Disperata si lasciò andare pesantemente sul divano, dove la trovarono Fred e George un’ora più tardi: Ginny era andata dai Malfoy e lei era rimasta a guardarla andare via, non l’aveva minimamente impedito.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Little lies, little lies, making up tragedies, nothing is what it seems... ***


Little lies, little lies, making up tragedies, nothing is what it seems…

 

Era già da un po’ che era seduta a quel tavolo con le valigie tutte intorno a lei. Non avrebbe voluto lasciare così la sua casa, ma ormai non poteva più tornare sui suoi passi: non doveva mostrarsi debole e poi sua madre sarebbe stata certamente arrabbiata, non poteva ripresentarsi davanti a lei dopo quello che aveva fatto. Prima della fuga, quando pensava al lavoro che i Malfoy le avrebbero dato, aveva deciso di recidere i legami con la famiglia, almeno per un po’, per dimostrarsi autonoma, e così avrebbe fatto. Però dopo la litigata con i genitori aveva un po’ esagerato e quel “per un po’” si era tramutato in un “permanentemente”: aveva anche staccato la sua lancetta dall’orologio in soggiorno e ora l’aveva lì in mano, la rigirava. Non sapeva nemmeno perché l’aveva tenuta invece di buttarla via, nel primo cestino che avesse trovato, tanto ormai a casa non ci sarebbe più tornata.

  Madama Doréssa guardava già da un po’ la ragazzina lì seduta, non aveva ancora ordinato, e questo era strano dato che da una settimana a quella parte la prima cosa che vedeva della ragazza, prima ancora del suo viso, erano una massa di capelli rossi in avvicinamento e una manina bianca che si posava sul balcone per richiamare l’attenzione, per fare la sua ordinazione sempre diversa ma sempre poco costosa e analcolica, appropriata a lei, quindi. Le stava simpatica, quella ragazzina le ricordava lei da giovane. Prima di diventare barista in quel locale ci aveva lavorato per anni e tutto perché a casa non stava più a suo agio.

Lei non aveva una storia felice alle spalle, anche se si mostrava sempre sorridente. Sorridere ed essere affabile era il suo lavoro. Da piccola la sua era una famiglia normale, aveva una sorella gemella e su di loro veniva riversato l’amore di due felicissimi genitori. Fino a quando aveva compiuto undici anni e a lei era arrivata la lettera da Hogwarts, a sua sorella no. Da allora loro, tutti loro, le avevano dato la colpa di essere una strega, di essere diversa. Col tempo aveva capito che lo facevano perché si sentivano inferiori, loro in realtà erano magonò; la magia li aveva rifiutati e loro la rifiutavano. Così aveva vissuto a scuola e da una lontana parente, anche lei strega.

La bambina seduta là in fondo le ricordava molto se stessa, sola, abbandonata. Senza dubbio stava aspettando qualcuno perché aveva con sé delle valige e non smetteva di tener d’occhio l’entrata. Quasi certamente stava dando l’addio al suo passato. Aveva anche lei la stessa età quando se ne era andata di casa, più o meno.

Eppure, in lei, in quella ragazzina dalla testa infuocata, pareva esserci dell’altro che non un nuovo inizio: aveva lo sguardo come perso nel vuoto, accigliato e allo stesso tempo sembrava sul punto di scoppiare a piangere; non le piaceva vedere le persone in quello stato, ma lei non era abituata a badare ai bambini. Agli altri clienti di solito, per risollevar loro il morale, offriva un bicchiere gratis di un potente alcolico, ma ovviamente non poteva darlo anche a lei, come non poteva andare là e interferire, per il rispetto di se stessa da bambina, per il ricordo, sapeva che voleva solo esser lasciata in pace e la rispettava per questo.

  D’improvviso si aprì la porta e Ginny fece come per nascondersi, calmandosi subito dopo: nessuno sapeva che lei frequentava quel bar se non Malfoy e due o tre vecchietti che aveva incrociato nella settimana. Era solo Malfoy, infatti. E lei lo stava aspettando. Dette una regolata ai suoi pensieri che vagavano ancora alla sua famiglia, si cercò di calmare e di ricordarsi che loro avevano un patto. Lei aveva bisogno di lui e lui di lei, non l’avrebbe abbandonata a sé.

Draco prese posto di fronte a lei come aveva già fatto il giorno prima e le chiese se fosse davvero convinta di accettare il posto di lavoro che le aveva offerto, cosa di cui non era più tanto sicuro dopo la discussione avuta con suo padre (o meglio, il monologo di questo su come i Weasley avrebbero deriso i Malfoy che chiedevano aiuto).

- Malfoy, se mi vedi qua non è per farti dispetto, e poi cinque galeoni al giorno non li butto via. Mi pagherai in giornata, sempre, vero?

Il dubbio era che le accreditasse lo stipendio sul suo conto alla Gringott, ancora sotto il controllo dei suoi genitori.

- Certo, cos’è? Vuoi un anticipo? – soffiò lui di rimando.

Poi notò le valige a terra: - Non mi dire che sei scappata di casa, Weasley! Tutto per stare con me?

- Stai zitto. Non ti riguarda la mia vita.

A quel punto Draco gongolava letteralmente, se non fosse stato un esperto dissimulatore avrebbe lasciato trasparire un grosso sorriso, di quelli che fanno solitamente i gatti dopo aver mangiato un topo. Coda compresa.

- Oh, ma una cosa posso saperla? Dove dormirai? I tuoi cari genitori babbanofili e i tuoi stupidi fratelli faranno presto a ritrovarti, non passi certo inosservata con tutti quei geni Weasleypezzenti che hai addosso… o mi sbaglio? Pelle chiara e lentigginosa da popolana, capelli rossi mal curati, sguardo vacuo… non ci vuole tanto a capire da che razza di famiglia vieni.

- Ah sì? Mi stai offrendo un alloggio al tuo palazzo di cristallo, Lady Malfoy?

- Non azzardarti a chiamarmi così, sai? Altrimenti altro che pentirti di essere nata, ti riporto direttamente da tua madre e tanti saluti. L’ho vista quella donna, sai? … Ora, se non hai niente in contrario, prendi le tue cose e seguimi, dove andiamo non ti deve interessare.

Draco si alzò e si avviò all’uscita, lasciando dietro di sé una Ginny che armeggiava con i bagagli. Lei non si sarebbe mai potuta accorgere del ghigno che attraversava il volto del giovane Malfoy che pensava già a come sfruttare a suo vantaggio quella preziosa situazione. Insomma, una ragazza che si rifugia nelle braccia del rampollo della famiglia nemica e rivale non era cosa da tutti i giorni, no? Soltanto Romeo e Giulietta, forse, potevano avere la stessa idea. Ma lui non era Romeo, a lui non importava nulla se quella Giulietta soffriva, lui voleva vendicarsi del suo amato fratello Ronald e di quel bonzo di Harry Potter che, assieme a quella secchiona della Granger, se ne andavano tronfi per i corridori di Hogwarts a farsi ammirare da tutti. Eccoli i nuovi eroi! Il terzetto dei bravi e coraggiosi grifoncini! Avrebbero pianto, oh sì.

 

 

                                              

Alla Tana nel frattempo era scoppiato un putiferio: non solo Ginny era scomparsa e nessuno sapeva dove fosse, ma anche la sua lancetta non c’era più e questo significava che nessuno poteva sapere se era sana e salva o in pericolo! Di dove fosse andata non ne avevano idea, in fondo non poteva certo aver trovato davvero ospitalità dai Malfoy, la sola idea era irrazionale.

La mattina Molly si era lasciata convincere che forse era solo arrabbiata, aveva fatto le valige, aveva tolto la sua lancetta, ma sarebbe tornata sicuramente per il pranzo, in lacrime, pregando di perdonarla, di volerle bene. Era un’adolescente e per di più era stata vittima di un maleficio per quasi tutto l’anno scolastico, se già l’identità era un po’ in crisi per gli ormoni e la crescita, quello la poteva rovinare. Però, quando il “pranzo” si era trasformato in “merenda” e poi inesorabilmente in “cena”, Molly non aveva più retto e si era lasciata andare a una crisi isterica che aveva colpito come un monsone tutta la famiglia, e il ministero sezione persone scomparse, più volte, fino a tarda notte, ripetutamente.

Del resto nessuno era rimasto con le mani in mano nemmeno durante il giorno.

Arthur si era dato un gran daffare al ministero per distribuire foto della figlia a chiunque avesse intenzione anche solo di uscire per bersi un caffè; Harry, Ron e Hermione battevano i boschi e campi intorno alla casa fin dalla mattina, Fred e George facevano lo stesso sorvolando i villaggi magici. Perfino Percy la stava cercando, proprio lui che di solito non si interessava alle “sceneggiate” famigliari.

Faceva un gran caldo, ma nessuno si dava pace: bisognava ritrovare Ginny, non aveva ancora dodici anni! Le poteva accadere di tutto.

 

 

 

Ginny se ne stava seduta in un grande atrio ventilato, al fresco, con un succo tropicale in mano (con tanto di ombrellino!) mentre Draco, seduto come al solito di fronte a lei, le mostrava una piantina dell’immenso negozio per ricchi di sua madre. Erano nella zona ristoro dello stesso, al piano terra, circondati da piante e fiori che rendevano molto accogliente l’ambiente, fatto tutto di vetri e specchi.

Nessuno dei due sembrava infastidito dalla presenza dell’altro: erano affari e loro collaboravano, una volta finito sarebbero ritornati alla vita di sempre.

O meglio, Ginny pensava che dopo quello avrebbe avuto abbastanza soldi per affittare un qualcosa per l’estate, anche solo una piccola tenda magica, giusto per il periodo in cui avrebbe dovuto tornare in famiglia per passare le vacanze; Draco, invece, pensava che se il suo piano fosse andato a buon fine si sarebbe guadagnato il rispetto di suo padre e avrebbe messo a tacere Potter&friends, compresa la Piattola che, per essere una ragazzina del primo anno, si era dimostrata davvero...fastidiosa? Sì, ecco. Perché non poteva solo essere posseduta, no, lei doveva anche essere salvata dagli eroi della domenica. Sicuro non fosse stata l’adorata sorellina della Donnola non si sarebbe scatenato quel casino.

Draco si scostò un ciuffo che gli era caduto sugli occhi: - E in questo settore ci sono gli accessori magici, magia nera, e quindi a te è proibito avvicinarti. Sono solo per purosangue, hai capito? Non importa quanti soldi possano esser disposti a pagare: solo purosangue.

- Ho capito, ho capito. Primo piano vestiti, secondo: borse, cappelli e scarpe; terzo: accessori, vietato il reparto nascosto dietro il grande specchio. Chiaro.

Ginny mosse la testa su e giù come un buon cagnolino, aspirando un sorso del cocktail che aveva in mano, non ci voleva un genio per seguire i discorsi di Draco, poco ma sicuro.

- Bene, brava. Senti… dove hai detto che dormi? Sai che devi esser qui alle 7 vero? Non prendere un alloggio troppo lontano.

- Non so, Malfoy. Non ho abbastanza soldi per pagarmi un posto letto, a meno che non dorma in strada o non dorma affatto o… non è che potrei dormire qui? L’hai detto tu stesso che c’è una piccola dependance!

Ecco, l’aveva detto. Ginny aveva appena pronunciato le parole che aspettavano entrambi. Lei per non tornare a casa e non finire per strada, per fargli pena e farsi accogliere, lui la voleva in trappola, invischiata a tal punto nella sua rete che fosse impossibile sfuggirgli.

-Mi schifa la sola idea, Weasley! Ma… potrei chiedere a mia madre, se l’altra opzione è perdere l’aiutante.- Mentì spudoratamente Draco.

-Grazie ehm.. Draco.

- Chiamami Malfoy, non voglio aver nessun contatto con te che non sia legato al lavoro.

-Bene, Malfoy. –

Succhiò soddisfatta dalla cannuccia: quel succo era buonissimo e lei aveva trovato un alloggio a prezzo zero.

  Erano passati solo dieci minuti da quando Draco l’aveva lasciata e già ne stava discutendo con i genitori. Sorprendentemente avevano trovato che fosse una buona idea avere la piccola Weasley come aiutante e certo non le avrebbero negato l’ospitalità.

Draco era rimasto basito, non capiva come, dopo tutti quegli anni di ostilità, potessero accogliere in casa loro una traditrice dei purosangue, almeno non prima di avere ascoltato il suo piano che l’avrebbe allontanata prima dai suoi amici e poi distrutta.

Ci pensò sua madre a spiegargli la situazione quando furono soli, a quattr’occhi: la ragazzina serviva per una vendetta e Draco doveva collaborare. Ci sarebbe stato? Sì, ci stava. Sorprendentemente era lo stesso motivo che aveva mosso Draco ad accollarsela, solo che suo padre non mirava a Potter e il suo giulivo seguito, piuttosto all’intera famiglia Weasleypezzenti.

Il piano era di traviare la dolce bambina di Molly Weasley, la sua unica femmina, quella con cui aveva un legame particolarmente forte; l’avrebbero fatta diventare una Malfoy, le avrebbero fatto disprezzare la sua famiglia e l’avrebbero educata secondo l’etichetta dei veri e nobili purosangue. Era un progetto di poche parole, lineare: proprio per la sua semplicità sarebbe andato a buon fine. Dopotutto, poi, quella che si doveva ingannare era una bambinetta di dodici anni scappata di casa, anche se fosse stata sospettosa all’inizio, avrebbero comunque vinto loro perché quando giocavano sporco lo sapevano fare molto bene.

Narcissa, andandosene, consigliò al figlio di diventare piano piano il migliore amico della bambina, il suo confidente e, perché no?, anche il suo fidanzatino. Draco ci stava. Troppe volte aveva subito a scuola gli scherzi dei Weasley e troppe volte Potter aveva sventato i suoi, di scherzi. Ora era il momento della vendetta. Che si ripercuotesse anche sulla famiglia di lei non lo turbava, Weasley e Malfoy non andavano d’accordo, lo sapevano tutti, e quello sarebbe stata solo una piccola goccia nel vaso della discordia.

  Due ore dopo, mentre la famiglia Weasley cercava ancora la propria figlioletta, questa entrava  nell’atrio della residenza principale dei Malfoy: aveva trovato una camera in una lussuosissima villa con tanto di pavoni in giardino e la pagavano anche per lavorare in un negozio bellissimo in cui avrebbe volentieri prestato servizio gratis solo per poterci stare dentro.

Non poteva andare meglio.

Era un sogno, il suo personale sogno di successo.

Gli elfi domestici presero le cose di Ginny e le portarono nella sua nuova camera. Quando anche lei poté vederla le si riempirono gli occhi di lacrime, non aveva mai pensato che i Malfoy potessero essere così… così ospitali! La camera era bellissima, immensa, aveva le pareti rosso scure con stucchi dorati, anche il letto a baldacchino riprendeva gli stessi colori, c’erano una bandiera e un poster di Grifondoro appesi, un tappeto magico che cambiava alternativamente il logo di Hogwarts a quello della sua casata, in più aveva un bagno personale che avrebbe fatto invidia a quello dei prefetti Hogwartiani (Percy ne aveva descritti i meriti molto entusiasticamente). Il cuore quasi le scoppiò quando aprì l’enorme porta finestra e si rese conto che la stanza dava sul rigoglioso roseto di cui i Malfoy andavano fieri.

Non avrebbe mai potuto ringraziarli abbastanza, ma era sicura di una cosa: non avrebbe più potuto dir nulla di veramente maligno contro di loro, la sua famiglia sbagliava e l’aveva dimostrato più volte. Si diede della stupida per avere ascoltato così tanti pregiudizi e non aver capito che erano solo fandonie dettate dall’invidia. Perfino l’episodio del diario le sembrò un errore: in fondo il signor Malfoy non aveva mai ammesso di aver preso parte alla cosa e poteva benissimo essere come diceva lui. Nessuno che accogliesse così bene una che apparteneva a una famiglia altrimenti sgradita, facendola sentire veramente a casa, poteva essere così malvagio e meschino come lo descrivevano sempre i suoi genitori.

Si allungò sul letto guardando i piccoli elfi domestici mettere a posto le sue cose dalle valigie agli armadi, poi si decise a fare un lungo bagno rilassante: doveva essere in forma per il giorno dopo o avrebbe iniziato il suo lavoro già stanca.

 

 

 

Ciao a tutti! Eccomi tornata J ... una sola recensione? Hm? Ma almeno una c’è! E Blessed Bondless che recensice  e che spero di rivedere in questo capitolo!

 

Parlandoti proprio a tu-per-tu, Bondless, ti ringrazio della recensione! In questo capitolo ho dato forse poco spazio a quella che è l’introspezione piuttosto che alla vicenda, ma ora il meccanismo si mette in moto... da qui in poi Draco ritorna a essere più nel personaggio, Ginny se ne discosta, entrano in campo le famiglie e tutto si ingarbuglia (evviva!!!) ... quindi, fammi sapere ancora cosa ne pensi :P

 

-         Ah, se a qualcuno pare “strano” o “vecchio sistema” che io risponda alle recensioni qui lo informo che lo faccio perché mi piace tenere un dialogo aperto a tutti gli occhi (come lo è la storia e lo sono le recensioni), solo quelle dell’ultimo capitolo saranno risposte in privato, se a qualcuno non garba o non recensisce (ma, suvvia, dai!) o mi specifica di rispondere in pm -

 

 

è Il titolo questa volta è una frase di “Little Lies” di Tarja Turunen, la traduzione è: “piccole bugie, piccole bugie, causano drammi...”    (oh, sì, ancora titoli legate a canzoni...)

 

Grazie a chi legge ma soprattutto a chi recensisce!!!

 

 

A presto,

Gufo

 

 

 

 

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