non aveva un cuore di ghiaccio. no, era più giusto dire che il suo cuore soggiornava al polo sud

di saraviktoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -prologo: lavoravo alla CIA per fare da babysitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé? ***
Capitolo 2: *** -capitolo 1: posso chiederle una cortesia?... non è che può mettersi una maglietta o una camicia? ***
Capitolo 3: *** -capitolo 2: ti è mai stato simpatico un uomo? sì, mio padre ***
Capitolo 4: *** -capitolo 4: ma lei sa guidare all'inglese?? ***
Capitolo 5: *** -capitolo 3: mani in alto! FERMA, SONO IO! ***
Capitolo 6: *** -capitolo 5: prova? ma stavano scherzando? già era difficile farmi truccare... ***
Capitolo 7: *** -capitolo 6: che belle guardie del corpo che ho... cosa c'è? ***
Capitolo 8: *** -capitolo 7:sa che non l'ho ancora vista sorridere? ***
Capitolo 9: *** -capitolo 8: lei non mi sopporta ma ha la mia canzone come suoneria?!? ***
Capitolo 10: *** -capitolo 9:cosa succede? niente. e allora perchè piange? affari miei ***
Capitolo 11: *** -capitolo 10:avevo raccontato l'episodio peggiore della mia vita a uno con cui avevo in comune solo la casa, e per caso ***
Capitolo 12: *** -capitolo 11: vale anche per lei,ma forse è meglio che non l'abbracci. non vorrei perdere un braccio o una gamba ***
Capitolo 13: *** -capitolo 12: ehi, donne, la finite di spettegolare, che ho fame? ***
Capitolo 14: *** -capitoli 13 e 14: Chantal, non minacciare le tue colleghe! & ma lei non doveva essere in Australia?!? ***
Capitolo 15: *** -capitoli 15 e 16: quale storia mamma?che esci con un ragazzo. non credo di aver capito male&sembravamo noi le turiste, lui quello che faceva da guida ***
Capitolo 16: *** -capitolo 17: e fu una decisione irrazionale, di quelle che anche dopo tanto tempo non ti sai spiegare ***
Capitolo 17: *** -capitolo 18: UN MOMENTO! ***
Capitolo 18: *** -capitolo 19: non urlare! ho mal di testa! ***
Capitolo 19: *** capitoli 19b/20: lo vedi che non ascolti?&ti sembra normale, cara, che voglia andare a lavorare quando oggi pomeriggio deve andare in aula?sono affari miei, non della commercialista. vado dove voglio ***
Capitolo 20: *** capitolo 21: non ero una di quelle persone che decidono di passare la vita in laboratorio. l'avrei anche fatto, ma solo per un breve periodo di tempo, e solo se ne fossi stata costretta ***
Capitolo 21: *** capitolo 22: è un'inchiesta militare! non siamo l'NCIS! ***
Capitolo 22: *** capitolo 23-ma quando se ne tornava in Inghilterra? ***
Capitolo 23: *** capitolo 24: silenzio! e non dire a nessuno che compio gli anni o te la faccio pagare ***
Capitolo 24: *** capitolo 25: SEI STATO TU!?!? ***
Capitolo 25: *** capitolo 26: BB, ma chi si credeva di essere, Brigitte Bardot? ***
Capitolo 26: *** capitolo 27: deglutii. era una portaerei ***
Capitolo 27: *** capitoli 28&29: non ci sono donne a bordo? no, signora & destinazione Londra, signora ***
Capitolo 28: *** capitoli 30&31: l'ho sentita parecchie volte in televisione. era vero quello che dicevano di lei?&ma cazzo, Barnes, ci segui. potrei farti la stessa domanda. io sto lavorando ***
Capitolo 29: *** -capitolo 32: e perchè oggi non hai mangiato? e perchè non ti fai un po' gli affari tuoi? ***
Capitolo 30: *** -capitolo 33: hanno ucciso Cole. no, non sto parlando con lei... sì, gliela passo ***
Capitolo 31: *** capitolo 34-mademoiselle Chantal.... o dovrei dire... come ti ha chiamata? ***
Capitolo 32: *** -capitolo 35&36: cretino, era una battuta. non puoi fare niente, nessuno può fare niente&posso dirti che stai bene? posso dirti di andare aff..? ***
Capitolo 33: *** capitoli 37/38 &39 ***
Capitolo 34: *** -capitollo 40: fammi dimenticare chi sono ***
Capitolo 35: *** capitoli 41&42 ***
Capitolo 36: *** -capitolo 43: mi dispiace. dispiace più a me. ne sei sicura? ***



Capitolo 1
*** -prologo: lavoravo alla CIA per fare da babysitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé? ***


Fanfic su attori--> Ben Barnes

Genere: Azione, Introspettivo, Erotico (Romantico, ma mooolto in fondo. Almeno nella prima parte)

Autrice: SaraViktoria

Avvertimenti: Lime, Lemon, linguaggio, het

Rating: decisamente ROSSO

 

Introduzione:

Dal prologo:

"oddio, chi lo vorrebbe morto?"

"tanto per fare un esempio? Io " certe volte era proprio una bambina. Stava a me riportarla con i piedi per terra. Ma al nostro capo non piaceva molto il mio modo di fare. Era lì, seduto dietro la scrivania, che ci guardava beccarci come due galline. È che proprio non la sopportavo. Ma dico io, con tutta la gente che lavora qui, proprio lei dovevo beccarmi? E, come se non bastasse, adesso anche questo. Avevo ventotto anni, avevo passato due anni a fare l'addestramento a Norfolk, diciotto mesi di servizio attivo a bordo della Enterprise, sei sulla Kitty Hawk, prima di diventare un agente di servizio ordinario della CIA. E ora mi sarebbe toccato fare da baby-sitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé?

 

 

 

-prologo: lavoravo alla CIA per fare da babysitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé?

"oddio, chi lo vorrebbe morto?"

"tanto per fare un esempio? Io " certe volte era proprio una bambina. Stava a me riportarla con i piedi per terra. Ma al nostro capo non piaceva molto il mio modo di fare. Era lì, seduto dietro la scrivania, che ci guardava beccarci come due galline. È che proprio non la sopportavo. Ma dico io, con tutta la gente che lavora qui, proprio lei dovevo beccarmi? E, come se non bastasse, adesso anche questo. Avevo ventotto anni, avevo passato due anni a fare l'addestramento a Norfolk, diciotto mesi di servizio attivo a bordo della Enterprise, sei sulla Kitty Hawk, prima di diventare un agente di servizio ordinario della CIA. E ora mi sarebbe toccato fare da baby-sitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé?

"Chantal, Anne, basta, vi prego! " il mio nome significa 'luogo delle pietre' e, dato il mio pessimo carattere, credo che i miei genitori abbiano scelto il nome giusto. Il capo non ci sopporta già più. E dire che per una volta ci aveva convocato nel suo ufficio senza minacciare richiami disciplinari.

"ci scusi, signore" balbettò la mia collega, Anne Simmons. Era una donna superficiale ed essenzialmente stupida, tanto che ancora oggi mi riesce difficile capire come sia potuta diventare un agente della CIA.

"bene, se avete finito con i commenti infantili io andrei avanti" si fermò, in attesa di una risposta che non arrivò. Era meglio non parlare, se non volevo tornare su una portaerei. "bene, è bello vedere che quando volete sapete stare zitte. Ma tornando al vostro incarico: una fonte affidabile ci ha avvertito che quest'uomo" sullo schermo appeso alla parete apparve una foto "che è un attore" precisò il capo "potrebbe essere vittima di un attentato" era la seconda volta che ce lo diceva. Era il motivo per cui avevamo iniziato a litigare. Se diceva ancora 'oddio, chi lo vorrebbe morto?' gli avrei risposto male, ma davvero questa volta. Perché lo volevo morto? Non che mi avesse fatto qualcosa, non lo conoscevo nemmeno ma, uno era un attore, due per colpa sua avrei dovuto passare del tempo extra con la mia 'cara' collega, tre … beh, ce l'ho sempre avuta un po' con gli uomini e questo moretto non ne era certo immune.

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Capitolo 2
*** -capitolo 1: posso chiederle una cortesia?... non è che può mettersi una maglietta o una camicia? ***


ciao a tutti! scusate il ritardo, ma in questo periodo ho avuto un po' da fare... comunque, colgo l'occasione per ringraziare PattyOnTheRollercoaster per la recensione:
in effetti sì, l'idea che qualcuno possa attentare alla vita di Ben Barnes è decisamente ridicola, non so nemmeno io come mi è venuta fuori. però poi la storia procedeva bene e ho pensato di continuare lo stesso :-) quanto alle maiuscole all'inizio del discorso, beh, è stata una mia dimenticanza. c'è da dire che lo dimentico spesso, più che altro perchè scrivo di getto, quando mi viene l'ispirazione, e poi me ne dimentico.
spero che questo capitolo vi possa piacere. buona lettura,
baci
SaraViktoria


1-posso chiederle una cortesia?.... Non è che può mettersi una maglietta o una camicia?

La musica di Leanding me on invase la stanza. Merda, era il mio cellulare! Perché doveva mettersi a suonare nei momenti peggiori. Mi scusai e uscii dall'ufficio. Quella canzone era una delle mie preferite, l'avevo sentita per caso alla radio, anni prima. Non sapevo che la cantasse e non mi importava. Era una bella canzone. Punto.

"Pronto?"

"Chantal, mon amour, comment ça va? "

"Bien, maman.. " doveva chiamarmi proprio adesso? Erano mesi che non la sentivo, non poteva aspettare qualche altro minuto? Chiusi in fretta la chiamata e tornai dentro.

"Mi scusi, signore. Stava dicendo?"

"Dicevo che, anche se so che non vi piacerà, dovrete occuparvi di questo signore, cercando di tenerlo in vita. Illeso, possibilmente" ci guardò male, lo sguardo velato di minaccia.

"Certo, signore. Non si preoccupi" rispose la Simmons, prontamente.

"Invece io mi preoccupo. Ho deciso di affidare il caso a voi perché siete le migliori … e non montatevi la testa!" ci avvisò "e anche perché siete giovani. Speravo che avreste capito.. "

"Certo che capiamo!" esclamò Anne

"Non deve succedere niente a quel bel visino" commentai, sprezzante, indicando lo schermo

"Esatto, Rolland "

"Quindi noi andiamo … a Los Angeles … " ipotizzai. La maggior parte degli attori abitavano lì "e gli diciamo: 'ehi, sei in pericolo e noi dobbiamo proteggerti ' ???" mi suonava strano, assurdo, perfino impossibile. Non ci avrebbe creduto nemmeno sotto tortura. Era un attore, per loro è sempre tutto semplice.

"No, Chantal, non credo proprio" mi rispose il direttore, cercando di trattenere una risata. Allora sapeva ridere anche lui! "intanto abita a Londra e voi lo raggiungerete lì. Secondo, sa già di essere in pericolo e verrà informato del vostro arrivo" c'era qualcosa che non tornava

"Ma se è inglese, perché non ci pensano gli 007 a proteggerlo?" avevo ancora meno voglia di prima, non mi andava di andare nel Regno Unito per dover prendere ordini da uomini a cavallo con il berretto a scacchi.

"Perché l'informazione arriva dagli Stati Uniti. E sospettiamo che l'attentatore sia americano. Perciò abbiamo deciso di fornire a Londra tutto l'aiuto necessario" ci indicò "non dica altro, Rolland, so di cosa si preoccupa. Non dovrete prendere ordini da nessuno, risponderete solo a me, ma vedete di andare d'accordo, o vi mando a dirigere il traffico" chissà se lo poteva fare … dopotutto non eravamo della polizia. Ma in quegli anni avevo scoperto che la CIA aveva potere un po' su tutto, quindi meglio non rischiare.

Certo, non ci chiedeva una cosa facile. Non eravamo mai state insieme per più di dodici ore e, da quello che avevo capito, a Londra l'avrei dovuta sopportare ventiquattrore su ventiquattro. Non che io facessi qualcosa per farmi piacere a lei, questo mai. In fondo, e lo sapevo, era anche colpa mia. Non ero intenzionata a farci amicizia e lei era dello stesso avviso.

"Quando partiamo, signore?" Anne mi anticipò.

"Domani mattina. Vi lascio il pomeriggio libero per preparare i bagagli" sarebbe stato il primo permesso da quando lavoravo lì. Una vera rarità.

Tornai a casa, parcheggiando con una sgommata. Ero decisamente di pessimo umore. Entrai in casa sbattendo la porta. Condividevo un appartamento con una commercialista che tutti i giorni si faceva un'ora di macchina per andare a lavorare a Holly Corner.  Abitavamo a Langley, pochi metri più in là della base della CIA. A me era andata bene.

"Oh, sei arrivata! Non ti avevo sentito" commentò sarcastica. Mi lasciai cadere sul divano, di fronte a lei, china su un librone con le pagine divise in colonnine "problemi al lavoro?" ufficialmente io lavoravo ancora per la Marina e lei, Cathy, si era abituata a non fare troppe domande

"Sì … a proposito, domani devo partire per l'Europa, non so quando torno"

"Oh, come mai?" come non detto, la sua curiosità aveva avuto la meglio

"Lavoro" mi limitai a rispondere "anzi, è meglio che inizi a fare le valigie" passai il pomeriggio chiusa in camera mia, a decidere cosa mettere nel mio trolley nero. Dalle dritte che mi aveva dato la segretaria del direttore,  toccava a noi inventarci una scusa per tutto il tempo che avremmo passato con l'attore. Ci avevo pensato un po' e mi ero fatta venire qualche idea, sperando che bastasse. Amiche in visita dall'America, no, troppo improbabile. Guardie del corpo, no, non due ragazzine. Assistenti.. Niente male, ma Anne avrebbe trovato qualcosa che non andava. Alla fine optai per portare un po' di tutto. Non sapevo quanto sarei stata via e, da quello che dicevano i telegiornali, in Inghilterra si passava da dieci gradi d'estate all'afa che non ti faceva respirare. Era inverno, una stagione che adoravo. Avevo nome e cognome francese, in casa parlavamo solo la lingua di Napoleone, ma non ero francese. Ero nata e cresciuta in Canada, a Mirabel, in Quebec . Come potevo odiare l'inverno e il freddo?

Alle otto di sera chiusi definitivamente la valigia, dopo essermi lavata i denti e aver messo via anche spazzolino e dentifricio. Mi tornava sempre in mente mia mamma: lava i denti dopo tutti i pasti, o quei tuoi bei dentini diventeranno neri.

Mi buttai sul letto, cercando di dormire, mi aspettava una lunga giornata. Sapevo che tra noi e Londra c'erano otto o nove ore, senza contare il fuso orario. Londra contava ben cinque ore in più della Virginia!  Sarei impazzita, i primi giorni. Ricordo ancora quando viaggiavo sulla Enterprise, che viaggiava fino al Mediterraneo: mi capitava di svegliarmi in piena notte, con una fame pazzesca, o crollare addormentata alle sei del pomeriggio. Terribile! Speravo che questa volta sarebbe andata meglio.

Il mattino dopo, di buon ora, salimmo sul jet della CIA, che sarebbe atterrato all'Heathrow Airport di Londra molte ore più tardi. Viaggiavamo insieme a tre agenti che avrebbero proseguito il viaggio fino all'Italia, per collaborare con i servizi segreti del paese della pizza. Erano molto più grandi di noi, e in un certo senso rassegnati al loro lavoro, passarono il viaggio a giocare a carte.

"Ehi, Rolland"

"Stavo dormendo, Simmons "  solo nei miei pensieri la chiamavo per nome "cosa vuoi?"

"Pensavo, sai.. Si accorgeranno subito che siamo americane?"

"Ma no, signorina! " imitai malamente l'accento inglese che, sul mio, naturalizzato americano, faceva davvero pena "e, comunque non siamo sotto copertura, o avrebbero mandato un inglese" le feci notare.

"Già … senti, hai già pensato a cosa possiamo dire?"

"Tante cose, una meno probabile dell'altra. La più plausibile penso sia dire che siamo le sue agenti o qualcosa del genere"

"Che bello, Rolland, ma ci pensi? Ho visto tutti i suoi film e ora lo incontrerò in carne ed ossa!" fece la faccia sognante che propinava a qualunque foto di un bell'attore. Perché l'uomo che andavamo a proteggere era proprio carino, niente da dire. Che per me potesse morire per mano di una bomba era un altro conto.

"Facciamo che non se le rompa, le sue care ossa" mormorai "ora, se non ti dispiace, stavo cercando di dormire" da quel momento stette zitta. Oppure continuò a parlare ma io presi sonno e non la sentii. Uno degli agenti che gioca a carte mi svegliò quando il pilota annunciò l'imminente atterraggio. Fosse stata Anne l'avrei insultata. Invece ringraziai e mi allacciai la cintura. Con uno scossone l'aereo si fermò nel reparto militare dell'aeroporto di Londra. Scendemmo e una scorta di uomini della regina ci scortò fuori dall'aeroporto. La casa del nostro protetto era nel centro della città. O almeno, così ci disse l'uomo seduto vicino a noi in auto. Dovevo abituarmi anche alla guida a sinistra, pensai guardando l'autista.

"Buon lavoro, ragazze. E buona fortuna" augurò, lasciandoci in una strada secondaria, davanti a quella che doveva essere l'entrata sul retro della casa

"Dici che dobbiamo suonare?" chiese la Simmons. Che domanda stupida! Come aveva fatto a laurearsi?

"No, guarda adesso entriamo con le armi in pugno e gli mettiamo le manette!" rise

"Io da lui le manette me le farei mettere" commentò, annuendo convinta "chissà se gli piaccio" Dio, sembrava un'adolescente.

"Beh, se osa dire qualcosa su di me le manette gliele metto sul serio"

"Chi è che mi vuole ammanettare?" disse qualcuno alle nostre spalle. Mi girai di scatto: l'uomo  che avevo visto sullo schermo del direttore stava davanti a noi, con addosso solo un paio di pantaloncini neri. Ma non ce l'aveva un maglietta? Anne sembrava sul punto di svenire. Scossi la testa

"Piacere, siamo le agenti che si occuperanno della sua protezione. Io mi chiamo Chantal Rolland e questa è Anne Simmons. CIA, dovrebbero averla avvisata del nostro arrivo" presi il distintivo e glielo misi a cinque centimetri dalla faccia, dato che la mia collega sembrava in coma.

"Oh, certo … non pensavo che sarebbero arrivate due ragazze" era pure maschilista? Iniziamo bene "prego, entrate. Io sono … "

"Benjamin Barnes. Lo sappiamo" lo anticipai, pratica. Detestavo l'accento inglese. Meno parlava, meglio era. Sorrise e si spostò dalla porta.

"La chiuda"

"Cosa?"

"Chiuda la porta. A cosa le servono due agenti di scorta se poi lascia aperta la porta sul retro?"

"Ha ragione, mi scusi. Venite, vi faccio vedere la casa" lì si stava decisamente più al caldo che fuori. Tolsi il cappotto scoprendo quello che avevo deciso di indossare per il viaggio: un dolcevita nero e jeans pesanti bianchi.

"Potrei chiederle una cortesia?" chiesi, dato che Anne non si muoveva dalla porta, ora chiusa

"Ma certo, qualunque cosa"

"Bene. Non è che si potrebbe mettere una maglietta o una camicia? Vorrei evitare che la mia collega svenga. Mi serve lucida, o sarei venuta da sola" prese una maglietta da una sedia lì vicino e se la mise, ridendo. La Simmons sembrò riprendersi, ma neanche più di tanto. l'espressione era meno vacua, ma lo guardava ancora con occhi sognanti. Sapevo che non avrebbe smesso facilmente

"Ho preparato una  camera per voi. E questo è il bagno. Io userò quello del pian terreno, se per voi è un problema" ci fece vedere una cameretta con le pareti bianche e due letti gemelli vicino al balcone. Un armadio in fondo completava l'arredamento

"Nessun problema. È casa sua, faccia come crede" risposi, guardandomi in giro

"Questa è camera mia e di sopra c'è la soffitta" tornammo al piano di sotto. Ma perché non farcelo vedere prima? Certo che gli inglesi erano proprio strani …

"Cucina, salotto e un altro bagno. Non sono il massimo in cucina, ma se sono sopravvissuto fino adesso … "

"Può cucinare Rolland" intervenne Anne. Sembrava aver ripreso l'uso della parola "è brava"

"Ben tornata tra noi" mormorai, in modo che sentisse solo lei

"Datemi pure le valige. Le porto su"
"Ce la possiamo fare anche da sole" e che è, ci serve aiuto per portare due trolley su una rampa di scale? Anne non sembrava dello stesso avviso "Simmons, andiamo a sistemarci?" la invitai, dandole una piccola spinta.

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Capitolo 3
*** -capitolo 2: ti è mai stato simpatico un uomo? sì, mio padre ***


ciao! ringrazio PattyOnTheROllercoaster per la recensione:
la penso come te, non mi piace 'obbligare' le persone a vedere le immagini. credo che basti mettere i collegamenti, se uno ha voglia, va a vederle. naturalmente gli autori che lo fanno avranno i loro motivi, nulla in contrario. sì, direi che Anne è decisamente oca, per non dire qualcosa di più. non so ancora se Chantal salverà la vita al bell'attore, magari più in là, magari in America.... non lo so ancora...
spero che ti piaccia anche questo capitolo,

buona lettura
baci,
SaraViktoria

 

2-ti è mai stato simpatico un uomo? Si, mio padre.

"Allora, avevo ragione o no? Non è bellissimo? E gentile, simpatico … "  stavo decidendo cosa mettere nell'armadio e cosa lasciare in valigia, mentre la mia collega faceva le sue considerazioni. Nonostante non ci potessimo sopportare, sapeva più cose di me della mia coinquilina. Forse perché si faceva sempre gli affari degli altri e mai i suoi

"Non ho mai  detto che sia brutto" precisai, con una smorfia "ma, non lo vedi? A me sta piuttosto antipatico. Mi sembra anche maschilista!"

"Ti è mai stato simpatico un uomo?" chiese, indagatrice. Era difficile farmi parlare di me. E lei non ci sarebbe riuscita

"Sì, mio padre" alzò gli occhi al cielo. Guardai l'orologio, per sistemare il mio. Era quasi mezzogiorno, a casa  erano passate da poco le sedici. Ma avevo fame, forse colpa del viaggio. E anche Anne, sentivo il suo stomaco

"Che dici Simmons, in questa casa ci sarà qualcosa di commestibile? Non riesco a lavorare a stomaco vuoto" scendemmo. l'attore era seduto sul divano, intento a leggere qualcosa. Qualcosa che non mi interessava. Ma a Anne si

"cosa legge?" gli chiese. Lui sembrò accorgersi solo in quel momento che eravamo lì. Ancora meglio.

"Il nostro comune amico.. "

"Dickens" completai. Era uno dei miei autori preferiti. "non ti piace, Simmons " le ricordai, prima che mentisse al moretto "senta … noi avremmo fame … no, lasci, preparo io. Vuole qualcosa?" controllò l'ora

"Perché no? Vediamo cosa propone la cucina americana"

"Veramente sono canadese … e pensavo a qualcosa di semplice, magari un panino" cercai una piastra con gli occhi. Probabilmente ero l'unica abitante dell'America che si rifiutava di utilizzare il microonde.

"Come vuole. La cucina è tutta sua." prese piatti e bicchieri per apparecchiare il tavolo della cucina. Anne lo seguì come un cagnolino. Ispezionai la cucina in cerca di tre panini, formaggio e dell'affettato. A differenza di tutte le persone normali, che tenevano prosciutto e fratelli  nella carta del salumiere o nelle bustine del supermercato, lui li divideva in alcune vaschette di vetro con il coperchio ermetico verde. Alzai la testa dal frigorifero per appoggiare le vaschette su un piano e … bum!sbattei la testa contro una mensola. E che cavolo! Quello era alto più di un metro e ottanta, a occhio e croce e io, che sfioravo il metro e settantacinque, finivo contro le sue mensole? Ma metterle più in alto no, è?

Imbottii i panini prima di scaldarli sulla piastra, avvolgerli in un tovagliolo e portarli in tavola.

Qualcosa da dire a favore dell'inglese? Mangiava bene. Perlomeno, masticava piano e non parlava a bocca aperta. Primo punto a suo favore. Insistette anche per sparecchiare e lavare lui i piatti.

"Grazie" mormorai, mio malgrado "Simmons, possiamo metterci al lavoro?" la risvegliai dai suoi pensieri, decisamente poco casti, che faceva fissando il fondoschiena dell'attore, intento a lavare i piatti a mano. Un altro punto a suo favore. Forse l'unico uomo che non usava la lavastoviglie.

" … cosa?!? Certo … " presi una scatoletta dalla borsa

"Lei ha l'allarme, vero?"

"Sì ,certo, signorina" bene, almeno quello. Iniziammo montando delle telecamere a tutte le entrate, compresa quella del garage. Poi potenziammo l'allarme che aveva  e controllammo il cortile e la cancellata. Accesi il portatile e apparvero le immagini delle quattro telecamere. Anche se mi sembrava decisamente esagerato, oltre che ridicolo. Ma io eseguivo gli ordini.

"Perfetto. Se c'è qualche movimento sospetto dovrebbe suonare. Proviamo, Simmons rimani qua a vedere". Uscii e provai ad aprire la porta sul retro. Si sentì il suono dell'allarme e quello del computer. Anne lo spense tempestivamente ed uscirono entrambi. Forse la mia collega non riusciva a stare da sola con l'inglese. Qualche vicino si affacciò alla finestra

"Stavamo facendo una prova" li rassicurò Barnes. Rientrammo

"Ci serve una copia di tutti i suoi appuntamenti, dato che dovremmo accompagnarla ovunque" cercavo di nascondere quanto mi dispiacesse.

"Si … ci dev'essere la mia agenda. Qui, da qualche parte." mise in disordine tutto il tavolino, ma alla fine ci passò un'agenda messa molto male. Copiai tutta la settimana sul mio palmare e lo stesso fece Simmons. Forse colpa del viaggio, forse delle troppe emozioni, ma Anne si sentì male nel pomeriggio. Andò a stendersi e non volle nemmeno mangiare, quella sera. Dopo cena, erano quasi le dieci, mi misi sul bancone della cucina, con portatile. Erano due settimane che non rispondevo alle mail di mia sorella, la mia sorella gemella Yvonne. Dovevo farmi perdonare. Sentii Barnes prendere posto su uno degli altri sgabelli. Mi dava fastidio che qualcuno mi fissasse, ma era casa sua , non potevo dirgli niente.

"Voi sapete già chi ce l'ha con me?" chiese a un certo punto. Sembrava quasi … spaventato.

"A parte me? " sdrammatizzai "no … o non saremo qui"

"In effetti ho notato una certa ostilità nei miei confronti. Le ho fatto qualcosa?"  chiusi il computer. Se aveva deciso di fare conversazione era educato che lo ascoltassi

"Lei no, ma io odio l'Inghilterra. È …  umida. Sarei rimasta volentieri in Virginia " io ero abbastanza sincera, anche perché sapevo ben eludere le domande a cui non volevo rispondere. Ed erano molte le domande che eludevo. Ma, per il resto, cercavo di essere sincera. Per quanto me lo permettesse il mio lavoro.

"Allora spero che prendiate presto questa persona che mi vuole morto, così potrete tornare a casa" gentile? Possibile?

"Lei sa perché qualcuno dovrebbe avercela con lei?" erano le domande di routine, mi stupii di non averglielo ancora chiesto

"Sa, me l'ha chiesto anche la polizia. Ma non ho trovato ancora una risposta. Io non mi sono mai accorto di aver fatto torto a qualcuno. E per quel poco che ho fatto al cinema … " ok ,era il momento di tirarlo su. Cercai di ricordarmi qualcosa di quello che mi aveva raccontato Anne su di lui

"Poco non direi, la mia collega ha uno scaffale pieno di suoi film" ne ero sicura, quello scaffale si trovava nel suo ufficio.

"Davvero? E lei ne ha mai visto uno?"

"No, ma credo che ci poteva arrivare da solo" risposi. Di certo si era accorto del mio poco interesse nei suoi confronti. Riaprii il computer e feci apparire la schermata delle telecamere "io andrei di sopra"

"Se deve fare la doccia usi il bagno di questo piano. Di sopra c'è la vasca" mi informò

"Grazie. Vado a prendere le mie cose" salii le scale e lo vidi tornare a vedere la televisione, il telegiornale della BBC. Non so cos'avrei dato per sentire la giornalista bionda dell'edizione serale del TG della CNN. Presi un asciugamano grande dalla valigia e i pantaloncini e la canotta che usavo per dormire, prima di riscendere le scale e entrare in bagno. Controllai un paio di volte che la porta fosse chiusa, poi mi spogliai e aprii l'acqua. Il getto caldo mi riscaldò, rilassò tutti i muscoli e mi sentii meglio. Ma perché, mi chiesi, con tutti gli attori che ci sono a questo mondo, dovevano minacciare proprio un inglese? Io odiavo gli inglesi, e avevo un motivo ben preciso. Uscii dal box e lo asciugai. Mi frizionai i capelli con un asciugamano, indossai quella specie di pigiama che mi ero portata dietro e tornai in cucina.

"Ce l'ha della tisana? O qualche bustina di camomilla?" chiesi. Ci mise un po' a rispondere, concentrato sulla televisione. Se era sempre così sbadato e perso nei suoi pensieri avremmo avuto un bel daffare.

"Sì, se non sono scadute … " si alzò e mi raggiunse. Sembrava che gli desse fastidio tenere addosso la maglietta per più di qualche ora. Mah … trovai una scatola di camomilla, quella per i bambini, e preparai due tazza

"La vuole anche lei?"

"No, grazie" mi fissava mentre facevo scaldare l'acqua. Ma che voleva? "sa che ha un fisico niente male?" gli presi un braccio, glielo girai dietro la schiena. Era una posizione che faceva decisamente male.

"Provi a fare solo un altro apprezzamento su di me e glielo rompo, questo bel braccino" minacciai. Fece una smorfia e strinse i denti

"Starò zitto, glielo giuro! Ma mi lasci" mollai la presa. Versai la polvere nelle tazze e buttai la carta

"Bene. Buona notte" lo lasciai che si massaggiava il braccio indolenzito. "ti ho preparato una camomilla, ti va?" misi una delle due tazze sul comodino. Anne aprì gli occhi. Erano ancora lucidi, ma sembrava si stesse riprendendo

"Grazie. 'notte. "

"Ci vediamo domani" finii la mia tazza e mi sdraiai.

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Capitolo 4
*** -capitolo 4: ma lei sa guidare all'inglese?? ***


4-ma lei sa guidare all'inglese?

Avevo lasciato il computer accanto al letto di Anne e avremo inserito l'allarme non appena usciti. Scese dal piano superiore, squadrandomi. Era vestito meglio del giorno precedente, ma nulla di che. E dire che nelle foto sembravano dei re dello stile. Ma perlomeno aveva addosso una maglietta.

"pronta? Possiamo andare?" chiese. Volevo fargli notare che ero pronta molto prima di lui, ma lasciai stare.

"tecnicamente dovrei guidare io" gli feci notare

"oh, si, me l'avevano detto. Ma lei sa guidare all'inglese?" e che è, uno stile?

"so guidare, dovrebbe bastare" rise

"intendevo se non le crea problemi dover tenere la sinistra"

"mi abituerò in fretta"

In fondo non era difficile guidare ' all'inglese', se ti ricordavi di stare a sinistra dopo ogni curva. Cosa che dimenticai spesso, nei primi tempi

"no, dall'altra parte!" urlava ogni tanto il moretto. Arrivammo a Painshill Park, Cobham , Surrey illesi.

Sia noi che la macchina.

"gliel'avevo detto che non c'erano problemi" commentai, chiudendo l'auto con il telecomando.

"certo. Non è che al ritorno posso guidare io?"

"credo proprio di no. Prego" lo seguii all'interno di un parco magnifico, con un grande lago al centro. Ci vennero in contro un uomo e una ragazza.

"agente, le posso presentare i miei colleghi?" l'uomo tese la mano

"Colin Firth, piacere " gliela strinsi

"Chantal Rolland "

"io sono Rebecca. Rebecca Hall "

"Chantal, piacere di conoscerla " più avanti dovetti stringere le mani ad altra gente. Ma stranamente nessuno mi chiese cosa ci facessi lì, né perché stavo attaccata, malvolentieri, a Barnes. Qualcosa mi disse che l'attore ci aveva preceduto. Dovetti anche ammettere che l'accento dell'attore non era niente in confronto a quello dei colleghi. Paragonato agli altri, la sua parlata sembrava quasi californiana. Nel male, mi era andata bene.

"che fa, viene a pranzo con me?"

"ho forse scelta?" prendemmo due pezzi di pizza ad un chiosco del parco, sedendoci sull'erba. Faceva freddo, il tempo era umido, il cielo grigio, come se dovesse piovere da un momento all'altro. Che schifo di tempo. O piove o è sereno, questa via di mezzo era esasperante.

"posso sapere cosa ha detto hai suoi colleghi per giustificare il nostro arrivo?"

"in realtà non molto … lavoriamo insieme, perciò sapevano che ero stato minacciato … ognuno si è trovato la sua spiegazione"

"da quanto vanno avanti le riprese?" in realtà non me ne fregava niente, ma mi sembrava scortese mangiare uno di fronte all'altro senza far conversazione

"nemmeno una settimana. Il primo giorno mi hanno fatto girare la scena di nudo. Ma ci pensa? Spogliarsi davanti a venti persone che non conoscevo nemmeno!" meno male che siamo arrivate ora, pensai. Anne sarebbe svenuta davanti a una visione del genere. Che poi, cosa ci trovava di tanto attraente? Non era né muscoloso né magro - né stile modello per intenderci-, e con quei capelli … Dio, sarebbe passato per un barbone, sembrava avesse un mocio in testa!

Li osservai girare per tutto il pomeriggio. Avevo letto il ritratto di Dorian Gray qualche anno prima, trovandolo nella libreria dell'accademia. Mi era piaciuto parecchio, nulla da ridire. Ma non vedevo Barnes come Dorian, dato che per Wilde era un ragazzo biondo e riccioluto. Esattamente il contrario. Mah …

"ehi!ehm … agente?" scossi la testa. Mi ero incantata. In quel parco si stava veramente bene, si sentivano gli uccelli cinguettare, l'acqua che scorreva. Era facile escludere i rumori delle riprese.

"oh, avete finito?"  chiesi, riprendendomi. Lo guardai, cosa mi aveva chiamato a fare ? Era ancora vestito da Dorian. Mica poteva andare in giro così, o non sarei stata l'unica a considerarlo pazzo.

"in  realtà avremmo dovuto finire, ma il direttore della fotografia insiste per fare un set stasera. Per lei non è un problema, vero?"
"anche se fosse ? Sono qui per proteggere lei, ovunque debba andare." detto questo andò a cambiarsi. Il ritorno a casa fu più piacevole dell'andata: mi stavo abitando alla guida a sinistra. La Simmons si era data da fare. Ora si sentiva meglio

"allora, come va?" chiesi, anticipando l'inglese. Volevo una risposta, non far collassare la mia collega.

"bene. Davvero, Rolland " le credetti  , aveva un aspetto più sano di quella mattina.

"perfetto. Allora stasera accompagniamo Mr Barnes a un servizio fotografico"

"davvero?" impallidì

"no, per finta" ironizzai. Secondo lei stavo scherzando? Fece un respiro profondo. Non credo che le piacesse farsi vedere che dava in escandescenze dall'oggetto delle sue fantasie proibite.

"cosa vi posso preparare per cena?" si intromise il moretto. Doveva aver fame.

"dopo la grande impresa di stamattina suggerirei di lasciar fare a noi" ricordai, prendendolo in giro. Ci lasciò libera la cucina, sedendosi in soggiorno

"che grande impresa?" chiese Anne, non appena fummo sole

"credo volesse preparare dei pancake, o dei muffin … ma ha sparso farina, acqua e zucchero per tutta la cucina. Sembrava un campo di guerra" rise. Era divertente? Forse per lei si. Preparammo delle semplici bistecche impanate, dato che in casa non c'era altro.

"quando ha intenzione di fare la spesa?" gli chiesi, mentre cenavamo. In verità, Anne si era proposta per fargli lei quella domanda -neanche fosse una proposta di matrimonio- ma ogni volta che apriva bocca e lui la guardava, arrossiva e tornava a mangiare. Alla fine avevo deciso di aiutarla.

"non lo so … " si fermò a pensare, la forchetta a mezz'aria "anche domani, se per voi va bene" e che, ci deve chiedere il permesso? Il contrario, semmai. Dopo cena Anne riuscì a farci sedere tutti sul divano. Qualcuno accese la televisione, Barnes prese il suo copione, passandomi il libro che leggeva il giorno prima.

"sono sicuro che le piacerà"

"ne sono sicura anch'io" muoveva le labbra mentre leggeva, la mano accompagnava ogni frase. Ma doveva recitare anche seduto sul divano?

"la religione? Un sostituto della fede. l'arte? Un'ossessione. l'amore?... "

"un'illusione" completai.

"interessante. Ci crede davvero?"

"lei?" non avevo risposto, Anne lo sapeva bene. Lui forse no

"non ha risposto alla mia domanda"

"lo so. È ora di andare" indicai l'orologio

"non me ne dimenticherò facilmente" mormorò, mettendosi il cappotto

"e allora spero che sarà in grado di accettare la delusione. Simmons, vuoi guidare tu?"

"meglio di no, non voglio fare incidenti"

"oh, se la sua collega è riuscita a portarmi al set illeso, ce la possono fare tutti" mi stava prendendo in giro lui, adesso. Forse voleva che reagissi. Ma così non fu.

Il cosiddetto 'set', dove facevano le foto, era un capannone spoglio e arredato da un cavalletto e un pannello bianco con un paio di luci intorno. La parte più caotica, la migliore, secondo la mia collega, era dietro, dove c'erano i vestiti per i 'modelli', donne per trucco e parrucco. Gli uomini si truccano? Mi sapeva tanto di.. Beh, meglio lasciar stare. Ci trovarono  due sedie,vicino a dove si sarebbe messo il fotografo. Finalmente, dopo venti minuti di preparativi, uscì Barnes e, incredibile, era vestito come quella mattina. Fare tutto insieme no, è? 

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Capitolo 5
*** -capitolo 3: mani in alto! FERMA, SONO IO! ***


3-Mani in alto! FERMA, SONO IO!

Merda! Erano le due, ancora non ero riuscita ad addormentarmi. Eppure ero stanca. Anzi no, di più. E dovevo dormire se il giorno dopo non volevo sembrare uno zombie. Passai l'ora successiva a rigirarmi nel letto, prima di decidere di alzarmi. Andai di sotto e riportai in cucina le due tazza. Controllai le immagini sulle telecamere. Niente. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso. Mi rannicchiai sul divano, cercando di non pensare a niente. Perché, anni prima, mi veniva più facile dormire? Perché, una volta, mi addormentavo non appena toccavo il letto? Forse perché ero più giovane, avevo meno problemi. Perché sapevo cosa mi aspettava il giorno dopo. Ora non lo so più. Prima di salire sulla Enterprise ero una ragazzina fresca di accademia, che ancora aspettava il principe azzurro. Avevo un pessimo carattere, ma non era sempre stato così. Una volta ridevo se mi facevano un complimento, non minacciavo il ragazzo in questione di amputargli un braccio nel modo più doloroso possibile. Se non avessi passato un anno e mezzo sulla portaerei più lunga del mondo, forse non sarei diventata così acida. Ma non si può mai sapere, il passato è passato, non si può sapere cosa sarebbe accaduto se … è andata così e non possiamo farci niente, se non andare avanti … ma perché ci sto pensando adesso? Erano anni che riuscivo a tenere l'Enterprise fuori dai miei pensieri, cosa mi era saltato in mente? Erano i ricordi peggiori della mia vita, pensieri che andavano rimossi.

Mi vidi davanti un uomo, nascosto dal buio, con in mano qualcosa. Strano, le telecamere non avevano suonato. Si aggirava per il soggiorno. Caricai la pistola che mi portavo sempre dietro e gliela puntai addosso.

"mani in alto!"

"ehi, ferma! Sono io!" raggiunse la luce di una delle finestre. Era Barnes. E allora perché aveva una mazza da baseball in mano? "ho sentito un rumore..." provò a giustificarsi. Lo fulminai con lo sguardo, mi aveva fatto prendere un colpo

"non riuscivo a dormire. Non pensavo di averla svegliata"

"faccio fatica a dormire, in questo periodo. E mi preoccupo per ogni rumore, per lieve che sia"

"la capisco" era vero "adesso però è meglio che torni a letto. Se non sbaglio, domani la sua agenda è piena" salii le scale con lui e, mio malgrado, tornai a dormire. Non ricordo a che ora mi addormentai, ma credevo di dormire da qualche minuto quando sentii la sveglia.

"Simmons come stai?" in un certo senso mi preoccupavo per lei. Dopotutto, sarebbe potuto succedere anche a me. Non ero cattiva, non lo ero mai stata. Solo scontrosa come un orso bruno, antipatica, acida e sarcastica. Provò ad alzarsi, con fatica

"meglio, grazie. " si mise in piedi, ricadendo con un tonfo sul materasso.

"meglio?" ripetei, sarcastica

"si, un caffè e vedrai che mi sentirò meglio"

"non credo proprio " commentai. Era pallida, più pallida di me - l'albina, come mi chiamavano da piccola- e aveva un'espressione che non mi piaceva. Tra l'altro, non me la sarei portata in giro tutto il giorno se non si reggeva in piedi.

"ma si,Rolland, ce la faccio"

"no che non ce la fai" mormorò qualcosa cercando di convincermi. Ma io avevo ancora il jolly da giocare.

"devo ricordarti chi ha il comando dell'operazione?" sorrise "bene. Perciò tu oggi rimani a casa"

"comandi" si girò dall'altra parte, abbattuta. Domani di sarebbe sicuramente sentita meglio. Scesi in cucina. c'era un casino tale che quella non poteva più essere definita cucina. Scatole, carta e tovaglioli ovunque e un odore penetrante di bruciato.

"ma cosa sta facendo?" chiesi, storcendo il naso di fronte alla colonna di fumo che usciva dal forno. l'inglese si girò. Aveva indosso un grembiule blu con scritto: 'qui il cuoco sono io', cosa tutta da vedere, in mano una forchetta e un cucchiaio. Sembrava l'attore di uno di quei film comici dove i protagonisti ne combinano di tutti i colori per fare una cosa semplicissima. "cosa fa?" ripetei, vedendo che non rispondeva

"volevo prepararvi la colazione. Come sta la sua collega?"

"non molto bene, purtroppo. Meglio che rimanga a letto per oggi. Ma lei fa questo casino tutte le mattine?" mi avvicinai a quel campo di sterminio e vidi anche farina, latte e quello che poteva essere sia zucchero che sale, sparpagliati in giro.

"no, certo che no. Ma ho letto che voi americani fate la colazione all'inglese con qualcosa di dolce in aggiunta. Tipo muffin o pancake, ma, come le ho detto ieri, non sono il massimo in cucina …  "

"la ringrazio per l'impegno" mormorai valutando i danni "ma non ha pensato che, come  per voi inglesi, un caffè e una fetta di pane burro e marmellata potesse andare bene? Dubito che lei si metta a fare uova e bacon tutte le mattine"

"si … volevo … " lasciò la frase in sospeso, iniziando a pulire. Gli diedi una mano, non potevo starmene lì con le mani in mano e guardarlo lavorare. Quando finalmente la cucina fu diventata un luogo degno di tale nome, controllai l'orologio

"temo non ci sia tempo per fare colazione. Farebbe meglio ad andare a vestirsi" mossi una mano verso di lui. Era sporco di farina,  uova e si era pure bagnato. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. Sembrava un ebete. Tornai in camera, cercando qualcosa da mettere. Doveva essere qualcosa di comodo, ma elegante. Non troppo vistoso, perché a me piacevano le cose semplici. Alla fine optai per un  tailleur con pantaloni e giacca nera. Camicia bianca e stivali al ginocchio. Raccolsi i capelli in uno chignon , cercando di non far sfuggire nemmeno un riccio. I miei capelli erano impossibili, ma non me ne ero mai preoccupata, li avevo sempre tenuti raccolti. Problema risolto. Presi la borsa, una tracolla rigida nera, e lo aspettai davanti alla porta d'ingresso. 

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Capitolo 6
*** -capitolo 5: prova? ma stavano scherzando? già era difficile farmi truccare... ***


5-prova? Ma stavano scherzando? Già era difficile farmi truccare …

Si mise in posa davanti all'obbiettivo, e il fotografo, un uomo sulla cinquantina con un cappello schiacciato in testa circondato di assistenti, iniziò a scattare. Ogni tanto gli dava qualche dritta, tipo 'guarda di là', 'sorridi', 'ecco, così', 'stai attento ' …

"scusate, siete voi le agenti di Ben Barnes?" ci chiese una donna molto attraente, con una specie di grembiule addosso.

"veramente saremmo le guardie del corpo. Comunque si" rispose Anne, anticipandomi.

"perché?" aggiunsi. La donna sorrise, sembrava gentile.

"beh, perché domani il signor Barnes dovrà presenziare a una sorta di festa" aveva un accento strano, quasi scolastico. Mi chiesi se fosse inglese. "e, da quello che ci hanno detto, voi siete sempre con lui" purtroppo si. Ma la lasciai parlare.
"quindi?" la incitai, quando si fermò. Ci mise un po' a rispondere, forse ci stava pensando

"quindi ci sarete anche voi e il regista mi ha chiesto di prepararvi. Sono Sabrina" ah, ecco! Doveva essere italiana o svizzera.

"Anne Simmons "

"Chantal Rolland, piacere"

"piacere mio, ragazze. Domani sarete nelle mie mani, mentre il signor Barnes si prepara" non mi andava molto a genio l'idea, ma certo non potevo dirle di no. Ci ripensai il giorno dopo, quando alle dieci del mattino, ci chiamarono per la prova trucco e acconciatura. Prova? Ma stavano scherzando? Era già difficile farmi truccare, figuriamoci solo per una prova

"e se ci andassi solo tu, Simmons?" le proposi "a te queste cose piacciono" indicai quella stanza. c'erano una decina di sedie, con davanti un'enorme specchio con tanto d'illuminazione, e intorno due o tre persone ciascuno.

"sverrei. Come minimo." mormorò, spaventata "non ce la farei a passare tutto quel tempo da sola, con lui" fece di nuovo quell'aria sognante che avevo imparato ad associare all'inglese.

"non sarai sola. È una festa, ci saranno centinaia di persone" le feci notare. Non si riprese.

"mi sentirei male un'altra volta" annuì decisa, come se ne andasse della sua vita. "e poi hai sempre detto che non ti fidi molto dei miei rapporti, che il mio spirito d'osservazione lascia troppo a desiderare … "

"va bene" cedetti "ma vengo solo perché ne va della mia carriera. Andiamo a fare questa prova"

Mi beccai una sgridata -immeritata, a parer mio- dalla parrucchiera. Si lamentava dei miei capelli, le feci notare che bastava raccoglierli.

"quindi per lei se c'è qualcosa che non va, la nascondiamo ed è tutto a posto?"

"esatto" risposi, felice che avesse capito così in fretta.

"ma mica si fa così … " partì in un discorso quasi patriottico sull'amore per se stessi e il proprio corpo, su quanto fosse importante affrontare le cose invece di scappare

"Santo Cielo, sono solo dei capelli!" esclamai esasperata a un certo punto. Ma lei non mi diede ascolto e li aggredì con una spazzola. Tornai a casa con un mal di testa allucinante.

"ma lei come fa?" chiese al moretto, intento a ripassare il copione come sempre.

"a fare cosa?" chiese, ingenuo

"a farsi maltrattare da quei colonnelli del trucco?"

"oh, sono simpatiche"lo guardai male. Rise. Ero tanto buffa? "davvero, non sono male. Ho provato anche ad uscirci con qualcuna … "

"non intendevo questo"

"so cosa intendeva" cambiò pagina "ma stavo cercando di farla ingelosire" feci una smorfia, alzando gli occhi al cielo.

"credo sia una battaglia persa in partenza" non disse niente, lasciando cadere il discorso. Gliene fui grata. Dopo qualche minuto gli ricordai che, mio malgrado, dovevamo tornare nel capannone del set fotografico. Anne era al settimo cielo. Perlomeno, quello era uno dei suoi sogni. Vestirsi come le star della televisione, arrivare a una festa con un attore famoso, magari finire sui giornali. Il suo sogno, non di certo il mio

"non c'è qualcosa di un po' più … naturale?" chiesi alla truccatrice, che aveva in mano un ombretto un po' troppo scuro

"con l'abito che ha scelto sta bene questo" rispose telegrafica, respingendomi sulla sedia

"io non ho scelto niente!" mi lamentai debolmente. A quanto pare qualcuno aveva scelto per me. Sabrina mi mise davanti un abito da sera, lungo, blu. Era bello, ma non lo sarebbe stato su di me. Io, l'agente della CIA con la grazia di un elefante

"devo proprio?" chiesi, più a me stessa che a lei, che però si sentì in dovere di rispondermi.

"forse è un po' troppo femminile per i tuoi gusti, ma pensavo ti sarebbe stato bene"

"beh" cercai un lato positivo in quella catastrofe annunciata "è un vestito lungo. Sotto potrei mettere le mie scarpe da tennis, non se ne accorgerebbe nessuno"

"see … ti piacerebbe! Ho preparato anche le scarpe.  " mi mise in mano un paio di decolté dello stesso colore del vestito .

"bene, se cado e mi faccio male mi avrai sulla coscienza. Non ho mai messo una cosa del genere"

"c'è sempre una prima volta, Rolland " le fece eco Anne. Si era già vestita e sprizzava felicità da tutti i pori.  Aveva un abito  color rosa pallido che andava a nozze, o almeno così diceva lei, io non me ne intendevo, con la sua carnagione abbronzata e i capelli castani. Io avevo i capelli neri e gli occhi verde smeraldo, la carnagione chiara che, a quanto pare, stava bene con il vestito che mi sarebbe toccato indossare

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Capitolo 7
*** -capitolo 6: che belle guardie del corpo che ho... cosa c'è? ***


un grazie speciale a _catia_ per la recensione, e anche a tutti quelli che leggono
buona lettura
baci
SaraViktoria

6-che belle guardie del corpo che ho!... Cosa c'è?

"oh, sei splendida!" commentò Anne, non appena mi vide

"prima e ultima volta" mormorai, facendo una promessa che speravo di poter mantenere

"non credo. Ci saranno altre occasioni per vestirci eleganti" guardò in alto, sognante. Cavallo, carrozza e principe azzurro. Come se esistessero davvero! Dorian Gray diceva che l'amore era solo un'illusione, l'arte un'ossessione. E per me aveva ragione. Lo avevo provato sulla mia pelle.

"che belle guardie del corpo che ho!" esclamò Barnes, vedendoci. Lo fulminai con lo sguardo

"cosa avevo detto?" gli ricordai "che se avesse provato a fare anche solo un altro apprezzamento su di me … "

"va bene, sto zitto " alzò le mani in segno di resa.

"che apprezzamento ha fatto su di te, per farti arrabbiare tanto?" mi sussurrò in un orecchio la mia collega, poco dopo

"ha detto che ho un fisico niente male" ricordai, con rabbia.

"e tu ti sei arrabbiata? Magari l'avesse detto a me!" sospirò, forse immaginando la scena. Alzai gli occhi al cielo. Era una cosa che facevo spesso.

"bene, ragazze. Siete perfette, se mi permettete" commentò Sabrina. Da lei accettavo un complimento, non era un uomo. Poi si rivolse all'attore "signor Barnes, anche lei ovviamente sta benissimo … la serata si svolgerà alla Royal Hall, l'albergo vicino al teatro. Il parcheggio è sul retro, può entrare dalla strada dei parchi. Buona serata"

"grazie " mormorò in un italiano stentato. La donna, Sabrina, sorrise. Salì sulla sua auto -avevo convinto Anne a guidare, io con quei trampoli non sarei riuscita a tenere il piede sull'acceleratore- e la mia collega mise in moto. Nel centro della città c'era più traffico, una lunga coda di auto che si avviavano verso il luogo della festa

"voi per caso vi ricordate  che cosa ho da fare domani?" chiese, a nessuno in particolare. Risposi io, la Simmons sembrava troppo concentrata sulla guida per pensare ad altro

"oltre le riprese? Niente. Anche se oggi saremo dovuti andare a fare la spesa. Il frigorifero reclama vendetta. " ricordai

"ha ragione. Andremo domani, non c'è santo che tenga" bene, se se lo fosse ricordato, saremo stati a cavallo. Cosa di cui dubitavo. Barnes indicò a Anne dove parcheggiare, poi ci avviammo verso il salone

"ma hai sentito che voce? È sensuale, fa sognare"
"fa sognare solo te" mormorai in risposta. La sala era già piena, diedi una rapida occhiata in giro: niente di strano. Anche vestito così elegante, a me non diceva niente più del solito. E di solito non mi diceva proprio niente. Silenzio assoluto. Invece in sala c'era un discreto caos. Che, aggiunto al mal di testa da fermagli per i pettinini che avevo in testa, non aiutava certo. Era una specie di cena in piedi, con un lungo buffet su dei tavoli contro la parete

"dite che posso mangiare qualcosa o rischio l'avvelenamento?" ci chiese l'attore, ridendo. Anne rispose a nome di entrambe

"no, non dovrebbe esserci niente di pericoloso. Molta gente è qui da prima di noi e nessuno sta ancora male" strano che riusciva a essere professionale, con quel ragazzo nei paraggi. Si vede che stava migliorando. Lo seguimmo mentre salutava gli altri del film che stavano girando, poi alcuni conoscenti, tutti -purtroppo- inglesi.

"le mie guardie del corpo mi concederebbero un ballo?" domandò, quando qualche audace coppietta iniziò a piroettare al centro della sala. Anne non se lo fece ripetere due volte e io non cercai certo di fermarla. Mi appoggiai a una colonna, sfinita: quelle scarpe facevano davvero male, non capivo come certa gente potesse portarle tutti i giorni, tutto il giorno

"ora tocca a lei" erano tornati senza che me ne accorgessi. Stavo peggiorando.

"no, grazie" risposi in automatico.

"avanti, Rolland" mi incitò Anne. Senza darmi il tempo di obbiettare, lei mi spinse in avanti e lui mi circondò con le braccia. Simmons me l'avrebbe pagata, questo era sicuro. Me l'avrebbe pagata anche lui, ma non sapevo ancora come. l'ultima volta che avevo ballato andavo al liceo, era il ballo studentesco. Il mio primo e ultimo ballo studentesco, tra l'altro.

"non se la cava male" disse, facendomi girare "e non è un complimento, solo una constatazione" mise le mani avanti, sorridendo "prima o poi mi spiegherà perché ce l'ha tanto con me "

"io non ce l'ho con lei" ribattei, punta. Era la verità, non ce l'avevo con lui in particolare. Ma con tutti gli inglesi, generale.

"come no … " non risposi, non sapevo se sarei riuscita a formulare una frase educata.

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Capitolo 8
*** -capitolo 7:sa che non l'ho ancora vista sorridere? ***


grazie mille a Lisbeth 17 per la recensione, a 
1 - Felpata90 [Contatta]
2 - giuls_lol [Contatta]
3 - Lisbeth17 [Contatta]
per averla messa tra le seguite, e ovviamente a tutti coloro che leggono. a chi volesse lasciarmi il suo parere, mi farebbe molto piacere... ma ora la smetto di blaterare e vi lascio al capitolo
buona lettura
baci
SaraViktoria

7-sa che non l'ho ancora vista sorridere?

 Tornammo a casa alle due del mattino, fui felice di poter mettere il mio pigiama e girare in calze, finalmente. Anne si addormentò non appena toccò il letto ma io non riuscivo a prendere sonno. Avevo una certa nostalgia di casa, delle lunghe chiacchierate al telefono con mia sorella, la sera. Con il fuso orario e il fatto che ero piuttosto impegnata, non riuscivamo mai a sentirci per più di pochi minuti. Non sentivo nemmeno mia madre, da quando avevamo saputo di dover andare in Inghilterra. Pensavo si fosse offesa, avrei dovuto passare qualche giorno da loro, quando ero stata costretta a partire. Qualche giorno prima mi era arrivata una mail dal mio ex comandante, capo indiscusso sulla Enterprise. Voleva sapere come stavo. Si era fatto vivo dopo anni, in un periodo in cui ero riuscita finalmente a togliermi la portaerei e i suoi occupanti dalla testa. Come se non bastasse sentivo tutti i giorni quell'accento inglese tanto odiato, ed ero ospite di uno che cantava Paul  McCartney la mattina appena sveglio. Mi rannicchiai sul divano, quel divano con la fodera di pelle bianca che profumava perennemente di vaniglia. Era un odore penetrante, non sapevo come potesse piacergli. Ma, d'altronde, era inglese, cosa potevo pretendere?

"ancora difficoltà a prendere sonno?" chiese una voce dietro di me. Mi spaventai come la prima volta.

"potrei farle la stessa domanda" evitai di rispondere

"ho notato quanto lei sia brava ad eludere le mie domande. Fa così con tutti?" evitai di rispondere anche a questo, ma lui non demordeva "sa che non l'ho ancora vista sorridere?"

"nemmeno Simmons " lo consolai "e lavoriamo insieme da quasi due anni"

"ma non vi potete vedere" non era una domanda.

"a lei cosa importa?" attaccai. Era l'unico modo che conoscevo per non dover rispondere

"la sua collega è un libro aperto, le si legge in faccia cosa pensa. Ma lei … lei per me è un mistero. Vorrei capirla meglio"

"non credo che ci riuscirà. Buona notte" senza dargli il tempo di ribattere, o di farmi un'altra domanda, mi alzai e tornai in camera. Ma cosa ne sapeva di me? Cosa ne voleva sapere di me ? Cosa gli interessava? Ero la sua 'guardia del corpo', ero un'agente della CIA. Doveva bastargli. Anche perché non avrebbe ottenuto altro, almeno che non avesse dei superpoteri.  Cosa di cui dubitavo fortemente.

Dopo le riprese, finalmente, andammo a fare la spesa. Mi piaceva girare per supermercati, mi rilassava. c'era un brusio calmo in sottofondo, qualche annuncio dalla voce metallica, gente che guardava tra gli scaffali, sceglieva, rimetteva a posto. E se pioveva non lo sentivi. Perché quel giorno pioveva. Mi stupii che ci fosse andata bene per così tanto tempo. Aveva retto tutta la mattina e poi, subito dopo pranzo, tuoni e fulmini avevano portato il temporale. Avevano dovuto interrompere subito le riprese, per la gioia degli attori, costretti a girare con delle camicie leggere anche se faceva un freddo cane.

"non c'è del tofu?" chiese Anne, gironzolando tra i reparti. Mi ero ripromessa una cosa: la prossima volta sarei andata da sola. Barnes continuava ad essere fermato dalle fan e la Simmons si perdeva per delle cavolate.

"del cosa?" chiese l'inglese, come se fosse una terribile parolaccia

"una cosa bianca, molliccia, insipida. Così uno pensa di non ingrassare" risposi, facendolo ridere, per la gioia della mia collega e delle ragazzine presenti.

Quando uscimmo scoprii con piacere che aveva smesso di piovere , anche se le nuvole stazionavano in cielo. Un netto miglioramento

"guardi che la panna montata va in frigorifero" feci notare al moretto, che la stava mettendo in dispensa

"questa è panna montata ? E che marca è ?" la guardò come se fosse una confezione aliena

"la vendono anche in America. È piuttosto dolce. " spiegò Anne. Lei ,che era perennemente a dieta, non l'avrebbe nemmeno sfiorata. Io, che della dieta me ne fregavo e facevo abbastanza esercizio fisico da essere in forma, l'avevo presa perché stava bene sulle fragole.

"c'è una farmacia in zona?" chiese Simmons.

"si, in fondo alla via, dopo il negozio di elettrodomestici"

"allora io esco un attimo" forse aveva il ciclo. O stava ancora male e non ce lo voleva dire. Andai a chiudere le finestre e mi sedetti su uno dei due divanetti.

"novità  dalla CIA?" chiese Barnes.

"no, purtroppo ancora niente" borbottai, infelice. Avevo sentito il mio capo qualche giorno prima, ma niente a vedere con il 'caso Barnes' come lo chiamava lui.

"posso farle una domanda?"

"certo, ma non è detto che risponda" anticipai, anche se ormai avrebbe dovuto saperlo.

"perché è diventata un'agente della CIA? Insomma, cosa l'attira del fare l'agente segreto? È come nei film?" trattenni una risata

"ovviamente no. Nei film si porta qualunque cosa all'esagerazione. Non sono tutti agenti sotto copertura in Russia o Medio Oriente. E poi, a essere sincera, non ho scelto di entrare nella CIA. Ho frequentato l'accademia della Marina e, dopo qualche anno di servizio sulle portaerei, il resto è venuto da sé"

"portaerei ? Wow! Quali?"

"la Kitty Hawk e … l'Enterprise" quasi sputai quel nome. Se ne accorse.

"quella nave le ha fatto qualcosa?" chiese, scherzando.

"mi ha chiesto più volte se ce l'avessi con lei. In realtà ce l'ho con gli inglesi, in generale. Ed in parte è colpa dell'Enterprise "

"le va di parlarne?"

"no" categorico. Idiota lui che ci sperava

"dicono che sfogarsi fa bene"

"non direi"  lasciò perdere. Ma sapevo che sarebbe tornato all'attacco. E chi era, mio padre?

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Capitolo 9
*** -capitolo 8: lei non mi sopporta ma ha la mia canzone come suoneria?!? ***


GRAZIE MILLE a tutti quelli che leggono, a chi ha voluto lasciarmi una recensione e a che ha messo questa storia fra le preferite/seguite/ricordate! grazie di cuore, è confortante vedere che le mie storie non piacciono solo a mio marito.
ma, passando a cose pratiche, questo capitolo sarà un po' più corto degli altri, una specie di prequel al capitolo che svelerà, finalmente, il 'mistero' della nostra protagonista
buona lettura
baci
SaraViktoria

8-lei non mi sopporta, ma ha la mia canzone come suoneria!

 Mi suonò il telefono. Mi spostai verso la finestra, mentre le note di Leanding on me riempivano la stanza. Vidi, con la coda dell'occhio, Barnes che faceva una faccia strana. Io odiavo gli inglesi, lui probabilmente detestava quella canzone. Non avrei cambiato suoneria per lui.

"Halo?"

"Chantal ,bonjour!" riconobbi subito quella voce

"Yvonne! Comment  ça va, mon amour? "

"oui, tout bien … ma tu es avec Ben Barnes? " oh, adesso cominciava anche lei. Le spiegai che era per lavoro

"seulment pour travaille … " commentò allusiva. Parlammo per qualche minuto, fin quando non m ricordò che doveva andare al lavoro, la sua pausa pranzo era finita . E noi ci preparavamo per cenare. Assurdo vero?

"quella canzone …  Leanding on me?" chiese l'attore, non appena riattaccai

"si, perché?"

"lei non mi sopporta, ma ha la mia canzone come suoneria"

"la sua canzone?!?" esclamai, allibita. Oddio, non l'avrei mai detto. Faceva pure il cantante?

"si, l'unica canzone degli Hyrise, la boy band di cui facevo parte da ragazzo"

"l'ho sentita una volta alla radio, non sapevo chi la cantasse"

"e ora che lo sa?"

"non mi cambia la vita" tornò Anne, con un sacchetto bianco in mano, che cercava di nascondere con tutte le sue forze. Si ,aveva il ciclo. In quei giorni sarebbe stata intrattabile. Com'ero io tutto l'anno. Almeno non potevano dire che l'orso ero solo io.

Giravo per casa, cercando di ammazzare il tempo. Anne si stava facendo raccontare da Barnes vita, morte e miracoli di ogni film che aveva girato. Capitai per caso in garage. Mi ero chiesta tante volte perché parcheggiasse l'auto in giardino se aveva un garage a disposizione, ma non avevo mai indagato. Non che mi importasse. In quel momento capii: il box era occupato da attrezzi da palestra, un tappetino enorme al centro e dei pesi a lato. Strano. Non aveva certo un fisico atletico. Magro si, ma non atletico. Mah! Sentii le risate di Anne, ne avrebbero avuto per un po'. La mia collega se ne stava letteralmente innamorando. Lo adorava, lo venerava. Povero lui. Povera lei. Oh, io non risparmiavo nessuno … suonò il telefono

"Halo?"

"buongiorno, Chantal "

"direttore, che piacere sentirla" non era vero, anche perché ogni volta ci discutevo. Ma pazienza.

"sappiamo entrambi che non è vero. Ho provato a chiamare l'agente Simmons, ma non risponde"

"è … occupata, diciamo. Può dire a me"

"allora, sai che la polizia inglese controlla tutta la posta del signor Barnes?"

"si, perché?"

"hanno trovato un'altra lettera di minaccia. Ora è al vaglio dei servizi segreti,te ne manderò una copia via mail"

"grazie. Riferirò alla mia collega"

"ah … ti ho chiamato anche per un altro motivo … il tenente colonnello Smith ha presentato ricorso … "

"dopo tutto questo tempo?" mi sentii mancare l'aria. No. Non era possibile.

"i reati militari non cadono in prescrizione … " mi ricordò

"devo portare a termine la mia missione, signore" era l'unico motivo per rimandare

"lo so. Ho usato questa scusa per rinviare l'udienza di appello. Il tribunale ha accettato di aspettare quando tornerai in America "

"grazie, signore"
"non ti preoccupare. Andrà come l'altra volta, perché tu hai ragione"

"certo … se ha novità mi faccia sapere … "

"naturalmente. Buona giornata, Rolland"

"arrivederci direttore"

 

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Capitolo 10
*** -capitolo 9:cosa succede? niente. e allora perchè piange? affari miei ***


salve! avevo promesso di aggiornare prima, ma in questi giorni sono stata piuttosto presa.... e mi toccherà lavorare anche Pasqua e Pasquetta, come HANNO deciso. e non voglio sapere chi è stato, o fa una brutta fine :P
ad ogni modo, in questo capitolo sarà svelato il 'mistero' che spero vi abbia tenuto col fiato sospeso fino ad ora... ma la storia non finisce qui -eh no, dovrete sopportarmi ancora per un bel po'-, perchè sono in arrivo delle belle novità!
buona lettura
baci
SaraViktoria

9-cosa succede? Niente. E allora perché piange? Sono affari miei

Rientrai in casa come un automa. Mi girava la testa, mi sentivo mancare l'aria, credevo di svenire da un momento all'altro. l'unica debolezza che mi ero mai concessa, mi aveva tradito. E ora tornava. Appello? Ma cosa speravano di ottenere? Se volevano screditarmi c'erano già riusciti, perché ritentare?

"v-vado a stendermi. Non mi sento molto bene, scusate" mi sdraiai sul letto, sopra le lenzuola, ancora vestita. Era buio, non mi ero nemmeno preoccupata di alzare la tapparella o tirare le tende. Sentivo il mormorio di sotto. Anne non sarebbe riuscita a farmi parlare

"lasci stare, agente. Ci provo io" la voce dell'inglese saliva ovattata, come se si fosse persa dei pezzi per le scale e dopo le porte. Sperava di farmi parlare? Non avrei aperto bocca. Sapevo che, se avessi provato a parlare, sarei scoppiata in lacrime. Erano anni che non piangevo, dallo scandalo sulla Enterprise, per essere precisi. Avrei evitato che si ripetesse se avessi potuto.

"posso entrare, agente Rolland?" chiese una voce maschile dietro la porta

"no" cercai di dirlo abbastanza forte perché mi sentisse, ma senza che percepisse il magone. Si, stavo per scoppiare a piangere. Merda! Aprì un po' la porta

"la prego"

"se ne vada" ecco, lo sapevo, non dovevo parlare. Le lacrime iniziarono a scorrere sul viso, con un singhiozzo soffocato dal cuscino. Mi voltai verso il muro. Sentii la porta aprirsi del tutto "n-non le avevo detto di a-andarsene?" mormorai, faccia al muro.

"ma io sono entrato lo stesso. Cosa succede?"

"niente"

"e allora perché piange?" mi stava trattando come una bambina. Io non ero una bambina.
"sono affari miei"

"probabilmente ha ragione. Ma magari la posso aiutare"

"non può. Nessuno può aiutarmi" purtroppo, mi veniva da aggiungere, ma lasciai perdere.

"avanti, parli. Si sfoghi. Le prometto che non ne farò parola con nessuno" non si trattava di quello, non capiva? Io mi sarei anche sfogata con qualcuno -mai avrei pensato a lui-  ma il problema era che … non ci riuscivo. Era passato troppo tempo da quando mi ero confidata con qualcuno, nemmeno con mia sorella riuscivo ad aprirmi veramente. Mi ero chiusa a riccio, pensando che potesse solo farmi bene. E così era stato all'inizio. Da lì in poi tutta in discesa. Una discesa faticosa, tra l'altro. Forse era il momento di cambiare, di provare … ma non certo con l'inglese. Magari con Yvonne, non certo con quel capellone di Barnes. Mi mancava poco e sarei capitolata. Doveva andarsene. Subito. Provai ad asciugarmi le lacrime, invano. Non la volevano smettere di scendere. Ma prima o poi sarebbero  finite. Più poi che prima.

"se ne vada, la prego" ripetei per l'ennesima volta. Niente da fare, non si mosse. Anzi, si mosse, ma solo per sedersi sul bordo del letto.

"e se le dicessi di no?" allora ascolterà il silenzio. No, non il silenzio, solo i miei singhiozzi. Mi posò una mano sulla spalla, lo scrollai via. Ma per farlo dovetti girarmi. Sembrava preoccupato. Sul serio, niente recite stavolta. "avanti" provò di nuovo "le farà bene" ne era tanto convinto? Bene, proviamo.

"se io le dico la verità, promette di non giudicarmi?"
"ma certo. Come potrei?"

"le conviene sentire tutta la storia prima di esserne così sicuro. Comunque … " mi misi a sedere, le gambe incrociate, di fronte a lui "qualche giorno fa le ho detto che ero in servizio sull'Enterprise, ci sono stata un anno e mezzo. E ci sarei stata anche di più, se non fosse che … mi scusi, meglio che cominci dall'inizio" presi fiato, riordinai le idee. Avevo deciso di essere sincera. Magari, e dico magari, aveva ragione lui. Magari mi avrebbe fatto bene "molti dei cadetti freschi di accademia vengono mandati a fare servizio sulle portaerei. l'Enterprise è la più lunga portaerei del mondo, ha viaggiato più o meno per tutto il mondo, era un onore per noi poterci salirci. Il comandante all'epoca era l'ammiraglio Thompson, un ufficiale di grande esperienza. Ci mise subito di servizio sul ponte, controllavamo l'atterraggio degli aerei. c'erano solo tre donne sulla nave, me compresa. E, ogni tanto, poteva capitare che  … cedessimo alle avances dei marinai. Sa, era raro che attraccassimo per più di una notte, era difficile stare sempre sottocoperta … una sera gettammo l'ancora nel porto di Boston, era inverno, lo ricordo ancora, faceva un freddo cane, per noi abituati ai mari dei Sud. A Boston imbarcammo un ufficiale inglese, il tenente colonnello Smith, dell'esercito di Sua Maestà la Regina. All'epoca inglesi e americani collaboravano per delle operazioni di pace in Medio Oriente. Ci era stato dato ordine di riportarlo in Inghilterra. Era un uomo a dir poco affascinante, la sera incantava tutto l'equipaggio con le sue storie, pendevamo dalle sue labbra, in un certo senso … me ne innamorai e, nella mia ignoranza, ero convinta che lui ricambiasse. Mi parlava del futuro, di avere dei bambini, promise che non appena avessi finito il tirocinio mi avrebbe sposato, si sarebbe trasferito in America per stare con me. Ero una stupida, gli credetti. Sulla Enterprise era risaputo e, sebbene fossero vietate le relazione con gli altri membri, il comandante chiuse un occhio. Mi disse che era contento di vedermi così felice, e che in ogni caso, non violavamo le regole, perché Smith non faceva parte del nostro equipaggio, era una sorta di ospite. Mi incoraggiava a portarlo in giro per la nave, a fargli vedere tutti i depositi. Così feci, furono le settimane migliori della mia vita. Sbarcò a Liverpool, con la promessa di tornare il più presto possibile. Ritornammo in America, la nave rimase ancorata per qualche giorno a Norfolk, per alcuni lavori da fare allo scafo. Negli stessi giorni il Pentagono denunciò una fuga di informazioni sull'armamento delle navi da guerra. Fu aperta un'inchiesta, collaborarono i governi di mezzo mondo e i servizi segreti inglesi denunciarono il tenente colonnello Smith. Che, ovviamente non rividi. Fu messo sotto processo tutto l'equipaggio, venni accusata di spionaggio, ma il JAG mi assolse. Avevo solo eseguito gli ordini, gli inglesi sono nostri alleati. Ma, nonostante tutto, non potei più stare sulla Enterprise . Mi mandarono sulla Kitty Hawk, ma ci rimasi solo sei mesi. Nessuno mi voleva, ero una traditrice … mi chiesero di entrare nella CIA. Accettai, non che avessi molta scelta. Il direttore non mi ha mai ritenuto responsabile ed è stato fra i primi a difendermi davanti a tutti. Alcuni marinai si girano ancora dall'altra parte quando mi vedono passare …. Sto facendo di tutto per fargli cambiare idea, ma sembra che nessuno dei miei successi possa cancellare quello che è successo prima … " mi ero calmata, raccontare cercando di estraniarmi dai fatti aveva avuto il suo effetto. Mi seccava ammetterlo, ma aveva ragione. Dovevo sfogarmi con qualcuno. Avrei dovuto farlo tempo fa.

"io … mi dispiace … è per questo che odia tanto gli inglesi?" annuii  "beh, dal suo punto di vista ha pienamente ragione … ma questo cosa c'entra, adesso?"

"mi ha chiamato il mio capo, il direttore della CIA. Dice che il tenente colonnello Smith" feci una smorfia involontaria a quel nome "ha presentato ricorso alla corte marziale. Vede, non fu condannato, ma lo congedarono con disonore. Per un soldato è peggio che finire in prigione … sono riusciti a rimandare fino a quando non tornerò negli Stati Uniti, ma … io non lo voglio rivedere … non voglio essere costretta a raccontare di nuovo tutto, e davanti alla corte marziale. Non ho paura di essere condannata, perché so di essere innocente, ma non voglio affrontare un altro processo pubblico. Non so se reggerei" scoppiai di nuovo a piangere, il viso fra le mani. Sentii due braccia calde stringermi, attirarmi a sé, finché la mia testa non si appoggiò contro il suo petto. Era confortante, dopotutto. Anche mio padre faceva così, quando ero piccola. Mi calmai dopo qualche minuto

"grazie" mormorai. E per una volta, lo pensavo veramente.

"sa, quando abbassa le difese e si toglie la maschera, è piacevole stare con lei" risi. Era la prima volta, da quando ero arrivata in Inghilterra

"facciamo in modo che non si ripeta troppo spesso" mi alzai

"oh, ma allora sa anche ridere!" tornammo di sotto. Mi accorsi solo in quel momento che era ora di cena, che il mio racconto era durato più di quello che pensavo. Andai ad aiutare Anne, che stava cucinando degli involtini di carne.

"allora? Devi ammettere che non è male, quando vuole" commentò, alzando minacciosamente il coltello dall'asse su cui stava lavorando. Alzai le mani in segno di resa.

"si … per quanto mi costi ammetterlo … hai ragione anche tu, ogni tanto" 

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Capitolo 11
*** -capitolo 10:avevo raccontato l'episodio peggiore della mia vita a uno con cui avevo in comune solo la casa, e per caso ***


10-avevo raccontato l'episodio peggiore della mia vita  a uno con cui avevo in comune solo la casa, e per caso

Fu come riprendersi dopo una lunga malattia, come riaprire gli occhi dopo un lungo sonno, come uscire dall'ospedale dopo tanto tempo. Mi accorsi di quanto fosse bella a vita, di quanto anche le piccole cose potevano renderti felice, di quanto era facile ridere, e di quanto fosse difficile smettere, una volta iniziato. Vivevo da tanti anni dentro il mio guscio, mettendo fuori la testa solo per non soffocare, fu bello riscoprire che sapevo ancora essere felice. E tutto perché finalmente ero riuscita a parlarne con qualcuno. Io, che non ero riuscita a dire la verità nemmeno ai miei genitori, che dovevano tirarmi fuori le parole di bocca, avevo raccontato l'episodio peggiore della mia vita a uno con cui avevo in comune solo la casa, e per caso. Forse aveva dei superpoteri, come avevo pensato qualche tempo prima.

Certo, non potevo dimenticare che di lì a chissà quanto tempo sarei stata di nuovo al banco dei testimoni, con davanti tutta la corte marziale del JAG, ma riuscivo a godermi ogni giorno, come quando ero piccola. In un certo senso ero davvero tornata piccola, mi stavo riprendendo gli anni che avevo perso tra cinismo e indifferenza. e, strano ma vero, riuscii ad andare anche più d'accordo con Anne. Per Barnes ci sarebbe voluto un po' di tempo in più, dopotutto rimaneva un inglese.

Una sera preparai il rice pudding, una specie di budino di riso, panna e frutti di bosco, ricetta tipica canadese che per mia madre era il 'piatto della felicità'. Erano anni che non lo mangiavo, mi ero dimenticata quanto fosse buono e dolce.

Arrivava una lettera di minaccia circa ogni due settimane, ma Scotland Yard non era ancora riuscita  a scoprire da dove arrivassero e non volevano il nostro aiuto. Su quello erano stati chiari. Ma, nonostante ora stessi meglio in Inghilterra, non vedevo l'ora di tornare a casa, e loro rallentavano la fine di tutto. Me ne lamentai con il mio capo, ma disse che non ci poteva fare niente. Ma, d'altronde, erano stati gli inglesi a volere il nostro aiuto, perché non ci lasciavano fare semplicemente il nostro lavoro?

Finirono le riprese, montarono il film con tanto di effetti speciali, e una sera il moretto ci annunciò che era stata fissata la premiere di Londra. Merda! Speravo che saremmo tornate prima in America .

"ma noi non ci andremo. Ne sarà contenta"

"e posso sapere perché?" ci doveva essere qualche motivo importante.

"ma certo. Perché devo partire per l'Australia "

"COSA?!?" quasi urlai "io in Australia non ci vengo"

"come mai? Qualcosa contro gli australiani?" mi prendeva in giro molto spesso, ultimamente.

"no, non ci sono mai stata. E non ho intenzione di andarci adesso. Non andrò dall'altra parte del mondo solo per seguire una missione. " voglio tornare a casa. Mi veniva da sbattere i piedi per terra, dalla rabbia

"non si preoccupi, manca ancora un mese …. Potreste aver risolto il mio problema, per quella data" guardai Anne, da come lo fissava sperava vivamente il contrario. 

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Capitolo 12
*** -capitolo 11: vale anche per lei,ma forse è meglio che non l'abbracci. non vorrei perdere un braccio o una gamba ***


mi scuso per il capitolo breve :(, presto ce ne sarà un altro più lungo :))
SaraViktoria

11-vale anche per lei, ma forse è meglio che non l'abbracci. Non vorrei perdere un braccio o una gamba

Aveva ragione, per fortuna. La polizia a cavallo della Regina ammise che il nostro aiuto gli sarebbe potuto servire. Con le attrezzature di cui disponeva la CIA fu un gioco da ragazzi rintracciare il mittente: una ragazza mentalmente instabile. Voleva uccidere l'attore solo perché lui non le aveva prestato attenzione, alla presentazione di un film, tre o quattro anni prima. Finì nel carcere di Londra, ma le fu riconosciuta l'infermità mentale, e facemmo in modo che venisse ricoverata in un centro psichiatrico. Se ci avessero lasciato carta bianca prima, a quest'ora potevamo essere già a casa.

"grazie, agenti. Non so cos'avrei fatto senza di voi" eravamo in aeroporto. In fondo, mooolto in fondo, mi dispiaceva andarmene. Dall'altra parte, ero felicissima di poter tornare in un posto dove la gente non sembra avere perennemente la puzza sotto il naso

"è il nostro lavoro. Comunque è stato un piacere" per lei più che un piacere, si capiva anche solo dalla risposta.

"verrò a trovarvi, è una promessa. Non vi libererete facilmente di me" minacciò. Era ora di salire sul jet che ci avrebbe riportato alla CIA. "dite che mi faranno entrare alla CIA?" chiese, curioso. Anne scosse la testa e si avvicinò per salutarlo

"arrivederci, signor Barnes"

"avanti, può anche chiamarmi Ben!" rispose lui, abbracciandola,  a sorpresa. Anne rimase un attimo pietrificata, prima di ricambiare. Dopodiché salì sulla scaletta dell'aereo un po' rimbambita.

"beh, allora ci vediamo"

"vale anche per lei, ma forse è meglio che non l'abbraccio. Non vorrei perdere un braccio o una gamba" mi unii alla sua risata. Si, in fondo sarei rimasta lì. Solo un'altra settimana, non di più. Ma fece una cosa che non mi aspettavo. Se l'avesse fatto solo qualche giorno prima, gli avrei fatto davvero male. Ma male male.  Mi baciò la mano, come l'avevo visto fare tante volte nell'ultimo film. Salii sull'aereo, lasciandomi Londra e Barnes alle spalle. Presi posto vicino al finestrino. Anne, poco più indietro, piangeva, nascosta in un fazzoletto. Gli altri occupanti del jet erano tre uomini e una donna. Scoprii poco più tardi che arrivavano da Malta e dall'Egitto. Eravamo tutti felici di tornare in America. Meno male. Anche la Simmons, nonostante tutto.

"Chantal, Anne, bentornate negli Stati Uniti" ci accolse il capo, sulla pista d'atterraggio.

Anche l'aria mi sembrava diversa, senza quella cappa perenne di nuvole. Fu come tornare veramente a casa, quando entrammo alla CIA. Non era un grattacielo come molti immaginano, ma una serie di edifici bassi disposti a formare un quadrato. I nostri uffici si trovavano nella parte amministrativa, dove centinaia  di persone ogni giorno stampavano documenti e inventavano scuse per coprire le operazioni. Mi sedetti alla scrivania, contenta di sentire la pelle morbida sotto di me. Io, che cercavo di non affezionarmi mai a niente per non avere delusioni, ero felice di tornare in America.

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Capitolo 13
*** -capitolo 12: ehi, donne, la finite di spettegolare, che ho fame? ***


Sono tornata! Un po' prima del solito, ma dato che ormai sono a casa in maternità, ne approfitto …

Un GRAZIE speciale per le 14 recensioni a LaNonnina, Lisbeth17, justanechelon, Serena VdW, _catia_, PattyOnTheRollercoaster, a tutti quelli che hanno messo la mia storia fra le seguite/preferite/ricordate … è bellissimo vedere che una storia che piace a me piace anche a voi :)

Direi che ho già detto anche troppo,

Buona lettura

Baci

SaraViktoria

 

12-ehi, donne, la finite di spettegolare, che ho fame?

 Si, l'Inghilterra mi aveva proprio cambiata.

Se ne accorse anche mia madre. Avevo chiesto una settimana di permesso per andarla a trovare. Scoprii con piacere che c'era anche mia sorella

"tesoro, ti vedo diversa … più solare, possibile?"
"se lo dici tu … " feci la vaga.

"com'è andata a Londra? Con Caspian?"si intromise Yvonne. Al momento non capii, poi ricordai che uno dei ruoli di Barnes doveva avere un nome simile. Doveva avermelo detto Anne.

"non è andata male. A parte il fatto che sono inglesi " rise.

"ehi, donne, la finite di spettegolare, che ho fame?" lasciammo mia madre da sola in cucina, o papà si sarebbe lamentato ancora. La mia era una famiglia felice, nonostante tutto. Mio padre era una giubba rossa in pensione, mia mamma aveva lavorato fino a qualche anno prima come segretaria del sindaco, mia sorella era un agente immobiliare. l'unico neo ero io: quella che a casa non ci sapeva stare, quella che era dovuta andare negli States per combinare qualcosa, quella che faceva il marinaio per il governo federale. O almeno così dicevano i parenti. I miei genitori accettavano tutte le nostre scelte. 'purché vi rendano felici' solevano dire.  Ma gli altri dovevano sempre metterci del loro.

"nel pomeriggio vengono la nonna e gli zii" mi anticipò Yvonne.

"devono proprio?" chiesi, speranzosa

"avanti, Chantal, è tanto che non li vedi" provò papà

"già … e sto bene così" mia sorella rise. Poi la mamma portò a tavola la pasta e lasciammo stare. A casa nostra la pasta, anche se non eravamo italiani, non mancava mai. Perché era buona e riempiva. Inoltre, la potevi condire in mille modi. Sarei andata volentieri in Italia, solo per quello.

Da noi si usava parlare durante il pranzo, così che un pasto normale poteva durare delle ore. A televisione rigorosamente spenta, i miei vollero sapere tutto sull'Inghilterra. Io, che non ne volevo parlare, cercavo aiuto nella persona di mia sorella, che però era più curiosa di mamma e papà.

"beh, Londra è bella. Se non fosse per le nuvole e l'umidità … "

"hai conosciuto qualcuno di interessante? " chiese la mamma. Aveva sempre cercato di essere aperta a eventuali ragazzi. Ma al minimo sospetto iniziava a preoccuparsi.

"Colin Firth " risposi, per rassicurarla. Tra l'altro, era un attore che le piaceva molto.

"e Ben Barnes " completò mia sorella, dandomi una gomitata. Presi una forchettata di pasta, mentre mia madre si informava

"e chi è?" ancora una volta, Yvonne decise di rispondere. In quel momento l'avrei legata, pur di farla stare zitta. Andavamo molto d'accordo, ma lei era la classica ragazza che aspetta il principe azzurro e sogna davanti ai film d'amore. Non sembravamo proprio gemelle, se non per l'aspetto fisico. Perché , fisicamente, eravamo due gocce d'acqua. Mentalmente era tutto un altro discorso

"è un attore, mamma. Il giovane Dustan di Stardust, te lo ricordi?"

"ah, ho capito" papà cercò di farsi ascoltare "ha fatto quel film con il leone gigante e i centauri … "

"beh, mica male … e perché l'hai conosciuto?" mamma tirò fuori il suo sguardo indagatore.

"per lavoro, o non sarei nemmeno andata in Inghilterra! Gli sono arrivate delle lettere di minaccia, hanno cercato di farlo saltare in aria, e il governo si è preoccupato di trovargli una scorta."

"però non è certo brutto!"  riprovò Yvonne

"concordo" dovetti ammettere "ma.. Ogni volta che deve cucinare crea un campo di battaglia. e, con la memoria che si ritrova non so come faccia a imparare tutte quelle battute … " andammo avanti finché non riuscii a convincere la mamma della verità. Strano, ma a volte la gente non crede alla verità. Crederebbe più a una fantasiosa bugia, ma non a ciò che è successo veramente.

Nel pomeriggio arrivarono -ahimè!- mia nonna Grace e i miei zii, Jessica e Daniel, la coppietta felice. Zia Jessica mi stava decisamente sulla scatole. Era una donna tutta zucchero e miele, con dei vestiti buffi tutti a fronzoli e chiffon. Tra l'altro, aveva appena dieci anni più di me, e credeva di potermi fare d'amica. Quando così non era. Io non avevo amiche e, se anche ne avessi avuta una, non sarebbe stata lei.

"Yvonne! Chantal!" la nonna ci stritolò nel suo abbraccio. Era la mamma di papà, una donna che tutti definivano adorabile, e che per me era semplicemente insopportabile. La sua mentalità era rimasta a quando era ragazza lei, a quando non potevi uscire da sola, a quando le donne si occupavano solo della casa. Non sarebbe stato un male, se non avesse cercato di convincerci delle sue idee. Ci discutevo tutte le volte che la vedevo. Per fortuna ci vedevano raramente.

"sei troppo magra" commentò, squadrandomi. Pesavo quanto mia sorella, etto più etto meno, ma con Yvonne  andava più d'accordo, perché lei sapeva stare zitta e fare finta di ascoltare. Ma io non l'avrei mai lasciata dire qualcosa su cui non ero d'accordo "è questa stupida moda, vero? Che vi vuole magre come le modelle ritoccate"

"ma che moda e moda!" mi lamentai "io non seguo la moda. E non sono uno scheletro, solo non mi abbuffo di schifezze" me ne fregavo di moda, sfilate e compagnia bella. Facevo solo esercizio

"si, certo. Perché in quel lager dove lavori tu vi tengono a pane e acqua"

"non è un lager, è una base militare, nonna. " spiegai, cercando di essere educata. Dopotutto, era mia nonna.

"come ti pare. Ma non è un posto per una donna. Dovresti sposarti, fare figli e occuparti della casa"

"SI!  E fare la crocerossina per i feriti di guerra. Nonna, siamo nel ventunesimo secolo!" eravamo in cortile, la mamma ci aveva mandate a prendere della menta dal suo piccolo orto, nella speranza di farci parlare e chiarirci. Sperava sempre nelle cose sbagliate. La casa dei miei genitori, la casa in cui ero nata e cresciuta anch'io, era una villa di campagna, in mezzo al verde. Dal retro non sentivi nemmeno le auto sulla strada, sembrava di essere in mezzo a un bosco, isolato da tutto e da tutti. Tornai dentro ancora più arrabbiata di prima . La mamma scosse la testa. No, non sarebbe riuscita a farci andare d'accordo. Mi dispiaceva per lei.

"allora, Chantal " la voce stridula di zia Jessica mi riportò alla realtà. Mi sedetti sul divano per non essere vicino a lei, appollaiata su una sedia "con la tua divisa dell'esercito attirerai tanti ragazzi" che allusione stupida!

"sono nella marina, zia. Non nell'esercito." evitai di rispondere al resto.

"quindi hai quella bella divisa bianca che fanno vedere nei film?"

"si, più o meno" meglio non dirle che la mia divisa era rilegata nell'armadio da parecchio tempo.

In quel momento ricordai -o forse non lo avevo scordato, cercando semplicemente di non pensarci- che dovevo dire ai miei del ricorso. Colsi l'opportunità quella sera, quando eravamo di nuovo solo noi quattro. Gli avevo raccontato tutta la storia, anni prima. e,anche se non avevano capito la sentenza della corte marziale, pensavano che l'avrei solo dovuta dimenticare

"ma perché, voi militari potete fare ricorso come il tribunale?" papà cercava di capire

"certo, papà. È un tribunale normale, solo che giudice e avvocati sono dei militari" cercai di spiegare. Alla mamma invece le spiegazioni non interessavano, era impegnata in una tirata contro l'Enterprise e il mio lavoro.

" …. lo dicevo io, che gli uomini vogliono avere sempre ragione.. Senza offesa,caro … a, proposito, tesoro, vuoi che veniamo da voi … a McLean … per questo processo? "

"a Langley, mamma" faceva sempre confusione tra le città della Virginia "comunque … no, non ce n'è bisogno davvero … "
"come no? Puoi andare tu, Emma" papà difficilmente avrebbe lasciato il Canada, anche perché faceva una certa fatica a capire un inglese che non fosse quello parlato da noi

"davvero, papà. Non c'è bisogno che veniate. Ce la posso fare"

"ma io ci tengo. Voglio starti vicino. Quand'è la prima … come si chiama?"

"udienza?" chiese Yvonne.

"si, quand'è la prima udienza?"

"lunedì" risposi, mio malgrado. Avrei preferito rimanere da sola. 

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Capitolo 14
*** -capitoli 13 e 14: Chantal, non minacciare le tue colleghe! & ma lei non doveva essere in Australia?!? ***


Salve a tutte/i!!

Sono qui a postare il nuovo capitolo, prima della visita dal ginecologo C:

GRAZIE come sempre, a tutti coloro che leggono la storia, alle splendide lettrici che mi hanno voluto lasciare una recensione, metterla nelle seguite, preferite, ricordate!

Immagino sappiate bene, quanta gioia porti una recensione, per un'autrice :)

Ho deciso di unire due capitoli, in una volta sola, perché mi sono accorta che erano troppo corti, e cambiare il numero avrebbe sballato tutto il resto ;)

Un bacione,

Buona lettura

SaraViktoria

 

13-Chantal, non minacciare le tue colleghe!

Mia madre aveva il dono di tirare fuori i miei peggiori timori. e, come se non bastasse, il direttore le aveva dato il permesso di entrare in alcune aree della CIA, perché 'serve pur qualcuno che controlli l'agente Rolland, signora', parole sue.

Così, contro la mia volontà, sabato sera mia madre, Emma Leroy Rolland, salì con me sull'aereo che sarebbe atterrato a Washington. Poi prendemmo un taxi fino a casa mia, a Langley. Cathy fu felicissima di avere un'ospite, perché la nostra camera degli ospiti era disabitata da tanto tempo.

"ehi, Chantal, ho sentito al telegiornale di un certo Smith. Non era quello …?"

"ti prego, lascia stare" mormorai, stanca, andando in camera mia.

Anche Anne era contenta di conoscere mia madre

"almeno potrò testimoniare che il tuo caratteraccio non è ereditario"

"questa me la paghi! Vieni in palestra più tardi?" nel corpo a corpo ero imbattibile.

"Chantal! Non minacciare le tue colleghe" i miei genitori sapevano che facevo l'agente segreto per la CIA, e avevano promesso di non dirlo a nessuno

"mamma, almeno al lavoro, puoi fare finta che non sia tua figlia?... grazie" finii il rapporto sul 'caso Barnes' sotto lo sguardo vigile della mia genitrice, seduta dietro a una scrivania vuota. Ero tornata da due settimane e ancora non avevo consegnato il rapporto.

Nel frattempo il telegiornale stava sventrando la causa d'appello che di lì a poco avrebbe occupato il tribunale militare della nostra città. Meno male che Langley aveva un tribunale militare.

Ero nervosa, preoccupata, come non mi accadeva da anni. E per sfogarmi andavo nella palestra della base, sfidando le reclute che credevano fosse facile battere una donna. Mia madre faceva tappa fissa al bar prima di venirmi a vedere. Non mi lasciava sola un attimo, come se avesse paura di perdermi. Si sedeva sulle panche dove si faceva sollevamento pesi e, ignorando l'istruttore delle reclute, a cui magari serviva la panca, rimaneva tutto il tempo -a volte delle ore- a guardarmi. Non perdevo mai. Non avevo mai perso un corpo a corpo, dai tempi dell'accademia.

"agente Rolland, insegnerebbe anche a me a tirare qualche pugno?" ero in piedi sul materassino, da sola, dato che l'ultimo sfidante se n'era appena andato zoppicando. Ero decisamente di pessimo umore, man mano che si avvicinava lunedì. E dover lavorare di domenica certo non aiutava. In più quella voce: non riconobbi di chi era, nel casino della palestra, ma aveva un leggero accento inglese, e tanto bastava.

 

 

14-ma lei non doveva essere in Australia?

 Mi girai di scatto e vidi Barnes avanzare verso di me, scostandosi i capelli dalla fronte. Cosa ci faceva lì? Non doveva essere in Australia o qualcosa del genere?

"non dovrebbe essere in Australia?"

"signor Barnes!" come se avesse le antenne, arrivò Anne. Si salutarono, poi lei dovette tornare al lavoro. Nemmeno lei aveva ancora finito il rapporto.

"perché? Ho già finito di girare"

"di già? " di solito i film prendevano mesi interi

"sorpresa?"

"abbastanza. Anche perché speravo di non dover più sentire un accento inglese fino al processo" rise. Vidi mia madre drizzare le orecchie e mettersi un po' più dritta, per tenermi d'occhio. Ma di cosa aveva paura? Decisi di mettere subito le cose in chiaro.

"venga. Le presento mia madre"

"beh, adesso che non mi deve più proteggere potrebbe anche dare del tu … o potrei dimenticarmi del suo bel nome" ci pensai. Non mi interessava se si fosse dimenticato il mio nome ma non potevo presentarlo a mia madre dandogli del lei. La donna di ferro -come la chiamavo da piccola- non ci avrebbe creduto

"come vuoi"

"perfetto, Chantal"  bleah! Detto così, il mio nome sembrava orribile. Forse era meglio se gli avessi detto di no,  ma ormai era troppo tardi.

"mamma! " richiamai la sua attenzione, anche se mi stava fissando tanto intensamente che poteva darmi fuoco.  "questo è il motivo per cui sono andata in Inghilterra" indicai il moretto di fianco a me. Mia madre si alzò e gli tese la mano

"piacere di conoscerla, signora Rolland" lei fece un bel sorriso "allora, agente, mi fai vedere come stendere un avversario?"

"a tuo rischio e pericolo" borbottai, perché fosse chiaro. Che poi non si lamentasse se gli facevo male. Salimmo sul materassino, rischiò di perdere l'equilibrio. Iniziamo bene.

"tirami un pugno"

"cosa?"

"tirami un pugno. avanti" lo incitai. Fece una faccia strana, forse stupita, poi mi venne incontro, il braccio teso. Fu un gioco da ragazzi bloccargli la mano e farlo cadere per terra

"ahia!"

"te l'avevo detto" si rialzò

"rifacciamolo" alla ventesima volta che lo buttavo per terra, riuscì a evitare la mia presa. Lo mandai al tappeto qualche secondo più tardi, ma almeno era un miglioramento
"quando hai la prima udienza?"

"domani alle dieci. Prendimi da dietro … si lì.. " mi prese per la vita, cercando di farmi cadere, ma fu lui a volare con la schiena sul materassino

"accidenti! " esclamò. Non lo avevo mai sentito dire parolacce. Mah! "posso venire a vedere?"

"si, i processi sono pubblici. Anche quelli militari … poi mi spiegherai cosa ci fai in America "

"perfetto. Ci sarà anche la tua collega?"

"certo. Stai diventando bravo ad eludere le domande"

"è utile con i giornalisti"

"non così o ti rompi una gamba" lo fermai prima che si facesse male "come mai ti hanno fatto entrare?"

"ho detto alla guardia chi ero e che voi, tu e Anne mi stavate proteggendo. Ha controllato su una specie di computer e mi ha detto che eravate qui" semplice, per lui! Come se non l'avessero seguito dalla porta a qui! "dici che vi posso portare a cena? " senza rischiare che Anne svenga? Mission impossible

"se per Simmons va bene … " sapevo che lei non avrebbe detto di no. E a me non mi importava più di tanto

"allora è si"

"allora vado a farmi una doccia … ehm, vieni, ti faccio vedere dove sono gli spogliatoi" lo portai fino a una porta con su un omino con una pistola. Pessimo senso dell'umorismo, alla CIA.

Entrai nello spogliatoio femminile. Un buco, date le quote rosa nell'agenzia.

"Simmons!"

"sono nella seconda doccia, Rolland. Dimmi "  entrai nella terza, per non urlare

"Barnes ci ha invitato a cena" annunciai, con un tono neutro. Lei avrebbe avuto abbastanza entusiasmo per entrambe. Infatti, come volevasi dimostrare, lanciò un urlo che fece voltare le dieci donne che si stavano cambiando. Poi una specie di tonfo: stava saltando

"guarda che così ti fai male" le feci notare. Chiuse l'acqua e uscì

"Rolland, tu non hai idea di quanto sia felice! È incredibile, fantastico!"

"beh, se ci vuoi parlare … credo si stia facendo una doccia" si vestì in fretta - quando uscii dal box lei stava già aprendo la porta- e, immaginai, andò ad aspettarlo. Feci con calma, tanto dovevo solo mettermi la tuta. Nera con la scritta bianca 'CIA' dietro. E non avevo nessuna voglia di farmi fare il terzo grado da mia madre. Presi la borsa e uscii. c'erano due persone ad aspettarmi fuori dallo spogliatoio. E non avevo voglia di parlare con nessuna delle due.

"ha detto che ci vediamo qui.. "

"allora, tesoro? Cos'è.. "

" … alle nove. Ma ti  … "

" … questa storia? Perché un … "

" … rendi conto? è … "

" … ragazzo dovrebbe invitarti … "

" … incredibile, Rolland ! Io … " parlavano insieme, senza preoccuparsi l'una dell'altra. Ma così io rischiavo di impazzire

"ehi, basta! Non sono un computer!" le fermai tutte e due "Simmons, lo so che ancora non ci credi, ma vedi di non  svenire. Per favore. Mamma, qualunque cosa tu debba dirmi può aspettare qualche minuto" la presi sottobraccio e uscimmo dalla porta principale.

 

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Capitolo 15
*** -capitoli 15 e 16: quale storia mamma?che esci con un ragazzo. non credo di aver capito male&sembravamo noi le turiste, lui quello che faceva da guida ***


salve! 
anche oggi due capitoli. perchè sono un po' corti e... beh, perchè sono a casa a fare niente e ho molto più tempo per scrivere! :)
la svolta che -spero- aspettate tutte/i arriverà nel prossimo capitolo, che cercherò di postare assolutamente nei prossimi giorni, dato che se sta avvicinando il termine e poi non avrò molto tempo per aggiornare, soprattutto i primi mesi della nostra Malika.
buona lettura
baci
SaraViktoria

15-quale storia, mamma? Che esci con un ragazzo. Non credo di aver capito male.

Non appena  aprii la porta di casa ricominciò l'assalto. Cathy non c'era. Meno male, o avrebbe voluto sapere tutto anche lei.

"beh, cos'è questa storia?" mi lanciai sul divano, stanca
"quale storia, mamma?"
"che esci con un ragazzo. Non credo di aver capito male"

"non hai capito male. l'uomo che abbiamo aiutato in Inghilterra ha invitato me e la mia collega a cena"

"la tua collega è quella che urlava come una matta?" annuii.  Non ero una criminale, poteva anche smetterla di trattarmi così. "e perché questo ragazzo vuole portarvi fuori a cena?"

"non lo so!.. Potevi chiederglielo, se ti interessava tanto" sospirai "senti, mamma … io sono contenta che tu sia qui ma.. Ho ventotto anni, è anche ora che tu la smetta di trattarmi come una bambina!" stava per rispondere quando mi suonò il telefono. Mi scusai e risposi

"pronto?  " dissi, scortese. Erano le sette, avevo accumulato tanto di quel nervosismo che stavo per scoppiare. Era Anne

"ciao, scusa se ti disturbo" doveva aver notato il mio tono"ma mi sono accorta che non ho niente da mettermi per stasera … "
"un paio di jeans e una maglietta?"

"volevo qualcosa di particolare. Idee?"

"sono la persona sbagliata a cui chiedere"

"grazie lo stesso … "

"ciao" ultimamente mi cercava anche per cose che non riguardavano il lavoro. Tra le righe mi aveva detto che il ragazzo l'aveva lasciata perché, secondo lui, lei gli mentiva. Come biasimarlo. Non sapevo di chi era la colpa e non mi importava. Erano problemi suoi. e, come le avevo detto, io non ero la persona adatta per consigli femminili. Intanto era tornata Cathy, che stava aiutando mia madre a preparare la cena

"no, Chantal esce a cena" stava dicendo la mamma

"oh … con chi?"

"non so chi sia, ma c'entra con il lavoro.. Ed è un bel ragazzo"

"avete finito di parlarmi alle spalle?" mormorai, poggiando il telefono sul mobile. Immaginai Anne, davanti allo specchio per decidere cosa mettersi. Io mi preparai alle nove meno venti: jeans neri, camicia rossa, scarpe da tennis, golfino bianco. Andavo vestita così anche al lavoro, niente di eccezionale.

"a che ora torni?"

"mamma! Ho le chiavi, sono maggiorenne … più vicino ai trenta che ai venti. Quindi, ti prego, vai a dormire e non ci pensare. Che domani sarà una lunga giornata."

Arrivai davanti alla sede della CIA. Anne era già lì. Probabilmente era arrivata con mezz'ora di anticipo e continuava a controllarsi in uno specchietto. Aveva una gonna di jeans bianco e una camicetta rosa sotto a una giacca dello stesso stile della gonna. Ai piedi un paio di sandali rosa con un tacco che solo a guardarlo mi faceva perdere l'equilibrio.

E meno male che di solito sono le donne a essere in ritardo! Barnes arrivò alle nove e venti, vestito di tutto punto. Anne era sull'orlo del collasso.

"sei in orario!" esclamai. Rise. Anche Simmons rise, una risata nervosa. Oddio, fa che non svenga,ti prego!

 

16-sembravamo noi le turiste, lui quello che faceva da guida

"venite, ho trovato un bel ristorante, qui vicino" sembravamo noi le turiste, lui quello che faceva da guida. Quel ristorante lo conoscevamo bene, essendo dietro la sede della CIA, posto in cui passavamo gran parte delle nostre vite.

La cucina non era male, la compagnia pessima. Anne sembrò un pesce lesso per tutta la cena, aveva la faccia delle cozze nel mio piatto. Mangiò ben poco, e piuttosto lenta. ma cos'avevano tutti?

Barnes cercava di far conversazione tra una che lo fissava incantata e io che immaginavo con tutte le mie forze di essere da un'altra parte. Qualsiasi altra parte. Non ero di molto aiuto e lo sapevo. Mai ,più, non avrei mai più accettato un invito del genere. Che andassero da soli a cena se ci tenevano tanto.

"bene.. Io vado ... Grazie Ben" Anne si avviò nella direzione opposta rispetto alla mia. Lei abitava un po' fuori città, doveva aver parcheggiato da quelle parti. Seguila ... Avanti, seguila ... Lasciami andare a casa da sola.

"tu da che parte vai? "

"oh, di qua ... Abito qui vicino" ero tentata di mentire e fare il giro più lungo ma, non so nemmeno io perché, non lo feci.

"aspetta! Ti accompagno" no, grazie. Ma evitai di dirlo ad alta voce "non ti è piaciuta la cena?"

"si che mi è piaciuta, perché?"

"non hai mangiato molto" non avevo intenzione di dirgli che le smorfie di Anne mi avevano fatto passare l'appetito

"non mangio mai molto" mezza verità "dovresti saperlo" ci aveva avuto in giro per casa per un bel po' di tempo.

"ti va di andare a bere qualcosa?" guardai l'orologio e accettai. Non perché ne avessi tutta questa voglia, ma erano solo le undici, mia madre sarebbe stata ancora sveglia e non avevo voglia di un altro interrogatorio.

Tutti lo soprannominavano il bar dei federali, senza che a nessuno venisse in mente che i federali erano quelli dell'FBI e non noi della CIA. c'era ben poco che non avesse a che fare con noi, in quella città. In realtà era un piccolo locale che al mattino faceva caffè e ciambelle, per antonomasia la colazione degli sbirri. E la sera era una specie di pub frequentato da quei quattro ragazzi che non andavano in discoteca.

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Capitolo 16
*** -capitolo 17: e fu una decisione irrazionale, di quelle che anche dopo tanto tempo non ti sai spiegare ***


sono imperdonabile, lo so... ma voi mi perdonate lo stesso, vero? ;-)
avere un figlio è sempre una cosa meravigliosa, ma quando poi la 'dolce' creatura non dorme... 
comunque adesso sembra aver trovato un equilibrio... sì, dormendo solo in braccio!
e poi, non potevo lasciarvi così.... ci sarà qualcuno -c'è, vero?- che aspettava questo capitolo, per cui posso anche smetterla di ciarlare :-)
buona lettura,
baci, 
SaraViktoria


17-e fu una decisione irrazionale, di quelle che anche dopo tanto tempo non riesci a spiegare

Avevamo bevuto un po' troppo entrambi. Ma non eravamo ubriachi, solo brilli. Avevo addosso quella sensazione che rendeva ridicola ogni piccola cosa, che ingigantiva tutto, rendendolo più bello e colorato di quanto non fosse. Ma ero lucida. E anche Barnes, anche se qualche giorno dopo avremo giurato entrambi il contrario. Parlavamo di qualcosa, non ricordo bene cosa, ma era una discussione banale, una di quelle cose che si dicono solo per fare conversazione. Camminavamo verso casa mia, dato che non sapevo in che albergo alloggiasse il moretto, quando mi trovai schiacciata contro un muro. Sentii le sue labbra sulle mie, calde, morbide. Chiusi gli occhi ... Ma che cazzo stavo facendo? Sentii la sua lingua premere sulle mie labbra, chiedendo di entrare. E fu una decisione irrazionale, di quelle che anche dopo tanto tempo non ti riesci a spiegare. Ma lo assecondai. Fu un bel bacio, non c'è che dire, il moretto ci sapeva fare. Ma sentivo e sapevo che c'era qualcosa di sbagliato in tutto quello. Io non lo sopportavo. Ma in quel momento non mi venne in mente. Ero triste, tutti i timori per il processo imminente erano tornati a galla, forse colpa dell'alcool, e quel bacio mi impediva di pensare ad altro. Perciò ricambiai. Aprii gli occhi un attimo, diedi uno sguardo intorno: la via era buia, non riuscivo nemmeno a capire di che via si trattasse. Forse un vicolo, anche se era piuttosto pulito. O almeno, così sembrava. Richiusi gli occhi: ecco, così era più semplice. Più semplice non pensare, lasciarsi trasportare da quello che accadeva intorno a te senza effettivamente prenderne parte.

Poco più tardi scoprì che eravamo dietro l'albergo che Barnes aveva scelto per il suo soggiorno in America. Me ne accorsi perché ci entrammo. Passammo qualche minuto in ascensore, o forse delle ore, la mia concezione del tempo non era molto corretta.

Mi buttò sul letto, quasi come se fossi stata un giocattolo. E forse in quel momento lo ero davvero. Una parte di me, probabilmente la più razionale che mi era rimasta, ragionava, capiva che non dovevo, che io non ci sarei nemmeno uscita con lui. Si chiedeva perché non avessi inventato una scusa, tornando a casa da un'altra strada, perché avessi accettato di andare a bere qualcosa, cosa ci facevo in quella camera d'albergo, sotto quell'uomo che mi stava lentamente spogliando. Ma l'altra parte di me, quella rimasta nascosta troppo a lungo, quella a cui avevo sempre dato ascolto da ragazza, quella che non si preoccupava di qualche sciocchezza, era perfettamente d'accordo con quelle labbra che mi baciavano il collo e poi pian piano scendevano fino al seno. Chiusi gli occhi e lo lasciai fare. Da una parte sapevo che era una cazzata, forse una delle più grosse che avevo fatto fin allora, dall'altra desideravo che non smettesse mai. Erano anni che non stavo con un ragazzo, anni che non mi lasciavo veramente andare, anni che non facevo una pazzia, anche solo per riderci sopra. Beh, c'è sempre una prima volta.

Mi resi conto che ero completamente nuda. Non che mi desse fastidio, ma non me ne ero accorta, almeno non fino a che non avevo focalizzato la mia attenzione sul mio corpo. Anche i suoi vestiti avevano abbandonato il loro proprietario. In quel momento mi venne in mente una canzone italiana che mi aveva fatto sentire Yvonne. Parlavo un po' di italiano, le lingue mi avevano sempre interessato:

'giurami

 che non sono per gioco,

 giurami

 che non resti per poco,

baciami,

non trattarmi d'amico …. '

Non ricordavo di chi fosse. Erano poche le cose di cui mi ricordavo in quel momento. Tutto d'un tratto un dolore allucinante, che mi fece urlare. Subito dopo un piacere che credevo di aver dimenticato. Strano, era lo stesso dolore che avevo provato la prima volta. Possibile che dopo tanto tempo … ? Lo sentivo spingere, cercai le sue labbra per perdermi in quel dolce sapore, che non sapeva solo di alcool. Era dolce e amaro al tempo stesso,poteva essere liquirizia o fragola, panna e spezie, le spezie più piccanti del mondo, un sapore difficile da descrivere. Ma non me lo sarei mai dimenticato. Non riuscivo ad averne abbastanza di quel corpo, di quelle labbra, dei suoi occhi neri come il carbone. Perché erano neri, non ci avevo mai fatto caso. Ma non marrone scuro, proprio neri, dove la pupilla era indistinguibile dall'iride. Neri come il carbone. E ora ancora più scuri se possibile. Avevo il respiro corto, mi sentivo quasi senza forze, ma potevo ancora resistere. Finché non venni, un calore che si propagava per tutto il mio corpo. Mi sentivo … riempita, esausta, felice, a pezzi. Poi un altro fuoco, non mio, un corpo che si accasciava sul mio, respiri affannati. Cercai di recuperare, come dopo una lunga corsa. Poi la stanchezza ebbe la meglio e,senza ricordarmi chi fossi o dove mi trovassi, mi addormentai.

"mmh … " borbottai qualcosa di incoerente, prima di aprire gli occhi. Avevo mal di testa. E non mi ero nemmeno ubriacata. Era ufficiale, dovevo ricominciare a uscire più spesso. Era tanto che non bevevo, a parte qualche bicchiere di champagne nelle occasioni speciali. Una volta era una specie di abitudine. Tutti i sabato sera, dopo le lezioni, uscivamo. Ma avevo perso di vista tutte le ragazze con cui uscivo all'epoca, una volta scelto il mio lavoro.

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Capitolo 17
*** -capitolo 18: UN MOMENTO! ***


Ecco il fatidico momento del risveglio! detto così suona tanto da film horror, ma voi sapete di cosa parlo.
ad ogni modo, il capitolo è un po' corto, ma la bambina sta dormendo -sia lodato il cielo! ;)- tra le braccia del papà, che si è preso mezza giornata di ferie, e ci tenevo ad aggiornare.
anche perchè fra un po' gli altri due 'angioletti'  saranno a casa da scuola per le vacanze di Natale e hanno già chiesto di poter andare a sciare.
buona lettura
baci
SaraViktoria

18-UN MOMENTO!

Aprii piano gli occhi, poi li spalancai. c'era luce. Decisamente troppa luce. Il soffitto era bianco, così come le lenzuola. La luce che mi aveva insospettito entrava da una portafinestra con due tende chiare a lato … UN MOMENTO! Camera mia aveva il soffitto azzurro, le lenzuola erano arancioni, e non avevo una portafinestra. Ma cosa cazzo …? Poi ricordai, come in un lampo che fece aumentare il mio mal di testa. Era come se avessi delle talpe che scavavano nella mia testa, dei nanetti che picconavano nella roccia, un martello pneumatico. Tutto nella mia testa. E in un attimo realizzai. Mi girai di scatto, la testa che protestava. Ero da sola. No, c'era qualcosa che non andava, se ricordavo bene. Un rumore come di pioggia arrivava da lì vicino, un brusio soffocato … ma se c'era il sole ? Poi realizzai, era l'acqua di una doccia. Mi alzai con cautela, mi misi a sedere sul bordo del letto, guardai la sveglia sul comodino: erano le sei del mattino. Dovevo ricordare qualcosa di importante, ne ero sicura … ma cosa? Cazzo! Il processo! Mi agitai invano prima di ricordare che l'udienza era alle dieci, avevo ancora tutto il tempo … tempo per capire. Qualcuno, e avevo una precisa idea di chi fosse quel qualcuno, chiuse l'acqua della doccia. Un rumore indefinito, poi si aprì la porta del bagno

"senti io …  "

"ecco, vedi … " scoppiammo  a ridere. Pessima idea, pensai tenendomi la testa fra le mani. Notai un bicchiere e la carta di un'aspirina: allora non ero l'unica ad avere mal di testa!

"stai bene?"

"no. Non urlare" cercavo di parlare il meno possibile, ma dovevo capire "senti, io … no, lasciamo finire" parlavo a bassa voce, quasi sussurrando, cercando di non pensarci "non so cosa mi sia preso, ma non volevo … " come glielo spiego? Il tatto non era mai stato il mio forte.

"non importa" la sua voce, per quanto cercasse di non darmi fastidio, era sempre troppo alta. Mi massaggiai le tempie: ah! "davvero, Chantal … si vede che doveva andare così. Proporrei … "

"di metterci una pietra sopra?" completai, senza sapere cosa volesse dire. Se la pensavo come lui o meno, non lo diede a vedere.

"certo. E imbocca al lupo per l'udienza"

"crepi " mormorai, cercando di raccattare i miei vestiti. Tornai a casa cercando di evitare le strade principali, non so se avrei resistito a sentire i clacson delle auto. Cercando di non fare rumore aprii la porta e andai in camera mia, chiudendo la porta. Se conoscevo mia madre, si sarebbe svegliata di lì a poco, non si alzava mai prima delle sette. Tirai indietro le lenzuola e sgualcii un po' il cuscino, come se ci avessi davvero dormito in quel letto. Stupida! Sei grande, devi avere paura di tua madre? No, non ne avevo paura, ma non avevo intenzione di darle spiegazioni, quando faticavo a capire anch'io, quando anche solo pensare era una tortura. Mi svestii e cercai nel cassettone qualcosa contro il mal di testa. Buttai giù due aspirine senz'acqua, non potevo andare di là, non ancora, o anche Cathy si sarebbe insospettita. Non lo volevo dire a nessuno, erano affari miei. Erano problemi miei se sbagliavo. Aprii l'armadio, cercando la mia divisa della Marina. Non la mettevo da anni, ma mi andava ancora. Qualcuno bussò alla mia porta. Cercando di ignorare le fitte alla testa, spalancai la porta. Mamma, come previsto.

"nervosa?"

"si, abbastanza"

"sei bellissima" commentò, guardandomi mentre mettevo la giacca bianca. presi il cappello

"vado"
"ma dove vai? Sono solo le sette, non fai colazione?"

"no, non mi va di mangiare. Vado alla CIA, devo sistemare alcune cose" non era vero, avevo solo bisogno di sprofondare nel silenzio del mio ufficio.

Strano, pensai, sedendomi alla scrivania. c'era più pace in un posto dove lavoravano migliaia di persone che in una casa con tre donne.

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Capitolo 18
*** -capitolo 19: non urlare! ho mal di testa! ***


buongiorno a tutti/e! 
finalmente riesco ad aggiornare ;)
spero abbiate passato delle belle vacanze! io sto uscendo da un incubo che vedeva genitori, suoceri, fratello e cognati tutti da noi, dato che nessuno voleva far strapazzare la piccola con un viaggio e tutti volevano passare le vacanze insieme -.-" (vi lascio immaginare)
ad ogni modo, ora figli e marito dormono, e io non vedo l'ora di finire la maternità e tornarmene al lavoro :D

GRAZIE MILLE, di cuore, a tutte le persone che recensiscono/leggono/seguono questa storia! non sapete quanto mi faccia piacere :)


19-non urlare! Ho mal di testa!

Alla CIA c'era sempre un brusio di sottofondo, una cosa lieve, un bell'antidoto contro il mal di testa.

"cosa ci fai qui?"

"non urlare, ho mal di testa!" fulminai Anne con lo sguardo. Lei e la sua voce squillante.

"cosa ci fai qui?" ripeté, sussurrando. Gliene fui grata, per una volta.

"beh, ci lavoro. Fai tu"

"gentile come sempre. Intendevo, cosa ci fai qui oggi? Non dovevi andare all'udienza?"

"più tardi" risposi, a mo' di scusa. 

La sala 15 del tribunale era gremita di gente, e non erano ancora le dieci. Tra militari, curiosi e giornalisti, ci dovevano essere un centinaio di persone. Mi chiesi come facevano a starci, ma la mia mente, torturata da un martello pneumatico, non trovò una risposta.

Il mal di testa sparì, o meglio me ne dimenticai, non appena vidi l'avvocato del JAG che mi stava aspettando

"ciao" mormorai, attenta a non alzare troppo la voce.

"Chantal " sussurrò in risposta. Ma la sua voce mi sembrò comunque troppo alta.  "sei pronta?"

"sono domande da fare?" mi sentivo esposta, indifesa, quando per tutta la vita avevo evitato di rispondere a molte domande per non doverne sorbire le conseguenze. A un tratto i giornalisti si accalcarono sulla porta. Mi voltai dall'altra parte, pensando fosse arrivato Smith, ma mi sbagliavo.

"Barnes!" esclamai, contrariata "stai monopolizzando l'aula" feci notare

"come stai?"

"cosa te ne frega?" quando ero nervosa tendevo a rispondere peggio del solito. Cosa  che , in un processo, non era certo il massimo del vantaggio.

"stai abbastanza bene da rispondermi male. rassicurante"

"vai a sederti, và " feci un gesto indefinito con la mano. Il fischio del microfono mi riportò alla realtà, realtà da cui avrei desiderato sfuggire con tutte le mie forze. Ma, per quanto potessi correre veloce, mi avrebbe preso, prima o poi. La fedele e rigorosa giustizia militare americana. Puah!

Entrò la corte, giudice con la barba lunga  e la divisa dei Marine, cancellieri dell'esercito. Andiamo bene, nemmeno uno della Marina! Non sentii il giudice ringraziare e invitare a sedersi, ma lo fece il mio avvocato. E lo seguii. l'accusa fece il suo spettacolino, con tanto di movimento teatrale delle mani. Ormai ci ero abituata. Fare espressioni esagerate e grandi passi per sottolineare un concetto: il motivo del ricorso.

"la difesa chiama al banco dei testimoni l'agente Chantal Rolland" annunciò il mio avvocato. Un momento! Era il mio turno. Calma, Chantal. Con un respiro profondo, mi avvicinai al giudice. Il cancelliere dovette ripetermi due volte se avevo capito che ero sotto giuramento. Balbettai un sì. c'erano centinai di occhi puntati su di me. Ma cosa volevano? c'erano processi militari tutti i giorni, nella nostra città.

"lei è l'agente Rolland Leroy Chantal?" chiese l'avvocato dell'accusa. Sistemai nervosamente il cappello che era finito, inconsapevolmente, sulle mie ginocchia

"sì" risposi, cercando di suonare decisa. Non so se ci riuscii, e feci un altro respiro profondo.

"ed è stata in servizio attivo sulla portaerei da guerra americana chiamata Enterprise?"

"sì, signore"

"per quanto tempo è rimasta a bordo?" Dio, ma quante domande! Come se non me lo avessero chiesto già decine di volte, all'epoca del processo.

"diciotto mesi"

"e, precisamente, di cosa si occupava?"

"eravamo reclute, ci occupavano della pulizia e del rimessaggio degli aerei"

"quando dice eravamo …?"

"intendo i quindici cadetti assegnati alla Enterprise, me compresa, signore" spiegai. Mi era tornata la voce calma di sempre, quel tono con cui sembrava che non me ne importasse più di tanto. E forse, ormai, era davvero così.

"in quell'occasione conobbe il tenente colonnello Smith ?" lo indicò con una mano. Preferii non guardare da quella parte. Il mio sguardo si fermò invece su un altro inglese, con un'espressione fra il teso e il preoccupato, seduto in prima fila. Ma non riuscivo a concentrarmi, perciò lasciai perdere. Lasciai che il mio sguardo vagasse nel vuoto, lasciai che la mia mente si svuotasse del'odio che provavo in quel momento, dei ricordi piuttosto nitidi della notte precedente, del mal di testa che stava passando.

"sì, signore"

"le dispiacerebbe raccontare alla corte in che occasione vi siete conosciuti?" a dire il vero sì.

"se avete letto gli atti del processo, lo sapete già" stavo perdendo la calma, nonostante tutto. Avrei voluto avere più spazio nella mia testa, più spazio per analizzare i miei pensieri uno ad uno, per capire cosa c'era che non andava. Ma non ce l'avevo, e dovevo fare i conti con la realtà. Guardai l'avvocato sorridere e scambiarsi un'occhiata con Smith.

"certo, ma credo che la corte voglia risentire la vicenda dalla sua voce … "

"obbiezione, vostro onore! l'avvocato non può sapere cosa pensa la corte"

"accolta" mormorò il giudice, forse più per evitare discussioni che per altro "avvocato, riformuli la domanda" l'avvocato dell'accusa -non sapevo ne mi interessava il suo nome- sorrise di nuovo. Probabilmente era felice di avermi messo in difficoltà

"i suoi rapporti con il tenente colonnello Smith, possono definirsi più che professionali?"

"obbiezione!" il mio avvocato, con la sua bella divisa, si alzò in piedi, arrabbiato.

"respinta. Agente, risponda" mi fece un cenno con la mano. Chiusi gli occhi per una frazione di secondo, immaginandomi di trovarmi da un'altra parte. Perfino in Inghilterra. In quel momento sarei stata felice di trovarmi anche a Londra.

"suppongo di sì, signore"

"si spieghi meglio"

"non capisco cosa voglia dire" risposi, in tono di sfida "ho già risposto alla sua domanda"

"lei aveva una relazione con il mio assistito?" non usava mezzi termini, questo qua. Anche se forse relazione non era il termine giusto. Era stata una cosa a senso unico. Ero stata talmente stupida da non accorgermi che mi aveva mentito per tutto il tempo. 

"sì"

"bene, non ho altre domande. Avvocato, è tutta sua" con un cenno ossequioso si risedette. Mi aveva trattata come se la traditrice fossi io. Lo pensavano in molti, ma non poteva influenzare così la corte. No, non  poteva, ma l'aveva appena fatto.

"Chantal, ti aspettavi un ricorso, dopo tanto tempo?" chiese semplicemente. Fui felice di poter rispondere.

"no, certo che no"

"e hai idea del perché?"

"no. Insomma … se avesse voluto fare ricorso, l'avrebbe fatto subito. Non credo abbia senso aspettare così tanto tempo"

"obbiezione! Le opinioni della teste non sono l'oggetto di queste udienza … "

"a dire il vero sì, vostro onore. Come sancito dalla sentenza 12 340 965, in merito a questo stesso caso, la mia assistita, l'agente Rolland, non è stata incriminata perché si era limitata a seguire gli ordini..."

"va bene, avvocato, continui. Ma eviti di chiedere il parere della teste a ogni osservazione"

"Chantal, perché ti avevano incaricato di 'fare da guida' al tenente colonnello Smith?"

"l'ammiraglio sapeva della mia 'amicizia' con il tenente e , credo, pensò che sarei stata la persona migliore per mostrargli come funziona una portaerei statunitense"

"te lo ordinò?"

"certo. Era il mio diretto superiore, ed ero tenuta a seguire ogni suo ordine."

"la difesa ha finito, vostro onore"

"l'accusa ha altre domande, avvocato?" chiese il giudice all'altro avvocato.

"a dire il vero sì, signor giudice" si alzò e venne verso di me "lei sa, agente, che sono vietate relazioni  intime che discostino dall'amicizia, tra i membri dello stesso equipaggio?"

"lo so, signore. Come lo sa ogni buon marinaio. Ma lei dovrebbe sapere che il tenente colonnello non faceva parte del nostro equipaggio, in quanto ufficiale dell'esercito inglese. Perciò, io non stavo infrangendo nessuna regola"

"vedo che si è tutelata bene" commentò

"è la realtà. Non ho mai infranto le regole" non avrei dovuto rispondere così. In realtà non avrei dovuto rispondere e basta. E infatti …

"agente Rolland " mi riprese il giudice "si limiti a rispondere alle domande"

"certo. Mi scusi, signore"

"avvocato, ha altre domande?"

"lei avrebbe potuto disobbedire agli ordini?"

"così sì che avrei infranto le regole, signore " fu il mio turno di sorridere. Un sorriso tirato, falso. Lo feci solo per vedere la sua reazione.

"intendevo, se avesse sospettato che il tenente colonnello potesse vendere delle informazioni"

"a quanto pare il tenente Smith è un ottimo attore"

"o lei era troppo  … infatuata … da non accorgersene"

"non le permetto di parlarmi in questo modo. I miei sentimenti sono affar mio" sentivo le lacrime bruciare agli angoli degli occhi. Non poteva trattarmi come una sgualdrina. Tutti si prendono una cotta, ma io sono stata una delle poche sfigate a cui è andata male.

"vostro onore, chiedo un rinvio a domani, per consultarmi con la mia assistita e con l'avvocato della controparte" intervenne il mio avvocato. Forse aveva notato la mia espressione.

"come volete. La corte si aggiorna a domani pomeriggio alle quattordici." batté il  martello su quello strano sostegno di legno e mano a mano le persone si affollarono verso l'uscita dell'aula.

"scusa" mormorai, respirando profondamente.

"non è colpa tua. Quell'avvocato è una vipera" rispose, solidale. Poi diede uno sguardo alle mie spalle, dove io non potevo vedere "io vado. Se riesci a venire oggi pomeriggio nel mio ufficio, possiamo discutere su come andare avanti"

"certo. Farò in modo di esserci" sembrava avesse fretta. Chissà, forse aveva un altro impegno. Mi rimisi il cappello e feci per uscire.

"Chantal !" solo una persona poteva pronunciare il mio nome in quel modo sgraziato. Persino Smith riusciva a dargli una parvenza di americano. Ma non dovevo pensare a lui, non adesso.

"cosa vuoi?" risposi, poco gentilmente.

"sempre più gentile" commentò. Stava ridendo, lo sentivo. Mi girai di scatto, quasi rischiando di perdere l'equilibrio.  "come va il mal di testa?"

"meglio. Il tuo?"

"niente di insopportabile" scrollò le spalle "ti va di andare a fare colazione?" ci pensai. Non che non ne avessi voglia, un bel caffè era proprio quello che mi serviva.

"non posso"

"o non vuoi?"

"non posso" ripetei, prima di andarmene, lasciandolo lì. Ero stata una stronza, lo sapevo. Ma era l'unico modo che conoscevo per non dover affrontare i miei problemi. Tornai in ufficio. Effettivamente, avevo da fare.

Mi sedetti dietro alla scrivania. Un mucchio di scartoffie ingombrava la superficie nera e lucida. Le presi, una dopo l'altra, compilando i campi in bianco e firmando quello che era già scritto. Per la maggior parte erano gli iscritti al corso di difesa personale, che curavo da qualche mese, da quando il responsabile del reclutamento era andato in pensione.

"Rolland!" urlò Anne. Era appena all'inizio del corridoio. Aspettai che si avvicinasse, prima di rispondere.

"già che ci sei chiamami dall'ingresso" mormorai, acida. Si fermò davanti alla mia scrivania, l'espressione esasperata "cosa c'è?" scosse la testa, come per scacciare un brutto pensiero. Ripetei la domanda, e sembrò riprendersi.

"tu non hai idea … sono arrivati quattro stranieri …. Non capisco un'acca!"

"non sei mica stata assegnata alle pubbliche relazioni perché parli tante lingue?" chiesi, stupita. Era una specie di interprete autodidatta.

"arabo, spagnolo, egiziano, turco … ma questi proprio non li capisco" si prese la testa fra le mani

"non abbiamo mica una squadra d'interpreti?" mi chiesi cosa ci faceva lì, quando qualche piano più sotto c'era un'equipe specializzata in lingue e compagnia bella.

"è un nostro caso … un tuo caso, in effetti"

"quale?" mi preparai a digitare al computer

"oh, è inutile che lo cerchi, sono documenti riservati anche per il nostro archivio … è il caso della bomba di Jakarta " lo ricordavo benissimo, forse perché mi assegnavano sempre casi in cui c'entravano le esplosioni. Con un carattere come il mio, anche le bombe lasciavano perdere.

"va bene, va bene … vediamo cosa si può fare. Dove sono?"

"di sotto. Le guardie non li fanno passare se non capiamo cosa vogliono"

"sì … arrivo … dovrebbe arrivare anche mia madre. Le avevo promesso che sarei tornata a casa" Anne alzò gli occhi al cielo. Lei non aveva una madre che pretendeva di trattarla come se avesse quindici anni. Lei non aveva appena passato la notte con un uomo che detestava cordialmente. Ma questo era meglio non dirglielo.  Scoprii che mia madre stava amabilmente conversando con gli stranieri che tanto preoccupavano la mia collega. Sbuffando, preparata alla sgridata, mi avvicinai

"maman"

"oh, ciao, Chantal. Questi gentili signori mi stavano raccontando di casa loro. Lo sai che ho sempre sognato andare in Francia … "

"sono francesi, Simmons" annunciai, lasciando perdere mia madre.

"ecco perché non li capivo! Sembrava quasi italiano"

"sì, ci assomiglia" le diedi ragione. Parlavo bene francese, e anche qualcosa di italiano. Dato che erano tanto simili …

Era un francese strano, anche se forse ero io a non parlare il vero francese, come sostenevano loro. Anche se non ero molto incline a dargli ragione. Il francese parlato in Quebec era 'd'importazione', così come l'inglese dell'America. Ma nessun canadese, me in testa, l'avrebbe ammesso davanti a quattro parigini. Erano già le cinque quando mi ricordai che dovevo andare nell'ufficio del capitano di corvetta che mi faceva da avvocato. Mi fermai con uno scivolone davanti alla porta del suo ufficio, dalle parti di Norfolk, e bussai, ansante. Era tardi, avevo trovato traffico, ma sperai che fosse ancora in ufficio. un avanti soffocato confermò le mie speranze.

"scusa il ritardo. Ero nei guai con un paio di francesi … " ma non era solo  "e lui chi è?" chiesi, con fare indagatore. Dopotutto, era il mio lavoro.

"un amico, Chantal. Forse ci può aiutare" lo lasciai andare avanti "pensavamo di seguire la stessa linea dell'altra volte … siediti pure … "presi posto "tu hai seguito solo gli ordini, e niente di quello che potranno dire riuscirà a provare il contrario"

"non ho intenzione di scoppiare a piangere in aula un'altra volta" mormorai, decisa.

"hai ragione, anche se non sarebbe male … potrebbe intenerire la corte. "

"assolutamente no! " ribattei ,sempre più decisa

"scherzavo … scherzavo … " disse, pacificamente. Anche se non mi convinse del tutto. 

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Capitolo 19
*** capitoli 19b/20: lo vedi che non ascolti?&ti sembra normale, cara, che voglia andare a lavorare quando oggi pomeriggio deve andare in aula?sono affari miei, non della commercialista. vado dove voglio ***


Per vostra (s)fortuna, sono tornata!

La mia vita è tornata alla normalità -sono tornata al lavoro, finalmente- ed è anche ora che aggiorni.

Quindi …per farmi perdonare, posto due capitoli, di cui una specie di EXTRA.

Parlando di cose serie …

Riassunto delle puntate precedenti: mi è stato chiesto di abbassare il rating. Togliendo il motivo per cui mi è stato chiesto, la domanda mi ha fatto pensare. e, dato che io non so assolutamente valutare il rating delle storie -per inciso, per me è rosso qualsiasi cosa che non vorrei far leggere a mia figlia, quindi un sacco di cose-, ho girato la domanda a tutti quelli che seguono/preferiscono/ricordano/recensiscono questa storia. Avrei voluto chiederlo a tutti coloro che la leggono, ma purtroppo non posso :(

Ad ogni modo, so che la gente ha cose molto più importanti da fare che stare dietro a me e alla mia incapacità di valutare le storie … ma qualcuno ha trovato il tempo di rispondermi -e vi ringrazio ancora per questo-, perciò, per chiarezza, pubblico i risultati di questo 'mini sondaggio':

Su 14 messaggi inviati, ho ricevuto 8 risposte, di cui 6 positive al cambiamento di rating.

Viva la democrazia e … ho abbassato il rating ad arancione, sperando di non sforare più avanti!

Chiunque avesse voglia di darmi il suo parere, è ben accetto, ma ora è meglio che vi lasci ai capitoli

Baci

SaraViktoria

 

19b- lo vedi che non ascolti? (questo è una specie di capitolo extra, che ho aggiunto dopo aver scritto la storia, perché credo ci volesse un momento in cui Chantal salva Ben :-) )

"sì, ci dev'essere un parco … di là … " risposi, vaga. Non ero una guida turistica, ne tantomeno un ufficio informazioni.

"da quanto abiti qui?" chiese lui, scuotendo la testa

"non vado per parchi. Tra l'altro, c'è una cartina della città, all'ingresso del dipartimento" liquidai, tornando a occuparmi delle mie cose. Io, a differenza di qualcuno, dovevo lavorare.

"beh, allora vado. Salve ragazze" alzai la testa per salutare, mentre Anne si proferiva in smancerie varie.

Ero in pausa pranzo. Era il mio momento sacro, tanto che Barnes e parchi vari erano usciti dalla mia testa. Finché non sentii degli spari

"ma cazzo!" esclamai sottovoce, tirando fuori la pistola. Sperai fosse un regolamento di conti tra ragazzini. Le bande della zona intorno a Langley avevano preso la città come territorio franco, non sarebbe stata la prima volta. Tirai fuori anche il tesserino, non si sa mai.

Erano due bande di ragazzini, si sparavano da dietro due cassonetti. E nascosto dietro a un terzo, le braccia sulla testa …

"Barnes, cosa ci fai qui?"

"visito la città!" scherzò, con la voce che tremava. Scusate, ma la polizia dov'era?

"Claire, sono Chantal. c'è qualche civetta della polizia vicino a Red n Rose?" chiesi, velocemente al telefono. Claire era la centralinista del mio dipartimento, quella che si occupava di non farci finire nei guai, e di far intervenire la polizia al momento giusto.

"una. È sulla ventitreesima. Ti serve?"

"grazie"

L'autopattuglia ci raggiunse qualche minuto dopo e, con un paio di colpi sparati in aria, mise in fuga i ragazzini

"tu non puoi sparare?" chiese Barnes, quando gli spiegai il perché di quei due agenti di polizia

"Lo vedi che non ascolti? Ti ho detto solo che l'ultima volta ho sparato in Venezuela e che è meglio evitare un collegamento con quel posto"

"cosa ci facevi in Venezuela?"

"lavoro,Barnes. IO lavoro"

Rimase in silenzio mentre lo riaccompagnavo in hotel. Avevo salvato un uomo, la maggior parte dei miei colleghi -Anne compresa- mi avrebbe criticata. 'dovevi lasciar fare a lui' e 'agli uomini piace sentirsi tali', già li sentivo. Inutile dire che me ne fregavo.

"e vedi di non metterti più nei guai" mormorai, minacciosa.

"perché? Ti dispiacerebbe se mi succedesse qualcosa?"

"non voglio riempire decine di moduli per salvarti la vita" risposi, acida.

 

20-ti sembra normale, cara, che voglia andare a lavorare, quando oggi pomeriggio deve tornare in aula? Sono affari miei non della commercialista. Vado dove voglio.

"tesoro, ti sembra il caso?"

"sì, mamma. Mi sembra il caso"

"di cosa parlate?" intervenne Cathy

"oh, ma fatti un po' gli affari tuoi!" esclamai, arrabbiata. Non bastava mia madre. No, doveva mettercisi anche lei.

"non trattare così la povera Cathy. A proposito, vediamo cosa ne pensa: ti sembra normale, cara, che voglia andare a lavorare, quando oggi pomeriggio deve tornare in aula?" la fermai prima che la mia coinquilina potesse rispondere.

"sono affari miei, non della commercialista. Vado dove voglio. Senti, Cathy, per il contratto?" mia mamma non capì.

"ho parlato con il padrone di casa. Dice che non ce lo vuole rinnovare"

"quanto abbiamo?" gli avvenimenti di quel periodo me lo avevano fatto dimenticare. A dire il vero, ci avevo pensato solo quando mia madre aveva chiesto un parere a Cathy

"purtroppo solo cinque giorni.. Volevo dirtelo prima, ma eri così occupata … " si preparò a una sfuriata. Che non arrivò, ero troppo stanca.

"cinque giorni per trovarci un'altra casa? Tu che fai?"

"non lo so … magari torno dai miei"

"penserò a qualcosa … no, mamma, non torno in Canada " anticipai, mentre lei apriva la bocca "devo andare. Se mi cerchi sono in palestra con le reclute" arrivai alla CIA. Ormai iniziava a fare caldo, erano i primi di aprile. Aprile significa primavera. Primavera a cui mi ero abituata solo da qualche anno.  Gli alberi che fiorivano, i marciapiedi pieni di petali mi erano sempre sembrati un impiccio.

"buongiorno" borbottò qualcuno, quando mi sedetti. Intorno a me c'erano almeno dieci scrivanie. Non conoscevo o non ricordavo i nomi degli occupanti. e, in tutta sincerità, non mi interessava. Sapevo il nome di Anne perché lavoravamo sempre insieme. Non risposi al saluto, non l'avevo mai fatto. Non che mi importasse stare simpatica ai miei colleghi, anzi …

Mi cambiai negli spogliatoi, prima di raggiungere le reclute che, ordinate come soldatini, aspettavano. Andavano al tappeto con fuscelli. Quello che resisteva di più -per puro caso e fortuna- reggeva qualche decina di secondi. Ero sicura che, dopo un'ora con me, avrebbero avuto molta meno voglia di diventare agenti.

"e tu cosa ci fai qua? Che fai, mi segui?" chiesi, notandolo solo in quel momento.

"volevo vederti torturare le reclute"

"io non torturo  nessuno, Barnes"

"caffè?" alzai le spalle

"chiamo la Simmons " mi fermò con una mano

"preferirei se andassimo da soli"

"chiamo la Simmons " ripetei. Questa volta non avrei sentito scuse. Naturalmente Anne fu molto felice di prendere un caffè con il suo idolo, con mille argomenti di conversazione a disposizione per distrarmi. Ogni tanto la usavo, dovevo ammetterlo.

"Simmons, hai per caso sentito di qualcuno che cerca una coinquilina?"

"perché, hai litigato con Kate?"

"Cathy " corressi, in automatico "ma non è per quello. È che non ci rinnovano più il contratto"

"puoi venire da me" si offrì Barnes

"neanche se fosse l'ultima casa sulla terra" mormorai, a bassa voce "Simmons?" era gradita una risposta. Dio, pensavo come un questionario a risposta multipla!

"ora che mi ci fai pensare … " fissava un punto imprecisato sopra le mie spalle "ho sentito che uno che lavora nel nostro ufficio sta cercando qualcuno con cui condividere casa"

"mi sembra perfetto" cercai di mostrarmi entusiasta, con ben poco successo. Per me era indifferente, bastava un letto, un bagno e un posto dove fare colazione

"ti faccio avere il numero. Ci sei stasera?"

"suppongo di sì" guardai l'orologio "scusate, ma devo andare in tribunale. Simmons, Barnes "

Gli lasciai lì, per la gioia della mia collega. Che però si era rivelata utile. Non avevo capito a  chi si riferiva, ma il fatto che lavorasse con noi era un'ottima cosa.

Arrivai in aula con netto anticipo. Ma non ce l'avrei fatta a rimanere ancora al bar con quei due. Ecco, loro due sarebbero stati bene insieme: Anne lo adorava, e lui adorava parlare della sua vita, di questo o quel film. Mi sedetti al mio posto, aspettando che arrivassero tutti. c'era più gente del giorno prima, dovevo immaginarlo. Soprattutto dopo che la critica televisiva mi aveva screditato davanti a mezza nazione.

"se non sbaglio, agente Rolland, ieri mi ha detto che lei si è limitata a seguire gli ordini" ero seduta di nuovo al banco dei testimoni, il cappello in mano. Non sapevo se sarebbe arrivato alla fine dell'udienza

"certo, signore" mormorai, in modo che mi si sentisse appena. Non ero sicura di poter tenere la voce ferma, e dovevo evitare qualsiasi cedimento.

"conferma?"

"certo, gliel'ho appena detto!" ma cavolo!

"mmmhh … ma dato il suo bel caratterino, nessuno si aspetterebbe che rispetti gli ordini"

"forse lei la pensa così. Ma saprà anche che non importano le opinioni di un marinaio rispetto a un ordine. Si fa e basta"

"l'ha letto da qualche parte, per caso?"

"obbiezione!"

"accolta" acconsentì il giudice "avvocato, si limiti a fare domande pertinenti" lui sorrise. Aveva in mente qualcosa, lo sapevo. Ma purtroppo non sapevo leggere nel pensiero.

"come il suo avvocato ha ricordato ieri in questa stessa aula, siamo qui perché il mio cliente -e io di conseguenza- siamo convinti, anzi, sappiamo per certo, che lei ha acconsentito volontariamente a fornire informazioni al tenente colonnello Smith" tutti continuavano a dargli un grado nonostante il congedo. Con disonore, per giunta. E certo, perché loro credevano che la colpa fosse mia.

"credo che acconsentire non sia la parola giusta, signore. Come lei ha appena ricordato, e come io cerco di spiegare da anni, avrei dovuto farlo anche se non avessi voluto. Il fatto che per me non ci fosse niente di male non c'entra. Sono solo un marinaio" forse ero stata troppo impertinente, forse avrei dovuto rispondere in modo diverso. Ma io ero fatta così, e la gentilezza non era il mio forte.

Si accordarono per un altro rinvio. Ma doveva essere un ricorso eterno? Non ne ero molto d'accordo, soprattutto perché non vedevo l'ora che finisse tutto, per tornare a rintanarmi nel mio guscio e far finta che non fosse successo niente.

"si può sapere cosa ci fai ancora qua?" chiesi, contrariata. Si era appostato dietro la porta del tribunale, bloccando il passaggio, dato che la maggior parte dei giornalisti si fermava per fargli qualche domanda.

"volevo entrare, ma la guardia … " indicò un uomo in divisa che lo guardava male dall'altro lato del corridoio "ha detto che avevate già iniziato"

"sono le regole. Se vuoi entrare devi arrivare prima, Barnes" mormorai, avviandomi verso l'uscita. Mi inseguì, i passi che rimbombavano nonostante il caos.

"aspetta!" tese un biglietto "me lo ha dato Anne. È il nome di quel vostro collega che cerca un coinquilino" lo misi in tasca. l'avrei chiamato più tardi.

Logica avrebbe voluto che, dato che lavoravamo insieme, lo cercassi per parlarci. La verità era che io conoscevo meno di un decimo dei miei colleghi. Degli altri non sapevo nemmeno il nome. Quest'uomo rientrava nel secondo gruppo.

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Capitolo 20
*** capitolo 21: non ero una di quelle persone che decidono di passare la vita in laboratorio. l'avrei anche fatto, ma solo per un breve periodo di tempo, e solo se ne fossi stata costretta ***


ecco un nuovo capitolo!
per una volta posso dire di aver aggiornato in fretta... pausa pranzo -lo so, non è proprio l'orario giusto-, pc e un'insalata enorme davanti a me... direi che non posso chiedere di più!
buona lettura,
baci
SaraViktoria


21-Non ero una di quelle persone che decidevano di passare la vita in un laboratorio. l'avrei anche fatto, ma solo per un breve periodo di tempo, e solo se ne fossi stata costretta.

 

"pronto? Ciao, sono l'agente Rolland, dell'ufficio di Protezione. Una mia collega dice che cerchi qualcuno con cui dividere casa"

"ah … sì. Sei per caso Chantal?" chiese. Aveva una voce bassa, quasi da tenore. E sembrava gentile.

"sì. Ci conosciamo?"

"ogni tanto passo al vostro piano. E beh … sì, cerco un coinquilino. Se per te non ci sono problemi … "

"certo che no" risposi, sbrigativa. Prima concludevamo, meglio era.

"bene. Sarebbe la metà di tutte le spese e, se per te va bene, cuciniamo a turno, se siamo a casa"

"perfetto. Quando posso venire?"

"come? Non vuoi vedere la casa?"

"mi fido. Quando posso venire?" ripetei.

"anche domani, se puoi. Il padrone di casa dovrebbe rinnovare il contratto fra qualche giorno, farò aggiungere il tuo nome. Se puoi farmi avere le fotocopie dei tuoi documenti … "

"senti.. Dove lavori? "

"al Dipartimento di Ricerca Nucleare"

"va bene, ci vediamo domani. ciao"

"ciao"

Il giorno seguente mi avventurai per il Dipartimento di Ricerca. Non ci ero mai stata  e dubitavo che ci sarei tornata di mia volontà. Si sentivano cattivi odori e botti da tutte le parti, gente in camice che correva avanti e indietro. Diciamo che le materie scientifiche mi avevano sempre attirato, ma fino a un certo punto. Non ero una di quelle persone che decidevano di passare la vita in un laboratorio. l'avrei anche fatto, ma solo per un breve periodo di tempo, e solo se ne fossi stata costretta.

"sto cercando James Collins" urlai a un matto con un paio di occhiali da sub intento a fare un rumore infernale con due bacchette di qualcosa. Con una mano letteralmente nera di quello che sembrava grasso, indicò dietro di sé. Sulla porta bianca campeggiava il simbolo di una testata nucleare. Suonai una specie di campanello e venne un uomo. Era alto, sui trentacinque anni, la pelle scura, i capelli lunghi legati in una coda, indosso una muta blu piuttosto larga

"Chantal?" annuii. Si tolse il cappuccio e mi fece segno di seguirlo. Raggiungemmo un laboratorio con pareti, pavimenti e superfici bianchi immacolati. Quella era l'idea che avevo io di un laboratorio. Iniziò a trafficare con delle provette "mettiti un paio di occhiali" mi lanciò degli occhiali di protezione molto simili a quelli da vista, ma con delle bande trasparenti anche di lato

"grazie per essere venuta, oggi ho particolarmente da fare. Allora … sarebbe un appartamento in Birmingham Street, vicino al parco comunale. c'è una cucina che serve anche da salotto, due camere, un piccolo sgabuzzino e un bagno, uno solo" per questo avevo voluto incontrarlo, perché è facile mentire al telefono, e io lo sapevo bene. Ma sapevo inquadrare bene le persone, solo vedendole in faccia. E questo ragazzo mi piaceva. Sembrava gentile, amava il suo lavoro e ci metteva passione. E poi, ricordò una vocina nella mia testa, lavoravamo insieme, in che rendeva superflue molte bugie che avevo dovuto propinare a Cathy

"per me va bene. Posso portare le mie cose anche stasera, se non è un problema" ci accordammo per quella sera alle otto. Sarebbe stato ancora chiaro, ora che era primavera. Era strano per me che il sole resistesse più tardi delle cinque, ma ci stavo facendo l'abitudine. Come a tutte le altre stranezze degli States

"Simmons, cazzo, ti sembra il modo di spuntare, così?" esclamai , arrabbiata. Avevo svoltato in un corridoio sotterraneo per tornare nell'ala sud, al mio ufficio, e me l'ero ritrovata davanti.

"scusa !" rispose, alzando le mani "allora, hai trovato una casa"

"sì " rispondevo spesso a monosillabi. Evitava domande superflue e ti faceva risparmiare ossigeno. Soprattutto se stavi salendo le scale. Mi lasciò all'inizio di un corridoio. Proseguii da sola, fin quando non la vidi seduta alla scrivania, che mi aspettava.

"hai già letto il fascicolo?" chiese, indicandomi.

"ma chiedermelo prima?" gli diedi una rapida sfogliata "di cosa parla?"

"e io che ne so? Mica l'ho letto, aspettavo te" mormorai un 'deficiente' ma in modo che non mi sentisse.

Iniziò a leggerlo anche lei. Naturalmente era più veloce di me, non che io avessi tutta questa voglia, comunque …. Chiudemmo il fascicolo nello stesso istante

"illuminami"

"mi spiace, non ho la torcia" risposi. Forse pensò di lanciarmi qualcosa, ma lei era quella buona, l'eterna bambina, quella che si innamora degli attori famosi, perciò non lo fece. A una battuta del genere io le avrei tirato come minimo un portapenne.

"salve ragazze"

"mi spiegheresti cosa ci fai qui? Ancora?" mormorai, arrabbiata, girandomi di scatto. Ma cavolo, gli interessava tanto il nostro lavoro?

"non posso venire a trovavi?" chiese Barnes.

"no" risposi

"certo che sì" disse Anne, nello stesso momento.

"beh, ormai  sono qui" presi mentalmente nota di fare qualcosa- qualsiasi cosa- per impedirgli l'accesso ai nostri uffici. Mi dava fastidio che qualcuno stesse ad osservarmi mentre lavoravo. In realtà, mi dava sui nervi anche che qualcuno si facesse gli affari miei. Se si chiamano 'affari miei' un motivo ci sarà. Un motivo che la maggior parte delle persone non riusciva a capire.

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Capitolo 21
*** capitolo 22: è un'inchiesta militare! non siamo l'NCIS! ***


buongiorno a tutte! finalmente torno a farmi viva :)
so che ci metto sempre un sacco ad aggiornare, e mi scuso ancora una volta.
buona parte della storia è già scritta, al sicuro nel computer, ma purtroppo mi manca sempre il tempo di correggerla e pubblicarla :(
comunque, GRAZIE MILLE... 38 recensioni! 
detto questo, 
buona lettura
baci
SaraViktoria

22-è un'inchiesta militare. Non siamo l'NCIS!

"Rolland, dove vai?"

"e cosa sei, il mio capo?" chiesi, in risposta. Fortunatamente, era il contrario. Non ero tenuta  a rendere conto a lei dei miei spostamenti.  Vagai per i corridoi fino all'ala nord, dalla parte opposta rispetto ai nostri uffici. Era dove si trovavano gli uffici di 'comando'. Il direttore e i suoi vice controllavano tutto da lassù. Avevo capito a sommi capi di cosa parlava il fascicolo, e non ero molto d'accordo

"noi non ci occupiamo di inchieste" obbiettai qualche minuto dopo, davanti al direttore Petraeus.

"avanti, Chantal, non sarebbe la prima volta!"

"è un'inchiesta militare. Non siamo l'NCIS!" e io non collaboro con nessuno, aggiunsi mentalmente.

"l'NCIS si occupa principalmente di decessi, dovresti saperlo. Ad ogni modo, il caso rimane alla CIA, e io desidero che ve ne occupiate voi " rispose, calmo. Ma sapevo che non avrebbe cambiato idea.

"e dovremmo occuparcene noi?"

"dovete occuparvene voi" corresse, velatamente "in realtà, era mia intenzione far condurre a te quest'indagine" aggiunse, sovrappensiero .

 "e quindi? Non possiamo condurre un'indagine in due" stavo pensando ad alta voce, cavoli! Ormai avevo imparato a fare mentalmente coppia con Anne in qualunque caso, da quando il direttore ci aveva messo insieme, due anni prima.

"chi ha detto che sarete solo in due?" dove voleva andare a parare? Preferii non rispondere.  Il direttore mi guardò, forse  cercando di leggermi nel pensiero. In ogni caso, non ci riuscì. Era ancora fisso a guardarmi, quando entrò una donna sui quaranta, vestita con un tailleur bianco.

"David, deve firmare questo" le porse una pila di fogli fermati da una misera graffetta colorata. Il direttore ci mise uno scarabocchio, la ringraziò e lei uscì

"dov'eravamo, Rolland? Ah, sì … la tua squadra … "

"squadra?!?" ripetei

"sì. ti stavo dicendo, appunto, che sarai tu a condurre quest'inchiesta, a capo di una squadra di agenti"

"assolutamente no!" obbiettai, rivolta più a me stessa che a lui "lei mi conosce, io non posso stare a capo di una squadra, io non vado d'accordo con nessuno" era la pura verità. Il mio carattere non era il massimo per i rapporti sociali.

"non è necessario andarci d'accordo. Non ti dimenticare che lavori con l'agente Simmons " mosse la mano con fare accondiscendente. Stava cercando di convincermi, ma sapevamo entrambi che non avrei potuto dire di no. Uscii dal suo ufficio qualche minuto dopo, decisamente abbattuta. Mi aveva appena messo a capo di una squadra, chiunque avrebbe avuto da festeggiare. Ma non io. Come al solito, sapevo distinguermi. Io non ero portata per il comando, ne ero convinta. Avevo visto abbastanza di cosa vuol dire essere il capo, e non mi era piaciuto. Io non ero una ragazza affidabile a cui affidare tante responsabilità e l'appello in corso ne era la prova più evidente. Mi ero lasciata trasportare una volta dai sentimenti e non era detto che non potesse accadere di nuovo. Solo perché ero sempre fredda e distaccata non voleva dire che non avevo emozioni. Ne avevo, e fin troppe, per i miei gusti. E in più, la squadra la dovevo organizzare io. Anne, sicuramente. Non che ci legasse chissà quale rapporto di amicizia -ci sopportavamo a malapena- ma avevo lavorato abbastanza con lei da conoscerla. E valeva, come agente, nonostante tutto. Poi … ? Chi lo sapeva? Io non conoscevo i miei colleghi. Avevo bisogno di dieci persone, e non sapevo da che parte cominciare.

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Capitolo 22
*** capitolo 23-ma quando se ne tornava in Inghilterra? ***


buongiorno, e buona festa della Liberazione a tutte/i!
sono tornata, e stranamente prima del solito.
come ho già promesso a Serena, e lo ripeto qui, mi impegno ad aggiornare con più frequenza.
mi piacerebbe poter promettere che aggiornerò ogni martedì/mercoledì... ma so già che non riuscirei a rispettarlo.
perciò, almeno una volta a settimana. e, nel caso non ci riuscissi, prometto di postare capitoli più lunghi, testimoni tutte voi, che un fulmine possa colpirmi se sgarro ;)
ad ogni modo, questo capitolo è un piccolo stralcio di vita quotidiana, la nostra Chantal alle prese con il nuovo coinquilino.
mi dispiace che a molte/i di voi la protagonista non stia simpatica. dispiace molto anche a me, a volte mi metto nei panni del povero Ben e mi pento di aver creato un personaggio così acido, eppure continua a sembrarmi un bel contrasto, con la collega pucciosa e un po' oca e il nostro Ben tanto gentile.
buona lettura
baci
SaraViktoria

23-ma quando se ne tornava in Inghilterra?
 

Nei giorni successivi fui molto occupata. Su suggerimento del direttore, avevo iniziato a girare per i vari dipartimenti, osservando i vari agenti che lavoravano e informandomi su quelli che mi colpivano di più- avevo anche iniziato a prestare più attenzione alle chiacchiere della mensa, e a pranzo cercavo di sedermi sempre con qualcuno, benché mi desse alquanto fastidio. Come se non bastasse, dopo aver salutato mia madre all'aeroporto di Washington, mi ero trasferita da Collins. O meglio, ci avevo provato: con il poco tempo che avevo, ero riuscita a portare nella mia nuova camera sì e no la metà delle mie cose. In quei giorni ero, se possibile, più irritabile del solito e mi ci voleva un niente per rispondere male -non che normalmente fossi tanto educata-. Infine, Barnes che girava per il mio Dipartimento, mettendo il naso in tutto ciò che facevamo io e Anne, mi faceva perdere ancora di più la pazienza.

"si può sapere cosa vuoi?" gli chiesi una sera. Erano quasi le undici, in ufficio non eravamo rimasti in molti. Avevo passato la giornata a selezionare tre o quattro persone per la mia squadra. Avevo tempo fino a fine mese, ed ero a un punto disastroso.

"niente, ti aspetto"

"non potevi andare con Anne?" un'altra domanda mi passava per la mente da un po': ma quando se ne tornava in Inghilterra?

"no" disse semplicemente. Ero troppo stanca per chiedere una spiegazione. Una spiegazione che non mi interessava, tra l'altro.

"tesoro, ma quel ragazzo ti sta sempre attaccato?" chiese James, con un sorriso accondiscendente. Mi trovavo bene con lui, anche se a volte l'avrei preso a pugni perché parlava troppo. E gli avevo detto mille volte di non chiamarmi 'tesoro', ma sembrava non sentirmi. James era uno di quei ragazzi che le donne della mia età in cerca di un principe azzurro - Anne e Yvonne, tanto per fare qualche esempio- avrebbero definito 'da sposare'. Ma il fatto che fosse bisessuale non lo aiutava molto. Insomma, ma in che mondo viviamo? Si parla tanto di essere tutti uguali, di non guardare ai gusti delle persone e poi, quando ti capitava davanti 'un mezzo gay'- come si definiva ridendo il mio coinquilino- storci il naso?

James era un ragazzo espansivo, esuberante, sempre felice. Il mio esatto contrario ma, nonostante le previsioni, andavamo d'accordo. A patto che non mi chiamasse 'tesoro'.

"Jamie, mi chiamo Chantal. E poi, di quale ragazzo stai parlando?" chiesi, annoiata. Dopo cena non avevo mai voglia di fare niente. Così, quando non toccava a me lavare i piatti, stavo semisdraiata sul divano, in attesa di qualcosa. Qualcosa che non sempre arrivava. Il mio coinquilino, invece, guardava sempre fuori dalla finestra, osservando le auto che rientravano e la gente che usciva a fare un giro, coppiette di fidanzati che mi facevano venire la nausea.

"ma come 'quale ragazzo'?" ripeté, facendomi il verso. Gli avrei tirato uno di quei morbidi cuscini sparsi sul divano, se poi non avessi dovuto raccoglierlo "quel bel moretto che ti gira sempre intorno … l'inglese!"

"ah, Barnes" non aggiunsi altro, l'aver scoperto di chi stava parlando mi aveva fatto perdere ogni interesse alla conversazione.

"ci sei già andata a letto?"

"James!" esclamai, contrariata. Qualcun altro, tipo mia madre o Cathy, l'avrebbero preso come un 'ma cosa stai dicendo?', ma non Collins, a quanto pare. Eppure, mi sembrava di avergli dato la giusta intonazione. Un'intonazione sorpresa e incredula

"lo prendo come un sì" probabilmente stava pensando ad alta voce. Poi si girò a guardarmi "e non fare tanto la santarellina!" non risposi, o mi avrebbe fatto dire qualcosa che non volevo. Era un mago, in queste cose. Più di una volta mi ero trovata a chiedermi perché non fosse stato assegnato all'Unità Investigativa. Con il fiuto che aveva per i pettegolezzi, e per le verità in particolare, ci sarebbe stato benissimo. Invece che eludere le domande, con lui mi ero abituata a non rispondere affatto. Perché, se avessi anche solo aperto bocca, avrebbe trovato il modo di rigirarmelo contro.

"vado a dormire. Domani mi devo alzare presto, ti sveglio?"

"stasera esco … ma sì, prova a svegliarmi, che dovrei essere in laboratorio per le nove" si stiracchiò, prima di sparire dietro la porta di camera sua. Usciva quasi tutte le sere, e all'inizio mi aveva invitato a fare un giro con i suoi amici. Inutile dire che avevo rifiutato. Tornava sempre tardi, sentivo il cigolio della porta a un orario imprecisato dopo le tre, ma sempre da solo. Raccontava con un sorriso a trentadue denti di come ci provasse con un ragazzo/ragazza ogni sera. Ma dico io, esci solo per rimorchiare? Non che mi importasse, per carità, la vita è tua e ci fai quello che vuoi, solo non lo capivo. E ci provavo, quando avevo un attimo di tempo. Ok, non ci provavo più di tanto, ma non importa.

Mi buttai sul letto, sopra le coperte, ancora vestita.

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Capitolo 23
*** capitolo 24: silenzio! e non dire a nessuno che compio gli anni o te la faccio pagare ***


buongiorno e buon sabato a tutte/i!
ho smontato notte da poco, ed eccomi qui a mantenere fede alla mia promessa ;)
una piccola anticipazione: potrà sembrarvi strano che qualcuno arrivi a detestare anche il giorno del proprio compleanno, ma l'idea l'ho presa da una mia compagna delle superiori, che odiava letteralmente festeggiare il suo compleanno, senza che ci fosse chissà quale motivo.
grazie, come sempre, a chi legge/recensisce/segue questa storia :) nei prossimi giorni arriverà un altro capitolo, un po' perchè questo è veramente corto, un po' perchè ho fatto tre notti di fila, e non reggerei un'altra settimana così, perciò spero di riuscire a cambiare qualche turno e prendermi una giornata di pausa ;)
buona lettura,
baci
SaraViktoria


24-silenzio! E  non dire a nessuno che oggi compio gli anni o te la faccio pagare!

Di lì a pochi giorni avrei compiuto ventinove anni. Lo sapevano in pochi, compresa la mia famiglia. Di solito mi prendevo la giornata libera e andavo in Canada, a casa, per festeggiare con una di quelle torte che mi piacevano più di quanto fosse normale, e che preparavano a turno mamma e Yvonne. Ma quell'anno non avevo voglia di festeggiare con nessuno, e men  che meno di andare a Mirabel. Lo stesso giorno, avrei avuto il  verdetto della sentenza d'appello. Avevo perso la calma almeno altre cinque o sei volte, nei giorni precedenti. Mi ero trattenuta dal rispondere male all'accusa e il giudice doveva essersene accorto. Ma speravo che si sarebbe attenuto ai fatti, gli stessi fatti che avevano fatto fede qualche anno prima. Perché erano la verità, come mi ricordava troppo spesso il mio avvocato. Perciò, la prospettiva di dovermi fingere felice tutta la mattina, fino alle quattro quando era fissata l'udienza, non era il massimo. Sarei andata al lavoro come al solito, e avrei minacciato Anne se avesse osato dire a qualcuno che era il mio compleanno. Avrei passato una giornata normale, non chiedevo di meglio. Credevo che nemmeno James sapesse quando facevo gli anni, il che, a ben vedere, era un'ottima cosa. Solo una cosa mi dovevo ricordare: fare un regalo a Yvonne, la mia splendida gemella, con cui condividevo il giorno di nascita.

Le comprai una sciarpa, una di quelle enormi che sembravano scialli. Mi ricordavo che le piacevano. Io non me la sarei messa nemmeno sotto tortura, ma era solo questione di gusti. Come in tutto il resto, d'altronde. È sempre una questione di gusti, pensai con una smorfia, rientrando in ufficio: dalla facoltà universitaria al lavoro, dai vestiti agli uomini. Tutto e tutti ruotano intorno ai gusti delle persone

"Simmons"

"Rolland au.."

"silenzio! E non dire a nessuno che oggi compio gli anni o te la faccio pagare"

"giurin giuretto " mormorò ridendo. Mi fermai alla macchinetta del caffè, mentre lei mi precedette in ufficio. Solo il giorno prima avevo consegnato la lista di persone che avrei voluto nella mia squadra. Sapevo che qualcuno ci sarebbe rimasto male. A quanto pare era un'inchiesta importante, e gente che non avevo mai visto -ne ero sicura- mi aveva fermato nei corridoio chiedendomi di proporre questo o quel collega, o ancora loro stessi, per la mia squadra. La cosa mi inquietava non poco. Non avevo ancora realizzato la reale portata di quell'indagine. Anne si fiondò verso la macchinetta tanto velocemente che credetti fosse posseduta. Oh, ma lo pensavo già, niente sorprese

"non sono stata io!" disse, alzando le mani

"cos'è successo?"

"non sono stata io!" ripeté, andandosene. Mi affrettai a seguirla, fino alle scrivanie. Qualcuno, e questa volta non avevo la più pallida idea di chi fosse stato, aveva coperto la mia scrivania di palloncini colorati, e fiocchi dorati. Non che mi fidassi di Anne, ma sapevo che, se fosse stata lei, ci sarebbero stati una decina di colleghi intorno e festoni rosa e fucsia. Sembrava una scelta maschile, ma non riuscivo a capire quale dei miei colleghi si fosse dato la pena di fare tutto quel casino per una collega che nemmeno salutava.

"non sono stata io!"

"lo so, Simmons. Zitta." iniziai a spostare convulsamente i palloncini, che puntualmente rimbalzavano a tornavano indietro. Avevo i nervi a fior di pelle per conto mio, e questa dannata sorpresa non aiutava di certo. Alla fine, esausta e con le braccia a pezzi a furia di sventolare, mi sedetti tra quel tripudio di colori.

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Capitolo 24
*** capitolo 25: SEI STATO TU!?!? ***


buongiorno a tutte/i!
eccomi tornata con un nuovo capitolo ;) credo che ormai molte/i di voi abbiamo capito di chi è stata la 'splendida' idea dei palloncini... adesso è il momento di farlo scoprire alla nostra cara Chantal :)
spero di non aver fatto pasticci con l'html o con i link, dato che con il computer sono davvero negata.... ah, il vestito l'ha scelto mia figlia, ci teneva che lo scrivessi.
un'ultima cosa: il prossimo capitolo sarà sicuramente più lungo degli altri... e spero di riuscire a postarlo per l'inizio di settimana prossima ;)
buona lettura,
baci,
SaraViktoria


25-SEI STATO TU?!?!?

Sotto tutti quei palloncini c'era un pacchetto di carta argentata. Sembrava una scatola rigida, di quelle in cui vendono le camice. La lasciai in un angolo, l'avrei aperta più tardi, se ne avessi avuto tempo. Non avevo quella curiosità che ha la maggior parte delle persone per i regali. In realtà, non amavo i regali in generale. In particolare, e in questo caso, non amavo i regali anonimi.

"beh, non lo apri?" chiese la mia collega, sicuramente più curiosa di me. Non capivo  come poteva essere tanto esuberante per ogni piccola cosa. Veramente, non capivo lei. Tolsi il bollino trasparente e tirai fuori la scatola. Era bianca, semplice, senza disegni. Semplice, come piaceva a me. Una punta di curiosità si accese in me, ma non era tanto per il regalo in sé. Volevo sapere chi me lo aveva mandato. Tolsi il coperchio alla scatola e Anne ne fece scivolare fuori un vestito nero a balze, corto. Troppo corto. Sembrava uno scherzo di cattivo gusto.

"ma è splendido!" commentò Anne, gli occhi dolci, adoranti, verso quel regalo. Alzò il vestito per osservarlo meglio e ne cadde un biglietto. Rapida, prima che se ne accorgesse -non mi andava di doverle dare spiegazioni, dopotutto, voluto o meno, era il mio regalo- mi abbassai e lo raccolsi. Me lo misi in tasca, mentre tutti i vicini si avvicinavano, come se i palloncini non fossero abbastanza. Che schifo di giornata, pensai avviandomi verso l'aula del tribunale.

"tutto a posto? Sei nervosa?" chiese l'avvocato. Non risposi. Non sapevo nemmeno io come mi sentissi. Dentro di me si agitava qualcosa, che speravo non fosse la colazione di quella mattina, minacciando di uscire. Mi sentivo strana, sapevo che sarebbe stata la fine di tutto, che di appello se ne poteva fare uno solo, ma non potevo non essere nervosa. Perché, benché sapessi che la verità era dalla mia parte, 'non si sa mai' e 'tutto può succedere'. Entrò la corte, e mi alzai in piedi, come il resto delle persone lì presenti. Notai, non so se con piacere o meno, che Barnes non c'era. Avevo ragione io, gli inglesi sono proprio strani! Aveva seguito tutte le udienze, perché mancare alla più importante? Ma avevo problemi più importanti, tipo un altro inglese, seduto poco distante da me. Il capitano di corvetta, che sedeva affianco a me con uno dei suoi collaboratori, mi tirò una manica, per farmi segno di sedere. Davvero, non avevo sentito il giudice ringraziare.

"verdetto della causa d'appello numero 115/11 , il tenente colonnello Tobias  Anthony Smith contro la marina militare americana e l'agente Chantal Leroy Rolland. La corte, visti i casi precedenti, vista la causa contro il medesimo imputato, si dichiara a favore del querelato. La corte ringrazia i suoi membri, la seduta è sciolta." per un attimo non capii. Non realizzai ciò che avevano appena detto.

"Chantal, hai sentito?" chiese il mio avvocato, felice. Un sorriso involontario si aprii sul mio viso. Sì, ce l'avevo fatta. Ero stata prosciolta, di nuovo! Annuii, come se la mia espressione non bastasse. Mi sentivo felice, sentivo che nulla poteva andarmi storto, quel giorno. Non sapevo quanto mi sbagliassi.

"ciao" non riuscivo a togliermi quel sorriso dalle labbra, mentre salutavo Smith e il suo avvocato, e nemmeno adesso, che mi ero accorta di Barnes, appoggiato a una colonna sull'entrata del tribunale.

"come siamo felici oggi"

"perché, tu non lo saresti?" non riuscivo a credere, non ancora, che in quelle poche parole fosse racchiusa tutta la mia felicità: 'a favore del querelante', mai frase aveva avuto suono migliore, per me.

Sembrava che riassumesse tutte le paure che mi avevano assillato nelle settimane precedenti, diminuendole, facendomi capire che quanto fossero sciocche e inutili.  In quel momento non mi diede nemmeno fastidio che l'inglese mi seguisse, mentre mi affrettavo a uscire. Volevo vedere il cielo, azzurro e senza nuvole, che avevo imparato ad associare all'America.

"ti è piaciuto il tuo regalo di compleanno?" quella brutale frase mi riportò alla realtà, facendomi incazzare. Ma forse incazzare era poco: lo avrei ucciso, se non fossimo stati appena fuori di un tribunale, con tanti spettatori e tanti militari in giro

"SEI STATO TU????!!!???" tutte le persone intorno a noi si voltarono, ma non gli diedi peso. Guardavo solo lui, cercando un modo di fargli male con la forza dello sguardo

"oh, sì, immaginavo una reazione del genere" commentò, indifferente "ti è piaciuto?" chiese di nuovo. Non registrai la domanda. Ero ancora arrabbiata per la sorpresa, e non mi sarebbe passata facilmente.

"come hai …. " mi mancavano le parole per esprimere la mia rabbia. Che poi, pensandoci a mente lucida, non era tanto contro di lui quanto contro il regalo. Ma era un motivo in più per avercela con lui, e tanto bastava.

"sai, pensavo ti potesse servire" rispose alla mia domanda inespressa. Servire? Ma si era bevuto il cervello? Ma ce l'aveva, un cervello? Beh, non ne ero poi tanto sicura, ma in ogni caso, sapeva benissimo che l'unica volta in cui ero stata costretta a indossare un vestito elegante era stato … beh, era stata colpa sua.

"pensavi male" mi affrettai a rispondere, ricordando la scomodità dei tacchi che mi era toccato indossare per quella stramaledetta festa.

"davvero? Ne sei sicura?" qualcosa mi fece pensare che aveva in mente qualcosa. Qualcos'altro mi disse che non lo volevo sapere.  Prevalse quest'ultimo, anche se Barnes sembrava intenzionato a rispondersi da solo "io invece sono convinto che ti servirà. Hai letto il biglietto?" me ne ricordai solo in quel momento.

 

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Capitolo 25
*** capitolo 26: BB, ma chi si credeva di essere, Brigitte Bardot? ***


lo so che mi odiate, per aver interrotto il capitolo precedente proprio in quel punto... ma ogni tanto un po' di suspence ci vuole! ;)
aggiorno velocemente, prima di correre al lavoro... spero vi piaccia.
baci
SaraViktoria

26-BB, ma chi si credeva di essere, Brigitte Bardot??

Stavo per dire: no, ma ce l'ho qui, con tono minaccioso, quando gli suonò il telefono e si allontanò. Speravo fosse la telefonata che lo avrebbe riportato in Inghilterra, nella sua adorata Londra, dato che negli ultimi giorni era più insopportabile del solito. Il che era tutto dire. Rimasta sola, presi il biglietto dalla tasca, osservandolo meglio. Era un semplice cartoncino bianco, con una filigrana incisa sui bordi, sembravano fiori; c'era una scritta con una grafia minuta, sottile e in un certo senso disordinata. Ma, anche nel suo disordine, aveva una bella linea, uno scorrimento piacevole. Ok, basta. Seguire un corso sull'interpretazione della scrittura non mi aveva fatto bene. Mi concentrai sulle parole e le misi a fuoco:

"buon compleanno! Ti aspetto per farti gli auguri di persona. BB" seguiva un indirizzo di McLean, mi ricordava qualcosa, poteva essere un locale. BB, ma chi si credeva di essere, Brigitte Bardot? Nel pomeriggio, o meglio, in quello che restava del pomeriggio, feci qualche ricerca.  Ricordavo bene, era la via di un ristorante, in uno dei quartieri residenziali che evitavo come la peste. Oltre a non aver pensato a come la vedessi io, e cioè che in quel ristorante non ci volevo andare, non aveva nemmeno scritto l'orario. Che disorganizzazione! Mi sorprendevo ogni giorno pensando che riusciva a rispettare i suoi impegni. Non ne avrei parlato con nessuno, ma il mio computer e quello di Anne erano collegati, e si insospettì subito quando vide il sito del ristorante.

"invito a cena, Rolland?"

"oh, ma fatti gli affari tuoi!" borbottai, seccata. Conclusi puntando sulla deformazione professionale: come io mi sentivo in dovere di ispezionare accuratamente ogni luogo in cui andavo, lui doveva aver preso qualche brutto vizio dai film, tipo dare un appuntamento senza dire l'orario, o dire 'ti passo a prendere' senza sapere dove abitasse l'altro. Ma la Simmons non lasciò stare. La vidi osservarmi con più attenzione del solito durante quel che rimaneva della giornata, finché non arrivò il direttore

"ho visto il fascicolo che mi hai fatto recapitare, Chantal" esordì, sedendosi dietro ad una scrivania vuota.

"e cosa ne pensa?" chiesi, per pura cortesia.

"penso che tu abbia fatto un ottimo lavoro. Sarete operativi da domani …. A proposito, c'è un giovanotto che chiede di te"

"un giovanotto?" ripetei, quel termine inusuale.

"sì, e ha mandato a dire di farla vestire. A quanto pare una delle guardie ha un debole per lui"

"a quanto pare non è l'unica" mormorai, in modo che nessuno mi sentisse, dato che Anne, capito di chi si stava parlando -e lo aveva capito prima di me, dato che io non  passavo la giornata a immaginare scene hot con gli attori- aveva drizzato le antennine e sfoderato la sua aria sognante.

"devo proprio?" chiese a voce più alta, anche se stavo ancora parlando da sola

"certo che devi!" intervenne la Simmons, come se fosse ovvio. Si alzò dalla scrivania e come un fulmine -ancora oggi ho problemi a ricordare la dinamica- mi portò in bagno, mettendomi il vestito nero in mano con decisione. "dai Rolland, su, un vestito non ti ucciderà!"

"ne sei sicura?" borbottai, nel silenzio dei bagni. Comunque sia, comunque la pensassi, mi cambiai. Perché? Oh, non lo so nemmeno io. So solo che in quel momento lo feci. Non me lo seppi spiegare, ma lo feci, anche se sapevo che me ne sarei potuta pentire. E tanto, anche. Uscii dal bagno prima che potei

"allora?" chiesi, allargando le braccia

"che bella che sei … ma non avrai intenzione di tenere su quelle scarpe!" esclamò inorridita, indicando le scarpe da tennis -delle comode Nike - che portavo sempre.

"non ne ho un altro paio. Non qui, almeno " risposi. Ma secondo lei mi portavo le scarpe di ricambio al lavoro? Forse lei lo faceva.

"tranquilla, a questo ho pensato io" tirò fuori dalla borsa un paio di sandali alti. Troppo alti, secondo i miei gusti.

"tu eri d'accordo" constatai, pensandoci solo in quel momento. Ok, ultimamente non ero molto sveglia, ma avrei recuperato in fretta.

"non dall'inizio. Stamattina non mentivo quando ti ho detto che non sapevo di fosse stato" civettò "ma, saputa la storia, sono stata felice di aiutare Ben" feci una smorfia: io non lo chiamavo mai per nome. Anche se, immaginavo che quella sera sarebbe stato inevitabile. Avrei trovato il modo di evitarlo. Fece una smorfia anche lei "dovresti essere contenta! Io lo sarei!"

"io non sono te. Vacci pure, se vuoi" liquidai, pronta a passare quel testimone scomodo.

"è il tuo compleanno" mi convinse a indossare i sandali "vai e divertiti. Anche perché domani esigerò un resoconto" concluse, spingendomi fuori, imitando malamente la voce del nostro superiore. Rischiai di cadere e le tirai dietro un paio di imprecazioni, prima di riuscire a uscire dalla CIA. In effetti, c'era un 'giovanotto' che mi aspettava.

"ciao" mormorai arrabbiata. Ce l'avevo ancora con lui? Sì. Perché? Perché incarnava tutto quello che detestavo di più: gli inglesi, il loro accento, gli attori, il loro lavoro. E i ragazzi, categoria più generale.

"buonasera, signorina. Buon compleanno"

"mi hai già fatto gli auguri" ricordai, sarcastica

"non ti fa certo male. E questo vestito ti sta bene … no, ti prego, non farmi male" si affrettò ad aggiungere, vedendo la mia espressione. In quel momento mi suonò il cellulare: era James. Mi scusai e risposi

"pronto?"

"Chantal? Dove sei?"

"ah, Jamie, scusa, ma stasera non torno per cena. Qualcuno si è divertito a farmi una sorpresa" evitai di dire il perché, o avrebbe insistito per festeggiare anche lui.

"che bello!" esclamò.

"se lo dici tu"

"solare come sempre. È carino?"

"direi di sì" risposi, evasiva. Quello non lo avevo mai negato, nemmeno davanti a Anne.

"ooh …. È quel ragazzo che viene sempre da te in ufficio"

"forse" non gli avrei dato una risposta certa

"lo prendo come un sì. Vedi di divertirti. No, non è un consiglio, questo è un ordine, agente Rolland. E se magari ci scappa anche un dopocena … diciamo … 'interessante' non lasciartelo scappare, che sicuramente ci sa fare a letto..."

"James, non lo conosci" non lo conoscevo nemmeno io, veramente.

"ma tu sì. Non ti voglio vedere per casa stanotte. Ciao!" riattaccò, senza darmi il tempo di rispondere. Rimisi il telefono in borsa - l'unica cosa femminile che mi concedevo- scuotendo la testa. Forse Barnes pensò di chiedermi chi fosse. Ma lasciò stare, meglio per lui.

"sai che quando si da un appuntamento a una persona, di solito si specifica anche l'orario?" chiesi, retorica.

"perché, è un appuntamento?" non seppi cosa rispondere. E non mi accadeva spesso, potete crederci. Ma mi aveva spiazzato.  Così non risposi, lasciandogli pensare ciò che preferiva. In effetti, il ristorante era davvero carino. Sembrava uno di quei locali italiani, con le mura antiche, luci e tende bianche all'ingresso, camerieri ben vestiti sulla porta. Ero entrata poche volte in un posto del genere e, dai miei ricordi, si mangiava bene. Entrammo e il maitre ci venne incontro.

"buonasera, signori"

"buonasera" rispose Barnes "abbiamo prenotato un tavolo per due … Barnes "

"oh, certo. Venite pure" ci condusse fino a una serie di tavoli apparecchiati di bianco e oro, dietro un separé marroncino.

"che gentleman!" commentai sarcastica, quando l'attore spostò la mia sedia per farmi sedere. Lo sentii mormorare qualcosa, ma troppo piano perché potessi sentire.

"cosa vi posso portare?" chiese una donna qualche minuto dopo. Stavo sfogliando il menu da un po', indecisa. Era un ristorante italiano, dopotutto, ce n'erano di cose da provare. Optai per un antipasto di pesce. Era raro che mangiassi il primo, se non ero a casa dei miei.

 "come va con il nuovo coinquilino? Coly … "

"Collins" corressi. Ricordavo bene: non aveva memoria. "bene. È simpatico, anche se, fosse stato per me sarei rimasta con Cathy "

"come mai non vi hanno rinnovato il contratto?"

"non ne ho idea. Non devi chiederlo a me"

"giusto" cadde un silenzio imbarazzato. Non ero abituata a mangiare in silenzio.

"quand'è che torni in Inghilterra?" chiesi. Quello mi interessava.

"domani " rispose, sembrava dispiaciuto

"vorresti rimanere ancora?" chiesi ancora. Dì di no, ti prego …

"a dire il vero, sì … mi piace questa città"

"McLean?" domandai, incredula. Come poteva piacergli?

"sì. Strano, vero? Ma mi piace, puoi andartene in giro senza che la gente ti indichi e se entri in un bar non rischi di far svenire nessuno"

"fossi in te non ne sarei molto sicura " soffocai una risata. Si era dimenticato di Anne?  E delle altre ragazzine come lei?

"non credo che tu possa capire … credo c'entri il fatto che siete della CIA. Vedi, a Londra non posso mettere piede fuori casa che mi trovo circondato di fan. Mi piace, certo. È bello vedere tutto l'affetto che hanno per me. Ma a volte può essere …. troppo"

"ok, ti devo dare ragione. Questa è una città 'riservata'. Ognuno si fa gli affari suoi e non fanno troppe domande se succede qualcosa di strano"

"per questo ci vivi!"

"anche" ammisi. 

McLean era una città strana. A parte il fatto che l'80% degli abitanti era costituito da agenti della CIA, e il restante 20% da turisti, c'era da dire che era come la CIA in grande. Non era raro vedere in giro capannelli di persone dal comportamento equivoco. Ma nessuno chiedeva niente, persino la polizia veniva da noi a informarsi, prima di arrestare qualcuno o far partire una denuncia. Era il mio ufficio, lo sapevo bene. Così come non era strano incrociare ragazzi di poco più di vent'anni con la divisa di qualche reparto militare. Norfolk non era tanto lontano, e ogni tanto alcuni cadetti venivano mandati a seguire il nostro lavoro.

"è piacevole parlare con te … quando non mi minacci " constatò. Sorrisi, senza un perché.

Forse, e dico forse, iniziava a starmi più simpatico. No, non simpatico. Diciamo che senza Anne nei paraggi riuscivo a sopportarlo. Anche la bistecca che ordinai per secondo era squisita, e mi riempì.

"ti va un gelato?" chiese

"per stasera sono apposto"

"qualcosa da bere?"

"meglio di no" ricordai con un brivido. Rise

"brava come sempre a dimenticare ciò che non ti va" mi fece notare

"non l'ho dimenticato!" esclamai, verso quello che era un insulto alla mia memoria. Me ne pentii all'istante

"davvero? E perché no? Ti è piaciuto?"

"mi  faresti il favore di fare domande meno idiote?" chiesi, cercando di cambiare argomento.

"se tu mi rispondessi ogni tanto, la smetterei" rispose, angelico. Beh, cosa voleva sapere? Cosa ne pensavo? Non lo sapevo nemmeno io. O almeno, non me lo ero mai chiesta. Avevo archiviato tutta la notte come si fa con i casi scomodi.  Ma ora, ripensandoci, cosa ne pensavo, veramente? Niente o meglio, non molto. Ricordavo tutto perfettamente, anche se in quel  momento era stato tutto confuso. O forse, risposta più sensata, ero io a essere confusa. Perché non poteva essere solo colpa di qualche bicchiere di troppo. Perché un minimo di decisione da parte mia, doveva esserci stato, per quanto faticassi ad ammetterlo.

"sì, mi è piaciuto" risposi, per farlo stare zitto "contento?"

"non devi dirlo per farmi contento" osservò.

"oh, ma sta zitto!" esclamai, spazientita. Mi mandava fuori, quando cercava di ragionare. E sottolineo 'cercava'.

"mi insegneresti a sparare?" chiese, d'un tratto, dopo essere stato in silenzio per qualche metro.

"ma se domani torni a Londra!"

"beh, tornerò in America, prima o poi. E passerò di qua. Magari dopo la premiere  … "

"premiere? Un'altra?" rise

"sì, un'altra. Sorpresa?"

"abbastanza. Ma passi la tua vita sul red carpet?" ero proprio negata a pronunciare 'red carpet'. Non so il perché, ma c'erano troppe r, che in francese non sono proprio 'dure', diciamo. Fatto sta che mettevo sempre l'accento nel posto sbagliato, o mi mangiavo le lettere. Se ne accorse, e rise di nuovo. Ma cos'ero, una barzelletta che cammina?

"ma no! È per un film che dobbiamo ancora girare, s'intitola Killing Bono, dalla sceneggiatura sembra forte"  rispose. Non avevo mai sentito un film del genere, e neppure ne avevo letto sul giornale, ma poco importava. Se lo dovevano ancora girare, sarebbe uscito per la primavera prossima. Il che significava non doverlo rivedere per un anno. Il massimo che potessi sperare.

Nonostante le minacce di James, a mezzanotte ero sotto casa

"beh, allora buon compleanno. Di nuovo" guardai l'orologio

"e no! È passata la mezzanotte, ormai non è più il mio compleanno, dovrai smetterla di farmi gli auguri"

"ma non ti ho dato ancora il mio regalo!" si lamentò. Come no? Indicai il vestito che Anne mi aveva costretto ad indossare, e gli ricordai dei palloncini colorati di quella mattina. "non vale, devo darti il mio regalo!" arricciò le labbra come un bambino che fa i capricci.

"e va bene!" cedetti, esasperata. Sì, mi sembrava di avere a che fare con un bambino di dieci anni.

"chiudi gli occhi"

"no" risposi, istintivamente

"non ti fidi?"

"non solo per quello"

"dai, chiudi gli occhi"

"noo!" mi impuntai, decisa. Io non chiudevo gli occhi, e non solo perché non mi fidavo di lui.

"allora girati" questa proposta era più fattibile. Mi voltai, dandogli le spalle.  "e adesso stai ferma"

"agli ordini, signore" ribattei, sarcastica. Rimasi così per qualche secondo. Dietro di me non sentivo alcun rumore, se non un piede che batteva, impaziente. Ah no, era il mio.

"allora?" chiesi. Su quelle scarpe stavo scomoda, e il vestito era troppo attillato. Non vedevo l'ora di mettermi le mie pantofole, un paio di pantaloncini larghi e una magliettona in cotone.

"aspetta un attimo" mormorò. d'un tratto si avvicinò, cingendomi la vita con le mani

"cosa cavolo stai facendo?" chiesi, minacciosa.

"stai ferma, per favore" eseguii, volevo scoprire cosa avesse in mente. Appoggiò le sue labbra nell'incavo del mio collo, soffiando. Degli strani brividi percorsero il mio corpo, partendo dalla schiena, dove sentivo il calore del suo corpo. Fece scorrere le labbra sul viso, sulle guance, fino ad arrivare all'angolo della bocca, dove si fermò un po' di più. I miei muscoli non rispondevano più al cervello. Cosa strana, dato che di solito, quando ero spaventata o preoccupata per qualcosa, reagivo più velocemente. E adesso il mio cuore batteva all'impazzata. Perciò dovevo essere spaventata. O preoccupata. O entrambe. Optai per quest'ultima.

"auguri" sussurrò, dolce. Rimasi così per un bel po', anche dopo che mi ebbe salutato, avviandosi verso il suo albergo. Quando mi resi conto che ero ferma in mezzo al marciapiede come una cretina, aprii il portone, salii le scale come un automa ed entrai in casa.

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Capitolo 26
*** capitolo 27: deglutii. era una portaerei ***


buongiorno a tutte/i!
eccomi con un nuovo capitolo... fatemi dire solo una cosa: non crediate che Chantal si sia intenerita tutta d'un colpo! ;)
buona lettura
baci
SaraViktoria

27-deglutii. Era una portaerei.

"Chantal, cosa ci fai qua?" mi accolse James, contrariato. Scossi la testa, lasciandolo lì. Mi buttai sul letto, calciando via le scarpe, che mi stavano uccidendo i piedi. Credo che a un certo punto mi addormentai, ma non ne sono sicura. So per certo che pensavo e ripensavo alle sue labbra, senza trovare un nesso con il resto. Perché un nesso non c'era, mi convinsi a un certo punto. Doveva aver agito senza pensare, lo faceva sempre. Perché stare lì a pensarci? E con questa nuova convinzione, chiusi gli occhi. Mi svegliai poco dopo -anche se in realtà dovevano essere passate delle ore- più stanca di quando ero andata a dormire, e con in più un gran mal di testa. Mi maledissi ad alta voce, finché James non mi chiese di stare zitta. Ma cazzo, ero diventata masochista? Ogni volta che passavo la serata con un certo attore inglese, mi svegliavo con il mal di testa. Neanche a dirsi, il giorno dopo avevo sempre qualcosa di importante da fare.

Arrivai al lavoro con gli occhi incollati al fascicolo su cui dovevo iniziare a lavorare quel giorno. Alla mia scrivania mi attendeva la mia squadra. Ma a questo ci arrivai molto dopo. All'inizio mi chiesi cosa ci facessero dieci persone ,Anne compresa, davanti alla mia scrivania. Poi mi domandai se fosse qualche sorpresa come il giorno precedente. Quando mi ricordai cosa stavo leggendo, capii cosa ci faceva lì quella gente.

"buongiorno" dissi ,senza molta convinzione

"salve" borbottò qualcuno

"Rolland" esordì Anne

"cosa vuoi, Simmons?" mormorai, stanca.

"è passato Ben prima. Partiva in mattinata, mi ha chiesto di salutarti"

"bene. Iniziamo a lavorare?" chiesi, desiderosa di cambiare discorso.

 si misero in moto in un attimo, anche se, a quanto pare, ne sapevano meno di me. Avevano già montato il proiettore, mentre io ero a casa a torturarmi con ricordi inutili, su cui scorrevano delle foto.

"allora, vediamo … " mormorai, sfogliando i fascicoli che avevo davanti "qui dice che si sono verificati strani episodi sulla USS Theodore Roosevelt" deglutii. Era una portaerei.

"dov'è ancorata, signore?" chiese una donna. Ricordavo bene la sua foto, si chiamava Ellen Page.

"chiariamo un paio di cose" borbottai, alzandomi "non vi azzardate a chiamarmi signore, intesi?" annuirono "bene. E non voglio sentire commenti su quello che dice o fa un altro. Se pensate qualcosa, tenetevelo per voi" annuirono di nuovo. Ma che bravi soldatini! Ce l'avevano un cervello?

"la USS Theodore Roosevelt è ancorata a Norfolk " rispose un uomo. Ricordavo bene anche lui, Matthew … qualcosa. Si trattenne dal dire 'signore'.

"ma ripartirà tra due giorni. Quindi?" domandai. Volevo vedere se erano in grado di ragionare.

"mi faccio fare il permesso per essere imbarcati" rispose prontamente Anne

"preparo gli strumenti da portare a bordo"

"perfetto" mormorai "io vado dal direttore" camminai in un corridoio deserto per una decina di minuti. Era una via sotterranea, non la usava mai nessuno, per questo ci andavo

"direttore, buongiorno" salutai, fingendomi allegra, quando mi disse 'avanti'. Era in compagnia di una persona, un ufficiale della Marina, che conoscevo bene. "ammiraglio Thompson, che piacere rivederla" salutai. Questa volta, non dovetti fingere. Si alzò e mi strinse la mano.

"marinaio Rolland, non sapevo che anche lei lavorasse qui"

"l'agente Rolland " riprese il direttore, correggendolo "si sta occupando del caso Roosevelt" disse, come se bastasse a spiegare tutto. Presi al volo l'occasione, prima di lasciarmi sommergere dai ricordi.

"sono qui per questo" lo anticipai "vorrei andare sulla portaerei" vorrei. Io non volevo, ma non importava.

"permesso accordato. Anche se non dovrebbe chiedere a me"

"lo so. Volevo sol farglielo sapere" e chiedere un consiglio, ma questo non glielo dissi.

"marinaio Rolland, le posso offrire un caffè?" chiese Thompson. Fui felice di accettare, anche se il caffè della CIA faceva schifo.

"a lei, marinaio"

"veramente adesso sono agente" mormorai, senza essere polemica

"oh, lo so. Ma per me lei rimarrà sempre un marinaio. Uno dei migliori, quando ero sulla Enterprise"

"ne è sicuro?" domandai, sarcastica. Sorrise, ma non rispose. Mi era sempre piaciuto. Era una persona che ti valutava per quello che eri veramente, non per un episodio particolare della tua vita o per quello che dicevano gli altri. "lei ora dove lavora?"

"solo in ufficio" disse, infelice "sono diventato troppo vecchio per guidare una nave. E lei?"

"sono qui da due anni"

"beh, è parecchio tempo. E si trova bene?"

"direi di sì" risposi, sincera. Certo, a parte alcune cose, quel lavoro mi piaceva.

"e ora tornerà su una portaerei. Le piace anche questo?"

"molto meno" dissi, ridendo.

"permette un consiglio?"

"certo" se c'era una persona da cui avrei accettato un consiglio, era lui.

"le diranno qualcosa, la guarderanno male, non si fideranno di lei. Lo so io e lo sa anche lei. Perché le persone si lasciano condizionare, sono ligi ai pregiudizi e alle dicerie. Non si lasci influenzare, faccia la sua indagine e arresti il colpevole. Vedrà che, se sono persone intelligenti, inizieranno a guardarla per come è veramente. Perché lei vale sia come marinaio che -ne sono sicuro- come agente. Buona fortuna."

Mi lasciò con una pacca sulla spalla e quelle considerazioni. Ma lui era così, chi mi garantiva che non sarei stata additata come una traditrice anche lì? Nessuno, mi risposi tornando in ufficio, ma non per questo avrei dovuto lasciar perdere. In mattinata gli agenti di quella che faticavo a chiamare la mia squadra, mi presentarono tutti i permessi di cui avevamo bisogno, e le piantine della coperta della nave.

"dove stai andando?" chiese James, curioso, affacciandosi alla porta di camera mia mentre facevo le valigie.

"mi imbarco sulla Theodore Roosevelt domani mattina" risposi, senza girarmi

"la portaerei che farà il giro dell'Europa?" chiese

"non lo so" mormorai, con un groppo che mi si fermava in gola. Ma cavolo! Quella nave aveva sempre fatto spola tra il Medio Oriente e l'Africa, doveva cambiare proprio adesso? "dove l'hai sentito?"

"lo dicevano oggi in laboratorio. Sembra che la tua indagine sia piuttosto importante, ne parlano tutti" appoggiai un paio di camice sulla pigna di abiti da portare via, poi cercai le divise di scorta. Ne avevo tre, speravo bastassero. Non gli risposi, anche perché non sapevo cosa dire. Finii le valigie alle undici passate e mi buttai sul letto esausta, come se avessi appena scalato una montagna. Era l'idea di partire. l'idea di tornare su una nave, un essere mostruoso di acciaio che raccoglieva in sé tutte le mie paure. Perché, se succedeva qualcosa in ufficio, la sera ognuno se ne tornava a casa sua, e il giorno dopo si ricominciava. Su una portaerei, i marinai stavano insieme giorno  e notte, nel bene e nel male. Era come condividere un appartamento molto grande con persone che non conosci e con le quali non sai se andrai d'accordo. Un appuntamento al buio, un rischio che si doveva correre. Una cosa che, mentre all'inizio mi sembrava una sfida emozionante -dopotutto avevo poco più di vent'anni-, ora odiavo profondamente. Dopo Smith, ovviamente.

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Capitolo 27
*** capitoli 28&29: non ci sono donne a bordo? no, signora & destinazione Londra, signora ***


buongiorno a tutti/e!
sono molto dispiaciuta di avervi fatto aspettare tutto questo tempo per il nuovo capitolo, ma purtroppo il mio pc aveva deciso di darmi forfait, e mio marito -convinto, come tutti gli uomini, di saper fare qualsiasi cosa- ha tentato di aggiustarlo, probabilmente facendo più danni che altro, prima di decidersi a portarlo da qualcuno che, di computer, ne capisce molto più di lui... ora, fortunatamente, il mio pc è tornato a casa sano e salvo e, per farmi perdonare, oggi vi lascio due capitoli
a presto!
SaraViktoria


28-non ci sono donne a bordo? No, signora.

Il mattino seguente, di buon'ora, caricammo i bagagli su tre auto della CIA, che ci avrebbero portato a Norfolk. Avevo insistito per guidare, pur di avere un motivo valido per non prestare ascolto alle chiacchiere dei miei colleghi. La base militare di Norfolk era bella, niente da dire, e ben organizzata. Non c'era spostamento che non venisse registrato, visitatori che non venissero perquisiti. Mi era sempre piaciuta, era la perfezione che io non avrei avuto mai. Dopo esserci registrati e aver mostrato i documenti ad almeno dieci blocchi diversi, potemmo salire sul ponte della USS Theodore Roosevelt. Era grande, non quanto l'Enterprise certo, ma piuttosto grande. Qualcuno stava pulendo il ponte con dei potenti getti di acqua fredda, mentre un ufficiale in uniforme, dalla torre, dava gli ordini. Salii sulla torretta di comando, simile alle torri di controllo degli aeroporti, e mi schiarii la voce. l'ufficiale si girò.

"buongiorno" salutò, portandosi una mano al cappello, ma con un sorriso di scherno "lei dev'essere l'agente Rolland " ghignò

"sì. Piacere di conoscerla, signore. Lei  è l'ammiraglio Cole ? "

"certo, agente. La sua squadra?" indicai di sotto. Lì contò rapidamente.

"quattro donne e sei uomini, lei compresa?" annuii "gli uomini possono dormire con il mio equipaggio, mentre per voi ci sono due cabine giù al secondo livello" non capivo se ce l'aveva con me perché ero una donna, o perché il mio nome era associato alla parola 'tradimento'. In ogni caso, detestavo cordialmente quell'uomo, soprattutto per il suo modo di fare. Tornai sul ponte.

"voi potete dormire con l'equipaggio" indicai i sei uomini, che ero quasi sicura si chiamassero Matthew, Ashley, Carl, John, Ayrton e Andrew. "noi, quando l'ammiraglio sarà libero dai suoi impegni" lo dissi in modo che mi sentisse solo Anne, abituata ai miei sfoghi e alla mie battute "potremo portare le valigie al secondo livello" qualche minuto dopo ci si avvicinò un marinaio. A quanto pare  a bordo non c'erano donne. Ci mostrò due cabine che avevano l'aria di essere disabitate da un bel po'

"non ci sono donne a bordo?" chiesi, anche se conoscevo già la risposta

"no, signora"

"strano" continuai, in attesa di una risposta migliore "eppure ogni anno vengono assegnate anche delle cadette alle portaerei "

"certo, signora. Ma da noi durano poco. O rimangono incinta, oppure il nostro comandante trova qualcosa che non va in loro, e le rispedisce all'accademia." disse a voce bassa, come se avesse paura che qualcuno lo sentisse "la prego, non lo dica a nessuno, signora"

"non si preoccupi, marinaio … "

"Collinsworth " rispose prontamente. "arrivederci, signore" salutò, uscendo. Avrei diviso la cabina con Anne, ero già abituata a lei e alle sue stranezze. Le altre due donne, Ellen e Jennifer, avrebbero alloggiato nella stanza accanto. Issai la valigia sul letto più in alto -la mia collega preferiva dormire il più vicino possibile al pavimento- e la guardai. Aveva un'espressione a metà tra lo spaventato e il disgustato.

"non eri mai salita su una nave, vero ?" le chiesi, con una risatina

"soffro il mal di mare" si giustificò, cercando qualcosa nel borsone. Poco dopo raggiungemmo il resto dell'equipaggio a pranzo. La portaerei aveva già levato l'ancora, puntando verso l'Europa. Il marinaio che ci aveva accompagnate quella mattina ci fece posto vicino a lui e ad alcuni suoi colleghi

"sappia, signora" esordì un marinaio di quel tavolo quando mi sedetti "che noi non la consideriamo una traditrice" usava un tono pomposo, sarebbe stato bene a un comizio. Ma, in un certo senso, mi rassicurò. Era bello sapere che, al di fuori della CIA, c'era qualcuno che la pensava come me. Il cibo della mensa non poteva essere definito tale, ma ci ero abituata. E nel frattempo potemmo informarci sul resto dell'equipaggio. Quei quattro marinai seduti al tavolo con noi non erano certo tra i fedelissimi dell'ammiraglio. Anzi, non perdevano occasione per criticare lui e i suoi sottoposti.

"chi sono quelli?" chiesi, indicando un gruppo di marinai seduti per conto loro, che parlottavano

"sono i piloti" rispose un marinaio visibilmente gay "se ne stanno sempre per conto loro" aggiunse, triste.

"voi ve la siete fatta un'idea? Di chi c'è dietro a tutte queste sparizioni, intendo" giusto per sapere.

"quando è sparito il primo carico di olio abbiamo pensato a qualcuno dei piloti, ma nessuno di loro era a bordo quando sono sparite le munizioni e i materiali sequestrati in Afghanistan " iniziò Collinsworth

"il comandante ha sempre detto ai giornalisti che quando gettiamo l'ancora rimangono a bordo in pochi,  e perciò potrebbe essere entrato qualcuno di esterno" proseguì un altro

"ma voi non ci credete" non ci credevo nemmeno io, a dire il vero. Avanti, con tutte le misure di sicurezza -telecamere, scanner, rivelatori - nessuno sarebbe potuto salire a bordo, nemmeno via mare!

"infatti" annuirono vigorosamente, sembravano delle caricature grottesche "dev'essere qualcuno di interno"

"va bene, ma non ditelo troppo in giro"

"non si preoccupi, signora. Ma è meglio che non vada in giro a fare troppe domande"

"lo terremo a mente" assicurò Anne, alzandosi. Mi guardai intorno, tutto l'equipaggio stava per tornare al proprio posto.

"Ashley e Ayrton, salite sul ponte, e cercate di capire cosa ne pensano gli altri marinai. Matthew, tu e Jennifer andate giù nei magazzini, e controllate le cabine in cui si trovavano le cose rubato; vai anche tu, Carl. Anne e Andrew vengono con me, vediamo cos'ha da dire l'ammiraglio" ma possibile che avessero tutti i nomi inizianti per A?

l'ufficio dell'ammiraglio Cole era al primo livello, subito sotto al ponte. Era una stanza stretta e lunga, con le pareti coperte di poster della Marina. Una scrivania di metallo si intonava a muri e pavimenti. Dietro era seduto l'ammiraglio, su una sedia fissata al terreno, così come le sedie  di legno dalla parte della porta.

"buongiorno"

"agente, salve" rise, beffardo. Anne chiuse la porta, mentre Andrew si sedeva. Rimasi in piedi, anche la differenza di altezza poteva aiutare.

"vorremmo sapere cosa sta succedendo su questa nave" esordì Anne, incrociando le braccia

"ma come, non avete letto i giornali?" chiese, curioso

"certo. Ma come lei sa bene, i giornalisti scrivono tante di quelle balle …. Vorremmo sentirlo in prima persona" risposi. l'ammiraglio si sistemò meglio sulla sedia.

"è semplice: sono spariti tre carichi di merci diretti in America. Olio, munizioni e materiali di natura strategica sono stati portati via dai magazzini" spiegò, muovendo le mani. Non sembrava nervoso, ma poteva essere un ottimo attore "come ho ripetuto più volte, quando la nave viene ancorata in un porto, rimangono ben poche persone a bordo. È facile eludere la sorveglianza"

"e lei la rafforzi" commentai, anche se mi sembrava ovvio. Sorrise

"perché secondo lei io sono uno stupido?" chiese. Non risposi ma, sì, pensavo fosse un idiota "ho raddoppiato il numero di uomini sul ponte e i furti sono cessati"

"eravate in secca a Norfolk, con i magazzini vuoti!" esclamai, esasperata. Ora era lui a considerarci degli stupidi.

"non accetto che mi si parli in questo modo!" quasi lo urlò, alzandosi in piedi.

"non sono del suo equipaggio, non può darmi ordini" feci notare, calma. Ero felice di non dovere eseguire i suoi ordini, felice di non fare più parte di un equipaggio. Sembrò tranquillizzarsi, ma forse era una recita anche questa.

"bene" borbottò, cercando di controllare la voce, la rabbia che ribolliva sotto -e si vedeva- "sbarcheremo a Lisbona tra sette giorni" detto questo ci congedò, tornando a sedersi dietro la sua scrivania.

"l'hai fatto incazzare" commentò Anne, non appena fummo abbastanza lontani

"non me ne ero accorta" mormorai, sarcastica. Sentii Andrew chiederle qualcosa, ma non riuscii a capire la risposta. Doveva averle chiesto se ero sempre così. La risposta era sì, e non sarei cambiata.

Ero stata a Lisbona una volta sola, molti anni prima. La ricordavo come una città allegra, piena di vita. Ma soprattutto calda e afosa. Ricordavo vagamente il porto, con le enormi banchine e centinaia di barche ancorate; i pescatori che rientravano la mattina presto con le reti cariche, il mercato sotto una specie di porticato, vicino al mare. E odore di pesce ovunque.

 

29-direzione Londra, signora.

Passai la settimana successiva a fare domande apparentemente stupide all'equipaggio, con la scusa di essere 'arrugginita' sull'argomento portaerei. In pochi erano felici di rispondere, qualcuno si fingeva gentile, per poi andarsene. Altri invece, dissero di avere troppo da fare per stare dietro a un agente della CIA. La maggior parte, comunque, era già tanto se mi salutava. E quest'aura di maldicenze che mi aveva sempre perseguitato sembrava avvolgere anche la mia squadra, tanto che alla fine sembrò facessimo parte del mobilio o del ponte di volo. Guardando quei marinai mi ricordavo quand'ero anch'io in servizio sul ponte di volo, quando era compito nostro far decollare e atterrare gli aerei, quando avevo meno problemi.

E, se io me ne fregavo di quello che pensava l'equipaggio, Anne ci rimaneva male. La sentii piangere un paio di sere, dopo che l'avevano evitata per tutta la giornata. Ma io non avevo quel tatto e quella sensibilità necessaria per farla stare meglio. Probabilmente, pensai, se le avessi detto qualcosa, sarebbe stata peggio. Perciò lasciai perdere, aspettando che si abituasse.

Lisbona era esattamente come me la ricordavo. E mi piacque come la prima volta. Purtroppo rimanemmo in Portogallo solo una sera e una notte. Il mattino successivo, salendo sul ponte di comando dopo colazione, rimasi ad osservare i marinai che preparavano la nave a ripartire.

"direzione Inghilterra, signora" una voce interruppe i miei pensieri "c'è mai stata?" mi girai. Era uno dei pochi marinai che mi rivolgeva la parola, Sherman, l'amico gay -per quanto mi spiacesse etichettarlo così- di Collinsworth.

"purtroppo sì" mormorai, immersa di nuovo nei miei pensieri. Tornarci con una portaerei era la cosa peggiore che avrei potuto sopportare. Tornavo all'origine dei miei guai. Però, ricordai con un mezzo sorriso, era stata anche la mia prima missione 'fuori sede ' con Anne. E, in fondo, l'Inghilterra mi aveva fatto bene. Rimasi sul ponte per un po', finché non mi ricordai che stavano partendo, e che perciò i marinai che di solito erano di guardia avevano la giornata libera. Scesi sottocoperta, nella sala comune. c'erano una decina di persone, intente a leggere o ascoltare la radio

"buongiorno" salutai, con poca convinzione. Non rispose nessuno, così mi sedetti. Ci voleva poco più di un giorno per arrivare al porto di Plymouth . Dopo aver fatto rifornimento, la nave avrebbe proseguito verso Liverpool, per poi attraccare qualche giorno a Belfast. Da Liverpool all'Irlanda del Nord ci volevano meno di cinque ore: le portaerei possono raggiungere i 35 nodi. Nel frattempo, i piloti avrebbero fatto qualche giro di ricognizione in cielo. A Belfast -avevo scoperto ascoltando i marinai nella sala comune e sul ponte - la nave sarebbe stata caricata di materiale esplosivo, da portare a Esbjerg, in Danimarca. Da lì, la nave sarebbe rientrata in America. Non cercai di attaccare bottone con i marinai, perché tanto non sarebbe servito a niente. Perciò rimasi ad ascoltarli, fingendo di essere interessata a una rivista di automobili. Poco dopo mi raggiunse Jennifer che, seguendo il mio esempio, si sedette con un libro tra le mani.

"a Belfast ci sarà un bel po' di casino" stava dicendo uno, masticando del tabacco: a bordo erano proibite le sigarette.

"ah, sì, ho sentito. Stanno girando un film, vero Ben?" chiese un altro. Un film? Un film bastava a incasinare una città?

"già" mormorò quello che si chiamava Ben "un film sul rock, da quello che dicono i giornali. Ma meglio per noi, riusciremo a imbarcare senza che i turisti ci fissino come fossimo alieni … a proposito " continuò, abbassando la voce e guardando nella nostra direzione. Vedendoci 'assorte' nella lettura, proseguì "credete che sparirà anche questo carico?"

"ne dubito. Questa volta trasporteremo qualcosa che serve alla carriera di Cole, non ha molto interesse a farlo sparire. Anche perché, se mi ricordo bene, l'esplosivo viene registrato. Non si può rivendere senza permesso."

"anche per me sarà così. Ma non solo perché serve. Secondo me " l'uomo che masticava tabacco abbassò ancora di più la voce "Cole vuole togliersi loro" immaginai ci stesse indicando "dai piedi, prima di ricominciare" Jennifer cambiò pagina.

"forse è meglio se andiamo a risposarci" propose uno. Lo seguirono tutti, lasciandoci da sole. Aspettai che fossero lontani prima di parlare.

"hai sentito?" chiese la mia collega

"ma no!" risposi, acida.

"chissà che film stanno girando!" si chiese Anne quando le raccontammo tutto. Alzai gli occhi al cielo

"se non l'avevi capito, Simmons, non è il film la parte importante" sembrò smontarsi, accasciandosi sul letto.

"sono tutti convinti che c'entri l'ammiraglio" mormorò Ashley. Mi trattenni dal rispondere male anche a lui.

"allora c'entra"

"come fa ad esserne sicura, agente Rolland ? " domandò Ayrton. Non aveva un inglese eccezionale, e spesso faticavo a capire cosa dicesse. Ma era un valido agente, e un ottimo artificiere.

"sono stata su una portaerei. l'equipaggio sa molte cose che la maggior parte delle persone ritiene inutile. Ascoltano, ma di solito sanno farsi i fatti propri." non sembrava che capissero "avete presente il marinaio Sherman?   " annuirono, qualcuno fece un mezzo sorriso. "tutto l'equipaggio sa che è gay, ma nessuno andrà mai a fare la spia"

"perché?" chiese John. Sorrisi anch'io

"si chiama cameratismo. Sanno mantenere i segreti. Ma anche perché stare dei mesi per mare senza una compagnia femminile può essere un problema, per certe persone. Su questa nave non ci sono donne, a parte noi, e ai marinai sono proibiti i quartieri … diciamo  … 'allegri', pena il congedo" ora avevano capito.

"quindi sanno tutti chi è stato, ma non ce lo diranno?" chiese Anne

"forse non ne hanno la certezza, ma sono sicura che ognuno ha la sua spiegazione. Quando attraccheremo a Belfast, Ayrton, Ashley, John e Carl seguiranno il carico. Noi altri ci daremo il cambio sulla nave" augurammo buona notte agli altri, poi, a fatica, uscirono dalla nostra cabina, lasciandomi con Anne.

"buonanotte Rolland"

" 'notte,Simmons   " risposi, prima di spegnere la luce. Fu una notte tormentata, colpa forse del mare mosso. Ma quando entrammo nel porto di Plymouth, splendeva il sole. La nave doveva fare rifornimento, il carburante si stava esaurendo. Perciò gran parte dell'equipaggio scese a terra, dando una mano a caricare le provviste.

"andate a fare un giro" ci propose l'ammiraglio, ghignando come suo solito "è una bella città"

"no, grazie" risposi, gelida. Dopodiché me ne andai, lasciandolo da solo sul ponte. Ne approfittammo per fare un giro nei magazzini senza marinai in giro.

"Rolland, guarda qua!"mi chiamò Anne, dalla stanza accanto. La raggiunsi, cercando di non schiacciare i piedi a nessuno: lì sotto si stava proprio stretti, non mi ricordavo corridoi tanto piccoli.

La mia collega, insieme a Matthew, stava indicando una macchia d'olio sul pavimento.

"ma qui non c'era l'olio" mormorai

"infatti!" intervenne lei, agitando un pugno per aria "l'olio era un livello più sotto "

"sapete se ci sono delle telecamere?" chiesi, a nessuno in particolare. Fu Ellen  a rispondermi.

"di sicuro ci saranno, ma l'ammiraglio farà difficoltà se gli chiediamo le registrazioni"

"chi è il capo della sicurezza?" chiesi, di nuovo. La ragazza consultò la lista dell'equipaggio che si portava sempre a presso.

"uno dei piloti della nave. Il capitano di corvetta Justin McCarter " disse, servizievole "è sbarcato stamattina"

"ma deve tornare entro oggi pomeriggio, se vogliono salpare in serata" commentai, contenta. l'ammiraglio non si sarebbe fatto vedere fino all'ultimo segnale.

"come fai a sapere tutte queste cose?" chiese Anne, mentre andavamo a pranzo

"di cosa stai parlando?"

"beh, io non avrei mai pensato che ci volesse mezza giornata per saltare"

"salpare" corressi, in automatico.

"quello che è … o che non saremo mai riusciti a sapere qualcosa dai marinai"

"perché non ci sei mai stata." mormorai, desiderando in cuor mio di essere nella sua stessa situazione "tu hai insegnato all'accademia, saprai tutto sui cadetti. È la stessa cosa"

"se lo dici tu … " non mi diedi nemmeno la pena di rispondere.

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Capitolo 28
*** capitoli 30&31: l'ho sentita parecchie volte in televisione. era vero quello che dicevano di lei?&ma cazzo, Barnes, ci segui. potrei farti la stessa domanda. io sto lavorando ***


30-l'ho  sentita parecchie volte in televisione. È vero quello che dicevano di lei?

 Mi ero fermata a guardare la baia.

 Era spettacolare,poche volte avevo visto qualcosa del genere. Sembrava un'insenatura naturale, su cui si erano modellate le esigenze dell'uomo. Non il contrario, era questo ad attirarmi. Era uno spettacolo, la perfetta fusione tra uomo e ambiente. Quello che l'America poteva solo sognare. I grattacieli, gli edifici imponenti, il traffico mattutino nulla potevano contro questa magnificenza. c'erano barche a vela e pescherecci, turisti che facevano le foto e marinai che urlavano ordini a destra e a manca.

Mi ripresi solo quando sentii la sirena. Tre suoni: l'equipaggio doveva rientrare entro un'ora e mezza.

Andai di sotto, imbattendomi in un alfiere, il grado più basso tra gli ufficiali.

"mi scusi" borbottai, senza alzare lo sguardo.

"signorina Rolland?" chiese, quando l'ebbi superato. Mi fermai, non tanto per ciò che aveva detto, ma per la voce. Era un tono che ricordavo, ma non riuscivo ad associare a niente

"sì?" lo guardai. Era poco più che un ragazzino, avrà avuto si e no vent'anni, e la divisa gli stava grande, cascando dalla spalle fino oltre i polsi.

"non ho ancora avuto  l'occasione di presentarmi. Sono l'alfiere Derrick" Derrick … mi ricordava qualcosa. "abbiamo frequentato l'accademia insieme. Forse non si ricorda di me … ero al primo anno quando lei si è diplomata " come potrei non ricordarmelo? Stava attaccato a un mio compagno di corso, seguendoci ovunque andassimo. c'era da dire che non era cambiato molto: mingherlino, fragile, esile, sembrava bastasse una folata di vento a fargli prendere un raffreddore.

"mi ricordo"

"l'ho sentita parecchie volte in televisione" mormorò. Forse si stava chiedendo se era il caso di andare avanti. Non risposi, volevo sentire cosa diceva. "è vero quello che dicevano di lei?"

"perché me lo chiede?" domandai "cosa le interessa?" attaccai.

"lei e quel suo amico, Tom … io vi adoravo. Non posso credere che sia vero"

"e allora non ci creda. Non ha bisogno di me per ritenere qualcosa giusto o sbagliato" me ne andai. Cosa si aspettava? Cosa avrei dovuto dirgli? Che non avevo fatto quello che dicevano, che mi ero semplicemente innamorata. E no, caro, questi sono fatti miei.

"aveva ragione, agente Rolland " esordì Ayrton quando entrai nella mia cabina. Ma cos'era, un bar? Ashley gli risparmiò la fatica di esprimersi in un inglese decente.

"abbiamo parlato con il capo della sicurezza. Ci farà avere i filmati, con la massima discrezione" spiegò "e ci ha anche assicurato che salperemo in serata, come aveva detto lei"

"alcuni marinai ci hanno avvisato che a Belfast organizzeranno una festa. Secondo Collinsworth possiamo andarci anche noi. Sarebbe una bella opportunità per scoprire qualcosa in più" mi informò Ellen.

"e allora andremo. Carl, John, voi rimarrete con gli uomini di guardia" avrei anche fatto a meno di andare a quella festa, ma lasciare Anne da sola con tanti marinai non era molto raccomandabile. Per loro , più che per lei. Lei si sapeva difendere.

Facemmo scalo a Liverpool il giorno seguente. Liverpool era una dei maggiori snodi commerciali e turistici per il nord dell'Irlanda. Non ero mai stata in Irlanda, ma per me era come l'Inghilterra. Avevo sentito parlare delle bianche scogliere di Dover, ma dubitavo di avere il tempo per visitarle.

Non c'era tempo per scendere nella città inglese. Dovevamo fermarci al porto solo per imbarcare due soldati americani, da riportare in patria.

Sono americani, calma Chantal, mi dissi vedendoli sul ponte. Stai tranquilla, senti che accento meridionale? Devono essere Texani o giù di lì. Calma, respira. Non sono inglesi.

Era davvero assurdo, una sorta di grottesco dejà vu, ma in cui vedevo la scena dall'alto. Non sapendo chi fossero gli ospiti, avevo preferito aspettare sul ponte di comando, piuttosto che crollare davanti a tutto l'equipaggio. La cosa peggiore era che sapevo di aver già vissuto tutto, ma sapevo anche che questa volta sarebbe andata diversamente.

 

31-ma cazzo, Barnes, ci segui? Potrei farvi la stessa domanda. Io sto lavorando.

Quando vidi il porto di Belfast in lontananza era ormai sera. Gli aerei erano decollati e atterrati a intervalli regolari per tutto il giorno, controllando la zona e tornando per riferire. Un pilota inesperto di quei cieli si stava per schiantare in acqua, se non avesse avuto la prontezza di frenare. Il vento in favore era un gran cosa, se sapevi volare. Il centro di controllo della nave non prospettava nessuna tempesta, e l'ammiraglio aveva dato ordine di attraccare per tre giorni, onde effettuare i controlli necessari. l'equipaggio si stava preparando a scendere, alla festa che i compatrioti della base americana di stanza a Belfast avevano preparato.

A essere sincera, non avevo molta voglia di andarci, e quando scoprii che l'ammiraglio avrebbe visitato la città in versione notturna, convinsi Anne a venire con me.

Accettò quasi subito, nonostante le mie aspettative. Non le andava di andare in un locale con decine di marinai che sarebbero stati ubriachi prima dell'alba. Ci preparammo come tutti gli altri, e quando fu gettata l'ancora ci mettemmo in fila sul ponte.

Fingendo guardarci in giro, ammirando le bellezze architettoniche della città, seguimmo a distanza l'ammiraglio Cole, fino a quando non entrò in un bar. Ashley si fermò di guardia all'entrata -aveva insistito per seguirci-  mentre noi entrammo. Era un tipico pub inglese, con tanto di giovani avventurieri che picchiavano sul bancone. Nella folla mi sembrò di riconoscere qualcuno …. Ma no, non era possibile. l'accento irlandese era strano, un misto di inglese e quello che doveva essere gaelico, duro e incisivo.

"Rolland, guarda chi c'è!" Anne mi tirò un braccio e per poco non caddi.       

"chi c'è?" chiesi, annoiata. Non rispose, continuando a tirarmi dietro di sé. Incespicando, la seguii.

"ragazze, che sorpresa!" avrei riconosciuto quella voce ovunque

"ma cazzo, Barnes, ci segui?" chiesi, contrariata.

"potrei farvi la stessa domanda. Io sto lavorando"

"anche noi" risposi, più acida di prima. Ma possibile che dovesse essere il primo inglese che incontravamo?

"in Irlanda? Che coincidenza!" esclamò, ridendo.

"ma no! " esclamò Anne. E se non fosse andata avanti, avrei pensato che per una volta gli avesse risposto male "è quel film di cui parlano i giornali? Quello sul rock?"

"Killing Bono .sì, quello " disse, sistemandosi i capelli. E pensare che avrei dovuto saperlo, che me lo aveva detto, la sera del mio compleanno "posso offrirvi qualcosa da bere?"

"Rolland " cercò di convincermi Anne "è una buona posizione, da qui si vede bene l'ammiraglio" indicò un tavolo che, in effetti, si vedeva bene. Vi erano seduti l'ammiraglio Cole e un'altra persona, un uomo dalla pelle scura e i capelli bianchi. Conversavano amabilmente davanti a un bicchiere di vino.

"grazie, ma non prendiamo niente" Anne mi guardò male "siamo in servizio, Simmons" dovette annuire, volente o nolente. Rimanemmo lì sedute per quelle che mi sembrarono ore.

"state seguendo un ufficiale della marina?" chiese Barnes, a un certo punto. Gli risposi senza spostare gli occhi da Cole.

"è un ammiraglio" sussurrai, e mi udì nonostante il caos "il comandante della USS Theodore Roosevelt, porterei su cui ci siamo imbarcati due settimane fa a Norfolk. A quanto pare spariscono interi carichi dai magazzini"

"e a quanto pare c'entra questo ammiraglio" concluse l'inglese, per me. Mi sentivo stanca, quella notte non avevo dormito. Ma era nulla in confronto alla nausea che mi venne in quel momento. Senza pensarci, mi portai una mano alla bocca,cercando con gli occhi il bagno più vicino. Ma non avevo mangiato niente nelle ultime ventiquattro ore, perciò non avrei potuto rimettere.

"Rolland!"

"Chantal, che hai?" respirai profondamente, per quando potesse servire

"nausea" annaspai, rivolta a Anne. Preferivo farmi aiutare da una collega che da lui.

"forse è meglio che torniamo alla nave. Avranno qualcosa in infermeria"

"non è meglio che stanotte si fermi a terra?" chiese Barnes, senza prestare attenzione alle mie proteste "può stare da me, Anne" lei sorrise.

"Rolland, hai sentito?"

"no … certo che ho sentito, Simmons!" esclamai, quando vidi che era in procinto di ripetermelo "e la risposta è no"

"stai male, non ti stavo facendo una domanda" rispose Barnes, lasciandomi basita. Allora qualcosa da me  lo aveva imparato "Anne, dov'è ancorata la vostra porterei?" lei ci pensò un attimo

"al molo 12, seconda banchina. Siamo vicino a una motonave della guardia costiera"

"e quando salpate?"

"fra tre giorni"

"allora hai tutto il tempo per riprenderti. È un problema se non torni per la notte?" chiese, a me questa volta. Stavo per rispondergli male: adesso ti ricordi che ci sono anch'io?

"no, non facciamo parte dell'equipaggio" ormai era inutile anche protestare. Stavo troppo male per difendermi.

"allora,Anne, quando il vostro ammiraglio se ne sarà tornato sulla nave, avvisa che Chantal tornerà quando starà meglio" e che cavolo! Non ho cinque anni!

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Capitolo 29
*** -capitolo 32: e perchè oggi non hai mangiato? e perchè non ti fai un po' gli affari tuoi? ***


32-e perché oggi non hai mangiato? E perché non ti fai un po' gli affari tuoi?

 Protestai debolmente, mentre mi rimetteva in piedi, ma non bastò a fermarlo.

"Chantal, ti prego, non opporre resistenza. Non ti sto rapendo" mi aspettavo di entrare in un albergo. E invece, mentre mi tenevo la pancia, aprii la porta di una villetta.

"Rob, sono io!" urlò al buio. Dal buio apparve un ragazzo sui venticinque anni, con i capelli rosso scuro e un buffo pizzetto. Squadrò prima me, poi Barnes.

"già di ritorno?" chiese, con un sorriso.

"lei è Chantal, una mia amica. Non si sente bene. Chantal, questo è Robert Sheehan, un mio collega " ci stringemmo la mano, poi Barnes insisté per farmi sdraiare

"ma hai mangiato?" chiese, con sguardo indagatore, quando mi ebbe convinta a stendermi sul suo letto.

"oggi no. Ma di solito mangio. Sai, non posso mantenermi in vita solo con l'aria" parve non sentire l'ultima parte

"e perché oggi non hai mangiato?" continuò

"e perché non ti fai un po' gli affari tuoi ?" gli feci il verso.  Rise. Riusciva a ridere anche quando lo prendevo per il culo

"aspetta un attimo. E non alzarti!" minacciò. Non sapeva fare un'aria minacciosa, e mi trattenni dal ridergli in faccia.

Tornò qualche minuto dopo, con in mano un bicchiere pieno di un liquido bianco che frizzava debolmente. Spense la luce

"cosa stai facendo?" non rispose

"bevi" eseguii. Sapeva di limone, doveva essere qualche antiacido. Quando svuotai il bicchiere, me lo tolse dalle mani, per poggiarlo lì vicino. Non capii se era un tavolo o il comodino, era troppo buio.

"puoi dormire qui. Se hai bisogno sono di sotto"

"non è giusto" mormorai. Mi dispiaceva farlo dormire su un divano o una poltrona.

"non importa"

"importa a me" continuai, decisa. Anch'io so riconoscere un'ingiustizia.

"se prometti di non minacciarmi, rimango qui" tirò indietro il copriletto. Mi spostai e si sedette. "non credo che per te sia un problema" rise "d'altronde, non sarebbe la prima volta"

"la vuoi smettere?" lo rimproverai, mettendomi sotto. Era come se il mio stomaco si volesse rivoltare. Eppure, non avevo mangiato niente.

Barnes si era messo il pigiama, ma io non avevo azzardato a muovermi. Solo che con i jeans, la cintura che premeva sull'ombelico e i bottoni della camicia, non riuscivo a dormire. Con cautela mi sfilai i vestiti, lasciandoli cadere dal letto, e mi rannicchiai ancora un po' dalla mia parte.

"non ti mangio" mormorò, da un punto imprecisato del buio. Mi sembrava più vicino di prima. Infatti, dopo poco, sentii il suo respiro sul collo.

"non volevo svegliarti"

"non lo hai fatto" fece scorrere una mano sui miei fianchi

"stai fermo" borbottai minacciosa. La mano si fermò. Respirai, più calma. Non sapevo nemmeno io il perché. Era tanto che non stavo con un ragazzo, forse per questo ero così restia. l'ultimo ragazzo con cui ero andata a letto era … beh, lui. Una volta, non molto tempo prima, mi lasciavo abbracciare da un bel ragazzo, e non avevo problemi se qualcuno mi faceva delle avances. Perché lo stava facendo, se n'era accorta anche Anne, tempo prima.

"non pensavo di rivederti così presto" disse dopo un po', quando pensavo si fosse addormentato.

"nemmeno io. E, ora che mi ci fai pensare, non ti ho ancora ringraziato per il regalo di compleanno" risposi, minacciosa. Lo sentii sorridere nel buio.

"ringraziare? Allora aspetto" non capii esattamente cosa intendesse, ma il tono lasciava sottintendere qualcos'altro. Qualche minuto dopo la sua mano, rimasta ferma su di me fino a quel momento, tornò ad accarezzarmi

"guarda che non scherzo. Ti faccio male davvero, se non stai fermo"

"pensavo dormissi. E poi, mica stavi male?" questo non mi impediva di dargli un pugno. Un'altra pausa "me lo daresti un bacio?"

"NO! E poi, mi hai già baciato" ricordai, non so se con piacere.

"me lo ricordo molto bene. E mi ricordo anche che le tue labbra sono molto morbide"

"allora ricorda!" rise, facendomi girare. Provai di nuovo a protestare inutilmente.

Non aveva tirato le tende, e la luna, velata di nuvole, illuminava debolmente la stanza. Più che altro, illuminava i suoi occhi neri come il carbone. Stavolta sembrava serio

"me lo daresti un bacio?" ripeté. e,senza attendere una risposta -per negativa che sarebbe stata- appoggiò le sue labbra sulle mie. Erano calde, ardenti oserei dire. Ma questa volta non lo feci andare oltre. Spostai la testa,lasciandogli il collo. E non se lo fece ripetere due volte, lasciando una scia umida di baci

"dai, Barnes …. Ben!" si fermò

"com'è che mi hai chiamato?"

"eh?"

"mi hai chiamato Ben, non lo avevi mai fatto"

"si vede che non mi avevi fatto ancora arrabbiare così tanto"

"sei arrabbiata?" ghignò. Mi prese le mani e le trascinò sotto le coperte. Sul suo torace, che avevo subito criticato per la mancanza di muscoli visibili, fino all'elastico dei pantaloni. c'era qualcosa che non andava. Non appena capii di cosa si trattava, ritrassi la mano, riavvicinandola al mio corpo.

"avanti … non mi dire che ogni tanto non ti viene voglia anche a te di stare con qualcuno!" esclamò esasperato. Non potei rispondere. Perché aveva ragione. "sai cos'è uno 'scopamico'?"

"a grandi linee" dissi, evasiva.

"ti prego … non lo saprà nessuno" mormorò, dolce. Era un tono di voce che non avevo mai sentito, e che, in condizioni normali, non avrei mai immaginato che potesse usare. Cedetti. Perché sono umana. Stupida e umana.

'l'unico modo per vincere le tentazioni è cedervi ' o  qualcosa del genere. Cedetti. Semplice, no?

Beh, al momento mi sembrò così. Ero già mezza nuda, avevo in programma di dormire.

In un attimo fu sopra di me. Mi chiesi se avesse programmato tutto. Ma no, non era possibile, non poteva sapere che sarei stata male. Che stavo male, anche se in quel momento mi veniva difficile ricordarmene. Dopo che avevo lasciato che le sue labbra si impadronissero di me, che le sue mani esplorassero il mio corpo. Sapevo già che ci sapeva fare, ma fu una sorpresa, esattamente come l'altra volta, quando lo sentii dentro di me. Faceva male. Ma soprattutto, faceva bene. Un piacere che quasi, mio malgrado, stavo dimenticando. Perché il sesso, che ci sia o meno l'amore, è una cosa potentissima, in sé. Qualcosa per cui vale la pena cedere. Abbassarsi, in un certo senso. Eppure, c'era qualcosa di romantico, nel modo in cui mi toccava, come le sue labbra lasciavano le mie per raggiungere i capezzoli, come chiamava il mio nome, in quel modo sgraziato che avevo sempre detestato. Eppure, in quel momento, non mi diede fastidio. Perché non ebbi il tempo di pensarci. Era già abbastanza doversi trattenere dall'urlare, figuriamoci pensare ad altro.

Qualcosa mi diceva che era sbagliato. Oltre alle ovvie ragioni, che avrei sostenuto anche sotto tortura perché, in un modo o nell'altro, erano le mie convinzioni, sapevo che accanto a noi, da qualche parte, c'era il coinquilino di Barnes, tale Robert. Ed era troppo sperare che avesse il sonno abbastanza pesante da non sentirci. Ma lui sembrava non occuparsene. Lo sentivo gemere, sempre più forte. A un certo punto mi lasciai andare. Perché ogni tanto la vita bisogna anche godersela. E perché, dopotutto, non era per niente male sentire un calore che dal centro del corpo si propagava fino ai piedi e alle braccia. Mi si annebbiò la vista per qualche secondo, forse lacrime . Poi un altro calore, un altro urlo. Era venuto anche lui.

Mi accarezzò i capelli, sorridendo, cercando di riprendere fiato. Anch'io avevo il fiato corto, mi ero impegnata questa volta. E mio malgrado, come avevo già ammesso una volta, mi era piaciuto. E l'avrei rifatto cento volte.

Non che fossi innamorata di lui, o chissà cosa. No, non credevo che mi sarei innamorata di nuovo di qualcuno. Mi piaceva andarci a letto, non credo sia una cosa così strana. Rotolò di lato, prima di abbracciarmi di nuovo. E questa volta, non mi lamentai. Stavo tremando, e non di freddo.

"sono un idiota, vero?" chiese "non volevi … "

"se non avessi voluto ti avrei fermato" risposi. La forza non mi mancava.

"lo stomaco come va?"

"meglio, grazie" mi passò qualcosa

"credo che questi siano tuoi" mi rimisi reggiseno e mutande. Non ricordavo come avesse fatto a togliermeli. Andavo spesso in confusione, quando c'era lui "ma stai tremando! Hai freddo ?Vuoi una coperta?"

"non ho freddo. Diciamo che il mio corpo esprime le emozioni meglio di me" ridacchiai, enigmatica.

"credo che tu sappia esprimere le emozioni anche a parole, Chantal"

"se lo dici tu, Ben" lo vidi sorridere di nuovo. 







buongiorno a tutte/i!
chiedo immensamente scusa per avervi fatto aspettare così tanto, ma in questo periodo il tempo non mi è amico.... :(
siete pronte per un nuovo colpo di scena? beh, allora non vi resta che aspettare il prossimo capitolo (giuro, cercherò di pubblicare entro settimana prossima)
ah, un'ultima cosa: ero già piuttosto imbranata con il vecchio editor di efp, e ora ho provato per la prima volta quello nuovo, perciò chiesto scusa per evenutali mancanze di spazi/accapo/altri errori nel testo
a presto!
SaraViktoria

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Capitolo 30
*** -capitolo 33: hanno ucciso Cole. no, non sto parlando con lei... sì, gliela passo ***


buon pomeriggio a tutte/i!!

 

33-hanno ucciso Cole. No,direttore non sto parlando con lei … sì, gliela passo.

La mattina seguente mi girava anche la testa. Non avrei dovuto fare sforzi

"per me devi mangiare"

"guardi, Dottor Barnes, non ci ero arrivata!" esclamai, alzando gli occhi al cielo e addentando una fetta biscottata. Insistei perché mi riaccompagnasse alla nave, non conoscevo la città. Arrivati all'entrata del porto mi accorsi che c'era qualcosa che non andava. Non c'era nessuno, a parte Anne, che parlava concitata al telefono. Mi fermò, sembrava pazza

"hanno ucciso Cole" mormorò, cercando di non farsi sentire "no, direttore, non sto parlando con lei.. Sì, gliela passo" mi diede il telefono

"pronto?"

"Chantal, come stai?"

"mi spiega cosa sta succedendo?" chiesi, supplichevole

"l'ammiraglio Cole è stato assassinato questa notte mentre rientrava alla Roosevelt. Da quello che ho sentito vogliono incolpare te e  la tua squadra"

"COSA?!?" quasi lo urlai
"stai tranquilla. Ho fatto rimpatriare la tua  squadra poche ore fa, li proteggeremo noi. Anne è rimasta per informarti. Cerca di sparire per un po'. La tua collega andrà in Inghilterra, tu potresti andare in Francia, dato che la lingua non è un problema " ero confusa, non riuscivo a ragionare. Com'era possibile?  "perfetto, direttore. Grazie "

Non sapevo cosa fare. O meglio, lo sapevo, ma solo perché me lo aveva detto qualcuno. Mi aggiravo come un automa per l'aeroporto, senza badare a dove andavo. Il biglietto che mi aveva dato Anne recava come destinazione l'aeroporto di Bordeaux - Mèrignac, ma non mi importava. Non sapevo come avevo fatto a salutare Anne e Barnes, che mi avevano accompagnato all'aeroporto di Belfast - Aldegrove, come avevo fatto a passare il check-in. Sentivo la donna in uniforme che mi chiedeva di togliere gli oggetti metallici. l'avevo ascoltata, o almeno così mi pareva. Ma mi aveva lasciato passare. Non capivo perché, ero stata presa di sorpresa. Cole morto? Ma se stava benissimo, quando l'avevo lasciato. Quella che stava male ero io. Colpa nostra? E di chi era l'idea? Mi ero dimenticata di chiederlo al direttore. Ma l'avrei fatto, non appena fossi arrivata in Francia.

Non ero preparata a una cosa del genere. In valigia avevo solo vestiti pesanti, nascosti nella borsa i documenti falsi. Avevamo sempre un piano B, un posto sicuro dove andare se fosse successo qualcosa. Non avrei mai pensato che ci sarei dovuta andare veramente. La mia destinazione sicura era un comune di 190 abitanti in Aquitania, Aast. Un posto di contadini, dove nessuno fa troppe domande.

Era lontano quasi tre ore dall'aeroporto, le passai seduta sul sedile sgangherato di un autobus-navetta, che faceva il giro della regione. Non c'erano molte persone, ma il mio addestramento mi raccomandò attenzione. Presi i documenti falsi e nascosi i miei, non li avrei bruciati, questo mai. Guardai la foto, piuttosto recente, accanto al nome: Axenne Chevalier.

Scesi a una fermata, segnalata solo da un palo piantato nel terreno. Era un posto desolato, gli abitanti si conoscevano da generazioni. Sarebbe stato difficile, ma sapevo per esperienza che nei comuni più piccoli è più difficile venire scoperti. E parlavo abbastanza bene il francese da mescolarmi con le persone del luogo. Certo, il mio accento era prettamente canadese, ma sapevo mascherarlo bene, se volevo.

"bonjour " salutai l'uomo che mi avrebbe ospitato. Aveva provveduto a chiamare il direttore. Sarei passata come una nipote in visita. Nessuno si sarebbe chiesto altro. E se lo avessero chiesto a me avrei saputo eludere la domanda. Dopo qualche convenevole mi mostrò la casa. Aveva dovuto accettare, era stato nei guai con la giustizia quarant'anni prima, e uno dei nostri agenti lo aveva aiutato. l'omicidio non cade in prescrizione.

Il signor Chevalier abitava in una fattoria, come tante nelle vicinanze, circondata da campi. Allevava cavalli e coltivava cereali.

Nel pomeriggio mi portò in città. Non c'era molta gente, ma immaginai fosse sempre così. c'erano due negozi: uno spaccio che vendeva un po' di tutto, e una specie di bar. Due le strade principali, attorno alle quali si snodavano una banca e qualche casa abbandonata. Immaginai che abitassero tutti in campagna. Nello spaccio c'erano tre donne anziane.

"oh, cherie! " esclamò una, vedendomi. Il signor Chevalier, che dovevo abituarmi a chiamare Andrè, mi disse in un orecchio che tutti sapevano del mio arrivo. Ricambiai gli abbracci e i baci suoi e delle sue amiche. Blaterarono qualcosa sul fatto che ero identica a quello che era un mio zio alla lontana, poi mi invitarono da loro  a prendere un te. Dovetti accettare.

Ero cresciuta in campagna, ma alle porte di una grande città. Mirabel aveva tutto ciò che si può chiedere  a una città degna di tale nome. Aast era un piccolo sobborgo urbano, qualcosa che in America non sarebbe stato considerato nemmeno degno di nome. 190 abitanti era più o meno l'organico del mio Dipartimento e, in quella città, lo stesso numero figurava come risultato del censimento.

Dopo una settimana non ne potevo più. Seguivo ciò che accadeva nel mondo attraverso i giornali, perché, anche se c'era la televisione, si vedeva così male da farti desiderare che non esistesse. Mi sembrava di essere tornata indietro qualche secolo. Di auto neanche a parlarne, anche se molti le possedevano solo per spostarsi a Lequet per il mercato del sabato, a Garderès per lo spettacolo del circo, a Ger una volta al mese, per la processione. Erano persone -tutte sopra i cinquanta- che vivevano di religione e di quello che dava la terra.

Ne ero esasperata, non ne potevo più. Sarei scappata, se non avessi letto il giornale negli ultimi giorni. l'assassinio di un ammiraglio americano arrivava perfino in Francia, e il quotidiano d'Aquitania riportava giorno per giorno gli sviluppi delle indagini. Parlavano di sospettati, di una parte dell'equipaggio che tramava contro il comandante. Secondo alcuni era stato un gruppo sovversivo americano, imbarcatosi chissà come sulla nave. Per qualcuno era stata una ex amante. Come se qualcuno lo volesse!

Ad ogni modo, questo caso insolito, interessava tutti. E non mancavano i commenti,quando la noia mi spingeva a uscire dalla fattoria per andare in quello che non riuscivo a chiamare 'centro'.

"selon toi?" chiedevano tutti. Ed ero felice di poter accampare la giovane età come scusa, di dire che non mi interessavo dei fatti stranieri.

Mi ero perfino messa a pulire la fattoria, per occupare il tempo. Avevo scovato in uno stanzino dei secchi di metallo.

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Capitolo 31
*** capitolo 34-mademoiselle Chantal.... o dovrei dire... come ti ha chiamata? ***


chiedo umilmente perdono per aver interrotto di botto il capitolo precedente... ma mettere tutto in un capitolo sarebbe stato troppo, e non ho trovato un altro punto in cui spezzarlo. 
ad ogni modo, non so se Ben parli veramente francese. so solo che un po' di  tempo fa avevo visto un video amatoriale in cui diceva "je suis tres heureux d'etre ici", o qualcosa del genere.... quindi ho immaginato che, almeno a livello scolastico, qualcosa sappia.
buona lettura,
baci
SaraViktoria

34-mademoiselle Chantal …. O dovrei dire … come ti ha chiamata? Axenne?

Quel giorno stavo lavando l'ingresso. Sembrava non vedesse il sapone da secoli.

"Axenne!" chiamò Andrè. Ancora non mi ero abituata a sentirmi chiamare così, tanto che lì per lì mi chiesi con chi ce l'avesse, dato che abitavamo soli.

"oui, j'arrive " urlai in risposta. Mi sistemai i vestiti -avevo dovuto comprarne di nuovi, dato che in città non vedevano di buon occhio jeans e camice eleganti- e corsi sul retro. Davanti a quello che mi ero abituata a chiamare zio, stava un ragazzo, con i capelli scuri e gli occhi neri

"cosa ci fai qua?" chiesi, fregandomene del fatto che avrei dovuto parlare solo francese. Andrè mormorò qualcosa, trascinandoci dentro. Chiuse tutte le finestre e accese la luce, prima di sedersi sul divano, rammendando un paio di stivali

"Mademoiselle Chantal … o dovrei dire … come ti ha chiamato? Axenne?"

"sì" risposi, facendo una smorfia.

"come stai?"
"Barnes, cosa ci fai qui?" stava meglio con i capelli più corti, notai: assomigliava di meno a un mocio.

"rispondi prima tu"

"come vuoi che stia? Sono rinchiusa in questa specie di casa, con dei cavalli come amici e qualche vecchietta che mi insegna a fare la maglia!" ripresi fiato, era bello  potersi sfogare "ora tocca a te"

"allora, se vuoi l'ordine preciso … " feci un gesto impaziente "bene, sono appena tornato dalle premiere di Killing Bono a Londra e Dublino" mi passò una rivista di gossip "se vuoi tenerti aggiornata". Gli diedi una rapida scorsa. Oltre  a qualche articoletto scemo, c'era una serie di foto del ragazzo che mi stava davanti.  Da una parte,  a Londra, con uno smoking nero, cravatta a righe, insieme al ragazzo che avevo visto con lui a Dublino. Qualche pagina dopo,foto diverse ma sempre con le stesse persone, e con indosso un vestito grigio. Chiusi la rivista, in attesa del resto della spiegazione. Che non pensasse di avermi fermato!

"e poi" continuò "ho chiamato Anne, è a Città del Messico e sta bene" mi anticipò "mi ha dato il nome di questo posto, che tra l'altro immaginavo più grande" anch'io, aggiunsi mentalmente "e sono venuto"

"fin lì ci arrivavo anche da sola" risposi, sarcastica "quello che volevo sapere è il perché"

Rimase un attimo a pensarci, forse stava decidendo se rispondermi o meno.

"volevo vederti" disse, semplicemente. Forse avrei dovuto dimostrare un minimo di sensibilità. Senza forse, avrei dovuto farlo. Ma il tatto non è mai stato il mio forte.

"potevi guardare una foto"

"non posso baciare una foto"

"non puoi baciare neanche me" ribattei, come se fosse ovvio. Ma ancora non aveva capito?

"per questo sono qui"

"ti ho già baciato. Due volte" ricordai, sottolineando le parole con le mani "direi che basta e avanza"

"ma quello non conta!" si lamentò "io voglio un bacio vero, senza seguito" storsi il naso. E poi ero io quella complicata? "le due volte che ci siamo baciati poi siamo finiti a letto insieme" spiegò, stizzito.  Mi alzai dalla poltrona, cercando qualcosa

"cosa stai facendo?" chiese interessato

"cerco qualcosa da tirarti in testa" scherzai, appoggiandomi al mobile. Era una specie di credenza, in legno antico lavorato. Era il mobile migliore di quella casa.

"cosa te lo fa fare?" chiese d'un tratto, tanto che non capii a cosa si riferiva "intendo, stare qui, fare tutto quello che hai fatto per finire qui … " non mi pareva fosse molto chiaro, ma credevo di aver capito.

"vuoi la verità? Non lo so nemmeno io, ma amo il mio lavoro" feci una pausa, era complicato da spiegare "l'avrai capito, io non sono quel genere di ragazza casa, famiglia e chiesa. Anche solo l'idea di mettere su famiglia mi ha sempre fatto venire i brividi. Le ragazzine immaginano una bella casa, un marito che le baci la sera, stare sul divano a guardare la televisione con i figli, preparare la cena … a me non è mai interessato. Anzi, quando me lo chiedevano rispondevo male" non che adesso sia più gentile "quando abbiamo finito il liceo, mia sorella si è iscritta all'università, mentre io non avevo ancora le idee chiare. E i miei genitori non approvavano, anche se non me lo hanno mai fatto pesare. Avevo degli amici che parlavano di arruolarsi nelle forze di terra canadesi, ma non ero sicura di farcela, vivendo con i miei" mi fermai di nuovo. Non lo avevo mai detto a nessuno, nemmeno ai miei genitori "così, guardandomi intorno, ho visto il bando per le selezioni all'accademia della Marina americana"

"ma non bisogna avere la cittadinanza?"

"io SONO americana. Mia madre è nata negli Stati Uniti" risposi "mi sono iscritta -si faceva già tutto online- e dopo qualche mese  sono entrata all'accademia. Il resto lo sai" mormoro, restia a raccontarglielo.

"mi manca una cosa, scusa se te lo chiedo. Ma come sei passata dalla Marina alla CIA?"

"ci sono molti ex militari, nei nostri uffici" uffici che speravo di rivedere il più presto possibile. "il direttore aveva seguito il mio caso alla televisione ed è venuto a vedere qualche udienza. Dopo avermi sentito rispondere male a un avvocato mi ha chiesto di trasferirmi alla CIA. Ti prego, dimmi che sai cosa sta succedendo fuori di qui" implorai.

"perché, non leggi i giornali?"

"tu non conosci i francesi. Non sanno essere neutrali. Qui si parla solo di attentati agli americani"

"sono stato dalle parti del porto, dopo che siete partite, e non ho scoperto niente di buono " e non riuscii a trattenermi

"ma bravo! Ti sei messo a fare il piccolo detective?" sbottai acida. Gli risposi male, oltre agli ovvi motivi, perché io ero rinchiusa in quella maledetta città, mentre lui poteva andarsene in giro come voleva.

"ascoltami, prima di fare battutine. La Rose "

"Roosevelt" corressi, mordendomi le labbra. Neanche un nome si ricordava

"beh, la nave, è partita due giorni dopo il fattaccio" risi, di fronte a quel termine. Era proprio inglese "ha fatto i bagagli in fretta e furia, da quello che ho sentito dire in giro. Non so se Anne te lo ha detto, ma l'ammiraglio è stato ucciso mentre si trovava ancora a terra"

"no, non lo sapevo" ammisi

"e quindi il caso sarebbe dovuto essere della polizia di Belfast. Ma a quanto pare qualcuno ha fatto spostare il corpo sul … non so come si chiama … dove atterrano gli aerei" fece dei gesti insulsi con le mani

"è il ponte di volo. Ma vai avanti" lo rimbeccai. Avevo bisogno di sapere

"l'hanno portato lì. E dato che la nave è territorio americano, hanno avuto il permesso di tornare in America" assurdo. Chi poteva essere stato?

"qualcuno ha parlato della mia squadra?" mi informai. Mi sembrava una vita fa. Che avevo messo su la squadra, subito dopo il mio compleanno. Invece era passato quasi un mese.

"la gente del porto, soprattutto i pescatori, dicono che alcune persone non facenti parte dell'equipaggio sono state viste che si allontanavano dal porto. E alcuni membri dell'equipaggio, li ho sentiti parlare sul molo, sospettano siate state voi" liquidò il tutto con una mano, come se non fosse importante

"lo sai che se queste voci non cessano io dovrò rimanere qui a vita?"

"COSA?!?"

"parle plus bas!" esclamò Andrè

"ha detto … " iniziai

"ho capito, parlo francese" rispose, stupendomi. Stavo per fargli un'altra battutina, ma mi fermai non appena vidi la sua faccia.

"cosa c'è?" chiesi, vedendo che non si riprendeva

"tu devi rimanere qui per delle voci?" si fermò un attimo a pensare "e anche Anne?" aggiunse, forse per coerenza.

"in America le voci hanno più valore dei fatti. Sono già stata processata per un'inchiesta nata su una portaerei, sarebbe una coincidenza fin troppo evidente. La gente non mi vede di buon occhio. E gli americani non dimenticano facilmente." mormorai, esausta. Non ne potevo più. Di quella vita, di essere me. Avrei voluto essere un altro, per un giorno. Un giorno solo sarebbe bastato. Anche Barnes, giusto per capire cosa gli passava per la testa.

Dopo un po' - era rimasto a guardarmi come un ebete - Andrè insisté per cacciarci di casa. Presi la via dei boschi, dove non c'era mai nessuno.

c'era calma, quella calma innaturale che non puoi trovare in città, interrotta soltanto dal rumore di qualche animale e dal fruscio degli alberi.
"perché non possiamo rimanere in quella specie di casa?"

"perché qui sono tutti pettegoli, Barnes" spiegai "e se Andrè tenesse le finestre chiuse la gente farebbe troppe domande"

"ah, allora è questo che ti ha detto!" esclamò, battendosi la fronte con una mano "credevo stesse proponendo di buttarmi dalla finestra"

"potevo proporlo io" pensai ad alta voce, fermandomi. Eravamo arrivati in una sorta di  radura, dove il cielo non si vedeva per via degli alberi. Mi sedetti per terra

"e questi vestiti?"

"i jeans non sono visti di buon occhio" risposi, con un'alzata di spalle, indicando il prendisole azzurro che mi copriva a malapena le ginocchia.

"ti dona" commentò

"stai zitto" lo rimbeccai, minacciosa. Si sdraiò sull'erba, trascinandomi con sé

"questo posto ha il suo fascino, devi ammetterlo"

"qualunque cosa ha 'un suo fascino ' finché non sei costretto a starci. Perfino tu" mormorai, sincera. Ci fossi andata in vacanza, avrei adorato quel piccolo comune. Dovendoci stare per forza, lo odiavo con tutto il cuore.

"ti ringrazio. Credo sia il primo complimento che mi fai"

"ehi!"  Gli tirai una botta sul petto "ho detto che sei bravo a letto!"

"non me lo hai mai detto" ops, forse l'avevo solo pensato

"beh, te lo sto dicendo adesso" cercai di spuntarla, spostando la mano soddisfatta.

 

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Capitolo 32
*** -capitolo 35&36: cretino, era una battuta. non puoi fare niente, nessuno può fare niente&posso dirti che stai bene? posso dirti di andare aff..? ***


buonasera tutte/i!
eccomi tornata, questa volta con due capitoli, di cui l'ultimo un po' più lungo del solito :)
ci tengo a precisare che sono conscia del fatto che il capitolo 35 è un tantino surreale ma, quando la mia fantasia ha partorito l'idea, non sembrava così tanto strano. lo è sembrato rileggendolo ora, dopo qualche tempo. ma, nonostante tutto, continua a piacermi, e spero piaccia anche a voi
buona lettura
baci
SaraViktoria
 

35-cretino, era una battuta. Non puoi fare niente, nessuno può fare niente

"quindi qui ti chiamano Axenne?" chiese, dopo un po'

"già. Ti piace?"

"vuoi la verità?" cosa me ne fregava? Gliel'avevo chiesto solo perché non mi andava di rimanere in silenzio, perché volevo poter parlare il più possibile inglese. "preferisco Chantal"

"e allora fai in modo che possa tornare in America, Mago Merlino!"

"cosa posso fare?"

"cretino, era una battuta. Non puoi fare niente, nessuno può fare niente" risposi, intristendomi .

Non era da me fare la melodrammatica, ma dovevo ammettere che in quel momento non mi era venuto  in mente niente di meglio. Anche perché sapevo di avere ragione. Potevo solo aspettare. Aspettare e sperare.

"non hai appena detto che alla gente importano le dicerie e i pettegolezzi, no?"

"non esattamente" corressi, ricordando le mie parole "ma il succo è quello" liquidai, cercando di capire dove volesse andare a parare.

"se la gente ti credesse colpevole, potrebbe ricredersi vedendoti in giro con qualcuno di importante"

"potrebbe. Ma purtroppo la casa bianca non è sulla mia lista di posti da visitare"

"parlavo di me"

"tu ti consideri importante?" chiesi, scettica.

"era per dire. " acconsentì "ma, per quanto tu faccia fatica a crederci, c'è gente che segue i miei film"

"non posso non crederci" obbiettai "lavoro con Anne, ricordatelo. Solo, non credo che possa funzionare"

"e perché no? Anche se mi conoscono in pochi" ammise "quando la gente vede gli attori, pensa solo il meglio, finché non sono coinvolti in qualche scandalo. E fanno lo stesso con chi li accompagna, è una reazione psicologica del subconscio  … "

"ti prego, evita la psicologia!" esclamai.

"hai capito?"

"sì, credo di sì. Anche se per me non funziona"

"parlerò con il tuo capo" risi

"e secondo te il direttore della CIA accetterà una soluzione con tutte queste incognite? E la Simmons?"

"secondo te sono scemo? No … non voglio una risposta. Anne può farsi vedere con un mio collega, Will "

"perché non potrei stare io con questo Will?" chiesi, accusatoria

"perché l'idea è stata mia. E decido io. Quante ore ci vogliono per arrivare in America?"

"otto o dieci, dipende" si alzò in piedi di scatto, poi mi porse una mano. Che ovviamente ignorai: ero capace di rimettermi in piedi anche da sola, grazie.

Tornammo alla fattoria, dove convinsi Andrè a dargli un passaggio fino a Bordeaux.

"ci vediamo presto" feci una smorfia "e dai! Se tutto va bene, potrai tornare in America!" mi lasciai abbracciare anche perché, nonostante tutto, era una delle poche speranze che mi erano rimasto. La più ovvia e sicura sarebbe stato aspettare che la giustizia americana facesse il suo corso.

Sì, come no.

"Axenne, alors!"

"pardon" borbottai, fermandomi . Era mezz'ora che andavo avanti e indietro per il soggiorno, era naturale che perdesse la pazienza.

Era passata una settimana da che Barnes se n'era andato, e stavo per cedere alle mie convinzioni pessimistiche: dovevo aver ragione io, la sua idea doveva essere una cazzata.  E la cosa non mi faceva molto piacere, soprattutto perché, per un attimo, avevo creduto di poter tornare a casa, alla vita di tutti i giorni, al mio ufficio. Non potevo nemmeno chiamare i miei genitori, e iniziavo a pensare alla sgridata che mi sarebbe toccata non appena avessi rimesso piede sul suolo statunitense. Ma non era niente, in confronto al resto. In confronto alla prospettiva di rimanere bloccata per tutta la vita in quel paesino sperduto nel nulla.

 Neanche a dirlo, il mio futuro era nelle mani di un ragazzo scemo e della sua idea, ancora più scema.

Neanche a dirlo, mi trovavo a sperare che funzionasse.

Quando ormai stavo perdendo la speranza, cercando di adattarmi a quella vita strana e assurda, ricevetti una chiamata.

"Axenne, c'est pour toi!" urlò Andrè dall'altra stanza. Non sapevo nemmeno che ci fosse un telefono in quella casa. Titubante, andai a rispondere

"Halo?"

"Chantal? Dimmi che sei tu, ti prego, che quell'uomo …" risi. Il direttore non parlava francese.

"sì, direttore, sono io. Come sta?"

"come stai tu!"

"diciamo che ho passato momenti migliori. Ci sono novità?" chiesi, torturando il filo arricciato del telefono.

"forse" trattenni il respiro "c'è di buono che nessuno sapeva esattamente chi ci fosse a bordo della Roosevelt, e l'equipaggio si è dimostrato particolarmente collaborativo. Ma non ti ho chiamato per questo. Ricordi quel ragazzo che avete protetto in Inghilterra?" ma mi stava prendendo in giro? Sogghignai "a quanto pare sì … beh, è venuto in ufficio da me qualche ora fa, proponendomi una soluzione interessante. La vuoi sentire?"

"lo so già, grazie" borbottai "gli dica anche lei che è una cosa inutile"

"io non trovo. Se ci aggiungi il fatto che nessuno può essere certo della vostra presenza su quella portaerei …"

"va bene, ho capito. Ma secondo lei potrebbe, anche solo lontanamente, funzionare?"

"perché no? E soprattutto, cosa ci costa provare?" dovetti arrendermi davanti alla lampante veridicità di quell'informazione. Anche se non l'avrei mai ammesso. Non risposi, e lui lo prese come un sì.

"sto per dirti qualcosa che ti farà felice: ho parlato con alcuni miei collaboratori, tu e Anne potete tornare quando volete"

"davvero??" chiesi. Non ci potevo credere.

 

36-posso dirti che stai bene? Posso dirti di andare aff...

"a quanto pare mi devi un favore"

"vedi di non farmi cambiare idea" borbottai minacciosa, brandendo in mano un paio di scarpe. E stavo veramente cambiando idea. Se all'inizio ero più che felice di poter tornare in America, al mio lavoro e, soprattutto, in un paese dove c'era traffico al mattino, mi stavo lentamente ricredendo. Non tanto per l'America in sé -adoravo McLean e Langley-, ma piuttosto per le conseguenze di tutto quello. Secondo il direttore, avremmo dovuto farci vedere in giro con Barnes e il suo amico, tale Will. Non avevo capito che intendeva anche per feste, eventi mondani e quant'altro. Avevo cambiato idea non appena ci ero arrivata. Perché io vestiti non ne mettevo. E, cosa più importante, non portavo i tacchi. Per nessun motivo. Li tenevo in mano, aspettando che, o un fulmine li colpisse dandogli fuoco, o la donna che si occupava dell'immagine di quei due attori cambiasse idea. Inutile dire che non avvenne nessuna delle due cose.

"signorina, che facciamo?" mi incitò la donna. Era alta, bionda ossigenata, sui quarantacinque, vestita in modo classico. E se lei poteva stare in tailleur, perché io dovevo essere vestita così?

"posso dirti che stai bene?"

"posso dirti di andare aff … "

"no, non puoi" mi fermò Anne, agghindata secondo la sua migliore idea di eleganza. Barnes rise. E ti pareva. Tra l'altro, lei avrebbe passato la serata con un ragazzo biondo, molto più giovane di lei, inglese e decisamente più simpatico del principe Caspian. Perché? Parlava poco, anzi,pochissimo.

Alla fine mi convinsero a mettere anche le scarpe, dato che non ero intenzionata a uscire a piedi nudi

"Barnes, sai guidare all'americana?" chiesi, ricordandomi di quello che mi aveva detto qualche tempo prima. Stava arrivando l'estate e, anche se in Virginia a fine maggio la temperatura non superava i 15° -di notte- mi sembrava vestito un po' troppo pesante.

"e che cos'è, uno stile?" rispose lui, facendomi ridere, nervosa. c'era un altro problema. Oltre al vestito, alle scarpe e all'acconciatura troppo elaborata, mi preoccupavo per il trucco. Sapevo che Anne correva in bagno a sistemarsi minimo ogni due ore e molte nostre colleghe la seguivano a ruota. Sapevo che non sarei mai arrivata a tanto, anche perché non avrei saputo da dove cominciare, ne tantomeno mi importava il make-up.

In effetti, dovevo ammettere, se la cavava meglio di me, alla sua prima guida a destra. Forse perché non era la prima volta, forse perché era lui quello che viaggiava in continuazione.

"tu mi devi ancora una risposta"

"davvero?" chiesi, sincera. Non riuscivo a capire a quale delle tante domande senza risposta si riferisse.

"volevo un bacio"

"ti ho già risposto" ribattei, acida. Ma ancora ci provava?

"allora posso baciare Axenne?"

"Axenne non esiste più, grazie al cielo" per fortuna in quel momento dovette fermare l'auto davanti all'hotel che avrebbe ospitato a festa. Era la seconda volta, per mia sfortuna, che mi toccava andare a una festa del genere. Speravo solo che finisse presto. Tra l'altro, pensai sarcastica, era sempre colpa sua. Che fosse stato mandato da qualche strana divinità per sconvolgermi la vita?

 

 

Il salone era spettacolare. c'era un lampadario enorme al soffitto, quadri alle pareti, tavoli apparecchiati in bianco e oro. Sapevo apprezzare l'arte, dopotutto. Piccolo neo, c'erano anche parecchi giornalisti

"avanti, Chantal, dovresti esserne contenta" mi sussurrò a un orecchio l'inglese. Ancora non riuscivo a trovare gradevole quel suo accento."saranno la vostra salvezza"

"sai, sto iniziando a pensare che forse sarebbe stato meglio rimanere in Francia" borbottai, cercando di sorridere. Mi facevano male i piedi. E la testa, anche se non capivo cosa c'entrasse. Avevo mal di testa molto spesso, ultimamente. Ovviamente ero felice di poter dare la colpa a lui.

"signor Barnes, ha un minuto?" chiese una giornalista, con due occhi grandi come piattini. Sembrava un gatto in cerca della sua preda. O è più giusto dire tigre?

"come no. Chantal, vieni?" la donna ci portò in un angolo riparato della sala, seguita a ruota dal suo cameraman.

"cosa la porta in America?" gli chiese, inquisitoria.

"non potevo mancare a una festa così ben organizzata" rise lui. Mi distrassi, finché non sentii il mio nome. Barnes stava rispondendo a una domanda che non avevo sentito

"lei? È la mia Chantal " disse, con un accento troppo marcato su 'mia'. La giornalista ridacchiò, cristallina.

"Chantal … sei francese?"

"canadese" mormorai, pensando che le sarebbe bastato sentirmi parlare per capirlo anche da sola

"Canada … signor Barnes, le bellezze di casa sua non le piacciono?"

"oh, le ragazze inglesi sono molto belle" rispose, sempre ridendo. E adesso avevo capito il perché. Dopo tutto quello che avevo detto e pensato su e contro di lui, dopo tutte le volte che gli avevo fatto capire quanto mi costasse sopportare la sua presenza, ora mi toccava stare in silenzio, mentre parlava di me ai quattro venti, lasciando intendere che non era solo un rapporto professionale. Non lo era, lo sapevo bene, ma erano affari miei. E poi ero io la stronza?

"mi sta dicendo che state insieme?" riprese la giornalista

"come si dice?... Non confermo ne smentisco " rideva apertamente, ormai,  tanto che credo che anche la giornalista si stesse facendo qualche domanda.  Ci lasciò poco dopo, decisamente confusa. Allora non ero l'unica a cui faceva questo effetto, grazie al cielo!

"cos'hai?"
"secondo te?" mi guardò interrogativo "stai lasciando intendere a mezzo mondo che stiamo insieme!" bisbigliai, concitata.

"non sei contenta?"

"secondo te?" gli feci il verso. Rise. Ma perché rideva sempre? Oh, certo, perché secondo uno dei giornali che da giorni mi facevano trovare la mia scrivania -che carini i miei colleghi, li avrei strozzati tutti- il suo sorriso era 'disarmante'. Già, come no.

"ma proprio non mi sopporti, è?"

"se non fossi un attore 'famoso' che si diverte ad avere una schiera di ragazzine che gli sbavano dietro … no, nemmeno in quel caso. "

"e se tu non fossi stata un agente segreto tanto scorbutico,  io …  " si fermò, forse a pensare. Ma che dico? Non aveva un cervello. Si fermò solamente perché il criceto che andava sulla ruota nella sua testa doveva prendere fiato. Fatto sta che diventò tutto rosso e fece passare gli occhi su tutta la sala, finché un giornalista alto a magrissimo non catturò la sua attenzione

"Ben! Anche tu qua?"
"ciao,Max!" si batterono il cinque.

"e questa bellezza chi è?" chiese, interessato. Oh, ma i giornalisti dovevano essere fatti tutti con lo stampino?

"lei è Chantal,Max" mi tese la mano e gliela strinsi.

"se scrivo che state insieme mi fai causa?" chiese il tale chiamato Max, ghignando

"non sarai l'unico, non posso citare tutte le testate di gossip" continuarono a scherzare così per un po', tanto da farmi capire che di eventi mondani ne avevo avuto abbastanza per una vita intera.

Fui felice di potermi allontanare, sentendo suonare il telefono in quella specie di buco che mi avevano convinto essere una borsa. 

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Capitolo 33
*** capitoli 37/38 &39 ***


buonasera a tutte/i!
oggi vi lascio ben tre capitoli, e un nuovo colpo di scena... dato che, settimana prossima sarò piuttosto impegnata, e non credo che avrò tempo per aggiornare
buona lettura
baci
SaraViktoria


-37: Yvonne

"Halo?"

"Chantal, tesoro … " era mia madre. E qualcosa, nel suo tono di voce non mi convinceva

"è successo qualcosa? Mamma!" iniziò a singhiozzare

"Yvonne" riuscì a dire

"Yv cosa? Mamma, mi vuoi dire cos'è successo a mia sorella?" non faceva mai così, i miei genitori cercavano sempre di dirmi tutto. E io stavo andando nel panico.

"l'hanno investita, qualche ora fa. Il conducente si è fermato, ha chiamato l'ambulanza. Ma …. " le si spense la voce. Ti prego, dimmi che sta bene. Non è successo niente, mamma, dimmi che sta bene …

"ma cosa, mamma?" non potevo, non volevo capire.

"è morta, Chantal. Yvonne non c'è più" era mio padre. Lui riusciva sempre a mantenere la calma, lui piangeva ma trovava sempre la forza per parlare.

Lacrime calde iniziarono a scendermi sul viso, senza che potessi fermarle. La vita di mia sorella era sempre stata legata da un doppio filo alla mia. Nonostante ci vedessimo poco, sapevamo che non avremmo potuto  vivere senza l'altra. No, non era possibile. Non poteva essere possibile. Artigliai le mani alla ringhiera che avevo davanti e in quel momento ricordai che ero su una specie di terrazza. c'era silenzio, un silenzio innaturale che aumentava il mio dolore. NO! Volevo urlare, correre senza fermarmi più.

Sapevo cosa avrei dovuto fare. Dovevo andare in Canada, dalla mamma, da papà, da lei. Da quello che rimaneva di lei. Ma non avevo la forza di farlo, non riuscivo a muovermi di lì, non sapevo fare altro che piangere.

"Chantal?" mi chiamava una voce, un marcato accento inglese. Non volevo rispondere, men che meno a lui.

"Barnes, vattene" disse qualcosa. Faceva freddo, intuii tra le varie parole che uscivano dalla sua bocca. Poi mi vide in faccia e si zittì. "vattene" ripetei, sperando che mi ascoltasse. E invece, in un attimo mi fu vicino, le sue mani intorno alla mia vita. In condizioni normali gli avrei fatto male

"Chantal cos'è successo?" non riuscii più a fermare le lacrime, forse perché quel suo modo di interessarsi alle persone mi ricordava tanto quello di mia sorella, con un carattere così diverso dal mio.

"Yvonne … " balbettai tra le lacrime, la testa appoggiata su quella che -lo capii dopo- era la sua camicia. Ovviamente non poteva sapere chi fosse Yvonne, ma non fece domande

"devi tornare a casa?" chiese solamente. Riuscii ad annuire, o lo capì dalla mia espressione "andiamo" nonostante tutto, mi ci volle poco per registrare quell'assurdità

"d-devo andare in Canada"

"lo so. Vieni " non capivo dove volesse andare a parare, e la mia confusione aumentò quando mi fece sedere nella sua macchina. Anch'io sarei voluta andare subito a casa, ma c'era un piccolo problema, anzi, forse più di uno. Era sabato e ciò, in Virginia, significa aeroporti congestionati fino a lunedì. Come se non bastasse, in città c'erano molte feste, come quella a cui avevamo partecipato noi, uguale: impossibilità di trovare un biglietto aereo. Infine, avevo pensato di andarci in auto ma, oltre a non avere un auto -perché non mi piaceva guidare - il mio odio per la guida mi impediva di guidare senza crollare per più di una decina di miglia. Per arrivare in Canada ci volevano undici ore. E me lo avrebbe impedito anche il primo poliziotto che mi avesse fermato in quello stato. Seduta nell'abitacolo, sentivo le voci della festa ovattate, come da una radio male sintonizzata.

Barnes tornò in auto poco dopo. Prese posto alla guida e mise in moto.

"dove stiamo andando?" chiesi, asciugandomi le lacrime con un fazzoletto che qualcuno mi aveva provvidenzialmente messo in 'borsa'.

"a casa tua"

"voglio andare in Canada" mormorai, come una bambina capricciosa

"appunto" non mi diede altre spiegazioni, ed ero troppo sconvolta per fare domande. Entrò in quella che mi sembrava la 495 nord, e allora riuscii ad aprire bocca

"dove stiamo andando?" chiesi di nuovo

"a casa tua, Chantal" ma grazie! Me lo aveva già detto! "in Canada" precisò, vedendomi aprire di nuovo la bocca.

"in auto?"

"posso guidare per dieci ore" spiegò

"grazie" fu tutto quello che riuscii a dire. 

 

38-e io, che di ambizioni non ne avevo, che vivevo giusto perché mi trovavo lì e qualcosa dovevo pur fare, ero ancora qua.

Non parlammo per gran parte del viaggio. In fondo, pensai, doveva volermi bene. O non avrebbe fatto tutto questo per me.

Era, forse, la prima persona che dimostrava affetto nei miei confronti, negli ultimi anni. Soprattutto perché avevo fatto di tutto pur di allontanare gli altri da me. Perché credevo che rimanendo sola non avrei sofferto. Quanto mi ero sbagliata! Quanto tempo sprecato a chiudermi in me stessa, invece di provare a vivere. Veramente, non come avevo fatto fino ad allora.

E pian piano ero rimasta senza amici, Anne che mi sopportava perché dovevamo lavorare insieme, i miei colleghi che nemmeno mi salutavano, le compagne dell'accademia che spesso dimenticavo di chiamare. Due anni prima mi ero fatta una solenne promessa: buttarmi a capofitto nel lavoro, dimenticarmi del resto, perché il 'resto' fa soffrire. Yvonne mi aveva riso dietro e l'avevo lasciata fare. Ma lei, la mia gemella adorabile, aveva ragione. Sempre. Lei, innamorata dell'amore e di quel principe azzurro che prima o poi sarebbe passato a prenderla, ti diceva la verità tra una risata e l'altra. Vedeva la vita in modo semplice, dove due più due fa sempre quattro, senza variabili impazzite, prevedeva le conseguenze delle cose, ma non si arrabbiava se poi non andava così. Faceva un lavoro - l'agente immobiliare-  che le imponeva di stare a contatto con le persone, indovinare i loro desideri, e soddisfarli. Era più o meno quello che facevo io, solo più sicuro.

Sarei dovuta morire io, per tutte le volte che le avevo risposto male, per tutte le volte che mi aveva aiutato, per tutti i favori che le dovevo, per come mi aveva aiutato a riprendermi dopo il processo, per gli insulti che propinava a Smith quando io li esaurivo. Perché lei si meritava di vivere, di sposarsi, di avere i figli che tanto desiderava. E io, che ambizioni non ne avevo, che vivevo giusto perché mi trovavo lì e qualcosa dovevo pur fare, ero ancora qua. Non era giusto. Per niente.

Mi diceva sempre di non disperare, che avrei trovato anch'io l'uomo giusto per me, quando entrambe sapevamo che non esisteva uomo in America in grado di sopportarmi. Mi diceva che ero speciale, quando la donna incredibile era lei.

"ti ho preso questi" Barnes mi porse un sacchetto. Non mi ero nemmeno accorta che si era fermato.

"dove siamo?" chiesi, stupita, guardandomi intorno

"vicino alla frontiera. Come va?" non mi ero accorta che erano già passate tante ore, che non dovevano mancare più di tre o quattro ore di viaggio. Inclinai la testa, aprendo il sacchetto. Erano un paio di jeans e una maglietta nera, a maniche lunghe "spero di aver azzeccato la taglia" alzai la vita dei jeans all'altezza dei miei occhi, annebbiati dalle lacrime.

Si fermò un'altra volta, dopo aver passato il cartello con la scritta Quebec. E mi fece scendere.

"vai a cambiarti, che dopo ti devo parlare" disse, dandomi una piccola spinta verso i bagni. Era una stazione di servizio molto pulita e ordinata, con quattro bagni pubblici bianchi e blu. Chiusi a chiave la porta e mi cambiai. La taglia era giusta e quasi riuscii a sorridere. Cacciai senza troppe cerimonie l'abito lilla e la borsetta nel sacchetto di carta e, quando uscii, una donna intenta a lavarsi le mani mi fissò, strabuzzando gli occhi.

Mi incamminai verso l'auto, dove Barnes mi aspettava, appoggiato al cofano

"vieni qua" mi fece sedere accanto a lui "ora che ti sei un po' calmata, mi racconti cos'è successo? E chi è Yvonne?" in quel momento fui piena di gratitudine verso quell'uomo che mi aveva portato in Canada senza sapere nemmeno il perché.

"Yvonne è.. Era mia sorella. l'hanno investita ieri pomeriggio" le lacrime tornarono a scendere. Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome. Mi strinse dolcemente a sé. Avevo dimenticato che esistessero dei gesti così confortanti.

"quanti anni aveva?"

"la mia stessa età. Siamo … eravamo gemelle" non riuscivo a parlare di lei come di qualcosa di passato.

 

40-era l'inizio di una nuova giornata, una giornata che non avevo voglia di vivere.

Lei è. Faceva parte di me, ora e per sempre.  Presi una foto dal portafoglio, un piccolo cartoncino sgualcito che mi portavo sempre dietro. Eravamo due gocce d'acqua e il tempo non ci aveva cambiate. Sorridevamo, ricordavo bene l'occasione in cui ci avevano scattato quella foto: eravamo nel parco intorno alla casa dei nostri genitori, dalla parte della strada. Passando, una donna in auto si era fermata a guardarci, scuotendo più volte la testa. Alla domanda di mia madre, aveva spiegato che le eravamo sembrate un effetto ottico. Beh, certo. Mia mamma, come la maggior parte dei genitori di  gemelle, aveva la pessima abitudine di vestirci uguali, tanto che a volte papà faticava a distinguerci.

Crescendo eravamo cambiate ma, viste vicine, stesso taglio di capelli, stessa corporatura. Ma espressione diversa. Perché lei sorrideva sempre, io ero quella imbronciata.

Barnes mi asciugò le ultime lacrime con un bacio e rimasi così per un po'. Vedevo il sole sopra di me, salire lentamente. Era l'inizio di una nuova giornata, una giornata che non avevo voglia di vivere. Mancava qualcosa, lo sentivo. E la cosa peggiore era che sapevo cosa mi mancava, che il mio primo pensiero al mattino e la persona a cui mi rivolgevo inconsciamente quando ero arrabbiata, quando avevo bisogno di conforto, di un consiglio, ora non c'era più.

Fuori dall'ospedale di Mirabel c'erano una decina di persone, lo sguardo basso, il morale sottoterra. La camera mortuaria era uno di quei posti capaci di toglierti la voglia di vivere, facendoti capire che, prima o poi, lì ci saresti stata tu.

Ero sempre riuscita  a evitare di vedere la bara aperta, quando moriva qualche parente. Preferivo ricordarlo com'era in vita, piuttosto che lì, freddo, blu, silenzioso, immobile. Ma questa volta dovevo andare, lo sentivo.

Dietro la bara in mogano c'era mia madre, che piangeva con la faccia nascosta nel fazzoletto e mio padre, silenzioso dietro di lei, che di tanto in tanto di asciugava gli occhi, cercando di non farsi vedere. Intorno, qualche cugino, persone che avevo visto si e no due volte, lo zio Daniel e la nonna Grace, in lacrime tra le braccia del suo primo figlio.

Non salutai, non riuscivo a parlare. Tra l'altro, niente di quello che avrei potuto dire sarebbe servito. Rimasi in piedi all'altezza del viso di Yvonne. Portava un vestito elegante, da cerimonia. Pantaloni e giacca color ghiaccio. Sotto, una camicia nera. Sembrava serena, spensierata come la ricordavo, ma era vuota. Questa constatazione fece scendere nuove lacrime

"Yv … " mormorai a mezza voce, turbata di rompere quel silenzio fatto di singhiozzi e lacrime asciugate in fretta. Dopo qualche ora -o forse parecchi giorni di sole - mi accorsi che molti se n'erano andati, compresi i miei genitori. Ma potevo sentire mia mamma piangere lì vicino. Presi posto su una sedia lasciata in un angolo

"avanti, Yvonne, cosa ti è successo? Tu non dovevi morire, stavi aspettando il principe azzurro, ricordi?" mi fermai. Sapevo che era inutile parlare con un cadavere, che tanto non mi avrebbe risposto, ma non riuscivo a fermarmi. Dovevo scusarmi, dovevo dirle tutto quello che non avevo avuto il tempo di dirle quando poteva ancora rispondermi.  "c'era l'uomo giusto per te, da qualche parte. Magari non era neppure troppo lontano … ero io quella destinata a rimanere sola. Come dicevi sempre tu, non c'è uomo che mi sopporta, in America " a dire la verità diceva anche un'altra cosa, che mi tornò in mente solo in quel momento. Quando arrivavamo alla conclusione che, sul territorio americano, non c'era uomo che potesse resistere con me, lei saltava su con un 'basta allargare gli orizzonti, c'è anche l'Europa!'

c'è anche l'Europa, certo. Ma, nonostante avessi viaggiato, la mia metà non l'avevo ancora trovata.

Dopodiché, quando ebbi esaurito le parole, rimasi in silenzio, a piangere, nascosta dalle mie stesse braccia.

'basta allargare gli orizzonti, c'è anche l'Europa!'

"Chantal, andiamo" non mi ero accorta che fosse rimasto lì, ma mi serviva qualcuno che mi riportasse alla realtà, o sarei rimasta lì in eterno. Quando uscimmo mi accorsi che era sera, e iniziava a fare freddo. Me ne accorsi perché Barnes accese il riscaldamento, prima di mettere in moto

"ti porto a casa …. Ci sono alberghi qui vicino?" ci misi qualche secondo a registrare tutta la frase.

"non se ne parla!" esclamai, contrariata "tu dormi da noi"

"non voglio disturbare"

"e io non voglio dormire" ribattei, cercando di non guardarlo. Mi accorsi troppo tardi del doppio senso della mia frase e del fatto che, forse, avrei preferito non dover passare la notte a parlare.

Avevo bisogno di distrarmi, dovevo tirarmi su. Sapevo per esperienza che dovevo superare la cosa subito,  o me la sarei trascinata per anni, finendo per trasformarla in un'ossessione. Yvonne sarebbe rimasta in me, era la parte di me che sapeva ridere, quella che si prendeva in giro da sola, quella vocina nella mia testa che mi avevano detto si chiama coscienza, e che mi fermava prima che facessi qualche cazzata. Non credevo nel karma, ne tantomeno in Dio, mi fidavo solo di quello che potevo vedere e toccare, ma ero altresì convinta che fosse stata la voce di Yvonne a portarmi nel letto di Barnes, la prima volta.

'basta allargare gli orizzonti, c'è anche l'Europa!'

"vuoi una camomilla, un the? Mamma!" era seduta sulla poltrona, intenta a fissare qualcosa che io non potevo vedere.

"sì, tesoro?" chiese, stupita

"niente, maman" risposi, alzando gli occhi al cielo. Poi mi sedetti di fianco a lei, chiamando a raccolta il tatto e la gentilezza che non avevo "ascoltami" si girò verso di me "so che è difficile, so che ti fa male. Ma non puoi continuare così. Mangia qualcosa, fatti una doccia, vai a dormire. Devi farlo per lei, intesi?" annuì, alzandosi. Controllai che entrasse in bagno e riempisse la vasca, poi la affidai a papà, decisamente più lucido di lei.

Yvonne aveva sempre vissuto con loro e, per quanto mia madre potesse essersi abituata ad avere una sola figlia per casa, la perdita di Yvonne -lo sapevo- significava vuoto. Sarebbero rimasti solo loro due, perché io dovevo tornare in America. Non ero mai riuscita a resistere per più di un mese in quella casa, ero la donna errante, quella che a casa non ci sa stare. Ero sempre stata così. Forse ero fatta male.

Andai di sopra con due tazze di the, fumanti. Barnes era fermo davanti alla camera di Yvonne, guardando all'interno ma senza entrare.

"cosa c'è?" si girò verso la porta di fronte: camera mia. Poi rifece dietrofront.

"niente …. "

"cosa c'è?" chiesi. La sua risposta non mi convinceva. Aspettò che fossimo seduti sul mio letto, prima di parlare di nuovo.

"siete così simili, e allo stesso tempo così diverse … "

"da piccole eravamo identiche. Mia madre ci aveva cresciuto in modo che avessimo lo stesso carattere. Inutile dire che ha fallito miseramente. "

"perché ti chiami Chantal?"

"perché ti chiami Ben?" ripresi, perché capisse l'assurdità della domanda. Non lo capì, come al solito. Anzi, prese la domanda molto sul serio.

"mi chiamo Benjamin, che significa 'figlio prediletto', perché sono il primogenito, e ai miei genitori piaceva. Tra l'altro, non pensavano di avere altri figli. Quando è nato Jack, gli hanno dato un nome che ricordava il volere di Dio, proprio per questo. Tocca a te"

"Chantal significa 'luogo delle pietre' e, dato il mio carattere, credo sia un nome piuttosto azzeccato. Ovviamente i miei genitori non potevano sapere che sarei diventata un orso bruno scontroso. Mia madre ha sempre adorato cantare, e il mio nome deriva dalla parola francese chant, canzone. Perché ti interessa?"

"perché so che Yvonne significa tasso. Volevo capire se c'entrava qualcosa"

"non c'è un motivo. Avevano deciso di dare il nome di una nostra nonna alla prima figlia, e per puro caso è uscita prima lei" mi si era avvicinato tanto lentamente che non me ne accorsi finché non appoggiò le sue labbra sulle mia, una mano sulla schiena.

Devo ammettere che non avevo molto autocontrollo, se ogni volta cedevo. Gli cedevo, per essere precisi. Era anche vero che sceglieva sempre i momenti peggiori

"non te ne approfittare!" esclamai, spostandomi "sei uno stronzo, sapevi che non ti avrei fermato!" ripartii all'attacco, tirandogli un pugno. Fermò la mia mano a un centimetro dal suo petto, facendola avvicinare più lentamente

"so che non è il momento migliore, ma … "

Leanding on me. Merda, ma ci tenevo ad ascoltare! Ecco, visto? Si metteva in mezzo sempre, anche senza volerlo.

 

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Capitolo 34
*** -capitollo 40: fammi dimenticare chi sono ***


buongiorno a tutti/e!
spero abbiate passato delle buone feste, e che il tempo sia stato più clemente che qui da noi :)
aggiorno di corsissima nella pausa pranzo, ma prometto che domani troverò il tempo per rispondere anche alle recensioni!
buona lettura
baci
SaraViktoria

40-ti prego, fammi dimenticare chi sono

"Halo?"

"Chantal, non volevo disturbarti …. "

"mi dica, direttore" tagliai corto

"prenditi pure tutto il tempo che vuoi, non ci sono problemi … . Non appena rientrerai a Langley devo parlarti di un'offerta interessante"

"non può parlarmene adesso?" chiesi, in cerca di qualcosa che mi distraesse.

"meglio di no. Devi pensare a te, e alla tua famiglia" come non detto. Salutai, le lacrime di nuovo sul viso. Ma dovevo sempre trasformarmi in una fontana umana?

Fui io questa volta, ad avvicinarmi alle sue labbra

"ti prego, fammi dimenticare chi sono" mormorai, tra le lacrime.

Iniziò ad accarezzarmi dolcemente, come se volesse svestirmi di qualcosa, prima di farmi sdraiare sotto di sé. Passò le sue labbra su ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere …

Un ricordo confuso. Piacere, senz'altro. E la sensazione, per la prima volta, di  essere amata da qualcuno. Non avevo mai conosciuto l'amore, nonostante avessi scambiato una stupida recita per l'amore della mia vita. Io, che a poco più di vent'anni, mi ero convinta dell'amore di un uomo che mi aveva solo usata, mi ero ripromessa di non innamorarmi più. Non solo, avevo giurato a me stessa -e a mia sorella- di farmi suora piuttosto che andare di nuovo a letto con un uomo. Come se non bastasse, mi ero fatta un'idea completamente sbagliata dell'amore. Avevo finito per non crederci più, a convincermi che l'amore non esistesse, che fosse solo un'invenzione degli uomini, qualcosa per giustificare la venuta al mondo dei figli, il matrimonio. Anche da piccola, non credevo nel matrimonio. Non credevo nell'istituzione del matrimonio, in quell'anello simbolo di chissà cosa. Non che adesso avessi cambiato idea. Mia madre aveva sempre cercato di spiegarmi quanto il matrimonio fosse stato importante nella sua vita. Nella sua, non nella mia. Avevo ricevuto i sacramenti, per poi allontanarmi dalla chiesa, come da tutto il resto.

Era una sensazione strana, come un senso di speranza che non trovava riscontri.

Un profumo familiare mi costrinse a tornare alla realtà. Colazione.

"ehi, svegliati!" lo scossi con poca gentilezza

"ti adoro quando sei così delicata" mormorò, sarcastico, in risposta. Tra botte e spintoni riuscimmo a scendere. c'era mia madre, gli occhi rossi a gonfi di chi ha pianto molto e dormito poco.

"ciao, mamma. Va meglio?" chiesi. Lei fece un mezzo sorriso e mi strinse a sé, come se potessi farle da ancora.

"bonjour, madame. "

"ma che lingua parla questo?" chiese mio padre, sulla porta della cucina.

"francese. A modo suo" risposi, con un'alzata di spalle. Mia madre lo aveva capito, ma papà, canadese fino in fondo, non riconosceva il 'vero' francese per tale.

Mia mamma aveva superato se stessa, per la colazione di quella mattina. E a niente valsero le scuse di Barnes, per non farla lavorare tanto.

"andiamo a fare un giro? " chiesi, dopo un imbarazzante silenzio di quindici minuti, durante il quale mia madre era scoppiata di nuovo in lacrime.

"non riuscite a stare nella stessa stanza?"

"non voglio rimettermi a piangere" mi giustificai. Camminammo per il giardino, che da una parte confinava con il bosco. "mia madre starà male per sempre" mormorai, tra me e me.

 "non dire così, si riprenderà"

"tu non la conosci" e io, conoscevo i miei genitori?? "ha pianto per un anno quando mi sono trasferita in America. Ora che era abituata ad avere Yvonne per casa … " non finii la frase, perché non riuscivo a immaginare il vuoto -maggiore della voragine che sentivo io- lasciato da mia sorella nella vita dei miei genitori.

"mamma, lo sai …. Devo andare"

"cosa so?" chiese lei, tagliente. Avanti, sapeva che non sarei rimasta per tanto! E già una settimana passata lì mi sembrava un'eternità, con mia madre che piangeva quattro o cinque volte al giorno e la presenza, invisibile ma pesante, di mia sorella. Perché quella era stata anche casa sua. Era una sensazione terribile, passare per i corridoi, immaginando una specie di fantasma perlaceo che aleggiava a qualche centimetro da terra. Non che fossi superstiziosa, ma mi lasciavo suggestionare.

"Emma, basta " intervenne mio padre, calmo. Più calmo di lei, se non altro. Mio padre, ne avevo l'impressione sin da piccola, sapeva tutto sulle persone. Riusciva a capirti senza ascoltare e a calmare gli altri.

Non volevo litigare con mia madre.

"maman, mi dispiace. Ma devo tornare in Virginia" riprovai, per l'ennesima volta. Che mi urlasse dietro, ma dovevo spiegarglielo. Non potevo permettere che mi  portasse rancore, che pensasse che mi interessava più il lavoro che la mia famiglia. "mi conosci, lo sai che non ce la farei a rimanere qui. Ma se avete bisogno di qualcosa, qualunque cosa … " l'arrivo di Barnes impedì a mia madre di ribattere. Ad ogni modo, la sentii inveire in un francese degno di papà, mentre ce ne andavamo. Avevo insistito perché Barnes rimanesse da noi e aveva accettato volentieri. Come mi aveva fatto notare solo qualche giorno prima, era l'unico vero amico che avevo. Questo non mi impediva di prenderlo in giro per qualsiasi cosa, ne di rinfacciargli ogni volta di essere inglese.

 

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Capitolo 35
*** capitoli 41&42 ***


buongiorno a tutte/i!
torno dopo tanto -troppo- tempo. 
devo ringraziare mio  marito, per avermi regalato un nuovo computer a Natale... senza dirmi che avevo Office in prova solo per un mese! così mi sono ritrovata a non poter aprire nessun documento, e ovviamente a non avere tempo per andare in un centro commerciale ad acquistare una nuova licenza.
un grazie speciale a tutti quelli che mi hanno seguito fin qui e a tutti quelli che mi seguiranno :)
siamo arrivati più o meno a metà storia -che è già tutta scritta nel pc- e PROMETTO ancora una volta che, salvo forze di causa maggiore, mi impegnerò ad aggiornare regolarmente.
buona lettura
baci
SaraViktoria


41-come mi guarda, Jamie?

'E se fosse per nostalgia 

Tutta questa malinconia che mi prende 

Tutte le sere 

E se fosse la gelosia 

Che mi fa vedere cose 

Che esistono soltanto nella mia mente 

E se fossero emozioni 

Tutte quelle sensazioni di fastidio e di paura che ho '

"ma guarda te se devo scoprire le cose dai giornali!" esclamò il mio coinquilino, spaventandomi. E per lo spavento -dato che stavo ascoltando la musica con le cuffie a volume un po' troppo alto- caddi dal divano

"James, cosa c'è?" chiesi, contrariata. Mi lanciò un giornale, che presi al volo. Per fortuna: era nei miei piani passare tutta la domenica sul divano e quella caduta era già fuori dai miei piani. Lo sfogliai annoiata. Sussultai non appena capii a cosa si riferiva.

"è per lavoro!" mi lamentai, rilanciandogli la rivista e cercando di rimettermi sul divano.

"come no!" rispose, ridendo "ma hai visto come ti guarda?"

"come mi guarda, Jamie?" chiesi, più che altro perché sapevo gli piaceva dilungarsi sul comportamento delle persone. Sventrava interi servizi fotografici, analizzando ogni posa. Non potevo certo togliergli il piacere di divertirsi!

"avanti, non dirmi che non te ne sei accorta! Guarda queste due foto, c'è una differenza sostanziale: quando guarda te gli si illuminano gli occhi, mentre qui è … spento"

"certo, certo" liquidai. Non mi andava di discutere.

Passai gran parte della giornata sul divano, con la musica nelle orecchie, cercando di seguire i testi, finché il trillo del campanello non mi fece sobbalzare di nuovo.

"James! La porta!"
"sono sotto la doccia!" arrivò la risposta, ovattata dall'acqua. Controvoglia, mi alzai e corsi ad aprire, dato che lo sconosciuto insisteva.

"direttore? Come mai qui?" chiesi, preoccupata. l'ultima volta che avevo ricevuto una visita dal mio capo ero dovuta partire per Jakarta. Lo feci accomodare, scusandomi per il disordine. Ero una perfetta padrona di casa.

"ti avevo accennato a una proposta che dovevo farti quando fossi tornata a casa … " iniziò, titubante "penso sia più corretto parlartene in privato"

"mi dica"

"si è liberato un posto alla sede di Olympia, come direttore dell'Unità di Protezione. È un posto di grande prestigio, se te la senti … "

"Olympia? Nello stato di Washington? Io?" domandai, sconclusionatamente.

"perché no? Hai dimostrato di saper comandare"

"senza offesa, signore, ma l'unica volta che mi ha messo al comando di un'operazione, il principale sospettato è stato ucciso" il 'sono un disastro ' mi rimase impigliato in gola.

"non è stata colpa tua! E io credo che tu sia la persona giusta a ricoprire quell'incarico" ne sembrava tanto convinto che per un attimo la bevvi anch'io.

 

42-dal direttore. No, stai ferma lì. Non mi piaceva andare in giro con il cagnolino.

"Rolland!"

"Simmons, sono le sei del mattino. Si può sapere cos'hai da urlare?" mormorai, dalla scrivania. Aspettò di arrivare davanti a me prima di continuare a parlare

"mi trasferiscono a Los Angeles ! E Clyde va a Boston!"

"chi è Clyde? E cos'è questa storia?" chiesi, facendola sedere.

"quello" indicò un uomo poco lontano da noi. Sì, doveva aver collaborato con me per qualche indagine, ma il suo nome mi era passato di mente "perché, a te non hanno detto niente?"

"il direttore mi ha proposto di andare a Olympia, ma non pensavo … " mi fermai a pensare. Assurdo, a ben vedere. "un momento. Vogliono sciogliere il Dipartimento?"

"ci sei arrivata molto prima di me" ammise, smettendo di sorridere "ma è l'unica cosa che mi è venuta in mente. Secondo te perché?"

"non ne ho idea. Anche perché non credo che possano sciogliere l'Unità di Protezione proprio qui" mi alzai, decisa a capirci qualcosa

"dove vai?"

"dal direttore. No, stai ferma lì" la ammonì. Non mi piaceva andare in giro con il cagnolino. Bussai alla porta. Che aprii subito dopo, senza nemmeno aspettare una risposta. Ero furente. Era il mio Dipartimento. Ci lavoravo da più di due anni. Non mi potevano togliere anche quello.

"direttore, si può sapere perché ci state trasferendo tutti?"

"Chantal, a cosa devo questa visita?"

"la prego, non sono scema"

"su questo non ho dubbi. O non ti avrei offerto un posto a Olympia. Quanto alla tua domanda, vediamo … diciamo che il Dipartimento della Difesa ci ha fatto notare che stareste bene da un'altra parte" rispose, evasivo

"senta, so che avete i vostri segreti, che sono affari di stato e tutto quello che vuole … ma è il mio lavoro, e se devo andare dall'altra parte dello stato, vorrei almeno sapere il perché "

"vuoi la verità? bene" prese fiato "a quanto pare la CIA sul territorio americano è diventata inutile. A quanto pare basta l'FBI a garantire la sicurezza interna. A quanto pare noi serviamo solo per la guerra in Medio Oriente"

"stai zitto, non dire niente" lo anticipai. Ma cavolo, con tutti i bar che c'erano, dovevamo decidere di pranzare nello stesso posto?

"siamo di ottimo umore!" commentò, sarcastico "pranziamo insieme?"

"no" risposi, secca. Ma come al solito, non mi ascoltò, prendendo posto esattamente davanti a me e al mio panino. Non ero in vena di conversare, e sicuramente non con un certo attore inglese. Finii di mangiare in fretta, mi alzai e me ne andai, lasciandolo lì.

"Chantal!" non mi fermai. Come ho già detto, non avevo voglia di parlare. Ero rimasta scossa sentendo quello che il Pentagono pensava di noi, e ancor di più dal vedere come la mia vita poteva essere decisa a tavolino.

Chi erano loro, per decidere della mia vita? Cosa ne sapevano loro, dai loro uffici, che l'Unità di Protezione era inutile? E cosa avrebbe detto l'ispettore -che secondo il direttore avrebbe dovuto fare rapporto sulla reale utilità del mio dipartimento- ?

Io non volevo una persona che mettesse il naso nel mio lavoro. E non volevo che …

"per l'amor del cielo, Barnes, te ne vuoi andare?"

"si può sapere cos'hai?" chiese, prendendomi per un braccio. Mi divincolai

"problemi miei"

"devo chiamare Anne?"

"fai un po' come ti pare" ribattei, riprendendo a camminare. Si mise a correre, parandomisi davanti. Ma me ne accorsi troppo tardi. Per essere precisi, dopo essergli finita addosso. Mi imprigionò tra le sue braccia.

 

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Capitolo 36
*** -capitolo 43: mi dispiace. dispiace più a me. ne sei sicura? ***


buongiorno a tutte/i!

Colgo l'occasione per augurarvi buona Pasqua e sperare che lì da voi non piova, come invece sta facendo qui :)

e vi auguro una buona lettura!

p.s. ci vediamo a fine capitolo ;)

 

 

43-mi dispiace. Dispiace più a me. Ne sei sicura?

"vogliono trasferirmi" spiegai, all'ennesima domanda.

"mi dispiace"

"dispiace più a me"

"ne sei sicura?" a quel punto dovevo avere una faccia da completa deficiente, anche perché non avevo capito da dove venisse tutto quel suo interesse. Prese fiato, lasciandomi andare. "e perché ti vorrebbero trasferire?"

"non solo io, tutto il mio Dipartimento" spiegai, cercando di stare calma "vogliono sciogliere l'Unità di Protezione"

"e che cosa sarebbe?" presi fiato. Era veramente stupido.

"allora … hai presente che gli agenti si occupano di diverse cose? Bene … le cose simili sono raggruppate in un Dipartimento, al cui interno ci sono le diverse Unità … che sono tipo delle squadre. Ci sei?"

"più o meno. Ma non capisco … "

"non lo capisco nemmeno io"

"mi avevi promesso che mi avresti insegnato a sparare" disse, di punto in bianco.

"ma se ti ho appena detto che me ne devo andare?"

"beh, non partirai certo domani, e io rimango qui ancora una settimana … "

"va bene, va bene" mi arresi, alzando le braccia "fatti trovare in palestra, domani pomeriggio"

Passai il resto della mattinata a rimuginare su una possibile soluzione. Ma, come constatai alla fine, una soluzione non c'era. Dovevamo aspettare l'ispettore -che sarebbe arrivato il giorno successivo- ma, qualunque cosa avesse detto, non avrebbe cambiato la situazione. Come mi aveva spiegato il direttore, ce lo avevano mandato solo per vedere se qualcuno di noi sarebbe stato bene al Pentagono.

Piuttosto che lavorare con i federali, me ne sarei andata a Olympia.

l'ispettore, un uomo basso, calvo e antipatico, atterrò davanti alla nostra auto. Ci avevano mandato a prenderlo, con la velata minaccia di essere il più gentili possibile. Nel mio caso la minaccia era stata esplicita. Saltellò giù dalla scaletta, e gli andai incontro.

"salve!" urlai, per sovrastare il rumore dei motori

"oh, buongiorno signorina … "

"agente Rolland" corressi, portandolo verso la macchina. Anne, alla guida, partì subito.

"ovviamente sapete perché sono qui" esordì, sfregandosi le mani. Avanti, non faceva mica freddo! Era giugno, Santo Cielo!

"certo" risposi, atona. Sorrise

"non mi giudichi, agente. Il mio lavoro è infame quanto il suo"

"non ho detto questo" precisai "e, tra l'altro, non ho questa idea del mio lavoro" ci tenni a fargli sapere.

"ha mai ucciso un uomo, agente?"

"reputo che questi siano affari miei  " ribattei, stizzita.

"lo prendo come un sì"

"non lo era" iniziavo ad arrabbiarmi

"Chantal!" mi ammonì Anne, gli occhi fissi sulla strada. Finsi di non sentirla, ma non risposi all'ispettore.

 

Scoprii più tardi che quello era uno degli uomini più irritanti al mondo

"supera perfino te, Barnes " mi sfogai, quel pomeriggio.

"come sei nervosa! Mi devo fidare a lasciarti in mano una pistola?" sparai un colpo, dritto al bersaglio, poi gliela passai

"allora tienila tu" la mia mira era notevolmente migliorata, negli ultimi tempi. Le armi non mi erano mai piaciute chissà quanto, ma ne capivo l'importanza. "gambe aperte" mi posizionai di fianco a lui

"schiena dritta" gli posai una mano alla base della schiena, per farlo stare più dritto. Trasalì "che c'è, ho le mani fredde?" si limitò a sorridere.

"bene, adesso arriva la parte più difficile, devi inquadrare il bersaglio e, tenendo le mani ferme, sparargli" dopo qualche minuto fece partire un colpo. Che deviò pericolosamente, colpendo il bersaglio di fianco. Grazie al cielo a quell'ora c'era poca gente.

"non va bene" mormorò, dispiaciuto

"direi di no" rispose una voce dietro di noi. Mi girai appena in tempo per vedere l'ispettore venirci incontro, sulle sue scarpe col tacco.

"posso sapere cosa ci fa qui?" chiesi, cercando di essere gentile.

"potrei farle la stessa domanda"

"io qui ci lavoro"

"e lui?"

"è qui sotto autorizzazione del direttore. Glielo può chiedere, se vuole" attaccai.

"e sono sicuro che il direttore l'ha anche autorizzato ad usare la sua arma"

"non è la mia pistola. È del poligono" risposi, prontamente. Non mi sarei fatta mettere i piedi in testa da quel nanerottolo.

"non dovrebbe essere così scortese, sa?"

"non sta a lei dirmi cosa devo o non devo essere" ribattei, acida. Quell'uomo mi stava già antipatico, senza che iniziasse ad andarmi contro.

"Chantal, ispettore Saint!" esclamò il direttore, venendoci incontro. Si rese subito conto di quello che stava succedendo, e cercò di riportare la calma. "ispettore, perché non va a casa? È tardi, sono sicuro che ha voglia di rilassarsi" l'uomo dovette obbedire, salutare e andarsene.

"Chantal, cosa devo fare con te?"

"mandi via quell'uomo" risposi, come se fosse la cosa più semplice al mondo

"potessi, potessi … " ripeté, tra sé e sé "signor Barnes, sono sicuro che potete riprendere domani" lui mi salutò, appoggiò la pistola sul bancone e si affrettò verso l'uscita.

"devi stare calma, Chantal. l'ispettore non ti conosce e potrebbe farsi un'idea sbagliata su di te"

"non mi importa. Che pensi quello che vuole"

"ti deve importare, invece! Devi pensare al tuo futuro. Fare una bella impressione su un membro della Difesa potrebbe tornarti utile"

"non ci tengo, davvero"

"ho dato  al signor Barnes il permesso di entrare in molte aree della CIA" proseguì, cambiando discorso "e sai perché?" scossi la testa "perché ha un ottimo effetto su di te, non te ne sei accorta?" non mi diede il tempo di rispondere "da quando sei tornata dall'Inghilterra stai meglio, lavori meglio. E credo che il merito sia suo. Ti stai fidando di qualcuno, per una volta. Ora, io non so ne tantomeno voglio sapere cosa c'è tra di voi, ma qualsiasi cosa sia, è un bene. E vi volete bene, non cercare di negarlo."

 non potei controbattere. Perché aveva pienamente ragione. 

Mi ritrovai a pensarci tornando a casa. Erano solo le otto, non mi andava di andare a dormire. Non ancora. Avrei guardato la televisione, finché James non fosse tornato da uno dei locali in cui andava sempre la sera.

E io, cosa provavo per Barnes?

'vi volete bene, non cercare di negarlo ' certo, gli volevo bene. Niente di più. Anche perché non avevo idea di cosa significasse quel 'di più'. Come se si potesse volere bene a un uomo con cui vai solo a letto.

 

 

 

non odiatemi troppo, vi prego.

 

ad ogni modo, ormai ho già postato parecchi capitoli, e credo che ognuno, leggendoli, si sia fatto una propria idea dei personaggi. per cui, è arrivato il momento di presentarvi i miei:

e ora passiamo ai personaggi secondari: Cathy, la prima coinquilina di Chantal, è Anne Hathaway Anne Hathaway con occhiali

 

Il Tenente Colonnello Smith è Channing Tatum

 

I genitori di Chantal e Yvonne: Emma Leroy Rolland è Kelly Bishop, la madre di Lorelai Gilmore in Una Mamma per Amica

 

E suo marito, Jacob Rolland , è Antony Hopkins

 

James Collins, il secondo coinquilino di Chantal -che personalmente adoro- è Terence Howard Terrence Howard

 

l'ammiraglio Cole è Laurence Olivier, che ha interpretato l'ammiraglio Nelson in Il Grande Ammiraglio File:Laurenceolivier.jpg

 

Will, l'amico di Ben è, ovviamente William Moseley, il Re Peter delle Cronache di Narnia

 

l'ispettore Saint è Willie Garson, Stanford in Sex and the City e Mozzie in White Collar File:Willie Garson.jpg

 

Spero di non avervi annoiato, e che i personaggi vi siano piaciuti :) Quando verranno introdotti nuovi personaggi vi poterò le loro foto A presto Baci SaraViktoria

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