Un Diamante per la Resistenza

di Kimynaky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Dragonflies ***
Capitolo 2: *** La Bomba ***
Capitolo 3: *** l'Agguato ***
Capitolo 4: *** Il Ponte ***
Capitolo 5: *** La Base Segreta ***
Capitolo 6: *** Il Quasi rende tutto possibile ***
Capitolo 7: *** Il Golpe ***
Capitolo 8: *** Guerra! ***



Capitolo 1
*** I Dragonflies ***


La banda dei Dragon-flies era al completo. Tutti e trenta si erano disposti a cerchio, ciascuno in sella al suo flyscooter, e tra sonore risate e rombi di motore attendevano che il loro capo prendesse parola.

 

Si trovavano in un parcheggio deserto, fiancheggiato da una strada sopraelevata poco o nulla frequentata; illuminato principalmente dai fanali dei flyscooter, ma anche dalla luce di un vecchio lampione che proveniva da un angolo del parcheggio. Si poteva dire di essere nella periferia della periferia: la città portava ancora le cicatrici della guerra civile di quattro anni prima che aveva mietuto migliaia di abitanti, per cui interi quartieri erano in abbandono. Quartieri dove la banda spesso si radunava certa di non essere disturbata. L’asfalto era ancora umido di pioggia, e al centro del cerchio formato dalla banda, stava in piedi una ragazza, alta, slanciata, con lunghi capelli biondi, avvolta in una tuta da motociclista nera. All’improvviso sorrise soddisfatta nell’osservare il gruppo: erano caricati, pieni di determinazione… e di odio. Era la serata giusta. Con un solo gesto chiamò il silenzio: la riunione aveva inizio.

Amici…”

tutti la fissavano bevendo ogni suo minimo respiro, in attesa delle sue parole.

Stasera vi ho osservato attentamente. Sapete cosa ho visto? Ho visto giovani pieni di grinta, di voglia di vivere, esattamente come me. Gente in gamba, che può raggiungere qualsiasi risultato… e che non può tollerare oltre la spocchiosa arroganza dei Serge-eagers!”

Urla e rombi di motore enfatizzarono quest’ultime parole. Kim li lasciò sfogare, poi alzando una mano ristabilì il silenzio.

I nostri informatori hanno confermato i nostri sospetti: quegli infami si radunano d’abitudine al ‘Nana Gialla’, la birreria di Cid Black. Ma non è un semplice punto di ritrovo, è anche un magazzino, dove radunano le loro armi e le loro sporche finanze. Sapete che vi dico? Che stasera ci riprenderemo quello che ci è stato rubato!”

Urla di guerra approvarono le parole del capo. In men che non si dica i flyscooter si elevarono nel cielo alla volta del Nana Gialla. A distanza di sicurezza atterrarono in una piazzola, dove Kim spiegò il piano ai suoi due bracci destri, Patrick e Brian.

 

-II-

 

La musica alta si sentiva fin dalla strada, ma nonostante questo il Nana Gialla era quasi vuoto quella sera; solo i più affezionati erano venuti per scolarsi una birra. In fondo, era solo mercoledì. Il Nana Gialla era un locale alla moda, situato in uno dei viali pieni di negozi della periferia degradata di Petra. Nonostante questo a quell’ora, e nel bel mezzo della settimana, per le strade si vedeva poca gente, per lo più giovani sbandati che si ritrovavano con gli amici per bere qualcosa, qualche donna di malaffare, e uomini dalle facce poco rassicuranti.

 

All’interno del locale aleggiava una luce rossiccia proveniente dai neon che illuminavano il bancone, dove Cid Black, il proprietario, stava riempiendo di birra il boccale di Frank.

Come sta andando quel lavoretto per il grande capo?” , chiese Cid

 

Finora è andato bene” rispose Frank “ma la gente comincia a risentirsi. Dice che il pizzo è troppo alto” , e diede un primo sorso alla birra chiara.

 

In effetti, ultimamente l’avete alzato parecchio…” azzardò cautamente Cid

 

Al diavolo, Cid! Che cosa dovrei fare? Abbiamo protezione in cambio della metà dei profitti, capisci cosa intendo? Devo tenermi buoni i superiori.”

 

Continuò a bere la sua birra, un po’ seccato.

 

In quel mentre Jacob, suo fedelissimo, corse trafelato fino al bancone dove sedeva Frank.

 

Presto, Frank! I Dragon-flies ci stanno attaccando!”

 

Frank afferrò subito il casco del flyscooter e corse fuori. Sulla strada i suoi segugi erano in confusione, mentre gli ultimi Dragon-flies planavano a pochi centimetri delle teste dei Serge-eagers, che si abbassavano anche per evitare di essere colpiti dalle scariche di pallottole che venivano dall’alto.

 

Frank imprecò, infilò il casco a ossigeno e balzò in sella al suo flyscooter.

 

All’attacco!”, urlò, poi si girò verso Jacob: “tu resta qui di guardia coi tuoi uomini!”

 

E azionando l’acceleratore filò via.

 

Jacob restò a guardare il capo fin quando fu visibile, poi contò i suoi uomini: cinque. Era mercoledì, e a lui restavano solo cinque uomini. Sconsolato rientrò nel locale per ordinare un’altra birra, e non si accorse che una bomba soporifera stava rotolando sul pavimento.

 

-II-

 

Il “Respiro di Saturno” era un sonnifero davvero potente. Inodore, dopo due minuti di inalazione provocava un sonno profondo, dal quale ci si poteva svegliare solo quando la concentrazione del gas nell’aria diventava inferiore al due per cento. Al risveglio chi ne aveva respirato una buona quantità avvertiva torpore in tutto il corpo, mancanza di coordinazione e difficoltà nei movimenti. Se si rimaneva sottoposti ad alte concentrazioni di respiro di Saturno per un periodo troppo lungo, si rischiava la paralisi temporanea di certe parti del corpo. Si diceva addirittura che una persona, rimasta in una stanza satura di gas per sette giorni, era morta. Ma questa era solo una leggenda.

 

Comunque, data la sua pericolosità, era una sostanza fuorilegge, e poiché fuorilegge lo smercio sottobanco era più che fiorente: nella periferia era così comune che era più facile comprare respiro di Saturno che non pane fresco.

 

Neanche cinque minuti dopo tutte le persone all’interno del locale erano svenute. La porta si aprì ed entrò Kim, munita di respiratore. Gli uomini della sua banda entrarono subito dopo di lei, nove in tutto. Lo spettacolo era quasi sinistro. La penombra del locale gettava ombre irreali sui volti delle persone che giacevano addormentate, immobili, ma Kim non perse tempo. Saltò dietro al bancone, frugò nelle tasche di Cid e trovò il mazzo di chiavi che stava cercando. Jerry e Liam si appostarono all’entrata del locale, facendo da palo; Josh e Rod controllarono i bagni ed eventuali uscite secondarie; e gli altri seguirono Kim, che aprì la porticina comunicante col retro del locale.

 

La stanza a colpo d’occhio sembrava la tipica cantina dei pub, ma Kim sapeva dove andare: fece spostare una pila di pesanti scatole e sollevare il lastrone che fungeva da piastrella. Sotto c’era una grossa botola chiusa. Kim trovò la chiave giusta e aprì anche quella, scoprendo una rampa di scale che portava in un grande scantinato: il magazzino dei Serge-eagers.

 

Ora non restava che svuotarlo e andarsene il prima possibile: Kim era certa che i Serge-eagers avrebbero fatto di tutto per fargliela pagare, e di certo non voleva essere presente al ritorno di Frank.

 

-III-

 

Lo scontro in aria si rivelò difficile da sostenere. I Dragon-flies erano inferiori per numero e per tecnologia: le loro armi funzionavano ancora a pallottole, mentre i segugi cavalcavano modernissimi flyscooters forniti addirittura di leggere armi laser: la banda di kim batté quasi subito in ritirata. Frank sorrise al pensiero delle sue armi: essere i protetti del dittatore forniva tali vantaggi, che la diminuzione delle entrate passava in secondo piano. Infervorato dal gusto della vittoria urlò nell’interfono del casco:

Non lasciatevene sfuggire nemmeno uno!”

Anche Brian si accorse del pesante squilibrio. Non potevano fuggire in eterno, gli odiati Serge-eagers avevano inoltre dei flyscooter migliori dei loro. Doveva prendere al più presto una decisione.

Patrick! Dividiamoci. Ora io svolterò per il centro” e virò a sinistra, seguito dai suoi uomini.

Buona fortuna, Brian!”

 

Quando i Dragon-flies si divisero, Frank non ebbe indugi:

cercano di disorientarci. Continuate tutti a seguire il gruppo principale!”

e tutti i Serge-eagers si accanirono sul gruppo di Patrick. Riecheggiarono nella notte potenti colpi laser.

I Dragon-flies di Patrick zigzagavano nel traffico, facendo lo slalom tra i fasci luminosi mortali. Tentarono di tutto, deviavano , evitavano all’ultimo momento lo scontro coi massicci aerobus, ma le scariche laser si facevano sempre più vicine.

Patrick, disperato, urlò nell’interfono:

distanziamoci, così non potranno sparare nel mucchio!”

Manuel era abilissimo a fare il pelo alle facciate dei grattacieli. Chi lo seguiva lo era un po’ meno, e si schiantò contro una vetrata illuminata.

Yuri invece continuò la corsa sull’asfalto, a fari spenti. Infatti la caratteristica dei flyscooter era che potevano correre benissimo sia in aria che sulla terra. Riuscì a confondersi nel traffico, e alla prima traversa imboccò un vicolo stretto e buio, da dove raggiunse un locale non lontano dal ritrovo.

James se la cavava a fare lo slalom nel traffico aereo. Era così rapido e abile che il Serge-eager che lo seguiva faticava a stargli dietro.

Puntiamo tutti contro il loro capo!” ,urlò all’improvviso Frank alla ventina dei segugi che ancora erano abbastanza vicini da udirlo.

 

Patrick in quell’istante se la vide davvero brutta. La distanza coi suoi inseguitori continuava ad accorciarsi, gli spari laser si facevano più precisi. Vicino a lui restavano pochi Dragon-flies.

All’improvviso i Serge-eagers colpirono il flyscooter di Samuele. Cercò di mantenerne il controllo, ma la spinta disuguale lo scaraventò contro un palazzo.

Patrick inorridì.

Samuele!”urlò, volando in suo soccorso.

Samuele tenne salda la presa sul manubrio del suo flyscooter, ma questi strisciò con rumore assordante contro la facciata del grattacielo. Migliaia di scintille incandescenti si sprigionarono finendo sulla gamba sinistra ustionandogliela. Urlò di dolore. In quel mentre Patrick gli si affiancò, e rapidamente lo afferrò per il giubbotto trascinandolo a bordo del suo flyscooter. Quello di Samuele, privo di controllo, precipitò nel vuoto.

I Segugi erano sempre più vicini.

Brian e i suoi uomini ricomparvero subito in coda ai Serge-eagers. Li crivellarono di colpi e a Frank, trovandosi circondato, non restò che fuggire. Stavolta i Dragon-flies non continuarono l’inseguimento. Era passata più di un’ora, ormai Kim doveva aver finito.

 

La banda era tornata nel covo, e Kim mostrò il bottino al resto del gruppo. La serata era stata fruttuosa. Nessuno mancava all’appello. Purtroppo Samuele era malconcio: aveva strisciato contro il muro di un palazzo per ben nove metri e se non fosse stato per i suoi nervi saldi e l’aiuto di Patrick…

Contarono i 100’000 crediti. Quella settimana era stato pagato il pizzo e le casse erano ancora piene. Avevano portato via anche una ventina di paralizzatori e una decina di fucili laser. Roba ultimo modello. Veri gioiellini. L’intera banda esultò e propose un festeggiamento. Kim dispensò cinquecento crediti a testa, senza distinzioni. A Samuele però ne diede mille, per le cure alle brutte ferite che aveva riportato. Il resto fu destinato alla cassa comune: li avrebbero usati nei casi in cui il flyscooter di uno di loro si fosse rotto, o se si fosse fatto vivo uno spacciatore d’armi che ne valesse la pena, o per l’acquisto di un locale…

Dopo questa spartizione andarono a festeggiare all’Historia.

 

-IV-

 

Il boss lo fissò freddamente negli occhi per un lungo istante. La stanza era piccola, calda; l’aria resa pesante anche dal fumo del sigaro che stava fumando. Slaughter era non molto alto, e corpulento. La fronte, sempre aggrottata, sembrava calare sugli occhi facendoli apparire ancora più piccoli di quello che erano. Occhi che, anche se piccoli, penetravano ogni sguardo lasciando trasparire una personalità scaltra e molto intelligente. Nel complesso quella persona aveva un magnetismo che incuteva soggezione.

Seduto da dietro una piccola scrivania, sprofondato nella poltrona, fumava il sigaro apparentemente con fare rilassato, controllato. Solo un movimento impercettibile delle labbra lasciava trasparire tutta la sua rabbia.

 

E i responsabili? Oltre te, naturalmente” sibilò tra i denti.

Frank si mosse a disagio sulla sedia imbottita posta di fronte alla scrivania.

Una banda di quartiere, i Dragon-flies.”

Dragon-flies… non ne ho mai sentito parlare… sono al servizio di chi? Forse di Joe Cursed?”

domandò Slaughter alzando un sopracciglio, senza distogliere gli occhi dal suo sigaro.

No… ho verificato io stesso. Deve trattarsi di un gruppo indipendente…”

Slaughter alzò gli occhi e con uno sguardo glaciale interruppe Frank.

Un gruppo indipendente che riesce ad arrivare a tanto? Questi Dragon-flies scorrazzano nel tuo settore da almeno due anni. Perché ne sento parlare solo ora? E perché sono ancora vivi?”

Finora non era mai stato necessario…”

Frank” L’interruppe il boss “Non sei in grado di stabilire quando è necessario informarmi o no, quel che è successo stanotte ne è una prova. Finora ti sei dimostrato un ragazzo in gamba, tanto che ti ho affidato la direzione del Nana Gialla… ma se ti lasci prendere in giro da un gruppetto di teppisti, mi costringi a ricredermi.”

Frank chinò il capo. Non avrebbe permesso agli odiati Dragon-flies di interferire con la sua carriera. Con rabbia crescente alzò fieramente il capo e sostenne lo sguardo di Slaughter.

Grande Boss, ti chiedo solo una settimana di tempo. Entro quest’ora di giovedì prossimo ti giuro che avrai ricevuto la notizia della morte del capo dei Dragon-flies.”

Il Boss sorrise impercettibilmente. Apprezzava i tipi spietati e ambiziosi come Frank. Ma non doveva mai dimostrarsi debole, e la situazione era grave.

Una settimana è troppa. Ti concedo tre giorni. Se entro tre giorni non hai regolato i conti, dovrò provvedere io stesso.”

Grazie, grande Boss. Non ti deluderò“ rispose Frank con prontezza.

Lo spero per te” Commentò Slaughter con un sorriso beffardo.

Frank si alzò e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé. Quando questa si richiuse, il sorriso sulle labbra di Slaughter si spense e la fronte si corrugò.

Una banda di quartiere che dichiara guerra ai potenti Segugi, riesce a resistere in questa linea d’azione per due anni e che, ciliegina sulla torta, svaligia il Nana Gialla…” così pensando a mezza voce, Slaughter si accese un altro sigaro e si appoggiò comodamente allo schienale della poltrona su cui sedeva. “Quasi dovrei fare i complimenti al capo dei Dragon-flies…”, fece una piccola pausa, dubbioso “Ma mi chiedo come abbiano fatto a scoprire il magazzino del Nana Gialla. I casi sono due: o qualcuno ha fatto la spia…”, e sembrò valutare per un attimo la cosa “o hanno ricevuto un aiuto esterno, da professionisti, come gli agenti del Partito Liberale…”

Il Partito Liberale era stato messo al bando dal regime assolutistico del Generale Sergio subito dopo il colpo di stato che ne aveva decretato l’ascesa al potere. Era formato da individui che si autodefinivano liberi pensatori e che lottavano cruentemente per un governo diverso. Comprendeva monarchici, democratici, repubblicani coalizzati contro il nemico comune. I monarchici avevano messo a disposizione del PL le proprie risorse: al servizio della regina Veronica, forse ancora viva e nascosta chissà dove, restavano infatti un discreto numero di ufficiali, generali, agenti segreti che si erano rifiutati di giurare fedeltà al Generale Sergio e per cui costretti alla latitanza.

Lo scontento causato dalla tirannia del Generale non rendeva difficile trovare nuove reclute desiderose di imbracciare la causa, il difficile era trovare gente sveglia, scaltra e in gamba sufficientemente per poter lavorare nell’ombra. Come il leader dei Dragon-flies. Slaughter aveva notato che Frank non ne aveva pronunciato il nome, e che era rimasto molto vago parlando di lui, lasciando così aperta la possibilità che Frank stesso non sapesse chi fosse. Veramente notevole, anche per un ragazzo cresciuto sulla strada. Non era quindi del tutto inverosimile che il PL si servisse di una banda di teppistelli per minare la reputazione dei Segugi, gli alleati del Generale. E se così era realmente, non c’era tempo da perdere.

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Capitolo 2
*** La Bomba ***


 

Kim fu svegliata dall’urlo del padre. Lentamente sollevò le palpebre, che sentiva terribilmente pesanti e pastose.

- Che c’è papà? - Chiese pigramente. Che ore sono?

- Assolutamente non ti muovere! – le ordinò.

- Ma che ti prende… - , disse spazientita la figlia, cercando di rigirarsi nel letto, ma non riusciva a coordinare i movimenti.

- Ferma ti ho detto!” – Tuonò Arthur. Quando urlava metteva davvero paura, ma Kim replicò risentita:

- Ma si può sapere che hai?

Solo allora lo sentì. Con un dolore lancinante allo stomaco se ne rese conto: quel ticchettio… poteva essere una cosa sola. Il padre esaminò rapidamente l’ordigno con fare esperto.

- E’ collegato al letto. E’ a tempo, ma reagisce anche alle variazioni di peso: non muoverti per nessuna ragione!

Nei bassifondi la vita era una vera guerra tutti i giorni, e per vivere molti si specializzavano nei furti di vario genere, se non in qualcosa di più grave. Qualsiasi uomo sapeva disinnescare una bomba rudimentale come quella.

Mentre il padre cercava il filo da scollegare, Kim chiuse gli occhi e strinse i denti. Giocare col fuoco era il suo modo di vivere, ma qui era diverso. Non si trattava di corse coi flyscooter o di sparatorie, situazioni dove l’agire con prontezza e decisione faceva la differenza tra la vita e la morte. Si trattava di restar fermi. I pensieri ebbero tutto il tempo di dilatarsi nei secondi che passavano lenti, e Kim si rese conto di quanta paura facesse la morte.

 

-Fatto! -, disse il padre staccando il filo giusto. Kim si rese conto solo in quell’istante che aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo. Il ticchettio cessò, Arthur tolse la bomba e la gettò nel disintegratore di rifiuti, che in pochi secondi la scompose in miriadi di minuscole particelle.

 

Arthur Nakiwata era un uomo di età indefinibile, alto, magro ma dal fisico prestante, vestito sempre di nero. Se non era per i capelli bianchi, e le leggere rughe che solcavano il suo viso, lo si sarebbe potuto scambiare per un trentenne. Erano tanti anni ormai che non rideva più. La sua presenza era comunque magnetica, carismatica. In realtà Kim tutto questo non riusciva a vederlo. Ogni volta che lo guardava vedeva solo uno sconosciuto, che non era mai a casa di giorno e quando capitava di incrociarsi la sera le litigate erano assicurate: per gli orari di Kim, per la cena non pronta, per l'atteggiamento di quella ragazza sfrontata, per l'indifferenza di Arthur. In realtà, Kim non era nemmeno sicura del lavoro che facesse suo padre. Non era nemmeno sicura che lavorasse, a dirla tutta.

 

La ragazza si mise faticosamente a sedere sfidando il gran mal di testa che aveva. Notò anche che il padre aveva spalancato la finestra, mentre era priva di sensi.

Il padre seguì il suo sguardo e spiegò:

- Ti avevano intontito col ‘respiro di Saturno’, quel sonnifero potente. Così hanno avuto tutto il tempo per sistemare la ‘sveglia’... - , poi l’uomo guardò con cipiglio severo la figlia:

- Come te lo spieghi che qualcuno si sbatta così tanto per vederti morire?

Kim abbassò gli occhi. Il padre non sapeva nulla della sua banda, proprio come non sapeva quasi nulla di lei. Era stata lasciata a se stessa. Aveva avuto una sorella, ma erano quattro anni ormai che risultava dispersa. Dispersa! Kim ci aveva messo un bel po’ad accettare l’idea che sua sorella era morta nella stessa guerra civile in cui era morta sua madre. La guerra che aveva voluto Sergio per poter salire al potere. Strinse i pugni.

Il padre si spazientì. “E allora? Hai perso la lingua?”

I pensieri della ragazza corsero alla notte precedente, quando avevano fatto il colpo. Il respiro di Saturno….

Con un moto di rabbia Kim sibilò tra i denti: “Sono stati i Serge-eagers!”

Arthur strabuzzò gli occhi, incredulo. “I Serge-eagers? La mafia….?! Ma che hai combinato? PARLA!”, tuonò.

Per affrontare l’ira di un uomo come Arthur Nakiwata ci voleva davvero coraggio. E anche Kim, che si era fatta un nome grazie alla sua temerarietà, faceva fatica a tenere lo sguardo fermo e deciso. Ma una volta in gioco si gioca per forza.

La ragazza per un istante avrebbe anche voluto spiegare come, in due anni, aveva organizzato i suoi amici per affrontare le prime schermaglie con quei bastardi, e come poi, resi famosi presso le giovani teste calde grazie alle prime vittorie, si erano moltiplicate le richieste di entrare in quella che era diventata l’unica banda che lottava contro i protetti del dittatore. Così erano state messe a punto delle selezioni severe per poter decidere chi era degno di indossare il giubbotto dei Dragon-flies. Il gruppo era diventato numeroso, anche se Kim l’aveva tenuto il più possibile piccolo per poterlo controllare meglio. Avrebbe raccontato a suo padre delle varie sortite, delle vittorie e anche delle sconfitte, per poi finalmente giungere alla missione portata a termine solo poche ore prima. Come uno sfogo avrebbe raccontato tutto questo, ma si trattenne. Un po’ perché è molto difficile aprirsi se non si è abituati a farlo, e un po’ perché anche se sapeva che a suo padre non andava a genio il dittatore e di sicuro non l’avrebbe denunciata, non poteva comunque rischiare di fidarsi troppo.

 

- E allora? - , chiese il padre spazientito.

Kim rapidamente trovò una risposta “diplomatica”:

- Non saprei, papà!

La vena sul collo di Arthur prese a pulsare.

- Ma chi prendi in giro? Non hai detto Serge-Eagers a caso! … e non posso permettere a quei criminali di farti fuori. Adesso mi dici perché ce l’hanno con te!

- Te l’ho già detto, papà: non saprei.

- Stupida testona, prendermi in giro non cambierà la tua situazione!

Disse lui afferrandola per il colletto e strattonandola energicamente. Poi Arthur guardò la figlia in modo strano e cambiò completamente tono:

- Mi spiace che ti sia messa in un guaio simile. Avrei dovuto essere un padre più presente…- Kim lo guardò stupita, per un istante le sembrò di non riconoscere più suo padre...

- Comunque, ora bisogna che tu vada via da qua. Il più presto possibile. Ho già in mente chi mi deve un favore: Sisur Andreas, abita nell’alkahal, al confine con la regione desertica. E’ il gestore di una piccola pensione. Resterai là come sua dipendente fino a che non si saranno calmate le acque.

Kim si riscosse dal suo stupore.

- L’Alkahal! Ma sei pazzo! Mi stai mandando al confino!”

Arthur tornò livido di rabbia.

- Tu devi stare zitta! Non so se l’hai ancora capito, ma qua ti giochi la vita! Ti lascio dieci minuti per fare i bagagli. Prendi solo lo stretto necessario mi raccomando!”, e uscì dalla stanza.

 

Kim restò sola, rossa di collera, a rimuginare su come avessero fatto i Serge-eagers a risalire a lei. Era sempre riuscita a mantenere l’anonimato, finora… una cosa era certa: se qualcuno aveva fatto la spia, in sua assenza nella banda dei Dragon-flies le cose sarebbero sicuramente cambiate in peggio, e non poteva, non voleva permetterlo.

Ora che gli effetti del respiro di Saturno non si facevano più sentire, si alzò, si vestì e mentre preparava la valigia pensò al da farsi. Doveva almeno avvertire Patrick e Brian.

Nervosamente compose i numeri al telefono. La parete opposta al letto si illuminò, e comparve Brian, ancora addormentato.

- Che c’è, Kimberly? Stavo dormendo! E a quanto pare dormivi anche tu.

L’immagine di Brian si ridusse della metà e al suo fianco comparve Patrick.

- Sì? - , chiese con aria assonnata.

- Patrick, Brian, vi ho chiamati per una cosa urgente, scusate l’ora ma non avevo scelta. Devo andare da mio zio Sunny per un po’, sapete, non sta passando un bel periodo. Comunque manterrò i contatti con voi. Ah, la festa di ieri è andata alla grande, mi sono divertita da morire… ora però credo che dovrò lasciar perdere per un po’ i festeggiamenti. Esercitatevi ai nuovi strumenti che vi ho regalato, mi raccomando, così quando torno avremo un’orchestra magnifica… e occhio a non rovinare la sorpresa!”

Colto il senso del codice, Brian rispose a tono:

- Non ti preoccupare. Fammi sapere come sta tuo zio. Magari migliora e ti fai una bella settimana al mare!

- Be’, non credo di poter fare il bagno… dai, vi lascio, non ho molto tempo… ci vediamo! - , e così detto chiuse le linee.

Poco dopo entrò in camera sua padre.

-Su, muoviti, o perderai la metro per l’Alkahal.

Prendendo la valigia Kim si sorprese a pensare ai chilometri di distanza che separavano Petra dalla regione dell’Alkahal, ma questo non la preoccupò più di tanto: aveva un piano.

 

- II -

La stazione sotterranea della metro transcontinentale era così grande da poter tranquillamente contenere una cattedrale, e diversi binari di rotaie magnetiche scomparivano in enormi tubi che attraversavano le viscere della terra. La banchina era congestionata, stracolma di persone che entravano e uscivano da quegli enormi vermoni di metallo che permettevano di raggiungere in poche ore anche le regioni più remote, come quella desertica dell’Alkahal. Kim osservava tutto quel caotico viavai un po’ smarrita: la folla sembrava scivolarle intorno e travolgerla, come gli eventi che nel giro di poche ore l’avevano condotta fin lì. Aveva provato ogni stratagemma, aveva mentalmente cercato qualsiasi via di fuga, ma il padre era stato irremovibile. Anzi, le stava appiccicato controllando ogni suo movimento, così che aveva dovuto rassegnarsi all’inevitabile.

 

Dagli altoparlanti risuonò l’avviso, per i passeggeri diretti all’Alkahal, che il vagone del binario 14 era pronto alla partenza. La folla si accalcò alle porte: provinciali che dopo una breve scappata tornavano a casa, benestanti che cercavano un po’ di pace dalla frenesia della città, pendolari, ricercatori che studiavano la desertificazione o vari sistemi per estrarre l’umidità…

Sentì la mano forte e decisa del padre che la spingeva nella calca, e la sua voce che le raccomandava: “Chiamami appena arrivi. E non far guai, per una volta”

 

Le porte si chiusero, e dopo una dolce accelerazione, ve ne fu una seconda più decisa che portò in pochi secondi la metro all’alta velocità di viaggio, tanto che il vagone sembrò essere risucchiato in uno di quei tubi nella terra. Kim guardò il suo biglietto, colta dallo sconforto. Il suo posto era la poltroncina B12. avanzò a fatica fra il mare di gente finché non la trovò. Una volta seduta, si guardò attorno.

Il vagone era stracolmo. I posti del suo scomparto non erano tutti occupati, ma certo erano stati prenotati da persone che sarebbero salite a qualche fermata successiva. Nei due posti vicino al finestrino c’erano un signore di mezz’età e la moglie; visto che il viaggio era cominciato, il vetro era coperto: nelle transmetropolitane i vetri si “oscuravano” automaticamente un istante prima della partenza, e cioè una lastra di metallo li copriva dall’esterno per evitare danni ai vetri durante il viaggio. Ogni volta che la metro giungeva nei pressi di una stazione, le “persiane” si risollevavano. In mancanza di un qualsiasi panorama da guardare, i due si erano immersi nella lettura; lui di un libro e lei di una rivista. Da come erano vestiti, dovevano essere agricoltori benestanti venuti a Petra per incontrare i loro acquirenti, forse con lo scopo di stabilire un nuovo contratto di fornitura.

Kim girò lo sguardo sul resto del vagone. Un giovane turista dall’altra colonna di poltroncine sembrò distogliere lo sguardo proprio mentre lei si voltava a guardarlo. Era ben vestito, forse apparteneva alla bassa nobiltà, perché si era accontentato di prenotare un posto solo invece di tutto un vagone com’erano solite fare le celebrità. Un soprabito grigio avvolgeva la sua figura alta e slanciata, e un paio di occhiali da sole firmati nascondevano i suoi occhi. Aveva i tratti del viso decisi, un pizzetto nero e le labbra sottili. Aveva l’aria annoiata di chi deve affrontare un lungo viaggio senza aver nulla con cui ammazzare il tempo. Anche Kim aveva molta strada da fare, ma non avrebbe certo avuto il tempo di annoiarsi.

 

La metro si avvicinava alla prima fermata. Kim con decisione si alzò portando con sé l’unica valigia. Si fece rapidamente strada tra le persone che si erano alzate per prepararsi a scendere, e aprì la porta che dava nell’intercapedine che collegava i vagoni.

Il rumore della metro che attraversava le viscere della terra si fece martellante, perché nessuno si preoccupava di isolare acusticamente l’intercapedine. Veloce Kim aprì la porta che le stava di fronte e si ritrovò nel vagone successivo. La fermata era ormai prossima, perché le lastre di metallo che oscuravano i finestrini durante il viaggio si stavano ritirando. Una brusca spinta in avanti indicò che la metro si era fermata. Kim proseguì disinvolta nella fiumana di gente che scendeva finché non si ritrovò davanti alle porte aperte che davano sulla banchina, mentre riecheggiava l’ultimo avviso dall’altoparlante della stazione: “Stazione centrale di Petra. La transmetro interregionale per Lastoasis è in partenza sul binario…”

Tranquillamente Kim scese dalla metro. Subito dopo le porte si chiusero, e i vetri si oscurarono. Restò a guardare finché la metro fu visibile, dopodiché, sempre stringendo la valigia, lasciò la banchina.

-III-

Fuori della stazione il sole era accecante. Quelle prime ore del mattino erano così belle che facevano venir voglia di gridare alla vita. La città era piena di vita, e il cielo era così sereno che faceva venire voglia di fare una scorrazzata in flyscooter… ma con un sospiro Kim si rassegnò all’idea che per un bel pezzo non avrebbe più solcato i cieli. Prese invece un pullman e tornò nella sua periferia, dove sapeva di poter incontrare Ada.

La trovò subito infatti: seduta per terra, un cappello poggiato sul marciapiede, suonava la chitarra con impegno, circondata da un gruppo di passanti che ascoltavano in silenzio.

Rispettosamente Kim ascoltò tutta la canzone e, quando Ada ebbe finito, le mise nel cappello cinquanta crediti.

- Ehi Kim, siamo ricchi oggi, eh? Che succede? - , esclamò sorpresa la ragazza.

- Ti racconto tutto, amica mia, ma prima andiamo a mangiare.

Scelsero un locale senza troppe pretese, né troppo bello né troppo brutto, né troppo pieno né troppo

vuoto, in cui si poteva parlare in tutta tranquillità senza farsi notare. Sedute al tavolo più lontano da

occhi indiscreti, Kim mangiò più per compagnia che per fame, e attese che Ada finisse il pranzo.

Ebbe così il tempo di osservare bene quella ragazza, che si era rivelata così in gamba da meritare la sua fiducia. Portava sempre un berretto, una sorta di cuffia che le nascondeva tutti i capelli, tenuti cortissimi. Sopra a quel berretto metteva il cappello “delle finanze”, quando non le serviva. Molto esile, magra, né troppo alta né troppo bassa, nonostante praticamente non si vedevano quasi mai i suoi capelli, aveva un viso gradevole, i suoi occhi color ghiaccio non spegnevano l'aspetto vivace e intraprendente del suo viso,anche se molto pallido. Il suo abbigliamento era singolare: da che si erano conosciute, ossia poco dopo la fine della guerra, Ada aveva sempre indossato vestiti di fortuna. Anche se era una ragazza senza fissa dimora, non se la passava poi tanto male: era artista di strada e arrotondava le entrate facendo altri lavoretti, come quelli che svolgeva per Kim. Volendo, avrebbe anche potuto comprarsi dei vestiti nuovi, ma nel suo lavoro l’immagine era essenziale!

- Bene, a pancia piena si può parlare di cose serie - , disse Kim, quando Ada ebbe finito di mangiare.

- Prima di tutto devo riconoscere che hai fatto un buon lavoro: la torta era davvero prelibata.

- Ma tu non mi vuoi solo ringraziare… ne vuoi ancora! – intuì Ada con un sorriso sicuro.

Kim esitò. Quello che voleva proporle era una faccenda delicata e doveva trovare le parole giuste.

- Non sono ingorda. Infatti ne ho lasciata un po’ anche per te. Ma ho paura che quelle pesti sappiano dove l’ho messa e se la mangino tutta. Io non posso sorvegliare i miei monelli perché ho delle faccende da sbrigare…

- Insomma dovrei farti da baby-sitter?

- Sì. Non vorrei che i miei monelli in realtà siano pestiferi in mia assenza, ma se tu vedi chi si comporta male, una volta che ho sbrigato le mie faccende almeno potrò prendere provvedimenti. Se mi fai questo favore, ti darò una bella fetta di torta - , disse Kim strizzando l’occhio.

- E va bene, non mi dispiace fare da baby-sitter ai tuoi fratellini. Se ho bisogno, come faccio a chiamarti?

Kim si sporse verso Ada e abbassò il tono della voce fino a che fu un sussurro appena percettibile.

- Tieni questo orologio cerca-persone. Se schiacci questo tasto, il mio quadrante si illuminerà a intermittenza, e se io schiaccio il mio, si illumina il tuo. Il tasto a fianco è per farlo smettere, così – disse Kim interrompendo il contatto – altrimenti continua l’intermittenza finchè non si scarica. Quando una di noi lancia il segnale, vuol dire che dobbiamo incontrarci qui il prima possibile. Se il locale è chiuso ci troviamo qui fuori. Intesi?

E tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia.

- Certo, puoi fidarti! - , replicò la vagabonda.

 

Quando le due amiche si salutarono, Ada restò per un attimo a guardare Kim allontanarsi, e con un fil di voce sussurrò: “Povera Kim!”

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Capitolo 3
*** l'Agguato ***


CAPITOLO 3°

 

Il vecchio cortile era in realtà un grande spiazzo quadrato, formato da alti palazzi della periferia fantasma, abbandonata fin dai tempi della guerra civile. I flyscooter erano tutti parcheggiati in un angolo del grande vecchio cortile, come d’abitudine. Nel messaggio in codice di quella mattina Kim aveva chiaramente alluso alla necessità di esercitarsi con i nuovi fucili laser; così Brian aveva subito organizzato i Dragon-flies per allenarsi a sparare, proprio come avrebbe fatto Kim. D'altra parte, lui la conosceva bene come le sue tasche: erano cresciuti insieme, e infatti Brian aveva capito il messaggio in codice di Kim al volo: doveva essere successo qualcosa di grave che non le aveva lasciato altra scelta che recarsi in una zona desertica, ma nonostante la fretta lei aveva comunque voluto dargli l'opportunità di rintracciarla. E lui l'avrebbe fatto. Voleva capire cosa stava succedendo, a dire il vero non riusciva a non stare in pensiero per l'amica per cui una volta tornato a casa si sarebbe messo a vagliare tutte le sue possibili destinazioni.

Pensare che si conoscevano da talmente tanto tempo, che lui addirittura si ricordava della famiglia di Kimberly prima che questa venisse lacerata dalla guerra. Allora l'amica aveva un temperamento completamente differente, non aveva così tanto odio e rabbia in corpo... Brian ogni tanto rievocava alla mente i pomeriggi passati a giocare con lei, lei che rideva sempre e ne pensava una più del diavolo, inventando divertimenti sempre più fantasiosi e spassosi. Aveva sempre avuto la stoffa del capo, infatti anche allora il capo tra i due era lei. Ma ora tante cose erano cambiate, ora che erano cresciuti, quei ricordi lontani sembravano addirittura appartenenti a un altro mondo: Kim non era più una bambina, ma soprattutto non sarebbe più stata così spensierata, e non rideva più come prima da troppo tempo. Lei aveva un sorriso così solare, così accattivante, che conquistava tutti, e una risata che rallegrava tutta la girnata. Purtroppo, di tutti gli amici che aveva Kimberly, solo Brian poteva dire di averla vista ridere di cuore. Brian ricordava perfettamente come si era spento quel sorriso: le lunghe notti insonni di lei, passate a piangere la madre e la sorella, mentre il padre passava le notti fuori casa a fare chissà cosa. Allora lei, per non restare sola ad affrontare un dolore che era troppo grande per lei, chiamava Brian che correva a consolarla come meglio poteva, e lui piano piano vide tutta quella profonda tristezza trasformarsi in altri sentimenti che trasformarono a loro volta Kimberly, facendola diventare un'altra persona, cancellando la sua infanzia. Era come se un demone si fosse impossessato di quella ragazza che ora viveva spinta solo dalla vendetta, dal rancore, dalla rabbia. E nonostante ora fosse molto popolare, nonostante i Dragon-flies la rispettavano più di chiunque altro sulla terra, lei non si era aperta più con nessuno, qualcosa come un grosso callo le aveva indurito il cuore, dove solo poche persone ormai riuscivano a penetrare vedendo uno sprazzo della vera Kim, l'ombra della Kim di un tempo. Per questo Brian era il suo braccio destro. Forse non c'era nessun altro in cui Kim riponesse tanta fiducia, insieme ad Ada. Secondo Brian, Kim non si fidava completamente nemmeno di Patrick, l'altro suo braccio destro.

 

Patrick, alto magro e taciturno, era un tipo molto strano davvero. Si era presentato a Kim quando i Dragon-flies stavano crescendo e diventando famosi. Ma lui non era come gli altri ragazzi: introverso, serio, a volte sembrava proprio fuori luogo in una banda di teppisti, era anche più grande di loro di qualche anno ma si era conquistato il posto di secondo braccio destro per le sue abilità. Infatti mentre Patrick nei giochi, nelle serate goliardiche restava in disparte senza partecipare né troppo né troppo poco, nei momenti d'azione tirava fuori una grinta e una prontezza di spirito che spesso faceva la differenza.

 

Le esercitazioni andavano avanti già da due ore quando Brian si rese conto che Ada li stava osservando.

"Bene, basta così. Il tiratore ufficiale dei Dragon-flies è Paul, il suo vice è Kevin e terzo Jack. Potete tornare ai vostri affari per un po’" sentenziò, e i dragoni acclamarono il vincitore:

"Evviva! Ho vinto la scommessa!Ha vinto Paul!" ,esclamò Ricky alzando i pugni trionfante.

"Ricky paga da bere!" Affermò Jack senza esitazioni.

E tutti gli altri, in coro: " Paga Ricky!", mentre il malcapitato tentava di obiettare.

 

Brian sospirò, pur non nascondendo un sorriso, mentre guardava i mitici Dragon-flies: la banda ben organizzata, efficiente, capace di tener testa agli odiati serge-eagers... alla fin fine era composta da semplici ragazzi.

Ada intanto, avendo capito di essere stata notata, si era avvicinata. Gli altri Dragoni invece avevano deciso di giocare una partita a Flyball, e ora si accingevano a fare le squadre.

"Allora, com’è andata ieri sera? Sembra bene, sbaglio?" chiese Ada a Brian, appena furono soli.

"No, non sbagli. Tu, come te la passi? – rispose Brian, cordialmente.

"Eh, sai com’è la storia, per me le vita è sempre un rincorrere.."

"Vuoi i soldi, lo so. – tagliò corto Brian – Ma questo è un affare che pagherà Kim. Ci penserà lei.

"E lei dov’è? Non posso aspettare, purtroppo in teoria si mangia tutti i giorni.", chiese Ada guardandosi in giro.

Intanto era arrivato Patrick, stranamente in ritardo quel giorno. Notando la chiaccherata di Brian e Ada si affrettò a raggiungerli:

" C’è qualcosa che non va, Brian?

"Questa ragazza aveva fatto un favore a Kim... ora vuole essere pagata.

"Cos'ha fatto di particolare?"

Ada, prima di rispondere, squadrò Patrick: " Tu devi essere Patrick, l’altro capogruppo dei Dragon-flies."

"Esatto" replicò quello "e ora rispondi alla mia domanda"

"In quanto capogruppo, dovresti saperlo già, e se Kim non te lo ha riferito, perché dovrei farlo io? ", replicò decisa.

Patrick scoppiò a ridere – sei in gamba, ragazza. Per quanto vi eravate accordate?"

" Trenta crediti"

"Per ora te ne anticipo dieci, il resto te li darà Kim quando torna"

Intantro la partita di flyball era iniziata, e i Dragoni davano sfoggio di agilità con piroette e giri della morte ai limiti dell'impossibile, e Ada cominciò a guardarli distrattamente affascinata mentre continuava la conversazione:

"Torna? Allora è andata da qualche parte... Dov’è andata?"

"Si è presa una piccola vacanza lasciando a noi il fardello del comando…" rispose Patrick

Brian folgorò Patrick con lo sguardo e intervenne nel discorso.

"…se vacanza si può chiamare. Si è presa quel virus che sta girando in questo periodo. Si tratta solo di aspettare qualche giorno", mentì.

Ada distolse lo sguardo dalla partita per guardare Patrick dritto negli occhi:

"finché si tratta solo di qualche giorno, posso aspettare", disse, conciliante " spero però che non abbiate nulla in contrario se verrò tutti i giorni per controllare se si è rimessa"

"No, fai pure" , rispose Patrick, dopo una breve pausa.

Intanto, Ricky con una vorticosa picchiata segnò un punto sotto il trionfo dei compagni, richiamando nuovamente l'attenzione di Ada.

"Vado a vedere chi vince", disse allontanandosi.

Brian e Patrick si fissarono gelidamente, e appena pensarono di non essere uditi, diedero libero sfogo ai propri pensieri:

"Ma come ti viene in mente di dire certe cose?" disse Brian grandemente adirato.

"Non è la scusa più plausibile una vacanza? Grazie a te ora invece ci ritroviamo quella pezzente tra i piedi!

"Bada a come parli, perché senza di lei ora non avremmo i fucili laser!

"Ecco! Cos’è questa storia che io vengo tenuto all’oscuro di tutto questo? Io ho diritto quanto te di sapere ogni cosa che avviene all’interno della banda!

"Se tu sapessi tenere a freno quella tua maledetta lingua Kim potrebbe fidarsi anche di te!

"Oh, lo so che tu sei il suo cagnolino fedele. Non devi neanche sforzarti di nascondere quel che c’è tra voi perché tanto lo sanno tutti!

Quel che c’è tra voi…Brian fece un notevole sforzo per dominarsi, ferito veramente da quelle parole, e sibilò freddamente:

"Non c’è nulla da nascondere: tra me e Kim non c’è niente "

"Forse da parte di Kim non c’è niente davvero, ma tu sei indubbiamente innamorato al punto che ti bevi tutto quello che ti dice"

"Come osi parlare così?" ringhiò Brian afferrando Patrick per il colletto. Patrick lo guardò dritto negli occhi e sorrise:

Sai perchè Kim era pallida e sconvolta stamattina? " Dopo una breve pausa proseguì “Te lo dico io il perchè... d'altra parte, cosa faresti tu se ti svegliassi una mattina con una bomba sotto le chiappe? Lo so io cosa faresti... scapperesti, proprio come ha fatto lei!!!"

Brian lo scaraventò violentemente a terra

"Kim non scappa mai.

Patrick sorrise sprezzante, mentre con un movimento controllato si alzava da terra

"Ne sei sicuro? Io fossi in voi mi guarderei per bene le spalle." e detto questo se ne andò.

"II"

Verso le sei di sera, come d'abitudine, i dragoni si mossero in direzione dell’Historia. Kim aveva messo a punto un tragitto particolare: ognuno usciva dal cortile facendo una strada diversa dagli altri, poi, a gruppi di cinque, confluivano in una certa strada. Successivamente due di questi gruppi si riunivano lungo una strada principale dei bassifondi, formando così un clan dei Dragon-flies. I tre clan, capitanati rispettivamente da Kim, Brian e Patrick, si ritrovavano infine direttamente nel parcheggio dell’Historia. Quel giorno però lPatrick se ne era andato, e Kim non c’era… in compenso si aggregò Ada, salendo sul flyscooter di Brian.

Il parcheggio era molto grande e sempre pieno di macchine. Gruppetti di ragazzi in cerchio si scambiavano qualche battuta scherzosa prima di entrare a bere qualcosa, o prima di andarsene via. Ma quella sera era stranamente tranquillo, quasi deserto. Mentre i dragoni, allegri come al solito, smontavano dai loro flyscooter scherzando tra loro, Ada sembrò fiutare l’aria.

"Brian, qualcosa non va", disse preoccupata.

"Ma cosa dici? E’ tutto a posto", cercò di tranquillizzarla lui.

"Brian, non sto scherzando. Ho avuto la sensazione di essere seguita, per strada"

"Sì, da altri dragoni", scherzò Brian.

"E questo parcheggio.... siamo solo noi. E’ sempre così isolato?", insisté lei

"A volte capita. Dai, rilassati! – Disse il ragazzo, anche se un po' a disagio.

Intanto gli altri erano già entrati. Riluttante, Ada seguì Brian. All’interno del locale c’era un’insolita calma, e Ada sentiva puzza di guai. Un’occhiata allo specchio sovrastante il bancone la convinse. Afferrò Brian per un braccio.

"Vieni in bagno. Adesso!”

"Ma…”

"MUOVITI!" ordinò la ragazza con un sussurro.

 

All'improvviso i Serge-eagers saltarono fuori come funghi da ogni angolo del locale, da dietro il bancone, da ogni parte. Armati fino ai denti, rabbiosi come non mai, colsero di sorpresa i Dragon-flies mentre se ne stavano tranquillamente seduti ai tavoli; in un attimo i dragoni si ritrovarono circondati da un’infinità di fucili senza nemmeno avere il tempo di reagire.

"Li avete presi tutti? Controllate ogni minimo centimetro – ordinò Frank prima di uscire dalla stanza ancora in sobbuglio.

Nel parcheggio, ora pieno di motovedette della polizia, Frank guardava il locale con un sorriso soddisfatto. I Dragon-flies vennero portati fuori uno alla volta, tutti ammanettati, tutti con gli occhi foschi, impauriti. Vennero messi in fila di fronte a Frank.

Un segugio, un sottotenente, gli si avvicinò.

"Stiamo prendendo i loro dati. Si tratta di ventisette ragazzi dai diciassette ai vent'anni. Che ne dobbiamo fare?"

"Hanno tentato di sabotare un organo di polizia riconosciuto dal governo. Il posto che si meritano è insieme ai traditori"

Il segugio strabuzzò gli occhi. I traditori venivano gettati nel braccio della morte della fortezza dell’Alto Comando "la terribile polizia segreta del dittatore" fino a che non morivano di stenti dopo sofferenze indicibili. Ma il codice d’onore dei serge-eagers imponeva di non obiettare mai un comando di un superiore, e il segugio non obiettò.

"Sarà fatto, signore"

"Ma prima" intervenne Frank, " Voglio che mi portiate il loro capo"

i serge-eagers picchiarono il calcio dei loro fucili contro le gambe dei Dragon-flies costringendoli a cadere sulle ginocchia. “Chi è il capo? Si faccia vivo, quel codardo!”, urlò Frank.

I dragoni restarono in silenzio, con lo sguardo fisso a terra.

"Allora? Capo dei Dragon-flies, dov’è il tuo orgoglio adesso? Fatti avanti se ne hai il coraggio!"

Seguì un’altra pausa carica di silenzio e tensione.

"Bene, adesso è risaputo. Siete solo dei pietosi bambocci. A noi interessa il vostro capo. Se non salta fuori, vi uccideremo uno per uno", disse sprezzantemente il segugio.

Jack alzò fieramente la testa.

" Allora comincia da me!

" Ai tuoi ordini", sogghignò il sottotenente puntando il fucile contro le tempie del dragone.

Il silenzio era assoluto. Gocce di sudore imperlarono la fronte di Jack, ma non batté ciglio.

 

"Fermo! ", urlò Frank, alzandosi dal suo flyscooter e avvicinandosi a Jack. Si accovacciò di fronte a lui, così che i suoi occhi gelidi poterono fissare quelli spavaldi del dragone, e disse con voce quasi carezzevole:

"Sei tu il capo dei Dragon-flies? …no, non lo sei. Povero ragazzo, io non voglio te. Voglio il vostro capo. Dov’è ora che ne avete più bisogno? Dimmi." Frank scosse la testa " Non c’è. A che vi è servita la vostra lotta?"

Poi, rivolto ai suoi sottoposti:

"Portateli via"

 

Qualche metro più in là, ben nascosti, Ada e Brian osservarono impotenti tutta la scena.

"Questa è la fine per i Dragon-flies!" mormorò Brian con un flebile sussurro.

"Forse no" rispose Ada con tono deciso, premendo un tasto dello strano orologio che aveva al polso.

"Che fai?" Chiese Brian.

"Avverto Kim" rispose senza preamboli Ada

"Chissà dove si trova ora, disse lui malinconico. "Ha parlato di suo zio Sunny,,, dev’essere un codice…"

"Brian" lo interruppe Ada “So che Kim di te si fida, E anch’io, a essere sincera. Kim non è andata così lontano come pensi"

Brian strabuzzò gli occhi “Come lo sai?"

"Ora vedrai”

-III-

 

Una bellissima bionda sedeva al tavolino del bar. Gli occhiali da sole a specchio nascondevano i suoi occhi chiari, e un’ombra di tristezza la rendeva ancora più affascinante.

Il ragazzo, che la teneva d’occhio da un pezzo, decise che era proprio giunto il momento di conoscerla. Per questo sedette al suo tavolino con un sorriso ammaliante.

"Scusi, signorina, disturbo?"

La ragazza lo squadrò con un’occhiataccia. Alto, slanciato, capelli neri, viso dai tratti decisi. Tutto sommato aveva un aspetto piacevole, ma Kim non era dell’umore giusto.

"Lei è un ipocrita. Sa benissimo di disturbare."

Il ragazzo sorrise.

"Ha ragione, ma vede, non ne potevo più di vederla così triste. Mi permetta di offrirle un drink"

"Mi lasci in pace, la prego", disse lei. In quel momento il quadrante del suo orologio si illuminò. Rapida Kim lo spense.

"Cos’è stato?",chiese il ragazzo incuriosito.

"Scusi, ma si è fatto tardi e devo andare" disse lei alzandosi rapidamente dal tavolino, e il ragazzo con lei.

"Potrò rivederla?"

Kim, abbassati gli occhiali, lo fissò gelidamente negli occhi.

"E’ da stamattina che mi sta alle costole. Mi ha già visto abbastanza"

Detto questo si volse verso la folla.

"Kim, aspetta!" disse il ragazzo cercando di afferrarla per un braccio, ma Kim si divincolò e corse via, mescolandosi alla gente che affollava il marciapiede. Il ragazzo cercò di raggiungerla, ma di Kim non c’era già più traccia. Ma era certo che l’avrebbe ritrovata presto.

-IV-

 

Kim raggiunse il luogo d'incontro quando il locale era già chiuso. Ada e Brian la stavano aspettando seduti sul marciapiede. Non appena vide i loro sguardi sconsolati sentì una fitta al cuore, intuendo l'arrivo di cattive notizie.

"Brian, Ada! Che cosa c'é?”

Brian la guardò per un attimo con occhi profondamente tristi, cercando le parole adatte.

"Brian, parlami, cos'é successo?" ripeté Kim angosciata.

"I serge-eagers.... ci hanno teso un'imboscata" disse Brian con un filo di voce.

Kim impallidì, le gambe si fecero molli ed ebbe un giramento di testa così forte da farla cadere in ginocchio sul marciapiede.

"I.. i dragoni....?",balbettò.

"Mi dispiace Kim” disse Ada con voce sommessa “Sono stati arrestati"

"Sapete dove li hanno portati?”

"Li hanno rinchiusi nella fortezza dell'Alto Comando, nel settore dei traditori.

Chi è stato? Chi era la spia?”, mormorò Kim con rabbia.

Credo sia stato Patrick. Lui sapeva della bomba che hai trovato stamattina, lui ha lasciato il gruppo prima dell'arresto...”, disse Brian.

MALEDETTO BASTARDO!” urlò Kim.

Intervenne Ada:

"Kim non credo che sia stato Patrick, anche se lui nasconde certamente qualcosa. Il capo dei segugi non sapeva che non c'eri. Lui credeva di averti catturato insieme agli altri. Credo che semplicemente i Serge-eagers abbiano pedinato il gruppo dei dragon-flies, ci siamo mossi in massa non adottando la solita cautela, era impossibile non notarci.”

A quelle parole, Brian si incupì, divorato dai rimorsi.

"Dobbiamo farli evadere", disse Kim risoluta.

"Ma come?" chiese Brian.

"Forse io un'idea ce l'avrei" disse Ada mentre una luce di speranza le illuminava gli occhi. "Ma ora dobbiamo trovare un posto tranquillo dove mettere a punto il piano: andiamo nel mio rifugio!"

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Capitolo 4
*** Il Ponte ***


Il buio della notte dava alla struttura di freddo metallo un’aria irreale e soffocante, quando un colpo di pistola squarciò il silenzio ….

 

Ada si svegliò di scatto tutta sudata. Ansimò un attimo per la paura, ma ricordò dov’era. Vide i suoi amici, Kim e Brian, dormire tranquilli accanto a lei. Una luce azzurrina, proveniente dall’insegna dell’edificio di fronte, entrava dalla finestra illuminando la stanza. Ada riconobbe subito il suo “rifugio”, ma il sogno era stato così vivido e angosciante che sentì il bisogno di alzarsi e uscire fuori, sul terrazzino. L’aria frizzantina della notte le carezzò il viso smagrito e le ciocche di capelli biondo cenere.

 

Era così assorta nei suoi pensieri che non si accorse di aver svegliato Kim, che la raggiunse silenziosa.

-Ciao – le disse con un sorriso.

Ada, colta di sorpresa, si voltò a guardare Kim, e come un flash le tornò in mente il sogno: quel ponte, la notte nera come l’inchiostro…

Kim la vide inquieta, e pensò che fosse dovuto alla difficile missione che li attendeva.

-Andrà benone, Ada…-disse con tono rassicurante – non c’è nessuno più in gamba di te. Abbiamo valutato tutto molto attentamente, sotto ogni aspetto. È un piano straordinario! Riuscirà, ne sono sicura!- Aggiunse entusiasta.

 

Ada accennò un sorriso. – Grazie Kim…sei una vera amica!

 

-Anche tu: non sei costretta ad aiutarmi, e non ho nulla per ripagare quello che stai per fare…- un po' di tristezza incrinò il sorriso di Kim - non ho più nulla...

Ada prese la mano di kim nella sua e la strinse.

 

-Non ti preoccupare. Ora pensiamo a salvare i mitici Dragon-flies, la loro vita è nelle nostre mani!

 

E mentre Kim andava a svegliare Brian, Ada si sforzò con tutta se stessa di cancellare dalla sua mente il volto angosciato di Kim che urlava.

 

 

-II-

 

L'attrezzatura era pronta, e i tre amici col cuore in gola avanzavano per le strade deserte della periferia. Era una notte senza luna, e negli spazi non illuminati l'oscurità era totale. In lontananza si scorgevano le luci del centro città, e in cima a una delle montagne che attorniavano la città dominava la Fortezza dell'Alto Comando illuminata a giorno. La Fortezza era la sede degli uffici della temuta polizia segreta del dittatore, nonché delle prigioni e delle stanze di tortura riservate ai più gravi criminali: disertori, traditori e oppositori politici. Chi vi entrava come prigioniero non avrebbe mai più conosciuto la libertà, perchè quella Fortezza era ritenuta inespugnabile: intorno a essa un numero sconosciuto di torrette la tenevano sotto sorveglianza 24 ore su 24, e l'unico accesso era aereo. E' vero, un tempo lontano, quando ancora non esistevano le flycars, si accedeva alla fortezza tramite un porto sotterraneo, che sfociava in un punto segreto del fiume. Ormai però solo un pugno di persone manteneva la memoria di quell'antico passaggio, e proprio per questo Kim, Ada e Brian capirono che quello ne era il punto debole. I tre amici si facevano forza l'un l'altro mentre si dirigevano verso lo Stoneriver (il fiume della città che separava la zona degradata dalla parte benestante) perchè la missione era molto rischiosa, ma prima di metterla a punto dovevano trovare l'imbocco del porto. Finalmente, raggiunta la sponda del fiume, Brian indossò la muta da sub che si era portato dietro.

-Fai attenzione, Brian: potrebbero esserci dei mulinelli sott'acqua, ma tu non farti prendere dal panico perchè hai una buona riserva d'ossigeno. Ricorda che il tunnel che stiamo cercando dev'essere nella sponda opposta e che è come una grande spelonca sotterranea.Buona fortuna!-

Disse Ada.

-Non ti preoccupare, sono un sub abbastanza esperto, me la caverò alla grande!

-Lo sappiamo, Brian!- Disse Kim con un sorriso. -Però sta attento!

-Tranquille ragazze, tornerò vincitore!- e detto questo si tuffò.

Le ragazze guardarono in silenzio l'incresparsi dell'acqua per un istante, poi Kim prese parola:

  • Sei certa dell'esistenza di questo porto sotterraneo, Ada?

  • Sì, ne sono sicurissima.

  • E sei anche certa che si trova in questi dintorni?

  • Sì.

  • Come fai a sapere tante cose come questa? Voglio dire, quante persone possono sapere di un porto che ufficialmente non esiste più?

Ada sembrò un attimo disorientata. Continuò a guardare la superficie delle acque cercando nella sua mente una risposta. Infine disse:

  • Kim, ti sembrerà strano, ma proprio non lo so come faccio a saperlo. Lo so e basta.

  • Ma come può essere?

  • Durante la guerra civile persi la memoria. A volte cerco di andare indietro con la mente, ma solo una scena ricordo: quando ripresi i sensi. Aprii gli occhi lentamente (ricordo che avevo un mal di testa di quelli che non perdonano) e alzai lo sguardo perchè ero sdraiata per terra, con la faccia nella polvere. Vidi intorno a me rottami ovunque e la carcassa di un veicolo a forma di cuneo mezzo distrutto. In quel momento mi accorsi di non sapere assolutamente chi ero e così presi a vagare in cerca di risposte. - Ada assunse un'espressione molto triste -Ma ormai ci ho rinunciato. Anzi, dovetti coprirmi in qualche modo i capelli, perchè dopo quell'esplosione mi erano diventati di un colore strano e tutti mi guardavano male! Per fortuna, una volta finita la guerra, sono tornate in commercio le tinte.- Lo disse in un modo così buffo che Kim non potè fare a meno di sorridere –Tuttavia, a volte mi capita di ricordare certe cose come questa del porto sotterraneo, e ho la certezza assoluta di avere ragione, ma non so né perchè né per come.

Kim le mise una mano sulla spalla:

-Lo sai che ho fiducia in te. E magari prima o poi riacquisterai anche la memoria!

Ada sorrise: - Non ti preoccupare per me, Kim: ho trovato la mia famiglia in amici come te, e sai benissimo che non mi manca proprio nulla!

Con un sorriso Kim pensò che Ada aveva proprio ragione.

 

-III-

 

Brian, una volta tuffato, si accese gli occhialini a infrarossi: l'oscurità sott'acqua era totale. Un piccolo branco di pesci gli passò molto vicino, e il ragazzo si sorprese che in quel fiume inquinato ci fosse ancora un minimo di vita: scherzando tra sé e sé pensò di avere appena scoperto i pesci cancerosi. Ma non aveva dimenticato la sua missione e scacciò ogni pensiero inopportuno, raggiungendo con un paio di colpi di pinne il letto del fiume. Sparsi qua e là si potevano trovare oggetti di tutti i tipi: scarpe consumate, rottami di metallo, qualche moneta persino. E rifiuti vari impigliati nelle lunghe e viscide alghe. Brian si diresse deciso verso la sponda opposta del fiume. La parete di terra era integra e senza tracce di alcun cunicolo: nuotò ancora per qualche metro, poi decise di tornare in superficie.

 

Brian riemerse dall'acqua con un trionfo di spruzzi. Le ragazze, contemporaneamente, gli chiesero subito:

-Trovato?

-No, ragazze, dobbiamo spostarci, dev'essere più avanti. Dai aiutatemi a uscire per favore!

 

E le due amiche prontamente, tese le mani, lo tirarono fuori dall'acqua. I tre amici camminarono ancora un po' lungo il fiume, e subito dopo una curva scorsero il vecchio ponte che congiungeva Petra Est con Petra Ovest. All'epoca della sua posa in opera, cioè tre secoli prima, aveva suscitato molto scalpore ed era stato acclamato come avanguardia d'ingegneria, ma ora era quasi abbandonato a se stesso. Con la coda dell'occhio, Kim si accorse che l'amica era diventata molto nervosa:

-Ada, ma tu stai sudando!-, Esclamò.

-E' che sono un po' tesa, ma credo che sia normale, insomma, la missione e tutto il resto....

-Penso che qui vada bene- disse Brian -mi tuffo da qui, è un buon punto-, e dopo poco era già in acqua.

Le due amiche restarono a fissare il punto in cui era sparito il loro amico, e Kim pensò che di notte l'acqua sembrava proprio una grande macchia d'inchiostro nera.... ma poi si accorse che la sua amica era piuttosto agitata: continuava a guardarsi in giro, dietro le spalle, poi il ponte, l'acqua, ancora dietro le spalle...

-Ada cosa c'è?-,chiese Kim preoccupata

-Kim, non mi sento sicura, ho la sensazione che sta per succedere qualcosa di brutto, dobbiamo andarcene al più presto!

-Ma... e Brian? Non possiamo lasciarlo da solo, la sponda è alta avrà bisogno di una mano per risalire!

-Restiamo nei paraggi allora, ma nascondiamoci!

 

Brian, appena tuffato, capì subito che in quel punto il fiume era molto più profondo rispetto al tratto di prima. Con colpi di pinne decisi si diresse verso il fondo e si sorprese di quanto ci mise a raggiungerlo. Una volta lì, si diresse con decisione verso la sponda di Petra Ovest, ma all'improvviso fu risucchiato in un grande mulinello. Dopo un attimo di panico il ragazzo cercò di nuotare contro, ma la forza della corrente lo trascinò dentro una grotta piuttosto grande.

Ada aveva ragione, è questo l'imbocco del porto, ne sono sicuro! Pensò il ragazzo. Controllò la riserva d'ossigeno: Ada era stata previdente, e ne aveva a disposizione ancora per almeno due ore. Decise quindi di proseguire, e verificare lo stato di quel tunnel. Era un tunnel molto ampio, dalla perfetta forma tubolare, anche se aveva le pareti ricoperte di alghe. Finalmente approdò a un piccolo molo, che una volta doveva essere servito come una specie di “portineria”, un controllo su chi entrava e chi usciva, un preludio del porto e delle prigioni. Decise che aveva visto abbastanza, e che era ora di tornare dalle ragazze per non farle stare in pensiero.

 

-IV-

 

L'uomo era sul ponte già da un po'. Con le braccia appoggiate alla ringhiera di protezione guardava l'acqua scura scorrere sotto di lui. certo che sarebbe un bel salto da qui... in quanto tempo toccherei la superficie dell'acqua? , si chiedeva.

I suoi pensieri si offuscarono e tornarono a soffermarsi sulle figlie. Almeno una di loro avrebbe voluto salvarla, proteggerla.... ma era così maledettamente testarda!

 

Quando sopraggiunsero le macchine, forse se lo aspettava. Si fermarono a semicerchio intorno a lui abbagliandolo con i loro potenti fari. L'uomo alzò la mano sinistra a proteggersi gli occhi.

 

Ada e Kim nel frattempo si erano nascoste. Furono sorprese di vedere che c'era un uomo sul ponte chissà da quanto tempo, e si chiesero se avesse notato i loro movimenti; ma poi si rassicurarono a vicenda che era troppo buio. Quella riunione notturna comunque era parecchio strana, e destò la curiosità di Kim:

 

-Chissà che sta succedendo?- sussurrò.

-Non saprei, ma è meglio che ce ne stiamo qua buone- replicò Ada.

-Voglio vedere di che si tratta- Disse Kim, alzandosi furtiva con in mano un binocolo. Ada L'afferrò per la maglia:

-No Kim! Potrebbe essere pericoloso!

Kim si voltò stupita a guardare l'amica:

-Ma che hai, Ada? Se mi fermavo ogni volta che c'era un pericolo, non sarebbero mai esistiti i Dragon-flies!

 

Visto che nulla avrebbe trattenuto Kim, Ada pensò che sarebbe stato meglio starle vicino.

Le due amiche con cautela si avvicinarono al ponte abbastanza da poter sentire le voci di quegli uomini, e, nascoste dalla loro vista, puntarono i binocoli.

 

-Bella serata per una passeggiata... o aspettavi forse qualcuno? - disse in tono sarcastico uno dei tizi che erano scesi dalle auto, mentre i suoi compagni sghignazzavano.

L'uomo che era circondato imprecò.

-Ora sai cosa ti aspetta, vero?- incalzò l'altro.

 

Kim guardò attentamente l'uomo circondato dalle auto: non riusciva a scorgergli il viso, ma aveva una fisionomia familiare...

 

-Prima voglio vedere mia figlia!- gridò lui. Con un ghigno strano, il suo nemico esclamò:

-Eccola!

 

Da una delle macchine scese una ragazza bionda, che poteva avere circa vent'anni. E nella mano destra stringeva una pistola, che puntò contro il padre.

L'uomo si tirò indietro, premendo la schiena contro la ringhiera che gli arrivava fino ai reni.

-Stupito, Arthur?- replicò l'uomo che aveva ghignato. - Non vedi l'ironia della situazione? Arthur Nakiwata, temuto agente segreto della Resistenza, ucciso da Sole Nakiwata, sua figlia, dotato agente dell'Alto Comando!

 

Kim sbiancò: “papà?!? Sole?!? Mia sor..”

 

Sole Nakiwata, con un sorriso, disse:

-Ciao, papà!

E premette il grilletto.

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Capitolo 5
*** La Base Segreta ***


NOOOOOOOOOOO!
L'urlo agghiacciante squarciò la notte. Gli agenti dell'Alto Comando, e Sole, si girarono verso Kim, che uscita allo scoperto guardò con orrore suo padre cadere nel vuoto oltre la ringhiera di protezione. Frastornata si voltò a guardare sua sorella, la sorella che aveva pianto credendola morta. Ma ora non sapeva più a cosa pensare. Si sentì strattonare un braccio:
 
"Kim, vieni via da qui, ci uccideranno!" , disse Ada con terrore.
 
In quel mentre, con una sgommata, una macchina nera sbucò dal vicoletto lungo il fiume e si fermò vicino a Kim; la portiera posteriore era aperta e nei sedili posteriori sedeva Brian, che con un gesto fulmineo sollevò Kim trascinandola a sé; anche Ada si buttò dentro la macchina senza pensarci due volte e chiuse dietro di sé la portiera. Con un'altra sgommata la macchina imboccò uno dei tanti vicoli bui mentre gli agenti dell'Alto Comando guardavano esterrefatti. Quello che sembrava il capo urlò:
 
"Ma che diavolo fate? Non lasciateli scappare! Inseguiteli!"
 
Nella confusione generale di uomini che si accalcavano nelle macchine e di portiere che si
chiudevano, Sole restò un attimo a fissare il punto in cui sua sorella era scomparsa. Senza
rendersene conto lasciò cadere a terra la pistola che ancora stringeva in mano. Kimberly....
 
-II-
 
La macchina scura seminò senza problemi la polizia segreta, il fattore sorpresa era stato un valido vantaggio. Kim scoppiò a piangere, mentre urlava:
 
"Carogna! Come hai potuto, come hai potuto...."
 
Brian guardò l'amica disperarsi, stupito perchè era da parecchio tempo che non la vedeva
piangere. Posandole una mano sulla spalla cercò di confortarla:
 
"Ehi, Kim, cos'è successo?"
"Ha visto ammazzare suo padre.... ed è stata sua sorella a farlo." disse Ada.
 
Brian strabuzzò gli occhi:
 
"Sole? Ma.... è ancora viva?"
 
Kim sbottò piena di rabbia:
 
"Non lo sarà ancora per molto, credimi! E non guardarmi in quel modo, non ho bisogno della compassione di nessuno!"
"Kim adesso calmati, Brian non ha colpa di quel che è successo!" la riprese Ada.
"Non fa niente, Ada" disse Brian conciliante "porca miseria mi spiace per il signor Arthur, mi era simpatico!"
 
Dopo una breve pausa, Ada prese la parola:
 
"Brian, mi spieghi una cosa?" chiese.
"Certo, dimmi tutto"
"Ma da dove viene questa macchina? E chi è che sta guidando?"
 
Il vetro scuro che isolava i sedili posteriori da quelli anteriori si abbassò, e Ada poté vedere chiaramente un giovane dai capelli scuri attraverso lo specchietto retrovisore:
 
"Sono Alan Dimitri, piacere di conoscervi", disse con un sorriso.
"L'ho trovato fuori dal fiume quando sono riemerso. È lui che mi ha aiutato a uscire dall'acqua”, replicò Brian “Cercava disperatamente la nostra Kim, quando abbiamo sentito l'urlo."
"Cercavi Kim?" Chiese Ada ad Alan, sospettosa.
"Mi sta alle costole da stamattina” disse Kim bruscamente “prima sulla transmetro, poi al bar.... Ma che vuoi da me?"
 
Alan rivolse un sorriso accattivante a Ada: "Alla vostra amica non sfugge niente, vero? È davvero un tipo in gamba"
 
Ada sorrise a sua volta e rispose: "No, proprio niente!"
 
Kim, invece, non mutò atteggiamento: “Non farti lisciare, Ada: non mi fido di questo qui. Intanto come ha fatto a trovarci?”
 
"Veramente il complimento era rivolto a te, eppoi ti ricordo che ci ha appena salvati la vita.", replicò Ada.
 
"Esatto” disse Alan. “sai chi erano quelli?"
 
"Lo so chi erano” rispose Kim, ”Agenti dell'Alto Comando. Ma che c'entra mio padre con la
Resistenza? Lui parlava sempre male di chi si immischiava in politica!"
 
"Tuo padre era un grand'uomo” disse Alan tornando serio. “Sebbene fosse una delle colonne della Resistenza, ha sempre voluto proteggerti da ogni coinvolgimento"
 
"Questo spiega perché io non riuscivo a entrare mai in contatto con agenti della Resistenza!"
 
"Esatto. Sei molto arguta" osservò Alan, con un altro sorriso.
 
"Ti ha incaricato mio padre di sorvegliarmi, non è così? Ha sfruttato la rivalsa dei
Sergeeagers per cercare di mandarmi lontano dalla città, non è vero?"
 
Alan fissò Kim attraverso lo specchietto per un secondo, prima di rispondere.
 
"Sì, è così"
 
"Ma perché si è lasciato uccidere così?"
 
il tono disperato della ragazza faceva stringere il cuore: un silenzio glaciale pervase l'auto, un silenzio rotto dai singhiozzi di Kimberly.
 
Quando infine la vettura rallentò e imboccò la rampa di un parcheggio interrato, Ada e Brian avevano perso l'orientamento già da un pezzo grazie ai vetri oscurati. Infine Alan Dimitri spense l'auto.
 
"Dove siamo?" chiese Brian
 
Alan si voltò un secondo verso i tre passeggeri e sorrise: "Ora lo vedrete"
 
-III-
 
I corridoi della base segreta erano così bianchi che in un primo momento i tre amici ne furono accecati. Inoltre rimasero stupiti dalla quantità di persone che si affaccendava avanti e indietro dai diversi uffici e camere. Una sorta di stato clandestino che svolgeva contro la dittatura un lavoro silenzioso e imperterrito. Con occhi luccicanti Brian si guardava intorno, esterrefatto ed entusiasta allo stesso tempo:
 
"Alan, posso diventare anch'io agente della Resistenza?"
 
Alan sorrise, un po' divertito nel vederlo così emozionato.
 
"Non tutti hanno i requisiti per diventarlo, dovrai superare un test difficilissimo. Ma ho saputo delle vostre imprese, siete persone in gamba, e lo farò presente alla commissione."
 
"Davvero? Grazie Alan!" esclamò Brian.
 
Ada seguiva Alan rimanendo un po' indietro rispetto a Brian, e pareva confusa e vagamente a disagio. Kim invece restava ultima, trascinandosi a fatica per stare dietro al passo degli amici, noncurante di quanto le capitava attorno.
Alan condusse per primo Brian al suo letto, una branda nel dormitorio delle reclute. gli spiegò dov'erano i bagni, a che ora veniva servita la colazione e dove, e cosa doveva fare per presentare domanda di adesione al Partito Liberale. Poi proseguì dritto per portare le ragazze alla loro stanza: una camera piuttosto piccola, fornita di due letti a castello, un tavolo, una sedia e un piccolo armadietto. Una volta lasciate sole, Kim si sedette
sul suo letto con faccia scura.
 
"Kim, come va?", chiese Ada premurosa, sedendosi al suo fianco.
 
"Stava andando tutto così bene... fino a ieri. Hai mai provato a svegliarti con una bomba sotto il letto? Intontita dal veleno? E poche ore dopo tutti i tuoi nemici vengono arrestati.... e poi vedi tuo padre che.... mi sembra di essere travolta da qualcosa più grande di me", disse Kim con sconforto.
Ada abbracciò l'amica, e siccome non sapeva che dire, restò in silenzio. Rimasero così per qualche minuto, poi Kim riprese a parlare:
 
“Se mio padre non mi avesse mandato via, a quest'ora i dragonflies starebbero bene e al sicuro!!!”
 
“e tu non avresti visto la sua morte agghiacciante”, commentò Ada.
 
“Già, ma forse invece avrebbero arrestato tutti compresa me.... forse in effetti mio padre mi ha salvato... ah no... tu Ada prima hai detto che loro non sapevano chi sono, non sapevano che non c'ero....” Kim si bloccò persa in un dubbio.
Ada si girò a guardarla, preoccupata.
 
“Kim? Tutto bene?”
 
“tu hai detto che i segugi hanno chiesto a gran voce del capo dei Dragonflies,
giusto?”
 
“Sì, Kim. Cercavano te.”
 
“Ma in teoria sanno persino dove abito: chi mi ha messo la bomba sotto il letto altrimenti? E perchè mettere una bomba che reagisce ai movimenti e contemporaneamente intorpidirmi con il Respiro di Saturno?”, le due ragazze si guardarono esterrefatte per un istante.
 
“NO! Ada la bomba non me l’hanno messa i Serge-eagers, ma MIO PADRE!”, Kim si alzò dal letto, e cominciò a camminare concitatamente avanti e indietro.
 
“Tuo padre?!?!?!”, ripeté Ada con gli occhi fuori dalle orbite.
 
“Forse non era neanche una vera bomba, infatti l'ha distrutta prima che potessi vederla!”
 
“Ma perché l'avrebbe fatto, scusa? ...mi stai dicendo che tuo padre aveva montato tutto perché sapeva già... che avrebbe dovuto morire?” disse Ada stupita.
 
“E' senza senso, lo so... ma non può essere altrimenti!!!”
 
Ada rimase un attimo a soppesare le parole di Kim, poi replicò:
 
“Ma allora tuo padre sapeva tutto dei Dragonflies!”
 
“Certo che lo sapeva, mi ha sempre tenuto d'occhio.... senza che me ne accorgessi... altrimenti non si spiega” Kim per l'agitazione continuava a camminare avanti e indietro nervosamente, mentre Ada restava seduta sul letto, perplessa.
 
“E come?”, chiese Ada
 
“Con una spia”
 
Le due amiche si guardarono negli occhi. E contemporaneamente dissero: “Patrick!”
 
-IV-
 
Ormai le ragazze avevano perso la cognizione del tempo. Troppa adrenalina, troppi pensieri, troppi intrighi per dormire. Insieme rivangavano episodi passati che ora rivelavano quasi ovunque il tocco sapiente e protettivo del padre di Kim.
 
“Io però non sono d'accordo con mio padre”, disse Kimberly. “Tu Ada dici che ha fatto tutto per il mio bene, per tenermi fuori da questa guerra. Ma non ha chiesto il mio parere. Io in questa guerra ci sono dal giorno in cui è morta mia madre. Dal giorno in cui Sole è scomparsa, dal giorno in cui Sole ci ha traditi servendo gli assassini di sua madre!!!”
 
Ada seguì perplessa il discorso.
 
“Kimberly, hai le tue ragioni ne sono convinta, ma sono sicura che manca ancora qualcosa.”
 
“Cosa scusa?”
 
Ada rimase un istante con lo sguardo fisso, cercando le parole.
 
“Questa guerra ha lacerato la tua famiglia... non solo la tua ma ora concentriamoci su questo: tuo padre forse sapeva di Sole, lui sapeva quindi che prima o poi avrebbe dovuto trovarsi di fronte a sua figlia e sapeva che si sarebbe lasciato morire, non pensi che forse voleva che almeno tu sopravvivessi a questa strage?”
 
Kimberly corrugò la fronte, determinata.
“Non m'importa Ada. La lotta contro questo sistema è l'unica cosa che ha sempre contato per me. Non voglio fare altro che cercare la mia vendetta!!!”
 
Ada sospirò.
 
“Ti capisco amica mia, forse anch'io farei la stessa cosa. Ma mi chiedo a dove porterà tutto questo odio.”
 
In quel momento qualcuno bussò alla porta: era Brian.
 
“Ciao ragazze!”, disse con un sorriso smagliante facendo capolino dalla porta. “Ho trovato
il modo di eludere la sorveglianza della cucina, e ho trovato quintalate di cioccolato!”, detto questo estrasse dalle tasche diverse barrette di cioccolata. Ada non poté fare a meno di ridere, mentre Kim, vedendo l'amico, provò il bisogno di abbracciarlo. La sua presenza gioviale, così in contrasto col suo stato d'animo, le aveva fatto tornare le lacrime agli occhi. Brian sorpreso arrossì, mentre Ada all'improvviso si sentì di troppo.
 
“Ragazzi vado un attimo in bagno”, disse lasciando la stanza.
 
Rimasti soli, Brian lasciò cadere la cioccolata sul letto e strinse kim a sé, che singhiozzava sulla sua spalla.
 
“Mi dispiace tanto Kim...”, disse lui. “Ma fai bene a sfogarti. Vieni, sediamoci”, disse facendola sedere accanto a sé sul letto.
Kim rimase abbracciata a lui, piangendo e dicendo frasi sconnesse, cioè tutto quello che le passava per la testa, come ormai non capitava più da tempo. Brian le carezzava i capelli e ogni tanto, con voce carezzevole, la consolava come meglio poteva. Dentro però, si sentiva un fuoco.
Piano piano, Kim si calmò. Oh per intenderci di rabbia ce n'era ancora molta, però almeno non piangeva più. Aveva esaurito le lacrime. Brian però la stringeva ancora a sé. Le baciò la fronte, dicendole:
 
“Sei una persona forte, Kim. E non sei sola. Ci sono io, insieme affronteremo qualsiasi cosa...”
 
All'improvviso, Kim si rese conto di essere abbracciata a Brian, sola, in una camera da letto, e avvampò di colpo.
 
“Ma... ma Ada??? Dov'è finita?”, disse alzandosi e voltandosi di spalle per nascondere il rossore.
 
“Non so, credo sia in bagno...”, farfugliò Brian colto alla sprovvista
 
“Si sarà persa, andiamo a cercarla”, disse lei fiondandosi fuori della camera.
A Brian non restò che seguirla.

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Capitolo 6
*** Il Quasi rende tutto possibile ***


Dietro  la scrivania troneggiava la figura imponente di un uomo sulla quarantina, dall'aria inquietante. Davanti invece, sedeva una giovane ragazza: avrebbe potuto avere massimo 25 anni, bionda, con labbra carnose e invitanti compensate da occhi freddi e impenetrabili.

“Sole Nakiwata, ti sei guadagnata la nostra fiducia”, disse l'uomo con uno sguardo compiaciuto. “Ora il tuo addestramento è terminato”

L'uomo si alzò dalla scrivania, e passeggiando distrattamente per la stanza si fermò ad osservare una stampa, la copia di un quadro famoso, incorniciata in una lastra di plexiglass.

“E' curioso come sia comparsa all'improvviso quella ragazza...” disse con fare vago.
“hai idea di chi potesse essere?” L'uomo nel parlare non aveva fatto il minimo cenno, però sulla lastra di plexiglass compariva nitido il riflesso della ragazza.

Nemmeno Sole fece il minimo cenno. Rispose con freddezza, quasi fosse un automa:

“E' da molto che non la vedo: è cambiata molto, ma non può che essere mia sorella Kimberly.”

L'uomo studiò l'immagine riflessa della ragazza... un bel bocconcino, niente da dire... poi con fare noncurante tornò alla scrivania. Una volta seduto, l'uomo fissò Sole diritto negli occhi e le ordinò:

“Trovala; e appena la trovi, uccidila.”
 
-II-

Le urla dei Dragonflies riempivano i corridoi.
Frank, soddisfatto, rileggeva il rapporto che aveva appena scritto: l'indomani l'avrebbe consegnato a Slaughter e voleva che fosse perfetto.
Qualcuno bussò alla porta del suo ufficio.

“Avanti!”

Un appuntato, un ragazzo di neanche vent'anni, entrò.

“Vengo dalla sala torture. I prigionieri sembrano determinati: non parlano”
“Non parlano, eh?” disse Frank “Troveremo il modo di servirci di loro comunque. Grazie, va' pure”

Ma l'appuntato indugiò.

“Che c'è?”
“Dobbiamo continuare le torture?”
“No, andate a riposare, mi è venuta un'idea migliore”

L'appuntato uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé.
Frank assunse un'espressione dura perdendosi nei suoi pensieri, e mormorando: “Capo dei Dragon-flies, sei mio! O ti consegni, o perderai la faccia per sempre!”

 
-III-

“Jonah 1, qui tutto regolare. L'argento è in cassaforte. Provvederemo a verifiche e controlli per tenerlo al sicuro. Passo e chiudo”
Alan, terminata la comunicazione, si rilassò sulla sedia, e proprio in quel mentre con la coda dell'occhio intravide una persona.

“Ciao Kim”

La ragazza, smarcatasi da Brian, vagava per la base in preda all'angoscia e aveva riconosciuto la voce di Alan, per cui si era fermata a guardare. Alan nel vederla così sconvolta si intenerì.

“Mi dispiace per tutto quello che è successo”, disse
“Tu lo sapevi però... sapevi che sarebbe successo, non è così??”, replicò la ragazza fremente dalla rabbia.

Alan non si scompose, ma le disse mantenendo il tono dolce: “Ho aiutato tuo padre come ho potuto. D'altra parte, non poteva mancare a quell'incontro: non si era mai dato pace da quando perse ogni traccia della figlia maggiore, quattro anni fa”
Gli occhi di Kim si riempirono di lacrime.

“In un solo attimo li ho persi entrambi... e tu lo sapevi!!”
“... ho cercato di proteggerti, di impedirti di vedere...”, rispose Alan, ma Kim lo interruppe:
“Lo so. Prima sulla transmetro, poi in quel bar...”
“Già. Ma mi sei sempre sfuggita. Ed è stato un miracolo che ti ho ritrovato giusto in tempo. Altrimenti, a quest'ora non ci saresti più nemmeno tu.”
“Un miracolo? Non ci credo” Kim mise un dito sotto l'orologio che quel giorno l'aveva tenuta in contatto con Ada, e da lì trasse un piccolo trasmettitore.
“Sei stato un mago ad affibbiarmelo così rapidamente, e senza che me ne accorgessi. E quando hai visto che mi stavo avvicinando troppo al vecchio ponte, sei venuto a prendermi”

Alan, sinceramente colpito e anche un po' spiazzato, sorrise.

“Sei proprio in gamba, ragazza. La degna figlia di tuo padre! Eravamo molto amici, sai? Prima di andare a quell'appuntamento, si è tanto raccomandato per te”
“Per questo mio padre ha trovato un pretesto per mandarmi via. Ha simulato un attentato. E ora che so che era un agente della Resistenza, non mi stupisco che sapesse della mia banda”

Alan le offrì una sedia; “Vieni Kim, siediti, non stare così sulla porta”
Appena la ragazza si sedette, lui continuò: “Raccontami, che ci facevi in una zona così malfamata a quell'ora di notte?”
“Una passeggiata per schiarirmi le idee”

La guardò con una punta d’ironia: sapeva che stava mentendo.

“Passeggiata con tuffo nel canale da parte del tuo ragazzo?”
“Non è il mio ragazzo e poi perché lo vuoi sapere? Ora sono qui, come un cane randagio chiuso in un canile. Puoi proteggermi quanto vuoi. Che differenza fa quello che stavo facendo?”, rispose stizzita.
Alan afferrò con fermezza il poggia schiena della sedia di Kim e la girò in modo da poter guardare la ragazza dritto negli occhi. Gli occhi verde intenso di Alan erano illuminati da una forza di volontà ferrea, di quelle che non ammettono repliche.
“Qui non stiamo giocando. E' in corso una guerra, di quelle che corrono sottopelle, inesorabili e sanguinose. Facendo di testa tua hai messo stupidamente a repentaglio la tua vita, mettendo a rischo anche tutti noi. Ora l'Alto Comando cercherà di capire come hai fatto a sfuggirgli e inseguendo le tue tracce potrebbe trovare noi. Ti rendi conto del casino che hai combinato?”

Kim si sentì nuovamente fremere di rabbia, e per la rabbia le si riempirono gli occhi di lacrime.

“E tu ti rendi conto che io devo salvare i Dragon-flies?”
“Ma benedetta ragazza, come puoi anche solo sperare di riuscirci da sola? Non ti rendi conto con chi hai a che fare?”

Kim assunse un cipiglio severo e determinato.

“Ho risorse che tu nemmeno immagini”
“Ma li hanno rinchiusi nel braccio della morte. Dimmi come pensi di arrivar...” Alan si bloccò all'istante, appena un pensiero gli attraversò la mente: Il canale.... ma come avrebbe potuto Kimberly venire a sapere del porto sotterraneo? Certo sarebbe il tipo da buttarsi in un'impresa del genere, anche se fosse praticamente un suicidio...

Intanto Kimberly lo guardava senza neanche scomporsi, decisa a non dire una parola di quel che sapeva.
Ora Alan la guardò con occhi completamente diversi.

“kimberly, non ti sono nemico. Mi dispiace per la sorte dei tuoi amici, ma ti rendi conto che è quasi impossibile salvarli?”
“il “quasi” rende tutto possibile” replicò lei.

Alan, sinceramente ammirato, rimase un attimo senza parole, e in quel mentre sbucò dal corridoio Brian.

“Eccoti!! Non ti trovavo più... comunque che idea strana mandare me a cercare Ada nel bagno delle donne...”, da dietro la sua spalla spuntò il volto di Ada che bella sorridente salutò i due seduti nella stanza.
Brian diventò un poco perplesso: “Che stavate facendo?”

Alan si riprese e sfoderò il suo sorriso brillante:

“Stavo dicendo a Kimberly che desidero aiutarvi a salvare i Dragon-flies”
 
-IV-

Dopo qualche ora di riposo, (forzato per Kim, visto che si era fatta dare qualche sonnifero dall'infermeria) e dopo aver fatto colazione, Ada Kim e Brian furono convocati nell'ufficio di Alan.

“Ragazzi, ho ottenuto l'ok dalle alte sfere, sono completamente a vostra disposizione per aiutarvi coi Dragonflies. Ma da ora in poi niente più segreti, intesi?”
“Sì”, dissero i tre in coro.
“Bene” replicò Alan abbozzando un sorriso “Che ci facevate al vecchio ponte a quell'ora?”

Kim si schiarì la voce, e i tre si scambiarono sguardi eloquenti.

“Andiamo…”, disse Alan “Non siamo noi i cattivi” aggiunse con un sorriso accattivante.

Ada rivolse uno sguardo a Kim, che tradotto diceva: “Quant'è figo!”

“Bah, è studiato ad arte per fare l'amicone sexy” replicò Kim, sempre nel linguaggio muto degli sguardi. Ma gli sguardi che Ada rivolgeva a Alan sembravano dire “sarà, ma è bono comunque!”

Nonostante queste differenti correnti di pensiero, né Ada né Brian avrebbero aperto bocca al posto di Kim, così fu lei a parlare.

“Stavamo studiando l'area”

Alan sospirò. Aveva davanti un osso duro... o per meglio dire, una testona.

“Perché?”
“Dovevamo verificare se il nostro piano era fattibile”

Alan aspettò invano che la ragazza continuasse da sola il discorso, ma visto che non ne aveva l’intenzione, si armò di pazienza e disse: “E qual era il vostro piano?”

“Sappiamo che c'è un tunnel che porta nel cuore della Torre dell'Alto Comando. Dove sono i Dragonflies. Volevamo verificare se il tunnel c'era davvero, in che condizioni fosse e com'era strutturato in modo da poterci organizzare meglio”

Alan osservò attentamente Kim.

“E tu come fai a sapere di quel tunnel?”
“Lo so e basta”

Alan concentrò la sua attenzione su alcuni fogli... in realtà era uno stratagemma per non perdere il controllo: stava perdendo la pazienza. Quando si sentì nuovamente padrone di se stesso si rivolse nuovamente a Kim:

“Se volete che vi aiutiamo, dovete essere sinceri. Così non va”
“Gliel'ho detto io” intervenne Ada.

Kimberly la fulminò con lo sguardo, ma ormai la vagabonda era tutta presa dagli occhi verde-azzurri di Alan e nemmeno se ne accorse.
Alan guardò la ragazza, e perplesso le chiese come faceva a essere a conoscenza di un segreto militare. Ada si limitò a sorridere e a dire:

“Se lo conosco io il vostro segreto, la prossima volta dovete essere più discreti!”

Alan incassò elegantemente il colpo, si avvicinò a Ada, appoggiò i gomiti sulla scrivania e il volto tra le mani, fissandola intensamente.

“Hai ragione! Ma tu da chi l'hai saputo?”
“Mah... non.. non ricordo...” balbettò Ada avvampando.

Kim si schiarì la voce.
“Signori, potremmo parlare di cose serie? Ho trenta vite da salvare, se volete copulare, in fondo al corridoio ci sono i bagni, ma ora concentratevi su”

Ada avrebbe voluto sprofondare, Alan invece sembrò divertito dalle parole di Kim.

“Comunque signor Dimitri”, continuò Kim “L'idea era di raggiungere a nuoto il porto sotterraneo, e da lì creare una breccia per raggiungere le prigioni.”

Alan guardò Kim con un'espressione indecifrabile, poi disse: “E come farete a eludere le guardie?”

“Il porto è dimenticato da tutti, dovremmo entrare da una parte delle prigioni che non è affatto sorvegliata, perché ritenuta un vicolo cieco. Ad ogni modo, abbiamo le nostre armi.”

Alan non riusciva a credere alle proprie orecchie.

“E'.... un piano perfetto, complimenti”
“Grazie” disse Kim, senza scomporsi.

Brian guardò con orgoglio l'amica, mentre Ada... beh, era intenta a sbavare.
Alan prese il microfono dell'interfono e disse all'interlocutore: “Piano approntato, chiedo il permesso di dare il via all'addestramento...”
Nel sentire la risposta, aggrottò le sopracciglia.
“Sì, certo, ora diamo un'occhiata” Kim colse un'ombra di preoccupazione nei suoi occhi, quando i loro sguardi si incrociarono.
“Seguitemi” disse. Li condusse nella sala mensa, dove uno schermo enorme trasmetteva il telegiornale.
Sullo schermo, i volti dei Dragonflies passavano in rassegna mentre il cronista annunciava:

“Arrestati ieri sera i terroristi che hanno attentato alla vita della nostra democrazia. Gli inquirenti dopo un'intera notte di interrogatori hanno appurato che si tratta di una setta estremista che fa il lavaggio del cervello ai propri adepti, che arrivano a livelli di follia inaudita, fino al punto da dichiararsi pronti a morire per il loro demagogo. Per questo il nostro leader, Sergio Rabouf, ha deciso di concedere l'amnistia ai 30 arrestati, tutti giovanissimi, a patto che il fondatore della setta si consegni in modo da poter essere sottoposto alle cure di cui ha bisogno. Rabouf ha commentato: “solo un criminale senza scrupoli manderebbe al macello 30 giovani vite, vite che potevano essere impiegate nel lavoro e in modo costruttivo. Non posso sopportare che dei ragazzi così giovani muoiano per ragioni così futili, per questo invito il loro capo a farsi avanti, sono certo che in fondo sia una persona d'onore e non si tirerà indietro” Le immagini dei dragonflies e dell'Historia fecero spazio alle immagini della Torre dell'Alto Comando.

Il cronista continuò:

“Nel caso in cui il capo della banda chiamata dragonflies non dovesse costituirsi, è già stata fissata l'esecuzione per le ore venti di stasera presso la prigione di Stato, e verrà trasmessa in mondovisione su questo canale. Ora vi lasciamo allo speciale, che approfondirà il tema del terrorismo giovanile e risponderà alla domanda: ‘Perché i giovani crescono privi di valori?’”

Alan spense lo schermo. Aveva notato che Kim, pallidissima, si era dovuta sedere da tanto era scioccata. Brian le faceva aria, ma era visibilmente turbato anche lui. Alan le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.

“Stai bene?”

Kim si voltò a guardarlo, affranta:
“Li uccideranno questa sera!”
Ad Alan gli si strinse il cuore a sentir pronunciare quelle parole con un tono così struggente. Lei gli prese le mani e lo implorò: “Ti prego, portami lì anche solo con Kim e Brian, faremo di tutto per salvarli!”

Alan le sorrise teneramente e disse con tono rassicurante: “Ti ho promesso che ti avrei aiutata. Stasera alle sette i tuoi amici saranno liberi! E ora scusami, ma ho una missione di salvataggio da organizzare”
 
E, detto questo, lasciò la sala.

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Capitolo 7
*** Il Golpe ***


-I-

Il buio della notte era tetro, come sempre in quella parte di periferia dimenticata. L'ombra del vecchio ponte troneggiava sul quartiere lugubre e dispotica. Ada, avanzando silenziosamente insieme al gruppo gettò un'occhiata a quell'ombra imponente, non potendo fare a meno di pensare che quel ponte, per qualche ragione misteriosa, restava un punto cardine attorno al quale giravano gli eventi, come un oggetto emblematico che ogni volta la richiamava a sé.

Kim le sfiorò un braccio, risvegliandola dai suoi pensieri.

“Ehi Ada, ci siamo”

Il gruppo aveva raggiunto un punto della riva che sembrava essere stato un piccolo approdo. Le sei persone – Ada, Kim e quattro agenti della Resistenza – erano tutte dotate di mute subacquee, e senza indugio si buttarono nell'acqua nera.

Un vortice di acque nere avvolse il corpo di Kim, sembrarono quasi inghiottirlo, avide.

-II-

La parata iniziò il suo percorso. Da Piazza Castello, dove avevano sede gli uffici governativi, si sarebbe diretta verso la Torre dell'Alto Comando attraversando le vie principali della città.

Sergio aveva infervorato le folle con un discorso pieno di retorica ed emotività, e ora il corteo in festa partecipava ai sontuosi balli che seguivano il carro celebrativo che trasportava Sergio e i giustizieri.

Si preparavano a giustiziare i Dragon-flies.

La folla, accecata, era convinta che fosse giustizia invece che un macello, e inneggiava, danzava, acclamava quella “giustizia”. E per un istante si illudevano che davvero tutto sarebbe cambiato col sacrificio di quelle vite. Come i loro antenati, quando bruciavano al rogo le streghe per porre fine alla siccità.

Il corteo infine giunse alla Torre: il popolo restò nel piazzale mentre dei grandi schermi trasmettevano tutto quello che stava succedendo sulla sommità, che era bardata a festa e dove era stato preparato un podio e il plotone d'esecuzione. Tutti i canali televisivi erano pronti a trasmettere in mondovisione l'esecuzione dei famigerati attentatori alla sicurezza pubblica, gli ingrati che voltavano le spalle al Sistema che tanto provvedeva all'intera popolazione dell'Impero di Petra. Il Generale, dall'alto del suo carisma capace di influenzare le masse, appariva in tutto il suo splendore, complice l'Alta Uniforme e uno sguardo apparentemente sincero. Mille luci illuminavano la Torre, e una folla infinita, ai suoi piedi, acclamava l'evento quasi fosse una festa di gala. Mediagogia, il termine clonato dalla fantomatica Opposizione (il cui più grande esponente era la Resistenza), derivato da una controversa frase del Generale: “Datemi i media, e conquisterò il Mondo”.

La sorveglianza quella sera era più che serrata: aeroblindi sorvegliavano la piattaforma della Torre, luogo dell'esecuzione, mentre nel piazzale sottostante non volava una mosca che sfuggisse al controllo degli Operatori alla Sicurezza (un team di cento persone che controllava ogni telecamera, pronti a ogni evenienza potendo attivare altrettante torrette di controllo premendo un semplice tasto). Tutto era pronto per lo show.

-III-

Nel frattempo, non molto lontano dalla festa mediatica, un gruppetto di subacquei nuotava indisturbato nel fiume. La maschera a infrarossi di Kimberly scandagliava efficiente il fondale, indicando grazie a un piccolo display la direzione da seguire. Gli altri nuotavano poco più avanti di lei, e gradualmente all'orizzonte comparve una grande caverna che sembrò invitarli a entrare. Era lì che erano diretti.

Silenziosamente i sei sub entrarono nel tunnel che una volta era stato l'unico ingresso per la più famigerata prigione conosciuta.

-IV-

All'interno della Fortezza, in una stanza adibita a ufficio, Slaughter camminava nervosamente avanti e indietro. Masticava un sigaro senza rendersene conto, e non si capiva se la sua rabbia sarebbe esplosa o se lui sarebbe riuscito a domarla.

“La folla è là fuori Frank, ma io non ho nessuna testa da mostrare” ringhiò con rabbia.

“Nelle prigioni ci sono quasi trenta persone da giustiziare!” replicò Frank

“QUELLE PERSONE NON SONO NULLA SENZA IL LORO CAPO!! E' IL LORO CAPO CHE VOGLIO!”, sbottò il boss: la rabbia aveva prevalso.

“Sono stati addestrati bene. O sono stati scelti bene. Il fatto è che nessuno parla” rispose nervosamente Frank

“Sai che significa Frank? Lo sai che significa questo?” disse Slaughter con tono inquietante

“Significa che è la Resistenza che li manda. Significa che il Generale non è contento di questa storia. E sai cosa pensa? Che il capo dei famigerati Dragon-flies possa essere un traditore..." Slaughter avvicinò minacciosamente il suo volto a quello di Frank: "Dimmi Frankie, si nasconde un traditore tra di noi?", sibilò.

Un lampo di terrore attraversò gli occhi scuri di Frank.

-V-

In breve tempo la spedizione raggiunse la prima guardiola.

“Prima tappa raggiunta Red Fox” disse Mike Abrahams, il coordinatore della spedizione, nell'interfono.

Tutti e sei salirono sulla banchina, all'asciutto, e subito Kim capì che lì, dopo Brian, c'era già stato qualcun altro.

“Ada, Brian aveva detto che era tutto buio quando è venuto qui”, sussurrò Kim.

“Hai ragione! Chi ha acceso le luci?”, rispose Ada sempre sussurrando.

Abrahams si girò bruscamente verso le ragazze:

“Che avete da bisbigliare?”

“Penso che ci sia qualcosa che non va, signore”, rispose Kim per nulla intimorita dai modi bruschi “Se questo è un tunnel dimenticato da tutti, chi ha acceso le luci?”

“non ho tempo per queste idiozie” replicò Abrahams voltandole la schiena

“Non sono idiozie, qui c'è qualcuno!” protestò testarda Kim.

Abrahams si rigirò verso di lei fulminandola con lo sguardo, le vene del collo gli si ingrossarono e sembrò ancora più imponente di quanto già non fosse.

“Senta signorina Nakiwata, lei non dovrebbe nemmeno essere qui, quindi o fa esattamente quello che le dico o la rispedisco a riva!”, tuonò.

Kim ricambiava fieramente lo sguardo dell'ex militare, e per un attimo la tensione raggiunse livelli altissimi. Ma proprio un attimo prima che Kim potesse rispondere, Ada le sussurrò dolcemente:

“Lascia perdere Kim... pensa ai Dragon-flies..”

I suoi amici stavano subendo chissà quali torture. Questo unico pensiero permise a Kim, per una volta, di mettere da parte l'orgoglio.

Il piccolo gruppo avanzò ancora per un bel pezzo, finché non giunse a una seconda guardiola.

“Siamo all'ingresso della tana, Red Fox” comunicò Abrahams.

Bene, tra cinquanta metri troverete l'esplosivo già posizionato”, disse Red Fox con voce gracchiante. Poco più avanti, infatti, un'antica galleria otturata dai detriti era stata bardata di lucine rosse, che indicavano la presenza di mine sofisticatissime, armi top secret del governo spodestato dal Generale Sergio.

Un lavoro da professionisti pensò Ada, che non sapeva bene quando e come, ma era sicuramente un'intenditrice di esplosivi.

“Che sono queste lucine?” chiese Kim all'amica, notando il suo occhio esperto.

“Si tratta di mine ultrasofisticate, che causano un'implosione della materia: in sostanza sgretolano la roccia senza quasi far rumore”, rispose Ada.

“PREPARARSI ALL'ATTACCO, TUTTI IN POSIZIONE!”, ordinò Abrahams.

-VI-

Mentre nella piazza principale si stava consumando il circo mediatico, Sole Nakiwata era rimasta in uno degli uffici all'interno della torre. Stava controllando dei documenti quando si accorse dell'ora. Il viso inespressivo della ragazza non adombrava l'eleganza con cui era vestita: alta, bellissimi capelli biondi raccolti in un'acconciatura elaborata, corpetto elegante anche se relativamente semplice e una gonna dorata cangiante che le arrivava appena sopra il ginocchio. Non era solita a serate mondane, nemmeno ai vestiti vezzosi, ma Sergio ci teneva molto alla forma nelle serate di gala come quelle delle esecuzioni. Tra meno di un'ora sarebbero state stroncate una trentina di giovani vite, con il massimo dell'infamia concepibile, tra il ludibrio del pubblico che osservava come se stesse osservando un festival gioioso. Se lei avesse provato qualcosa al riguardo, era molto brava a nasconderlo. I documenti che stava consultando riguardavano le famiglie dei ragazzi, il rapporto sulle varie irruzioni e i certificati di deportazione. Una volta controllato che fosse tutto a posto, Sole prese le chiavi del locale prigioni: avrebbe ascoltato le ultime richieste dei condannati a morte.

Nello scendere le scale, si assorse nei suoi pensieri, e tornò con la mente a poche ore prima: sentiva ancora rimbombare nella sua testa una frase...

Trovala; e appena la trovi, uccidila.

Improvvisamente Sole tornò alla realtà: qualcosa non quadrava. Non aveva incontrato nessuna guardia, per protocollo all'ingresso delle prigioni ce n'erano sempre almeno due... Sole guardinga impugnò la pistola laser che aveva nascosto sotto i vestiti, e con molta cautela avanzò nel buio più totale.

Si irrigidì. Pensò a quanto fosse stata stupida a non portarsi una trasmittente: ora non avrebbe potuto chiedere aiuto a nessuno.

Sta succedendo qualcosa....

Chiedendosi se fosse il caso di tornare indietro o andare avanti, Sole ricordò che a metà di quel corridoio c'era un interfono, pochi metri più avanti.

Devo assolutamente dare l'allarme!

Procedette fino alla prima porta e si girò di scatto puntando l'arma: nessuno. Avanzò ancora di qualche passo, fino alla porta successiva. Si girò ancora una volta puntando l'arma, e stavolta vide chiaramente un intruso rovistare tra i documenti facendosi luce con una torcia.

“Metti le mani ben in vista e voltati lentamente!”,

ordinò. La persona alzò le mani tenendo ben stretta la torcia, così che quando si voltò gettò il fascio di luce negli occhi di Sole, accecandola.

Nell'attimo stesso in cui Sole distolse gli occhi l'intruso le venne addosso con tutto il peso cercando di scansarla per fuggire, ma Sole non cedette il passo; cercò di allontanarlo con un pugno per poter di nuovo puntargli la pistola contro ma il losco figuro con una manata le fece perdere la presa sulla pistola, che cadde sul pavimento. Avvinghiati in una lotta forsennata, i due non si erano resi conto di non essere più soli.

Sole sentì delle mani forti prenderla per le spalle e separarla dall'aggressore, e qualcun altro accese la luce. Un uomo in tenuta mimetica teneva ferma Sole, e un altro vestito in modo identico teneva fermo l'intruso.

“Lasciatemi!”, ordinò Sole dimenandosi, ma non venne esaudita. L'aggressore, prima estremamente combattivo, ora la guardava attonito.

Sole lo guardò meglio e pietrificò.

“KIMBERLY!”

Per un istante le due sorelle si fissarono incapaci di qualsiasi reazione, qualsiasi parola, qualsiasi pensiero.

In quel momento entrò un altro uomo, che sembrava essere il capo:

“Che sta succedendo?”, chiese ai suoi sottoposti, ma Kimberly, senza smettere di fissare la sorella, sibilò glacialmente:

“HAI UCCISO MIO PADRE DISGRAZIATA!!!”

Quello che sembrava essere il capo esclamò stupito, girandosi verso Sole:

“Sole? Sei tu?!?”

Sole non fu capace di rispondere, le lacrime iniziarono a confonderle la vista e scendevano copiose.

Kimberly si divincolò dall'energumeno che la tratteneva e cercò di aggredire la sorella, venendo però bloccata di nuovo dal capo.

“Alan lasciami vendicare mio padre tu non sai chi è lei!”, protestò la ragazza. Alan non si lasciò convincere ma disse:

“So perfettamente chi è, ora non è tempo né luogo, i miei soldati stanno liberando i tuoi amici e presto attaccheranno il resto della fortezza. Ma tu sei troppo sconvolta adesso, rischi di mandare all'aria il lavoro di anni!” Le disse fissandola negli occhi.

Kim cercò di sostenere lo sguardo senza cedimenti, ma sebbene non li distogliesse da quelli di Alan, i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Entrò nella stanza un altro soldato a rompere il silenzio:

“I Dragonflies sono liberi. Aspettiamo il tuo via per procedere con la seconda parte del piano!”

Alan si rivolse a Sole: “Sole, dove sono i documenti delle deportazioni dei parenti dei Dragonflies?”... ma Sole era sotto shock. “Sole è importante, dove sono i documenti??”

Come in trance, stavolta la ragazza rispose: “Nell'ufficio 136”

Alan fece cenno al soldato che era appena entrato, che non ebbe bisogno di altro. Poi si rivolse ai due che avevano separato le sorelle: “Johnson, Carter, scortate Kimberly e Sole fino al tunnel. Io recupero Ada e ci vediamo lì”

Mentre Kimberly veniva portata fuori dalla stanza sentì Alan parlare alla radiotrasmittente: “Golpe in atto, golpe in atto! Fate entrare l'esercito”

Alan trovò Ada, che stava riabbracciando alcuni dragonflies, la chiamò e le disse di seguirlo. In men che non si dica raggiunsero Johnson, Carter, Kimberly e Sole. Kimberly, ancora frastornata, vide i suoi Dragon-flies ora liberi, armati dalla resistenza, prendere posizione per partecipare alla conquista della torre. In quel momento sentì un tuffo al cuore.

Coraggio ragazzi. Fate vedere come vi ho addestrato bene!

Alan guidò il gruppo a ritroso, attraverso il tunnel che portava al porto, mentre un numero indicibile di soldati continuava ad affluire verso le prigioni.

“Aspetta Alan!”, disse Kimberly fermandosi.

“Anche io voglio combattere”

Alan scosse la testa.

“Non se ne parla Kim. Tra breve qui si scatenerà il finimondo e devo portarti in salvo!”

“Che cosa?? Ma mi hai guardato bene in faccia? Sono anni che aspetto questo momento e non accetto di starmene in panchina a guardare!”, protestò Kim

“Ho fatto un giuramento a tuo padre, e chi decide sono io. Tu verrai con me!” E detto questo Alan la trascinò verso il molo.

“Alan lasciami! Voglio combattere! E poi non possiamo tornare tutti attraverso il tunnel, le mute non sono sufficienti! E come facciamo con quella feccia al piede?”, disse Kim indicando la sorella.

Sole a questo insulto alzò la voce e cercò di rispondere alle offese, al che

Alan, preso dal nervosismo, cominciò a inveire contro le ragazze, quando Ada ebbe un flash:

“Io so come fare!”

Alan rimase senza parole e la guardò incredulo: “che cosa hai detto?”

“Seguitemi”

Il gruppo, perplesso, seguì la ragazza verso un angolo della banchina, un po' in ombra, dove giacevano delle cataste abbandonate.

“Qui sotto c'è un natante che ci porterà fuori di qui!”

I soldati guardarono Ada come se fosse pazza, Alan si infuriò ancora di più.

“Ti sembra il momento di scherzare? Tra poco qui sarà un inferno, e io devo portarvi fuori di qui!”

Ada non ascoltò ragioni. Prontamente cominciò a spostare legni e detriti vari.

“E' l'unico modo per uscire di qui. Vi dico che il natante c'è!”

“Come fai a saperlo? Nessuno sapeva dell'esistenza di questo tunnel a parte gli ingegneri che ci hanno passato le mappe per ideare la missione. Che hai, le visioni?”, concluse sarcastico.

“Sì!”, rispose imperturbabile Ada.

Kimberly, seppur ancora sconvolta, intervenne in aiuto dell'amica:

“Ada non parla mai per nulla. Se dice che lì sotto c'è un mezzo di trasporto, io le credo!”, disse, e senza indugio andò ad aiutare l'amica.

I soldati erano in forse. Erano spiazzati dalla sicurezza di quella ragazzina, e l'avrebbero anche aiutata, se Alan fosse stato d'accordo. Ma era evidente che fosse estremamente contrariato. Stava per ordinare perentoriamente alle due amiche di smettere, quando da sotto le cataste si intravide un telo.

“Eccolo! E' sotto questo telo, aiutatemi a toglierlo!” esultò Ada

Alan continuava a osservare scettico, ma infine fece cenno ai suoi uomini, che aiutarono le due ragazze.

Sotto, una lamiera lucente brillò alla luce per la prima volta dopo tanto tempo.

I soldati sussultarono e con rinnovata baldanza liberarono del tutto il trabiccolo dalle macerie. Alan, definitivamente allibito, balbettò:

“Ma funziona?”

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Capitolo 8
*** Guerra! ***


Il mezzo di trasporto era compatto, affusolato, ricordava la forma di un piccolo cetaceo con la cabina di pilotaggio bombata a ricordare la forma di una testa, formata da un’ossatura di metallo che reggeva degli oblò squadrati molto grandi, che lasciavano intravedere l’interno. Posteriormente il natante assumeva la forma di pinna caudale, dove erano abilmente nascosti i motori di propulsione. I timoni di profondità e direzione erano a forma di pinne pettorali e ventrali.
Kimberly non aveva mai visto una cosa del genere, e nonostante il trambusto e la confusione interiori che stava vivendo, rimase a bocca aperta. Dando un’occhiata ai presenti, si rese conto che lo stordimento era generale.
Ada invece era padrona della situazione. Premette un pulsante sul fianco del mezzo, che nessuno fino a quel momento aveva notato, e il “ventre” di quello strano animale di metallo si aprì ad ala di gabbiano.
“Sì, funziona!”. Esclamò in risposta a Alan.
Alan a malapena sentì. Era troppo meravigliato del ritrovamento, e un turbinìo di domande gli affollarono la mente.
“Ada ma tu chi sei esattamente? Come facevi a sapere queste cose?”
Ma Ada era già entrata e si era messa al posto di comando.
“Sali, parliamo dopo”
“Tu lo sai pilotare?”, trasecolò Alan; poi si riprese e fece cenno a due suoi uomini di venire con lui. In cabina pilotaggio c’erano due posti, e dietro c’era posto per quattro passeggeri disposti su due file, così due soldati presero posto dietro insieme a Kim e Sole, tenute ben ferme e il più possibile lontane, mentre Alan si sedette al posto del copilota, di fianco ad Ada.
Ada riattivò il quadro comandi e quando tutti furono ai loro posti, richiuse il portellone. Quel piccolo sottomarino si immerse silenzioso; e docile, sotto la direzione esperta della ragazza, si avviò verso l’uscita del tunnel.
“Abbiamo un bel po’ di cose da dirci”, disse Alan. “Tu sapevi già da prima di questo tunnel, non è così?”
 Ada rimase un attimo pensierosa fissando davanti a sé, poi rispose: “Se ti dico ‘sì e no’, mi credi?”
“dipende. Cosa significa ‘sì e no’?”, replicò lui guardandola con occhi indagatori.
Ada sospirò.
“non so da dove cominciare”, disse infine.
“Prova dall’inizio”
Ada ci rifletté un attimo, poi continuò: “Quando ho sentito parlare del tunnel, la notizia   mi sembrava del tutto nuova. Ma quando siamo entrati, ecco… mi sono accorta che io qui ci ero già stata”
Alan contrasse involontariamente i muscoli delle guance, cercando di trattenere l’impazienza.
“che vuol dire che sei già stata qui? Questo tunnel è in disuso da secoli, solo le più alte sfere del vecchio governo sapevano della sua esistenza, è un segreto militare!”, disse quasi con rabbia.
“Alan non so cosa significhi questo. Io ho parecchi vuoti di memoria, ma mi capita di ricordare cose assurde all’improvviso, senza sapere il perché. Fino a mezz’ora fa non mi sarei mai sognata di guidare un sottomarino eppure guardami, lo sto facendo”
Lo sguardo di Alan cadde sulle mani di Ada, che manovrava con fare esperto un sottomarino sofisticato, forse un sottomarino da ricognizione di cui neppure lui sapeva indicarne il modello. Una domanda cominciò ad assillarlo: Chi era davvero Ada, e lui poteva fidarsi di lei? Conosceva segreti militari che neppure lui, un agente segreto, conosceva. Molto probabilmente, Ada era stata nelle forze speciali. Sì, ma di quale schieramento? Da che parte stava?
 
-II-
 
L’effetto sorpresa fu decisivo. I piani bassi della Torre dell’Alto Comando erano sguarniti: mai si sarebbero aspettati un’invasione dalle fondamenta della Torre. Livello dopo livello le truppe della Resistenza guadagnavano terreno, per un po’ i capi del potere costituito cercarono di sedare la rivolta senza interrompere i festeggiamenti in mondovisione, ma ben presto le trasmissioni vennero interrotte. Nella piazza il popolo ignaro continuava a guardare la messinscena dello spettacolo mentre i presentatori prendevano tempo, improvvisavano gag comiche con i vari ospiti e pochi si accorsero che il nervosismo cresceva minuto dopo minuto. Quando finalmente venne dato l’annuncio che a causa di “problemi tecnici” si invitata il popolo radunato a tornare nelle proprie case, si disseminò lo sconcerto e anche il panico; ma il sentimento dominante fu rabbia: alcuni avevano sudato per trovarsi dei buoni posti e ora come si permettevano di annullare così lo spettacolo? Le proteste divennero quasi violente e l’esercitò sedò la rivolta sul nascere con l’uso di lacrimogeni.
I giornalisti presenti raccolsero immediatamente le apparecchiature per sgomberare il campo: avevano ricevuto il comando di tacere completamente quanto stava accadendo.
 
Solo uno di loro prese il cameramen che lo seguiva e gli ordinò di puntare l’obiettivo proprio al centro degli scontri.
 
“Steven ma che fai?? Lo sai che non ci permetteranno mai di divulgarlo!”, replicò Hans, il cameramen.
 
Steven Mackenzie, cronista di un telegiornale secondario, aveva 35 anni, una barba appena accennata, capelli scarmigliati, occhi irrequieti e dallo sguardo acuto.
 
“Sono stufo di questo giornalismo da quattro soldi. Qui sta succedendo qualcosa e, cascasse il mondo, io voglio esserci e raccontarlo! Riprendi tutto! Non tralasciare niente!”, disse con piglio deciso ad Hans.
 
Hans, che aveva un occhio decisamente più bovino, seguiva Bart in ogni suo scoop, e anche questa volta non si tirò indietro.  Puntò coraggiosamente la telecamera verso il cuore degli scontri, e iniziò a registrare. Fece una breve panoramica della piazza sconvolta dai disordini, mentre Bart faceva la cronaca: “Siamo in diretta dalla Piazza dello Stato, dove i festeggiamenti sono stati appena sospesi. Quello che doveva essere un evento da Gran Galà, si sta trasformando in una protesta accesa per l’inaspettato cambio di programma. Ecco alle mie spalle un cittadino che viene severamente punito per aver protestato…” Hans zoomò su un tafferuglio tra un agente di polizia e un giovane che cercava di scavalcare le transenne.
 
“Spegnete la videocamera!”, intimò un agente.
 
Steven non rispose, Hans restò in attesa di ordini da parte sua ma non ne arrivarono. Il poliziotto si irritò e ripeté l’ordine:
 
“Spegnete IMMEDIATAMENTE la videocamera!”
 
Steven fissò il cameramen e disse: “Forza Hans, spegni” Il cameramen fermò le riprese, Steven mise via il microfono.
 
“Seguitemi!”, ordinò l’agente, prendendo la videocamera dalle mani di Hans.
 
-III-
 
Fank era in cima alla torre quando si accorse che qualcuno lo stava chiamando sull’interfono: il dorso del suo braccio iniziò a lampeggiare. Era infatti sufficiente indossare un braccialetto ipertecnologico per usare il braccio come interfaccia grafica. Frank prese la chiamata che entrò automaticamente nell’auricolare posto all’interno dell’orecchio: si trattava di Slaughter. Il boss Era completamente fuori di sé, e ordinava a tutti i segugi disponibili di recarsi alla torre dell’Alto Comando a dare man forte. I segugi avrebbero avuto molto da perdere dalla sconfitta di Sergio, per cui non avrebbero permesso che ciò accadesse!
 
Frank strinse i pugni. Quella sera avrebbe dovuto assaporare la propria vendetta e godere dei propri successi, e invece si ritrovava a fronteggiare una rivolta.
Mandò giù il rospo e con un messaggio ordinò a tutti i segugi che non erano al galà di precipitarsi sul posto in assetto da combattimento; mentre a quelli che lo avevano accompagnato quella sera espose il suo piano: progetti di vendetta agitavano il suo cuore.
 
La Torre sorgeva su uno dei molti monti su cui era cresciuta la metropoli, cosa che ne accresceva l’imponenza. Intorno aveva uno spiazzo di solito piantonato a vista da torrette di controllo, e il perimetro era circondato da rete elettrificata.  Il popolo aveva osservato l’evento al di fuori della rete di recinzione: solo i militari e persone autorizzate potevano accedere nei pressi della torre. La torre di suo già era alta, ma si diceva che la parte interrata era molto più vasta di quella visibile. Si vociferava che avesse ben oltre 200 piani. Ci avrebbe messo un’eternità a scenderli con l’ascensore. Un suo sottoposto, in risposta al messaggio che aveva ricevuto, in breve arrivò in cima alla torre in sella a un flyscooter, scese e vi fece salire Frank.
 
Frank discese dalla torre in picchiata fino a planare a pochi metri dall’ingresso del pianterreno, dove non ebbe difficoltà a entrare mostrando il suo badge. Non aveva molto tempo per attuare il piano.
 
Si diresse deciso nei sotterranei fino al primo livello delle prigioni, che stava per essere raggiunto dalla sommossa. I soldati e i pochi segugi arrivati presidiavano il piano in attesa dell’ondata di ribelli; i soldati di Sergio stavano difendendo la posizione nei livelli inferiori ma non avrebbero resistito ancora per molto: si sperava di poter arginare la rivolta con una seconda barricata. Frank consegnò il badge e tutto ciò che aveva con sé (anche l’interfono) al suo fido segugio, scambiando poche parole al generale che lo guardò con rispetto.
 
Frank quindi oltrepassò la barricata e scese ulteriormente di un piano, diretto verso l’obitorio dei prigionieri. Aveva pochissimo tempo: i ribelli stavano arrivando. Si spogliò di tutti i vestiti, indossando quelli di un cadavere lì vicino. Buttò cadavere e vestiti nell’inceneritore e si mise sdraiato al suo posto a occhi chiusi, in attesa dell’arrivo dell’esercito nemico.
 
-IV-
 
Gli ultimi soldati sopraggiunti a difendere la posizione nei livelli delle carceri caddero sotto i colpi dei ribelli, che avanzarono nella loro conquista del centro del potere di Petra. Avevano già provveduto a bloccare gli ascensori, quindi proseguirono indisturbati nella loro corsa fino al piano successivo: l’infermeria.
Stavolta non incontrarono resistenze: probabilmente altre barricate li attendevano nei piani superiori. Cinque agenti della resistenza vennero mandati a perlustrare il piano per accertarsi che fosse tutto sotto controllo, e Brian era uno di loro. Sembrava tutto deserto, così stavano per tornare indietro quando Brian udì distintamente un lamento.
 
“Avete sentito?”, chiese agli altri 4 soldati.
“Veniva da questa parte”, disse Wilson dirigendosi verso l’obitorio.
 
La stanza era asettica e agghiacciante. Un odore strano, misto tra disinfettante e formalina, impregnava l’aria. Lungo una parete si trovavano i lavelli e le vasche, tutti in acciaio. Nella parete di fianco c’erano le celle frigorifere per le salme; di fronte alla parete con le vasche c’era invece un inceneritore, che stava ancora bruciando qualcosa. Al centro c’erano cinque tavoli anatomici su ruote, su cui giacevano delle salme. O almeno, a una prima occhiata sembravano salme: proprio mentre Brian osservava i corpi, uno di questi si mosse emettendo un gemito. Il cuore gli balzò nel petto ed esclamò: “Ma è vivo!” due agenti si avvicinarono al sopravvissuto, mentre gli altri restarono a vigilare all’ingresso della stanza.
“E’ vivo!”
“Aria, lasciatelo respirare, facciamolo sedere!”, dissero concitati.
“Basta, così lo confondiamo!”, disse Brian: lo sconosciuto iniziò a tossire, aprì con fatica gli occhi, mugolò di dolore.
Infine parlò con voce flebile:
“Dove sono?”
“Tranquillo, sei al sicuro adesso”, disse Wilson mettendogli una mano sulla spalla.
 
Lo abbiamo salvato: stavano per incenerire viva una persona e non se ne erano nemmeno accorti! Per fortuna che ci siamo noi.
 
Questo pensiero riempì Brian di soddisfazione e orgoglio, spingendolo a Ignorare del tutto la sottile sensazione di disagio che aveva avvertito pochi secondi prima, quando si era avvicinato al detenuto: eppure, quel volto lo aveva già visto da qualche parte…
 
-V-
 
Nel sottomarino tutti erano rimasti in silenzio ad ascoltare le spiegazioni di Ada. Ognuno aveva un motivo tutto suo per essere curioso. Quando Ada finì le risposte, nella cabina rimase un silenzio denso, pieno di riflessioni. In quel momento emersero dalle acque in prossimità del ponte.
 
Ada fermò il veicolo e si voltò a guardare Brian.
 
“La base segreta ce l’ha un porto sottomarino?”
 
Alan strabuzzò gli occhi. “Che io sappia no”, replicò.
 
Ada storse il naso mentre rifletteva a voce alta.
 
“Non possiamo lasciare questo gioiellino incustodito.”
 
Ma una volta riemersi dal fiume, Ada poté constatare che non erano soli: seppur in numero ridotto, per poter mimetizzarsi nel buio e non dare troppo nell’occhio nel caso sfortunato di un pattugliamento da parte del potere costituito, delle cellule militari della resistenza presidiavano l’entrata al tunnel sotterraneo. Ada fece scendere i passeggeri, mostrò a un ufficiale sbigottito come guidare il sottomarino, e affidò in mano loro il mezzo. Da parte sua Alan si era fatto dare un’auto. Ada prese posto davanti, dietro furono messe Kim e Sole, sempre separate dal soldato Carter. Ada pensò ironica che lo avrebbero fatto santo, visto che le due ragazze non stavano certo zitte e ferme, anzi! Finché erano rimaste nel sottomarino si erano entrambe chiuse in un silenzio tombale, ma una volta scese Kimberly si scagliò ancora una volta contro la sorella cercando di graffiarla. Ovviamente lei fu placcata da Carter e Sole da Johnson, ma gli insulti nel frattempo erano volati, eccome. Dopo l’ennesimo ordine perentorio di Alan la situazione era tornata apparentemente tranquilla, ma Ada non invidiava né Carter, rimasto in mezzo a due vulcani silenti ma pronti a esplodere, né Alan, che aveva la responsabilità di due ragazze dagli artigli affilati come quelli di un gatto, e con tutta la voglia di usarli.
 
Nonostante questa piccola divagazione di pensieri, mentre Alan avviava il motore il suo intuito fu colpito da un dettaglio fondamentale: l’auto non aveva i vetri oscurati.
“Alan, i vetri dell’auto sono normali. Così vedremo la strada che fai per andare alla base…”, disse.
Alan capì subito ciò che Ada stava per dire.
“Sì cara mia, oramai sapete troppo”
Ada sentì un’emozione strana attraversarle il petto. I giorni dei Dragonfly, le corse in flyscooter nel cielo di Petra, la sua libertà… era tutto finito. Stava per iniziare un nuovo capitolo della sua vita e ancora non sapeva ben definire ciò che il suo intuito le stava comunicando, ma, di certo, non sarebbe più stata libera.

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