Neko

di Hika86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I gatti amano il pesce! ***
Capitolo 2: *** I gatti odiano la pioggia! ***



Capitolo 1
*** I gatti amano il pesce! ***


'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'


Ohno Satoshi.
Giovane giapponese.
Trentenne.
Single.
E da quel giorno, indipendente.
Non gli piacevano il rumore e la confusione quindi aveva ben pensato di fissare una gita fuori porta esattamente nel giorno del suo trasloco. Tanto quelli della compagnia dei traslochi avevano la chiave ed erano loro a dover fare il grosso del lavoro, ma la sua fortuna era di avere una madre premurosa che aveva deciso di occuparsi della supervisione degli operai così lui era stato libero di scappare.
Tornò al tramonto con gli stivali per la pesca di fiume e gli attrezzi più piccoli chiusi nella solita borsa, il retino e la canna da pesca in una mano e un sacchetto di plastica ben chiuso nell'altra. Era il suo bottino di quel giorno: una trota (piccolina e aveva dovuto lottare parecchio con lei perchè aveva tentato di andarsene dal retino), due anguille e un paio di gamberetti d'acqua dolce, che aveva cominciato a pescare per caso dopo averne acchiappati un paio mentre faceva una pausa pranzo seduto sui sassi del fiume. Una volta presi quelli tanto valeva trovarne a sufficienza per cucinare almeno un piatto per sè.
Salì con cautela le scale dell'edificio, facendo attenzione che la lunga canna e il filo non si impigliassero da qualche parte, poi si fermò al secondo piano e si mise a cercare le chiavi. Non le trovava e si mise a cercare ovunque: nelle tante tasche dei pantaloni da pesca, dentro la borsa. Solitamente pescava per divertimento, non per portare qualcosa a casa, quindi non era abituato a tornare carico di cibo e faceva difficoltà a frugarsi addosso dovendo tenere in mano anche il sacchetto con i pesci. Dopo tre minuti di silenziosa ricerca trovò le chiavi, ancora senza portachiavi, e aprì la porta.
La giornata era stata sfiancante, così fu felice di vedere che l'appartamento era relativamente in ordine. Sarebbe stato impossibile il contrario dato che a parte i mobili le sue cose occupavano solo tre scatole di modeste dimensioni. A parte quelle, il grosso di ciò che era suo erano cavalletti, pennelli e tele, ma erano ancora a casa dei suoi: non le avrebbe mai lasciate in mano ad altri. E lo stesso valeva per l'attrezzatura da pesca, ed ecco perchè l'aveva usata per quel giorno, per averla lui e non doverla affidare ad altri.
Aprì la porta-finestra che dava sul balcone del salotto e lasciò fuori la borsa con l'attrezzatura e la canna con il filo ben arrotolato. Il sacchetto con i pesci venne lasciato sul bancone del piccolo angolo cucina e Satoshi recuperò il Post-IT lì vicino per leggerlo mentre si avviava verso il bagno. "Satoshi kun, il trasloco è andato bene. Ti aspettiamo la prossima settimana per recuperare le ultime cose. La compagnia dei telefoni ha allacciato la linea così i ragazzi ti hanno lasciato un messaggio in segreteria." comunicava sua madre con la sua scrittura semplice dai tratti dolci. Il ragazzo si tolse i vestiti e li gettò dentro la nuova lavatrice in bagno poi, rimasto in boxer, entrò per la prima volta nella sua nuova camera e, ad intuito, schiacciò un paio di pulsanti del telefono sul comodino, alla ricerca di un modo per accedere alla segreteria.
⎨RIIIIIDA!!!⎬sentì Matsujun cantilenare il suo soprannome⎨Oh-chan ti hanno attaccato il telefono! ... Certo che è attaccato, altrimenti con chi stiamo parlando? ... Guardate che i messaggi in segreteria hanno un limite di tempo: ci sbrighiamo? ... Riida, ancora non sei tornato vero? Ancora pesci ... Gli cresceranno le branchie ... O magari sbufferà come i delfini, rimanendo un mammifero ... Allora Ohno kun, vedi di procurarti cinque sedie e un tavolo abbastanza grande entro... entro un giorno, perchè verremo a trovarti per inaugurare la casa ... Dobbiamo battezzarla! ... Ho sent-⎬il messaggio terminò, ma la segreteria segnalava un secondo messaggio⎨Ecco, ha fatto *bip* ora sbrighiamoci ... Cosa dovevamo dire? ... Riida ci vediamo domani alle riprese, ma volevamo avvisarti ... Veramente volevamo divertirci, lasciamogli venti messaggi: ti immagini che palle sentirseli tutti quando torna? ... Idea bocciata Nino ... E' fuori questione ... Dai che poi finisce! Dite "a domani" ... A DOMANIIIIIII ... ciao Riida!!⎬e finì. «A domani» rispose ad alta voce Satoshi, ridendo divertito. Non cancellò nessuno dei due messaggi.
Stanco dopo quella dura giornata, tornò subito in bagno e, disfattosi della biancheria si chiuse nell'ofuro. Aprì l'acqua per riempire la vasca e si sedette sullo sgabello di plastica aprendo anche i rubinetti della doccia per lavarsi prima di rilassarsi nell'acqua calda dell'ofuro.
Sarebbe stata la sua prima notte nella sua nuova casa. Non ricordava più come, ma una sera a tavola aveva alzato lo sguardo dal piatto e aveva annunciato che gli era venuta voglia di andare a vivere da solo. Significava molto per uno come lui, sempre al lavoro, sempre in giro, tornare a casa e non trovare una cena pronta, un bagno caldo ad aspettarlo, un letto ordinato. Da quel giorno avrebbe dovuto fare tutto da solo. Non che non sapesse cucinare o pulire una stanza, ma fino a quel momento aveva fatto molto affidamento su sua madre e ora si sentiva come quando da bambino gli avevano tolto i braccioli dicendo "e adesso nuota". In quel caso era rimasto solitario contro una massa d'acqua, un mondo ignoto. Stavolta era lui davanti a tre stanze vuote.
Immerso nell'acqua calda dell'ofuro e nel silenzio però preferiva pensare, più che a tre stanze vuote, a tre stanze che si riempivano di lui. Non era più un bambino, aveva trent'anni, non aveva più paura. Timore forse, ma aveva deciso finalmente di fare quel grande passo perchè aveva sentito che era arrivato il momento: il momento di avere uno spazio tutto per sè. Avrebbe riempito la sala di tele, se lo sentiva. Il bancone della cucina sarebbe stato invaso presto dai pennelli e fai gessetti più che dalle bacchette e dai bicchieri. Se non si contano i bicchieri per l'acqua con cui pulire gli strumenti dalla tempera, chiaramente. O magari l'avrebbe tenuta molto più in ordine di quel che credeva: gli piacevano gli spazi vuoti, di ampio respiro, dove sgombrare la mente, tranquillizzare il proprio animo e riflettere in tutta calma. Comunque fosse andata, per lui pensare a quella nuova casa era come stare davanti una tela bianca: non era tanto il timore di sbavare un colore a impegnare i suoi pensieri, quando l'eccitazione e l'impazienza di cosa ne sarebbe venuto fuori.
Quando sentì che la testa cominciava a girargli uscì dall'acqua bollente e si mise addosso un asciugamano. Si guardò intorno accorgendosi di non aver preso il cambio, quindi avviò la ventola per l'umidità e uscì saltellando i punta di piedi lungo il corridoio per raggiungere la camera. Si mise a ridacchiare tra sè, come un bambino, divertito dal pensiero delle orme bagnate che stava probabilmente lasciando sul parquet. Si stava infilando un paio di pantaloni di una tuta quando sentì un rumore venire dal salotto. Strinse i lacci intorno alla vita facendo un nodo e si affacciò a controllare: non c'era nessuno e non tirava vento quindi aggrottò le sopracciglia credendo di essersi immaginato quel suono; ma quando fece per girarsi di nuovo verso la camera e prendere una maglietta udì chiaramente il rumore di un sacchetto di plastica che veniva mosso. Tornò a guardare in sala e guardò il sacchetto dei pesci, immobile. Il secondo dopo di mosse ancora e allora spuntò il muso di un gatto che stava dall'altra parte.
«E tu?» domandò ad alta voce, sgranando gli occhi quando mise a fuori l'ospite inaspettato. L'animale chiaramente lo ignorò e continuò ad armeggiare con la plastica dove non riusciva a trovare uno spiraglio per accedere al gustoso contenuto. «Da dove spunti? Ehi, quella è la mia cena» insistè avviandosi verso la cucina. Allora il gatto sconosciuto lo guardò e miagolò, come capendo di dover reclamare a lui le difficoltà che stava incontrando nel raggiungere il pesce. «"nyan" cosa, peloso ladruncolo di cibo a scaglie?» domandò arricciando il labbro e prendendo il sacchetto, ben chiuso da un nodo, sollevandolo dal bancone perchè non fosse più alla portata delle unghie dell'animale. Non era particolarmente piccolo, non era più un gattino cucciolo, ma non era nemmeno un adulto, si vedeva che non aveva ancora raggiunto il massimo delle sue dimensioni ed era ancora in crescita. «Lei chi è, Neko san? Anzi no... tu chi sei, Neko chan? E da dove arrivi?» chiese ancora. Come tutti, anche il silenzioso Ohno Satoshi parlava con gli animali. Tenendo il sacchetto sollevato guardò verso la porta-finestra del balcone: probabilmente era arrivato da lì e doveva essere di qualche sua anziana vicina amante degli animali. Non fece in tempo a riflettere su altro perchè venne colto alla sprovvista dal balzo dell'animale: si lanciò sul sacchetto e rimase artigliato ad esso con tutte e quattro le zampe, emettendo un secondo miagolio. Trionfo o protesta? Satoshi non era bravo a capire gli animali, ma si spaventò non poco. «Che colpo! Lo vuoi proprio eh? Questo pesce...» lo fissò facendo dondolare il sacchetto con il gatto appeso sotto. Non potè fare a meno di ridere di gusto: era la scena più buffa che avesse mai visto. «Se ti stacchi la trota è tua. Per me è piccola» spiegò prendendolo per la collottola e cercando di tirarlo via. Fece resistenza qualche secondo poi si rassegnò e lasciò che ci pensasse Satoshi a staccargli gli artigli dal sacchetto, senza aiutarlo in alcun modo. Lo rimise sul bancone e allontanò il pesce mettendolo sul ripieno id lavoro di fianco ai fornelli. «Potrai mangiarla la trota lessa?» si domandò dubbioso «Dovrò pulirla bene» ragionò fissandolo «Giù» concluse quindi, indicandogli il pavimento. Senza farselo ripetere il gatto fece un balzo elegante, nonostante l'altezza fosse notevole. Fece un giro su se stesso, posò il sedere a terra e alzò il muso a fissarlo. Miagolò. "Pesce". Era quasi sicuro di quella traduzione. Non c'era gentilezza in quella richiesta, ma nemmeno crudeltà, pareva solo una semplice constatazione: "pesce" era ciò che voleva, "pesce" era ciò che avrebbe ottenuto di conseguenza.
Con un sospiro il ragazzo aprì il sacchetto e si mise al lavoro, troppo preoccupato che il gatto potesse saltare anche sulla cucina per concedersi di tornare in camera a mettersi una maglietta. Pulì la piccola trota, preparò una padella e la scaldò per metterla a cuocere mentre si sarebbe dedicato alla sua anguilla che andava pulita e poi lasciata ad insaporirsi nel sakè per un po'. Per tutto il tempo il gatto rimase lì vicino. Gli si strusciò contro le gambe, miagolò un paio di volte, si sedette di nuovo a terra e si allungò verso la cucina (inutilmente dato che era più basso del ripiano). Quell'animale era divertente, ma c'era qualcosa nei suoi modi che lo rendevano elegante e dignitoso anche quando era buffo.
Quando la trota fu pronta pulì con più attenzione il pesce, spezzettò la polpa per controllare che non ci fossero altre spine e mise solo la prima metà in un piattino. «Ittadakimasu» disse appoggiando il cibo a terra. Senza troppe cerimonie il gatto ci si avventò. «L'altra metà dopo, altrimenti mi stresserai anche mente cucino la mia cena» lo ammonì, come se potesse capirlo. Gli avrebbe rotto le scatole in ogni caso.
Satoshi non era un gran cuoco, non aveva quasi mai tempo per cucinarsi niente, di conseguenza non aveva avuto l'occasione (nè particolare interesse) di imparare a destreggiarsi tra i fornelli. Se la cavava a sufficienza comunque per prepararsi una buona anguilla: se la pregustava da quando l'aveva pescata, voleva fare un primo pasto casalingo coi fiocchi. Lavò il riso e lo lasciò a cuocersi poi tolse l'anguilla dal sakè e la mise sulla griglia della cucina. Non canticchiava tra sè, faceva ogni cosa in perfetto silenzio. Gli unici rumori erano il leggero masticare del gatto e il traffico che arrivava dall'esterno o i rumori degli altri appartamenti con le finestre aperte. Il cielo si era oscurato e potevano già sentirsi le bacchette sbattere contro i piatti, le televisioni accese, i discorsi lontani delle famiglie. Satoshi invece era solo con il suo inaspettato ospite. Aveva acceso la lampadina della cucina, sopra i fornelli, e quell'alone chiaro creava una pozza di luce nel buio del resto della casa. La notte che aveva riempito il salotto era come la cornice un quadro in cui un tranquillo ragazzo e un gatto si godevano i piaceri di una serata tranquilla.
Sentendo che il gatto tornava a reclamare cibo gli riempì il piatto della seconda metà della trota poi tornò alla preparazione della salsa kabayaki*, assaggiandola intingendo la punta del mignolo nel pentolino. Quando la cuoci riso lo avvisò che era pronto lo distese su un piatto, controllò la cottura delle fette d'anguilla e intinse la prima nella salsa. La lasciò scolare un po' e poi l'adagiò sul riso. Si fermò ad osservare l'opera conclusa e in quel momento l'animale finì la sua parte di cena. Sembrava soddisfatto, infatti non chiese altro: annusò ancora un po' il piatto vuoto e gironzolò per la cucina fino a stendersi al centro del salotto, vicino agli scatoloni. Continuò a leccarsi i baffi per almeno dieci minuti mentre si dedicava alla pulizia del proprio pelo, girandosi e rigirandosi sul parquet. Satoshi si era messo su una delle sedie nuove (sufficientemente alte per far mangiare comodamente sul bancone) e, dopo aver spezzato le bacchette, si era messo a mangiare fissando alternativamente il gatto nel suo salotto e il paesaggio di luci colorate fuori dalla finestra.
L'anguilla era buona e il fatto di essersela procurata da solo la rendeva ancora più gustosa. Quando pensò questo si sentì proprio come un gatto randagio che era andato tutto il giorno a caccia ed era tornato la sera con la preda quotidiana. Prese dei chicchi di riso tra le bacchette e li osservò mentre nella sua testa cominciava a canticchiarsi "Silver Ring". Era appena a metà del piatto quando l'animale si bloccò e guardò verso la finestra. «Natsu!» si sentì dire dal balcone. Il gatto girò su se stesso e trottò via. «Natsu!» insistevano a chiamare. Satoshi lasciò la cucina, accese la luce e seguì l'ospite fuori dalla porta-finestra. Dal balcone di fianco una donna guardava in basso «Ma dov'è? Natsu!» fece ancora. Il gatto saltò sul parapetto del balcone e camminò piano, in bilico sul cornicione decorativo del palazzo. «Scusi, cerca quel gatto?» domandò il ragazzo. Quella si girò e notò l'animale venirle incontro sfoggiando tutte le sue doti d'equilibrio. «Natsu! Eccoti» sorrise riconoscendola «E' già ora di cena e ancora non tornavi, mi stavo preoccupando. Mi scusi moltissimo, non è la prima volta che gira nelle altre case del palazzo» disse poi passando dal parlare con il gatto al parlare con lui in secondo dopo l'altro. «Ma è piccolina è non riesco a tenerla sempre in casa. E' troppo vivace» continuava a spiegare
«Non importa. Non mangerei mai un anguilla e una trota la stessa sera» spiegò Satoshi muovendo la mano nell'aria davanti a sè
«Hai scroccato la cena? Piccola ruffiana!» esclamò la donna guardando il gatto che arrivava al suo balcone, le sfilava a fianco e rientrava in casa senza calcolarla «Mi dispiace moltissimo! Gli inquilini sanno che non devono darle da mangiare, così so che torna almeno la sera a cena. Lei è quello nuovo?»
«Unh» annuì semplicemente
«Mi scusi, davvero. Prometto che la ripagherò della trota sprecata» continuava a scusarsi quella. Per lui era tutto nuovo, avendo sempre vissuto nella stessa casa conosceva i suoi vicini da anni e non c'era più tutta quella formalità tra loro. Un nuovo appartamento però comportava anche nuovi vicini. L'edificio non era un condominio comune, per cercarlo lui e sua madre si erano fatti aiutare da Matsujun di modo da trovare un posto simile al suo, dove la privacy degli inquilini era rispettata da tutti perchè tutti la auspicavano. Casa di Jun era più lussuosa e i suoi vicini erano tutti attori, scrittori famosi o manager di cantanti, nel suo piccolo condominio invece sapeva che abitavano un professionista di go, qualche giornalista e un presentatore radiofonico. Insomma, il target era più modesto, ma l'idea era la stessa e anche lì la portineria era aperta e controllata ventiquattro ore su ventiquattro. «Non importa» ripetè alla donna mentre sentiva crescere lo sfrigolio della seconda metà d'anguilla «Le va dell'anguilla alla griglia?» domandò di getto. Aveva pescato anche un secondo esemplare che aveva messo in fresco nel freezer, ma anche se gli piaceva non poteva mangiare solo quello per giorni pur di finirlo! Se c'era modo di darne via un po' era bene sfruttare l'occasione, senza contare che era certo fosse meglio essere gentile con i propri vicini. Sarebbe stato poco presente e dato che era un tipo silenzioso e tranquillo presto nessuno avrebbe più fatto caso a lui nel condominio, ma gli piaceva l'idea di conoscere qualcuno (più vicino di sua madre) a cui poter chiedere in caso di bisogno. «Oh...le piace il pesce?» chiese quella
«Mi piace pescare» rispose stringendosi nelle spalle
«Posso, sul serio? Non vorrei sembrare una profittatrice degna del mio animale domestico». Satoshi annuì «Finisco di prepararle il piatto e glielo porto» disse per poi rientrare in casa
«Ma no! Si figuri, vengo a prenderlo io!» esclamò quella imbarazzata. Lui non disse altro, tornò in cucina, tolse l'anguilla dalla griglia e la pucciò nella salsa rimanente prima di adagiarla su un secondo piatto di riso. Lo coprì con della pellicola e si avviò alla porta. Il campanello suonò proprio mentre si stava mettendo le scarpe. Aprì la porta «Ecco» disse solo porgendole il piatto
«Io... grazie! Sono in debito. Le pulirò il piatto» rispose lei imbarazzata. Era una vicina giovane, l'aveva capito anche al balcone, ma se ne rendeva conto solo in quel momento alle luci del corridoio del condominio. Si stupì, si era autoconvinto che la padrona del gatto fosse una signora anziana. «Lei è Ohno san, vero?» domandò «I condomini vengono sempre avvisati quando arriva qualche nuovo inquilino»
«Sì, sono Ohno Satoshi. Molto piacere» rispose lui tranquillo
«Piacere mio, il mio nome è Nijihara Fuyuko» si presentò inchinandosi con eleganza
«Come si chiama lei?» domandò il ragazzo notando che il gatto era sgattaiolato fuori dalla porta e aveva seguito la padrona tentata dall'odorino dell'anguilla
«Ah, quest'impicciona è Natsuko. Cosa fai ancora qui? Torna di là che tra poco abbiamo ospiti» sgridò l'animale cercando di allontanarla con un piede
«Il nome è stato scelto apposta?» chiese Satoshi sorpreso**
«No, ma ho scelto apposta la gatta» spiegò quella controllando che il gatto rientrasse in casa «Quando sono andata a vedere la cucciolata e mi hanno detto i nomi ho scelto lei apposta, non ho chiesto che carattere avesse e così mi sono ritrovata una peste» concluse «Grazie ancora per l'anguilla»
«Faccia con calma. Dato che non so quando potremo incrociarci nuovamente può lasciare il piatto in portineria»la raccomandò prima di inchinarsi per salutarla
«Farò così allora. Buona serata» sorrise lei inchinandosi a sua volta prima di tornare verso la sua porta. Il ragazzo la osservò incuriosito, sembrava muoversi con la stessa eleganza della sua gatta. «Mi dispiace di non averla fatta entrare» disse prima che questa rientrasse nel suo appartamento. All'improvviso si era reso conto di essersi comportato un po' freddamente, come se avesse voluto tenerla fuori casa. Era vero che non c'era bisogno che entrasse, ma poteva averle dato un'idea strana: le offriva una cena, ma la teneva a distanza. «Si figuri, è stato gentile. Ha appena traslocato, non oso immaginare le scatole e io devo mangiare prima di dare lezione» spiegò con un sorriso tranquillo. Dovevano essere le otto di sera circa: chi era la sua vicina? «Vengono spesso persone a casa sua?» osò chiedere
«Non si preoccupi, non facciamo rumore. Sono solo alcuni insei che vengono da me una volta al mese per studiare insieme alcune partite di go***» rispose quella tranquillizzandolo «Siamo gente seria che sta tutta la sera seduta intorno ad una tavola da gioco»
«Oh, ora ho capito» annuì. Quindi la sua vicina era la professionista di go «Buon lavoro allora»
«Buona serata, grazie ancora» concluse e chiuse la porta.
La zona era buona, l'appartamento era tutto suo, la vicina era la professionista di un tranquillo gioco da tavolo e il massimo del disturbo che poteva avere era dato da una gattina dal nome curioso, appassionata di pesce quanto lui. E a proposito di pesce, c'era ancora la sua porzione di anguilla che lo aspettava in cucina.

*Satoshi sta preparando la tipica ricetta dell'anguilla alla griglia che solitamente si prepara d'estate che comporta semplicemente la preparazione del riso al vapore, la cottura dell'anguilla e la preparazione della salsa (ma vi giuro che è un orgasmo culinario: ammazzerei per mangiarla ancora). Vi lascio una foto per aver un'idea del piatto QUI
**Il nome della vicina è Fuyu (inverno) Ko (bambina/figlia), mentre quello della gatta è Natsu (estate) Ko (bambina/figlia)
***Il gioco del go (igo) è un antichissimo gioco da tavolo cinese (esteticamente simile all'Othello, ma più difficile degli scacchi) giocato ancora oggi in tutto il mondo. In asia, dove è chiaramente più diffuso, esistono svariati tornei e in Giappone essere giocatori professionisti di go equivale ad avere un lavoro. Gli insei sono ragazzi fino ai vent'anni, giocatori di go non professionisti che studiano per diventarlo.


Felinamente, dall'autrice
(chi legge le mie ff sa che amo commentare quel che faccio)
Messaggio per chi legge l'altra long fic che sto scrivendo: non uccidetemi per aver scritto questo invece di aver scritto Akai. (sì, lo so, c'è anche la oneshot per il compleanno di Jun... arriverà in straritardo... paf!) Per Akai ho bisogno di concentrazione maggiore, non ci riesco con un esame che mi fiata sul collo e poi, chi la legge lo sa, è un momento un po' teso in quella fic per alcuni personaggi e non ero in vena di scrivere una cosa simile.
Oggi sono più rilassata e così ho fatto il primo capitolo di questa.

Non è pensata per essere lunga, non ho ben pensato a tutto (come invece è mio solito), ma potrebbero essere 3 capitoli. Al massimo 5 e nessuno, credo, particolarmente lungo. E' una fluff, stesso genere di Ame, quindi se vi è piaciuta quella dovrebbe piacervi anche questa. Solo che invece di esserci Aiba c'è il Riida... è la prima volta che scrivo una fic con lui come protagonista e non ne ho letta nessuna a parte una, quindi per la "resa" di Satoshi non mi ispiro a nessuno. Mi appoggio alle mie sensazioni di lui, a ciò che ho già abbozzato nelle alte fic di carattere più generale dove parlavo di tutto il gruppo (5x100, Being... Arashi e gli ultimi due capitoli di Zakuro). Spero con tutto il cuore di non scrivere una boiata ._.
Passiamo al capitolo.... ahahah!!! Era dai tempi di Ame che non mettevo foto i cibi!! Che malinconia!! *-*
Dunque... a differenza del solito, ho cominciato a scrivere che avevo solo pensato fino alla scena del sacchetto (ieri notte prima di dormire). Il resto non lo sapevo (nomi, scene, dialoghi). Per chi segue quello che scrivo sembrerà strano così come lo sembra a me XD La vostra hika scrive alla cieca!
Ma io vedo bene anche al buio come Natsuko (per gli amici, Natsu. O NatsuNyan come ho preso a chiamarla io da 15 minuti XD) quindi spero di aver fatto qualcosa di decente. Altrimenti significa che sono andata a sbattere contro qualche mobile *dolor*
Continuavo a cambiare idea sulla professione della vicina. Alla fine poi, sapete che amo ficcare roba tipicamente giapponese nelle mie ff, quindi ho scelto di farla una professionista di go. Un po' sarà perchè ultimamente sto rileggendo (per la ventesima volta) il manga di Hikaru no Go, un po' perchè questa primavera mi sono esaltata giocando nuovamente una partita dopo cinque anni di inattività e l'ho vinta (ok, avevo un vantaggio di 3 pietre, lo ammetto!). Io difficilmente parlo di cose di cui non ho avuto esperienza diretta (o devo averne perlomeno una buona conoscenza), quindi ecco qui com'è nata l'idea della professione di Nijihara Fuyuko.
Ok la smetto.
Alla prossima!

Nyan!

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Capitolo 2
*** I gatti odiano la pioggia! ***


«Quale hai detto che è?» domandò Jun che guidava chinato sul volante per osservare i condominii dal parabrezza
«Ma non hai detto che ti ha aiutato a cercarla?» chiese Sho dal sedile posteriore
«Sì, ma ho solo letto notizie sulla zona e sul palazzo, non ci sono mai stato e l'ho visto solo in foto» rispose il guidatore al posto di Ohno
«A sinistra» fece il più grande allungando una mano ad indicare un parcheggio vicino ad un muro «Lì»
«Ripeto, per me Aiba se la prende» sospirò Sho incrociando le braccia
«Vedrai che se lo scopre non farà storie. Farà il suo solito sorriso smagliante e dirà "ah si?"» fece spallucce il guidatore spegnendo il motore e schiacciando il bottone per aprire il porta bagagli
«Lo sai anche tu che quel "ah si?" significa "vi siete divertiti e sono felice per voi, ma non mi avete detto niente e sono tristissimo"»
«Che lungo!» scoppiò a ridere Ohno aprendo la portiera e scendendo in strada. Il ragazzo divise le tele dei suoi dipinti tra le mani dei due amici, mentre prese per sè le borse con le sculture che erano più fragili e il dipinto a cui stava lavorando ultimamente, ancora incompleto. All'ingresso la portineria chiesero dei documenti d'identità ai suoi amici e quando tutte le pratiche furono sbrigate finalmente poterono prendere l'ascensore. «Fa paura, sembra di dover entrare nella cassaforte di un casinò» sospirò Sho mentre attendevano l'aprirsi delle porte
«Caveau» specificò Jun ed entrarono cercando di non far sbattere le tele contro le pareti dell'ascensore. Alla fine il più piccolo chiese scusa e sollevò le sue sopra la testa tenendole con entrambe le mani. Sho rise divertito e al contempo lo ammonì di fare attenzione, mentre Ohno sorrideva placido: non aveva dubbi che Jun avrebbe sarebbe stato cauto, semplicemente rifletteva su come fosse bello sentire di star portando un po' di schiamazzi in casa sua, che continuava ad essere silenziosa e tranquilla. «Oh. C'è gente sul pianerottolo» osservò sentendo le voci quando ancora l'ascensore era al piano appena sotto
«Cos... cazzo!» esclamò Sho girandosi con la faccia contro la parete
«Ahahah! Ma cos'è?» scoppiò Jun «Cos'è? Ohi, Sho kun, cosa fai?» cominciò a stuzzicarlo colpendolo dietro il ginocchio
«Smettilaa... non voglio che mi riconoscano» si lagnò, ridendo a sua volta
«Sei spettinato, non ti riconosceranno» lo convinse Ohno mentre arrivavano finalmente al suo piano
«Cosa vuoi dire con questo Riida? Sono "Sho" solo da pettinato?»
«Cosa ne sanno che è spettinato? Porta un cappello» fece notare Jun
«Allora, "porti il cappello, non ti riconosceranno"» ripetè il più grande correggendosi
«Non sei convincente per niente!» continuarono a ridere quegli altri. Le porte si aprirono e davanti ad Ohno si presentò un gruppetto misto di ragazzi e ragazze più o meno della loro stessa età «Buona sera. Scusate» pronunciò facendosi strada tra di loro per riuscire e raggiungere la sua porta con i due amici al seguito. Il terzetto si zittì e avanzò a testa bassa fino all'ingresso poi Satoshi si mise a cercare le chiavi. «Penso avresti potuto vincere se non ti fossi fatta prendere la mano» diceva una del gruppo alle loro spalle
«Lo so, ma il nono dan Onishi mi mette sempre ansia»
«E non so come abbia potuto perdere una partita tanto importante» discuteva un altro terzetto
«Io ho sempre saputo che il mestro Fukagawa non si sarebbe lasciato strappare così il titolo»
«Anche se è già deciso anche l'ultima partita è importante, vedremo come si difende il sesto dan Bando»
«Nijihara san!» sentì che richiamavano la sua vicina. «Riida hai qualche problema?» domandò Jun in quel momento sporgendosi da sopra la sua spalla per capire cosa stesse combinando
«Non trovo le chiavi» farfugliò cominciando a tastarsi le tasche
«Non è ancora arrivato l'ascensore?» chiese la vicina uscendo in quel momento dal suo appartamento, la porta a fianco «Oh, Ohno san. Buon giorno» si inchinò con un sorriso
«Buona sera» rispose mentre rimetteva la mano in borsa e ritrovava finalmente le chiavi. Aprì la porta e la tenne aperta ai ragazzi. «Ah, Nijihara san hai un vicino finalmente? Era un po' che l'appartamento era sfitto» osservò qualcuno del gruppo sul pianerottolo
«Ohno san è un pittore» specificò la ragazza e in quel momento un uomo anziano particolarmente corpulento usciì dalla casa, comparendo alle sue spalle. Satoshi stava per congedarsi ma rimase sbalordito a fissare quella montagna d'uomo. «Pittore? Bene, ti farà bene avere vicino una persona dallo spirito sensibile. Mica come tutti gli altri qui, cosa sono...? Gente dello spettacolo. Bah!» fece questi con il suo vocione, senza che nessuno potesse fermare il suo fiume di parole «E lasciatelo entrare in casa ora, sembrate un branco di fessi tutti qui fermi» rise sommessamente vedendo tutti fermi. Nemmeno Ohno si era mosso e non c'era nulla che lo trattenesse dal farlo, semplicemente era rimasto incantato a guardare l'uomo appena comparso: aveva un'aria all'apparenza bonaria e tranquilla e un sorriso morbido accentuato dalle rughe morbide che gli segnavano il viso, eppure allo stesso tempo c'era qualcosa nella sua presenza che faceva presagire un animo per nulla tranquillo. Proprio come quando un gatto ti guarda, tranquillo, ma lo vedi nei suoi occhi che potrebbe saltarti addosso il secondo successivo e tu te ne accorgeresti solo troppo tardi. Era così, il suo sguardo sembrava incutere timore. Venne richiamato alla realtà dall'esclamazione delle persone sul pianerottolo «Maestro aspettavamo lei!» fecero cominciando a sciamare nell'ascensore
«Nijihara, ci vediamo tra una settimana» salutò il grosso omone con voce ferma, quasi solenne «Grazie per l'ospitalità di oggi»
«Grazie a lei per l'interessante lezione» rispose la ragazza con un profondo inchino
«Riida! Sho non vuole entrare in salotto!» urlò Jun dall'interno dell'appartamento
«Scusatemi» disse Satoshi con un filo di voce, chinò il capo e rientrò in casa propria un po' frastornato. Sho stava impalato all'inizio del corridoio, senza decidersi ad avanzare. «Devi guidarmi! Non voglio guardare la casa» rispose e Ohno, nel passargli a fianco, si accorse che aveva chiuso gli occhi. Diede indicazioni a Jun per lasciare le tele contro la parete di sinistra del salotto quindi lo lasciò andare ad aiutare l'altro, ancora vicino all'entrata. Con molta cura aprì le buste di plastica in cui aveva chiuso i quadri in gruppi di quattro a seconda della loro dimensione, poi sciolse i nodi delle corde che li tenevano uniti tra loro e si mise ad osservarli per sistemarli a terra, in piedi contro la parete. «Tutto questo è superfluo vero?» rideva Jun rientrando in salotto spingendo Sho con gli occhi chiusi «Aiba non se la prenderà meno se fai così»
«Ma riderà sicuramente» protestò l'altro «E si sentirà meno afflitto»
«Allunga le mani che il Riida prende le tele»
«Siii» sospirò quello e porse in avanti i dipinti che aveva con sè. Satoshi li prese e li trattò con la stessa cura del primo gruppo, mentre Jun portava Sho a sedersi su una delle sedie del bancone della cucina e lo prendeva in giro per quel comportamento. In tutta tranquillità si accovacciò a terra per sistemare vicini i quadretti più piccoli e fece scorrere le dita sul colore del suo preferito tra i quattro. Gli piaceva quando il colore si ammassava in un punto e la pennellata non era completamente ben stesa: dava più l'idea da "quadro" e meno da "fetta di pane". «C'è altro che possiamo fare per te?» domandò il più giovane comparendo improvvisamente al suo fianco. Scosse il capo in risposta, continuando a fissare i sottili grumi di colore e passandoci sopra le dita, per sentirli in rilievo. L'altro si alzò «Andiamo Sho kun?» domandò al ragazzo che stava ancora seduto con gli occhi chiusi, ma fingeva di guardarsi intorno
«Eh? Di già? Non ci ha ancora mostrato la sua casa. Non ci fai gli onori?» domandò cercando di rimanere serio
«Se non guardi non ha senso» gli rispose Ohno alzandosi da terra
«E' vero. Portiamo Aiba chan la prossima volta così non si pone il problema»
«Faremo venire anche Nino»
«Nino sporca» fu la risposta di Ohno, risentito. I due ci scherzarono su poi Jun spinse Sho fuori dall'appartamento invitandolo a mangiare insieme per pranzo mentre aspettavano di andare ognuno al proprio lavoro nel pomeriggio. Li guidò fino all'ascensore e rimase con loro finchè non si richiusero le porte, poi tornò in casa.
Una volta che ebbe chiuso la porta ci si appoggiò contro, rimanendo fermo a capo chino per poter osservare la punta delle proprie pantofole.
Non sentiva più nessun rumore.
Non c'era niente e nessuno che si muovesse.
Era nuovamente solo.
Il silenzio lo avvolse come una coperta morbida. In confronto al trambusto che c'era sulle scale poco prima o alle risate che riempivano la casa quando c'erano i suoi amici, quel momento era tranquillo e quieto come se fosse appena passato un temporale, quando non ci si aspetta la fine della pioggia e per i primi attimi ogni cosa al mondo rimane immobile a chiedersi se sia davvero finita. Anche Satoshi rimase nell'atrio a chiedersi se gli altri non sarebbero dovuti tornare indietro perchè avevano dimenticato qualcosa o per qualche pennello rimasto nel bagagliaio. Invece non tornò nessuno. Attraversò il corridoio e tornò in sala a dedicarsi con tranquillità a sistemare le sue cose.
Senza accorgersene era già passato un mese da quando si era trasferito, ma, come previsto, era stato ben poco a casa, quindi continuava a sentirla come qualcosa di nuovo. Difficile pensarla diversamente quando gli scatoloni erano ancora tutti nel salotto, quasi intonsi. Una parte di sè si era però imposta di non cominciare a fare nulla di importante per l'appartamento: voleva evitare di dover abbandonare a metà qualcosa e riprenderlo più avanti, magari dopo due giorni, per dedicarci ancora una volta solo una manciata di minuti: non era così che voleva curarsi del proprio mondo. Aveva cominciato a pensare a casa sua esattamente come ad uno dei suoi quadri, il fatto di aver lasciato tutte le pareti bianche aiutava a rendere quasi veritiera quell'immagine nella sua mente. Non avrebbe mai dato due pennellate per poi abbandonare l'opera e tornare a stendere qualche tratto di un altro colore tre giorni dopo: quello non era il modo corretto di concepire un'opera per lui. Lui si metteva su una sedia, posta davanti al cavalletto, e tracciava qualche segno a matita sulla tela, principalmente sagome grandi, per dare una prima impostazione alle dimensioni, poi cominciava a dare una forma a quelle sagome e solo in terza battuta cominciava ad aggiungere i particolari secondari. Il tutto era tracciato in maniera molto leggera ed era in realtà un'idea sommaria di quel che aveva nella sua mente, perchè lui pensava "a colori" e molte delle sue idee non potevano certo venir fuori da dei tratti di matita. Quindi in una prima seduta poteva fare la parte a matita e solo una volta finito poteva alzarsi e dedicarsi ad altro per qualche giorno. Per fare questo gli ci voleva anche mezza giornata, quando voleva impegnarsi in qualcosa di grosso e importante, e casa sua era quanto di più grosso e importante ci fosse.
Con questa concezione della dedizione dovuta al suo appartamento, ebbe finalmente tempo di dedicarvisi solo dopo un mese, appunto, e quel giorno sia Jun che Sho avevano un po' di tempo così aveva chiesto a loro di dargli una mano. Tutte le tele, i cavalletti e gli strumenti per dipingere erano rimasti ai casa dei suoi genitori e aveva voluto occuparsi del loro trasporto di persona quindi non li aveva affidati alla ditta di traslochi. Aveva chiesto al primo di poter usare la sua macchina e al secondo di dar loro una mano: i dipinti e altre piccole opere erano tanti e a portarli tutti insieme solo in due rischiavano di rovinarsi, divisi tra più mani invece potevano essere trasportati con il minimo rischio di danneggiamento. Inoltre erano stati proprio loro due ad insistere tanto per vedere la casa, mentre a Nino non si era interessato molto -quando si vedevano loro due era quasi sempre a casa sua, mai da Ohno- mentre Aiba... Aiba ne pensava sempre troppe perchè Satoshi potesse ricordarsi quali, tra le tante proposte fatte, riguardassero casa sua. E poi quel giorno lavorava.
Ora, finalmente immerso nella tranquillità, sentiva di poter dare i primi tratti di matita sulla tela bianca del suo nuovo mondo. Si mise nelle orecchie le cuffie del cellulare e avviò la riproduzione casuale dei brani che aveva in memoria. La calma era tanta che il volume non doveva essere eccessivamente alto. Così cominciò la sua opera.
Aveva deciso che la parte di sinistra del salotto sarebbe stata il suo angolo di lavoro, anche se si chiedeva per quanto sarebbe rimasto solo un "angolo" e non avrebbe invaso invece tutta la stanza. Già le tele erano un po' ammassate e avevano comunque invaso tutto lo spazio possibile che avrebbe dovuto diminuire perchè si sarebbe certamente preso un banco da lavoro e poi gli ci volevano cassetti, barattoli e scatole per i colori e gli strumenti. Guardò il salotto decidendo che avrebbe preso una televisione piccolina e l'avrebbe messa nell'angolo del ripiano della cucina, con una prolunga tale da poterla spostare sull'estremità del bancone se voleva guardarla mentre mangiava. Questo non risolveva il fatto che doveva pensare perlomeno ad un divano per sonnecchiare la domenica pomeriggio. E poi sarebbe servito anche ad eventuali ospiti: non potevano sedersi sempre sulle seggiole alte del tavolo di cucina. Decise anche che avrebbe preso delle mensole, magari dello stesso colore della cucina, così non avrebbero spiccato troppo e ci avrebbe disposto tutte le sculture, quindi ne servivano un po'.
In tutta tranquillità si sedette a terra e cominciò ad aprire il primo degli scatoloni ancora chiusi. Sorrideva leggermente, per nulla affamato nonostante fosse ormai ora di pranzo, e del tutto rilassato all'idea di dover faticare per sistemare ogni cosa al suo posto. Cominciò a fare la spola dagli scatoloni a camera sua, dagli scatoloni al bagno, dagli scatoloni all'ingresso, godendo di avere finalmente del tempo per poter stare nel suo appartamento, potersi muovere dentro di esso proprio come chiunque altro. Avrebbe cominciato a sentirla più sua vedendo le proprie cose in giro e dopo aver gironzolato tante volte nelle stanze, ne era certo. Poi, se c'era una cosa che gli faceva sentire un po' più "sua" quella casa era la quiete immobilità che avvolgeva tutto. Alcune persone accendono la radio o la tv, prendono animali domestici, hanno un computer connesso col mondo. Lui no, lui era isolato in un mondo a sè. Certe mattine quell'autunno si era svegliato e passato dalla penombra della sua stanza all'accecante luminosità del sole che passava per le grandi finestre del salone: in quei momenti ogni cosa assumeva dei contorni indefiniti, come se stesse guardando il mondo attraverso delle lenti sfocate. Le foglie degli alberi sembravano fondersi tra loro in un misto di giallo e carminio, il tavolo di cucina scintillava tanto da sembrare formato direttamente dei raggi del sole che prendevano forma. Per i primi attimi quella casa sembrava una parentesi isolata dalla realtà e quelle erano cose in quel posto che sentiva "sue": il silenzio, i colori, l'incertezza dei contorni, la luce.
Ad un certo punto, verso le quattro meno venti del pomeriggio, sentì suonare il campanello. Sorpreso, si tolse gli auricolari e trottò dalla camera alla porta d'ingresso. Quando la aprì trovò la sua vicina «Buonasera Ohno san, mi spiace disturbarla»
«No, si figuri» scosse il capo lui non sapendo cosa dire a quell'improvvisa visita
«E' occupato vero? Perchè temo che Natsuko le stia dando fastidio» spiegò quella
«No, veramente non...» fece per rispondere quando dal salotto provennero dei miagolii insistenti e il rumore delle sue unghie contro qualcosa «Non sapevo fosse qui» ammise guardando dietro di sè
«E' sul balcone, sono venti minuti che miagola per entrare. Ho tentato di richiamarla, ma insiste nel voler entrare» scosse il capo, imbarazzata
«Vuole prenderla?» domandò aprendo maggiormente la porta e facendo spazio per farla passare
«Grazie... non so cosa dire, sembra che ultimamente la stia infastidendo parecchio» si scusò preoccupata prima di lasciare le calzature nell'ingresso e salire sul gradino di casa. Aveva ragione, Natsuko doveva avere il pallino per lui e la sua casa perchè ogni volta che lui era nell'appartamento la gatta arrivava e rimaneva lì per qualche ora. Sapendo di non doverle dare da mangiare, le prime volte si era trattenuto, poi però c'erano giorni in cui non riusciva a resistere agli strazianti miagolii del piccolo animale che riusciva così a conquistare la sua pietà e riempirsi la pancia con qualcosa di buono. Altre volte invece si presentava fuori dall'orario dei "pasti umani": il più delle volte sonnecchiava con lui sul letto occupandogli metà del cuscino o piazzandosi direttamente sul suo stomaco, oppure si acciambellava tra le sue gambe mentre lui si studiava un copione. Rimaneva un paio d'ore poi insisteva per uscire, dalla porta o dalla finestra, sceglieva lei. Anche se dispotica e a tratti invadente, a Satoshi piaceva la presenza di quella gatta. Gli faceva compagnia, riempiva la casa qualche ora con la sua presenza senza alternarne la tranquillità, e se ne andava per lo stesso motivo per il quale era venuta. Quale fosse, però, lui non sapeva immaginarlo.
La vicina aprì la finestra e la gatta si infilò nel salotto alla svelta, fuori aveva cominciato a piovere. «Dove vai? Ferma lì che sporchi ovunque!» intimò la ragazza. Satoshi rimase sull'ingresso del salotto a fissarle. Tutti i contatti che aveva avuto con Nijihara san erano dovuti esclusivamente a Natsuko, per il resto si salutavano quando si incrociavano. Basta. Per questo non avevano mai parlato e quindi, nonostante si vedessero come minimo tre volte a settimana, non sapeva nulla di lei. Aveva solo notato che non sentiva rumori particolari provenire dal suo appartamento anche se c'era un viavai di gente di tutte le età quasi tutti i giorni. La ragazza, tutte le volte che l'aveva vista lui (eccetto una notte in cui la gatta era rimasta bloccata sul pianerotto fuori casa e aveva pianto disperatamente per ore prima che sia lui che lei sentissero e andassero ad aprire) indossava un kimono. Non l'aveva vista uscire mai (ma era anche vero che Satoshi non era granchè presente durante l'arco della giornata, quindi probabilmente usciva e semplicemente lui non l'aveva vista) e cominciava a chiedersi se avesse dei vestiti normali oltre a kimono e pigiama per dormire. Eppure le donava. Dato che stava in casa indossava il komon*, il più delle volte con colori freddi e la cosa gli aveva sempre dato un'intima soddisfazione: dato che il suo nome aveva a che vedere con l'inverno i colori freddi le si addicevano; ma si rendeva conto che era solo una fissa sua. Teneva sempre i capelli raccolti, quindi non aveva idea di quanto fossero lunghi, e parlava con un tono di voce pacato, tranne quando si rivolgeva a Natsuko. A lui non poteva che far piacere una vicina tanto posata e tranquilla.
La ragazza stava per prendere in braccio il gatto e portarsela a casa, ma Ohno allungò una mano per fermarla. «La tenga ferma» disse andando in camera e aprendo l'armadio per prendere un asciugamano
«Vuole che ci asciughi il gatto?» domandò quella vedendoselo porgere «L'asciugamano è suo...»
«Non importa, si può lavare facilmente. Il kimono invece no» spiegò chinandosi davanti a lei per coprire da sè il piccolo animale. Tenuta ferma da quattro mani Natsuko si tranquillizzò e si fece asciugare emettendo solo un paio di miagolii: sembrava soddisfatta da tutto quel calore e quelle attenzioni. Mentre tentava di asciugarle il musetto, Satoshi alzò lo sguardo sulla vicina che, stranamente, era rimasta zitta tutto il tempo. Solitamente era lui a stare zitto, mentre la gente normale parlava. Aveva portato l'attenzione sui quadri appoggiati alla parete: teneva la gatta, ma non ci prestava attenzione. «L'ha detto anche lei che sono un pittore» mormorò Satoshi
«Oh sì, sì scusi» fece lei come riprendendosi da una profonda meditazione. Tornò a guardare la gatta «Ho pensato fosse meglio dare una spiegazione prima che le persone facessero troppe domande. C'erano anche i suoi amici, non volevo si creasse una situazione imbarazzante»
«Ah, non importa... non mi riconoscono in tanti. Anzi, quando vedono un altro del mio gruppo lo scambiano per me» spiegò con un mezzo sorriso, sollevando l'asciugamano. La gatta, invece di scalciare per farsi liberare si buttò a terra, bloccando il tessuto con il suo corpo, e quando la padrona la lasciò libera si mise pancia all'aria rotolandosi avanti e indietro. Satoshi represse una risatina incredula a quel buffo comportamento e cominciò ad accarezzarla, mentre la ragazza si rimise in piedi e si allontanò. «Sono suoi per davvero?» domandò. Ohno si era perso a fare i dispetti a Natsuko, pizzicandola su un fianco per farla girare da una parte e poi sull'altro perchè rotolasse ancora, quindi non aveva fatto caso ai momenti di silenzio che erano seguiti. «Ah, si» rispose solamente, alzando lo sguardo e cercando la vicina che, di spalle, osservava il quadro incompleto sul cavalletto. «Le... piace l'arte?» si sforzò di domandare per fare un po' di conversazione, ora che ne avevano l'opportunità
«Non me lo sono mai chiesta» rispose con sincerità, stringendosi nelle spalle. E la discussione si bloccò. Satoshi osservò il collo della ragazza, scoperto dalla pettinatura alta sulla nuca, e cominciò a rimuginare su cosa dire. Solitamente non aveva problemi ad intavolare discussioni decenti con persone che non lo conoscevano e che quindi non sapevano che lui era uno di poche parole, quel giorno invece sembrava un'impresa! Natsuko approfittò di quel suo momento di distrazione per artigliargli la mano e mordergli l'indice. «Questo mi piace però» disse la donna
«Eh?» domandò Satoshi che si era girato di scatto a guardare la gatta e tentava di liberarsi della sua presa
«Questo quadro» spiegò girandosi ad indicarglielo «Mi piace» ripetè
«Non è finito» fece notare
«Quando lo sarà quindi mi piacerà di più?»
«Forse» rispose perplesso. Che razza di conversazione stavano avendo? «O forse no. Chi era l'uomo che ho incontrato sul pianerottolo?» domandò di getto non appena gli tornò in mente l'individuo di qualche ora prima
«Il nono dan Onishi, è il mio maestro. L'ha colpito immagino» sorrise divertita tornando verso di lui e piegandosi sulla gatta: con la destra gli prese la mano artigliata e con la sinistra cominciò a prendere le zampe della gatta, una ad una, sollevandole con attenzione di modo da allontanarle dalla sua pelle senza graffiarlo. Osservando i suoi movimenti continuò a parlarle «Si fa notare. Sembra... minaccioso» spiegò
«Lo è» annuì lei «Ride molto e chiacchiera sempre con tutti, ma quando comincia una partita diventa un combattente feroce. Gli allievi hanno paura, ma anche altri grandi giocatori. Devo confrontarmi con lui la prossima settimana»
«Non ho mai visto una partita di Go» ammise Satoshi mentre la vicina gli liberava anche l'indice dai denti di Natsuko: l'animale non si era opposto a quella liberazione, ma nemmeno aveva aiutato la sua padrona in quella operazione, un po' come era successo quando lui aveva dovuto staccarla dal sacchetto dei pesci tempo prima. «Dev'essere interessante se ci sono persone come quella. Ne parla come una battaglia»
«Lo è» rispose lei lasciandogli andare la mano e prendendo tra le braccia la gatta «E' come uno scontro tra samurai di un tempo, con le regole dell'onore e il rispetto dell'avversario. E' un mondo strano quello del Go» rise alzandosi in piedi. Lui la imitò. «Posso lavarle l'asciugamano? E' il minimo con tutte le volte che quella peste viene a darle fastidio»
«Non mi dà fastidio» replicò Ohno stringendosi nelle spalle. Non aggiunse altro, come suo solito. Ripiegò l'asciugamano e lo portò in bagno. Quando uscì la ragazza era già all'ingresso che si rimetteva le scarpe per tornare a casa. «Lei che dan è?» domandò andando verso di lei per aprirle la porta
«Solo quinto»
«E può vincere contro un nono?»
«Posso. Il Go non è questione di forza fisica e allenamento muscolare, sta tutto nella mente. Se il maestro sbaglia a leggere la partita, se faccio mosse che lui non riesce ad interpretare, se riesco a farlo cadere in alcune trappole, allora posso farcela» ragionò seriamente, sembrava preoccupata
«Sembra interessante» farfugliò, incuriosito da tutti quei discorsi. Il Go gli era sempre sembrato un gioco da tavolo, certo sapeva che era complicato dato che gli avevano detto che era più difficile degli scacchi, ma raccontato da qualcuno che ci giocava da professionista sembrava molto più che posare pedine su una tavola e sconfiggere un avversario. Conosceva qualche regola vaga e forse una volta aveva visto suo padre giocarci, quindi gli pareva incredibile che dietro l'immobilità delle pietre sul goban e la profonda riflessione dei giocatori, anche per svariati minuti, potesse nascondersi una battaglia tanto movimentata e coinvolgente. Una cosa simile aveva forgiato lo spirito combattivo di un uomo fino al punto che dietro un sorriso continuava a celarsi una forza misteriosa. Ma soprattutto... una persona mingherlina e pacata quanto la sua vicina era veramente in grado di trovare la forza di battersi con un uomo tanto temibile? «Può venire a vedere una partita qualche volta» propose Fuyuko
«Mh? Posso?» chiese stupito
«Non so quando il maestro passerà di nuovo a casa mia, nè se lo farà in un momento in cui lei è in casa, ma si può fare»
«Non giocate la prossima settimana?»
«Beh sì... ma non in casa mia» ammise leggermente imbarazzata «Non credo che nell'ambito del Go ci siano molte ragazze che possano riconoscerla, ma non osavo chiederglielo sapendo che è impegnato: non la vedo mai durante il giorno»
«Io invece la vedo sempre» ridacchiò «Se mi fa sapere il giorno e l'orario vedo se sono libero. Se non le dà fastidio» aggiunse subito dopo
«No, no, anzi! Mi fa piacere. Non ho mai osato chiedere perchè immagino che con la vita che fa almeno in casa voglia starsene tranquillo e non volevo infastidirla» ammise guardandolo in viso. Quello spiegava perchè, tutte le volte che si erano incontrati, era sempre stata riservata e di poche parole. «Non mi dà fastidio» rispose e l'attimo dopo si rese conto di aver detto la stessa cosa, poco prima, parlando del gatto. Le considerava alla stessa maniera?
Si salutarono e Ohno tornò a sistemare casa sua. Quel giorno, invece di aver a che fare con Natsuko aveva avuto a che fare con la sua padrona la quale, anche se parlava (al contrario del gatto), perlomeno non gli invadeva il cuscino nè gli si addormentava sullo stomaco.

*Il komon è un kimono abbastanza informale che può essere indossato a casa o per strada, sia da donne sposate che da donne nubili.


E' una fic su Satoshi, quindi va presa con calma.
Ho deciso che non sarà più una fic di 3 capitoli, sono troppo pochi per riuscire a metterci per bene quel che voglio scrivere. non so quanti saranno ancora, ma sicuramente rientreremo nella mia media di 11. Questo mi ha permesso di prendermela comoda.
Dato che non c'è fretta posso sviluppare la cosa esattamente come volevo.

Non tutte le persone sono straordinarie, strane, divertenti, imbronciate o pasticcione. A volte la gente è solo normale. A volte ci si conosce in maniera normale. E "normale" è, per certi versi, ciò che esprime Satoshi, perchè è per eccellenza la persona normale che si è ritrovata, per via degli eventi, in un mondo che normale non è.
"normale" è ciò che voglio esprimere con il personaggio originale, perchè per me Ohno è il più portato ad innamorarsi della "persona qualsiasi" tra tutti gli Arashi. Quindi questa ff torna sempre più a ricalcare "Ame": tranquilla, pacata; non aspettatevi colpi di scena, grandi drammi, rivali in amore... è una fluff ed è su Satoshi.
... il che non significa che debba essere noiosa però XD se lo diventa ditemelo O_O
Nyan!

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