La rondine in gabbia

di MoonChild5
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. L'inizio dell'incubo. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Il rumore in quella stanza era quasi assordante; l'acqua che scorreva nella vasca, cinguettio di uccellini, il ronzare di un'ape fuori dalla finestra, un'auto lontana, che correva veloce.
E poi le risate e il vociferare delle domestiche fuori dalla porta.
L'aria era fresca, piacevole, pulita.

Charlene si guardò le braccia, segnate e pallide, e si sentì fuori luogo in quel posto così sicuro e ospitale. Le sue orecchie sopportavano a stento tutti quei rumori che un tempo erano stati familiari anche a lei, ogni suono continuava a metterla all'erta, era spaventata. Gli occhi erano feriti dalla luce del sole, vedere spazi aperti e ampi la disorientava.

Charlene entrò nella vasca goffamente, immergendosi nell'acqua tiepida con un brivido.

Purtroppo quel bagno non poteva darle ciò che avrebbe voluto, l'acqua non lavava via il passato, né i ricordi; Sfregare sulle spalle minute con la spugna non le avrebbe cancellato i graffi, i lividi, né tanto meno ciò che Charlene portava in grembo. Era salva, doveva essere felice. Ma le lacrime cominciarono lo stesso a rigare il suo viso, scivolando e andando a mischiarsi all'acqua ormai fredda.

 

<< Che cosa ti aspettavi, Charlene? Ti aspettavi forse un papà affettuoso che ti rimboccasse le coperte? Stai ferma. Ora ti prendi le tue responsabilità, Charlene. Sei tu la bambina cattiva. Te la sei cercata, piccola. Nessuno ha deciso per te, non sei la gallina che viene uccisa dalla volpe nel pollaio, non puoi piangere.

 

No, perché tu sei l'agnello che stupidamente si butta tra le fauci del lupo.

 

Tu sei la rondine che si chiude da sola in gabbia. >>

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


La vecchia porta sbatté forte dietro le spalle di Charlene. Il cappotto fradicio iniziò a gocciolare sul pavimento, mentre un brivido di freddo percorreva la schiena della ragazza. Tolse le scarpe e le appoggiò a terra, si pulì la faccia dalla pioggia con una manica, dimenticandosi che anch'essa era bagnata. Charlene sbuffò e avanzò veloce verso camera sua.

<< Ciao tesoro! Sapevo che eri uscita senza ombrello, ti ho preparato un bagno caldo e dei vestiti puliti! >>

<< Ciao mamma, grazie. >>

<< Charlene, com'è andata a lavoro? >>

<< Una favola... >>

Per la seconda volta una porta sbatté, era quella del bagno. Charlene si infilò esausta nella vasca, l'acqua bollente e il profumo del bagnoschiuma la fecero sentire di nuovo a casa. Pensò alla serata appena passata, al lavoro da cameriera di un anonimo bar di periferia che le toccava fare per dare una mano alla famiglia, alla paga giornaliera bruciata per colpa di quei bicchieri rotti, alle umiliazioni e alle urla di Max, il proprietario.

Concluse che quello non era ciò che desiderava, che la paga era pessima, spendeva un quarto in biglietti della metro per arrivare fino al locale, il resto andava in fumo con un po' di spesa e con il risarcimento di piatti e bicchieri che ultimamente stava rompendo troppo spesso.

 

Uscì dal bagno ancora più nervosa di prima, la televisione trasmetteva i cartoni animati a tutto volume mentre Gwen urlava in soggiorno e il cane abbaiava forte allo scrosciare della pioggia in giardino. Ammutolì la madre e le sue domande con uno sguardo, entrò in camera, prese il libro di storia aprendolo a caso su una pagina. Si buttò sul letto affondando la faccia sul cuscino.

<< Non piangere, non piangere, non piangere, non piangere. >>

Iniziò a leggere il capitolo, dopo qualche riga gli occhi erano annebbiati dalle lacrime. Lacrime di nervoso, di impotenza e di rabbia.

Il cellulare squillò: era Jessika, la sua compagna di lavoro, nonché cara amica.

Charlene prese un respiro profondo prima di rispondere, cercando di dissimulare la voce e ignorando il nodo alla gola che la soffocava.

<< Pronto Jessica... >>

<< Ciao Charlene, scusami per l'ora. >>

<< Niente, sono appena tornata a casa e mi aspetta una notte di studio, domani ho il compito di storia. >>

<< Ah, capisco. >>

 

Silenzio.

 

<< Charlene, mi dispiace per oggi, Max è stato troppo duro, in fondo sa anche lui che per te è un brutto periodo. Mi dispiace davvero. >>

<< Grazie, non preoccuparti. >>

<< Senti, sei da sola? Puoi parlare? >>

<< Sì, dimmi >>

<< Ricordi la possibilità di cui ti ho parlato un paio di giorni fa di trovare un lavoretto migliore? Oggi ho dato un'occhiata agli annunci che mamma metterà sul giornale di Lunedì, c'è un certo signor Barker che cerca una ragazza per le pulizie, sembra uno ricco, il quartiere è buono, lo stipendio anche e gli orari ti permettono di studiare. >>

<< Jessica ascolta... >>

<< Lo so, lo so che cosa ne pensi. Senti però, io so che cosa cercano questi signori, è sicuramente un riccone abbandonato dai figli, chiede solo un po' di compagnia. Non hai nemmeno bisogno di sporcarti le mani, devi solo mostrare un po' di disponibilità. Il tuo bel faccino non può lasciarlo indifferente, e se ti comporterai bene sono certa che ti riempirà di regali. Insomma, che cos'hai da perdere? >>

<< Ma che dici, ho bisogno di soldi ma non posso fare questo. Che schifo, non posso. >>

<< Piantala Charlene, si sta parlando di 90 dollari a sera per tenere compagnia a un vecchio signore che ha non meno di 70 anni. Cosa ti aspetti? Un bacio, qualche carezza, niente di più. >>

<< Non lo so... >>

<< Ascolta, Allen è sotto casa, devo andare. Segnati l'indirizzo, in caso cambi idea: 29 Regent Street. Fammi sapere e pensaci bene. Un bacio, buono studio. >>

 

Jessica chiuse il telefono lasciando Charlene dubbiosa. Segnò l'indirizzo sul bordo di una pagina del libro. Davvero era arrivata a dover fare la prostituta per un po' di soldi?

 

Poi cambiò semplicemente pagina, e iniziò a studiare, finché non si addormentò tra i pensieri.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


A volte la vita non ripaga i sacrifici e il dolore. Basta una scelta sbagliata e tutto va in frantumi irrimediabilmente. La cosa peggiore è che all'inizio nessuna scelta ti pare sbagliata, pensi soltanto che tu sei padrone della tua vita, puoi decidere da te, fare ciò che vuoi, e che se non ti va come le cose stanno andando, puoi mettere un punto e ricominciare da capo. Ma ogni decisione lascia delle tracce, molte di esse sono incancellabili, e la tua vita non torna più come prima.

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Il 7 Ottobre 1998 Beth compiva 35 anni. Questo evento non la esonerava però dai suo doveri, e non era giustificata nemmeno dal freddo pungente del mattino, dalla nebbia fitta e dalle occhiaie dovute a stress e insonnia. Alle 4 e mezza del mattino Beth era fuori casa, guidando piano tra la nebbia e il silenzio della gente ancora a letto. Anche per Charlene la sveglia suonò presto, senza pietà per quella notte durata non più di due ore.

 

Beth aveva avuto Charlene all'età di 19 anni, il nome del padre era Dave, morì per overdose due mesi dopo la nascita della figlia. Beth era una donna fragile, i suoi genitori erano anch'essi morti giovani, era sola al mondo, lei e la sua bambina. Per i primi anni fu un'amica di Beth a prendersi cura di Charlene, mentre la madre faceva qualche soldo con le pulizie. Per arrotondare le entrate qualche volta andava per strada a prostituirsi, finché una notte tre uomini non la lasciarono morente in una stradina deserta. Beth venne ricoverata, mentre Charlene veniva mandata in una vacanza estiva da una sua prozia. Questa vacanza si prolungò per 4 anni, mentre Beth si riprendeva e cercava un posto di lavoro migliore. Si trovò anche un nuovo compagno, Robert, dal quale poi ebbe Gwen. Quando Charlene tornò a casa aveva 10 anni. Era una ragazzina forte e indipendente, fu lei che a 12 anni si occupò della sorellina minore, mentre la madre andava a lavoro e Robert scomparve.

 

Nel 1998 Charlene aveva 16 anni e mezzo, abitava in una piccola casa in affitto insieme alla sorella e alla madre. Era una ragazza studiosa, che non si faceva abbattere dalle difficoltà in cui si trovava lei e la sua famiglia.

Da Luglio aveva deciso di dare una mano portando un po' di soldi a casa, oltre che studiando, accudendo la sorella e occupandosi della casa. Forte quanto vogliamo, ma Charlene era solo una ragazzina, ed era stanca.

 

<< Un bel faccino... >>

Pensò Charlene guardandosi allo specchio. Fissava i suoi grandi occhi color cioccolato riflessi su quel pezzo di vetro sporco, mentre l'acqua per la pasta bolliva in cucina. Aveva legato i capelli con un fermaglio, dal quale cadeva qualche ciocca castana, dello stesso colore dei suoi occhi. Il visino pallido e spruzzato di lentiggini sul naso e sulle guance la faceva sembrare così fragile... Eppure solo lei sapeva cosa si nascondeva dietro il suo aspetto da bambola.

Il telefono squillò, questa volta era quello di casa.

 

<< Pronto? >>

<< Buon pomeriggio, chiamiamo dalla scuola elementare St James, ci risulta che questo sia il numero di casa di Gwen Taylor. Con chi parlo? >>

<< Sono la sorella maggiore. C'è qualche problema? >>

<< Ah, e la madre non è in casa? >>

<< Non ancora, ma sarebbe già dovuta essere qua con Gwen. >>

<< A scuola non è passata, Gwen è qui con la sua insegnante, qualcuno potrebbe venire a prenderla? >>

Charlene guardò il cellulare infuriata, nessun messaggio della madre, nessuna chiamata.

<< Arrivo subito, mi scuso tantissimo per il disturbo. 10 minuti e sono lì. >>

<< Non preoccuparti, a dopo e grazie mille. >>

 

Come promesso dopo 10 minuti era lì, Gwen era seduta su una poltroncina in corridoio, dondolando le gambe.

<< Amore, ciao! >>

<< Ciao... Dov'è mamma? >>

<< Non lo so piccola, ora andiamo a casa e ti mangi un bel piattone di pasta, okay? Hai fame vero? >>

<< Un pò. >>

Tornate a casa, Charlene prese in mano il telefono decisa a fare una sfuriata alla madre, poi alzò lo sguardo: Beth era sdraiata sul divano ancora vestita e puzzava di alcool da lontano. Gwen le andò incontro, ma Charlene la bloccò.

<< Vai in cucina tesoro, arrivo subito!>>

Era sconvolta.

<< Cazzo mamma!! >>

Non provò nemmeno a svegliarla, era ubriaca fradicia e dormiva profondamente. Sospirò. Il telefono squillò di nuovo, Charlene rispose. Era il proprietario dell'azienda nella quale lavorava Beth. Disse che non andava a lavoro da qualche giorno e che aveva bisogno di parlarle urgentemente. Charlene rimase ammutolita, da quanto tempo la madre non andava a lavoro? Cosa stava facendo? Verso le 8 del giorno dopo la madre si svegliò, Charlene non l'aveva mai vista in quelle condizioni. Non era andata a scuola per poterla accudire.

 

<< Mamma... >>

<< Oddio tesoro, che ore sono...? >>

<< Hai dormito quasi un giorno intero. >>

<< Scusami Charlene, davvero! Ieri era il mio compleanno, le mie colleghe volevano festeggiare, abbiamo alzato un po' il gomito. Come sta Gwen? Ma che ore sono, è già mattina? >>

<< Non sparare cazzate, ha chiamato il tuo capo, ieri non ci sei andata a lavoro. Dove diavolo eri, me lo vuoi spiegare? Non ci vai da un po', mamma. Devi chiamare a lavoro, sono incazzati da morire. E spero per noi che riuscirai a scampartela con una scusa anche questa volta. >>

Beth venne licenziata.

 

Fu così che Charlene decise.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. L'inizio dell'incubo. ***


Charlene non tornò a casa il giorno seguente, dopo scuola.

Finite le lezioni si diresse verso gli spogliatoi femminili. Non c'era più nessuno a scuola, a parte il personale che riordinava le aule. Charlene sentiva i suoi passi rimbombare nel corridoio, e dei rumori lontani. La ragazza tirò fuori dallo zainetto una camicetta e dei jeans puliti, riponendo gli indumenti che si era tolta nello zainetto. I jeans aderivano alle sue gambe sottili, sottolineando ancora di più i fianchi generosi e la vita sottile. Lasciò un bottone slacciato alla camicetta bianca e semplice che le aveva regalato la madre per il compleanno. Guardandosi allo specchio sentì una paura crescerle dentro, si sentiva così terribilmente in colpa.

Da piccola era sempre cresciuta piuttosto libera, nessuno le aveva mai detto quello che si poteva fare e quello che era sbagliato, o forse qualcuno sì, ma non era stato ascoltato. Charlene aveva imparato che l'importante era stare bene, e che ognuno per raggiungere questo obiettivo sceglieva la strada che preferiva. Ma a volte capita di sentire una sensazione strana, come un istinto, che ti allontana da certe vie. Era questo che sentiva Charlene, ma la scambiò per semplice ansia. Uscì dalla scuola, slacciandosi il secondo bottone della camicetta.

 

In 15 minuti era arrivata a Regent Street, continuò a camminare veloce, senza pensare troppo a quello che stava facendo. Però si sentiva rassicurata, il quartiere era davvero ricco come aveva detto Jessica, i giardini ben curati e gli edifici graziosi e ordinati. Al numero 29 di Regent Street vi era una casa non diversa dalle altre, a due piani più un terrazzo, un giardino spazioso con alberi e piante verdi, una stradina in pietra che portava fino all'ingresso, un'elegante porta bianca con un pomello dorato. Charlene si soffermò a guardarla: era aperta.

Già a metà della stradina, la ragazza si fermò sorpresa, guardandosi intorno; la via era vuota, silenziosa. Un istinto irrefrenabile la spingeva ad andarsene. Appoggiò lo zainetto a terra, ma continuò ad avanzare verso la porta, forse il padrone di casa si era sentito male. Sulla destra lesse un'etichetta argentata: dr. Barker. Quindi il posto era proprio quello, si ricordava il cognome.

Charlene pensò alla madre che era stata licenziata il giorno prima, alla sorellina che non sapeva niente, che pensava che la mamma avesse la febbre e fosse stata male per quello, che era a casa perché era in vacanza; bussò piano alla porta.

Le rispose una voce maschile, profonda e giovane che la fece sobbalzare. Proveniva da una stanza lontana, ma era molto forte: << Prego, entra pure. >>

Poi un tonfo. Charlene entrò ispezionando la casa dall'interno: un lungo corridoio con tante porte chiuse le si mostrava davanti, sul pavimento di mattonelle scure vi era un tappeto elegante, che aveva l'aria di essere antico. La prima porta a destra era di vetro, ed avanzando notò che era aperta: era il soggiorno. Charlene sentì provenire da quella stanza una musica leggera, dei violini forse. Entrò convinta di trovare lì l'uomo: << Salve, posso? >> Nessuna risposta.

Fece un altro passo continuando a guardarsi intorno. Il caminetto era acceso nonostante non ci fosse ancora tanto freddo, sulla destra vi erano un tavolino e dei divani. Proprio dietro uno di questi Charlene vide una sagoma, poi udì un leggero gemito. Lasciò perdere la prudenza correndo verso quel punto, nella parete opposta alla porta. << Signor Barker, è lei? Tutto b...? >>

Ciò che le si mostrò davanti le ghiacciò il sangue nelle vene: un uomo anziano, sui settant'anni, a terra, con la schiena poggiata al muro. La testa ricadeva da un lato, mentre i suoi occhi erano fissi su Charlene. Boccheggiava con uno sguardo implorante. Poi all'improvvisò tossì, mentre un rivolo di sangue gli scorreva dalla bocca sporcando la sua giacca blu. Girò gli occhi, scosso da un tremito violento.

La ragazza rimase a guardarlo sconvolta, gli occhi sbarrati e le mani tremanti. Sentì una porta sbattere, e urlò forte, girandosi di scatto. Vide l'entrata chiusa, mentre un respiro lieve le solleticò la pelle delle nuca, che reagì accapponandosi.

Charlene si immobilizzò chiudendo gli occhi, soffocando un altro grido. Prima che potesse girarsi nuovamente una mano le afferrò forte il braccio, mentre un'altra chiudeva la bocca della ragazza, coprendole anche il naso.

<< Ciao tesoro, benvenuta. >>

La ragazza iniziò a dimenarsi presa dalla disperazione, mentre la stretta dell'uomo diventava sempre più forte, mentre la stanza appariva sempre più offuscata, e i suoni sempre più distanti.

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