Per una scommessa

di usagi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** 2. Un villaggio pericoloso: Il primo pirata per Ace ***
Capitolo 3: *** 3. Dentro la tana del nemico; il fuoco che brucia tutto viene rivelato ***
Capitolo 4: *** 4. L'isola della sventura; L'uomo Puzza ed il Principe Azzurro ***
Capitolo 5: *** 5. Nella villa in rosa; Il matrimonio di Isabel e l'Uomo Fungo ***
Capitolo 6: *** 6. Sorprese e problemi; fuggire dall'isola sfortunata ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo ***


Mi vergogno tanto a pubblicarla.. E' la prima storia che scrivo, e che faccio leggere a qualcuno, non vogliatemi troppo male, è già tanto se ho trovato la forza di pubblicarla! però, saranno ben accette le critiche costruttive, anche se non spero di far un grande successo! :P grazie a chi la leggerà, mi basterà solo questo ^^


___

Quella notte la spiaggia era più che mai colorata dal chiarore della luna, rendendo irrealmente la spiaggia di un colorito quasi argentato.
Era la prima notte solitaria per Ace, che era partito di casa poche ore prima, lasciando dietro di lui tanti ricordi positivi e non.
Rufy, fu il primo pensiero che gli invase il cervello. Nonostante lui si fidasse del suo fratellino e della sua forza, era certo che da oggi fino al giorno in cui si sarebbero rivisti, ne avrebbe combinate di tutti i colori. Nonostante non fossero fratelli di sangue, si assomigliavano davvero tanto, e forse anche troppo, se non fosse per l’impulsività del fratello minore.
Entrambi, nonostante le parole del nonno, erano intenzionati a diventare pirati, e benché volessero bene al vecchio, non avrebbero mai abbandonato la loro ambizione.
La loro fame era la stessa, e non si poteva ricordare il giorno in cui non abbiano tentato a vicenda, di rubarsi il cibo al piatto.
Nel mezzo di questi pensieri, tra un miscuglio di momenti buoni e non, di avventure pericolose e pugni amorevoli, un attacco di sonno lo prese alla sprovvista, facendolo addormentare sulla sua piccola imbarcazione, che se non fosse stato per il mare tranquillo, l’avrebbe di certo portato all’altro mondo.

Dopo un tempo che per lui era indefinito, trovo la sua piccola barca ferma tra la sabbia ed il mare, ma comunque tra la terra ferma.
La piccola prua era quasi affondata sulla sabbia, il che non lasciava di certo in equilibrio l’imbarcazione, che per via di un brusco movimento di Ace intento a controllare cosa rendesse la barca quasi verticale, si capovolse con essa finendoci dentro, come se avesse un tetto sopra di lui, o peggio ancora una bara.
Urlò di dolore, tanto da invadere quella che poco prima era una spiaggia tranquilla, mentre una ragazza seduta tra la sabbia, si prese un grande spavento.
Si alzò di scatto, e iniziò a correre verso la riva, portando con se una piccola candela per farle luce.
Non era la tipa che si avvicinava facilmente agli altri, un po’ perché non poteva definirsi molto amichevole, e un po’ perché non si fidava neanche del suo pesce rosso, ma vedendo che un ragazzo aveva avuto un incidente proprio davanti a lei, non poteva far altri che soccorrerlo.
“mi senti? Ti sei fatto male?” domando la ragazza inchinandosi verso l’imbarcazione capottata, volgendogli uno sguardo piuttosto spaventato.
Non ricevette alcuna risposta, né un minimo movimento delle gambe del ragazzo che spuntavano a stento fuori dalla barca, così decise di sollevare l’imbarcazione con le sue forze.
Nonostante la sua corporatura non pareva per nulla quella di una ragazza forte e capace di sollevare qualcosa, afferrò con forza la barca dalle estremità, stringendola forte con le sue mani esili e candide, facendo pressione tanto da sentirle infuocate.
Con tutta la forza di cui disponeva, alzò la barca facendola poggiare sulla poppa e poi la girò per farla di nuovo galleggiare nel mare, per fortuna calmo.
Fece un respiro di sollievo, portandosi dietro alle orecchie i capelli castani che le stavano coprendo la visuale.
Rivolse nuovamente il suo sguardo verso quel ragazzo che, ancora non dava segni di vita.
Poteva sentire che respirava in maniera persino eccessiva, tanto da fare dei rumori poco umani ed accompagnare il tutto con una enorme bolla che sbucava dal naso, e cresceva ogni volta che espirava.
Probabilmente svenuto, la ragazza decise di portare tutto quello che aveva in fondo alla spiaggia vicino a lui, in modo di potergli far mangiare qualcosa al suo risveglio.
Le ore passavano, il cielo notturno ormai lasciava sempre di più il passo a quello del giorno, colorando tutto di un arancio tenue.
Per tutta la notte si occupò di curargli bene o male quei graffi che decoravano il suo corpo, anche se lui più volte muovendosi rischiò di non far bastare tutto quel disinfettante, per le ferite che le avrebbe causato.
Non si udiva nessun rumore, se non quello del russare del ragazzo, mischiato al brontolio del suo stomaco, così decise di svegliarlo.
Iniziò a chiamarlo, scuoterlo ed urlare, e più lui dormiva, e più lei urlava quasi a perdere la voce.
I suoi capelli ora mai erano sparati in aria, pieni di rabbia contro quel sonno così forte che le aveva causato persino male alla testa, e incubi per quelle poche volte che era riuscita a prender sonno.

Prima sognò un rinoceronte che la rincorreva, poi un leone che la squartava, ed infine tutti e due che facevano comunella per prenderla.

Chi glielo aveva fatto? Perché non l'aveva lasciato al suo destino?

Con queste domande che perfidamente le gironzolavano in testa, iniziò ad addentare un panino che si era portata proprio per farsi una mangiata notturna, e che invece aveva lasciato successivamente per il ragazzo.
“ben ti sta!” urlò guardandolo male, facendo volar via lontano tutti gli uccelli appena svegli, che volavano intorno alla spiaggia.
Quasi in lacrime di commozione per il suo stomaco, che aveva aspettato così a lungo del cibo avendocelo sotto il naso da tutta la notte, la ragazza strizzò gli occhi addentando il panino.
Non sentiva nulla nella sua bocca, ed i denti avevano sbattuto tra di loro e non sul pane, un secondo dopo si rese conto che tra le mani aveva ancora il panino, ma era come incollato, non tra le sue mani, ma in quella strana posizione, e benché con tutte le forza cercasse di tirarlo verso la sua bocca, sembrava andare verso giù.
Spaventata, con gli occhi sbarrati e la gola secca, guardò attentamente il panino, rendendosi conto che sotto di esso, qualcosa lo teneva fermo con la bocca.
Una bocca così enorme da averne preso già la metà, continuando a tirarlo a se con solo la forza della mascella.
“non solo sei sonnambulo, ma sei pure scroccone!” disse tirandogli un calcio tra le costole, anche se lui, inginocchiato col panino in bocca, non accennava a staccarsi da esso.
Le mani erano sempre meno salde sul panino, fino a che non cedettero alla forza di Ace che con un sol boccone lo finì.
Lui la guardò confuso, non sapeva chi fosse, e non capiva perché stava con lui, ne tanto meno capiva dove stava, l’unica cosa che ricordava era l’incidente con la barca, che ora tranquilla galleggiava in mare.
“chi sei?” domandò non curante del fatto che lei non era proprio quel che sembrava una persona amichevole e alzandosi e sistemandosi i vestiti pieni di sabbia.
Si sentiva la testa pesante, ed i granelli di sabbia ovunque, persino appiccicati sulla pelle, tanto da avergli creato anche dei piccoli graffietti sulle ginocchia ed i gomiti misteriosamente pieni di cerotti.
Lo stomaco brontolava più che mai, tanto che sentiva che prima o poi avrebbe preso lui il comando del suo corpo.
In risposta alla sua domanda e la sua maleducazione, ricevette un altro colpo, questa volta alla testa, ma molto più forte, tanto da creare sulla fronte di lui, un enorme bernoccolo.
“io sono quella che ti ha salvato la vita, ti ha accudito tutta la notte e che tu in cambio hai rubato il panino senza chiedere il permesso! Comunque piacere, Isabel!” rispose lei urlando come non mai, e se prima si sentiva quasi senza voce, ora poteva dichiararsi muta per almeno una giornata.
Prese il suo zainetto e lo riempì di tutto quello che aveva lasciato per quella che pensava sarebbe stata una persona educata: Fasce e disinfettante in caso di ferite, acqua, cibo e tanto altro.
Si sistemò la lunga gonna bianca piena di sabbia, e si mise lo zaino su una spalla andandosene via tra la rabbia, ed una piccola vena che pulsava spaventosamente sul collo, per fortuna coperta dai capelli lunghi fino alle spalle.
Ace lo guardò stralunato, e mentre si grattava la testa, la guardava andar via con le mani strette a pugni e le gambe quasi tremolanti di rabbia.
La testa gli faceva più male di prima, e la fame l’avrebbe fatto fuori da un momento all’altro.
Ieri era così felice di iniziare una grande avventura, in cui si era immaginato tante sorprese, cose nuove, compagni fantastici e cibo da mettere sotto i denti almeno cinque volte al giorno, come il nonno gli aveva insegnato per combattere al meglio.
Invece si ritrovò con un bernoccolo, una fame insopportabile, da solo in un posto che non conosceva, e in più con l’unico abitante che aveva conosciuto, misteriosamente infuriata con lui.
Non poteva cedere per così poco, perciò si alzò in piedi, con l'intenzione di scusarsi con quella ragazza e farsi aiutare a trovare qualcosa da mangiare, e qualcuno per iniziare a formare la sua ciurma.
“ehi, mi potresti presentare qualcuno un po’ più grande di te? Sto cercando aiuto per la mia ciurma!” urlò Ace correndole in contro, fino a che non fu lei a fermarsi e girarsi a guardarlo.
Isabel non era di certo una ragazza che dimostrava i suoi sedici anni. Era piuttosto bassa, dalla carnagione chiara e con un odio smisurato per tutto ciò che poteva essere femminile, come i trucchi, i capelli lunghi, i nastrini colorati, il colore rosa e le scarpe col tacco.
Nonostante ciò, sapeva benissimo che se la andava a cercare quando la chiamavano maschiaccio, ma di certo non avrebbe mai sopportato che qualcuno la etichettasse come piccola. Odiava la sua statura, e chiunque glielo facesse notare, aveva le ore contate.
Lei sorrise, ma non di gioia.
Gli angoli della sua bocca a stento creavano una smorfia tremante di rabbia, ma che Ace aveva confuso con un atto di gentilezza, che ricambiò.
Intento a sorridere di rimando e convinto di aver finalmente risolto i problemi con la ragazza, si ritrovò al posto del sorriso qualcos’altro, ed un urto tanto forte da farlo cadere per suolo.
Si toccò con la mano il volto, partendo dal bernoccolo nella fronte, fino ad arrivare alla bocca, dove tirò via qualcosa che non trovò mangiabile.
Lo portò verso gli occhi, identificandolo.
Era una infradito nera e piccola, probabilmente della ragazza che poco prima pensava sorridesse.
Si mise seduto con quella scarpa e la guardò, mentre di lei non c’era più una traccia, probabilmente era scappata via, anche se lui non aveva ancora capito cosa avesse fatto o detto di tanto sbagliato.


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Capitolo 2
*** 2. Un villaggio pericoloso: Il primo pirata per Ace ***


Ed eccomi qua! avevo intenzione di pubblicare per domani sera, ma dato che le mie mini ferie inizieranno proprio domani, per sicurezza vi lascio oggi questo capitolo.
Prima di tutto ringrazio chi ha recensito, chi ha messo la FF tra i preferiti, le seguite e quelle da ricordare, e chi anche solo gli ha dato un occhiata, per la mia forte timidezza questa è stata una marcia in più a continuare, vi sono grata per le vostre belle parole ^^
Questo capitolo forse è troppo lungo, ma non sapendolo lo lascio così, ditemi vuoi se la lunghezza è accettabile!
Inoltre ho inventato qualche cosa, come l'isola su cui si svolgerà questo inizio storia, dato che molte delle isole conosciute nel mondo di One Piece erano sotto comando di pirati da molto tempo, e queste sono state liberate solo da Rufy, non mi pareva il caso che ci finisse Ace, anche perché dubito sarebbe stato con le mani in mano, in certi postacci! :P

spero che il capitolo vi piaccia, grazie ancora a chi lo leggerà!



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Il villaggio di Mizu, situato in una minuscola isola a breve distanza dall’Isola Dawn, era considerato un vero e proprio paradiso dell’acqua in tutti i suoi numerosi utilizzi.
Erano molti i pezzi grossi che di passaggio, si fermavano per approfittare delle lussuose fonti termali e per fare provviste, soprattutto della preziosa acqua che veniva considerata la più pura di tutti e quattro i mari.
Le sorgenti naturali d’acqua davano lavoro a quasi metà popolazione, rendendo il posto uno dei villaggi più tranquilli del mare orientale.
Ace girava da ben mezz’ora nelle strette vie del villaggio, osservando con lo stomaco sempre più chiassoso, i piccoli e ordinati negozietti che infila mettevano in mostra i loro prodotti.
Il naso oramai era diventata la sua bussola, e nonostante molti degli abitanti lo guardavano con un espressione carica di pietà, lui continuava a proseguire nonostante quella strada che stava percorrendo gli sembrasse sempre più famigliare.
Si sedette su un gradino di una vecchia abitazione asciugandosi con la mano la fronte piena di sudore.
Il tempo in questo villaggio era assai afoso, nonostante non fosse poi così lontano dalla sua isola.
Tra le mappe che si era portato appresso, non ne aveva neanche una con un qualche dato di quest’isola, anche perché originariamente non era una delle mete del viaggio.
Ace sbuffò ripose le sue mappe nello zaino, mettendosi nuovamente in marcia verso una qualsiasi locanda dove avrebbe trovato cibo di qualsiasi genere e prezzo.

Quella non mi dice dove andare, ma è lei che si mangia me

Pensò guardando una vecchia signora sovrappeso che lo guardava lanciandogli occhiate ghiaccianti, ma per fortuna proprio a qualche metro da lei, Ace trovò un signore che gli parve un minimo tranquillo.

“ehi vecchio, posso farti una domanda?” Ace prese a corrergli contro sventolando la mano destra per rendersi il più possibilmente visibile, di rimando, l’anziano signore si girò a guardarlo sorridendo.
“dici a me ragazzo?” rispose con voce squillante, non appena Ace si trovò di fronte a lui.
Era parecchi centimetri più alto di Ace che a malapena riusciva a guardarlo in faccia, dove portava un cappello bianco intonato a tutto il suo completo: camicia, pantaloni e persino le scarpe che risaltavano ancora di più la pelle parecchio abbronzata ed il fisico molto massiccio.
“si vecchio, dicevo a te!” Il ragazzo lo guardò un tantino imbarazzato dal sorriso enorme dell’uomo, che all’affermazione del ragazzo scoppiò a ridere mettendosi la mano sul cuore.
Ace si grattò la testa un po’ imbarazzato, mentre tentava di darsi una spiegazione a quello strano comportamento.

Non sarà mica una donna?

Si chiese ripensando alla donna che poco prima lo aveva guardato male e che aveva solo gli abiti a suggerire che fosse donna.

“Voi giovani d’oggi, siete tutti così maleducati!” esclamò l’uomo colpendo con una manata in testa Ace, che finì a terra sbattendo il sedere sulla strada.
La manata era stata così forte che per un attimo i suoi occhi si appannarono e l’equilibrio cedette alla forza di quel colpo che, era alla pari dei calci e della scarpa in bocca precedentemente assestati da Isabel.
Domandandosi se picchiare i nuovi arrivati fosse un usanza del villaggio, si rialzò a fatica trovandosi ancora davanti quell’uomo, che ora gli pareva ancora più alto come se la manata ricevuta lo avesse privato di qualche centimetro.

Proprio nell’istante in cui si era deciso a scappare a tutta velocità da quel posto pieno di violenza, lo stomaco gli fece uno sgambetto fatale, lamentandosi rumorosamente davanti all’uomo che, scoppiò ancora in una grossa risata, questa volta però, senza accompagnarla da una manata.
“hai fame vero? Questo non cambierà mai! Vieni ti porto a mangiare qualcosa!” La sua voce si era fatta più calma, tanto da iniettare un po’ di fiducia dentro ad un Ace sempre più sperduto.
I passi di quell’uomo erano molto veloci e sicuri, tanto che per stargli dietro dovette fare per tutta la strada una corsetta per non perderselo di vista, ma per Ace ne valse la pena quando arrivò dentro un lussuoso ristorante.
“questa è la mia tranquilla attività da ormai vecchio” spiegò l’uomo portando Ace verso uno dei tavoli più grandi.
Il posto era immerso nel verde, fiori e piante lo contornavano ovunque e creavano dei giochi di colori con i raggi di sole che si poggiavano su di esse.
I muri giallini erano ricoperti di dipinti di tutti i generi ed enormi finestre davano sul mare.
I tavoli in legno massiccio accompagnati da candide tovaglie bianche davano a quel posto un aspetto caldo e quasi calmante, che Ace trovò bello quasi quanto la tripla porzione di carne che si trovò davanti dopo una minima attesa.
Mettendo da parte la paura per gli abitanti, iniziò a trangugiare qualsiasi cosa si trovasse davanti a lui rischiando ben due volte di addentare il porta tovaglioli a forma di papera.
“come mai ti trovi in questa piccola isola, ragazzino?” domandò l’uomo mentre guardava quasi con orgoglio Ace al suo terzo piatto a tripla porzione di carne, provando una certa nostalgia dei tempi in cui da giovane lui e i suoi amici potevano mangiare anche sei di quelle porzioni senza cadere nel grasso.
“io sono venuto per cercare qualcuno che voglia unirsi alla mia ciurma!” rispose Ace in uno dei rarissimi istanti in cui si trovò senza cibo in bocca.
Nonostante per lui fosse d’abitudine iniziare lunghi discorsi con la bocca piena, non era sicuro che l’idea sarebbe piaciuta a quel signore dalla manata facile.
“ciurma?” esclamò scoppiando nella risata più forte che il cuore gli consentiva di concepire, lasciando perplesso Ace, a cui già doleva la testa immaginandosi un altro colpo.
Ad ogni pugno che quell’uomo batteva nel tavolo, un brivido percorreva tutto il suo corpo, causandogli quasi una paralisi dovuta alla paura di trovarsi uno di quei pugni sulla sua faccia.
“tranquillo, fortunatamente per te sono in pensione!” affermò l’uomo tornando serio, facendo capire ad Ace il perché di quel ‘ fortunatamente per te ’ .
Un silenzio quasi surreale invase la stanza per un attimo, mischiando la paura di Ace con il rumore dei passi di qualcuno che stava per entrare nella stanza.
L’uomo che si trovava con lui sicuramente non era un semplice Marine, anzi sicuramente è stato un pezzo grosso, dato che un colpo così forte lo aveva ricevuto solamente dal suo vecchio nonno.
“Nonno, la smetti di ridere? Lo sai che il medico ti ha proibito di fare tutto quel chiasso, vuoi che ti scoppi il cuore?” una voce femminile infranse il silenzio, ed una sagoma proveniente da quello che forse era il corridoio che portava alla cucina, sbucò nella stanza principale.
“Su piccola non prendertela, ma ho appena conosciuto un aspirante pirata!” rispose dando una pacca sulla schiena di Ace che trattenne a stento le urla di dolore, immaginandosi la mano dell’uomo tatuata sulla sua scapola sinistra.
“ecco perché mangia così tanto, è uno sporco pirata!” asserì la nipote dell’uomo, che da così lontano si poteva a malapena identificare.
Ace si alzò iniziando a frugare dentro il suo zaino alla ricerca del piccolo sacchetto di stoffa che conteneva i suoi preziosi risparmi di una vita.
Non aveva la ben che minima intenzione di stare in un posto pieno di gente pericolosa, con un ex marine ed una nipote altrettanto minacciosa. Era partito con l’intenzione di esser un pirata, ma non di buttarsi nella mischia da solo.
Immaginandosi l’enorme cifra che si era mangiato, poggiò l’intero contenuto del sacchetto sul tavolo rimettendosi lo zaino sulle spalle e avvicinandosi alla porta, afferrando la maniglia con un po’ d’amaro in bocca.
Non si immaginava che questo inizio sarebbe stato così duro, e che sarebbe finito per sbattere su ‘ un muro di cemento armato ‘.
Abbassò la maniglia tirando verso di se la porta ma essa finì per sbattere contro di lui mettendolo un’altra volta KO.
“signor Neil, emergenza pirati!” la voce che probabilmente apparteneva ad una donna, era di totale terrore e nonostante Ace fosse steso a terra, poteva quasi vedere la preoccupazione nei volti dei presenti.
Si alzo a sedere, per accertarsi della sua ipotesi.
I presenti erano come dei sassi, e persino la ragazza che stava in cucina, si scambiò velocemente levandosi cappello e grembiule.
“ci penso io a mandarlo via!” affermò Ace mentre aggrappandosi alla porta aperta, tornava con i piedi per terra.
I presenti lo guardarono parecchio perplessi come se si fossero trovati davanti ad un alieno, ed il ragazzo parecchio offeso dalla poca fiducia datagli decise di farsi strada ed andare a cercare questo pirata di persona.
“se lo batto non voglio più prendere colpi!” disse Ace prima di uscire dal ristorante seguito da una grossa risata di quell’uomo che poco prima lo aveva solo spaventato.
Se c’era anche un solo modo di farsi amici o anche solo alleati quegli abitanti violenti, Ace doveva provarci sia per la sua incolumità fisica e sia per trovarsi magari un compagno.
“ehi aspetta!” un urlo fermò il rapido correre di Ace, che nonostante avesse a mala pena corso per cento metri, era già sicuro di essersi perso.
Egli si girò incrociando il suo sguardo con uno molto meno amichevole che si avvicinava sempre di più a lui.
Nonostante quelle iridi erano di un comunissimo castano scuro, gli parve per un attimo di vederli rossi come delle fiamme ardenti che si avvicinavano sempre di più a lui.
“ma tu sei quella della scarpa!” esclamò Ace puntando il dito contro la ragazza che lo aveva ormai raggiunto.
Isabel in risposta lo guardò male mormorando parole che Ace non riusciva a comprendere, tanto era basso il tono di voce con cui le pronunciava.
“quello contro cui stai andando è un pirata con una taglia di 10 milioni di berry, lo sai?” domandò lei, scuotendo per le spalle Ace, che di risposta iniziò a ridere.
Se la sua bocca non fosse stata così spalancata e accompagnata da lacrime di divertimento, non avrebbe mai potuto credere al fatto che stesse ridendo di un pirata che a differenza sua, aveva una taglia.
“allora se lo sconfiggo avrò una taglia?” Ace tornò serio, asciugandosi le piccole lacrime che le risate gli avevano fatto cadere.
Finalmente aveva un opportunità di diventare a tutti gli effetti un pirata e non l’avrebbe mai lasciata sfuggire.
“stai scherzando vero? Sai che mostro di vuoi mettere contro? Lo chiamano l’anaconda perché è capace di strozzarti in 5 secondi, ha la mano così grande che per uno come te gli basterebbero due dita!” Isabel cercò di descrivere la ferocia di quell’uomo strozzando l’aria e fingendo persino che essa stesse reagendo alle sue mani strette sul nulla.
Ace la guardò confuso, non aveva ben capito perché quella ragazza stesse cercando di fermarlo in tutti i modi, quando poche ora fa aveva tentato più volte di fargli del male.
“io vado!” esclamò Ace girandosi e andando avanti, avrebbe di certo trovato questo pirata che stava allarmando tutti e lo avrebbe sconfitto, dimostrando anche a quella ragazza che uno strozza collo non era nulla in confronto a lui e il suo sogno.
“aspetta vengo anche io!” esclamò la ragazza correndo verso di lui.
Da quando aveva tredici anni lei e suo nonno erano specializzati nel cacciare via i pirati o i delinquenti che infestavano l’isola.
Sin da piccola si era sempre allenata nelle arti marziali nelle più pericolose foreste, e oramai per lei era abitudine far scappare il pirata di turno e riprendere tutto ciò che aveva rubato.
“se corriamo verso ovest troveremo a pochi metri il porto, così potremmo aspettarli là! E‘ passata già una mezzora e non penso rimangano ancora molto in città” spiegò la ragazza puntando il dito verso occidente.
Il suo piano si era ormai chiaro: si sarebbe imbucata nella nave, e avrebbe ripreso tutto quello che i pirati avevano rubato mentre quel ragazzo veniva massacrato da loro, poi appena i pirati si sarebbero distratti per ridere di Ace, lei li avrebbe colpiti e battuti.

Così due si diressero verso la nave pirata, di cui anche se di medie dimensioni, si poteva scorgere qualche baule.
“quindi sei forte?” domandò Ace fermandosi davanti all’imbarcazione.
Isabel lo guardò, il suo sguardo non diceva nulla di buono, nonostante non fosse minaccioso, anzi sorridesse più che mai.
“non ti sono bastati i colpi che ti ho dato? Devo dimostrartelo ancora?” rispose lei schioccandosi le dita delle mani.
“allora unisciti alla mia ciurma!” esclamò Ace battendo le mani felice.
Forse avrebbe trovato qualcuno che l’avrebbe senz’altro aiutato molto nel viaggio, e che per di più poteva difenderlo da quel villaggio di forzuti e pericolosi cittadini.
Isabel salì a fatica sopra la nave senza dare una risposta, seguita da un Ace scattante, caricato dalla curiosità di avere una risposta ed una sempre più elevata eccitazione all’idea di misurarsi con un pirata di quella taglia.

La nave all’interno sembrava ancora più grande, e se non fosse stato per tutto quel disordine e sporco, sarebbe stato più facile apprezzarne lo stile raffinato ed un po’ antico.
“perché questo è così piccolo?” domandò Ace inchinandosi verso un piccolo bauletto di legno che tra tutti quelli enormi affianco, sminuiva e non poco.
“di solito quello più piccolo è il più sospetto” affermò Isabel chinandosi anche lei verso di esso.
Poggiò le mani sul freddo legno ed aprì con cautela il baule, facendo ben attenzione all’eventualità che dentro ci fosse qualcosa di pericoloso, come ad esempio un feroce serpente.
Strizzò leggermente gli occhi, come a volerli riparare in caso stesse per aprire una trappola, ma dentro al baule c’era uno strano oggetto, o così pareva.

Era tondo, di uno strano violaceo ed era composto da una specie di buccia a spirali.
“e’ un frutto del diavolo” esclamò Isabel mettendosi le mani tra i capelli.
Suo nonno le aveva parlato spesso di questi frutti portentosi, capaci di dare a chi lo mangia dei poteri fuori dal comune e che molto spesso era causa di litigi tra pirati, anche di alto livello a causa del loro elevatissimo prezzo.
Scosse la testa per svegliarsi dal suo stupore, mai avrebbe immaginato di trovarsene uno davanti, anche se l’idea l’affascinava.
Ripose nuovamente lo sguardo verso quel baule trovandolo stranamente vuoto. Si voltò verso Ace per chiedergli se non fosse stato lui a prenderlo, ma se lo ritrovò con l’intero frutto in bocca, e con una faccia paonazza, probabilmente stava per soffocarsi.
“ben ti sta cretino! Sei solo un ladro! Spero che quel frutto ti trasformi in un verme peloso!” urlò Isabel scuotendo Ace per le spalle, che per la forza degli urti riuscì finalmente a inghiottire il frutto, finendo però a terra.
“non fingere di essere morto per non prenderne, fifone!” inveì lei schiaffeggiandolo ripetutamente.
Come accaduto qualche ora prima, Ace aveva quella strana bollicina sul naso, ed i strani rumori si erano ripresentati insieme allo stupore di Isabel, che vide l’avvicinarsi una dozzina di sagome parecchio grandi, sicuramente dei pirati.
“ti sembra il momento di dormire? Mi vuoi morta?”

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Capitolo 3
*** 3. Dentro la tana del nemico; il fuoco che brucia tutto viene rivelato ***


ed eccomi qua, al terzo capitolo! felice di arrivarci con tanti "seguitori".
In questo capitolo ci sarà un po' di azione, spero non sia tutto complicato, dato che è la prima scena movimentata della storia! Grazie a chi legge e commenta, come sempre vi adoro e vi abbraccio virtualmente :)

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La banda di pirati era ormai vicina e aveva preso di mira Isabel che si trovava ancora sulla nave, intenta a svegliare un Ace dal sonno pesante.
“ti lascio qui, e non sto scherzando!” intimò a vuoto, arrendendosi al sonno del ragazzo ed iniziando a tirarselo appresso trascinandolo dal colletto della sua camicia giallina.
Nonostante le continue minacce non lo avrebbe mai lasciato morire davanti ai suoi occhi, anche se era tutto tranne che una persona normale.
“Ti sei persa, piccolina?” una voce inquietante spezzò quel leggere silenzio che prima era solamente disturbato dal russare di Ace.
I pirati erano ormai arrivati al porto, e stavano iniziando a scavalcare la nave.
Se Isabel fosse stata sola sarebbe potuta andargli incontro e provare ad affrontarli, o quanto meno tenerli a bada fino a che il nonno non avrebbe chiamato aiuti, ma con Ace incosciente poteva solo fuggire e neanche in maniera così semplice.
Infatti, le pareva di portare un enorme sacco di patate pesante, tanto da farle andare in fiamme le mani che lo tiravano, stringendo con più forza possibile il tessuto della sua camicia.
Ormai si trovava vicino alla porta che probabilmente conduceva alle stanze interne dell’imbarcazione, dandole una piccola speranza di poter nascondere Ace in qualche modo, tenendolo al sicuro.
“Se ti svegli faccio quello che vuoi, ma ti prego alzati o ci lasciamo la pelle!”.
Ormai era arrivata persino a pregare qualcuno, cosa che mai e poi mai aveva fatto nella sua vita, neanche davanti al nemico più spietato o alla bestia più feroce.
Aprì la porta che conduceva all’interno buttandoci con forza Ace, che andò a sbattere contro un tavolo apparecchiato.
Il rumore dei bicchieri caduti al suolo attirarono l’attenzione dei pirati che stavano osservando il baule vuoto dove era custodito il frutto del diavolo.
Isabel entrò anche lei dentro quelle stanze, chiudendo la porta.
Il buio inondava la stanza tranne due spiragli di luce scappati dalle tendine, che andavano ad illuminare Ace poggiato su una gamba del tavolo, e con un piatto metà rotto in testa.
Sorrise guardando quel buffo ragazzo che non veniva svegliato neanche da un assalto pirata.

E questo vorrebbe fare il pirata? E se mentre si scontra con qualcuno cade nel sonno?

Prese il tavolo su cui era poggiato Ace portandolo verso la porta per bloccarla anche se sarebbe servito per pochi secondi, era meglio di nulla.
Da fuori poteva udire le voci dei pirati che discutevano sul frutto: gli uni con gli altri si accusavano di averlo rubato, per fortuna nessuno era arrivato a pensare all’eventualità che potesse essere stato rubato da loro due.
“sono proprio degli idioti, questi pirati” sussurrò lei andando nuovamente a trascinare Ace, se senza l’appoggio del tavolo, era finito con le schegge di vetro in tutto il corpo.
Questa volta lo afferrò per l’orecchio con decisione, finendo di proposito più volte a sbattere contro muri e mobili sparsi qua e là tra le stanze.
Dopo aver attraversato la cucina, una specie di salotto disordinato, una saletta per fare ginnastica e allenamento ed un magazzino per le armi, finì in una stanza da notte in cui mise Ace sotto il grande letto, fregandosene se quel posto era sporco e probabilmente pieno zeppo di polvere.
Osservò un po’ la stanza decidendo sul da farsi. Quella probabilmente era la stanza del capitano, dato che era ricca di tesori, e con appesa al muro una lugubre lista di tutte le persone che ha strangolato nella sua lunga carriera. Isabel ne contò ben centotrentadue.
“cazzo” esclamò lasciandosi sfuggire un po’ troppo la voce, quel tanto che bastò ai pirati per fargli capire che si trovavano all’interno della nave.
“tu vai nel ripostiglio, io provo nella stanza del capo” due scagnozzi del capo si stavano mettendo d’accordo, ed uno di loro stava proprio venendo da loro.

‘Ed ora cosa faccio? Se lo affronto tutti capiranno che siamo qua, e se iniziamo una battaglia sicuramente Ace non ne rimarrà indenne, la stanza non è poi così spaziosa..’

In preda ai dubbi ma con una scadenza quasi al termine, Isabel decise di buttarsi anche lei sotto il letto, trattenendo il respiro come se stesse per immergersi in mare.
Era tutto così sporco, tanto che fu costretta a trattenere le urla di schifo con entrambe le mani.
La polvere sembrava quasi nevicarle addosso, impedendole perfino di guardare da sotto cosa stesse accadendo.
Poteva solo dedurre dagli stivaloni neri che improvvisamente le coprirono quella poca visuale, che l’uomo era entrato nella stanza e che probabilmente controllava con attenzione tutto il posto.

Improvvisamente un leggero movimento di Ace la fece sussultare.
Si era coricato sul fianco e aveva posato una mano sul seno di una sempre più nervosa Isabel che stava ben pensando di uscire da lì e prendere a calci tutti, fregandosene della loro sporca vita da pirati.
Quando la presa di Ace si fece più salda, tanto da appiccicare persino il suo petto alla schiena della ragazza che divenne viola, con un movimento agile si distaccò tirandolo ancora per le orecchie e facendolo uscire a fatica dal letto.
Sicuramente stava usando la scusa del sonno per vendicarsi dei calci di poche ore fa, e questa non poteva fargliela passare liscia.
“e tu da dove sbuchi?” esclamò l’uomo guardando storto verso Ace, che fuori dal letto dormiva ancora beatamente.
La mano del pirata si avvicinò pericolosamente al collo di Ace, afferrandolo e portandolo in posizione eretta.
“non fingere di dormire, non ho pietà dei ragazzini!” intimò l’uomo mostrando un ghigno diabolico che metteva in mostra i due orrendi denti d’oro.
Isabel tremò lievemente, anche se infuriata una parte di lei la scuoteva per andare a salvare Ace che, volutamente o non stava facendo esattamente l’opposto, mettendola più volte nei guai con il suo sonno.
“te la sei voluta tu, ragazzino!” disse il pirata prendendo questa volta Ace per il volto.
La bolliccina sul suo naso scoppiò rumorosamente, lasciando con gli occhi sbarrati Isabel che non vedendo bene quello che accadeva, si immaginò che il cervello di Ace fosse già scoppiato alla presa dell’uomo, che probabilmente aveva la mano il doppio della testa di lui.
Isabel sbucò da letto, lasciando sotto di esso solo le caviglie.
Ace era a penzoloni con il volto completamente coperto dalla mano dell’uomo che rideva divertito, mentre le gambe del ragazzo iniziavano a muoversi sempre di più, fino ad andare a sbattere con un ginocchio nella pancia del pirata che mollò la presa chinandosi leggermente con le mani a coprire la zona colpita.
“dannato moccioso!” esclamò lui guardando male Ace, che non aveva capito bene dove si trovava e perché era stato attaccato.
L’uomo gli andò incontro con la mano tesa e l’intenzione di ripetere il gesto di poco fa ma con più ferocia, ma Ace lo afferrò per il braccio e con un grande sforzo di fianchi riuscì a ribaltarlo via, facendolo finire nel letto dove prima era nascosto con Isabel.
Il letto si era fatto pesante, molto pesante, tanto che le gambe di Isabel ancora sotto il letto sentirono dei dolori lancinanti.
Il ferro della branda che teneva in alto il materasso, le sbatteva contro le caviglie, che non potè trattenere le urla di dolore.
“io ti ammazzo!” esclamò cercando di liberare le gambe.
“mm.. Perché stai sotto un letto?” chiese Ace guardandola ancora un po’ stordito dal sonno, con gli occhi rossi ed i capelli arruffati e sporchi di polvere e frammenti di vetro.
La sua concentrazione post sonno era davvero scarsa, tanto da non fargli notare che probabilmente era incastrata con le gambe e sotto il peso del pirata che aveva lui stesso buttato brutalmente sopra il materasso con tanta forza da rompere persino la branda.
“non lo vedi che sono incastrata idiota? Devo farti il disegnino? Alza questo letto prima che ti venga io ad uccidere!!”.
Le urla di Isabel si erano fatte tanto forti da far suonare un immaginario campanello che avvisava tutti i pirati alla loro ricerca, che loro si trovavano in quella stanza. I passi degli uomini si facevano sempre più forti e veloci, ed Isabel iniziò a tentare nuovamente la fuga dal letto, dato che non poteva di certo pretendere che quel ragazzino magrolino potesse sollevare a peso morto l’uomo ed il letto per farla uscire.
Con le mani che graffiavano il suolo e grandi spinte per uscire dopo un po’ ci riuscì, accasciandosi a terra dolorante.
“ce l’ho fatta senza di te, scemo!” si vantò puntandogli il dito contro, ma rendendosi conto poco dopo, che un piede di Ace teneva su il letto di una ventina di centimetri.
La ragazza abbassò il dito fino a toccare anche con quella mano il suolo.
Avevano fretta ma lei non riusciva ad alzarsi, come se si sentisse ancora tutto quel peso gravare sulle gambe. Si sentiva debole e inutile tanto da odiarsi a morte.
Ace le si avvicinò osservandola, aveva dei segni viola che timbravano il punto in cui la branda aveva violentemente colpito le sue gambe, a metà tra la caviglia ed il ginocchio.
Quei segni erano tanto pestati sulla sua pelle che probabilmente con poco sarebbero peggiorati fino a farla sanguinare.
La afferrò per i fianchi sollevandola con facilità come se stesse giocando con una bambolina, poi se la buttò con la pancia di lei sulla sua spalla destra e partì fuori dalla stanza, correndo a grande velocità senza sapere bene a cosa stava andando incontro.
“ehi io non sono un sacco di patate!” urlò Isabel aggiungendo alle sue parole qualche flebile urlo ogni volta che andava a sbattere sul petto di lui e su quella dannata lunga collana che si trovava.
Tentava in tutti i modi di liberarsi dalla presa.
Con le gambe cercava di colpirlo alla schiena in vari punti e con le mani andava a picchiare lo stomaco a pugni ma lui non si voleva fermare, almeno fino a quando lei sentì la sua testa sbattere contro qualcosa di durissimo quasi quanto il cemento, e misteriosamente lui si fermò.
“merda!” disse Ace che fece qualche passo indietro per capire su cosa avesse sbattuto, gli sembrava impossibile che nel bel mezzo di un corridoio ci fosse un enorme muro.
Alzò lo sguardo, davanti a lui non c’era proprio un muro, ma ci era andato vicino.
Un uomo enorme gli bloccava la strada con le sue spalle che quasi andavano a toccare i muri del corridoio, anche se piccolo, non lo era di certo tanto da far stare
stretta una persona normale .
Ma infatti non era normale con i suoi occhi rossi da assassino e che nonostante il colore ghiacciavano chiunque ne incontrasse lo sguardo.
“Ace scappiamo, è il pirata di cui ti parlavo! Da solo non puoi farcela!”
Isabel si ricordò subito quel volto che aveva visto nell’annuncio di taglia. I capelli lunghi, gli occhi rossi e tutte quelle cicatrici erano senz’altro della famosa ‘anaconda’ da dieci milioni di berry, lui non era come il suo sottoposto di prima, se avesse preso la faccia di Ace, in due secondi l’avrebbe fatta scoppiare sul serio.
“siete stati voi a rubarmi il frutto del diavolo?” domandò l’Anaconda guardando male prima Isabel e poi Ace che iniziò a ridere.
“l’ho mangiato
io !” affermò Ace alzando la mano e indicandosi tranquillamente, senza la ben che minima paura.
In diciassette anni aveva affrontato molti pirati anche grandi come questo e non aveva paura di affrontarlo, anzi non vedeva l’ora di batterlo e magari farsi dire che frutto del diavolo aveva ingerito.
La mano del pirata andò a stringere il collo di Ace portandoselo vicino con talmente tanta rabbia da far cadere malamente Isabel che si trovava ancora a penzoloni sopra di lui.
Si rimise a fatica in piedi con le gambe tremanti di dolore, nonostante ciò riuscì ad assestare un calcio nelle gambe dell’uomo che perse un po’ l’equilibrio, il tanto che bastava per liberare Ace che per fortuna era ancora cosciente, anche se con una ferita alla fronte.
“che figata, l’hai colpito!” esclamò Ace indicando il loro nemico che ancora si teneva il punto in cui era stato colpito.
“non è il momento di parlare, dobbiamo” .. Il discorso di Isabel venne interrotto dall’Anaconda che questa volta aveva preso lei di mira, afferrandola ai fianchi con una sola mano, e iniziando a stritolarla lentamente in agonia.
“Prima mi libererò di te e poi del tuo amichetto, voglio fargli capire bene cosa vuol dire mettersi contro di me” esclamò l’uomo accompagnando la frase con una stretta di mano tanto forte da farle rompere probabilmente qualche costola.
Lei non urlò, non voleva in nessun modo fare pietà ad Ace o costringerlo a combattere da solo qualcosa che non poteva affrontare. Per la seconda volta la fece pregare, questa volta, per farlo scappare via da questo posto.
Di fronte a loro Ace li guardava pietrificato, con i pugni stretti per la rabbia e l’inutilità che si sentiva addosso.
Era ferito, il sangue non gli lasciava molta visibilità ma la rabbia fece tutto.
Sollevò il pugno che improvvisamente si sentì bruciare, non capiva bene se fosse solo una sensazione portata dalla rabbia o se stesse davvero bruciando ma in quel momento se ne fregò.
Correndo verso il nemico colpì con forza tre o quattro volte contro lo stomaco dell’Anaconda.
Riusciva a vedere poco o nulla di quello che stava succedendo, era come se una forte luce gli stesse appannando la vista.
Si strofinò gli occhi con il polso, cercando di migliorare un po’ la sua visuale.
Attorno a lui vedeva solo fiamme ed una Isabel accasciata al suolo incosciente, che stava per essere presa dal fuoco.
Istintivamente Ace la afferrò senza paura di scottarsi, portandola delicatamente tra le sue braccia.


_____

Era passata una settimana da quello scontro.
La nave fu completamente distrutta dalle fiamme e nessuno riusciva a comprendere bene da dove fossero nate, neanche lo stesso Ace che nonostante provò più volte a ripetere quell’azione, non era mai riuscito a vedere una fiamma.
Passava le sue giornate ad allenarsi da solo sulla riva della spiaggia, e andando a trovare Isabel che dopo due giorni di lungo sonno si era svegliata.
Aveva due costole rotte che per fortuna non avevano toccato i polmoni, ma nonostante tutto a letto la trovava solo di mattina, il resto del giorno nessuno sapeva dove lo trascorresse, come nessuno si preoccupava delle sue ferite.
Una donna che lavorava nel ristorante di lei e del nonno gli raccontò tutti gli incidenti che aveva affrontato da quando era piccola.
Sua madre era una marine caduta durante un combattimento pirata, di suo padre non sapeva nulla e perciò era stata cresciuta dal nonno, che all’età di sei anni la lasciò un mese nella foresta da sola.
Non era mal voluta da lui, anzi, ma quella era una sorta di rito della sua famiglia, per capire se erano degli o no di entrare nella marina.
Dopo un mese quando andarono a prenderla si era fatta amica un enorme orso che più che altro aveva una grande paura verso di lei.
Aveva di certo ereditato la forza del nonno ma non aveva intenzione di intraprendere la carriera di marine, che per lei era solo una restrizione.
Voleva viaggiare per conto suo senza seguire le regole dei pirati o dei marine, ma sapeva che era impossibile essere neutrali in un mare di guerra dove il sangue versato ogni giorno la indignava.
Nonostante Ace tutte le sere che andava a trovarla, chi chiedesse di diventare un pirata, lei lo riempiva di schiaffi e si girava dall’altra parte del letto, anche se voleva dire fare pressione sulla parte dove le costole non si erano ancora sistemate.
“non sarò mai un lurido pirata, scordatelo!” urlava ogni sera, sempre più disperata perché non riusciva a farlo entrare nella testa di Ace che il giorno dopo ripeteva la domanda.

Una settimana dopo, Ace decise di partire anche senza di lei, ci aveva provato per due settimane, ma non poteva andare avanti così.

“sei scemo, vuoi partire con quella bagnarola?” domandò Isabel che ormai era quasi in perfetta salute.
Andò verso la barchetta di Ace e con un calcio ne distrusse una buona metà, lasciando il ragazzo di stucco che guardava la sua vecchia barca affondare.
“vieni, scemo!” disse poi iniziando a tirarlo per l’orecchio, ormai ci aveva fatto l’abitudine a trascinarlo.
Pochi metri più in là verso il porto, era ormeggiata tra tante navi da pesca una più grande che Isabel indicò.
“E’ una vecchia nave della marina che teneva mio nonno. Era vecchia e mal ridotta, così ho deciso di darle una sistemata. Naturalmente metà nave è riempita di provviste dato che mangi come un maiale!” spiegò lei felice di aver in poco tempo reso accettabile quella vecchia nave.
Non era di certo un carpentiere, ma aveva imparato tutto ciò che occorreva per navigare dai vecchi libri che da piccola rubava dalle librerie del nonno.
“che figata!” esclamò Ace saltando sopra la nave come se avesse le molle sui piedi.
Infatti la nave era altissima, ed era impossibile salirci senza usare le scalette che erano a pochi centimetri dalla vista di Ace, che naturalmente non se ne era accorto.
Isabel salì sulla nave e si sedette per terra, osservando Ace che correva ovunque felice come un bambino.
Finalmente aveva la sua prima nave , avrebbe potuto scegliere il nome della ciurma, il logo.. E sicuramente sarebbero arrivati tanti nemici e si sarebbe fatto un nome! Non vedeva l’ora di avere una taglia e far sapere così a Rufy che lui se la stava cavando alla grande.
“ora partiamo!” avvisò Isabel iniziando a salpare l’ancora con tanta fatica.
L’ancora non era di certo leggera, ma neanche tanto pesante per metterla in seria difficoltà, infatti in pochi minuti la sollevò.
“vieni anche tu?” domandò Ace guardandola stupito. Ormai si era arreso all’idea di convincerla, ed invece era lì con lui mentre la nave si allontanava sempre di più dal porto.
“mi hai salvato la vita e purtroppo non sono così egoista da lasciarti andare sapendo che con una botta di sonno potresti morire facilmente. Perciò fino a quando non ti troverai un nuovo compagno, ti aiuterò.” spiegò lei avvicinandosi al centro della barca per andare a spiegare le vele.
“Che figata! Isa Chan sei una della mia ciurma!” rispose Ace tirandole una pacca sulla spalla, lei in risposa lo schiaffeggiò.
“quante volte ti ho spiegato che non devi toccarmi senza il mio permesso? E cos’è tutta questa confidenza? Poi ti ho solo detto che ti aiuto fino a che non trovi uno scemo pronto a seguirti! Sai cosa succede appena mio nonno capirà che sono andata via con un pirata? Ci seguirà a nuoto, ed è molto veloce! Perciò lasciami andare a spiegare le vele prima che ci noti!” disse lei sventolando il dito destro in faccia al ragazzo che, fece entrare tutto da un orecchio e lo fece uscire dall’altro.
“tranquilla se qualcuno tenta di portarti via lo sconfiggerò! Ora che ho mangiato un frutto del diavolo non mi batte più nessuno!” esclamò convinto Ace seguendo la ragazza che sistemava le vele.
“Ah sì? A proposito, non mi hai detto che frutto hai mangiato!” rispose lei guardandolo di sfuggita.
In effetti quelle di Ace erano solo supposizioni, non aveva ancora capito che potere aveva. Era sicuro che quella nave non fosse in fiamme per colpa di Isabel o di quei pirati, perciò doveva esser stato lui. Ricordava anche che non si era bruciato portando via la ragazza, ma ogni volta che tentava di richiamare a sé le fiamme, non succedeva nulla.
Isabel lo vide incantato e se non fosse stato per gli occhi aperti avrebbe pensato ad un attacco di sonno, ma per accertarsene prese un pezzo di legno che aveva lasciato per sbaglio sulla nave, e lo colpì in testa.
Il legno prese fuoco tra le mani di Isabel che dovette frettolosamente buttarlo in mare prima che incendiasse anche l'imbarcazione.
“finalmente ci sono riuscito!” esclamò Ace con la testa in fiamme.
Isabel lo guardò spaventata, stava prendendo fuoco però festeggiava, solo pochi istanti dopo si rese conto che probabilmente era quello il suo potere

Ora dovrò stare attenta a come lo colpisco, accidenti.

“quindi non riuscivi a capire cosa fosse eh? Comunque attento se dai fuoco a qualcosa ti butto in mare!” lo avvisò allontanandosi dalle vele e trascinando Ace con se, con la paura che non desse fuoco a quelle.
“cosa farai quando mi lascerai?” domandò Ace facendo finta di approvare la decisione di abbandonare la ciurma quando lui avrebbe trovato qualcun altro.
Isabel lo guardò pensierosa, in effetti non ci aveva pensato, sapeva solo che non sarebbe potuta tornare facilmente nella sua isola, non dopo essere fuggita di nascosto, ma non poteva fare altrimenti suo nonno non gli avrebbe concesso di partire.
“ho sempre pensato che una vita senza sogni fosse vuota, ma in questo momento la mia è così” spiegò lei girandosi ad osservare il grande mare.
“da piccola volevo viaggiare ma ancora non sapevo che per farlo dovevo appartenere ad una categoria, pirati, rivoluzionari o marine.. Crescendo mi sono chiesta se questo fosse davvero fatto per me. La mia pelle è così chiara e non sopporta il sole che invece in mare è così forte, in più ammetto di non sopportare per niente il mare agitato, penso che se lo incontreremo entrerò nel panico. L’unica cosa positiva e che in mare non troverei insetti disgustosi. Comunque sia spero di capire cosa fa per me in questi giorni, sperando di non doverti uccidere prima e dover scappare con una taglia sulla testa per tutta la vita” finì di spiegare, girandosi verso Ace che tremava vistosamente per le sue parole.
Sapeva bene che non si faceva scrupoli a picchiarlo, e per lui quella situazione era quasi irreale dato che non aveva mai permesso a nessuno di trattarlo in quel modo.
Però non poteva prendersela con una ragazza, anche se lei era la prima ragazza con fattezze non maschili con cui avesse mai litigato.
Nonostante la sua forza era così piccola e gracile che aveva paura di toccarla, e spesso quell’aspetto tutt’altro che di una persona forte lo ingannava.
Non poteva immaginarsi che avrebbe mai incontrato una ragazza dall’aspetto così contrastante dal carattere, anche se il suo modo di vestire e di comportarsi era tutt’altro che consono a quelle del suo sesso, lasciava quella scia di femminilità che non si spiegava.
“sai che ho perso il mio cappello?” disse lui toccandosi la testa. Senza quel cappello si sentiva preda della luce solare che gli appannava sempre di più la vista.
Isabel frugò nel suo zaino, tirando fuori un cappello arancione, e lo schiacciò in testa ad Ace.
“l’ho trovato quando sei caduto nel sonno in spiaggia qualche settimana fa e l’ho raccolto, tieni ed ora zitto e controlla la nave, io vado a prendere il sole!” rispose andandosene via.
Ace sorrise, finalmente aveva avuto il suo primo scontro anche se non pieno di colpi di scena come se lo immaginava, aveva trovato una nave, aveva mangiato un frutto del diavolo ed aveva qualcuno che lo avrebbe accompagnato nel viaggio.. Beh anche se lo avrebbe portato in mare a schiaffi, era meglio di stare da solo.


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Capitolo 4
*** 4. L'isola della sventura; L'uomo Puzza ed il Principe Azzurro ***


Ed eccomi al capitolo quattro, un numero che avrà un piccolo ruolo sulla storia in sé.
Per chi non lo sapesse è giusto che faccia due precisazioni.
In Giappone il numero 4 è Shi che vuol dire morte, mentre il nove è dolore. Questi numeri sono evitati in Giappone, molto più del nostro venerdì 17!
Ho voluto basarmi sulla loro scaramanzia, anche se spesso One Piece non segue una precisa linea culturale, anzi è un minestrone di tutto!
Infine mi scuso per il ritardo ma questo capitolo è stato un po’ più complicato per via di tanti particolari che ho dovuto apprendere per continuare (non voglio scrivere nulla che non sia veritiero, preferisco informarmi su cosa voglio narrare), come quello della superstizione, appunto.
Spero vi piaccia, buona lettura e grazie a tutti voi che la seguite =)

____

“Avevo caricato nella dispensa provviste di cibo sufficienti per almeno tre settimane, mi spieghi perché ci è rimasta solo una misera focaccia?” Urlò Isabel tirando per la guancia Ace intento a scarabocchiare su un vecchio foglio giallastro.
Lo sguardo di lui era bloccato sul quel foglio e nonostante le tirate fossero sempre più forti, decise di non farci tanto caso.
“sei più simpatico quando dormi!” concluse lei andando a cercare nel suo zaino una cartina che potesse indicarle e descriverle l’isola più vicina.
Aveva compreso che era inutile discutere con lui quando pensava ad altro, anzi, lui aveva imparato ad ignorare o reagire ai colpi ricambiano pizzicotti e tirate di guancia, orecchie o quant’altro.

La cartina indicava proprio poco più a sud della loro attuale posizione una piccola isola, soprannominata come -isola sfortunata del mare orientale-, in cui anche i pirati più valorosi avevano paura di sostare.
Essa era delimitata da un enorme foresta di forma rotonda, come un serpente che si morde la coda.
Questa foresta proteggeva la parte abitata situata centro, perciò per arrivare alla parte abitata era necessario attraversare la foresta di quarantanove chilometri esatti, che per i più superstiziosi erano i numeri che portavano morte e sofferenza.
Molte leggende giravano attorno a questo posto, c’è chi narrava di aver perso parenti o amici che si fermarono nella foresta, ed altri che affermarono di aver perso arti, vista o altro affrontando un enorme mostro dalle sembianze demoniache.
La gola di Isabel si trovò improvvisamente secca, faticando così la respirazione che si faceva sempre più pesante.
Uno dei sui tanti difetti era l’essere una fifona e scaramantica di livelli sproporzionati, tanto da piangere ogni volta che sul suo cammino si imbatteva un gatto nero, o da festeggiare il suo compleanno un giorno dopo perché nata il quattro.
“cibo o vita?” chiese ad Ace che aveva momentaneamente lasciato da parte il suo disegno per curiosare sulla cartina.
Lui non rispose e diede le veci al suo stomaco che iniziò a lamentarsi fragorosamente.
“c’è un isola ad un ora da qui, questo posto però non è sicuro, anzi.. È probabile che sia pieno di mostri e bestie feroci ed è anche molto lungo da percorrere, dovremmo per forza passare attraverso una foresta pericolosa per entrare nella città..” Isabel gli spiegò la situazione, cercando di farla il più grave possibile.
Agitando le mani come ad ampliare il senso di pericolo che già si percepiva solo dal nome dell’isola, dentro di se iniziò a pregare che lui tirasse fuori la sua parte da gentiluomo stupendola con qualche frase ad effetto.
 
E’ pericolo per una donna, andrò da solo.
..
Ti porterò carne da quel posto maledetto e partiremo per la prossima isola, non voglio che tu ti prenda questo enorme rischio.


“che figata! È da tanto che non mi avventuro in una foresta, è molto nostalgico! Non vedo l’ora di arrivare!” esclamò Ace correndo verso la prua cercando di intravedere l’isola con i suoi occhi.
Isabel si arrese, ripiegando la cartina e riponendola nel suo zaino.

Preparò tutto quello che sarebbe servito per tentare la sopravvivenza: Quel pezzo di pane che era rimasto, dell’acqua, tutte le armi che in quelle due settimane in mare era riuscita a costruire, come bastoni e reti, ed infine raccolse tutti i medicinali e le erbe che sarebbero servite per curarsi e per proteggersi dagli insetti.
Tirò da una corda improvvisata come stendi abiti tutti i vestiti che aveva messo a lavare compresa l’unica camicia di Ace e piegò tutto dentro uno zaino che era diventato un’enorme sasso.
“Ace ho preparato lo zaino, vieni a prenderlo che siamo quasi arrivati!” esclamò lei iniziando a trascinare come poteva lo zaino.
Lui affacciato verso il mare, non sembrava dare ascolto alle parole della compagna, così Isabel corse verso di lui per avvisarlo che a minuti sarebbero sbarcati e che non era il momento di incantarsi, ma a pochi metri dalla prua vide Ace cadere all’indietro come un sasso, senza lamentarsi della botta.
“trovi sempre il momento giusto per addormentarti!”.
Era disperata, sembrava che lui tramasse in ogni maniera possibile pur di metterla in difficoltà.
A malincuore prese dall’enorme zaino il pezzo di pane che era rimasto custodito in cucina e lo sventolò sul volto di Ace che inizialmente non sembrava avere alcuna reazione, ma che poi allargò spontaneamente la bocca cercando di addentare il cibo di cui poteva solo sentire l’odore.
Piano Piano la sua schiena iniziò a flettersi in avanti per afferrare il pezzo di pane che si spostava sempre più fino ad arrivare vicino a Isabel che prontamente gli mollò un ceffone per impedirgli di mangiare l’unica provvista rimasta.
“cibo!” strillò Ace buttandosi sopra alla ragazza che intanto cercò di mettersi in piedi e fuggire da lì.
Sfortunatamente però, Una mano di Ace la prese per la gamba facendola rovinosamente scivolare fuori dall’imbarcazione, finendo quasi in mare con le sole mani strette sul bordo della nave a reggerla in aria.
“non so nuotare, tirami su!” ordinò lei utilizzando il tono di voce più alto che madre natura le avesse donato, ma con una faticaccia che le costò un grosso mal di gola.
“che ci fai là? È pericoloso!” rispose Ace affacciandosi fuori dalla nave afferrando le braccia di Isabel ormai sfinita.
Ignorò la sua domanda cercando di tirarsi su ma perse l’equilibrio finendo con solo un braccio stretto da Ace a tenerla in aria.
Ace la guardò un po’  confuso, non aveva capito nulla e non sapeva che fare, ma notando che la spiaggia era a pochi metri da loro, con la mano ancora stretta sul braccio di Isabel, la fece leggermente dondolare fino a tirarla di forza verso la spiaggia.
Lei dopo la pericolosa acrobazia a cui era stata costretta a forza e con un volo assassino era caduta sulla sabbia finendoci distesa e priva di sensi.

‘forse sono stato troppo violento!’ ripensò Ace mettendosi le mani sopra il suo cappello arancione.

__

“perché devo portare oltre a questo zaino dieci volte più pensante di me, anche te sopra?” domandò Ace che teneva sulle spalle l’enorme borsone delle emergenze creato da Isabel, che si trovava proprio sopra di esso muovendosi per accentuare il più possibile il peso che il ragazzo portava sulle spalle.
La sua caviglia sinistra era fasciata proprio come la fronte e la schiena, ferite dal volo di poco fa.
“E’ colpa tua se mi sono fatta male! Questo sarà un esercizio per rinforzare i muscoli” rispose lei mentre controllava con circospezione la folta foresta in cui si erano addentrati.
La vegetazione era così folta da lasciare poco o nulla ai raggi solari che illuminavano a mala pena il tanto necessario per non inciampare sui numerosi ostacoli.
Il terreno infatti era instabile pieno di sassi e pozzanghere, radici di alberi che sbucavano formando dei piccoli ponticelli ovunque rendendo molto pericoloso, soprattutto, il passaggio di notte.
Nonostante la flora insidiosa, non si poteva dire lo stesso della fauna, infatti in quattro ore di cammino non avevano avvertito nulla di sospetto, ne tanto meno visto un animale in tutto il tragitto.
“io sono forte anche senza allenamento! Quando troveremo il One Piece dovrai ricrederti!” affermò lui spostando l’ennesima liana che penzolava sul loro cammino.
“ti ho detto che appena trovi un compagno me ne vado!” rispose lei tirandogli un piccolo pugno sulla testa.
Ace rise, non era mai stato d’accordo con la sua idea e non l’avrebbe mai accettata, anche se questo voleva dire obbligarla a stare con lui.
“e se prima che trovo un compagno ti mettono una taglia sulla testa?” domandò lui fermandosi ad osservare un albero con dei frutti che però non ispiravano altro che morte, infatti Isabel cogliendone uno, notò che era fatto di una sostanza viscida e dall’odore pessimo.
“non ci ho mai pensato! Però dubito di essere così idiota da prendermela!” disse lei mentre ragionava su come non farsi notare in questo piccolo viaggio.
Se per qualche maledizione fosse riuscita a prendersi una taglia la sua vita avrebbe avuto le ore contate, suo nonno sarebbe tornato in servizio per la marina pur di prenderla e portarla in prigione.
Isabel rabbrividì.
“Io scommetto che avrai una taglia!” ribatté lui ancora ridacchiando.
“e allora scommettiamo che se mi becco una taglia prima che tu ti trovi un compagno, io resto! Però quando arriverà mio nonno dovrai vedertela tu! Ti giuro che in caso manterrò la promessa, ma se non dovesse accadere tu dovrai lasciarmi andare come avevamo detto sin dall‘inizio!“ controbatté lei intuendo le intenzioni tutt’altro che comprensive di Ace riguardo al suo lasciare la ciurma.
“ci sto!” confermò lui, iniziando a confabulare con se stesso sul come farle avere una taglia.
“Ace fermati è quasi notte, è ora di cercare del cibo o morirai di fame!” disse lei facendo fermare il ragazzo che la poggiò per terra con la schiena contro l’enorme borsone.
Lei lo aprì e tirò fuori tutto quello che aveva portato per difendersi: reti, coltelli bastoni e quant’altro.
“portali con te e non provare ad usare il fuoco in mezzo alla foresta, sono stata chiara? Basta un scintilla ad appiccare fuoco a questo posto! Ace? Hai capito? Esclamò lei tirandolo per i pantaloni, ma lui guardava davanti a sé con gli occhi spalancati e sorpresi.
non dirmi che c’è qualcosa dietro di me!” bisbigliò lei tirando sempre di più i pantaloni di lui nella speranza di non essere trascinata via da quella cosa che aveva dietro di lei e di cui aveva iniziato a sentire i passi.
Dei passi  lenti, che sembravano quasi meccanici per via dello strano suono che producevano.
Tutto ad un tratto quello strano essere prese con la bocca lo zaino, e con le mani afferrò Isabel cercando di staccarla dalla presa sui pantaloni di Ace, che si era ancorato ad un albero con una mano, tentando con l’altra di tirare verso di se la compagna.
“lo sapevo che c’erano dei mostri, aiuto!”.
Le urla della ragazza si facevano sempre più intense come gli strappi di quello strano essere di cui Ace riuscì a scorgere solamente gli occhi di un rosso intenso, come se fossero due fari sempre accesi.
“ecco il mostro Shin” esclamò una voce sconosciuta.
Da un cespuglio sbucarono fuori due ragazzi vestiti con delle tute e proprio in quell’istante Ace ed Isabel svennero, aiutando il mostro a scappare via con la ragazza.
“te l’avevo detto che il tuo potere non serve a nulla!” dichiarò il ragazzo con la tuta arancione mentre scuoteva per le spalle il suo interlocutore con la stessa identica tuta ma blu.
I due ragazzi erano della stessa altezza e della stessa corporatura robusta, avevano gli stessi capelli scuri e apparentemente corti.
“sei solo invidioso perchè il diavolo l’ho mangiato io!” rispose l’altro ragazzo liberandosi dalla presa e andando a guardare Ace che dormiva con lo stomaco brontolante e con un braccio ancora ancorato al tronco dell’albero.
“mi dispiace rovinare i tuoi sogni, ma non vorrei essere un uomo puzzola come te!” affermò il ragazzo seguendo l’amico con la tuta blu che tirava su Ace.
“non sono ancora capace di usare altri profumi, e quindi? Se il mostro fosse stato più  vicino, sarei senz’altro riuscito a far svenire anche lui!” smentì lui iniziando a camminare con Ace a peso morto sulla sua spalla.
“in realtà non vuoi ammettere che sei un misero uomo puzzola!” disse il ragazzo dalla tuta arancione mentre ridacchiando,  si avvicinava ad una strana vettura con le ruote.
Era fatta di uno strano metallo nero, non aveva nessun tettuccio ne sportello.
Era dotata solo di un piccolo volante,un sedile il freno ed i pedali, dietro di esso c’era un piano un po’ concavo su cui il ragazzo col potere del frutto del diavolo si sedette poggiando Ace che dormiva beatamente bisbigliando delle frasi confuse, in cui pareva prendersela col mostro che cercava di rapire la compagna, minacciando che l’avrebbe mangiato crudo.
“che strano ragazzo, invece di svenire dorme beato!” ironizzò il ragazzo al volante, mentre si faceva strada tra le piante che rendevano il percorso pericoloso.
“Shin prova a svegliarlo con la puzza!” suggerì subito dopo, prendendo una curva tanto velocemente, quasi da buttare i due ragazzi di dietro fuori dal veicolo.
I due amici erano ormai abituati ad attraversare la foresta e non ci facevano ormai molto caso, anche se Ace per un filo non finì fuori dalla vettura.

Il ragazzo di nome Shin mise una mano sul volto di Ace, che subito reagì alla puzza stendendo il ragazzo con un pugno.
“dov’è il mostro? Lo farò alla brace!” sbraitò Ace contro il nulla, mentre ogni centimetro del suo corpo si era infiammato.
“merda Taichi lo strano tipo ha preso fuoco!” disse il ragazzo intontito dal pugno, ma capace di  prendere degli stracci e sbatterli su di Ace per cercare di far calmare le fiamme.
“cosa gli hai fatto? Hai tirato una puzza esplosiva?” rispose l’altro fermando il veicolo e avvicinandosi anche lui ad Ace, buttandolo a terra per non rischiare di infiammare il suo mezzo di trasporto.
“ora che lo vedo, non mi pare soffrire, anzi sembra solo infuriato!” commentò Shin guardando attentamente l’espressione di Ace che si dimenava al suolo, rotolando tra fiamme e terra.
“calmati tu! Il mostro è andato via con la tua compagna, ma se non ti calmi non possiamo andare a salvarla!” spiegò il ragazzo dalla tuta arancione, urlando a più non posso di fronte ad Ace che finalmente spense le fiamme.
I due ragazzi lo guardarono spaventati, non era di certo una cosa normale vedere qualcuno che prendeva fuoco e si spegneva a comando.
“dov’è Isabel?” domandò Ace mettendosi seduto per terra e guardando i ragazzi.
I due sospirarono, avevano capito che con lui sarebbe stato impossibile discutere in maniera normale, così il ragazzo dalla tuta arancione si addentrò nella parte più fitta della foresta alla ricerca di cibo, così da calmare Ace e spiegargli la situazione.
“La tua compagna è stata portata via da quel mostro, o almeno tutti dicono sia un mostro con le fattezze da demone, ma io e mio fratello pensiamo sia solo un robot comandato dalla ciurma della ‘divina’ Yuu. Sono ben sette anni che si sono insediati in quest’isola e rapiscono maschi e femmine a loro piacimento per obbligarli a fare svariati lavori, probabilmente questo enorme demone è un robot creato da loro.
Nessuno ha il coraggio di venire in quest’isola per via della stupida maledizione che tutti raccontano.
Comunque piacere io sono Shin, io e mio fratello Taichi siamo due costruttori dell’isola” spiegò il ragazzo levandosi la spessa tuta blu, rimanendo con un pantalone ed una maglietta bianca.
“Io sono Ace, e sono un pirata” si presentò lui rimettendosi in testa il cappello che era sceso sulla schiena.
Il ragazzo lo guardò divertito, non sembrava proprio un pirata, anzi era proprio il contrario.
“dove posso trovare Isabel?” continuò a chiedere Ace alzandosi in piedi e guardandosi intorno, dove però vide solo e soltanto natura.
“se è carina e single ti aiutiamo a salvarla!” rispose il ragazzo dalla tuta arancione, tornando con un enorme coccodrillo morto sulla spalla.
Ace concentrato più sul cibo che sulla domanda posta dal ragazzo, accese per terra un fuoco e ci mise dei legnetti preparando velocemente un fuoco dove arrostire la carne, prima che l’istinto lo prendesse in velocità, facendoglielo mangiare crudo.
“sei fatto di fuoco!” constatò Shin indicando il corpo di Ace. “io purtroppo sono in grado di creare odori, ancora non ne ho capito l’utilità” ammise lui mettendosi le mani sulla testa disperato.
“anche mio fratello, che è fatto di gomma, non trovava un modo utile di usare il suo potere! Una volta da piccolo si era gonfiato ed io l’ho usato come palla! Comunque penso che prima o poi troverai il motivo per cui hai questo potere! Però figo puoi coprire la puzza di quando vai al wc! Sai quante tirate d‘orecchia mi prendo da Isabel quando esco dal bagno!”  rispose Ace accarezzandosi l’orecchio che provocò dolore al solo ricordo.
“Ma allora questa tua compagna è bella e single?” continuò a chiedere Taichi intento a cuocere la carne davanti allo sguardo rapito di Ace.
“si lo è, però bisogna stare attenti è un pò pazza!” affermò Ace mentre nella sua testa galleggiavano i ricordi di tutti i momenti in cui la sua compagna dava l’aria di avere qualche problema.
“Non si parla così ad una dolce donzella! Comunque dato che è single e carina ti aiuteremo, vero Shin?” domandò il ragazzo, anche se il fratello sapeva che niente gli avrebbe fatto cambiare idea, quando si trattava di ragazze lui buttava all’aria la serietà ed il suo lato pervertito prendeva le redini della situazione.


____

Isabel non si trovava dentro lo stomaco del demone né in paradiso, per fortuna.
Non sapeva dove fosse andata a finire, però poteva capire dalla stanza che era di certo a casa di qualche riccone.
Si trovava in un lussuosissimo letto a baldacchino dai veli rosa, dello stesso colore delle coperte, delle fodere dei muri e dei tappeti. In tutto quel rosa che le faceva maledettamente venire il mal di testa, c’erano dei piccoli accostamenti di bianco come nei mobili e nelle piastrelle del pavimento.
Notò che anche lei era in tinta con la stanza, portando un leggero vestito rosa scollato e lungo fino alle caviglie, con dei pizzi bianchi.
Disgustata da tale abbigliamento la ragazza si alzò dal letto per andare a cercare i suoi vestiti, che potevano essere vecchi, sporchi strappati e ruvidi dalla lavata senza ammorbidente che non si era portata in nave, ma erano senz’altro più sobri di quelli che portava.

‘quando becco chi mi ha messo questo schifo addosso lo faccio diventare una polpetta di riso’

Cercò ovunque persino sotto il letto e sopra i mobili ma nulla, non trovò altro che pupazzi rosa e fiori del medesimo colore.

“oh, si è svegliata!” esclamò una voce maschile che Isabel poteva giurare di non aver sentito aprire la porta.
Era un uomo sulla trentina, alto e biondo con due grandi occhi azzurri, insomma il prototipo del tipico principe delle fiabe.
Indossava un completo nero su cui risaltava dentro la giacca, una camicia rosa pallido parecchio sbottonata.
Isabel storse disgustata il naso, non aveva mai visto un abbinamento così pessimo in vita sua, e non aveva intenzione di rimanere a lungo ad ammirare tale orrore.
“ehi tu dimmi dove sono i miei vestiti prima che metta fuoco a questa casa dell’orrore!” intimò lei facendo segno ai suoi vestiti ma senza toccarli, come se per lei avessero qualche orrendo virus maledetto e incurabile.
“Non vestivo di rosa da quando avevo tre anni, e non ho intenzione di indossare ancora queste orrende vesti” inveì lei strappandosi un lato della lunga e stretta gonna che non la faceva camminare bene.
L’uomo la guardò stupito e con uno sguardo tra l’incredulo e lo spavaldo, come se sapesse già che l’avrebbe vinta lui.
“Non ti piaccio?” domandò lui indicandosi il volto.
Lei scosse la testa schifata “non mi piacciono i biondi!” rispose indicandogli la folta chioma d’orata.
Tutto ad un tratto l’uomo che prima era biondo, diventò moro lasciando senza parole Isabel.
“ma io non sono biondo!” ribatté lui indicandosi i capelli che infatti erano scuri.
Lei lo guardò, era sicura che fosse biondo.. Anzi ne era certa.
“non mi piacciono neanche gli occhi chiari” ammise cercando di capire se magicamente anche gli occhi si sarebbero trasformati.
Ed infatti divennero neri, lasciando di stucco la ragazza che era ancora più intenzionata a fuggire.
“non mi piace neanche la pelle troppo chiara! E la fronte stretta! E sei troppo vecchio!” continuò a dire lei a casaccio, anche se non aveva un vero modello di bellezza voleva accertarsi di non avere un’allucinazione perenne.
“basta su, non elencare i dettagli che non ti piacciono quando non li ho! Vieni con me, dobbiamo provare gli abiti” asserì l’uomo aprendo la porta a punta di piedi e con il braccio alzato, anche se la maniglia era almeno 30 centimetri più bassa di lui, ed a Isabel parve invece di vedere un’altra mano stringere la maniglia.
“vestito per cosa? Ehi così non va bene però, sei Ace senza lentiggini!” urlò lei mettendosi le mani tra i capelli e correndo verso la finestra che però trovò sigillata da un lucchetto.
“come cosa? Sarai la mia ventesima sposa, non sei contenta?” domandò lui mentre sul suo viso apparvero delle lentiggini.
Isabel svenne.

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Capitolo 5
*** 5. Nella villa in rosa; Il matrimonio di Isabel e l'Uomo Fungo ***




..E dopo cinque giorni eccomi, con tempi per me record ad aggiornare! Questo capitolo pensavo di scriverlo con più difficoltà, ma quando l’ispirazione viene, meglio prenderla prima che voli via!
Capitolo come sempre enorme in cui vi levo qualche mistero dal precedente (forse sono stata troppo misteriosa eh?) inoltre sto pensando di alzare il rating della storia dal verde al giallo per quelle parolacce che ogni tanto servono, e quel po’ di violenza che cerco di trattenere ma non sempre fa. Che mi consigliate, voi più esperti di me?

Intanto come sempre vi ringrazio perché siete davvero tanti a leggere questa mia prima fanfiction! anche se non commentate, vedere quel numerino al lato dei capitoli mi gasa!
Spero che il capitolo vi piaccia, alla prossima ^^

____

Uno strano odore risvegliò Isabel, che aprendo gli occhi si trovò nuovamente spaesata.
Per fortuna non stava più in quella stanza tutta rosa, ma si trovava sopra una strana poltrona bianca dove due donne le sbattevano strani batuffoli nel volto, senza capire bene il perché.
“ehi che fate? Mi state soffocando con qualche sostanza velenosa?” gridò lei scattando in piedi e guadandosi intorno.
Era in una piccola stanza, tutto di un tranquillo color crema con dei mobiletti in legno su cui erano poggiate delle scatolette con pennelli, strane bottigliette, boccette e colori, dedusse così che probabilmente si trattava di trucco.
“signorina la prego stia ferma abbiamo quasi finito!” rispose allarmata una delle due donne cercando di mettere al riparo tutto ciò che Isabel stava facendo cadere in preda alla rabbia.
“perché ho le unghia smaltate? Perché mi state truccando? Perché indosso ancora questo orrendo abito, e perché ho questa acconciatura ridicola?”.
Era nel più totale panico, mentre su un enorme specchio si osservava senza parole.
Aveva i capelli raccolti da tanti fermagli con perle luccicanti e fiorellini bianchi, era truccata tanto da non riconoscersi, la sua pelle era più lucida del normale con le guance rosa e due ciglia lunghissime, la sua espressione era quella di una persona disgustata.
“signorina si calmi, il matrimonio è tra due ore e se non è pronta verremo mandate nel livello uno!” pregò l’altra donna prendendo per le spalle Isabel inferocita, che sembrava contornata dalle fiamme come Ace.
“io non mi sposo con nessuno, lo volete capire? Levatemi queste cose dei capelli!” protestò lei tirandosi via le varie decorazioni che ornavano i suoi capelli.
Le due donne così, sotto gli ordini del loro capo furono costrette a spruzzare sul volto di Isabel una strana bomboletta che la fece cadere al suolo incosciente.
“mi dispiace per questa ragazza, ma se rovina il trucco e l’acconciatura il signore non ci perdonerà” ammise una delle due donne, rimettendo Isabel sopra la poltrona.
_____

Era ormai l’alba quando Ace, Shin e Taichi uscirono fuori dalla foresta.
I due fratelli avrebbero aspettato anche tutta la notte prima di partire, ma dopo un tentativo di fuga da parte di Ace, i due si arresero all’idea di dormire e iniziarono a darsi il cambio per guidare il veicolo che li avrebbe portati in città.
“ancora non mi è del tutto chiaro il perché lo stiamo aiutando!” si domandò Shin mentre osservava Ace durante la sua colazione a base di coniglio preso durante il viaggio.
“vi farei entrare nella mia ciurma ma se venite poi Isabel se ne va!” rispose Ace senza far caso ai due che non parlavano proprio in maniera positiva di lui, figurarsi entrare nella sua ciurma di pirati.
“parli della dolce donzella che oggi salverò? Perché non vuole restare se veniamo anche noi?” domandò Taichi che aveva chi occhi illuminati alla sola idea di stare tutto il giorno con una bella ragazza, immersi nel pericolo in cui lui avrebbe potuto sguazzare per irrobustire il suo dubbio fascino su di lei.
“lei mi sta accompagnando fino a che non troverò qualcun altro che stia attento a quello che combino” spiegò lui buttando per terra i resti di quel coniglio, ovvero le ossa rosicchiate.
Si rimise il cappello che aveva poggiato vicino a lui per non farsi ombra, mentre le luci mattutine iniziavano ad irradiare la foresta.
“ora andremo verso il retro della villa che è proprio alla fine di questa foresta verso est. Dobbiamo essere cauti perché la tua compagna potrebbe essere ovunque e se facciamo troppo baccano rischiamo di essere battuti!” spiegò Taichi indicando la villa che iniziava a farsi vedere tra gli alberi.
Era altissima ed il tetto di colore rosa lampeggiava tra le foglie.
“ma dove mi state portando?” Ace era impietrito con lo sguardo rivolto a tutto quel rosa che non gli dava per nulla l’aria di una temutissima villa abitata da gente pericolosa.
“lo so, è un po’ bizzarra, ma essendo una donna a capo di tutto questo si può anche capire tutto questo rosa” rispose Shin scendendo dalla piccola vettura che si era appena fermata.
Fece un gesto ad Ace per seguirlo, anche se lui era impensierito.
Non sapeva che le donna potessero usare tutto quel rosa senza risultare delle pazze, non aveva mai visto una donna vestire di rosa in vita sua e sperava che questa fosse stata l’ultima volta che i suoi occhi incontrassero tale colore lampeggiante.
I tre si nascosero dietro un cespuglio osservando la villa da vicino.
Stranamente fuori non c’era nessuno e non si udiva il ben che minimo rumore se non quello degli uccelli che ogni tanto volavano accanto a loro, così decisero di uscire allo scoperto, ogni minuto era prezioso.
“non c’è davvero nessuno! Che qualcuno si sia infiltrato prima di noi, e stia attirano l’attenzione?” ipotizzò Taichi andando verso il portone seguito dagli altri due.
Con una mano di ognuno poggiata sulla porta, la spinsero fino ad aprirla e trovarsi davanti una strana stanza.
Era enorme e non sembrava avere scale né altro, era solo contornata da tappeti rosa, muri d’orati e tre porte alla fine della stanza, ognuna delle quali aveva stampato un numero da uno a tre lampeggiante.
“ma siamo sicuri di non essere finiti dentro ad un casinò?” domandò Shin tenendo Ace per la sua collana fermando il suo tentativo di fuga furtiva verso le porte luminose.
“probabilmente ogni porta conduce ad un piano, non sapendo dove si trova la ragazza dovremmo dividerci, dato che siamo in tre è perfetto!” rispose Taichi dandosi una sistemata ai capelli castani, mentre aveva il presentimento che la ragazza l’avrebbe salvata lui.
“Ace com’è questa ragazza? Così se la trova uno di noi due la riconosce!” continuò lui agitando Ace che ancora tentava di correre strozzato dalla presa di Shin.
“E’ piccola, ha i capelli corti e scuri, e appena le farete notare che è bassa vi tirerà una scarpa su per la bocca fino a strozzarvi” descrivete Ace ricordando il primo incontro, e poi abbassando la testa liberandosi dalla collana e quindi dalla presa di Shin.
Arrivò con velocità davanti alle tre porte, in cui al centro vi era un bottone rosso.
Ace lo premette, e le tre porte si aprirono automaticamente buttando una grossa quantità di fumo in tutta la stanza.
“sei un pazzo!” urlò Shin iniziando a strozzare Ace che era già stordito dal fumo, mentre suo fratello cercava di staccargli le mani dal collo ripetendogli che ormai il disastro era stato fatto.
“Shin non è ora per le tue crisi d’ira, fermati” cercò di calmarlo il fratello.
Avevano un difetto molto simile, Taichi soffriva di strani tic che si attivavano alla vista di belle ragazze e che lo facevano svenire, mentre Shin nei momenti critici finiva per avere crisi violente e picchiare la persona più vicina a lui.

“sarebbe stato meglio aspettarli a fine scalinata, ma poi ci saremo persi il matrimonio” delle basse parole fecero largo nella stanza, mentre il rumore di passi si faceva sempre più forte.

“e questo non va affatto bene” rispose un altro uomo che era alla stessa distanza dall’altro.

“cercate di non sporcare il posto, non intendo pulire un’altra volta!” un terzo uomo fece la sua comparsa, e per primo sbucò dalla porta numero uno.

Dopo di lui uscirono altri due uomini dalle porte rimanenti.

Shin mollò la presa da Ace che continuava a tossire affaticato, ed i tre anche se con un po’ di fatica dovuta alla scarsa visibilità data da quello strano fumo, si divisero uno davanti ad ogni porta dove era piazzato un uomo.
“io sono il giardiniere” si presentò il primo uomo mostrando a Taichi davanti a lui delle enormi e aguzze forbici da potatura.
“io sono il cuoco” continuò il secondo, mostrando in una mano una pentola ed in un altro una frusta elettrica più grande del normale. Shin davanti a lui lo guardò a bocca aperta affamato, la notte scorsa Ace non gli aveva lasciato neanche un osso e lo stomaco non ragionava più.
“io sono il maggiordomo” finì il terzo di fronte ad Ace con uno strano attrezzo sulle spalle ed una pompa tra le mani.
“andate a lavorare, noi siamo in missione segreta!” esclamò Ace avvicinandosi ancora di più alla porta numero tre.
Aveva perso fin troppo tempo e non aveva intenzione ti sprecarne altro con tre damerini.
“che ragazzino maleducato!” affermò il maggiordomo attivando quello strano attrezzo che aveva tra le spalle e puntando la pompa davanti Ace la cui testa venne risucchiata dal tubo, come un aspirapolvere.
“Ace” esclamarono i due fratelli che non appena cercarono di andare ad aiutarlo, furono fermati dal giardiniere e dal cuoco.
Shin cercò di colpire con un pugno deciso il cuoco che con agilità mise a proteggersi la pentola, che però venne bucata dal pugno che finì nel suo volto.
“levatevi o vi uccido!” intimò il ragazzo prendendo per il colletto il cuoco disteso a terra con il naso colante di sangue, probabilmente la crisi violenta non gli era ancora del tutto passata, visto che iniziò a picchiare in testa al nemico la pentola che poco prima aveva bucato.
Intanto, Taichi con un graffio sul volto cercava di evitare il giardiniere, che sicuramente non era solo un lavoratore dei giardini.
I suoi passi erano veloci quanto i suoi, e le sue braccia muovevano quell’attrezzo con una forza spaventosa.
“tu non sei un giardiniere!” dedusse lui schivando l’ennesima lama che cercava di colpirlo alla base dello stomaco.
“io ed i miei colleghi abbiamo un piccolo passato da pirata!” confermò l’uomo ridacchiando per aver preso per la seconda volta il ragazzo la cui maglia venne leggermente tagliata.
“Shin smettila di uccidere quell’uomo e vienimi ad aiutare prima che Ace muoia soffocato da quell’aspiratutto!” urlò Taichi riuscendo finalmente a far perdere l’equilibrio del suo nemico, facendolo cadere al suolo e dandogli qualche secondo per guardare che stava facendo il fratello.
Shin era intrappolato con i capelli nell’enorme frusta del cuoco, che lo faceva girare con una velocità spaventosa.
Taichi capendo che non c’era più tempo da sprecare, con un piede fermò il polso del giardiniere, rubandogli il potatore e staccando le due parti combacianti.
Con la prima lama puntata sul volto del giardiniere costretto alla resa, usò la seconda per tagliare di netto i capelli di Shin che vennero liberati dalla frusta elettrica.
“ehi mi hai tagliato i capelli! Se mi hai fatto calvo ti uccido!” sbraitò Shin tirando un pugno verso il cuoco che finì per sbattere al muro molto distante da lui.
Ace intanto per salvarsi si trasformò interamente in fuoco, ustionando il maggiordomo ma non la pompa, che probabilmente era fatta di un materiale resistente alle fiamme.
“sei tu l’esperto con le lame!” affermò Taichi passando una lama della forbice da potatura al fratello, che con un lancio preciso colpì la pompa tagliandola proprio nel punto in cui Ace era incastrato.
I due si avvicinarono al ragazzo che non più infiammato, era però con l’intera testa dentro quel pezzo di tubo tagliato, così i fratelli dovettero tirarlo via con la forza per diversi minuti, prima di liberare Ace dalla stretta del tubo che modificò persino la forma dei suoi capelli, che erano sparati in aria come il pelo di un porcospino.
Shin prese la lama restante tirandola contro il giardiniere che li stava per prendere di sorpresa da dietro, appendendolo con la lama conficcata nel muro sulla sua giacca.
“stiamo cercando una ragazza bassa dai capelli scuri ed un po’ violenta, questa notte è stata portata via da uno degli strani esseri che mandate nella foresta, dicci dove si trova e non ti farò del male” asserì Shin prendendo in mano la padella bucata del cuoco KO.
Il giardiniere li guardò prima contrari, ma non appena il ragazzo gli si avvicinò con occhi diabolici aprì la bocca spaventato, dicendo l’unica cosa che sapeva.
“ora c’è un matrimonio, probabilmente la ragazza si trova lì! È alla fine della terza porta. Io non so altro, giuro!” sostenne il giardiniere dimenandosi per cercare di liberarsi, senza riuscirci.
I tre ragazzi si incamminarono velocemente verso la terza porta, l’orologio segnava le 10:43 quindi probabilmente il tempo a loro disposizione era sempre meno.
“e se qualcuno volesse sposare la mia dolce Isabel?” esclamò Taichi scuotendo la testa disperato.
“smettila di dire cazzate, non la conosci neanche!” urlò di rimando Shin, colpendo con la pentola il fratello, mentre Ace si faceva spazio tra i due per arrivare il prima possibile, dentro si sentiva crescere sempre più enormemente, un cattivo presentimento.
____

Il matrimonio era iniziato da ormai quarantacinque minuti e stava per concludersi.
Isabel pregava perché a qualcuno -compresa lei- venisse un infarto così da sospendere la cerimonia.
Seduta su una sedia con braccia legate da una corda,caviglie ammanettate, con un enorme cerotto sulle labbra e gli occhi infuocati la ragazza cercava di liberarsi dalla presa per uccidere quello che davanti a lui aveva preso le sembianze di Ace, senza aver capito ancora come e perchè stava per sposare.
Il prete dell’occasione era parecchio goffo ed imbarazzante, tanto da non ricordarsi neanche le preghiere ed i riti dell’occasione che si era disordinatamente appuntato in un foglietto.

Aspetta che mi libero e ve le faccio fare io le preghiere


L’unica cosa positiva della cerimonia era il suo vestito bianco enorme dalla gonna piena di veli e la scollatura che all’incirca avrebbe pagato le riserve di cibo per un anno di Ace mentre con i gioielli e le scarpe avrebbe potuto comprare tre dozzine di navi pirata.
La cerimonia per lei era solo un modo di farsi due calcoli su cosa avrebbe potuto rubare da quella villa anche perché, trovava fosse il minimo derubarli dopo questo rapimento in piena regola.
“beh, ora posso pronunciare la famosissima frase che conclude tutti i matrimoni, anche se sono sicuro che nessuno avrà da ridire su ciò” iniziò il prete ridacchiando fastidiosamente, probabilmente sapeva già che nessuno avrebbe detto una parola.
“se in questa sala c’è qualcuno che si oppone al matrimonio parli ora o taccia per sempre” terminò la frase riponendo il foglio dentro le vesti dove probabilmente indossava un orrendo pantalone.
Nessuno fiatava o forse neanche respirava dentro quella sala, le persone sembravano quasi terrorizzate all’idea di far sentire un minimo cenno di rumore.
“obbiezione!” esclamò una voce lontana dalla sala, che aveva appena aperto l’enorme portone della stanza.
Con lui c’erano altre due persone, una delle quali cadde a terra grondante di sangue al naso.
“maledetto Taichi, ti sembra il momento giusto di svenire solo alla vista della sposa che è lontana anni luce? E tu Ace, obbiezione si dice durante i processi, non i matrimoni!” spiegò Shin incamminandosi verso in centro della sala trascinando con una mano il fratello.
“Qua non c’è Isabel, non la vedo!” disse Ace alzando un po’ il cappello come a voler migliorare la visuale.
Guardò attentamente tutti i presenti compresa la sposa legata che si muoveva nervosamente, fino a cadere con la sedia a testa in giù mostrando le mutande a tutti gli invitati sconcertati ed a un Taichi appena rispeso che svenne di nuovo.
La sposa con uno slancio di fianchi ribaltò un po’ la sedia coprendosi e tirando un calcio con le gambe ammanettate, verso Ace che cadde qualche metro più in là.
Il ragazzo si rialzò avvicinandosi alla sposa e levandole il cerotto dalla bocca, quei calci gli erano famigliari.
“brutto scemo non lo vedi che sono io? Perché non sei venuto prima? Sai che stavo per sposarmi con un maniaco? Chissà cosa mi avrebbe fatto! E invece tu, ammettilo ti stavi facendo un pisolino da qualche parte con i tuoi nuovi amichetti, per fortuna che te li sei trovati così posso andarmene da qualche parte con i soldi che mi farò rivendendo questo abito e bruciando queste mutande e queste calze fastidiose come la carta vetrata!” urlò Isabel aggiungendo ogni tanto delle parolacce per accentuare la rabbia.
Gli invitati rimasero tutti a bocca aperta scattando fotografie alla sposa furiosa.
“calmati cara, ora mi libero di questi barbari e passiamo a terminare le nozze” rispose l’uomo che stava per sposare Isabel, avvicinandosi col prete a Shin, Ace e Taichi ancora svenuto.
Il prete si levò con noncuranza la tunica mostrando i due enormi fucili che teneva sulle spalle, e che senza preavviso azionò sparando contro i tre ragazzi.
Ace per proteggere tutti dagli enormi proiettili innalzò una barriera di fuoco tra di loro proteggendo così anche Isabel la cui sedia stava però andando a fuoco.
“brucio!” esclamò lei che si dimenava ancora legata.
Shin con una lama rubata ad uno delle guardie sconfitte poco prima tagliò la corda che legava per le braccia e la sedia Isabel liberandola almeno dal pezzo di legno che prese fuoco.
Le caviglie però erano legate da delle manette di un materiale così solido da non farsi neanche un graffio, così Ace se la caricò sulle spalle tentando la fuga per non ferire qualche innocente nella sala.
“stai attento al vestito, con questo diventerò ricca!” spiegò la ragazza battendo qualche colpo sulla schiena di Ace che poco dopo si fermò notando che nessuno parlava.
Tutti guardavano lo sposo con gli occhi a cuoricini, tutti tranne Ace che si chiedeva perché ammirassero tanto quell’uomo.
“come hai fatto a diventare donna ora! E cosa sono quelle sembianze! Sono io versione donna di facili costumi! Togliti subito il mio aspetto!” sbraitò Isabel che si muoveva e contorceva tra le spalle di Ace per guardare meglio l’aspetto orrendo che aveva assunto quel mostro.
“ma che dici, io vedo solo un nano ed un prete con due fucili!” rispose Ace guardando dal basso quello che invece gli altri guardavano col naso all’insù.
“io non sono un nano!” esclamò lei tornando un lui con le sembianze del biondo che inizialmente Isabel aveva visto.
“no io ti vedo nano!” ribatte Ace toccando la testa dell’uomo per accertarsi della misura, anche Isabel con fatica riuscì a notare che Ace stava toccano qualcosa con la mano, anche se sembrava sfiorare il nulla.
“come fai a vedermi, ragazzino! Io sono un uomo allucinogeno, ho il temibile potere del frutto del diavolo, posso farti vedere quello che voglio!” rispose lui iniziando a mostrare ai presenti le molteplici allucinazioni di cui era capace, tra unicorni e dinosauri rosa.
“sei un uomo fungo!” comprese Ace ridendo di gusto davanti all’uomo che puntò il dito contro di lui, facendo capire al prete di sparare ancora.
Ace sollevò un’altra barriera di fuoco emergendone con un pugno infuocato che colpì il presunto prete allo stomaco facendolo sbattere all’altare che iniziò a prendere fuoco.
“io sono il divino Yuu, un ex pirata la cui taglia è di quindici milioni di berry e che tu puoi solo sognare di battere! Grazie alle mie allucinazioni ho schiavizzato guerrieri fortissimi oltre che un intera popolazione, tutti hanno paura solo di avvicinarsi a me! Ora arriveranno senz’altro il giardiniere, il cuoco ed il maggiordomo insieme a tutte le guardie, e la pagherai per l’affronto!” intimò l’uomo ridendo fastidiosamente.
La stanza si fece silenziosa, forse perché tutti gli invitati stavano fuggendo ed anche Isabel ammutolì, non avrebbe avuto scampo contro un uomo con così tanti alleati, e lei era imprigionata e quindi un sacco di patate umano.
“ah quelli? Li abbiamo già sconfitti!” rispose Ace facendo sbiancare il volto di quello che lui vedeva nano, con un naso enorme e spelacchiato.
“Ace fammi scendere e dimmi dove devo mirare!” ordinò Isabel che si fece mettere in piedi a fatica, con le caviglie legate ed una ancora dolorante dalla volata fatta ieri.
“se vuoi farli male mira all’altezza delle tue ginocchia!” spiegò Ace indicano la posizione del nano, che Isabel colpì con un destro potente, mentre alcuni degli invitati facevano ancora fotografie alla sposa.
“spero che le prossime allucinazioni che farai siano all’inferno, porco!” gridò lei rimettendosi con un saltello, sopra la spalla di Ace andando ad aiutare Shin ed il rinvenuto Taichi che evacuavano gli schiavi innocenti dell’uomo-allucinogeno.

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Capitolo 6
*** 6. Sorprese e problemi; fuggire dall'isola sfortunata ***



Aggiornamento lampo!
Questo capitolo alla luce per miracolo, durante un pomeriggio afoso e senza internet in cui non avevo altro da fare se non inveire sui tasti del mio povero pc.
Il capitolo sarà un po’ più spensierato, anche perché questi poveri non possono combattere sempre, no?
Con indizi sparsi qua e là sul finale che lascerà sicuramente il dubbio, come sempre ringrazio tutti i miei lettori fedeli, e la mia bellissima triade di bellissime recensionistE (vi adoro)!
Comunque se passiamo dal tre al quattro non mi dispiace eh, ma neanche con i numeri dopo u__u
vabbè, buona lettura xD
Ps: se dopo aver letto vi chiederete “ma è possibile trovarle su un vetro? La mia risposta è sì, l’autunno scorso ne ho trovata una nel vetro del mio salotto (dalla parte di fuori naturalmente) ed ho la foto per i scettici! :O





Erano passate ormai un paio d’ore dalla battaglia nella villa rosa, ed Ace dormiva beatamente nella stanza degli ospiti a casa di Taichi e Shin.
Nella cucina, Isabel chiacchierava con i due fratelli informandosi su come avrebbe potuto attraversare la foresta in poco tempo.
Dalla villa aveva portato via insieme al suo abito da sposa costoso, due quadri ed un porta candele in oro che avevano fruttato il loro bel bottino.
“Mio dolce petalo di ciliegio, perché non lasci quella scimmia e usiamo i soldi rubati  per vivere felici in eternità?” domandò Taichi ammirando la ragazza sorseggiare una camomilla con sguardo assonnato.
La notte prima l’aveva passata malissimo, tra rapimento e matrimonio non era di certo in forma, ma comunque in grado di tirare uno schiaffo al ragazzo che cadde al suolo toccandosi il volto e mormorando frasi d’amore sulle sue mani vellutate, subito prima di svenire.
“ti ho detto di non chiamarmi così!” rispose lei senza distogliere lo sguardo da Shin che gli raccontava qualcosa sul posto.
Si narrava che quest’isola fosse molto vicina alla rotta maggiore e perciò avesse mantenuto la strana vegetazione inabitabile per le persone normali.
Quando Yuu il pirata allucinogeno si stabilì nell’isola capendo che essa era molto insidiosa mise false voci su mostri tremendi che la abitavano, e che invece lui costruiva per raccogliere la gente che si addentrava e schiavizzarli per la costruzione di strani attrezzi meccanici di cui però Shin e Taichi poterono solo vedere per qualche istante prima di fuggire dalla villa in fiamme, questo era tutto quello che avevano capitolo dalla breve comparsa.
“Per fortuna che dopo sviene, è imbarazzante avere un fratello così fissato con le donne” si scusò Shin prendendo la tazza vuota di Isabel e dandogli una veloce lavata.
La ragazza si alzò dalla sedia sistemandosi la lunga camicia gialla che Ace gli aveva prestato per poter vendere il vestito da sposa, o almeno lui ancora non sapeva di questo piccolo prestito.
Nonostante le arrivasse fino alle ginocchia la trovava molto comoda, almeno tanto da resistere fino a domani, dato che non intendeva fermarsi tanto in un posto dove aveva attirato già troppo l’attenzione.
“Io al tuo posto, l’avrei già ucciso” scherzò lei tirando fuori da una delle tante buste un enorme focaccia.
“che ci fai con quella?” chiese Shin perplesso, ormai era quasi mezzanotte e mangiare tutto quel pane non faceva tanto bene.
“E’ per Ace, di notte gli prende a brontolare lo stomaco e se non gli metto qualcosa in bocca rischio di essere divorata” spiegò dirigendosi verso una delle porte, quella in cui si trovava la stanza dove avrebbe dormito.
I due si salutarono augurandosi una buona notte e si diressero nelle loro stanze, Shin trascinando Taichi a peso morto dato che non si era ancora ripreso dalla manata.
“devi sempre farci fare figuracce!” urlò dall’altra parte della stanza Shin, facendo tremare persino i vetri della finestra nella stanza di Isabel e Ace che avrebbero condiviso la stanza, Ace nel pavimento e lei nel letto.
Però in quella finestra che tremava c’era qualcosa di strano, e nel dubbio di andare e spaventarsi, o non andare ma non dormire lo stesso per la paura si diresse verso di essa dove vide attaccato al vetro esterno, una piccola ranocchia.
Aveva paura di tante cose, ed una di quelle erano le rane che fossero vicine, lontane anni luce, piccole, grandi e persino finte lei non poteva averne una sotto gli occhi.
Il loro sguardo fisso e vuoto la poneva in agitazione tante da far cadere il pane tra le mani ed iniziare a fissarla tremolante, mentre la rana sembrava ricambiare tale sguardo ma con uno molto più diabolico.
La rana si mosse, facendola cadere al suolo disperata.
“Ace vieni qua!” esclamò lei tirandolo per il naso e ricevendo come risposta un ‘lasciami dormire’ , così si trovò costretta a ricorrere al peperoncino, un idea di Shin per svegliarlo a distanza.
Si era fatta preparare delle piccole palline su cui fare canestro dentro la bocca di Ace e svegliarlo tra i bruciori.
Aprì il barattolino in vetro, con gli occhi un po’ strizzati per avere una migliore concentrazione tirò una pallina finendo al primo colpo sulla bocca spalancata del ragazzo, che si svegliò iniziando a tossire.
“mi è entrato un ragno in bocca?” domandò lui voltandosi verso Isabel che istintivamente nascose il contenitore del peperoncino.

Si stava strozzando ma non gli bruciava? Maledetto fuoco! O chissà quante schifezze avrà mangiato! Ormai non deve fargli più effetto neanche il fiele!


“Chissà.. Chi lo vedrebbe con questo buio?!? Comunque vieni qua, Ace mi devi aiutare contro Paquito” affermò lei rialzandosi e indicando la finestra.
Ace si avvicinò dubbioso, come se non capisse quale fosse il problema.
“la rana!” spiegò lei intuendo la confusione del ragazzo, ma poi accorgendosi che ora le rane erano due.
“che nome è Paquito?” domandò lui mettendo l’indice destro sul vetro come a voler toccare le due rane.
“bisogna sempre dare un nome al nemico sprovvisto di ciò!” sostenne lei accompagnando il gesto con un’espressione mezza seria come a volersi proclamare grande guerriera dai monumentali principi morali.
“ma non un nome così brutto, è crudele!” inveì lui, facendosi poi prendere dalla visione due ranocchie sul vetro.
Isabel non rispose ma gli diede un pugno sulla testa, facendolo inginocchiare per l’impatto violento della mano.
Si sentiva un po’ come una fisarmonica compressa, tanto era la forza delle sue braccia che ogni giorno gli parevano sempre più pesanti.
“guarda come giocano!” cambiò discorso tornando in piedi e ridacchiando alla vista delle due rane una sopra l’altra.
Isabel sbiancò capendo che probabilmente quello non era proprio un modo di giocare delle rane.
“levale, separale, mandale via ti supplico!” pregò lei scuotendolo per le spalle nude e calde e proprio per questo staccandosi subito, sentendosi già troppo in imbarazzo per le rane.
“perché non vuoi che giochino?” domandò lui guardando a scatti le rane, e poi la compagna.
Lei scosse la testa disperata, non poteva dirgli cosa stavano facendo quindi doveva sperare solo che la sua paura bastasse a fargli compiere quel favore.
“ho paura delle rane che si acc.. Volevo dire delle rane che si.. Accoltellano! Sì Ace si stanno uccidendo, l’ho visto in un documentario delle rane killer con i loro pugnali tanto piccoli da essere invisibili all’occhio umano! Salva Paquito!” esclamò lei che si sentiva soddisfatta della sua perfetta correzione del verbo accoppiare che le stava per uscire dalla bocca.
Ace aprì subito la finestra prendendo per le mani le rane e staccandole, poi buttandole in due direzioni diverse.
Isabel tirò un sospiro di sollievo mentre Ace ancora con la finestra aperta mandava una piccola preghiera al povero Paquito.
“E pensare che sembravano tanto divertite!” esclamò lui chiudendo la finestra e girando lo sguardo verso la ragazza, che tra rane, accoppiamenti ed imbarazzo era pallida e tremolante come se fosse dentro ad una cella frigorifera.
“tranquilla Paquito è vivo, secondo me era lui sopra che spingeva col pugnale” Ace cercò di consolare la compagna tenendola in un piccolo abbraccio che la fece sussultare ancora di più.

Dietro alla porta di quella stanza, più precisamente con una cannuccia infilata nella serratura, Shin e Taichi osservavano la scena, allarmati dal primo urlo della ragazza.
“ora lo fanno!” sussurrò Taichi che per poco non versava lacrimoni vedendo svanire dalle sue mani l’ennesima ragazza, affianco a lui, il fratello gli tirava pacche sulla spalla per consolarlo.


“Ace..” bisbigliò lei con voce debole e agitata, alzando il volto che prima sbatteva contro i pettorali caldi di lui, ed incrociando gli occhi del ragazzo, un po’ lucidi per la povera rana che aveva fortunatamente salvato.
Anche lei aveva gli occhi brillanti accompagnato dal suo piccolo labbro inferiore tremolante come il resto del corpo.
“Io ti.. Io ti am..” non riusciva a pronunciare quelle parole che anche se sentiva dentro di se fortissime, le parevano quasi imbarazzanti per l’ora e soprattutto per la gente nella stessa casa che poteva udirle, ma sentendosi sempre più strette le mani di lui contro la sua schiena, non resistette più urlando con la voce più sforzata possibile un “io ti ammazzo” seguito da una mano che afferrò con forza l’orecchio destro di Ace che subito cadde a terra terrorizzato dalla sua compagna, ma non capendo cosa avesse sbagliato in tutto ciò.
“come osi toccarmi con le stesse mani con cui hai preso quelle cose viscide?” inveì lei aprendo la porta per sbatterlo fuori, ma notando che gli altri due ragazzi erano davanti alla porta con due cannucce infilate nella serratura ed un occhio concentrato su quel buco.
“mi correggo, io vi ammazzo” sbraitò tirando via Ace che andò a sbattere su i due fratelli che a loro volta incapparono sul muro.
“ora ho solo questa maglietta schifosa, la dovrò togliere almeno la notte per essere sicura di non metterci le mani!” spiegò lei chiudendo la porta, e dopo accompagnandoci qualche mobile pesante per essere sicura di non avere disturbi.
“si toglie la maglia!” mormorò Taichi svenendo anche se appiccicato al muro che portava una crepa proprio all’altezza della sua testa.
Ace si grattò la testa un’altra volta, non aveva capito perché prima lei fosse preoccupata per quella rana, e subito dopo la odiasse.


______


I quattro partiti all’alba verso la foresta, erano ormai vicini al mare da cui scorgevano già la vela piegata della loro imbarcazione.
I ragazzi viaggiavano con il veicolo dei due fratelli che si erano decisi ad accompagnare i due per ringraziarli dell’aiuto con Yuu.
Dietro il motore su cui erano seduti Ace e Isabel, venivano trascinati altri tre pezzi incatenati tra di loro come una sorta di treno, e che portavano tutte le provviste ed i soldi che si erano guadagnati.
“guarda Isabel, c’è un gabbiano dei giornali!” esclamò Ace puntando un dito verso il cielo che più ci si avvicinava al mare e più era luminoso e senza foglie di enormi alberi a coprirlo.
Isabel sollevò il braccio attirando l’attenzione dell’uccello che scese per farsi prendere un giornale e l‘incasso.
Lei gli mise le monete sul taschino blu nel collo e lo accarezzò prima che riprendesse il volo.
“guardala com’è magnifica quando è gentile!” esclamò Taichi alla guida, prima di cadere vittima di uno dei suoi svenimenti, che prontamente fu intuito da Shin che prese il suo posto a guidare.
Isabel aprì il giornale leggendo le varie notizie, in prima pagina c’era una delle tante imprese di Barbabianca che stava facendo come al solito impazzire la marina con tutti i giovani che stava facendo crescere.
Qualche pagina più in là lesse dell’incidente avvenuto in quest’isola.
Rilesse tutto più volte non credendo ai propri occhi.

La divina Yuu -così conosciuta da tutti- la più grande nobile e benefattrice dell’isola sfortunata era stata sconfitta da quattro ragazzi il cui nome era tutt’ora sconosciuto ma che andavano subito catturati per la violenza usata sul nobile.
Dei ragazzi sappiamo solo che due sono fratelli, e gli altri due probabilmente amanti.

Era un nobile? Ormai anche la marina si fa corrompere per due soldi’  pensò lei riflettendo sull’articolo.
ehi, aspetta.. c'è scritto amanti!

Staccata dalla pagina, c’erano quattro volantini dalla carta gialla quasi vecchia ed un po’ stropicciata.


Pugno di Fuoco; 35 milioni di berry.

I due fratelli: il sanguinolento e l’ esamine; 15 milioni di berry

La principessa impetuosa; 10 milioni di berry.


“ma che cazzo!” esclamò lei rileggendo più volte i nomi e la frase "amanti"
Era infuriata anchedal fatto che la sua foto fosse una inquadratura imbarazzante di lei a penzoloni sopra le spalle di Ace, dove la scollatura sembrava il doppio di quella che in realtà era, e che il nome fosse così stupido e privo di fantasia.


“fammi vedere!” rispose Ace guardando i volantini felice come non mai.
Finalmente avrebbe dato un segno al fratello di come stava procedendo la sua avventura.
“non è possibile che tu abbia una taglia del genere! Nell’articolo c’è scritto persino che oltre ad un potente frutto del diavolo probabilmente utilizzi l’haki! Questi vogliono farci fuori prima che arriviamo sulla red line!” si infuriò Isabel buttando il giornale dietro di se, dove c’erano le provviste, e pregando che nessun'altro lo legga.
E’ vero che Ace era riuscito a vedere oltre le illusioni, ma che persino utilizzasse l’haki era assurdo, non ne aveva mai dato prova, ma sperava fosse vero almeno per avere vita più longeva.
“che cos’è l’haki?” domandò Ace passando i volantini a Shin che ribolliva dalla rabbia per il suo soprannome che rimarcava i suoi attacchi d’ira.

Bene, e lui dovrebbe possedere qualcosa che neanche conosce..

“l’haki è l’abilità più rara e potente che un uomo possa avere. E’ persino capace di fermare i frutti del diavolo rogia come il tuo, o di prevedere gli attacchi come mio nonno. È una cosa che richiede anni di allenamento oltre naturalmente averlo nel sangue. Tutti i pirati più forti lo posseggono, ed ora che la marina ha il dubbio che tu lo utilizzi faranno di tutto per fermarti il prima possibile” spiegò Isabel mentre il motore si spegneva.
Erano appena arrivati nella spiaggia, dove la loro piccola imbarcazione li aspettava.
“noi due dobbiamo scappare, o nostro padre verrà ad ucciderci, sapete è un costruttore di navi della marina” ammise triste Shin, poggiandosi con la schiena alla nave.
“venite con noi, tanto Isabel ha perso la scommessa e deve restare con me! E poi abbiamo una cosa in comune, anche i nostri nonni lavorano per la marina” propose Ace facendo innervosire la ragazza che sperava si fosse scordato di quella maledetta scommessa, ed in più si era ricordata di suo nonno che sicuramente si era già messo a cercarla e perciò doveva sbrigarsi perché conoscendolo ci avrebbe messo la metà del tempo impiegato da lei ed Ace per arrivare sull’isola.
“sì ci avevi raccontato di quella scommessa! Hai trovato una buona compagna grazie alla fortuna, eh? Comunque io..” Shin fu fermato da una strana scossa che invase la spiaggia, facendo cadere Isabel dalle scale che portavano al mare.
Si sentiva pesante e affaticata, come se le stessero levando l’ossigeno intorno a lei.
Ace la prese di scatto per le braccia prima che svenisse, probabilmente il poco sonno mischiato alla scossa l’aveva traumatizzata un po’, ma quando vide anche Shin al suolo debole, e Taichi ancora svenuto, dedusse che c’era qualcosa che non andava.
Isabel era mezza cosciente, tossiva e cercava di parlare ad Ace che gli mise una mano sulle labbra per non farla faticare.
“c’è qualcosa che non va, dobbiamo fuggire! Tranquilla ti ho promesso che sarei stato sempre a difenderti e così sarà!” affermò lui poggiando la ragazza a terra per accertarsi che anche Shin non fosse proprio svenuto, ma purtroppo lo era.
“Come ti sei permesso, Ace!” urlò una voce, accompagnata da un’altra scossa.
Dall’oceano il ragazzo vide una piccola nave avvicinarsi, a bordo sembrava esserci solo una persona.

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