E penso a te. di Mia Swatt (/viewuser.php?uid=111649)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Isabella. ***
Capitolo 2: *** Edward. ***
Capitolo 1 *** Isabella. ***
Buon
Sabato pomeriggio a tutti! Come state? Il fandom mi mancava,
così nell'attesa di pubblicare la mia nuova storia su
Twilight - visto che ora sto portando avanti la mia Originale/Fantasy -
eccomi qui con questa FlashFic. Agli inizi era stata pensata per essere
una One-Shot, ma poi ho cominciato a scrivere e mi è venuta
lunghissima. Ho deciso, quindi, di suddividerla in DUE PUBBLICAZIONI.
La prima sarà dal punto di vista di Isabella, la seconda da
quello di Edward. Non è la classica storiella con vampiri o
creaute sovrannaturali, non si svolge a Forks e nonavrà un
lieto fine. Dipende tutto dai punti di vista, insomma. Detto questo,
voglio solo ricordarvi una piccola cosa che mi riguarda - o per meglio
dire, riguarda le mie store: mai nulla è come sembra!
Ora
bando alle ciance! Vi lascio alla prima parte di questa mini - davvero
mooolto mini - storia.
BUONA
LETTURA!
Canzone
che ha ispirato questa FlashFic: E
penso a te - Mina Version.
E
PENSO A TE
Io
lavoro, e penso a te.
Torno a casa, e penso a te.
Gli telefono e intanto penso a te.
Come stai? E penso a te.
Dove andiamo? E penso a te.
Gli sorrido, abbasso gli occhi e penso a te.
Isabella
27
Giugno 2011, Los Angeles.
Mi
alzai, svegliata dall’assordante sveglia. Erano le otto in
punto, la libreria –
come ogni mattina – apriva le sue porte alle nove e mezza. Mi
diressi in bagno,
controvoglia. Alzarmi presto era sempre stata la mia croce, ma si sa:
nella
vita devi affrontare i compromessi. Il mondo non aspetta te, mai.
La
doccia fresca ravvivò la mia pelle, svegliandomi –
finalmente. Afferrai i
vestiti, nulla di eccessivo: jeans scuri stretti, una camicetta a
maniche corte
a scacchi lilla e bianca, un paio di ballerine basse bianche. Feci una
rapida
colazione e afferrai le chiavi della macchina.
Il
mio appartamento si trovava in periferia, mentre il negozio, dove
lavoravo, era
in pieno centro città. Solitamente – traffico
permettendo – ci mettevo sempre
una buona mezzora. Accesi il motore, facendo in modo di riscaldare un
po’
l’auto, inserii il Cd della mattina e digitai il PIN sul
cellulare. Come di
consueto trovai un SMS dei miei genitori. Renèe, mia madre,
abitava a
Jacksonville – Florida – da quando si era risposata
con Phil, ora un affermato
e importante giocatore di baseball. Mio padre, Charlie, viveva a Forks.
Era una
piccola cittadina dello Stato di Washington, coperta da uno strato
perenne di
nuvole e pioggia. Le temperature annuali erano sempre piuttosto basse,
ma tutto
sommato non era affatto male. Ci ho vissuto per tutti gli anni del
liceo, per
lasciare a mia madre e Phil un po’ di privacy. Inoltre, era
arrivato il momento
di passare un po’ di tempo con mio padre.
Mi
ero trasferita a Los Angeles da qualche anno. Proprio qui frequentavo
il
college per diventare giornalista. Per pagare le spese
dell’affitto e della
retta – non volevo pesare ai miei genitori – avevo
trovato questo lavoretto
part-time e la cosa non mi dispiaceva per niente.
Lavoravo
alla libreria “Rose of Angels” da circa due anni.
Ricordo ancora quando trovai
il volantino giallo appeso alla bacheca degli annunci del Campus. Era
stato un
colpo di fortuna.
Nonostante
non fossi più una novellina della grande city, vedere tutti
quei grattaceli,
quelle strade affollate, la metropolita e tutte le splendide altre
cose, per
me, Los Angeles, era ancora tutta da scoprire.
Arrivata
davanti al negozio notai Julian – il mio migliore amico, qui,
ma anche
proprietario del “Rose of Angels” –
inserire le chiavi e aprire la porticina
del negozio. Suonai il clacson, facendolo spaventare, e parcheggiai
proprio
davanti al locale.
―
Puntuale come sempre, Bella ― disse Julian, sorridendomi.
― Ovvio, capo ― risposi, prendendolo un po’ in giro. Spensi
il motore dell’auto
e lo raggiunsi.
Julian
Butler, venticinque anni, è sempre stato un ragazzo molto
attraente. Alto, più
o meno, un metro e ottanta. Capelli castano scuro, occhi azzurri, pelle
naturalmente abbronzata. Si è trasferito dal New Mexico
– insieme alla sua
famiglia – dieci anni fa. Concluse qui gli studi e si
iscrisse al college. Il
padre, sapendo la sua grande passione per la lettura, per ricompensarlo
della
sua mente geniale e del suo comportamento da studente e figlio
impeccabile, gli
aprì questa splendida libreria, la quale divenne –
nel giro di pochi mesi – la
più famosa e frequentata della città.
―
Come sta Jacob?
―
Bene, è andato a trovare suo padre a Forks. ― risposi ―
Dovrebbe rientrare
domani in giornata.
―
Oh, quindi sei stata sola tutto il week end? ― domandò, con
un sopracciglio
alzato. Annuii, sapendo già cosa avrebbe detto di
lì a poco, così lo anticipai.
―
Lo so, avrei potuto chiamarti. Oppure chiamare Claire. Ammetto di non
averci
pensato. ― dissi, appoggiando la borsa nel retro. Claire era la
fidanzata –
nonché futura moglie – di Julian. Era molto
carina: capelli castano chiaro,
occhi castano/verdi e un carattere stupendo. Insieme erano una coppia
splendida.
―
Esatto! ― disse lui, aprendo la cassa – Ma come al solito
parlare con te o col
muro è uguale, Bella. ― sorrisi sfacciata e andai a
catalogare gli ultimi
arrivi. Aprii gli scatoloni pieni zeppi di volumi e ne rimasi
meravigliata.
C’era di tutto! Dai classici, come Orgoglio
e Pregiudizio, oppure il mio preferito Cime
Tempestose, a saggi più voluminosi. Best seller
horror, fantasy… oppure
commedie romantiche. Adoravo lavorare per Julian. Come lui, anche io
amavo quel
mondo fatto di carta.
Pulimmo
e sistemammo tutto nel giro di un’ora, giusto in tempo per
servire la prima
cliente della mattinata.
La
giornata passò in fretta, come sempre. Per quel
Lunedì – non avendo lezione al
college – feci tutto il giorno, mentre Julian andò
a sostenere uno degli ultimi
esami che lo dividevano dalla laurea. Mangiammo un panino farcito, al
volo, a
mezzogiorno e poi ognuno di noi tornò alle proprie mansioni.
Non potevo, però,
lamentarmi di aver passato una giornata stancante o noiosa, in quanto
in torno
alle quattro del pomeriggio venne a farmi compagnia Claire.
Mi
trovavo a casa, adesso. Più precisamente nella vasca da
bagno. Il mio
appartamento non era piccolo, ma neppure tanto grande. Un monolocale in
periferia, composto da sala da pranzo, cucina, stanza da letto e bagno.
Quest’ultimo era dotato di una vasca da bagno gigantesca. Il
mio sogno. A
Forks, Charlie, aveva solo una piccola doccia da condividere.
Immersa
in quel gradevole tepore i ricordi della mia infanzia tornarono alla
mia mente.
Prepotenti. I giorni di scuola, le mie pazze amiche – che
purtroppo non sentivo
né vedevo più – le discussioni con mio
padre, i brutti voti e quelli belli… e
quegli occhi. I suoi smeraldi, che
mi
hanno riscaldato il cuore per anni in quella fredda città,
la quale oramai, era
solo un dolce ma lontano ricordo.
Avevo
ventuno anni adesso. Non ero più una ragazzina. Ero al terzo
anno di college, a
un passo per diventare quello che sono sempre voluta divenire: una
giornalista
di successo. Un sorriso amaro si formò sulle mie labbra. Alla fin fine non ti penti di nulla,
pensai. Ed è la verità. Di ciò
che ho fatto nella mia vita non mi sono mai pentita. Non ho rimpianti
per ciò
che ho fatto, per ciò che ho scelto. Forse uno
solo… ma ormai è troppo tardi
per tornare indietro.
Lo
squillo del telefono mi fece sobbalzare. Presi l’asciugamani
e me lo avvolsi
attorno al corpo, correndo a prendere il piccolo cordless nero.
―
Pronto?
―
Bella, tesoro! ― sorrido, riconoscendo la voce del mio ragazzo
dall’altro lato
del telefono.
―
Ciao Jake.
―
Com’è andata la giornata? ― chiede, evidentemente
interessato e preoccupato ― E
il fine settimana? Lo hai passato bene?
―
Sì, Jake. ― risposi, facendo un sorriso tirato ―
Com’è andata a Forks? Tuo
padre come sta? Hai visto anche Charlie, per caso?
―
Ovvio! ― rispose, sghignazzando ― Charlie mi ha chiesto di te per tutto
il
tempo, mi ha perfino dato delle cose per la sua bambina.
Scoppiai
a ridere a quelle parole. Mio padre non
cambia mai, pensai.
Mentre
Jacob mi spiegava di aver rivisto tutti i suoi amici di La Push,
non riuscii a
trattenermi dallo sprofondare nei miei ricordi.
Stavo
con Jacob Black – una volta mio migliore amico – da
quasi un anno, ormai. Jake,
era più piccolo di me di un anno,
anche
se la differenza di età non si è mai
né sentita né vista. Era indubbiamente
più
alto di me, più muscoloso, più prestante e
innegabilmente più maturo. Questo
poteva dipendere moltissimo dal fatto che perse la mamma quando era
solo un
bambino. Si trasferì a Los Angeles, per caso – o
almeno, questo è ciò che ha
sempre detto – quasi due anni fa. Aveva cominciato a
frequentare l’università a
Forks, ma a detta sua, gli insegnanti e le lezioni erano
insoddisfacenti. Fu
così che ci mettemmo insieme, circa un anno dopo il suo
trasferimento qui.
―
Bella? ― sentii la voce di Jacob e trasalii ― Ci sei ancora?
―
Sì, sì. ― risposi in fretta, anche se non avevo
udito neanche una parola ― Sono
qui. Ti stavo ascoltando!
―
Sei stanca? ― domandò dolcemente, fino a farmi sciogliere il
cuore. Era sempre
così buono e comprensivo con me.
―
Sì, credo sia un po’ di stanchezza.
―
Allora vai a dormire, amore mio. ― disse e riuscii quasi a percepire
una sua
debole e dolce carezza ― Io arriverò domani in serata.
―
D’accordo. Allora buona notte, Jake.
―
Buona notte, amore mio. A domani! Ti amo.
―
Ti amo anche io, Jake. ― risposi, riattaccando. Ed era vero. Amavo
Jacob Black.
Forse, però, non di quell’amore viscerale che ti
consuma dentro. Era amore,
quello sì, lo sapevo. Lo sentivo. Ma non sarei riuscita
più ad amare in quel
modo… nel modo di molti anni fa. L’amore
che provavo per Jacob non era neanche lontanamente paragonabile a
quello che
provai – e forse, provavo ancora – per lui.
Erano
passati anni, più o meno due – più o
meno, un anno dopo il mio trasferimento a
Los Angeles – da quel giorno.
Mi
trovavo in centro, era Natale e fioccava. La neve, a differenza di
Forks, era
soffice e meno gelida. Ero a Hollenbeck Park, seduta su una panchina
davanti al
ruscello che passava in mezzo al parco. Avevo con me il mio bicchiere
di
frappuccino e il mio libro preferito. Attendevo. Aspettavo che lui
arrivasse.
Per ore attesi, sotto il freddo e sotto la neve. Ma lui non venne mai.
L’ennesima promessa non mantenuta. A tarda ora, col cuore
gonfio di dispiacere
e un magone a gravarmi sul petto, tornai a casa. Non lo sentivo da
parecchie
settimane. Il problema non era che non mi amasse o mi amasse troppo
poco – o
almeno, così credevo – avevo totale fiducia in
lui. Il guaio erano gli orari,
gli impegni. Tante piccole cose che, a lungo andare, possono rovinare
una
relazione anche troppo stabile. Lui si trovava a New
York. Era partito poco dopo di me. Aveva ventuno anni
all’epoca, e i tre anni di college a Forks erano finiti.
Avrebbe dovuto
specializzarsi, così – sotto consiglio di suo
padre – decise di concludere gli
anni di studio a New York City. Comunemente conosciuta come la Grande
Mela. Ne ha compiuti
poco tempo fa ventiquattro,
pensai. Sospirai pesantemente e la rabbia si rimpossessò di
me. Come aveva
fatto a dimenticarmi così in fretta? Come aveva fatto a
lasciarmi con un
messaggio e poi, senza neppure avvisarmi, cambiarmi numero? Come aveva
potuto
distruggermi in quel modo?
Ero
andata a New York, qualche mese più tardi. Non rispondeva
alle mie chiamate, né
ai messaggi. Presi, così, la decisione di andare a trovarlo.
Comprai il
biglietto aereo con gli ultimi risparmi che avevo e volai dritta a New
York.
Conoscevo il suo indirizzo, me lo aveva dato appena riuscì a
stabilirsi. Ma non
avevo avuto ancora modo di andarci. Solitamente veniva lui da me, per
evitare
che il viaggio mi pesasse. Arrivata in aeroporto chiamai un taxi e mi
diressi
alla Fifth Avenue di Manhattan. Da
quello che ne sapevo, era il borgo più ricco e di cultura di
New York.
Quando
arrivai dinanzi all’enorme casa bianca il cuore
cominciò a battermi furioso nel
petto, ma quella sensazione durò poco. Pagai il taxista e
quando mi voltai,
pronta a scendere le mie gambe si immobilizzarono. Davanti a me, bello
come
sempre, c’era il mio
fidanzato che
abbracciava una ragazza. I capelli di lei erano biondo/rossicci. Era
alta,
sicuramente più di me, corpo snello e perfetto.
―
Grazie per questa notte. Ne avevo davvero bisogno. ― disse, baciandogli
la
guancia.
―
Quando vuoi, Tanya. ― rispose lui, sfacciato ― Per te ci sono sempre.
Non
volli sentire altro. Chiesi al taxista di riportarmi subito
all’aeroporto e
così fece. Lui non mi vide, ma io capii tante cose. Il
motivo per cui non venne
quel giorno da me, perché aveva cambiato numero e non volle
rispondere più alle
mie chiamate. Era un maschio e come tale non potevo aspettarmi troppo.
Avevo
creduto nel suo amore, però. Nella nostra storia, nel nostro
futuro insieme. Tutte bugie, mi
dissi. Erano state solo
bugie.
Quella
fu l’ultima volta che lo vidi. L’ultima volta che
osservai i suoi capelli
bronzei, scompigliati dal vento. L’ultima volta che vidi il
suo sorriso o i
suoi incredibili occhi verdi. L’ultima volta che il mio cuore
batté
all’impazzata per un amore vero. Ceco, dilaniante. Eterno.
―
Bella! ― urlò Jake, abbracciandomi e facendomi volteggiare
tra le sue braccia,
in mezzo all’aeroporto di Los Angeles.
―
Ehi! ― urlai, ridendo ― Ma cosa fai! Sei pazzo!
―
Sì, solamente di te. ― disse e mi baciò. Il
contatto fu lento, dolce e anche
passionale. Jacob era caldo, in qualsiasi cosa facesse. Ci metteva il
cuore.
―
Mi sei mancata.
―
Anche tu, moltissimo.
Afferrò
il suo bagaglio e prese la mia mano, dirigendoci verso la mia macchina.
Salimmo, notando che il suo sguardo non si era staccato un attimo da me.
―
Come stai? ― domandò, dopo che mi ero messa sulla
carreggiata. Direzione: il
nostro appartamento. O così credeva lui.
Come
una persona
orribile, che invece di pensare al suo ragazzo ha passato quasi tutto
il fine
settimana a pensare ad un altro uomo. Qualcuno che ora non
c’è, che mai più ci
sarà. Qualcuno che dovrebbe restare nel passato, pensai. Ma risposi
diversamente.
―
Bene, grazie. E tu?
―
Ora che sono qui, con te, molto meglio! ― arrossii, non mi ero mai
abituata
alla sua dolcezza disarmante.
―
Dove stiamo andando? ― chiese, notando che non era la strada di casa.
In
effetti, era una sorpresa per lui. Qualche tempo prima che partisse per
Forks
aveva tentato di insegnarmi ad andare in moto ma, purtroppo, quello non
era di
certo il mio talento. Andai a sbattere. Fortunatamente non mi feci
nulla, ma la
moto si danneggiò parecchio. Jacob non la portò
mai ad aggiustare, ritenendola
troppo pericolosa per me. Sapevo, però, quanto ci teneva.
―
È una sorpresa. ― risposi, guardandolo con la coda
dell’occhio. Sembrava un
bambino in quel momento. I capelli neri, corti. Gli occhi castani,
così
profondi… la pelle scura, i muscoli in bella mostra. Era
così diverso da…
―
Bella, attenta! ― urlò Jake, notando che stavo finendo fuori
strada.
―
Scusami! ― dissi ― Mi sono distratta!
―
A guardare me. ― disse, sghignazzando ― So di essere bellissimo, ma
tieni gli
occhi sulla strada.
Sorrisi,
scacciando il pensiero che mi martellava in testa: non stavo solo guardando. Io stavo paragonando.
―
Dimenticherai mai quella mia frase? ― domandai, cercando di restare
lucida.
―
No, mi dispiace. ― rispose, scoppiando a ridere ― Quella volta sei
stata
buffissima! ― sbuffai, facendomi travolgere dalla sua
ilarità. Nonostante
tutto.
―
Siamo arrivati. ― gli riferii, parcheggiando accanto
all’officina “Da James”.
Ne uscì subito un uomo sulla trentina, alto. Capelli biondi
e occhi chiari.
Completamente ricoperto di tatuaggi.
―
Ehi, Isabella. Ciao!
―
Ciao James. È pronta quella cosa che ti ho chiesto?
―
Certamente. Venite. ― disse e lo seguimmo.
―
Cosa ci facciamo qui? ― sussurrò Jacob, al mio orecchio. Gli
chiesi di fare
silenzio, mimando un “adesso lo scopri, non essere
impaziente”.
―
Eccola qui. ― parlò James, dinanzi una moto nera tirata a
lucido.
―
Oh mio Dio! ― urlò Jacob, in preda all’eccitazione
― Non ci credo. L’hai fatta
sistemare per me? ― mi domandò ed io annuii. Mi avvolse in
un abbraccio,
posandomi sulle labbra un bacio per niente casto.
―
Dio quanto ti amo, Isabella Swan!
Gli
sorrisi, abbassando lo sguardo, mentre lo vidi avvicinarsi al mezzo e
scambiare
due parole con James.
Cosa
ne sarebbe stata della mia vita se non avessi avuto Jacob? Ringrazio
ancora Dio
che lo ha mandato da me. Lui c’è sempre stato.
Anche quel giorno a Hollenbeck
Park. Ero sola, quasi in lacrime. Ma lui c’era. Mi porse una
mano, invitandomi
a seguirlo dentro un bar per riscaldarmi, ma rifiutai. Si sedette
così accanto
a me, per un po’. Poi mi diede un bacio sulla guancia e
andò via. Come
sarebbe stata, invece, la mia vita se lui
non mi avesse tradita? Forse saremmo insieme, adesso. Ero sempre stata
convinta
che il nostro amore fosse stato scritto nelle stelle, nel destino. Ero
ingenua,
è vero. Ma ci credevo. Credevo in lui, in noi. Nel nostro
amore, che superò –
almeno ai tempi del liceo – ogni cosa. Poco importava se io
fossi più piccola.
Poco importava che io fossi la migliore amica di sua sorella. Poco
importava
che lui fosse più ricco di me, più bello o
intelligente. L’unica cosa che ci
importava era il nostro amore che, purtroppo, poi si è
sciolto come neve al
sole. Sono passati anni eppure ti penso ancora, Edward. Ma la vita va avanti.
Essa va sempre avanti.
Eccomi qui, lo so abbassate i
forconi per favore! Chi mi conosce sa che una cosa del genere -
cioè Bella e Jacob - da me non lo aspetta. Eppure... Questa
piccola storia mi è venuta in mente ieri mattina. Quindi
abbiate pietà, sarà il caldo! Cosa ne pensate?
Isabella è una persona autonoma, indipendente rispetto a
quella della Meyer. Studia, lavora, vive per conto suo lontana da casa.
Lontana da Forks. Aveva un amore - che lei considerava vero - ma le
viene sgretolato sotto gli occhi. Sono cose orribili, eppure
accadono. Edward non va da lei Hollenbeck Park, così lei lo
raggiunge a New York e cosa vede? Il suo ragazzo che saluta una
ragazza, che lo ringrazia per la nottata passata insieme. Forse molte
di voi, di noi, sarebbero scese e lo avrebbero preso a schiaffi, ma
mettiamoci anche nei panni di Isabella o delle persone come Isabella.
Non sai cosa succede col tuo fidanzato, le cose vanno male, lui non si
presenta ad un appuntamento, vai a cercarlo e lo trovi con un'altra!
Vale la pena parlare? Forse sì, ma non tutti hanno il
coraggio di sprecare parole quando la verità è
lì, davanti ai tuoi occhi.
La seconda parte di questa FlashFic verrà pubblicata
Mercoledì 24 Agosto, per dare il tempo a chi vuole recensire
di farlo e per chi vuole leggerla con calma. Mio Dio quanto ho scritto!
Tolgo il disturbo, dai!
A Mercoledì! Un abbraccio a tutti :)
|
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Capitolo 2 *** Edward. ***
Buon
pomeriggio a tutti! Come va? Prima di postare la seconda - e ultima -
parte di questa piccolissima storia, ci terrei a sottolineare una
cosa. Il pairing Bella/Jacob non è per niente nelle
mie corde, anche se io non
detesto Jacob. A me da solo fastidio il suo incaponirsi, ecco. Solo
questo, ma come ragazzo non lo disprezzo... Adoro la coppia
Edward/Bella, ma ho semplicemente "preso in prestito" dei personaggi, non
le vicende o gli "accoppiamenti" che questo ne comporta. (In tutte le
altre mie storie Bella sta con Edward, ma questa è un
pò diversa. Volevo lanciare un messaggio più
profondo). Ci tengo poi, a precisare -come già
detto- che non ci sarà il lieto fine, almeno, non quello che
si può pensare. E' una storia diversa, che segue il filo
della sua canzone ispiratrice "E penso a te"... Spero di non deludere,
comunque, le vostre aspettative e spero, anche, che se la fine non
sarà come la immaginavate non abbiate sprecato tempo a
leggere questa piccolissima flashfic... Purtroppo nella vita non sempre
le cose vanno come noi le pensiamo o immaginiamo. Non sempre ci
comportiamo in modo perfetto. Siamo esseri umani, sbagliare
è nella nostra natura. Nelle recensioni mi è
stato segnalato di più il pairing della storia,
più che la storia in sè - mentre io volevo
lanciare un altro tipo di messaggio. Qualcun altro mi ha detto che
Isabella dovrebbe voltare pagina, vivere la sua storia con Jacob. Ma
alla fin fine, cosa sta facendo? Purtroppo dimenticare un
grande amore non è così semplice. Isabella sta
con Jacob, è vero non come ha amato Edward, ma lo ama, e
anche se non sembra lei sta vivendo. Lei sta andando avanti, lei si sta
costruendo una vita. Ma quando qualcuno riesce a entrarti dento,
arrivando fino infondo all'anima non è così
facile dimenticarlo e basta. A volte, non si dimentica mai. Il tempo
guarisce le ferite, ma le cicatrici restano. Ma credo di essermi
dilunga anche troppo... Perciò, vi lascio a questo
ultimissimo capitolo! Ma
mi raccomando, leggete anche quello che scriverò dopo! A
fondo pagina, è importante.
BUONA LETTURA!
Canzone che ha ispirato
questa FlashFic: E
penso a te - Lucio Battisti.
E
PENSO A TE
Scusa
è tardi, e penso a te.
Ti accompagno, e penso a te.
Non son stato divertente e penso a te.
Sono al buio, e penso a te.
Chiudo gli occhi, e penso a te.
Io non dormo e penso a te.
Edward
31
Dicembre 2011, New York.
Un
altro anno stava per giungere al termine. Un altro anno senza la parte
migliore
di me. Un altro anno senza di lei.
Sospiro, guardando l’orologio al mio polso. Un regalo di mio
padre, per Natale.
Come hai passato tu
quel giorno? Mi domandai, sapendo che
non avrei mai avuto una risposta. Il dolore non era svanito neanche per
un
secondo. Sono passati due anni – forse qualche mese in
più – da allora, eppure
il tuo ricordo è ancora vivo dentro di me. Scossi il capo,
cercando di non
pensarci troppo. Almeno non questa sera.
―
Edward, sei pronto? ― domandò Alice, entrando in camera mia.
―
Sì, arrivo subito. ― risposi, afferrando la giacca e uscendo.
Abitavo
in una piccola villetta a schiera nella Fifth
Avenue di Manhattan, New York. Ormai mi ero abituato a quella
città, a quel
ritmo frenetico. Avevo da poco concluso la prima parte di
specializzazione
medica al college, iniziando così il mio primo e vero
tirocinio al Presbyterian
Hospital. Avevo ventiquattro anni e di strada per diventare medico ne
avevo
ancora molta da percorrere, ma quello era ciò che volevo
fare. Fin da quando
avevo sei anni. Molti dei miei compagni di scuola sognavano di fare i
calciatori, i motociclisti… io sognavo di fare il medico. Il
pediatra, per
essere esatti.
―
Dovremmo incontrarci con Rose e gli altri tra un’ora. ― disse
Alice,
risvegliandomi dai miei pensieri ― Sono le dieci, Edward. Ce la
facciamo ad
arrivare al locale per le undici? ― annuii, aprendo la macchina con il
piccolo
telecomando nero.
―
Devo andare a prendere Tanya. ― informai Alice, mettendo in moto e
ingranai la
prima, uscendo dal parcheggio.
―
Tra voi c’è qualcosa? ― chiese mia sorella, con
fare noncurante.
―
Cosa dovrebbe esserci?
―
State insieme?
―
Alice, ma che razza di idee ti vengono?
―
Scusami, ma Edward sono passati quasi due anni. Pensavo che tu ti fossi
rifatto
una vita qui a New York.
―
Beh, ti sei fatta un’idea sbagliata. ― quasi le ringhiai
addosso ― Alice, Tanya
è una carissima amica, ma tra di noi non
c’è niente. Ci abbiamo provato, ma lei
è ancora psicologicamente instabile. Mentre io… ―
lasciai la frase a metà. Non
dovevo aggiungere nient’altro, mia sorella avrebbe capito.
―
Sei ancora innamorato di lei? ―
annuii soltanto ― L’hai più sentita? ― scossi il
capo. Non sapevo più niente di
lei. Più nulla. Ricordo ancora quel periodo, prima della
rottura. Le cose non
era chiare, né erano tutte rose e fiori. Ma credevo
nell’amore, nel suo amore
per me. Se mi avessero chiesto di
buttarmi da un burrone, mettendo in
conto che per salvarmi fossi dovuto essere certo del suo amore per me,
avrei
accettato senza esitazione. Quanto mi sbagliavo… Eravamo
sempre stati noi, da
sempre e per sempre. O almeno, così credevo.
―
Tu? ― domandai ― L’hai più sentita, tu? ― scosse
il capo.
―
Sono due anni che non la sento. ― parlò flebile ― Quando
avete rotto ci
scambiavamo qualche SMS o qualche E-mail, ma nulla di più.
La vedevo strana, lo
sai. Ma non mi ha mai voluto dire nulla. E poi…
―
Poi avete smesso di sentirvi.
Conclusi
la frase, giusto in tempo per vedere Tanya fuori, sul marciapiede. La
sua
famiglia era un caso disperato: sua madre beveva, mentre il padre era
sempre
fuori a farsi qualche prostituta. Capivo perché, fin da
quando aveva
quattordici anni, aveva cominciato a farsi di cocaina. La sua
situazione non
era per niente facile. Anzi, tutto il contrario.
―
Ciao! ― salutò entrando in macchina. Non era affatto male a
livello fisico:
capelli biondo/rossicci, forme al punto giusto, alta
all’incirca un metro e
settanta, occhi azzurri.
―
Tanya, quante volte ti ho detto di non aspettarmi sul marciapiede? Sai
che il
tuo quartiere non è dei migliori. Gira brutta gente.
―
Scusa Edward. Ma se non uscivo subito da quella casa commettevo un
duplice
omicidio.
―
Discutono ancora? ― domandò Alice, riferendosi ai suoi
genitori. Tanya annuì,
ma non aggiunse altro.
Arrivammo
al locale poco prima delle undici. Emmett e Jasper non avrebbero avuto
nulla da
ridire. Parcheggiai non molto distante e notai subito la chioma mossa e
bionda
di Rosalie. Ci dirigemmo verso di loro all’istante. Emmett
era mio fratello
maggiore, aveva ventotto anni. Jasper e Rosalie, invece erano coetanei
miei e
di mia sorella: il primo aveva la mia età, la seconda quella
di Alice.
Prendevamo spesso in giro Emmett, sostenendo che fosse un pedofilo. Tra
lui e
Rose c’erano sette anni di differenza. Ma lui non si
scomponeva mai. Quando la
conobbe erano all’università, ciò
implicava che lei non fosse minorenne e
questo rendeva tutto legale e possibile.
Passammo
la serata a bere, chiacchierare e divertirci. Io, almeno, ci provai. A
mezzanotte precisa alzammo i calici e brindammo al nuovo anno.
L’ennesimo.
Mentre tutti facevano il trenino, ballando e cantando, mi allontanai.
Presi la
giacca e uscii un po’ fuori. Estrassi il mio pacchetto di
sigarette e ne accesi
una. Non fumavo spesso, anzi, questa era proprio una novità.
Avevo cominciato
neanche un anno fa. Era una pessima abitudine, lo sapevo, specialmente
per uno
che voleva fare il pediatra. Ma ne fumavo giusto qualcuna, quando ero
nervoso o
giù di corda.
―
Il fumo fa male, dottore. Non glielo hanno insegnato?
―
Non dovresti stare dentro a festeggiare con gli altri, Tanya?
Si
avvicinò, scrollando le spalle, mentre si stringeva nella
giacca nera.
―
Troppi alcoolici. ― rispose, alzai un sopracciglio.
―
Tu hai problemi di altro tipo, non di alcool.
―
Hai ragione.
―
Allora, qual è la versione ufficiale?
―
Ti ho visto uscire e ho pensato di farti compagnia. ― concluse,
diventando
rossa come un peperone. Mi fece sorride.
Tanya
aveva ventidue anni. Non andava al college e non lavorava. Il primo non
poteva
permetterselo, il secondo… era ancora un rischio.
―
Non sono molto divertente questa sera, mi spiace.
―
Edward, tu non sei mai divertente. ― mi accigliai. Non era
assolutamente vero!
Io ero un tipo divertente, certo prima lo ero di più.
―
Sono un ragazzo molto spiritoso, io.
―
Oh certo, certo. ― rispose, scoppiandomi a ridere in faccia.
―
Visto? ― chiesi ― Ti ho fatta ridere. ― si avvicinò a me,
accarezzandomi il
viso. Afferrò la sigaretta e la buttò a terra,
spegnendo il mozzicone con un
piede. Mi accarezzò il colletto della giacca e si
alzò in punta, posando le sue
labbra sulle mie. Il bacio fu innocente, dolce, disperato. Quasi come
se avesse
bisogno di conferme, di qualcuno su cui poter contare. Risposi a quel
gesto,
posando le mani sui suoi fianchi. Ma a lei si sovrappose un altro
volto:
capelli scuri, occhi nocciola, un viso a cuore. Mi staccai, quasi come
se mi
fossi scottato. E ripensai a quegli anni. Ripensai a quel giorno di
Novembre di
molto tempo fa.
Ero
andato a Los Angeles, il mio aereo
era in ritardo. Le cose tra me e lei
non andavano più troppo bene. I nostri impegni ci rubavano
un sacco di tempo.
Spaventato da tutto ciò decisi di andare da lei e passare
insieme un week end,
senza distanza, senza distrazioni. La sentivo lontana, distante. Volevo
porre
fine a tutto quello. Avevo cercato perfino un college più
vicino a lei e lo
avevo trovato. Peccato che non servì più. Quando
arrivai nel luogo
dell’incontro – Hollenbeck Park – mi
sentii gelare il sangue, e non per il
freddo di quel periodo. Seduta su una panchina c’era la mia ragazza insieme a qualcun altro.
Erano seduti vicini, uno
accanto all’altra. Lui le stava accarezzando una guancia.
―
Vieni con me. ― disse lui, avvicinandosi a lei pericolosamente. La
quale
sorrise, ricambiando il gesto.
―
Sei un caro ragazzo, Jake. ― Jake, Jacob
Black. Quel nome mi rimbombò nelle orecchie. Da
quando quel cane era a Los
Angeles? E perché lei non me ne aveva parlato? Sapevo, fin
dai tempi in cui
abitavamo a Forks, che Jacob Black provava un forte interesse nei suoi
confronti. La cosa mi lasciò perplesso. Ma non volevo dare
nulla per scontato.
Magari era un caso, magari il destino mi metteva alla prova.
―
Quest’anno, qui con te, è stato il migliore della
mia vita. ― disse lui, ed
ogni traccia di speranza svanì, si sciolse come neve al sole.
―
Anche a me è piaciuto molto, Jake.
Non
volli più sentire niente. Facendo attenzione a non
disturbarli indietreggiai,
sperando che nessuno dei due mi vedesse. Non volevo fare sceneggiate,
ma se mi
avessero visto sicuramente avrei preso a pugni quella sua faccia da
ragazzino
immaturo. E lei… non me
lo aspettavo
proprio. Capii tutto, però. Tutte le volte che diceva di
stare in libreria fino
a tardi, le uscite a orari assurdi con i compagni di corso…
quanta fiducia
vana. Quanta fiducia andata persa. Un futuro che, probabilmente, vedevo
e sognavo
solo io, andato a rotoli. Tornai in aeroporti e presi il primo volo per
New York.
Decisi che se era così che stavano le cose, era meglio
finirla lì. Non volevo
diventare cattivo o scontroso nei suoi confronti, ma al momento avevo
solo
rabbia cieca. Ira latente, pulsante. Lei,
così piccola e indifesa, mi aveva distrutto il cuore.
Fu
in quell’occasione che conobbi Tanya. Era completamente
fatta, fuori
dall’aeroporto. Quando mi vide, senza una ragione precisa,
venne da me e mi
chiese aiuto. Mi raccontò la sua storia e cercai di
aiutarla. Per un po’ la
feci stare a casa mia. Era una casa grande per un persona sola, una
stanza non
mi avrebbe privato di chissà quale spazio.
L’aiutai a uscirne, anche se furono
settimane dure, mesi pesanti. Ma alla fine ce la facemmo, insieme. I
momenti
peggiori erano le notti. Turbolente, violente. Veloci corse in ospedale
perché
le venivano attacchi di panico o di epilessia.
―
Grazie mille, Edward. ― disse una
volta ― Grazie per questa notte, ne avevo
proprio bisogno. ― Aveva avuto una crisi
più forte delle altre, eravamo agli
inizi. Così decidi di accompagnarla in una clinica. La
mattina dopo venne a
prendere alcune cose che aveva lasciato da me, insieme
all’assistente sociale,
o come si chiamano in questi casi.
―
Quando vuoi, Tanya. ― risposi ― Per te ci sono sempre.
Ed
era vero. Era troppo fragile perché affrontasse la vita da
sola. Aveva bisogno
di qualcuno, ed io volevo darle una mano.
―
Mi dispiace… ― disse Tanya, risvegliandomi dai miei pensieri
― Non so perché ti
ho baciato.
―
Non fa nulla. È capitato.
―
Edward, io… ― la interruppi, sapevo cosa avrebbe detto. Ma
non potevo spezzarle
il cuore un’altra volta. Non se lo meritava.
―
Tanya, tu sei una ragazza stupenda. Ma non sono pronto per una
relazione.
―
C’entra lei, vero? ―
domandò, con una
nota di tristezza nella voce ― La ragazza dai capelli mossi e castani.
Quella
di cui hai la foto sul comodino.
―
Sì. ― risposi,
soltanto.
―
Se è destino la riavrai, Edward. ―
disse, cercando di sorridere ― E se questo non
accadrà, io sarò qui ad
aspettarti.
Mi
avvicinai a lei e l’abbracciai forte.
―
Ti voglio bene, Tanya.
―
Ti amo, Edward.
Le
posai un delicato bacio sulla fronte e mi avviai verso la macchina.
Sapevo che
Alice e gli altri l’avrebbero riaccompagnata a casa.
Arrivai
a casa mia alle tre di mattina. Non mi cambiai, salii direttamente in
camera.
Tolsi la giacca, buttandola sulla sedia, e mi stesi
sull’enorme letto. Troppo grande
per una persona sola. Se è destino
la
riavrai, aveva detto Tanya. Peccato che io ero proprio di
tutt’altro
parere. Credevo che se non fossimo insieme ora, qui e adesso, era
proprio a
causa del destino.
Ero
sdraiato supino, fissavo il soffitto completamente al buio. Cosa stava
facendo
adesso? Con chi era in quel preciso momento? Ancora con Jacob? O forse,
ora,
stava con qualcun altro. Un altro, che comunque non ero io.
Chiusi
gli occhi, provando a dormire. Ma fu tutto inutile. L’unica
immagine che riuscivo
a immaginare era la sua. Il suo
viso,
il suo corpo, le sue attenzioni per me, i suoi baci… mi
voltai su un fianco,
provando a pensare ad altro, ma fu tutto inutile.
Passai
la notte così, crogiolandomi nei ricordi. Quando il chiarore
dell’alba mi
sorprese mi misi a sedere, passandomi una mano tra i capelli. Afferrai
la sua
foto dal comodino, ancora incastonata in quella cornice
d’argento che comprai
diversi anni fa. Osservai la fotografia, accarezzando quel dolce viso
coi i
polpastrelli e sorrisi amaramente.
―
Buon anno, Isabella. ― dissi,
riponendo l’oggetto dove l’avevo preso.
Mi alzai, spalancando la
finestra e assaporai l’aria fredda che si infrangeva contro
il mio viso. Un
sorriso tirato comparì sul mio viso. Un nuovo anno era
iniziato, l’ennesimo.
Senza di lei.
Ecco la fine
della storia. Cosa dire? Queste cose, purtroppo, succedono. Entrambi si
amavano, entrambi erano insicuri,
entrambi hanno sbagliato a non cercare un confronto nell'altra persona.
Ha un nome tutto ciò? Sì, la non fiducia. Edward
va da Isabella, ma cosa trovo? Lei seduta con un ragazzo, il quale
moriva dietro Bella fin da quando erano adolescenti. Dal canto suo,
però, Bella non ha mai detto nulla a Edward. Probabilmente
perchè non riteneva che la cosa fosse importante da sapere, perciò non
cercate malizia perchè io non ve ne ho messa.
Isabella crede che Edward non si sia presentato all'appuntamento -
pensiero sbagliato
- così va a New York, ma trova il suo ragazzo con un'altra
donna. Trae conclusioni errate. Edward la vede con Jacob, pensa
così che lei lo stia tradendo - pensiero sbagliato - torna a
New York e incontra Tanya, la aiuta. La ragazza si infatua del giovane,
ma il suo cuore appartiene ancora alla giovane ragazza cresciuta a
Forks. Destino, fato, poca fiducia, fraintendimenti, lontananza, nuova
vita, arroganza di sapere senza chiedere... e molto altro. Questo porta
molto spesso a far finire anche la più grande delle storie
d'amore. Entrambi
sbagliano, entrambi perdono.
Entrambi - nonostante le loro vite vadano avanti - si cercano, si
amano. Ma entrambi sono troppo feriti
per cercare un contatto. Isabella sta con Jacob, Edward tra poco
diventerà pediatra... Due vite unite fino allo stremo che,
per colpa della fatalità, vengono divise. Ho voluto dare a Isabella la
parte di quella che rialza, perchè credo che nel fandom ci
siano moltissime storie dove Edward la lascia e lei, troppo distrutta
dal dolore, respinge tutto e tutti. Edward magari si
metterà con Tanya - che come avrete potuto vedere
è completamente diversa dalla classica Tanya che si trova in
moltissime ff - chi lo sa. Oppure troverà un'altra donna,
oppure ancora, troverà il coraggio di andare a parlare con
Isabella, per chiarire. E dopo chi lo sa... Come la vita che da tante
domande e mai una risposta, la mia piccola flash si conclude qui.
Lasciando a voi l'immaginazione del dopo. Mi è stato chiesto
di pensare ad un altro capitolo, un piccolo extra per dare ai due
protagonisti un lieto fine... Sinceramente non lo so. La storia era
stata pensata così come l'avete letta, perciò non
so se vi sarà il lieto fine, per adesso - sicuramente -
c'è solo questa
fine.
Spero di non avervi delusi, in caso contrario scusatemi tanto!
Un abbraccio :)
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