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Titolo:English Summer Rain Fandom:COW-T!Verse ( Original ) Pair:William, Donald Lancaster, Yorick Wellington Genere:Generale,
Sovrannaturale, Guerra Rating:Arancione Avvertimenti:Prologo,
What If, Raccolta Note:Ora,
vorrei spendere un paio di parole sul fandom scelto. Non mi appartiene,
nonostante si potrebbe dire che sia un’original.
Il COW-T appartiene a maridichallange e fiumidiparole, così come i gruppi generali - quali la Veggente, i cavalieri, i
vampiri, i maghi e gli angeli. Mi sono presa delle libertà di creare dei
personaggi e qualche nome, oltre che sull’ambientazione, ma va da se che
non siano per niente ufficiali.
Per spiegare brevemente,
c’è una guerra in corso tra i vari gruppi, e la Veggente ne decidere le
regole, i vincitori e cose del genere. La nomino solo ogni tanto, quindi non
è essenziale.
Infine, questa è una raccolta di one-shot, essenzialmente. Il titolo è preso
dall’omonima canzone dei Placebo.
English
Summer Rain
Quello che stavano
attraversando era un corridoio poco illuminato e sudicio, lungo quanto
l’esistenza stessa dell’umanità. Dalle pareti scure e il
soffitto così alto da risultare irraggiungibile, lasciava risuonare i
passi svogliati come dita di legno su note di piano. Era malridotto e antico, umido quanto le fogne di
Londra e non per questo meno frequentato, illuminato di rosso e arancio dalle
lanterne ad olio appese più lontano delle stelle stesse. Brillavano, quelle luci così irraggiungibili, di pacata
rassegnazione e orgogliosa passione. « Non mi piace. » disse
qualcuno, dalla voce bassa ma acuta, un po’ squillante. Avrebbe potuto appartenere ad una ragazza quanto ad un
adolescente vittima del destino, e dal tono che aveva appena assunto sembrava
essere terribilmente annoiata.
Nonostante avesse
settant’anni e più esperienza di quanta ne
avesse mai voluta realmente, Donald il vampiro era ancora impaziente quanto il
giorno del suo sedicesimo compleanno. Un tempo il cognome della sua famiglia
era Lancaster, e per i primi due decenni da non-morto aveva tentato di
convincere chiunque lo incontrasse e poi l’intera comunità vampirica a chiamarloDonald il Terribile, senza però sortire l’effetto
desiderato. Era quindi passato ad un -secondo lui-
più sobrio Donald Dai-denti-aguzzi non
particolarmente apprezzato, finendo con il proporre quasi con disperazioneDonald Lancaster, il
Terrore di Londra– ma alla fine nessuno gli aveva badato
più di tanto e divenneDonnie
il Rompipalle, Tutta Colpa di Williamfino alla fine dell’anno mille, e quello
sarebbe rimasto per sempre.
« Non mi piace per niente. »
disse quindi ancora una voltaDonnie
il Rompipalle, Tutta Colpa di William,
facendo schioccare la lingua in mezzo ai denti appuntiti. Scosse la testa e
sospirò, si infilò una mano nella tasca dei calzoni e prese a
giocherellare con un vecchio penny che aveva rubato anni addietro ad un ricco
signore. « Non potremmo semplicemente sgozzarli
tutti? » I suoi passi risuonarono con un
po’ più forza, mentre quelli del vampiro al suo fianco
continuarono ad essere pacati ma sicuri, dettati dall’esperienza e dalla
personalità differente. William neanche si voltò a guardando,
limitandosi a sollevare lo sguardo verso l’alto –sembrò
spuntargli un tic all’occhio particolarmente fastidioso, alla luce di
quelle lanterne così pallide- mentre avanzava per la propria strada. « Non è quello che vuole la Veggente.» rispose infine dopo un po’ di tempo, gli occhi
ancora distanti dalla realtà che lo attendeva di lì a pochi
istanti, oltre quella porta di legno antico alla fine del corridoio. Non era
quello che pensava realmente, e per questo Donald mostrò i denti in uno
sbuffo seccato, arricciando le labbra sottili con annoiato risentimento. Fece
schioccare il penny e lo lanciò in aria, bofonchiò un« Quella stupida vecchia »e lo
riprese al volo. Gli mancava un dito, il mignolo della mano sinistra, ma non
per questo mancò la presa. William quella volta si voltò a guardarlo,
ma solo perché avevano raggiunto la fine del corridoio. « Può sentirti, lo sai. »
rispose con una punta di divertimento nel tono della voce. Avevano passato insieme
poco meno di un secolo, i due, e William ancora non si era abituato a
quell’infantile modo di esprimersi. « Mai trasformare un uomo sotto i vent’anni. »gli avevano sempre detto, nonostante lui non
l’avesse certo fatto apposta quella volta.« Potranno anche maturare con il tempo, ma nel
profondo resteranno sempre dei maledetti mocciosi viziati e irriconoscenti
– per non parlare dei brufoli. » Donald –che sembrava essersi miracolosamente
salvato della piaga dell’acne giovanile- si strinse nelle spalle come se
la cosa non gli importasse e si guardò attorno – prima a destra e
poi a sinistra. « Tanto meglio » disse quando fu
sicuro di non essere udito da orecchie indiscrete, o comunque vendicative. « Potrebbe farsene una ragione. » « Ne dubito. E’ più antica di Cristo e
più cocciuta delle fondamenta d’Inghilterra. » Il vampiro più giovane si strinse nelle
spalle, come a dubitarne a propria volta –credendosi il padrone del mondo
come ogni adolescente e come ogni novello vampiro che si rispetti- lanciando
un’occhiata sospettosa alla porta che gli stava davanti. Era larga e spessa, alta ma non quanto il
soffitto, ed era così lucida che se non fosse stata per la pesante
oscurità avrebbe potuto sembrare uno specchio. « Piuttosto. Che ci facciamo qui? » William non badò all’enorme porta,
continuando invece a fissare l’altro. « Saliamo in superficie
» replicò noncurante, inclinando lievemente il viso di lato. Era
tornato serio e pensieroso, il sorriso che però ancora gli incurvava le
labbra in una smorfia spenta. Aveva i denti bianchi e ritti, i canini che
sporgevano in modo innaturale ma del tutto armonico, affascinante quanto la
vista di una tigre siberiana ed in egual modo mortale. «
Diamo una svolta a questa dannata guerra. » Negli occhi del più giovane passò
qualcosa, un guizzo di eccitata aspettativa, e non riuscì a nascondere
un sorriso di pura soddisfazione nel tornare a fissare la porta. Non
badò al proprio riflesso così snaturato, perché ormai era
troppo tempo che vi era abituato. « Davvero? » domandò quindi,
le mani che gli fremevano al solo pensiero. « Davvero » confermò
l’altro. Si godette per un istante quello sguardo così infantile,
non potendo far a meno di provare un senso di rassegnato divertimento, e
allungando una mano verso la porta strinse le dita attorno alla maniglia di
freddo ottone. « Andiamo a trovare Yorick.
»
Non era altro che un’unica enorme stanza
fatta di legno e pietra, eppure l’Ammazza Draghi era la locanda
più frequentata e più chiassosa dell’intera città.
Frequentata per lo più da cittadini molesti e donzelle dalla dubbia
reputazione, non era raro trovarla talvolta invasa da armature lucenti e voci
così profonde da scuotere l’anima stessa dell’edificio.
Lì
scorrevano fiumi di birra e portate di cibo abbondanti, la povertà
sembrava un lontano ricordo e le risate erano così grasse e forti da
risuonare da parte a parte. Sir Wellington non era il più chiassoso e
neanche il più grosso di quei cavalieri che
stanchi della battaglia passavano la notte a far baldoria, non era il
più divertente e sicuramente non il più intelligente. Ma aveva
onore, e coraggio, e di quei tempi sebbene non portasse il pane nelle case
portava orgoglio, e prestigio. Aveva una spada antica regalatagli dal padre in
punto di morte e una bella dama a casa ad aspettarlo, uno sguardo fiero e un
animo gentile, anche se forse troppo impetuoso. Il sole era calato da poco, e il fuoco ardeva tra
i mattoni del camino così intenso da dar sollievo alle stanche membra
dei soldati sopravvissuti. « Lascia parlare me »stava
dicendo all’esterno della locanda qualcuno, e lo si poteva quasi vedere
perdere la speranza negli occhi alla risposta dell’altro. « Sicuro »disse infatti quello.« Sarò muto come un pesce. »e
in realtà non ci credette neanche lui. Per questo sorrise, entusiasta
come lo era stato nel lasciare la propria dimora,
poggiando una mano contro il manico della porta. Poi spinse con forza ed
entrò a grandi falcate, sollevando le braccia al cielo per urlare con
forza:« CAVALIERE! » Poi rise per un breve istante, avanzando con
sicurezza, ogni suono ed ogni attività che cessava di esprimersi a
quella manifestazione di particolare sprezzo del pericolo – quanto di
stupidità e malcelato desiderio di porre fine alla propria vita. Ma la vita era qualcosa che un vampiro non
possiede più da tempo, al contrario della stupidità, e Donald il
Rompipalle, Tutta colpa di William sembrava esserne il più fiero dei
portabandiera. C’era una guerra in corso, una guerra che avrebbe deciso
le sorti dell’umanità e quelle del pianeta stesso, scatenata dai
Cavalieri e dai Vampiri, e allo stesso modo erano coinvolti i Maghi e gli
Angeli. Le spade furono sguainate e il clangore delle
armature cozzò con quello dei boccali sbattuti contro il legno dei
tavoli e il marcio del pavimento, mentre il vampiro fermava il proprio avanzare
per abbassare le braccia, guardandosi attorno incurante del pericolo. Lasciò vagare lo sguardo eccitato da
soldato a cavaliere, da prostituta a cameriera, fino a quando non
incrociò quello di Sir Wellington e mostrò i denti in un sorriso
più soddisfatto del precedente. «
Cavaliere! » disse ancora, una mano sul fianco e
diverse lame taglienti puntate tra petto e gola. «
Sei più grasso e vecchio di quanto ti ricordassi! » Il cavaliere in questione si corrucciò, non
apprezzando né l’intrusione né l’insulto, e serrando
la presa sull’elsa della propria spada mosse un passo in avanti con aria
contrariata. Alcuni degli altri soldati si fecero da parte per lasciarlo
avanzare, ma nessuno di loro abbassò per questo la guardia. « Stai cercando di provocarmi,
figlio del diavolo? » si accanì il
cavaliere, che in realtà non era né grasso né vecchio. Era
un giovane uomo, abbastanza grande da non essere una recluta ma troppo giovane
per essere considerato un veterano, con una sola spanna a dividerlo dai due
metri d’altezza e il fisico muscoloso, segnato da ferite di guerra e duro
allenamento. « Assolutamente no, cavaliere. »
rispose il vampiro, lo sguardo fisso e dritto a fronteggiare quello
dell’umano. La differenza d’altezza era notevole, tanto che Donald
doveva tenere il mento ben alzato per non perdere quel gioco di potere che era
ora il loro fissarsi. « Cerco solo compagnia » insistette, e nel
dirlo mostrò i canini sporgenti. « Magari
qualcosa da mangiare, sai com’è, è ora di cena anche per
me. » Qualcuno sembrò muoversi, tra le truppe
degli esseri umani, e Sir Wellington avanzò così bruscamente che
tendendo la mano libera la strinse attorno al bavero della maglia del vampiro,
spintonandolo con così tanta forza da premerlo contro la parete di legno
e sollevarlo per aria. « Questo sarà anche territorio neutro, vampiro, ma
non sei in egual modo il benvenuto. »
sibilò a voce più bassa, in un ringhio contrariato quanto offeso. Si sentì un sospiro, proprio affianco ai
due. « E’ per questo che ti ho detto di
lasciar parlare me » disse William, ora lì in mezzo al principio
della rissa senza che nessuno l’avesse visto avvicinarsi. L’intera
locanda sembrò trattenere il fiato, tanto che le fiamme nel camino
guizzarono a loro volta di agitazione, e metà dell’armata presente
puntò le lame contro la nuova minaccia. Ma quello neanche li
guardò, troppo preso dal proprio seccante sconforto interiore, e
allungò una mano per stringerla attorno al braccio del vampiro
più giovane – quindi strinse senza troppa forza e l’osso si
spezzò come un fuscello piegato dal vento.« Sai fare solo danni. » Donald sgranò gli occhi, e così fece
Sir Wellington. Il primo si lasciò andare in un lamento soffocato e il
secondo indietreggiò sorpreso, mollando la presa, lasciando che il
vampiro cadesse a terra in un ansito risentito quanto sofferente. Lo
fissò tenersi il braccio rotto con una mano e serrare i denti, gemere e
imprecare. Quindi la voce del secondo vampiro lo
riportò alla realtà della situazione, la spada ancora stretta tra
le dita ora sudate e irrigidite. « Ti chiedo
scusa per il suo comportamento. » riprese, e gli
rivolse uno sguardo così penetrante da costringerlo a distogliere il
proprio - con la scusa di osservare il disumano processo di guarigione del
braccio di Donald, che per un istante quasi lo affascinò. Nessuno si muoveva attorno a loro, come spettatori
muti di qualcosa che non comprendevano del tutto, le spade sguainate che
lentamente perdevano la foga della lotta non più così imminente e
gli sguardi che si facevano incerti, talvolta persino seccati. Sir Wellington si guardò attorno, nel
rendersene conto, e strinse silenziosamente le labbra in una smorfia di
risentito disappunto. « D’accordo » disse quindi,
muovendo un passo indietro per rinfoderare l’arma. «
Ma tieni il tuo subordinato a bada d’ora in avanti, o sarò
costretto a venir meno al patto. » Lanciò un’occhiata verso
il basso, lì dove Donald poco prima si
contorceva dal dolore e dove ora lo fissava con aria di infantile sfida. « L’ho già privato di una delle dita, la
prossima volta non esiterò a prendermi tutta la mano. » Scosse infine la testa, lasciandosi andare in un
verso stizzito, e alzò una mano per far segno ai suoi uomini di riporre
le spade. Mosse un passo di lato e si fermò, osservò i due
vampiri e mostrò i denti in un ringhio esasperato. « Andiamo. Qualunque cosa vogliate, dovrete dirmela fuori
di qui. » Indicò la porta lì affianco, e non
attese una risposta. Li condusse entrambi fuori, sotto lo sguardo severo dei
suoi uomini e quello più apprensivo delle donne, il cuore che gli
batteva forte nel petto. Un forte vento li investì senza grazia,
portandosi dietro l’odore del sangue che aveva bagnato le lande lontane
nell’ultima delle battaglie, e la luce della luna fece risplendere con
forza l’armatura pesante del cavaliere. Sperò solo che la Veggente avesse previsto
anche quello.
English
Summer Rain
End
Note finali:
Il capitolo avrà una continuazione, ma non fin da subito, perciò non disperate e... beh, incrociate le dita, se vi interessa.
La raccolta sarà caratterizzata da One-Shot diverse e slegate l'una dall'altra, a mo' di presentazione dei personaggi, perchè è possibile che tutto questo finisca in un'original più seria e compatta.
Titolo:Facer Fandom:COW-T!Verse Pair:Donald Lancaster + Yorick Willington Genere:Generale,
Sovrannaturale Rating:Arancione Avvertimenti:One-Shot,
What if, Non per Stomaci Delicati Note:Prima di
tutto, ringrazio le splendide donnine che mi hanno recensita. In un fandom come
quello delle Originali mi sento come la matricola sfigata di turno, e un
po’ di supporto fa sempre bene.
Quindi grazie. davvero.
Poi, spero che il capitolo piaccia, anche se non tratta poi
argomenti così significativi. Alla fine, credo che la
particolarità di questa raccolta la si possa trovare nei personaggi, non
di più.
Altro punto, ho deciso di provare a continuare a scrivere su
questo universo, quindi è possibile che spiegherò cosa si siano
detti Yorick, Donald e William. Speriamo bene, ecco.
Ultimo appunto: Facer vuol dire batosta, duro colpo, difficoltà
improvvisa.
Facer
Era notte, a metà tra il
calare e il sorgere del sole, l’aria che frizzava pacata sul campo di
battaglia e il cielo scuro di nuvole. Combattevano, i cavalieri piegati dal peso
dell’armatura e sostenuti dall’orgoglio del genere umano, le spade
tra le mani e gli elmi a coprirgli il viso. Era una battaglia che durava da
tempo, forse più di quanto ognuno di loro avrebbe voluto, e le cose non
andavano bene. Yorick Wellington ansimò, sentendo il fiato
grattargli contro la gola secca, e un istante dopo deglutì silenzioso
nell’arricciare le labbra. Si muoveva circospetto, in quel pezzo di campo
erboso che era la sua area, sentendo il cuore pulsare con forza a ritmo dell’adrenalina
che gli scorreva nelle vene. Il vampiro che gli stava davanti,
quell’ammasso di carne morta che portava il nome di Donald Lancaster e si
rifiutava di sbandierarne le origini, lo fissava a pochi metri di distanza con
un sorriso ad illuminargli il viso e le vesti rovinate a testimoniarne la
fatica. « Allora » stava dicendo in quel
momento il non-morto, indietreggiando distrattamente di un passo. « Come pensi di risolverla questa storia, cavaliere?
» Si muoveva lento, ora di lato e ora di nuovo verso
l’uomo, le braccia lungo i fianchi e le mani tese ad artigliare
l’aria senza un sibilo. Non portava armi, perché la forza e
l’abominio erano dalla sua parte, anche se avrebbe potuto. Sarebbe stato
tutto più facile, in effetti. Yorick quasi non stette a sentirlo, troppo
impegnato ad osservare i suoi movimenti. « Quale
storia? » domandò, chiedendosi come potesse un essere così
privo di addestramento e tattica dargli tanto da penare. Il sorriso del vampiro si accentuò,
mostrando i canini così bianchi da spiccare nel nero della notte. Non
c’era la luna, e alle loro spalle si stava scatenando una battaglia
così dura da far tremare le ossa. Scattò in avanti e tese un braccio, il
cavaliere sollevò per istinto la spada e menò un fendente –
tagliò l’aria e null’altro, il corpo del più giovane
che scivolava fluido oltre la sua portata. « Questa guerra. » rise
Donald, e Yorick si rese conto di non sopportarlo proprio per quella risata.
Era priva di vita, di sentimento. Come unghie che tagliavano il vetro, non esprimeva
altro che scherno ribollente di sfida. « Non
penserai mica di vincerla, ti pare? » Il cavaliere si mosse di lato, lasciando scorrere
la punta della lama lungo il terreno secco. «
Non lascio morire i miei uomini senza un motivo, vampiro. » Lo credeva davvero, nel dirlo, perché
quello che suo padre gli aveva insegnato era di non demordere, di combattere
fino alla fine – fino alla morte. Il Bene avrebbe sempre vinto sul Male,
in un modo o nell’altro. Qualcuno urlò alle sue spalle, e il
clangore che ne seguì lo avvertì della perdita di uno dei suoi
uomini. Yorick si chiese quanto tempo ancora sarebbe
passato, prima di una vittoria significativa. « Vedi? » riprese a
parlare il vampiro, che non dimostrava più di una quindicina
d’anni. Troppo pochi, per poter rappresentare una reale minaccia. « Parlo di questo. Gli angeli lo hanno capito da un
pezzo. » Lo sguardo del cavaliere si assottigliò
appena, sotto l’elmo pesante che simboleggiava la sua natura, senza
capire. Fu tentato di chiedere spiegazioni, ma quello che gli premeva di
più in quel momento era continuare a combattere. Così
avanzò bruscamente, un mezzo urlo di fatica e incitamento a seguirlo, e
menò un fendente. Il vampiro lo scansò così in fretta da
risultare irritante, Yorick non si lasciò scoraggiare e ruotò su
sé stesso per tagliare l’aria in un affondo laterale – che
sorprendentemente andò a segno con uno sibilo
acuto di carne tagliata. « Per- per tutte le
prostitute di Londra! » gracchiò allora Donald, e Yorick ebbe il
sospetto che quel’imprecazione se la fosse
appena inventata. Lo sentì ansimare e indietreggiare bruscamente, ne
approfittò per tentare di infliggere un altro colpo – e tutto
quello che vide furono gli occhi neri come la pece del vampiro che si alzavano
di scatto per guardarlo, gelidi e fissi su di lui. « Provaci » gli
sibilò, una mano sul fianco e il busto chino in avanti. Avrebbe potuto sembrare una posizione di difesa, un qualcosa
dovuto al dolore e al peso della battaglia, ma il cavaliere ne vide la rabbia
pronta a scagliarsi su di lui come un animale inferocito. Yorick avanzò bruscamente, serrò la
presa sull’elsa della spada e tirò indietro il braccio per
caricare il colpo. Il vampiro non si mosse, scosse appena la testa
–sorridendo senza allegria, come incredulo- e si rizzò sulla
schiena senza spostarsi, giusto in tempo per essere infilzato dalla vecchia
lama che tanto bruscamente lo fece indietreggiare – senza però
cadere. Si sentì un sospiro, rantolante come se il
sangue fosse salito dallo stomaco del ragazzino fino alla stretta gola, e poi
non ci fu più nulla. Donald scattò in avanti, perché la
morte era qualcosa che aveva troppo dentro per potersene lasciare sopraffare, e
allungando entrambe le mani le serrò contro il collo dell’umano.
Finirono a terra e la spada trapassò il più giovane come burro
fuso, il sangue prese a colare come tale e Yorick strinse gli occhi per il duro
impatto. Ansimò, perché l’armatura gli pesava tenendolo a
terra, e l’elmo rotolo lontano per via del vento che prese a soffiare con
forza sopra le loro teste. Il più giovane sembrò tossire sopra
di lui, sputando qualcosa che il cavaliere sperò vivamente fosse sangue,
e riprese fiato così rumorosamente da sembrare appena emerso da una
lunga apnea. « Porca… » cominciò a
dire, ma non volle concludere l’imprecazione. Non si mosse, restando
lì a pesare sopra il corpo del cavaliere –la mano stretta a tenere
l’elsa della spada ancora conficcata nella carne- e restò qualche
tempo a respirare pesantemente. Poi sembrò far schioccare la lingua,
sbuffare e tirarsi un po’ su. « Visto? Non posso morire, cavaliere. » Ne sembrava soddisfatto, e in un certo senso quasi
orgoglioso. Yorick lo fissò, più sorpreso di essere ancora vivo
che del resto, cercando qualcosa da dire. « Nulla mi impedisce di provarci. »
bofonchiò poi in risposta, quasi scocciato. La battaglia infuriava
lontano dai loro sguardi, chiassosa come lo era una guerra in corso e ed
altrettanto incerta, e nessuno badava a quell’ammasso di carne sporca che
erano i due a terra. Donald sorrise ancora una volta, piegando le
labbra in un ghigno storto, e quando l’altro fece per sollevarsi gli
premette una mano sulla spalla per tenerlo giù. «
Sei l’unico, a questo punto. » « Questo parlare per enigmi comincia a
seccarmi » ribatté Yorick un istante dopo, ansimando per il
dolore. Fissò il cielo, alto e distante sopra le loro teste, il braccio
che cominciava a ribellarsi a quella stretta troppo ferrea sull’elsa
della spada. Ma il cavaliere non l’avrebbe mai lasciata andare, per
orgoglio e perché era la sua unica via di salvezza. Pensò che
avrebbe potuto approfittarne per tagliarlo in due, visto che c’era, ma la
posizione era troppo scomoda e aveva il sospetto che
la lama si fosse incastrata tra le costole. « Nessun enigma » rispose con una
mezza risata il più giovane, la spada che si muoveva a ritmo del suo
respiro affaticato. « Dico solo che voi umani
siete gli unici a combatterci. » « Questo non è affatto vero. »
Il cavaliere si corrucciò e fissò il vampiro, lo sguardo attento
ai suoi movimenti. « La
Veggente ha detto… » « Veggente VeggenteVeggente »
gli fece il verso Donald, tirando fuori la lingua come un moccioso. « State tutti ad ascoltarla come degli idioti, quando
l’esito di questa battaglia è così ovvio da darmi il
voltastomaco. » C’era noia, nelle parole del vampiro, ma
anche una soffusa quanto malcelata rabbia. Allungò una mano con uno
scatto fastidioso e afferrò quella del cavaliere, gli strinse il polso
con così tanta forza da far cozzare i nervi tra di loro e sbuffò.
« Perché credi che gli angeli siano rimasti
così in disparte, tutto questo tempo? » « Cosa stai… » Il vampiro gli strattonò appena il braccio
come a voler richiamare la sua attenzione, come a fargli segno di tacere.
« Sta zitto » lo zittì seccato, improvvisamente di malumore.
Si portò il polso che teneva stretto tra le dita fino alla bocca, senza
però toccarlo. Si limitò a chiudere gli occhi ed inspirare,
silenziosamente. Yorick si sentì improvvisamente e
terribilmente fuori luogo, a disagio. Non rabbrividì, perché
aveva un onore da difendere, ma cominciò a pensare più in fretta
di prima un modo per togliersi da quella situazione. L’unica cosa che gli
venne in mente fu di prendere tempo, almeno per il momento. « Di cosa stai parlando? »
domandò quindi, forse troppo precipitosamente. In parte era curioso,
forse persino sospettoso, quindi quel parlare sarebbe davvero servito a
qualcosa. Donald aprì gli occhi, puntandoli su quelli
castani del cavaliere, e arricciò le labbra in un sorriso senza denti. « Davvero non ci avete pensato,
tu e la tua gente? » Sembrava divertito, in modo
quasi calmo e pacato, dispettoso. « Siete gli
unici che si agitano tanto, per questa inutile battaglia. Voi umani, voi
cavalieri e maghi. » Fece una pausa, lasciando scorrere lo sguardo
verso il basso –lì dove l’argento della lama finiva nel
rosso della sua carne viva, senza possibilità di sanarsi- e
sembrò quasi distrarsi. Yorick ansimò appena, perché il
braccio aveva preso a tremargli, e allentò di poco la presa
sull’elsa. Sapeva che se l’avesse lasciata andare sarebbe stata la
sua fine –non che la situazione attuale volgesse di più a suo
favore- ma tenerla ancora in mano non sembrava comunque portarlo da nessuna
parte. Sperò almeno che il vampiro stesse
soffrendo, in tutto quello. « A me sembra che voialtri stiate combattendo più
di tutti noi messe insieme, invece. »
tentò di provocarlo, per smuovere un po’ la situazione. Donald sbuffò, stringendosi nelle spalle, e
corrucciò le labbra sottili in un broncio infantile. Tornò poi a
fissare il polso dell’uomo, lì dove la sua presa ferrea
costringeva le vene a scoprirsi. « Combattere è il modo più pratico e veloce
per procurarci da mangiare. » replicò
atono, insoddisfatto. Lasciò scorrere i denti sulla pelle tesa
dell’altro e lo sentì trattenere un brivido. «
Ma non è questo il punto. » Il cavaliere si chiese, non senza una certa
apprensione, quale fosse il punto e quanto velocemente ci avrebbe messo Donald
ad arrivarci. « Voi umani non avete capito, invece, che non potrete mai
vincere. Né con incantesimi né con spade » picchiettò
un paio di dita sulla lama per sottolineare il concetto « perché
quello che criticate tanto a noi vampiri è la vostra condanna. » Si piegò appena in avanti, tirando
però il braccio dell’altro in modo da tenendo teso e oltre la
propria spalla. «Mortalità, cavaliere, voi umani siete così
dannatamente mortali. » « E tu sei così dannatamente logorroico, Donald. » lo rimbeccò con dolorante esasperazione
l’uomo, agitandosi appena sotto il peso dell’altro. Quello rise, di gusto e senza cuore, finendo con lo
scuotere la testa e sospirare. Si sporse verso Yorick, il riso che ancora gli
illuminava gli occhi, e mostrò la lingua nell’arricciare le
labbra. « Allora, cavaliere. » lo richiamò,
il sangue morto che ancora gli scorreva dalla ferita. Lo fissò negli occhi,
silenzioso, e inclinò il viso di lato. Il vento soffiò forte ed impetuoso,
attraversò il campo di battaglia come un grido straziante e poi
fuggì via, lontano da tutto quello che avrebbe potuto
accadere da un momento all’altro. « Che si fa? »