Time to play.

di Jen92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Approaches. ***
Capitolo 2: *** Explain. ***



Capitolo 1
*** Approaches. ***


"Time To Play."

Chapter I
Approaches.

Il silenzio che lo circonda è un alleato prezioso, e quanto mai inaspettato. Perché, in una casa frequentata a tutte le ore da una marea di gente, trovare un momento di totale solitudine è qualcosa di unico. Ed invece ora è perfettamente solo.

Gli sembra un miracolo. Grimmauld Place deserto era un’utopia. Ma aveva bisogno che questo avvenisse, se voleva mettere in atto il suo piano.
Non può rischiare che altri sappiano, che qualcuno lo scopra. Per tutta una serie di motivi.
Innanzitutto perderebbe credibilità, cosa che non può permettersi raggiunta la sua posizione. Ma c’è anche da valutare che, se anche solo una persona entrasse in contatto con il suo segreto, questa rischierebbe di mandare tutto all’aria. Non deve accadere. Ci tiene troppo, ed un risvolto positivo cambierebbe la sua vita per sempre. Capirete quindi il perché delle sue precauzioni, della sua attenzione ed impazienza.

 
Si muove circospetto, nonostante abbia la certezza di essere l’unica compagnia di se stesso. Ma c’è sempre l’Elfo Domestico, e comunque meglio non rischiare. Si avvicina alla sua preda furtivo, il passo che vuole essere delicata senza tuttavia riuscirci troppo. Ogni scricchiolio delle assi che compongono il pavimento è un tuffo al cuore, e benedice la moquette che copre a macchia di leopardo la superficie delle stanze.
 
Non ci mette comunque molto, ed alla fine è lì.
Non ha mai prestato molta attenzione all’oggetto, forse perché mai avrebbe pensato che gli sarebbe servito il suo utilizzo. In un primo momento non lo aveva neanche mai notato, e dire che non si tratta di qualcosa che persone normali assocerebbe all’aggettivo piccolo. Ad ogni modo, per fortuna ne esiste un esemplare anche in quella casa.

In disuso, malandato ed impolverato. Ma ha capito tutte le sue potenzialità quando lo ha visto in funzione per la prima volta. Ed è stato in quell’istante che ha deciso che sì, anche lui avrebbe imparato come muoverlo. Sarebbe stata la sua chiave per il successo, il colpo di genio che da tempo rincorreva. Ora che è tutto così a portata di mano, riesce a stento a crederci.
Si avvicina ancora, guadagnando centimetri in quel cammino tortuoso. E finalmente si siede. L’imbottitura della seduta si flette morbida sotto al suo peso, mentre lui cerca una posizione che gli sia quanto più congeniale possibile. E sorride. Sorride di se stesso e di quello che è disposto a fare per ottenere ciò che vuole.
Fissa la tastiera lasciata scoperta, i tasti neri e bianchi che si alternano precisi. Ognuno corrisponde ad un suono, ognuno ad una magia. Ed insieme, sotto mani maestre, sono capaci di far sognare.

 
Esatto. Un pianoforte.
 
Peccato che lui non sappia da che parte iniziare. Non ha mai suonato nulla in vita sua, e questo primo approccio ha del tremendo. Poi, prende coraggio, perché ovviamente non può indugiare oltre. Non ha tempo da perdere ed è il primo a voler rompere il ghiaccio quanto prima.
Sospira quindi, poi è l’indice della mano destra a condurre il gioco. Trema quasi, mentre arriva all’altezza di un tasto scelto completamente a caso, che segnerà l’inizio di questa avventura.
E’ un attimo quello in cui li pigia il più delicatamente che può, ma il suono ne esce comunque secco ed imperioso. Sembra quasi rimbombare nella stanza. Ma lui ride, soddisfatto. Ride ancora, pensando che se si impegna raggiungerà quel che ha premeditato, che se persevera ciò che vuole sarà suo. Ride, perché quel rumore cristallino è il primo segnale che sta percorrendo la strada giusta.
E lo prende la frenesia. Le dita scorrono allora rapide sui tasti, senza una logica perché una logica da seguire non c’è. Un’accozzaglia di note, senza che ne fuoriesce alcuna melodia precisa. Ma per lui è musica, e molto più di quanto non avrebbe mai osato sperare.

 
Non si rende conto però della confusione che generando in una casa dove tutto attorno a lui tace. E non avverte nemmeno dei passi scendere lentamente ed arrivare fino alla porta che segno l’ingresso alla stanza dove in questo momento è preda si stesso. Gli occhi sono chiusi, l’espressione serena. Non può quindi vedere l’espressione di chi ora si sta affacciando nell’ambiente, e lo fissa come se fosse un qualche creatura aliena.
 
- Ronald? – La figura lo chiama, cercando di sovrastare con la voce il livello della musica, più o meno definibile in questo modo.
 
Lui sente. Le mani si bloccano, e rimangono a mezz’aria. Il sorriso si gela in volto, ed è una maschera mortifera quella che si gira in direzione di chi ha parlato. Troppo nota la voce per non aspettarsi di trovarsi davanti un paio di splendenti occhi verdi. Merlino, ti prego, fa’ che ho sognato tutto..

Ed invece no.
- Ma che diamine stai facendo? –

 
Cavoli. Non era solo. Miseriaccia.
 
~~~~~~~~~~
 
 Se siete arrivate fin qui, complimenti ^^
Piaciuto il primo capitolo? Come forse avrete capito, l'ispirazione è nata da un dettaglio. Che dire, mi piace andare a pensare che
dietro una parola o un'immagine di nasconda dell'altro.
Se volete farmi felice, lasciate un commento. Fanno sempre piacere dei consigli o dei pareri, positivi o meno che siano.
Graaazie :)
 

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Capitolo 2
*** Explain. ***


"Time to play."

Chapter II
Explain.

 
Si volta. Per forza, non può evitare. Eppure è una lentezza esasperante quella che lo conduce ad incrociare lo sguardo di lui. Il suo migliore amico. Quell’adorabile guastafeste che al momento lo sta fissando neanche fosse sul punto di morire, colpito da chissà quale rarissima ed incurabile malattia.
L’espressione di Harry ha qualcosa di comico, senza dubbio. Gli occhi sgranati, il sopracciglio inarcato, le labbra schiuse e l’aria di chi davvero non sta capendo nulla. Ed intendiamoci, potrebbe anche avere ragione.
Il fatto è che trovare Ronald Bilius Weasley seduto ad un pianoforte, metterebbe a dura prova i nervi di chiunque. Ed è assolutamente comprensibile se il moro si stia chiedendo se è ubriaco o meno.
Ma no, in ogni caso gli si risponderebbe che più sobrio non potrebbe essere. E che quello che ha davanti agli occhi è vero.
Lo fissa allora, cercando di mettersi in volto una maschera di pura tranquillità. Come se non stesse assolutamente facendo nulla di male. O meglio, di anormale. Ma è abbastanza inutile sottolineare quanto non gli riesca affatto. Al contrario, sembra il classico bambino beccato con le mani dentro alla marmellata. E quando parla, le parole sono inframezzate da un tono imbarazzato e da un balbettio che la dicono lunga su come davvero si senta in quel momento. Braccato, in gabbia. Scoperto.
-Io.. Beh, ecco, io.. –
Nulla più di questo dalle sue labbra, mentre una certa ansia comincia a salire. E se qualcun altro lo avesse sentito? Se alla fine non era davvero solo come credeva? Cosa potrebbe dire in sua difesa?
La mente comincia a lavorare febbrile, ma quel che partorisce è solo un ammasso di pensieri sconnessi. Ed intanto il ragazzo in piedi accanto allo stipite della porta del salotto ha cominciato ad avanzare, aumentando e non di poco la pressione sulle spalle del povero rosso. Ogni passo è una goccia di sudore in più, un respiro affannato ed un secondo in meno per pensare. Nel mentre, sul viso ancora quell’aria fasullamente sfacciata, quasi scocciata dall’essere stato interrotto. O perlomeno, è quello che immagina ed ancor più spera di trasmettere all’altro. In realtà, ha piuttosto la faccia stranita e quasi spaventata di chi non sa davvero che pesce pigliare. Tra l’altro, quando vede l’amico dipingere un sorrisetto beffardo sulle labbra, si sente davvero morire. E’ la fine di tutto.
- Allora..? –
Mai domanda è suonata più inopportuna alle sue orecchie. Allora cosa? Che vuole? Perché non può semplicemente essere lasciato in pace?
Sbuffa, ma non tanto per il fastidio, quanto perché spera che quel gesto possa servire a calmarlo. Ma no. Non cambia nulla. E si ritrova a fissare quelle iridi verdi sperando che, tenendo socchiuse le palpebre un po’ più a lungo del normale, riaprendole siano scomparse. Con loro, ovviamente, anche il suo migliore amico.
Una magia, ecco ciò di cui avrebbe bisogno in questo momento. O forse di un miracolo. Decisamente, vorrebbe che si trattasse solo di un brutto scherzo della su mente paranoica.
- Ma niente, dai.. Stavo solo..-
Non sa bene nemmeno lui cosa stava cercando di fare e, ripensandoci, qualunque cosa fosse gli sembra particolarmente stupida.
Cosa credeva di fare? Darsi dell’idiota è fin troppo facile per lui. Il suo piano, lo stesso che lo ha tenuto sveglio tutta la notte ed eccitato al pensiero che potesse andare in porto, ora gli si sta rivoltando contro come il peggiore dei nemici. Ma perché le idee geniali vengono solo agli altri? Stiracchia un sorrisetto, come se fosse quello il proseguo della frase, e la sua conclusione. Ma, evidentemente, non basteranno quelle poche parole scarne a placare la curiosità del compagno ritto davanti a lui. Ne è certo.
Eppure, qualcosa nella sua espressione lo convince che c’è dell’altro. Sì, perché il moro gli rimanda ora uno sguardo comprensivo, come quello che una mamma riserverebbe ad un bambino particolarmente cocciuto. Tenere, oseremmo dire.
Ed allora è lui a non capire. Sbatte le palpebre, inerme ed al tempo stesso spaventato da quello che le sue orecchie potrebbe udire di lì a poco. Ovvio che lo sguardo voli anche oltre le spalle dell’amico, nella speranza che quel dialogo rimanda davvero a due, e non si espanda ulteriormente. Al momento però, tutto tace.
Fino a che il silenzio viene sì squarciato, ma il tono non è esattamente quello che si sarebbe aspettato. Assolutamente no.
- L’hai vista anche tu, eh? –
Sospira, allora, quasi rassegnato. E gli occhi azzurri esprimono molto più di quanto non vorrebbero. Oh sì, beccato in pieno senza nemmeno essere costretto a nessuna confessione. Ed anche ora passa ad offendersi da solo, semplicemente però per aver pensato che il suo migliore amico potesse non accorgersene. Chiude gli occhi, indugiando un momento, prendendo fiato ed aspettando il momento della verità. Come se poi ci fosse davvero bisogno di dare conferma a quella domanda. Non è abbastanza palese?
- L’ho vista anche io. –
Ed ora?

 

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