Cronache di una guerriera spezzata

di crazy_world
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buonanotte feccia ***
Capitolo 2: *** Tipico di Bella ***
Capitolo 3: *** Vuoto ***
Capitolo 4: *** Venduta ***
Capitolo 5: *** La verità ***
Capitolo 6: *** Vendetta ***
Capitolo 7: *** Lacrime di troppo ***
Capitolo 8: *** Affetto ***
Capitolo 9: *** Emozione e sentimento ***
Capitolo 10: *** Chiarimenti ***
Capitolo 11: *** Gravidanza ***
Capitolo 12: *** A sorpresa ***
Capitolo 13: *** Una bolla che esplode ***
Capitolo 14: *** Attesa e Polisucco ***
Capitolo 15: *** La fine ***
Capitolo 16: *** Epilogo - Undici anni dopo ***



Capitolo 1
*** Buonanotte feccia ***


Okay, prima fanfiction in assoluto! finalmente mi sono decisa a pubblicarne una:) Spero vivamente che vi piaccia, e se vi va, lasciate una recensione:) Baci! 





BUONANOTTE FECCIA

 

La donna si guardò intorno con aria assente e sofferente.

Il piatto di fine porcellana elfica luccicava, vuoto e pulito, sotto il suo mento appena sollevato.

I suoi occhi simili alla pece fissavano la parete di fronte a lei, senza però vederla realmente.

I minuti scorrevano lenti, lentissimi, e Rodolphus non si era ancora fatto vivo, all’alba delle otto e quaranta di sera.

Bellatrix Lestrange si annoiava. E Bellatrix Lestrange odiava annoiarsi.

-Peach!-.

Un piccolo, minuscolo elfo, comparve al centro della stanza.

-S…sì padrona?-.

-Il padrone. Ha detto a che ore sarebbe tornato?-.

-Peach non sa, padrona! Peach non è stata informata da padron Rodolphus!- piagnucolò la creatura, stropicciandosi il grembiule rosa chiaro.

Bellatrix si alzò dalla sedia imbottita, allontanandosi dalla tavola riccamente apparecchiata e decorata dagli elfi.

Si guardò svogliatamente intorno. Certo, era stata una bella fortuna che il ministero, sedici anni prima, non avesse demolito il maniero dei Lestrange. Era una costruzione bellissima: profondamente ispirata allo stile gotico francese, era slanciata ed imponente, molto luminosa (cosa che Narcissa invidiava molto alla sorella, dato che Malfoy Manor era decisamente buio), grazie alle numerose finestre, alcune delle quali realizzate con pregiati vetri colorati.

Nella sala da pranzo, dove attualmente Bellatrix attendeva il marito impegnato in affari di lavoro, c’erano solo tre quadri.

Il primo in realtà era una grande foto che ritraeva i due coniugi, il giorno del loro matrimonio. Entrambi sorridevano, gli occhi luminosi e i volti baciati dal sole. L’immagine era pressoché statica, eccezion fatta per Rodolphus, che ogni tanto salutava qualcuno che probabilmente si trovava alle spalle del fotografo.

Il secondo quadro rappresentava un signore molto anziano che non faceva altro che dormire tutto il giorno. Era il trisavolo di suo marito, Marcus Pitius Lestrange, un uomo avaro e crudele.

Il terzo invece era una tela molto semplice: una natura morta. Era un dipinto proveniente dall’Italia, di un qualche pittore babbano… Nonostante Bellatrix odiasse con tutta se stessa i Babbani, aveva un debole per l’arte, esattamente come Narcissa, che però conosceva perfettamente vita, morte e miracoli dei vari artisti europei e non.

La Mangiamorte si avvicinò ad una delle finestre e vide qualcosa che le peggiorò notevolmente l’umore.

-Peach-.

-Sì padrona- -Dì a Lucius Malfoy che sono a riposare e che non voglio essere disturbata-.

-Certo padrona!-.

-È questo il modo di accogliere un caro amico in casa tua, Bella?- esordì Lucius entrando nella sala da pranzo con la piccola Peach che tentava invano di fermarlo.

-Padrona, Peach chiede perdono! Peach non è riuscita a fermare il signor Malfoy!-.

Bellatrix la freddò con un’occhiata, e l’elfa sparì otre la porta della stanza, prendendosi a pugni la testolina.

-Io non vedo cari amici, Malfoy-.

Il biondo scoppiò in una tetra risata. -Oh, Bella, Bella- ridacchiò, scuotendo il capo, -mi chiedo il perché di tutta questa… acidità-.

La riccia non lo degnò di risposta, e si avvicinò al mobile bar.

-Bellatrix, dobbiamo parlare-.

-Riguardo cosa?-.

-L’altra notte-.

La donna riempì un calice di cristallo di Firewhiskey. -Prego?-.

-L’altra notte, Bella- sorrise lui, mellifluo. -Sai… l’attacco al Paiolo Magico, Avery che allunga un po’ troppo le mani… la tua reazione-.

-Avery è un cretino-.

-Avery era un cretino-.

-Giusto- ghignò lei.

-Non c’era bisogno di ucciderlo, Bella-.

-Sì be’… ero ubriaca. Potevate anche fermarmi- fece lei, sorseggiando il liquido dal bicchiere.

-Fermarti? Per poi morire tutti? Avery non vale le nostre vite- sghignazzò Lucius. -Solo Rod avrebbe potuto placarti, ma sfortunatamente era altrove con il Signore Oscuro-.

-Se Rod fosse stato presente, Avery, ubriaco o meno, avrebbe tenuto le zampe nel mantello-.

-Vero- concesse l’uomo.

Bellatrix prese una lunga sorsata di liquore; poi squadrò il biondo con sguardo canzonatorio.

-Sei venuto fin qui solo per questo?-.

Lucius si guardò intorno, come per cercare appoggio nella stanza. Si schiarì la voce; quando parlò, il suo tono era decisamente più basso, come se il vecchio Marcus avesse potuto origliare.

-Vedi… non so se ricordi ma… l’altra sera è successo anche dell’altro-.

Lei inarcò le sopracciglia. -Spiegati-.

-Be’…l’altra notte è successo qualcosa tra noi… due-.

-Te l’ho detto: ero ubriaca-.

-Bella, sii seria-.

La Mangiamorte si alzò dalla poltrona sulla quale si era seduta. -Io sono seria!-.

Gli occhi di Lucius brillarono.

-Vuoi dire che non rammenti niente?-.

Lei emise un suono gutturale, poi lo guardò irata. -No, stupido platinato!-.

Lucius sgranò appena gli occhi e rise. -Ma tu guarda. La prediletta del Signore Oscuro è impreparata-.

-Non giocare con me, carogna- ringhiò lei.

-Calmati Bellatrix- mormorò lui.

-No che non mi calmo! Cosa diavolo è successo tra noi due l’altra notte?-.

-Oh, niente di che… diciamo solo che tu sei… be’, sei "caduta" nel mio letto-.

-No-. Il sussurro aspro della donna risuonò come uno schiocco di frusta. -Non è vero-.

-Oh si che lo è-.

La riccia abbassò il capo, fissando il pregiato tappeto sul quale sostava. Quando tornò a fissare l’uomo davanti a lei, il suo viso sembrava mutato.

-Complimenti Lucius- commentò con una voce infantile e giocosa. E nella testa dell’uomo si accese un campanello d’allarme.

Quello era uno dei rari attimi in cui Bellatrix faceva paura anche senza la bacchetta, momentaneamente appoggiata sul tavolo.

-Davvero complimenti, sei un vero cattivone-.

-B… Bella-.

-Taci!- bisbigliò lei, folle. -Voglio che tu mi racconti esattamente quello che è successo, mio viscido "caro amico"-.

-Bellatrix, non c’è bisogno di scaldarsi-.

-Oh no… non ho nemmeno iniziato-.

La donna si avvicinò pericolosamente al tavolo in mogano, gli occhi di entrambi che saettavano ad intervalli regolari verso la bacchetta.

-Ti racconterò tutto, ma devi calmarti, ti prego-.

La mano della Mangiamorte si strinse, quasi con affetto, intorno alla bacchetta appena recuperata.

-Parla Lucius, ti ascolto; sono calma-.

Lui deglutì ripetutamente. Iniziò a parlare con voce controllata, nonostante la paura stesse prendendo il sopravvento.

-Noi… noi eravamo al Paiolo Magico. Dopo averlo attaccato e mezzo distrutto, abbiamo svuotato le dispense e ci siamo messi a bere, io, te e Avery, mentre Nott se n’è andato. Avery ci ha provato con te pesantemente, e tu gli hai scagliato prima un Crucio. Ma dato che poco dopo l’ha rifatto, gli hai lanciato un’Avada Kedavra. Queste cose te le ricordi?-.

-Vagamente- mormorò lei tormentandosi le mani. -Va’ avanti-.

-Abbiamo bevuto ancora e ancora. Poi ad un tratto ti sei letteralmente gettata tra le mie braccia e… è successo quel che è successo. Siamo stati insieme. Alle prime luci dell’alba, questa mattina, ti ho riportata qui, di Rod non c’era nemmeno l’ombra-. Lucius prese un grande respiro. -Questo è quanto-.

Il petto della donna si alzava e si abbassava, freneticamente; gli occhi scuri erano pozze d’incredulità, e la bocca era leggermente aperta, in una smorfia scioccata.

-Io sono venuta a letto con te?-.

-Esatto-.

Bellatrix si lasciò cadere su una poltrona, senza forze. -Cosa dirà Rod?- gemette.

Malfoy si inginocchiò dinnanzi a lei, un leggero sorriso a increspargli le labbra sottili.

-Ma non è obbligatorio che tuo marito lo sappia, Bella-.

Lei lo guardò disgustata.

-Mi stai forse dicendo che saresti disposto a tacere, Lucius?-.

-Certo- mormorò lui con voce strascicata. -Ti basterà solo farmi un piccolo favore, in cambio-.

-Che cosa vuoi?- scattò lei.

L’uomo la studiò per un attimo. -Il vostro maniero-.

-Che cosa?! E Rodolphus ed io dove andremo a vivere?!-.

-Non ora, tesoro- ridacchiò l’uomo, -quando la guerra sarà finita. Se io o Narcissa o Draco sopravvivremo, questa casa andrà ad uno di noi. In caso contrario, sarà ancora vostra-.

-E che mi dici se sopravviviamo tutti?-.

-In quel caso tutto resterà com’è ora-.

-Ci sto- ghignò Bellatrix.

-Affare fatto-. Lucius allungò il braccio.

-Non ti dispiace se ti stringo la mano, non è vero? Vorrei avere meno contatti possibili con te-.

Lui scoppiò a ridere. -Tranquilla, è prevedibile-.

Recuperò il mantello da viaggio dallo schienale rigido di una sedia e lo indossò.

-Buonanotte Bellatrix. Salutami Rodolphus, ti prego-.

-Buonanotte feccia-. 

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Capitolo 2
*** Tipico di Bella ***


Ciao a tutte/i! Innanzi tutto, vorrei ringraziare Phoebhe76 e The_Writer per le loro meravigliose recensioni (Cami grazie ancora, davvero!). Sono davvero f-e-l-i-c-i-s-s-i-m-a che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito. Dunque, ho fatto i miei calcoli, e credo che tra scuola, casa, e altri impegni, riuscirò ad aggiornare in media una volta a settimana (questo non esclude che io possa postare due capitoli in due giorni, o due capitoli in tre settimane :) purtroppo ho davvero una miriade di impegni). Bene, basta chiacchere, vi lascio al secondo capitolo di "Cronache di una guerriera spezzata". Un bacio!

 

TIPICO DI BELLA

 

Doveva solo rimanere viva.

Doveva solo proteggere Rodolphus dai prevedibili attacchi di quel viscido di Malfoy.

Doveva solo mantenere il segreto.

Doveva solo fare finta di niente e comportarsi come sempre.

Bellatrix aveva ucciso decine di persone in tutta la sua vita; aveva torturato dozzine di uomini e donne; aveva svolto compiti per l’Oscuro Signore davvero complicati. Eppure, non si era mai sentita senza via di fuga. Non si era mai sentita così indifesa.

Ci doveva essere un modo per uscirne illesi. Dopotutto era una Black, per Merlino!

Lei non conosceva la debolezza. Essere debole in guerra, significa soccombere.

Probabilmente, ad occhi estranei, sarebbe sembrato strano che Lucius non avesse voluto stringere un Voto Infrangibile. Ma tra i Mangiamorte non servivano certi mezzi.

Se avevi il Marchio Nero sull’avambraccio sinistro, nel momento in cui promettevi qualcosa, lo mantenevi, e facevi in modo che venisse mantenuto. Tutto questo, senza l’utilizzo di arti magiche, ma semplicemente raccontando ad un altro Mangiamorte del patto.

Naturalmente, doveva essere una persona di cui potevi "fidarti".

E Bellatrix aveva già in mente a chi chiedere il favore di custodire il suo segreto.

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-Buongiorno tesoro-.

-‘Giorno Rod- sbadigliò la donna, prendendo posto a tavola.

Si trovavano nella stessa stanza in cui, la sera prima, era avvenuto l’acceso dibattito tra Bellatrix e Lucius.

-Hai dormito parecchio-.

-E tu non hai dormito affatto. Mi sono svegliata alle due di notte e non eri ancora arrivato. A che ora sei tornato?-.

-Alle quattro meno un quarto. Credimi, è stata la missione più noiosa che io abbia mai dovuto compiere-.

-Cos’hai dovuto fare?-.

-Il palo-.

Bellatrix tossì; il succo di zucca le era andato di traverso. -Il che?-.

-Il palo, la sentinella. Sono rimasto per quasi due giorni fuori da una dannata grotta in mezzo al mare!- mugugnò lui, sgranocchiando un biscotto allo zenzero.

-E non ti ha detto che cosa doveva fare?-.

-No. Mi ha soltanto detto che doveva entrare nella grotta per sbrigare delle faccende ‘delicate’-.

-Capisco-.

Rodolphus prese di malavoglia la copia della Gazzetta del Profeta dal bordo del tavolo e l’aprì.

I suoi occhi scuri scrutarono la prima pagina. Poi le sue labbra si stesero in un ghigno.

-Amore, parlano di te-.

-Sul serio?- chiese lei, sorridendo.

-Sì, senti qui: "Attacco al locale ‘Il Paiolo Magico’: i Mangiamorte Bellatrix Lestrange e Lucius Malfoy, indiscussi capi della missione, hanno bombardato porta e finestre del locale, oltre ad aver abbattuto il muro che divide Londra Babbana da Diagon Alley…"- lesse Rodolphus. -Dovete aver fatto davvero un ottimo lavoro- commentò.

-Sì… effettivamente…- mormorò lei, indispettita dal fatto che l’autore dell’articolo avesse affiancato il suo nome a quello di Malfoy. -Comunque lo abbiamo attaccato due sere fa. Ne parlano solo ora?-.

-Probabilmente erano indecisi se pubblicarlo oppure no-.

-Può darsi- tagliò corto. -Oggi hai da fare, Rod?-.

-Temo di sì, tesoro. Sto trascurando troppo i miei affari-.

Bellatrix esultò silenziosamente. Certo, le dispiaceva non stare con suo marito ora che ne aveva il tempo, ma doveva assolutamente parlare con qualcuno della promessa.

-È vero. Non ti dispiace se vado a trovare Anita, questa mattina, vero?-.

Lui sogghignò. -E da quando mi chiedi il permesso per fare qualcosa?-.

-Giusto. Allora sappi: questa mattina andrò da Anita- rise lei, avvicinandosi a suo marito.

-D’accordo amore-.

Bellatrix si piegò su di lui e appoggiò dolcemente le sue labbra su quelle di lui, sfiorandole appena. Rodolphus reagì baciandola con foga, una mano posta saldamente sulla nuca di lei.

-Io vado- sussurrò la donna, gli occhi scintillanti.

-A dopo- mormorò lui con voce roca.

Usando violenza su se stessa, Bellatrix si allontanò dall’uomo, raggiungendo la porta della sala da pranzo ed uscendo nel corridoio.

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-Peach il pranzo dev’essere pronto per mezzogiorno e trenta, non più tardi. Io esco-.

L’elfa si mordicchiò le dita e guardò la Mangiamorte mettersi il lungo, nero e pesante mantello da viaggio.

-Sì, padrona-.

Non che il mantello servisse davvero, dato che avrebbe viaggiato con la Metropolvere; più che altro faceva scena. E la slanciava.

Bellatrix entrò nella biblioteca, dove si trovava il camino più grande ed elaborato.

Si fermò qualche istante ad ammirare le centinaia di volumi che si trovavano sugli scaffali. Un tempo, prima che lei e suo marito venissero arrestati, prima che si fossero fatti trascinare così tanto dentro ai loschi affari di Voldemort, entrambi passavano lunghe ore a leggere, sfogliare, oppure semplicemente guardare quei libri.

La maggior parte era letteratura e saggistica magica, ma si potevano trovare grandi classici babbani come ‘Cime Tempestose’, ‘Romeo e Giulietta’, ‘La Divina Commedia’.

La donna abbracciò con lo sguardo la stanza quasi interamente realizzata in lucido legno scuro. Amava la biblioteca.

Bellatrix si avvicinò rapidamente all’enorme camino in granito. Vi entrò agilmente e prese una manciata di Metropolvere dal piccolo barattolo posto sul bordo.

-Villa Greengrass-.

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Lucius Malfoy afferrò la Gazzetta del Profeta che stava sulla sua scrivania.

Sorrise nel vedere la foto del locale devastato.

Sorrise pensando allo scherzetto che aveva combinato a quella sgualdrinella di Bellatrix.

Qualcuno bussò alla porta dello studio.

-Avanti-.

Un uomo sulla cinquantina entrò elegantemente nella stanza. -Lucius-.

-William-.

Malfoy si alzò in piedi e andò incontro a Nott.

-Grazie mille di essere venuto-.

-Ma ti pare- ghignò l’altro. -Raccontami tutto-.

Lucius scrollò le spalle con finta modestia. -Semplicemente ho incastrato Bellatrix Lestrange-.

-È proprio questo che voglio sapere. Cos’hai organizzato?-.

-Siediti, prendi qualcosa da bere-.

I due uomini sedettero sulle sfarzose sedie di velluto verde scuro.

Malfoy agitò la bacchetta e due bicchieri pieni di Idromele avanzarono pigramente verso di loro.

-Ieri sera sono andato al maniero dei Lestrange- esordì il biondo. -Come prevedevo, era sola in casa. Così le ho detto che dovevamo parlare. Dovevi vedere i suoi occhi! Era già pronta a lanciarmi un Cruciatus-.

Nott scoppiò a ridere. -Tipico di Bella-.

-Già- ridacchiò lui. -E con calma… molta calma… le ho detto il resto-.

-Merlino, doveva essere parecchio furiosa- sghignazzò l’altro.

-Non sai quanto- ghignò Lucius. -Pensa se dovesse scoprire che è tutto falso-.

-Ohi ohi ohi. Ti ammazzerebbe, sicuro-.

-Molto probabilmente.  

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Capitolo 3
*** Vuoto ***


Salve a tutte/i! Sono felicissima di ritrovarvi (sempre che ci siate:)) qui a leggere la mia storia. Vorrei ringraziare infinitamente le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, The_Writer e Lady Chiara Sommers, grazie davvero, le vostre recensioni mi invogliano ad andare avanti. Un grazie anche a coloro che hanno messo la storia tra le seguite e/o preferite!

Ed ora, basta parlare, vi lascio al terzo capitolo. Spero che vi piaccia!

Baci, Marta.



VUOTO


La donna sollevò i scatto la testa biondissima dal libro, emettendo un acuto squittio. Annaspò, cercando la bacchetta a tentoni. Dove diavolo era finita?

-Fermo lì, chiunque tu sia, o ti uccido!-.

-Anita!- la rimproverò una voce aspra e divertita insieme.

-Bella?-.

Finalmente Anita Greengrass si decise a guardare nel camino. Bellatrix Lestrange si ergeva come una statua dell’antica Grecia, gli ultimi sbuffi di fuoco smeraldino appena visibili dietro di lei.

-Sì, proprio io- sospirò la riccia.

-Oh Merlino, come ti viene in mente di presentarti qui senza prima spedire un gufo?!- strillò l’altra istericamente, una mano posata teatralmente sul petto ansante.

-Ah, piantala. Come se bastasse questo a spaventarti-.

-Di questi tempi sì!-.

Bellatrix la fissò sorridendo. -Posso entrare nel tuo salotto?-.

Anita si alzò dalla poltrona e le andò incontro. -Ma certo, sciocca- sorrise di rimando, -prego-.

La riccia uscì dal camino e abbracciò la sagoma esile che aveva davanti.

-Poi mi dirai come fai- sussurrò.

-A fare che?-.

-Ad essere così in forma nonostante tu abbia partorito due bambine. E non rispondermi "niente di che", o ti Crucio-.

-Bella, Astoria l’ho partorita quindici anni fa. Sono riuscita a rimettermi in forma cavalcando-.

-Mi stai dicendo che sei così magra perché fai molto sesso?-.

-Stupida!- rise l’altra. -Cavalcando un cavallo-.

Bellatrix sghignazzò.

-Oh, Bella, non è colpa mia se vedi un doppio senso in tutto!-.

-Hai ragione, scusa. In verità io sono venuta per una ragione seria-. La donna s’incupì d’un tratto.

-Dimmi- disse la bionda, cauta. Aveva capito che era una questione delicata. Molto delicata.

-Hai… hai presente l’attacco al Paiolo Magico che io e Lucius e gli altri abbiamo fatto due giorni fa?-.

-Sì, certo-. Poche parole misurate. Doveva assolutamente lasciarle il tempo di esprimersi.

-Be’ ecco… dopo ci siamo ubriacati-.

-Tutti?-.

-Non lo so. Non ricordo-.

Anita prese a tormentarsi le mani.

-Il problema è che Lucius dice che è successo qualcosa-.

-Intendi l’omicidio di Avery?-.

-A parte quello. Dice che è successo qualcosa tra di noi. Per farla breve: sono andata a letto con Lucius Malfoy-.

La bionda si posò un mano sulla bocca, scioccata. -E Rodolphus?!-.

-È questo il punto, Anita! Rod non deve saperlo!-.

-Capisco. Ma non c’è il rischio che Lucius glielo dica?-.

Bellatrix rise. Ma fu una risata debole, e priva di qualsiasi forma di allegria.

-Anita, devo chiederti un favore enorme-.

-Dimmi-.

La riccia sorrise. Sapeva di potersi fidare di lei: non si sarebbe tirata indietro.

Le era più fedele di Narcissa.

-Devi farmi da Custode-.

-Non c’è problema- disse l’altra, dura. Si stava lentamente trasformando. Anita immaginava che Malfoy avesse approfittato di questa debolezza di Bellatrix per giocarle un tiro mancino. E la rabbia prendeva piede dentro di lei. -Qual è il patto?-.

-Se uno della sua famiglia rimane vivo si prende il nostro maniero. Se io o Rod rimaniamo vivi ci teniamo il maniero. Temo che Malfoy ci tenderà degli agguati-.

-Lo terrò d’occhio- ringhiò Anita.

Bellatrix la guardò rapita. Adorava quella donna. Sembrava indifesa e frivola all’apparenza, ma era una guerriera, che disprezzava gli uomini. Compreso suo marito.

-Non c’è bisogno, An-.

-Sì invece! Lo terrò d’occhio- ripeté. -A costo di lasciare vedova tua sorella-.

La riccia scoppiò a ridere. -Grazie An. Sapevo di poter contare su di te-.

-Certo che puoi. Devi-.

Entrambe si alzarono dalle poltrone bianche.

-Come vanno le cose con Greengrass?-.

-Intendi quell’idiota che mi hanno fatto sposare?-.

-Proprio lui-.

-Be’, diciamo che non l’ho ancora ucciso solo perché mi ha regalato due figlie meravigliose-.

-È già un passo avanti. Stai migliorando-.

-Vero?-.

-Oh sì- sorrise Bellatrix. Poi guardò l’orologio laccato in oro appeso alla parete. -Devo andare; vorrei passare un po’ di tempo con Rod-.

Anita annuì. -Ciao Bella-.

-Ciao An. E grazie-.

Le due si abbracciarono per pochi istanti, poi la mora si avvicinò al camino.

-Ci sentiamo via gufo- disse, prima di sparire tra le fiamme.

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-Dovremmo farlo più spesso-.

-Se tu ci fossi più spesso, potremmo farlo-.

Rodolphus accarezzava lentamente una spalla di sua moglie che, nuda, era appoggiata sul suo petto. Con solo le lenzuola a coprirli, i due coniugi si beavano del tramonto che la finestra, posta di fronte al letto matrimoniale, mostrava loro.

-Mi sei mancato-.

-Anche tu-.

Parole vere.

Parole sussurrate a mezza voce.

E poi tutto finì, di nuovo.

-Non è possibile- gemette Bellatrix, fissando il Marchio Nero che, sul suo braccio, aveva preso a bruciare.

-Andiamo- borbottò Rod, lo stesso fastidio sull’avambraccio sinistro.

Si vestirono in fretta, poi, raggiunto il giardino del manor, si Smaterializzarono.

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-Bellatrix, Rodolphus- mormorò Lord Voldemort dolcemente, -ben arrivati-.

-Mio Signore- sussurrarono i due all’unisono.

-Bella, siedi qui- fece il mago, indicando il posto alla sua destra. -Rodolphus, siediti pure in fianco a tua moglie-.

Entrambi presero posto rapidamente, accomodandosi dov’era stato loro indicato.

-Siamo qui per fare il punto della situazione, miei fedeli seguaci- esordì l’Oscuro Signore, con voce strascicata.

Tutti intorno al tavolo ascoltavano con attenzione le parole del Lord; tutti tranne tre persone: Lucius Malfoy sorrideva appena all’indirizzo di Bellatrix, che di tutta risposta lo fissava disgustata. Il sorriso dell’uomo era canzonatorio, quasi di compassione, mista ad una gioia perversa nel vederla tesa e furiosa.

L’uomo non si accorse che un’altra figura lo stava osservando: Anita Greengrass, la cui mano era stretta possessivamente dal marito, guardava il biondo con astio.

Mentre Voldemort continuava a parlare, Lucius veniva martoriato dagli sguardi carichi d’odio delle due donne.

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La riunione durò meno del previsto.

-Interessante, non ti pare?- ghignò Lucius all’orecchio della Mangiamorte riccia. Lei si guardò intorno per controllare che Rodolphus non fosse nelle vicinanze.

-Molto- disse poi, a denti stretti.

-Oh avanti bambolina, non essere così crudele con me: in fondo ti sto dando una mano!-.

-A fare cosa, esattamente? A finire in mezzo ad una strada?-.

-No- ridacchiò lui, -io piuttosto direi che ti sto salvando il culo da tuo marito-.

-Fottiti- sibilò Bellatrix, furiosa.

Anita, che aveva seguito la scena appoggiata alla parete, in attesa che suo marito finisse la discussione che aveva intavolato con Parkinson, decise di intervenire.

-Malfoy!- esclamò, avvicinandosi ai due.

-Anita!- la imitò lui, fingendosi deliziato.

-Come va?- gli chiese, i due grandi occhi verdi puntati sul viso dell’uomo.

-Molto bene, grazie!-.

Lei sorrise, leziosa. -Vuoi venire con me a prendere un drink?- chiese, indicando il piccolo tavolino di marmo rosa, dov’erano poggiate alcune bottiglie di superalcolici.

-Ti ringrazio, ma devo rifiutare-.

-No. Tu vieni- ordinò la donna, con tono autoritario che non ammetteva repliche, la mano destra già infilata sotto il mantello.

Lucius sgranò appena gli occhi, sorpreso.

Che la Greengrass fosse la Custode della sgualdrinella?

-Effettivamente ho la gola un po’ secca- disse nervosamente.

Bellatrix lanciò un’occhiata divertita all’uomo e una di gratitudine all’amica.

-Be’, vi lascio, io vado a cercare Rodolphus- cinguettò, quasi allegra.

Anita la salutò con un vigoroso cenno del capo mentre trascinava Malfoy per un braccio.

-Rod!- chiamò Bellatrix, scrutando la piccola folla di Mangiamorte. -Hai visto Rod?- chiese a Narcissa, che stava sorseggiando un’Acquaviola.

-È appena andato sul balcone- rispose la padrona di casa, indicando una porta finestra di fronte a dove si trovavano loro.

-Grazie- disse la sorella. -Dovresti smetterla di bere- mormorò poi, fissando il bicchiere che Cissy teneva in mano.

-Senti chi parla- disse in risposta la bionda, mentre la riccia si allontanava.

-Cosa?- fece Bellatrix, girandosi. Narcissa era già sparita.

Scuotendo la testa, la Mangiamorte uscì sul balcone indicatole; Rodolphus era appoggiato sul davanzale, e scrutava il parco di Malfoy Manor, ormai avvolto dalle tenebre.

-Rod- mormorò lei avvicinandosi.

Lui non disse nulla.

-Rod, andiamo a casa?-.

Silenzio.

-Rod? Mi senti?-.

Il silenzio premeva dolorosamente sui timpani della donna.

-Rodolphus!- esclamò, appoggiando una mano sul braccio dell’uomo e dandogli un piccolo scossone.

-Non mi toccare-.

Paura.

Consapevolezza.

Rancore.

-C…come?-.

-Ho detto: non toccarmi-.

-Rod, ma che ti prende?-.

Lui si rialzo lentamente dalla ringhiera. La squadrò con disgusto.

-È vero?-.

-Di cosa stai parlando?-.

Lo sai Bella, lo sai.

-Tu e quel bastardo di Lucius. È vero?-.

Un respiro spezzato.

Paura.

Consapevolezza.

Rancore.

-Io…-.

-Tu mi fai schifo-.

-Rod!- gemette la donna quando lo vide dirigersi verso l’entrata.

Lui non si voltò e tornò dentro. Probabilmente si sarebbe Smaterializzato a casa.

Paura di rimanere sola.

Consapevolezza di aver rovinato tutto.

Rancore verso Lucius Malfoy.

Ma soprattutto un enorme vuoto nel petto, nel cuore, nell’anima.

Bellatrix si accasciò per terra, gli occhi sbarrati, a fissare lo stesso vuoto che sentiva dentro di sé. 

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Capitolo 4
*** Venduta ***


Ehilà :) Sono felicissima della risposta che ha ottenuto questa ff. Nonostante sia un "successo" più che modesto, non posso non essere felicissima per tutte le recensioni positive che ho ricevuto. Mi invogliano ad andare avanti, davvero.

Quindi non mi resta che lasciarvi al quarto capitolo di "Cronache di una guerriera spezzata".

Spero con tutta me stessa che possa soddisfarvi e piacervi!

Baci, Marta.

Questo capitolo lo dedico a te, The_Writer, perché sei un tesoro, perché hai recensito tutti i capitoli di una storia che credevi di conoscere ma che si è dilungata parecchio, perché non mi merito nemmeno una delle tue straordinarie recensioni e, infine, perché sei un’amica speciale. Ti voglio bene.

 

 

 

 

VENDUTA

 

-Bella!-.

Ti stanno chiamando.

Chi?

-Bella!-.

La conosci questa voce.

La conosci, ma non è quella che vorresti sentire, vero?

-Bella ti prego, fermati!-.

Fermati, Bella.

Bellatrix si fermò nel centro della stanza, ansante. Le orecchie le fischiavano, le ginocchia minacciavano di cedere da un momento all’altro, e il cuore non aveva mai battuto così dolorosamente. Ogni battito era una sofferenza, una pugnalata in mezzo al petto.

Chiuse gli occhi.

Avrebbe dovuto esserci un mormorio nella stanza.

Come minimo.

Ti guardano, Bella. Sei ridicola.

La donna spalancò di scatto gli occhi cupi, incontrando quelli verdi di Anita, che la fissava ansiosa.

-Bella, cos’è successo?-.

-Hai pianto?- fu tutto ciò che seppe risponderle la riccia, che stava osservando le ciglia umide dell’amica.

-No- borbottò l’altra. -Certo che no. Mi è finito qualcosa nell’occhio-.

-Capisco- fece la Mangiamorte, lo sguardo perso.

-Bella, cos’è successo?!- ripeté Anita, scrollandola.

-Che succede?- intervenne la signora Parkinson, avvicinandosi con aria saccente.

-Nulla, Charlotte, fatti da parte- ringhiò Anita sorreggendo Bellatrix.

-Ma che cos’ha?- insisté Charlotte, indispettita.

-Ma che t’importa?-.

Le due si squadrarono per qualche istante.

-Venduta- sibilò la Parkinson, poi si allontanò raggiungendo il marito che la guardava annoiato.

-Stupida oca- grugnì Anita, trascinando l’amica verso il bagno più vicino.

La fece sedere su un piccolo sgabello imbottito e rivestito di velluto nero.

-Allora, Bella? Devo scagliarti un Imperio per farti parlare?-.

La riccia biascicò qualcosa di incomprensibile.

-Che?-.

-Rod-.

-Cosa c’entra Rodolphus?-.

-Lo sa. Qualcuno gliel’ha detto-.

Gli occhi della bionda scintillarono.

-Che cosa? Chi?-.

-Non lo so. È chiaro che non posso fidarmi più di nessuno-.

-Di me si, Bella. Lo sai- fece l’altra.

-A quanto pare sei l’unica-.

Entrambe sospirarono tristemente. Poi Bellatrix si alzò in piedi con un movimento fluido e repentino.

-Dove vai?-.

-A casa!- esclamò la bruna, decisa. -Voglio spiegare tutto a Rod. Devo spiegarglielo-.

-D’accordo. Vuoi che ti accompagni?-.

-No, grazie. Ci sentiamo via gufo- tagliò corto Bellatrix, decisa più che mai.

=======================================================================

La biblioteca di Lestrange Manor era fredda.

Com’era possibile? Non esisteva luogo più caldo ed accogliente di quello. Come poteva essere tanto fredda? Con Bellatrix per giunta, che l’aveva sempre amata. Un po’ come era successo con Rodolphus.

La donna incespicò uscendo dal camino e cadde, sbattendo le ginocchia sul tappeto morbido che emanava un leggero odore di polvere.

Se ti vedessero i tuoi avi si vergognerebbero di te.

Se ti vedesse l’Oscuro Signore ti eliminerebbe immediatamente dalle sue fila.

Sei patetica. In terra, dove dovrebbero esserci i Mudblood, che però ora ridono di te, guardandoti dall’alto.

-STA’ ZITTA!- urlò la donna alla perfida voce che sentiva rimbombarle nella testa.

Calde lacrime si affacciarono ai suoi occhi e, per la prima volta dopo diciassette anni, Bellatrix Black pianse.

Due piani più in alto, Rodolphus prese la borsa piena di vestiti e si Smaterializzò.

=======================================================================

-Ti è passato il mal di testa, tesoro?-.

Lucius osservava la moglie che, stanca, si era sdraiata sul letto della loro camera matrimoniale.

-Un pochino- giunse la risposta priva di qualsiasi vitalità.

-Che c’è?- sospirò lui prendendo posto in fianco alla consorte e iniziando ad accarezzarle una guancia liscia.

-Sono preoccupata- ammise Narcissa, osservando mestamente il soffitto color avorio ornato da meravigliosi stucchi.

-In merito a cosa?-.

-Bellatrix- sussurrò lei con aria colpevole.

Perché sapeva di non dover provare alcun sentimento positivo verso sua sorella. La stessa sorella che aveva fatto ubriacare Lucius convincendolo ad andare a letto con lei.

Puttana.

Quante volte aveva ripetuto mentalmente quella indecorosa parola affiancandola al volto della sorella. Quante volte aveva desiderato poter scagliare sul quel corpo statuario un Cruciatus, e vederla soffrire. Tutto in pochi giorni, da quando Lucius, incredulo e schifato, le aveva raccontato di come Bellatrix lo aveva raggirato.

Eppure ora, dopo aver visto il volto della donna segnato dal dolore per l’abbandono di Rodolphus, non riusciva a non provare compassione.

-Lo sai quello che mi ha fatto- mormorò Lucius, accigliato.

-Sì, lo so. Ma dopotutto mi hai detto che anche lei era ubriaca- insisté Narcissa, cercando un unico appiglio per credere nell’innocenza di Bellatrix.

-Era lucida quando mi ha convinto a bere. E Merlino solo sa cos’altro ha adoperato su di me per obbligarmi a fare quello che poi ho fatto- continuò lui con aria da vittima, -chissà, probabilmente c’è di mezzo anche la maledizione Imperius-.

La donna sospirò a sua volta, e si portò una mano sugli occhi.

-Sei stata tu a dirlo a Rodolphus?- chiese lui, spezzando il silenzio che era calato nella stanza.

Narcissa esitò prima di rispondere. -Sì- ammise.

-Perché glielo hai detto?-. Lucius, dal canto suo, faticava a non gongolare davanti alla moglie.

-Perché volevo che sapesse che razza di donna ha sposato- rispose glaciale.

-Comprensibile-.

Un altro sospiro delicato della donna.

-Ho solo voglia di dormire ora, Lucius-.

-Ma certo- sorrise lui, baciandole delicatamente una tempia. -Buonanotte amore. Ti amo-.

Si alzò dal letto, avviandosi verso la porta.

E mentre stava per chiudersela alle spalle, udì un suono leggero ma udibile.

-Ti amo anch’io-.

Sorrise.

=======================================================================

Anita Grint in Greengrass, osservava il fuoco che scoppiettava allegramente con espressione vuota.

Era stata una giornata difficile.

Venduta.

La parola pronunciata da Charlotte Parkinson le doleva al solo ricordo. Perché glielo aveva detto?

Venduta.

Aveva sentito qualcosa? Aveva capito qualcosa?

Era arrabbiata?

Venduta.

La donna dalla chioma biondissima si guardò intorno, scrutando il salotto buio. Il lungo specchio posto in fianco al quadro di una dama piangente, le restituì l’immagine di sé stessa accovacciata sul soffice divano blu. Si sentiva intorpidita, come se quella giornata l’avesse passata a dormire.

Venduta.

La testa le pulsava dolorosamente. Avrebbe voluto andare a dormire, ma non aveva la forza necessaria per alzarsi da quel caldo e morbido nido.

Venduta.

E, inevitabilmente, la mente richiamò gli avvenimenti di quella sera.

Si era appena alzata dal lungo tavolo sul quale il Signore Oscuro spadroneggiava, fiero. Aveva incrociato lo sguardo di quest’ultimo, che l’aveva salutata con un pigro gesto della mano.

Aveva seguito lo sciame di Mangiamorte che usciva dalla Sala delle Riunioni. E aveva visto Malfoy avvicinare Bellatrix e iniziare ad infastidirla.

Non ci aveva visto più dalla rabbia, così lo aveva raggiunto, pronta ad ammazzarlo, se si fosse rivelato necessario. Invece, Salazar sa come, erano finiti in un angolo a parlare.

-È davvero lodevole il modo in cui difendi quella sgualdrinella- aveva ridacchiato lui.

Anita si era morsa la lingua per non scagliargli un Cruciatus.

-Smettila- aveva ringhiato.

Lucius aveva sorriso ancora per qualche istante, poi si era fatto improvvisamente serio.

-Anita, vorrei proporti un affare-.

-Che tipo di affare?-.

-Un affare molto importante-.

-Ti ascolto- aveva concesso lei, rigida, ma curiosa.

-Diciamo che tengo molto al futuro di mio figlio-.

-Arriva al punto, Malfoy!- aveva sbraitato lei, improvvisamente irata. Ciò che le aveva fatto perdere quel poco di autocontrollo che le era rimasto, era stata la voce falsamente dispiaciuta del mago.

-Okay, okay- aveva mormorato lui, visibilmente divertito. -Non gradiresti che una delle tue figlie andasse in sposa all’unico erede della famiglia Malfoy?-.

Venduta.

-C…cosa vuoi in cambio?-.

Venduta.

-Solo non essere l’unico che cerca di distruggere Bellatrix Lestrange-.

Venduta.

 

 

 

Ecco qui il nuovo capitolo.

Spero vivamente che vi sia piaciuto:) Visto che siete così adorabili da recensire ogni capitolo, mie care lettrici, ho deciso di donarvi un piccolo spoiler del quinto capitolo!



" Poi accadde tutto molto velocemente.

Nella stanza si erano Materializzate due persone. E dato che nessuno poteva arrivare in quel modo all’interno del maniero, al di fuori dei padroni di casa, uno di quei due doveva per forza essere…

-Rodolphus!- bisbigliò alzandosi di scatto dalle gambe di Anita, che nel frattempo si era irrigidita. "

Ecco qui! A domenica prossima! 

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Capitolo 5
*** La verità ***


Ma buongiorno!  Sono rimasta molto contenta del "successo" del quarto capitolo. Ora le cose si fanno più serie. Lo vedrete nei capitoli che seguiranno (e in questo).

Un grazie enorme a tutte quelle che hanno recensito il capitolo "Venduta" e a coloro che hanno aggiunto questa storia tra le preferite e/o seguite.

Un bacione a tutte!

 

 

 

LA VERITA’

 

-Padron Malfoy, il signor Nott è alla porta!- squittì il nuovo elfo domestico di Malfoy Manor.

Lucius si stiracchiò pigramente sulla poltrona imbottita. Aveva dormito malissimo quella notte.

-Fallo entrare Pinky- borbottò stropicciandosi gli occhi.

L’elfa scomparve con un sonoro crack! .

Pochi istanti dopo, pesanti passi rimbombarono nel corridoio. Ci fu un leggero bussare alla doppia porta dello studio del padrone di casa, poi l’uomo entrò, senza attendere risposta.

-Ciao William- lo salutò Lucius, senza calore.

-Buongiorno- sbadigliò l’altro. Si guardò intorno, lo sguardo assonnato. -Poi mi spiegherai perché ci siamo dovuti incontrare così presto-.

-Sono le otto, non dirmi che hai ancora sonno-.

-Parla, prima che ti ammazzi- borbottò Nott.

Malfoy si alzò dalla poltrona, mentre l’amico prendeva posto sulla sua. Iniziò a camminare lentamente.

-Il mio piano procede a gonfie vele- esordì.

-Mi fa piacere- grugnì l’altro.

-Ora, devo solo evitare che Lestrange si riunisca a Bellatrix. Non appena avrò fatto in modo che la odi…- fece un brusco cenno col braccio. -Lo elimino. E poi vedi come sarà sola la nostra fanciulla- terminò con aria divertita.

L’amico lo guardava pensoso. -Tu non mi hai ancora detto una cosa- disse poi.

-Cioè?-.

-Perché vuoi la sua casa?- chiese Nott, smarrito. -Insomma, i soldi non ti mancano, e con tutte le cose che potevi chiedere a quella…-.

Il biondo scoppiò in una tetra risata.

-Oh, William- sorrise. -Davvero non hai ancora capito che io non punto al Maniero dei Lestrange?-.

L’espressione infastidita che comparve sul volto dell’uomo lo convinse ad andare aventi senza eccessi di risate. Nott non era un uomo che amava essere deriso.

-Vedi- fece, tornando a sedersi sulla poltrona ed incrociando le mani sulle ginocchia, -a me non importa nulla del maniero. Il mio piano è quello di distruggere Bellatrix Black-.

-Ma perché?-.

Malfoy prese un grande respiro. -Perché è colpa sua se Draco è entrato nella cerchia del Signore Oscuro- disse, glaciale.

Nott annuì, serio. -Capisco, ma non ti sembra di esagerare? Lei non ha figli, non può capire…-.

-Se fosse capitato a Theodore? Saresti stato transigente?-.

L’uomo abbassò il capo, sconfitto. -No-.

-Ecco. Io ho intenzione di fargliela pagare. Lei ha fatto del male a mio figlio, l’unica persona, insieme a Narcissa, al quale voglio più bene al mondo-.

-Quindi? Non ho ancora capito come funziona il tuo grande piano-.

-Semplice. Ho allontanato Rodolphus da lei. Le ho fatto credere di averlo tradito. Lo ucciderò. E come colpo di grazia, la sbatterò in mezzo ad una strada- mormorò Lucius, soddisfatto. -Senza contare che se il Signore Oscuro dovesse accorgersi della debolezza di Bellatrix, potrebbe anche decidere di allontanarla-.

Nott alzò le mani, in segno di resa. -Il tuo piano è perfetto- abbozzò un sorriso. Poi aggrottò le sopracciglia. -Ma… non c’è il rischio che Anita Greengrass possa aiutarla? Sì, sai… ad eliminarti-.

Lucius rise ancora più forte di prima. -La Greengrass non è più un problema, William-.

-Che intendi?-.

-Be’…-. Malfoy sospirò stancamente. -Abbiamo stretto un patto. O meglio, un accordo, una promessa-.

Fu l’ultima parola a far scattare un campanello nella testa di Nott.

-Una promessa?- chiese infatti, il dubbio che si insinuava prepotentemente dentro di lui -che genere di promessa?-.

Il biondo si mosse a disagio sulla sua poltrona. -Niente che ti riguardi, Will-.

Di tutta risposta, l’altro si alzò con un movimento fulmineo e, in un lampo, fu davanti a Malfoy. Lo guardava con aria truce.

-Che porcheria hai combinato, Lucius?-.

-Ma che ti impo…-.

L’uomo non riuscì a terminare la frase, perché la lunga bacchetta di Nott era puntata con forza sulla sua giugulare.

-Che promessa hai stretto con Anita Greengrass?-.

-Astoria- sputò tra i denti. -Astoria Greengrass andrà in sposa a Draco-.

La pressione della bacchetta sparì, e Malfoy guardò il suo "amico": si era allontanato di scatto, come e si fosse scottato, e sul suo viso era ben visibile un’espressione di puro disgusto.

-Sapevi benissimo che Theo e Astoria sono molto legati- mormorò con voce incolore.

-Sì, be’… Draco mi ha accennato qualcosa in passato-.

-Ma non te ne è importato nulla. E nemmeno ad Anita, a quanto pare-.

Non è vero, avrebbe voluto dirgli Lucius. Ricordava fin troppo bene le lacrime di Anita mentre capiva che, per il bene della stirpe dei Greengrass e le loro finanze, avrebbe dovuto fare un torto a sua figlia, alla sua migliore amica e al suo caro amico William, con il quale, recentemente, aveva posto le basi per un futuro matrimonio tra i loro figli.

-Mi dispiace- disse invece.

Nott lo guardò con disgusto crescente. Prese il mantello da viaggio abbandonato sullo schienale della poltrona e se lo allacciò intorno al collo.

-Ci si vede-.

Quando fu sulla porta, si voltò verso il biondo. -Hai appena perso il tuo Custode-.

Poi sparì.

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-Bella?- mormorò Anita, avvicinandosi alla massa informe di ricci che riposava sul letto.

Peach l’osservava timorosa dalla soglia della camera da letto. Si torturava le manine con aria straziata.

La bionda si avvicinò di più, una mano tremante protesa, come per sfiorare quei riccioli.

Devi abbandonarla, le aveva detto quella serpe di Malfoy. Devi lasciarla sola.

Nuove lacrime minacciarono di evadere dai suoi occhi al ricordo di quella conversazione.

-Bella?- riprovò, con maggiore dolcezza.

Un gemito infastidito giunse ovattato.

E Anita sorrise, suo malgrado. Come avrebbe fatto a lasciarla sola?

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-Padrone!- esclamò l’elfo domestico non appena William Nott si Materializzò nell’ingresso della sua villa.

-Non ho tempo, spostati!- ringhiò l’uomo, scansando la creaturina con un calcio e lanciandosi nel suo studio.

Dalle numerose mensole prese una cartina di Londra e delle radici di Mandragola. Si avvicinò al camino, buttò nelle fiamme la cartina, un pezzetto di radici e un pizzico di Metropolvere. Le fiamme diventarono verdi e l’uomo esclamò: -Rodolphus Lestrange!-.

Il fuoco si spense e Nott riprese la cartina, che aveva una minuscola bruciatura rotonda in un punto che la cartina segnalava privo di strade, piazze e case.

È a Diagon Alley.

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Rodolphus si dava dello stupido. Continuamente.

Dopo aver passato la notte al Paiolo Magico, aveva fatto un giro per la nuova Diagon Alley, che iniziava ad assomigliare incredibilmente a Notturn. Le strade erano spente, la gente che le popolava si poteva contare sulle dita delle mani. Per lo più erano venditori ambulanti di merci illegali.

Certo, se il Ministero, anni prima, non avesse abbattuto l’altro maniero dei Lestrange, quello nello Yorkshire, lui non avrebbe dovuto passare la notte in quella bettola semidistrutta.

Chissà se l’hanno fatto qui, quei traditori. Magari ho dormito nello stesso letto dove loro mi hanno tradito.

Cercò di scacciare quei pensieri dalla testa: gli davano la nausea.

-Rod-.

Si voltò di scatto per incontrare gli occhi color carbone di William Nott.

-Che ci fai qui? Che vuoi?-.

-Dirti la verità-.

-In che senso?- fece l’altro, alzandosi dalla panchina.

-Su Lucius e Bellatrix-.

Rodolphus sogghignò, senza traccia di divertimento negli occhi tristi. -Narcissa mi ha detto tutto. Cosa c’è da dire ancora?-.

-Lucius ha mentito a tutti: a Bellatrix, a Narcissa, ad Anita. Tranne che a me-.

-Siete così amici?- chiese Rodolphus, inarcando un folto sopracciglio.

-Eravamo così amici. Più che altro ero il suo Custode-.

-Perché parli al passato?-.

-Perché ha tradito anche me. Ora, se vuoi ascoltarmi, ti spiegherò tutto: l’innocenza di tua moglie, la vendetta che Lucius Malfoy vuole riversare su di lei, il coinvolgimento di Anita Greengrass-.

Rod prese un respiro profondo, le mani che tremavano, il cuore che voleva credere alle parole del Mangiamorte.

-Ti ascolto-.

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-Mi dispiace un sacco Bella- sospirò Anita accarezzandole i capelli.

Bellatrix, la tasta poggiata sul grembo dell’amica, singhiozzava silenziosamente.

Si sentiva svuotata. Cosa le rimaneva? Ora Rod avrebbe anche potuto cacciarla di casa. Sì, forse rimaneva qualche villa dei Black, da qualche parte, ma non ne era sicura.

Chiedere asilo ai Greengrass? Era quanto di più umiliante potesse succederle.

No, mi serve un piano alternativo.

Poi accadde tutto molto velocemente.

Nella stanza si erano Materializzate due persone. E dato che nessuno poteva arrivare in quel modo all’interno del maniero, al di fuori dei padroni di casa, uno di quei due doveva per forza essere…

-Rodolphus!- bisbigliò alzandosi di scatto dalle gambe di Anita, che nel frattempo si era irrigidita.

Ma, mentre Bellatrix intuiva chi potessero essere i nuovi arrivati, i due uomini avevano puntato la bacchetta contro la donna bionda.

-Allontanati da mia moglie!-.

Bellatrix lo guardò incredula.

-Rod!-.

Lui la fissò di rimando, con aria di scuse. -Mi dispiace di aver dubitato di te-.

Lei gli restituì un’occhiata confusa. Poi mise fuoco l’altra figura. -Nott! Che ci fai qui?-.

-Lui era il Custode di Malfoy- spiegò Rod, mentre teneva ancora la bacchetta puntata su Anita.

-E allora cosa ci fa qui?!-.

-Ho detto era-.

-Lo stai tradendo?- mormorò Bellatrix, deliziata alla sola idea.

-Lui non ha fatto lo stesso con tutti noi? A parte lei, s’intende- fece, indicando con un gesto brusco del capo Anita.

-Cosa? Che c’entra lei? Non capisco- ammise la riccia, frustrata.

-Tu non sei mai andata a letto con Malfoy- iniziò Rodolphus.

-Te l’ha fatto credere- continuò Nott.

-Per fare in modo che io ti abbandonassi…-.

-…e che rimanessi senza marito, senza casa, e senza amiche-.

-E in tutto questo cosa c’entra Anita?- chiese Bellatrix, che aveva notato il modo in cui William aveva pronunciato l’ultima parola.

-Anita fa il doppio gioco-.

Bellatrix si voltò verso la bionda,che era più pallida del solito. Gli occhi verde smeraldo imploravano pietà.

-Che cosa?-.

Vedere quello sguardo di supplica della sua ormai ex migliore amica, fu troppo per la Mangiamorte. Era lo stesso tipo di sguardo che decine e decine di Babbani o Mudbood le avevano rivolto poco prima che lei iniziasse a torturarli.

Ma certo. Ora era tutto chiaro. Le lacrime il giorno della riunione, proprio dopo la chiaccherata con Lucius.

-Hai pianto?-. -No, mi è andato qualcosa nell'occhio-.

I continui "Mi dispiace", come fosse stata colpa sua.

Ma certo.

La mano destra fu straordinariamente rapida a recuperare la bacchetta, abbandonata sul copriletto.

Anita sgranò gli occhi e farfugliò qualcosa di incomprensibile.

E poi Bellatrix spezzò la tensione.

-Crucio-. 

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Capitolo 6
*** Vendetta ***


Eccomi! Ho aggiornato in anticipo, dato che domani è Pasqua e sarò fuori.

Grazie infinite a tutte coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, e grazie mille a tutte/i coloro che hanno aggiunto questa storia alle preferite e/o seguite.

Dato che mi è stato chiesto, lo dirò ora: alla fine della storia mancano ancora un po’ di capitoli; come dice la presentazione infatti, c’è un’altra vita per Bellatrix, che farà vacillare la sua fede per il Signore Oscuro. Non temente, tra pochi capitoli, pochissimi davvero, scoprirete tutto.

Ci tengo inoltre a precisare che questi avvenimenti seguono il corso di ciò che succede in "Harry Potter e i Doni della Morte". Nel senso che, mentre "qui" succedono queste cose tra Bellatrix, Rodolphus e tutti gli altri, Harry, Ron ed Hermione stanno cercando gli altri Horcrux.

Credo e spero di avervi detto proprio tutto, non mi resta che lasciarvi al nuovo capitolo, con la speranza che vi piaccia!

Grazie ancora davvero, siete meravigliose, tutte quante. Le vostre recensioni mi fanno sempre sorridere e mi mettono di buon umore.

Vi adoro!

Bacioni,

Marta.

 

 

 

VENDETTA

 

Anita si contorceva sul tappeto. E urlava. Incessantemente.

Bellatrix sorrideva. Il suo sguardo era vuoto e freddo, impassibile di fronte alla sofferenza della donna.

William assisteva intimorito.

Rodolphus ghignava di soddisfazione; ora si che riconosceva la sua Bella.

Anita continuava a contorcersi. E ad urlare.

Il sorriso di Bellatrix tremò. Lo sguardo sembrava più fermo.

Piccole gocce di sudore freddo imperlavano la fronte diafana di William.

Ecco, quello era uno dei momenti in cui la Mangiamorte poteva atterrire chiunque. Perfino l’Oscuro Signore, una volta, vedendo la sua prediletta in quello stato, si era portato fuori tiro. Era ira pura.

Rodolphus continuava ad ammirare l’opera della moglie.

Dopotutto, quella era anche la sua vendetta.

Anita ora singhiozzava apertamente, il corpo scosso dalla quinta Maledizione Cruciatus.

-Bella…- provò Nott, con notevole coraggio.

Ma non cambiò nulla, e la bionda svenne.

-Basta, Bella…- tentò di nuovo.

Niente.

La riccia continuava ad infierire sul corpo inerme di quella che, se mai fosse sopravvissuta a tutta quella rabbia, si poteva definire la sua ex migliore amica.

Rodolphus decise di intervenire.

-Bella. Ora basta-.

Lei lo guardò risentita. -Mi ha tradita-.

-Lo so-.

-Voleva separarci-.

-So anche questo-.

-Collabora con quella feccia di Malfoy!-.

-Lo so-.

Bellatrix osservò il corpo di Anita. I capelli erano sporchi di sangue. Certo. Aveva battuto la testa cadendo. Ecco perchè non si era mai difesa: era già debole.

-Cosa ne facciamo?-.

Il marito le poggiò le forti mani sulle spalle. -Vuoi che muoia?-.

-Lo desidero, sì- rispose pronta lei.

-Allora finiscila. Comunque sia non credo che vivrebbe ancora a lungo in queste condizioni-.

Le spalle della donna furono percorse da un tremito.

Alzò il braccio che teneva la bacchetta.

-Lo desideri?-.

Trattenne il respiro. -Sì- bisbigliò.

-Fallo-.

Una macchia di sangue si allargava pian piano sul tappeto, in corrispondenza alla testa bionda.

Sangue scuro.

Sangue puro.

Sangue di una sporca traditrice.

Il braccio le faceva male, tanto era teso.

Poi finalmente si decise a pronunciare l'incantesimo. Nonostante avesse scagliato Cruciatus fino a pochi istanti prima, sentì la necessità di schiarirsi la voce.

-Ferula-.

Morbide e candide bende si avvolsero intorno al capo di Anita, e William parve sollevato.

-Peach!-.

L’elfa comparve all’istante.

-S…sì Padrona?-.

-Porta la signora Greengrass in una stanza degli ospiti e somministrale della Pozione Ricostituente. Non appena si rimette, cacciala. Io e il Padrone andremo a trovare un nostro amico-.

-Certo Padrona, Peach obbedisce!-.

Le mani di Rodolphus tornarono a posarsi sulle sue spalle.

-Perché non l’hai uccisa?- chiese in un sibilo. Era irritato. E anche offeso.

-Rod- mormorò lei, stanca. -Ero in debito-.

-Debito?- fece lui, sdegnato. La presa sulle spalle della moglie si fece più intensa.

-Dopotutto lei non mi ha abbandonata- sussurrò. -Mi è stata vicina, nonostante stesse facendo il doppio gioco-.

-Probabilmente ti stava accanto solo per cercare di ucciderti!- insisté lui, turbato.

-Non credo. E comunque non m’interessa. Ho onorato trent’anni di amicizia, risparmiandole la vita-.

-Lei non l’ha fatto, tradendoti-.

-Non m’importa. Non voglio più vederla. Per me è come se fosse morta. Per me Anita Greengrass non esiste più-.

=======================================================================

-Ma dico, ti senti?-.

-Qual è il problema?-.

-Quello che dici!-.

-A te che importa? Non sei obbligato a parlarci!-.

-Tu dovresti odiarla!-.

-È mia sorella, come faccio ad odiarla?!-.

-È venuta a letto con me, Narcissa!-.

-E chi mi assicura che tu sia stato convinto?-.

-Amore…- sussurrò Lucius, circondandole il volto con le mani. -Io ti amo-.

-Anch’io- farfugliò lei, confusa. -Ma ora che c’entra? Che significa?-.

-Significa che ti devi fidare di me-.

-Ma io mi fido… È che non voglio perdere un’altra sorella. Ho già perso Andromeda-.

-Lo so, ma Bellatrix si è comportata male con me. E anche con te-.

Narcissa sbuffò.

Il pomeriggio a Malfoy Manor era trascorso molto tranquillamente. Marito e moglie avevano pranzato e scritto un paio di lettere a Draco. A Narcissa mancava tantissimo.

Erano appena rientrati da una passeggiata nell'immenso giardino del Maniero, quando la donna, che macinava quell'idea in testa da parecchie ore, decise di esporre il suo piano per ricostruire il rapporto con la sorella maggiore a suo marito: invitarla con il consorte per un pranzo il giorno dopo, chiaccherare e cercare di dimenticare l'accaduto. Ma Lucius non aveva gradito affatto.

-E va bene, non la inviterò a pranzo- mugugnò, sconfitta.

-Perché no?-.

I coniugi si voltarono di scatto verso la doppia porta della sala da pranzo.

Sulla soglia, in tutto il suo disarmante splendore, Bellatrix li osservava, il capo leggermente piegato da un lato e le labbra stirate in un sorriso gioioso. Un sorriso che pregustava ciò che sarebbe successo di lì a pochi istanti.

-Bella!- esclamò Narcissa, balzando in piedi.

Lucius invece, alla vista di Rodolphus che, possessivamente, stringeva un braccio intorno alla vita della moglie, indietreggiò di parecchio.

-Come sei entrata?-.

-Dovrai cercarti un altro elfo domestico, Cissy, mi dispiace- sorrise l’altra.

-L’hai uccisa?-.

-Mm- annuì la riccia. -Scusa, ma mi impediva di entrare-.

Narcissa aprì e chiuse più volte la bocca, senza produrre alcun suono.

-Lucius!- esclamò Bellatrix, rallegrata, non appena lo vide praticamente schiacciato contro la parete.

-C…ciao Bella-la salutò lui, a disagio.

-Ciao Lucius!- lo salutò cordialmente Rodolphus.

-Ciao Rod- gracchiò, cercando di recuperare un briciolo di dignità.

-Che sta succedendo?- sbottò Narcissa, guardando prima il marito poi i Lestrange.

-Oh, niente di che Cissy- ghignò la riccia avanzando verso l'uomo, più pallido che mai. -Io e tuo marito dobbiamo fare una chiaccheratina-.

-Sta’ lontana da lui!- ululò la bionda. -Te lo sei già portata a letto una volta, adesso lascialo stare!-.

Rod si sporse in avanti e sussurrò qualcosa all’orecchio di Bellatrix, che strabuzzò gli occhi scuri.

-Davvero?- chiese alla sorella.

-Cosa?- borbottò lei.

-Tu non sai niente?-.

-Riguardo cosa?-.

La riccia si mosse, leggera e micidiale come una pantera, e prese a girare intorno alla bionda.

-Correggimi se sbaglio, Lucius-.

L’uomo tremò appena.

Hai giocato col fuoco, Lucius. Prima o poi ci si brucia.

-Dunque… un uccellino mi ha raccontato tante cose interessanti, lo sai Cissy?- esordì Bellatrix, con la sua migliore voce infantile e cantilenante. -Ad esempio, mi ha raccontato che Lucius mi ha fatta ubriacare quella sera al Paiolo Magico. Mi ha detto anche che tra me a lui non c’è stato nulla. Che ha organizzato tutto solo per rovinarmi e che ha trascinato Anita dalla sua parte-.

Narcissa guardò suo marito, scioccata.

-Capisci vero, Cissy, che io ora sono un pochino… irritata?-.

La bionda tornò a fissare la sorella. -Mi dispiace Bella-.

-Già, anche a me-.

-Narcissa, l’ho fatto per vendicare Draco! È colpa di tua sorella se è dovuto diventare un Mangiamorte! Lei l’ha suggerito al Signore Oscuro!- gridò Lucius dal suo angolo, mandando all'inferno la dignità.

Sua moglie chiuse gli occhi.

E Bellatrix avanzò verso il cognato.

Rod sorrise.

Lucius imprecò. -Bella, smettila. Okay, mi dispiace, mi dispiace, ma ora lasciaci stare!-.

-Nah, io credo che mi vendicherò un pochino-.

-Il nostro patto è sciolto! Il Maniero resterà sempre vostro!-.

-Vorrei ben vedere-.

Mai in tutta la sua vita, Lucius Malfoy aveva desiderato così ardentemente di essere un muro. Avrebbe voluto essere la solida parete sulla quale premeva le sue spalle, irrigidite dal terrore e dall’attesa.

La Mangiamorte estrasse la bacchetta da sotto il mantello e la puntò contro la gola dell’uomo.

-Mi dispiace Lucius- mormorò, seria. Poi scoppiò a ridere e aggiunse: -No, non è vero-.

Rod rise forte, guardandola con ammirazione.

-Cr…-.

-Expelliarmus!-.

La bacchetta le sfuggì di mano e volò attraverso la stanza, cadendo vicino alla porta; Bellatrix si voltò, scioccata.

-Cissy!- esclamò incredula.

L’espressione di sua sorella era indecifrabile. Sul suo viso si mischiavano un sacco di sentimenti.

-Lascialo in pace- sputò tra i denti.

Rod si era irrigidito.

La mora scoppiò a ridere. -Cosa credi di fare? Eh?-.

-Di fermarti-.

-Ma io sono più forte di te- sghignazzò l’altra.

-Devo ricordarti che sei senza bacchetta?-.

-Devo ricordarti che mio marito non è un coniglio, e che se avessi bisogno sarebbe immediatamente al mio fianco?-.

Narcissa si mordicchiò il labbro inferiore.

-Recupera la tua bacchetta-.

-Mi lasci fare ciò per cui sono venuta qui?- domandò Bellatrix. La voce aveva abbandonato il tono scherzoso e si era lentamente trasformata in un ringhio cupo.

-No- rispose semplicemnte Narcissa. Prese un respiro profondo. -Ti sfido-.

 

 

 

Oookay, mi dispiace per chi si aspettava un bagno di sangue, per quello dovete aspettare il prossimo capitolo. Ecco, non dovevo dirlo. Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Non mi convince molto come ho scritto, e a me, personalmente, il capitolo non piace molto, ma amen. Mmm cos'altro dirvi? Oh, certo!

BUONA PASQUA! 

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Capitolo 7
*** Lacrime di troppo ***


Okay, vi prego, non uccidetemi! Posate immediatamente quelle armi!

Lo so, sono in folle ritardo, ma ho i miei buoni motivi: a sorpresa, questo week end sono dovuta andare via, e venerdì e giovedì non ce l’ho proprio fatta a completare il capitolo! Comunque eccolo qui. È stato complicato scrivere questo capitolo, un vero parto, ma spero che vi piaccia. Io ormai ci rinuncio a farmeli piacere!

Ovviamente il prossimo sarà postato domenica, come di consueto.

Dato che sono davvero con i minuti contati, e non riesco a rispondere alle recensioni, NON OGGI, almeno, vi lascio dei ringraziamenti; vi assicuro che risponderò a tutte entro domani.

Appunto, un grazie infinite a:

The_Writer, sTar__, ayumi_L, Lady Chiara Sommers, Patta97.

Io vi lascio, sperando che la storia continui a piacervi.

Baci,

Marta.

 

 

 

 

 

 

LACRIME DI TROPPO

 

Probabilmente, se glielo avessero raccontato, Rodolphus Lestrange non ci avrebbe mai creduto. Aveva sempre considerato Narcissa la sorella debole, o meglio, la sorella apatica alla quale non importava nulla di niente e di nessuno. Invece, quella che si trovava davanti a lui, il petto che si sollevava e si abbassava ad un ritmo frenetico, il braccio pallido teso, dove il Marchio Nero scintillava in contrasto alla sua pelle diafana, sembrava tutt’altra persona.

Dal canto suo, la bionda, sapeva che quello che aveva fatto, o meglio, quello che stava per fare, era di sicuro la cosa più stupida ad avventata che avesse mai potuto compiere in tutta la sua vita, seconda solo alla straordinaria idea di unirsi al Signore Oscuro. Ma un’inspiegabile furia si era impossessata di lei, non appena aveva compreso perché suo marito avesse ideato quel folle piano.

Bellatrix era ancora troppo scioccata per parlare. Il suo solito ghigno si era congelato, e gli occhi riflettevano le emozioni che, furiosamente, si alternavano dentro di lei: incredulità, indignazione, rabbia, e poi di nuovo incredulità.

Erano stati pochi i litigi tra lei e Narcissa, e la maggior parte risaliva ai tempi dell’adolescenza; il pretesto per scagliarsi addosso fatture di bassa intensità più gettonato, erano i ragazzi. Ma gli episodi di quel genere si potevano contare sulle dita di una mano. Di sicuro i contrasti più importanti erano avvenuti tra Bellatrix ed Andromeda. Ma quella era acqua passata, ormai.

Lucius stava ancora fissando la moglie, sbalordito da un simile gesto azzardato; non dubitava minimamente delle doti di strega della donna, ma Bellatrix era nettamente più forte. Tra i Mangiamorte correva addirittura voce che l’Oscuro stesso le avesse donato del potere in più, in modo da renderla quasi imbattibile, o per lo meno, davvero molto forte. E lo era. Era una guerriera nata, come del resto lasciava capire il suo nome. Tornò a posare gli occhi su Narcissa, ancora ansante, il viso pallido irrigidito.

Se le cose fossero andate male, avrebbe avuto il coraggio di aiutare sua moglie?

Rodolphus lo farebbe.

Mentre Malfoy pensava febbrilmente a come far uscire entrambi incolumi da quella situazione, Bellatrix, che era rimasta immobile qualche minuto dopo le ultime parole della sorella, parlò.

Parlò con voce ruvida, puntando i suoi occhi scurissimi dritti in quelli cristallini della bionda. Quasi si poteva sentire il boato provocato dallo scontrarsi dei due sguardi carichi di aggressività. I due uomini, uno malignamente divertito, l’altro agitato e in ansia, smisero di pensare e rimasero in ascolto.

-Per Salazar, cos’hai intenzione di fare, Cissy?-.

L’altra squadrò la riccia con aria ostile. La bacchetta vibrò nella sua mano sinistra, mandando scintille argentate dalla punta.

-Credo di avertelo già detto- latrò.

-Oh, si- biascicò l’altra con aria sofferente, -ma non credo proprio che tu possa sfidarmi ed uscirne… illesa-.

-Vediamo, Bella. Mettimi alla prova, coraggio!- abbaiò Narcissa, visibilmente in tensione.

-Cissy, no- disse seria la mora. -Non voglio battermi con te-.

-Hai paura?- la stuzzicò.

-No, stupida donna!- ringhiò Bellatrix. -Sei mia sorella, per Morgana! Come posso combattere contro di te? Eh?-.

-Non è affar mio- rispose l’altra. -Tu vattene senza toccare Lucius, e io non alzerò la bacchetta-.

-Ma io devo fargli male!- protestò la riccia, indispettita. Sembrava aver abbandonato la rabbia; ora pareva una bambina viziata alla quale viene negata l’ennesima bambola.

-Smettila Bella!- gridò Narcissa con una vocetta stridula. I suoi occhi erano spalancati in modo innaturale, e una sottile vena bluastra sul collo pulsava in maniera sgradevole. Nel suo comportamento non rimaneva nulla della proverbiale freddezza e nobiltà che la distinguevano dalle altre sorelle, una troppo folle, l’altra troppo genuina.

-Perché? Io mi sto divertendo-.

-Sfidami!-.

Bellatrix sorrise, ma i suoi occhi rimasero freddi ed inespressivi.

-Saresti davvero disposta a dare la tua stessa vita per quell’inetto alle tue spalle?-.

-Sì- soffiò l’altra, che ormai vibrava per la rabbia e il nervosismo.

La mora sospirò tristemente, con fare rassegnato. -Okay, sia come vuoi- mormorò. -Voglio che però sia chiaro- aggiunse alzando un po’ la voce e guardando Lucius dritto negli occhi, -che quando avrò finito con lei, niente e nessuno ti salverà. Ed avrò due motivi per schiacciarti come il verme che sei. Non solo volevi separarmi da tutte le persone a cui tengo o tenevo- digrignò i denti, -ma mi hai messo contro mia sorella, che molto probabilmente non sopravvivrà-.

Malfoy mandò un debole lamento dalla sua postazione.

-Bene- concluse la donna, tornando a fronteggiare la bionda. -Accetto la sfida-.

Le due si allontanarono immediatamente, ponendosi diversi metri l’una dall’altra.

Entrambe si squadrarono e nel medesimo istante si inchinarono brevemente; poi sollevarono le bacchette in un gesto secco.

-Pietrificus Totalus!- esclamò Narcissa facendo un passo avanti.

L’altra fece un impercettibile movimento con la bacchetta ed un Sortilegio Scudo la riparò.

Scoppiò a ridere sguaiatamente.

-Cissy- riuscì a dire tra le risate che la scuotevano, -queste cose le facevamo a quindici anni! Per l’amor di Dio, non volevi farmi male?-.

-Incarcerarmus!- riprovò allora, ma di nuovo il suo incantesimo fu parato da una Bellatrix sogghignante.

-Coraggio!- la esortò quest’ultima. -Avanti!- sghignazzò.

-Avada Kedavra!- urlò Narcissa, fuori di sé dalla rabbia.

Bellatrix dovette impegnarsi di più per parare la Maledizione, e il sorriso scomparve dal suo volto.

-Addirittura?- ringhiò. Gli occhi sembravano mandare scintille. -Vuoi davvero uccidermi, Cissy?-.

-Combatti!- gridò invece lei, ignorando le parole della riccia. -Combatti! Fammi vedere quanto sei forte, su!-.

-Va bene. Crucio-.

La bionda parò senza troppa difficoltà. -Tutto qui?-.

Bellatrix sferzò l’aria con la bacchetta ed un lungo e profondo taglio apparve sull’avambraccio destro della bionda.

-Narcissa!- guaì Lucius, disperato.

-Ancora qualche minuto e sarò subito da te, Malfoy- disse tetra la sorella più anziana.

-Lasciala stare, lei non c’entra niente!-.

La donna si voltò di scatto verso il cognato. -Prenderesti il suo posto?-.

Lui rimase spiazzato. -Io… io… tu non…- farfugliava, mentre Rodolphus lo guardava disgustato.

-Come pensavo- replicò glaciale lei.

Ci fu un altro rapido movimento della donna ed apparvero due tagli orribilmente simili al primo sul ventre e su una coscia di Narcissa, lacerando il vestito violetto che indossava e macchiandolo abbondantemente di sangue.

-Bella, ti supplico, lasciala stare!- gemeva ormai Lucius.

La bionda però reagì. Compì un complicato movimento con la bacchetta e la riccia venne scaraventata con inaudita violenza contro un tavolino di cristallo che andò in frantumi.

-Ahi!- si lagnò, osservando due schegge che si erano conficcate nel suo braccio.

La più giovane approfittò di quel momento per lanciare un nuovo incantesimo; il viso e le mani dell’altra si riempirono completamente di decine e decine di taglietti.

-Mi hai fatto male!- esclamò Bellatrix, oltraggiata.

-Già, anche tu-.

-E non ho ancora finito- ghignò, rialzandosi ed estraendo rapidamente i pezzi di cristallo dal braccio. Avanzò lentamente verso l’altra duellante e si portò ad un paio di metri da lei. Piegò appena il capo, fissandola intensamente negli occhi. -Crucio-.

Narcissa, nonostante si aspettasse una mossa simile, non ebbe la prontezza di reagire, e questa volta non ci fu alcun Sortilegio Scudo a difenderla dall’inevitabile supplizio.

Nel giro di poche frazioni di secondo, iniziarono le urla.

Erano acute, intrise di dolore, e Lucius ormai piagnucolava.

-Intervieni, maledetto!- latrò Bellatrix, con odio, mentre le grida della donna che si contorceva come in preda a delle convulsioni crescevano, in sintonia con l’aumento d’intensità della Maledizione.

E Malfoy si alzò.

Si alzò lentamente, tremando, la faccia sconvolta. Intanto sua moglie continuava a gridare per il dolore.

-Avada Kedavra!- sibilò, puntando la bacchetta contro il petto della cognata, che fu costretta ad interrompere ciò che stava facendo alla sorella per difendersi.

In un movimento fluido e repentino, Rodolphus fu accanto alla sua donna.

-Non vale- si lamentò il biondo.

-Entrano in gioco i mariti. Che c’è di sbagliato?-.

-Che voi siete due, io uno-.

-Non è colpa nostra se tua moglie è debole- commentò Rod, sprezzante.

-Expulso!- mormorò una voce sfinita, che proveniva dal groviglio di stoffa lilla e capelli biodi che giaceva sul pavimento macchiato qua e là di sangue. L’uomo fu scagliato contro la parete opposta, facendo cadere due o tre quadri, dai quali giunsero proteste sdegnate.

-Adesso siete pari- sbuffò a fatica la bionda.

-Tu!- gracchiò Bellatrix irata, trucidando la sorella con il solo sguardo. -Crucio!-.

Le urla ricominciarono solo per pochi secondi: Lucius interruppe di nuovo la Maledizione, scagliandone un’altra contro la mora. Quest’ultima stava per scagliare un altro incantesimo contro l’uomo quando l’altra porta della sala di spalancò violentemente.

-Madre-.

Tutti i presenti si voltarono esterrefatti verso il nuovo arrivato.

Pallido come mai nessuno l’aveva visto, l’espressione vuota e ferita, Draco Malfoy fissava raggelato il corpo esile che era riverso sul pavimento in marmo.

Corse fino alla madre e si inginocchiò al suo fianco. Sfoderò la bacchetta con agilità e puntò sui vari tagli che deturpavano il candore della pelle, mormorando ogni volta una formula. Soffici bende si avvolsero intorno alle ferite, fermando le emorragie. Ripulì anche il vestito e il pavimento dal sangue. Le accarezzò la fronte.

-Ma che cosa ti hanno fatto?- sussurrò inorridito. Tratteneva a stento la rabbia.

Lucius gli si avvicinò. -Draco, torna di là, coraggio-.

Il ragazzo si girò verso di lui. -Stammi lontano, codardo- disse con espressione schifata.

Bellatrix fissava la scena con occhi vacui. Cercò la mano di Rod e la strinse convulsamente; lui ne approfittò per riportare la pelle graffiata della moglie all’originaria bellezza.

Draco prese in braccio la madre e, ignorando i deboli lamenti di quest’ultima, si diresse verso la porta.

Prima di uscire si voltò verso i tre e parlò con voce incolore. -Mi fate schifo. Tutti quanti. Per primo tu, Lucius, perché non l’hai protetta quando invece avresti dovuto. Tu anche, Bellatrix. Hai torturato tua sorella…- fece il ragazzo lasciandosi andare ad una smorfia di ribrezzo. -E anche tu, Rodolphus, perché potevi fermarla. Siete solo dei maledetti codardi-.

Suo padre trattenne il fiato, impietrito.

Ma accadde una cosa che lasciò Rodolphus senza respiro. Qualcosa che gli fece strabuzzare gli occhi increduli. Probabilmente se Cygnus e Druella, genitori delle sorelle Black, avessero visto ciò che stava succedendo alla loro figlia più dura e aggressiva, si sarebbero commossi. O forse l’avrebbero ripudiata?

Gli occhi di Bellatrix si erano riempiti di lacrime.

Mentre fissava il nipote che usciva dalla stanza con la madre inerme, aveva avvertito un forte e fastidioso pizzicore al naso. La sensazione era aumentata lentamente, fino a che si era ritrovata la vista appannata.

Mentre la porta si richiudeva pesantemente dietro Draco, si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo misto ad un singhiozzo che Lucius non colse, impegnato com’era ad imprecare contro sé stesso.

-È meglio finirla qui- mormorò poi la riccia, con la voce che si incrinava.

Lui la guardò mestamente. -Sì-.

La mora raggiunse Rod, che si era allontanato per riparare il tavolino di cristallo.

La stava osservando in un misto di comprensione ed incredulità. Ed un po’ di tristezza.

-Andiamo a casa, ti prego- gemette lei, arpionandosi al suo braccio.

Annuì.

Il suono della loro Smaterializzazione rimbombò a lungo nella sala da pranzo di Malfoy Manor, diventata improvvisamente vuota e fredda.

Il padrone di casa, rimasto solo, lanciò, tutt’intorno a lui, le decine di maledizioni che in realtà avrebbe voluto scagliare addosso alla cognata. E addosso a sé stesso.

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Un piano più in alto, Draco Malfoy scriveva furiosamente tutto il suo odio verso il padre su un foglio di pergamena che portava l’indirizzo di Blaise Zabini.

Ora non gli rimaneva altro che gli amici.

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-Posso sapere cosa ti è preso?- domandò Rod alla donna che si sedeva lentamente su una poltrona della biblioteca, raccogliendo le ginocchia al petto e fissando il fuoco nel caminetto che ormai stava pigramente morendo.

-Di cosa stai parlando?- chiese invece lei, la voce esausta, come se avesse corso per ore senza mai fermarsi.

Lui le si parò di fronte. Si piegò in avanti, finché non riuscì a prenderle entrambi i polsi tra le mani ruvide.

-Ti conosco, Bella. Non sei così-.

-Così come?- scattò lei, irritata. -Così debole? -.

-No. Così… riflessiva-.

Bellatrix assunse un’aria interrogativa.

-In passato non ti saresti fatta nessun problema ad attaccare seriamente Narcissa- spiegò lui, massaggiando le mani della moglie tra le sue, -e di sicuro non te ne saresti andata. E certamente non ti saresti messa a piangere-.

-Io…- esordì lei, il volto leggermente più rosato, -io non mi sono messa a piangere!- protestò. -E poi, attaccare seriamente mia sorella?! Ma dico, l’hai vista? Hai visto com’era ridotta?-.

-Un tempo l’avresti ridotta peggio- continuò lui, perfettamente calmo. -E non perché non le volevi bene, ma semplicemente perché non avresti perdonato un’offesa simile-.

La donna proruppe in un respiro aspro. -Avrei dovuto ucciderla?-.

-No- rispose Rod, sereno. -Non avresti dovuto fare niente. Semplicemente saresti andata avanti a torturare lei e quel verme di suo marito, ma non per un obbligo, semplicemente perché lo volevi-.

-Come fai a sapere che non vo…-.

-Non volevi andare avanti, Bella. Lo so. Ti conosco bene, ormai-.

La riccia fece sgusciare le mani dalla delicata morsa dell’uomo e se le portò al capo, a massaggiarsi le tempie.

-Qual è il problema?-.

Lei rimase in silenzio ancora per un po’, e Rodolphus attese pazientemente che finisse di riordinare le idee.

-Non lo so- ammise infine, sollevando lo sguardo ed incrociando quello scuro, profondo e rassicurante di lui. -Non so che mi prende. Probabilmente dev’essere stato lo stress della nostra momentanea separazione. Credo che mi abbia rammollita- terminò con una buffa smorfia.

Rodolphus sorrise appena e le mise un ricciolo ribelle, sfuggito alla pettinatura, dietro l’orecchio; questo dopo pochi attimi scivolò di nuovo in avanti, solleticando la guancia liscia della Mangiamorte.

-Non ti ha rammollita- sussurrò dolcemente. -Semplicemente ti ha fatto capire quanto potresti stare male senza le persone a cui tieni-.

-E questo non è essere deboli?!- chiese lei, cercando di darsi un tono beffardo, ottenendo però un mediocre risultato che fece di nuovo sorridere suo marito.

-No, non lo è- disse lui, accarezzandole la guancia libera da eventuali ciocche di capelli. -È essere innamorati-.

Questa volta anche Bellatrix sorrise, quasi timidamente. Poi il sorriso scomparve e sul suo volto perfetto si disegnò un’espressione tormentata. -È stato terribile vedere la faccia di Draco. È sua madre…- gemette, -e chissà come si è sentito…-.

-Lo so- fece Rodolphus alzandosi ed abbracciandola stretta. -Quel ragazzo è cresciuto troppo in fretta-.

-Non è giusto- si lamentò tenendosi saldamente a lui e sollevandosi a sua volta. -È solo un ragazzo, ha appena diciassette anni!-. Poi sfoggiò una smorfia disgustata. -E sono stata io a suggerirlo al Signore Oscuro-.

-Non avevamo scelta, Bella-.

Lei sbuffò contro il suo petto.

-Andiamo a letto?-.

-Sì, sono stanca- ammise lei, sbadigliando. Lanciò un’occhiata al pendolo in legno pregiato affisso alla parete. -Ma sono appena le otto e mezza!-.

-Dormiremo tanto-.

Rodolphus la prese per mano; lei intrecciò le sue dita con quelle di lui e lo guardò negli occhi.

Non ci fu bisogno di parole, sapevano entrambi cosa fare, e non per un obbligo ma, semplicemente, perché lo desideravano ardentemente.

Con la mano libera, Rod prese delicatamente il mento di sua moglie, raccogliendolo con gentilezza, come se fosse stato fatto di vetro soffiato.

Si avvicinò piano al suo volto e, altrettanto lentamente, poggiò le labbra su quelle piene e morbide di lei, e gli parve di assaggiarle per la prima volta in tutta la sua vita.

Erano prive di rossetto, e in questo modo poteva chiaramente sentire la freschezza di quella pelle, il delicato sapore di fiori. Era come un primo bacio. Si sentiva emozionato, impacciato e… si, innamorato.

Forse non era la sua Bellatrix, quella che lo aveva conquistato con i suoi modi bruschi e quasi mascolini, ma quella nuova Bellatrix, meno impulsiva e più adulta, gli piaceva molto.

Che, finalmente, Bellatrix Black si stesse mostrando per quella che era in verità?

 

 

 

Avete visto che brava? Per farmi perdonare ho allungato di parecchio il capitolo.

Okay, okay, okay, non uccidetemi, per favore. Lo so che questa non è Bellatrix, ma c’è una spiegazione, d’accordo. Quindi, per tutte quelle che amano la Bellatrix "Ho ucciso Sirius Black", calma. Abbiate pazienza e molta, molta fiducia.

Ora scappo sul serio.

A domenica, bellezze ;) 

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Capitolo 8
*** Affetto ***


AFFETTO

Ciao splendori! Data la mia incapacità di pubblicare la domenica, ho scelto di spostare il giorno dell’aggiornamento a LUNEDI’. Questo capitolo è particolare, diverso rispetto agli altri, perché Bellatrix si vedrà pochissimo (ma non mancheranno le sorprese). Spero con tutta me stessa che vi piaccia, e GRAZIE, ma davvero tanto, a tutte coloro che recensiscono sempre e comunque; questo capitolo è dedicato a voi. Siete meravigliose.

A lunedì!
Bacioni,
Marta

 

Una figura alta, slanciata e silenziosa percorreva velocemente il sentiero in terra battuta che si infiltrava negli alberi ricoperti di neve. Erano solo le nove e trentacinque e aveva dovuto compiere uno sforzo illegalmente doloroso: erano le vacanze di Natale, per Salazar! Non ci si deve svegliare alle otto, in vacanza! Certamente Blaise Zabini non avrebbe fatto una levataccia simile se non fosse stato per una buona causa. E la vita della madre del suo migliore amico era un buona causa.

La lettera che aveva ricevuto il giorno prima era stata scritta di fretta e con molta, molta rabbia. Lo aveva capito dalle parole calcate sulla pergamena con forza, quasi a perforarla.

L’inchiostro era sbavato qua e là, segno che molto probabilmente aveva scritto con un tale impeto da dimenticarsi di pulire bene la piuma.


Blaise, ci sono brutte notizie. Pessime.
Oggi ero appena arrivato dalla stazione, con me c’era solo Hans(1) che mi portava i bagagli. Eravamo nell’ingresso quando tutti e due abbiamo sentito gridare; era mia madre, ne ero sicuro. Sentivo anche mio padre, ma lui urlava parole. Mia madre era in preda al dolore. Ho spedito quell’insulso Magonò(2) in camera mia, in modo che mettesse in ordine le mie cose. Nemmeno il tempo di togliermi il giaccone e ho sentito mia zia usare il Cruciatus su mia madre. Così sono corso in sala da pranzo, da dove proveniva tutto quel casino. E cos’ho visto! Blaise, mia madre era per terra, piena di sangue! Sangue, capisci? Ed era colpa di Bellatrix! L’ho medicata e portata via da lì; certo non prima di aver insultato mio padre, mia zia e mio zio. Mi fanno vomitare. In questo momento vorrei ucciderli tutti, uno per uni, senza risparmiare nessuno. Ora mamma dorme, nel mio letto. La posso vedere da qui: è pallida, tanto pallida, e respira piano. Ma non credo sia in pericolo di vita. O almeno spero. Blaise, potresti venire qui domattina? Sul presto, se riesci. Magari intorno alle nove. Ho bisogno di parlare con qualcuno, faccia a faccia. Fammi sapere.


E dato che Malfoy era molto teatrale, persino nei momenti di sconforto, anziché firmarsi, aveva inserito una piuma di pavone albino; di sicuro apparteneva a uno dei tanti che zampettavano svogliatamente nel giardino del Maniero.

Non doveva essere stato facile sopportare una situazione simile. Quasi sicuramente, se avessero fatto del male alla madre di Blaise, li avrebbe uccisi tutti.

Il ragazzo era giunto all’elaborato cancello in ferro battuto di Malfoy Manor; davanti a lui si srotolava una strada sottile che conduceva al portone in legno della villa.

Quando fece per attraversare le inferiate nere e lucide, come era sua abitudine, fu costretto a fermarsi.

Che dolore straziante!

Sicuramente si era rotto il cranio. Ne era certo. Altrimenti non avrebbe sofferto così.

Perché diavolo non si era aperto in modo da lasciarlo passare? Lo aveva sempre fatto: per Blaise le misure di sicurezza non si attivavano, e il cancello doveva lasciarlo passare.

Che male.

E ora come entro?

Come in risposta al suo pensiero irritato, le pesanti porte si spalancarono, lasciandogli la via libera. Il ragazzo si guardò intorno con aria circospetta, come se stesse commettendo qualcosa di illegale. Non che non l’avesse già fatto, qualcosa di illegale. Ma un po’ d’erba che girava nei dormitori non era così grave, dopotutto. In tanti l’avevano fatto, no?

Superò rapidamente il cancello, come se temesse di sbatterci nuovamente la faccia; sentiva ancora la fronte dolergli.

Con passo rapido e silenzioso imboccò la strada asfaltata, lunga e stretta; dinnanzi a lui, l’imponente sagoma del Maniero si stagliava contro il cielo limpido e azzurro chiaro. Le nuvole erano rare, e il sole faceva scintillare la neve caduta durante la notte.

Potevo portare Daphne a pattinare, le sarebbe piaciuto…

È il tuo migliore amico, Zabini, mettitelo bene in testa e muoviti.

Immerso nei suoi pensieri, il naso per aria ad osservare un uccello solitario che vagava per il parco del palazzo, il Serpeverde rischiò di andare a sbattere un’altra volta.

Sollevò una mano con pigrizia e picchiò il battente, che raffigurava un cobra, un paio di volte. Si risistemò la sciarpa, realizzata su misura da una sarta di Notturn Alley, e scompigliò appena i capelli.

Ma nessuno venne ad aprire.

Ritentò, bussando più forte e più a lungo. E attese.

Niente.

Calmati, idiota. Non farti prendere dal panico.

Perché nessuno apriva il portone? La casa era vuota? Eppure Draco gli aveva chiesto di venire più o meno per quell’ora…

E poi un pensiero agghiacciante penetrò nella mente di Blaise, espandendosi dentro di lui come un veleno.

Bellatrix era tornata?

Lui aveva risposto alla lettera del suo migliore amico con un "Sì, verrò, non preoccuparti" e poi non si erano più scritti. Era possibile che la donna fosse ritornata poco più tardi e avesse finito ciò che aveva iniziato precedentemente, magari coinvolgendo anche il nipote?

Certo che è possibile, quella è pazza, e lo sai. Magari in questo momento Draco è gravemente ferito, nascosto da qualche parte del castello per sfuggire alla furia omicida dei Lestrange. Oppure… oppure potrebbe essere…

Il moro crollò a terra, accasciandosi su sé stesso e prendendosi la testa tra le mani, incredulo e straziato.

-Salazar, Draco…- gemette, un ingombrante nodo in gola che gli faceva uscire una voce strana. -Mi dispiace tanto…-.

Oh, se solo si fosse svegliato presto! Se fosse arrivato anche solo mezz’ora prima, magari avrebbe potuto salvarlo!

Dunque finiva così? Era questa la fine di tre anni di profonda amicizia e fedeltà?

Ma perché? Perché, perché?

-Perché?- proruppe, la voce incrinata che squarciò il silenzio che avvolgeva la casa.

-Blaise?-.

Il ragazzo sollevò la testa di scatto; c’erano delle scarpe, davanti a lui. Scarpe di pelle di drago nera.

-Blaise? Non ti senti bene?- ritentò la voce, ora seriamente preoccupata.

Zabini si alzò con un gesto fulmineo ed incrociò lo sguardo metallico di Malfoy.

-Draco-. Cercò di non mettere troppa enfasi nel nome, anche se la voce vibrava di sollievo.

-Amico, sei sicuro di stare bene?- insisté il biondo squadrando l’altro. -Sei ubriaco?-.

-No, certo che no!- sbottò il ragazzo, sulla difensiva. -Perché ci hai messo tanto ad aprire?-.

-Perché eri accovacciato per terra?-.

Touché. -Oh be’… stavo… Ma perché non è venuta la tua elfa domestica ad aprire?-.

-Pinky è morta- rispose lui con voce monocorde.

-Morta? Perché?-.

-A quanto pare, non permetteva alla mia cara zia di raggiungere la Sala da pranzo, ieri-.

-Bellatrix l’ha uccisa?-.

-Non qui- disse Malfoy con stizza, facendosi da parte in modo da permettere all’amico di entrare.

-Vieni, andiamo in camera mia-.

-Ma non c’è tua madre?-.

-No, mia madre si è ripresa abbastanza bene e velocemente. Adesso è nella sua stanza, con mio padre- commentò, la rabbia che traboccava da ogni parola.

Il moro però era tranquillo. Naturalmente sentiva forte e chiara la rabbia dell’amico, ma sapeva che era un buon segno: si stava sfogando. Ecco perché l’aveva chiamato; aveva bisogno.

Percorsero in silenzio due corridoi ed una rampa di scale, ed entrambi si arrestarono di fronte alla seconda porta bianca del terzo corridoio al primo piano.

Draco l’aprì con un gesto secco. Entrarono in fretta e l’uscio venne chiuso a chiave con un incantesimo non verbale.

-Allora?- esplose Blaise sedendosi sul letto a baldacchino. -Posso capire cosa diamine è successo ieri sera?-.

-Te l’ho detto- rispose l’altro accendendosi una sigaretta (l’unica cosa di decente che i Babbani avessero mai inventato), e passando il pacchetto all’amico che lo stava fissando con desiderio e che si stava insultando mentalmente per non essersi portato appresso le sue.

-Certo- concesse, accendendosene una a sua volta, -ma non ci ho capito niente. O meglio, non ho capito perché-.

-Mia zia ce l’ha con mio padre, credo. Mia madre si è messa in mezzo ad è stata torturata- snocciolò. -Ma non ne sono sicuro. Riguardo al perché del litigio, ne so quanto te-.

-È strano- fece Zabini, perplesso. -Da quel che ho potuto vedere fino ad ora, tua madre e sua sorella erano molto legate-.

Il biondo scosse la testa. -Non nell’ultimo periodo-.

-Che intendi?-.

-Da quando sono stato… marchiato… mia madre è decisamente più fredda con Bellatrix-.

Questa volta Blaise non disse nulla.

Aveva colto il tono rassegnato e disgustato che Draco aveva usato per pronunciare la parola "marchiato". Glielo aveva confessato, un giorno, poco dopo la sua iniziazione.

"Mi hanno marchiato, Blaise. Come si fa con le bestie. Ed è così che mi sento: una bestia, che verrà sfruttata, e che quando non servirà più, sarà mandata al macello".

-Credo che sia perché è contraria a questa cosa- continuò. -Vedermi al servizio di Tu-Sai-Chi non era proprio tra le cose che si augurava per me-.

-Capisco- mormorò il moro, prendendo una boccata di fumo.

Draco fece lo stesso; ma nella sua gola sentiva bruciare di più le sue parole che la nicotina e tutte le altre schifezze che c’erano dentro quell’aggeggio babbano che gli stava creando dipendenza nei momenti di stress e nervosismo. E quello decisamente era un momento di stress e nervosismo.

-Tuo padre?- azzardò Blaise, gettando il mozzicone attraverso la stanza e facendolo Evanescere mentre ancora era per aria.

-Non lo vedo da ieri sera, per fortuna-.

-Oh. Non vuoi parlargli?-.

-Per dirgli cosa?- fece l’altro, sprezzante. Poi imitò una vocetta stridula. -"Papà mi dispiace per quello che ti ho detto, facciamo pace, mi porti a vedere i draghi?!"- cantilenò.

Blaise lo fissò per un attimo. -Sii serio, Dra-.

-Sii serio tu! Ma come ti vengono in mente certe malsane idee?!-.

-Lasciamo perdere- sospirò il moro, sconfitto.

Per qualche istante nella camera regnò il silenzio più assoluto. Si poteva sentire il fioco rumore che la neve produceva cadendo a blocchi dagli alberi; in lontananza si avvertiva il tintinnio di stoviglie provenire dalle cucine, dove probabilmente gli elfi erano all’opera.

-Grazie di essere venuto- mormorò il biondo spezzando il silenzio.

-Ma figurati amico. Quando vuoi-.

-Non avevi appuntamenti con Daphne?-.

-Nah- sorrise Blaise. -Magari domani facciamo qualcosa-.

Draco annuì. -Sei fortunato-.

-Sì, lo so. Però, credimi, non facile curarli: se non usassi quell’incantesimo ogni santo giorno, non starebbero così bene…-.

-Blaise, di cosa accidenti stai blaterando?- lo interruppe l’altro, incredulo e divertito allo stesso tempo.

-Dei miei capelli!- affermò con convinzione.

Il biondo scoppiò a ridere.

Presto fu accecato dalle lacrime, e la risata non accennava a smettere.

L’altro, infastidito da tutte quelle risa, gli assestò uno spintone, facendolo cadere dal letto da una piazza e mezza. Ma anche da terra Malfoy non smetteva di ridere.

-La vuoi piantare?- chiese il moro, seccato.

Draco smise di ululare dalle risate e si issò nuovamente sul soffice materasso, asciugandosi gli occhi.

-Sai amico, quando fai così sembri davvero una checca- commentò, ancora scosso da qualche singulto.

-E tu quando fai così sembri un pazzo-.

-Okay, la smetto, scusa- sorrise l’altro.

Zabini lo guardò con diffidenza, poi domandò: -Ma alla fine a cosa ti riferivi? Perché sono fortunato?-.

Malfoy si fece serio e lo guardò. -Perché ami qualcuno. E hai qualcuno che ti ama. Al di fuori dei tuoi, intendo-.

-Troverai anche tu qualcuno del genere, Dra!-.

-Certo che lo troverò- ribatté con sicurezza. -Mi hai visto?-.

Questa volta risero insieme, e Draco, per un altro, meraviglioso istante, si dimenticò delle urla, del sangue, del disgusto…

Poi un rumore al piano terra li fece scattare entrambi.

-Cos’è stato?- sibilò Blaise.

-Credo che sia mio padre-.

Il biondo aveva pronunciato le parole con poca convinzione, e questo spinse i ragazzi ad alzarsi dal letto e a raggiungere la porta.

In un breve istante si ritrovarono fuori dalla stanza, sulle scale, a tendere le orecchie alla ricerca di un altro rumore.

Ma quel che udirono erano voci.

-…ma insomma, chi vi ha detto di portarli qui!-.

-Questa è la figlia di quello strambo! Rookwood ci aveva detto che il Signore Oscuro sostiene che questa qui è importante!-.

-Brutto idiota…!-.

Lucius Malfoy stava litigando con qualcuno. Un uomo, di sicuro.

-È proprio così signore! Ce l’hanno ordinato! Signora, dovete crederci, non stiamo mentendo!- insisté una seconda voce. Ci fu un movimento e poi un gemito di dolore.

-Non mi toccare, lurido insetto!-.

La voce oltraggiata di Narcissa Malfoy.

Allora sta bene.

-Vuoi scendere?- chiese Blaise, fissando incerto l’amico.

Il biondo non rispose; si limitò ad attendere qualche altro suono.

-Ma che cosa le avete fatto?-. Di nuovo la voce della padrona di casa, questa volta venata d’indignazione. -Potevate evitare!-.

-Opponeva resistenza, signora- gemette la prima voce.

-Non hai sentito?- sbraitò Lucius, -ha detto che non vuole essere toccata dalle tue sudice mani! Lascia in pace il suo vestito!-.

Si udì un breve urlo spaventato ed un tonfo.

-Scendiamo- disse Draco, lapidario.

I due imboccarono le scale a grande velocità, saltando qualche gradino ed incespicando alla fine; avevano il fiato corto, ma non si fermarono e proseguirono per due corridoi, sino a giungere all’arioso atrio dell’ingresso.

-Madre- boccheggiò Malfoy.

Lei si voltò di scatto e gli andò incontro.

-Tesoro- sussurrò, sfiorandogli una guancia.

E Blaise in quel momento comprese quanto fosse fortunato: in casa sua l’affetto era all’ordine del giorno; certo, sua madre aveva avuto cinque mariti diversi, ed aveva dato un po’ troppo amore, ma con suo figlio era una persona meravigliosa. Non gli faceva mancare niente: dai consigli, la solidarietà, il calore, ai beni materiali, dei quali casa Zabini era satura.

La voce tremante del suo migliore amico lo riscosse dai pensieri.

-Madre, cosa sta succedendo qui?-.

Cercava di fare l’uomo, ma era solo un ragazzo. E a dimostrarlo fu il pallore che si impossessò del su viso non appena scorse cosa stava tenendo tra le braccia uno dei Ghermidori giunti a casa sua. Anche il moro sbiancò quando constatò che quella cosa aveva le dimensioni di una ragazza.

-Ma che cosa…- gracchiò Draco, fissando la sagoma inerme.

-Aspetta- fece sua madre, brusca. -Andiamo di là-.

Lo trascinò verso il corridoio che conduceva alla biblioteca e vi si fermò, tenendo le braccia sopra le spalle del ragazzo.

-Mamma!- protestò lui. -Se credi che farò finta di niente…-.

-No, non lo credo. Non sono stupida- lo interruppe Narcissa.

-Allora dimmi cosa sta succedendo!- esclamò, irato.

-Sono Ghermidori, hanno una prigioniera. L’Oscuro Signore ha comandato loro di portare qui i prigionieri importanti- spiegò la donna, agitata.

-E perché?-.

-Per lo stesso motivo per cui tiene le riunioni qui: ritiene casa nostra il suo quartiere generale-.

-Be’, può anche andare a farsi f…-.

-Draco!- sibilò la madre. -Non ti ho certamente insegnato ad esprimerti così!-.

Lui si lanciò un’occhiata sofferente tutt’intorno.

-E così l’hai perdonato- biascicò.

Non ci fu bisogno di specificare chi. Narcissa prese un profondo respiro e controllò che il corridoio fosse ancora vuoto.

-Draco- esordì, scandendo le parole. -In questi tempi di guerra dobbiamo rimanere uniti. Litigare tra di noi, non è una buona idea. Tuo padre lo ha fatto con Bellatrix, e guarda a cos’ha portato. Credimi, aveva le sue buone ragioni. Ieri sera…- mormorò, faticando a trovare i termini appropriati, -ci ha messo tanto per intervenire- ammise. -Ma poi lo ha fatto. Credo che fosse semplicemente… spaventato, ecco- soggiunse, soddisfatta. -L’ho perdonato solo perché non voglio altri litigi. Io voglio solo che tutto questo finisca presto-.

Il ragazzo la osservava, rapito ad ammirato.

Aveva ragione, certo, ma lui proprio non riusciva a sopprimere la rabbia che provava nei confronti del padre. Lui sarebbe intervenuto immediatamente. Lui non era un codardo.

-Come vuoi- sospirò infine. -Ma non aspettarti che io ora corra di là ad abbracciarlo-.

-No, certo- sorrise la donna con affetto. -Però devo tornare. C’è una faccenda in sospeso con quegli omuncoli. Tuo padre ha schiantato quello che si è permesso di toccare l’orlo del mio vestito- aggiunse, lusingata, prendendo a camminare per il corridoio.

Il biondo la seguì perplesso.

Entrambi però si bloccarono di colpo quando, giunti nuovamente nell’atrio, videro cosa stava accadendo.

Bellatrix doveva essersi appena Materializzata, a giudicare dai capelli ricci che ancora si muovevano debolmente. Era sola.

Lucius la stava squadrando con odio e timore assieme, mentre i Ghermidori erano indietreggiati come gamberi, cercando riparo sotto un antico scrittoio.

-Bella- ringhiò Narcissa ponendosi dinnanzi a suo figlio con aria protettiva e combattiva.

-Cissy, non voglio battermi- mormorò stancamente l’altra, riponendo la bacchetta nel mantello ed avanzando di qualche passo. -Né con te, né con tuo marito-.

-E allora perché sei qui?- domandò l’uomo, diffidente.

-Sono stata informata da Piton della cattura di questa qui- ripose lei, indicando con un impercettibile movimento del capo la ragazza, che ora giaceva immobile al suolo, abbandonata lì dai due vermi terrorizzati.

La bionda annuì rigidamente.

-Cissy… non voglio più battermi. Sono venuta anche per chiederti scusa. Per tutto- disse la riccia tutto d’un fiato.

Narcissa registrò le parole sbattendo le palpebre più volte e torcendosi le mani.

Lucius intervenne. -Non ci interessa-.

Si trovava pochi passi dietro di lei, quindi non poteva vedere il gelo che era calato sul volto mozzafiato della donna. Quando parlò, la sua voce tagliava come la lama di un coltello appena affilato. -Non ti è venuto in mente che forse non stavo parlando con te, insulso deficiente?-.

L’uomo assunse un’aria offesa. -Ma come osi!- sibilò.

-Basta Lucius!- sbottò la moglie, massaggiandosi le tempie con ampi movimenti di entrambe le mani.

Lui riaprì la bocca ma non disse nulla.

Bellatrix sorrise appena, poi tornò a fissare la sorella minore. -Possiamo parlare un momento in privato?- chiese con un filo di voce. -Ti prego- aggiunse, con aria di supplica.

L’altra rimase interdetta per qualche istante, poi annuì di nuovo e imboccò il corridoio da cui era appena giunta col figlio, che nel frattempo scrutava la zia.

Lei non resse lo sguardo del nipote e seguì in fretta la donna.

Questa volta Narcissa varcò la porta che conduceva nella vasta biblioteca, seguita dalla sua ospite. Presero posto su due poltrone, l’una di fronte all’altra.

Bellatrix continuava ad evitare lo sguardo della bionda, soffermandosi dovunque con gli occhi neri: sul candelabro, sulle innumerevoli cornici d’argento che racchiudevano fotografie magiche di alcuni membri della famiglia Malfoy, su qualche tomo dall’aria particolarmente illeggibile.

La più giovane si schiarì la voce. -Dimmi tutto, Bella-.

L’altra si costrinse a fissarla. -Volevo chiederti scusa-.

-Me lo hai già detto-.

-Lo so-.

-È solo per questo che hai voluto parlare con me in privato?-.

-Non accetti le mie scuse?-.

-Si che le accetto. Ma per perdonarti mi ci vorrà del tempo-.

-Giusto- sussurrò la mora, lo sguardo perso nel vuoto.

-C’è altro?-.

Bellatrix impallidì. Quel giorno era già particolarmente cadaverica, e ora la sua pelle aveva assunto un tono quasi grigiastro.

-Bella, non ti senti bene?-.

La situazione era assurda.

Solo il giorno prima si erano scagliate addosso maledizioni e fatture pericolose. Ora invece erano sedute a parlare, mancava forse solo una fumante tazza di thé e dei pasticcini. Eppure Narcissa intuiva, nello sguardo della riccia, una disperata ricerca d’aiuto, e gli anni passati insieme sotto lo stesso tetto, così come lo stesso puro sangue che scorreva nelle loro vene, l’aveva spinta ad assecondare quel bisogno.

-Bella, cos’è successo?-.

La donna respirò tanto profondamente che fu scossa da un tremito.

Parlò con voce fioca.

-Credo di essere incinta-.  

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Capitolo 9
*** Emozione e sentimento ***


CAPITOLO NOVE

Non dite niente vi prego. Lo so. Mea culpa. Gli esami si avvicinano, e i libri mi attaccano, mi tendono delle imboscate, mi fanno le trappole. Ehi, dopotutto non è colpa mia. Comunque. Ecco qui il nuovo capitolo, caldo caldo (nel senso che ho appena finito di scriverlo, non fatevi strane idee). Come al solito, spero vivamente che vi piaccia e, se avete domande, io sono qui. Ah, cosa importante: nello scorso capitolo, è riportata la lettera scritta da Draco a Blaise. In quella ho inserito due note (1) e (2), che però non ho mai spiegato. Hans è il maggiordomo/fattorino di casa Malfoy, ed è un Magonò, ma a lui sono affidati solo pochi incarichi, quali portare il figlio dei due alla stazione a prendere il treno, sistemare i bagagli, ecc. Mi scuso anche per come ho impaginato la scorsa volta: un sacco di pensieri, in particolare di Zabini, avrebbero dovuto essere scritti in corsivo e in grassetto, ma mi sono totalmente dimenticata. Mi scuso nuovamente per il folle ritardo. Abbiate pazienza, vi supplico, fate passare settimana prossima e tutto tornerà alla normalità. Grazie infinite alle nuove ragazze che hanno aggiunto questa storia alle preferite/seguite/ricordate, come: aras95, ayumi, Gelie Morgan, Keira Lestrange, Lady Chiara Sommers, Lady Darcy, Never lose myself (benvenuta!, grazie per la tua recensione!), Patta97, Phoebe76, sTar__, The_Writer, _Mari_.

Siete tutte straordinarie, vi ringrazio di cuore. Naturalmente TUTTE le recensioni riceveranno una risposta, ma non so ancora dirvi quando (sono davvero immersa negli impegni).

Non mi resta altro da dirvi, se non: Buona lettura!

Baci,

Marta.

 

 

 

 

EMOZIONE E SENTIMENTO

 

Mancò poco che Narcissa non cadesse dalla sedia.
In tutti quegli anni passati insieme, mai le era passato per la testa che sua sorella potesse diventare madre; l’aveva sempre considerata una donna concreta, senza scrupoli, incapace di amare chiunque al di fuori di se stessa ed il suo Signore. Eppure aveva dovuto ricredersi: quando credeva di aver perso Rodolphus era andata in pezzi; quando, il giorno prima, si erano trovate l’una di fronte all’altra, con le bacchette sguainate e pronte a combattere, Bella se n’era andata, turbata dalle sofferenze del nipote e di sua madre. Quando Lucius, quella mattina, glielo aveva raccontato, non ci aveva creduto. Si era addirittura messa a ridere; una risata amara, certo, tuttavia le era sembrato inconcepibile che sua sorella avesse provato qualcosa di simile alla pena per un ragazzo.

E la dichiarazione che la mora le aveva appena fatto, con la voce tremolante, era un’altra, inconfutabile prova che, dietro quella meravigliosa maschera di indifferenza e follia, si nascondeva una persona fragile ed insicura. Un’umana.

Ecco cosa aveva sempre allontanato Bellatrix dall’altra gente: i sentimenti.

Persino sua madre aveva gettato la spugna con lei, quando aveva solo dodici anni. Se Narcissa riusciva a commuoversi per un libro, e Andromeda addirittura a piangere a dirotto quando il suo primo gufo era morto, Bella era stata capace di rimanere impassibile dinnanzi alla scoperta del corpo freddo della nonna, deceduta durante il sonno. Non si era minimamente scomposta; aveva chiamato, con voce ferma, i suoi genitori e se ne era andata.

All’inizio Cissy era fermamente convinta che la sorella giocasse a fare la dura, che in realtà provava dolore nelle situazioni tragiche, felicità in quelle divertenti e giocose. Ma si era scoraggiata parecchio quando comprese che era l’esatto contrario: si divertiva leggendo di nobili streghe straziate dalla morte del loro amato marito, e si incupiva quando vedeva studenti di Hogwarts passeggiare allegramente per il parco.

Quello che era chiaro adesso però, era che sua sorella si tormentava le mani in maniera quasi compulsiva; i capelli, diversamente dal solito, erano flosci e ricadevano sulle spalle privi di vitalità. Le guance, solitamente tirate in qualche sorriso perfido o ghigno o anche smorfia, ora erano cadenti; sembrava avere dieci anni di più. Gli occhi, solo il giorno precedente attenti, vigili e anche un po’ sarcastici, erano spenti, stanchi. Aveva passato la notte sveglia?

La donna riccia e pallida di fronte a Narcissa alzò lo sguardo dalle sue esili mani, ormai arrossate, e le lanciò un timido sguardo da sotto le folte ciglia.

-Cosa…- esordì, ma aveva la gola secca, e ne uscì un indistinto composto di consonanti. Tossicchiò appena e ritentò. -Cosa ne pensi?-.

L’altra si era preparata ad ogni genere di domanda: Come faccio?, come lo dico a Rod?, puoi aiutarmi?... ma decisamente non era pronta a questa domanda.

-Che intendi dire?- farfugliò.

-È una cosa positiva? Negativa?-.

-Be’, dipende…- disse piano la più giovane. -Tu e Rodolphus ne avete mai parlato?-.

-Sì… tempo fa- biascicò lei. -Circa due anni dopo il matrimonio… lui avrebbe voluto almeno quattro o cinque figli…-.

-E tu?- tentò la bionda, convinta di sapere già la risposata.

Infatti la più anziana continuò: -Io gli avevo detto che non ci pensavo neanche, così giovane, a farmi deformare per dare al mondo una tribù di marmocchi-.

Narcissa sorrise lievemente. -Ma adesso? Cosa ne pensi tu?-.

-Penso… penso che dopotutto… mi potrebbe anche fare piacere-.

-Però non ne sei ancora sicura. Di aspettare un bambino, intendo-.

-No-.

-Non sarebbe il caso di fare una visita? Potresti…-, ma fu interrotta bruscamente dalla sorella che disse, con voce aspra: -Andare al San Mungo? Si, certo, ti immagini? "Ehi, scusate gente, lo so che sono una Mangiamorte, però potrei essere incinta, non è che mi potreste dare un’occhiata senza chiamare gli Auror?"-.

La bionda sospirò. -Glielo hai già detto a Rod?-.

-No!- sibilò l’altra, portandosi l’indice alla bocca, come se temesse che la persona in questione potesse sentire.

-E quando pensi di dirglielo?-.

-Quando ne sarò sicura!- scattò Bellatrix, alzandosi dalla poltrona e prendendo a camminare avanti e indietro sull’elegante tappeto verde scuro che adornava il pavimento della biblioteca di Malfoy Manor.

-Non capisco cosa sei venuta a fare allora- ammise la donna seduta, osservandosi le unghie della mano destra.

-Perché volevo chiederti cosa si prova in queste… situazioni. Tu ci sei passata, con Draco-.

L’altra rimase interdetta per qualche istante. -Cosa… si prova?-.

-Sì!- fece la mora, concitata, compiendo gesti frenetici ed indefiniti con le mani. -Quando sei incinta, cosa senti? Quali sono i sintomi?-.

-Oh…ehm…- si concesse una pausa, -be’, diciamo che hai la nausea, tanto per iniziare-.

La riccia annuì energicamente. -Va’ avanti-. Aveva gli occhi più aperti del consueto, ed ogni suo muscolo era teso, impaziente di saperne di più.

-Poi… hai degli sbalzi di umore incredibili-.

-Sì!-.

-Bella, tu gli sbalzi di umore li hai sempre avuti- disse con sarcasmo l’altra. Smise di avere quell’aria di scherno quando gli occhi della sorella mandarono lampi.

-E poi?-.

-Oh, insomma, non mi ricordo più! È passato un sacco di tempo! Io ad esempio mi arrabbiavo per qualsiasi cosa, anche stupida-.

-Lo fai anche adesso- frecciò Bellatrix, vendicativa.

La bionda la ignorò. -Non ho neanche avuto il tempo di avere il sospetto di aspettare un bambino, che Lucius mi ha portato al San Mungo per accertarsene-.

-Mi stai dicendo che dovrei dirlo a Rodolphus?-.

-Di sicuro sarebbe meglio-.

Bellatrix si arrestò di botto. Prese a mangiucchiarsi un’unghia con nervosismo, gli occhi che saettavano da una parte all’altra della stanza senza fermarsi per più di due secondi su qualcosa.

-Vado- annunciò all’improvviso.

-Dove?- domandò Narcissa, confusa dal comportamento più folle che mai della donna.

-Da mio marito!- esclamò la mora, riallacciandosi il bottone che chiudeva il mantello da viaggio sul collo.

-Ne sei sicura?-.

-Ma certo! Quando dovrei dirglielo? Tra nove mesi?-.

-No- sbuffò la padrona di casa stancamente.

-Ti scrivo dopo, ti dico come è andata-.

-D’accordo-.

Anche Narcissa si levò in piedi e raggiunse sua sorella vicino al camino dalle proporzioni monumentali.

-Grazie- soffiò Bellatrix, la voce intrisa di riconoscenza e un pizzico di emozione. Emozione. Wow.

-Di niente-.

La più anziana prese delicatamente il viso della più giovane tra le mani pallide e magre. La fissò dritto negli occhi.

-Scusami ancora, Cissy, per quello che ti ho fatto. Spero che un giorno riuscirai a perdonarmi-.

L’altra fece appena in tempo a sentire le labbra fresche e morbide della sorella posarsi per un attimo sulla sua fronte; chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, pochissimi istanti dopo, nel focolare danzavano alte fiamme verdi, che in breve si estinsero.

=======================================================================

Draco Malfoy era allibito. No, era incredulo. No, nemmeno. Sbalordito? Neanche. Non c’erano aggettivi per descrivere il suo stato d’animo, e in quel momento ne era più convinto che mai. Gli era già successo altre volte: quando la Umbridge aveva tolto la scopa a Potter, due anni prima. Non era riuscito a trovare un sinonimo di "euforico" abbastanza soddisfacente. O quando, il terzo anno, quel maledetto Ippogrifo era scampato alla sua condanna a morte. Lì, epiteti come "scandalizzato" o "profondamente tradito" non rendevano l’idea.

Ma quella mattina, oltre alla sorpresa, provava anche timore, repulsione, e perfino qualcosa di simile alla pena.

Il fagotto di vestiti logori e sporchi si era mosso.

Ebbe modo di comprendere che quelli non erano fili di cotone bianco sudicio, ma capelli.

La ragazza si era messa faticosamente a sedere. Teneva il capo chino; era spaventata, non c’erano dubbi. Ma fu quando sollevò la testa, che a Blaise e a Draco morirono i respiri in gola.

Luna Lovegood fissava, ad intermittenza regolare, il soffitto, le pareti, i ragazzi, le sue gambe raccolte in una posizione naturale.

Quando riconobbe i suoi compagni di scuola, ebbe un flebile guizzo nello sguardo marino; sussulto che durò ben poco, scomparendo non appena capì dove si trovava.

-Che cosa ci fa lei in casa nostra?- domandò Draco con tono insolitamente calmo, al padre che la fissava a sua volta.

-Non lo so. Evidentemente il Signore Oscuro la ritiene importante- rispose questi con una scrollata di spalle, come a voler ostentare indifferenza. Cosa che gli riuscì molto male.

-Rimandatela a casa- intimò cupamente il ragazzo ai due inetti che continuavano a rintanarsi sotto il mobile di legno pregiato.

I Ghermidori però fecero finta di niente, come se non avessero udito.

-Ehi, sporchi scarafaggi, sto parlando con voi!- sbottò, alzando la voce.

La coppia di criminali continuò a tacere ed a tremare.

Il ragazzo stava prendendo una consistente manciata d’aria per urlare loro contro, quando il padre intervenne.

-Andate via da casa mia- abbaiò.

I due strisciarono fuori dal loro nascondiglio in tutta fretta.

-G…grazie s…signor Malfoy!- balbettò il più tozzo, afferrando l’altro per la manica del maglione scolorito e dirigendosi verso la porta.

In un batter d’occhi sparirono.

Draco, furioso, attese che l’eco del tonfo sordo prodotto dal pesante portone di legno sparisse, per scagliarsi contro il padre.

-Ma cosa hai fatto? Perché li hai fatti andare via? Cosa ce ne dobbiamo fare di questa qui?- gridò, irato.

Luna intanto mandò un debole lamento quando, tentando di muovere le gambe, capì che erano rotte.

-Se l’Oscuro Signore la ritiene preziosa, la terremo qui- tagliò corto l’uomo, poco convinto.

-Ma sentiti- commentò il giovane, incredulo e schifato, -prendi ordini da un Mezzosangue, te ne rendi vagamente conto? E parli tanto di sangue puro! Mi fai schifo!-.

-Dra- lo ammonì Blaise, seduto su un gradino della scalinata i marmo.

-No Blaise, è la verità, cazzo!- strepitò il biondo. -I tuoi genitori non sono stati così idioti da unirsi a quel pazzo! E nemmeno tu! Perché avete le palle! E io invece? Guarda chi ho alle spalle! Un codardo e una che deve fare l’uomo perché suo marito è un essere inutile!-.

-Tesoro…- gemette Narcissa Malfoy, appena comparsa nell’atrio. Era straziata dalla rabbia del figlio.

-No, mamma!- sbraitò questi. Lanciò un’occhiata in tralice al padre che, con il capo chino, se ne stava zitto ed immobile, consapevole delle sue colpe. -Io sono stanco. Sapete cosa vi dico? Fatene quello che volete della Lovegood, non mi… riguarda-.

Ti interessa, Draco.

Si, ma non mi riguarda.

-E non appena tutto questo sarà finito- proseguì con veemenza, -io me ne andrò. Se sarò ancora vivo e non finirò a marcire in una cella ad Azkaban, sparirò da questo posto assurdo-.

Finì di parlare, ansante, il battito del cuore a mille ed il respiro frenetico.

Finalmente aveva urlato in faccia ai suoi tutto il disagio, l’infelicità, e il disgusto che provava.

Non attese che uno dei due prendesse la parola; si avvicinò al suo migliore amico e, insieme, sparirono su per le scale, lasciando dietro di loro una madre singhiozzante ed un padre fatto a pezzi dal rimorso.

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Il Maniero dei Lestrange era avvolto nel silenzio e nell’ombra.

Tutte le pesanti tende di velluto blu erano tirate, a fermare i timidi raggi solari del mattino umido e gelido. Quasi tutte.

Solo due, quelle che ornavano la coppia di finestre presente nello studio del padrone di casa, erano state completamente aperte; la stanza era inondata di luce, quasi verdognola a causa di tutti gli alti alberi che crescevano intorno alla casa.

Le carte che Rodolphus aveva sotto il naso dritto, erano soporifere.

Di sicuro svolgere quel tipo di lavoro assegnatogli dal suo Signore, e cioè controllare tutti gli spostamenti di potenziali nemici quali Arthur Weasley, Ninfadora Tonks e compagnia bella, non era propriamente la sua idea di divertimento. Certamente passare una giornata con la sua Bella, sarebbe stato molto più rilassante ed appagante.

I vari fogli sparsi che occupavano gran parte della scrivania di ciliegio, erano stati precedentemente riempiti accuratamente da Yaxley, che dal Ministero li teneva quasi tutti sotto stretta sorveglianza.

Afferrò una pergamena spiegazzata dal mucchio e la osservò per qualche istante.

Per le mutande di Merlino, cosa diavolo interessa all’Oscuro quante volte Weasley va ai servizi mentre è in ufficio?!

Sbalordito e confuso, ripose il documento e sbuffò, frustrato.

La luce raggiungeva ogni angolo dello studio e, l’argento della cornice che aveva sul tavolo, scintillava. La foto che racchiudeva era piccola, se paragonata a quelle gigantesche in camera da letto e nel salone; una Bellatrix più paffuta e sorridente salutava impacciata verso l’obiettivo, abbassando di tanto in tanto lo sguardo.

Oh, quanto si ricordava quel giorno!

Quella foto l’aveva scattata lui, quando ancora aveva tempo di coltivare la sua innata passione per la fotografia. Si erano appena conosciuti, e lui si aggirava per i ricevimenti a casa Black da circa tre settimane. Poi, finalmente, durante una di quelle noiosissime feste, lei aveva acconsentito a seguirlo fuori dalla villa, nel giardino. Era bellissima; la luna illuminava di una luce perlata, quasi eterea, i lunghi boccoli che si arrotolavano lungo la sua schiena. Le gote erano leggermente arrossate per l’imbarazzo (e qui Rodolphus si era sentito importante: mai nessuno era riuscito a fare arrossire l’algida Bellatrix); il lungo vestito di raso le fasciava le curve delicate, senza renderla volgare. Era una visione. Lui aveva insistito per scattarle una fotografia con quella macchina nuova di zecca che si portava sempre appesa al collo. Lei, ancora più scarlatta in viso, si era fatta pregare, ma dopo tanta riluttanza, aveva finalmente ceduto. Mesi dopo, gli aveva confessato che era arrossita solo perché aveva visto nell’uomo vero interesse verso di lei, e non verso il consistente patrimonio di famiglia; e, naturalmente, perché era la prima volta che un ragazzo le suscitava interesse ed anche una fastidiosa sensazione, come di… farfalle nello stomaco.

La Bellatrix della foto era completamente diversa da quella che esitava sulla porta della stanza, osservando il marito con fare ansioso.

-Tesoro!- esclamò lui, balzando in piedi e correndole incontro. -Come ti senti? La passeggiata è servita a calmare la tua nausea?-.

Lei, troppo agitata per aprire bocca (ed effettivamente ancora con lo stomaco debole per essere sicura di non vomitare), si limitò a scuotere piano il capo.

-Devo chiamare Peach? Forse abbiamo ancora qualche scorta di Pozione Ricostituente, potrei mandarla a cercarne un po’…-.

-No- lo interruppe lei, tremante. Si avvicinò lentamente ad una sedia imbottita e vi si lasciò cadere sopra.

-Tesoro- gemette nuovamente lui, accovacciandosi davanti a lei. -Mi stai facendo impazzire! Ti senti ancora molto male?-.

-Un po’-. La donna inspirò intensamente. -Rod, dobbiamo parlare-.

-Ohi ohi- fece lui, mettendosi comodo sulla poltrona in fronte a sua moglie. -Che succede?-.

-Non sono andata a fare una passeggiata- esordì, fissando un punto impreciso nel parquet. -Sono stata a casa di Lucius e Cissy-. Prima che l’uomo potesse aprire bocca per protestare, si affrettò ad aggiungere: -Non abbiamo combattuto. A dire la verità ci siamo riappacificate, o almeno in parte. Ma non è questo il punto-. Scosse nuovamente la testa. Il suo sguardo si spostò su di un ghirigoro presente su una gamba della scrivania. -Abbiamo parlato-. La sua voce si incrinò lievemente.

-E…?- la incoraggiò lui.

-È difficile-.

-Provaci-.

-Abbiamo parlato… di me-.

La guardò attentamente, sempre più sospettoso. -Vai avanti-.

-Io… io credo… io credo di essere incinta- masticò lentamente.

Per Rodolphus fu come una sparo, uno schiocco di frusta, che gli fece dolere i timpani. Mai alcune parole furono tanto rumorose, tanto prepotenti ad entrare nelle sue orecchie, a perforargli il cervello. La fissò sconvolto. -Ne sei sicura?-.

Fu tutto quello che riuscì a dire, le uniche parole che riuscì a comporre in un simile stato di shock.

-No, te l’ho detto: credo di essere incinta-.

Incinta.

Incinta. Incinta.

Incinta!

Dio, che parola difficile! Era cosa cruda, così senza alternative, senza attenuanti. Un po’ come morto. Non si può essere "un po’ morto" o "morto poco poco". Come del resto non si poteva essere "poco incinta".

Le gambe erano irrealmente molli.

-Ti prego di’ qualcosa- supplicò lei, ancora a fissare il tavolo.

Poi il cervello di Rodolphus riprese a funzionare, e la sua mente fu invasa da una miriade di immagini, colorate, calde, felici: lui e la sua amata che tenevano per mano un piccolo bambino dai capelli bruni; sempre lo stesso bimbo che giocava con gli scacchi del papà e li lanciava per la stanza ridendo…

E fu allora che si accorse di quanto aveva sempre atteso, desiderato, quel momento. Di quanto aveva agognato di poter sfiorare il ventre di sua moglie, sapendo che dentro c’era suo figlio.

Con quei pensieri e quelle fotografie di un possibile roseo futuro stampate in testa, si alzò rapidamente della sedia, e con passione, felicità e commozione, baciò la sua sposa.

Lei rimase immobile per qualche istante, temendo che fosse solo una scusa per strangolarla. In pochi attimi però si sciolse, e ricambiò uno dei baci più dolci di tutta la sua esistenza.

-Allora sei contento- fece, abbozzando un sorriso.

-Se sono contento?- chiese lui, gli occhi scintillanti di gioia, -Io sono… sono… non esiste aggettivo per definire il mio stato d’animo!-.

-Oh, per fortuna! E io che credevo che ti saresti arrabbiato- sospirò lei.

-Scherzi?! Sono anni che aspetto questo momento, ormai non ci speravo più!-.

Il secondo bacio dei due fu interrotto dall’arrivo frettoloso di Peach, che per un attimo si beò di quella felicità che si scorgeva facilmente negli occhi della sua padrona. Quest’ultima, troppo su di giri, si dimenticò perfino di trattare male l’elfa, e con fare scherzoso le domandò: -Che succede?-.

La creaturina si guardò intorno, come alla ricerca di una via di fuga. Subito dopo, forse per punirsi solo per il fatto di aver pensato di scappare dai suoi padroni, parve cercare qualcosa per colpirsi la testolina. Era certa che la notizia che portava non avrebbe rallegrato nessuno dei due; anzi, molto probabilmente, avrebbe rovinato loro la giornata.

Così, con un acuto squittio spaventato, riferì ciò che aveva da dire.

-Signora, alla porta c’è la signora Greengrass, e chiede di voi!-. 

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Capitolo 10
*** Chiarimenti ***


Cari lettori (e care lettrici ovviamente), mi spiace molto di non aver pubblicato per così tanto tempo. Vi avevo detto che gli esami si stavano avvicinando e che non avrei avuto molto tempo per pubblicare e per scrivere, ma non credevo che non sarei riuscita ad avvicinarmi ad Efp per più di tre settimane! Quindi imploro il vostro perdono. Gli esami sono passati e (per chi è interessato) sono andati alla grande :) Quindi adesso basta ritardi!

Ma parliamo del capitolo. Come capitolo in sé, quindi mi riferisco a ciò che succede, mi piace molto. Peccato che non piaccia come l’ho scritto. Ma ormai ci rinuncio, davvero. Spero solo che piaccia a voi!

Grazie, come sempre, a tutte le straordinarie ragazze che recensiscono la storia, voi non potete capire come mi fate sorridere e gonfiare d’orgoglio! (No, non mi sto montando la testa!).

Questo capitolo è tutto per voi, vi adoro tutte!

Baci,

Marta.

 

 

 

 

 

 

 

 

CHIARIMENTI

 

 

Se c’era una cosa che Draco Malfoy odiava fare, era non rispettare le proprie parole.

Specie se erano parole particolarmente importanti, o comunque con delle conseguenze.

Tutto considerato, quel lunedì si era rivelato abbastanza infimo da riservargli una grana dopo l’altra, e Luna Lovegood non era che un’altra, malvagia perla, di una collana velenosa.

Non che fosse arrabbiato con la ragazza, certo. Lei colpe non ne aveva.

Non riusciva proprio a smettere di guardarla; era distesa sul freddo pavimento in pietra dei sotterranei del Manor.

Dormiva.

Il suo respiro pesante si sentiva chiaro, rimbalzava contro le pareti di roccia, umide e spoglie.

Ad accompagnare quel flebile suono, c’erano gli strilli ad intervalli più o meno regolari di sua madre che lo chiamavano per la cena. Ma non sarebbe andato a sedersi in mezzo ai suoi genitori, quella sera. Non poteva, non doveva, fare finta di niente.

Aveva detto chiaramente che non gli importava niente di quello che accadeva in quella casa, no? Era venuto a meno alle sue parole in merito alla Lovegood.

Non aveva mentito, quella ragazza non era affar suo, però non riusciva a lasciarla sola là sotto. Era disumano. E Draco aveva deciso di resettare la sua educazione quasi completamente impartitagli dal padre, e costruirsene una nuova, basata prettamente su quello che la vita gli aveva insegnato. Così era giunto alla conclusione che una sedicenne rapita e mal menata, era nettamente più bisognosa di una madre ed un padre punti dal rimorso.

Non aveva ancora dato segni di ripresa dopo aver bevuto la pozione Rilassante che Narcissa le aveva somministrato qualche ora prima. Avevano provato a contattare un amico di Lucius, un Medimago in pensione, ma sarebbe riuscito ad arrivare solo la sera dopo. E il ragazzo soffriva a vederla così.

Le gambe di Luna erano state steccate alla bell’e meglio da sua madre, ma era sicuro che, una volta sveglia, avrebbe sentito ancora un gran dolore. Se lo ricordava bene il male che può provocare una gamba rotta: il Quidditch glielo aveva fatto sperimentare un paio di volte. Certo però che due gambe rotte sono un altro paio di maniche. E non si erano rotte in seguito ad un divertimento; sicuramente aveva lottato per sfuggire ai Ghermidori. Due uomini contro una ragazzina. La cosa lo disgustava parecchio.

Draco interruppe il flusso dei suoi pensieri, quando vide che le dita di entrambe le mani della giovane ebbero un leggero fremito. Le sopracciglia le si aggrottarono appena, e le labbra si aprirono un poco. Quello che ne uscì fu un piccolo lamento.

-Ehi…- provò lui, impacciato e improvvisamente nel panico.

Cosa avrebbe fatto ora? Doveva darle di nuovo quella pozione dall’odore che straziava perfino le narici di un troll?

No.

Ma cos’altro poteva fare?

-Dove… dove sono?- gracchiò la ragazzina dai capelli di perla.

Sollevò lentamente la testa, gli enormi occhi argentati erano sbarrati e, per la prima volta, avevano abbandonato del tutto l’aria trasognante e ne avevano assunta una terrorizzata. Si guardò intorno con apprensione, poi riabbassò il capo, un po’ troppo violentemente, perché cozzò lievemente contro il pavimento.

-Attenta!- bisbigliò il ragazzo, muovendosi in avanti. Lei borbottò qualcosa e richiuse gli occhi, ma non sembrava aver preso una gran botta.

-Dove sono?- richiese, la voce un po’ più ferma.

-Sei a casa mia. Tu… tu sai chi sono?-.

Luna annuì, tranquilla. -Tu sei Draco Malfoy- rispose. Poi, risollevando le palpebre, continuò: -E sei un Mangiamorte-.

Rimase spiazzato.

Non che si aspettasse di essere passato inosservato, l’anno prima, ma un conto era essere scrutato con odio per i corridoi di scuola, un altro era una constatazione fatta in tutta pacatezza da parte di una sedicenne ferita e fatta prigioniera.

-Già- fece lui, con voce satura di rassegnazione.

-Ma non vorresti esserlo- aggiunse, a sorpresa.

Lui sgranò gli occhi e la fissò, sconvolto. -Come fai a dirlo?-.

-L’ho capito l’anno scorso. Ti vedevo… solo. Triste- disse lei con sincerità.

E Draco ne rimase colpito, quasi commosso.

Nessuno, nemmeno sua madre, si era mai accorto di quanto soffriva, e l’unica in grado di rendersene conto era stata una che poteva essere definita sconosciuta? Era assurdo. Ma possibile. Luna Lovegood era, senza ombra di dubbio, una grande osservatrice. Merito di quegli occhi, forse?

-Sì, hai ragione- si trovò a replicare. -Ero spaventato-.

La vide annuire con la coda dell’occhio. Non riusciva a guardarla; vedere qualcuno, una ragazza per giunta, in quello stato, era insopportabile.

-Potevi confidarti con un insegnante. O con il Preside-.

Draco sorrise amaramente.

Ci aveva pensato un sacco di volte; chiedere l’aiuto di un adulto informato su quanto stesse accadendo realmente nel mondo magico era la cosa migliore. Se solo lui non fosse stato costantemente spiato. Giorno e notte. Dal Signore Oscuro. Fin troppo abile in Occlumanzia e Legilimanzia, poteva praticarla anche a distanze enormi, e con una forza psichica impressionante.

E questo aveva contribuito ad isolarlo ancora di più; i rapporti con i suoi amici si erano deteriorati, lo stesso per quanto riguardava le sue amanti. E nemmeno prendere in giro il Trio delle Meraviglie lo allettava.

-Avrei voluto, credimi- sospirò mestamente.

La Lovegood annuì di nuovo.

-Se non l’hai fatto avevi i tuoi buoni motivi-.

Il ragazzo rimase nuovamente spiazzato. Era lui ad essere così facile da leggere, o lei era una straordinaria ed attenta lettrice?

-Quando ti hanno… presa?-.

-Oh, ieri sera. Ero appena scesa dal treno. Non ho nemmeno fatto in tempo a guardare l’orologio che…-.

-Ho capito- la interruppe lui bruscamente. Per qualche strana ed inesplicabile ragione, non gli andava di sentire tutto il racconto. Gli interessava solo sapere quando era successo. L’idea di conoscere la vicenda nei dettagli, il suo spavento, la sua disperazione, lo terrorizzava. Subito dopo aver troncato così aspramente la frase della ragazza però, si sentì in colpa. -Erano in due?-.

Luna si fece dapprima pensierosa, poi assunse un’aria triste. -Non lo so, credo di sì- mormorò. -Io sono stata torturata, ma avevo delle bende sugli occhi-.

-Ah- fu tutto ciò che uscì dalle labbra sottili del biondo.

-Ora che ne parliamo… non è che potresti togliermele?-.

E Draco si sentì morire. -C…come?-.

-Le bende- spiegò lei. -Potresti levarle? Se però ti hanno ordinato di lasciarmele, non importa. Non voglio che tu finisca nei guai per colpa mia-.

-Ma…- sussurrò lui, cercando di ignorare il consistente groppo in gola che gli faceva uscire una voce soffocata, -tu non hai nessuna benda sugli occhi-.

-Ah no?- fece lei, la voce appena angosciata. -Ne sei sicuro?-.

-Sì!- esclamò lui, orripilato.

-Oh-.

Passò qualche minuto in cui il ragazzo registrò la notizia. Poi, con le sopracciglia aggrottate, domandò: -Ma tu mi hai visto, hai riconosciuto me e Blaise non appena hai ripreso conoscenza, no?-.

Anche lei si crucciò. -È vero- constatò, disorientata. -Però adesso non ti vedo. Io non ci vedo-.

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-Come hai detto?- bisbigliò Bellatrix, il sorriso che moriva sulle labbra.

Fissava la sua elfa con occhi sbarrati.

Era incredula. Le opzioni possibili erano due: o la creatura aveva voglia di morire facendo uno scherzo di così brutto gusto, o la Greengrass aveva voglia di morire tornando in quella casa.

-Peach non sa perché è venuta qua, Signora- piagnucolò l’elfa, stringendo con forza il grembiulino tra le mani grinzose. Gli occhioni si riempirono di lacrime.

Rodolphus si alzò dalla sedia e con un ringhiò si avvicinò minacciosamente a Peach.

-Vattene, lasciaci in pace! Di’ a quella sgualdrina di andarsene!- sbraitò. Poi alzò un braccio, la mani aperta, pronta a schiantarsi sulla guancia dell’esserino mortificato, che ormai, rassegnato, aveva abbassato la testa.

-Rod, no!- esclamò lei, turbata.

Lui si fermò, voltandosi, incredulo, verso la moglie. -Qual è il problema?-.

-Non farle male- squittì lei, quasi a vergognarsi delle sue stesse parole.

-Eh?!- fece Rodolphus, sempre più spiazzato.

-Uhm…- mugugnò lei, soprappensiero. -Credo che sia a causa della gravidanza-.

Poi si fece avanti, fino a raggiungere Peach, che ormai tremava senza ritegno.

-Va tutto bene. Di’ alla signora Greengrass che arrivo subito-.

L’elfa guardò con meraviglia la sua padrona, gli occhi che minacciavano di cadere da un momento all’altro, tanto erano sgranati. Poi, come se temesse un cambio d’idea, si Smaterializzò in tutta fretta, lanciando un’ultima occhiata ammirata alla donna riccia e pallida.

-Hai intenzione di parlarci?- chiese Rod, in tono duro.

-Voglio solo vedere cosa vuole- tagliò corto lei, irritandosi per il comportamento del marito. Ma insomma! La stava trattando come se fosse una stupida. -Arrivo subito-.

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Anita Greengrass osservava un piccolo, minuscolo, ragno arrampicarsi sul fianco di un mobiletto posto in un angolo dell’ingresso di Lestrange Manor. Le avevano sempre fatto schifo i ragni, e tutti gli aracnidi in generale ma, nello stato di tensione in cui si trovava, affrontare una tarantola era certamente meglio che fronteggiare Bellatrix Black.

Quando la donna in questione comparve, avvolta da un morbido vestito candido (e ‘candido’ era una parola che di rado le era stata affiancata), la bionda si sentì ancora più nervosa.

Assurdo.

Erano state migliori amiche per molto tempo.

Anita andava molto spesso ad Azkaban mentre l’altra era rinchiusa; le portava i giornali, alcune riviste frivole e del cibo commestibile. Si curava molto più dell’amica che del marito.

Odiava suo marito. Così come odiava suo padre e sua madre, che l’avevano spinta prepotentemente tra le braccia di quel troglodita. Ecco cos’era Marcus Greengrass: un troglodita. Un troglodita violento.

Le lacrime si affacciarono di nuovo in quegli abbaglianti occhi smeraldini, ma la donna le represse, aspettando che Bellatrix parlasse.

-Come mai sei qui?-.

Dire che la bionda rimase basita, era un eufemismo. Si era aspettata di tutto: una raffica di maledizioni, una pioggia di insulti, addirittura era pronta ad un corpo a corpo. Certo non si sarebbe mai immaginata di vederla così… tranquilla.

-Io… lo so che… mi odi-.

Bellatrix rimase impassibile; non annuì né smentì le parole della donna.

Così quella continuò: -Ma… io voglio solo chiederti scusa. E non pretendo nessun tipo di perdono, non me lo merito. Ti ho fatto una cosa terribile- abbassò lo sguardo sul pavimento. Non riusciva a reggere quegli occhi neri carichi di… dispiacere. -Ma sappi solo che, se potessi tornare indietro, ucciderei Malfoy, piuttosto che accettare la sua offerta. Lo so che è troppo tardi e te l’ho detto: non voglio che tu mi perdoni. Odiami con tutta te stessa, torturami… uccidimi-.

La riccia ebbe un sussulto.

Anita risollevò il capo e, per la seconda volta, rimase senza parole.

Bellatrix stava piangendo. Silenziosamente e con la testa leggermente chinata. Ma le scie bagnate che le rigavano le guance e i piccoli singulti che la scuotevano, erano inconfondibilmente causati da un pianto.

-Bella…- mormorò l’altra, incerta.

-Aspetta…- giunse la voce ovattata della mora che, con un rapido gesto, si asciugò le scie delle lacrime che le striavano le gote. -Scusa-.

Lei ti ha chiesto scusa. Lei.

-Non… non devi scusarti- sussurrò la bionda.

-Devo parlarti- uscì di bocca ad entrambe; nello stesso momento, ma con due toni completamente diversi. Se Anita aveva parlato lasciando trasparire una certa infelicità, la voce di Bellatrix aveva tradito un pizzico di entusiasmo.

Entrambe, incredibilmente, sorrisero.

La mora si odiò.

Avrebbe dovuto insultare la donna che aveva davanti; torturarla, farsi beffe di lei, ucciderla. Ma non voleva. Perché? La gravidanza la stava cambiando così tanto? Perché non stava ghignando pensando a tutte le cattiverie che poteva infliggerle?

-Prima tu- bisbigliò Anita, interrompendo il tormento della padrona di casa.

-Cosa?-.

-Parla prima tu… se… se hai voglia-.

-Oh, uhm… no, inizia tu. Ti ascolto-.

Ha paura di te, Bella.

Bene.

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Diagon Alley era buia, umida e sporca. Sembrava essere diventata un tutt’uno con Notturn, e la cosa era sufficientemente allarmante.

I venditori ambulanti occupavano ogni angolo; la merce era esposta su stoffe lacere, scolorite ed inzuppate dalla neve che ricopriva tutto. Perfino quella sembrava sporca, lì. Non aveva il classico candore che tanto affascinava le persone; era un bianco talmente spento da non risaltare nel buio dei vicoli stretti e tortuosi.

In pochi passi, Draco Malfoy raggiunse Notturn Alley. Era tanto che non ci andava, più di un anno, ma tutto era rimasto esattamente come se lo ricordava; nulla era mutato.

L’incantesimo che aveva compiuto non era certamente stato semplice: una lunga e complicata formula in sanscrito, accompagnata da polvere di Ametista e un capello che apparteneva a uno dei due Ghermidori. Lo aveva trovato sul golf di Luna.

A ripensarci non aveva ancora capito perché lo stava facendo. Dopotutto era una prigioniera. E se, aiutandola, le cose fossero peggiorate e la guerra fosse durata di più?

Non essere ridicolo. Permetterle di vedere non cambierà nulla.

Sì, ma perché lo faccio?

Un movimento in fondo alla stradina lo convinse a rimandare a più tardi i suoi pensieri contorti.

-Vieni fuori- intimò.

Se l’incantesimo aveva funzionato, e quello che aveva trovato era uno dei due idioti piombati a casa sua, poteva provare a convincere sua mamma che non era il caso di continuare a studiare. Forse avrebbe potuto fondare lui stesso una scuola di magia. L’avrebbe chiamata…

Non è il momento, Draco.

Dopo numerose ricerche nella biblioteca del Manor, curiosando tra i volumi più antichi e dall’aria atroce, era riuscito a scovare una formula che permettesse di ritrovare persone anche se non ne conoscevi nome, età e residenza.

Dall’ombra giunse un lamento e un’imprecazione oscena.

-Esci di lì, idiota- mormorò Draco, alzando gli occhi al cielo.

Venne aventi un omino basso e grassoccio, i capelli biodo sporco appiccicati alla fronte; gli occhietti piccoli e di un azzurro scolorito, si guardavano intorno furtivamente.

-Chi sei?- domandò il ragazzo, osservandolo.

-Che fantasia- grugnì l’uomo. -Mi venite a svegliare e mi chiedete anche chi sono!- sbadigliò.

-Ti ho chiesto- ringhiò l’altro puntandogli la bacchetta addosso, -chi diavolo sei-.

-Sono un Ghermidore, mi chiamo Cneus- snocciolò immediatamente quello, pallido.

-Eri a casa mia oggi- fece il biondo.

-Chi siete?-.

-Draco Malfoy-.

-Sì, ero a casa vostra- ghignò.

Lo Schiantesimo partì prima che il biondo potesse impedirsi di farlo, e il Ghermidore volò indietro, andando a cozzare contro il muro di mattoni.

Complimenti, Draco. Dovresti interrogarlo, non ammazzarlo.

-Innerva- mormorò, accovacciandosi accanto al corpo molliccio.

-Ma che cavolo…!- sibilò l’omino, alzandosi a sedere. -Perché lo avete fatto?- borbottò.

-Non ho tempo da perdere- sospirò il giovane. -Che cosa avete fatto a Luna Lovegood? Perché non ci vede più?-.

-Oh… signore…-.

-Che cosa le avete fatto?- abbaiò. Abbandonando i suoi propositi di non toccare quell’uomo nemmeno con la bacchetta, lo afferrò per il colletto sudicio della camicia che un tempo doveva essere stata blu. -Dimmelo!-.

-P…Polvere Buiopesto Peruviana… con una modifica di Sinister. Gliela abbiamo gettata in faccia, ma un po’ è finita negli occhi-.

Per un attimo la vista gli si colorò di rosso. -Che cosa le avete… fatto?- sputò tra i denti, l’ira che lo invadeva lentamente ed inesorabilmente.

E in quell’attimo Draco comprese sua zia Bellatrix. Era certo di avere il suo stesso sguardo folle e spietato, in quel momento.

-Crucio-.

Torturare la gente non era esattamente tra i passatempi preferiti dell’erede dei Malfoy, ma il modo in cui quella feccia aveva ghignato, ricordando con soddisfazione il perché della sua visita al Manor, gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene. Come si poteva essere orgogliosi di aver fatto del male ad una ragazza? Nemmeno un mostro.

Interruppe la maledizione, e le urla strazianti del mago si arrestarono all’istante.

-Perché?- piagnucolò questi, alzandosi in piedi a fatica. -Cos’ho fatto? Ho rotto qualcosa?-.

Il biondo scosse appena il capo, poi osservò il giaciglio del Ghermidore: c’erano bottiglie di Idromele vuote e rese opache dalla sporcizia; il grumo di stracci che formava il letto, era pieno di cartacce e resti di cibo. Si costrinse a distogliere lo sguardo per non dare di stomaco.

-Come si fa a farle tornare la vista?-.

Cneus tossì e guardò il suo assalitore con astio mal celato.

-Insomma, noi facciamo i lavori per bene, però a voi non ci vanno mai a genio…- disse con tono lamentoso. -Non lo so come si fa- aggiunse timoroso, guardando la bacchetta di Draco sollevarsi minacciosamente. -Dovreste andare da Sinister, forse lui lo sa-.

Malfoy non riuscì a trattenersi. Lo Schiantò di nuovo, poi girò sui tacchi, deciso a raggiungere il negozio di quel vecchio pazzo untuoso.

-Grazie, Cneus- mormorò, imboccando il vialetto dal quale era venuto.

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Per Bellatrix, la conversazione con Anita non avrebbe potuto essere più illuminante di così.

Naturalmente non l’aveva perdonata; era passato troppo poco tempo, e il torto subito bruciava come il sale su una ferita aperta.

Ma adesso, se non altro, capiva perché la sua ex-amica aveva agito così.

La bionda aveva appena finito di raccontare ciò che aveva dovuto sopportare per anni, e che ancora andava avanti.

Bella aveva sempre saputo che Marcus era un uomo violento, ma non fino a quel punto. Non appena lui ed Anita si erano fidanzati (logicamente sotto insistenza dei rispettivi genitori), lui l’aveva obbligata ad unirsi al Signore Oscuro.

L’aveva costretta a sposarlo. E ad avere un figlio.

Non era mancata l’ira dell’uomo quando scoprì di aver atteso nove mesi per una femmina. Ira che si era puntualmente riversata sulla moglie. Fu lo stesso per la nascita di Astoria.

Anni e anni di violenze gratuite che la donna aveva sopportato.

Ora episodi di questo genere si erano fatti molto più rari: un po’ perché Marcus era totalmente assorbito dalla guerra, un po’ perché preferiva passare le sue giornate fuori casa, in compagnia di qualche donna più giovane, amici Mangiamorte e fiumi di alcol.

Ad Anita questo andava bene, perché ormai era diventata invisibile per lui. Il problema ora consisteva nelle sue due figlie. Suo marito voleva affidarle ai figli dei suoi amici: ragazzi di quasi trent’anni, tutt’altro che affidabili, e con un’innata passione per i superalcolici.

Ecco perché aveva scelto Draco Malfoy: il suo cervello era più efficiente di quello di suo marito e dei suoi amici messi insieme. E poi, date le abbondanti finanze a disposizione del giovane, difficilmente Marcus si sarebbe opposto.

Non voleva essere perdonata, ma capita.

La ragione era che senza Bellatrix, si sentiva perduta. Sola, in una guerra dove perfino suo marito era contro di lei, a dover difendere le sue figlie.

-Ho capito- sussurrò la riccia, turbata dalla confessione dell’altra, che si limitò ad annuire e ad alzarsi.

-Grazie infinite del tempo che mi hai dedicato, nonostante non me lo meritassi minimamente. Ora tolgo il disturbo-.

-Aspetta!- esclamò Bella, drizzandosi a sua volta. -Te ne vai?-.

-Be’, sì. Ti ho già rubato abbastanza tempo-.

-Ma…-.

-Grazie ancora di avermi ascoltata-.

-Anita…- bofonchiò la mora, confusa da tutta quella fretta. -Aspetta…- ripeté.

-Devo andare!- sibilò l’altra con urgenza. -Sta per arrivare!-.

-Chi?-.

Lo sguardo ferito della donna fu una risposta più che soddisfacente per la padrona di casa, che si afflosciò sulla poltrona. -D’accordo, va’ pure-.

Non guardò Anita mentre si allacciava il mantello invernale, e nemmeno quando entrò nel camino. Fissava il muro dinnanzi a sé, senza in realtà vederlo.

Le fiamme smeraldine illuminarono la stanza per qualche istante.

E quel "Ti voglio bene" sussurrato dalla bionda un secondo prima di scomparire, sembrò rimbalzare da una parte all’altra del locale, impregnando le tende e la stoffa delle poltrone.

Irritata, Bellatrix si alzò rapidamente e lasciò quel luogo saturo di segreti e dolore.  

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Capitolo 11
*** Gravidanza ***


Ma salve signore e signori (per la serie "non montiamoci la testa"), come state?

Io tutto bene, qui servivano proprio le vacanze, o rischiavo di impazzire.

Questo è il capitolo di svolta. Dopo questo capitolo… niente sarà più come prima! È un po’ lungo, lo so, chiedo scusa, ma non potevo fare altrimenti.

Non ho molto altro da dire, se non che siete davvero tutto straordinarie e che ogni volta che leggo una vostra recensione…be’, mi sbrilluccicano gli occhi :)

Ringrazio le nuove lettrici che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate (anche i questi casi mi sbrilluccicano gli occhi) :)

Bene, ho finito le chiacchere e i ringraziamenti.

Spero che il capitolo vi piaccia e che la storia continui ad essere di vostro gradimento. Se avete qualche domanda, critica o altro, io sono qui!

Davvero grazie ancora, di tutto.

Marta.

P.s.: Mi scuso per eventuali errori, ma non ho avuto tempo per correggerla! Perdonatemi!

 

 

 

 

GRAVIDANZA

 

 

Il negozio era esattamente come se lo ricordava.

Le mensole e gli scaffali erano talmente carichi di qualsiasi sorta di cianfrusaglia, che parevano poter staccarsi dal muro e cadere sul pavimento.

Le vetrine erano incrostate di sporcizia, che restituiva un’immagine distorta e grottesca di quella che era la strada di fuori.

La polvere aveva la meglio su qualsiasi cosa; persino il proprietario ne sembrava ricoperto, rannicchiato com’era su quella seggiola sgangherata.

Sinister era un uomo strano; magro da far paura, e con occhi nerissimi che sapevano scrutarti e metterti a disagio.

Draco rabbrividì; non perché avesse terrore di quel luogo, semplicemente per il fatto che lì dentro il freddo e l’umidità raggiungevano valori assurdi. Non si sarebbe sorpreso se avesse scoperto che l’uomo era morto assiderato.

Si schiarì la voce, sperando che il mago lo notasse.

Così fu.

Non appena Sinister alzò lo sguardo dal pavimento, incontrò gli occhi freddi e argentei del ragazzo e scattò in piedi.

-Signor Malfoy- sussurrò, inclinando appena il capo, in una patetica imitazione di inchino.

-Salve- lo salutò il ragazzo, gelido.

-Posso esserle utile?- mormorò l’altro speranzoso.

-Per tua fortuna, sì- rispose Draco con sufficienza. -Mi serve un antidoto-.

-Oooh- esclamò l’uomo, illuminandosi. -Ma certo, ma certo- bisbigliò, strofinandosi le mani giallastre. -Mi segua, mi segua, Signor Malfoy-.

Il biondo, lievemente schifato, andò dietro al proprietario del negozio, che lo portò in una minuscola stanzetta sul retro che puzzava di muffa e alcol.

-Che genere di antidoto stava cercando?- domandò lezioso.

-Una mia…- il ragazzo si interruppe, -…conoscente…ha avuto un problema. Polvere Buio Pesto Peruviana, modificata da lei- sibilò ostile, -negli occhi. Non ci vede più-.

-Capisco…- rimuginò Sinister. Poi si voltò verso gli scaffali traballanti che aveva alle spalle e cominciò a rovistare fra scatole piccole e grandi.

Lanciò un urlo quando una mano rugosa gli imprigionò a sorpresa un polso.

Il biondo non si scompose né intervenne in alcun modo. Il mago allora si liberò dalla presa ferrea dell’arto e tornò a cercare.

Il piede di Draco che batteva impazientemente sul pavimento scandiva il tempo.

Dopo alcuni minuti, Sinister riemerse da quel caos di scatoloni e si voltò trionfante verso il suo cliente.

-Eccolo qui!- annunciò soddisfatto, sventolando una fialetta dal liquido verdastro.

-Sei sicuro che funzioni?- chiese l’altro, scettico.

-Certo!- borbottò il vecchio, risentito.

-Ho una domanda-.

-Dica, signor Malfoy-.

-Perché la… persona che ha ricevuto quella polvere negli occhi… per un attimo ci ha visto e adesso non più?-.

-Oh, be’… dipende se la polvere si è spostata all’interno dell’occhio oppure no- spiegò svogliatamente il mago. -Ma questa pozione scioglie la polvere. La persona deve bere tutta la fiala. Nel giro di una notte circa, la vista tornerà limpida-.

-Bene, lo prendo- concluse il giovane. -Quant’è?-.

-Oh, be’ vede, quest’articolo è molto raro… difficilissimo da preparare…-.

-Quanto costa?- ringhiò Draco.

-Però lei è un ottimo cliente- si affrettò ad aggiungere, mellifluo. -Potrei venderglielo per sessantadue galeoni-.

La faccia del Serpeverde si fece schifata; infilò una mano sotto il mantello e ne estrasse due piccoli sacchetti di juta grezza che tintinnavano.

-Tieni qui, viscido ladro- latrò lanciandoli in terra, ai piedi dell’uomo.

Si voltò e fece per raggiungere la porticina che gli avrebbe permesso di ritornare nel negozio e di uscire da quell’angusto locale, ma il mago lo implorò di fermarsi.

-Che c’è?- abbaiò il biondo.

-Signor Malfoy… se non sono troppo indiscreto… quell’antidoto vi serve per una ragazza… diciamo, indesiderata?-.

-Sei troppo indiscreto!- sbraitò l’altro uscendo dalla stanzetta.

-Mi scusi!- pregò il proprietario della bottega; Draco non lo sentì mentre usciva, furioso, da quel tugurio.

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Quella mattina, Bellatrix Lestrange si era svegliata di pessimo umore; la prima cosa che la infastidì fu una fortissima nausea, che la spinse prepotentemente verso il bagno. La seconda cosa fu il gelo sottile che sembrava penetrare da qualsiasi spiraglio: puntualmente sentiva, a fasi alterne, le gambe fredde, o freddo alle mani. Infine, il colpo di grazia fu dato dal Marchio Nero, che bruciava intensamente sul suo avambraccio.

La conversazione con Anita l’aveva tenuta sveglia gran parte della notte; sapere che la sua migliore amica di un tempo aveva dovuto sopportare i soprusi di un pazzo, non era esattamente un toccasana per il sonno. Si era arrabbiata parecchio nel ripensare a quel dialogo.

Insomma, Anita non era proprio un agnellino indifeso, altrimenti il Signore Oscuro non l’avrebbe mai tenuta nella sua cerchia; eppure non si era mai ribellata alle angherie del marito. Non aveva mai cercato di fare nulla, se non difendere le sue figlie e cercare di dare un’aria di normalità ad una famiglia che di normale non aveva proprio niente.

Mentre confessava quei tristi fatti alla riccia, la signora Greengrass non era riuscita a dissimulare un tremito nella voce che spesso si incrinava.

La riccia si alzò dalla poltrona dove si era seduta e sospirò; l’Oscuro desiderava vederla immediatamente.

Chiamò Peach e le ordinò di riferire al marito, che ancora dormiva, dov’era andata e che non sarebbe tornata prima di mezzogiorno.

Uscendo dal salotto, incappò nel lungo specchio appeso alla parete. Si fermò e si guardò con attenzione il ventre.

Sembrava normale. Presa da un’improvvisa audacia, sollevò la veste viola scuro fin sotto al seno, rimanendo solo con la sottoveste a ricoprirle le lunghe gambe pallide. Con un profondo sospiro, alzò anche quella.

La pancia sembrava davvero immutata. Con mano tremante la sfiorò leggermente, tracciandone il profilo.

Ecco.

Qui sporgeva di più del solito.

Sì, ne era certa.

Oh mio Dio.

Calde lacrime si impossessarono degli occhi della donna, sopraffatta dalla gioia. Da quanto non si sentiva così?

Una voce dentro di lei, noiosamente razionale, le suggeriva di essere assolutamente certa di essere effettivamente incinta, prima di esultare. Ma Bellatrix lo sapeva, lo sentiva. La nausea mattutina, i cambiamenti d’umore molto più frequenti del solito. Per non parlare del fatto che aveva versato più lacrime in quei giorni che in tutto il resto della sua infelice vita. E adesso la pancia un pochino rigonfia. A che mese poteva essere?

Oh, non vedo l’ora di dirlo a Rod!

Una fitta all’avambraccio più violenta delle precedenti la fece sobbalzare, e le vesti tornarono a coprire il suo corpo.

Lanciò un’ultima occhiata felice alla sua immagine riflessa e si Smaterializzò con un rumore simile allo schiocco di una frusta.

Non appena si fu Materializzata a Malfoy Manor, dovette fare violenza su sé stessa per non dare di stomaco di fronte al suo signore e sua sorella. Deglutì a fatica e sollevò piano la testa, cercando di mascherare la sensazione di malessere.

Come mosse un passo però, la nausea tornò ad essere feroce; cercò allora di inspirare ed espirare profondamente, cercando di calmarla.

-Ma allora è vero- sibilò Lord Voldemort, osservando con fare disgustato quella che era sempre stata la sua seguace più fedele e crudele.

Narcissa, al suo fianco ma qualche passo più indietro, gemette.

-Stai zitta, stupida oca!- intimò lui, voltandosi appena verso la donna che indietreggiò. -Con te farò i conti dopo-.

Bellatrix osservò la scena ormai agonizzante, non capendo le parole del mago. Avrebbe tanto voluto chiedere spiegazioni, ma era sicura che se avesse aperto bocca, avrebbe vomitato.

Così si limitò ad osservare i due. Poi un conato la scosse con forza.

-Vi prego Signore, lasciatemi intervenire! Sta male!- piagnucolò la padrona di casa guardandolo con occhi di supplica.

Voldemort si grattò il mento, mentre la riccia davanti a lui annaspava alla ricerca disperata di ossigeno per non rigettare.

-D’accordo, intervieni. Mi disgusta vederla così- mormorò lui, gelido.

-Grazie!- bisbigliò Narcissa, correndo dalla sorella e sorreggendola. Insieme sparirono dietro ad una porta di ciliegio.

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-Come ti senti?-.

Luna trasalì e si voltò verso l’ingresso della cella.

-Scusa, non volevo spaventarti- disse Draco accovacciandosi al suo fianco.

La ragazza tornò a fissare il pavimento. -Tranquillo- sussurrò.

-Allora? Come ti senti?- ritentò lui.

-Come ieri. Ma questa sera arriva il Medimago, no?- mormorò speranzosa, lo sguardo ostinatamente puntato a terra.

-Sì- disse il ragazzo abbozzando un sorriso. -Stasera arriva-.

-Bene- sospirò la giovane, alzando finalmente gli occhi e osservando il volto del giovane. -Le gambe mi fanno male. Però con la pozione di tua madre, un po’ di dolore è scomparso-.

Draco annuì, la bocca troppo secca per parlare.

Si perse ad osservare le mille tonalità di grigio presenti negli occhi della ragazza; le iridi erano così luminose che assomigliavano a due Lune brillanti.

Lei avvertì lo sguardo del giovane su di sé ed arrossì.

-Io…- si riprese allora lui, tossicchiando, -io ti ho portato una cosa- annunciò, rovistando nella tasca della giacca nera.

Luna assunse un’espressione confusa e sorpresa insieme. -Che cos’è?-.

-Una pozione- rispose lui, la voce traboccante di trionfo. -La pozione che ti permetterà di vedere di nuovo-.

La ragazza trattenne il respiro. -Dici sul serio?- farfugliò.

-Sì!- esclamò lui con enfasi. -Ecco- fece, tendendo la fiala davanti a sé. -Prendi-.

La giovane si rabbuiò. -D…dov’è?-.

-Oh…-.

Draco prese delicatamente una della mani dalla carnagione pallida quasi quanto la sua, e vi appoggiò dentro la boccetta. Le dita vi si strinsero intorno.

-Aspetta, tolgo il tappo- sussurrò lui, stappandola.

Luna avvicinò la fialetta alle labbra; il liquido verde scivolò nella bocca e poi nella gola della giovane, che si lasciò andare ad una smorfia schifata.

-Cattiva?- domandò il biondo sorridendo appena.

-Terribile-.

Entrambi rimasero in silenzio per un po’.

-Be’, sarà meglio che vada. La pozione farà effetto durante la notte. Domattina ci vedrai proprio come prima-.

Si rialzò da terra e raggiunse la porta del sotterraneo; stava per aprirla quando una voce lo convinse a fermarsi.

-Draco… grazie-.

E, per la prima volta in tutta la sua vita, Draco Malfoy scollegò totalmente il cervello dal resto del corpo; non si curò minimamente delle conseguenze del gesto che stava per compiere. Rilasciò la maniglia fredda della porta e percorse a grandi falcate i metri che lo separavano dalla ragazza. Non appena le fu di fronte si abbassò e fece passare un braccio sotto le gambe infortunate, mentre l’altro le cingeva la schiena. La sollevò senza sforzo, finché i loro visi non furono alla stessa altezza.

Si perse ad osservarla, mentre lei taceva, il respiro accelerato.

Avvicinò cautamente le proprie labbra alle sue, pronto a ritrarsi se solo lei avesse posto la minima resistenza.

Ma ciò non avvenne, e le bocche si incontrarono con un tonfo udibile solo ai cuori dei due; si toccarono una, due, tre, quattro volte, in carezze soffici e dolci.

E, quando le lingue si trovarono, fu la fine.

Si rincorsero in una danza senza fine, dettata dall’urgenza, dalla paura e dal sollievo di non essere sole in un mondo in piena guerra.

Quando Draco si allontanò Luna era arrossita più di prima, ma sul suo viso non c’era traccia di pentimento o disgusto; sul volto aleggiava invece un’aria imbarazzata e beata insieme.

Il Serpeverde la rimise in terra, non prima di aver fatto comparire un morbido materasso che l’accolse in un tenero abbraccio.

-Dormi- le sussurrò all’orecchio, mentre lei abbassava le palpebre su quelle meravigliose perle luminose. -Domani vedrai la luce del Sole-.

Una lacrima sfuggì dalle ciglia della Corvonero; tracciò un breve percorso sulla guancia, per poi perdersi nei capelli biondissimi.

-Buonanotte, Luna-.

Lei sorrise, gli occhi sempre chiusi. -Buonanotte, Draco-.

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-Ti senti meglio, Bella?-.

Narcissa era in preda all’ansia. In primis perché, dall’altra parte della parete c’era il Signore Oscuro terribilmente irritato con lei; e poi, perché sua sorella aveva appena vomitato l’anima nel gabinetto.

-Sì- tossì l’altra, risciacquandosi la bocca nel lavandino. -Grazie dell’assistenza, Cissy-.

-Ma ti pare-.

Bellatrix si asciugò il viso con una asciugamano in spugna e sospirò. -Andiamo di la-.

Uscirono silenziosamente dal bagno e immediatamente si scontrarono con lo sguardo di Lord Voldemort.

-Ci avete messo tanto-.

Entrambe tacquero. Una sola parola sbagliata poteva mettere fine alle loro vite.

-Narcissa, porta del thé. Sempre che alla nostra futura madre- e pronunciò la parola con evidente ribrezzo, -non rechi un nuovo malessere. È così, Bella? Il thé ti farà rigettare di nuovo?- chiese, con cattiveria.

-No, mio Signore- mormorò quella, chinando il capo.

-Bene- annuì lui, risoluto. -Porta del thé, Narcissa- ripeté.

La padrona di casa si affrettò a raggiungere la doppia porta del salotto; lanciò un’ultima occhiata ansiosa alla sorella, poi la lasciò sola con il mago.

-Siediti, Bella- sussurrò lui carezzevole, non appena la porta si chiuse.

Lei raggiunse in fretta una poltrona e si accomodò nervosamente.

-Come stai ora?- domandò lui, per niente interessato alla salute della donna.

-Meglio, grazie, mio Signore-.

-Bene. Allora potrai compiere una missione per me-.

-Certamente- rispose pronta lei, alzando lo sguardo per un istante.

-Molto bene- ghignò Voldemort. -Sai…- bisbigliò, quasi con dolcezza, accarezzando la bacchetta che teneva tra le mani. -Riesco a sentirla… quella cosa che hai nel ventre… la sento. Sento più vita provenire da te. È… forte- disse, con una scrollata di spalle. -Be’- continuò poi, -se non altro sarà un erede pulito. Un Purosangue. E sarà, senza ombra di dubbio, forte e spietato. Proprio come i suoi genitori-.

Bellatrix ascoltava rapita.

-Non posso dire di non esserne contento, Bella, non fraintendere. Sono solo… deluso. E confuso. Credevo che mi amassi abbastanza da dirmelo immediatamente. E invece ho dovuto usare l’Occlumanzia su tua sorella, che come una stupida ha cercato di nascondermi la verità. Come se temesse che potrei fare qualcosa di male al tuo bambino-.

L’uomo si portò esattamente di fronte alla strega.

-Io non ho nulla in contrario a che tu diventi madre, Bella. Avrei solo voluto saperlo da te- terminò, osservandola. -Lo capisci?-.

-Sì, mio Signore. E mi dispiace di non avervelo detto prima ma… ero spaventata. E soprattutto non ne ero certa-.

-Posso comprendere le tue ansie, mia cara Bellatrix. Ma non il tuo spavento. Perché ti sei spaventata?-.

-Be’… è la prima volta che mi capita e… non sapevo cosa fare, a chi parlarne… ci ho messo molto a maturare l’idea…-.

Voldemort annuì interessato. -Capisco-.

Narcissa entrò nella stanza recando tra le mani un pesante ed elaborato vassoio in argento; sopra di esso erano state sistemate tre tazze di porcellana finissima, - certamente il servizio più prezioso che aveva - una teiera e una zuccheriera.

Appoggiò il tutto sul tavolino in cristallo e fece un passo indietro, le mani che si tormentavano a vicenda.

-Grazie, Cissy-.

-Prego-.

-Siediti anche tu. Accomodiamoci tutti-.

Entrambi sedettero, e la bionda servì il thé ai suoi ospiti.

-Ho un debole per il tuo thé, Narcissa- mormorò il mago, sorseggiando la bevanda calda.

-Vi ringrazio-.

-Tornando a noi- esordì Voldemort fissando Bellatrix, -come ti stavo dicendo, il fatto che tu stia aspettando un bambino non mi turba. Ciò che mi preoccupa non è il bambino, ma tu-.

-Mio signore…?- farfugliò lei, sicura di non aver capito bene.

-Vedi… un bambino, da che mondo è mondo, non è una minaccia. Nemmeno il nostro caro Harry Potter era una minaccia. La vera minaccia, sono le madri. E quella sudicia Sanguesporco di Lily Evans ne è la prova. È per colpa sua se io, anzi, se noi, stiamo ancora lottando per il potere-.

-Ma… io non interferirei mai nei vostri piani, né tenterei di ostacolarvi…-.

-Non hai compreso, Bella- sussurrò lui serafico. -Io non ho alcun dubbio circa la tua fedeltà e la tua sete di potere. Ma una gravidanza può portare a galla i sentimenti più nascosti in una persona. E questo potrebbe succedere anche a te. Dopotutto sei umana, non posso pretendere che ciò non accada. Spero solo che questo bambino non ti… indebolisca, ecco-.

Bellatrix per poco non si strozzò con il thé.

Dopo aver tossito parecchie volte, riuscì a ritrovare la voce e l’ossigeno necessari per parlare.

-Io non sono debole. Una gravidanza non permetterà alla mia persona di cambiare- rispose decisa.

Il mago la scrutò per qualche istante. -Hai parlato da stupida-.

Per evitare di soffocarsi nuovamente, la donna questa volta posò la tazza sul piattino e tacque, offesa.

-Ma tu non sei stupida. È solo il tuo sublime orgoglio che ti spinge a parlare così. Ma non essere superba. Tu sei già più debole. L’ho notato dal modo in cui ti siedi, da come bevi quel thé, perfino da come respiri. Non ti sto chiedendo di tornare ad essere spietata verso tutto e tutti come poco tempo fa; semplicemente, attenta a non diventare una strega frivola che non si aspetta crudeli battaglie e che viene colta di sorpresa dalla morte- terminò gelido.

-Mi state consigliando di guardarmi le spalle, in poche parole?-.

-Ti sto consigliando di tenere i piedi per terra-.

Voldemort finì in un sorso quel che rimaneva del suo thé e si alzò.

-Narcissa, per questa volta non prenderò provvedimenti. Ma se cercherai di mentirmi di nuovo… be’, in tal caso ti suggerisco di lasciare il Paese. Insieme alla tua famiglia-.

La bionda deglutì a fatica e annuì, tremante.

Mentre l’uomo si allontanava, diretto alla porta, Bellatrix si voltò a guardarlo.

-Mio Signore!- lo chiamò.

-Dimmi tutto, Bella-.

-Per quanto riguarda la missione che volevate affidarmi?-.

-La tua unica missione è far crescere quel bambino- disse quello, uscendo.

Le due streghe rimasero fissare la doppia porta chiusa, attonite.

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-Draco! Draco!-.

L’erede dei Malfoy si svegliò di soprassalto, e un terribile dolore lancinante prese a perforargli il collo. Agonizzante, portò una mano a massaggiarsi febbrilmente la nuca.

-Draco!-.

Ancora mezzo intontito dal sonno, con gli occhi ermeticamente chiusi, voltò appena la testa, come per scacciare una mosca fastidiosa.

-Draco Malfoy!-.

Quella voce…

Il ragazzo spalancò gli occhi.

-Luna?- mormorò, alzandosi dal pavimento di pietra.

Oh. Ma bravo.

Si era addormentato nella cella della ragazza, la sera prima. Si era imbambolato a guardarla dormire come un vero, patetico, imbecille. E la posizione assurda nella quale era crollato, gli aveva procurato uno straziante torcicollo.

-Draco… ti senti bene?-.

Ora la voce era venata di preoccupazione, e il biondo si decise a voltare il capo verso l’origine di quel piacevole suono.

Piacevole suono.

Dico, ma ti sei bevuto il cervello? Sei arrivato ad odiare la tua stessa madre perché una volta ti ha rivolto la parola quando ti eri appena svegliato!

Luna era in piedi che lo fissava, con i grandi occhi grigie spalancati e di nuovo sognanti.

In piedi?

-Luna… le tue gambe…- provò a dire lui, la voce impastata dal sonno.

-Oh, il Medimago è arrivato ieri sera. Erano le nove credo… o forse un po’ più tardi-.

-Ieri sera? Ma adesso…-.

-È mattina, sì-.

-E il Medimago mi ha visto?- domandò immediatamente Draco, allarmato.

Un conto era baciarla e cullarla da solo. Un altro era essere visti da un amico di famiglia, addormentato contro una parete della cella di una prigioniera. Non che si fosse pentito da aver baciato quella piccola donna; lo avrebbe volentieri rifatto. Ma non sapeva cos’avrebbe detto Voldemort se avesse saputo che un suo "seguace" si interessava ad una nemica.

-No, eri in ombra. Non si è nemmeno accorto della tua presenza. E nemmeno tuo padre-.

-Mio padre è stato qui?-.

-Sì- mormorò tristemente Luna.

-Ti ha fatto del male?- ringhiò lui immediatamente, osservando l’espressione mesta della giovane.

-Oh no. Ma ieri sera è arrivato un altro ospite- sussurrò lei, indicando col capo un ammasso di stracci logori che prima Draco non aveva notato. Tra le pieghe dei vestiti sporchi, il ragazzo riconobbe il volto familiare di un vecchio.

-Ma è Olivander- disse, atono.

La strega si limitò ad annuire piano.

-Cosa diavolo vuole da lui? E da te? Cosa vuole?- tuonò ferocemente, tirando un pugno al muro umido.

-Calmati, ti prego!- esclamò Luna, turbata.

Il giovane poggiò la fronte contro la pietra ed inspirò profondamente.

-Scusa-.

-Non è niente-.

Non appena si fu calmato, tornò a guardare la Corvonero.

Si accorse solo in quel momento che lei aveva visto tutto. Il Medimago, suo padre, Olivander. E adesso, lui.

-I tuoi occhi…- sussurrò meravigliato.

La ragazza annuì, felice.

-La pozione ha fatto effetto molto velocemente- gongolò. -Ci vedo proprio come prima. Sono così contenta!-.

-Ma è fantastico!- esclamò il Serpeverde, sinceramente sollevato.

Rimase di sasso quando Luna si tuffò sulle sue labbra.

E di nuovo quelle bocche si unirono, lasciando che le lingue giocassero tra loro, rincorrendosi, danzando e conoscendosi. Si staccarono quando furono entrambi senza fiato.

-Devo andare- ansimò Draco, depositandole un bacio sulla fronte.

-D’accordo- sorrise lei.

-Verrò a trovarti questa sera- bisbigliò lui, ormai sul ciglio della porta in ferro.

-Okay- rispose semplicemente la ragazza.

-A dopo-.

-A dopo-.

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21 dicembre

Cara Anita,

mi dispiace di non essere riuscita a dirtelo di persona, ma la nostra conversazione a proposito dei tuoi problemi mi ha completamente fatto dimenticare ciò di cui dovevo parlarti.

Spero solo che un po’ le cose siano migliorate con Marcus, anche se ne dubito fortemente.

Mi auguro che quello che sto per svelarti possa in qualche modo allietarti, anche se non ho la presunzione di cancellare le tue sofferenze con una semplice notizia.

Ma bando alle ciance; durante la nostra "separazione", ho scoperto di essere incinta!

Io e Rod siamo così felici! E anche Cissy ne è entusiasta. Se solo Andromeda fosse qui…

Comunque. Ieri, mentre ero a casa di mia sorella, è arrivato un Medimago, amico di Malfoy senior. Allora Narcissa gli ha chiesto la cortesia di visitarmi e… sono al terzo mese! Rodolphus è fuori di sé dalla gioia, non l’ho davvero mai visto così. E io che avevo paura di dirgli che aspettiamo un bambino per timore di una reazione negativa!

Mi ha fatto piacere parlare con te, l’altro giorno.

Spero di riuscire a perdonarti, un giorno.

Saluti,

Bellatrix.

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4 gennaio

Ciao Blaise.

Qui è tutto una gran merda.

Sì, c’entra Luna. Oggi pomeriggio se ne è andata. Giusto l’altro giorno stavamo parlando della nostra "relazione" se così può essere definita; lei è stata molto più razionale ed obiettiva di me (d’altronde sai che l’obiettività non è di certo un mio punto di forza). Ha detto che non sarebbe durata, che era impossibile. Ma soprattutto ha detto una cosa un po’… triste. Che tra di noi non è amore. Ha detto che ci siamo baciati tutte quelle volte (ho perso il conto), per un semplice bisogno di sicurezza e affetto, che durante la guerra sono venuti a mancare.

Ha aggiunto che molto probabilmente qualcuno sarebbe venuto a salvarla. E così è stato. Oggi San Potter (che Merlino lo aiuti a sconfiggere quel pazzo di Tu-Sai-Chi), è arrivato al Maniero con Lenticchia e Granger al seguito. E… Morgana, mia zia è impazzita. Non so se è a causa della gravidanza (oh sì, hai capito bene, Bellatrix Lestrange è incinta), ma ha avuto uno sbalzo di umore assurdo solo perché crede che il Trio dei Miracoli sia entrato nella sua camera blindata alla Gringott. Ho sentito mia madre parlare con mio padre prima; gli ha detto che quella furia era causa di una conversazione con Tu-Sai-Chi. Pare che lui le abbia detto che è debole. E lei ha reagito così. Ha torturato la Granger. L’ha torturata di brutto. Ha usato il Cruciatus, poi le ha addirittura inciso su un braccio "Mezzosangue". Non credo che riuscirò più a chiamarla così. Se mai la rivedrò. Se mai rivedrò Potter, Weasley. Potrei non vedere più nemmeno te, o Theo. O Pansy e Daphne. Il mio ritorno ad Hogwarts non è così certo; pare che il Signore Oscuro voglia far pagare ai miei il fatto di essersi lasciati scappare Luna, Olivander, quel folletto e il Trio. E adesso sono solo, Blaise. Fottutamente e miseramente solo. Non fraintendermi, so che tu sei mio amico, così come Theo e tutti gli altri… ma davvero nel mio futuro non c’è proprio niente di certo.

Troppe seghe mentali amico, vero? Sarà meglio che la smetta.

Ci sentiamo. Ci vediamo. Spero.

Draco.

P.s.: Credi che mancherò a Luna almeno un po’?

 

 

                                                                                                      *

 

 

NdA: Aggiungo questa nota per dirvi una cosa futile, ma poco importa. Ci tenevo a dirvelo. La lettera di Draco a Blaise si è sviluppata sulle note di "California" dei Phantom Planet.

Non chiedetemi perché, però.

Alt, aspettate prima di andarvene! Ho un piccolo sondaggio da sottoporvi (consiste in una sola misera domanda, come al solito mi monto la testa):

Preferireste che il figlio di Bellatrix sia maschio o femmina?

A lunedì prossimo dolcezze :) 

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Capitolo 12
*** A sorpresa ***


Salve bellezze!

Siamo agli sgoccioli ormai. Non manca molto alla fine!

Ma veniamo subito al capitolo.

Devo parlare di qualche problemino tecnico che ho avuto:

1. Ho fatto qualche calcolo contorto un po’ di tempo fa, e l’età che mi risultava avere Bellatrix era decisamente troppo in là per poter ancora generare figli (più o meno sui 52 anni, non mi ricordo con esattezza il numero). Quindi voi fate finta che la nostra Bella sia più giovane. :) Dopotutto, è pur sempre una fanfiction!

2. Non ho mai capito molto bene quando cade la Seconda Guerra Magica perciò, nonostante voglia essere il più fedele possibile al libro per quanto riguarda la dimensione temporale e spaziale, la posizionerò a metà giugno circa. Altrimenti ci sono dei conti che non tornano… :)

In fondo troverete alcune altre note (come ad esempio il motivo del mio ritardo, che non è assolutamente dipeso da me).

Vi adoro!

Buona lettura,

Marta.

 

 

 

 

 

 

A SORPRESA

 

I mesi erano trascorsi rapidamente e quel pancione ormai attirava gli sguardi stupiti ed addolciti di chiunque.

Bellatrix Lestrange era, senza ombra di dubbio, la donna più chiacchierata del momento all’interno della nobiltà Magica. Amiche che non si facevano vive da anni, ricche e tutte con almeno tre figli e due amanti a testa, erano improvvisamente riapparse sulla porta di Lestrange Manor. Helen, Catherine, Elionor, Amanda… tutte oche senza cervello ma piene di gioielli che erano state gentilmente invitate a lasciare il Maniero.

Solo Angelique era stata cacciata di malo modo dalla padrona di casa.

-Ma io dico, come può certa gente avere di queste assurde pretese?!- esclamò Bellatrix, camminando da una parte all’altra della biblioteca sotto lo sguardo divertito della sorella.

-Insomma- proseguì con enfasi, -una non si fa né vedere né sentire per venti stramaledetti anni, e poi ripiomba qui chiedendo di poter fare da madrina al bambino?!-.

-O bambina- la corresse la bionda.

-Giusto- sospirò l’altra lasciandosi cadere mollemente su una poltrona.

-Non dovresti agitarti così- osservò Narcissa. -Non gli fa bene-.

-Ma io non sono agitata. Sono solo arrabbiata-.

-Oh, sì giusto-.

La mora inarcò un perfetto sopracciglio. -Mi prendi in giro?-.

-Certo che no- sorrise l’altra.

Bellatrix ghignò.

-Senti…- esordì la più giovane, col tono di chi sta per parlare di un argomento delicato. -Ci hai pensato? Non vuoi proprio… insomma, vederla? O scriverle?-.

-Sei impazzita, Cissy?- sibilò la riccia. -Sta dalla loro parte! È nostra…-.

-Nemica?-.

-Be’… in un certo senso sì- mormorò mestamente.

-Ma è comunque tua sorella! Non puoi proprio far finta di niente!-.

-Non è che lei mi scriva tutti i giorni- sbuffò la maggiore. -E comunque è nostra sorella. Non affibbiare tutte le grane a me, grazie-.

Narcissa scosse il capo.

-Be’, dovrai pur dirglielo- insisté.

-No, non ci penso nemmeno- ribatté l’altra ostinata. -E la questione si chiude qui, Cissy. Non voglio parlarne più… Ah!-.

La bionda balzò in piedi e corse dalla sorella, che intanto si teneva con un braccio il pancione.

-Bella, cos’hai?- domandò preoccupata.

-Niente, solo un calcio. Molto forte-.

-Allora è un maschio- annuì sicura la donna.

-Come fai a dirlo?- chiese l’altra scettica, ridacchiando.

-Draco scalciava un sacco!- fece l’altra sulla difensiva.

Il pendolo suonò le cinque e mezza. Entrambe lo fissarono per qualche istante; Narcissa si allontanò dalla poltrona dov’era seduta la sorella e agguantò la borsetta con la quale era giunta al Maniero.

-Io vado Bella- annunciò.

-D’accordo- disse l’altra, un’espressione beata dipinta sul volto.

-Ti scriverò domani, va bene?-.

-Certo-.

La bionda uscì dalla stanza con un piccolo sorriso sereno, cosa che capitava veramente di rado in quel periodo.

Bellatrix si alzò e si spostò nella sala da pranzo.

Peach l’aveva sistemata con una cura impressionante. La donna si ripromise di congratularsi con l’elfa non appena l’avesse vista.

Si avvicinò allo specchio che usava ogni giorno per controllare i suoi capelli ribelli.

Se qualche mese prima si guardava e vedeva una donna alta, slanciata e snella, adesso la superficie restituiva l’immagine di una madre al primo giorno del nono mese di gravidanza.

-Sì, sei bellissima-.

-Rod, attento ad usare quel tono smielato. Potrebbe venirmi il diabete- ghignò lei senza voltarsi.

-Correremo il rischio- ridacchiò l’uomo facendosi avanti ed abbracciando la moglie da dietro.

-Perché non lo corri tu?- scherzò l’altra, rifilandogli una leggere gomitata.

Lui sospirò.

-Sai, bisogna fare qualcosa per questa pancia. Non riesco più ad abbracciarti come si deve-.

-E io non riesco più a dormire a pancia in giù!- rispose la riccia, facendo una linguaccia.

Lui la strinse più forte a sé e poggiò il proprio mento sulla sua spalla.

-Allora, hai deciso cosa fare con… Anita?-.

Bellatrix si prese qualche istante prima di rispondere.

-No- ammise infine, sospirando. -O meglio… vorrei poter essere sua amica come un tempo… Avresti dovuto vederla quand’è piombata qui, due giorni dopo che le ho scritto la lettera in cui la informavo del bambino! Era… oh be’, dire "euforica" è poco, credimi- sorrise la donna.

-Ma…?-.

-Ma… non credo di poter perdonarla così… insomma, quello che ha fatto è grave. Giustificabile certo, ma grave-.

-Io l’ho sempre detto, amore-.

-Lo so… però Narcissa dice che dovrei perdonarla perché è sola, non può contare su suo marito, eccetera, eccetera…-.

-Prima poteva contare su di noi- insisté Rodolphus, ostinato. -Non è decisamente colpa nostra se abbiamo perso fiducia nei suoi confronti. È normale che tu non l’abbia accolta a braccia aperte-.

La riccia annuì, pensierosa. -Immagino che tu abbia ragione. È questa gravidanza che mi annebbia i pensieri…- mugugnò.

-Tranquilla tesoro- sussurrò l’uomo sulla spalla di lei. -Tra poco avremo il nostro bambino-.

-Sì- mormorò Bellatrix, emozionata. -Tra poco-.

Il marito si allontanò da lei e si sporse dalla finestra, ad osservare il giardino verde.

-Erano anni che non vedevo il Maniero in condizioni così perfette. Peach e gli altri elfi hanno fatto davvero un ottimo lavoro- constatò guardando con beatitudine alcuni alberi che cominciavano a dare alcuni frutti.

-Sì, è vero. Per il bimbo sarà il luogo adatto in cui crescere- annuì la moglie. -Sempre che… vada tutto bene-.

-Ma certo- disse il mago, sicuro di sé. -Il nostro bambino sarà sano e forte, vedrai…-.

-Non mi riferivo a questo- lo interruppe lei, scuotendo il capo. -Stavo pensando alla guerra. Non… non voglio che cresca senza di noi…-. Il suo sguardo si era rabbuiato.

-Ehi- bisbigliò Rodolphus, tornando ad abbracciarla. -Andrà tutto bene, d’accordo? Crescerà con noi, e noi saremo sempre con lui. O lei. Chiaro?-.

Bellatrix imbastì un sorriso poco convincente ed annuì. -D’accordo-.

Lui le stampò un bacio sulla fronte, poi scrutò il pendolo appeso alla parete.

-Morgana! Scusami tesoro, ma in questo istante preciso avrei dovuto essere a Malfoy Manor- disse, agitato.

-Malfoy Manor? Perché?-.

-Devo consegnare alcuni resoconti al Signore Oscuro. Farò presto-.

-Okay. Salutami Lucius- fece lei, con un ghigno cattivo.

-Ecco la vecchia Bella che ogni tanto fa capolino- sghignazzò l’uomo, sistemando la bacchetta nella custodia.

La donna rise e si sporse a sua volta dal davanzale.

-Che profumo!- esclamò, inspirando profondamente.

-È il gelsomino che ho fatto piantare-.

-È buonissimo, Rod!-.

-Lo so- disse compiaciuto. -Vado, o mi ammazzerà. A dopo-.

-A dopo-.

Bellatrix non si voltò per guardarlo uscire; continuò ad osservare le foglie verdi che brillavano sotto la luce del sole. Alcuni passeri sgambettavano tranquillamente su un muretto in mattoni, mentre i nitriti di Macy, il cavallo che la donna aveva preteso durante una delle più pericolose crisi di quella gravidanza, si mescolavano al fruscio della brezza estiva.

Nulla, in quel giorno di inizio giugno nello Yorkshire, lasciava presagire che nel resto della Gran Bretagna si stavano consumando omicidi, violenze, torture.

Incredibilmente, si sentiva sollevata di vivere in quella bolla dorata, dove gli elfi domestici sorridevano, lieti della nuova personalità della loro padrona; dove, fino ad alcuni mesi prima poteva passeggiare - non senza la supervisione del marito - in sella alla bellissima Macy, dal manto bianco latteo; dove il Signore Oscuro non si faceva vedere da mesi. E, soprattutto, dove non c’era la guerra. Era come essere dentro un’oasi.

Ma lei sapeva che dietro a tutto quello si celava il lavoro senza sosta di Rodolphus; si impegnava costantemente per garantire tutta la calma e la serenità del mondo alla sua sposa. Una volta, poche settimane prima, aveva quasi trucidato Rookwood per aver tentato di riferire un messaggio per conto di Voldemort.

Gli occhi vigili della Mangiamorte intercettarono Peach che si affrettava a raggiungere il portone d’ingresso. Aveva qualcosa tra le mani; impossibile capire di cosa si trattasse.

Pochi istanti dopo si udirono due colpi delicati alla porta.

-Entra-.

L’elfa si fece avanti velocemente tendendo una grossa pergamena arrotolato.

-Cos’è?- chiese la donna, diffidente.

-È… da parte della signora Tonks-.

A Bellatrix servirono parecchi secondi per capire le parole della creatura.

-Di… chi?-.

-Della signora Tonks- ripeté quella.

-Andromeda?-. La voce le tremava, incontrollabile.

-Sì-.

-Dà qui- disse brusca. -Dammela-.

Afferrò con violenza la pergamena e la srotolò impazientemente.

Non sapeva con esattezza quante volte si era ritrovata a piangere da quando era incinta; aveva versato lacrime di gioia, di rabbia, di frustrazione, di commozione. Ma mai di tristezza.



Bellatrix,

non so se vorrai leggere questa lettera.

Forse, non appena ti diranno che arriva dalla tua sorella traditrice e rinnegata, la brucerai. O la straccerai. Se penso che potrebbe accedere ciò, mi viene voglia di non scrivertela. Però poi mi dico: "E se invece volesse leggerla?". Quindi, eccomi qui.

È tantissimo tempo che non ci vediamo né ci sentiamo.

Non ti dirò che mi dispiace di essermene andata e di non essermi unita alla vostra "congrega".

Mi dispiace solo di non vedere più te e Cissy.

Io non combatto; semplicemente me ne sto a casa, sperando che mia figlia, Ninfadora, mi faccia avere notizie su di lei e su Remus.

Prima aspettavo anche Ted. Aspettavo che da un momento all’altro entrasse da quella maledetta porta e mi dicesse: "Li ho seminati, amore! I Ghermidori non sono più un problema!".

Sai come ho saputo della sua morte?

Ascoltando Radio Potter.

Dopo un certo Adam West, quel ragazzo ha letto il nome di mio marito. All’inizio credevo si trattasse della lista dei dispersi; dopo però ho capito che era quella dei morti.

Non so nemmeno dove si trova; non so dove l’hanno sepolto. Non so se l’hanno sepolto.

Per fortuna adesso a tenermi compagnia c’è il piccolo Ted, mio nipote. È nato da poco, ed è bellissimo. Somiglia tanto a Ninfadora. Anche lui cambia sempre colore di capelli. E anche degli occhi.

Recentemente ho ricevuto la visita di Dawlish. Mi ha detto la novità.

Be’, congratulazioni, Bella. Sono felice che anche tu abbia una gioia simile; mancavi solo tu, eh?

Non stupirti del fatto che io sappia del bambino: all’interno del Ministero ci sono talmente tanti infiltrati che è normale che una notizia simile abbia fatto il giro di tutta la comunità Magica.

Ci credi che l’altro giorno è venuta a trovarmi Angelique Abrams? Te la ricordi? Voleva che ti convincessi a scegliere lei come madrina del nascituro!

Qui Bellatrix sorrise tra le lacrime.

L’ho praticamente cacciata.

Mi sembra assurdo essere qui a scriverti una lettera con il cuore in mano.

C’è un gran silenzio in casa, ora. Ted dorme da circa mezz’ora, credo che a breve si sveglierà. Sicuramente avrà fame.

Dopo aver scritto tutte queste parole, finalmente mi accingo a dirti il motivo della mia lettera.

Non so se tu vorrai concedermi questo favore; se non hai stracciato la lettera prima, e sei arrivata fin qui, probabilmente lo farai non appena leggerai la mia richiesta.

Ti prego, ti supplico, risparmia mia figlia e suo marito.

So che hai tentato di farla fuori durante il trasferimento del giovane Potter.

Bellatrix, ti imploro, non ucciderla. Ha un bambino, è giovane, è una strega capace ora, grazie all’aiuto di Malocchio. Risparmiale la vita.

È tutto quello che ti chiedo, e in tutti questi anni, prima e dopo la nostra separazione, non ti ho mai chiesto nulla.

Hai vinto tu. Avevi ragione.

Ricordi cosa mi hai detto poco prima che vi lasciassi per sempre?

Mi dissi che avrei avuto una vita difficile, che sarei rimasta sola, che un giorno Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sarebbe diventato forte ed imbattibile. Che avrebbe ucciso i miei cari e che mi avrebbe risparmiata solo perché sono tua sorella.

Ebbene, ora ti dico: che mi uccidano! La mia vita, la vita di una Purosangue Black, vale almeno tre vite? Una moglie, un marito e un bambino?

Però su una cosa avevi torto: dicesti che la mia vita sarebbe stata triste. Ti assicuro, prima di questi mesi di guerra, non sono mai stata tanto felice. Ho avuto un marito straordinario, una figlia meravigliosa, e ora un nipotino stupendo.

Spero che riuscirai ad essere felice almeno la metà di quanto lo sono stata io.

Oh, accidenti. Non credevo che avrei scritto tanto. Le parole e i pensieri mi sono usciti come un fiume in piena.

Questa è la mia preghiera.

Spero che la lettera sia rimasta integra fino alla fine. Così come il nostro legame.

Ti vorrò sempre bene, al di là di ogni schieramento, di ogni ideale, di ogni stato di sangue. Ricordatelo.

Tua,

Andromeda.

Dire che stava piangendo era un eufemismo.

Bellatrix singhiozzava senza pudore, senza freni.

Le sofferenze di quasi vent’anni prima tornarono a galla, mischiandosi alla tristezza e al dolore che trasparivano dalle parole della lettera.

Le sembrava di vederla, la dolce Andromeda, china su un piccolo tavolo, la mano tremante a tenere la piuma. Così incredibilmente simili tra di loro fisicamente, così altrettanto differenti di carattere. Così incredibilmente distanti. Come se facessero parte di due mondi diversi ed inavvicinabili.

Portò la pergamena alle labbra e, in corrispondenza alla firma della sorella, depositò un leggero bacio.

Poi ripiegò la lettera con cura e la depose in un cassetto della credenza.

Si asciugò le lacrime e si guardò allo specchio.

E in quel momento fece una promessa a sé stessa: avrebbe difeso sua nipote, il marito e il loro bambino. Non voleva che un’altra famiglia venisse distrutta dalla guerra.

-Te lo giuro Andromeda- sussurrò, fissando la sua immagine riflessa nella superficie liscia. -Li proteggerò. Costi quel costi. Non permetterò che facciano loro del male. Io… Oh!- rantolò.

Una violenta fitta al ventre la costrinse a piegarsi in avanti e ad aggrapparsi al tavolo.

Si lasciò sfuggire un gemito mentre cercava di tornare in posizione verticale.

-Peach!- strepitò.

Doveva aver fatto cadere il bicchiere con l’acqua, perché si sentiva i piedi bagnati. Dannazione!

-Peach!-.

L’elfa apparve in un istante.

-Ma dov’eri, ti ho dovuta chiamare per ben due volte!- strillò la donna. -Pulisci per terra, ho fatto cadere il bicchiere-.

-Padrona, per terra non c’è bicchiere!-.

-Cosa… come?-.

-No, guardi lei!-.

Bellatrix guardò ai suoi piedi.

Sulla moquette si era formata una macchia abbastanza grande di un liquido che sembrava acqua. Ma non c’era nessun bicchiere, né tanto meno frammenti di cristallo.

-Oh, Salazar!- squittì la donna, tenendo il bordo del tavolo con più forza. -Oh, Merlino!-.

-Peach deve chiamare qualcuno?- domandò l’esserino, allarmato.

-Sì, chiama il padrone!-.

-Ma padron Rodolphus è a Malfoy Manor, dal Signore Oscuro!-.

-Non mi importa, chiamalo!-.

-Ma sapete che non può essere disturbato!-.

-Senti- ringhiò la riccia, furiosa. -Tu, stupido essere vivente, sei mai stata in travaglio? Eh?-.

Peach piagnucolò più forte.

-Chiama mio marito!- sbraitò.

L’elfa sparì con un rumore simile allo schiocco di una frusta, lasciando da sola la sua padrona in preda ad un’altra contrazione.

=======================================================================

-Ed è tutto?-.

Voldemort stava leggendo quelle carte da una ventina di minuti; le iridi rossastre percorrevano i resoconti delle ultime due settimane che riportavano tutti gli spostamenti di alcuni dei membri dell’Ordine della Fenice.

-Sì, mio Signore- rispose Rodolphus.

-Pius, corrisponde a quello che hai visto?- domandò l’Oscuro all’uomo alto e magro davanti a sé.

-Più o meno sì- annuì quello, che aveva appena finito di leggere una pergamena.

-Bene- commentò l’altro, compiaciuto. -E dimmi, Severus, ci sono novità da Hogwarts?-.

Severus Piton non sorrideva, né mostrava alcuna soddisfazione; al contrario, il suo volto sembrava essere attraversato da un’espressione annoiata, quasi sofferente. Quando fu interpellato, si limitò a rizzare un poco di più la schiena ed a schiarirsi la voce.

-No, mio Signore. I fratelli Carrow stanno facendo un ottimo lavoro: non ci sono più state ribellioni da parte degli studenti dopo quella di due settimane fa-.

-Molto bene. Ricordami complimentarmi con loro- sibilò Voldemort a Codaliscia, accovacciato al suo fianco.

Quello annuì tremando.

Improvvisamente le porte della grande sala si spalancarono, mostrando una Narcissa sconvolta.

-Tesoro ma che succed…-.

La voce ansiosa di Lucius Malfoy, fu sopraffatta da quella acuta e spaventata della moglie.

-Rodolphus!- ansimò, correndo verso di lui.

Quello si alzò in piedi, scattante come una molla.

-Cosa c’è?-.

-Cosa sta succedendo qui?- tuonò il Signore Oscuro, guardando la Mangiamorte bionda con espressione omicida. -Ti ho detto innumerevoli volte che non devi mai disturbarci quando siamo in riunione!-.

-Lo so, mio Signore, ma a Bellatrix si sono rotte le acque!- gemette quella.

-Cosa?- chiese Rod con voce strozzata.

-Sì!- annuì la donna. -Peach è appena venuta ad avvertirmi. Ha bisogno di te-.

Il Mangiamorte fissò il suo Signore.

-Vai- sospirò quello, arrendendosi. -E chiamaci non appena… avrà finito- concluse con espressione indecifrabile.

-Grazie, mio Signore- mormorò Rodolphus, la voce satura di riconoscenza; poi uscì dalla stanza insieme alla cognata.

-Vuoi fare tutto da solo?- disse Narcissa, agitata.

-Certo che no. Informo subito Bartholomeus-.

-Chi è?- domandò lei, confusa.

-Il mio amico Medimago, quello che è andato in pensione due anni fa-.

-Ma lui è disponibil…-.

-Sì, ci siamo messi d’accordo settimana scorsa. Mi ha detto che si sarebbe tenuto libero tutti i giorni, nel caso in cui Bellatrix…-.

-Ci metterà molto?-.

-No, certo. Si Smaterializzerà-.

-Andiamo?- fece Cissy, pronta a raggiungere la sorella.

-Sì. Andiamo-.

=======================================================================

Bellatrix era seduta su una delle poltrone del salotto; aveva il respiro corto e veloce. I capelli erano incollati alla fronte a causa del sottile velo di sudore che ricopriva il suo corpo.

Non riusciva a capire se le contrazioni fossero regolari oppure no; sapeva solo che stavano diventando più forti.

-Oh Merlino…- ansimò, agitata.

Non seppe con esattezza come accadde, ma qualche istante dopo Rodolphus le teneva una mano e sua sorella le accarezzava il capo.

-Come… Peach vi ha chiamati- sorrise la riccia, sollevata. -Ricordami di costruirle un monumento-.

-Vaneggia- bisbigliò pronta Narcissa in risposta allo sguardo stralunato del cognato.

-Portiamola di sopra. Bart sta arrivando-.

Rod prese tra le braccia la moglie, che nel frattempo continuava a sussurrare cose indefinite.

=======================================================================

Bartholomeus arrivò in tempi brevissimi; Bellatrix era nel letto solo da pochi minuti.

Rodolphus lo avvolse come se fosse un figlio che tornava a casa dopo vent’anni.

-Bart!- esclamò non appena lo vide.

-Ciao Rod- sorrise quello. -Allora ci siamo?-.

-Sì, credo proprio di sì. Si sono rotte le acque-.

-Dov’è?-.

-In camera da letto. Vieni, ti accompagno-.

Percorsero in fretta alcuni corridoi e due rampe di scale.

Davanti alla porta della stanza, sostava Peach, i grandi occhi più spalancati del solito.

-Portaci dell’acqua calda e degli asciugamani- le disse il Medimago, gentile.

Quella, determinata, annuì e sparì in un instante.

Bart si sistemò un paio i guanti sulle mani e guardò Rodolphus.

-Stai per diventare padre-.

Poi entrò, lasciando l’uomo in preda all’ansia.

 

*

 

 

NdA

Ecco qui. Sì, lo so, il finale è crudele. Ma se avessi inserito tutto, sarebbe stato un capitolo lungo e pesante.

Vi chiedo scusa per non aver aggiornato, ma ho avuto dei problemi con l’Adsl e me l’hanno riparata solo sabato. Così ho deciso di pubblicare oggi, perché postare un capitolo sabato e uno lunedì mi sembrava stupido. Ho cercato di aggiornare dal computer di mia cugina, ma ovviamente aveva un virus e non entrava nemmeno in Internet. Tutti contro di me!

Quindi, mi dispiace.

Quanto al capitolo: non ho ancora avuto figli (e ci mancherebbe, sono troppo giovane:)) e quindi non sono molto esperta di parti e travagli. Vogliate perdonare gli errori che sicuramente compirò.

Grazie mille di aver letto il capitolo. Grazie perché continuate a seguire la mia storia e perché continuate a recensire. E perché continuate a sopportare i miei ritardi (che però ultimamente sono dovuti a cause di forza maggiore!).

Quindi, un enorme grazie a voi. Siete straordinarie.

Un grande bacio,

Marta. 

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Capitolo 13
*** Una bolla che esplode ***


Salve!

Eccomi (incredibilmente) puntuale! Il capitolo è lungo, scusate, ma proprio non riuscivo a renderlo più corto. Chiedo PERDONO per la mia lentezza nel rispondere alle recensioni. Oggi risponderò a tutte, promesso. Grazie infinite alle ragazze che, pazientemente, continuano a seguirmi.

Siete meravigliose, sul serio.

Buona lettura!

Baci,

Marta.

 

 

 

 

 

UNA BOLLA CHE ESPLODE

 

 

Il tempo non era mai passato così lentamente.

Sembrava quasi che le lancette dell’orologio appeso alla parete andassero avanti di un minuto e tornassero indietro di tre.

Erano ormai le otto e mezza, e Bartholomeus non era ancora uscito dalla camera da letto dei coniugi.

Rodolphus si contorceva le mani, appoggiate sulle ginocchia. Narcissa, in fianco a lui, mormorava parole incomprensibili, fissando intensamente il pavimento.

-Ti senti bene?- sussurrò lui alla donna, nonostante fosse in preda all’ansia.

Lei parve riprendersi da una sorta di torpore. Lo guardò confusa e poi borbottò: -Sì, certo. Sono solo impaziente-.

L’uomo annuì e tornò a scrutare la porta.

L’urlo li fece sussultare entrambi; Rod sembrava un guerriero sotto assedio: balzò in piedi e, guardandosi intorno allarmato, fece per aprire la porta.

Cissy, più razionale, lo fermò appena in tempo.

-Ma che fai?-.

-Perché ha urlato? Cosa le sta facendo?-. Sembrava fuori di sé.

-È normale- spiegò lei, paziente. -È sempre così. Lo è stato anche per me-.

Lui parve tranquillizzarsi. -Sì, giusto-.

Tornarono a sedersi entrambi, cercando di ignorare il secondo urlo.

-Andrà tutto bene- bisbigliò Narcissa, affettuosa.

Rodolphus la guardò, più fiducioso. -Lo spero-.

Seguirono altri strilli.

Poi la bionda si alzò. -Rod, vado ad informare Draco- disse, passandosi una mano pallida sui capelli. -Vorrà sapere che sta per nascere suo cugino… o cugina-.

-Certo, assolutamente- annuì lui.

-Arrivo subito-.

Quello annuì senza distogliere lo sguardo dalla porta di legno massiccio.

Cissy ci impiegò davvero poco; nel giro di qualche minuto era tornata a sedersi in fianco a suo cognato sul piccolo divanetto portato dagli elfi.

-Novità?-.

-No. Sei stata via solo qualche minuto-.

L’attesa li stava consumando. Non si ricordavano con esattezza a che ora si fossero seduti lì, ma di sicuro più di tre ore. Le urla si stavano facendo più corte ma più frequenti e acute.

Peach comparve, verso le dieci e mezza, portando la risposta di Draco alla lettera della madre.

-Peach chiede scusa se ci ha messo tanto, ma doveva preparare altre cose per il Medimago…-.

-D’accordo, non importa- la liquidò Narcissa con un gesto brusco della mano.

Srotolò il foglio di pergamena e lesse le poche righe scritte da suo figlio.


Oh, è una notizia grandiosa.

Fammi sapere quando nasce, ma non prima di domani mattina, perché non lasciano recapitare le lettere di notte. Unica cosa: la prossima volta metti il sigillo dei Malfoy o dei Lestrange sulla busta. Non voglio che Alecto Carrow legga di nuovo la mia posta.

Buonanotte.


-Cosa dice?- fece Rodolphus, cercando disperatamente di distrarsi; aveva accolto l’arrivo di Peach con tale sollievo, che l’elfa si era imbarazzata.

-Che è contento per Bella. E che potrò raccontagli tutto domattina: i Carrow controllano la posta e di notte non lasciano arrivare le lettere-.

-Metti il nostro sigillo domattina. Non oserebbero leggere.

-Sì, certo-.

Alle undici e mezza, un urlo prolungato e saturo di stanchezza, riempì la casa, rimbombando a lungo.

L’uomo e la donna seduti sul divanetto imbottito, si svegliarono bruscamente.

-Cosa…?- farfugliò Rodolphus.

-Ci siamo!- disse concitata la bionda.

Lui la fissò stralunato. -Vuoi dire che…?-.

Si ammutolì quando dalla stanza giunse un suono nuovo. Un vagito?

Entrambi scattarono in piedi, ogni traccia di sonno era scomparsa.

Poi la porta si aprì e la testa quasi calva di Bartholomeus fece capolino.

-È nato. O meglio, nata-.

-Nata?- fece Rod, con voce strozzata. -È… è…-.

-Una femmina, sì- concluse il Medimago per lui, aprendo completamente la porta della camera. Alle sue spalle si intravedeva il letto nella semioscurità.

-Posso…?- domandò l’uomo emozionato.

-Ma certo- sorrise l’altro.

Rodolphus si voltò a guardare la cognata.

-Vai- disse quella. -Io entrerò più tardi. Bella deve riposare-.

Lui annuì ed entrò nella camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle.

C’erano alcune candele ad illuminare di una luce fioca il locale; erano sufficienti per permettergli di vedere il viso della moglie trasfigurato dalla stanchezza.

Tra le braccia della donna, un fagotto minuscolo, avvolto da un telo di seta, emetteva piccoli suoni di tanto in tanto.

Con un moto di commozione, si accorse che Bellatrix stava allattando la bambina. I lunghi riccioli color carbone le cadevano davanti al volto mentre guardava l’esserino appoggiato al suo petto.

-Tesoro…- sussurrò l’uomo, la voce ridotta ad un sospiro per paura di spezzare la magia di quel momento così intimo, così intenso. Era una madre che vedeva la sua bambina per la prima volta.

Lei sollevò piano la testa, facendo attenzione a muoversi il meno possibile per non disturbare la piccola.

-Rod- mormorò.

Non l’aveva mai vista così felice.

Certo, il suo viso era segnato dalla stanchezza, e sembrava invecchiata di almeno cinque anni. Ma non era mai stata così in pace con il mondo, così rilassata, così tranquilla. Era una visione.

-Come… come stai?-. Si sentiva la bocca completamente asciutta.

-Sono stanca. Ma sto bene. Vieni a vederla…- la sua voce si incrinò per l’emozione.

E lui non si era mai sentito le gambe così pesanti. Sembrava che ogni suo passo fosse rumoroso come un tuono; era come se avesse dei sacchi pieni di sabbia legati alle caviglie. E il letto sembrava sempre troppo lontano.

-Coraggio- lo esortò lei, come se avesse capito tutto.

L’uomo si fece forza e raggiunse il la moglie in due lunghe falcate.

In quel momento si rese conto di non aver visto niente di più bello di quella bambina minuscola che agitava piano una manina in aria.

Aveva le palpebre abbassate, perciò era impossibile capire di che colore avesse gli occhi.

I capelli erano neri ed erano tanti. Sembravano ricci. Ecco la prima somiglianza con la madre.

Le guance si tendevano e si rilassavano al ritmo della poppata, mentre il nasino era tondo e piccolo.

Era meravigliosa.

-Vuoi prenderla in braccio?- chiese Bella, sorridendogli.

-Io… certo-.

Attese che ebbe finito di mangiare, poi la sollevò e la porse al marito, che la prese come se fosse fatta di cristallo.

Portò la bambina contro il suo petto e la strinse piano a se, inspirando il profumo delicato della sua pelle. Le accarezzò delicatamente una guancia.

-È… è… Merlino, è meravigliosa-.

-Lo so- annuì Bellatrix, sorridendo.

-Come la chiameremo?-.

-Uhm… io avevo pensato a Evie-.

-Il primo nome che abbiamo scelto?-.

-Esatto. E scarterei sia Judith che Scarlett. Evie Lestrange Black. Suona benissimo. A te piace?-.

-Mi piace tantissimo, lo sai- disse Rodolphus, continuando a fissare sua figlia con espressione adorante. -Benvenuta, Evie-.

=======================================================================

-È nata questa notte verso le undici e mezza- mormorò Draco, scrutando la lettera della madre.

-Oh, ma è meraviglioso!- commentò Daphne entusiasta, battendo le mani.

Blaise la guardò rapito. Poi si chinò verso il biondo e gli sussurrò all’orecchio: -Vuole dei figli. Sarei felice di darglieli-.

-Ti ho sentito, porco- giunse il commento aspro della ragazza, che tornò a chiacchierare con Pansy e Millicent.

-Ma se sei gay!- sghignazzò Draco, guadagnandosi un potente calcio da parte dell’amico.

-Solo perché tengo ai miei capelli non significa che io sia gay!- ringhiò.

L’altro continuò a ridere.

-Chiedi a Romilda Vane, Laura Madley, Eleanor Branstone, Amy Rosemberg, Christina Murray, Helen Smith, Joan Malloy… devo continuare?- snocciolò il ragazzo. -Chiedi a loro della mia presunta omosessualità-.

-Dai amico, stavo scherzando-.

-Ci mancherebbe- borbottò l’altro.

-Avete finito?- sbadigliò Theodore Nott, visibilmente annoiato.

-Sì, perché? Ti dà fastidio?- chiese aspro Zabini, tornando a mangiare il suo Porridge.

Nott scambiò un’occhiata con Draco ed entrambi ridacchiarono.

-Come sei suscettibile- osservò Theo, masticando un pezzo di bacon.

-Non parlare con la bocca piena, maiale- lo rimbrottò l’altro, cercando di inserirsi nella conversazione di Tiger e Goyle. Quando capì che stavano parlando delle figurine delle Cioccorane, lasciò perdere e si chiuse in un silenzio ostinato.

-Vieni con noi, Blaise?- chiese Daphne afferrando la borsa dei libri. -C’è Incantesimi-.

-Arrivo- rispose lui, animandosi improvvisamente. Poi si rivolse ai suoi due amici, con fare di superiorità. -Io mi avvio con la mia dama-.

-Oh, d’accordo- annuì Draco, sforzandosi di non scoppiare a ridere.

-Tanto non te la da- sogghignò Theo, sorseggiando il suo succo di zucca.

-Lo vedremo- sibilò il Serpeverde, sfidando l’altro.

Lasciò il tavolo che i due si stavano soffocando dalle risate.

-Secondo te ce la farà?- chiese Nott asciugandosi le lacrime causate dal troppo ridere.

-Con la Greengrass?-.

-Mmm-.

-Dico, ma sei impazzito? È impossibile, nessuno ce l’ha mai fatta con la Greengrass-.

-Se lo dici tu…-.

-Fidati. Andiamo anche noi?-.

-Solo se sarai la mia dama- scherzò il biondo.

Lasciarono la Sala Grande in preda alle risate.

===================================================================

-È il figlio dell’uomo che voleva separarci!- protestò Rod.

-Già, ma non assomiglia per niente a suo padre-.

-Questo non cambia le cose!-.

-Sì invece! Hai visto com’è stata carina e disponibile Narcissa? Ecco, lui è più come sua madre-.

-Su questo hai ragione, ma…-.

-Niente ‘ma’- lo interruppe Bellatrix. -Sono sicura che sia la scelta più opportuna-.

Lui sospirò, sconfitto ma anche convinto. -D’accordo. Credo che tu abbia ragione-.

-Che novità- commentò lei con un sorriso.

Anche lui sorrise, poi si girò tra le lenzuola per riuscire ad osservare meglio la culla.

Evie dormiva beata dopo l’ultimo pasto delle sette.

Erano passati già quattro giorni dalla nascita della bambina, e ancora non si era abituato a quante emozioni era in grado di trasmettergli quel piccolo esserino. Era incredibile: quegli occhi nero pece con le venature violacee riuscivano a catturare la sua attenzione come se si trattasse di due diamanti sotto al sole. Le guance paffute erano sempre rosee e il nasino tondo era la meta preferita dei baci di Bellatrix.

La riccia non si era ancora ripresa del tutto dal parto. Dormiva tanto e passava gran parte delle giornate nel letto matrimoniale con Rodolphus e Evie in mezzo a loro. Trascorrevano anche delle ore, lì così, a parlare, scherzare, sbaciucchiare la loro bambina.

E a lei stava bene così.

Certo, ogni tanto sentiva la mancanza dell’azione, dell’adrenalina. Ma la stanchezza e Evie contribuivano a farle rimandare la data del suo ritorno al "lavoro".

-Vado a spedire la lettera a Draco- annunciò la donna, alzandosi dal letto.

-Sicura di farcela?-.

-Rod, ho partorito, non sono stata accoltellata-.

-Lo so, è che… mi sembri sempre troppo debole…-.

Lei si voltò per rifilargli un’occhiataccia.

-Non in quel senso- si affrettò a dire lui. -Mi sembri stanca, ecco-.

-Lo sono. Ma sto bene, davvero-.

-Okay, mi fido. Ti aspetto qui. Tra poco Evie si sveglierà per mangiare-.

-Sì, infatti. È meglio che mi muova-.

Uscì dalla stanza con la lettera per suo nipote in mano e si spostò per i corridoi fino ad arrivare allo studio di suo marito.

Lì trovò il gufo, al quale legò la busta. Quello partì, scomparendo nel cielo azzurro di quella mattina di giugno.

Uscendo dallo studio, incappò in Peach.

-Padrona, Peach vi stava cercando-.

-Dimmi. Cosa succede?-.

-C’è… c’è…-.

Sembrava davvero agitata. Stava tremando.

-Cosa succede, Peach?- domandò lei, agitandosi a sua volta.

-Il Signore Oscuro è qui. Vi aspetta in salotto-.

-Che cosa?!- annaspò. -Dimmi che stai scherzando-.

-No, Peach non scherza, è tutto vero!-.

Bellatrix la congedò e schizzò nella camera da letto.

-Rod!- esclamò appena fu dentro.

-Che cosa c’è?- chiese, allarmato. Aveva capito dal tono della moglie che qualcosa non andava.

-L’Oscuro. È qui-.

-Ma… come…-.

-Devo scendere per vedere cosa vuole-.

-Sei pazza-.

-Cosa proponi di fare? Far finta di niente?-.

-Per esempio-.

-Tu sei pazzo-.

Si infilò una vestaglia blu notte e si raccolse i capelli in uno chignon abbozzato.

-Arrivo presto. Porto Evie con me-.

-Che cosa? Ma cosa ti dice il cervello?-.

-Perché credi che sia venuto qui?-.

-Non mi interessa. Sta dormendo-.

Lei parve riflettere sulla possibilità di usarla come scusa per non portare sua figlia davanti al suo signore.

-Okay, non la porterò. Però io devo scendere-.

-Vuoi che venga con te?-.

-No, non ce n’è bisogno-.

Uscì, agitata com’era entrate, lasciandosi alle spalle un marito ed un padre turbato.

-Ti trovo in splendida forma- esordì Voldemort non appena la vide.

-Vi ringrazio, mio Signore- sorrise appena lei. Poi indicò il divano e le poltrone. -Accomodatevi-.

Sedettero entrambi.

-Desiderate qualcosa da bere o da mangiare?-.

-No Bella, ti ringrazio. Sono passato solo per vedere come stavi. È stato William a darmi la notizia. Sono venuto prima che ho potuto. E… devo avvisarti di una cosa-.

-Ditemi, mio Signore-.

-Domani partirò- disse questi, accarezzando con affetto la Bacchetta di Sambuco. -Ed è molto probabile che al mio ritorno dovremo affrontare una battaglia; La battaglia-.

Lei annuì.

-Passa più tempo che puoi con tuo marito e con tua figlia. Non si sa chi sopravvive alla guerra. Quasi sicuramente domani sera combatteremo-.

Bellatrix si sentì mancare.

Una battaglia? Ma lei non era ancora tornata in forze!

-Ecco qui- disse Voldemort, sorprendendola quando tirò fuori una fiala di vetro blu; si vedeva che era piena di un liquido.

-È Pozione Ricostituente- spiegò lui in risposta al suo sguardo interrogativo. -Prendila ogni cinque ore, solo un sorso. È molto potente. Nel giro di ventiquattr’ore dovresti stare molto meglio-.

Non si sentiva sollevata.

-Mi servi in forma, Bella- mormorò lui dolcemente. -Non posso permettermi di avere la mia migliore guerriera fuori gioco. Ci saranno Acromantule, Giganti. Sarà una battaglia epica. E noi la vinceremo-.

No.

Ecco tutto quello che la mente di Bellatrix riusciva a gridare.

Non voglio. Non ora che c’è Evie con me.

-No? Solo per una bambina?-.

Merda, si disse. Questa Legilimanzia!

-Bella, sei troppo importante per il nostro esercito. Non puoi tirarti indietro-.

Provò a parlare: -Ma… Signore, ho appena avuto una bambina…-.

-Ecco un buon motivo per impegnarti e vincere-.

Tacque.

-Se domani sera sentirete il Marchio bruciare, capirete il perché-.

-Dove sarà la battaglia?-.

-Questo lo sapremo solo domani. Dipende tutto dal ragazzo…- sussurrò, criptico.

Confusa, annuì solamente.

-E chissà…- bisbigliò Voldemort, con una dose massiccia di malizia nella voce. Si alzò dalla sua poltrona e raggiunse la donna sul divano. Si sedette al suo fianco ed appoggiò una mano diafana su una coscia di lei, celata dalla vestaglia. -Forse, se vinceremo, potresti anche avere ciò che desideri…-.

Lei si allontanò, disgustata. Lo sguardo divertì il mago, che sorrise, nonostante i suoi occhi sembraravano mandare scintille.

-No, Bella?-.

-No, mio Signore-.

-Ma è quello che hai sempre desiderato-.

-Una volta. Quando ero giovane e stupida. Adesso sono felice con mio marito e mia figlia, grazie-.

-Capisco- mormorò lui, gelido. Si alzò dal divano e le scoccò un ‘occhiata di desiderio malcelato.

Lei si stupì.

Desiderio?

La Legilimanzia, anche questa volta, permise a Voldemort di sapere cosa stava pensando la Mangiamorte.

-Sì, Bella, desiderio. Non credo nell’amore. Ma sono un uomo, sai?-.

Lei evitò il suo sguardo.

-Devo andare. Dillo tu a Rodolphus della battaglia. Io sto andando a parlarne con gli altri-.

La strega si alzò in piedi a sua volta. -Va bene-.

-Tenetevi pronti- fu tutto quello che il Signore Oscuro disse prima di lasciare il Maniero.

Si lasciò cadere sulla prima poltrona che trovò, esausta più di prima.

Senza esitare, afferrò la fiala blu, la stappò e ne bevve un sorso generoso. La richiuse e la appoggiò sul tavolino di legno lavorato.

=======================================================================

Daphne sbadigliò vistosamente. Pansy la imitò.

-Sai che lo sbadiglio è contagioso?- fece questa.

Era stata una mattinata pesante. Incantesimi non si era rivelato il solito spasso. Vitious sembrava arrabbiato per qualcosa. E nemmeno la McGranitt era stata molto gentile, in particolare con i Serpeverde. E il carico di compiti assegnati dalla Sprite doveva essere dichiarato illegale.

-Mi sento svenire- annunciò Theo, sedendosi a tavola.

-Oh, ma che peccato- frecciò acida Pansy. Ce l’aveva a morte con lui perché durante l’ora di Erbologia aveva fatto schizzare un Geranio Zannuto contro di lei mentre cercava di privarlo dei denti; quello si era attaccato con l’ultimo dente rimastogli al braccio della ragazza, che non aveva fatto altro che maledire il suo compagno di Casa e gridare il suo dolore, finché la professoressa Sprite non era riuscita a liberarla dalla morsa del Geranio.

Ora aveva l’avambraccio fasciato stretto, ma non si lamentava.

Meno male.

-Pansy, ti ho detto che mi dispiace- gemette Theo. -Non l’ho fatto apposta, sul serio-.

Lei si voltò dall’altra parte, facendo finta di niente.

Lui sbuffò sonoramente. Blaise continuava a ridacchiare, cercando di non farsi sentire.

-Salazar, ma ti diverti così tanto?- sibilò Nott, con fare minaccioso.

-Abbastanza, sì. E anche Draco-.

Il biondo mascherò in fretta il sorriso che gli era spuntato sul viso e, quando l’amico si voltò per controllare che non stesse davvero ridendo, scosse il capo con decisione. -Non credergli-.

Non appena il moro tornò a sfidare con lo sguardo Zabini, Draco riprese a sogghignare.

Guardò il tavolo dei professori.

Ogni volta che i suoi occhi si posavano sul posto del Preside, situato al centro del lungo tavolo, e non incontravano la lunga barba fluente, avvertiva una forte fitta allo stomaco.

Se solo quella sera non avesse disarmato Silente.

Se solo sua madre non avesse chiesto l’aiuto di Piton.

Se solo qualcosa fosse andato storto e l’Armadio Svanitore si fosse rivelato inutile e tutti quei Mangiamorte non fossero penetrati all’interno del castello.

Se solo i suoi genitori, anni prima, non si fossero uniti al Signore Oscuro…

Se, se, se.

Forse avrebbe potuto essere un diciassettenne normale; senza sensi di colpa per la morte di Albus Silente, per cominciare. Il vecchio preside era sempre stato gentile con lui. Si era sempre dimostrato disponibile. Ma lui l’aveva capito troppo tardi. L’aveva capito mentre quell’uomo tanto buono cadeva dalla Torre di Astronomia.

Da quella notte, i rapporti tra lui e Severus Piton erano cambiati.

Ogni volta che l’attuale preside di Hogwarts andava a Malfoy Manor, Draco declinava gli inviti dei genitori a raggiungerli in salotto per salutare Severus. C’era da dire che l’altro non insisteva per frequentare il ragazzo. Quindi era una sorta di tacito accordo di stare lontano l’uno dall’altro.

Se una volta Draco provava sollievo all’idea di avere doppia ora di Pozioni con il professor Piton, adesso la vista dell’uomo dai capelli neri ed unticci che sedeva al posto del preside, lo faceva stare male.

Non era giusto.

I suoi genitori non la pensavano così. Dicevano che l’’importante era che il Signore Oscuro fosse soddisfatto, e chi se ne importava se un uomo valoroso e coraggioso come Silente era stato ucciso.

E volte sembrava che avessero Cioccorane sugli occhi.

Non vedevano la realtà. Oppure la distorcevano.

-Draco, tutto bene?-.

Astoria Greengrass si era seduta accanto a lui, appoggiando la borsa straripante di libri sulla panca.

Era del quinto anno, molto carina, con lunghi capelli biondi praticamente uguali a quelli della sorella, Daphne.

-Sì. Sì, tutto a posto-.

Erano diventati amici l’anno precedente, ovvero quando Astoria si era fatta abbastanza bella da poter entrare nel circolo degli amici perfetti di Draco Malfoy. A dire la verità il biondo non sapeva con esattezza le regole di quel "circolo", dato che era stata Daphne a crearlo. Non aveva avuto molto tempo, l’anno prima, per dedicarsi a certe cose.

-Mi sembri triste-.

Era una grande osservatrice, e sapeva ascoltare. Draco si era chiesto innumerevoli volte come mai era finita a Serpeverde, dato che non era meschina, non era opportunista, codarda, ipocrita…

Al contrario, era una persona piacevole da avere intorno; riservata e discreta, capiva alla perfezione i sentimenti delle persone che aveva vicino e cercava sempre il momento opportuno per parlarne.

-No Astoria davvero, sto bene. Sono solo un po’ stanco-.

Lei annuì seria. -Certo, è la fine dell’anno. È comprensibile-.

Capì, da come lei aveva parlato, con quel tono a metà tra un rimprovero e una sorta di rassegnazione, che non si era bevuta le sue parole.

Gli venne in mente che al quinto anno c’erano i G.U.F.O.

-Come va la preparazione degli esami?- le chiese, cercando disperatamente di dirottare l’attenzione della ragazza su qualsiasi altra cosa che non fosse lui.

Parve riuscirci, perché quella attaccò: -Sono indietro. Dannatamente indietro. Devo ancora ripassare il programma di Difesa Contro le Arti Oscure e Cura delle Creature Magiche. Per non parlare di Storia della Magia: ho provato a rileggere gli appunti per ben tre volte. Mi sono sempre addormentata-.

Lui ridacchiò, piluccando il pollo.

-Magari potrei darti una mano- buttò lì. -Dopotutto quegli esami li ho già fatti. Quanto potranno essere diversi da quelli che ho fatto io? Le cose sono sempre le stesse, no?-.

Lei sbatté le palpebre un paio di volte prima di rispondere.

-Certo- annuì poi, come stordita. -Sarebbe bello-.

Una Tassorosso, con la quale si era divertito poche settimane prima, si alzò per uscire dalla Sala Grande.

Aveva lunghi capelli color cioccolato e qualche rara lentiggine sulle guance rosee.

Prima di uscire dalla Sala, guardò Draco dritto negli occhi e gli rivolse un sorriso lascivo.

Il biondo scorse con la coda dell’occhio Astoria irrigidirsi. La ragazza rivolse uno sguardo assassino alla Tassorosso, che uscì in tutta fretta.

Capì perché era stata smistata a Serpeverde.

-Ehi, Draco- lo chiamò Blaise.

Malfoy interruppe la sua conversazione con Astoria riguardo a come trascorrevano solitamente le vacanze estive e si girò verso l’amico.

-Che c’è?-.

-Posta- fece quello, indicando un gufo marrone e nero. Del tutto anonimo, se non fosse stato che, dal collo, pendeva una medaglietta dorata con una L incisa.

Era il messaggero dei Lestrange.

Il volatile atterrò dolcemente sulla tovaglia color avorio e tese una zampa con fare altezzoso.

Draco prese la lettera, che portava il sigillo dei Lestrange, e diede un pezzo di pollo all’animale, che tubò e riprese il volo, scomparendo fuori da una finestra.

Srotolò la pergamena e lesse lentamente ciò che c’era scritto, postandosi verso Astoria per evitare che Theo sbirciasse. Lei al contrario di Nott, continuò a magiare, senza nemmeno posare gli occhi su Draco.

Quando ebbe finito di leggere la piegò in quattro e se la mise in tasca.

-Allora? Era tua zia?- chiese Theodore.

Draco inarcò un sopracciglio. -Sei più curioso di una donna, lo sai, vero?-.

-Io non credo. Che vuole tua zia?- s’intromise Daphne, allungando il collo elegante per guardare Malfoy in faccia.

-Lei… be’ ecco, lei vuole che io faccia da padrino a sua figlia-.

Blaise emise un lungo fischio. -Cazzo, allora ci tiene a te-.

-O forse non ha trovato nessuno a cui chiederlo- tagliò corto Draco.

-Mmm non credo- mormorò Pansy. -Mia madre mi ha detto che un sacco di oche si sono presentate a Lestrange Manor per chiedere di poter essere la madrina. Lo sa perché sua cugina è una di quelle-.

-Secondo me dovresti andare da lei. Da tua zia, intendo- intervenne Astoria.

Il biondo la guardò. -Ma c’è la scuola-.

-Lo so. Ma potresti spiegare a Lumacorno che è un evento eccezionale. E lui ne parlerebbe con il Preside. Così potresti vedere tua cugina-.

-Hai ragione- fece lui, riflettendo. -Ehi, i tuoi consigli sono sempre ottimi- sorrise.

-Quando vuoi- rispose lei, per nulla imbarazzata.

-Si, si, è grandioso. Ora però taci, As- sbottò Daphne.

-Non chiamarmi così- sibilò la sorella.

L’altra la ignorò. -Ci parli adesso con Lumacorno? Che fortuna, salterai le lezioni pomeridiane!- si lagnò.

-Sì, credo che ci parlerò ora- disse Draco alzandosi. -Ci vediamo dopo-.

=======================================================================================

 

Erano le due del pomeriggio e il caldo cominciava a farsi sentire nel Maniero.

Le finestre erano state aperte per lo più tutte quante, ma ogni volta che Bellatrix passava con Evie, gli elfi le chiudevano immediatamente. Nessuno voleva che quella bimba così tranquilla e dolce si ammalasse.

-Ha risposto alla lettera?- chiese Rod alla moglie seduta sul divano, intenta a cercare di fare addormentare Evie.

-Chi? Draco?-.

-Mmm-.

-No, non ancora. Spero che l’abbia ricevuta-.

-Di sicuro-.

Entrambi sospirarono.

-Sei preoccupata?-.

-E tu?-.

-Un po’-.

-Anch’io- ammise la donna, stringendo appena un po’ più forte la piccola.

-Possiamo sempre tirarcene fuori, Bella-.

-E come? Se dovesse vincere ci verrebbe a cercare. È un rischio troppo grande da correre-.

-E combattere no?-.

Bellatrix sbuffò.

-È complicato-.

-Tutto lo è-.

La notizia dell’imminente guerra aveva turbato i due coniugi. La bolla di serenità che Rodolphus aveva costruito in quei mesi era esplosa. Non si erano mai sentiti tanto vulnerabili.

L’arrivo di Peach li distrasse.

-Draco Malfoy attende nell’ingresso, padroni-.

I due si scambiarono un’occhiata sorpresa.

Fu Rod a parlare.

-Fallo entrare-.

L’elfa scomparve.

Pochi secondi dopo, il giovane entrò nel salotto del Maniero.

-Ciao Bellatrix, ciao Rodolphus- salutò, cordiale.

-Ciao Draco- rispose la donna; Rod alzò la mano in segno di saluto.

-Scusate la mia improvvisata-.

-Ma figurati. Vuoi qualcosa da bere?-.

Ma il ragazzo non la stava ascoltando; era troppo impegnato ad osservare la bambina che teneva gli occhi ostinatamente aperti, rifiutandosi di dormire.

-È… è bellissima- disse, con voce fioca.

-Già- mormorò sua zia.

Poi Draco guardò negli occhi la donna.

-Lo farò. Sarò il padrino-.

 

NdA

Sì, sono sempre io. Ci tenevo a dire queste due paroline.

Come sicuramente saprete, mancano solo due giorni all’uscita dell’ultimo film di una saga che ci ha fatto sognare, divertire, piangere, commuovere. Io sono ufficialmente in depressione (a dire la verità, lo sono da circa dieci giorni).

Spero che tutte/i voi ricorderete Harry e gli altri per sempre.

E ricordate: è la fine di un’era, ma l’inizio di una leggenda.

Vi voglio bene.

Marta.  

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Capitolo 14
*** Attesa e Polisucco ***


Ragazze, perdonate questo piccolo ritardo, ma ieri sera sono rientrata parecchio tardi e non avevo nemmeno la forza di schiacciare il bottone di accensione del computer.

Posso finalmente affermare che questo è il penultimo capitolo. Poi ci saranno l’ultimo e l’epilogo. In effetti sono un pochino triste per la fine di questa fanfiction che mi ha introdotto nel mondo di Efp per la prima volta. Che mi ha fatto ricevere le mie prime recensioni, e tutto il resto. Devo dire che per essere la prima fanfiction che scrivo, sono davvero entusiasta. Questo però non sarebbe stato possibile senza di voi. (Lo sto facendo davvero. Non state sognando. Lo so, sembra il discorso di un’attrice che vince l’Oscar). Ci tengo a ringraziarvi ancora, per tutto il supporto che continuate a darmi, per i complimenti, i chiarimenti e la vostra disponibilità. Davvero, non potevo avere lettrici migliori di voi, e vi devo tanto.

Per cui, (Lo sto facendo davvero! E non è nemmeno l’ultimo capitolo!), grazie infinite di tutto e, finalmente,

buona lettura!

Un abbraccio,

Marta.

 

 

 

 

 

 

ATTESA E POLISUCCO

 

Al tramonto, Lestrange Manor era di nuovo immerso nel silenzio.

Nessun tipo di suono penetrava tra quelle mura spesse ed antiche; tutti i rumori erano come ovattati dall’ansia che, alcune ore prima, si era insinuata nella villa. Era ansia, o forse era qualcosa di più. Qualcosa che entrambi i padroni di casa non volevano ammettere a loro stessi. Paura.

Perché loro non avevano mai paura.

O almeno fino ad ora.

L’ipotesi di lasciare quella casa sicura, di lasciare Evie, e di non tornare, aveva fatto sì che entrambi si chiudessero in un silenzio meditabondo e depresso.

Bellatrix si era ritirata nella biblioteca con la bambina tra le braccia.

Era troppo.

Si era appena ripresa dal parto, si era appena abituata all’idea di avere una creatura così fragile ed indifesa tra le braccia. Non poteva accettare anche l’eventualità di una morte imminente. La sua.

Perché sapeva che non poteva andare tutto bene; era da stupidi pensarlo.

Sbuffando, rovistò in una tasca della veste che indossava.

La fiala blu luccicò nella penombra della stanza.

Con una sola mano riuscì a stapparla.

Ne bevve un sorso scarso; non aveva un buon sapore.

Rodolphus si era ritirato nel suo studio per calcolare. Così aveva detto.

Come se i suoi dannati calcoli avessero potuto salvare loro la vita. Come se avessero potuto garantire a Evie una vita normale, senza guerra e magari con entrambi i genitori.

Bella si sentiva a pezzi; era davvero difficile starsene lì, seduta su quello stupido divano imbottito, aspettando che il marchio iniziasse a bruciare.

Gli Horcrux erano al sicuro. O almeno lo era quello nella sua camera blindata.

Aveva contattato i folletti per assicurarsi che non fosse stato prelevato nulla.

Allora cosa poteva spingere il Signore Oscuro ad attaccare? Ma soprattutto, dove voleva attaccare? Insomma, era impossibile che tutti i loro nemici si riunissero in un unico luogo nell’attesa di venire ammazzati.

Come faceva ad esserne così sicuro…?

Poi un pensiero strisciò nella mente della strega.

Hogwarts.

Quale luogo migliore per una battaglia in grande stile? Ma certo.

La donna si alzò e depositò la piccola nella culla che aveva fatto portare da Peach. Si accasciò nuovamente sul divanetto e prese a massaggiarsi le tempie.

Rod continuava a starsene chiuso in quella ridicola stanza, con quei suoi assurdi conti.

Dei due, lui era quello che pensava. Lei quella che agiva.

Era per quello che era necessario che stessero insieme: separati, molto probabilmente non sarebbero durati a lungo. Lei avrebbe fatto qualcosa di stupido; lui invece si sarebbe fatto prendere alla sprovvista. Ecco perché non potevano fare a meno l’uno dell’altra.

Però certe volte, la riccia, trovava estremamente irritante dover stare da sola, agognando il momento in cui il marito sarebbe riemerso dai suoi calcoli e dai suoi pensieri, e si sarebbe detto pronto.

Non che lei lo fosse, questo era chiaro.

Non una fibra del suo corpo si sentiva pronta ad affrontare quello che c’era là fuori e che, ormai, era scivolato silenziosamente nel Maniero, gettando un’ombra sinistra su qualsiasi cosa.

Più che sicurezza, il suo era ardente desiderio di porre fine a tutto: la guerra, la morte, il clima di terrore. Tutte cose che non promettevano di costruire un buon futuro a sua figlia.

Le dita della donna si spostarono dalle tempie alle palpebre.

Perfino quelle erano stanche.

Fosse stato per lei, si sarebbe Smaterializzata ad Hogwarts e avrebbe dichiarato guerra.

Ma doveva aspettare. Sempre aspettare.

Aveva dovuto aspettare per finire la scuola; per sposarsi; per entrare nelle schiere dell’Oscuro; per essere processata; per evadere; per avere finalmente sua figlia tra le braccia.

La sua vita era sempre stata un’enorme attesa.

Per cosa poi?

Evie.

Certo, Evie era vitale, ormai. E le stava dando tanta felicità.

Ma era un po’ come indorare la pozione. Insomma, non poteva essere completamente felice, se intorno a lei giravano dozzine di minacce per sua figlia, suo marito e sé stessa.

-Tesoro-.

Si voltò appena, scorgendo con la coda dell’occhio il profilo del marito.

-Oh. Sei vivo-.

I passi pesanti segnalarono che l’uomo stava entrando nella stanza.

Ora era dietro al divanetto dove lei era seduta. Avvertì le sue grandi mani appoggiarsi allo schienale.

-Cos’hai?- sospirò.

Lei non gli rispose subito. Stava ancora aspettando che quelle mani le sfiorassero le spalle. Aspettava, tanto per cambiare, un gesto che la tranquillizzasse, che le dicesse che andava tutto bene.

Ma non avvertì i polpastrelli del mago accarezzarle delicatamente le scapole, né tanto meno il collo o la schiena. Le sentiva arenate sulla stoffa, tese. Non era un bel segno. -Siamo messi così male?-.

Anche lui si prese del tempo per rispondere.

Lo sentì respirare profondamente, come per cercare di calmarsi.

-Non siamo in una bella situazione- ammise.

Toccò a lei respirare a fondo.

Annuì.

Lui continuò: -Innanzitutto, non abbiamo nessuno a cui lasciare Evie-.

L’ovvietà di quella affermazione colpì Bellatrix come un pugno nello stomaco. Aveva pensato solo a salvare sé stessa e Rod per Evie. Ma non aveva mai riflettuto su come salvare Evie.

-Ho pensato a mia cugina- proseguì l’uomo. -Ma sai meglio di me quanto quella assolutamente smemorata. Sarebbe capace di dimenticare Evie da qualche parte-.

Lei annuì di nuovo.

-Mi è venuta in mente anche…- deglutì. -Andromeda. Ma non credo che…-.

-No, lei non può- lo interruppe. -E non perché non lo farebbe. Solo che ha già il figlio di mia cugina a cui badare-.

Rodolphus annuì a sua volta.

-Quindi non rimangono molte altre opzioni. L’unica è Peach. Ma… non è che non mi fidi di lei. È solo che Evie è piccola, troppo piccola-.

Il respiro di Bellatrix si interruppe per un istante, mentre un’idea folle s’insinuava dentro di lei.

Era completamente folle.

-Angelique-.

-Chi?-.

La donna si mosse appena sul divano. -Te la ricordi? È venuta qui chiedendo di poter fare da madrina ad Evie-.

Lui aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare.

-Ah, sì!- esclamò, quando il viso della donna riaffiorò nella sua testa. -Mora, piuttosto bassa, e con gli occhi a palla?-.

Incredibilmente, la riccia ridacchiò. Il tono leggero con cui il mago aveva parlato l’aveva divertita e, per un attimo, solo un istante, si dimenticò della situazione drammatica che li circondava come un serpente che si prepara a divorare la sua preda. -Dai, non essere cattivo! L’hai descritta come se fosse un mostro!-.

-Ma è così!-.

-Bugiardo. Ha gli occhi grandi, non a palla. E sarà più bassa di me solo di qualche centimetro-.

-Sì, una trentina-.

-Oh, taci-.

Anche lui rise piano.

-La contatti tu?-.

Lei annuì. -Le scriverò dopo cena. Credo che sarà entusiasta. Ha sempre amato i bambini. E poi questa è la figlia di Bellatrix Black- sbuffò. -Probabilmente domattina sarà già qui-.

-Bene. Evie è sistemata allora. In teoria-.

Bellatrix si costrinse a porre la domanda che le frullava in testa ormai da ore.

-E… noi?- azzardò. -Noi come siamo… sistemati?-.

-Questo si vedrà solo domani. Se sopravvivremo, saremo sistemati benissimo-.

-Quindi combatteremo fino all’ultimo. Fin proprio alla fine-.

-Pare di sì- sospirò lui.

Le mani di Rodolphus si posarono finalmente sulle spalle della strega. Ma perché ora non suonava come un gesto di consolazione?

-Ho paura- mormorò la donna, in uno sbuffo di fiato appena udibile.

Il mago parve spiazzato.

Fece il giro del divanetto per poi prendere posto in fianco alla moglie; prima di parlare lanciò un’occhiata alla culla, come se la vista della sua bambina potesse infondergli coraggio.

-Bella…- esordì, la voce insicura malgrado tutti i suoi sforzi di dominarla. -Non è un bel momento per noi, lo ammetto. Non lo è per tutta la comunità magica, che siano nostri alleati oppure nostri nemici. Ma ne usciremo. Ci siamo già passati, ricordi?-.

Lei sbuffò sonoramente. -Sì, e siamo rimasti a marcire in una cella per quattordici anni-. Lo fissò negli occhi e continuò: -Rod, adesso è diverso: abbiamo una figlia. Nostra figlia. E dobbiamo occuparci di lei. Come faremo a prenderci cura di Evie da Azkaban?-.

Tacquero entrambi.

Poi lui sembrò riprendersi e si inginocchiò davanti alla riccia, che fissava ostinatamente le proprie mani strette in grembo.

-Bella- ripeté, la voce molto più ferma. -Non mi importa quello che dovremo fare. Dovremo combattere? Combatteremo. Ma non intendo rinunciare in partenza. Siamo i coniugi Lestrange; e tu sei una Black, per Morgana!- aggiunse con un mezzo sorriso. Bellatrix emise uno verso a metà tra una risata ed un latrato. Tipicamente Black. -Non dobbiamo avere paura. Perché noi vinciamo. Sempre-.

La strega lo fissò, rapita, in attesa che continuasse.

-È vero- concesse lui. -Siamo finiti in prigione. Ma ora siamo qui, no? Più felici di prima, più innamorati di prima. E abbiamo una figlia. Siamo più forti. E, ti giuro, non permetterei ad anima viva o morta di strapparci questa felicità. La nostra serenità sarà il mio unico scopo in questa guerra. Combatterò solo per noi-.

-Io ti amo- continuò. -E amo Evie. Farò qualsiasi cosa per salvare la nostra famiglia, te lo prometto, Bella-.

Non appena ebbe finito di parlare, Rodolphus si ritrovò le braccia della moglie strette intorno al collo. E rimase di sasso.

L’aveva abbracciato pochissime volte; aveva sempre detto che l’abbraccio per lei era qualcosa di ancora più intenso di un bacio.

Superato il piccolo shock iniziale, prese ad accarezzarle la chioma ribelle che anni e anni addietro lo aveva stregato.

-Ti amo anch’io- mormorò lei contro la spalla del marito. -Tu non hai idea di quanto ami te e nostra figlia-.

Quando si separarono, Bellatrix aveva gli occhi appena lucidi; quando parlò, la sua voce era ferma.

-Vado a scrivere ad Angelique-.

Lui annuì e, dopo aver incantato la culla, la sospinse dolcemente nella sala da pranzo dove, di lì a poco, i Lestrange avrebbero cenato.

La mora invece imboccò la rampa di scale e i due corridoi che portavano all’ufficio del marito. Una volta dentro, afferrò una pergamena e una piuma grigio perla e iniziò a scrivere la lettera.

Cercò di essere il più gentile possibile.

Scrisse tanti "per favore" ed alcuni "ti sarei davvero grata". Quand’ebbe finito di stendere una richiesta quasi implorante, si scoprì soddisfatta. Perfino lei, se avesse ricevuto una lettera del genere, si sarebbe commossa ed avrebbe immediatamente risposto di sì.

Il tocco di classe fu un appunto che lasciò immediatamente sotto alla firma:


Mi dispiace molto per come ti ho trattata quando sei venuta qui al Maniero. Ti assicuro che la tua visita mi ha fatto molto piacere, ma era in preda a una di quelle crisi di isteria da gravidanza.


Geniale.

Stava anche per aggiungere "Tu saprai di cosa sto parlando", ma poi si ricordò che Angelique non aveva mai avuto figli perché sterile. Si mordicchiò il labbro inferiore ringraziando Salazar per non averlo scritto.

Sigillò la busta con il logo dei Lestrange e la consegnò al gufo, svegliandolo dal torpore.

-Ad Angelique Abrams- ordinò con voce piatta.

Quello spiccò il volo, perdendosi nella luce aranciata del tramonto infuocato nello Yorkshire.

=======================================================================

Le ore erano trascorse con una velocità sconvolgente.

La notte era passata con rapidità allarmante e il pranzo era stato consumato con scarso entusiasmo dai coniugi.

Il pendolo batté senza pietà le tre.

-Manca poco al tramonto- soffiò Bellatrix, fissando la finestra della biblioteca; tra le braccia stringeva quasi convulsamente Evie, che sonnecchiava.

Doveva ancora capire come venti ore erano potute sfuggirle così di mano, senza che lei se ne accorgesse.

La sera prima, dopo aver spedito la lettera ad Angelique, era tornata al piano terra per allattare la bambina e cenare con il marito. Poi erano andati a dormire.

Quella mattina, ad attendere la famiglia sul tavolo della colazione, puntuale come un orologio elfico, la lettera in risposta della Abrams faceva bella mostra di sé.

Inutile dire che la risposta era positiva.

La pazza aveva scritto almeno undici "Sì" e una ventina di "Non preoccuparti per l’altra volta". Oltre ad un centinaio di cuoricini intorno alla firma.

E poi cos’era successo?

Era andata nel giardino del Manor con la carrozzina per far prendere una po’ d’aria fresca alla bambina (non prima di averla coperta per bene).

Erano già le tre. E quattro minuti.

-Lo so- giunse la risposta smorzata di Rodolphus.

-Il tuo marchio brucia?-.

Attimo di silenzio.

-No. E il tuo?-.

-Nemmeno-.

Di nuovo silenzio. Un silenzio assordante, perché troppo carico di tensione. Premeva forte sui timpani, come quando si è sott’acqua

 *

-Rod!-.

Un’esclamazione acuta; un grido quasi, pieno di terrore. Un suono che l’uomo mai avrebbe immaginato di sentire da sua moglie.

Angelique lo guardava curiosa.

-Scusami un attimo- mormorò, interrompendo le istruzioni che stava impartendo alla donna su come prendersi cura di Evie mentre loro erano via.

Via.

Come se fossero in procinto di raggiungere i loro amici al bar.

Quali amici? Quale bar?

C’era solo il lavoro, sporco lavoro. E guerra. Colleghi e guerra. Che magnifica serata romantica.

La donna lo fissò annuendo e raggiunse la culla dove Evie dormiva beata, ignara di tutto.

-Fai pure con calma, Rodolphus- cinguettò. -Credo di aver capito tutto su come comportarmi con questa piccolina- sorrise, fissandola mentre muoveva la manina nel sonno.

Toccò a lui annuire e lasciare il salotto per raggiungere la moglie nella loro camera da letto.

-Cosa c’è…?-. La voce gli morì in gola.

Bellatrix era inginocchiata, in lacrime, lacrime di rabbia, mentre si teneva l’avambraccio con forza.

-No… non è possibile…- farfugliava, sfregandosi furiosamente il teschio sulla pelle candida.

-Bella- gemette lui, raccogliendola dal pavimento.

-No…- singhiozzò lei.

-Che cosa c’è?- insisté lui, scrollandola.

-È arrabbiato- ansimò lei, stringendosi all’uomo. -Potter e i suoi amici hanno distrutto degli Horcrux-.

Lui sbarrò gli occhi. Sapeva cosa voleva dire. Infatti non si stupì quando avvertì il marchio ardere come mai prima d’ora. La sua testa si riempì all’istante di una voce fredda e adirata; la vista si annebbiò.

 

 Stiamo per attaccare. Tenetevi pronti. Foresta Proibita tra dieci minuti. Siate puntuali. 

 

Quando si riprese, Rodolphus trovò ancora sua moglie abbracciata stretta a lui; non stava più piangendo. Più che altro sembrava rassegnata.

-Dobbiamo… dobbiamo andare- mormorò lui, accarezzandole piano i riccioli.

-Sì-.

Si staccò dal mago, si asciugò le poche lacrime e finì di allacciarsi la veste.

-Io sono pronta- disse. -Voglio salutare Evie-.

-Certo-.

Entrambi scesero in salotto con passo svelto; lì trovarono Angelique che cullava la bambina dolcemente. Bellatrix, incredibilmente, provò qualcosa simile alla gratitudine per quella donna.

-State andando?- chiese quella, distogliendo lo sguardo dalla piccola.

Fu la riccia a rispondere, la voce inaspettatamente ferma. -Sì-.

-Io… auguri. Qualsiasi cosa dobbiate fare- sussurrò la Abrams, improvvisamente seria, quasi cupa.

Naturalmente sapeva perfettamente cosa dovevano fare, perché era risaputo da che parte stavano i Lestrange. Ma né lei né loro avevano fatto riferimenti alla guerra.

Di nuovo la mora ringraziò mentalmente Angelique per la sua indiscrezione.

Sembrava impossibile che fosse davvero la donna che era piombata al Maniero mesi prima.

Come se avesse letto i pensieri di Bellatrix, le tese la bambina.

Lei la prese dolcemente tra le braccia lievemente tremanti, e le stampò un bacio delicato sulla fronte.

-Ti amo, Evie. Ricordatelo sempre- bisbigliò, a pochi centimetri dal suo piccolo viso paffuto.

Quasi provando un dolore fisico, la mise piano nell’accogliente e gentile stretta del papà, che passò un paio di volte il pollice su una guancia profumata. Poi accostò il viso a quello della piccina e mormorò qualcosa che né Bellatrix né Angelique udirono.

Con estrema lentezza, riconsegnò sua figlia tra le braccia di quest’ultima.

-Mi raccomando- disse grave.

La donna annuì, affidabile.

I coniugi si guardarono.

Come dovevano salutare?

‘Addio’ sembrava troppo tragico e, soprattutto, troppo negativo.

‘A dopo’ era anche peggio. E se non ci fosse stato un dopo?

-Ciao- uscì di bocca ad entrambi, nello stesso istante. Ambedue le bocche si storsero in un sorriso mesto.

-Ciao. E mettetecela tutta-.

-Sì- rispose Bellatrix. -Questo è sicuro-.

Doveva andarsene da lì.

Più stava in quella casa, e più sentiva la determinazione abbandonarla; sembrava che lì dentro tutta l’adrenalina che di solito attanagliava le sue membra, non riuscisse ad avere il sopravvento sulla paura e la razionalità. Quella campana di vetro stava diventando la sua trappola.

Era convinta che, non appena si fosse ricongiunta al resto dell’esercito, sarebbe di sicuro stata meglio.

-Andiamo- soffiò.

Mentre calpestavano l’erba corta del giardino, la donna fissò il marito.

-Hai detto ad Angelique che se si dovesse presentare Draco per prendere Evie è tutto a posto?-.

-Sì- sussurrò lui stancamente.

Fecero ancora qualche passo, poi la strega sembrò ricordarsi di qualcosa.

-Cos’hai detto a Evie quando l’hai salutata?-.

-Che amo lei e la sua mamma più di ogni altra cosa al mondo- rispose lui semplicemente.

Con un piccolo sorriso, Bellatrix prese la mano di Rodolphus.

Così, insieme al suo compagno di una vita, si Smaterializzò nella Foresta Proibita.

*

Aveva ragione. Merlino, se ne aveva!

Già sentendo le risate fragorose di tutte quelle persone esaltate all’idea di una carneficina, si sentiva più sicura di sé, più attiva. Addirittura più spietata.

Ecco perché aveva sempre amato stare al fianco del Signore Oscuro: si sentiva potente.

Si guardò intorno; tra le fronde, si distinguevano appena i contorni di Hogwarts, la scuola che anche lei aveva frequentato. La scuola che, con ogni probabilità, di lì a poco sarebbe stata distrutta.

Pazienza.

-Bella!- la chiamò una voce dalla massa. -Ehi, Bella!-.

Riconobbe la voce accesa di Anita. Anche lei, come gli altri, amava gli scontri aperti. La cosa che più le piaceva era legare le sue vittime con un bel Incarcerarmus e poi infliggere tanti tagli profondi fino a ucciderle. Ora che sapeva della disavventure della donna all’interno delle mura domestiche, poteva capire che quello era un modo per sfogare la rabbia ed il dolore repressi.

-Ciao An- la salutò, non appena vide il groviglio di capelli biondi sbucare dalle decine di Mangiamorte.

-Pronta?- fece quella, lo sguardo acceso di entusiasmo.

-Insomma…- masticò lei. Poi si guardò intorno. -Dov’è Rod?- esclamò con voce lamentosa. -Era qui giusto qualche istante fa…-.

-Oh, è laggiù con Nott. Lo vedi?-.

Bellatrix si voltò nella direzione indicata dalla donna e in effetti vide suo marito impegnato in un dialogo animato con William.

-Cosa vuol dire ‘insomma’?-.

-Come?- chiese la mora, tornando a guardare l’altra.

-Quando ti ho chiesto se sei pronta-.

-Oh, quello… Sono solo un po’ in ansia per Evie, tutto qui-.

-Ah, capisco. Con chi l’hai lasciata?-.

-Con una donna… non la conosci-.

-Affidabile?-.

-Certo-.

Un rumore secco fece ammutolire tutti i presenti, che si voltarono verso un sasso particolarmente grande.

Lord Voldemort era appena arrivato.

E sembrava davvero in collera.

Bellatrix avanzò di qualche passo, lasciandosi Anita alle spalle. Doveva essere in prima fila, era un suo diritto e dovere. Non che facesse la differenza in quel momento. Era più che altro un’abitudine.

-Miei fedeli amici- esordì l’Oscuro, allargando le braccia, compiendo un ammirevole sforzo per mantenere la calma. -Ho solo due parole per voi-.

Tra i Mangiamorte ci furono occhiate d’intesa; i Ghermidori ghignarono e i Licantropi ringhiarono. Da lontano si udì il pesante grugnito di qualche gigante.

Il mago, soddisfatto da quella reazione, proseguì. -Uccideteli tutti-.

Un ruggito collettivo si levò dalla massa, che scattò immediatamente in avanti, avanzando inesorabilmente verso il castello.

Mentre camminava in mezzo agli altri, Bellatrix chiuse gli occhi.

Sei Bellatrix Black. Una Purosangue, una guerriera e una madre. Ammazzali, fallo per Evie e Rod. Vinci.

Dentro la sua testa vorticarono immagini di persone che aveva ucciso o torturato anni prima. Immagini di quando la sua potenza era tale da far rabbrividire tutti gli altri Mangiamorte.

Quando li riaprì, i contorni di ogni cosa sembrarono più nitidi, ed istintivamente un ghigno si dipinse sulle labbra della Mangiamorte. Una strana sensazione, tuttavia a lei familiare, si impadronì della bocca della stomaco. I capelli ribelli fluttuarono nella notte come serpenti pronti a colpire. Gli occhi si assottigliarono e la presa sulla bacchette divenne ferrea.

Era pronta ad uccidere.

In quel momento non sentiva la mancanza di Rodolphus al suo fianco, né l’ansia di non avere Evie sott’occhio. Voleva solo attaccare qualcuno.

Improvvisamente, come uno scoppio di cannone, parole, che sembravano lontane anni luce da quel momento, le riempirono la testa. Ti prego, ti supplico, risparmia mia figlia e suo marito.

Andromeda.

Una fitta al cuore.

Non poteva attaccare chiunque.

E se fossero stati sua nipote o il marito ad attaccarla per primi? Cos’avrebbe dovuto fare? Ignorare gli attacchi, difendersi e basta? O urlargli che aveva promesso a sua sorella di risparmiare loro la vita?

Certo, e poi prenderete un bel tè insieme e diventerai un Auror. Schiva gli attacchi e proteggili da eventuali altri pericoli e basta.

Con la coda dell’occhio vide Anita, che l’aveva affiancata, sguainare la bacchetta e lanciare un incantesimo in avanti.

Confusa, seguì la scia della fattura e vide che si infrangeva su una specie di cupola invisibile. Al di là della cupola c’era Hogwarts. Non si era accorta di essere già arrivata.

Puntò a sua volta la bacchetta verso la scuola e cominciò a recitare formule su formule. La protezione avrebbe ceduto, prima o poi, lo sapeva.

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L’effetto della Pozione Polisucco sarebbe svanito entro pochi minuti.

Non sapeva per quale diavolo di motivo l’aveva fatto. Non gliene era mai importato nulla dei Lestrange. Eppure, quando era a casa della sua insegnante di pianoforte, Angelique Abrams e aveva visto la lettera di Bellatrix Black che implorava aiuto per la sua bambina, non aveva potuto fare altro. La Abrams era un’idiota bella e buona. D’accordo, con il pianoforte se la cavava, ma sapeva fare solo quello. Figurarsi a badare ad una bambina di pochi giorni! Come minimo l’avrebbe fatta cadere dopo qualche attimo. Così aveva aspettato che Angelique rispondesse alla lettera e, con la scusa di andare in bagno, si era intrufolata nell’armadio delle Pozioni. Era sicura che avrebbe trovato la Polisucco, perché il signor Abrams era stato un abile pozionista.

Allora era tornata indietro e, dopo aver schiantato ed addormentato la donna, le aveva strappato qualche capello e lo aveva messo nella Polisucco. Era ancora troppo presto per berlo, la lettera chiedeva di andare verso le otto di sera.

Aveva messo la signora Abrams sul suo letto e, per essere certa che non avrebbe creato problemi, l’aveva legata - non troppo stretta - e si era assicurata che la quantità di Pozione Dormiente fosse sufficiente.

La falsa Angelique passeggiò avanti e indietro per il salotto, controllando di tanto in tanto che la bambina stesse ancora dormendo.

Amava i bambini. E quella era la cuginetta di Draco, dopotutto!

Non era così strano che se ne prendesse cura.

Sapeva che con la scuola era in un mare di guai: aveva avuto un permesso dal Preside solo per la mattina. Ora era sera ormai. Forse il fatto che sua madre conoscesse i Carrow, anzi, forse il fatto che i Carrow temessero sua madre era un bene; non l’avrebbero disturbata. Non quella sera almeno. Quella sera si combatteva.

L’aveva capito dagli sguardi nervosi dei Lestrange.

Senz’altro anche sua madre era in battaglia. E anche suo… padre, se proprio doveva chiamarlo così. Se fosse morto non le sarebbe dispiaciuto tanto, davvero.

L’impostora, se così meritava di essere chiamata, risalì di nuovo il salotto e si arrestò davanti allo specchio.

Ecco che il suo corpo si alzava; i capelli si allungarono e si schiarirono in egual misura: da corti e neri a lunghi e biondissimi. Gli occhi si tramutarono da cioccolato a ghiaccio. Il naso a patata tornò ad essere fine ed impercettibilmente all’insù. Le rughe sparirono.

Astoria Greengrass osservò la sua immagine riflessa restituirle la stessa espressione preoccupata che deturpava la bellezza disarmante di quel viso.

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L’enorme Sortilegio Scudo era saltato.

Non si poteva negare che uno dei potenti incantesimi di Bellatrix aveva fatto la differenza.

Erano dentro.

I detriti giacevano ai loro piedi, mentre Auror, Mangiamorte e perfino studenti, combattevano con ferocia.

Il cuore della mora perse un battito quando i suoi occhi color pece individuarono una ragazzina riversa su un fianco, in una pozza di sangue. Uno dei Licantropi, senza dubbio.

E poi la vide.

Sua nipote. Ninfadora Tonks.

Scendeva i gradini a due a due. Quando vide la zia, il suo sguardo tremò appena.

Bellatrix fece appena in tempo a vedere la mano della donna saettare in avanti; subito dopo, dovette schivare una pioggia di luce verde.

Combatteva per uccidere.

Puoi biasimarla, Bella? Hai fatto lo stesso, l’ultima volta.

-STUPIDA!- ruggì la riccia, schivando la seconda maledizione.

L’altra ghignò e divorò gli ultimi tre gradini con un balzo; in poche falcate si portò davanti alla mora.

-Cosa c’è, zietta?- la canzonò. -Hai paura?-.

Bellatrix vedeva l’odio dentro quegli occhi dal colore indefinibile. E lo accettava, lo capiva.

Lo subiva.

-Lascia perdere, Ninfadora- ringhiò la Mangiamorte.

L’Auror di tutta risposta le scagliò un’altra potente fattura. Fu costretta ad usare un Protego per difendersi.

-Sei impazzita?!- esclamò con voce acuta. -Io ti ho attaccata per caso?-.

Ma la strega non la stava ascoltando; piuttosto, sembrava che stesse pensando ad un altro modo per ferirla. O ucciderla.

-Senti- disse Bellatrix, in fretta. -Non ti attaccherò- annunciò, ignorando la vocina dentro di lei che le urlava di andarsene e basta. -Non ucciderò né te, né tuo marito. Ho parlato con Andromeda-.

Più o meno.

Vide il volto della nipote contrarsi come se avesse appena ingoiato un limone.

-Davvero ti aspetti che io ti creda?- chiese quella, quasi scioccata.

-No. Ma non sto scherzando!- ribatté l’altra, esasperata. -Io non ti attacco, tu non mi attacchi. È molto semplice-.

Non le lasciò il tempo di replicare; corse via, inseguendo Kingsley.

Non si era accorta che Remus Lupin era caduto sotto l’Anatema che Uccide di Dolohov.

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La battaglia infuriava intorno a lei, intorno a loro.

Kingsley aveva avuto la meglio su di lei, ferendola lievemente. Aveva approfittato della reazione oltraggiata della strega nel constatare che brutto taglio era stato inflitto alla sua veste per fuggire.

E dopo erano i Serpeverde i codardi.

Guardandosi intorno, vide Anita battersi con una donna mora a lei sconosciuta.

La bionda la legò e quella cadde per terra.

-Ben fatto!- le gridò la riccia.

-Grazie!- rispose quella, estasiata.

Interruppe la sua opera, fissando il vuoto per qualche istante, meditabonda. Guardò la sua alleata, la sua nemica e di nuovo la sua ex migliore amica.

Decise che poteva lasciare lì un attimo la sua vittima e raggiunse Bellatrix. -So che non te ne importa niente- esordì. -E so anche che il momento non è dei più opportuni. Ma te lo devo dire, dato che in una battaglia non sai mai se ne esci vivo oppure no-.

L’altra rimase in silenzio.

-Ma mi dispiace davvero per quello che ho fatto. Ho passato intere notti a sentirmi uno schifo perché avevo tradito la fiducia dell’unica persona che è stata disposta a volermi bene. Voglio essere sincera con te: se potessi tornare indietro non sono sicura che non lo rifarei. Perché Merlino solo sa quanto tenga alle mie figlie. Ma ti posso assicurare che prima cercherei di ammazzare Marcus in tutti i modi possibili, prima di uccidere la tua fiducia nei miei confronti. Mi dispiace per tutto. Sono un mostro, lo so-.

Bella rimase in silenzio per qualche istante.

Aveva aspettato quelle parole per mesi. Erano esattamente le cose che voleva sentirsi dire. Verità e sincerità, niente di che.

-No, non lo sei- disse infine, parlando lentamente. -Io stessa avrei fatto lo stesso. Ho una figlia adesso, quindi capisco quanto possa essere profondo il tuo amore-. Fece una pausa. -E ti perdono, An. Ti perdono per tutto-.

Vide la bocca della bionda stirarsi in un sorriso perfetto, così fuori luogo in quel luogo di sangue e morte, ma così ugualmente bello. Fece un passo aventi; gongolava.

-Oh, Bella, non sai quanto ho aspettato questo momento! Io non credevo che…-.

Le pupille della donna si dilatarono, mentre i bulbi oculari sembravano voler schizzare fuori dalle orbite; le mani artigliarono l’aria, e la bacchetta cadde, il rumore provocato dal legno contro la pietra completamente coperto dal fracasso della battaglia. Il sorriso euforico si congelò, trasformandosi in una smorfia sinistra. Bellatrix fece appena in tempo a vedere il bagliore verde spegnersi dietro l’amica, prima che il corpo inerme di Anita Greengrass le crollasse addosso.

 

                                                                      *

 

 

NdA

Ecco, e questo è il capitolo. Spero che vi sia piaciuto.

Volevo porvi una piccola domanda: avete visto Harry Potter e i Doni della Morte - Parte II? Vi è piaciuto? Io sono andata il 13 e… sono ancora qui con gli occhi lucidi:)

Grazie per aver letto il capitolo e, mi rivolgo alle lettrici silenziose, recensite se vi va:)

Un bacione! 

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Capitolo 15
*** La fine ***


Io non so proprio cosa dire.

In teoria sarei dovuta tornare e dirvi "grazie per avermi aspettata, bla, bla, bla". Certo, se vi avessi detto che sarei mancata per più di un mese causa partenza per le vacanze.

E avrei dovuto farlo, era tutto organizzato.

Ma, naturalmente, ho postato il capitolo sbagliato, o meglio, quello senza l’avviso in fondo.

Oh, si, sono proprio un’idiota. Scusatemi tanto, davvero. Non so cos’altro dire, perché ormai è fatta.

Non ho parole. Si può essere più sfigate? Oddio, spero possiate perdonarmi.

Povera me!

Con la speranza che il capitolo vi piaccia, e che mi perdoniate,

un abbraccio.

Marta.

 

 

 

 

LA FINE

 

Capelli.

Ecco cosa sentiva sotto le dita.

Una massa di capelli morbidi, lisci, fluidi. Leggermente impolverati per le esplosioni che facevano volare calcinacci nell’aria.

Avrebbe voluto vedere di che colore erano i capelli, ma aveva troppe lacrime negli occhi per riuscirci.

Una mano continuava ad accarezzare quella chioma che, ne era quasi certa, era bionda, mentre l’altra sorreggeva una schiena fragile come la creta.

Finalmente il suo sguardo non era più appannato. Sentì delle scie bagnate sulle guance, ma non vi badò.

Bellatrix si alzò in piedi lentamente, facendo attenzione a non far sbattere la testa della donna bionda - ora ne era certa - che aveva tra le braccia. La posizionò per terra con tutta la delicatezza di cui era capace; come quando metteva Evie nella culla.

Da morta, Anita Greengrass sembrava molto più piccola e giovane. Sembrava quasi una ragazzina, se non fosse stato per le piccole rughe che ormai si erano imposte nel contorno occhi.

Erano passati pochi secondi da quando il corpo le era finito addosso ed insieme erano capitolate per terra, eppure le parevano ore.

Poi, improvvisa come un lampo, la furia più cieca si impossessò della Mangiamorte.

La vista si colorò di rosso, mentre gli occhi neri scrutavano lo spazio davanti a sé.

Doveva trovare chi aveva ucciso Anita. Fosse nemico, amico, Lord Voldemort in persona, doveva essere punito.

Fu allora che lo vide. Terribilmente soddisfatto.

No, non poteva essere vero. Era un’evidenza troppo agghiacciante per poter essere presa in considerazione.

Eppure, il ghigno maligno che storpiava le labbra sottili, la bacchetta ancora tesa, erano segni chiari.

-Come hai potuto?- gli ringhiò Bellatrix, estraendo la bacchetta a sua volta, la rabbia che cresceva sempre di più. Non ricordava di essere mai stata così furiosa in tutta la sua vita.

-Cosa ti importa?- sghignazzò lui di rimando.

Sentì il sangue pomparle nelle orecchie, rendendo i suoni più ovattati e confusi.

-È la mia migliore amica!-.

-Era- sottolineò l’uomo con espressione compiaciuta.

-Si può sapere per quale cazzo di motivo l’hai fatto?- urlò lei, fuori di sé.

-Era solo una sgualdrina capricciosa ed insoddisfatta-.

Lo fissò a lungo, disgustata e furibonda.

-Tu lo sai che stai per morire, vero?- gli chiese poi, con tono carezzevole.

-Ah si?-. L’uomo non sembrava allarmato, né tanto meno sorpreso. -E per quale motivo?-.

-Hai appena ucciso tua moglie-.

Marcus sorrise, beffardo. -Lo so. Erano mesi che aspettavo questo momento. Ma che dico mesi? Anni!-.

-Lei ti odiava-.

-Anche io la odiavo-.

-E allora perché non vi siete lasciati?-. Bellatrix stava prendendo tempo; cercava di essere il più lucida possibile, per non correre rischi. Non poteva sbagliare bersaglio.

-Scherzi? Con quelle chiappe mi faceva fare sempre bella figura- rise il mago. -Ma ultimamente non faceva altro che piangere, dirmi che sono stato lo sbaglio più grande della sua vita, eccetera. Mi aveva stancato-.

Bellatrix respirò profondamente.

-Anche tu mi hai stancato- gli disse, prima di puntargli contro la bacchetta. -Avada Kedavra- mormorò con voce cupa.

Marcus Greengrass cadde come un sacco vuoto, gli occhi a fissare il nulla.

Complimenti, Bella. Quello era dalla nostra parte.

Chissenefrega. Quello era uno stronzo.

Lanciò un ultimo sguardo al cadavere della sua amica.

Si asciugò le scie delle uniche due lacrime che aveva versato; Anita valeva molte più lacrime, ma doveva rimanere concentrata.

Si allontanò da lì, cercando Rod tra la folla.

Lo vide combattere egregiamente contro un Auror dai folti capelli grigi; non aveva idea di chi fosse.

Lo Schiantesimo di Minerva McGranitt la colpì di striscio.

No, professoressa. Hai scelto il momento peggiore per attaccarmi.

Si voltò fulminea e lo scontro iniziò.

Bellatrix scoprì ben presto che la donna aveva utilizzato lo Schiantesimo solo per attirare la sua attenzione; gli incantesimi, le fatture e le maledizioni che volarono dopo, lasciavano facilmente capire che combatteva per uccidere.

-Devi odiarmi parecchio- ghignò la riccia, parando senza sforzo un’altra fattura della professoressa.

Quella assottigliò gli occhi, in una smorfia di rabbia e disgusto molto simile a quella che lei aveva rivolto a Marcus pochi minuti prima.

-Certo che ti odio- sputò, evitando con facilità la maledizione che la Mangiamorte aveva appena scagliato. -Hai ucciso tua nipote! Non ti fai schifo da sola?-.

Il ghigno di Bellatrix si congelò, e il terrore che l’aveva pervasa solo un’ora prima a casa, tornò a farsi vivo dolorosamente.

-Cosa?- scattò.

Il disprezzo sul viso dell’altra crebbe, oltre ogni misura.

-E ci scherzi anche!- sbraitò, gli occhi umidi.

La mora sferzò l’aria con la bacchetta, fermando un altro attacco della strega e approfittando per parlare.

-Come sarebbe a dire ‘mia nipote’?-.

La McGranitt tirò su col naso prima di rispondere, il braccio destro teso in avanti pronto a colpire.

-Ninfadora Tonks!- gridò, addolorata. -Tua nipote, quella che è appena diventata mamma, quella che tu hai ucciso!-.

-È… è morta?-.

-Non fare finta di niente!- ululò l’altra. -L’hai ammazzata! Lo so! Dora mi ha detto che tu l’hai sempre odiata!-.

-Non l’ho uccisa io- mormorò Bellatrix, mesta, lasciando cadere il braccio che reggeva la sua unica arma.

Vide il volto della professoressa impallidire di rabbia. -Sei la persona più vigliacca che io abbia mai conosciuto. Dopo Severus Piton, è chiaro- commentò velenosa.

Fu un attimo.

Per l’età che aveva, la McGranitt fu straordinariamente abile e velocissima: un attimo prima stava guardando la nemica con odio, quello dopo aveva mosso la bacchetta ed un profondo taglio si era aperto sul ventre della riccia, che annaspò.

-Tu e il resto dei Mangiamorte dovete andarvene da questo castello- fu tutto quello che disse la donna, prima di allontanarsi.

 

Faceva male.

Merlino se ne faceva.

La pietra sotto di lei era ghiacciata, e questo, stranamente, le stava dando sollievo.

Sì, perché il sangue che le stava imbrattando la veste sul davanti era caldo, bollente.

La battaglia continuava, dura, spietata, letale.

Da terra, riusciva incredibilmente a tenere d’occhio molti più duelli.

Vide una ragazzina dai capelli color caramello ed un esagerato fiocco rosa, venire atterrata da Greyback; quello, pochi istanti dopo si avventò sul suo collo. Disturbata dalla visione, distolse lo sguardo.

Anita era morta.

Sua nipote era morta.

E il marito di Ninfadora era vivo almeno?

E Rodolphus? Da quanto tempo era che non lo vedeva?

-Bellatrix-.

Oh, no, Salazar. Perché mi odi così tanto?

-Lucius- disse lei a fatica, con voce che, sperava, suonò gelida.

Con la coda dell’occhio vide il biondo inginocchiarsi accanto a lei.

-Vuoi finirmi?- disse, ridacchiando.

-Sei folle- mormorò lui.

Poi lo udì sussurrare qualcosa di incomprensibile. Sembrava sanscrito.

Il dolore allo stomaco diminuì un poco alla volta, fino a diventare un ricordo.

Si alzò a sedere, fissando Malfoy.

-Perché?- chiese, confusa e leggermente irritata.

-Mi sono comportato già abbastanza male con te. Ero in debito-.

-Ma io continuerò ad odiarti, lo sai vero?-.

Lucius annuì, ma con un mezzo sorriso.

-Devo andare- disse poi, rialzandosi.

-Grazie!- gli urlò dietro. Quello le fece un segno con la mano.

=======================================================================

Era strano.

Combatteva da anni, ormai.

Eppure dov’era quella sua solita smaniosa voglia di uccidere? Perché aveva ucciso solo Marcus? Aveva ferito, sì. Ma non ucciso. Per quale motivo?

Ma che ti prende?, si chiese rabbiosamente.

Il Signore Oscuro aveva ordinato loro di ritirarsi nella Foresta Proibita e ora, l’immenso esercito di Voldemort, che ormai era diventato solo grande, era pervaso da un intenso cicaleccio.

Anche Rodolphus era stato ferito, anche se in modo lieve.

Narcissa si era solo strappata il vestito di seta.

Ne erano morti tanti, da entrambe le fazioni, e ora i superstiti erano stanchi.

-Mio Signore- tentò Yaxley, -forse dovremmo sospendere l’attacco e riprenderlo in un altro momento, quando meno se lo aspettano-.

Il mago lo mise a tacere. Per sempre.

Tutti tacquero all’istante, per paura di essere i prossimi.

E Bellatrix pensava, completamente estranea quello che era appena successo a poco più di due metri da lei.

Pensava che se il maledetto Potter si fosse consegnato immediatamente, avrebbero concluso la cosa in fretta e lei e Rod sarebbero potuti tornare a casa in fretta.

Pensava anche che non era riuscita a salvare la vita a sua nipote. E nemmeno al marito di lei. Li aveva visti, i corpi, mentre tornava nella foresta con gli altri. Erano stati messi vicini l’uno all’altra, le mani quasi a toccarsi.

Non poté fare a meno di domandarsi cosa avrebbero fatto i Mangiamorte se lei e Rod fossero morti. Sarebbero stati così comprensivi e profondi?

La risposta la conosceva già.

Non c’era tempo per la compassione, per i sentimenti, per i ricordi.

Le era bastato vedere come Voldemort aveva trattato i cadaveri dei guerrieri caduti per la sua causa.

Li aveva guardati con scarso interesse; poi aveva stretto le labbra e aveva mormorato: -Peccato-.

Aveva fatto lo stesso con Anita. Per Marcus aveva addirittura scosso la testa, in un’espressione che doveva essere triste, ma che invece risultava infastidita. Lo indispettiva perdere uomini, significava essere meno potenti.

-Stai bene?- le sussurrò Rod all’orecchio.

Lei annuì. -Spero solo che il ragazzo si consegni-.

Toccò a lui annuire. -Mi dispiace per Anita. E anche per tua nipote e suo marito-.

-A me dispiace per Anita e Andromeda. Sarei un’ipocrita se dicessi che mi dispiace per Ninfadora e quel Lupin. Non li ho mai conosciuti si può dire-.

Voldemort si arrestò davanti a loro due.

Squadrò la donna con espressione seria.

-Bella, puoi venire un attimo?-.

Quella, sorpresa, lanciò un’occhiata al marito e poi si alzò dal tronco su cui si era seduta.

Seguì il mago per qualche metro, prima che questi si fermasse.

-Ho saputo che sei stata ferita- le disse, senza preamboli.

Lei misurò il tono di voce.

Non sembrava arrabbiato. Piuttosto, di nuovo, infastidito.

-Sì, è vero-.

Maledetto Lucius!

-Non è stato Lucius a dirmelo- sibilò lui. -Dolohov riteneva giusto che lo sapessi. Ha detto anche che eri grave, e che Malfoy ti ha medicata-.

-Non era grave- sbottò lei. -Me la sarei cavata senza problemi-.

Lui annuì, nonostante non fosse affatto un gesto di assenso.

-Non è una cosa positiva questa, Bella- disse lentamente. -Questo conferma la mia teoria: sei cambiata con la gravidanza. Ti sei indebolita. Sei uscita di senno: hai ucciso uno dei nostri e mi hai rifiutato. Che cosa ti prende?-.

La strega rimase scioccata.

-Io non sono cambiata- disse lei, risoluta.

-No?-.

-No- ringhiò.

-Dimostramelo, allora-.

-Come?-.

-Uccidi- rispose lui. -Uccidi Lucius Malfoy-.

Il respiro le si bloccò in gola.

-Ma… mio Signore… non vorrà perdere un altro combattente-.

-Uccidilo-.

-Mio Signore, è il marito di mia sorella-.

-Che ha cercato di separati da tuo marito-.

Di nuovo rimase interdetta. Come faceva a saperlo?

-Non… non posso, Mio Signore. Ferirei mia sorella-.

-Allora uccidi qualcun altro. Dolohov, per esempio. Ha fatto la spia e, per giunta, ha ucciso tua nipote e suo marito-.

-Non mi importa nulla di loro- replicò.

-Lo so, volevo solo trovare una giustificazione plausibile per gli altri. Si faranno delle domande quando lo vedranno morire davanti a loro. Forse dovrei spiegare- la voce del mago suonava incredibilmente divertita.

-Non morirà-.

-Sì, invece- sibilò lui al suo orecchio.

Un sussurrò così diverso da quello che le aveva rivolto poco prima Rod.

L’arrivo di uno dei Ghermidori distrasse Voldemort dalla sua prediletta.

-Di lui non c’è traccia, Mio Signore- balbettò quello, inchinandosi goffamente.

Bellatrix non mascherò la sua rabbia.

-Ne sei sicuro?- chiese aspra, avanzando verso l’uomo, la bacchetta tesa.

-S…sì- fece quello, con voce strozzata.

-Bene. Grazie per i tuoi servigi- mormorò lei. -Avada Kedavra- esclamò poi.

Voldemort la fissava, e così gli altri.

-Spiegate loro questo, Mio Signore- disse lei, tornando dal marito.

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In pochi minuti era accaduta una delle cose più belle della sua vita dopo Evie e il suo matrimonio.

Potter si era consegnato e il suo Signore lo aveva ucciso. Narcissa aveva controllato che il cuore del ragazzo fosse davvero immobile. Poi le urla di gioia, le risate sguaiate e le urla erano scoppiate tra gli alberi.

Bellatrix era al settimo cielo.

Era finita! Era tutto finito!

Lei e Rod ora potevano tornare a casa, dalla loro bambina.

Poi era accaduto l’irreparabile.

Inspiegabilmente, il corpo di Potter era sparito dalle braccia del Mezzogigante, e Nagini era stata uccisa, o meglio, decapitata da Neville Paciock.

Non era ancora finita. Era solo l’inizio.

L’inizio della fine.

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La battaglia aveva raggiunto il suo picco: gli incantesimi venivano urlati con rabbia, violenza e puro odio.

Gli studenti, i professori e gli Auror ora non si facevano scrupoli: era finito il tempo degli incantesimi e delle fatture. Nell’aria c’erano quasi solo Maledizioni. Le più letali, le più dolorose.

Più di una volta Bellatrix dovette schivare un Sectusempra o un Cruciatus. Per non parlare degli Avada Kedavra. Erano addirittura troppi.

Voleva trovare Rodolphus, essere sicura che stesse bene, che fosse vivo.

Ma dove diavolo si era cacciato?

-Black!- si sentì chiamare.

Quando si voltò scoprì con una fitta di delusione che si trattava della ragazza Weasley.

Con una smorfia di rabbia, le lanciò contro una Fattura Pungente, che quella evitò senza sforzo.

-Tutto qui?- la schernì la rossa.

-Lasciami stare- ringhiò Bella, prima di tornare a scrutare la folla. Perché non vedeva suo marito?

-Non vorrai essere talmente codarda da abbandonare un duello?-.

-Taci, stupida ragazzina!-.

Di tutta risposta le arrivò un Anatema che Uccide; dovette evitarlo spostandosi di lato.

Quello colpì Dolohov, rannicchiato a terra urlante, davanti a lui il professor Vitious, compiaciuto.

-Tu non sai…-.

-Chi sei?- completò la Weasley. -Lo so benissimo. Come so che hai ucciso Tonks. Fatti avanti, coraggio!-.

Con un ruggito di ira, Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazza e lo scontro ebbe inizio.

-Crucio!- gridò, mirando al viso della giovane.

Quella parò la Maledizione. Poi urlò: -Impedimenta!-.

-Pietrificus Totalus!-.

La rossa si irrigidì come una statua e la mora ghignò.

Durò poco; un attimo dopo infatti poteva muoversi liberamente.

-Ma cosa…?-.

Due ragazze affiancarono la Weasley: Luna Lovegood, scappata da Malfoy Manor, ed Hermione Granger, la ragazza che aveva torturato tempo prima.

-Oh, e questo è perché i Grifondoro sono coraggiosi, vero?- sbraitò Bellatrix.

Sarebbe stato più difficile uccidere tre persone in poco tempo.

Doveva assolutamente trovare Rod.

-Crucio!- strillò la Granger, rabbiosa.

Parò anche quella Maledizione, leggermente infastidita.

Non era molto impegnativo combattere contro di loro, ed era sicura di eguagliarle. Il difficile arrivava quando attaccavano tutte insieme, sincronizzate. Doveva impegnarsi parecchio per evocare un Sortilegio Scudo abbastanza potente per ripararsi.

La più accanita di tutte rimaneva la rossa, che fendeva l’aria con particolare ferocia.

Bellatrix cominciava ad averne abbastanza; scagliò un Anatema che Uccide all’indirizzo della ragazza, sperando di levarsela di torno.

Ma la mancò.

Maledizione.

-MIA FIGLIA NO, CAGNA(1) !- sbraitò una voce.

Sorpresa, la riccia si guardò intorno; scoppiò a ridere quando vide una signora tarchiata e dal passo instabile avanzare minacciosa contro di lei.

Cosa sperava di fare?

Di difendere sua figlia. Quello che dovresti fare tu!

L’evidenza di quelle parole la colpì come un pugno in pieno stomaco; il sorriso si congelò sulle sue labbra.

Possibile che tutti quegli anni in cui era sempre stata al servizio dell’Oscuro Signore, potessero essere mandati in fumo da una semplice bambina? Poteva Evie aver cancellato tutti i propositi, gli ideali e i progetti di sua madre?

Sì.

E allora dov’era finita quella strega, quella Mangiamorte che tutti temevano?

Che fosse rimasta solo la strega? Possibile che la Mangiamorte fosse svanita, così come sbiadiscono i ricordi di molti anni addietro? Era come se la sua vita da seguace di Voldemort appartenesse a secoli prima, come se fosse rinata.

Ciò voleva dire che Bellatrix era rinata insieme a sua figlia?

L’incantesimo mortale della signora Weasley venne parato con difficoltà dalla riccia.

Mi vuole morta.

Strinse i denti, rabbiosa; non avrebbe permesso a quella donna di privare sua figlia della madre. Mai.

Rispose all’attacco con violenza, usando ogni genere di Maledizione che le passava per la testa. Non poteva perdere: perdere in quel momento, significava perdere per sempre.

Accadde in quel momento.

Credeva che quell’istante non sarebbe mai arrivato. Che sciocca era stata.

Di nuovo.

E ora, ora era totalmente impreparata.

Il fascio di luce verde le sgusciò sotto al braccio, quasi come se fosse un serpente.

Ebbe appena il tempo di richiamare alla mente il ricordo di Rodolphus che stringeva Evie tra le sue braccia, pochi minuti dopo il parto. L’aveva guardata come se fosse stata un angelo. Era estasiato.

Il corpo di Bellatrix Lestrange cadde sul pavimento con grazia, senza il minimo rumore.



Il respiro di Rod si mozzò a quella visione, incespicando nella gola dell’uomo e lasciandolo senza fiato.

Non poteva essere vero.

Doveva aver visto male.

Perché sua moglie non poteva essere morta. Non ora.

Avrebbero dovuto morire insieme, da vecchi, mentre i loro nipoti erano ad Hogwarts. Non ora.

Oh, come avrebbe voluto raggiungerla, stringerla tra le braccia e piangere - sì, piangere, una cosa che non faceva più da quando era in fasce -.

Era quella la fine che si meritavano?

No. Nessuno si meritava una fine del genere.

Era la fine della loro famiglia?

Intravide Potter sbucare da un punto imprecisato. Non si chiese come mai era ancora vivo. Riusciva solo a chiedersi perché sua moglie era morta.

E allora tutti quegli anni insieme, le loro avventure, le loro giornate passate nel giardino del Manor, sotto il sole, lei e il suo pancione non valevano niente? Anche i ricordi di lei che gli faceva forza quando erano chiusi ad Azkaban ora erano intrisi di nostalgia.

Avrebbe preferito essere chiuso in una cella con lei, piuttosto che in un castello senza la sua amata.

Si accorse di essere scivolato per terra quando avvertì il gelo del pavimento di pietra sotto di sé.

L’avrebbero arrestato sicuramente se il Signore Oscuro avesse perso.

Cos’avrebbe potuto fare ad Azkaban, senza la sua Bellatrix e senza la sua bambina? Ed Evie che futuro aveva adesso? Senza una madre…

C’era anche l’alternativa. La peggiore. Poteva farsi uccidere in battaglia.

No. No che non poteva. C’era Evie.

E allora cosa poteva fare?

Prima di poter formulare una risposta, un boato esplose tutto intorno a lui, costringendolo quasi a tapparsi le orecchie. Non capiva cos’era successo.

Quando però vide gli studenti di Hogwarts sciamare verso il centro della Sala Grande, le braccia al cielo e urla di giubilo, comprese che il Signore Oscuro era caduto. Era finita.

La fine era arrivata, allora.

L’aveva temuta a lungo, e ora eccola lì.

La fine.

La fine di tutto.

Chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime sgorgassero dagli occhi copiose, troppo stanco e troppo afflitto per poter anche solo pensare.

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Draco aprì piano la grande porta di legno di Lestrange Manor.

Sapeva che a breve gli Auror lo avrebbero rintracciato, ricoprendolo di chissà quante accuse e colpe. Che lui non aveva.

Superò Peach che, lacrimante, gli chiedeva insistentemente dei suoi padroni.

-Prego signor Malfoy, prego!- supplicò. -Padron Rodolphus e Padrona Bellatrix dove sono?-.

Lui la ignorò, cercando la camera da letto dei suoi zii.

Sapeva che lì avrebbe trovato la signora Abrams con Evie.

Finalmente trovò la porta.

Quando fu dentro la stanza, rimase stranito.

Astoria Greengrass dormiva tranquilla sul letto matrimoniale, la piccola Evie profondamente addormentata tra le sue braccia.

Sentì un groppo in gola quando realizzò che entrambe erano rimaste senza mamma.

Le osservò a lungo, innamorato di quella visione celestiale. Erano meravigliose lì insieme, così pacifiche e così dolci.

Proprio in quel momento, le palpebre della ragazza vibrarono; si stiracchiò appena, poi aprì gli occhi.

Non lo vide, dato che lui era ai piedi del letto e lei girata su un fianco.

La ragazza guardò la piccolina che dormiva contro di lei; sorrise appena e abbassò la testa, fino a sfiorarle la fronte con le labbra.

-Astoria- la chiamò lui, sussurrando.

Lei sobbalzò e si voltò a guardarlo. -Draco!- bisbigliò sorpresa.

-Scusa, non volevo spaventarti-.

Gli occhi celesti di lei si riempirono istantaneamente di lacrime, che iniziarono a scorrerle rapidamente sulle guance. Si ricordò delle parole dei coniugi Lestrange.

"Se si presenta Draco Malfoy, nostro nipote, vuol dire che siamo morti"

-Sono morti- singhiozzò, guardando la bambina. -È rimasta sola, vero?-.

-Bellatrix è morta, sì. Rodolphus è ancora vivo. Non so se l’abbiano arrestato, sono scappato prima che arrivassero quelli del Ministero. Dovevo venire da mia cugina-.

Lei annuì. -E i tuoi genitori? Sono… sono vivi?-.

-I miei sì- disse lui lentamente.

Astoria era troppo intelligente per non capire. Infatti un’espressione triste si dipinse sul suo volto. Chinò il capo.

-I miei… mia madre è morta, vero?-.

-Sì- mormorò Draco, il nodo in gola che si ingrossava sempre di più. -Sì, è morta-.

Lei si limitò ad annuire di nuovo.

-Mi dispiace- aggiunse il ragazzo. -Anche per tuo padre…-.

-No, a me per lui non dispiace- lo interruppe, dura. -Mi dispiace solo per mia madre. Mi dispiace tanto per lei-.

Nuove lacrime sfuggirono dagli occhi della giovane, susseguendosi una dopo l’altra.

Senza pensarci, Draco fece una cosa che aveva fatto solo con sua madre: salì sul letto e, senza dire una parola, le circondò le spalle con le braccia, stringendola a sé in un abbraccio confortante e denso di affetto, premura e comprensione.

Lasciò che lei si sfogasse, piangendo tutte le lacrime che aveva in corpo.

-Non è giusto- gemette, aggrappandosi a lui. -Perché? Perché?-.

-Andrà tutto bene- continuava a sussurrarle lui, quasi come una cantilena.

-Come fai ad esserne sicuro?-.

-Perché deve essere così-.

Si guardarono per qualche istante, poi lei tornò a poggiare il capo sul petto del biondo, esausta.

Un rumore dal piano di sotto li fece trasalire.

-Sono arrivati-.

-Chi?- chiese lei, angosciata.

-Gli Auror-.

-Ma cosa vogliono? Hai ucciso qualcuno?-.

-No- disse lui con un sorriso mesto. -Ma sono un Mangiamorte, purtroppo, ricordi? Devono arrestarmi-.

-Ma… poi ti lasceranno andare, vero?-.

-È quello che spero-.

Il Serpeverde si alzò dal letto e si rimise in piedi, pronto ad affrontare il suo destino, pronto a sperare che fosse migliore di quello che aveva vissuto fino a quel momento.

-Io ti aspetterò- disse lei tranquilla, cullando Evie tra le braccia.

Lui la guardò serio. -E io arriverò. Te lo prometto-.

Uscì dalla camera, andando incontro agli Auror.

Erano in sei.

Non appena lo videro, gli intimarono di fermarsi immediatamente.

Lui obbedì, arrestandosi in mezzo al corridoio e lasciando cadere in terra la bacchetta.

-Come ti chiami?- gli urlò uno.

-Draco Lucius Malfoy-.

-Ah, un Malfoy! Ma che bello!- rispose quello, con espressione disgustata.

Il giovane lo ignorò, rivolgendosi invece agli altri che stavano per aprire la porta della camera in cui Astoria e Evie riposavano. -Fate piano. Lì ci sono una ragazza e una bambina, loro non c’entrano niente-.

Quelli lo guardarono sorpresi, poi annuirono.

-Andiamo- ringhiò l’Auror, strattonandolo e guidandolo al piano terra.

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Rodolphus si guardò intorno nella sua cella.

Era piccola, forse più piccola di quella che aveva occupato per quattordici anni l’ultima volta.

Il materasso per terra era bitorzoluto e ruvido. Ma poteva andare bene.

E faceva freddo, dannatamente freddo per essere fine giugno. Perché là dentro faceva sempre freddo?

Era rinchiuso da solo mezz’ora, eppure era già congelato.

Chissà se la sua Bellatrix poteva vederlo ora.

Chissà dov’era.

E chissà dov’era Evie. Con chi era.

Sospirando, si sdraiò sul quel letto arrangiato. Voleva perdere i sensi per sempre; passare dal torpore alla morte in un attimo.

In quell’istante, sentì dei passi nel corridoio. Alzò la testa, guardando chi passava al di là delle sbarre.

Draco Malfoy, scortato da due Auror, camminava lentamente.

-Draco!- lo chiamò.

Quello si voltò e lo vide; chiese qualcosa agli altri due e loro annuirono. Allora si avvicinò alla cella.

-Rodolphus, mi dispiace per Bella-.

-Sì…- mormorò lui, perdendosi nei suoi pensieri. Se solo lei fosse stata lì…

-Volevi chiedermi qualcosa?-.

-Sì. Evie. Dov’è?-.

-A casa vostra, con una mia amica, Astoria-.

-La figlia di Anita?-.

-Esatto-.

-E perché c’è lei con mia figlia? Ci sa fare con i bambini?-.

Il ragazzo provò un moto di commozione. Era solo un padre premuroso. -È fantastica. Puoi fidarti-.

-Bene. Ti liberano?-.

-Sì, ora sì. Ma devo affrontare un processo-.

-Andrà tutto bene- disse l’uomo con espressione vuota.

-Sì, è quello che spero-.

Calò un breve silenzio. Draco lo spezzò.

-E tu? Te l’hanno già detto?-.

-Trent’anni più cinque che mi rimanevano da scontare l’altra volta- mormorò l’uomo, tetro.

-Oh-.

-Sì. Salutami la mia bambina-.

-Certo-.

Draco si allontanò, lasciando quel che rimaneva di Rodolphus Lestrange.

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-Questi dove li mettiamo?- chiese Arthur Weasley, indicando i cadaveri di alcuni Mangiamorte.

-Credo che abbiano tutti una tomba di famiglia, no?- rispose Kingsley.

-Credo di sì. Abbiamo entrambi i Greengrass, Rookwood, Lestrange, e molti altri…-.

Osservarono in silenzio alcuni volontari che trasportavano due cadaveri.

-Chi manca ad essere portato all’obitorio del San Mungo?- domandò il nuovo Ministro della magia.

-Bellatrix Lestrange-.

-E basta?-.

-Sì-.

-Stanno per arrivare gli altri volontari-.

I due uscirono dal castello, respirando l’aria fresca del mattino inoltrato.

Nella Sala Grande era rimasto solo un corpo.

Un corpo freddo, senza vita.

Un corpo morto.

Bellatrix Lestrange, avrebbero detto tutti, era bella e fiera anche nella morte.

Le palpebre erano state abbassate sugli occhi neri; i capelli ricci erano sparsi a ventaglio sul pavimento di pietra.

Di tutti quegli anni da guerriera, ecco cosa restava.

Una madre che non avrebbe mai visto crescere sua figlia.

Una moglie che non sarebbe mai invecchiata con suo marito.

Una donna che non avrebbe più potuto amare.

Non rimaneva più nulla, tranne quello che era stata.

Una serva fedele.

Una donna che aveva saputo ricredersi e cambiare, anche se per pochi istanti.

Una madre affettuosa.

Una moglie straordinaria.

E ora, ora era solo un guerriera spezzata.

*

NdA

Non faccio commenti sul capitolo, perché è già stato abbastanza difficile scriverlo.

Vi annuncio semplicemente la data del prossimo ed ultimo aggiornamento: venerdì.

A venerdì, con l’epilogo.

Baci.


Note:

(1) Citazione tratta da "Harry Potter e i Doni della Morte", JK Rowling. 

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Capitolo 16
*** Epilogo - Undici anni dopo ***


Innanzi tutto: perdonate questo piccolo ritardo, ma ieri qui ha fatto un temporale assurdo e mi è saltato il modem. Fortunatamente, non so come, mio padre è riuscito a ripararlo in tempi tutto sommato brevi. Comunque.

Non è un capitolo lungo, anzi. Ma non volevo fare un vero e proprio capitolo, più che altro voleva essere (ed è) solo uno sguardo sul futuro. E spero vivamente che vi piaccia.

È finita, dopo mesi, e io sono un po’ triste. È stata una magnifica esperienza, e tutto questo grazie a VOI.

Ed è qui che voglio arrivare: voi.

Siete state meravigliose, uniche. Sono davvero orgogliosa di aver avuto voi come lettrici, perché siete state davvero fantastiche.

Per cui ringrazio ognuno/a di voi: chi ha letto e ha recensito, chi ha letto e basta, chi ha aggiunto questa storia tra le preferite/seguite/ricordate, chi ha recensito ogni capitolo e chi solo uno.

Grazie a tutte.

Di cuore.

Con affetto,

Marta.

 

 

EPILOGO

La cella era fredda come non mai.

Rodolphus Lestrange sospirò, annichilito e appoggiato mollemente contro il muro ed il pavimento umidi, osservando il cielo trapuntato di stelle al di là della finestra sbarrata.

La luna gettava la sua luce lattiginosa in tutta la minuscola stanza, illuminando pallidamente il volto già scarno dell’uomo.

Sbatté le palpebre un paio di volte prima di passarsi una mano magra sugli occhi e strofinarseli stancamente.

All’improvviso, puntuale come sempre, una piccola luce apparve alla sua destra.

Il mago, o quello che ne rimaneva, sorrise debolmente.

-Ciao Bella-.

La luce si ingrandì sempre di più, fino a prendere le sembianze di una donna, bellissima.

Doveva avere poco più di vent’anni; i lunghi capelli neri si arrotolavano in ricci morbidi, che si appoggiavano alle spalle e sul petto. Gli occhi, colore del carbone, scrutavano il locale angusto, soffermandosi di tanto in tanto su quella figura rannicchiata che la guardava con amore. Le labbra rosse si stirarono in un sorriso mesto. Con le mani, pallide nonostante i colori e la luminosità del corpo non fossero propriamente normali, si sistemò le pieghe inesistenti del vaporoso vestito bianco perlaceo.

-Ciao Rod-.

Egli la fissò a lungo, meravigliato e rassicurato insieme, troppo incredulo e allo stesso tempo troppo triste.

-Mi manchi- disse ad un tratto. -Perché non sei più con me?-.

-Non me ne sono mai andata- sussurrò lei, inginocchiandosi davanti a lui. I gigli che intersecavano il cerchietto che portava sul capo, oscillarono appena a quel movimento. -Sono sempre stata qui, amore-.

Rodolphus tirò su col naso. Odiava sentirsi così vulnerabile. Ma non poteva farci niente: con lei era sempre così.

-Ma vieni solo alla sera. Non ti vedo più alla luce del sole-.

Lei sospirò a sua volta.

-Lo sai che non dipende da me-.

Lui distolse per un attimo lo sguardo da lei; odiava farlo. Non era mai certo che lei sarebbe tornata la volta dopo. Cercava sempre di guardarla il più possibile.

Erano undici anni che andava avanti così.

-Sì, lo so- mormorò. -Ma questo non cambia il fatto che mi manchi-.

-Lestrange, per Merlino, sono anni che vai avanti con questa pagliacciata!- li raggiunse la voce sgradevole di uno degli altri detenuti. -Guardia! Io non posso stare nella stessa zona di un pazzo che parla da solo ogni cazzo di sera!-.

La Bellatrix ventenne si voltò infastidita verso l’uomo che berciava in quel modo indisponente.

-Lascialo perdere- le sussurrò Rodolphus. -Abbasserò la voce-.

-No, non occorre. Devo andarmene adesso-.

Lui annaspò nella luce fioca. -No, ti prego!- ansimò. -Non… non andare! Non lasciarmi solo!-.

Bellatrix lo guardò teneramente e si fece più vicina. -Te l’ho già detto, Rod: io sono sempre qui con te. Se ora mi stai vedendo, è perché sono qui dentro- bisbigliò, sfiorandogli il cuore con la mano traslucida.

-Ma mi manchi lo stesso- ripeté lui, ostinato, come un bimbo che non vuole andare a letto la notte di Natale.

-Mi manchi anche tu-.

Le labbra luminose del ricordo di Bellatrix Black nel giorno del suo matrimonio, si accostarono a quelle screpolate e ingrigite di lui.

-Salutami la piccola Evie- mormorò la donna, prima di mescolarsi con la luce lunare e svanire nel nulla.

Rodolphus si portò una mano alla bocca, tastando la pelle accartocciata e secca, come per constatare se il contatto con sua moglie c’era stato davvero. Erano fredde, asciutte.

-Mi manchi- gemette nella penombra, accasciandosi al suolo e continuando ad osservare le stelle.

Era una bella notte.

E l’indomani sarebbe stata una bella giornata: avrebbe rivisto Evie. E la sera avrebbe di nuovo parlato con la sua Bella. Forse.

Si addormentò, cullato da quell’eventualità così dolce. Dolce come il bacio che non aveva ricevuto.

*

Evie Lestrange Malfoy era una ragazzina determinata.

Aveva voluto imparare a volare su un manico di scopa in tre ore e ce l’aveva fatta.

Aveva voluto imparare a leggere in un mese e ce l’aveva fatta.

Senza considerare le decine di altre piccole imprese che era riuscita a portare a termine prima degli undici anni.

Si era imposta di fare un’altra cosa, quella mattina del primo settembre: voleva assolutamente andare ad Azkaban. Doveva andare a trovare il suo papà. La stava aspettando.

Era molto intelligente e, anche se lui aveva negato, la settimana precedente lei aveva capito che era triste perché ora sarebbe andata ad Hogwarts, e lui non l’avrebbe più potuta vedere una volta a settimana come al solito.

-Evie!- giunse una voce di donna dal piano inferiore di Lestrange Manor.

-Arrivo zia Astoria!- esclamò di tutta risposta la bambina, infilando gli ultimi vestiti alla rinfusa nel suo baule nuovo di zecca.

La porta della sua cameretta si aprì, lasciando entrare un uomo biondo dagli occhi color ghiaccio. Proprio come quelli della zia.

-Lo so, zio, ci ho messo troppo a farmi il bagno- iniziò subito lei, rimproverandosi. -Non avrei dovuto metterci tutta quella schiuma…-.

-Ma no pulcino, no…- Draco si fermò immediatamente alla vista dello sguardo oltraggiato della ragazzina. -Hai ragione, basta chiamarti "pulcino", ora sei grande, giusto?-.

-Esatto- fece lei, seria.

-Comunque, sono venuto perché volevo vedere se ti serviva aiuto con il baule- continuò lui con un sorriso.

-No, ho finito!- annunciò lei, soddisfatta. -Vieni anche tu a trovare papà, oggi?-.

-No, vi lascerò soli-.

-Oh. Ma a lui fa piacere che tu vada a trovarlo, vero?-.

-Ma certo! Solo che stamattina è tutta per voi. Fino alle dieci, perché poi dobbiamo andare a Londra, piccola pulce- scherzò lui arruffandole i ricci capelli neri.

-Ma il treno parte alle undici!-.

-Sì, ma cosa dice sempre la zia?-.

-"Meglio essere in anticipo che in ritardo"-.

-Giusto-.

Evie finì di sistemarsi le treccine, poi si rivolse all’uomo. -Andiamo?-.

-Sei pronta?-.

-Sì!-.

-Andiamo-.

Draco la prese per mano, e insieme scesero fino alla cucina, dove Astoria aiutava il piccolo Scorpius a mangiare.

-Siete pronti?- chiese la donna con un sorriso.

-Sì!- rispose la bambina, entusiasta.

-Ti sei lavata i denti, vero?- le chiese sospettosa la donna, continuando a sorridere.

-Sì, certo!-.

-Bene, allora andate! Ci vediamo a Londra-.

Draco si avvicinò a lei e le scoccò un bacio a fior di labbra.

-Ci vediamo a Londra- sussurrò.

-Mi raccomando, puntuali!- chiarì la donna, mentre il biondo tornava a prendere per mano la ragazzina. -È meglio essere in anticipo che in ritardo!-.

I due si guardarono e scoppiarono a ridere.

-Perché diavolo ridete, voi due?- chiese Astoria, fintamente offesa.

-Niente zia, niente- sorrise Evie.

Insieme al cugino, che aveva imparato a chiamare zio anni e anni prima, si Smaterializzò nella sala d’aspetto della prigione di Azkaban.

Come le volte precedenti, erano d’accordo che Rodolphus Lestrange sarebbe stato trasferito in una saletta che solitamente usavano per interrogare i detenuti. Era per non far vedere ad una bambina così giovane le celle spoglie della prigione.

-Puoi entrare- le disse una strega paffuta.

Evie annuì e la seguì per un lungo corridoio.

La strega aprì la porta in fondo al corridoio, lasciandola entrare in un piccolo locale con un tavolo e tre sedie. Su una di queste sedeva suo padre, invecchiato durante quegli undici anni, ma comunque abbastanza in ordine.

La barba non era lunga, e sulla pelle non c’era traccia di sporcizia. Solo gli abiti consunti e dai colori sbiaditi lasciavano capire che non viveva in un Maniero e che non aveva elfi domestici al suo servizio. Ma erano gli accordi che era riuscito a strappare ad Azkaban: almeno per l’arrivo di sua figlia doveva essere presentabile, pulito e profumato.

-Ciao papà- lo salutò Evie, emozionata come sempre nel vederlo.

Lo stesso valeva per lui.

Aprì le braccia, in un chiaro invito di abbracciarlo.

Lei si tuffò addosso al padre, stringendolo forte e beandosi dell’affettuosa stretta di lui.

-Come stai piccola?- le chiese, la voce che vibrava.

-Io bene. E tu? Ti trattano bene?-.

-Certo! Cosa credi? Sono un Lestrange!- esclamò lui ridendo.

Ridendo. Oh, com’era facile lasciarsi ingannare da quel visetto d’angelo. Com’era facile farsi prendere gioco da quegli occhi neri, occhi che gli facevano credere che tutto andava bene e che sarebbe sempre stato così. E forse, forse avevano anche ragione.

-Anche io sono una Lestrange! Vero?-.

-Tu sei anche meglio: una Lestrange, una Black e una Malfoy!-.

La bambina sorrise, entusiasta. Poi si rabbuiò appena. -Posso rimanere pochissimo oggi. Tra un quarto d’ora devo andare via con lo zio. Sennò perdo il treno!-.

-Non sia mai!- scherzò Rod, ridendo. -La mia bambina non deve assolutamente perdere il treno che la porterà ad Hogwarts-.

-Secondo te in che Casa finirò?- domandò lei, pensierosa.

-Non ha importanza, tesoro. Andrà bene qualunque casa sarà-.

-Anche Tassorosso?-.

-Ma certo-.

-E anche Grifondoro?-.

Rodolphus trattenne a stento una smorfia. -Ovviamente-.

Lei rise. -Non sai dire le bugie, papà-.

E lui, ancora una volta, rimase ammaliato da come suonava dolce quella semplice parola sulle labbra della sua principessa. Papà.

Trascorsero un po’ di tempo parlando del più e del meno.

Evie gli raccontò di quando, alcuni giorni prima, Scorpius aveva lanciato il suo piatto pieno di pappa addosso alla zia, riempiendola di pastasciutta.

-Devo andare- annunciò più tardi, triste.

-Ehi piccola- le disse l’uomo, accarezzandole una guancia. -Ci vediamo il primo ottobre. Te l’ho detto no? Siamo Lestrange, e abbiamo sempre e comunque dei privilegi. E uno di questi è che possiamo vederci il primo di ogni mese, oltre, naturalmente, ai giorni festivi-.

Lei lo fissò rapita, poi lo abbracciò di nuovo. -Ci vediamo ad ottobre, papà-

-Certo-.

Si abbracciarono di nuovo, poi lei uscì nel corridoio, dove la strega di prima l’attendeva per scortarla nuovamente il sala d’attesa.

La bambina si ricordò improvvisamente di qualcosa; si voltò di scatto verso il padre.

-Anche ieri sera hai visto la mamma, vero?- chiese, temendo in una risposta negativa.

Ma gli occhi sereni dell’uomo la tranquillizzarono immediatamente.

-Certo. Lei viene sempre, tutte le sere. Da ben undici anni-.

-E mi saluta?-. Anche ora il tono di Evie era cauto; non voleva rimanere delusa.

-Come sempre- sorrise Rodolphus.

Lei sorrise, radiosa. -Quando la vedi, stasera, dille che le voglio bene-.

-Come vuoi, principessa-.

Annuì e prese la mano della donna che continuava a sorriderle incoraggiante.

-Ciao papà-.

-Ciao Evie-.

Percorsero il lungo corridoio in silenzio.

-Tutto a posto?- le chiese Draco non appena tornò nella sala d’attesa.

-Mmm-.

Lui la prese per mano-

-Pronta per andare a Hogwarts?-.

-Sì. Adesso sì-.

 

 

Prese il treno per un pelo.

Erano arrivati in ritardo perché lo zio si era fermato a comprare i giornali del giorno in edicola, nonostante ci fosse una coda pazzesca.

Naturalmente la zia lo aveva sgridato per bene.

-Draco, insomma, non è possibile!- aveva esclamato, esasperata. -Non posso mai fidarmi di te per quanto riguarda gli orari!-.

Lui aveva mugugnato qualcosa, ma poi era rimasto in silenzio.

Quando alcune porte del treno si erano chiuse, Astoria si era lasciata andare ad un piccolo gridolino a metà tra l’emozionato e l’agitato.

-Amore mio, fai la brava, fai guadagnare punti alla tua Casa, qualsiasi essa sarà, non fare arrabbiare i professori e non farti mettere i piedi in testa- aveva snocciolato, concitata, abbracciando Evie.

Draco era in ansia esattamente quanto lei, ma riusciva a contenersi molto di più: si poteva intuire il suo stato d’animo da come irrigidiva la mascella e dal fatto che si passava continuamente una mano nei capelli.

Non aveva parlato molto, in verità. Si era limitato a dire: -Fa’ attenzione, pulcino-.

Lei non aveva protestato per il nomignolo.

Poi lo zio l’aveva abbracciata stretta, accarezzandole il capo. -Ti voglio bene- le aveva sussurrato.

-Anche io- aveva bisbigliato lei, stringendolo a sua volta.

-Coraggio tesoro, devi andare- la chiamò la zia, sull’orlo delle lacrime.

-Ci vediamo il primo ottobre-.

-Ti scriviamo domani- rispose la donna.

Evie era salita sul treno; aveva fatto appena in tempo a sentire l’urlo di zia Astoria.

-Ti voglio bene, tesoro!-.

Si era sporta dalla porta per guardarla in volto, sorridente. -Anch’io!- aveva gridato in risposta.

Scoccò un ultimo sguardo a Scorpius, che dormiva beato nel suo passeggino, poi rientrò nel treno.

Si ripromise che non si sarebbe mai dimenticata di quel momento.

Era sola nel suo scompartimento. Non amava la solitudine.

Cominciò a guardare fuori dal finestrino, mentre il paesaggio scorreva rapidamente.

Erano partiti da circa dieci minuti.

Era leggermente depressa: se il buongiorno si vede dal mattino, il suo soggiorno al castello non sarebbe stato dei migliori.

Qualcuno bussò lievemente alla porta dello scompartimento.

Era una ragazza con i capelli biondo rossiccio, lisci. Aveva enormi occhi azzurri.

Evie le fece cenno di entrare.

-Scusa- esordì la ragazza. -Posso sedermi qui? Il treno è pieno-.

-Certo- accettò subito l’altra, sollevata.

Non appena quella si fu seduta, le chiese: -Come ti chiami?-.

-Victoire Weasley. E tu?-.

-Evie Lestrange-.

-Piacere- sorrise Victoire.

-Il piacere è tutto mio- disse Evie, con un gran sorriso.

Si strinsero la mano, non sapendo che un’amicizia destinata a durare decenni e decenni era appena sbocciata.

Poco dopo, le raggiunse un certo Teddy, un ragazzino strano e molto, molto simpatico. Fecero tutto il viaggio insieme, scherzando e divertendosi.

Ed Evie si sentì bene, tanto bene.

Si concesse di pensare a sua madre, Bellatrix.

Aveva una sua foto sul comodino. Se l’era messa nel baule, perché proprio non riusciva a separarsene. Era bellissima la donna in quella fotografia: sorrideva e salutava.

L’arrivo al castello a bordo di delle barchette di legno, capitanate da un omone gigante di nome Hagrid, era stato divertente. Lei aveva condiviso la sua con Victoire e Teddy, e avevano chiacchierato a lungo.

Evie capì che il soggiorno a Hogwarts sarebbe stato piacevole.

Ma d’altronde, per chiunque è sempre stato così.

Ma lei non era "chiunque". Lei era una Lestrange. Una Black. Una Malfoy, anche.

No, per lei sarebbe di sicuro stato grandioso.

*

Evie Lestrange fu una Serpeverde.

Victoire e Teddy furono due Grifondoro, ma questo non rovinò l’amicizia fra i tre, anzi, la fortificò sempre di più nel corso degli anni.

Evie Lestrange diventò la Cercatrice di Serpeverde al secondo anno, e mantenne il ruolo fino al settimo.

Evie Lestrange fu un’eccezionale studentessa: ottenne ben sei materie con il voto "Eccezionale" sia ai G.U.F.O. che ai M.A.G.O. L’ultimo giorno di scuola del sesto anno, suo padre, Rodolphus Lestrange, morì. Ad Azkaban se ne accorsero perché quella sera non stava sussurrando parole dolci e tristi alla sua Bellatrix.

Evie Lestrange si sposò a ventitré anni; Victoire Weasley e Teddy Lupin, fidanzati, furono i suoi testimoni.

Evie Lestrange fu un Medimago dalle qualità incredibili.

Scoprì di essere incinta durante il secondo anno di matrimonio.

Evie Lestrange ebbe due gemelli: Bellatrix e Rodolphus.

                                                                                                                                      ***

                       Fine 

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