Il frinire delle cicale

di Kumiho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra sospiri e cicale ***
Capitolo 2: *** Il ritmo e la fedeltà ***
Capitolo 3: *** Il dovere ed il piacere ***
Capitolo 4: *** Espressioni e Rivelazioni ***
Capitolo 5: *** Patti ed Orgoglio ***
Capitolo 6: *** Umiliazione e Sacrificio ***
Capitolo 7: *** Foto e Consolazioni ***
Capitolo 8: *** Fuochi d'artificio ed inadeguatezza ***
Capitolo 9: *** Ospitalità e aria di cambiamento ***
Capitolo 10: *** Nuovo Inizio e Opacità ***
Capitolo 11: *** Pallore e Nostalgia ***



Capitolo 1
*** Tra sospiri e cicale ***









Tra sospiri e cicale


Il sole quel giorno batteva con ancor più opprimente insistenza del solito e, anche mentre ormai si apprestava a tramontare, i suoi raggi accaloravano l'aria in un'afa insopportabile.


Il canto assordante e continuo delle cicale riempiva l'aria, quasi sospendendola in una dimensione al di là del tempo stesso, la continuità di quell'assiduo frinire sovrastava l'attenzione di chi lo ascoltava facendolo così perdere in una delicata ipnosi che costringeva lo sguardo, oltre che l'udito, a concentrarsi in un unico punto fisso, nella quale si scorgeva il tutto ed il niente.


Con la schiena madida poggiata al basso muretto di cemento bollente che costeggiava la casa di Tsunayoshi Sawada, Gokudera sospirò lasciandosi intorpidire dalla rassegnazione riguardante il torrido caldo dell'estate giapponese.


Avvertì la spiacevole sensazione della pelle sudata contro il cuoio cocente della fascia legata al polso mentre, lentamente, si mosse portandosi la sigaretta alle labbra.

Mentre aspirava s'immaginò che, oltre al fumo, i suoi polmoni si stessero riempiendo dei vapori emanati dall'asfalto cocente che ormai disperdeva, per ogni quartiere, lo sgradevole odore di catrame liquido; il solo pensiero bastò a nausearlo, sebbene ben conoscesse che ciò di cui ogni giorno riempiva i propri bronchi non era di natura molto più salutare, ma convincendosi del fatto che se una persona è a conoscenza di una circostanza, l'ignorarla non la rende, di fatto, più stupida di chi non la conosce affatto, sfregò la punta incandescente della sigaretta contro il muretto, soffocandone la fiamma e con gesto altrettanto lento, la ripose nel pacchetto stropicciato all'interno della tasca della camicia.


Sospirò di nuovo, accorgendosi che probabilmente oltre al frinire delle cicale d'intorno, quello dei suoi sospiri era stato l'unico altro rumore abbastanza forte e costante da poter essere preso in considerazione come unità di misura per scandire lo scorrere del tempo.


Decise di darsi una scossa per riprendersi dal tedio in cui sembrava essere precipitato assieme ad ogni pensiero ed azione del proprio corpo e, come botta di vita finale, decise che un cambio di posizione, nell'attesa, poteva essere più che sufficiente. Poggiò i palmi sulle calde piastrelle in cotto che ricoprivano la cima del muretto e, facendo leva sulle braccia, si issò sedendocisi sopra.


Per quel che ne sapeva, questo suo movimento era stato l'accadimento più emozionante dell'ultima mezz'ora in quel quartiere che fatto di case tutte uguali, circondate da praticelli tutti uguali a loro volta costeggiati da muretti di cemento bollente tutti uguali sembravano la triste riproduzione di un plastico esposto nei centri commerciali, pubblicizzante la costruzione di una nuova proprietà.

Se come soluzione al problema della noia, un cambio di posizione era sembrato inizialmente una buona idea, ora che il problema si ripresentava Gokudera non poté fare altro se non sentirsi uno sciocco, mentre piuttosto che avere la schiena madida poggiata ad un muretto bollente adesso ci era seduto sopra e lo puntellava coi talloni.


In risposta a questi pensieri, quasi la sua mente gli volesse offrire un pretesto per non riflettere su quanto in quel momento si sentisse ridicolo, una goccia di sudore gli scivolò lungo la guancia provocandogli un fastidioso solletico che lo costrinse in un ulteriore movimento che contribuì solamente alla constatazione del fatto che ogni angolo del suo corpo era ormai fradicio di sudore.

Se in quel momento, al posto di sospiri e cicale, avesse avuto la possibilità di calcolare realmente il tempo che passava si sarebbe accorto che erano ormai quasi due le ore che aveva passato poggiato al muretto di cinta tra tentativi di ingannare il tempo e alternative più o meno plausibili di trascorrerlo.


Dopotutto, quando il Decimo aveva accordato il loro incontro quella sera, non aveva specificato l'ora esatta e, da bravo braccio destro, Gokudera aveva pensato di farsi trovare pronto in qualunque momento il Decimo avesse trovato appropriato.


I passi che infine, dopo pochi altri sospiri e meno pochi altri frinii, udì alle proprie spalle gli provocarono quella piacevole sensazione alla bocca dello stomaco, la piccola iniezione di frizzante adrenalina che avvertiva scorrergli dentro ogni volta che il Decimo gli si trovava vicino.


Facendo nuovamente leva sulle braccia saltò giù al volo dal muretto proiettando a terra, il cui colore era ormai mutato dalla luce scarlatta del tramonto inoltrato, un'ombra ben più lunga di quanto si rammentasse. Si voltò, ormai sentendosi ristorato e ricompensato per tutto il caldo e la noia subiti, sfoderando il più cordiale dei suoi rari sorrisi che riservava ovviamente soltanto al Decimo.


Se da uno a dieci Gokudera avesse potuto dare un valore all'irritazione sgomenta che provò in quel breve attimo di illuminazione molto probabilmente sarebbe stato un numero a due cifre.


- Ciao Gokudera! Ci sei anche tu, bene!- Le parole già terribilmente irritanti risultarono a Gokudera insopportabili quanto unghie su una lavagna grazie al tono allegro che le impregnava.


Takeshi Yamamoto.

Forse l'essere più irritante sulla faccia della terra dopo i bambini che ormai stanziavano perennemente a casa di Decimo, che con urla, strepiti e capricci mettevano a dura prova la sua pazienza in ogni singolo momento passato, ahimè, in loro compagnia; forse, realizzò Gokudera, l'unica differenza tra loro e l'idiota che ora lo fissava ancora sorridente, era che lui era più alto di almeno un metro e mezzo. Cosa che s'aggiungeva alla lista di cose che trovava irritanti dato che non è poi così facile imporsi e mostrarsi superiori ad un tipo che in altezza non vanta concorrenti.


-...che ci fai tu qui?...- Sibilò acido Gokudera avanzando di qualche passo verso di lui


- Mi ha invitato Tsuna...- Sorrise nuovamente Yamamoto, ignorando il tono disgustato di Gokudera o, con più probabilità, non accorgendosene minimamente.


- T-ti ha invitato il Decimo!?- Domandò Gokudera in un misto di sconforto ed incredulità. Sapeva bene che Decimo trovava, inspiegabilmente, simpatico quel tipo sebbene più volte Gokudera stesso lo avesse messo in guardia riguardo la fiducia smisurata che il boss dei Vongola sembrava riporre in qualsiasi persona si dimostrasse gentile con lui.


- A te no?- Chiese con un'espressione talmente stupida che Gokudera dovette seriamente ricorrere a tutto il suo sangue freddo, per cui non era certo famoso, per trattenersi dal tirargli un pugno.


- Ovviamente!- Si limitò ad urlare


- Gokudera, Yamamoto!- La voce che fin dall'inizio della sua tediosa attesa poggiato al muretto di cinta aveva sperato di sentire, lo sorprese distogliendo ogni sua attenzione da Yamamoto. Decimo era affacciato alla finestra che dava sul giardinetto e li fissava con aria interrogativa.


- Aspettatemi, scendo subito!- Allungò una mano e, afferrata la cornice di alluminio della finestra se la trascinò dietro con un movimento fluido e, facendola scattare, scomparve subito dopo.



Eccola.

La sensazione zuccherina alla bocca dello stomaco.

Quel delizioso formicolio lungo la spina dorsale.

E quella disperata consapevolezza di non poter fare nient'altro che attendere.

Gokudera si sentì pervaso, come ogni volta che aveva l'occasione di poter prepararsi ad incontrare Decimo, da mille brividi ed incertezze nonché da una felicità traboccante di eccitazione ed euforia.


In qui momenti l'impazienza di voler dimostrare al Decimo il proprio valore veniva surclassata, alle volte, solo dall'impazienza di potergli stare vicino, per riuscire a rubare un contatto segreto tra le loro braccia mentre camminavano uno di fianco all'altro o ad ascoltarlo, ubriacandosi della sua voce, di ogni più piccolo ed insignificante dettaglio avesse voluto parlargli.


Abbassò lo sguardo, nascondendo un sorriso dietro le ciocche argentee che gli solleticavano sempre le guance ma che, in momenti come quello, potevano fungere da eccellente difesa.

Inspirando, infine, a pieni polmoni alzò il volto con aria consapevolmente soddisfatta, solo per ritrovarsi di fronte quello di Yamamoto.


- Che guardi?!- Lo rimbeccò tornando cupo


Al contrario di quello che pensava Yamamoto continuò a fissarlo in silenzio con aria seria.

Il suo sguardo gli parve strano e per un attimo amareggiato mentre un alito di vento, forse l'unico della giornata, gli scompiglio i capelli neri. Il silenziò perdurò per pochi altri secondi prima che Yamamoto sorridesse di nuovo e scuotesse la testa mormorando un “niente” massaggiandosi la nuca.


Gokudera non ebbe il tempo di ribattere improvvisamente distratto dalla figura, ben più importante, di Decimo che svelta si dirigeva verso di loro accompagnata da urla di bambini e raccomandazioni della madre. Tsuna aprì in fretta il basso cancello del muro di cinta e scusandosi per la fretta li sollecitò ad avviarsi temendo l'improvviso risveglio di Reborn che miracolosamente dormiva dal primo pomeriggio.


Dopo pochi minuti i tre ragazzi erano già lontani dall'abitazione di Tsuna e Gokudera, suo malgrado, aveva dovuto arrendersi al fatto che, almeno per quella sera, Yamamoto sarebbe rimasto con loro. Per un attimo, guardandolo sorridere, nella mente di Gokudera si ripresentò l'immagine dell'insolita espressione di Yamamoto di qualche minuto prima e realizzò che forse quella era stata l'unica vota in cui aveva visto per più di cinque secondi il volto del compagno di classe senza un enorme sorriso a trentadue denti stampato sopra.


Decisamente le espressioni serie di Yamamoto non potevano essere prese in considerazione come unità di misura per lo scorrere del tempo.





Salve.

Questa fan fiction è cominciata senza il consenso di tutti i miei neuroni e, prima che me ne potessi rendere conto e interrompermi, il primo capitolo era già steso. L'idea è nata da una solita, normalissima conversazione con Yusaki :-P che probabilmente potrebbe rimpiangere di aver appoggiato. Trattare Gokudera non la considero una grande difficoltà (non lo dico con presunzione quanto con la sicurezza di aver sviluppato già dal nostro primo incontro un'intesa speciale con questo personaggio!) invece Yamamoto... mi da un sacco di problemi, non so se sarò in grado di caratterizzarlo al meglio.

Spero nella buona sorte, nell'ispirazione ed in qualche vostro commento, a presto.


SLURP, Kumiho.

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Capitolo 2
*** Il ritmo e la fedeltà ***


Il ritmo e la fedeltà


Quella mattina, Gokudera, non si svegliò con la solita euforia travestita da indifferenza che ogni giorno lo accompagnava nella piccola routine quotidiana che precedeva l'inizio delle lezioni.

Non si lavò la faccia in fretta e furia con l'intento di svegliarsi per bene, non ingurgitò l'enorme bicchiere di spremuta né spazzolò i suoi cereali, ripetendosi che la colazione era il pasto più importante per un buon rendimento delle proprie capacità, probabilmente non ci pensò neanche.

Quella mattina si sfregò semplicemente gli occhi assonnati con le mani bagnate, mentre barcollante si avviava in cucina, afferrò un toast della cena precedente e, indossando la divisa stropicciata, si caricò con un tonfo la tracolla sulle spalle e si avviò fuori di casa sbattendo la porta.


Agli occhi di molti un atteggiamento del genere sarebbe potuto apparire normale, se il soggetto in questione è un adolescente che vive da solo. Ma Gokudera, sebbene non fosse certo un modello di comportamento, seguiva determinate regole e uno stile di vita salutare che, a quanto molti ostinatamente sostenevano tanto che aveva finito per crederci anche lui, migliorava le prestazioni in qualsiasi campo. E lui ne aveva bisogno. Enormemente. Un bravo braccio destro deve essere sempre pronto a rispettare certe aspettative.


Quel giorno però, Gokudera, non avrebbe dovuto soddisfare le aspettative di nessuno, dato che appena la sera prima Decimo lo aveva avvisato che non sarebbe venuto a scuola. Non aveva mancato certo di offrirsi per sostenerlo durante il breve congedo, la conseguenza di un maledetto mal di testa, ma Decimo, da ottimo boss quale era, aveva insistito con tono insolitamente preoccupato affinché Gokudera adempiesse a quelli che, comunque o almeno per il momento, restavano i suoi doveri.


Gokudera infondo sapeva che avrebbe dovuto affrontare l'indomani come se Decimo fosse stato là. Ma già dalla realizzazione dell'assenza del proprio boss il tedio e la pigrizia si erano impossessati di lui come un morbo che, evidentemente, pensò fissando il suo sguardo da detenuto sofferente d'insonnia nel riflesso di una vetrina, lo attanagliava tutt'ora. Si sarebbe limitato ad obbedire al semplice ordine di recarsi a scuola e compiere il proprio dovere, esattamente come aveva detto Decimo.


Si era sforzato, si era davvero sforzato di trovare i lati positivi di quella faccenda, ma fin dal momento in cui il suo cervello aveva recepito l'idea di una giornata da trascorrere senza vedere Decimo, conseguentemente tutto il resto del corpo aveva come rallentato ogni singola funzione vitale. Perfino l'idea della sua adorata sigaretta delle 22:00 lo aveva nauseato. Probabilmente un intera giornata da trascorrere senza poter godere a pieno di ogni sensazione che la figura di Decimo di fianco alla propria gli trasmetteva, doveva essere troppo anche per lui. Un intero giorno senza il sorriso gentile di Decimo, senza il suo tono comprensivo e la sua figura vacillante ma onesta gli sembrarono una tortura insopportabile.


Solo nei pochi minuti prima di addormentarsi una strana, sebben minima, energia lo aveva pervaso. Ciò che più propriamente una persona comune definirebbe senso del dovere, di cui Gokudera era stracolmo... ma che nelle ultime tre ore precedenti la telefonata di Decimo lo aveva abbandonato costringendolo ad un muto silenzio, costruito di angoscia e disappunto, facendolo sprofondare nello scomodo divano del piccolo salottino di casa sua.


Anche quella mattina ovviamente il suo “senso del dovere” parve essere scomparso improvvisamente, ma cercò di non pensarci, immaginando di costruirsene uno fittizio per situazioni estreme come quella, un senso del dovere più infrangibile del normale, per quando la tenacia ed il desiderio di proteggere Decimo non lo accompagnavano... una fedeltà provvisoria giurata momentaneamente ad un boss temporaneo, che sarebbe ovviamente scomparso senza rimpianti al ritorno di quello autentico. Dopotutto, Decimo, non lo avrebbe mai saputo.


Ovviamente non aveva calcolato i vari imprevisti e fastidi che avrebbe trovato ad attenderlo, già acquattati lungo gli angoli degli stretti vicoli che lo avrebbero condotto alla scuola media Namimori. Se ci avesse pensato, o quanto meno ne avesse avuto la forza, probabilmente si sarebbe dato malato anche lui, dopotutto se il proprio boss non è presente, per proteggere chi ci si reca nel luogo in cui lo si deve proteggere?!


Appena ne scorse la schiena, quella maledetta schiena, si pentì d'aver messo il piede fuori di casa.

Il tizio che lo precedeva fischiettando era contraddistinto da un'aura di fastidiosa allegria che Gokudera poche volte aveva visto pervadere qualcuno con cosi' tanta tenacia. Anche quello dopotutto faceva parte della routine quotidiana, ogni mattina Gokudera si recava a casa di Decimo e poi, insieme, si avviavano verso scuola e, puntualmente, proprio nei pochi metri di strada che Gokudera si accorse di star percorrendo incontravano lui: Yamamoto.


Effettivamente, se solo fosse stato più presente, o più sveglio, Gokudera avrebbe semplicemente potuto cambiare strada... ma sia per la stanchezza, sia per la delusione di una giornata senza Decimo ancora da smaltire, aveva pensato ad altro e, più per abitudine che per altro, le sue gambe lo avevano condotto lungo il percorso di ogni giorno.


Inizialmente pensò che seguirlo, a debita distanza sperando di non essere notato, sarebbe bastato ad evitargli almeno una stupida conversazione tenuta su dalle stupidaggini uscenti dalla sua bocca e dalle mono sillabe e gli insulti uscenti dalla propria che, sapeva, non avere la forza di pronunciare. Poi però, resosi conto dell'effettiva lentezza del passo di Yamamoto, che quel giorno non aveva bisogno di adattarsi a quello di nessuno, più per rassegnazione che per effettivo orgoglio, Gokudera giustificò la sua improvvisa decisione di superarlo ripetendosi che quell'idiota non valeva tanta fatica. Magari non lo avrebbe semplicemente visto, o forse, non lo avrebbe chiamato, dopotutto doveva certamente essersi accorto dell'antipatia che Gokudera provava nei suoi confronti! Chi non se ne sarebbe accorto!


Gokudera realizzò d'aver seriamente sopravvalutato i neuroni di Yamamoto quando, appena superato anche se a debita distanza, si sentì chiamare dalla sua voce già così fastidiosamente allegra fin da quell'ora del mattino.


- Gokudera!... Ehy! Gokudera...-


Gokudera aumento' il passo sperando con ogni fibra del suo essere di smettere di sentire la voce di Yamamoto alle spalle che, imperterrita, continuava a chiamarlo. Poté addirittura avvertire il proprio respiro smorzato dal proprio incedere frettoloso, tanto era l'impegno che sembrava deciso ad impiegare in quella difficoltosa attività. Al contrario di quello che sperava, dopo una prima e breve gioia nella quale si beò dei soli rumori del mattino cittadino, illudendosi di essere finalmente riuscito a seminarlo... una mano poggiatosi energeticamente sulla sua spalla lo costrinse a voltarsi sobbalzando.


- Non sentivi che ti chiamavo?- Sorrise Yamamoto


Ma come si poteva essere tanto ingenui? Possibile che esistessero persone così fiduciose in ogni loro simile da non volersi permettere il beneficio del dubbio? Se esistevano, secondo Gokudera, queste persone potevano dividersi solo in due categorie: i santi e gli idioti. Gokudera non era certo un tipo imprudente e valutava con attenzione chiunque gli si avvicinasse, specie se conseguentemente si avvicinavano al Decimo, ed in base a questo suo geniale intuito aveva, a priori, potuto escludere Takeshi Yamamoto dalla prima cerchia. Non perché non fosse un “bravo ragazzo” o avesse fatto o compiuto azioni disoneste o al danno di altri... semplicemente perché gli dava i nervi e, ovviamente sempre secondi il suo modesto parere, non si poteva essere che degli idioti se si dava i nervi a Gokudera... un fatto che, anche se seguitava ad ignorare questo particolare, includeva una buona percentuale della popolazione mondiale.

- Certo che ti ho sentito- Rispose acido scostandosi malamente la mano di Yamamoto dalla spalla – ho finto di non sentirti perché non ti volevo vedere... almeno per oggi!- Sbottò infine seguitando a camminare.


Ogni persona classificata come sana di mente dopo essere stata informata direttamente e senza mezzi termini di un fatto, già abbastanza chiaro di per sé, ma stavolta innegabile ed evidente avrebbe come minimo alzato i tacchi, risposto per le rime, iniziato una rissa, messosi a piangere, tirato un pugno, un libro, un sasso, sbattuto i piedi a terra dallo sdegno, fatto boccacce e forse addirittura premeditato il tuo omicidio... insomma qualsiasi reazione attribuita a un disagio... Takeshi Yamamoto sorrise e disse:


- Sempre a scherzare tu, eh?- E, continuando a sorridere, raggiunse Gokudera ormai pochi metri più avanti.







L'unico fatto positivo in quella giornata era stato, forse, il fatto di potersi sedere in prima fila, lontano da Yamamoto. Fingere di stare attento alla lezione lo avrebbe sicuramente distratto per un tempo sufficiente a non costringerlo a pensare a come evitarlo e conseguentemente irritarlo ancora di più. O forse avrebbe più semplicemente pensato al modo più appropriato di accogliere nuovamente il Decimo!


Gokudera si alzò, come tutti gli altri studenti della classe, sebbene con aria dichiaratamente più scocciata, accogliendo il professore di chimica appena entrato in aula, che dopo un veloce appello, fatto che lo costrinse a rimeditare sul proprio disagio alla muta risposta al cognome “Sawada”, afferrò un gessetto e velocemente cominciò la lezione sciorinando lunghi nomi di composti chimici. L'attenzione di Gokudera, prima vacillò per qualche istante, poi si assentò del tutto. In fondo non aveva alcun problema per quel che riguardava gli studi... i suoi voti erano i più alti della classe, tanto che poteva perfino permettersi di dare ripetizioni al Decimo che, ovviamente, non gli era inferiore in quanto intelligenza, ma aveva costanti problemi d'attenzione.


Gokudera ebbe a disposizione ogni singolo minuto antecedente la ricreazione per riflettere adeguatamente a come spendere i minuti che l'avrebbero preceduta, realizzata l'ansia della sua attesa non poté fare a meno di sentirsi un po' umiliato sentendosi, di conseguenza, uniformato nei suoi desideri a quelli di ogni singolo studente di quella classe. Non poteva permettersi certo di essere paragonato ad un normale studente, dopotutto! Lui era destinato a diventare il braccio destro del decimo boss della famiglia Vongola! Certe massificazioni non gli erano sicuramente consentite! L'unica cosa a cui doveva prestare attenzione in quel momento era seguire la lezione e proseguire la sua normale attività quotidiana come gli aveva semplicemente richiesto Decimo!


Quando, infine, la campanella della scuola seguita dal brusio della classe, segnò l'inizio della tanto agognata ricreazione, Gokudera non riuscì a far altro che provare una cocente delusione e amarezza nel notare i numerosi scarabocchi contornati da ancor più numerosi aeroplanini di diverse dimensioni adornanti il suo banco ed il suo quaderno degli appunti.



- Ehy, Gokudera!... vuoi venire a pranzare con noi?- Il tono tanto gioviale quanto temuto di Yamamoto lo raggiunse prima ancora che potesse alzarsi dal banco e rifuggire il chiasso insopportabile della propria classe, in qualche angolo della scuola dimenticato da tutti.


Ovviamente senza dare risposta, Gokudera afferrò il pacchetto delle sigarette nascosto nella tasca interna della tracolla e uscì dall'aula senza voltarsi indietro. Camminò lungo il corridoio con passo lento, lanciando pigre occhiate fuori dalla fila di finestre a nastro che davano sul cortile, poi, imboccate le scale, si avviò sul tetto sella scuola dove, forse, sarebbe potuto stare un po' in pace.


Mentre saliva i gradini ignorando con uno sbuffo il titubante richiamo del rappresentante della classe più vicina a quella rampa di scale, pregò, fatto insolito per lui dato che si vantava d'essere uno che non aveva bisogno di chiedere mai, di non incrociare nessun cretino del baseball, nessun marmocchio urlante, nessuna ragazzina ansiosa di dichiararglisi e nessun capo del comitato disciplinare ringhiante strane e quantomeno discutibili minacce.


Per un po' sentì il bisogno di crogiolarsi nella sua malinconia e meditare del suo disagio, la cui enorme e disarmante potenza lo aveva stupito non poco. Non che avesse mai pensato che una vita senza Decimo al suo fianco sarebbe stata piacevole o almeno sopportabile, ma l'angoscia e il malessere scaturiti solo da quelle poche ore prive della sua compagnia lo avevano disarmato.


Sentiva il bisogno di immergersi nei pensieri egoistici che ogni tanto lo coglievano impreparato prima che le palpebre si facessero troppo pesanti la sera tardi, o quando si voltava distrattamente e lo guardava tentare di svolgere un compito di dubbia difficoltà nel banco dietro al suo, lasciarsi avvolgere dal senso di possesso che gli nasceva nelle viscere e gli attanagliava la gola quando lo vedeva solo conversare con qualcuno, o della felicità e dell'emozione di quando lo sfiorava ed avvertiva la consistenza della sua pelle per proteggerlo o solo per chiarirgli un'equazione di terzo grado.


Dell'assoluta sicurezza di aver fatto la scelta giusta nell'avergli consacrato la propria esistenza, perché niente gli dava più pace del suo sorriso e delle sue parole gentili, così come nulla lo corrodeva più della consapevolezza di non poter fare altro che accontentarsi di quei momenti, di non poter placare la sua sete infinita se non con quelle stille di preziosa e terapeutica felicità che gli donava l'averlo semplicemente vicino.


Di questo sentì il bisogno mentre varcava, spingendo piano, la porta che dava sul tetto ed i raggi del sole lo costrinsero per un attimo a socchiudere gli occhi chiari, e di questo continuò a sentire il bisogno mentre poggiava la schiena alla rete di sicurezza e la bocca gli si riempiva dell'aspro sapore del tabacco a stomaco vuoto; come sapeva che quel bisogno l'avrebbe avvertito ogni sera prima di addormentarsi ed ogni mattina appena aperti gli occhi, giorno dopo giorno, ancora e ancora e ancora...




- Gokudera, immaginavo fossi qui...!-


Sperando di averla solo immaginata, Gokudera aprì gli occhi per accertarsi a tutti gli effetti dei brutti tiri che poteva giocargli il suo cervello e maledicendo la sua maledetta scaramanzia imprecò sottovoce, vedendo Yamamoto dirigersi sorridente verso di lui.


-...che cazzo vuoi?- Domandò a denti stretti facendo appello ad ogni grammo della sua (non molta) tolleranza ed imponendosi di rimanere seduto.


Yamamoto sorrise inginocchiandosi al suo fianco e, tirando fuori una merendina da dietro la schiena con fare stupidamente infantile, gliela porse continuando a sorridergli.


-Ho visto che non ti sei portato niente da mangiare e così....-


Gokudera fissò incredulo lo snack che Yamamoto gli stava porgendo per almeno un minuto per poi concludere con un:


- eh...!?-


Yamamoto sghignazzò offrendoglielo con più insistenza finché le sue mani più per automatismo che per altro lo presero dalle sue. Il ragazzo sorrise con aria ancor più stupidamente soddisfatta e gli si sedette di fianco, lasciandosi andare anche lui contro la rete che gemette lievemente in uno stridio di metallo.


-...ti avrei offerto un po' del mio bento ma... avevo davvero fame e quindi...- Si giustificò passandosi una mano tra i capelli, accarezzandosi la nuca.


Indeciso se essergli riconoscente o liquidarlo con una rispostaccia, come faceva sempre, Gokudera continuò a fissare la merendina per poi spostare lo sguardo su Yamamoto per alcuni minuti, in attesa che la sua bocca si dischiudesse per far uscire qualcosa di sensato.


- Non mi piacciono i dolci...- Sbottò improvvisamente porgendogli di nuovo la barretta -...ed in ogni caso non voglio la tua pietà!- Concluse acido in uno sbuffo di fumo che gli sgorgò dalle labbra.


Yamamoto lo fissò stupito per un attimo


-...non è vero, tu li mangi i dolci!- Replicò lui fissandolo con aria stupita. Il tono con cui lo disse, non sembrò né offeso né tanto meno incredulo... a Gokudera parve solamente simile a quello di un adulto che sta parlando con un bambino per ricordargli i suoi obblighi e le sue priorità. E questo lo indispose ancora di più.


- No invece!- Gli urlò contro scostandosi dalla rete che cigolò di nuovo, ed agitandogli nuovamente la barretta sotto al naso con gesto di stizza, si rese conto di aver risposto in modo talmente infantile da fargli sembrare quella scena ancor più patetica e ridicola.


Yamamoto continuò a fissarlo, con un'aria tra lo sconsolato ed il rammaricato, ma notando l'ostinazione che dimostrava nel non volersi riprendere la barretta, Gokudera si alzò in piedi con aria irritata ed, infine, gliela gettò in grembo.


- Non sei mica la mia balia...pretendi pure di sapere cosa mi piace e cosa non mi piace!? - Borbottò poi, iniziando al allontanarsi.


- Quando eri con Tsuna li mangiavi i dolci...-


Gokudera, a quelle parole, smise di camminare, avvertendo una leggera ma pungente morsa alla bocca dello stomaco, poi lentamente si portò una mano alle labbra, stringendo la sigaretta, o quel poco che ne rimaneva, tra le dita per poi gettarla oltre la rete di sicurezza costeggiante il tetto.


- Con Decimo è diverso...- Mormorò piano in risposta, procedendo nuovamente verso la rampa di scale che lo avrebbe ricondotto all'ultimo piano.


In quel momento avvertì talmente terrificante l'idea di voltarsi e leggere nel volto di Yamamoto la più piccola traccia di comprensione, intuizione o realizzazione improvvisa che si sentì pietrificato; tutti i movimenti del suo corpo gli parvero d'un tratto irrealizzabili ed ebbe la sensazione di rischiare di accasciarsi da un momento all'altro.


Anche quando ormai giunto alla porta del tetto, seguitò a non avvertire il minimo movimento, la benché minima presenza del compagno di classe alle spalle, la sua preoccupazione e la paura folle di averlo aiutato a comprendere ciò che aveva sempre tentato di camuffare, seppur alla bell'e meglio, lo investirono come un treno in corsa.


- Ehy...- Lo chiamò infine col tono di chi, preoccupato dalla piega che ha preso un discorso, tenta di sviare l'attenzione di chi ne sta parlando – rientriamo, la pausa pranzo sta per finire...-


Il silenzio fu la sua risposta ed il sangue gli si gelò nelle vene, non lo sapeva, non poteva saperlo ma giurò di essere diventato bianco come un lenzuolo.


Finché, finalmente, proprio prima di voltarsi. Udì il cigolio della rete metallica ed i passi sempre più vicini di Yamamoto, sobbalzò, perfino, quando lui gli posò una mano sulla spalla.


- Hai ragione...- Disse l'altro con tono allegro.


A quanto sembrava, aveva nuovamente sopravvalutato l'intelligenza nonché l'intuizione di Yamamoto. Rassicurato da questo pensiero per Gokudera fu come riprendere a respirare. Finché voltandosi per un attimo, nello scendere la rampa di scale, non scorse il volto di Yamamoto...su cui si dipingeva la stessa espressione terribilmente seria che ricordava di avergli visto per la prima volta, solo quel torrido pomeriggio di pochi giorni addietro.







Lo schiamazzo che riempiva il cortile era quasi peggiore di quello della ricreazione...

Lo scricchiolio della ghiaia sotto le ruote delle biciclette, ormai sempre più numerose, che gli passavano accanto sovrastava, d'altro canto ed almeno per il momento, lo squittio di alcune ragazze alle sue spalle.


- Ci vediamo domani, Gokudera!-


-...Sei stato bravissimo all'interrogazione di oggi, Gokudera!-


- Vorresti fare la strada di casa con me, Gokudera?-


Se non si fosse sbrigato a tornare a casa in fretta e telefonare a Decimo per sentire finalmente la sua voce, quella giornata sarebbe probabilmente stata classificata al più presto come tra le peggiori della sua vita. Oltre ad essere stata terribilmente noiosa ed improduttiva, l'aveva trascorsa quasi costantemente in compagnia dello scemo del baseball ed aveva, inoltre, rischiato di metterlo a conoscenza di quello che una persona come lui non avrebbe mai dovuto sapere!


Eppure... l'espressione seria che gli sembrava d'avergli visto impressa sul volto continuava ad ossessionarlo, ormai, dalla fine della lezione...ma non era possibile che, scemo com'era, avesse capito qualcosa...


Aumentò il passo, nel tentativo di rendere quegli insistenti cinguettii ancora più inudibili di quanto avessero già cominciato ad essere. Ma il fatto di essersi allontanato dai mucchi di studenti ansiosi di tornare a casa, dalle ragazzine frivole e dagli insegnanti smaniosi di fare il loro lavoro anche quando questo non prevedeva uno stipendio, non lo fece sentire meglio come sperava. L'espressione seria di Yamamoto era sempre lì, davanti ai suoi occhi ed il silenzio angosciante che aveva seguito quella sua stupida ed inopportuna confessione continuava a rimbombargli imperterrito nelle orecchie.


Solo quando avvertì una presa strattonarlo gentilmente per l'orlo della giacca della divisa, l'angoscia ed il timore lasciarono spazio all'irritazione e alla collera dettate dallo sfinimento e dal nervosismo che sembrarono pervaderlo per ogni dove come una scossa elettrica.


- No! Non me ne frega niente di riaccompagnarti a casa...!- Ringhiò voltandosi; scattando come un pupazzo a molla di una finta tabacchiera.


- Non sei molto gentile...- Sorrise mestamente Yamamoto alzando le mani in segno di resa ed allontanandosi di un passo.


Col senno di poi, Gokudera si sarebbe probabilmente voltato e sarebbe corso via a gambe levate, imprecando e urlando come un pazzo in preda ad una crisi isterica, che d'altro canto, era una delle descrizioni che meglio lo identificavano quando litigava...o meglio, imprecava da solo contro Yamamoto che, dal canto suo, si limitava a sorridergli tentando di calmarlo. Ma forse per lo sfinimento, forse per la voglia di sfogarsi con qualcuno lo squadrò con fare prepotente per poi afferrargli il bavero della camicia e strattonargli il viso all'altezza del suo.


-...sentimi bene, cretino del baseball, oggi ho avuto le più possibili rotture di palle di cui tu, per altro, sei una delle maggiori cause, pertanto ti suggerisco di voltarti e tornartene a casa!- Sibilò a denti stretti a poco più di qualche centimetro dal volto tristemente sorridente di Yamamoto.


- Secondo me sei così nervoso perché non mangi abbastanza – Disse poi lui, liberandosi gentilmente dalla sua presa – Se vuoi puoi passare da me e pranzare col sushi di mio padre, a lui fa sempre piacere che i miei amici vengano nel suo negozio!-


-...io non sono tuo amico!- Ringhiò Gokudera voltandosi e proseguendo a camminare velocemente.

Yamamoto lo osservò per un attimo, per poi seguirlo a passo svelto verso la strada verso casa sua.


Chiunque li avesse visti passeggiare a quel modo, probabilmente, li avrebbe definiti come una qualunque coppia di amici che tornavano a casa dopo la scuola. Ma si sarebbero senza dubbio scoperti in torto al solo sentire uno qualunque degli appellativi con cui Gokudera si riferiva a Yamamoto.


Lui, d'altra parte, non aveva mai pensato che Yamamoto fosse suo amico. Questa idea non lo aveva neanche sfiorato per un secondo. Non lo poteva soffrire, lo irritava qualsiasi cosa dicesse, era sempre inutilmente sorridente e di buon umore e sembrava trovare qualsiasi sua azione o frase talmente divertente da accoglierla e rispondervi sempre con stupida frenesia, perfino le offese sembravano non nuocerlo nè infastidirlo. Il fatto che lui fosse un suo compagno, non lo rendeva certo suo amico. Per quel che riguardava il fatto “che cosa fosse lui per Yamamoto” non lo sapeva e non gliene fregava niente.


Ma in quel momento era probabilmente troppo stanco ed esausto per ricordargli ancora una volta quanto lo ritenesse stupido e noioso. Si limitò a camminare col suo solito passo svelto, fingendo di ignorarlo, mentre l'altro si limitava a camminargli di fianco, con le mani infantilmente incrociate dietro la nuca, sorridente.


- Non ho mai visto dove vivi, sai?- Disse dopo pochi minuti, infrangendo in mille pezzi la flebile speranza che Gokudera riponeva nel fatto che il fastidioso chiocciare delle sue compagne di classe sarebbe stato l'ultimo rumore fastidioso della giornata.


- Non vorrai certo cominciare oggi...- Borbottò Gokudera biascicando ogni parola come se, ogni singola lettera che pronunciava, gli costasse dieci anni di vita. In quel momento sentì l'estremo bisogno di una sigaretta; afferrò la tracolla e tirò fuori il pacchetto stropicciato.


Aspirò, covando l'improvviso, folle desiderio in un errore della fabbrica che l'aveva prodotta: magari una quantità eccessiva di tabacco gli avrebbe ottenebrato i sensi il tempo necessario per nascondere il suo cervello alla ridicola conversazione che di lì a poco Yamamoto avrebbe intavolato pensandola interessante.


- Sbaglio o oggi sei più irritabile del solito?- Chiese Yamamoto in tono allegro, socchiudendo gli occhi in uno dei suoi soliti sorrisi.


-... allora non sei così stupido come pensavo!- Rispose Gokudera con un tono enfatico talmente falso che, per un attimo, temette di strozzarsi con il proprio respiro.


- E' perché non c'è Tsuna che sei così arrabbiato?- Chiese infine l'altro dopo pochi secondi di silenzio.


Il sapore che gli riempì la bocca in quel momento gli sembrò così simile a veleno che per un attimo quasi ci credette ad un errore della fabbrica di sigarette. Gli sembrò che il fumo avesse preso forma solida all'interno del suo esofago: la forma di un milione di piccoli aghi roventi che gli ustionarono la lingua e la gola.


Pregò di riuscire a viaggiare nel tempo in un luogo qualsiasi, purché il più lontano possibile da lì, mentre il pacchetto di sigarette gli cadde di mano e i suoi piedi divennero troppo pesanti per muoversi di nuovo.


Era così, dunque... l'aveva capito sul serio.


- Gokudera...- Yamamoto lo chiamò piano, in maniera quasi impercettibile, mentre rallentava per poi fermarsi a guardarlo.


Gokudera continuò a fissare il pacchetto di sigarette caduto a terra, perdendosi oltre il colore bianco della confezione che sembrò improvvisamente mischiarsi all'asfalto in un mix di contorni e tinte. Il nodo alla stomaco si trasformò in terrore liquido che gli cosparse ogni arto del corpo.


La mano che lo scosse pochi secondi più tardi lo fece sobbalzare come se fosse stato fulminato.


- Stai bene?- Gli chiese il volto di Yamamoto improvvisamente troppo vicino, tanto che Gokudera sobbalzò nuovamente costringendosi ad un passo indietro.


- Perché mi hai fatto quella domanda?- Chiese senza pensare


- ...Che...?- Chiese Yamamoto con aria incredula


- Rispondimi!- Sbottò Gokudera


Yamamoto lo fissò silente per alcuni secondi e per la terza volta, quella settimana, il suo viso non accennò alcun segno di serenità.


- Perché...tu e Tsuna andate d'accordo e oggi che non c'è mi sei sembrato...provato, tutto qui. -


Gokudera lo fissò in silenzio, mentre avvertì la stretta allo stomaco farsi meno insopportabile.


-...noi...andiamo d'accordo...- Ripeté mormorando le parole di Yamamoto, come a voler soppesarne ogni sfumatura sulla punta della lingua.


Abbassò nuovamente lo sguardo, fissando un punto imprecisato sull'orlo dei pantaloni della divisa del ragazzo che continuava a stargli di fronte, in silenzio.


-...queste sigarette fanno schifo.- Borbottò Gokudera togliendosi il mozzicone dalle labbra e gettandolo a terra, per poi calpestarlo.


La sensazione di soffocamento era sparita ormai del tutto quando riprese a camminare, superando Yamamoto che, con aria stupita, raccolse il pacchetto di sigarette e continuò a seguirlo in silenzio.


- Sono arrivato.- Disse d'un tratto Gokudera fermandosi davanti ad un piccolo cancello di ferro.


-...vivi qui?- Chiese Yamamoto affacciandosi oltre il muretto che costeggiava il piccolo condominio davanti al quale si erano fermati.


- eh già...- Sibilò Gokudera annoiato, aprendo il cancellino. Tutto quello che voleva fare in quel momento era allontanarsi il più velocemente da Yamamoto. Quella giornata si era rivelata anche troppo estenuante.


La presa che avvertì strattonarlo per la cartella, lo costrinse a fermarsi per l'ennesima volta e, nuovamente voltarsi verso di lui; Yamamoto gli aprì la tracolla e ci ficcò dentro una mano.


- Che cazzo fai!?- Strillò Gokudera balzando indietro ed abbracciando la tracolla con la stessa enfasi di un naufrago che stringe un salvagente.


Yamamoto sorrise nuovamente e, stranamente, a quella vista, il più piccolo residuo di ogni brutta sensazione che ancora attanagliava, in silenzio, le viscere di Gokudera scomparve nel nulla.


- Ti stavo restituendo le sigarette...- Sorrise Yamamoto sventolando il pacchetto con aria nuovamente stupida.


Gokudera sbuffò, non sapendo più come rispondere. Si limitò quindi ad afferrare il pacchetto, chiudere il cancello e salire i pochi gradini prima del grande portone del condominio. Afferrò il mazzo di chiavi dalla tasca della divisa e introdusse la chiave più piccola nella toppa.


-...grazie...- Mormorò prima di sparire, come inghiottito, dall'ingresso del condominio.


Non seppe il perché ma ebbe l'irritante sensazione che Yamamoto stesse sorridendo mentre si allontanava a passo lento, proseguendo, finalmente, verso casa sua.




Abbandonandosi contro la porta e scivolando lentamente verso il basso, per Gokudera fu come ricominciare a respirare. Yamamoto non sapeva niente. Non aveva intuito niente e mai lo avrebbe intuito! Il suo cuore gli sembrò così leggero che pensò quasi di ringraziarlo, il giorno dopo, per la stupidità del suo minuscolo cervello.


Solo quando, nuovamente nel suo appartamento, si tolse le scarpe avvertì il dolore lancinante che gli attanagliava le piante dei piedi...doveva aver camminato davvero in fretta perché gli facessero così male. In quel momento, chissà come e perché, ricordò quella mattina, quando aveva incrociato Yamamoto che lo precedeva con passo lento e tranquillo. Se quello scemo era abituato a camminare così piano, chissà la fatica che aveva fatto per stargli dietro... Gokudera si sentì quasi lusingato nell'essere riuscito a variare il ritmo della camminata di qualcuno...lui non l'avrebbe mai fatto, eccetto per il Decimo naturalmente!


Doveva proprio essere molta la simpatia che lo scemo del baseball provava nei suoi confronti se in favore di questa era disposto a variare una sua abitudine...ma dopotutto era uno stupido e le abitudini degli stupidi, pensò Gokudera, variano come le idee nel loro cervello e non se ne accorgono nemmeno.


Le sorprese ed il disagio che lo avevano sconvolto in quella giornata, a parer suo, bastavano per una vita intera... adesso tutto quello a cui doveva pensare era telefonare a Decimo ed accertarsi della sua buona salute.


Ma il disappunto ed il disagio di Gokudera toccarono il limite massimo quando, la sera, aprendo la cartella per tirare fuori il pacchetto di sigarette già cominciato, la carta rifrangente di una barretta energetica brillò beffarda illuminata dalla luce elettrica del piccolo salotto.












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Capitolo 3
*** Il dovere ed il piacere ***


Il dovere e il piacere





Vacanze estive... ultimo giorno di scuola.


Se c'era una cosa che Gokudera amava più del suo ruolo di braccio destro, era il pensiero di non dover andare a scuola. La sveglia al mattino presto, la colazione di fretta con lo stomaco sottosopra, le ore infinite, scandite con la velocità di una condanna a morte, dover quantomeno fingere un'attenzione superflua alle spiegazioni banali e tediose e, ultima ma non meno importante, l'irritazione tenuta a freno alla meno peggio nel dover incontrare ogni singolo giorno le stesse irritanti persone.


Sopravvivere alla sua routine quotidiana era un'impresa assai ardua: la voce assordante di Ryohei, le assurde tirannie di Hibari, lo stupido sorrisetto accondiscendente di Kyoko Sasagawa, ogni giorno sempre un passo troppo più vicina a Decimo, la risata irritante di Yamamoto... tutto questo era troppo da sopportare per una persona sola.


Solo Decimo sembrava sopravvivergli senza troppi problemi... ma dopotutto lui era il decimo boss della famiglia Vongola, e Gokudera questo particolare non lo scordava mai, così come non smetteva di indirizzare ogni sua attenzione, ogni suo sforzo alla serenità del suo boss.


Forse era questo a turbarlo più di tutto: il fatto che una volta cominciate le vacanze estive non avrebbe più avuto scuse per stare al suo fianco che non fossero la sua sicurezza; ma d'altro canto era pur sempre quella il primo pensiero di Gokudera... no?


Sarebbe dovuto essere così, ma lui aveva smesso di crederci da tempo. Più o meno da quando lo stargli vicino era divenuta una necessità anche per lui. Perché se la fatica di andare a scuola sfociava nella ricompensa di poterlo vedere, e a volte addirittura sfiorare, allora il gioco valeva sicuramente la candela. Se il prezzo per poter vegliare su Decimo fosse stato di farlo in silenzio, per tutta quella vita che gli rimaneva, avrebbe volentieri accettato.


Questi non sono i pensieri di un qualsiasi braccio destro...” pensava sempre Gokudera nei momenti in cui il tempo lo premiava con qualche ora per farlo “però se riuscissi a compiere lo stesso il mio dovere... se riuscissi a farlo stare bene, nonostante lo ami così tanto da faticare a nasconderlo... se con il semplice fatto di sopportare riuscissi a proteggerlo .. allora... allora andrebbe bene, giusto?”






-Gokudera!-

La voce cristallina di Decimo fu, come sempre, il miglior buongiorno nonostante le grida di Lambo avessero surclassato qualsiasi altro suono. Gokudera, dal canto suo, si costrinse ad ignorare quel frastuono, rispondendo garbatamente al saluto, e posizionandosi alla destra del boss, preparandosi così ad incamminarsi con lui lungo la solita via per recarsi a scuola.


- Non passiamo a prendere Yamamoto?- Chiese d'un tratto Tsuna con aria sorpresa, fermandosi d'innanzi allo svincolo che conduceva alla casa del ragazzo, e che Gokudera aveva deciso bellamente di ignorare proseguendo senza voltarsi nemmeno un attimo.


- Decimo, ci farà sicuramente perdere tempo...- Tentò di protestare senza fare un passo – E, perdonatemi se ve lo dico, ma dovreste smetterla di frequentare tipi come lui, non portano niente di buono...-


Dall'espressione di Tsuna a quelle parole si poteva tranquillamente intuire che non ne approvava nemmeno una sillaba: la piccola bocca imbronciata, e lo sguardo corrucciato che si spostava da Gokudera all'incrocio e viceversa. Gokudera abbassò lo sguardo avvertendo un vago sapore di colpevolezza intorpidirli la lingua ma, sempre fermo sulle sue convinzioni, seguitò nella sua immobilità.


- Non dovresti parlare così.- Disse poi Decimo interrompendo il silenzio – Yamamoto non ha mai fatto niente di male; anzi è sempre gentile sia con me che con te. Il tuo astio, Gokudera... davvero... non lo capisco... - Borbottò, infine, fissandolo con aria di rimprovero, un rimprovero triste e deluso, che colpì Gokudera più a fondo e più dolorosamente di un pugno in pieno stomaco.


- Avete ragione Decimo, perdonatemi...- Biascicò Gokudera dopo un breve silenzio, confessando una colpa che non riteneva veramente tale ma che l'aria contrita del suo Boss erano riusciti a trasformare in un fardello insopportabile -...Farò come volete.- Concluse infine raggiungendolo pochi metri più indietro.


Tsuna sorrise sereno a quelle parole e, con rinnovato buonumore, riprese come niente il discorso interrotto minuti addietro, mentre Gokudera si dava dello stupido, riconoscendosi incapace di seguire una sola parola pronunciata da Decimo in quel momento: il pensiero di dover vedere Yamamoto, probabilmente parlargli, dopo quella ridicola scenata, quel suo ridicolo ed imbarazzante gesto di gentilezza del giorno prima, lo agitava più del previsto.


Un sentore di speranza si fece, d'un tratto, largo in lui: magari non lo avrebbero incontrato prima delle lezioni, forse quella mattina era già uscito, o forse non si era neppure svegliato, pigro com'era... ma al contrario di quello che sperava, non appena voltato l'angolo, se lo ritrovarono davanti, allegro e sorridente come solo lui poteva essere a quell'ora del mattino.


- Buongiorno Tsuna!- Esclamò Yamamoto con aria allegra poggiando una mano sulla spalla di Decimo, che gentilmente sorrise e ricambiò il saluto.


- Ciao Gokudera...- Disse poi sorridendo dolcemente, troppo dolcemente, voltandosi verso di lui.


- Che razza di buongiorno sarebbe quel “ciao!?” salutami come si deve, razza di caprone ignorante!- Protestò Gokudera sdegnato, alzando un pugno in aria con aria minacciosa.


E, ovviamente, Yamamoto si limitò a sorridere divertito.





Se doveva stare con quell'idiota in ogni caso, tanto valeva farlo in modo di far piacere al Decimo, pensò fissando un punto indefinito nello sprazzo di cielo limpido che sbucava tra le nuvole, fuori dalla finestra dell'aula.


Al contrario di quello che aveva sperato, erano arrivati in orario perfetto; nessun inconveniente, nessun imprevisto che avesse potuto instaurare dentro Decimo il dubbio che ascoltarlo e lasciare indietro Yamamoto sarebbe stata, almeno quella mattina, la scelta migliore.


...Era fastidioso. Incredibilmente fastidioso!


Quando Yamamoto lo guardava era come se potesse vedere qualsiasi cosa di lui. Sentiva ogni suo segreto più profondo messo a nudo ed in pericolo, specie se quando lo sorprendeva a fissarlo, lui, aveva sulla faccia quell'espressione seria che sembrava non confarsi in alcun modo ai tratti del suo viso.


Non gli piaceva. Era questo il punto. Razionalmente sapeva che Yamamoto non aveva mai fatto niente di così terribile da meritarsi la sua antipatia, ma gli dava sui nervi comunque. Ogni cosa della sua persona lo metteva in allarme, e quando gli stava vicino era come se avvertisse un qualcosa di cui nessuno sapeva, o voleva, accorgersi.


Ovviamente non lo sopravvalutava talmente tanto da ritenerlo un pericolo per se stesso o per il Decimo, ma quel tanto che bastava a non permettergli di avvicinarglisi troppo. Del resto la fiducia ed il rispetto non erano cose che Gokudera concedeva così facilmente, tanto che sapeva che se anche Yamamoto fosse stato un santo in persona non gli avrebbe concesso di superare quella linea con cui teneva a distanza chiunque non fosse il decimo boss dei Vongola.


Razionalmente sapeva anche che a Yamamoto non interessava in alcun modo il ruolo di “braccio destro” tant'è che seguitava a prendere tutto come uno stupido gioco, al punto si rischiare di morire.


Però...


Lo riteneva pregno di falsità, tanto da lasciarsene dietro il fetore. Una falsità che, ne era convinto, sembrava conservare solo per lui. Il sorriso, i gesti, le parole di Yamamoto quando era in sua presenza... avevano lo stesso nauseante odore dei propri... quando stava con Decimo.



La falsità pura e conscia della propria esistenza.







- ...Che cosa!? M-ma Decimo...-


- Su, su! Vedrai che sarà divertente! Sono pur sempre vacanze estive no?-


- Chiudi la bocca, scemo del baseball! Non stavo parlando con te!-


- Gokudera, sta tranquillo, ha ragione! Consideriamolo un preludio al mese di vacanza...-


-...però...io...-


- Rilassati, avrai tutto il tempo per studiare i giorni seguenti...-


-Non è di quello che mi preoccupo, idiota! Non ho certo i tuoi problemi io!...Decimo, siete sicuro che non sarà una distrazione troppo impegnativa per voi? Ci sono gli esami al rientro, e...-


- E' soltanto una cena Gokudera, non preoccuparti! Sono sicuro che sarà divertente, in fin dei conti vengono tutti...-


-...-







Se quel giorno era iniziato male, non avrebbe potuto finire peggio di così:


Una cena a casa di Yamamoto...


Se quella mattina glielo avessero detto probabilmente non c'avrebbe creduto, e comunque sarebbe stato più che sicuro della sua risposta all'invito. Ma era incredibile come in quei giorni tutto quello che riteneva certo si stesse sgretolando davanti a lui.


Aveva accettato.


O meglio: era stato costretto ad accettare; dopotutto visto che a chiederglielo era stato Decimo con che forza avrebbe potuto rifiutare? Non aveva ceduto senza lottare, questo no! Aveva tirato in ballo ogni scusa possibile: come, per esempio, il fatto che Decimo fino al giorno prima fosse stato poco bene; era una scusa che non reggeva ma, davanti a una cena con la Famiglia, non era da escludere un finale incerto, “ci sono tutti Gokudera, se mancassimo che figura ci faremmo?”...scusa crollata; gli esami imminenti e il fatto che Decimo, anche se pienamente giustificato, non fosse preparato ad affrontarli, “non preoccuparti, Gokudera, abbiamo un mese per studiare, sono sicuro che andrà tutto bene”...scusa crollata; l'ora tarda? “La cena finisce alle dieci e mezza, Gokudera e poi il giorno dopo mica abbiamo scuola!” Pericolosi malintenzionati per strada? “Tanto siamo in gruppo, Gokudera.” Possibile intossicazione alimentare? “E dai, Gokudera, andiamo...!”


Crollata, crollata, crollata!

Non era riuscito a trovare nemmeno una scusante secondo cui lui e Decimo avrebbero potuto scampare a questa piaga... Che sarà mai, Gokudera! Puoi sopravvivere ad una misera cena no?


La verità era che non era tanto la cena il problema... ma a casa di chi!


A mente fredda era ovvio pensare che, dato che il padre di Yamamoto gestiva un ristorante, era sciocco non approfittare della cosa! Ma avrebbe preferito volentieri pagare più di quanto poteva permettersi piuttosto che averlo tra i piedi ed essergli di nuovo debitore!


Ma Decimo ne era stato felice e, ovviamente, alla fine aveva dovuto arrendersi, come sempre in quei giorni, all'inevitabile! Dopotutto, l'opzione di non andarci e lasciare Decimo da solo ed in balia di tutti i fuori di testa che ci sarebbero stati quella sera era assolutamente da escludere!


Non gli restò che acconsentire e, masticando amaro, tentare di godersi il resto della ricreazione.






- Decimo, perdonatemi, se insisto ma... continuo a ritenerla una brutta, bruttissima idea!-


- Coraggio, Gokudera, è solo una cena, sono certo che non ne morirai!-


Chissà perché, Gokudera era pronto a scommettere il contrario.

Aveva cercato in tutti i modi, e la sua coscienza gliene era testimone, di trovare il lato positivo in quella faccenda ma il suo cervello aveva iniziato a fumare prima di avvicinarsi lontanamente ad una soluzione che non fosse l'accontentare Decimo; certo, per lui era sufficiente il fatto di vederlo felice, ma continuava ad avvertire come un brusio nella sua testa, una piccola e odiosa vocetta, che gli sussurrava che non poteva essere abbastanza e che trovare una scusa, anche ridicola, per svignarsela al più presto sarebbe stato, a conti fatti, molto più appagante.


L'orario delle lezioni era finito già da un bel pezzo, anche se quello della cena si avvicinava sempre di più, ma entrambi si erano visti costretti ad attendere il termine dei vari club, compreso quello di baseball, di cui Yamamoto faceva parte.


Non che Gokudera fosse stato ad ascoltare rapito ma tra uno sprazzo di disperazione ed uno, costretto, di lucidità aveva afferrato qualcosa del discorso di Yamamoto, e a quanto aveva capito l'allenamento di quella sera era pressappoco improrogabile. Niente che compromettesse “l'agognata” cena comunque, Gokudera e Tsuna avrebbero solo dovuto attenderne la conclusione per poi recarsi ad un orario preciso a casa di Yamamoto.


Se non altro, qualcosa di positivo quella giornata gliel'aveva offerto, pensò Gokudera accomodandosi in camera di Decimo.


- Dobbiamo aspettare solo mezz'ora, ma fa troppo caldo per farlo fuori... vuoi qualcosa da bere?- Chiese Tsuna poggiando la cartella in un angolo della camera.


- No, grazie, sto bene così.- Sorrise Gokudera, aspettando che Tsuna si sedesse, per poi imitarlo.


- Bianchi non è in casa, non preoccuparti, ha portato fuori i bambini per una passeggiata... a pensarci bene non so neanche dove sia Reborn.- Disse Tsuna allentandosi il nodo della cravatta e guardandosi intorno con aria sospettosa, dato che non era da escludere il fatto che il suo tutor spuntasse da un momento all'altro da i luoghi più impensabili.


Sua sorella non c'era, i mocciosi nemmeno e Reborn non dava segni di una sua imminente comparsa... Gokudera quasi non poteva crederci. Forse era il premio per tutte le fatiche e le sofferenze che lo avrebbero accolto di lì a poco, ma in quel momento si sentì semplicemente grato per quella splendida opportunità che gli veniva offerta.


Non che avesse intenzione di fare nulla, è ovvio. Il solo pensiero di alzare un dito su Decimo lo faceva rabbrividire di disgusto verso se stesso, non si sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere... aveva scelto di amarlo da lontano, in silenzio, e tanto bastava!


Probabilmente avrebbe preferito morire piuttosto che provare l'imbarazzo di toccarlo... non che il solo pensiero di esserne degno lo avesse mai sfiorato!


Era convinto che il suo modo di amare Decimo fosse il più forte ed indissolubile. Un amore che trascendeva anche il mero e breve bisogno dell'appagamento fisico. Lo avrebbe amato per sempre, non costringendolo mai a ricambiarlo o a conoscere ciò che provava.


Sì” Pensò Gokudera guardandolo sorridergli “Posso stargli accanto... e, per ora, mi basta!”






Grazie al cielo, anche se la cena era stata definita, anche da lui, come “della Famiglia”, non c'erano veramente tutti i membri della famiglia!


Anche se quelli che si erano presentati bastavano a far saltare ogni singolo nervo di Gokudera:

Ryohei aveva già cominciato a straparlare di box, arricchendo ogni frasi con numerosi ed “estremi” vocaboli e movimenti; Lambo ed I-Pin correvano da una parte all'altra della stanza inseguendosi ed urlando come pazzi, lanciandosi ogni cosa fosse alla loro portata e questo includeva, ovviamente, il cibo; Kyoko Haru e Chrome erano forse le più tranquille mentre ridevano e parlottavano tra loro; come se non bastasse si erano uniti all'ultimo momento anche Bianchi, che aveva avuto, quantomeno, il buonsenso di indossare gli occhiali, così da evitare la nausea a Gokudera (almeno quella...), e Reborn, che per il momento sembrava il pericolo minore mentre stava “appollaiato”, come di consueto, sulla spalla di Yamamoto, che per nulla intimorito dal frastuono e dal caos regnanti in casa propria, continuava a sorridere e a servire abbondanti portate, mentre suo padre, svelto e anch'egli sorridente, muoveva il coltello da cucina ad una velocità inaudita preparando sempre più abbondanti porzioni di sushi.


Per un momento Gokudera quasi rimpianse l'assenza di Hibari e del suo feticismo per l'ordine, la disciplina e soprattutto per il silenzio.


Era ancora imbambolato sull'ingresso, combattuto fra un'improvvisa voglia di piangere dalla disperazione e quella di afferrare il boss per la collottola e correre via a gambe levate; tentò un salvataggio in extremis fissando Decimo, ancora al suo fianco, con l'aria di chi sta andando al patibolo, sperando di smuovere qualcosa, nel suo buon cuore, che lo costringesse ad un atto di pietà.


Decimo ricambiò lo sguardo, dopo aver osservato a lungo il pandemonio all'interno del ristorante, e gli sorrise imbarazzato, se per chiedergli scusa o per chiedergli si sopportare solo per quella volta, Gokudera non lo seppe mai, fatto sta che gli afferrò la manica invitandolo a seguirlo in quell'inferno, e a Gokudera quel gesto bastò: prese un lungo respiro e, come sempre, lo seguì.






Al contrario di quello che si era aspettato la cena non fu un evento così terribile, specialmente quando ormai verso le dieci i bambini, compreso Reborn, si calmarono, sprofondando in un sonno profondo, tra le braccia di Kyoko, Haru e Bianchi; perfino Ryohei sembrò calmarsi dopo essersi rimpinzato di sushi come un animale.


Anche il cibo, dopo un po', si era esaurito, soprattutto dopo che lo chef, sollecitato più volte dal figlio, si era ritirato al piano superiore, lungo una lunga e stretta rampa di scale, che conduceva all'abitazione della famiglia Yamamoto; ed ora a parte le chiacchiere, qualche sbadiglio soffocato e alcuni pezzi di sushi appiccicati un po' ovunque, dell'atmosfera gioiosa di inizio cena non rimaneva poi molto.


- Si è fatto tardi- Soggiunse Kyoko Sasagawa dopo poco, osservando il fratello che forse intontito dalle abbondanti porzioni ingurgitate, si era appisolato con la testa contro il bordo del tavolo -...Grazie infinite della cena Yamamoto! È stata meravigliosa, mi sono divertita tanto. Dovremmo rifarlo prima o poi!-


- Senz'altro!- Esclamò Yamamoto alzandosi per accompagnare lei e suo fratello, svegliato da una gomitata di Gokudera, alla porta.


Anche Haru, Chrome e Bianchi si alzarono imitandoli, stringendo ancora tra le braccia Lambo e Reborn, che non accennavano in alcun modo a volersi svegliare.


- Andiamo anche noi, allora!-


Si alzarono anche Gokudera e Tsuna unendosi al gruppo ed avviandosi verso l'ingresso.

Era finita finalmente! Era stato molto meno insopportabile di quanto Gokudera aveva temuto: Reborn non aveva inscenato alcuna gara insensata, Bianchi non aveva tentato di avvelenare nessuno e anche i due mocciosi, contrariamente a quanto era sembrato all'inizio, avevano saputo darsi un contegno, ma soprattutto... Yamamoto non gli aveva rivolto neppure una parola, tranne che per dargli il benvenuto.


Si sarebbe quasi potuta definire una serata normale, trascorsa in compagnia dei propri compagni.


- Kyoko-chan, aspetta!- La voce di Tsuna interruppe il silenzio preceduto dai saluti finali e, senza sapere perché, Gokudera avvertì un'improvvisa sensazione di soffocamento, come se l'atmosfera attorno a lui fosse stata privata di ogni singola molecola di ossigeno – Ecco, mi chiedevo se...-


...avvertì lo stomaco stringerglisi come se già avesse capito, inconsciamente, le parole di Decimo prima che queste uscissero dalla sua bocca.


- … è pericoloso andare in giro da sole, anche se c'è Ryohei... siete pur sempre tre ragazze, non vuoi che vi accompagni?-


E Gokudera strinse i pugni così forte da farsi male.

Avvertì le gambe fremere impazienti di correre, correre più veloce che potevano, quel tanto che bastava per andarsene da quel posto, da quel momento...

quel tanto che bastava per non avvertire più nulla se non il dolore lancinante dei muscoli delle proprie cosce.


Ti prego, digli di no...”


- Oh, grazie Tsuna... ma... sei sicuro? Non sei obbligato...- Chiese sorridendo con aria imbarazzata Kyoko Sasagawa, abbassando lo sguardo.


No... ti prego... no!”


- Non è così... mi fa piacere!- Aggiunse Tsuna arrossendo e accarezzandosi la nuca con aria imbarazzata.


- Allora ti ringrazio!-


Gokudera sentì solo qualche risata e qualche suono indistinto del discorso e delle parole che vennero pronunciate in seguito. Venne tutto surclassato dal dolore lancinante che gli colpì la gola, come se questa dovesse scoppiare dall'interno.


- Gokudera...- La voce di Decimo lo richiamò indietro, come se fosse stato risucchiato velocemente nella realtà; Tsuna si voltò in direzione di Kyoko e gli altri, che erano ormai fuori dal ristorante, per poi riportare lo sguardo su di lui – Scusami... a te va bene?-


Ci sarebbero state molte frasi da poter usare per rispondere, mille parole da poter usare per esprimere ciò che Gokudera sentiva davvero in quel momento. Forse tutte, tranne quelle che usò.


-... certo, andate pure Decimo, fate attenzione.-


- Grazie!- Sorrise lui, sparendo nel buio della strada.








- Hai fatto bene-


Gokudera sobbalzò a quel suono improvviso, così diverso da quello che regnava nell'apatia in cui era improvvisamente ripiombato. Si voltò, scoprendosi ancora in piedi, nell'ingresso del ristorante di Yamamoto che ora lo fissava standogli di fronte. Sorrideva, ovviamente, ma con un aria diversa. Un'aria che iniettò dentro Gokudera l'improvvisa voglia di rimanere lì, ancora per molto, fino a quando non avrebbe fatto più male, l'improvvisa sicurezza che gli bastava per mettersi a piangere davanti a qualcuno, cosa che non aveva mai fatto neppure da piccolo, perché ci voleva così tanta sicurezza e forza per riuscire a farlo...


Eppure continuò a rimanere in piedi, in silenzio, nell'ingresso; probabilmente con l'aria di chi è stato pestato a sangue fino all'annullamento di ogni traccia di autostima.


- Vieni di là, ti preparo una tazza di tè- Disse piano lui, poggiandogli una mano sulla spalla ed avviandosi di nuovo verso la cucina.


Gokudera rimase immobile per un altro minuto almeno, sorprendendosi del proprio silenzio che aveva seguito l'invito di Yamamoto... ma non aveva voglia di arrabbiarsi, non in quel momento almeno; tutto quello che voleva adesso era... un amico.





- Non credevo che sarebbe stato così divertente, dovremmo rifarlo sul serio prima o poi!-


- Come no...-


Entrambi sedevano al tavolo ancora pieno dei resti della cena, uno accanto all'altro: Gokudera, con le mani in grembo, fissava il fumo di colore opaco che, lento, saliva dalla piccola tazza tè; mentre Yamamoto lo fissava, sempre sorridendo con quell'aria strana ma piacevole, mentre le sue mani giocavano con il bordo di una scodella.


Il malumore di Gokudera, se così poteva definirsi, era mutato in un leggero fastidio che ancora stanziava alla bocca del suo stomaco; niente di più. Dopotutto, aveva pensato, le aveva solo riaccompagnate a casa loro, chiunque avrebbe fatto una cosa del genere, non voleva dire niente; l'unica cosa che lo preoccupava maggiormente era il fatto che, poi, Decimo sarebbe stato solo, insomma... il fatto che con lui ci fossero Bianchi e Reborn non valeva come consolazione, anzi volendo era ancora più preoccupante.




Yamamoto si alzò prendendo tra le mani qualche piatto.


- Cosa fai?- Chiese Gokudera che aveva appena cominciato a sorseggiare il suo tè


- Metto a posto. Vorrei farlo domattina ma non credo che mio padre e i clienti sarebbero d'accordo!- Scherzò lui avviandosi verso la cucina. Dalla sicurezza con cui riuscì a portare così tanto piatti nello stesso momento Gokudera poté facilmente dedurre che non fosse la prima volta che serviva nel ristorante. Lui stesso l'aveva visto servire ai tavoli qualche volta ma non ci aveva mai dato troppo peso, perché avrebbe dovuto farlo?


Gokudera rimase un momento in silenzio fissando l'acqua scura del suo tè, per poi berlo tutto d'un fiato ed afferrare anche lui un paio di piatti.


- No, fermo! Faccio io, non preoccuparti!- Esclamò Yamamoto vedendoselo arrivare in cucina.


- Chiudi la bocca scemo del baseball! Non mi va di essere di nuovo in debito con te!- Mugugnò Gokudera passandogli i piatti e avviandosi di nuovo verso il tavolo.


Dopo pochi minuti era tornato quasi tutto alla situazione originale. Erano riusciti a pulire anche i pezzi di sushi che Lambo aveva tirato fin dietro il bancone. Se glielo avessero detto solo qualche ora prima Gokudera non ci avrebbe creduto, ma doveva ammettere che anche questo piccolo fuori programma era stato divertente e, se non altro, una buona scusa per distrarsi un po'.


-Che hai da sorridere!?- Chiese Gokudera scocciato, quando entrambi si sedettero nuovamente al tavolo, accorgendosi che Yamamoto lo stava fissando già da un po' con aria allegra.


- Niente, scusa...- Rise lui con gesto noncurante – Pensavo che... sei buffo quando ti diverti!-


Gokudera sentì il volto andargli a fuoco.


- Ma che cavolo dici!? Io non mi sono divertito! E' stata una delle serate più noiose e snervanti di tutta la mia vita! E, per inciso, sono venuto qui solo perché Decimo mi ha chiesto di farlo, quindi dovresti essere riconoscente alla mia nobile persona, visto che ti ho graziato con la mia presenza!- Esclamò Gokudera battendosi orgogliosamente una mano sul petto.


Yamamoto rise di cuore a quelle parole, ignorando bellamente le sfuriate che seguirono. Gokudera avvertì la sensazione fastidiosa scomparire completamente mentre riprendeva Yamamoto su qualsiasi cosa, con l'unico risultato di farlo ridere sempre di più.


- Gokudera... grazie per l'aiuto, mi ha fatto piacere e... anche se non volevi... sono contento che tu sia venuto- Soggiunse ad un tratto Yamamoto, seguitando a sorridere con quell'aria strana che Gokudera avvertiva metterlo a suo agio, poggiando il mento sulla propria mano.


Gokudera divenne serio a quelle parole e si sentì costretto ad abbassare lo sguardo, sebbene odiasse farlo, dato che sapeva costituire una prova di insicurezza. Sospirò piano e strinse i pugni, raccogliendo tutto il coraggio che trovò per dire quello che non pensava che un giorno Yamamoto avrebbe ascoltato.


- Ehi... adesso è tardi e mio me ne vado a casa però...volevo dirti... - le sue mani afferrarono i jeans, troppo larghi sulle cosce, ma che a lui piacevano così tanto -... grazie, per quello che fai, tu non sei così male come pensavo, davvero.- Avvertì le labbra piegarsi in un sorriso mentre lo diceva e la sensazione strana alla bocca dello stomaco tornò, ma ben diversa da prima, solleticandolo in un modo quasi piacevole.






Fu meno di un attimo.


Vide la mano di Yamamoto che si spostava sulla sua guancia: delicata, quasi impercettibile, questa gli scostò i capelli argentei, mentre il pollice gli accarezzò gentilmente lo zigomo.


Sentì le gambe della sedia di Yamamoto che scivolavano contro il pavimento di legno e il fruscio dei suoi vestiti mentre si chinava su di lui, il suo odore sempre più forte, il contorno del suo viso che sfumava...


E poi le sue labbra si posarono sulle proprie.




Continua...






... Mamma mia... che fine di capitolo banale -.-

Ok... probabilmente ora mi state odiando vero? Avete aspettato così tanto per un finale di capitolo banale e... che non è un finale! Ebbene sì, sono un mostro, però questa sensazione non mi dispiace! Ihihihih! XD Vabè... spero di aver chiarito un po' di più i legami che legano i personaggi dato che temevo non fossero chiari... non vi nascondo che non è stato facile; ad ogni modo sono abbastanza soddisfatta del risultato (forse perchè non l'ho riletta abbastanza) mi farebbe piacere ricevere i vostri commenti e le votre opinioni in merito comunque...

Bhè, a presto (spero)

Slurp, Kumiho!




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Capitolo 4
*** Espressioni e Rivelazioni ***


Espressioni e Rivelazioni



Avvertì il suo cervello fermarsi, assieme al suo cuore mentre la sensazione delle labbra di Yamamoto contro le proprie si faceva sempre più tangibile. Una sensazione di gelo totale gli si irradiò dalle scapole, espandendosi per lo sterno e la colonna vertebrale, quando anche l'altra mano di Yamamoto andò a cingergli il volto spingendolo ad un contatto più ravvicinato.


Ma solo quando, dopo che il respiro dell'altro sembrò infiltrarglisi nei polmoni, Yamamoto dischiuse le labbra accarezzando quelle di Gokudera con la lingua, i suoi arti sembrarono ricominciare ad avere vita e, con l'intensità di una scossa elettrica, la propria mano scattò verso il volto dell'altro.


Avvertì le proprie nocche cozzare contro lo zigomo di Yamamoto con una tale violenza che nemmeno quando, scaraventato a terra dal colpo, urtò la sedia facendola cadere, il rumore dell'urto di questa contro il pavimento gli parve della stessa intensità e clamore.


Come pervaso da un'ulteriore scossa elettrica il corpo di Gokudera scattò in piedi ma, ancora incapace di fare altro, si limitò a fissare con aria incredula l'altro che, con aria mesta, si portò una mano alla guancia colpita, poggiando il peso sul ginocchio e sul braccio; rimanendo a terra.


Il silenzio che seguì durò forse alcuni minuti prima che i polmoni di Gokudera si decidessero nuovamente a funzionare, riempiendosi di ossigeno che subito si liberò da lui, in un affanno, riempiendo poche parole sconnesse:


-...tu... cosa stavi...?!...-


Yamamoto perdurò nel suo silenzio, continuando a fissare in basso, e rifiutandosi di rimettersi in piedi. Sembrava come convinto del fatto che se solo avesse mosso un muscolo Gokudera sarebbe scappato via impedendogli di spiegare... altra cosa che, comunque, non sembrava essere intenzionato a fare.


-... rispondimi...- Gokudera cominciò ad avvertire le sue mani che tremavano con una violenza che non credeva possibile; ma Yamamoto continuò la sua immobilità ed il suo silenzio. Come se quel pugno lo avesse privato di ogni energia, e la sua immutabilità ricordò a Gokudera quella di un ingranaggio spezzato.


- Rispondimi!- Comandò nuovamente Gokudera in un urlo molto meno minaccioso di quello che avrebbe voluto emettere, la cui urgenza risuonava nel proprio cervello con un fragore insopportabile.


Ma Yamamoto non obbedì; si limitò solo ad alzare lo sguardo e tanto bastò: Gokudera sentì il respiro bloccarsi un'altra volta, scoprendosi nuovamente privato del meccanismo dedito al battito cardiaco. Yamamoto aveva gli occhi lucidi nascosti sotto un'aria grottescamente adirata, l'aria di chi sta per scoppiare a piangere infiammata dall'ardore di chi non deve dare spiegazioni. Era uno sguardo crudele e disarmante allo stesso tempo quello che spiccava assieme alla guancia livida, e sul volto di Yamamoto tutto quello stonava e spaventava come le mani di un bambino lorde di sangue.


Gokudera avvertì gli occhi bruciare ed il corpo ricominciare a tremare con un'intensità inaspettata e, come un animale selvatico, appena Yamamoto si apprestò a muoversi, arretrò lontano da lui; proprio quando stava per cominciare a correre le sue gambe vennero meno e avvertì il proprio corpo cadere violentemente a terra, come un cencio bagnato.


Il motivo gli fu chiaro quando, guardando le proprie gambe, si accorse dei tremiti che le scuotevano. Rimase lì a terra cercando di ricordare, nel minor tempo possibile, come si facesse a camminare e quando, con la coda dell'occhio vide Yamamoto avvicinarsi a lui tendendogli la mano, non riuscì a frenare le parole che gli eruttarono dal petto con una violenza ed un disprezzo sconvolgenti.


- Stammi lontano, non mi toccare!... Non azzardarti mai più a mettermi le mani addosso! Non azzardarti nemmeno a guardarmi! Mi fai schifo! Giuro che ti ammazzo se ti avvicini ancora a me!-


Mentre urlava ebbe la forza di voltarsi verso di lui, vomitandogli addosso tutto il suo disgusto. E doveva aver funzionato perché l'espressione di Yamamoto in quel momento non era simile a niente che avesse mai visto: era come se qualcuno lo avesse pugnalato con un pezzo di vetro spuntato in pieno stomaco e adesso glielo stesse rigirando tra le carni; il ragazzo indietreggiò finché l'urto del bordo del tavolo contro la sua schiena non glielo impedì. Gokudera riuscì a scorgere un rivolo di sangue colargli dal labbro poco prima che si coprisse la faccia con una mano.


Avvertì gli occhi bruciare come se li avesse colmati tutta la rabbia che lo dominava in quel momento; tentò di rialzarsi nuovamente e le sue gambe sembrarono premiarlo muovendosi di nuovo, e senza voltarsi indietro nemmeno una volta cominciò a correre.


Corse per la sala del ristorante, fino alla porta, corse per la strada buia illuminata solo dai pochi lampioni, corse senza una meta precisa, imboccando decine di vicoli diversi, corse con la stessa disperazione con cui avrebbe voluto farlo quando Decimo se ne era andato assieme a Sasagawa... no, con molta di più. Corse finché non sembrò che le sue gambe urlassero pietà con la stessa violenza con cui lui aveva urlato poco prima, finché le lacrime che non ricordava quando avesse cominciato a versare gli si seccarono sul viso, costringendo la sua pelle a bruciare fastidiosamente ad ogni sua espressione; corse così tanto da perdere la cognizione del tempo e del luogo, finché non sentì la bocca riempirsi di bile e lo sterno di lava incandescente, corse finché le sue gambe non cedettero ancora facendolo cadere nuovamente.


Era in una via che non riconosceva, né gli interessava conoscere, si trascinò fino al bordo della strada e poggiò la schiena al muro che la costeggiava. Ogni respiro che faceva era una tortura: come se la sua gola invece che riempirsi d'aria si riempisse di mille vetri rotti; gli occhi gli bruciavano e sentiva la schiena fradicia di sudore, pur essendo percorsa da brividi continui. La testa gli girava vorticosamente costringendolo a chiudere gli occhi. Quando il respiro gli sembrò tornare minimamente regolare provò a riaprirli ma un'improvvisa nausea lo arrestò immediatamente.


Si portò le gambe al petto attorniandole con le braccia e poggiando la fronte madida sulle ginocchia si costrinse all'immobilità chiudendo gli occhi, con, nelle orecchie, l'unico frastuono del proprio cuore.


Voleva essere pervaso nuovamente della sua solita, fredda indifferenza, voleva riuscire ad ignorare il turbamento che lo stava scuotendo in ogni angolo del corpo in un modo che non credeva possibile... voleva riaprire gli occhi... perché nel buio della cecità non scorgeva altro che il volto di Yamamoto.


Non aveva idea dell'ora né del luogo in cui si trovava; ma desiderava più di ogni altra cosa tornare a casa sua e sprofondare in un sonno senza sogni fin quando, svegliandosi, quella miriade di sensazioni orribili non gli fosse più appartenuta e, magari, scoprire che era stato tutto un sogno. Ma non lo era, non poteva esserlo... avvertiva ancora il corpo tremargli violentemente, e non riuscì a fare altro che imprecare; riempiendo dei suoi lamenti soffocati il silenzio dei quella via sconosciuta.


E tra tutte quelle parole pronunciate tra l'incoscienza della stanchezza e l'incoerenza della rabbia e della delusione risuonò chiaro, più volte, il nome di Yamamoto.







Il sole era già alto nel cielo quando Gokudera, dopo aver imboccato infinite stradine e viuzze, rincasò nel proprio appartamento. Il tempo che aveva impiegato a ritrovare la strada di casa era probabilmente il doppio di quello che gli era servito per correre via dal ristorante e di quello in cui aveva pianto, fino a scordarsi come doveva essere avere un'espressione normale, da solo, in quel vicolo tutt'ora sconosciuto.


Non una briciola di tristezza avvertiva più percorrerlo. Solo delusione ed un astio inimmaginabili: delusione verso se stesso, tanto ingenuo da permettere a qualcuno anche solo di avvicinarsi allo scoprire chi era e che cosa pensava nel profondo del suo animo, per aver permesso alla sua coscienza di aprirsi con una facilità che non aveva mai concesso a nessuno prima di allora; ed astio, così tanto da non poterlo immaginare, verso Yamamoto; che lo aveva tradito rabbonendolo come il peggiore dei vili, come l'ultimo dei rifiuti umani, utilizzando tutte le doti che lo caratterizzavano etichettandolo come bravo ragazzo, mentre in fondo, ora lo sapeva, ciò che lo animava era solo falsità ed egoismo, gli stessi che lo avevano sempre messo in guardia da lui ma che non aveva mai ascoltato fino in fondo.


Aveva smesso di piangere già da molte ore, ma il sapore sulle sue labbra era ancora quello del sale delle sue lacrime, che per quanto cercasse di leccare via, rimaneva lì, come un monito della debolezza che lo aveva attanagliato... ed assieme a quello... l'orribile e nauseabondo gusto di quelle di Yamamoto. Poteva sentire ancora, più forte del bruciore sotto gli occhi e nel naso, la consistenza umida della sua lingua violargli la bocca.


Un'ondata di nausea gli invase lo stomaco mentre, con una molto più forte di collera, spalancò la porta del suo appartamento per poi sbattersela alle spalle. Come se avesse voluto tornare a casa solo per quello, Gokudera si precipitò in bagno, aprì il rubinetto e, messe le mani a coppa riempiendole d'acqua, se le portò al viso con un'urgenza ed una foga che non gli appartenevano.


Ripeté il gesto almeno una decina di volte, bevendo quell'acqua fino al voltastomaco e risputandola altrettanto spesso, strofinandosi la pelle del viso con tanto impeto finché il bruciore insopportabile alla cute non glielo impedì. Alzò allora il viso madido trovandosi davanti al proprio riflesso, appena riconoscibile dietro alle striature dell'acqua che percorrevano la superficie dello specchio. Inutile dire che quello che vide era ciò che meno poteva identificare come la propria immagine: gli occhi arrossati, tanto che perfino il verde dell'iride sembrava iniettato di sangue, le labbra tumide e gonfie, forse per il continuo morderle e sfregarle perfino con le unghie, le guance dal colore cinereo e pallido come quello dei propri capelli, arruffati molto più del solito; perfino la solita scriminatura centrale non si intravedeva più, coperta anch'essa da numerosi ciuffi ribelli.


-...che schifo...-


Sentì la sua voce parlare senza che lui le avesse comandato di uscire dalle labbra.


La sua espressione mutò in una maschera di disgusto e collera prima che in uno scatto d'ira si liberasse della camicia, poi della maglietta a mezze maniche ormai fradicia di sudore ghiaccio; così come dei calzini, dei jeans larghi macchiati di terra e delle mutande. Aprì l'acqua della doccia e ci si infilò sotto senza aspettare che divenisse tiepida; si mise a sedere nella cabina e, poggiata la schiena contro le piastrelle gelide, vi rimase finché non sentì l'acqua penetrargli nelle ossa, ed il sonno di quella notte passata in piedi, abbatterlo con la potenza di un sedativo.


Uscì dal vano doccia barcollando, in silenzio, sentendosi un verme a cedere così facilmente all'esigenza del sonno, ad avvertire la collera scemare sotto il peso della stanchezza. Si trascinò in camera da letto, senza asciugarsi, lasciandosi dietro una scia d'acqua che impregnò le lenzuola quando, infine, raggiunse il letto lasciandocisi cadere sopra a peso morto. Appena le sue membra poggiarono contro la morbidezza del materasso, che mai gli era sembrato così accogliente, avvertì le palpebre chiudersi imprigionandolo nell'oscurità. Poco prima che il torpore del sonno imprigionasse ogni sua volontà, il volto colpevole e sfigurato dall'angoscia di Yamamoto lo guardò dal buio del suo inconscio.



Ma la rabbia e la delusione, dovevano aspettare... anche se solo per poche ore.

Adesso era tempo di dormire.






Un suono regolare, squillante e fastidioso lo sottrasse al piacevole torpore in cui stava annegando già da alcune ore. Lo squillo insopportabilmente grattante e metallico, che continuava a rimbombargli nelle orecchie, si alternava; scemava lento per poi ricominciare più forte di prima. Gokudera aprì gli occhi fissando davanti a se, ma dovette attendere qualche secondo prima di accorgersi che era la suoneria del proprio cellulare ad averlo svegliato; dopo un lungo gemito assonnato si sollevò sui gomiti e la sensazione delle lenzuola umide contro la propria pelle nuda, lo fece rabbrividire spingendolo ad alzarsi più velocemente di quanto avrebbe voluto fare.


Barcollò appena, strizzando gli occhi che sentiva ancora pesanti, per poi dirigersi verso il bagno, ancora completamente nudo. Si accovacciò davanti al cumulo di vestiti abbandonati davanti alla doccia poche ore prime e cercò, tastando tra i panni, il cellulare che non aveva accennato a smettere di squillare. Lo tirò fuori, stropicciandosi gli occhi con la mano libera, per poi fissare lo schermo; ed il nome che vi lesse gli provocò un tuffo al cuore, per poi fargli spingere il tasto di risposta e portarsi il telefono all'orecchio più velocemente di quanto il suo corpo, ancora intontito potesse permettersi.


- Decimo!- Esclamò, e la sua voce si rivelò fastidiosamente roca.


-...Gokudera! Stai bene? Sono ore che provo a chiamarti ma non mi hai mai risposto.-


Ah, il suono della sua voce. Come aveva fatto anche se solo per poche ore, a non ricordare quanta felicità e sollievo era in grado di trasmettergli? Gokudera si lasciò cadere seduto, da accovacciato com'era, davanti ai suoi vestiti appallottolati sul tappetino davanti alla doccia, e strinse il telefono all'orecchio con entrambe le mani, stringendosi più che poteva nelle spalle; come ad inglobare la voce di Decimo e la felicità che essa gli trasmetteva, in un globo tutto suo, fatto unicamente di quel sollievo e del proprio corpo.


-...Gokudera?- Decimo lo chiamò nuovamente costringendolo a ridestarlo da quell'intorpidimento più morbido e dolce di quello del sonno tanto rimpianto fino a pochi secondi prima.


-...Perdonatemi, io... sono stato poco bene. Come state? Come è andata ieri sera?- Chiese Gokudera tentando di sembrare più naturale possibile, anche se in realtà di quello che Decimo aveva fatto la sera precedente, in compagnia di Sasagawa, non gli interessava poi molto, anzi, sapeva che poteva farlo stare ancora peggio; ma il suo dovere di braccio destro comprendeva anche, almeno a suo parere, far stare bene il suo boss a discapito della propria serenità.


-... bene, ma... sei stato male?! Yamamoto mi ha detto che sei rimasto da lui fino a mezzanotte e che poi te ne sei andato... che è successo?-


Al solo sentir pronunciare il nome di Yamamoto, specialmente dalla bocca di Decimo, Gokudera sentì il corpo essere scosso nuovamente da ondate di furia e ribrezzo; mentre il ricordo sfumato della notte precedente gli balenava nel cervello. Ricordava bene quello che era successo: quello che Yamamoto aveva fatto, stringendogli la faccia e piegandosi su di lui, posando la bocca sulla sua per poi leccargli le labbra - l'ennesimo crampo di disgusto gli invase lo stomaco – eppure era come se il suo cervello avesse cancellato quel singolo attimo, quei pochi secondi in cui gli aveva permesso di toccarlo; ricordava che era successo, ma era un ricordo sfumato denso come un fumo bianco. E ringraziò il cielo, almeno di questo.


- Pronto? Gokudera... ma stai bene adesso?... Pronto?-


-...sì, Decimo. Io... devo aver fatto indigestione e... ho dormito fino ad ora, ma adesso sto bene, non preoccupatevi! Posso... posso fare qualcosa per voi?-


Si passò una mano tra i capelli ancora umidi d'acqua, e chiuse gli occhi tentando di tramutare il suo tono stanco in uno accondiscendente e rassicurante. Ma il silenzio dall'altra parte del telefono lo costrinse ad accorgersi che non aveva funzionato.


-...Decimo...-


-... se ti va puoi venire qui da me, oggi pomeriggio!- Allora il cuore di Gokudera mancò un battito e, per la centesima volta in quelle ultime ventiquattro ore, temette che non sarebbe più ripartito.


- ...Certo - Riuscì solo a pronunciare mordendosi le labbra per non lasciar trapelare l'entusiasmo ed il divino sollievo che lo pervasero come un fuoco. Respirò profondamente coprendosi la faccia con la mano quando avvertì gli occhi ricominciare a bruciare, pericolosamente vicini al pianto.


- Certo! - Ripeté sollevato.







L'orologio in cucina segnava le tre.

Probabilmente era la prima volta, dalla sera scorsa, che guardava l'ora, e probabilmente non gli era mai sembrato che il tempo scorresse tanto lentamente; seduto sul piccolo divano e con le mani in grembo, Gokudera fissava imperterrito la lancetta dei minuti che sembrava essere incollata sempre sullo stesso numero. Non avevano fissato un orario preciso, ma quello in cui era solito recarsi da Decimo, quando non lo concordavano anzi tempo, era sempre verso le cinque e ciò significava che doveva uscire di casa verso le cinque e un quarto, sempre che quella maledetta lancetta cominciasse a muoversi.


Si era vestito, asciugato i capelli e, miracolosamente, era perfino riuscito a mangiare qualcosa; sebbene il suo stomaco non si fosse acquietato un attimo da quando si era svegliato, la sola idea di mangiare qualcosa lo faceva star male. Di buono c'era che quando si era guardato allo specchio, dopo la telefonata del Decimo, sembrava quasi tornato quello di sempre, anche se il fatto di essere riuscito a dormire aveva certamente aiutato.


Anche se l'ombra di malessere che sembrava indossarlo come un costume di Halloween, gli sembrava tutt'ora costante e presente, come un pezzo di carne troppo grosso ingoiato troppo in fretta e adesso incastrato in mezzo allo sterno, e che ora gli impediva di godersi l'attesa di vedere Decimo che lo allietava ogni volta, come una boccata d'ossigeno dopo l'apnea.


Si prese la testa tra le mani chiudendo gli occhi, sperando che, una volta che li avrebbe riaperti, la lancetta si fosse spostata anche solo di pochi minuti... ma l'unica cosa che riusciva a vedere, ogni volta che si riparava dietro la coltre calda e buia delle palpebre era la sua maledetta faccia, i cui contorni sfumavano mentre gli si avvicinava, sentiva le sue mani afferrargli le gote in una finta dolcezza e... oh,dio... la consistenza oscena della sua lingua che...


- Merda!...-


Gokudera si alzò, scattando come un giocattolo a molla, voltandosi e mollando un calcio doloroso al divano, che scivolo indietro di qualche centimetro, grattando contro il pavimento. Avanzò di appena due passi e afferrò il pacchetto di sigarette poggiato sul mobile, di fianco al minuscolo televisore; lo agitò appena verso l'alto facendone uscire una, agguantò l'accendino posato lì a fianco, accese la sigaretta ed aspirò con tutta la forza che l'irritazione gli dettava; il fumo gli prudette all'interno della bocca quasi insopportabilmente ma donandogli una sensazione liberatoria, specialmente quando, mescolato ad una boccata d'aria limpida, esso gli scese per la gola infiltrandosi nei polmoni. A quanto pareva solo il fumo era in grado di superare la barriera del nodo che gli stanziava nello sterno.


Senza pensarci troppo, si ficcò il pacchetto quasi vuoto nella tasca posteriore dei pantaloni, si diresse verso la porta e la spalancò; si lasciò invadere dalla luce brillante ed afosa del caldo pomeriggio estivo per pochi secondi, poi, se la chiuse alle spalle.






- Ciao Gokudera. Sei arrivato prima del solito!- Il sorriso di Decimo lo accolse, non appena la porta fu aperta, e subito si fece da parte, invitandolo ad entrare.


Gokudera rispose al sorriso, avvertendo quel maledetto nodo allentarsi appena; si tolse le scarpe salutando la madre di Decimo, che fece appena capolino dalla cucina, col suo solito, radioso sorriso e poi si apprestò a seguire il suo Boss.


- Mi dispiace- Si scusò lungo le scale – Dovevo arrivare alla solita ora...-


- No, non fa niente, sono contento! Sei arrivato giusto in tempo: se ne stava andando...- Disse Decimo, continuando a sorridere e aprendo la porta della propria camera.


Gokudera non si chiese, inizialmente, che cosa intendesse, o forse non ne ebbe il tempo. Ma tutto gli fu chiaro quando la persona già presente nella camera di Decimo si voltò verso di loro. Fu come un pugno in pieno stomaco, ma questa volta il cuore, anziché fermarglisi in petto, cominciò a palpitare ad una velocità inaudita, mentre avvertiva il tremore inconsueto della sera prima attanagliargli di nuovo le mani e le gambe.


La cosa strana, ma che Gokudera notò solo dopo alcuni secondi in cui il suo cervello si aggrappò ad ogni singola molecola di ossigeno per non cominciare ad urlare di rabbia, era che la sua espressione era sorpresa almeno quanto la propria; almeno per quel poco che poteva intuire, scorgendo il suo volto dietro all'enorme cerotto che gli copriva l'intera guancia; seppur Gokudera ritenesse incredibile provare soddisfazione in quella situazione, fu questo ciò che provò riuscendo ad intravedere un ematoma bluastro spuntare da dietro quel grande pezzo di garza.


Ma la soddisfazione durò poco, sostituita immediatamente dalla precedente irritazione. Avvertì la sua espressione mutare in una maschera di rabbia, mentre stringeva i pugni con una forza inaudita, sentendo le falangi dolergli e le unghie penetrargli nel palmo. Yamamoto si limitò a fissarlo con un'espressione ferita, per poi abbassare lo sguardo sul pavimento della stanza di Tsuna.


-... che succede?- Chiese quest'ultimo spostando lo sguardo da Gokudera a Yamamoto.


Per la prima volta in vita sua, Gokudera, non rispose ad una sua domanda; ma seguitò a fissare Yamamoto come se potesse incendiarlo solo con la forza del pensiero. Il ragazzo più grande, dal canto suo, non sembrava intenzionato a distogliere gli occhi dal pavimento. Forse era così che era solito affrontare i momenti di imbarazzo: anche quando Gokudera lo aveva colpito, facendolo cadere a terra, Yamamoto non aveva fatto altro che fissare dritto davanti a se, rifiutandosi di guardarlo in faccia... Stupido, vile e codardo!


Dopo pochi secondi Yamamoto dischiuse le labbra, dopo di che si lasciò scappare un'impercettibile sospiro.


-... scusami Tsuna, è meglio che vada adesso.-


Yamamoto piegò le labbra in un sorriso amaro, che Gokudera trovò falso e rivoltante, per poi dirigersi verso la porta. Sapeva che doveva passargli accanto, ed ogni passo che faceva avvicinandosi a lui era come se costringesse il nodo nel suo sterno a stringersi sempre di più. Solo quando gli fu accanto, e la nausea e il disagio di Gokudera toccarono il limite massimo, riuscì a guardarlo con la coda dell'occhio e riconoscere la stessa maledetta, disgustosa espressione, persa nel rimorso e nell'ira, che regnava sul suo volto anche la sera addietro.


Gokudera non seppe come quello che successe in seguito fosse stato possibile, ma ciò di cui era a conoscenza era il fatto che niente e nessuno, neppure Decimo di cui, per altro, seguitò ad ignorare le timide domande, gli avrebbe impedito di seguirlo. Anche Lambo, che sembrava averli aspettati per tutto quel tempo in fondo alle scale in attesa di divertirsi con qualche suo solito scherzo alle loro spalle, appena notò lo sguardo dei due ragazzi, prima quello addolorato ed incognito di Yamamoto poi quello furioso e folle di Gokudera, si fece da parte, schiacciando la sua piccola sagoma contro il muro, come faceva sempre quando combinava qualche disastro e si aspettava qualche sgridata dalla mamma di Tsuna.


- Fermo!- Gli urlò Gokudera ancora scalzo, in mezzo al vialetto del giardino di casa Sawada


Yamamoto sembrò obbedirgli rallentando il passo per poi fermarsi poco prima di raggiungere il cancelletto di ferro. Passarono alcuni secondi, in cui Gokudera si chiese seriamente il motivo del perché lo avesse seguito e perché, adesso, tutta la rabbia e la delusione che intendeva scaricargli addosso, e che si erano accumulate nel suo cervello in quelle ore, si fossero come dissolte, ma non era così, questo era certo, constatò dal nodo, doloroso e pulsante più che mai, in mezzo al suo sterno. Quei pochi secondi di silenzio furono fra i più lunghi nella vita di Gokudera, mentre Yamamoto non sembrava intenzionato a voltarsi né, tanto-meno, a dargli alcun tipo di spiegazione; la sua sorpresa fu quindi colossale quando, invece, lui si voltò lentamente e lo fissò con la sua solita aria tranquilla. Non che avesse bramato, in quei pochi secondi di attesa, di vedere il volto di Yamamoto ma certo era che non trovarlo ferito e, come minimo, con un'espressione costernata lo fece adirare, mettendolo in soggezione, ancora più di prima.


- Che vuoi?- Chiese tranquillo, come se tutta la sofferenza che gli aveva visto sfigurargli il volto fino a pochi secondi prima, fosse stata solo una sua fantasia.


Gokudera avvertì i muscoli della mandibola dolergli da quanto stringeva forte i denti dall'irritazione e, facendo un enorme sforzo per non alzare troppo la voce, ribatté:


- Hai anche il coraggio di chiedermelo?... Ieri sera non mi hai risposto, adesso voglio saperlo: che cosa stavi cercando di fare in quel momento!?... Ma soprattutto...perchè lo hai fatto!?-


Yamamoto chiuse di nuovo gli occhi, ma questa volta con fare tranquillo, e si infilò le mani in tasca con fare noncurante, alzando le spalle con disinteresse.


- Non credo che questo sia il momento di parlarne, almeno per te...-


- Maledetto...!-


Gokudera avanzò minacciosamente verso di lui, probabilmente grazie alla forza dettata dalla sua ira che, come sapeva, non aveva ragione di temere niente e nessuno; ma avvicinandosi a Yamamoto, tanto più alto e con fare tanto più sicuro e controllato rispetto a lui, avvertì un brivido diverso dai mille che lo stavano percorrendo.


- ...Tu... devi rispondermi, bastardo!-


- No...- Ripeté Yamamoto osservando improvvisamente un punto alle spalle di Gokudera, facendo come un cenno, per poi continuare -... non devo. Non adesso!-


Gokudera si voltò, allora, trovandosi davanti all'espressione preoccupata di Decimo.

La tensione si sciolse sul suo corpo, scivolando via come acqua.


-... che succede, Gokudera?- Chiese questo, nervoso -... avete litigato di nuovo?-


Gokudera rimase in silenzio, addolorato e costernato per aver creato quell'inaspettato disagio al suo Decimo; limitandosi ad abbassare il capo con fare colpevole, tentando di elaborare una scusa abbastanza seria per discolpare almeno lui, ma abbastanza stupida da non permettere che Decimo ci desse peso. Balbettò qualche parola confusa prima che Yamamoto lo interrompesse.


- E' tutto a posto, Tsuna. Gokudera si è arrabbiato perché... ho perso degli appunti che mi aveva prestato per il mio recupero estivo. Gliel'ho detto solo ieri sera, quando me li ha chiesti, e... ci siamo lasciati un po' male. Scusami, questa volta è davvero colpa mia.-


Il tono allegro ed il sorriso che utilizzò per inventare questa scusa su due piedi, parvero così naturali e spontanei che costrinsero Gokudera a prendere seriamente in considerazione il fatto che si fosse studiato cosa dire già dalla sera prima. Ma quello che più lo stupì e lo spaventò, allo stesso modo, fu la capacità di mentire di Yamamoto! Sembrava che ogni parvenza di serietà che aleggiava incontrastata sul suo volto fino a pochi secondi addietro fosse scomparsa. Ed ebbe infine la conferma di ogni sospetto mai nutrito per quel ragazzo: la sua falsità e la sua ipocrisia non erano mai state solo un'impressione; ed anche lui ci era cascato. Ci era cascato come un idiota, ed il fatto che avesse già dei sospetti in merito prima di credergli, lo fece sentire ancora più idiota. E l'odio per lui, per quel sorriso, per quella voce... per quella persona in tutti i suoi minimi particolari ribollì dentro il suo stomaco con maggior intensità di prima.


- Hai aiutato Yamamoto con la scuola?-


La voce di Decimo lo riscosse dai suoi pensieri, costringendolo a voltarsi nuovamente versi di lui.


-... ah... io... ho...s-sì.- Balbettò dubbioso su quale sarebbe stata la risposta migliore.


Dedusse che quella che aveva scelto era quella esatta quando il piccolo volto di Decimo si illuminò del più dolce dei sorrisi.


- Di solito dovevo chiedertelo io per farti aiutare qualcuno, che non fosse me, con la scuola... sono molto fiero di te, Gokudera!-


Gokudera avvertì la fitta della delusione e del rammarico trafiggerlo dolorosamente, davanti a quel complimento e quel bellissimo sorriso. Non meritava nemmeno metà di quelle parole lodevoli, ma ciò che lo fece stare ancora peggio dell'aver ricevuto quei complimenti immeritati, fu il fatto che il suo cuore si fosse scaldato solo a sentire il tono dolce di Decimo dedicato solo a lui; ed essendo conscio del fatto che non avrebbe mai rivelato la verità, ammettendo la propria inadeguatezza, si maledì annegando in quel delizioso torpore, perché era un meschino, un vigliacco e ora lo sapeva, ma quel sorriso e quelle parole dolcissime le avrebbe chiuse per sempre nell'angolo più segreto di se stesso, non permettendo che alcun rimorso di coscienza di rubarglieli.


Per un attimo, un attimo più breve di qualsiasi altro attimo, provò quasi gratitudine per le parole di Yamamoto che avevano fatto da trampolino di lancio per quel calore tanto atteso. Ma nel voltarsi nuovamente verso di lui, anche se privo di un motivo per guardarlo nuovamente, si ritrovò davanti solo il cancelletto del giardino di casa Sawada.





Il resto del pomeriggio si rivelò piacevole, e come poteva essere altrimenti, d'altronde? La presenza di Decimo si era rivelata, fin da subito, l'antidolorifico migliore. E trascorrere le ore seguenti immerso nell'ambiente che sapeva essere così familiare, così imbevuto dei ricordi più familiari e personali di Decimo, sapendo inoltre che a lui era concesso il beneficio dell'aura che circondava il suo amato boss, si palesò, difatti, la cura più efficace contro il malessere che non voleva abbandonarlo.


Infatti quando, giunto il tardo pomeriggio e, quindi, il momento di salutarsi, Decimo lo accompagnò fino al piccolo cancello del proprio giardino, Gokudera avvertì quel maledetto malessere tornare ad aleggiare sopra la sua testa, come una nube tossica di cui, solo lui, riscontrava i sintomi. Osservò il suo Boss con tutta l'attenzione di cui fu capace mentre si avvicinavano all'uscita, lo ascoltò tentando di inglobare il suono della sua voce, in modo indelebile, nel suo orecchio, e quando Decimo lo salutò con un gesto delicato della mano, Gokudera tentò di far perdurare il contatto visivo dei loro sguardi il più a lungo possibile, finché non giunse il doloroso momento dell'attimo in cui fu costretto a voltarsi, trovandosi davanti lo spiacevole calore sterile della strada deserta.




Il cielo era tinto dalle mille sfumature del rosso e del giallo che riflettevano la loro luce su ogni cosa i raggi del sole riuscissero a toccare: i marciapiedi, i pali della luce, i lampioni, i distributori agli angoli e le saracinesche dei negozi che stavano ormai chiudendo. Gokudera si accese una sigaretta, di cui da molto sentiva la mancanza, dato che non si era mai azzardato a fumare in casa di Decimo. Decise che, almeno per quella volta, poteva allungare la strada dato che non era poi così ansioso di tornare a casa propria; rallentò al massimo il suo passo, quindi, e imboccò il vicolo sulla destra.


Nonostante l'atmosfera di quelle ore fosse tra le sue preferite, il nodo nel suo sterno non accennò a diminuire ma, anzi, ad ogni passo che faceva allontanandosi dalla casa di Decimo sembrava stringersi sempre di più. Perché? Perché non riusciva a pensare ad altro? La sera precedente, il volto irato di Yamamoto, la sua guancia livida, e poi quel suo solito sorrisetto fintamente idiota... perfino la cortesia che gli aveva usato appena poche ore prima... niente di tutto quello sembrava volerlo abbandonare. Ma, più di tutto, il fatto che Yamamoto sembrasse avere una spiegazione, una spiegazione che si era rifiutato di dargli, data la presenza di Decimo... le sue ultime speranze si erano infrante: sebbene fosse a conoscenza del fatto che non lo avrebbe mai perdonato comunque, covava, in una parte nascosta del suo cervello, la speranza che Yamamoto si scusasse con lui ammettendo che era stato tutto uno scherzo.


Gokudera gettò a terra il mozzicone, toccandosi le labbra con le dita. Se solo la sera prima se ne fosse andato con tutti gli altri, se solo non si fosse rintanato nel suo bisogno patetico di stare con qualcuno, se solo fosse stato abbastanza forte da rifiutare la compagnia di Yamamoto, adesso tutto quello non sarebbe stato un problema e l'idea che sarebbe giunto il giorno in cui avrebbe provato angoscia o apprensione, anche solo pensando al suo volto, adesso, non lo avrebbe nemmeno sfiorato.


Ma d'altra parte, forse, poteva ritenerlo un bene. Adesso era a conoscenza di che razza di persona fosse Yamamoto ed era suo dovere far sì che tal persona stesse il più lontano possibile da lui, dalla Famiglia, ma soprattutto da Decimo. Eppure l'idea di essere utile in qualche modo ai suoi compagni e al suo Boss non lo faceva stare bene come avrebbe sperato; ed annegava nel senso di colpa dato che sapeva, sapeva bene, di desiderare, più di qualsiasi beneficio e onore della Famiglia, la restituzione dell'ignoranza che, sebbene gli avesse sempre comportato qualche fastidio, gli conferiva la presenza solida di un amico, un compagno che, sapeva anche questo, gli mancava più di quanto potesse permettersi di ammettere.




E fu con questi pensieri ad annodargli lo stomaco ed il cuore, che Gokudera si ritrovò davanti alla sua palazzina. Ma ciò che lo bloccò, con la stessa violenza e lo stesso fastidio del nodo che si tese all'inverosimile nel suo sterno, fu la figura di Yamamoto che lo osservava, poggiato al suo portone.


- Ci hai messo più di quanto credevo...- Disse calmo incrociando le braccia e poggiandole sulle ginocchia.


- Che vuoi?- Fu solo capace di chiedere Gokudera con voce roca, mentre lottava col desiderio di ricominciare a correre lontano da lui.


Yamamoto lo fissò, sempre con quell'aria seria che gli conferiva una tetraggine che non sembrava volersi conformare in alcun modo ai tratti del suo volto, e con quell'enorme cerotto sulla guancia che certo non aiutava; poi si accarezzo i neri capelli ribelli della nuca e sospirò con aria scocciata.


- Sono qui per le spiegazioni che volevi.- Rispose


Gokudera lo fissò per un attimo, e in quell'attimo temette di intuire i chiarimenti che voleva dargli; sospirò tentando di mantenere la calma, ottenendo solamente un improvviso giramento di testa che lo costrinse a chiudere gli occhi. Armandosi di tutta la volontà di apparire forte e sicuro di se li riaprì quasi subito, trovandolo in piedi, fortunatamente alla solita, debita, distanza.


-... e allora?- Chiese Gokudera minacciosamente, sperando di incutergli un minimo del timore che stava attanagliando lui.


Yamamoto lo fissò, per diversi secondi, in silenzio, un silenzio snervante, troppo snervante.


-... Hai intenzione di metterci molto? Se il tuo obiettivo è di farmi aspettare trepidante una tua qualsiasi scusa allora hai...-


- Ma ti aspetti davvero che io mi metta a spiegartelo? Seriamente, non ci arrivi da solo!?- Sbottò Yamamoto interrompendolo con aria improvvisamente incredula.


Gokudera quasi si stupì della quantità di espressioni di cui Yamamoto era capace: avendogli visto stampato in faccia sempre quel sorriso odioso ed imperturbabile si era ormai abituato all'idea che quella fosse l'unica espressione di cui il ragazzo fosse capace; ma dovette rassegnarsi all'idea che, in quei giorni, avvenimenti inspiegabili e rivelazioni improvvise erano, ormai, divenuti normale routine.


- Che cazzo hai detto!?...- Sbottò in risposta Gokudera, ormai conscio del fatto che tutto il timore e l'angoscia venissero gradualmente sostituiti dalla rabbia e dall'irritazione.


- Secondo te, Gokudera, quanti mai potranno essere i motivi per cui una persona bacia qualcuno?- Chiese Yamamoto rinnovando una nuova espressione: il suo sguardo si fece malinconico e ferito mentre sulle sue labbra si dipingeva un sorriso triste ed incredulo.


Gokudera si sentì gelare il sangue nelle vene e, con esso, tutta l'irritazione e la furia che gli stavano scorrendo dentro, pompati sempre più velocemente dal suo cuore agitato, mentre il timore che lo aveva scosso prima che iniziasse quella sorta di botta e risposta si fece chiaro come la realtà.


-...io... tu non puoi...- Balbettò Gokudera tentando di dire qualcosa di sensato, cercando disperatamente qualcosa che lo riportasse nel mondo reale... perché quello non poteva esserlo di certo! Si sarebbe svegliato da un momento all'altro scoprendo che tutto quello non era mai successo. Scoprendo che magari si era appisolato ad una banale lezione di fisica e, voltandosi, avrebbe incontrato il volto annoiato di Decimo e il sorriso idiota di Yamamoto... sì, il solito sorriso, del solito Yamamoto, stupido, irritante e indifferente a qualsiasi cosa potesse avere un parvenza di serietà.


E Gokudera si accorse di non conoscere la persona che gli stava davanti in quel momento. Non riconosceva quello sguardo afflitto, quelle labbra spaccate contratte in una smorfia di tristezza, quel tono disperato... quelle mani tremanti almeno quanto le sue... ma soprattutto quelle parole, pronunciate come un soffio ma che rimbombarono nel suo cervello con il fragore di un temporale.




- Io ti amo, Gokudera.-














Ok... non avrei mai pensato di aggiornare così in fretta! Forse il mio inconscio mi sta punendo per il ritardo mostruoso dello scorso capitolo, bhè, poco importa... a voi sicuramente meno che mai!

Bhè, che dire, gestire la storia sta diventando sempre più difficile, ma spero di essere riuscita a mantenere un IC decente... (anche se ogni tanto Gokudera mi sfugge e per Yamamoto ho il costante terrore che mi scivoli proprio dalle mani) *suda* ad ogni modo... veniamo a noi:


Adesso, nella storia, viene la parte difficile, nonché la mia preferita, pertanto perdonatemi nel caso il prossimo capitolo ci mettesse tanto ad uscire... è che vorrei renderlo al meglio e... per farla breve non credo che sarà una passeggiata ç_ç dovrò contenermi molto specialmente per quanto riguarda Yamamoto... sarà dura ma mi impegnerò! So che sono un mostro ad interrompere il capitolo così, anche quello scorso era una bastardata e infatti ho cercato di rimediare postando velocemente! Vedrò di impegnarmi anche per il prossimo! Grazie a chi mi segue, e soprattutto a chi commenta!


A presto!

Slurp, Kumiho


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Capitolo 5
*** Patti ed Orgoglio ***


Patti ed orgoglio


Il fischio costante e fastidioso nelle sue orecchie fu l'unica cosa capace di occupare il suo cervello dopo quelle parole pronunciate con la fretta e l'urgenza di chi le ha serbate dentro per troppo tempo. Gokudera non avrebbe mai saputo descrivere, nemmeno in seguito, l'espressione che modellava il proprio volto in quel momento perché non faceva parte, in alcun modo, della sua volontà, così come ciò che gli attraversò il cervello. I mille e più pensieri, le preghiere e le speranze che aveva covato fino a quel momento dalla sera prima, si erano dissolte come se qualcuno avesse staccato la corrente ad ogni sua facoltà di scelta.


L'unica sensazione che avvertì sovrastare quell'orrendo fischio prodotto da ogni cellula esausta del proprio cervello fu il dolore allo stomaco; la stessa sensazione, che conosceva bene, di quando le costole venivano prese a calci, privando i polmoni di ogni volontà di riempirsi nuovamente, la stessa sensazione di quando, nelle numerose risse a cui aveva preso parte nella sua vita falsamente agiata, qualcuno lo aveva colpito ed offeso con ogni grammo di cattiveria e disgusto quasi convincendolo che non avrebbe dovuto meritarsi nient'altro dalla vita.


E subito dopo percepì il fragore dell'odio verso se stesso, del disgusto che provava nell'associare Yamamoto, che non aveva smesso di fissarlo dall'immobilità del suo tremore che sembrava perenne, a tutte quelle sensazioni orribili e raccapriccianti; gli occhi ed il naso gli bruciarono, forse per la prima volta con tanta urgenza, di lacrime, rabbia e disperazione. Ma abbassò lo sguardo e tacque incapace di fare altro.



Non sarebbe dovuto succedere” pensava soltanto; una cosa così assurda che l'idea non l'aveva neanche mai lontanamente sfiorato. Sentì Yamamoto muoversi, appena, leggermente: cambiò solo il peso del corpo da una gamba all'altra mentre, alzando lo sguardo anche se non abbastanza per guardarlo negli occhi, riusciva a scorgere la decisione e la fermezza tradite nei suoi pugni chiusi e tremanti lungo i fianchi stretti.


Yamamoto in quel momento gli sembrò talmente piccolo e patetico nel suo coraggio da quattro soldi, nel suo egoismo dettato da quella che, per il momento, continuava a sembrargli solo una follia, che sentì di odiarlo e compatirlo allo stesso tempo. Un privilegio che non aveva mai concesso a nessuno quello della compassione. Si sentì colpevole di essere quello che era, di essere ciò che aveva convinto Yamamoto di quell'assurdità. Percepì la rabbia e la delusione verso se stesso avvolgere anche quello che quel ragazzo rappresentava per lui. Ed ogni minuscola parte di ciò che più assomigliava all'affetto sparì dal suo cuore in un fiammeggiare inconscio e disinteressato.



- Gokudera...-


La sua voce gli sembrò assordante e dal suono inconcepibile. Dischiuse le labbra sforzandole appena, incollate com'erano dalla frescura della sera estiva; anche se non trovò alcune parole con cui accalorarsi la gola. Continuò nell'immobilità congelata che ormai sembrava appartenergli come l'angoscia e la delusione.


-... Gokudera...- Ripeté, scorgendolo muovere qualche passo verso di lui; e subito, come lo zolfo, avvampò di un furore simile al fuoco.


- Stà zitto!- Tuonò sollevando lo sguardo ed inchiodandolo lì dove era -...Perché!? Hai rovinato tutto! Tutto! Io non ti ho mai sopportato e non ti ho mai convinto del contrario... io non ho mai fatto nulla per indurti a credere una cosa del genere!... Allora perché!?... per quale ragione...!?- Sentì la gola dolergli a tal punto da costringerlo a concludere con quella che sembrava indecisione, mentre il suono gli moriva in gola e si assottigliava in quello che sembrava un bisbiglio addolorato. Ma ciò che ardeva nei suoi occhi e nel suo corpo non aveva nulla a che fare con l'indecisione o la tristezza, e Yamamoto doveva essersene accorto: immobile e silente, con l'aria amareggiata e tradita di chi ha avuto la conferma di ciò che temeva.


-... hai rovinato ogni cosa!- Ripeté Gokudera, la voce arrochita dalla rabbia -... stava andando tutto bene e tu...-


- “Tutto bene”?- Domandò lui sbuffando con quello che sembrava un tono divertito mentre i suoi occhi palesavano amarezza ed una frustrazione incredula - … Quale “tutto”, Gokudera? Tu che mi odi? Tu distrutto dalle illusioni e dai riflessi di quello che, lo sai, non potrà mai accadere? O forse tu, che per sfogarti di questo, non riesci a fare altro che provocarmi, tentando di capacitartene, per poi usarmi?... O te... che ti danni l'anima ed affoghi tentando di arrampicarti a qualsiasi cosa, me compreso, quando ti rendi conto che Tsuna non prova quello che provi tu?-




A Gokudera ci volle qualche minuto per comprendere ed elaborare le parole di Yamamoto prima che qualcosa di simile al panico, forse l'unica delle impressioni che in quelle ore non gli aveva infettato il corpo e la mente, lo sconvolgesse da ogni angolo del suo essere. Avvertì palesarsi ogni suo più recondito timore, che surclassò ogni sentimento che aveva dedicato a Yamamoto dal più generoso al più violento. Anche l'amarezza e la delusione, che aveva provato fino a pochi attimi prima delle sue parole svanirono nel nulla ricoperte da strati di terrore ed angoscia, mentre la preoccupazione ed il timore cominciarono a serrargli la gola ed il cuore, come era accaduto sul tetto della scuola, solo pochi giorni addietro.


L'incredulità, la speranza che tutto quello fosse solo un incubo, continuò ad incarnare un appiglio che, nella disperazione, non voleva mollare. Ogni suo pensiero, dal più lucido al più irrazionale si focalizzarono su Decimo; il suo sorriso, la sua voce ed ogni scheggia del suo essere occuparono prepotentemente ogni angolo della sua mente. Il suo cervello, solitamente infallibile e preciso, tentò di elaborare ogni azione o pensiero di Yamamoto per trarne velocemente una soluzione che avrebbe potuto preservare l'armonia, l'unica ancora intatta, tra lui e Decimo; ma le possibilità erano troppe, così come troppo poche erano le sue chance di uscirne pulito.


Vide tutto quello che più aveva desiderato, tutto ciò che aveva pianificato nel silenzio del suo amore silente ed incondizionato essere spazzato via con la violenza e la facilità di un soffio sulla piccola fiamma di una candela.


Avvertì l'odio verso Yamamoto soffocarlo, assieme al terrore incondizionato, l'odio per quell'improvvisa serietà che, ormai, sembrava aver surclassato ogni altro suo aspetto, odio per quella stupidità ed allegria che avevano saputo celare così bene l'intuizione, la falsità e l'arguzia, odio per i suoi occhi, che ora lo fissavano con la decisione e l'arroganza di chi conosce il modo in cui distruggerti.


Riuscì solo a fissarlo con aria terrorizzata boccheggiando come stanco di ogni singola particella di ossigeno che non gli donava che nuove ore di angoscia e tormenti. Ma Yamamoto non sembrò impietosito né stanco di continuare il discorso che, come in una strana forma di sadismo, aveva lasciato cadere, forse per godersi la reazione di Gokudera.


- Credevi che non me ne sarei accorto del modo in cui... tieni a Tsuna?-


Il suo nome suonò orribile pronunciato dalla sua bocca, in quel momento. Fuoriuscito dalle labbra, ancora tumefatte, di colui che ormai non sembrava che un'orrenda imitazione mal riuscita della persona che era Yamamoto per lui fino a poche ore addietro.


-... non sono un idiota, Gokudera; almeno non quanto pensi tu.- Concluse sibilando con un tono talmente avvelenato che Gokudera pensò seriamente di colpirsi con tanta violenza da costringere se stesso a svegliarsi da quell'incubo orrendo.


Il sole era calato quasi del tutto e l'ombra che adesso invadeva ogni curva del volto di Yamamoto non faceva che conferirgli un aspetto più duro ed adulto. Più cattivo e sprezzante. Gokudera si sentì perso in quei pochi metri che rappresentavano il giardino della sua palazzina. Si scoprì solo, indifeso e terrorizzato da quello che mai avrebbe creduto possibile. Ogni sfumatura di quella situazione era assurda. Yamamoto sarebbe esploso a ridere da un momento all'altro e, ridendo come uno stupido, gli avrebbe rivelato che era tutto uno scherzo...lo sperava davvero. Lo voleva con tutto il cuore.


Si accorse di stare respirando a fatica quando, nel tentativo di deglutire la poca saliva che aveva in bocca, il dolore alla gola gli costrinse il volto in una smorfia di fastidio. Yamamoto distolse per un attimo lo sguardo dal suo, fissando un punto imprecisato tra l'erba, per poi tornare a fissarlo con aria orribilmente seria e contrita.


- Adesso basta però...- Mormorò con un tono paurosamente basso -... sono stanco di fare il bravo ragazzo.-


Gokudera ebbe seriamente il terrore di esplodere. Paura, rabbia, delusione, angoscia... non era in grado di reggere un grammo in più di tutto ciò che gli stava piovendo addosso.


- E allora che vuoi fare?- Sentì la propria voce filtrargli dalle labbra in un sibilo pieno d'odio e urgenza di reagire –... vuoi dirglielo?...Giuro che ti ammazzo prima di permettertelo! Te lo giuro Yamamoto!- Appena pronunciò il suo nome si rese conto di non averlo mai fatto prima di allora, almeno non direttamente. E la cosa, in quel vortice di dolore, gli conferì una stilla di piacere; la soddisfazione di averlo ferito: quanto poteva essere tremendo il fatto che la persona che dici di amare non si rivolge a te nemmeno chiamandoti per cognome?


Si sentì seriamente pronto. Calcolò ogni gesto che avrebbe potuto fare per scagliare ogni candelotto di dinamite, ogni sasso, ogni oggetto a portata di mano verso Yamamoto non appena gli avesse rivelato che le sue intenzioni prevedevano il raccontare a Decimo quello che lui era riuscito a celargli con tanta fatica. E se gli oggetti non fossero bastati lo avrebbe colpito con tanti di quei pugni e calci da non poterlo riconoscere.


Ma Yamamoto distese leggermente le sopracciglia, alzò le testa e lo fissò con aria più tranquilla ma che tradiva una certa impazienza.


- No, non glielo dirò- Disse calmo, come se fosse stato ovvio -... ma voglio fare un patto.- Concluse assottigliando lo sguardo, trasformando il suo volto ancora una volta. Per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Gokudera avvertì un brivido di terrore nell'incontrare lo sguardo di Yamamoto che, sebbene aveva avuto il potere di inquietarlo, non era mai riuscito a spaventarlo; non si capacitava di come la sensazione del puro terrore potesse essere attribuita, in alcun modo, al volto di Takeshi Yamamoto. Nonostante ciò riuscì a trovare il coraggio, infusogli dalla rassicurazione inaspettata del ragazzo, di parlare nuovamente permettendosi un brivido di fredda lucidità analitica.


- Un patto?... che genere di patto?-


La sua domanda tradì una certa aspettativa: la fretta di svicolare via da quella situazione pregna di imbarazzo, la speranza e la fiducia di poter fare qualsiasi cosa pur di venirne fuori. Si scoprì convinto di compiere l'impossibile dato che gli era stata data l'opportunità di uscirne. Quello che non aveva preso in considerazione fu il disagio ed il fastidio che gli scossero il corpo in un fremito quando Yamamoto cominciò ad avanzare verso di lui, con quell'aria severa e cupa, pregna di una determinazione che non dedicava nemmeno al baseball.


Yamamoto si fermò a un passo dal corpo di Gokudera, che doveva alzare il volto per guardarlo in faccia ma che, dato che non ne aveva intenzione, si limitò a fissare la trama fitta del tessuto della maglietta bianca di lui, che gli stava ad un palmo dal naso.


D'un tratto, come un fulmine a ciel sereno ne ebbe la convinzione. Sapeva che cosa Yamamoto gli avrebbe chiesto. Ne ebbe la certezza non appena una sua mano gli sfiorò il braccio in quello che, almeno secondo lui, doveva essere un gesto delicatamente affettuoso ma che, in Gokudera, non scaturì altro che un profondo disgusto.


Avvertì la bocca riempirsi di un sapore nauseante, quello che lo tormentava quando era bambino, nei giorni di febbre e che gli impediva di mangiare qualsiasi cosa. Yamamoto si piegò appena su di lui, sfiorandogli i ciuffi argentei della fronte col naso. Gokudera seguitò a fissare il nulla davanti a sé, un nulla che terminava nella clavicola di Yamamoto che ora era troppo vicina. Il suo odore gli riempì le narici e, pur di non respirarlo, Gokudera trattenne istintivamente il fiato. Aveva l'odore tipico dell'estate e della pelle accalorata che, in quel momento, era ancora più forte e pungente. Probabilmente, in qualsiasi altra occasione, avrebbe trovato gradevole quell'odore, ma in quel momento gli feriva il naso come un tanfo insopportabile.


- Lo sai già quello che voglio chiederti, vero?- La sua voce gli scaturì un brivido di disagio, mischiato a qualcos'altro, una sensazione di cui non conosceva il nome ma che lo preoccupò nell'istante in cui, appena la sua voce tacque, gli fece desiderare di sentirla ancora. Gli era apparsa inaspettatamente roca, completamente diversa dal tono che, anche quando era serio, tradiva sempre una certa infantilità.


Ovviamente non gli rispose; seguitò la sua immobilità, quasi lui non ci fosse stato. Avvertiva le mani tremargli incontrollabilmente, e pregò quasi che lui lo notasse e, in un gesto di pietà, rinunciasse ad ogni suo proposito. Ma quando Yamamoto sollevò la mano e gliela portò al volto avvertì ogni speranza infrangersi con la stessa violenza del singulto che gli morì in gola. Strinse i pugni con una violenza che non si riconosceva, avvertendo il dolore degli anelli di metallo ferirgli le dita. Voleva spingerlo via, voleva scappare come aveva fatto la sera prima, prenderlo a pugni di nuovo, con tutto il disagio e la furia che provava in quel momento. Solo l'immagine di Decimo, che gli si presentò davanti appena sbatté le palpebre, lo costrinse a perdurare la sua immobilità mal controllata.


Se quello era il prezzo che doveva pagare per il suo silenzio, non avrebbe esitato a vendersi. Poteva fare tutto per il suo boss. E quello non era che un altro prezzo da pagare per perdurare il suo amore silente. Avrebbe sopportato anche quello, era solo una pietra in più da aggiungere al sacco.


Yamamoto si tirò delicatamente contro il volto di Gokudera, facendogli posare la fronte contro il proprio petto. Gokudera chiuse gli occhi, il cuore batteva così forte che gli sembrava fermo. Yamamoto gli accarezzo una tempia con le labbra, con un sospiro tremulo che gli mosse appena i capelli. Gokudera avvertì la mascella dolergli insopportabilmente, da quanto forte stava stringendo i denti. Lo sentì dischiudere le labbra e riempirsi i polmoni d'aria, perché il suo petto si gonfiò contro la sua fronte e gli sembrò quasi che l'attrito dell'ossigeno che gli attraversava l'esofago accarezzasse impercettibilmente la pelle sensibile dell'attaccatura dei capelli; solo allora avvertì l'urgenza di respirare. Lo fece velocemente: svuotò i polmoni in quello che somigliava ad un gemito e li riempì in fretta con l'aria calda che emanava il corpo di Yamamoto.


Si scoprì disgustato dalla consapevolezza che quella che ora aveva in petto e contribuiva a mantenerlo in vita era l'aria che aveva il suo sapore. Gli occhi gli bruciarono di nuovo, questa volta di lacrime e di umiliazione avvertendo le dita di Yamamoto spostarsi, insinuandosi più a fondo tra i suoi capelli e accarezzargli la nuca, tirandoselo contro ancora di più. Lo sentì parlare di nuovo.


- Le persone come noi quando si incontrano hanno solo due possibilità, Gokudera...- La sua voce questa volta gli giunse ferita e tremolante, mentre vibrava contro la sua fronte attraverso la cassa toracica, ma era troppo preoccupato e disgustato per preoccuparsene -...possiamo affogare tutti e due nella disperazione di ciò che non possiamo avere... o approfittare di ciò che ci viene offerto... illudendoci che basti.-


Gokudera sgranò gli occhi incredulo a quelle parole. Come poteva anche solo pensare che lui avrebbe potuto considerare quella situazione una fortuna!? La rabbia e l'irritazione lo invasero di nuovo.


- Che cazzo speri!? Che ti ringrazi? ...Dovrei ringraziare te ed il cielo per questa fortunata opportunità? - Sibilò Gokudera contro il suo petto, con tutto l'astio e la furia che gli sgorgarono dal petto tramutando la sua voce in un ringhio furioso – ...Sei tu che vuoi costringermi in questo schifo! Non sperare neanche per un istante che io lo consideri un beneficio... non azzardarti neppure a credere che il solo fatto che tu mi sfiori possa essere considerato piacevole! Tu mi fai schifo, è solo per Decimo che lo sto facendo. Quindi sputa le condizioni e chiudi quella fogna, risparmiami il tuo fottuto buonismo, stronzo!-


Vomitò ogni singola sillaba contro il suo petto, con la sua mano che ancora gli accarezzava la guancia, non si mosse di un millimetro mentre lo faceva ma con tutta la rabbia e lo sdegno di cui erano pregne quelle parole sperò di averlo ferito anche solo la metà di quanto avrebbe fatto con i milioni di pugni che desiderava infliggergli.


Ma nel sentirlo tacere ripiombò nel panico; se solo Yamamoto avesse voluto avrebbe potuto rivelare a Decimo tutto ciò che sapeva. Se solo si fosse offeso, se solo le sue parole lo avessero indisposto in qualsiasi modo... Gokudera avvertì lo stomaco riempirsi nuovamente di terrore, come se ne avesse bevuto litri bollenti in pochi secondi. Il battito del proprio cuore gli rimbombò nelle orecchie assordandolo. Si maledì avvertendo ogni grammo di odio riversarsi verso se stesso e verso la sua maledetta impulsività. Avvertì l'urgenza di stringerlo tra le braccia, forse quel gesto sarebbe bastato a calmare una sua eventuale irritazione improvvisa, era poco lo sapeva, ma il quel momento di terrore non trovò la forza di pensare nient'altro.


Quasi svenne dalla tensione quando lo sentì sbuffare divertito contro il suo orecchio, dopo pochi minuti.


- Hai ragione, scusami...- Disse semplicemente, e Gokudera dovette chiudere gli occhi, sentendosi veramente grato verso Yamamoto, anche se solo per un attimo - …è meglio se ne parliamo dentro, non trovi?-







Gokudera avvertì la spiacevole sensazione del sudore gelido incollargli la canottiera al collo, mentre si rigirò tra le lenzuola per la millesima volta in pochi minuti. Sentiva le cosce gelide, contro il materasso fresco ed i piedi fastidiosamente bollenti nella coltre delle coperte.


Tirandosi a sedere allungò una mano nel buio della stanza, raggiungendo la sveglia sul comodino e voltandola prepotentemente all'interno del suo campo visivo. Erano le quattro del mattino. Da cinque ore non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto, in attimi che si alternavano tra l'insonnia e il dormiveglia. Chiuse gli occhi, che gli bruciavano ormai da ore per la stanchezza, ributtando nuovamente la testa sul cuscino. Sentì il proprio stomaco brontolare: non aveva mangiato nulla da ore, ma la sola idea di mettere in bocca qualcosa lo disgustava insopportabilmente. Avvertì il suo corpo essere invaso da un brivido bollente che gli riempì il corpo di nuovo sudore freddo. Quella situazione era talmente ridicola da spaventarlo a morte.


Si sentiva sporco, ogni centimetro del proprio corpo lo disgustava. Avvertiva ancora la pressione della mano di Yamamoto contro la sua guancia, percepiva ancora il calore del suo petto contro la propria fronte. Riusciva a sentire ancora il suono della sua voce nelle orecchie mentre, seduto davanti a lui, nel divano del suo piccolo salotto dettava le condizioni dell'accordo.


Non aveva mai pensato a Yamamoto in termini di avvenenza né di attrazione... l'idea non lo aveva mai nemmeno lontanamente sfiorato; lo aveva sempre visto, anche se non lo ammetteva, come uno della Famiglia, un compagno irritante ma che, in fondo, aveva sempre ritenuto essenziale. Ma in quel momento, mentre lo fissava seduto sul proprio divano, mentre lo vedeva elencare le condizioni di quel ricatto disgustoso ed orribile... lo trovò ripugnante come il peccato. La rabbia che provava aveva trasformato i suoi lineamenti in qualcosa di osceno, il colore della sua pelle era diventato insopportabile da guardare, la sua voce, la sua altezza, le sue mani, i suoi occhi... niente avrebbe potuto disgustarlo di più! Mentre parlava, ricurvo su se stesso, con le mani intrecciate e le braccia poggiate sopra le ginocchia, Gokudera riusciva solo a pensare a come avrebbe potuto sopportare la sua vista senza dare di stomaco.


Lo aveva fatto entrare in casa, dandogli l'opportunità di dettare le condizioni di ciò che aveva in mente. Yamamoto lo aveva fissato per alcuni secondi prima di chiedergli il permesso di sedersi; Gokudera gli aveva lanciato uno sguardo infastidito per poi annuire seccamente. Il ragazzo era rimasto in silenzio per alcuni secondi, fissando dritto davanti a lui per poi sospirare e cominciare a parlare.


- Voglio che tu stia con me. Il luogo non ha importanza. Puoi decidere tu i giorni da trascorrere in mia compagnia. Non voglio che tu ti comporti in una maniera diversa dal tuo solito, non ti chiedo di agire in un modo specifico, puoi fare o dire quello che vuoi. Devi solo rispettare le date e gli orari che trascorrerai assieme a me. È un accordo molto semplice in realtà: io non dico niente a Tsuna in cambio della tua compagnia. Il resto puoi deciderlo tu.-


Gokudera continuò a fissarlo con aria disgustata mentre parlava, il suo sguardo vagava scompostamente sul suo corpo e sul suo viso, ancora tumefatto e coperto in gran parte dall'enorme cerotto sulla guancia; non riusciva scoprirsi in alcun modo avvantaggiato da quelle condizioni. Non vedeva che un ammasso di orrore davanti a lui, non riusciva nemmeno più a paragonarlo ad una persona. Riusciva solo a pensare a quanto lo odiasse i quel momento, a quanto avrebbe desiderato ucciderlo.


- Che vuol dire che posso decidere io? Che cosa dovrei fare? Quando?- Riuscì a chiedere, attenuando la nausea che lo invase improvvisamente.


- Puoi decidere tu i giorni della settimana, per me non fa differenza, solo, non devono essere inferiori a tre. Devi solo trascorrerli con me. Puoi comportarti come fai sempre: non c'è alcun bisogno che tu mi assecondi o ti sforzi di ricambiare qualsiasi mio gesto o parola. L'unica cosa che voglio è che tu rispetti le date ed il tempo che trascorrerai in mia compagnia...- Gokudera ebbe come l'impressione che la sua voce vacillasse ad ogni virgola, ad ogni nuovo fiato il suo tono gli parve sempre più incerto. E la sola idea che la situazione riuscisse a metterlo a disagio lo confortò in un modo quasi piacevole.


-... non capisco!- Ammise Gokudera interrompendolo -... spiegati: che cosa vuoi che faccia mentre sto con te?...- Mentre lo domandava non poté fare a meno di arrossire, l'ambiguità e l'intimità di quella domanda lo misero a disagio oltre ogni limite. Il nodo che stanziava nel suo sterno lo stava soffocando in una morsa sempre più stretta e dolorosa e pregò che Yamamoto non si alzasse lo sguardo per guardarlo. Temeva di conoscere la risposta a quella domanda ma non riusciva a credere che Yamamoto gli avrebbe mai chiesto una cosa del genere. Non riusciva a ritenerlo possibile. Pregò con tutto se stesso che il ragazzo parlasse, rassicurandolo che quegli incontri non prevedevano alcun contatto fisico.


Ma Yamamoto non rispose. Continuò a fissare dritto davanti a sé, con quell'aria ferita che montò in Gokudera una rabbia sconvolgente. Perché aveva quell'espressione? Non era lui la vittima di quel ricatto! Non aveva il diritto di sentirsi a disagio! Yamamoto sospirò per poi sollevare lo sguardo e fissarlo con un'aria improvvisamente saccente, totalmente diversa dall'espressione di sofferenza che gli sfigurava il volto fino a qualche secondo prima.


-... quello che voglio da te non è così difficile da immaginare, Gokudera-


Il crampo di insopportabile furia e ribrezzo che gli attanagliò le viscere in quel momento fu talmente intollerabile che dovette chiudere gli occhi e respirare profondamente per attenuare qualsiasi sua reazione. In un moto di orgoglio riaprì gli occhi e lo fissò nuovamente. Mentre lo fissava si stupì di non riuscire a trovare neanche un singolo elemento gradevole in tutta la figura di Yamamoto, in nessun modo. Gli appariva come l'agglomerato di ogni cosa più orribile e malvagia avesse mai visto.


-... tre.- Disse poi. Yamamoto lo fissò immobile per poi annuire. Dato che aveva avuto l'opportunità di scegliere, e forse pensava che la cosa lo avesse messo più a suo agio ma non era così, aveva ovviamente scelto l'opzione che gli permetteva di vederlo il minor tempo possibile: tre giorni la settimana.


- Ora vattene!- Sibilò Gokudera muovendo un passo indietro, facendogli spazio.


Yamamoto seguitò a fissarlo immobile per alcuni secondi prima di annuire nuovamente ed alzarsi, sovrastandolo con la sua altezza. Si avviò verso la porta poco distante e, prima di aprirla, posando una mano sulla maniglia si voltò nuovamente verso Gokudera.


- Ti manderò un messaggio per farti sapere l'ora ed il giorno...-


La sua mano abbassò la maniglia della porta e, distogliendo finalmente lo sguardo da Gokudera, uscì dalla sua casa.


Gokudera rimase probabilmente per minuti interi nella stessa posizione. Fissando il posto in cui Yamamoto era seduto fino a pochi secondi prima. Non riusciva ancora a capacitarsi di come aveva potuto succedere: la situazione aveva raggiunto il massimo grado di assurdità quando Yamamoto gli aveva fatto quella stupida e patetica dichiarazione... quasi non riusciva a ricordare di come poteva essere giunto ad affrontare una situazione così ridicola e degenerata. Si sentiva esausto, provato ed umiliato entro i limiti del possibile. E, come una beffa, ad accompagnare tutto questo c'era anche la rassicurazione: era riuscito a difendere la cosa più importante; la sicurezza, l'armonia e la serenità di Decimo erano al sicuro e, quasi assurdamente, si sentì orgoglioso di se stesso.


Si sentiva orgoglioso di ciò che era disposto a fare per l'amore che portava a Decimo, e ci si aggrappò disperatamente. Quanto doveva essere puro e nobile quello che provava verso di lui, se lo induceva a sopportare un fardello ed una pena così insopportabili? L'irritazione montò in lui nuovamente al pensiero che Yamamoto avesse osato iniziare quella farsa con quella dichiarazione, chiamando lo schifo che serbava dentro sé stesso con la stessa parola che identificava quello che Gokudera provava verso il suo Decimo.


Amore. Quello non era amore. Non lo era mai stato, ne era certo. Yamamoto aveva senz'altro calcolato ogni singola parola, ogni singolo gesto per giungere a quell'accordo spregevole. Non aveva serbato altro obiettivo dentro se stesso se non quello che aveva ottenuto. Ebbene, Gokudera glielo avrebbe dato; se davvero poteva risparmiare a Decimo qualsiasi timore o preoccupazione il proprio corpo era la giusta moneta e lui non doveva avere rimpianti.


Ma nonostante questa convinzione, il disagio lo attanagliava ancora impedendogli di dormire. Fissava imperterrito la sveglia e poi il cellulare posato sul comodino, temendo che se fosse arrivato un messaggio di Yamamoto lui non lo notasse firmando così la sua condanna. Pervaso da quest'odio e questo disagio crescenti sentì di detestare anche se stesso, ammettendo che più forte dell'orgoglio verso il suo sacrificio era il desiderio che tutto quello non fosse altro che un incubo. E continuava a sperare, nel silenzioso buio della sua camera, di svegliarsi al più presto.


Perché doveva di certo essere un incubo, doveva esserlo per forza! Era solo questione di tempo, appena si fosse addormentato si sarebbe svegliato nuovamente, scoprendo che niente di tutto quello era mai successo. Si sarebbe alzato dal letto, gli occhi riposati e il corpo ancora caldo di sonno, avrebbe mangiato fino a scoppiare e, per la prima volta, non gli sarebbe mancata la cucina italiana a cui era stato abituato fin da piccolo, si sarebbe fatto una doccia e sarebbe uscito in strada, magari sarebbe andato a trovare Decimo, i bambini lo avrebbero fatto infuriare come sempre mentre Yamamoto, sorridente ed irritante come sempre, avrebbe cercato di calmarlo palesando per l'ennesima volta la sua tranquillità e la sua spensieratezza, Gokudera si sarebbe calmato, almeno apparentemente, e si sarebbe goduto la giornata al fianco di Decimo.


Era quella la realtà che voleva indietro. Tutto quel disagio, quell'angoscia... non appartenevano a quella che era sempre stata la sua vita da quando si era trasferito in Giappone. In quella quotidianità rilassante non era mai esistita tutta l'angoscia che lo attanagliava da giorni. Nelle giornate a cui era abituato Yamamoto non era capace di parole del genere... di espressioni del genere. Nella realtà che aveva sempre vissuto tutto quello che provava era al sicuro: nascosto nell'angolo più recondito del proprio cuore.




Si addormentò verso le cinque e mezza del mattino, crollando finalmente in un sonno talmente profondo che quando il cellulare squillò, verso le dieci e mezza, Gokudera non fece altro che mugolare infastidito e voltarsi dall'altra parte.










Sinceramente credevo che il tempo necessario per questo capitolo sarebbe stato molto di più... sarà che ho deciso di spezzarlo in due, sarà che, per certi versi, non è venuto esattamente come avevo in mente... eccolo qua. So già che qualcuno di voi penserà che il personaggio di Yamamoto è completamente OOC... ma mi uccidete se vi chiedo di aspettare ancora un po'? ^^

So bene che, probabilmente, quello che c'è nella mia fan fiction differisce un po' dallo Yamamoto che c'è in quasi tutte le fic o le doujinshi... ma vi chiedo di avere fiducia e pazientare, dopotutto chi è arrivato fin qui, a meno che non abbia continuato per pena nei miei confronti, il che è capibile XD, non credo sia rimasto deluso.


Ad ogni modo; da qui in poi la storia prende una piega decisiva, come avrete notato, e il personaggio di Takeshi sarà parte integrante della storia, per cui i capitoli usciranno un po' a rilento... chiedo scusa ma questa parte devo farla bene e non posso permettermi di tralasciare nulla.


P.S: tengo a precisare che descrivere Yamamoto come “brutto” o “disgustoso” è stata un'impresa assai ardua, infatti non ho esagerato più di tanto... anche se avrei voluto, per il bene della storia si intende, non certo perché ritengo Yamamoto antiestetico, anche perché credo sia una cosa praticamente impossibile! XD


Grazie a chi continua a seguirmi e, soprattutto, a chi commenta.

Slurp, Kumiho.

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Capitolo 6
*** Umiliazione e Sacrificio ***


Umiliazione e Sacrificio”




Quando Gokudera aprì gli occhi, o meglio quando la luce mattutina glielo permise senza troppo fastidio, i fatti del giorno precedente gli si riavvolsero velocemente in testa, come in un flashback di un film di ultima categoria; le parole di Yamamoto, il suo volto serio, perfino il suo odore pungente... tutto lo costrinse in un'immediata nausea. Riuscì solo a respirare profondamente per poi deglutire costringendosi ad una calma solo apparente. Lentamente voltò la testa verso il comodino e guardò l'orologio digitale, i cui numeri schiariti dalla luce del sole, gli furono chiari solo dopo un'attenta analisi.


Era quasi mezzogiorno. L'ultima volta che aveva guardato l'ora prima di riuscire ad addormentarsi i numeri rossi dell'orologio brillavano segnando le quattro e mezza... voleva dire che aveva dormito poco più di sei ore: gli erano sufficienti, ma se anche non fosse stato così Gokudera dubitava che sarebbe riuscito a chiudere nuovamente occhio. Si mise seduto grattandosi la testa, passandosi le dita tra le ciocche ribelli della nuca; non appena il lenzuolo gli scivolò via dal petto il fastidio dell'aria fresca a contatto con la pelle nuda ed ancora calda di sonno lo fece rabbrividire di fastidio. Per un attimo ricollegò quella sensazione a quella che aveva provato quando Yamamoto lo aveva sfiorato la sera precedente, davanti alla porta di casa sua... no, le sue mani sulla pelle erano state decisamente più raccapriccianti e fastidiose.


Ciò che avrebbe dovuto fare secondo Yamamoto non gli era ancora del tutto chiaro, ma non faticava ad immaginare che cosa l'altro, in fondo, desiderava da lui. Un brivido di disgusto gli fece accapponare la pelle ed i radi peli delle braccia si drizzarono, provocandogli un prurito spiacevole.

Anche se il modo in cui l'aveva toccato e la malizia con cui gli aveva sfiorato la fronte con le labbra, scompigliandoli i capelli col proprio respiro affannato, non lasciavano molti dubbi su che cosa desiderasse da lui, Gokudera continuava a sperare che non avrebbe avuto il coraggio di chiedergli alcun favore che prevedesse un qualsiasi contatto fisico.


Dopotutto, aveva pensato, se avesse voluto qualcosa del genere avrebbe potuto imporglielo senza troppi complimenti. Invece tutto quello che era uscito dalle labbra tumefatte di Yamamoto era una semplice richiesta di compagnia... e per certi versi questo lo aveva sconvolto ancora di più. Quando pensava a come Yamamoto glielo aveva chiesto, cercando di nascondere quelle parole dietro ad un velo di sicurezza e decisione, non riusciva a non provare, in fondo, una compassione che non aveva mai riservato a nessuno. Gli appariva patetico e debole, un falso egoista che era riuscito con un pretesto ad averlo in pugno. La compassione che provava, però, era nascosta sotto alle coltri pesanti di rabbia e delusione e solo in alcuni momenti si ripresentava, meno a lungo di un lampo, nel cervello di Gokudera che, subito dopo, avvertiva nuovamente la rabbia ribollirgli dentro.


Il solo pensiero di doverlo rivedere ancora lo irritava così tanto che quasi si stupiva di se stesso. Probabilmente ciò che lo logorava di più era il fatto di dover aspettare un suo segnale, un suo avvertimento che lui avrebbe dovuto eseguire; lo faceva sentire in qualche modo dipendente dalle sue decisioni, perché di fatto erano questi gli accordi del loro patto. Se non avesse trovato così disgustoso pensare a qualsiasi cosa gli rievocasse la sua figura, Gokudera ne era certo, sarebbe riuscito a trovare uno stratagemma, un modo per fregarlo e non averci più nulla a che fare. Ma lo detestava troppo per riflettere a mente lucida e questa era un'altra cosa che lo mandava in bestia.


Come sempre la rabbia aveva sostituito l'angoscia ed il dispiacere che però, sapeva, sarebbero ricomparsi non appena lo avesse rivisto; non appena, seppur avesse calcolato ogni possibilità delle sue parole o dei suoi atteggiamenti, Yamamoto lo avrebbe spiazzato con qualcosa di inaspettato e doloroso. Troppo doloroso.


Si alzò, barcollando appena, ancora intontito dai fumi della stanchezza, verso la cucina. Aprì il minuscolo frigo di fianco al forno e tirò fuori la bottiglia del latte. Non appena vide il liquido ondeggiare attraverso la plastica opaca, si accorse della necessità che aveva di bere: la gola gli doleva da quanto era asciutta e l'interno della bocca gli faceva quasi male al pensiero di come sarebbe stato il sapore del latte freddo contro il palato secco. Poggiò le labbra contro il bordo di plastica gelida e il latte gli sgorgò in gola con urgenza, la pelle delle spalle gli si accapponò per la temperatura del liquido, ma era piacevole e ne bevve sorsate sempre più capienti.


Gokudera era solito, anche quando non ne aveva voglia, fare una colazione equilibrata ed abbondante, era un tipo pignolo su ciò che gli serviva come approvvigionamento e che, conseguentemente, avrebbe portato al miglioramento di ogni sua funzione. Il sangue italiano che gli scorreva nelle vene gli imponeva anche di non accontentarsi facilmente di quello che mangiava, sebbene la cucina di sua sorella lo avesse reso più accorto del previsto in fatto di cibo; ma quella mattina, come quella precedente, ogni sua buona volontà si era assopita in un luogo introvabile del proprio essere e qualsiasi fosse l'entità che lo costringeva a muoversi in quel momento, questa si accontentava di qualche sorsata di latte.


Le vacanze estive erano cominciate da soli due giorni ma era come se fosse trascorsa un'eternità dall'ultima volta che aveva visto l'istituto Namimori. Era come se, con la fine della scuola, tutto quello che lo circondava avesse cominciato inesorabilmente a trasformarsi inglobandolo in ogni più piccolo cambiamento. Avvertiva la stanchezza soffocarlo come se non avesse mai dormito e, alzandosi, gli parve di sentire addirittura le giunture delle ginocchia scricchiolare sotto al proprio peso.


Posò il contenitore del latte sul tavolo. Afferrò il telecomando e, con la solita inerzia, accese la televisione mettendosi a sedere. Fissando le piccole figure di due ragazzi camminare fianco a fianco nello schermo opaco, Gokudera realizzò che il tempo trascorso da quando aveva acceso la televisione l'ultima volta, non era indifferente come gli era sembrato appena qualche giorno prima quando, aprendo la posta, aveva fatto i conti delle spese che gli comportava quel piccolo appartamento. I soldi non erano mai stati un problema, in quanto la sua famiglia, sebbene avesse tentato in tutti i modi di esserne indipendente, gli spediva regolarmente i soldi necessari ad un tenore di vita medio.


Gokudera aveva sempre cercato, in tutti i modi, di non essere un peso per nessuno e soprattutto di non dover dipendere da qualcun altro: rispediva sempre indietro i soldi che gli avanzavano dalle spese per l'appartamento e da qualche altro bisogno primario, ma quella mattina trovò quasi piacevole cimentarsi in qualcosa che non lo aveva mai interessato troppo, sia per voglia, sia per un fatto economico; dato che quello che aveva trovato ad accoglierlo in quei giorni non era da considerarsi normale routine Gokudera decise di includere anche la televisione, almeno per quella mattina, in quel mucchio di cose che non gli appartenevano.


Dalla colonna sonora e dalle riprese capì subito che doveva trattarsi di una qualche serie televisiva; il ragazzo e la ragazza avevano continuato a camminare l'uno di fianco all'altra, nella luce aranciata del tramonto, ogni tanto spezzando il silenzio con qualche domanda imbarazzata. Gokudera poggiò la schiena nuda contro lo schienale della sedia di legno avvertendo un leggero disagio mentre il ragazzo sullo schermo afferrava la mano della ragazza costringendola a fermarsi. La telecamera zumò lentamente sul volto di lui che si fece improvvisamente serio, mentre le sue guance prendevano colore. Gokudera fece un respiro profondo avvertendo una piccola fitta all'altezza dello stomaco. La ragazza sullo schermo lo fissò sorpresa mentre lui le si avvicinava accarezzandole una guancia.


- “Non è difficile immaginare perché ti ho portata qui, vero?”-


Gokudera aggrottò la fronte mentre il dolore allo stomaco aumentava espandendosi.


La ragazza lo fissò attonita rimanendo in un silenzio visibilmente imbarazzato. Lui le si avvicinò ancora di più, sfiorandole la fronte con le labbra e sospirando mentre lei arrossiva.


- “Takeshi...?”- Mormorò imbarazzata e a quel nome qualcosa dentro la pancia di Gokudera si attorcigliò talmente forte e dolorosamente da fargli staccare la schiena dalla sedia.


Il ragazzo si chinò su di lei.


- “Io ti amo...”-


La musica assordante della pubblicità interruppe la toccante dichiarazione; le mani di Gokudera tremavano mentre stringevano il telecomando che aveva afferrato in modo talmente fulmineo da non lasciare al ragazzo il tempo di finire la frase. Ora, con un leggero fiatone, fissava lo schermo pieno di colori e scritte sgargianti mentre un tizio gridava a squarciagola le proprietà miracolose di un bibita. Si scoprì addirittura in piedi, mentre puntava il telecomando contro il piccolo televisore come se fosse un'arma da fuoco, stringendolo con entrambe le mani improvvisamente sudate.


Restò immobile per alcuni secondi prima di tirare un pugno improvviso e furente sul piccolo apparecchio che si spense all'improvviso. Si sentì un completo idiota mentre cercava invano di riportare il battito del suo cuore ad una velocità normale. Sentiva le mani seguitare a tremargli e lo stomaco dolergli di un'umiliazione ed un'agitazione immotivate come quando, in meno di un secondo, il volto del ragazzo sullo schermo era diventato quello livido di Yamamoto. Per assurdo in quel momento aveva acceso la televisione e, per assurdo quello era il momento clou di una stupida serie romantica e, sempre in un modo quasi impossibile, tutto in quel maledetto contesto - persino il nome del ragazzo- coincideva quasi alla lettera alla maledetta sera di appena qualche ora prima.


Gokudera rimase in silenzio, ancora il pugno chiuso e dolorante sul piccolo televisore. Un ultimo, profondo sospiro prima di darsi di nuovo dell'idiota. Poggiò il telecomando sul tavolo e si diresse in bagno con fare calmo.


- Basta televisione per quest'anno...- mormorò.






Una fredda e veloce doccia mattutina sembrò sufficiente per calmarlo almeno un po' anche se, dentro di sé, continuava a darsi dell'idiota mentre ringraziava il cielo di essere stato solo; probabilmente, ed era abbastanza sveglio per ammetterlo, il suo carattere schietto e le sue reazioni impulsive sarebbero state sufficienti a mandarlo nel panico anche se, con lui, ci fosse stato Decimo.


Gokudera smise di frizionarsi i capelli con l'asciugamano non appena il volto di Decimo, alla logica associazione del nome, gli si presentò nella mente. Lentamente Gokudera alzò lo sguardo ritrovandosi a fissare il suo riflesso dall'aria inaspettatamente risoluta.


Decimo.


Le sue mani si strinsero a pugno quasi automaticamente mentre una fievole punta di determinazione si faceva largo dentro al suo cuore. Per assurdo si sentiva quasi felice di sacrificarsi per il bene del suo boss, anche se lui non lo avrebbe mai saputo; ma la convinzione che il suo gesto avrebbe contribuito a mantenere la calma e la tranquillità, che Decimo aveva sempre desiderato per la Famiglia, riempì il suo cuore di calore e fierezza.


Yamamoto non era in grado di distruggere tutto quello. Non lo sarebbe mai stato, nonostante il disgusto, il disprezzo e la pietà che gli scaturiva il solo pensarlo. Il suo amore per Decimo era talmente grande da non fargli dubitare, neppure per un attimo, di quanto sarebbe stato semplice sacrificare la propria vita ed il proprio benessere per il suo bene... e tutto quello Yamamoto non era in grado di capirlo, figuriamoci di abbatterlo.


Gokudera serrò le labbra finché la sua bocca non divenne che una linea sottile. Ne aveva passate tante, Gokudera, in vita sua... aveva visto cose, fin dalla più tenera età, che nessun bambino dovrebbe mai vedere. Anche per questo mai avrebbe creduto che un giorno, un ostacolo del genere, per quanto insormontabile, avrebbe potuto turbarlo da mettere a repentaglio la sua fiducia in ciò che rappresentava la propria lealtà.


Yamamoto... il suo volto, il labbro spaccato e i suoi occhi spenti riaffiorarono nella sua mente, sostituendo inconsciamente il pensiero di Decimo. Di nuovo, maledettamente, il suo tocco sulla propria pelle si fece terribilmente vivo e Gokudera dovette accarezzarsi le braccia con le mani per cancellare al più presto quella sensazione.


Si sentì nuovamente ridicolo... se bastava il ricordo a metterlo in difficoltà, come poteva sperare di mostrarglisi fiero ed imperturbabile una volta che lo avrebbe avuto davanti?


Gokudera sorrise mesto al suo riflesso, il sorriso incrinato dall'amarezza... perché, dentro di lui sapeva che il suo orgoglio e la sua determinazioni non erano grandi e forti quanto il suo desiderio che quell'incubo non si rivelasse altro che uno scherzo. Non riusciva a trovare il coraggio che avrebbe voluto per la propri volontà, un coraggio talmente totale e fiero da non fargli provare alcuna paura.


Probabilmente tutto quello che voleva non era tanto sconfiggere la presunzione e la bassezza di Yamamoto, quanto il ritorno alla normalità che non aveva mai saputo apprezzare. E l'odio e la volontà di schiacciare colui che lo aveva in pugno non erano abbastanza forti e coraggiosi quanto, da bravo braccio destro del Boss dei Vongola, avrebbe dovuto essere lui. Lo scoprire la propria insicurezza non lo rendeva di fatto dubbioso di ciò che sarebbe stato in grado di fare per Decimo, questo mai!... Ma lo rendeva conscio del fatto che avrebbe preferito non ce ne fosse bisogno.


Dopotutto”, pensò poi specchiandosi di nuovo nei propri occhi, tentando di giustificare i dubbi che lo attanagliavano nuovamente, “qual'è il soldato che, anche orgoglioso di andare in guerra, in fondo al cuore non desidera tornare a casa?”






Ancora in mutande e coi capelli bagnati, Gokudera tornò in camera sua; trascinando i piedi con la stessa pigrizia di quando si era alzato. Quel minuscolo dialogo con se stesso e con le proprie insicurezze aveva abbattuto ogni suo desiderio di stare sveglio; desiderava con tutto se stesso la capacità di addormentarsi a comando di cui aveva sentito distrattamente vantarsi qualche compagno di classe, appena qualche mese prima. Chissà che ripiombare nuovamente in qualche sonno senza sogni non lo avrebbe fatto sentire meglio; magari donandogli un minimo di voglia sufficiente, almeno, a farlo stare in piedi.


Si buttò a peso morto sul letto, rimbalzando appena contro il materasso morbido. Voleva vedere Decimo. Voleva la sensazione che il solo stargli accanto gli suscitava nel cuore; non esisteva alcun pensiero buio quando stava con lui, nessun nemico abbastanza forte da abbatterlo... quando stava vicino a Decimo, anche solo incrociare distrattamente il suo sguardo qualche volta, lo riempiva di voglia di vivere come nient'altro era in grado di fare. Il solo sentire la sua voce sarebbe bastato a rinvigorirlo un po'...


Non esistevano appuntamenti da fissare o parole non dette col suo Boss: era sempre tutto deliziosamente naturale e spontaneo; infatti erano pochissime le volte in cui si erano sentiti per telefono: solo quando Gokudera voleva accertarsi della sua salute o di qualche altro bisogno urgente ed improrogabile.


Voltò lentamente la testa in direzione del suo comodino, dove era posato il suo cellulare. Tanto era il desiderio di Gokudera, che il cellulare sembrò risplendere. Quasi infastidito del rumore che provocò il suo corpo che sfregava contro le lenzuola, prova che difatti si stava muovendo, per raggiungere ciò che gli sarebbe servito per placare un suo stupido ed inutile bisogno, Gokudera non seppe fermarsi ed afferrò il telefonino.


Come per allungare quel momento il più possibile, Gokudera si rimise supino sul letto, stringendo il cellulare tra le mani. Ogni pensiero che il suo cervello gli stava elencando, secondo cui telefonare a Decimo non sarebbe stata una cosa cortese, non sembrava minimamente sufficiente a lenire il suo bisogno di sentire la sua voce. Dopo pochi secondi, infatti, lo aprì con uno scatto secco.





In effetti Gokudera ci mise parecchio, prima di realizzare che cosa, effettivamente, stava fissando sul minuscolo schermo del telefono che, dopo poco, prese a tremare incontrollabilmente. Non appena il suo cervello fu di nuovo in grado di pensare, Gokudera avvertì minuscole gocce di sudore freddo nascergli tra le scapole e la pelle delle cosce nude accapponarsi. Gli occhi cominciarono a bruciargli da quanto li aveva spalancati e la sua espressione atterrita ricambiò il suo sguardo non appena lo schermo del cellulare divenne nero, in standby.


Subito schizzò a sedere sul letto e premette un tasto qualsiasi, pregando affinché tutto ciò che avesse visto fosse solo il suo solito sfondo pieno di fiamme e teschi. Purtroppo quando il cellulare si illuminò di nuovo, Gokudera avvertì ogni sua speranza infrangersi col fragore di mille specchi rotti.


La notifica di un messaggio di Yamamoto era abbagliante sul minuscolo schermo, tanto che, Gokudera, dovette chiudere gli occhi, stringendo con una forza disperata il telefonino tra le mani, che seguitò a tremare al ritmo della paura e dei brividi che gli scuotevano le braccia nude. Lentamente rialzò la testa, che aveva chinato altrettanto lentamente qualche secondo prima, come il disperato, ultimo tentativo di volersi nascondere da quella notifica.


Ormai il dolore allo stomaco non lo sentiva nemmeno più mentre, terrorizzato ma in qualche modo ansioso, schiacciò un tasto del minuscolo apparecchio ed il contenuto del messaggio rivelò le sue poche parole:



Oggi, alle 13:00 a casa mia. Yamamoto




Adesso lo sentiva eccome il dolore allo stomaco; allarmato, si voltò verso l'orologio sul suo comodino: le 12:50. Gokudera avvertì l'interno del petto andargli a fuoco mentre cercava di prendere un fiato che la capienza dei propri polmoni non gli permetteva. Come colpito da una scossa elettrica, balzò in piedi e si precipitò verso il suo armadio afferrando una maglietta e un paio di pantaloni qualsiasi.


Era l'adrenalina del terrore puro che lo muoveva in quel momento. Mancavano solo dieci minuti. Se avesse tardato anche solo di un minuto... a Yamamoto sarebbe bastato alzare la cornetta e comporre il numero di Decimo...


Non puoi farlo... ti prego, aspetta...”Gokudera non era in grado, in quel momento, di specificare se quelle parole le stesse pensando o se, effettivamente, gli stessero sgorgando dalla bocca come un mantra, mentre con una velocità disumana afferrava le scarpe nell'ingresso e, nemmeno chiudendo la porta a chiave, si precipitava fuori.


Cominciò a correre con la stessa disperazione che lo aveva mosso qualche sera prima quando era scappato dal ristorante di Yamamoto, senza una meta e mosso solo dalla necessità di non vederlo. Cercò di fare mente locale sulla scorciatoia che poteva prendere mentre rallentava il passo, avvertendo gli occhi bruciargli e farsi fastidiosamente umidi. Le caviglie gli bruciavano, sfregando contro la ruvida stoffa interna delle scarpe, per via dei calzini che non aveva avuto il tempo né l'attenzione di indossare, ma seguitava a correre, stringendo il cellulare in una mano.


Provò seriamente a riflettere su che cosa avrebbe potuto fare se i suoi timori più oscuri si stessero avverando, magari, proprio in quel momento; ma non ce la fece. Il suo cervello, il suo fisico, ogni particella di ciò che lo rappresentava era concentrata sul moto, sulle falcate sempre più grandi, sui contorni e i dettagli dell'asfalto sempre più sfocati... tutto ciò che illuminava Gokudera in quel momento era la necessità incontrollabile di correre.


Ogni tanto alzava il cellulare davanti al volto, giusto per controllare quanti minuti gli rimanevano, pregando che il cellulare di Yamamoto segnasse la sua ora esatta. Perfino quando gli si parò davanti una vecchina, Gokudera fece a malapena in tempo ad evitare di travolgerla tanto andava di fretta; e tanto era il suo terrore in quel momento, che non ebbe neanche la solita prontezza per rispondere agli insulti che gli lanciò qualche automobilista costretto ad inchiodare bruscamente al suo passaggio.


Gokudera sentiva di non possedere più dei polmoni quando, infine, girato l'angolo, intravide l'entrata del ristorante. Si aggrappò sgraziatamente allo stipite della porta d'entrata per frenare la sua corsa, tagliando la strada ad un paio di clienti che si accingevano ad entrare. Dalla sua gola, assieme agli ansiti stroncati, fuorusciva un fischio soffocato, probabilmente dato dal fatto che alla sua età fumava già due pacchetti di sigarette al giorno e aveva i polmoni di un quarantenne. I clienti, già seduti nel ristorante, cessarono l'allegro cicaleccio, che sempre regna nei ristoranti a quell'ora del primo pomeriggio, voltandosi tutti verso il ragazzo dall'aria malandata e terrorizzata che era entrato in fretta e furia nel locale.


Gokudera si guardò attorno disperatamente, cercando Yamamoto con lo sguardo, tentando, inutilmente, di respirare col naso interrompendo, così, il chiasso soffocato dei sui ansiti. Sentiva le gambe tremargli incontrollabilmente; se solo si fosse messo a sedere, probabilmente, non avrebbe più avuto la forza di rialzarsi.


- Tu... sei Gokudera?-


Il ragazzo si voltò verso la voce che aveva pronunciato il suo nome. Unica voce che, per altro, ruppe quel silenzio imbarazzante: il padre di Yamamoto lo fissava con aria stupita da dietro il bancone.


- S...sì...- Riuscì a rispondergli tra un ansito ed un altro


- Che ti è successo figliolo, stai bene?- Gli chiese di nuovo e, con aria sinceramente preoccupata, gli si avvicinò lasciando il bancone ad un giovane ragazzo che, ad un suo gesto, abbandonò i fornelli poco distanti.


Gokudera avvertì un moto di rabbia improvvisa anche verso quell'uomo che, dopotutto, rappresentava in buona percentuale il motivo di ogni suo disagio, ma se ne pentì non appena egli gli porse un bicchiere d'acqua, tranquillizzando i clienti con poche e gentili parole, tanto che tutto, dopo pochi secondi tornò alla normalità; e ben presto, tutti si scordarono della presenza di Gokudera.


Il ragazzo, ancora ansimante, allontanò gentilmente il bicchiere d'acqua e, cercando di scandire al meglio le parole, che gli uscivano dalla bocca ferendogli la gola, chiese dove fosse Yamamoto.


- Takeshi?... E' in camera sua. Vado a chiamarlo, aspetta qui!... Dammi retta, bevi l'acqua- Gli sorrise l'uomo allontanandosi, subito dopo avergli preso le mani tremanti tra le sue, lasciandogli il bicchiere.


Gokudera rimase qualche secondo in piedi, fissando nel vuoto. Indietreggiò di pochi passi finché il contatto della sua schiena madida col muro non lo costrinse a fermarsi. Mai come in quel momento aveva desiderato di vedere Yamamoto: doveva accertarsi che non avesse fatto niente di tutto quello che temeva. Guardò l'ora segnata sul grande orologio appeso alla parete del ristorante: 13:05.


Tentò di deglutire, terrorizzato, ma la gola gli bruciava come se avesse tentato di inghiottire degli aghi. Si portò, quindi, il bicchiere alla bocca, più per automatismo che per altro, e bevve fino all'ultima goccia. Proprio all'ultimo sorso qualcosa nel suo petto andò storto e l'acqua gli andò di traverso tanto che per poco non si soffocò. Si voltò con la faccia al muro e si strinse nelle spalle il più possibile cercando di tossire conservando un minimo di contegno, parandosi la bocca con un pugno chiuso; ma qualche cliente si voltò, ancora incuriosito, verso di lui.


Gokudera avvertì gli occhi inumidirsi, quando la gola finalmente gli si liberò permettendo all'aria di entrare e, poggiando la testa contro il muro, riprese a respirare a grandi boccate. Il muro era fresco contro la sua fronte bollente e sudata e l'aria condizionata del locale era una manna dal cielo... nonostante ciò si sentiva ancora terribilmente inquieto ma, dopo pochi secondi, il suo respiro si bloccò nuovamente.


- Stai bene?-




Con un'enfasi che non sarebbe stata possibile in una normale situazione, Gokudera si voltò nuovamente ritrovandosi davanti Yamamoto e suo padre che lo fissavano con aria preoccupata. Non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Yamamoto, Gokudera fu pervaso da una sensazione insopportabilmente umiliante, tanto che dovette distogliere subito lo sguardo.


- … sono... arrivato in tempo?- Chiese poi, cercando di non farsi sentire dal padre del ragazzo che seguitava a fissarlo con aria fastidiosamente ansiosa.


Yamamoto rimase in silenzio per alcuni secondi, durante i quali il terrore di Gokudera crebbe a dismisura, rischiando di soffocarlo nuovamente. Eppure, senza incrociare il suo sguardo, riuscì quasi ad avvertire quello di Yamamoto assottigliarsi e squadrare ogni centimetro della sua persona che, lo sapeva bene, doveva sembrare veramente stravolta.


-... certo- Mormorò Yamamoto velocemente per poi voltarsi verso suo padre e rassicurarlo con parole che Gokudera non riuscì a capire; il suo cuore si fece d'un tratto leggero e non riuscì ad impedirsi di chiudere gli occhi mentre i suoi polmoni si riempirono di aria dal sapore molto più dolce.


Alzò, poi, lo sguardo quasi senza pensarci ritrovandosi, di nuovo, davanti a Yamamoto che continuava a fissarlo con aria indefinibile. Gokudera non poté fare a meno di sentirsi stupido di quanto era riuscito a sentirsi sollevato: la parte tremenda veniva adesso; adesso che erano soli e il padre di Yamamoto era tornato al suo posto, dietro il bancone, adesso che Yamamoto aveva preso a fissarlo con uno sguardo pesante ed indefinito, capace di annullare ogni rumore del ristornate.


Prima che potesse farlo Gokudera, fu Yamamoto a distogliere lo sguardo da lui per primo; sorprendendolo dell'insicurezza con cui compì quel semplice gesto. Continuando a tenere lo sguardo basso, Yamamoto, si avvicinò a lui di pochi passi per poi ripiombare nella contemplazione di un punto indefinito vicino ai piedi di Gokudera, che dovette scivolare appena contro il muro per riappropriarsi della distanza mantenutasi tra loro fino a quel momento; ma Yamamoto questo sembrò non notarlo.


Il cerotto che, fino al giorno prima, gli ricopriva l'intera guancia era scomparso, anche se non si poteva dire lo stesso del livido che vi stanziava ora; il suo zigomo vantava un colore bluastro, che si espandeva in un colore plumbeo sulla guancia, e che sfumava in un giallo pallido vicino alla bocca ancora spaccata. Gokudera provò dei leggeri brividi di soddisfazione accapponargli la pelle delle spalle mentre contemplava il risultato del suo scatto d'ira di due giorni prima.


Sensazione che subito svanì quando Yamamoto riprese a fissarlo. Era uno sguardo normale, il suo solito sguardo tranquillo, ma che impedì comunque a Gokudera di provare una minima parvenza di serenità.


- … Vuoi dell'acqua?-


Gokudera rimase in silenzio prima di rispondere, più irritato dalla sua voce che non stupito dalla domanda in sé. Scosse semplicemente il capo, alzando la mano e mostrandogli il bicchiere ormai vuoto. Yamamoto allora annuì scostandosi come a lasciarlo passare.


- Vieni, andiamo... camera mia è di sopra.-


A quelle parole lo stomaco di Gokudera si strinse nuovamente nella morsa che ormai era divenuta il sintomo per quel malessere che lo opprimeva ogni qualvolta doveva aver a che fare con Yamamoto che, a conti fatti, sarebbe stato più correttamente definibile come il malessere stesso. In un improvviso moto di decisione e baldanza, Gokudera lo superò più in fretta di quanto il suo stato d'animo gli volesse permettere, abbandonando il muro fresco che, in quel momento, era divenuto un sorta di appiglio nella disperazione imminente.


Non appena Gokudera gli passò accanto Yamamoto sollevò distrattamente un braccio posandoglielo sulla schiena; un gesto comune, un semplice invito a precederlo ma a cui Gokudera reagì con tanto sgomento da respingere il suo tocco con uno schiaffo improvviso. Yamamoto, a quella sua reazione, si fermò riabbassando lo sguardo con aria ferita, cosa che , probabilmente se le sue viscere non fossero state così in subbuglio dall'improvviso allarme, le avrebbe accarezzate ridonandogli quella traccia flebile di soddisfazione.


- Scusami...- Sussurrò appena Yamamoto, rifiutandosi nuovamente di guardarlo negli occhi; con un gesto della mano lo invitò a precederlo verso le scale in fondo al locale.


Gokudera ci mise un po' prima di riuscire a trovare il coraggio per smettere di fissarlo, unico modo per accertarsi di che cosa stesse facendo alle sue spalle, poi con una fretta che nulla aveva di normale, si voltò, e nervosamente raggiunse le scale accerchiando i tavoli e qualche cliente. Non appena poggiò il piede sul primo gradino si voltò verso Yamamoto che lo stava seguendo, appena pochi metri più in là.


- Andate di sopra?- Chiese il padre del ragazzo da dietro il bancone, di fianco alle scale.


Gokudera non rispose, si limitò ad annuire nervosamente mentre riportava lo sguardo su Yamamoto, ormai di fianco a lui.


-... non fate confusione, mi raccomando!- Disse l'uomo sorridendo contento al figlio, che ricambiò il sorriso con uno decisamente più triste, ma la cosa sembrò non turbarlo. Yamamoto si voltò verso le scale continuando ad evitare lo sguardo di Gokudera che, proprio mentre stava per seguirlo, si sentì chiamare nuovamente dal padre del ragazzo.


-... sei hai bisogno di qualsiasi cosa non devi far altro che chiedere!-


Gokudera avrebbe seriamente voluto prenderlo in parola e chiedergli di costringere suo figlio in una stanza, gettando via la chiave, ma si limitò ad annuire e, sempre in silenzio, seguire Yamamoto che lo stava aspettando qualche gradino più su.


Non appena sbucarono al piano di sopra Gokudera fu colto dal disagio dell'odore che vi stagnava. Era l'odore di Yamamoto. Probabilmente in una situazione normale era un odore che avrebbe trovato abbastanza piacevole, questo aveva avuto modo di verificarlo anche qualche mese addietro quando, durante l'ora di ginnastica, il cambio dei vestiti di Yamamoto era finito sopra il suo che, per la restante giornata, aveva mantenuto quell'odore appena pungente e salato.


Non lo aveva trovato fastidioso, aveva poi ammesso a malincuore, tanto che non si era neanche arrabbiato con lui e con la sua solita disattenzione, cosa che normalmente avrebbe fatto: aveva fatto saltare dei denti per molto meno. Quella volta però, quella prima ed unica volta, si era limitato ad indossare la propria maglietta concedendosi un respiro a pieni polmoni mentre la faceva passare dalla testa.


In quel momento però, tutto quello che lo assaliva mentre percorreva il breve corridoio che avrebbe portato alla camera di Yamamoto, era un disgusto ed una nausea insopportabili; tanto che i suoi polmoni sembravano rifiutarsi di riempirsi a dovere, come quando, per strada, alle volte una macchina passava ad una velocità sopra la norma sollevando un polverone, stroncandogli il respiro a metà.


Nell'alzare gli occhi verso la figura di Yamamoto che lo precedeva, Gokudera provò un brivido di terrore rendendosi conto per la prima volta di quanto larghe fossero le sue spalle viste da dietro. Convinto com'era sempre stato della gentilezza, anche se insopportabile, per cui Yamamoto era sempre stato noto, non aveva mai nemmeno preso in considerazione il fatto di doverlo affrontare in uno scontro corpo a corpo; anche quando i primi giorni della sua permanenza in Giappone, durante i quali Yamamoto rappresentava per lui un ostacolo alla carica di “braccio destro del Decimo”, era sempre stato convinto della propria superiorità.


Ma mentre Yamamoto lo precedeva in tutta la sua altezza e la sua scoperta imponenza, Gokudera avvertì le gambe riprendere a tremargli come quando era entrato terrorizzato nel ristorante. Si scoprì terrorizzato alla sola idea del bisogno di respingerlo fisicamente, e non riuscì ad escludere a priori questa possibilità, così come non riuscì ad escludere una sua probabile resistenza a quello che prevedeva quel ricatto: dopotutto il vero motivo per cui era costretto a vedersi con lui non ci avrebbe messo molto a venir fuori e, ogni passo verso la camera di Yamamoto non era nient'altro che una conferma dei suoi timori più reconditi.


Yamamoto sparì, entrando nella propria camera. Gokudera, anche se solo per un attimo, prese seriamente in considerazione l'idea di scappare a gambe levate, ma era inutile ormai: si accorse troppo tardi che le sue gambe avevano continuato a camminare, a differenza del suo cervello che sembrava essere caduto in trance, portandolo di fronte alla camera di Yamamoto.


Solo quando ne vide l'interno, affacciandosi da dietro lo stipite della porta, si rese conto di non esserci mai stato. A differenza di Decimo, che accettava sempre di buon grado gli inviti di Yamamoto, lui era sempre riuscito a trovare una via di scampo. Rimase quasi sorpreso della semplicità della camera, così simile alla sua e a quella di Decimo; ma in quelle poche ore aveva scoperto così tante cose inaspettate nei confronti di Yamamoto che lo scoprire qualcosa di comune ed consueto fu l'ennesima sorpresa.


- Siediti...- Disse Yamamoto, in piedi di fronte alla piccola libreria ai piedi del letto.


Non era un ordine, non ne aveva il tono. Era un semplice invito a mettersi comodo. Ma Gokudera ne venne comunque scosso e non si preoccupò di nasconderlo: seguitò a rimanere in piedi, scrutando l'interno della camera con aria incontenibilmente disgustata. Si circondò le braccia con le mani tentando di scacciare i brividi che continuavano a scuoterlo mentre, finalmente, si decise ad entrare. Velocemente, con passi nervosi ed incerti, si diresse verso il letto mettendosi a sedere nel lato che più gli permetteva di essere distante da Yamamoto che continuò a fissarlo in silenzio, con la solita aria afflitta.


- Vuoi andare in bagno?- Gli chiese all'improvviso, voltandosi con calma verso di lui, come per evitare di allarmarlo.


- No, non voglio andare in bagno!- Tagliò corto Gokudera, avvertendo la frustrazione cominciare a montargli dentro, artigliandosi le cosce con le mani aperte.


-... comunque- Riprese Yamamoto avvicinandosi appena - … se vuoi qualcosa da mangiare puoi...-


- Dio, sta' zitto... per favore!- Sbottò Gokudera alla fine, chiudendo gli occhi ed abbassando la testa seccamente. Yamamoto obbedì, fermandosi in mezzo alla stanza, tra la libreria ed il letto.


Gokudera rimase stupito della facilità con cui Yamamoto aveva obbedito a qualsiasi sua richiesta esplicitata o meno; ma anche se la cosa avrebbe dovuto rassicurarlo non fece altro che aumentare il suo disagio. Alzò la testa, dopo alcuni minuti, scoprendolo immobile, nel punto in cui la sua supplica lo aveva bloccato. Continuava a fissarlo con aria triste, anche se non più così contrita ed addolorata come prima fino a che, inaspettatamente, gli sorrise.


- Ho fatto tardi perché non avevo visto il messaggio...- Disse Gokudera, e le parole gli fluirono dalla bocca con facilità incredibile. Yamamoto seguitò a sorridergli.


- Non fa niente, non devi... spaccare il minuto.-


Gokudera inarcò le sopracciglia con aria seccata, fissando davanti a lui.


- Scusa tanto...- Sbuffò – Non sono mai stato vittima di un ricatto prima d'ora, non ho idea di come funzioni...-


- Neanche io se è per questo...- Rispose Yamamoto con aria nervosa, affievolendo il suo sorriso.


Gokudera avvertì i muscoli del collo iniziare a dolergli per via dell'immobilità in cui il proprio nervosismo li aveva costretti; e a quelle parole l'irritazione che gli attraversò il corpo gli trasmise una scossa di dolore lungo i muscoli di tutta la schiena.


-... mi prendi per il culo? Che razza di risposta sarebbe!?-


Yamamoto lo fissò per un attimo prima di tornare a sorridere con aria inaspettatamente sincera.


- Vedo che mi hai preso in parola-


- Eh!?-


- Riguardo al “comportarti come sempre”...-


Il respiro di Gokudera si bloccò di nuovo all'interno del suo sterno, ed un velo di preoccupazione lo avvolse come un sudario.


-... ah... io...-


- No, non fa niente!- Lo interruppe Yamamoto alzando una mano, come a volerlo tranquillizzare -... E' così che volevo che fosse!-



La rassicurazione, che aveva provato Gokudera a quelle parole, mutò presto in un'umiliazione cocente: non si sentiva altro che uno zerbino accomodante. L'ansia di accontentare Yamamoto gli era sembrata anche più forte del disgusto che provava per lui e per la propria codardia, pari solo a quella dell'altro. Chiuse gli occhi all'ennesima ondata di disgusto e pateticità che l'intera situazione gli provocava all'interno dell'intestino; per quanto si si fosse sforzato sapeva che, dentro di sé, non sarebbe riuscito a trovare neanche una delle motivazioni sufficienti a fargli ritenere il suo sacrificio necessario.


Cercò disperatamente di cercare, all'interno di se stesso, un briciolo della sicurezza e dello spirito di sacrificio che lo avevano invaso quella mattina mentre, guardandosi allo specchio, aveva rivisto una parvenza del fiero “braccio destro” che aveva sempre desiderato essere; ma tutto ciò che vi trovò furono delle mani tremanti e il solito nodo alla bocca dello stomaco.


Alzò lo sguardo verso Yamamoto, come in una definitiva conferma della situazione in cui si trovava, ed ogni briciolo di autocontrollo gli si infranse nel petto nel momento stesso in cui si rese conto che dal volto di Yamamoto era scomparsa ogni traccia del sorriso rassicurante che gli aveva saputo illuminare, per poco, le labbra spaccate fino a qualche secondo addietro: lo stava fissando con lo stesso sguardo severo ed acceso, che gli illuminava gli occhi di quella luce terrificante, della sera prima, quando gli aveva proposto quel disgustoso ricatto. Nelle sue pupille scure Gokudera aveva individuato la scintilla della bramosia, la stessa che gli aveva arrochito la voce mentre, poche ore addietro, lo aveva stretto a sé in una sorta di abbraccio mal contenuto.


Il solo fatto di aver sperato che Yamamoto si riscoprisse quella persona solare e gentile che era sempre stata gli sembrò talmente ridicolo da convincerlo che, quella persona, se l'era sempre semplicemente immaginata; ricordava ancora di quanta fatica doveva fare per sopportare gli atteggiamenti perennemente euforici e divertiti di Yamamoto... ed in quel momento si rese conto che riaverlo, stupido, ingenuo e fastidiosamente gentile, com'era prima era tutto quello che desiderava.


Con la coda dell'occhio lo vide muoversi verso il letto e, l'abbassarsi del materasso poco lontano da dove era seduto, fu l'insopportabile conferma che era a pochi centimetri da lui. Gokudera avvertì il cuore stringerglisi talmente tanto da temere sul serio di svenire da un momento all'altro. Fu come se ogni singola parte del suo corpo avesse cominciato a gridare di dolore e di paura mentre, a fatica, riprese a respirare con la bocca: il naso non riusciva a donargli abbastanza aria.


Sebbene non lo stesse guardando, riusciva comunque a vederlo: intravedeva con la coda dell'occhio la sua figura farsi sempre più vicina finché, col cuore bloccato in gola, non avvertì il tocco della sua mano sulla spalla. Fu come se tutta l'atmosfera presente in quella stanza avesse centuplicato il suo peso e lo stesse schiacciando su quella minuscola porzione di letto; Gokudera abbassò lentamente il capo finché qualche ciuffo, fortunatamente, non lo protesse dallo sguardo di Yamamoto. Ogni rumore che lo circondava si trasformò in un suono ovattato ed informe mentre, dentro di lui, perfino l'odio per Yamamoto veniva surclassato dal rammarico e dalla mortificazione.


Le sue dita si mossero appena, sfiorandogli il collo, ancora madido di sudore, e qualche ciocca dei capelli. Riusciva a sentire nelle orecchie il rumore assordante dei muscoli della propria mascella, serrata con talmente tanta forza che i denti presero a fargli male. Con la fatalità di un'iniezione letale, all'umiliazione si stava unendo, lentamente, la paura: per la prima volta riuscì a credere seriamente che Yamamoto avrebbe potuto costringerlo con la forza in qualcosa che non voleva; è vero, lo aveva temuto varie volte in quei giorni, ma sempre, in fondo ai suoi timori, aveva brillato una fievole luce di speranza, alimentata da tutto ciò che Yamamoto era sempre stato; un tutto che si stava sgretolando ad una velocità folle investendolo come una frana.


Sentì il suo odore farsi più pungente ed il respiro gli si serrò in gola, bloccandosi definitivamente mentre, la fronte di Yamamoto, sfiorò una sua tempia.


- Gokudera...-


Non appena la sua voce, mai così bassa, gli sfiorò un orecchio, come attraversato da una scossa elettrica, saltò in piedi, liberandosi facilmente dal tocco leggero di Yamamoto che, forse dalla sorpresa, non fece nulla per trattenerlo a sé.


- Devo andare in bagno- Disse nervosamente, evitando accuratamente di guardarlo; e, tentando vanamente di mantenere un passo lento e disinvolto, Gokudera svicolò nel corridoio.


Yamamoto rimase in silenzio, il corpo incredibilmente pesante che lo arpionava seduto sul letto. L'unica cosa che il suo corpo gli permise di fare, dopo che udì la chiave scattare nella toppa della porta del bagno accanto, fu coprirsi il volto con una mano, ed il dolore che gli provocò la guancia livida non riuscì ad impedirgli una smorfia di angoscia.






Gokudera si lasciò scivolare lungo la porta del bagno, non appena la serratura scattò, facendogli provare un, appena sufficiente, parvenza di sicurezza. Con la schiena madida poggiata contro il legno e le gambe tremanti che cedevano sempre di più, precipitandolo fino a farlo sedere a terra, ricominciò a respirare. Se fino a quel momento aveva evitato di scoppiare a piangere o cominciare ad implorare era solo perché la paura che Decimo scoprisse ciò che lui provava gli era sempre sembrata peggiore; ma Gokudera, in quel momento, era convinto che niente potesse essere più terribile che tornare di nuovo in quella stanza e, anche solo, guardare Yamamoto negli occhi.


Per la prima volta in tutta la sua vita desiderava l'aiuto di qualcuno; qualcuno che, non importa come, lo potesse portare lontano da lì. Ordinò al suo cervello di escogitare un sistema qualsiasi, ma era troppo frustrato ed esausto per pensare, addirittura, a qualcosa che andasse più il là della sensazione orribile all'interno del suo corpo.


Le palpebre avevano cominciato a pungere insopportabilmente e la gola aveva ricominciato a dolergli come quando aveva corso senza sosta. Si prese il viso tra le mani tentando di calmarsi, respirando più profondamente che poteva.


- Cazzo...- Riuscì a mormorare. Buttò la testa all'indietro cozzandola, volutamente, contro il legno duro della porta -... cazzo...-


Dopo poco tentò di alzarsi, costringendo le gambe esauste a quell'ultimo sforzo. Si aggrappò alla maniglia del bagno e si sollevò, lottando contro il dolore lancinante ai muscoli delle cosce. Una volta in piedi barcollò verso la cabina della doccia, poco distante, afferrò l'erogatore e girò la manopola dell'acqua che prese a scorrere fredda ed abbondante.


Un ultimo sospiro pesante e, dopo aver serrato bene le palpebre, Gokudera ficcò la testa sotto al getto d'acqua gelata; dopo la sensazione di iniziale fastidio, fu come se il suo cervello sbollisse piano piano, e suoi pensieri scivolassero via, con l'acqua, nel foro di scarico della doccia. Perfino il dolore allo stomaco e alle gambe sembrò scemare lentamente; sentì la maglietta impregnarsi d'acqua, appiccicandosi alla pelle calda del petto, finché qualche goccia non finì anche sui pantaloni.


Rimase sotto il getto gelido della doccia finché ogni suo pensiero non si calmò, smettendo di sbattere da una parete all'altra del suo cervello come in un flipper; poi, girando nuovamente la manopola, il getto non divenne che un insignificante susseguirsi di gocce che, lente e sempre più di rado , cadevano giù dai buchi dell'erogatore, infrangendosi sulla sua nuca fradicia.


Gokudera si alzò piano, da curvo com'era, beandosi della sensazione rinvigorente delle gocce che gli scivolavano addosso, precipitando verso il basso, lungo le braccia, il petto e le gambe. Rimise al suo posto l'erogatore e, lentamente, riaprì gli occhi. La situazione non si era certo trasformata in qualcosa di definibile come piacevole, ma certo era che era divenuta, sicuramente, più tollerabile di prima. Gokudera non aveva pensato alle conseguenze del suo gesto né, francamente, gliene importava nulla.


Tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento era che la cosa che lo avrebbe fatto uscire da quel posto il più in fretta possibile, sarebbe stato accontentare ogni richiesta di Yamamoto. Già pregustava come sarebbe stato lasciarsi alla spalle la sua camera, come sarebbe stato tiepido il sole estivo sulla sua pelle una volta abbandonato il ristorante. Magari avrebbe potuto andare da Decimo, concedendosi una minuscola ricompensa per quel suo sacrificio necessario.


Chissà come sarebbe stato sublime il vederlo sorridergli con aria piacevolmente sorpresa, come sarebbe stato paradisiaco riempirsi i polmoni con l'odore tiepido e dolce di casa sua; entrare in camera del suo boss e sedersi a terra, poggiando la schiena stanca al bordo del letto, come faceva sempre, ascoltandolo parlare per quei minuti che sarebbero stati tra i più belli della sua vita, come ogni momento che passava in sua compagnia. Nemmeno il chiasso dei bambini o la compagnia indesiderata di Reborn avrebbero mai potuto intaccare il piacere che Gokudera sentiva nascergli nel cuore quando stava in compagnia di Decimo.


E quale momento migliore di quello poteva esserci: una volta cosciente che un suo sacrificio, un suo gesto, avevano contribuito alla serenità dell'unica persona per cui avrebbe rischiato la vita se solo glielo avessero chiesto. Trascorrere del tempo immerso nella stessa felicità, nello stesso calore che lui aveva contribuito a mantenere vivi, e sapere che ne era valsa la pena; come per ogni sacrificio che aveva fatto in funzione del suo boss.


Gokudera sentì il dolore allo stomaco placarsi mentre l'immagine del sorriso di Decimo gli invadeva la mente. Le mani non avevano smesso di tremargli, questo no: la paura rimaneva, fredda ed infida, in agguato in quell'angolo inviolabile di se stesso. Ma se per tenerla a bada non doveva far altro che mantenere vivo e costante il pensiero di Decimo dentro al suo cuore, tornare in camera di Yamamoto non gli sembrava più un'impresa tanto impossibile.


Voleva che tutto quello finisse alla svelta e senza troppi giri di parole. Dopo un ultimo e profondo respiro Gokudera si sfilò la maglietta fradicia, che si schiantò ai suoi piedi con un tonfo umido e sordo. Le mani presero a tremargli con più insistenza quando le sue dita scivolarono sulla lampo dei calzoni; Gokudera chiuse gli occhi e la abbassò, lasciandoli cadere verso il basso. Il dolore allo stomaco si acuì, provocandogli un gemito infastidito. Ma Gokudera tentò di ignorarlo mentre si sfilava i boxer, combattendo contro il tremore delle proprie mani.


Rimase immobile, forse per alcuni minuti, nudo, con la mano poggiata sulla maniglia del bagno. Sebbene fosse estate i brividi gli correvano sul corpo magro accapponandogli la pelle, anche in punti inimmaginabili. Probabilmente non era del tutto coscio di che cosa stava per fare, né del tutto preparato a qualsiasi cosa sarebbe successa; l'unica cosa che sapeva per certo era che voleva uscire di lì, e se quella era l'unica strada per dare a Yamamoto quello che voleva, lui l'avrebbe percorsa più velocemente che poteva.


Tremava come un corda di violino, sapeva che probabilmente “fiero” e “coraggioso” erano gli ultimi aggettivi che potevano essere usati per definire il suo aspetto in quel momento ma Gokudera era riuscito a far suo quell'improvviso moto di determinazione che l'immagine ed il pensiero di Decimo gli avevano regalato, e non voleva lasciarsi sfuggire quella parvenza di risolutezza che lo faceva ancora muovere.


Sospirando e, con il sorriso di Decimo bene impresso nella mente, abbassò la maniglia e spalancò la porta.







Oh, Santo Lucifero!... é__è

E' stato veramente più complesso e difficile di quello che credevo! E il bello è che non è finita qui...! Questa fan fiction mi sta seriamente per provocare un crollo nervoso... Ad ogni modo, eccoci qui: il momento “cruciale” è, infine, arrivato... XD

In questo capitolo è rispuntata una parvenza di chi è veramente Yamamoto, anche se ancora non è arrivato il momento di definirlo del tutto... anche perché, a grandi linee, so come deve comportarsi, che cosa deve dire, che cosa deve fare e anche (anche se sembra incredibile) come deve finire la storia... ma l'averlo in mente e trascriverlo su... “computer” è cosa ben diversa! E non vorrei correre il rischio di allontanarmi troppo dalla mia idea originale che, per inciso, è il motivo per cui ho iniziato a scrivere questa fan fic.

Anche perché sono un po' in confusione: chi mi dice che Yamamoto non deve comportarsi così, chi mi dice che non è ancora sufficientemente stronzo, chi mi dice che Gokudera è un idiota, chi mi dice che Yamamoto è un mostro, chi mi dice che Yamamoto deve saltargli addosso e chi mi dice che Gokudera deve ucciderlo... XD Tenterò di accontentare tutti: un orgia con rissa ed omicidio finale basterà? (sto scherzando, eh! ;-)). Un' ultima precisazione: nessuno dei personaggi principali è ancora uscito allo scoperto definitivamente (soprattutto Yamamoto, ma... un po' di pietà! Ho appena cominciato a scrivere su di lui in modo un po' più introspettivo ç_ç)

Vabè, scusate lo sfogo ma... dovevo “precisare” alcuni punti. Come sempre chiedo scusa per il finale di capitolo un po'... un po' tanto stronzo (XD) ma che posso dire, mi piace torturarvi!


Un bacio e a presto!

Slurp, Kumiho

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Capitolo 7
*** Foto e Consolazioni ***


Foto e Consolazioni

 

 

 

L'aria fredda e ben più ventilata del corridoio gli penetrò nella pelle nuda, provocandogli dei brividi pungenti sulle braccia e sulle cosce. Nudo, in mezzo al corridoio del primo piano della casa di un suo compagno di scuola, con i vestiti stretti in pugno e quel poco coraggio stretto tra i denti, Gokudera era consapevole di poter facilmente passare per il protagonista di una barzelletta, o di una commedia di ultima categoria. I piedi pesanti lo arpionavano al pavimento di legno gelido che andava pian piano riscaldandosi sotto alle piante dei piedi, e la convinzione, che lo animava pochi secondi addietro, sembrava essergli scivolata via con le gocce d'acqua che gli correvano lungo il petto.

 

Le guance gli bruciavano almeno quanto gli occhi, tanta era la vergogna e l'umiliazione. Sentiva la testa pesante, come tutto il corpo, e la teneva bassa; lo sguardo fisso su una macchia scura del pavimento. Il proprio respiro si infrangeva sul petto umido, provocandogli altri brividi, sempre più forti. Infranse l'incanto della propria immobilità solo per guardare il direzione della camera di Yamamoto che, probabilmente, lo stava aspettando, ancora seduto sul letto. Gokudera non aveva pensato alle conseguenze di quello che stava per fare e, sinceramente, non aveva intenzione di rifletterci troppo: almeno per una volta da quando quella storia era iniziata, avrebbe portato in fondo una sua decisione.

 

Strinse al petto la maglietta ed i calzoni che si era tolto poco prima e lasciò che qualche goccia  gli scivolasse ancora lungo il naso dritto per infrangersi a terra. Un minuto, un minuscolo ed immenso minuto per riempirsi i polmoni d'aria e per tentare d'impedire alle ginocchia di tremargli così tanto, dopodiché l'unico rumore che udì fu quello delicato e cadenzato dei propri piedi sul pavimento di legno.

 

 

 

Il proprio corpo valicò l'entrata della camera prima del suo sguardo, che aveva tenuto basso e socchiuso per tutto il breve tragitto. Istintivamente, Gokudera, si voltò verso il letto ma lo trovò vuoto. Yamamoto era in piedi, infatti, ma gli dava le spalle. Per un altro e fulmineo momento Gokudera fu pervaso dalla voglia di tornare indietro e cogliere quell'opportunità preziosa; il bisogno di scappare per l'ennesima volta non gli sembrò più tanto ignobile. Ciononostante rimase in piedi, sulla soglia della camera a fissare la schiena grande di Yamamoto, pregando che si voltasse al più presto e quella tortura potesse cominciare per finire il prima possibile.

 

Contrariamente a ciò che sperava, Yamamoto non si era accorto della sua presenza e continuava ad armeggiare fastidiosamente, piegato sulla propria scrivania. Gokudera avvertì la propria vergogna tangibile come la voglia che aveva di scappare; una flebile ed assordante vocetta continuava a pulsargli nelle tempie suggerendogli di scappare il più lontano possibile.

 

Sopperendo l'ennesima ondata d'odio e di nausea verso se stesso, Gokudera chiuse gli occhi e tossì piano. Quel leggerissimo e timido rumore gli sembrò assordante come uno squillo di trombe dopo ore di silenzio, ed altrettanto insopportabile. I muscoli della schiena di Yamamoto cessarono di muoversi a quel leggero rumore, ma Gokudera non si scoprì minimamente rincuorato nell'attesa insopportabile che il ragazzo si voltasse.

 

- So che mi hai detto di non volere nulla, ma ti ho preparato un po' di...-

 

 

 

 

Ed era successo.

 

Gokudera non era certo di aver sentito neanche una sillaba di quello che Yamamoto aveva detto prima di voltarsi e di zittirsi all'istante.

 

Il fracasso cristallino della piccola tazza di tè, scivolata via dalle mani del ragazzo, contro il legno della scrivania contribuì solamente ad aumentare l'imbarazzo di Gokudera che avvertì il proprio corpo andare letteralmente a fuoco, ma sperando di armarsi anche solo un pallido riflesso della sicurezza che lo aveva animato poco prima, nel bagno, tentò di reggere lo sguardo incredulo del ragazzo davanti a lui.

 

Yamamoto lo fissava con un'aria che sapeva di incredulità ed angoscia: gli occhi castani spalancati, le sopracciglia aggrottate e la bocca socchiusa. A Gokudera sembrò perfino che avesse smesso di respirare, facendolo sembrare un manichino di cattivo gusto.

 

Fu un momento infinito in cui il semplice fatto di essere vivo non gli era mai sembrato così insopportabile. Sentiva gli occhi di Yamamoto fissarlo perfino attraverso la stoffa dei vestiti che teneva in grembo, a coprire l'unica parte di sé che non aveva mai mostrato a nessuno per propria volontà. Ogni centimetro del suo corpo aveva preso a tremare convulsamente, un po' per il freddo dell'aria sul suo corpo ancora bagnato, un po' per la vergogna che si faceva man mano più insostenibile.

 

- Che... stai facendo...?-

 

La voce di Yamamoto si decise ad interrompere quel silenzio, in cui il chiasso dei muscoli di Gokudera scossi dai tremiti, era l'unico sottofondo. L'attimo che seguì quella domanda fu determinante per ogni singolo nervo di Gokudera, che rischiava di infrangersi ad ogni reazione sbagliata. Strinse i denti tanto da sentir male e dopo un lungo fiato, in cui cercò di raccogliere tutta l'irritazione dell'umiliazione che sentiva di aver subito da quando tutta quella tortura era cominciata, parlò tentando di tener fermo il tono della sua voce.

 

- Faccio quello per cui sono venuto qui. Non mi piace essere preso per il culo... quindi faccio ciò che non hai il coraggio di chiedermi. Tanto è per questo che volevi che venissi... almeno poi potrò andarmene!-

 

A quelle parole, che erano suonate non più coraggiose e sicure di un pigolio, lo sguardo di Yamamoto, che aveva continuato a fissarlo immobile, cambiò: i suoi occhi si strinsero, in un'espressione quasi ferita, e gli angoli della bocca si rilassarono per poi ridurre le sue labbra ad una linea fredda e dura.

 

 

 

Ma Gokudera non ebbe il tempo di osservare nient'altro che quell'impercettibile cambiamento di espressione, perché Yamamoto gli fu accanto in poco meno di un attimo. Due passi veloci e decisi e Gokudera si ritrovò a fissare nuovamente la sua gola, ancora una volta troppo vicina, come durante quel pomeriggio inoltrato nel giardino di casa propria. Il respiro gli morì in gola.

 

- Quello che non ho il coraggio di... chiederti...?-

 

Il suo tono, inusualmente roco, gli fece drizzare ogni singolo pelo del corpo e la lingua sembrò ingrossarglisi in bocca mentre avvertiva il cervello rallentare fino a fermarsi nello stesso momento in cui la mano di Yamamoto si posò sulla sua spalla. Artigliò i propri vestiti, che aveva continuato a stringere in grembo, tentando di far rallentare il battito impazzito del proprio cuore.

 

Le sue dita erano incredibilmente bollenti contro la propria pelle gelida ed umida. Con un gesto lento e delicato lo accarezzarono seguendo la rotondità della spalla, e poi lungo i tricipiti appena accennati. Per Gokudera fu come galleggiare nel vuoto mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime; Yamamoto gli si fece ancora più vicino e l'altra mano lo raggiunse; raggiunse il volto febbricitante, accarezzando le ciglia chiare e bagnate col pollice.

 

Si rese conto di star ansimando convulsamente solo quando Yamamoto gli circondò il volto con entrambe le mani, con una gentilezza che lo ferì più di mille schiaffi. Si convinse di star impazzendo solo quando gli sembrò che le mani di Yamamoto tremassero quanto le proprie mentre gli accarezzava le guance congestionate.

 

- Gokudera... - Gli sussurrò contro la fronte umida -... Gokudera...-

 

Temette di svenire. Sentì il sangue abbandonare il corpo come attraverso lo scarico di un lavandino, e un'altra ondata di nausea verso se stesso lo colpì senza pietà quando si accorse di quanto piacevole fosse il calore di Yamamoto contro la sua pelle marmorea. Come se gli avesse letto nel pensiero sentì le braccia dell'altro stringerlo crudelmente a sé, costringendolo a riconoscere ancora una volta il sollievo che gli procurava. Le dita calde gli sfiorarono i capelli radi della nuca provocandogli un brivido disgustosamente gradevole. Solo quando Yamamoto cominciò ad accarezzargli le spalle magre e tremanti, le lacrime cominciarono a sgorgargli dalle ciglia serrate.

 

Stava piangendo per così tante ragioni che perfino il calore che le lacrime gli provocavano gli sembrò una buona scusa per continuare a farlo. Dovette nascondere ancor più la testa nella spalla di Yamamoto, per impedirsi di scoppiare in un singhiozzo... e si sentì patetico e deprecabile come non mai. Yamamoto lo strinse a sé ancora più forte e Gokudera lo odiò come mai prima di allora accorgendosi di quanto quel gesto riuscì a farlo stare meglio.

 

- Gokudera...- Ripeté ancora, come una nenia, mentre le sue mani raggiungevano di nuovo il suo volto.

 

Gokudera non tentò neppure di opporsi, tanto era forte il torpore in cui l'angoscia e il disprezzo lo avevano piombato. Riuscì solo ad aprire piano gli occhi trovandosi davanti il volto addolorato di Yamamoto.

 

Stava per cedere del tutto quando lo vide.

 

Il volto di Decimo lo fissava da dietro il vetro sterile di una cornice, alle spalle di Yamamoto.

 

 

 

Gokudera se lo scostò di dosso con un tale impeto che per poco il ragazzo non cozzò contro il bordo della scrivania. Riuscì comunque ad evitare di scoprirsi completamente, rimanendo protetto da quell'ammasso informe di vestiti premuti contro il bassoventre. Yamamoto lo fissò per un attimo con aria intontita, incapace di parlare.

 

- … la foto!... Togli quella foto!-

 

Yamamoto sembrò non capire subito di cosa stesse parlando, finché non si voltò verso la piccola cornice sulla mensola sopra la scrivania.

 

I volti di Tsuna e Gokudera lo fissarono a loro volta con sguardi ben diversi fra loro, attraverso il vetro di quella foto scattata nemmeno un anno prima davanti all'uscita di scuola: Tsuna aveva sorriso con la solita aria dolcemente imbranata e Gokudera si era solo limitato a lanciargli uno sguardo scocciato mentre lui li incitava a mettersi in posa.

 

E fu come se il cuore di Yamamoto stesse appassendo lentamente.

 

 

 

 

 

Gokudera non aveva pensato neppure per un secondo di cogliere quell'opportunità per scappare, non perché non volesse farlo, ma perché l'unica cosa che in quel momento desiderava era che gli occhi di Decimo, seppur semplicemente impressi dietro ad un vetro, smettessero di fissarlo. Aveva seriamente avvertito il cuore esplodergli nel petto, come se Decimo fosse entrato veramente nella stanza e lo avesse visto. Si sentiva feccia della peggior specie, un traditore di infimo livello, sebbene avesse ponderato che comportarsi a quel modo fosse stato l'unico modo per proteggere il proprio boss. Eppure ora, incapace di smettere di fissare se stesso assieme a Decimo in una fotografia, il disgusto verso tutto ciò che lui stesso rappresentava era insopportabile; anche più di prima.

 

Yamamoto, nel frattempo, non si era mosso, continuava a dargli le spalle, fissando quella maledetta foto. Gokudera scattò in avanti e in un passo gli fu accanto. Si allungò per raggiungere la cornice ma riuscì appena a sfiorarla prima che Yamamoto lo afferrasse per un polso e lo imprigionasse tra il suo corpo ed il muro.

 

 

Seguì un breve attimo di infinito silenzio in cui Gokudera credette seriamente di soccombere sotto all’enorme peso del disagio, della paura e della vergogna, tanto che, per un secondo, perfino l’esigenza di liberarsi dello sguardo vitreo di Decimo nella foto passò in secondo piano. Gli occhi di Yamamoto, velati da un’inquietante ed orribile ombra di delusione e rabbia, lo fissavano dall’alto, impietosi e funesti. Gokudera dovette respirare a fondo prima di riuscire ad emettere un qualche suono che somigliasse vagamente ad una parola.

 

-… Yamamoto… cosa…?- Fu un pigolio impaurito e tremante che si indeboliva ad ogni lettera, come inaridito ad ogni nuovo scatto fulmineo e sprezzante delle pupille di Yamamoto su di lui.

 

 

La pelle del suo braccio fu come punta da mille aghi sotto la presa di Yamamoto che si era fatta più stretta e il sangue smise di scorrergli nel corpo non appena si rese conto che l’altra mano aveva ripreso ad accarezzargli la pelle nuda del petto.

 

- Smettila! – Gli urlò cercando di sottrarsi alla sua stretta, ma l’unico risultato che ottenne fu il corpo di Yamamoto premuto sul suo. Sentiva la stoffa della maglietta dell’altro bagnarsi a contatto con la sua pelle ancora bagnata e con disgusto si accorse che la propria mano, ancora stretta sui vestiti premuti sul basso ventre, sfiorava il cavallo dei pantaloni dell’altro.

 

Il panico costrinse la sua testa ad incastrarsi nelle spalle e le sue ginocchia a piegarsi, nel vano tentativo di scivolare contro il muro, ma la presa di Yamamoto era salda, e il suo ginocchio tra le gambe era solido e disgustosamente ruvido contro la pelle delle proprie cosce.

 

Non appena smise di divincolarsi anche Yamamoto si calmò improvvisamente, gli lasciò il braccio dolorante, non accennando, però, a scostarsi dal suo corpo… nessuna parte del suo corpo.

Gokudera subito portò una mano sul petto di Yamamoto tentando di distaccarsi il più possibile, ma lo trovò solido e inaspettatamente freddo. Non c’era più niente di dannatamente piacevole e questo, notò disgustato da se stesso, lo terrorizzò ancora di più.

 

Appena le corde vocali sembrarono permetterglielo Gokudera parlò, poggiando la fronte sul petto dell’altro, in un viscido tentativo di rabbonirlo.

 

- La foto… togli quella foto…-

 

Yamamoto non si mosse, e Gokudera aveva troppa paura di alzare lo sguardo ed incontrare quello dell’altro. Ma temette seriamente di scoppiare a piangere quando sentì il corpo dell’altro farsi ancora più vicino e le sue mani alzargli il viso. Gokudera non aprì gli occhi ma avvertì chiaramente le lacrime scivolargli lungo le guance.

 

- …No…! – Sussurrò in un tono che di minaccioso non aveva proprio niente.

 

Ma sembrò funzionare. Dopo pochi secondi le mani di Yamamoto lasciarono andare il suo viso e il suo corpo si allontanò da lui. Non si poteva dire che ciò lo avesse reso “felice” ma sicuramente il suo cuore si fece più leggero per ogni  millimetro in cui l’altro si allontanava. Non appena sul suo corpo non vi fu che l’aria fredda, Gokudera scivolò con la schiena nuda contro il muro e si inginocchiò a terra, stringendosi le ginocchia, ed i propri vestiti sgualciti e fradici al petto.

 

Il cuore gli stava battendo alla velocità di un treno in corsa e gli occhi gli bruciavano fastidiosamente. Ma il sollievo di non averlo più addosso, di non avere nessuna parte di lui sul suo, o contro, il suo corpo surclassò perfino la paura di star seriamente per svenire.

 

Quando, infine, aprì gli occhi, lo vide vicino alla porta, che gli dava le spalle.

 

- Rivestiti.- Disse solamente. Poi uscì fuori dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Seguendolo con lo sguardo, poco prima che scomparisse dietro lo stipite, a Gokudera sembrò quasi che gli occhi di Yamamoto fossero lucidi.

 

Sicuramente era stata solo un’impressione, e anche se non lo fosse stata, la cosa non poteva che fargli un estremo e dilaniante piacere.

 

 

 

 

 

 

 

Quando Yamamoto rientrò, Gokudera si era già rivestito da un pezzo, tanto che i suoi vestiti erano solo un po’ umidi. Sedeva sul letto, lo sguardo basso e gli occhi ancora rossi, il tutto schermato da una maschera di rabbia e disgusto sulla faccia. Gokudera alzò appena gli occhi verso di lui e lo vide cercare la foto sulla mensola con lo sguardo e, non trovandola, la linea della sua mascella si indurì e gli occhi tornarono su di lui.

 

- Dove l’hai messa?...- Chiese piano. Non c’era traccia di rabbia nel suo tono che sembrava più sconsolato; ma il solo sentire la sua voce costrinse Gokudera a respirare più lentamente per controllare la rabbia. Non ottenendo risposta Yamamoto sospirò piano e tacque di nuovo.

 

Ogni suo buon proposito, ogni goccia del suo spirito di sacrificio si erano dissolti nel nulla… tutto quello che Gokudera voleva era andare a casa, non essere più costretto a vedere la sua faccia, almeno per quel giorno. Si sentì un mostro, sì sentì debole ed inadeguato ma trovò un che di tiepido nella sua autocommiserazione, come se potesse consolarsi del fatto che non era consono al suo ruolo e quindi giustificato a ritirarsi da quella battaglia, almeno per il momento. Quella consapevolezza fu come un pugno in pieno stomaco e Gokudera fu di nuovo colmo di pietà verso se stesso.

 

Doveva resistere, solo un altro po’, solo un po’ di più. Per Decimo.

 

- Va bene, parlo io…- La voce di Yamamoto lo riportò alla realtà come un brusco risveglio -… è giusto che tu sappia, perché io… io non…-

 

Tacque di nuovo, sospirando profondamente e chiudendo gli occhi. Gokudera lo odiò come non mai. Come osava mostrarsi afflitto dalla situazione? Davanti a lui, poi, che era l’unico costretto in qualcosa che non voleva!? Le parole gli sgorgarono dalla bocca senza alcuna possibilità di fermarle.

 

- Che stai cercando di dire!?... Vuoi farmi credere che ti dispiace? Che sei affranto dallo stato delle cose!?... Quale sarà il prossimo passo? Vuoi chiedermi scusa e implorarmi di essere di nuovo tuo amico!?- Aveva posto ogni singola domanda con un tono volutamente disgustato, inasprito da ogni disagio che serbava all’interno di se stesso; ma non appena pose l’ultima domanda, per un attimo, un singolo e brave attimo, si trovò seriamente in dubbio: quella proposta lo avrebbe infastidito o gli avrebbe semplicemente ridato pace?

 

Ma la risposta di Yamamoto arrivò, svelta e decisa come una cannonata.

 

- No… è l’ultima cosa che voglio che tu sia per me!-

 

L’irritazione verso la sua cocciutaggine lo attanagliò tanto che sentì la mani fremergli incontrollabilmente, ma allo stesso tempo sentì anche ogni minima speranza andare in frantumi; allora era questo che lo attendeva. Avrebbe solo dovuto abituarsi ad odiarlo, anche se, ormai, sembrava la reazione più naturale del suo cuore.

 

-… ma ti rendi conto di quello che dici?- Chiese con un filo di voce, affilata come un pezzo di vetro

 

- Vorrei farlo sembrare meno ridicolo, ma non ci riesco!- Esclamò Yamamoto guardandolo per la prima volta da quando aveva cominciato a parlare. Distolse subito lo sguardo non appena si accorse che quello di Gokudera non accennava ad ammorbidirsi, lo fissava con un’ espressione di assoluto disgusto, che si concentrava nella piccola ruga in mezzo alle sopracciglia aggrottate e negli angoli della bocca rivolti all’ingiù.

 

Interrompendo il silenzio che aveva cominciato ad impadronirsi di ogni altro rumore, Yamamoto parlò di nuovo.

 

- Perché sei innamorato di Tsuna?-

 

Gokudera sentì la gola stringersi, quasi lo stesse soffocando da sola, come un’alternativa all’autodistruzione. Il cuore riprese a scalpitargli nella cassa toracica, ma non dalla paura. Avvertì le guance scaldarsi fino a bruciare e l’intestino annodarglisi nel punto più nascosto delle proprie viscere.

 

- C-che domanda è!?... Fatti gli affaracci tuoi!...- Sbottò con voce inaspettatamente stridula. Per un attimo quella sua reazione gli riportò alla mente i loro soliti battibecchi, frutto di un affetto celato e della quotidianità che ormai sembrava solo un bel sogno passato… e gli fece male, diavolo se gli fece male!  Ma passarono appena pochi secondi prima che parlasse di nuovo -… Non si spiega il perché si è innamorati di qualcuno!-

 

Con la coda dell’occhio vide Yamamoto voltarsi lentamente verso di lui, piegandosi appena nella sua direzione, costringendolo così a sporgersi indietro per mantenere lo stesso distacco.

 

- Vuoi che ti spieghi perché sono innamorato di te?- Chiese con un’espressione indecifrabile; una perfetta unione di tristezza e premura. La stessa che sapeva di avere lui sul volto quando pensava a Decimo e fu questa… fu questa la cosa che più lo sconvolse.

 

- NO!...- Esclamò immediatamente, sinceramente infastidito.

 

Nel breve silenzio che seguì, Gokudera fu convinto di dover fornire anche lui una spiegazione, dato che Yamamoto era convinto di averne una, per quanto disgustosa e perversa, si sentì in dovere di giustificare quello che provava per Decimo. Voleva motivare la sensazione di enorme sollievo quando lo vedeva, quella di orgoglio quando lo sentiva parlare e diventare sempre più forte. Come poteva non essere degno di spiegazione quello che provava per lui?

 

Le parole gli uscirono semplicemente dalla bocca:

 

-… Perché… è Decimo.-

 

Bastò pronunciare il suo nome perché il suo cuore si alleggerisse, perché il suo volto si rilassasse e, perfino, che la situazione gli sembrasse meno ostica: non poteva esistere motivazione più nobile.

 

Fu per questo che la rabbia lo pervase senza controllo quando udì un sospiro sconvolto di Yamamoto; si voltò verso di lui come un cane a cui hanno pestato la coda e lo fissò come se lo volesse fare a pezzi.

 

-… Questo non è amore, Gokudera! La tua è solo... un'estrema ed infinita ammirazione...-

 

- Sta zitto! Chiudi la bocca! Che cazzo vuoi saperne di quello che provo io?- Gokudera scattò verso di lui: i pugni chiusi e gli occhi in fiamme. Tanto che Yamamoto si ritrasse appena, per poi continuare a fissarlo con la solita espressione compassionevole. Gokudera temette seriamente di non rispondere più di sé.

 

- Vuoi fare l’amore con lui?-

 

Gokudera spalancò gli occhi inorridito, scattando in piedi, i pugni talmente serrati da fargli tremare perfino le spalle. La repulsione verso Yamamoto riprese vita come un incendio e divampò all’interno del suo stomaco.

 

- Che cosa!?...- Ringhiò inorridito – Pensi che tutti siano dei malati perversi come te!?-

 

Yamamoto continuò a fissarlo, con un’espressione sempre più fastidiosamente addolorata, la bocca gli si dischiuse, per poi chiudersi immediatamente in una linea dura che spezzava la guancia ancora violacea per via del pugno. Respirò piano, come a voler trovare le parole e poi domandò.

 

- Come puoi amare qualcuno e non desiderare di toccarlo?-

 

Gokudera non disse nulla, si limitò a fissarlo sempre più ripugnato.

 

- Come puoi non desiderare di fare l'amore con la persona che ami? Non ha senso!... Tu…non sei innamorato di lui!-

 

-Sì invece!- Fu l’unica risposta infantile con cui riuscì a controbattere.

 

Yamamoto abbassò la testa, sconsolato, per poi alzarsi in piedi e muovere un passo verso di lui. Gokudera ricadde del panico, indietreggiando velocemente finché la sua schiena non cozzò contro la scrivania.

 

-...no, non ci credo!- Sussurrò Yamamoto sempre più vicino, il suo volto era una maschera di tristezza - Il desiderio è una logica conseguenza dell'amare qualcuno, non c'è niente di ignobile in questo! … Dal giorno in cui ti ho visto… ho desiderato di toccarti…-

 

Gokudera si portò le mani alle orecchie, scuotendo la testa, il battito assordante del proprio cuore che lo stordiva sempre di più.

 

- Sta zitto! Sta zitto! Non voglio saperlo! Non dirlo!- Urlò con la voce spezzata e le guance bollenti.

 

Yamamoto strinse i denti per poi raggiungerlo in poco più di un passo - Gokudera!-

Lo afferrò per le braccia, senza irruenza, solo per costringere Gokudera ad ascoltarlo, lui lo sapeva, ma il solo contatto con le sue mani lo fece infuriare incontrollabilmente, tanto che tentò di liberarsi della sua stretta, ma senza risultato, scoprendosi, di nuovo, maledettamente troppo debole.

 

-Io ho... desiderato fare l'amore con te dalla prima volta in cui ti ho guardato. Ho desiderato che tu mi amassi anche solo con la metà dell'intensità con cui avevo iniziato ad amarti io.- La voce gli tremava e Gokudera riuscì ad odiare anche questa sua insicurezza.

 

-Tu sei malato... questo non c'entra con...-

 

- Io ti amo, Gokudera!- Esclamò interrompendolo - E questo non cambierà, nemmeno su tu lo vuoi!-

 

Prima che l’altro potesse fare qualsiasi cosa, le braccia di Yamamoto lo strinsero a sé. E per un nuovo attimo di debolezza, Gokudera si crogiolò nella giustificazione di quella stretta per non rispondergli.

 

-Io ti amo così tanto che non posso non desiderarti ogni giorno di più; voglio tutto di te! Voglio il tuo cuore, il tuo corpo... voglio ogni cellula di quello che sei!-

 

- Yamamoto, lasciami!- Protestò contro la sua spalla. Avvertì gli occhi cominciare a bruciargli di nuovo e le guance inumidirsi.

 

- E voglio che tutto questo non sia di nessun'altro... anche solo il pensiero che tu possa appartenere a qualcun'altro mi uccide!... Voglio svegliarmi la mattina e vederti accanto a me. Voglio addormentarmi col tuo sapore sulle labbra, voglio vederti sorridere sapendo che sei felice di quel poco che posso offrirti...-

 

Gokudera desiderò seriamente di morire. La testa gli girava, gli occhi gli bruciavano e non sapeva come rispondere né come allontanarlo da lui. Tutte quelle parole non avevano senso, il suono stesso della voce di Yamamoto aveva cominciato a perdere significato. Non riusciva a concepirlo, per quanto si sforzasse, non riusciva a concepire nemmeno uno di quei desideri che Yamamoto sembrava dichiarargli con tanta fatica. Voleva solo scappare da lì, voleva andarsene da lui e da tutte quelle dichiarazioni pietose e senza senso. Il chiasso del proprio cuore nelle orecchie si fece sempre più assordante.

 

-Lasciami!- Ripeté cercando di scostarsi.

 

-…Voglio sentirti sotto le mie mani, voglio ascoltarti gemere quando ti tocco, ancora e ancora, voglio fare l'amore con te centinaia, migliaia di volte...-

 

 

 

 

Gokudera ci mise un po’ a rendersene conto, ma quando realizzò il perché fosse finalmente libero dalla stretta di Yamamoto, era troppo tardi: lo aveva colpito così forte che il dorso della mano gli doleva ancora. Vide il sangue colare dall’angolo della bocca di Yamamoto, nel punto esatto dove lo aveva ferito qualche giorno addietro. Il respiro gli tremò appena nei polmoni prima di riuscire a parlare.

 

- Smettila! Io non ti amerò mai, hai capito!? Poco ma sicuro! E il tuo è solo un tentativo di costringermi a farlo! Perché sei solo un arrogante, egoista schifoso che non saprebbe riconoscere cos’è l'amore neanche per sbaglio! Sei patetico Yamamoto... e da me non otterrai mai nient'altro che disprezzo!-

 

 

 

La gola gli bruciava ancora, come se avesse urlato per ore. Ma forse era solo la rabbia che gli era sgorgata fuori bollente come lava. Lo sorpassò velocemente, fiondandosi fuori dalla camera, poi giù per le scale, attraverso il ristorante e poi in strada. Lui non si era mosso, non aveva tentato di fermarlo in nessun modo; e, anche ora che, finalmente, correva libero verso casa sua, anche ora che poteva piangere senza ritegno alcuno, l’unico pensiero che gli occupava la mente era lo sguardo vitreo di Yamamoto e l’esatto momento in cui aveva sentito il suo cuore spezzarsi alle sue ultime parole. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per i Santi tutti… ebbene sì, finalmente ho aggiornato, dopo mille peripezie posso dire di aver finito il pezzo che più mi preoccupava ^^  che dire.. ovviamente la storia non è finita, e anche se mi impegnerò al massimo non credo di aggiornare molto velocemente ;_; vi prego comunque di avere pazienza ed aspettare se potete.

 

Slurp, Kumiho.

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Capitolo 8
*** Fuochi d'artificio ed inadeguatezza ***


Fuochi d’artificio ed inadeguatezza

 

 

 

Yamamoto non lo aveva più chiamato da quella volta, erano passati diversi giorni ormai e l’estate si faceva sempre più inoltrata e calda con ogni sua singola ora scandita dal canto delle cicale. Gokudera non poteva certo non dirsi sollevato ma, ovviamente, il suo disagio non era diminuito. Si era solo trasformato in qualcosa di nascosto all’interno del suo stomaco, che veniva fuori ogni volta che il suo cellulare suonava, ogni qualvolta sua sorella -o chi per lei- rammentava Yamamoto… ogni volta in cui si ricordava di essere costantemente sotto scacco.

 

L’insopportabile arsura estiva giapponese non aiutava, Gokudera si trascinava per casa, abbattuto dall’afa, finché la temperatura non scendeva abbastanza da permettergli di uscire senza beccarsi un’insolazione. Allora prendeva il portafogli, si infilava un paio di scarpe lise ed usciva a comprare un pacchetto di sigarette e qualcosa di fresco da bere. Non al solito posto però –troppo vicino alla casa di Yamamoto- la strada era più lunga ma così facendo evitava di sobbalzare ad ogni minimo rumore alle sue spalle.

 

Ovviamente ogni giorno telefonava a Decimo, si informava delle sue condizioni e si offriva di andare ad aiutarlo coi compiti -cosa di cui Tsuna spesso approfittava, e a lui andava bene così-

 

Gokudera avrebbe rinunciato alla vita pur di ammetterlo, anche a se stesso, ma da quel maledetto pomeriggio, la gioia del vedere Decimo si era affievolita, anche se di poco. Quel “non è amore” che gli aveva urlato Yamamoto gli attanagliava il cervello ogni volta che vedeva Decimo; e ciò che lo faceva infuriare, più con se stesso che con Yamamoto, non era il fatto che la cosa accadesse spesso, ma quanto il fatto che la questione sembrava aver avuto seriamente il potere di fargli mettere in discussione l’unica cosa che, fino ad allora, aveva rappresentato l’unica solidità priva di dubbio nella vita di Gokudera. Era come se la solita sensazione zuccherina fosse stata avvolta da una patina sottile. Ovattata come il sapore del cibo quando si ha la febbre.

 

 Era impercettibile… ma era lì. Gokudera, comunque, evitava di pensarci, anche se non era facile, e tentava di gustarsi ogni momento in compagnia del suo Boss come aveva sempre fatto.

 

E’ solo un periodo -forse è il caldo- tornerà tutto come prima.

 

 

 

 

 

- Gokudera, mi stavo chiedendo se… ti andasse di venire a vedere i fuochi d’artificio domani sera-

 

Aveva appena finito di risolvere la ventesima equazione del pomeriggio e per poco la punta della matita non si era spezzata contro la pagina del quaderno quando Tsuna gli aveva posto quella domanda. Gokudera aveva alzato la testa di scatto, tanto che gli occhiali da lettura gli erano scivolati appena lungo il naso.

 

-…Co-come…!?- Aveva balbettato incredulo

 

- Se non vuoi non fa nulla! Dopotutto ti stresso già abbastanza con queste ripetizioni di matematica ogni pomeriggio e…-

 

- Verrò! Verrò sicuramente!- Aveva esclamato senza nemmeno farlo finire, e con tanta di quell’enfasi che, questa volta, gli occhiali gli caddero dal naso, finendo sul quaderno di matematica ancora aperto.

 

La sicurezza che si era affievolita in quei pochi giorni sembrava essere tornata fresca e limpida, immergendolo nella solita gioia frizzantina propria solo a quegli impagabili momenti in cui il Decimo accorciava, anche se di poco, la distanza fra loro due.

 

 

 

 

Il giorno dopo gli sembrò interminabile, lungo secoli interi, al punto che, quando giunse la tanto agognata sera e Gokudera si recò in bagno specchiandosi distrattamente, quasi si stupì di non trovarsi invecchiato di qualche decennio. E sì che aveva fatto di tutto per tenere occupata la sua giornata in attesa dell’appuntamento con Decimo: aveva pulito casa, aveva fatto la spesa, aveva perfino svolto i compiti delle vacanze, anche se gli ci era voluto poco più di tre quarti d’ora; ma niente di fatto. L’orologio sembrava scorrere a rilento, tanto che il ragazzo aveva guardato il cellulare più di una volta per accertarsi che non fosse rotto -così come aveva controllato la sveglia, l’orologio da polso, regalo di Bianchi, che non portava mai e che teneva chiuso nel cassetto, perfino l’ora sul display del microonde-

 

Il posacenere sembrava, ormai, una ciminiera e Gokudera riusciva ad avvertire la puzza di nicotina fin dentro la pelle.

 

C’era stato un punto del giorno in cui, forse il sopravvento della noia e dell’impazienza, Gokudera aveva perfino pensato a qualche stratagemma o pianificazione per la serata che sarebbe giunta.

 

Non era una persona che prestava molta attenzione alle apparenze, se queste non sfociavano in qualcosa di sospetto o minimamente pericoloso per il Decimo, eppure si era trovato a provare diverse camicie e numerose magliette domandandosi quali potessero essere le più adatte. Ovviamente non essendo una cosa a cui aveva mai prestato troppa attenzione, ritenendo la moda stupida e frivola, alla quarta maglietta la voglia di mettersi in ghingheri era già scemata di molto; e convincendosi del fatto che Decimo era troppo intelligente per badarvi, e nascondendo dietro questa convinzione la sua svogliatezza e la propria inabilità, afferrò una maglietta a caso e dopo un’ultima e veloce occhiata richiuse i cassetti e le ante del proprio armadio.

 

Grazie al cielo l’ora dell’appuntamento era finalmente giunta e Gokudera, dopo un’ultima occhiata veloce, nel riflesso dello schermo spento della televisione, al proprio abbigliamento, afferrò il pacchetto di sigarette e si chiuse la porta alle spalle.

 

Una volta davanti al piccolo cancello di casa Sawada, Gokudera non riuscì a fare a meno di fermarsi e respirare profondamente per cercare di calmare il battito accelerato del proprio cuore; aveva cominciato a galoppargli nel petto non appena aveva messo piede fuori casa, e non si era acquietato neppure quando il ragazzo aveva imboccato la strada più lunga -cosa assai rara quando la destinazione era casa di Decimo- Ciò che lo turbava è che a farlo battere così forte non era la solita ansia d’aspettativa, né la solita fibrillazione eccitata… era un malore fastidioso che sapeva d’angoscia e che gli ricordava orribilmente Yamamoto.

 

Neppure quando suonò il campanello e la madre di Decimo - con tanto di Lambo ed I-Pin al seguito- si affacciò per salutarlo, il malessere sembrò andarsene né, tantomeno, affievolirsi.

Gokudera non riusciva a pensare lucidamente, continuava a smaniare nell’attesa di calmarsi, finendo solo con l’aggravare la situazione ancora di più. Era come se Yamamoto e le prediche -non chieste- che gli aveva vomitato addosso solo pochi giorni addietro avessero inquinato tutto il suo mondo, corrompendone ogni ansito gioioso, ogni aspettativa rosea…e Gokudera finì solo per agitarsi ancora, annaspando nella conferma del suo odio.

 

Quando, finalmente, Decimo aprì la porta di casa e Gokudera lo osservò salutarlo ed avvicinarsi a lui, effettivamente, avvertì il suo malore acquietarsi appena ma non abbastanza da tranquillizzarlo come avrebbe sperato. Come avrebbe dovuto.

 

- Scusa se ti ho fatto aspettare.- Sorrise gentilmente aprendo il cancello

 

- Figuratevi!- Rispose subito Gokudera - S-siete da solo…?- Chiese poi, osservandolo chiuderselo alle spalle.

 

-… Lambo ed I-Pin devono andare a letto presto, quindi mia madre ha deciso di non farli uscire per stasera- Spiegò Tsuna continuando a sorridere e, il pensiero di essere da solo con Decimo, fu di enorme conforto e sollievo per il suo animo; come sotto l’effetto di un farmaco immediato, il malessere scemò nuovamente.

 

- Ah, ma non preoccuparti! Gli altri ci stanno aspettando vicino alla fiera.- Aggiunse poi Decimo continuando a sorridergli gentilmente. Il farmaco finì il suo effetto anche troppo in fretta.

 

-… Gli… altri… !?-

 

 

 

 

 

Ad attenderlo, vicino alla fiera in riva al fiume, come promesso, c’era il solito quadretto fastidioso:

Sua sorella che teneva Reborn tra le braccia, Kyoko ed Haru che si scambiavano stupidi commenti cinguettanti sui reciproci yukata e Ryohei, esaltato come sempre per qualche motivo che al resto del mondo era ignoto. E Gokudera ci aveva provato con tutte le sue forze: aveva davvero tentato di convincere Decimo ad andare via, aveva spremuto ogni singolo neurone per riuscire a trovare una scusa per scappare da un’altra serata assurda, col doppio, col triplo dell’impeto che di solito ci metteva… ovviamente era stato tutto inutile. Senonché il non scorgere Yamamoto nel gruppetto chiassoso che aveva trovato ad accoglierli lo aveva sollevato non poco, e mettersi il cuore in pace fu più facile di quanto aveva creduto.

 

Ma Gokudera si odiava anche per questo: per aver cominciato ad aver paura di lui, lo scoprirsi ansioso ed angosciato anche solo a sentirlo nominare. Perché non se lo meritava. Non si meritava nemmeno una goccia del tempo che Gokudera impiegava a pensarlo. Quello che lo aveva scosso più di tutto era stato lo scoprire di aver scordato come fosse pensare a Yamamoto prima che tutto quell’incubo iniziasse: si era scordato come era pensare alla sua faccia, al suo odore, alla sua voce senza che un’ondata di nausea e disprezzo non lo investisse come un treno in corsa.

 

Una pacca violenta di Ryohei sulle spalle lo fece ripiombare nella realtà ed imprecare verso di lui come suo solito.

 

- Che succede Gokudera!? Sei giù di morale per caso!?- Gli domandò ancora continuando a colpirgli energicamente le spalle ignorando ogni sua protesta.

 

- Non mi toccare, bifolco! Oggi caschi male!- Gli ringhiò di rimando, agitando un pugno per aria!

 

Sentì le risate degli altri fare di sottofondo ai loro battibecchi, ed il cuore gli si alleggerì un altro po’. Tant’è che per un momento, per un breve e piccolo momento, Gokudera fu grato a tutti loro per il solo fatto di esistere. Perfino il fatto che Decimo si fosse avvicinato a Kyoko facendole i complimenti per lo yukata non lo turbò… non più di tanto.

E forse fu per via del tono chiassoso di Ryohei, forse fu a causa della distrazione dettata dal suo improvviso sollievo… fatto sta che quando sentì quella voce fu come se il terreno gli fosse scomparso da sotto i piedi.

 

- Siete tutti qui! Che bello!-

 

Col senno di poi, e con un po’ di coraggio in più, Gokudera sarebbe sicuramente corso via a gambe levate senza nemmeno voltarsi. Invece lo fece: l’istinto prevalse, facendolo voltare verso di lui.

 

Era lì. Con il solito sorriso stupido stampato in faccia ed il livido, che lui gli aveva lasciato, più violaceo che mai. Gokudera non fu in grado di spiegarsi il motivo ma appena lo vide, per un millesimo di secondo desiderò con tutto se stesso che lui lo guardasse e che continuasse a sorridergli dicendo qualcosa di stupido come faceva sempre. E Gokudera avrebbe capito. Avrebbe capito che tutto era tornato normale, che Yamamoto era tornato Yamamoto e che quello che erano era ritornato ad essere quella strana alchimia costruita sul reciproco rispetto celato da battute e consueti rimproveri. Si sentì pronto a perdonarlo, ancora una volta. Avrebbero entrambi fatto finta di niente e non ne avrebbero mai più parlato. In quel quarto di secondo Gokudera lo scoprì possibile. Lo scoprì essere il suo unico desiderio.

 

Invece Yamamoto congelò il proprio sorriso non appena posò gli occhi su di lui. Gli occhi gli divennero tristi, svuotandosi della loro consona allegria e gli angoli della bocca tremarono appena, prima di appassire verso il basso, nell’espressione di sofferenza che aveva sostituito, nella mente di Gokudera, ogni sfumatura di allegria di cui era capace la spensieratezza di Yamamoto, ormai, solo un ricordo lontano.

 

Tutti gli si riunirono intorno, sorridenti. Gokudera distolse lo sguardo, portandolo sull’erba, sentendo ogni calore avvizzire come aveva fatto il sorriso di Yamamoto; e l’odio gli si insinuò dentro ancora una volta.

 

- Sei sicuro che quel livido non sia peggiorato? La tua guancia mi sembra parecchio più gonfia dell’ultima volta… -

 

-… ah… no. E’ solo un’impressione…-

 

- Haru ha ragione, Yamamoto… anche a me sembra messa male, è come se qualcosa ti avesse colpito nel solito punto. Dovresti andare da un dottore.-

 

- … davvero, non è nulla. Guarirà presto.-

 

Ogni parola che diceva, ogni frase che gli veniva rivolta… ogni prova che lui era lì presente, vivo e reale era il ricordo delle sue mani sulla pelle nuda, era il sapore disgustoso della sua lingua sulle labbra, era il suo tocco urgente, pateticamente trattenuto, sulle proprie guance. Gokudera respirò a fondo e lentamente, cercando di contenere il panico e la rabbia.

 

Non sentiva una parola di quelli che lo circondavano in quel momento e la mano di Decimo che, improvvisamente, gli circondò un polso lo scosse, sì, ma non gli diede alcun sollievo.

 

- Che ne dici, Gokudera?-

 

- C-Come…?- Balbettò lui confuso, più dall’impotenza del tocco di Decimo che non dalle sue parole.

 

- Testa di Polipo non stava ascoltando, eh!?- Sbraitò Ryohei circondandogli il collo con un braccio.

 

Gokudera era così confuso che neanche gli rispose, non se lo scrollò nemmeno di dosso. Si limitò a fissarlo con aira interrogativa e sconvolta; quella di chi si risveglia dopo una sbronza e non si ricorda nemmeno chi è. Poteva sentire ancora lo sguardo di Yamamoto su di lui, ne avvertiva l’odore e tutto ciò che di schifoso si portava dietro.

 

- Una prova di coraggio, Gokudera. Vuoi partecipare?- Disse, allora Reborn – Ovviamente, chi non partecipa si considera, a priori, escluso dalla Famiglia!- Aggiunse poi, con la solita vocetta stridula.

 

Gokudera non rispose subito, entusiasta o con fare combattivo come suo solito, e la cosa fu notata da tutti; perfino Ryohei sembrò stupito del suo atteggiamento, rabbuiandosi appena e fissandolo con aria interrogativa. Aspettavano tutti una risposta, in un muto silenzio sorpreso. Tutti, tranne Yamamoto: aveva abbassato la testa, con aria colpevole –come un cane- cosa che indispettì Gokudera quel tanto che bastò per fargli trovare il coraggio di rispondere.

 

- … va bene.- Disse soltanto - Ma io sto con Decimo- Aggiunse con tono più deciso.

 

Poi guardò Yamamoto e la vista della sua mascella irrigidita e dei suoi occhi che si distoglievano, mestamente da un punto cieco verso un altro, gli diede una carica di pura soddisfazione adrenalinica.

 

 

 

 

 

Il vento fresco d’estate soffiò generoso accarezzando i lunghi fili d’erba che sfiorarono le braccia nude di Gokudera. Il nascondiglio che aveva trovato non era dei più congeniali, ma si accontentò di allontanarsi il più in fretta possibile da Yamamoto, imboccando la strada opposta alla sua e, trascinando Decimo per la mano, si era avvicinato al fiume.

 

La prova era semplice: vinceva chi non veniva trovato nel tempo limite di un’ora.

Prestando attenzione, la sua ovviamente concentrata -quasi interamente- su Decimo, erano scesi lungo l’argine ripido e si erano seduti sotto uno dei piccoli ponti che collegavano le due sponde. L’erba lì era alta e li avrebbe nascosti alla vista di chi percorreva la strada soprastante.

 

Anche dopo alcuni minuti di silenzio da parte di entrambi il cuore di Gokudera continuava ancora a battere all’impazzata ed il disagio nelle sue viscere seguitava a non voler scemare minimamente.

Per quanto desiderasse concentrarsi sulla piccola fortuna che gli era stata concessa –quel placido momento di tranquillità assieme a Decimo- non riusciva a focalizzare nient’altro che il volto di Yamamoto e la consapevolezza della sua effettiva presenza poco lontano da loro.

 

- Gokudera?-

 

Gokudera si voltò, quasi scosso dal suono lieve della voce del boss e dalla leggera pressione della sua mano sulla spalla.

 

-… Stai bene?- Chiese Tsuna preoccupato dall’espressione di disagio che sfigurava il volto dell’amico ormai da diversi minuti.

 

Non rispose subito, seguitando a fissare Decimo e poi spostare lo sguardo sull’erba folta davanti a loro. Se gli avessero detto, solo poche settimane prima, che la preoccupazione del boss nei suoi confronti gli avrebbe solo scatenato una scostante impassibilità, non solo non ci avrebbe creduto, ma avrebbe dato fondo a qualsiasi sua risorsa pur di non fare avverare una simile infamia. Eppure, realizzò fissando nuovamente il Decimo, “impassibilità” era la definizione che più si avvicinava a quello che provava in quel momento. E non riusciva nemmeno a vergognarsene quanto avrebbe voluto.

 

 

 

“Non è amore, Gokudera…”. Sta’ zitto. “La tua è solo un’infinita ammirazione…”. Chiudi la bocca.

 

 

 

- Decimo, non è così…- Le parole gli sfociarono dalla bocca come un fiume in piena, ma con un tono decisamente poco fermo, mentre una sua mano si chiuse attorno al polso del suo Boss.

 

Non lo avrebbe mai fatto: Poche settimane prima non avrebbe mai osato neanche sfiorare Decimo con un dito, poche settimane prima non avrebbe lasciato che i suoi pensieri fossero così tangibili, specialmente ai suoi occhi… poche settimane prima: quando Decimo era tutto il mondo di Gokudera… e, per lui, Yamamoto era solo Yamamoto.

 

La testa cominciò a girargli mentre un fastidioso ronzio nelle orecchie aumentava.

 

- Non è così…- Ripeteva stringendo il polso del suo boss un po’ più forte, come se potesse riportarlo alla calma -… Non è così…-

 

Decimo lo fissò per pochi secondi, con la solita aria preoccupata di chi non capisce ma non intende sopportare oltre, prima di sfiorargli la mano tremante con la propria. Gokudera non seppe dire se fu una sua impressione stordita da quel malore che gli stanziava nell’animo o se, effettivamente, Decimo avesse una qualche capacità curativa su di lui; fatto sta che sentì quella mano, poco più piccola della propria riscaldargli tutto il corpo, e la sensazione di nausea e di malessere scemare pian piano.

 

- Va tutto bene, Gokudera…- Gli sorrise lui, stringendogli la mano un po’ più forte.

 

Gokudera avrebbe tanto voluto ricambiare quella sicurezza con una frase sagace o un commento maturo, ma le lacrime nei suoi occhi bruciavano davvero tanto ed erano pesanti. Troppo pesanti.

 

 

 

 

 

 

 

- E’ passata un’ora- Disse Decimo -… questo significa che, o abbiamo vinto, o Reborn ha trovato qualcos’altro da fare… il che non mi stupirebbe poi tanto.- Commentò sorridendo per poi voltarsi verso l’amico.

 

Gokudera ricambiò lo sguardo e annuì piano, la bocca ancora troppo impastata di vergogna per commentare in alcun modo. Il chiasso sulle rive del fiume sembrava aumentato, ed il profumo del cibo di alcune bancarelle li raggiunse anche sotto al ponte. Decimo si alzò, per poi spolverarsi i pantaloni alla bell’ è meglio e porgere una mano a Gokudera, che si limitò a guardarlo con quell’aria stranita che sembrava non volerlo più abbandonare.

 

- Andiamo?- Gli sorrise di nuovo. E quel sorriso gli provocò un dolore ed una gratitudine che lo privarono di ogni voglia di reagire.

 

- Decimo…- Mormorò abbassando lo sguardo, lontano da lui -… io non sono degno di essere il vostro braccio destro. Non sono degno nemmeno di far parte della vostra Famiglia…- Aggiunse tentando di frenare il tremito della propria voce.

 

- Gokudera…- Lo interruppe Tsuna con tono leggermente tetro -… Io non so niente di Famiglie né di Boss né dei doveri di un braccio destro. Non so nulla di quello che secondo te è disonorevole, non so nulla di omertà né di onore. Tutto quello che ho capito di stasera è che tu non stai bene… e non voglio vederti così. Non voglio che tu mi dica che cosa c’è che non va. Voglio che tu mi dica se posso fare qualcosa…-

 

Gokudera quasi temette di ricominciare a piangere, se dalla vergogna o dall’immensa gratitudine non lo sapeva. Tutto ciò di cui ebbe certezza fu il calore nel proprio petto, rinvigorito ad ogni nuova parola del suo boss. Riuscì solo a mormorare un “grazie”, restituendo al volto di Decimo quel sorriso magico e caldo.

 

 

 

Mentre risalivano la piccola salita d’erba, mentre porgeva la mano a Decimo, per aiutarlo a salire, la sentì di nuovo, la voce di Yamamoto flebile e distrutta, mormorare quella frase.

 

“Non è amore, Gokudera…”

 

Stringendo ancora un po’ la mano di Decimo nella sua e tirandoselo contro, per fargli scavalcare senza sforzi l’ultimo tratto di salita, nella mente di Gokudera si affacciò una consapevolezza:

 

“Va bene così. Non mi importa.”

 

 

Ed era così: non gli importava ciò che Yamamoto pensava, non gli importava se aveva ragione e non gli importava nemmeno se aveva torto. Tutto ciò che sapeva, tutto ciò in cui aveva bisogno di credere era che quel sentimento innegabile che provava per Decimo lo faceva stare bene; lo riempiva di luce e di serenità, e qualsiasi cosa avesse fatto o detto Yamamoto, non vi avrebbe rinunciato facilmente.

 

 

 

 

 

 

Come prevedibile, non vi fu un vero vincitore nella sfida indetta da Reborn che, ad un certo punto si era semplicemente stancato, defilandosi assieme a Bianchi. Li trovarono, difatti, tutti lì, più o meno come li avevano lasciati: chi a chiedersi se il gioco fosse concluso, chi a domandarsi se non si fosse fatto troppo tardi e chi, infine, ansioso di decretare comunque un vincitore. L’unica cosa a cui Gokudera, suo malgrado, prestò la massima attenzione, fu il fatto di non riuscire a scorgere Yamamoto, nemmeno quando, dopo un’altra mezz’ora, arrivarono anche Kyoko e Haru.

 

Si preoccupò comunque di sembrare indifferente alla cosa, anche quando qualcun altro sembrò notare l’assenza del ragazzo.

 

- Forse dovremo andare a cercarlo…- Soggiunse Tsuna, sospendendo Gokudera tra ansia ed ammirazione per la gentilezza del proprio boss.

 

- Sono certo che sta benissimo, magari è semplicemente andato ad occupare un posto per vedere meglio i fuochi d’artificio! Prima delle vacanze non faceva altro che parlare di quanto si vedessero bene dalla cima della collina!- Esclamò Sasagawa incrociando le braccia al petto con fare sibillino.

 

Gokudera attese un po’ prima di parlare, più di quanto normalmente avrebbe fatto, ma poi annuì concordando con Ryohei.  Tsuna rimase un attimo in silenzio per poi accordare con una nota di dispiacere nella voce.

 

Le vie si erano riempite di talmente tanta gente che dovettero fermarsi spesso per aspettarsi l’un l’altro e ed impedire di perdersi di vista a vicenda. Avevano deciso di andare in cima alla collina per poter vedere i fuochi d’artificio, fiduciosi (chi più chi meno) di trovare Yamamoto ad aspettarli. Gokudera non riusciva a fare altro che indugiare con lo sguardo sul volto pensieroso di Decimo, altalenando i suoi pensieri tra la preoccupazione, la voglia di rendersi utile al proprio boss, e la speranza di non incrociare più Yamamoto.

 

- Decimo… cosa avete?- Chiese infine, avvicinandosi appena ed abbassando il tono, in modo di essere udito, tra la folla generale, solo da lui.

 

-… Niente, è solo che mi sembra strano che Yamamoto sparisca così, fosse anche solo per aspettarci più avanti.- Mormorò Tsuna sorridendogli dolcemente; agitò infine la mano davanti al volto con fare noncurante e cambiò argomento, continuando a camminare di fianco a Gokudera.

 

 

La cima della collina era accarezzata da un vento fresco, ed il rumore della folla sembrava orami lontano. La cittadina si estendeva a perdita d’occhio illuminata dalle luci delle vie in festa. Ryohei si gettò sull’erba soffice e fresca sospirando beatamente, mentre Kyoko ed Haru indicavano col dito qualche negozio sperduto nel panorama, che Gokudera non aveva mai sentito nominare, stupendosi di quanto fosse facile riconoscerli anche a quella distanza. Tsuna, invece, continuava a guardarsi attorno, ed ad affacciarsi sulla folla tentando di riconoscervi Yamamoto.

 

Gokudera si era, in effetti, sorpreso di non averlo trovato ad aspettarli, ma si sentiva tutt’altro che preoccupato. Sperava davvero di riuscire ad evitare la sua presenza fino a quando non fosse arrivato il momento di tornare a casa, sebbene riconoscesse inspiegabile il fatto che fosse come scomparso nel nulla. La cosa che lo metteva più a disagio era piuttosto il fatto che Decimo sembrasse davvero preoccupato e che non riuscisse a darsi pace.

 

- Sarebbe meglio chiamarlo per avvertirlo di dove siamo…- Continuava a mormorare passeggiando avanti e indietro, continuando a lanciare occhiate verso il chiasso della fiera.

 

-In effetti ha ragione Tsuna… non era qui ad aspettarci e magari ci sta cercando anche lui….- Sussurrò Kyoko, portandosi le mani al petto e fissando Haru con aria preoccupata.

 

- Gokudera- Lo chiamò Tsuna voltandosi verso di lui – Per favore, puoi chiamarlo? Io non ho il cellulare qui con me…-

 

Gokudera sentì un peso al centro del petto, gravoso e pungente. Avrebbe voluto urlare a tutti di quanto Yamamoto non meritasse neanche un grammo di quella preoccupazione, di quanto lo avesse scoperto meschino e crudele, di quanto lo disgustasse e di quanto avrebbe dovuto disgustare anche loro. Ma non riuscì a dire nulla. Si limitò a rimanere in piedi, con le mani tremanti dallo sconforto, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Si sentì sporco al solo pensiero di dover comporre il suo numero. Aveva appena poggiato il cellulare all’orecchio quando un tocco irruento sulla spalla lo costrinse a voltarsi.

 

- Ehi! Che ci fate voi qui? Questo è il nostro posto, andatevene!-

 

Il tizio davanti a loro doveva essere poco più grande di lui, alto e terribilmente magro. Li squadrò con espressione furiosa prima di rivolgersi direttamente a Gokudera.

 

- Ohi, non mi hai sentito!? Che hai da guardare?-

 

- Che urli a fare, non lo hai visto? Deve essere straniero, probabilmente non ti capisce neanche…- Un altro ragazzo, più basso ma decisamente più robusto del primo, si fece avanti fermandosi a pochi centimetri dal volto di Gokudera.

 

-Allora!? Mi capisci, eh!? Dovete levarvi dai piedi…-

 

Gokudera distinse qualche mormorio intimorito di Kyoko ed Haru alle sue spalle, e riconobbe il rumore dei passi di Ryohei sempre più vicini. Con fare calmo e scostante di rimise il cellulare in tasca e fissò il secondo ragazzo dritto negli occhi.

 

- Ti capisco eccome, brutto mostro, forse sei tu che non hai capito contro chi ti sei messo! Io non vado da nessuna parte…-

 

- Gokudera!...- Udì chiamarlo la voce di Decimo dal tono decisamente allarmato, prima che, quella improvvisamente stridula del ragazzo davanti a lui, coprisse ogni altro suono.

 

- Che cazzo hai detto, bastardo…!?-

 

Gli fu accanto in due ampie e goffe falcate, per poi allungare una mano e stringergli il bavero della camicia, strattonandolo appena verso di lui. Prima che Gokudera potesse fare qualcosa vide Ryohei stringere, a sua volta, il polso del ragazzo più alto con fare intimidatorio che venne scemato dal suo tono calmo.

 

- Tranquilli, non c’è bisogno di agitarsi. Questo posto è grande abbastanza per tutti, se volete possiamo spostarci...-

 

- Col cazzo. Io da qui non mi muovo.- Mormorò Gokudera scrollandosi di dosso le mani di entrambi - Figuriamoci se la do vinta a due sfigati del genere.-

 

I due ragazzi palpitarono dall’irritazione e quello più basso si rivolse nuovamente a Gokudera.

 

- Ti conviene ascoltare il tuo amico, ti eviteresti un bel po’ di guai!-

 

- Ah, sì?... Hai intenzione di chiamare tua madre?- Domandò Gokudera sorridendo in modo arrogante, continuando a fissarlo.

 

- Gokudera smettila! Andiamocene e basta! - La voce di Decimo lo raggiunse nuovamente, più allarmata ed urgente di prima.

 

Passò una manciata di secondi prima che Gokudera decidesse di raccogliere, a piene mani, tutta la sua buona volontà ed il suo autocontrollo. Si voltò e prese a camminare verso Decimo, scorgendo il suo voltò rilassarsi. Vide Ryohei imitarlo, dirigendosi verso Haru e la sorella, strette l’una a l’altra con espressione tesa e spaventata. L’iniziale fastidio scemò non appena Decimo gli regalò un sorriso di approvazione.

 

Fece solo pochi passi prima di sentire quel mormorio divertito alle sue spalle.

 

-… Ecco è meglio se scappi. Mezzosangue, figlio di puttana.-

 

L’unica cosa che riuscì a scorgere, fu l’espressione allarmata di Decimo, poi il corpo si mosse da solo, animato dalla rabbia improvvisa che gli divampò nel petto. In pochi secondi fu addosso al ragazzo più basso e, in ancora meno tempo, avvertì le proprie nocche cozzare contro i suoi zigomi. Quello oscillò sgraziatamente prima di cadere a terra, Gokudera lo afferrò per la maglietta per poi colpirlo nuovamente, più forte di prima. Sentiva il suo corpo contorcersi sotto di lui, scosso da sbuffi grotteschi di dolore, mentre cercava di toglierselo di dosso; ad ogni nuovo pugno il bisogno di continuare a colpirlo aumentava paurosamente. Come in un’eco lontana, fusa a quello che sembrava un tempo velocizzato, riconobbe la voce di Decimo e delle ragazze gridare qualcosa di indistinto e delle mani forti, probabilmente quelle di Ryohei, strattonarlo per le braccia e per la camicia. Non aveva nemmeno pensato alla dinamite, non aveva pensato a nulla. Solamente alla rabbia che sembrava non voler scemare… e mentre continuava a picchiarlo, sentendo la pelle sulle nocche lacerarsi ed il sangue dell’altro schizzargli sulle braccia, in un impeto di rabbia, quello sotto di lui divenne Yamamoto.

 

- Gokudera, smettila!-

 

Decimo gli fu accanto e gli afferrò il braccio riuscendo, infine, a fermarlo. Lentamente tutto torno alla giusta velocità ed i suoni riacquisirono spessore. Il dolore alle nocche ed il suono pericolosamente accelerato del proprio respiro lo richiamarono alla realtà. Sotto di lui, il ragazzo si mosse, costringendolo ad alzarsi barcollando, fissandolo mentre, sbavando e sputando sangue, cercava di toccarsi la faccia senza urlare di dolore. L’altro ragazzo si avvicinò al compagno tentando di aiutarlo ad alzarsi, per poi voltarsi verso di lui e lanciargli un’occhiata bruciante di odio e terrore.

 

- Tu sei pazzo…- Lo sentì mormorare tra i lamenti dell’altro

 

Sentiva la stretta di Ryohei reggerlo ancora per le spalle e quella di Decimo sul suo polso. Avvertì tutto il corpo tremare dall’adrenalina e la bocca dello stomaco dolergli dalla rabbia che andava scemando. Prima che potesse riprendersi e dire qualcosa, Gokudera avvertì la presa di Decimo sul polso abbandonarlo, e quando si voltò verso di lui, Tsuna si era già avviato per la discesa che portava nuovamente alla fiera.

 

 Avvertì il panico pervaderlo nuovamente e con uno scossone si liberò della stretta di Ryohei, ancora salda sulle sue spalle, rischiando di inciampare più volte per via del tremore alle gambe, nel tentativo di raggiungerlo in fretta. Appena gli fu accanto l’espressione rammaricata e dolente del suo volto rischiò di farlo piangere dall’urgenza di scusarsi e dalla costernazione.

 

- Decimo io…-

 

- Perché devi sempre fare così? Sempre!- La sua voce era ferma ma Gokudera vi avvertì la rabbia e l’incontinenza. - Potevamo andarcene. Perché hai dovuto per forza prenderlo a pugni!?... Lo sai benissimo che non lo sopporto, mi spaventa! Puoi pensare che sono un vigliacco, puoi pensare quello che vuoi… ma non voglio che tu, né che nessuno che conosco, venga coinvolto in certe stupidaggini!-

 

Gokudera non riuscì a dire nulla, anche se avrebbe voluto. Il respiro affannato ed il battito accelerato del proprio cuore, gli impedirono di aggiungere altro. Kyoko li chiamò, poco più indietro e Tsuna si voltò verso di lei.

 

-… Non so cosa tu abbia. Ma, ti prego, smettila di comportarti così!- Decimo lo fissò negli occhi mentre lo diceva per poi avvisarsi verso gli altri, e Gokudera si sentì colmare si vergogna e di impotenza.

 

 

 

La serata si era conclusa con qualche battuta imbarazzata e la promessa di risentirsi al più presto. Gokudera non aprì bocca per tutto il tempo. Solo quando Decimo si incamminò verso casa propria si affrettò a seguirlo, ma Tsuna lo guardò e, con aria stanca anche se visibilmente meno arrabbiata di prima, lo pregò di andare a casa da solo.

 

Nessuno si era nemmeno più preoccupato di dove fosse finito Yamamoto.

 

 

 

 

 

 

Il chiasso della festa era cessato da molto ormai, eppure Gokudera aveva continuato a camminare senza una meta precisa, percorrendo i mille vicoli e le stradine della cittadina. Non aveva la minima voglia di andare a casa, né di dormire, sebbene le mani gli facessero ancora male ed il sudore e qualche schizzo di sangue gli impregnassero ancora la camicia. L’unica cosa che sentiva aver la forza di fare era camminare e galleggiare un po’ nel limbo del “non pensare a niente”, perché sentiva che se si fosse fermato a riflettere per meno di cinque secondi sarebbe scoppiato in lacrime o in un urlo isterico. Si frugò in tasca alla ricerca di una sigaretta ma l’unica cosa che trovò fu il pacchetto vuoto e spiegazzato che gettò a terra con un gesto di stizza.

 

La testa gli girava ancora e aveva la gola secca, si frugò ancora in tasca tirando fuori qualche spicciolo e si diresse ad un distributore automatico poco più avanti. Nel vicolo buio la luce della macchina era l’unica illuminazione e Gokudera trovò quell’atmosfera sospesa tra luce ed ombra quasi rassicurante. Il chiassò delle monetine che scivolavano nell’apparecchio e il clangore della lattina di cola che si schiantava all’interno del cesto, rimbombando contro le pareti del vicolo, gli sembrarono quasi assordanti. Il sibilò della lattina che si apriva fu l’ultimo rumore che scosse la tranquillità del buio che lo circondava.

 

Si poggiò contro il distributore, attenuando ancor di più la luce nel vicolo, lasciandosi scivolare fino a toccare terra. Si portò la lattina fresca alle labbra e bevve finché non la sentì svuotata quasi completamente. La gola adesso era meno secca, eppure non si sentiva affatto meglio. Da quando quella storia era cominciata, la sua vita era stata un susseguirsi di eventi disastrosi e, adesso, avvertiva reale più che mai la possibilità di venir abbandonato perfino dal Decimo.

 

Respirò profondamente e strinse i denti finché la mascella non gli dolette. Cosa avrebbe fatto la prossima volta che il telefono fosse squillato per una chiamata di Yamamoto? Lo stomaco gli si irrigidì al solo pensiero, si poteva morire per la troppa afflizione? Era stanco, veramente stanco.

 

 

Come se si stesse destando da un sogno, Gokudera avvertì dei rumori farsi sempre più reali e vicini, finché non divennero due voci distinte. Storse la bocca seccato: neanche in un vicolo di notte riusciva a stare in pace. Erano due voci maschili che discutevano animatamente, sempre più vicine. Gokudera si sentì turbato ancor prima di realizzare il perché. Non si mosse, restò silenzioso ed immobile contro il distributore finché i due non voltarono l’angolo e si diressero verso di lui. Uno, alto e molto magro -la cui figura scura nel vicolo buio era quasi inquietante- sorreggeva l’altro più basso e decisamente più robusto che mugugnava incomprensibilmente come se avesse delle noci in bocca.

 

- Lo ammazzo - Mugugnò il più basso sputando a terra -Giuro che se lo incontro di nuovo lo ammazzo!-

 

- Chi cazzo se lo aspettava!?... Sembrava uno psicopatico. Ti è saltato addosso in meno di un attimo!... Nemmeno quell’altro tipo è riuscito a farlo smettere!- Disse l’altro -… Ti offro qualcosa, non ci pensare per ora.-

 

Gokudera smise di respirare per un attimo, mentre si irrigidiva ancora di più contro il distributore. Erano i tipi della collina. Se avesse potuto si sarebbe quasi messo a ridere per la sua strabiliante sfortuna. Ma l’unica cosa che riuscì a fare fu alzarsi lentamente cercando di non farsi vedere in faccia.

 

- Merda, ho finito i soldi! …Ehi, ragazzino, hai qualche spicciolo?-

 

Decisamente non era la sua giornata fortunata quella. Gokudera tentò di far finta di nulla ed accelerò il passo cercando di raggiungere il prima possibile la strada principale. Di norma non si sarebbe certo preoccupato di due tipi del genere, poteva stenderli come e quando voleva, ma non aveva alcuna voglia di scontrarsi -verbalmente o fisicamente- con qualcuno, specie dopo quello che Decimo gli aveva detto.

 

- Ehi! … Ehi! Sto parlando con te!...-

 

In poche falcate il ragazzo più alto gli fu accanto e lo strattonò per la camicia; non riuscì a fare nulla se non ascoltare le parole morirgli in gola e vedere la sua espressione mutare in una maschera di rabbia non appena lo vide in faccia.

 

-… è il ragazzino di prima…! O-Oku! È il bastardo di prima!- Strillò quello continuando a strattonarlo per la camicia. L’altro lo raggiunse subito e Gokudera quasi atterrì per la sua espressione deformata dai lividi dal sangue rappreso.

 

- Brutto stronzo…- Ringhiò rabbuiandosi e stringendo i pugni -Lo sai che hai fatto!? – Gli urlò sferrandogli un pugno che Gokudera riuscì a schivare senza troppi problemi, liberandosi dalla stretta del più alto.

 

- Ti ho reso più bello…- Sorrise Gokudera indietreggiando di nuovo.

 

Il ragazzo magro gli fu di nuovo addosso e lo bloccò per le spalle. Gokudera stava quasi per colpirlo quando il volto di Decimo gli apparve di nuovo, deformato da quell’espressione di spavento e rabbia:

 

“Lo sai benissimo che non lo sopporto, mi spaventa!”

 

Prima che potesse anche solo realizzare a come agire di conseguenza alla fitta dolorosa che quel ricordo gli aveva procurato al centro del petto, un pugno lo colpì in pieno. La testa gli rimbombò dolorosamente e, prima del dolore alla guancia, avvertì il sapore del sangue riempirgli la bocca.

 

- Ora ci divertiamo…!-

 

Un altro pugno lo colpì dal basso ed avvertì una fitta lancinante lungo la schiena e dietro gli occhi, come se una scarica elettrica fosse partita dalle sue nocche. Più che dolorante o furioso Gokudera si sentì umiliato ed impotente, e non se ne stupì più di tanto, il tremore furente alle mani era automatico e, se avesse potuto, lo sapeva, li avrebbe fatti a pezzi seduta stante, anche solo per avere la possibilità di sentirsi rinvigorito come quando aveva colpito quel tizio con tutta la forza che aveva. Ma le parole del Decimo, la sua espressione spaventata quando lo aveva visto scattare contro quei due… governavano ogni centimetro del suo corpo, costringendolo all’immobilità.

 

Gokudera aspettava già il terzo pugno, la testa bassa, gli occhi chiusi e la bocca piena del suo stesso sangue, quando un fragore improvviso lo costrinse ad alzare la testa. Senza che lui avesse mosso un dito vide il suo aggressore scaraventato contro il distributore automatico, che oscillò pericolosamente prima di tornare traballante al suo posto, mentre quello rimase accasciato al suolo.

 

Prima di poter capire cosa, a conti fatti, fosse successo, sentì l’altro tizio strillare qualcosa di indistinto per poi avvertire la sua stretta abbandonarlo completamente. Si voltò appena in tempo per vederlo atterrare in malo modo sull’asfalto del vicolo. Gli ci vollero diversi secondi per accorgersi che c’era qualcun altro.

 

-… Stai bene?-

 

Gokudera rimase immobile, non sapeva se sentirsi grato o, semplicemente, ancor più sfortunato di prima. Seppe solo percepire il proprio cuore fermarglisi nel petto, le gambe quasi gli cedettero per la sorpresa. Infine, riuscì a voltarsi verso la persona al suo fianco.

 

 

 

 

 

-… Yamamoto…?-

 

 

 

 

 

 

Ebbene sì, sono riuscita ad aggiornare! Non presto quanto speravo ovviamente.

Cavolo, mi sembra passata un’infinità dall’ultimo capitolo… mi scuso enormemente ma… un po’, per citare Gokudera… non è proprio il mio periodo fortunato questo. Non so che dire se non che spero in un vostro commento e augurandomi di rivederci il più presto possibile!

 

P.s: l’appellativo “mezzosangue” che i due rivolgono a Gokudera non è un omaggio a Harry Potter (anche se sarebbe carino <3) Gokudera è, a conti fatti, mezzo giapponese e mezzo italiano, e anche nel manga due o tre volte si vede dei mafiosi chiamarlo così; ovviamente in senso dispregiativo!

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Capitolo 9
*** Ospitalità e aria di cambiamento ***


Ospitalità e aria di cambiamento

 
 
 
 
L’asfalto sotto i proprio piedi sembro liquefarsi all’improvviso e le sue gambe tremarono di nuovo, costringendolo ad inginocchiarsi nel buio del vicolo, davanti a lui, che ancora lo fissava con quella preoccupazione negli occhi che non accennava a voler scemare.
 
-… Yamamoto…- Ripeté sussurrando ma, nell’oscurità, quel sussurro rimbalzò contro ogni parete, rimbombando fastidioso.
 
- Ma che combini?... Chi sono questi due? - Sospirò l’altro lanciando un’occhiata seccata ai due ragazzi ancora sdraiati a pancia in giù sull’asfalto freddo.
 
Come se il ragazzo non avesse parlato, Gokudera sentì la rabbia mista ad una flebile traccia di sollievo ottenebrargli la mente ed avvertì le mani tramargli, assieme all’incontenibile voglia di piangere. Si alzò improvvisamente, forse troppo perché la testa prese a girargli e a dolergli, mentre un po’ di sangue gli scivolò dalla bocca e gocciolò sul catrame, si sporse in avanti per non cadere, verso Yamamoto, afferrandogli il bavero, furente.
 
- Dove eri?-
 
Yamamoto lo fissò con aria stupita, per poi sfiorargli le nocche tese ed arrossate con le dita, in un gesto rassicurante e preoccupato. Gokudera lasciò allora il colletto della camicia dell’altro, allontanando il suo tocco bruscamente, solo per tornare a stringerlo nuovamente, con più forza, non appena Yamamoto abbassò le mani lungo i fianchi, lontano dalle sue.
 
- Dove cazzo eri finito!?... Ti hanno cercato tutti!- La voce alterata e tremante, mentre avvertiva la saliva, satura di sangue, sfuggirgli dalle labbra gonfie e spaccate, colare lungo il mento. - Il Decimo era così in pena per te! Come ti sei permesso di andare via così!? Lo sai che è successo... !? Se tu non te ne fossi andato…- Gokudera fu costretto ad interrompersi, la voce gli stava morendo in gola e lo sguardo colmo di pena e compassione di Yamamoto era troppo da sopportare. Ma avrebbe voluto urlargliela tutta la sua rabbia, la sua frustrazione per non esserci stato a fermarlo, per non esserci stato ad impedire di far preoccupare il Decimo, per essere mancato quando, finalmente, avrebbe potuto fare qualcosa per lui, impedendogli di rendersi ridicolo e furente: una pallida imitazione di un braccio destro.
 
Le lacrime gli scivolarono fuori dalle palpebre serrate e le gambe gli cedettero di nuovo; tenendo ancora stretto il colletto di Yamamoto tra le mani, scivolò verso il basso, portandoselo dietro. Inginocchiati in un vicolo, con i suoi singhiozzi come unico sottofondo. Ogni volta che riusciva ad accumulare abbastanza fiato per parlare, Gokudera lo insultava, per poi ripiombare nel silenzio interrotto da qualche ansito soffocato o da qualche gorgoglio che la sua bocca, ancora piena di sangue, produceva. Yamamoto continuò a stare in silenzio, inginocchiato davanti a lui, con le mani ingessate, ma tremanti, lungo i fianchi, mentre quelle di Gokudera continuavano a stringergli il bavero ormai logoro.
 
Quando, finalmente, calò il silenzio, Yamamoto gli sfiorò nuovamente le mani, liberandosi lentamente e gentilmente dalla sua stretta, tanto che Gokudera non oppose resistenza; se ne rimase immobile e silente ripiegato sull’asfalto del vicolo buio.
 
- Andiamo via di qui.- Disse semplicemente Yamamoto. Gokudera rimase in silenzio per pochi secondi prima di alzarsi, più barcollante del previsto, ed avviarsi, con lui, verso la strada principale.
 
 
 
Le strade erano ancora piene di persone, anche se decisamente meno affollate di prima, tanto che avrebbero potuto camminare uno di fianco all’altro e parlarsi senza alcuna fatica, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a farlo. Yamamoto ogni tanto si voltava verso l’altro, rimasto volutamente indietro, per accertarsi che stesse ancora in piedi.
 
Gokudera era spossato, ansimante e con gli occhi spenti che fissavano il nulla davanti ai propri piedi, il sangue gli rigava il mento e gli macchiava la camicia, mentre lo zigomo sembrava, ogni volta che Yamamoto si voltava a guardarlo, sempre più violaceo e gonfio. Non aveva idea di dove stessero andando, di dove Yamamoto avesse intenzione di trascinarlo, ma era troppo stanco per chiederlo, per protestare o anche solo per alzare gli occhi e guardarlo. Era davvero stanco.
 
Sentiva i piedi pesanti, la bocca dello stomaco ancora gli doleva per il pugno di poco prima, così come l’interno della guancia spaccata, si sentiva prosciugato di ogni forza di reagire, ed ora che si era addirittura messo a piangere davanti a lui si convinse di non poter toccare un fondo più basso di quello. Non aveva neanche la voglia di desiderare qualcosa, fosse anche solo fare del male a se stesso o a Yamamoto, si sentiva come galleggiare in un limbo cupo e buio, e lasciarsi andare passivamente agli eventi, almeno in quel momento, sembrava l’unica soluzione sopportabile.
 
Improvvisamente il chiasso della folla intorno a lui aumentò, in un brusio sconnesso ed ovattato, si sentì spintonare in avanti, tanto che dovette puntare i piedi con l’ultimo briciolo di forza per non cedere di nuovo al tremore delle proprie gambe. Alzò lo sguardo giusto per incontrare quello di qualche passante che lo squadrava con aria curiosa e preoccupata, fissando il sangue sulla sua camicia e quello, ormai rappreso, agli angoli della bocca, una ragazza fece quasi per avvicinarsi quando la stretta di Yamamoto lo raggiungesse tirandolo verso di lui, ingoiandolo ancor di più tra la folla.
 
- Tutto bene?... Stavo quasi per perderti.- Lo sentì mormorare col tono di chi cerca di sdrammatizzare.
 
Gokudera non rispose, non tentò nemmeno di liberarsi dal suo tocco, continuò a lasciarsi sballottare dalle spinte leggere delle persone schiamazzanti attorno a lui. Anche quando si ritrovò addossato al petto di Yamamoto non tentò di fare nulla, sebbene un’ondata di disprezzo gli stesse avvolgendo il cuore. Il motivo di tutta quella confusione fu chiaro quando il cielo si illuminò di luce. I fuochi d’artificio. Un altro brivido gelido gli attraverso la schiena, chissà se Decimo era riuscito a vederli. Chissà se gli sarebbero piaciuti.
 
La folla si fece ancor più fitta e schiamazzante ad ogni nuovo lampo colorato che illuminava il cielo sopra di loro, Yamamoto se lo portò davanti facendogli poggiare la schiena contro al proprio petto, così da impedirgli altri scossoni. Un gesto rassicurante in sé per sé ma che a Gokudera non provocò altro che disagio ed un’umiliazione che aveva il gusto amaro della nausea.
 
-… Stavo tornando a casa.- Lo dire all’improvviso, la voce abbastanza alta da raggiungerlo, poco più in basso, sovrastando il chiasso della folla meravigliata e palpitante. – Non ce la facevo a stare lì, con te che mi fissavi in quel modo. Volevo andarmene ma poi… ho visto una tua chiamata sul cellulare e allora… sono tornato indietro.-
 
Gokudera rimase in silenzio, mentre nella sua mante la scena prendeva vita, e sì che gli sembrava così strana, in quel momento, l’idea di aver davvero chiamato Yamamoto, sentirlo uscire dalle sue labbra poi… Si scoprì troppo stanco perfino nel riuscire a godersi il disagio che l’altro doveva aver provato ai suoi sguardi furenti e disgustati.
 
-... Non ti ho chiamato per chiederti aiuto, questo deve esserti chiaro. Decimo mi ha detto di telefonarti e io l’ho fatto. Tutto qui.- Sapeva di aver risposto a voce molto bassa, ma era sicuro che Yamamoto avesse capito dato che sentì il suo petto irrigidirsi appena contro la propria schiena.
 
-… Lo immaginavo.- Sorrise l’altro, di un tono spento e rassegnato. –Sono comunque contento di essere tornato indietro.- Concluse in un sospiro.
 
Gokudera avrebbe voluto dire qualcosa, qualcosa di offensivo che potesse rimarcare la sua noncuranza verso ciò che Yamamoto aveva fatto, ma la sua bocca non emise alcun suono.
In qualche modo trovava grottescamente divertente come tutta la sicurezza di cui si era armato poche ora prima, dopo aver parlato con Decimo sotto quel ponte, si fosse esaurita così in fretta, ed era ancora più ironico il fatto che fosse dipeso tutto da lui, dato che, a conti fatti, Yamamoto non aveva fatto un bel niente.
 
Anche quando la consistenza del petto dell’altro si fece ancor più tangibile contro la sua schiena stanca, a causa della folla o meno non gli interessava, il senso d’umiliazione ed il dolore che provò lo avvilupparono di nuovo, sì, ma non furono devastanti come le altre volte, forse per quella stanca rassegnazione, forse per quel senso di sicurezza (vergognosa) che aveva provato, per un attimo, lasciandosi sorreggere dalla solidità del petto di Yamamoto.
 
- Torniamo a casa.- Mormorò Yamamoto, la voce calda e orrendamente rassicurante.
 
Gokudera deglutì perdurando il proprio silenzio, alzando appena lo sguardo verso i fuochi d’artificio che continuavano ad illuminare il cielo.
 
 
 
 
Lo schiamazzo della folla, ora, sembrava così distante che si confondeva a quello di qualche macchina che, raramente, attraversava la via. Yamamoto camminava davanti a lui, con quel suo passo lento e calmo che, tante volte, aveva volutamente affrettato per stargli dietro accompagnandolo a casa da scuola. Gokudera quasi si sorprese di quel pensiero improvviso più che per la sua natura, per il fatto che quello gli sembrasse, ormai, un tempo così lontano e dimenticato. Si stava talmente “abituando” all’idea di dover fare i conti con lo Yamamoto che aveva davanti che si era quasi scordato di come era quello che aveva conosciuto. Lo trovò triste e patetico.
 
- Siamo arrivati.- Gokudera alzò lo sguardo giusto in tempo per non andare a sbattere contro la schiena dell’altro che, improvvisamente, si era fermato davanti a lui. Per poco il cuore non gli si fermò nel petto.
 
Yamamoto aveva appena infilato la chiave nel piccolo cancello del suo cortile, che scattò con un suono metallico riecheggiando nella via silente.
 
-... Questa non è casa mia- Mormorò Gokudera con aria involontariamente spaventata.
 
- Certo che non lo è.- Rispose calmo Yamamoto -...Casa tua è dall’altra parte della città, e tu non ce la fai neanche a camminare.-
 
Anche quando si fece da parte, invitandolo ad entrare, Gokudera non si mosse: una mano sullo stomaco e l’altra abbandonata lungo il fianco, le gambe tremanti e la faccia distrutta. Immobile.
Yamamoto lo fissò per pochi secondi, con aria paziente e dispiaciuta per poi mordersi un labbro, abbassando lo sguardo.
 
- Gokudera, ti prego. Non ce la faresti ad arrivare a casa tua. Hai bisogno di riposare.-
 
- Ho fatto quello che volevi fino a qui, non ti basta?... Voglio andare a casa mia.- Rispose Gokudera con aria dolorante, tra un ansito stanco e l’altro. Si sentiva spossato, umiliato e distrutto. Voleva solo un po’ di pace. “Smetti di torturami” pensò “Ti prego, basta.”
 
Yamamoto continuò a fissarlo in silenzio, gli occhi castani un po’ più sgranati, in un misto di confusione ed incredulità. Lentamente si avvicinò a Gokudera che non riuscì a fare altro che abbassare lo sguardo, fissando l’asfaltò nero ed aspettando impotente il tocco dell’altro.
 
- Credi davvero che ti farei qualcosa, adesso…? Voglio solo che ti riposi un po’, non vedi che non ti reggi nemmeno in piedi?- Mormorò Yamamoto, abbassandosi appena per poterlo guardare negli occhi. -Voglio aiutarti, ti prego...-
 
Gokudera respirò a pieni polmoni, abbandonandosi al dolore alle costole e al sapore febbrile e ferroso che gli violava la bocca. Non riuscì a protestare in alcun modo, era troppo stanco, troppo provato… troppo sconfitto. Si limitò ad abbassare nuovamente il capo e, con uno sforzo notevole, costringersi a muovere i primi passi verso il cancello d’entrata.
 
 
 
 
Entrare di nuovo nella camera di Yamamoto gli fece più male del previsto, il ricordo di ciò che aveva fatto, del suo corpo nudo stretto in un angolo da quello dell’altro, non fece altro che aumentare la nausea che sentiva crescergli nelle viscere. La fatica immane che aveva fatto per salire i pochi gradini che dividevano la sala del ristorante dall’abitazione sembravano il giusto preludio al martirio che stava subendo stretto tra quelle quattro piccole mura. Yamamoto lo aveva lasciato per andare a prendere del disinfettante e lui si era lasciato cadere sul letto pregno del suo odore, si era vergognato di quanto il sollievo che aveva provato nel sedersi non fosse stato compromesso, neanche per un attimo, dall’odore di cui quelle lenzuola erano impregnate.
 
- Scusa se ti ho fatto aspettare...- Sussurrò Yamamoto, probabilmente per non svegliare il padre che, probabilmente, stava dormendo non molto lontano da lì. Chiuse la porta con cautela e si inginocchiò di fronte a lui, tra le mani aveva del cotone, qualche cerotto e del disinfettante.
 
- Non ti pare di esagerare?... Mi hanno picchiato, mica sono tornato dalla guerra.- Mugugnò Gokudera osservandolo aprire la piccola bottiglia verde.
 
- E’ chiaro che non ti sei guardato allo specchio...- Rispose l’altro con aria tranquilla, avvicinandogli al volto il cotone imbevuto; Gokudera si allontanò un poco da lui, impedendogli di toccarlo.
 
- Faccio da solo.- Disse solamente, togliendogli il cotone dalle mani e premendolo contro la guancia dolorante. Il bruciore fu più forte di quel che pensava, tanto che dovette sforzarsi per non gemere. Yamamoto lo fissava con gli occhi stretti ed un aria sofferente, come se stesse soffrendo anche lui per quell’improvviso bruciore, Gokudera lo trovò irritante e si costrinse a guardare altrove.
 
- Gokudera... davvero, faccio io... ci metto un secondo.-
 
- Non voglio il tuo aiuto!- Sbottò lui tornando a fissarlo, per poi afferrare qualche cerotto.
 
- Per favore, almeno... lascia che ti pulisca i tagli, non puoi farlo da solo.- Replicò l’altro, continuando a fissargli la faccia come se stesse cercando di trattenere il dissenso per quello che stava facendo.
 
Gokudera rimase in silenzio, l’unica cosa da cui non riusciva a distrarsi era il bruciore incessante dei tagli sulla propria faccia. Prima che potesse rispondere il alcun modo, Yamamoto allungò la mano verso la sua, prendendo il disinfettante in imbevendone un altro batuffolo di cotone. Fece tutto lentamente, come si fa con una animale in gabbia: con cautela e precisione, il che lo infastidì ancora di più.
 
Non appena le dita di Yamamoto si posarono sul suo volto un ondata di disgusto lo travolse, tanto che dovette distogliere nuovamente lo sguardo da lui; l’ultima volta che gli aveva toccato la faccia era stata proprio in quella stanza: addossato al muro, nudo come un verme e con tutto il peso del suo corpo addosso. L’umiliazione a quel ricordo fu tanta che Gokudera temette quasi di ricominciare a piangere.
 
Sentiva la ferita bollente pulsare come se sotto vi fosse il proprio cuore, ed ogni volta che Yamamoto la sfiorava col disinfettante il bruciore si alternava al sollievo della frescura. La pressione dei suoi polpastrelli sulla mascella era, tuttavia, tangibile e presente, e Gokudera non riuscì a provare gratitudine nemmeno per un secondo.
 
Yamamoto gli pulì anche il sangue rappreso sul mento prima di aprire un cerotto ed applicarglielo sulla guancia, Gokudera avvertì tutta l’attenzione e la cura che concentrò in quel gesto ma i sentimenti che provava in quel momento erano talmente tanti e di così forte intensità che, davvero, non riuscì a guardarlo nuovamente negli occhi.
 
- Ecco fatto.- Soggiunse infine - Sulle mani puoi fare da solo, fai attenzione però-  Quest’ultima raccomandazione irritò nuovamente Gokudera ma decise che era davvero troppo stanco per ricominciare una discussione.
 
Gokudera si disinfettò in fretta le nocche gonfie e spaccate, per poi coprire i tagli più grandi con qualche cerotto. A malincuore realizzò la differenza tra la sua medicazione sterile e frettolosa e quella, seppur sofferta per altri motivi, piacevole e refrigerante dell’altro. Yamamoto uscì di nuovo, portando con sé i medicinali e rientrando, pochi secondi dopo, con dei vestiti tra le braccia.
 
- E’ il tuo cambio.- Specificò allo sguardo timoroso dell’altro.
 
-… Devo davvero rimanere qui a dormire?- Domandò Gokudera in un mormorio mortificato, stringendo le coperte del letto tra i pugni.
 
- Credi davvero di farcela a farti più di un chilometro a piedi in quelle condizioni?- Domandò Yamamoto con voce inespressiva, porgendogli i vestiti.
 
- Sai che lo avrei fatto. Tutto pur di non stare qui.- Sbottò l’altro alzando improvvisamente gli occhi per fissarlo con astio.
 
Yamamoto tacque per un attimo, con ancora il cambio pulito tra le mani. Il volto impercettibilmente addolorato e le labbra contratte. Gokudera riuscì a bearsi, anche se di poco, di quanto ogni volta riuscisse a ferirlo in modo indelebile e di come la sofferenza che gli infliggeva trasparisse sul suo volto.
 
-… Lo so. È proprio perché lo avresti fatto che ti ho voluto far rimanere qui: saresti svenuto per strada piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno. Vai a vestirti ora, puoi usare il bagno.-
 
 
 
 
 
Si era cambiato più in fretta che poteva, ogni angolo di quella casa sembrava riportargli alla mente i ricordi di ciò che aveva fatto l’ultima volta che vi aveva messo piede, sentiva la vergogna e l’umiliazione in agguato dietro ogni angolo, pendere dalle travi del soffitto, affiorare dalle assi del pavimento. A mente fredda sapeva fosse ridicolo, ma c’era una vocina, da qualche parte, nella sua testa, che non faceva che mormorargli quanto Yamamoto avesse programmato ogni singola emozione che aveva provato da quando lo aveva trovato in quel maledetto vicolo.
 
Sembrava tutto così maledettamente e disgustosamente a suo favore: l’averlo aiutato, averlo ospitato, averlo curato, avergli offerto i propri vestiti e un tetto per la notte. Gokudera non riusciva a fare a meno di sentirsi contaminato, intrappolato in un gioco che non riusciva più a gestire. Si sentiva un bambolotto nelle se mani e, anche se sapeva che prima quella faccenda fosse iniziata, prima sarebbe anche giunta al termine, non riuscì a trovare conforto in alcun modo.
 
Anche o scoprire diversi lividi sulle costole e sulle braccia non sembrò muovergli alcun fastidio paragonabile al solo pensiero di dover tornare in quella stanza. Il solo indossare i vestiti che, sapeva, appartenenti a lui fu un umiliazione in grado di annodargli lo stomaco con una violenza tale che il pugno di poco prima gli sembrò una carezza. Sentiva il suo odore su tutto il corpo, emanato da ogni angolo di quella casa e ora anche da ogni porzione di se stesso.
 
Aveva attraversato velocemente il corridoio, rientrando in camera, aveva costretto ogni molecola del suo essere a non voltarsi verso le scale, la tentazione di scappare sarebbe stata insormontabile, come lo era la consapevolezza del fatto che, in quelle condizioni, non sarebbe riuscito a muovere che pochi passi prima di cedere alla stanchezza e al dolore del suo corpo. Ad attenderlo trovò un piccolo futon azzurro pallido, steso di fianco al letto, Yamamoto stava finendo di infilarsi una larga maglia sbiadita e Gokudera riuscì a scorgere la linea dei muscoli del suo stomaco, decisi e delineati, molto più di quello che credeva, il nodo allo stomaco si strinse ancora di più schiacciandolo sotto una nuova ondata di preoccupazione, si affrettò, tuttavia a distogliere lo sguardo e a sedersi sul futon, dandogli le spalle.
 
- No, dormi nel letto, ci dormo io in terra!- Mormorò l’altro avvicinandosi a lui, sporgendosi per riuscire a guardarlo in faccia.
 
- Non voglio la tua pietà.- Sibilò Gokudera, tirandosi le coperte fin sopra la spalla e chiudendo gli occhi, sperando di non ricevere risposta.
 
- Non è pietà, Gokudera…- Cominciò l’altro sfiorandogli una spalla.
 
Gokudera si tirò su di scatto, talmente in fretta che ogni singolo muscolo del suo addome sembrò cigolare, iniettandogli dolore liquido in ogni arto. Allontanò la mano dell’altro con gesto stizzito, mitigando ogni espressione di sofferenza dietro allo sguardo più scocciato e crudele di cui era capace.
 
- Qualsiasi cosa sia, io non la voglio!- Tagliò corto Gokudera seguitando a fissarlo.
 
Yamamoto lo fissò con quella sua aria ferita e malamente contenuta, mentre abbassava lo sguardo sulle coperte del futon. Lentamente si avviò verso l’interruttore e mormorò un - Ho capito…- prima di premerlo e far sprofondare la stanza nell’oscurità. Per un momento Gokudera si sentì terrorizzato: se gli avesse fatto qualcosa durante il sonno? Se avesse approfittato della situazione? Per un attimo pensò perfino di dire qualcosa in grado di placare ogni eventuale alterazione dell’altro, rimanendo seduto nel buio totale della camera. Lo sentì muoversi finché le coperte del letto non frusciarono sotto al suo peso.
 
- Buonanotte.- Mormorò prima del silenzio.
 
Gokudera rimase immobile per quelli che erano alcuni secondi ma che lui avvertì pesanti come ore, dopodiché, dubbioso se ritenersi rincuorato o più spaventato di prima, si sdraiò lentamente, poggiando la testa sul cuscino morbido, i muscoli cessarono di dolergli dopo poco e, al contrario di quello che credeva, si addormentò praticamente subito.
 
 
 
 
 
 
 
Fu un sonno tranquillo e senza sogni, un continuo susseguirsi di quieto dormire, fu come un lungo viaggio in una valle traboccante di nebbia e rugiada, circondato da quel buon profumo salato che gli aveva conciliato il sonno. Quando Gokudera aprì gli occhi avvertì i raggi tiepidi del sole mattutino sul volto, il corpo ancora caldo di sonno e, in bocca, il sapore pesante di chi ha dormito bene, senza mai svegliarsi. Furono i pochi attimi di pace e tepore, prima di realizzare dove si trovava e prima che i ricordi del giorno precedente lo destassero del tutto, costringendolo a scattare seduto. I muscoli gli bruciarono appena, tanto che nemmeno ci badò, troppo impegnato a cercare Yamamoto con lo sguardo. Il letto di fianco a lui era vuoto, e nella stanza non c’era nessuno.
 
Svelto si mise in piedi, scoprendosi ancora piacevolmente intorpidito dal sonno, tanto che dovette sfregarsi gli occhi più volte per scacciare la sensazione del tepore che ancora gli procurava chiuderli. La stanza era deliziosamente illuminata dal sole che filtrava le tende socchiuse della finestra, sopra la scrivania di fianco al letto, non si sentiva che il rumore di qualche passante e il tubare di alcune colombe; per un attimo la sensazione che Gokudera provò fu quasi quella di sentirsi a proprio agio, sensazione che venne subito spazzata via dal suo senso pratico e dalla rinnovata sorpresa di non essere ancora riuscito ad individuare Yamamoto. Senza pensarci troppo afferrò i suoi vestiti, a terra, di fianco al futon, aprì la porta e si diresse in bagno.
 
Ci mise poco a liberarsi del cambio che indossava, tanto più grande, per riappropriarsi nuovamente dei suoi vestiti, anche se indossarli non fu piacevole come credeva: non avevano un buon odore, e la camicia era ancora macchiata di sangue. Ma erano i suoi e tanto bastava a farlo stare meglio. Un rumore improvviso al piano di sotto, probabilmente stoviglie che cozzavano tra loro, lo convinse che Yamamoto doveva essere là. Storse la bocca, inasprito al solo pensiero di doverlo vedere a quell’ora di mattina ma, più stordito dal fatto che era, a conti fatti, riuscito ad addormentarsi e dormire di fianco a lui senza problemi, che non voglioso di andarsene, si diresse titubante verso le scale in fondo al corridoio. 
 
Appena mise piede sul primo gradino un odorino invitante di pesce e di erbe gli passò sotto al naso, ricordandogli, con uno spiacevole gorgoglio propria della pancia di sottofondo, che la sera prima, non aveva avuto la possibilità di mangiare nulla. Chiuse gli occhi, sforzandosi di ignorare il pensiero di quanto sarebbe stato piacevole mettere qualcosa sotto ai denti, poggiò il palmo sul corrimano di legno e, lentamente cominciò a scendere le scale. Ad ogni gradino avvertiva quel profumo invitante farsi sempre più tangibile, mentre di sottofondo l’invitante rumore sfrigolante dell’olio gli attorcigliava lo stomaco. Gokudera continuò a scendere, gradino dopo gradino, finché l’intera sala del ristorante non gli fu visibile. Non c’era nessuno. Al bancone c’erano due bicchieri fumanti e qualche piatto stracolmo di quella che si sarebbe potuta definire una colazione coi controfiocchi. Un’ultima occhiata alla sala vuota e Gokudera fu quasi sul punto di cominciare a correre verso la porta d’uscita, finché non lo sentì parlare alle sue spalle.
 
- Ah! Ti sei svegliato, stavo giusto venendo a chiamarti.-
 
In un attimo ogni sensazione piacevole che quel buon odore di prima colazione gli aveva portato dentro venne spazzato via dalla consapevolezza di essere nuovamente incastrato con le spalle al muro. Si voltò e lo vide, poco lontano da lui, mentre varcava il piccolo arco della cucina, alzando le tendine con un braccio e portando un nuovo piatto pieno di pesce nell’altro.
 
Gokudera rimase in silenzio, immobile, sulle scale. Gli occhi che squadravano ogni suo movimento, come se stesse ponderando se scendere, anche quell’ultimo maledetto gradino. Yamamoto, dal canto suo sembrò non notarlo, o si sforzò di rimanere impassibile, avviandosi semplicemente verso il bancone, posando il piatto di fianco agli altri e spostando uno dei due alti sgabelli con fare servile.
 
- Vieni?- Domandò sorridendo
 
Gokudera seguitò il suo silenzio, conscio di avere sul volto una maschera di stupore e fastidio, strinse con forza il corrimano, finché le nocche non gli sbiancarono, per poi distogliere lo sguardo da quello dell’altro ed abbassare la testa.
 
- Voglio andare a casa mia.- Mormorò, la voce ancora impastata dal sonno.
 
-… sì, capisco…-
 
Non alzò gli occhi, quindi non riuscì a vedere l’espressione di Yamamoto, ma il tono della sua voce gli bastò. Ogni lettera vibrava di sincera delusione. Il cuore di Gokudera non provò nulla. Non fece in tempo a muovere un passo che dalla cucina, improvvisamente, si levò un chiasso di stoviglie acciottolanti e di acqua corrente, che si andò ad unire a quello già vibrante dell’olio che friggeva.
 
- Takeshi, che fai lì impalato? Vai a chiamare il tuo amico, svelto. Il tè si raffredda!-
 
Riconobbe subito quella voce, l’aveva sentita spesso, e il tono gioviale era talmente simile a quello di Yamamoto -o meglio, a quello che Gokudera a stento ricordava- che era impossibile non riconoscerlo subito.
 
- È già sveglio, papà. Non ha molta fame, è meglio se lo accompagno a casa.- Rispose Yamamoto, arrossendo appena sulle guance e spostando velocemente gli occhi su Gokudera prima di rimettere lo sgabello al suo posto e voltare il capo verso la cucina.
 
In pochi secondi l’uomo fece capolino da dietro le tendine sottili, prima guardando il figlio, poi, dopo aver individuato Gokudera, immobile sulle scale, mutò l’espressione sorpresa in una incredibilmente corrucciata. La schiena di Gokudera venne attraversata da un brivido di fastidio: per un attimo il cambio repentino di espressioni sul volto di quell’uomo gli ricordò quello di Yamamoto, e sembrò appartenere ad un tempo che neanche rammentava più.
 
- Non dire sciocchezze, figliolo. La colazione è il pranzo più importante, non te l’ha mai detto nessuno? Ora siediti e goditi il mio pesce, non molti possono vantare un servizio simile.- Soggiunse l’uomo sorridendo con fare sibillino verso Gokudera per poi sparire nuovamente dietro le tendine.
 
Gokudera seguitò nella sua immobilità e nel suo silenzio attonito prima di spostare lo sguardo su Yamamoto che, semplicemente, gli sorrise con aria dispiaciuta.
 
Mentre dondolava nervoso i piedi, sotto lo sgabello, Gokudera ancora si stupiva del proprio silenzio e di come di era scoperto incapace di accampare una qualsiasi giustificazione o scusa; Aveva semplicemente sceso le scale e, dopo un ultimo sguardo confuso e stizzito a Yamamoto, aveva finito per sedersi davvero su quel maledetto sgabello. Yamamoto gli era seduto accanto e, da quanto la colazione aveva avuto inizio, non aveva sollevato gli occhi su di lui nemmeno una volta, li teneva bassi, sul pesce che continuava a tormentare con uno dei due bastoncini, mentre il rossore sulle sue guance non accennava a diminuire. Gokudera lo trovò irritante.
 
- Scusa.- Lo sentì mormorare ad un certo punto - Finita la colazione ti accompagno subito a casa.-
 
Gokudera fece quasi per rispondergli di quanto l’idea di averlo accanto ancora per molto gli sembrasse snervante e ridicola, senonché le tende vicine svolazzarono e suo padre entrò nella sala da pranzo, brandendo un ultimo piatto zeppo di salse più e meno dense e di altro pesce. L’uomo lo posò davanti a loro, per poi prendere posto dall’altro lato del bancone. Gokudera non ebbe nemmeno il tempo di soppesare l’imbarazzo che quella situazione gli provocava che subito l’uomo gli rivolse la parola.
 
- Ti hanno proprio dato un bel pugno, eh?- Domandò sfiorandosi una guancia con l’indice ancora sporco di alcuni chicchi di riso - E’ orrendamente simile a quello che mio figlio aveva pochi giorni fa, non saranno stati gli stessi teppisti, vero?-
 
Gokudera aveva sentito un brivido gelido percorrergli la schiena ad ogni nuova sillaba pronunciata da quell’uomo, ma non fu necessario nemmeno pensare ad una risposta poiché l’improvviso rumore strozzato ed il conseguente colpo di tosse di Yamamoto lo fecero sobbalzare. Con sottofondo di un allegro rimprovero dell’uomo su quanto suo figlio fosse incapace di masticare lentamente, Gokudera ebbe il tempo di meravigliarsi di quello che aveva sentito; a quanto pare Yamamoto aveva raccontato al padre che il pugno infertogli da lui era stato opera di alcuni teppisti. Non riusciva a capacitarsi del motivo per cui aveva dovuto fare una cosa tanto idiota.
 
Forse, pensò, raccontare che “l’amichetto” - altro brivido gelido lungo la schiena - che aveva in programma di trascinarsi a casa tutti i giorni gli metteva pure le mani addosso non era sembrata una buona idea. Scemo sì, ma non così tanto. Per l’ennesima volta si sentì come in trappola, mentre il cibo che aveva davanti a sé aveva perso metà della sua iniziale attrattiva.
 
- Takeshi!- Sbottò improvvisamente quello - Avresti almeno potuto prestargli un cambio!-
 
Yamamoto rimase per un attimo in silenzio, per poi voltarsi verso Gokudera e squadrargli la macchia scura sulla camicia, riuscì a balbettare qualcosa simile ad un - sì… scusami…- prima di arrossire ancora di più. Gokudera riuscì a stento a trattenersi dal non squadrarlo con la sua solita espressione contesa tra la meraviglia e l’atterrimento. Anche prima che quell’incubo iniziasse non rammentava di aver mai visto Yamamoto in difficoltà, neanche quando gli si era dichiarato mormorandogli all’orecchio quelle oscenità senza capo né coda le sue guance si erano mai tinte di tutto quell’imbarazzo. Si stupì di quanto potesse ancora trovarlo irritante e fastidioso. Una sensazione che, mista ad una piccola stretta allo stomaco, gli ricordò in modo fastidiosamente piacevole come era stare con il “vecchio Yamamoto”, quello che aveva perso quella maledetta sera.
 
- Non è necessario, tanto me ne vado subito.- Rispose calmo Gokudera, ultimo tentativo di smettere di pensare a cose ridicole.
 
- Almeno portati via un po’ di cibo, non hai mangiato quasi nulla…- Disse l’uomo indicandogli il suo piatto vuoto solo per metà.
 
Gokudera non ebbe il tempo di rispondere che il più grande fece un cenno amichevole al figlio che si alzò, con un sorriso mesto ed imbarazzato sul volto, afferrò qualche piatto sul bancone per poi sparire in cucina.
 
- … n-non è necessario, io…- Cominciò Gokudera rivolgendosi all’uomo davanti a lui.
 
- Oh, sì che lo è! Non preoccuparti, è andato a prepararti un po’ di cose da portare con te. Lo faccio con piacere!- Aggiunse all’ennesimo tentativo di protesta confusa che Gokudera tentò.
 
Non gli piaceva quell’uomo, lo metteva in costante soggezione ed imbarazzo, per non parlare del fatto che somigliava in modo impressionante al figlio. Aveva i modi di fare tipicamente gentili e cortesi che Gokudera apprezzava ma non sapeva mai come ricambiare, anche se si trattava semplicemente di provare gratitudine. Aveva sempre imparato a cavarsela da solo, fin da quando aveva potuto e tutta quella disponibilità gratuita non la comprendeva e lo metteva a disagio. Inoltre aveva il costante sentore che quella persona non avesse la minima idea di quale fosse il rapporto che legava lui a suo figlio, ragion per cui si sentiva ancor più pieno di vergogna.
 
- Takeshi mi ha parlato tantissimo di te.-
 
A quelle parole Gokudera alzò lo sguardo per incontrare gli occhi gentili color nocciola, contornati di morbide rughe, dell’uomo, vi lesse dentro infinita simpatia e cordialità e non seppe fare altro che abbassare nuovamente il capo, con quel nodo nello stomaco che si strinse un po’ di più.
 
- Ogni volta che torna da scuola non fa altro che dirmi “Papà, Gokudera ha fatto, Gokudera ha detto…” vuole veramente bene a te e a Tsuna. E io vi sono molto grato, sebbene la vita di Takeshi non sia stata tutta rosa e fiori, lui non ha mai avuto problemi a farsi delle amicizie, essendo un ragazzo vivace ed allegro avvicina tutti senza difficoltà,  ma quello che lega voi tre è qualcosa di diverso, molto profondo. È amicizia vera. E io non ho mai visto mio figlio tanto felice come quando sta con voi due.-
 
Ad ogni nuova parola pronunciata da quell’uomo, col suo sorriso gentile e le mani ancora sporche del riso che aveva mangiato, Gokudera avvertì il nodo nel suo stomaco stringersi sempre di più, fino a risalirgli in gola. Avrebbe davvero voluto che Yamamoto avesse sentito ogni sua parola, per osservare il senso di colpa trasparire sul suo volto come ogni volta che lo insultava. Che razza di maschera indossava perfino davanti a suo padre!? Sentì il desiderio di raccontare a quell’uomo ogni singola cosa disgustosa che il figlio gli aveva detto, ogni parola del ricatto che gli aveva avanzato, non tanto per disilluderlo, tanto per costringerlo a fare i conti con la realtà: suo figlio non meritava nessuna nota di dolcezza con cui suo padre aveva infiorettato ogni parola di quel discorso. Un padre così devoto e fiducioso tradito sotto ogni aspetto; Gokudera si sentì incredibilmente abbattuto da quell’ingiustizia.
 
Gokudera alzò finalmente gli occhi, più che per un vero desiderio di farlo, per un bisogno di fare qualcosa che lo distraesse dal suo desiderio di scappare a gambe levate da quel posto. Cercò di non incontrare quelli dell’uomo, ancora sorridente davanti a lui, e nel farlo, il suo sguardo si posò su una fotografia alle spalle di quest’ultimo. Era una bella fotografia, semplice e pulita, rinchiusa in una cornice luccicante, color mogano, il volto di una bella donna gli sorrideva, imprigionata in pochi colori tenui e delicati, ed il suo sorriso gentile era risaltato dal tenue sfondo azzurro.
 
- È bella, eh?-
 
La voce divertita dell’uomo lo riportò improvvisamente alla realtà. Questo gli sorrideva, indicando con un cenno del capo la fotografia alle sue spalle. Gokudera spostò nuovamente lo sguardo dall’uomo alla donna della foto, per poi arrossire nuovamente, abbassando di nuovo il capo. Il padre di Yamamoto sghignazzò divertito prima di togliere le mani dal bancone e voltarsi per guardare la foto.
 
- Questa signora è mia moglie. La madre di Takeshi.- Concluse con una nota malinconica nella voce; ma Gokudera pensò fosse stata solo un’impressione dato che, voltandosi nuovamente verso di lui, il suo sorriso era più smagliante che mai.
 
-...mh, sì. È… molto bella.- Accordò Gokudera sentendo le guance riempirsi di calore, rendendosi conto, solo allora, che probabilmente quello era il primo complimento  espresso a voce alta sull’aspetto di qualcuno, da che ne avesse memoria. E la cosa che lo stupì più di tutto fu che il fatto che quella donna fosse la madre di Yamamoto non lo disturbò minimamente. Ed il sorriso soddisfatto con cui l’uomo lo accolse lenì, anche se di poco, l’angoscia che aveva accumulato alla bocca dello stomaco.
 
 
 
 
Yamamoto era rientrato pochi secondi dopo, tra le braccia aveva vassoi impacchettati in due buste di plastica. L’uomo lo aveva salutato gioviale, rinnovando mille inviti perché tornasse il prima possibile, Gokudera fu incapace di rispondere, ma annuì con un mezzo sorriso, le gote ancora arrossate e Yamamoto di fianco a lui, che lo fissava come incantato.
 
- Dovresti assomigliare di più a tuo padre!- Disse improvvisamente sulla soglia del ristorante, l’uomo oramai incapace di sentirli e i rumori della strada più vivi che mai.
 
- Mi fa piacere che ti sia simpatico. Forse parla un po’ troppo…- Sorrise Yamamoto porgendogli i sacchetti, sfiorandogli per un attimo il dorso della mano con la propria.
 
- Beh, non sembra il tipo che ricatta qualcuno in cambio di cose disgustose…- Rispose semplicemente Gokudera allontanando le mani dalle sue ed osservando il sorriso dell’altro congelarsi sul suo viso e scemare appena, in modo impercettibile.
 
-… no, lui… non è il tipo.- Accordò semplicemente Yamamoto stringendo appena le labbra ed abbassando il tono della voce.
 
Gokudera fece per incamminarsi ma la voce di Yamamoto lo trattenne.
 
- Mi ha fatto piacere che tu… sia rimasto…- Ogni parola gli sembrò incerta e tentennante e Gokudera sospirò stizzito, ancora nelle orecchie le parole zuccherose che l’uomo aveva riservato a suo figlio. Lentamente si voltò verso di lui, sentì la guancia pulsargli appena, tesa dalla mascella che si induriva.
 
- Ringrazia tuo padre per il pesce.- Sibilò in un sussurro freddo e sterile prima di incamminarsi di nuovo. Un ultimo sguardo abbattuto di Yamamoto impresso negli occhi, prima di concentrarsi sulla strada davanti a lui.
 
 
 
Non erano trascorsi che pochi giorni dalla sera dei fuochi d’artificio, giorni in cui Gokudera non aveva fatto altro che fissare il proprio telefono con insistenza, combattuto tra la solita preoccupazione per una chiamata improvvisa di Yamamoto e il desiderio impellente di telefonare a Decimo per scusarsi nuovamente. Aveva pensato a qualsiasi giustificazione, dalla più probabile alla più assurda per scusare il suo comportamento di quella sera, ma ogni parola che macinava sembrava priva di significato davanti al senso di costernazione che lo attanagliava ripensando all’espressione delusa del proprio boss. Non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro nel piccolo salotto, accendendosi una sigaretta dopo l’altra, fissando lo schermo del proprio cellulare, poggiato sul tavolino davanti al minuscolo divano, perdurare nell’immobilità e nel silenzio. Di fianco ad esso, i piatti che il padre di Yamamoto gli aveva preparato, puliti e nuovamente imbustati. Gokudera quasi si meravigliò della grottesca ironia di quel quadretto: il suo disagio più grande ancora un volta inscindibile da quello che lui sentiva di volere veramente.
 
Dopo poche ore Gokudera sentì ogni buona volontà venir meno, attanagliato dal terrore di un rifiuto del Decimo riuscì solamente ad aver chiaro, all’interno della sua mente, che l’unica cosa che gli sembrava sensata era recarsi a casa sua e cercare di giustificarsi come meglio poteva; confidava nel buon cuore del proprio boss, e più che nella compassione, sperava in una sua magnanima presa di coscienza. Fece un ultima veloce attraversata del salotto, prima di togliersi la sigaretta di bocca e premerla sul fondo del posacenere traboccante, dove si estinse dopo un’ultima scia di fumo denso. Afferrò il cellulare e lanciò un’ultima occhiata dubbiosa ai piatti sul tavolino, per quanto quell’uomo gli avesse dimostrato gentilezza il suo pensiero principale in quel momento era la riappacificazione con Decimo, per Yamamoto c’era, purtroppo, sempre tempo e presto o tardi sarebbe comunque stato costretto a farvi i conti. Uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Il sole cominciava ad essere meno bollente, in quei giorni che preannunciavano l’inizio della fine della bella stagione, uscire di pomeriggio non era più un calvario e perfino l’umidità sembrava essere diminuita. Nonostante ciò, Gokudera, non fu in grado di godersi quella lieve frescura nemmeno per un secondo: ogni passo verso la casa di Decimo era pesante e faticoso come se alle caviglie avesse attaccati dei pesi e ogni grammo della sicurezza con cui era uscito di casa sembrava diminuire ad ogni nuova porzione d’asfalto.
 
Non ebbe il tempo di preoccuparsene troppo, poiché, quasi qualcuno l’avesse spostata, con tanto di fondamenta e giardino compresi, si ritrovò davanti alla casa di Decimo dopo pochi minuti. L’ansia lo assalì dopo poco, e quando raggiunse il basso muretto di cinta, sfiorandone la calce con le dita sentì pure il bisogno di respirare a pieni polmoni. Negli ultimi tempi cominciava a fidarsi poco anche di se stesso, ragion per cui, prima di farsi assalire da pensieri inutili e ancor più difficoltosi, svelto, premette il campanello. Passarono davvero pochi secondi prima che una voce, gentile ma metallica, gli rispondesse.
 
- Chi è?-
 
La bocca gli sembrò completamente asciutta e balbettò un paio di volte prima di udire finalmente la voce abbandonare il nodo nella propria gola.
 
- Sono Gokudera, signora…-
 
- Oh! Gokudera! Aspetta che ti apro subito.-
 
Lo scatto metallico del cancello che seguì appena qualche secondo dopo trasmise a Gokudera una strana scarica di adrenalina, alla quale seguì l’accelerazione del proprio battito cardiaco e quel suo fastidioso vizio di stringere la mascella fino a sentir male. Immediatamente spinse il piccolo cancello, per poi attraversarlo e chiuderselo alle spalle; il vialetto non gli era mai parso più lungo, e la velocità con cui mise un piede davanti all’altro gli parve ridicolmente accelerata: si sentiva impacciato, imbarazzato ma stranamente ansioso, qualche brivido caldo gli attraversò le braccia accapponandogli la pelle, per poi tuffarsi all’interno dello strano vortice fastidioso che imperversava all’altezza della pancia.
 
Appena giunto davanti alla porta di casa non fece nemmeno in tempo a pensare a una delle mille cose che aveva in mente di dire, che quella scattò. Gokudera chiuse un’ultima volta gli occhi, traendo un respiro profondo che gli attenuò di poco il dolorino tiepido e fastidioso alla bocca dello stomaco, la porta si aprì.
 
Non fece nemmeno in tempo a preparare il solito sorriso con cui accoglieva sempre Decimo, i muscoli della faccia gli si congelarono prima che il cervello potesse, a tutti gli effetti, realizzare chi aveva di fronte. Il solito sorriso mesto, il solito livido sulla guancia, i soliti capelli neri e spettinati, la solita irritante altezza che lo sovrastava, era tutto normale, tranne per il fatto che fosse lì.
 
-… ciao.- Disse Yamamoto, semplicemente. Il tono calmo come fosse consapevole dell’irritazione che gli provocava e del fatto che non poteva farci nulla.
 
- Che… cazzo ci fai qui?- Riuscì a mormorare Gokudera mentre avvertiva il petto riempirglisi di sincera rassegnazione mista a dispetto.
 
Prima che Yamamoto potesse dire nulla, un rumore alle sue spalle lo fece voltare e di fianco a lui spuntò il sorriso gentile, anche se un po’ malinconico, del Decimo.
 
- Ciao Gokudera.- Salutò con aria imbarazzata
 
Gokudera non riuscì a rispondere nulla, ogni frase che si era preparato, ogni parola che aveva ripetuto fino allo sfinimento prima di uscire e durante la strada era scomparsa dal suo cervello, riuscì solamente a spostare lo sguardo repentinamente da Yamamoto a Decimo, da Decimo a Yamamoto, mentre la bocca gli si muoveva senza emettere alcun suono. Al posto dell’irritazione e dell’ansia, una sincera e totale confusione gli ottenebrava la mente.
 
-… Scusa se non ti ho chiamato prima.- Cominciò allora Decimo, facendosi avanti dopo che Yamamoto si spostò appena per farlo passare. - Ero in imbarazzo e non sapevo se fosse giusto disturbarti. Scusami per l’altra sera io…- Il suo sguardo cambiò improvvisamente, le piccole sopracciglia di avvicinarono come in uno sforzo di concentrazione, mentre, piegandosi leggermente in avanti, avvicinò il suo volto a quello di Gokudera che sentì le guance accalorarsi improvvisamente. -… che hai fatto alla guancia?-
 
A Gokudera ci vollero diversi secondi per analizzare la situazione: prima si sentì rincuorato per il gentile sorriso del proprio boss, poi ancora una volta dispiaciuto per averlo fatto preoccupare ed ansioso di tranquillizzarlo su quanto non avesse commesso alcun errore - la colpa era solo sua, poi la mente gli tornò confusa non appena il suo volto gli fu improvvisamente vicino, per poi realizzare che ciò a cui si stava riferendo non era nient’altro che il livido violaceo sulla propria guancia.
 
Si portò la mano allo zigomo, per poi balbettare qualche sillaba confusa. Non poteva certo raccontargli cos’era accaduto, lo avrebbe sicuramente fatto preoccupare e, ora che la riappacificazione gli era sembrata così vicina non poteva permettersi alcuno strafalcione, ma le scuse che gli venivano in mente sembravano talmente ridicole, ed il tempo stava passando così in fretta… lo sguardo di Tsuna si ottenebrò per un attimo.
 
- Hai fatto di nuovo a botte con qualcuno?- La sua voce era imbottita di delusione e sincera curiosità ed i suoi occhi erano grandi e riflettevano l’ansia che gli ricordò orribilmente quella che gli aveva rabbuiato il volto quella sera.
 
- N-no io…- Gokudera riuscì solo a balbettare qualcosa di confuso mentre la testa cominciava a dolergli nel tentativo di accampare qualche scusa. Stava quasi per rinunciare, tacere ed abbassare il capo colpevole quando fu Yamamoto a parlare.
 
- È colpa mia.-
 
Tsuna e Gokudera si voltarono entrambi verso di lui, entrambi con la stessa sorpresa negli occhi. Yamamoto sbatté le palpebre un paio di volte, con aria altrettanto stupita, come se non avesse idea del perché avesse pronunciato quelle parole, un ultimo sguardo verso Gokudera per poi sorridere con aria allegra e posare una mano sulla spalla di Tsuna.
 
- Dopo che vi siete separati è venuto a cercarmi… ha girato un bel po’ prima di trovarmi e io…- Yamamoto si bloccò, come se non riuscisse a trovare le parole, lanciò uno sguardo al di sopra della spalla di Tsuna, verso un Gokudera che lo stava fissando con la stessa aria incuriosita ed attonita di quando aveva parlato la prima volta.
 
-… mi sentivo poco bene. Gokudera mi ha accompagnato a casa ma… io sono inciampato e l’ho fatto cadere. È colpa mia.- Ogni parola malamente attaccata a quella precedente, la voce tremante e il sorriso che traballava come sul punto di infrangersi. Gli occhi immobili sul volto di Gokudera, lo aveva fissato per tutto il breve tempo che gli era stato utile per accampare quella scusa debole e fragile.
 
Gokudera non fu capace di aggiungere nulla, esattamente come si scoprì incapace di distogliere lo sguardo quello di Yamamoto, almeno finché non avvertì quello del Decimo su di sé. Lo fissava con aria sorpresa, come in attesa di una conferma non richiesta.
 
- Sì, è… andata così.- Concluse Gokudera alzando nuovamente lo sguardo sul volto di Yamamoto, che gli sorrise appena, con quel sorriso che Gokudera non vedeva da così tanto tempo. Un sorriso divertito e complice, dolce e caldo che gli face scoprire d’aver dimenticato l’ultima volta cin cui l’aveva visto. Sentì un calore al petto, debole ed impercettibile, che si infranse nel momento in cui distolse nuovamente lo sguardo da lui.
 
- Ti fa male?- Chiese Decimo con aria preoccupata, dopo pochi secondi di silenzio che aveva ancora il sapore del dubbio.
 
Gokudera arrossì appena a quelle attenzioni, scuotendo il capo e beandosi del sorriso sollevato del proprio boss, sorridendogli a sua volta, mentre il calore prendeva di nuovo vita all’interno del suo petto, scaldandolo. Alzò un ultima volta gli occhi, appena in tempo per scorgere il sorriso di Yamamoto svanire completamente da suo volto, sostituito da quell’espressione colma di tristezza e dispiacere mal trattenuti.
 
- Tsuna, io devo andare adesso, sono già in ritardo.- Mormorò Yamamoto, con un nuovo sorriso, terribilmente mal costruito ma che, in Decimo, non sembrò sollevare il minimo dubbio.
 
- Va bene, grazie di avermi aiutato con gli ultimi compiti!- Rispose Decimo regalando anche a lui il solito, bellissimo, sorriso gentile.
 
Gokudera rimase immobile, anche quando Yamamoto lo superò mormorandogli un - ciao- con quel tono imbarazzante e fastidiosamente intimo. Ma né quello, né la mano con cui gli sfiorò la spalla sembrarono destargli traccia del solito disturbante disgusto che lo attanagliava ogni volta che lo aveva vicino. Gokudera, solo per un attimo, ebbe l’impressione di star provando imbarazzo verso se stesso. Non seppe perché, né con quale forza riuscì a farlo, ma le parole gli uscirono di bocca e le gambe gli si mossero da sole, con molta più facilità di quando aveva cercato una scusa, solo pochi attimi prima.
 
- Torno subito, Decimo. Aspettate un momento.-
 
Si voltò ed attraversò il vialetto con passi svelti e sicuri, aprì il cancello, lasciandoselo appena accostato alle spalle. Si guardò intorno fino a scorgere la figura alta di Yamamoto che camminava, poco lontano da lui; con ancora il cuore agitato ed approfittando della mente confusa, gli andò dietro, correndo per quella poca distanza che li separava. Forse udendo il rumore agitato di passi alle sue spalle, Yamamoto si voltò, regalandogli un’espressione sorpresa ed attonita.
 
- Gokudera…?- Le guance gli si imporporarono appena, come qualche giorno prima nel ristorante di suo padre. Gokudera si fermò davanti a lui, con sicurezza ritrovata, si schiarì la voce e poi parlò.
 
- Perché?- Il tono duro dal quale traspariva l’urgenza di una risposta. Yamamoto sembrò non comprendere, mentre seguitava a fissarlo con quell’espressione stupita e curiosa che gli ricordò quanto la considerasse stupida in quel tempo dimenticato, prima che tutto quello cominciasse.
 
- Perché hai detto al Decimo che è stata colpa tua?... Avresti potuto dirgli la verità, lui mi avrebbe odiato, mi avrebbe compatito… e tu… avresti potuto…- Le parole gli morirono in gola.
 
Solo poco tempo addietro, se gli avessero detto che lui avrebbe chiesto spiegazioni, sinceramente incuriosito da un comportamento di Yamamoto, non solo non ci avrebbe creduto ma avrebbe sicuramente fatto esplodere qualcosa a causa dell’irritazione che gli avrebbe procurato la domanda. Non gli erano mai importati i motivi che spingevano Yamamoto a comportarsi come si comportava dato che, la prima ed unica volta in cui gli aveva chiesto spiegazioni, si era ritrovato trascinato in una serie di eventi che voleva solo dimenticare. Le gambe gli si erano semplicemente mosse da sole, e la voce gli era uscita incontrollata e nemmeno troppo sicura.
 
Il tono con cui gli aveva fatto quelle domande era arrabbiato e trasudava una curiosità tra il ferito e l’incomprensione. Non si era nemmeno preoccupato di parlare troppo piano, una disattenzione che solo poche ore prima avrebbe reputato imperdonabile. L’espressione di Yamamoto era mutata di nuovo: non più sinceramente attonita, ma rilassata e seria, come se, in qualche modo , non fosse stupito da ciò che Gokudera gli aveva chiesto.
 
- Io non voglio che Tsuna ti odi.- Mormorò come se fosse ovvio -… e non voglio che tu odi me.-
 
A queste parole l’irritazione che sembrava aver abbandonato Gokudera, riavvampò flebile in quel luogo nascosto all’interno di se stesso.
 
- Alla fine sono comunque più egoista di quanto non sembri. C’è sempre un secondo fine, eh?- Aggiunse Yamamoto abbassando lo sguardo, addolorato.
 
Gokudera non capiva, davvero non capiva, non solo le azioni che lo spingevano a comportarsi a quel modo, a dire quello che diceva, ma anche il fatto che sembrava, costantemente comportarsi e dire cose che poi sembravano finire, comunque, per ferirlo. L’irritazione crebbe ancora di più, Gokudera gli si avvicinò ancora un po’ giusto per potergli sibilare, a denti stretti, il suo disappunto e la sua rabbia.
 
- “Non vuoi che io ti odi”!? Beh… avresti potuto pensarci prima, non ti pare!?
 
Yamamoto abbassò ancora lo sguardo, tanto che Gokudera, per un momento, non riuscì a scorgere nulla della sua espressione. Quando alzò di nuovo il volto fu per prendere un lungo respiro e tacere ancora pochi secondi, prima di schiarirsi sonoramente la gola, con la voce che sembrava tremargli.
 
- Ti ricordi quando ti telefonai quel pomeriggio? Quella volta in cui ti facesti tutta la strada di corsa, come se l’arrivare in ritardo di anche solo qualche secondo potesse costarti la vita…?-
 
Gokudera non ripose. Non ve ne era il bisogno. Sapeva che la sua domanda era retorica: come avrebbe potuto dimenticare quel giorno? Il giorno in cui si era reso ridicolo davanti a se stesso e alla persona che più disprezzava al mondo. Yamamoto tacque qualche secondo, giusto per prendere un nuovo sospiro e continuare.
 
- Quando sei entrato nel ristorante, quella volta… avevi appena cinque minuti di ritardo ma le gambe ti tremavano per quanto avevi corso, non avevi neanche la forza per respirare né per bere dell’acqua, eri madido e tremavi dalla testa ai piedi… e la tua espressione… Dio, la tua espressione. Eri terrorizzato.- Non aveva alzato gli occhi su di lui nemmeno una volta e Gokudera gli fu grato perché il solo sentirne parlare era un’umiliazione ancora troppo grande.
 
-… Non voglio farti paura Gokudera! Sei terrorizzato da me… e io non lo sopporto. È orribile.-
 
“Sai quello che devi fare!” Avrebbe voluto urlargli “Finiamola con questa cosa e che tutto torni come era prima!” Sentiva la gola bruciargli per l’impellenza di urlarglielo,  ma non lo fece. Sapeva che sarebbe stato inutile. Anche quando Yamamoto avesse accettato, cosa che riteneva impossibile, nulla sarebbe tornato mai come prima. Yamamoto lo guardò per un attimo prima di riabbassare lo sguardo e nascondersi la faccia dietro la mano.
 
-… Non volevo che fosse così, perdonami…- Sussurrò, la voce senza suono e le mani che tremavano.
 
Gli si avvicinò ancora, fin quando non furono distanti che pochi centimetri. Gokudera non provò nulla, né compassione, né dispiacere, né irritazione. Nulla. Rimase semplicemente immobile, con espressione vuota davanti a lui. Anche quando avvertì la sua mano stringergli il bordo della manica non si mosse.
 
- Non avere paura di me, ti prego.- Mormorò di nuovo, stringendogli la manica ancora più forte.
 
Passarono pochi secondi in cui sembrò che i rumori attorno a loro si attenuassero improvvisamente: le cicale non facevano alcun rumore, così come i pochi passanti che non li avevano degnati di uno sguardo, o i pochi portelloni dei negozi che si erano abbassati.
 
- Lasciami, devo tornare indietro.- Disse Gokudera, la voce poco più espressiva del volto, da cui trasparì una minima traccia di imbarazzo ed urgenza.
 
Yamamoto non rispose, si limitò a far scivolare, lentamente, il tessuto della sua manica tra le proprie dita che non avevano smesso di tremare nemmeno per un secondo. Si accarezzò la nuca con una mano, l’espressione inconfondibilmente delusa. Gokudera non lo degnò di uno sguardo nemmeno prima di voltarsi e ricominciare a camminare verso casa di Decimo.
 
Sentiva qualcosa di pesante nel petto, era fastidioso, sì, ma non era né rabbia né irritazione… era come un desiderio per lenire l’incompiutezza che sembrava averli avvolti da quando Yamamoto aveva cominciato a parlare. Non si sentiva in pena per lui, era comunque arrabbiato, sapeva, nel profondo di se stesso, di essere ancora terribilmente arrabbiato con lui, per quella situazione, per quello che gli diceva, per quello che sembrava sfuggirgli senza sosta, quello che gli sembrava impossibile comprendere. Per l’ennesima volta le gambe gli si mossero da sole, facendolo voltare verso Yamamoto, che ancora, immobile, lo fissava allontanarsi.
 
- Ci vediamo a scuola…- Disse semplicemente Gokudera, prima di cominciare a correre, raggiungendo il cancello di casa Sawada e chiuderselo alle spalle, sparendo alla vista dell’altro.
 
Yamamoto sentì gli occhi bruciargli appena, e una sensazione dolorosa ma deliziosamente piacevole farsi strada nel suo stomaco. La guancia ferita gli fece male, e solo allora si rese conto di star sorridendo come uno stupido.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non ci credete, eh? Dite la verità! ;D
No, non è uno scherzo ho veramente aggiornato improvvisamente e tra gli aggiornamenti non v’è stata alcuna rivoluzione civile, né cambiamento di stagione! In realtà i motivi del mio veloce aggiornamento credo siano pochi e semplici: i problemi di salute che mi hanno costretta in casa, e quindi davanti al pc (la febbre a 38 a fine luglio non la raccomando manco al mio peggior nemico), la mini scalettina con gli avvenimenti che mi ero preparata e il fatto che in questo capitolo ci sono più dialoghi che nei precedenti, e quindi meno descrizioni o introspezioni *_* Vedete bene che non c’è alcuna magia. Non vi prometto alcun aggiornamento altrettanto veloce, anche perché non credo di aver MAI aggiornato una fan fic in così poco tempo. Ma ringrazio principalmente tutte le bellissime recensioni che mi avete lasciato! Vi amo tutti <3
 
Le mie considerazioni sul capitolo sono poche:
Finalmente c’è aria di cambiamento, non sarà improvviso perché ci tengo sempre a sviluppare una storia in modo realistico, ma diciamo che il rapporto tra Yamamoto e Gokudera cambierà un po’ da adesso in poi.
Il padre di Yamamoto:… io amo quell’uomo! Non avendo avuto occasione di approfondirlo troppo nel manga (alla fine si sa solo che è una brava persona) mi sono presa un po’ di libertà, l’ho sviluppato secondo la MIA immaginazione: ossia un bravo papà attento e coscienzioso, perdonatemi se non coincide con il vostro immaginario, ma mi farebbe piacere una vostra opinione in merito!
La mamma di Yamamoto: allora, allora, allora… io odio e sottolineo “ODIO” gestire personaggi che non sono presenti nell’opera originale,  la mamma di Yamamoto è praticamente un mezzo OOC, dato che anche nel manga non c’è nessun accenno alla sua persona; solitamente non scrivo di questi caratteri poiché ho il terrore di avere a che fare con i passati dei personaggi non ancora narrati proprio perché ho paura che vengano, in futuro, a cazzotti con quella che è la loro storia in realtà. Ora… visto che il manga è finito e non rischio di essere “sbugiardata” né di essere messa in difficoltà dalle nuove, geniali invenzioni di Amano-sensei ho deciso di buttarmi. L’ho fatto senza alcuna pretesa, ma siccome la figura della mamma di Yamamoto mi servirà anche nel prossimo capitolo, temo che incorrerete in fatti ed avvenimenti passati completamente inventati da me! Odio fare queste cose… mi sento sempre in soggezione, come entrare senza permesso in casa di un altro! XD
Mi auguro, comunque, di fare un buon lavoro e, soprattutto, mi auguro che quello che scriverò vi piaccia!
Poi… che altro? Ah, sì: Yamamoto in questo capitolo mi ha fatto molta tenerezza ;_;
“Forza Yamamoto-chan, siamo tutti con te! <3”
 
Le note giungono dunque al loro termine, spero in un vostro gentile commento e vi auguro un buon proseguimento di vacanze! 

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Capitolo 10
*** Nuovo Inizio e Opacità ***


Nuovo inizio ed opacità 
 

La mattina del primo giorno di scuola, Gokudera, si svegliò qualche minuto prima del suono della sveglia; prestando ascolto, concentrandosi nel silenzio della sua stanza, riuscì ad udire il suono familiare dei bandoni dei negozi che si alzavano e le voci di studenti, meno fortunati di lui, che erano già in cammino per entrare puntuali, costretti ad un risveglio ben più mattiniero del suo. Si sentiva il corpo ancora piacevolmente caldo di sonno ma si scoprì abbastanza sveglio da riuscire ad alzarsi senza la solita, troppa, fatica che contraddistingueva tutte le mattine dei suoi giorni scolastici.
 
Camminò, lentamente, verso la cucina, strascicando i piedi nudi sulle mattonelle fresche, aprì il frigo minuscolo e si verso una tazza di latte, accendendo con fare distratto la televisione. Solo poco tempo addietro, appena pochi giorni, si sarebbe immaginato tremendamente nervoso nel dover ricominciare la solita routine, non tanto per problemi scolastici ,ovviamente, quanto per la preoccupazione impellente ed insopportabile di dover vedere Yamamoto. Ogni singolo giorno.
 
Si portò la tazza alle labbra, l’interno della bocca gli fremette a contatto con il latte freddo, fu solo un attimo, ma fu come se un’improvvisa consapevolezza lo avesse travolto, invadendolo lentamente: tranquillità. Gokudera si sentiva tranquillo.
 
C’era, in effetti, un vago nervosismo di sottofondo, uno strano sapore, in fondo al suo stomaco, che gli suggeriva preoccupazione e sconforto, ma il suo corpo sembrava deciso ad ignorarlo. Cercò di riesaminare intensamente a tutto ciò che il solo pensare a Yamamoto gli aveva comportato fino a quel momento, mentre le immagini luccicanti di una pubblicità gli passarono sotto gli occhi, inosservate; avvertiva un leggero fastidio, la rabbia non lo aveva abbandonato, ma scoprì che la sensazione che aveva provato l’ultima volta che lo aveva visto aveva avvolto tutte le altre in un involucro di opaca indifferenza. Yamamoto lo aveva pregato con gli occhi lucidi, stringendogli una manica con le mani tremanti, di non avere paura di lui.
 
Gokudera si era sentito inizialmente innervosito e fremente di rabbia: non aveva alcun diritto di sentirsi triste o in difficoltà, non aveva alcun diritto di chiedergli favori né di atteggiarsi a colui che stava male, il bravo ragazzo in difficoltà che non chiede mai troppo… non dopo che lo aveva trascinato in tutto quel macello. Eppure il semplice rendersi conto dell’incredibile ascendente che aveva su Yamamoto, gli aveva maturato uno strano disagio, molto diverso dalla solita paura che aveva quando gli stava davanti. Era un disagio simile alla rassegnazione e alla compassione. E tutto ciò non si confaceva lontanamente alla personalità di Gokudera.
 
Dall’ultima volta che si erano visti, Yamamoto non lo aveva più chiamato; lasciandolo in quella specie di oblio opaco fatto di indecisione e preoccupazione per un futuro apparentemente troppo lontano per preoccuparsene sul serio; ed era stato così: quel futuro, il momento in cui avrebbe dovuto rivederlo per forza, era infine arrivato e Gokudera non riusciva a ritrovare quella rabbia e quell’odio che lo avevano sorretto fino a quel momento.
 
Chiuse gli occhi, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia di metallo. Era come se l’angoscia e la paura fossero state sostituite da una leggera inquietudine e dalla noncuranza. Come la consapevolezza di non aver studiato per un compito in classe. Non riuscì a considerarla una cosa positiva, in effetti, ma gli sembrò come se il suo desiderio di tornare ad odiarlo come prima superasse, di gran lunga, ogni suo fastidio effettivo. Gokudera non seppe dire se fosse a causa della scenata penosa, della richiesta inaspettata dell’altro, o di una reazione automatica del suo corpo per non impazzire del tutto, fatto stava che le sue mani non tremavano, al posto del perenne nodo nel suo stomaco c’era solo una patina di preoccupazione e il pensiero di rivedere la sua faccia lo rendeva, sì, infastidito ed inquieto, ma il terrore precedente sembrava come spazzato via.
 
 
 
 
 
 
 
Se, da quella mattina, i motivi per preoccuparlo gli erano sembrati molteplici, la cosa che lo rendeva sempre di buonumore era rimasta invariata: il passeggiare al fianco di Decimo seguitava ad essere la cosa che sembrava dare più luce alle sue giornate. Aveva percorso velocemente i pochi chilometri che lo separavano da lui, affrettando il passo come suo solito, osservandolo percorrere velocemente il vialetto di casa, coi capelli spettinati che profumavano di latte caldo e di amore familiare. Il cuore gli si alleggerì un poco non appena gli fu accanto e si avviarono insieme verso la scuola. Anche se, Gokudera non tardò ad accorgersene, la compagnia di Decimo, non fu in grado di dissolvere, come aveva creduto, quella leggera e fastidiosa patina di apprensione che gli stanziava dentro.
 
Man mano che la scuola media Namimori si faceva più vicina, i piccoli vicoli si riempirono di ragazze e ragazzi schiamazzanti e rumorosi, tanto che Gokudera non tardò a rammentarsi del perché avesse sempre considerato la scuola una scocciatura; qualche gruppetto di ragazze lo avvicinarono per salutarlo e sghignazzare divertite tra loro, arrossendo e lanciando fastidiosi gridolini imbarazzati, mentre i ragazzi li superavano vociando ed agitandosi con un vigore rinnovato dal lungo periodo di vacanze appena trascorse, e Gokudera tentò il possibile per trattenersi dal mandare qualcuno al diavolo ancor prima di entrare in classe. 
 
Il consono discorso del preside antecedente la prima lezione dell’anno non fu né più lungo né più corto di quello degli anni passati, ma a Gokudera parve un’infinità, anche per colpa del fatto che proprio non riusciva a far attenuare quel minuscolo nodo allo stomaco che sembrava avere il potere di estraniarlo da tutto il resto. Da quando lui e Decimo avevano varcato il cancello dell’istituto non era riuscito a fare a meno di guardarsi perennemente attorno, e il motivo, inutile mentire, lo conosceva più che bene. Il suo cuore sussultava e il suo stomaco si stringeva ogni volta che gli sembrava di individuare Yamamoto tra la folla schiamazzante. Non era una sensazione piacevole, non lo era mai stata: l’irritazione che sentiva dentro era uguale a tutte le altre volte che lo pensava, ma era come tenuta a freno da quell’insicurezza e da quel disagio che sembravano aver avviluppato ogni sua parte. E quel piccolo crampo alla bocca dello stomaco sussultava di poco ogni volta che rammentava l’espressione contrita e sofferente dell’altro.
 
L’applauso scrosciante di ragazzi e professori che lo scosse, ridestandolo dai propri pensieri, segnò, infine, la conclusione del discorso di benvenuto del preside. I capoclasse radunarono gli alunni delle proprie sezioni, invitandoli a seguirli e cominciare le lezioni. Sasagawa e sua sorella li raggiunsero, col loro solito atteggiamento talmente diverso tra loro da far sorgere, in chiunque, il dubbio sul fatto che fossero fratelli; anche Decimo sembrava essere rimasto vittima di tutta l’impazienza e l’entusiasmo che sembravano pervadere ogni alunno, vecchio o nuovo, dell’istituto, continuando a parlare ininterrottamente dei buoni propositi che aveva in serbo per l’anno a venire, Gokudera sorrise debolmente e, con aria intenerita. Non fece in tempo a dire qualcosa per rassicurarlo che, entrambi, vennero gelati da un’occhiata tetra del presidente del comitato disciplinare, Hibari, che, incrociandoli nel corridoio, sibilò qualcosa di sinistro, per poi passare oltre.
 
Non c’era dubbio. Erano di nuovo a “casa”.
 
 
 
 
Quando infine entrarono in classe, sedendosi ai loro soliti posti, Gokudera si scoprì quasi deluso e rammaricato verso ogni singolo secondo della giornata sprecato a pensarlo, vedendo anche il banco vuoto di Yamamoto. Senonché, pochi minuti dopo l’ingresso dell’insegnante, la porta dell’aula si aprì e fu come se una tonnellata di mattoni lo avesse colpito in pieno.
 
- Già in ritardo dal primo giorno, Yamamoto!?-
 
- Eh, eh… mi scusi…-
 
Il professore sospirò sconfortato prima di invitarlo a sedersi, rimproverandolo col solito tono sconsolato di chi sa di star parlando ai muri. Qualche ragazza, quasi tutte in effetti, bisbigliarono tra loro divertite, pigolando come avevano fatto in presenza di Gokudera solo pochi minuti addietro. Ma Gokudera era troppo sconcertato per accorgersene, il cuore gli si era come gonfiato dentro al petto, e il nodo allo stomaco gli si era stretto con più forza, troncandogli il respiro, scoprendosi comunque incapace di distogliere gli occhi dalla figura impacciata di Yamamoto che si avviava al suo solito posto, dietro di lui.
 
Yamamoto alzò lo sguardo, incontrando il suo e lo fissò per pochi secondi, immobile e silenzioso, Gokudera si sentì soffocare sotto al peso della solita angoscia e della preoccupazione, attese con aria dura che Yamamoto distogliesse gli occhi dai suoi, abbassandoli con aria colpevole, o che gli si assottigliassero, con quell’aria cattiva che gli aveva sempre ricordato di essere in trappola, che gli aveva visto sul volto solo una volta ma che gli era bastata per tutta una vita.
 
 
 
Non successe.
 
Le guance gli si arrossarono, di un rossore sano e caldo, mentre gli angoli della sua bocca si incurvarono verso l’alto, interrompendosi in una fossetta che stagliava al centro del livido sulla guancia. Yamamoto gli sorrise, di un sorriso gentile e buono, così simile a quello che aveva sempre visto eppure così diverso.
 
Gokudera sentì il nodo nel suo stomaco stringersi dolorosamente mentre uno strano calore gli si irradiava al centro del petto. Un misto di fastidio ed imbarazzo lo costrinsero a distogliere lo sguardo dal suo, finché non scorse, con la coda dell’occhio, la sua sagoma superarlo, per sedersi nell’unico banco vuoto, dietro di lui. Le restanti ore di lezione volarono come il vento, scandite dai mille e più pensieri che sembravano non volerlo abbandonare.
 
 
La campanella suonò, con quel ritmo regolare e lento, accompagnata dai sospiri di sollievo e di stanchezza della maggior parte degli studenti della Namimori. Gokudera rilassò i muscoli delle spalle, rendendosi conto solo allora di quanto fossero tesi e doloranti; non era riuscito a prestare ascolto neanche per dieci minuti, non che fosse sua abitudine, ovviamente, ma il fatto di non riuscire a pensare a nient’altro che a Yamamoto seduto dietro di lui lo aveva innervosito a tal punto che nemmeno l’idea di tornare a casa in compagnia di Decimo sembrava sufficiente a rilassarlo. E quando quest’ultimo gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla, Gokudera sobbalzò appena voltandosi verso di lui con aria allarmata.
 
- Andiamo, Gokudera?-
 
Rimase in silenzio giusto il tempo per rendersi conto che l’aula era quasi completamente vuota, annuendo energicamente subito dopo. Afferrò la tracolla per poi scattare in piedi, bene attento a non voltarsi in direzione del banco di Yamamoto, e dirigersi a passo spedito verso l’uscita.
 
Lo schiamazzo nel cortile fu l’ennesima conferma che era, a tutti gli effetti, tornato a far parte della “gloriosa” vita scolastica della Scuola Media Namimori. Il nodo nel suo stomaco, invece, era solo la costatazione del fatto che avrebbe volentieri venduto un arto per non farne già più parte. Decimo gli camminava di fianco, parlando animatamente di quanto fosse sempre più carina Kyoko-chan, della preoccupazione per i test futuri e di quella nuova studentessa, di cui Gokudera non aveva neppure notato l’esistenza. Gokudera ci provò davvero, con ogni grammo di buona volontà tentò di stare attento alle parole del Decimo, cercando di seguire attentamente i suoi discorsi, ma ogni nuova parola di disperdeva nell’aria come un suono incompreso, infrangendosi come fumo contro i pensieri che gli riempivano la testa e non accennavano a volersene andare.
 
Il sorriso di Yamamoto gli si era stampato nel cervello, con mille interrogativi al seguito. Che significava? Che cosa avrebbe comportato? Che cosa avrebbe dovuto fare?... Se poche ore prima era presente quella  minuscola speranza che quella patina di disagio si dissolvesse in qualche modo, ora aveva la conferma che non se ne sarebbe andata per molto, moltissimo tempo.
 
Non aveva idea se tutto quello che gli stava succedendo fosse una strana reazione del suo corpo per non impazzire del tutto, o semplicemente una bizzarra evoluzione della rabbia che precedeva un intento omicida, tutto quello che sapeva era che, ora come ora, non aveva la minima intenzione di confermare altre reazioni strane del suo corpo alla presenza di Yamamoto. Per un attimo quasi rimpianse il terrore e l’angoscia che lo attanagliavano in precedenza.
 
Gokudera abbassò la testa, desiderando con tutto se stesso di prendersi a calci finché quel sentimento d’odio non lo avesse nuovamente pervaso. Finché Decimo non fosse tornato, di nuovo, l’unico pensiero che riempiva le sue giornate. Quando raggiunsero, infine, casa di Tsuna questi lo salutò sorridendo.
 
- Ci vediamo domani.-
 
- A domani, Decimo!- Esclamò Gokudera in risposta.
 
Decimo gli sorrise un’ultima volta prima di dargli le spalle e chiudere la porta dietro di sé, probabilmente non notando l’espressione cupa e stordita che si era dipinta sul volto dell’amico. Gokudera era riuscito a stento a finire ogni singola parola, e l’entusiasmo con cui aveva salutato il proprio boss gli era sembrato finto e disgustosamente blando. Era stato come se, anche nelle corde vocali, gli si fosse insidiata quella strana nebbia carica di pensieri che gli impediva di pensare a nient’altro che a quel maledetto idiota.
 
Ma il disagio di quell’improvvisa consapevolezza non fu nulla paragonato a quello che provò voltandosi in fretta, con l’intento di incamminarsi velocemente verso casa.
 
Riconobbe quella figura alta e impacciata in fondo alla strada in meno di un attimo, ed ogni parte del corpo di gelò all’istante. Non riuscì a muovere un passo nemmeno quando gli si avvicinò, un passo lento per volta. Il cuore cominciò a battergli nel petto come impazzito, di quell’inspiegabile ansia curiosa e spaventata; un’adrenalina che aveva il retrogusto dell’angoscia. Quando gli fu abbastanza vicino, Gokudera si accorse che aveva il fiatone, e la fronte imperlata di sudore.
 
- …tu …cammini davvero… veloce.- Sorrise ansimando. Quel maledetto sorriso dannatamente gentile.
 
- Che cosa vuoi?- Domandò Gokudera, odiandosi nuovamente per quella nota tremolante nella voce.
 
- …Volevo fare …la strada con voi ma… suppongo di dovermi allenare nella corsa.- Scherzò di nuovo, passandosi una mano sul collo, piegando lentamente la testa di lato e fissandolo con uno sguardo intenerito. Gokudera sentì un’ondata di fastidio percorrergli la spina dorsale prima di trovare finalmente la forza di staccare i piedi da terra ed incamminarsi di nuovo lungo la salita che portava a casa sua. Temette davvero di doversi mettere a correre quando sentì l’eco dei passi di Yamamoto seguirlo al ritmo del suono del suo respiro affannato.
 
- Senti, lo so che è un po’ tardi per chiedertelo ma io… Gokudera, potresti voltarti solo per un…-
 
Sentì le dita dell’altro sfiorargli la manica della divisa chiara e fu come se una scossa gli avesse percorso tutto il corpo. Si voltò di scatto, avvertendo tutta la rabbia e quello strano dolorino allo stomaco farsi sempre più dolorosi, scrollandosi il tocco lieve di Yamamoto di dosso, e la voce gli uscì, rotta ma assordante.
 
- Perché fai così!?- Tuonò con le guance in fiamme e le mani che tremavano.
 
-… Gokudera...-
 
- Prima mi ricatti, poi pretendi che io faccia quello che vuoi tu, poi mi dici che devo comportarmi come sempre, poi mi implori di non odiarti… e ora mi sorridi come se non fosse successo nulla! Mi dici che diavolo vuoi da me!?- Domandò astioso Gokudera, stringendo con forza la borsa della tracolla fino a farsi sbiancare le nocche.
 
Yamamoto rimase in silenzio per diversi secondi, con un’espressione di sincera sorpresa sul volto. Gokudera non aveva posto neanche la metà delle mille domande di cui necessitava una risposta, ma quella nebbia estranea gli si era ficcata di nuovo tra le corde vocali, impedendogli di proseguire, dimezzandogli l’aria nei polmoni. Gokudera rimase zitto e ansimante, aspettandosi la solita espressione affranta di Yamamoto, i soliti occhi assottigliati e la smorfia ferita sul suo volto, che non gli provocava altro che odio e terrore.
 
Ma Yamamoto sollevò gli occhi, che aveva abbassato solo per un attimo, proseguendo nella sua solita espressione seria e decisa.
 
- Io… volevo solo invitarti a pranzo, ma credo… di doverti parlare.-
 
Gokudera sentì qualcosa ingarbugliarsi ancora di più nel profondo del suo stomaco, un misto di stupore e adrenalina. Ogni volta che parlava con lui, le poche volte che era successo, dopo che tutto quello era iniziato, non era mai finita bene: la prima volta si era ritrovato invischiato in un ricatto, la seconda stretto ad un angolo completamente nudo e la terza con la testa sconquassata dai pugni e la forza di volontà ridotta ad uno zerbino.
 
Probabilmente, si disse poi, il suo bisogno di risposte era troppo grande e l’ansia che provava ogni volta aveva raggiunto un picco insostenibile. Se davvero Yamamoto era disposto a parlargli, se davvero acconsentiva ad offrire delle motivazioni allora, Gokudera lo sperò con tutto il cuore, poteva accordargli una tregua. Una piccola e sottile tregua capace di sfociare in un passo indietro. Capace di ritornare quell’affabilità che li aveva sempre uniti.
 
Gokudera alzò piano lo sguardo, continuando quel silenzio imbarazzato, forzato dall’urgenza delle mille motivazioni per cui non avrebbe voluto acconsentire, e che gli ronzavano in testa, ammutolendolo per la confusione. Poi, lentamente, annuì, precedendolo lungo la discesa ripida.
 
La casa di Yamamoto gli era sempre sembrata incredibilmente e fastidiosamente vicina alla propria e a quella di Decimo, tant’è che la maggior parte delle volte in cui usciva di casa, non solo per andare a scuola, gli sembrava di sentire il profumo di pesce fresco aleggiare, dal ristorante del padre di Yamamoto, infiltrandosi nelle vie, fino a raggiungerlo. Anche quando doveva uscire per comprare le sigarette o il minimo indispensabile per non avere il frigo vuoto, passandoci davanti, gli capitava di vedere la sua figura muoversi dietro la finestra della sua camera, o spostarsi velocemente tra i tavoli, mentre aiutava il padre nelle giornate in cui i clienti erano numerosi. Ovviamente tutto ciò aveva un sapore di dimenticato per Gokudera: da quando Yamamoto aveva dato il via a quell’incubo crescente, le volte in cui era passato da casa sua si erano ridotte al minimo indispensabile. Le strade di Namimori, e Gokudera ringraziava il cielo per questo, erano molteplici, e per raggiungere una meta, anche se il percorso rischiava di farsi decisamente più lungo, c’erano diverse vie.
 
Fatto stava che ogni volta che Gokudera si affacciava alla via principale, subito prima di cambiare strada intrufolandosi in qualche vicolo, sbirciava sempre con attenzione ogni angolo del fondo di quella piccola discesa, cercando di individuare, per evitarla, la presenza di Yamamoto. La vicinanza, se non altro, gli permetteva un sopralluogo veloce ed indolore. Eppure, quei pochi minuti che ci misero a percorrerla insieme, gli sembrarono infiniti, scanditi da ogni singolo secondo di silenzio assordante. Il fresco pungente d’autunno gli bruciava le guance e gli intorpidiva le ginocchia, mentre puntellava i piedi, lungo la discesa. I passi di Yamamoto gli echeggiavano alle spalle, li sentiva rallentare, farsi distanti per poi aumentare ed avvertire il suo respiro affannato farsi vicino. Quando, infine, arrivarono davanti alla porta del ristorante, Gokudera si sentì invecchiato di qualche decennio, la gola secca e la patina di angoscia nello stomaco mutata i qualcosa di più solido e gravoso.
 
Yamamoto gli fu accanto in pochi secondi, superandolo con un braccio e tirando la porta scorrevole, che scivolò nell’infisso di legno, con un rumore lieve e continuo. Il disagio di Gokudera aumentò appena, notando che il ristorante era quasi vuoto, ma si fece coraggio ed entrò. Yamamoto lo imitò, chiudendosi la porta alle spalle e salutando cortesemente. Qualche cliente alzò il mento sorridendo debolmente nella loro direzione, per poi tornare a concentrarsi sul pasto. Gokudera aspettò che Yamamoto lo superasse nuovamente per poi seguirlo verso il bancone dietro il quale un ometto lungo e magro si muoveva indaffarato.
 
- Ciao papà.- Salutò Yamamoto sollevando una gamba e sedendosi ad uno degli sgabelli del bancone.
 
L’uomo si voltò verso il figlio, il solito sorriso raggiante in volto, per poi spostare immediatamente lo sguardo su Gokudera, lasciando che si illuminasse di quella luce spontanea e felice che ferì Gokudera come un déjà-vu infelice.
 
- Guarda chi c’è, il mio cliente preferito!- Esclamò raggiante - Takeshi, perché non mi hai avvertito? Non ho preparato nulla di decente…- Rimbrottò bonariamente il figlio, incapace di sfumare il proprio sorriso.
 
- Non fa niente!- Si affrettò a dire Gokudera. – Non importa che mi offriate da mangiare…-
 
- Ma che stai dicendo, figliolo! Questo è un ristorante. Ci manca solo che non abbia ospitalità e cibo da offrirti! Torno subito.- Esclamò nuovamente sparendo dietro le tendine della cucina.
 
Entrambi rimasero di nuovo soli, uno seduto su uno sgabello e l’altro in piedi, lo sguardo confuso ed imbarazzato e la testa che continuava a ronzare. Gokudera cambiò il peso da una gamba all’altra per poi voltarsi in direzione dei clienti, movimenti dediti a prendere tempo e a non mostrare l’imbarazzo pesante e crescente, c’erano tre uomini adulti, uno dei quali aveva già finito di mangiare e si apprestava a pagare il conto, gli altri due stavano mangiando e parlottando tra loro in modo affabile. In un angolo, Gokudera li notò solo allora, c’erano due studenti, probabilmente della loro scuola data la divisa scolastica, lui teneva la mano di lei, ed entrambi si guardavano in silenzio sorridendo davanti a due fette di dolce. Gokudera sentì il disagio e l’imbarazzo crescergli dentro più di prima e si affrettò a voltarsi dall’altra parte, giusto in tempo per vedersi posare davanti un piatto fumante.
 
- Buon appetito!- Esclamò l’uomo in italiano. Il suo accento era talmente acuto e cantilenante che Gokudera ci mise diversi secondi prima di capire che cosa avesse effettivamente detto. Aprì la bocca più volte, senza emettere alcun suono, prima di abbassare la testa e riconoscere quello che sembrava un piatto di spaghetti al pomodoro. Passò un’altra manciata di secondi prima che Gokudera riuscisse a collegare il tutto, poi sentì la bocca piegarsi in un sorriso nervoso ma spontaneo.
 
- Grazie.- Rispose Gokudera in italiano, arrotando la “r” e sottolineando la “z”, come da ormai molto tempo non faceva, dato che, tranne quando era da solo con Bianchi, le occasioni per parlare nella sua lingua madre non erano molte.
 
L’uomo rise di gusto prima di servire anche il figlio e voltarsi nuovamente, ricominciando a tagliare il pesce sul banco da lavoro. Gokudera si avvicinò al bancone, sedendosi allo sgabello e afferrando la forchetta tra le mani, il sorriso incapace di scomparire dal volto. Prima di portarsi il cibo alle labbra si voltò per un attimo verso Yamamoto, di fianco a lui: fissava Gokudera con gli occhi sorpresi e leggermente lucidi, la bocca socchiusa in un’espressione di sorpresa ammaliata, e le guance talmente arrossate da sembrare febbricitanti, ma si riscosse dopo pochi secondi notando l’occhiata di Gokudera, voltando di scatto la faccia e piantando il suo sguardo dritto nel proprio piatto, tanto che Gokudera non fece nemmeno in tempo a sentirsi a disagio. 
 
Rigirò la forchetta negli spaghetti, tirandone su un po’, e portandoseli alla bocca. Erano decisamente scotti, tanto che quasi si sciolsero sotto alla leggera pressione dei denti. Gokudera continuò a masticare. La mancanza totale di sale rendeva il tutto abbastanza pesante da mandare giù, e la salsa di pomodoro, anche se non di ottima qualità, era la sola cosa che li rendeva minimamente apprezzabili. Gokudera mandò giù il boccone e se ne portò immediatamente un altro alle labbra. La situazione non migliorò affatto.
 
- Ti piacciono?- Sentì domandarsi improvvisamente. Alzò la testa quel tanto che bastava per ritrovarsi il volto del padre di Yamamoto poco distante dal suo, che lo fissava con aria ansiosa. Gokudera non rispose, un po’ perché aveva la bocca piena, un po’ perché non sapeva cosa dire.
 
- Papà…- Sentì Yamamoto ammonirlo sottovoce.
 
- So che non vuole che te lo chieda…- Proseguì l’uomo avvicinandosi ancora di più - Ma questo scemo di mio figlio è stato più di una settimana a tentare di prepararli come si deve e quindi…-
 
- Papà!- Esclamò Yamamoto, balzando giù dallo sgabello. I pochi clienti si voltarono nella loro direzione, ammutolendosi, tanto che Yamamoto, rosso in volto come non mai, abbassò appena il capo in segno di scuse, tornando seduto e incassando la testa nelle spalle.
 
Gokudera rimase in silenzio per diversi secondi, spostando lo sguardo dall’uomo a Yamamoto. Il sorriso ormai scomparso dal volto. Anche con la coda dell’occhio riusciva a vedere le guance di Yamamoto arrossate quasi all’inverosimile ed i suoi occhi spostarsi da una parte all’altra del proprio piatto. Vederlo in difficoltà, ed imbarazzato a quel modo gli diede uno strano senso di tranquillità, mentre quella sorta di nebbiolina angosciante scemò piano piano fin quasi a scomparire. Ormai quasi completamente dimentico dell’angoscia iniziale che lo schiacciava da quando erano entrati nel locale.
 
- Li hai fatti tu?- Chiese poi, la voce gli uscì dalle labbra, sicura ed inespressiva.
 
Yamamoto sollevò lo sguardo guardandolo per poi scostarlo di nuovo. Le mani in grembo e la schiena leggermente ricurva.
 
- Sì ma… non c’è bisogno che fai tanti complimenti, dimmelo pure se non ti piacciono.- Mormorò poi. Il tono tremolante. Imbarazzo camuffato malamente da noncuranza divertita.
 
Gokudera spostò un’ultima volta lo sguardo da Yamamoto al proprio piatto. Sapeva che cosa avrebbe dovuto rispondergli. Conosceva ogni sfumatura di cattiveria che avrebbe dovuto aggiungerci, era bravo in questo, era una sorta di talento. La sua capacità di ferire le persone, era sempre stata, fin da piccolo, una delle sue poche difese, seconda solo alla sua abilità con la dinamite. Sapeva anche che Yamamoto si sarebbe meritato ogni singolo grammo della sua crudele sincerità e vederlo ferito gli avrebbe dato un enorme sollievo… e, probabilmente, se solo fosse successo qualche giorno prima, Gokudera non avrebbe esitato nemmeno per un attimo.
Se solo fosse successo prima…
 
 
- Sono buoni.- Disse piano Gokudera - Sono molto buoni.-
 
 
 
 
 
 
 
 
Aveva finito di mangiare in silenzio, combattendo contro la sensazione di disagio che provava non appena la pasta scotta gli si scioglieva in bocca senz’altro sapore che quello del pomodoro; Yamamoto al fianco, terribilmente indeciso se guardare Gokudera o il piatto che aveva davanti, troppo impegnato a dissimulare l’imbarazzo per aggiungere qualcosa, e suo padre che gli dava le spalle, muovendole appena, al ritmo del coltello che sbatteva velocemente contro il legno del tagliere davanti a lui. Ogni gesto che faceva gli sembrava pesante ed impacciato, ogni anfratto del proprio corpo gli pareva riempito di ovatta che gli impediva di pensare lucidamente. Gli sembrò di vivere, in quei pochi minuti, in una nebbia opaca e confusionale e, ne era sicuro, sarebbe presto precipitato in un vortice di rimpianto e di odio verso se stesso e verso Yamamoto, ma tutti quei presentimenti non gli sembravano che una sensazione troppo lontana per preoccuparsene davvero, e il boccone che si portava ogni volta alle labbra era troppo immangiabile per non dedicargli ogni grammo di attenzione.
 
Eppure non arrivava, non arrivava mai, pensava Gokudera, la sensazione conosciuta del rimpianto e del rimorso di avergli dato di nuovo fiducia non sembrava far capolino nella sua coscienza. Nemmeno quando salì le scale fissandogli la schiena grande, per andare in camera sua, come aveva fatto l’ultima volta, il ricordo dell’odio che provava verso Yamamoto gli sembrava così estraneo attutito, com’era, da quella sensazione di compassione e di arrendevolezza che lo muoveva con forza propria. Forse, pensò, l’accorgersi che le mani di Yamamoto tremavano mentre sparecchiava anche il suo piatto, e lo scorgere le sue orecchie in fiamme, anche mentre lo seguiva in camera sua, lo stavano distraendo dal solito odio e dalla consueta sensazione di pericolo. Gokudera non riuscì a trattenersi dal pensare che, forse, Yamamoto gli aveva messo qualche droga nel cibo, e, il pentirsi immediatamente di un pensiero così meschino non fece altro che metterlo a disagio ancora di più. La rabbia che provava non era sparita, la sentiva, era lì, sul fondo del suo stomaco, non se ne era mai andata; sembrava solo attenuata da quella familiarità improvvisa e fastidiosa, era qualcosa di simile alla pietà, ma meno crudele…
 
Yamamoto aprì la porta della camera facendolo entrare, non fece in tempo a dire nulla di sdrammatizzante che Gokudera gli si mise di fronte esortandolo con un’occhiata eloquente.
 
-Parliamo.-
 
Yamamoto, le guance ancora accalorate e gli occhi bassi, si sfilò lentamente la giacca color giallo pallido della divisa, ripiegandola alla meglio e allentandosi il nodo della cravatta. Rimase per un attimo in silenzio, in piedi, di fronte a Gokudera, lo sguardo puntato sull’angolo del muro, come un ultima rilettura di un copione imparato in fretta e furia. Gokudera non smise di fissarlo nemmeno per un secondo, fissò le sue labbra strette, gli occhi nervosi e il livido sempre meno vistoso sulla guancia, ansioso ma paziente.
 
Yamamoto prese un breve fiato tremante, sfregandosi le mani innervosito, alzò lo sguardo lungo il muro e, spostando un piede davanti all’altro, si avvicinò piano alla finestra, svotò i polmoni, appannandone il vetro e, spostando finalmente lo sguardo su Gokudera, parlò. 
 
- … Non ho mai pensato a quello che avrei dovuto dirti. Se lo avessi saputo, probabilmente mi sarei preparato un discorso inattaccabile, quelle specie di proclami che si sentono nei film… quelle dichiarazioni d’amore talmente belle e semplici che sembrano adatte a chiunque, e quando le senti non riesci a fare a meno di pensare “è la stessa cosa che penso sempre io, ma non mi sono mai venute le parole”. Io non sono una persona molto intelligente, non sono come te… sono quello che si definisce “un ragazzo pratico”. Forse è anche per questo che non ho mai pensato a qualcosa che avrei potuto dirti. Qualcosa che avrei potuto fare se solo ci avessi pensato un po’ di più.-
 
Yamamoto abbassò nuovamente lo sguardo, inumidendosi le labbra con la lingua prima di continuare.
 
-… Tu non devi pensare… non voglio che tu ti convinca che io voglia farti del male. Io non ti farei mai del male.-
 
Gokudera sentì quella rabbia all’interno del proprio stomaco ribollire appena, strinse i pugni, incattivendo lo sguardo, tanto che Yamamoto fu costretto a tacere, e non appena schiuse le labbra, un po’ di questa rabbia traboccò fuori.
 
- Beh… mi spiace sconvolgere i tuoi concetti morali ma ricattare qualcuno per fargli fare qualcosa che non vuole fare è “fare del male”-
 
Yamamoto sembrò vacillare a quelle parole, come se avesse sempre temuto una frase del genere. Gli occhi gli si assottigliarono, abbassandosi di nuovo. Aprì la bocca un paio di volte, incapace di emettere alcun suono, provocando solamente l’irritazione di Gokudera. I suoi occhi vagarono per qualche istante, senza meta, per la stanza, come un disperato tentativo di leggere le parole giuste su qualche porzione di intonaco. Ma dal lungo silenzio che precedette il suo tono tremante, Gokudera dovette dedurre che non ne avesse trovata alcuna.
 
- So che stai cercando delle risposte, Gokudera, lo so bene… ma la verità è che io ti ho davvero detto già tutto…-
 
- Tutto tranne quello che voglio sentire.- Sibilò Gokudera, la rabbia ritrovata e un languore deluso che lo opprimeva lento, allargandosi come una pozza d’olio.
 
Yamamoto abbassò di nuovo gli occhi, stringendo i denti e continuando a sfregarsi le mani. Sembrava davvero che avesse le parole da dire, pareva il tipico imbarazzo di chi non conosce abbastanza vocaboli per esprimere un concetto ben chiaro. Vederlo così, imbarazzato e costernato, provocò a Gokudera un enorme fastidio. Era delusione quella che lo stava avvolgendo lentamente. Come se avesse sperato, davvero, che Yamamoto avrebbe potuto fornirgli una spiegazione valida ed inattaccabile, addolcita dal suo vecchio sorriso sicuro.
 
- Io non voglio che torni come prima, Gokudera. Però non voglio che…-
 
- E quello che voglio io!?- Proruppe Gokudera avvicinandosi un po’, tanto da costringere Yamamoto a sollevare finalmente il capo per guardarlo. -Tu dici di amarmi ma non ti sei mai preoccupato nemmeno per un secondo di me…-
 
Yamamoto corrugò appena le sopracciglia, scuotendo piano la testa. Negli occhi aveva solo preoccupazione e paura, Gokudera lo capì immediatamente e non riuscì ad impedire alla rabbia di prendere il controllo di se stesso.
 
- Perché dici così? Io non voglio farti del male, non te ne ho mai fatto…- Balbettò piano.
 
- Sì, invece! Non te ne rendi conto!? Non ti accorgi dell’angoscia in cui mi costringi a vivere!?-
 
- Ma… non ne hai motivo… io non voglio ferirti… Io… io voglio solo l’opportunità di starti vicino…-
 
Gokudera sentiva la gola bruciargli non meno degli occhi, con un passo gli si fece ancora più vicino e, anche se di poco più basso di lui, ebbe l’impressione di sovrastarlo completamente, se fosse per la furia che provava o per lo sguardo disperato negli occhi di Yamamoto non lo sapeva.
 
- No, tu vuoi costringermi a stare con te! Mi parli dell’amore che provi come della cosa più naturale del mondo… è questo!? Incastrare chi vuoi senza dargli possibilità di replica!? Tu vuoi costringermi a provare quello che provi tu…-
 
Yamamoto continuò a scuotere la testa, come un giocattolo rotto, limitandosi a quello sguardo incredulo e disperato, quella ricerca di vocaboli balbettati.
 
- E’ così!- Urlò di nuovo Gokudera - Sai che è così! Io non sono il tuo maledetto giocattolo! Che farai quando qualcos’altro non ti andrà bene, eh? Mi ricatterai di nuovo!?-
 
Yamamoto chiuse piano gli occhi, abbassando la testa, stringendo i denti talmente forte che Gokudera riuscì a vedere la linea della mascella che si induriva, arrotondandosi sempre di più sotto la sfumatura giallastra del livido.
 
- No… Gokudera… io non…-
 
- Che farai quando io mi rifiuterò di fare qualcosa che vuoi fare!? Mi stringerai di nuovo nudo in un angolo!? Mi costringerai a correre da una parte all’altra della città inviandomi un messaggio sul cellulare!?-
 
Lo stomaco gli doleva così tanto che temette di non riuscire più a parlare, aveva il fiato corto e si sentiva già troppo stanco per urlare ancora. Si limitò ad osservare Yamamoto, con gli occhi bassi ed i pugni stretti, continuando a sperare inconsciamente in una risposta.
 
-…Come…?- Domandò piano Gokudera, lottando contro il dolore dentro lo sterno e il fiato corto -…come puoi chiedermi di non avere paura?... Come puoi chiedermi di voler stare con te!?-
 
Yamamoto continuò a rimanere in silenzio, con quell’aria disperata a sconfitta di chi ha perso su tutta la linea, ma Gokudera ci credette con tutto se stesso, quasi sperandoci. “Dimostramelo. Dimmi qualcosa che non mi costringa ad odiarti, solo questa volta. Dimostrami che mi sono sbagliato”. Nemmeno col senno di poi seppe dare un perché a quella speranza, quel pensiero fisso che non lo lasciava andare, ma in quel momento sapeva solo che era lì e che lo costringeva a prestare attenzione ad ogni battito di ciglia dell’altro, ad ogni spasmo della sua espressione contrita per riuscire a leggervi un motivo valido per non sprofondare in quell’oblio d’odio che era davanti a lui, che aspettava solo di inghiottirlo per sempre.
 
- Hai ragione. Hai ragione su tutto.- Mormorò Yamamoto dopo pochi secondi e, per un attimo, per Gokudera fu come perdere la terra sotto ai piedi. -… Ma anche quando ti dicessi di sì…?- Aggiunse, come una sottile domanda retorica, alzando di nuovo lo sguardo per guardarlo - Io non smetterei di provare quello che provo ora… io non posso lasciarti andare…- Mormorò piano, come si mormora un buongiorno tenero o “ti amo” detto per la prima volta.
 
- Perché?- Domando Gokudera sostenendo il suo sguardo, il fiato ancora corto e quella sensazione di sconforto che lo avviluppava sempre di più che si faceva sempre più desolante ad ogni nuovo secondo di silenzio dell’altro.
 
- Parla, maledizione. Parla!- Ringhiò poi, la voce ridotta ad un suono graffiante e stanco appena urlato, afferrandogli il bavero della camicia in un impeto di rabbia. Yamamoto indietreggiò appena, le mani sempre basse, molli lungo i fianchi e il solito sguardo distrutto.
 
- Non posso perché… se ti lasciassi andare… se ti lasciassi andare adesso io… non ci sarebbe più niente… che potrei fare.- Mormorò Yamamoto. La voce ridotta a un singhiozzo, le labbra che tremavano su un’espressione troppo stanca e distrutta perché Gokudera riuscisse a guardarla ancora.
 
Ci fu un attimo di silenzio in cui l’unico rumore che Gokudera riuscì a sentire fu quello del suo cuore che gli rimbombava nelle orecchie e quello chiaro della rabbia che ribolliva. La presa sulla camicia di Yamamoto si allentò appena prima di allontanarsi del tutto, e dalle labbra di Gokudera uscì un sibilo cattivo.
 
- Tu non hai mai potuto fare niente!-
 
Gokudera fece per voltarsi ed uscire da quella camera, magari il più in fretta possibile, magari correndo. Sperando che Yamamoto non lo seguisse, sperando di correre talmente forte e talmente lontano da non riuscire più a tornare indietro.
 
- Gokudera, aspetta!- La presa sul suo braccio fu immediata, tanto che non riuscì neanche a muovere un passo. Sentì le dita di Yamamoto stringergli saldamente la pelle, appena sotto il gomito, ne avvertì lo spessore e la pressione e fu come precipitare nel panico.
 
-Lasciami!- Ringhiò, voltandosi appena agitando il braccio nel tentativo di scrollarselo di dosso, ma la presa di Yamamoto era incredibilmente ferrea e non fece altro che costringerlo in quella paura improvvisa che non avvertiva da tanto. Per un attimo provò il panico crudo e genuino, esattamente lo stesso di quando, stretto in un angolo e senza vestiti addosso, Yamamoto gli era apparso forte ed incredibilmente pericoloso.
 
La sua schiena cozzò contro il muro, e il corpo di Yamamoto gli si avvicinò ancora, intrappolandolo. Fu l’attimo di alzare lo sguardo deformato dal terrore in quello di Yamamoto e scoprirgli sul viso un’espressione di sincero e costernato stupore. Yamamoto lo lasciò immediatamente, tentennando con le mani a mezz’aria, come nell’indecisione confusa di doverlo toccare o meno. Avevano entrambi il fiatone quando tutto sembrò interrompersi, con la violenza di una pellicola bruciata. Gokudera con la schiena contro il muro le braccia alzate all’altezza dello sterno, come una rozza posizione di difesa e Yamamoto davanti a lui, a bloccargli ogni movimento senza toccarlo, l’espressione deformata dalla preoccupazione e dal dispiacere. Come se avesse potuto romperlo solo sfiorandolo ancora.
 
Gokudera non riuscì a fare niente, né allontanarlo da sé, né sgusciare piano verso la porta. Rimase solo contro il muro, la bocca schiusa ed il panico ancora impresso negli occhi. Un panico che sembrava aver distrutto Yamamoto nel profondo, abbattendo ogni suo grammo di felicità. Abbassò appena lo sguardo, aprendo i palmi e poggiandoli contro il muro davanti a sé, ai lati del volto di Gokudera, le spalle scosse dai singhiozzi.
 
 - Smettila di piangere…- Gokudera parlò senza nemmeno accorgersene, si rese conto di aver pronunciato quella frase solo quando, nell’aria, riconobbe il suono della sua voce scandire l’ultima sillaba - Tu non hai alcun diritto di piangere. Smettila.-  Ripeté. E gli occhi cominciarono a bruciare insopportabilmente.
 
Il corpo di Yamamoto si fece più vicino, le mani piantate saldamente contro il muro. Anche se la forma era diversa, Gokudera riconobbe il calore di un abbraccio timoroso. Fece per scostarsi ma il tremore del corpo dell’altro e quel calore ottenebrante erano davvero troppo forti. Riuscì solo a continuare a piangere, nascondendo il volto nella curva della spalla di Yamamoto, avvertendolo tremare contro la tempia. La sua voce rotta e singhiozzante a nascondergli il pianto.
 
- Gokudera… scusami… Gokudera…-
 
 

 
 
 
 
 
 
 
Questo è il primo aggiornamento dell’anno. Mi auguro che abbiate passato un felice Natale!
Con gli impegni che si fanno sempre più opprimenti temevo davvero di non farcela ma… eccoci qui: un nuovo capitolo è stato sfornato. Spero che vi sia piaciuto, anche perché, da qui in poi ci sarà una netta evoluzione nella trama, non è difficile intuirlo. Diciamo che Yamamoto e Gokudera si avvicineranno un po’ e… verranno alla luce alcune cose.
 
Mi concedo da voi con il mare di sofferenza in cui vi ho precipitato… mi scuso ma, come dice il saggio (?) “un aggiornamento senza angst non è un aggiornamento!”
 
Vi abbraccio tutti, uno per uno!
Kumiho

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Capitolo 11
*** Pallore e Nostalgia ***


Pallore e Nostalgia


Gokudera non seppe dire quanto tempo fosse trascorso, tra le braccia di Yamamoto, con le spalle che ancora gli tremavano dai singhiozzi e il cuore che batteva forte. Si limitò a riprendere a respirare dopo quelle che parvero ore, inspirando l’odore dell’altro con arrendevolezza e sfinimento. Yamamoto non lo aveva lasciato nemmeno per un secondo: piegato su di lui, le mani piantate contro il muro a circondargli il corpo, aveva pianto tra singhiozzi più o meno rumorosi con l’espressione colpevole ed il respiro tremante. Gokudera si sentì stanco improvvisamente. Esausto come dopo una corsa infinita. Gli occhi gli bruciavano e la gola gli doleva, sentiva la bocca piena di saliva e gli era difficile respirare. Lentamente sollevò un braccio, scostando quello di Yamamoto, che lo lasciò fare, allontanandosi da lui e respirando un’aria improvvisamente fresca e differente, spiacevolmente gelida contro le guance umide. Fece pochi passi per poi fermarsi, il capo basso e la testa che rimbombava.
 
Ogni secondo di silenzio in più gli gravava addosso come un macigno, ma era davvero troppo stanco per scappare di nuovo, troppo vicino a Yamamoto, troppo improvvisamente rilassato e svuotato per aggredirlo ancora. Il sentore d’ira dentro al corpo sembrava essere stato vomitato fuori, assieme alle lacrime. Gokudera sentì solo una grande voglia di non pensarci più.
 
- Ti fa male?... Il livido, intendo.- Chiese improvvisamente Gokudera. Stupito dal suono calmo ed indifferente della propria voce.
 
Yamamoto sussultò per un attimo, incerto sul fatto di averlo sentito davvero rivolgersi nuovamente a lui. Voltò il capo verso il ragazzo distante solo pochi passi e tirò su col naso tacendo qualche secondo per trovare una risposta sensata. Inconsciamente si passò la lingua sull’interno della guancia livida.
 
- Più per quello che rappresenta che non per il livido stesso…- Rispose piano, staccando finalmente le mani dal muro, scoprendosi le nocche doloranti e i polpastrelli indolenziti.
 
- Te lo sei meritato…- Soffiò piano Gokudera.
 
Riconobbe una sfumatura leggera di compiacimento, non cattivo, non inviperito. Una semplice constatazione esausta. Veritiera. Yamamoto non riuscì a fare altro che sorridere, mesto.
 
- Per questo fa male…-
 
 
 
Quello che seguì fu un silenzio complice. Gokudera seduto sul letto e Yamamoto in piedi, poco lontano, che lo guardava. Fu un silenzio pieno di rabbia, stanchezza e senso di colpa. Gokudera seguitò a crogiolarsi in quella specie di limbo stordente e stanco in cui il pianto lo aveva precipitato, perfettamente conscio dell’irritazione che avrebbe provato in una situazione normale, consapevole di quanto ridicolo fosse il fatto di essere ancora lì e di quanto assurda fosse quell’improvvisa capacità di analizzare tutto col cuore calmo e gli occhi brucianti. Conseguenza lenta e dolce della spossatezza che gli aveva provocato quello sfogo appesantito da quegli, ormai numerosi, giorni di tormento.
 
- Vuoi andare a casa?- Chiese a un certo punto Yamamoto.
 
Gokudera sollevò il capo, spostando lo sguardo su di lui. Una fitta dolorosa, dietro i bulbi oculari, gli attraverso il capo costringendolo a sollevare ancora di più la testa verso di lui. Aveva gli occhi rossi e le guance ancora umide. Gokudera lo trovò stranamente e tristemente buffo con gli occhi gonfi e quel livido che accennava a sparire, ancora un po’ violaceo sulla guancia. Gli venne quasi da ridere.
 
- Sì. Voglio andare a casa.-
 
Non ne fu davvero certo finché non ebbe finito di dirlo. E anche allora un senso di incompletezza lo avvolse appena, facendogli tornare in bocca quel sapore di fastidio e dubbio. Yamamoto lo fissò per qualche secondo ancora per poi sospirare.
 
- Vado a lavarmi il viso e poi ti accompagno di sotto.-
 
Yamamoto uscì dalla stanza e Gokudera rimase solo. Era ancora un po’ stordito e gli occhi seguitavano a bruciargli costringendolo ad indugiare a lungo con le palpebre chiuse, confortato dal sollievo della morbidezza del buio. Non era cambiato nulla. Gokudera ne era consapevole. Era sempre stretto nella morsa di quel ricatto orribile… eppure, non seppe perché, gli sembrò di scorgere una qualche, possibile, evoluzione positiva. In quel momento, però, non aveva davvero la forza di pensarci. Non volendo rischiare di arrivare a conclusioni distorte dalla spossatezza e dalla rassegnazione del momento, si costrinse ad alzarsi, costringendosi a pensare ad altro.
 
Stette qualche momento in piedi, per poi avvicinarsi alla piccola libreria davanti a sé. Diede uno sguardo veloce al primo ripiano, riconoscendo al volo quasi tutti i libri di testo scolastici. Sollevò la mano, inconsciamente, accarezzando con le dita il bordo scuro del secondo ripiano. C’era qualche fumetto e qualche altro libro con gli angoli e le copertine consumate, erano messi alla rinfusa, non avevano alcun ordine logico. Le differenze di altezza tra i vari volumi, disposti senza alcuna ragionevolezza o motivazione, lo infastidirono appena, costringendolo a sollevare lo sguardo fino al terzo ed ultimo ripiano. Uno sbuffo saccente e stizzito gli sfuggì dalle labbra quando riconobbe un guantone da baseball e una palla vecchia e logora. Gokudera non ricordava nemmeno più l’ultima volta che lo aveva visto giocare. Non che la cosa gli dispiacesse, ovviamente, aveva sempre cercato di fare di tutto pur di non andare a vederlo giocare, anche se lui glielo chiedeva sempre insistentemente. Aveva provato solo una volta a spiegargli le regole ma Gokudera non ci aveva capito poi molto, non prestando nemmeno la minima attenzione. Passò oltre non appena il ricordo di quei giorni gli sembrò troppo pesante e compianto. Gli sembrò come se, da quel maledetto giorno, Yamamoto fosse cambiato sotto ogni punto di vista, anche quelli che non lo riguardavano minimamente. E quella mensola gli sembrò solo un triste promemoria di quanto, in effetti, il vecchio Yamamoto fosse ormai solo un ricordo logoro e rimpianto.
 
C’erano alcune cornici con foto di persone di cui, Gokudera, ignorava l’esistenza. Riconobbe qualche particolare qua e là, come i luoghi o qualche somiglianza fisica, ma nulla di più. Stava per distogliere definitivamente lo sguardo da quel ripiano quando l’ultima foto gli catturò lo sguardo on una sensazione di déjà-vu. Era una donna dai capelli neri, lunghi fin sotto le spalle. Il sole le illuminava il volto e, negli occhi, una luce piacevolmente familiare. Il volto era piccolo e delicato e il sorriso che lo illuminava era semplicemente radioso. Sembrava la foto di una qualche pubblicità. Gokudera non fece in tempo a ricollegarla alla foto, probabilmente più datata, che aveva visto al piano di sotto qualche tempo addietro, che la voce di Yamamoto lo riportò alla realtà.
 
- Quella è mia madre.-
 
Gokudera sobbalzò voltandosi verso di lui. In piedi, con gli occhi leggermente arrossati, la mano contro lo stipite della porta, Yamamoto lo fissava in silenzio. Sul volto un sorriso flebile e malinconico. Gokudera voltò nuovamente il capo verso la foto, riconoscendovi, solo allora, mille piccole somiglianze: la minuscola fossetta sulla guancia destra, la linea leggera delle sopracciglia, il colore scuro dei capelli… si soprese conscio del fatto di quanto stesse considerando bellissimo ogni particolare del viso della donna solo quando si rese conto che, a tutti gli effetti, lo ritrovava anche nel viso di Yamamoto. Un brivido gli percorse le spalle, improvviso e … semplicemente strano. 
 
-…Lo so. Tuo padre me ne ha parlato quando ho visto la foto al piano di sotto.- Mormorò lieve continuando a fissare la foto: la somiglianza che vi scorgeva sembrava svanire ogni volta che cercava di metterla a fuoco nei minimi particolari, come il ricordo di un sogno appena fatto. Sentì Yamamoto sbuffare divertito alle sue spalle.
 
- Sì. Lui ne parla ogni volta che può. Ogni occasione in cui può farlo… gli sembra un regalo.-
 
Gokudera chiuse gli occhi d’istinto, serrando le labbra. Gli sembrò che la musica di un pianoforte lo stesse accarezzando piano, in lontananza ma con fervore…
 
- E allora?- Chiese, poi, nel tentativo di scacciare l’improvviso ricordo di un volto minuto e gentile, incorniciato da lunghi capelli argentati – Tua madre che fine ha fatto? Ha mollato tuo padre e se ne è andata con qualche riccone occidentale?-
 
Seguì un breve silenzio, riempito solo da qualche passo di Yamamoto, adesso un po’ più vicino a lui. Gokudera non vi diede stranamente peso e si voltò nuovamente verso di lui. Fissava la foto con aria stanca e malinconica, lo stesso sorriso della donna sulle labbra.
 
- No, lei… è morta diversi anni fa.-
 
Gokudera tacque. Non fu esattamente imbarazzo per la propria indelicatezza, quello che seguì, ma un dolore profondo e affilato che gli pugnalò lo stomaco, freddo e silente come uno spillo. Non cercò di giustificarsi, né desiderò sprofondare due metri sotto terra, riuscì solo a pensare a quanto il sorriso triste di Yamamoto, e il suo sguardo commosso e malinconico sembrassero lo specchio del proprio e di quanto, pericolosamente, nella sua mente, la foto della madre dell’altro fosse divenuta un’immagine della sua.
 
Ma Yamamoto ruppe quell’incanto terribile con un sorriso costernato, agitando una mano davanti al volto in segno di scuse.
 
-  Ah, ma… non preoccuparti! Io… non me la ricordo nemmeno: è morta quando non avevo neanche due anni… -
 
Gokudera seguitò a fissarlo con un’espressione indefinita, si sentiva un po’ invidioso, contrito e rattristato allo stesso tempo. Riusciva solo a ricambiare lo sguardo di Yamamoto, in silenzio, mentre sentiva crescere, dentro di lui, una comprensione che non avrebbe creduto possibile. Yamamoto, dal canto suo, continuava a sorridere imbarazzato, balbettando scuse e rassicurazioni poco convincenti.
 
-Non è vero che non te la ricordi.- Mormorò Gokudera improvvisamente, e gli sembrò di aver parlato nel sonno perché, non appena concluse l’ultima sillaba, avvertì la consapevolezza delle proprie parole e un fiume di imbarazzo e senso di colpa lo investì, ma cercò di sostenere il peso dello sguardo sorpreso di Yamamoto.
 
Il ragazzo lo fissò con aria seria, sollevando gli occhi, come se volesse trovare una risposta, da qualche parte, in qualche angolo della stanza, poi li riabbassò su Gokudera, e un sorriso caldo, sincero, come da tempo non accadeva, gli illuminò il volto. E Gokudera comprese e riconobbe, per la prima volta, sempre di più, ogni sfumatura nel suo viso, trovandovi un senso e una sorta di cognizione. Yamamoto si passò piano la lingua sulle labbra, come se stesse cercando le parole giuste che sembrarono trovare lui non appena i suoi occhi si posarono di nuovo sulla foto della donna.
 
-Quando ero piccolo vedevo le foto che mio padre teneva nel portafogli e nella cornice in camera sua ma… non sentivo nulla: era come fissare il volto di una sconosciuta… non era quello che pensavo che un bambino avrebbe dovuto provare pensando a sua madre… ma quella non era che una faccia su un comodino che faceva piangere mio padre la notte. Non provavo nostalgia o dolore come lui e… mi sono sentito sbagliato molte volte per questo.-
 
Yamamoto tacque per un attimo, ingoiando della saliva varie volte, per poi riprendere il discorso con una nota divertita ma tradita dal suono spezzato della voce. Gokudera seguitò ad ascoltare in silenzio, mentre il dolore nella pancia si faceva più forte.
 
- Una volta presi la foto nell’altare di famiglia e la portai in bagno con me, la avvicinai al viso e mi specchiai con lei. Fu quasi sconcertante rendersi conto di quanto le somigliassi… certo, assomiglio molto più a mio padre adesso ma… la linea del naso, i denti, le sopracciglia… erano i suoi. Davanti allo specchio del bagno, all’età di otto anni, fu come scoprire come doveva essere avere una mamma. So che deve essere molto diverso da come lo immagino io ma… in un certo senso ho cominciato ad amarla da allora. Mi spaventavo ogni volta che mi facevano notare come fossi cresciuto o cambiato e… la sera correvo a prendere la sua foto per specchiarmi assieme a lei e mi sentivo sollevato ogni volta che non notavo cambiamenti in ciò per cui le somigliavo.-
 
Gli angoli della sua bocca tremarono appena, e Yamamoto abbassò lo sguardo mordendosi un labbro e tirando su col naso. Non stava piangendo. Gokudera riusciva a comprenderne il perché: era una nostalgia cruda ed immotivata, non era struggente né tragica, era bella… era sua.
 
- Scusami…- Disse poi, sorridendo di nuovo. - Lo so che deve sembrarti stupido…-
 
- No, non lo è-  Rispose immediatamente Gokudera. La voce calma e decisa. Yamamoto lo guardò, lo fissò per diversi secondi, Gokudera si accorse di come il suo sguardo lo stesse studiando, ogni porzione di pelle, ogni impercettibile cambio di espressione, era uno sguardo bisognoso e grato, un po’ imbarazzato ed intimo. E, per la prima volta, Gokudera lo comprese fino in fondo, ricambiandolo senza vergogna.
 
Yamamoto gli sorrise, quel sorriso che Gokudera aveva aspettato per troppo tempo, arricchito da una complicità inamovibile che, se ne rese conto, non sarebbe mai scomparsa. Fu come suggellare un sentimento che non sarebbe mai scomparso e, in quel momento, Gokudera si sentì pronto a sopportarlo anche se non ancora pronto a pensare di ricambiarlo in alcun modo. In un certo modo vi trovò le risposte che era venuto a cercare, e, anche se non era quello che voleva… sembrò bastargli.
 
 
 
 
 
Il sole stava tramontando, e l’aria si era fatta fredda, il vento mosse le prime foglie secche, formando minuscoli mulinelli leggeri ai piedi di Gokudera, appena fuori dall’entrata del ristorante. Yamamoto lo aveva accompagnato, in silenzio, aprendogli la porta. Quello che era seguito non era stato un silenzio imbarazzato, solo necessario e complice, come non lo era mai stato prima di allora. Solo che, una volta, sulla porta, Gokudera non riuscì a reprimere quella necessità: la voce gli fluì semplicemente dalle labbra, non più rumorosa di un sussurro.
 
- Anche mia madre è morta… Io me la ricordo… -
 
Una frase semplice, disarticolata, impacciata… sincera. Yamamoto alzò lo sguardo. Non vi era sorpresa nei suoi occhi, Gokudera non gli chiese mai se il motivo fosse il fatto che lo sapeva già, o perché lo aveva capito, o semplicemente perché non sentiva il bisogno di chiedergli nulla di più. Lo aveva semplicemente guardato, accogliendo quella confessione, serbandola nel cuore come un tesoro e suggellandola con un sorriso, l’ennesimo, bellissimo e caldo.
 
Le pochissime persone a cui Gokudera lo aveva detto, erano diventate silenziose, avevano cambiato argomento con fare imbarazzato o gli avevano chiesto scusa, mostrandosi dispiaciute. Yamamoto aveva solo sorriso, addolcendo lo sguardo e aveva detto:
 
- Sono sicuro che sia stata una donna meravigliosa.-
 
Gokudera non aveva risposto. Aveva abbassato lo sguardo per poi incamminarsi verso casa, sollevando la mano in segno di saluto. Una folata gelida lo aveva investito, gli occhi gli si erano inumiditi e le guance erano diventate bollenti. Gokudera tremò, consapevole de fatto che il vento non avesse alcuna colpa.
 
 
 
 
La mattina dopo, in classe, poco dopo l’appello, Gokudera si voltò verso le file dietro di lui, non seppe se per caso o per un bisogno inconscio, ma la prima ed unica cosa che vide, fu il volto di Yamamoto. L’espressione distratta e un po’ annoiata, la vitalità che gli imporporava le guance e la matita tra i denti, il ragazzo alzò, infine, lo sguardo verso di lui: le guance si arrossarono appena e gli occhi grandi si assottigliarono impercettibilmente, mentre un sorriso gentile e imbarazzato gli illuminava il volto.
 
Gokudera sentì le guance andargli a fuoco mentre un improvviso nodo nello stomaco si strinse così forte da fargli male. Si voltò così in fretta dall’altra parte che temette quasi di perdere l’equilibrio e cadere dalla sedia. Solo dopo le prime due ore di lezione, Gokudera, trovò, dentro di sé, la forza per voltarsi di nuovo, impercettibilmente, verso di lui. Yamamoto stava continuando a sorridere, curvo sul banco, con la matita masticata tra le dita. E Gokudera non riuscì a pensare a niente di più bello.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti. So che dovrei fare ammenda e recitare venti Ave Maria per il ritardo mostruoso con cui sto pubblicando, per giunta, un capitolo molto più breve dei precedenti, ma ho avuto dei motivi più o meno validi, tra cui la rottura del mio pc per praticamente più di un mese in cui non ho potuto fare nulla…e al fatto di aver trovato un lavoro (cosa di cui sono felicissima, ma che mi permette di dedicarmi meno di quanto vorrei alla scrittura o al disegno) ;A; Per quanto concerne la lunghezza del capitolo… credo che il motivo sia che da ora in avanti, come si può evincere, il rapporto tra Gokudera e Yamamoto è cambiato ulteriormente, non credo che avrebbe sortito lo stesso effetto se fossi andata avanti, anche perché ciò che ho in serbo per il futuro, praticamente immediato, cambierà ulteriormente i loro rapporti, in bene o in male lo lascerò decidere a voi. Ad ogni modo sono abbastanza soddisfatta di come si sono evoluti gli avvenimenti, credo che Gokudera sia molto confuso ma, a conti fatti, sta scoprendo ogni lato bello di Yamamoto e… chissà che in futuro non voglia dargli una qualche possibilità (ufufufu… non vi dico nulla, ma sappiate che non sarà una cosa facile <3)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, spero di riuscire a pubblicare il seguito al più presto
Un bacione. Kumiho! <3
 

 
 

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