Sapete
che c’è? Che prima di andare al mare volevo ricominciare a scrivere fan
fiction, che è un’estate noiosa e che ho tempo da perdere, che ho rivisto
“About Ginny” nella mia cartella e l’ho dovuta correggere e ri-postare, perché
era un regalo, è un regalo, per Carola. E lei non sarà contenta, perché sì, ho
deliberatamente stravolto i personaggi partendo da un missing moment e andando
in un universo alternativo... quindi siete tutti avvisati, pian piano tutto si
ingarbuglierà.
Qui
si gioca con sentimenti.
E ora
vi lascio al primo capitolo, spero di rivedervi al prossimo,
Gufo
è Il titolo del capitolo è una frase della canzone “The
speed of pain” di M.Manson (much love for him), tradotto letteralmente sarebbe
“e ricorda, quando pensi di essere libero, la crepa nel tuo f*** cuore sono io.
And remember, when you think you’re free,
the crack inside your f*** heart is me
Era una mattinata
tranquilla, alla tana: il sole splendeva già alto e caldo nel cielo, un po’
troppo caldo per essere ancora Luglio.
Fred e George cercavano di
catturare qualche nano in giardino, per testare nuovi dolcetti magici; Ron,
Hermione ed Harry erano in cucina a fare i compiti; gli altri erano usciti per
delle commissioni.
Ginny, però, aveva solo
finto un impegno e si era ritrovata da sola in un piccolo bar lontano dal
centro, a Diagon Alley.
Il ventilatore andava a
pieno regime, c’era una frescura invidiabile e davanti a lei stava l’ennesimo
tè ghiacciato della mattinata, eppure Ginevra Molly Weasley non riusciva a
rilassarsi: troppi pensieri le vorticavano in testa e un senso di completo
disagio la attanagliava.
Mentre con i candidi denti
mordicchiava la cannuccia e con le mani giocava con la condensa del bicchiere,
lo sguardo vagava nel vuoto, fissandosi ora su questa ora su quella faccia,
guardando tuttavia con la coda dell’occhio la porta, pronta a scattare e
nascondersi se qualcuno di familiare avesse varcato la soglia.
Ma che cos’era che
l’angustiava a tal punto di mentire alla sua famiglia e di defilarsi nonostante
ci fosse Harry a casa sua?
Innanzitutto lei si
riteneva una stupida e anche un’incompresa: era maturata molto nell’ultimo
periodo ma nessuno se ne rendeva conto, del resto come avrebbero potuto? Un
anno fa non stava nella pelle all’idea di frequentare Hogwarts, non tanto per
le lezioni quanto per vedere e conoscere finalmente Harry. Lui era il suo amore
platonico fin da quando l’aveva visto al binario, quando era andata ad
accompagnare i fratelli al treno.
Ginny soffiò aria nella
cannuccia, cominciando a far le bolle nel tè, quel borbottio le facilitava la
riflessione, dava un suono al ribollire di pensieri che aveva in testa.
Correzione al pensiero
precedente: la sua non era una “cotta per Harry”. Lei si era innamorata
dell’immagine che tutti avevano di lui: il bambino sopravvissuto, l’eroe che
sconfisse Voldemort, il salvatore del mondo magico, il prescelto. Certamente
uno come lui avrebbe avuto un grande potere e sarebbe stato buono, lui sarebbe
stato diverso dagli altri e sensibile.
Sì - pensò con ironia
Ginny continuando a soffiare ne tè e corrugando le sopracciglia- buono, bravo,
bello, coniglietti rosa, arcobaleni e unicorni e blablabla, quante stupidate.
E dire che qual famoso
giorno, al suo primo “incontro” con lui, avrebbe voluto salire sul treno e
chiedergli una foto, un autografo, ma sua madre non aveva voluto, si era
fermamente opposta, l’aveva trascinata via quasi ancor prima che partisse il
treno, cosa che non aveva mai fatto in tutti gli anni che aveva accompagnato
gli altri. Ora la ringraziava, non avrebbe sopportato di essere accumunata da
Harry e gli altri alla miriade di ochette urlanti che lo seguivano solo per la
sua fama, ma allora c’era rimasta davvero male.
Aveva passato l’anno
successivo (l’ultimo prima di poter andare a Hogwarts!) a fantasticare del suo
ingresso nel mondo giallo-oro di Grifondoro (non aveva alcun dubbio che sarebbe
stata smistata lì): Harry era diventato il migliore amico di suo fratello Ron
(l’aveva saputo dalle lettere che sua mamma leggeva a cena), l’avrebbe
conosciuta e, certamente, sarebbe finito per innamorarsene. Perché lei era
speciale.
E invece l’anno che aveva
trascorso a Hogwarts si era trasformato in un incubo.
Il ghiaccio nel bicchiere
si era sciolto del tutto, Ginny guardò nel bicchiere e bevve un gran sorso per
cercare di frenare l’istinto di piangere.
Il suo smistamento era
stato quasi perfetto: era arrivata con gli altri alunni del primo anno e lei
era indubbiamente una delle più carine, con la divisa e i capelli ben in
ordine, era avanzata verso lo sgabello e si era seduta senza inciampare o fare
movimenti bruschi (si era esercitata molto con le seggiole di casa per evitare
brutte figure); il cappello l’aveva assegnata a Grifondoro e il tavolo della
sua casa era esploso in un boato di gioia.
Peccato non ci fosse
Harry. E già dall’inizio poteva anche prevedere che il resto sarebbe andato
peggio, ma non era una veggente, lei. Solo un’illusa, una sognatrice.
Aveva fatto tutta una
scena, tanto esercizio anche, per nulla: lui non l’aveva vista e lei
non l’avrebbe visto se non la mattina dopo, a colazione, dall’altro capo del
tavolo, quando era immerso in una conversazione fittissima con suo fratello.
Nessuna possibilità di conoscersi, quindi. Non che lei non avesse fatto un
tentativo. E due, e tre, e centomila nei giorni a seguire, ma era sempre stato
inutile, al più la considerava come “la sorellina di Ron”, una che andava bene
se c’era ma di cui non si sentiva la mancanza.
Passavano così le
settimane e i mesi, lei sfogava le sue frustrazioni su un diario che le
rispondeva come una vera amica; l’aveva trovato tra i suoi libri, credeva fosse
un inaspettato regalo da parte dei suoi genitori, come incoraggiamento per il
suo primo anno lontana da casa, che non le avessero voluto dire nulla perché a
quanto le risultava gli altri suoi fratelli non avevano avuto nessun regalo
prima di partire. Purtroppo quel regalo così apprezzato era ben altro: un
oggetto magico oscuro, che si era impossessato di lei e le aveva fatto fare
cose orribili. Solo a questo punto Harry si era accorto di lei.
Come l’aveva vista?
Ginny contemplò la sua
immagine distorta nell’ultimo rimasuglio di tè. Era una debole.
Non era riuscita a capire
che il diario fosse stregato:
stupida.
Non sapeva come muoversi
nella scuola, non aveva grandi amicizie e se ne stava da sola, in cerca di lui:
sfigata.
I suoi voti non erano
alti, solo nella media, come il suo aspetto:
mediocre.
Aveva fatto la figura
della stupida bambinetta innamorata di un principe azzurro, ogni volta che
Harry le rivolgeva la parola lei ammutoliva e scappava imbarazzata:
codarda.
Lui non la cercava mai, la
salutava appena mentre passava nei corridoi e solo perché era la sorellina del
suo miglior amico. A lui non era mai interessato conoscerla.
Dato che era quasi
mezzogiorno, si alzò e pagò i suoi innumerevoli drink, poi se ne tornò a casa:
alla Tana non eran permessi malumori, si doveva sempre sorridere ed andare
avanti, anche se dentro ci si sentiva morire.
Alla Tana Molly Weasley
stava preparando il pranzo, vide entrare la figlia e le rivolse un sorriso:
erano un po’ di giorni che si trovava con le amiche a studiare, stava
diventando proprio brava, una figlia perfetta. Lei credeva che quel brutto
episodio del diario l’avesse scottata, invece si era dimostrata forte: non solo
aveva combattuto contro quella cosa schifosa cercando di liberarsene, ma dopo
aveva chiesto più volte perdono e si era castigata da sola, ora stava dando
prova di essere degna della loro fiducia. Non che prima non lo fosse, certo;
chi può mai pensare di ritrovarsi tra le mani un oggetto talmente oscuro? Lei
aveva detto che pensava fosse un loro regalo.
Sì incupì. Loro non le
avevano mai fatto molti regali e Ginny non si era mai lamentata, le era sempre
andato bene così, però c’era qualcosa di inespresso in lei, glielo si poteva
leggere nel profondo degli occhi, come se avesse dei desideri segreti che si
vergognava a confessare per paura di essere derisa. Non fosse stata la più
piccola e unica figlia forse avrebbe avuto meno problemi a chiedere apertamente
tutto ciò che voleva sapere o avere.
Il fatto di doversi
confrontare con così tanti fratelli, tutti maschi, forse la metteva in
soggezione. Una ragazza ha esigenze diverse dai ragazzi e forse Ginny si
sentiva fuori posto, ma d’ora in avanti ci avrebbe pensato lei a darle
occasione di “parlare tra ragazze”.
Ridacchiò.
E poi c’era Hermione e le
sue amiche di scuola. Sarebbe stata bene, sarebbe diventata una donna stupenda.
Altra giornata, altro
drink.
Ginny seduta allo stesso
tavolo dello stesso bar ordinò un succo d’arancia e limone.
Era una bevanda diversa
ogni giorno, la solfa si ripeteva identica ormai da una settimana circa.
Anche oggi aveva detto che
si doveva incontrare con un’amica per fare un compito particolarmente
difficile, ma senza l’aiuto offerto (e non richiesto) di Hermione Granger, la
più brava di tutta Hogwarts.
Certo le dispiaceva averle
mentito, averla fatta rimanere alla Tana, lei sola con Molly e tutti gli altri
maschi (probabilmente impegnati a giocare a Quiddich), sicuramente si sarebbe
annoiata, avrebbe fatto dei compiti (se ancora gliene rimanevano), avrebbe
aiutato sua madre nelle faccende domestiche non osando rintanarsi in un
cantuccio con un libro per non sembrare ingrata dell’ospitalità. Tuttavia era
Hermione che aveva accettato di trascorrere un po’ delle sue vacanze alla Tana,
evidentemente lei voleva stare con i suoi due amici: Harry e Ron. Loro non
erano vere amiche, altrimenti Hermione le avrebbe parlato di più a Hogwarts,
l’avrebbe fatta inserire nel gruppo, in fondo su tre componenti ne conosceva
uno (e anche molto approfonditamente), se avesse fatto amicizia con l’altro, il
terzo avrebbe dovuto accettarla come amica. E se quel terzo era Harry e chi
poteva farla accettare era Hermione e così non era stato... bhè, non c’era
nessun motico perché si dispiacesse se “Hermy” si annoiava, no? E comunque, a
giustificarsi, non avrebbe comunque potuto accettare un aiuto su un compito che
non c’era.
Madama Doréssa la guardò
da dietro il balcone, non le piacevano le ragazzine sole a perdere tempo nei
bar; sapeva che di solito si rifugiavano lì per isolarsi, turbate da qualcosa,
ma nondimeno era sempre pericoloso fermarsi a lungo nello stesso bar: una buona
fetta della clientela abituale non era gente raccomandabile per una ragazzina
di, quanti? Dodici o tredici anni? Tutti si potevano approfittare della sua
ingenuità.
Ginny, sconsolata, sospirò
e affogò nel suo primo bicchiere di succo. Stava guardando i rimasugli sul fondo
e sui lati del bicchiere quando la sua attenzione venne distolta dalla porta
che si aprì: si piegò di scatto, nascondendosi.
La persona che varcò la
soglia non poté certo metterla di buon umore: Draco Malfoy in persona, il
principino di Serpeverde, nemico odiato e giurato del suo Harry. Di Harry.
Non che a lei in
particolare avesse fatto qualcosa, la chiamava Lenticchia, Piattola e storpiava
il suo cognome, ma niente di che. Se non fosse stata una Weasley e i Weasley
non avessero litigato (a ragione!) con i Malfoy, lui non l’avrebbe considerata
più che una qualsiasi bambinetta del primo anno, tanto che non era
particolarmente... nulla: né una prima della classe (secchiona), né brutta
(mostro), né stupida (troll) e così via, gli sarebbe stata indifferente.
Riacquistando il
raziocinio si chiese confusamente che cosa fosse venuto a fare in un bar come
quello, frequentato da gente di poco conto e folletti: non era certo un
ambiente adatto a lui che si vantava di discendere da una delle più potenti
famiglie purosangue e di frequentare solo ambienti esclusivi.
- Weasley! Ma che sgradita
sorpresa incontrarti qui!
Ginny si raddrizzò
lentamente non perdendo di vista il Serpeverde, continuando a osservarlo muta.
- Bhè? Hai perso la
parola? Che ci fa qui una come te? Non hai una famiglia con cui fare
interessanti discussioni sull’ultimo cappello in saldo ai Magazzini Magici?
- Lasciami in pace, non
voglio litigare, non sono dell’umore adatto, per favore, vattene.
- Oh oh oh, la bambina ora
si mette a piangere? Ehi, Weasley, l’unica volta che ti sei dimostrata utile
eri posseduta… ora, non è che potresti fare un’ulteriore buona azione e te - ne
– vai –via – da - qui?
- No, non posso. Poi sono
arrivata prima. Vai via tu se ci tieni...
Lo guardò con sfida, ma
non incontrò il suo di sguardo, che stava vagando tra i tavoli del bar.
All’improvviso, senza dire una parola, si sedette di fronte a lei e ordinò una
burrobirra.
Incredibile.
Ginny lo guardò male, con
sospetto, ma lui nulla, impassibile, sembrava aver fissato lo sguardo sulla sua
camicia inamidata.
- Non ci sono macchie.
- Come, scusa?
Finalmente sembrò
accorgersi di dove si era seduto.
-Sulla camicia, intendo,
non ci sono macchie. È inutile che la fissi. E poi… bhè, se non volevi nemmeno
vedermi, perché ti sei seduto qui?
- Cara Weasleiuccia…
volevo proporti un affare.
- A me?
Ginny era stranamente
interessata. Non le aveva mai rivolto la parola prima, se non per schernirla
davanti agli amici e, comunque, era stata sempre solo considerata come la
sorellina di Ron, l’amichetta di Harry Potter, non come persona.
Forse era uno scherzo.
- Ho notato – continuò
lui, imperterrito- che sei sola. Ciò mi pare stranamente... strano. A casa tua
ci dovrebbero essere molti dei tuoi innumerevoli fratelli e anche il tuo amore,
Harry Potter... ti ha scarcata e ora tu sei tutta sola?
Pausa.
Ginny si mise a fissare
ostinatamente il tavolo, labbra serrate, senza emettere un sol fiato.
- È inutile che fissi il
tavolo, non ci sono tarli. Anche se per te potrebbe essere una novità, questa.
Ancora nulla, non sembrava
proprio voler raccogliere le sue provocazioni.
- Comunque… volevo
semplicemente proporti un lavoretto estivo, dato che non sembra che tu stia
facendo nulla di che. Dovresti sostituirmi.
Finalmente lo guardò in
faccia e, forse per la prima volta, si concentrò su quello che le sta dicendo:
un lavoro serio l’avrebbe tenuta occupata senza scuse idiote e per tutta
l’estate, avrebbe guadagnato qualche soldo e avrebbe fatto capire che anche lei
era capace di fare qualcosa, che non era più la bambina dell’anno scorso. Lei
era cambiata.
- Ti ascolto.
- Finalmente! Si tratta,
come ti dicevo, di prendere il mio posto per quanto riguarda la vendita al
pubblico di accessori magici alla moda, ovviamente non sono adatto a trattare
con i clienti se non di alto rango, quindi tu dovresti occuparti di mezzosangue
e babbanofili: la tua gente, insomma. Che ne dici? È fino a un giorno prima
della scuola, cioè: sabato è l’ultimo giorno di lavoro e lunedì si prende
l’Espresso. Ovviamente una volta ad Hogwarts non ci conosceremo più, nemici
come prima, se si può dire, d’accordo?
- Hm… negozio di moda e
commessa. Quante ore sono? Chi è il proprietario? È d’accordo? La paga?
- Ok. Una cosa alla volta,
piano. Il negozio è di mia madre, oltre a me ci sono due commesse, donne.
Diciamo che vendiamo prodotti di alta classe, quindi il lavoro non è
particolarmente impegnativo... è aperto dalla mattina alla sera, orario
continuato e si fanno anche aperitivi e brunch nello stesso negozio, con i
clienti; naturalmente non si deve stare lì per tutto l’orario, ci sono i turni.
La paga, ovviamente, viene divisa tra me e te, quindi lavorerai a paga ridotta
di circa… due terzi? Ok? Che sarebbero…
Ginny lo stava per mandare
al diavolo, chi si credeva di essere quel bellimbusto platinato?
- Circa 5 galeoni?
- Cinque galeoni?
- Sì, 5 galeoni al giorno,
un terzo di quanto prendo io. Questa è l’offerta, prendere o lasciare.
- A-accetto!
- Sicura? Pronta a iniziare
da domani?
- Così? Subito? Ma non ho
nulla da mettermi!
Malfoy si diede una
fintissima e plateale manata in fronte
- Oh per Merlino! Avrai
una divisa, non ti preoccupare. Ci vediamo qui domani mattina alle nove, non
farmi aspettare, ti porto in negozio e ti spiego in dettaglio.
Appena finito di discutere
Draco si alzò bruscamente e se ne andò, gettando qualche moneta sul balcone
della Madama, bastante a saldare sia il suo conto che quello di Ginny e
lasciare una mancia consistene.
Lei, svelta, tornò a casa
decisa a dare a tutti la bella notizia: aveva trovato un lavoro!
Sua madre boccheggiò dopo
averle estorto a forza il negozio in cui avrebbe lavorato e ancora ne era
incredula. Sua figlia che lavorava dai (e per!) Malfoy.
- È solo un lavoro da
commessa, mamma! E mi pagano bene!
Il signor Weasly si prese
la testa fra le mani, fissò il giornale con lo sguardo perso di chi ha subito
un trauma.
- Non posso credere che ti
abbiano accettata, Lucius si vergognerebbe a lavorare con qualcuno di noi…
- Oh, papà! Smettila!
Perché non avrebbero dovuto accettarmi? Sono così incompetente? Sono così… così
stupida?
La voce le si incrinò
pericolosamente sull’ultima parola, attirando l’attenzione per la prima volta
su di lei e non sul tipo di lavoro che avrebbe fatto.
- No, cara, non è che noi
crediamo che ti sia stupida o incapace, ma ecco vedi… dopo quello che è
successo non vogliamo rischiare ancora. I Malfoy non sono gente perbene.
-Molly…
- No, Arthur, fammi
parlare! Chi ti ha messo il diario stregato tra i libri? I Malfoy! Chi ti ha
sempre insultata? I Malfoy! Chi non sopporta la nostra famiglia? …
- I Malfoy!!! I Malfoy!!!
I Malfoy!!! Basta, ho capito. Non posso guadagnarmi dei soldi perché quei soldi
vengono dai Malfoy!
- No, non per questo, ma
perché sono pericolosi. Non ci fidiamo e non lasceremo nostra figlia in balia
di quelli, vero Arthur??
- Ginny, cara, anche io la
penso come tua madre… e poi non è necessario lavorare, o se vuoi potresti fare
dei piccoli lavoretti in casa, ti daremo una mancetta, così avrai i tuoi soldi.
- Non ho più otto anni,
per la miseria! – e così urlando scappò in camera sua, sbattendo dietro di sé
tutte le porte.
La signora Weasly impugnò
il coltello e continuò ad affettare le verdure con più veemenza del solito,
diventando sempre più rossa in faccia finché non sbottò qualcosa, incantò il
coltello perché continuasse da solo e andò a chiamare i gemelli: certamente
avevano combinato qualcosa che l’avrebbe distratta da Ginny.
Il signor Weasley riprese
a guardare distrattamente il giornale: sapeva bene che la figlia non si sarebbe
arresa e avrebbe quasi scommesso che la mattina sarebbe comunque andata al
negozio e loro non avrebbero più potuto fare nulla: le donne della famiglia
erano piuttosto cocciute. Forse, in fondo, quel lavoro le avrebbe fatto bene,
distogliendola dai suoi pensieri; lui si era fin troppo accorto della sua finta
allegria, era la sua piccolina dopotutto e non voleva che soffrisse.
Dal giardino si sentì
rimbombare per tutta la casa l’urlo della signora Weasley che riprendeva
George: aveva fatto crescere un buffo, e brutto, naso oblungo a Ron; il signor
Weasley ridacchiò, riaprì meglio il giornale con un colpo secco e si rimise a
leggere.
In camera, Ginny, si buttò
sul suo letto e per circa due minuti si sfogò piangendo. Dal cortile salivano
le grida della madre: tutto era ritornato alla normalità, lei era un capitolo
chiuso, nessuno più le faceva caso, l’attenzione era già rivolta altrove.
Si mise alla scrivania,
piuma in mano:
“Caro” Draco Malfoy…
Ci ripensò e riscrisse:
Malfoy
Sbarrato.
Draco
Peggio.
Rimise via pergamena e
piuma e iniziò a far le valige.
La mattina dopo, quando
Molly salì a svegliarla in camera, non la trovò più lì, come non vide più nulla
che appartenesse strettamente alla figlia; si precipitò in soggiorno dove
teneva il suo orologio che indicava la posizione dei membri della famiglia: la
lancetta di Ginny era stata rimossa. Disperata si lasciò andare pesantemente
sul divano, dove la trovarono Fred e George un’ora più tardi: Ginny era andata
dai Malfoy e lei era rimasta a guardarla andare via, non l’aveva minimamente
impedito.