Il mio Otello porta gli occhiali

di loonaty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Otello: Atto quarto ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Ouran High School ***
Capitolo 4: *** Host club ***
Capitolo 5: *** Tormento ***



Capitolo 1
*** Otello: Atto quarto ***


OTELLO: ATTO QUARTO.




Se vi sovviene
di qualche colpa commessa che attenda
grazia dal ciel, imploratela tosto.
 
Perché?
 
T'affretta. Uccidere non voglio
l'anima tua.
 
D'uccider parli?
 
Sì.
 
Pietà di me, mio Dio!
 
Amen.
 
E abbiate pietà voi pure.
 
Pensa ai tuoi peccati.
 
Mio peccato è l'amor.
 
Perciò tu muori.
 
E perché t'amo m'uccidi?
 



Ecco qui che inizia questa ficcy, è la prima volta che mi infiltro in questo fandom, siate clementi Q_Q La storia presumo non sarà troppo incasinata, tanto per mettere in chiaro ci sarà un paring Kyouya X OC (ma va? Si capiva dal titolo, lo so lo so) Devo ringraziare tantissssssimo Lirin Lawliet che mi dà una mano in questa ardua impresa O_O Perchè io amo Host club e stranamente non vi avevo mai scritto niente al riguardo. Forse ci saranno altri paring con il proseguire e l'approfondirsi della storia ... Credo ... Presumo ... Forse ... Comunque BUONA lettura! ^^

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Capitolo 2
*** Prologo ***


PROLOGO

Come una giornata perfetta può trasformarsi nell'inizio di una tragedia.



Seduta sulla poltroncina vellutata mi lisciai le pieghe della gonna color sole chiedendomi che senso avesse essere una nordica occidentale senza un minimo di biondo nei capelli o di azzurro nelle iridi. Forse il DNA di una madre italiana incideva negativamente sui desideri  di qualunque ragazza di apparire splendidamente Barbie.
Problemi di estetica a parte, io, Eleanor Lizbeth Desdemona Engel , ero più che propensa a godermi quel viaggio di sola andata per il Giappone con un sorriso stampato sulle labbra e nessuno mi avrebbe impedito di godermi il volo.
Nessuno a parte il mio dannato cellulare che squillava sempre nei momenti meno propizi. Il mio vicino mi fulminò con lo sguardo, ma io lo ignorai roteando gli occhi. Risposi alla chiamata. Di certo l’aereo non sarebbe precipitato per un’innocente telefonata!
- Moshi moshi – Schioccai le labbra rispondendo in quella che, da lì a poco, sarebbe diventata la mia lingua.
- Desdemona?-  Immondo essere … Il mio tutore.  Cosa voleva adesso? Mi aveva telefonato al chek  in per dirmi che i miei genitori avrebbero tardato a raggiungermi, mi aveva chiamata mentre depositavo i bagagli, mentre salivo sull’aereo,  persino mentre l’aereo partiva!
-Miss, non salga sull’aereo, la verrò a prendere personalmente, sarò lì tra dieci minuti. -  Ma scherzava?
-  Alberich, non so come darti questa tremenda notizia, ma vedi, l’aereo è in volo ormai da un’ora buona … -
Silenzio dall’altra parte del telefono.
- Alberich?- Cominciai a preoccuparmi. –E’ successo qualcosa?-
-Si tratta dei suoi genitori mein frau* … - Ho sempre odiato le mie origini tedesche, è qualcosa che non mi è mai andato a genio eppure tutti continuavano a ricordarmelo, come a prendermi in giro. Comunque ora avevo qualcosa di più importante di cui preoccuparmi.
-Di che si tratta Alberich?-
-Hanno avuto un incidente- La mia bocca rimase aperta, a metà di un’esclamazione, i capelli che si appiccicavano al lucidalabbra costoso. Non pensai di aver capito bene.
-Cosa?- Domandai ostentando una tranquillità che non mi apparteneva.
-I suoi genitori mein frau. – Ripeté lui diligentemente. Solo un pizzico di agitazione, presumibilmente falsa, nelle sue parole. –Hanno avuto un incidente. Si pensa che non ce la faranno-
 
 
Eleanor Lizbeth Desdemona Engels.
Diciassette anni.
Italo – germanica, giapponese.
Orfana.
 
 
Eppure non ero mai stata molto propensa alle calamità naturali. Certo, ero nata in anticipo di quasi una settimana, il venerdì diciassette di un piovoso giorno di primavera. Non avevo mai brillato a scuola, ma non per mancanza di intelligenza, casomai per la voglia di studiare pari a quella di un pinguino di visitare il Madagascar e non parliamo dei pinguini esperti di arti marziali dei film d’animazione della Dreamworks.
Ero l’unica figlia in una famiglia di prodigi. Mia madre, famosa artista etnica torinese, era esperta in “schizzi di pittura gettati a caso sulla tela”. Un’arte che molti critici definivano sublime e che mi lasciava sempre basita. Non che non trovassi … Oddio, interessanti le sue opere, più che altro non riuscivo ad immaginarmi qualcuno ad appendere nel suo salotto un dipinto intitolato “Fauno e Driadi” in cui delle chiazze di colore intrecciate e decorate con tratti di pennino parevano prostrarsi l’una davanti all’altra.
Mio padre, neanche a farlo apposta, era un uomo dalla mentalità squadrata e poco incline ai vaneggiamenti sui colori che quella santa donna aveva fin di prima mattina. Potente ereditiere, possedeva più di una ditta d’informatica ed aveva un’insana passione per le armi, i videogiochi violenti, i cartoni animati, Terry Brooks e gli scacchi. Ah, certo, mio padre è sempre stato innamorato di me, ciò spiega in un certo senso perché vada in giro con un paio di Colt nella borsetta invece della classica trousse per  rifarmi il trucco.
Come dicevo, non ero mai stata una persona davvero sfortunata, anzi, la mia vita cominciava realmente a splendere.  Forse proprio per questo la limousine dei miei genitori esplose dopo un testa coda con un camion a rimorchio. Forse non è giusto che ci siano persone troppo felici.
Per me che credo nel destino fu un continuo arrovellarmi le meningi per capire cosa avevo fatto di sbagliato.
Giunsi infine alla brillante conclusione che non mi importava. Avrei continuato la mia vita. Non sarei tornata in Italia, né tantomeno in Germania. Avrei coronato il mio sogno in Giappone, nella scuola in cui mio padre mi aveva iscritta. Avrei vissuto nella nostra villa, regalata a mia madre da un suo caro amico per non so quale compleanno. Sì, era normale per noi ricevere in regalo ville, spiagge, inviti a feste galattiche o spicchi di cielo da sorvolare col nostro jet privato.
Sì, avevamo un jet privato.
Ora ce l’ho solo io.
Si dice che il tre sia il numero perfetto, è composto da tre cifre ognuna delle quali è identica all’altra. Noi tre non eravamo identici, ma ci compensavano a creare il perfetto equilibrio. Ora, da sola sulla bilancia, credo proprio che questo equilibrio si sia spezzato. Ho bisogno di qualcuno che posi un dito sull’altro piatto prima che precipiti nel regno degli inferi. **
 
 
 
Note:
*mein frau: My lady in tedesco.
**Trattsi di una leggenda egiziana che parla di Osiride, il dio dei morti, che pesava il cuore delle persone defunte poggiandolo su un piatto della bilancia e compensandolo con una piuma, se il cuore era più leggero della piuma questi andava in “paradiso” Se il piatto scendeva invece finiva giù negli inferi.
Si dice anche che Anubi, stanco di ricevere nel suo regno oscuro così tante anime cha magari avevano commesso solo pochi peccati, posasse furbamente un dito sul piatto che conteneva la piuma facendo risultare il cuore assai più leggero.

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Capitolo 3
*** Ouran High School ***


OURAN HIG SCHOOL

Dove Eleanor Lizbeth Desdemona Engels incontra Dracula ed una strana creatura brillante.

 
Davvero. Non poteva essere vero. Diedi una testata al finestrino del taxi per essere certa di non stare sognando. O per meglio dire, di non stare incubando. Ne ricavai un ematoma al centro della fronte. Che quel dannato del mio tutore fosse un orrido ficca naso lo sapevo, ma che decidesse di peggiorare ancora di più la mia precaria situazione era un abominio. Sospirai quando  ci fermammo. Diedi la mancia al taxista e, con lo sguardo basso afferrai la mia valigia e ignorai la limousine parcheggiata lì davanti. Mi diressi a passo deciso verso l’ingresso della villa.
-Miss!-
A quanto pareva la mia infallibile tecnica di rendermi invisibile tenendo gli occhi chiusi non aveva funzionato.  Cominciai a chiedermi se  avesse qualche collegamento con il fatto che a nascondino perdevo sempre, persa nei meandri non poi così profondi della mia mente non mi resi conto, anzi, ignorai spudoratamente, il ragazzo alto ed avvenente che in tutta fretta si catapultava fuori dalla sua limousine per raggiungermi in quello che per un personaggio distinto come lui era inteso come “di corsa”. Non mi feci problemi a chiudergli in faccia il cancello automatico senza nemmeno voltarmi.
Ok, lo ammetto, mi voltai a dedicargli una delle mie smorfie meglio riuscite.
-Miss, la prego di mettere da parte questo comportamento infantile e … -
-Non è un comportamento infantile- Dissentii allontanandomi per il viale. –E’ pura ostilità- Ammisi placidamente. Il ragazzo resistette all’impulso di sbracciarsi attraverso le sbarre per afferrare l’orlo della mia gonna e probabilmente sbattere la mia fragile testolina sull’asfalto fino a ridurla ad una gomma da masticare, ma fece un bel respiro e si sistemò la cravatta con un moto scocciato. Ottimo autocontrollo Ootori, un punto a tuo favore.
- Miss, almeno mi stia a sentire!- Mi voltai spazientita. Alberich mi avrebbe uccisa se mi fossi inimicata gli amici di famiglia.
-Bhè? Che vuoi Ootori?-
Il ragazzo, che non era decisamente più un ragazzo, mi rivolse un sorriso soddisfatto ed io aggrottai le sopracciglia. Se voleva dirmi qualcosa che si spicciasse.
-Ho sentito dei suoi genitori-
-Anche io- Lo liquidai con un gesto della mano. Certamente non era lì per porgermi le sue condoglianze.
Probabilmente avvertì il mio tono irritato e si decise ad arrivare al sodo: - Il vostro tutore ha chiamato mio padre e gli ha domandato di prendersi cura di lei prima del suo arrivo. Sta sistemando alcune faccende legali , ma si farà sentire al più presto.-
-Il mio tutore non si fa abbastanza i cazzi suoi- Risposi brusca per poi coprirmi la bocca con una mano al suo sguardo di rimprovero. Con tutto lo scherno di cui ero capace negli occhi mi esibii in un inchino accennato
- Oh, mi dispiace signorino, i vostri raffinati padiglioni auricolari non sono abituati a volgarità simili. Chiedo umilmente venia – Ghignai. – Ora, se non le dispiace gradirei immensamente andare a riposare, domani mi aspetta un’impegnativa giornata di scuola. Arrivederci. – Così detto feci per allontanarmi nuovamente.
- Miss! Il vostro tutore ha previsto questa sua decisione ed ha rinviato l’arrivo dei domestici, sareste completamente sola in questa villa, perché non venite da noi?-
-Perché no Akito!- Digrignai i denti e, pestando i piedi mi trascinai, con il mio unico bagaglio, fino alla porta di casa.
-Io vi ho avvisata, se vorrete le nostre porte saranno sempre aperte. – Si inchinò educatamente. Mi fermai a guardarlo. Quanto mi sarebbe piaciuto, per una volta, che mostrasse almeno un minimo di umanità. Ecco perché detestavo gli Ootori, erano dei pinguini spocchiosi e disonesti. Calcolatori. Scrollai le spalle.
Chiusi la porta con un calcio trascinando la borsa al centro dell’enorme salotto circolare. Respirai la polvere e mi passai una mano tra i capelli con uno sbuffo.
Fine. Era finita. Quella terribile giornata era finita. Forza Eleanor, ora puoi anche piangere, nessuno ti vede, nessuno ti sente.
Mi sedetti sul pavimento gelato.
Dai Eleanor, domani ci sarà il funerale e tu nemmeno sarai presente. Piangi Eleanor.
Mi coprii il volto con le mani sorpresa di trovare le guance perfettamente asciutte. Non mi bruciavano gli occhi, non avevo nodi in gola.
Su Eleanor. Tua madre e tuo padre sono morti. I genitori che amavi, morti, non li vedrai mai più.
Nemmeno calcare la mano sul pensiero servì a molto. Niente, non riuscivo a piangere, il mio corpo si rifiutava. Non ero mai stata una che piangeva spesso, anzi, non avevo quasi mai pianto in vita mia,soprattutto da piccola, mi raccontavano che ero stata un bambina molto cocciuta che raramente si disperava, ma spesso si esibiva in grida isteriche per semplici capricci.
Sollevai la testa verso l’enorme lampadario di cristallo. La luce che filtrava dalle imposte chiuse creava delicati arcobaleni sulle pareti color mughetto rifrangendosi tutt’attorno da quelle gocce trasparenti che ondeggiavano sopra la mia testa.
Era finita.
Pensai con un sospiro. Tutto quello che conoscevo era finito. Mi alzai in piedi e scrollai la polvere dalle mani.
Bene. Sarebbe stato l’inizio.
Dopo ogni fine c’è un nuovo inizio.
Spalancai ogni singola finestra in tutta la casa. Salii nella mia camera e aprii la valigia per poi sistemare i vestiti nell’armadio alla bell’e meglio. Non avevo mai fatto nulla da sola. I servitori si occupavano dei miei vestiti. I cuochi cucinavano e le cameriere pensavano a lavare. Quando arrivavamo in una nuova villa trovavamo già tutto in ordine e non c’era niente da fare se non divertirci e rilassarci. Mi lasciai cadere sul letto. Era settembre ed un venticello fresco mi arruffava i capelli. Era grande la mia stanza, avevo un baldacchino tutto per me e l’alto soffitto color panna era affrescato con motivi floreali. Li aveva dipinti mia madre … Mi voltai su un fianco allungando una mano a prendere il cellulare. Composi il numero di Alberich. Aspettai che squillasse un paio di volte e poi buttai giù. L’importante era che pensasse che l’avevo cercato. Bestardo, farmi fermare dagli Ootori era un colpo basso. Meditando sulle diverse torture medievali dell’inquisizione mi addormentai tra le lenzuola stropicciate trovate in un cassetto ed arrotolate sul materasso come potevo.
 
Tiritì tiritì tiritì tiritì.
 
-Mamma! Spegni la sveglia!-
 
Tiritì, tiritì, tiritì tiritì.
 
Ho fatto un brutto sogno stanotte.  Ero venuta in Giappone da sola ed i miei genitori erano morti in un incidente.
 
Tiritì tiritì tiritì tiritì.
 
Aprii un occhio. –Mamma?-
 
Tiritì tiritì tiritì tiritì.
 
Mi misi seduta. Faceva freddo. L’aria della mattina impregnava ogni angolo della casa. Avevo dormito con le finestre aperte.  Mi strinsi il corpo con le braccia strofinando le spalle nude. Dormendo mi ero spogliata. Passai le dita sotto gli occhi e pulii il trucco che dormendo era colato.
Se ve lo starete chiedendo avevo ricordato tutto. L’intontimento da primo risveglio era svanito lasciando un senso di vuoto in fondo allo stomaco. Afferrai il cellulare che continuava a squillare. Le otto del mattino. Perché quest’orario mi metteva ansia?
Risposi alla chiamata alzandomi per chiudere la finestra e cominciando a spogliarmi completamente pronta ad infilarmi sotto la doccia. –‘Giorno Alberich- Esordii in modo più allegro possibile.
-Buongiorno mein frau, il capofamiglia Ootori mi ha informato che avete gentilmente declinato la sua ospitalità … -  Il suo tono che rischiava di sfociare nell’isterico mi fece presupporre che ricordasse perfettamente quali fossero i miei, per così dire, “modi gentili” e come potessi “declinare” un’offerta simile.
Mi posizionai davanti allo specchio con in dosso solo gli slip neri.
-Pensavi davvero che potessi sopravvivere ? –
-Mein frau … -
-Eleanor- Lo corressi. –O al massimo miss, detesto il tedesco. –
- Miss Desdemona … - Sospirai. Non capiva proprio niente. Gettai un’occhiata ai vestiti. Che mi mettevo?
-Parleremo dopo del vostro caratteraccio, adesso entrate pure in classe … -
Rimasi paralizzata al mio posto. –Alberich? A che ora iniziano le lezioni?- Mi parve di sentirlo esitare dall’altro capo della cornetta. –Mei … Miss Desdemona, la prima campanella dovrebbe suonare precisamente … - Fece una pausa. –Ora.-
-Cazzo!- Urlai. Sì, crescere in una famiglia di persone ricchissime, servita e riverita e tenere convention con persone di alto rango non mi esonerava dall’esprimermi come una scaricatrice di porto. Al diavolo la doccia!
Lanciai il cellulare sul letto fiondandomi in bagno a lavarmi faccia e denti. Poi mi fiondai di nuovo in camera. Guardai l’armadio stringendo i denti.
C’è un’altra cosa che bisogna sapere su di me. In terza elementare, per problemi di salute, lasciai la scuola e studiai a casa fino all’anno scorso quando mio padre si scocciò di avermi sempre tra i piedi e mia madre pensò fosse ora che mi trovassi un buon partito. Di conseguenza io non avevo la più pallida idea di come ci si relazionasse con gli altri a parte le poche volte in cui eravamo invitati ai gran gala o gli Ootori ci venivano a trovare.
Parlo spesso degli Ootori? Davvero? Forse perché Akito doveva essere il mio promesso sposo ed io gli ho fatto capire a modo mio che non l’avrei sposato neanche se fosse stato l’ultimo uomo sulla terra. Sarei diventata lesbica, preferivo di gran lunga un paio di tette a quell’essere frigido e rigido. Poi era troppo grande.
Tornando al problema principale. Che indossavo? Come ci si veste in una prestigiosa scuola privata?
Erano le otto e dieci.
Al diavolo!
 
***
 
 
-… E quindi questa equazione si risolve … -
Qualcuno bussò alla porta. Tamaki Suou , il più vicino ad essa voltò il capo lasciando che i morbidi capelli biondi gli ricadessero su un occhio in un ciuffo molto figo  e puntò i suoi grandi occhioni chiari sulla persona che stava per fare la sua entrata.
-Avanti- Proferì leggermente stupita la professoressa.
La porta si aprì. La classe ebbe un sussulto. Sulla soglia, con una mano sullo stipite stava una ragazza vestita completamente di nero. L’abito in stile lolita era gonfio attorno alle ginocchia, ai piedi un paio di scarponi lucidi con le fibbie. Fece un passo avanti in un turbine di profumo D&G che molti fecero fatica a riconoscere nonostante fossero tutti estremamente ferrati in materia. Si posizionò davanti ai compagni ed accennò un sorriso.
Il volto di Tamaki si illuminò di gioia alla vista della nuova principessa. Un angelo in più a portare luce in quella classe. Nonostante il colore tetro non gli sembrava tipo da club di magia nera e quindi era e rimaneva una preziosa recluta per il gli Host. Prima che la professoressa e i capoclasse potessero aprire bocca il biondo scattò in piedi in preda all’euforia e fece un inchino alla nuova venuta che batté un paio di volte le palpebre secondo lui perché ammaliata dalla sua travolgente bellezza.
 
***
 
Non’appena misi piede in classe mi parve di morire. Ero vestita di nero. Perché in fondo ero in lutto e per secondo motivo perché il nero mi faceva sentire a mio agio. Mi ero accorta troppo tardi delle uniformi sgargianti ed assolutamente orribili delle altre ragazze. Tutti mi fissavano. Anche la professoressa sembrava considerarmi una strana apparizione. Un fantasma forse. Ironia della sorte, io il giorno prima ero stata tanto impaziente da partire prima dei miei genitori. Se non lo avessi fatto quello sguardo sarebbe stato più che meritato da parte mia.
Tentai un approccio amichevole sorridendo.
Sono in ritardo di venti minuti ed assomiglio a Misa di Death Note.
Ne sono consapevole.
Non feci in tempo ad aprire bocca che il ragazzo davanti a me si alzò in piedi sorridendo e si inchinò. Forse me lo immaginai, ma mi parve di scorgere una nuvola rosa e vagamente appiccicosa sprigionarsi da quel gesto. Qualcosa del tipo … Ehi, scopiamo?
Cavolo, non sapevo esistesse gente capace di spargere ferormoni a quel modo. La mia vita non ha più un senso. Scrutai allibita il ragazzo il cui volto si stagliava su uno sfondo color confetto costellato da lucette accecanti e rose rampicanti. Sperai almeno che pagasse il giardiniere che ogni santa volta che sorrideva gliele appiccicava sullo scenario.
-Benvenuta, principessa!-  Ok, ok, ho capito, è uno scherzo, dove sono le telecamere nascoste? Tiratele fuori, questo è un attore ed io sono su Candid camera.
Squadrai il tipo biondo che pareva fosse stato pucciato di testa in un ammasso di scorie nucleari. Cioè, i suoi capelli rilucevano. Ed avevano anche un aspetto molto … Fluffoso. Volevo toccarli.  Aveva gli occhi troppo grandi per un ragazzo, anche se di lì a poco avrei scoperto che i ragazzi potevano avere gli occhi esageratamente grandi e che definire a prima vista “ragazzo” qualcuno dell’Ouran, era assolutamente sbagliato, ma lo vedremo in seguito. Fatto sta che il tizio capelli montati ed occhi a biglia si sedette tutto soddisfatto come se avesse compiuto l’impresa del secolo e la professoressa si decise a parlare ingoiando contro voglia gli urletti isterici di un gruppo di ragazze nell’ultima fila.
Io mi chiesi che ci facevo lì per la centesima volta da quando avevo varcato il cancello d’ingresso.
-Ragazzi, questa è la principessa Eleanor Lizbeth Desdemona Engels è arrivata qui ieri dall’Italia, tutti la conoscete, ovviamente- Le parole di quell’insegnante mi parvero vagamente minacciose tanto che mi voltai per controllare che non stesse tirando qualche leva che mi avrebbe fatta cadere in un pentolone e cucinata per la mensa. Nulla, si limitava a tenere il gesso sospeso sulla lavagna e a sbirciare il mio nome sul registro aperto sulla cattedra. Rimasi in piedi titubante sul da farsi. La prof risolse i miei problemi con poche ed efficaci parole. –Lei è in ritardo miss, la prego di accomodarsi in corridoio e di andare a ritirare l’uniforme scolastica dal preside appena le sarà possibile.-
Bene. Era così terribile venire sbattuta fuori il primo giorno? Cosa si faceva in questi casi? Mi torturai le mani attraverso la stoffa leggera dei guanti. Non mi mossi limitandomi a spostare il peso da un piede all’altro. Sentivo gli sguardi dei presenti puntati su di me. Ed ora?
-M-mi scusi … Signora … - Diedi le spalle alla classe rivolgendomi a bassa voce alla professoressa.
-Dica miss- Asserì questa inesauribilmente gentile.
-Ecco io … - La soluzione mi apparve davanti materializzatasi da chissà dove. Ero sempre stata impeccabile nell’inventare scuse, ma stavolta mi bastava basarmi sui fatti realmente accaduti e recitare bene la mia parte. – Dovreste essere informati di ciò che è accaduto ieri mentre ero in viaggio per raggiungere questo paese- Asserii seriamente. La professoressa mi guardò titubante e squadrò dall’alto in basso i miei abiti. Poi puntò gli occhi nei miei. Leggermente lucidi, era il massimo che riuscissi a fare.
-Veramente non sono stata informata di nie … Oh … - La professoressa sollevò un documento e si sistemò gli occhiali sul naso per leggere meglio ciò che vi era stato appuntato a margine. Perfetto. Era stata avvisata. Ora non mi restava che trovarmi un posto a sedere, per un po’ ogni mia stranezza o mancanza sarebbe stata giustificata, davvero un peccato non approfittare di ciò. –Sono immensamente dispiaciuta miss-
Scossi la testa benevola. –Non si preoccupi … Dove devo sedermi?-
Mi fu indicato un banco al quale mi accomodai posizionando la cartella davanti a me a creare una sorta di barriera per quegli sguardi indiscreti che continuavano a perforarmi la pelle. Eppure erano tutti ricconi, dovevano per forza sapere che è maleducazione fissare la gente!
L’ora di matematica passò in fretta. Non che la matematica mi piacesse, ma avevo fatto perdere ben dieci minuti all’intera classe, più i venti di ritardo e quelli che passai a dormire e a scarabocchiare il quaderno … Bhè, i conti tornano. Sospirai appoggiando il mento sulla mano. Nella classe si era sollevato un brusio di chiacchiere pari a quello che conoscevo alle elementari, il che in un certo senso era rassicurante. Poi un ombra oscura si proiettò su di me.
 
***
 
Sapeva del suo arrivo ancora prima che l’aereo partisse.
Conosceva il suo nome completo, il cognome, i suoi familiari, le loro competenze.
Conosceva ogni singolo dettaglio della vita privata di Eleanor Engels.
Si era però sorpreso che suo fratello, anni prima, fosse stato promesso sposo ad una ragazza così piccola, mediocre e insignificante, ma forse era stato una specie di debito da saldare. Dopotutto gli Ootori erano in possesso delle ditte farmaceutiche e degli ospedali più importanti del Giappone e quella ragazzina a suo tempo era sembrata voler lasciare presto questo mondo. Invece, per merito di suo padre, quella figura batteva ancora la superficie del pianeta: ne deduceva che gli Engels e gli Ootori dovevano essere in buoni rapporti tanto che i primi, come ringraziamento, offrirono proprio la mano della figlia ad Akito. Primogenito per primogenito, era così che funzionava.
Poi, quella mattina, aveva casualmente intercettato una discussione del preside Suou con i docenti. I genitori della nuova alunna erano periti in un incidente d’auto mentre essa era in volo per il Giappone.
Una volta in classe si era quindi preparato a sfruttare quanto sapeva per i suoi interessi, dopotutto la società informatica Engels era la più potente in assoluto.
Erano iniziate le lezioni e del suo obbiettivo nemmeno l’ombra. Aveva appuntato sul suo quaderno che la ragazza doveva smaltire il trauma e non si sarebbe fatta vedere per un po’. Messosi comodo aveva seguito attentamente la prima mezz’ora di lezione. Poi la porta si era spalancata lasciandolo gravemente contrariato. Un insulto alla sua concentrazione.
Sulla soglia era sbucato uno strano animale che fece precipitare le sue sopracciglia dietro le lenti sottili degli occhiali. Era una ragazza, realizzò. Sotto quintali di stoffa svolazzante spiccava ben visibile un volto da volpe. *
Si portò accanto alla professoressa in modo impacciato. Nonostante questo suo disagio pareva esporsi in maniera esagerata davanti agli studenti. Di solito le ragazze timide tendono a tentare in ogni modo di passare inosservate.
Prese un altro appunto sul suo quaderno.
Egocentrica (?)
La professoressa, povera donna, certamente non era abituata a simili teatrini, di conseguenza decise di risolvere la situazione salutando gentilmente la nuova arrivata in modo da rompere l’imbarazzo che si era formato nell’aula. Come al solito, però, un certo fesso biondo lo precedette causandogli un eccessivo pulsare di vene sulla tempia. C’era sempre bisogno di tutte queste cerimonie?
Abituato alla reazione disastrosa che il re pareva avere con le nuove ragazze (vedi Haruhi o Renge) si preparò a vedere la nuova arrivata sollevare il banco e schiantarglielo in testa. Dopo pochi attimi di sbalordimento questa parve limitarsi a battere le palpebre stupita e ad estendere leggermente quel suo strano sorriso che il genio del male catalogò come imbarazzato.
Tipi che potrebbero fare per lei:
Tipo regale  V
Da questa deduzione a rapportare Eleanor Engels a qualunque altra oca di buona famiglia il passo era breve. Sarebbe stato semplicissimo farla cadere nel sacco ed ottenere privilegi dalla sua amicizia.
Tamaki, che si era voltato in dietro per sorridere estasiato all’amico, i nuovi arrivi lo mettevano esageratamente di buon umore, fu certo di vedere un aura oscura estendersi alle spalle del ragazzo che sorrideva al suo quaderno in modo fin troppo ambiguo. Si voltò bianco come un cencio. Probabilmente vivendo a stretto contatto con Kyoya Ootori non si doveva più temere l’inferno.
La ragazza venne invitata a lasciare l’aula, ma questa, avvicinatasi alla professoressa, parve convincerla a lasciarla restare. Quando la Engels si voltò Tamaki trovò estremamente commoventi quegli occhioni allungati e lucidi segno evidente di qualche trauma passato e gli si riempì il cuore della voglia di salvare la povera ed indifesa anima di quella fanciulla così fragile che andava a sedersi nell’unico posto libero, quello accanto allo Shadow king dell’Host club.
 
Kyoya seguì quella figurina scura sederglisi accanto senza degnarlo di uno sguardo. Rimase allibito quando, con uno scatto, frappose la sua cartelletta tra loro due lasciandola in piedi sull’orlo del banco. L’ultima cosa che scorse sul suo viso fu un’occhiata furtiva che si lanciò tutt’attorno prima di affondare il naso nel quaderno.
Molto studiosa. Le piace la matematica (?)
Tornò indietro mettendo ancora più in forse l’affermazione di egocentrismo di poco prima. Non che poi gliene importasse.
Era certo di aver già capito tutto della sua preda.
 
**
 
Un ragazzo alto e moro stava in piedi accanto al mio banco schiarendosi la voce per richiamare la mia attenzione. Lo guardai dal basso. Dovevo alzarmi in piedi? Presentarmi? Inchinarmi? Quanta formalità andava usata per un ragazzo della mia classe, quindi mio pari in età, ma con un’influenza sociale differente?
-Ciao- Scelsi l’approccio più comune.
Sorrise. Aveva un bellissimo sorriso, decisi. Un po’ falso, un po’ stronzo, ma niente da ridire.
-Fraulein*… - Si inchinò. Roteai gli occhi. Eccone un altro che mi parlava in tedesco. –Sono ai suoi servizi principessa- Si era piegato in modo che il suo volto si trovasse davanti al mio nonostante fossi seduta. Una vacanza ai Caraibi gli avrebbe fatto bene, era così bianco che Dracula lo denunciava per plagio.
Rimasi saggiamente in silenzio. Il moro si rialzò e mi scrutò attentamente. Mi sembrava di essere una scatoletta di tonno sotto il muso di un gatto. Forse era meglio inchinarmi a mia volta …
Un turbine di capelli e gonne lo spinse via e venni prontamente accerchiata da una nuvola di principessine sorridenti tutte risolini e mossette, ma tutte tremendamente carine, con quell’aria kawaii che distingueva quel paese dall’Italia, dalla Germania o qualunque altro luogo. Dove le trovi delle ragazze così carine? Dove? Io, con i miei tratti decisi e spigolosi, il mento appuntito ed il naso forse un po’ troppo affilato, mi sentivo assolutamente fuori luogo. All’improvviso ringraziai di non essere bionda. Non credevo l’avrei mai fatto,ma non è mai tardi per incominciare. Fui sballottata avanti ed in dietro per tutta l’aula.
-Ho sentito dei tuoi genitori, oddio è vero che vivi sola?-
- Dev’essere stato terribile per te!-
-Hai vissuto in Italia? Dove esattamente?-
-Quel vestito è stupendo, mi ricordi tanto il personaggio di un manga –
Poi dalla folla la creatura mitologica del primo banco fece la sua apparizione tra strass e fiori freschi ed essenze afrodisiache di dubbia provenienza. Mi prese le mani e mi ritrovai il suo volto a pochi centimetri, sorrideva come un idiota, ma dovevo ammettere che era un bel vedere.
-Oh mia musa! Pulcherrima fanciulla dalla pelle vellutata, sei nuova in un posto sconosciuto! Qualunque cosa tu abbia bisogno non esitare a fare affidamento su di me, ogni tuo desiderio sarà un ordine. – Il tutto finì in un inchino, di quelli in ginocchio che si fanno per chiedere la mano alla sposa. Un palmo sul cuore e le mie mani ancora strette tra le dita mi fissava con occhioni da cucciolo.
-Stai male?- Mi uscì di un fiato. Non potei fare a meno di chiederglielo. La creatura brillante si smaterializzò  per poi riapparire all’altro lato dell’aula, raggomitolato su se stesso. C’era della muffa sulla parete che prima non avevo notato …
Scossi la testa. Qui le persone non erano affatto normali. Tra la folla di ragazze che mi guardavano ora contrariate per aver rifiutato le avances  del loro idol, scorsi il volto serioso e composto del tipo di poco prima. Quello che aveva cominciato il gioco del “presentiamoci tutti assieme alla nuova arrivata mentalmente minorata a cui sono morti i genitori e che è vestita come una gothic lolita in una scuola di classe”. Fortunatamente il professore, che nel frattempo si era perso, entrò in aula. La lezione ebbe inizio. La creatura luccicante andò ad ammuffire al suo posto e così anche il momentaneamente soprannominato Dracula.
Per oggi ne avevo abbastanza.
Ouran Hig school un corno! Mi avevano mandata in un manicomio altrochè!
 

Non appena la campanella di fine lezione suonò scattai fuori dalla porta alla velocità della luce. Riuscii a dribblare un paio di professori ed un buon numero di ragazzi. Qui non eravamo per le strade di città dove qualche ragazzetto poco intelligente ti metteva lo sgambetto facendoti baciare l’asfalto come se fosse un amico che non vedevi da tanto tempo. Per fortuna non indossavo quei mocassini con la suola liscia con cui le principessine parevano pattinare sui pavimenti cerati. Se c’era una cosa che non potevo vantare era un buon equilibrio.
La biblioteca, lì di solito c’era silenzio … Dov’era la biblioteca?
Mi guardai intorno spaesata rendendomi conto di quanto fosse grande quel posto. Sentivo le grida isteriche farsi largo attraverso la mia gola.
-Porca miseria!- Lanciai all’indietro la cartelletta nel corridoio vuoto.
-Wha!- Un tonfo. Rimasi pietrificata.
Ho ucciso qualcuno. Ho-ucciso-qualcuno.
DANNAZIONE HO UCCISO QUALCUNO!
Eppure quando ho visto Pinocchio ho dato dell’idiota a quel burattino dal naso lungo che, lanciando un libro, aveva colpito in testa un suo amico che poi era svenuto.
Nemmeno un libro!
Gli ho lanciato appresso tutta la cartella!
Mi voltai terrorizzata con le mani sulla bocca. Le vetrate illuminate formavano un contrasto con le aule buie ed il lungo corridoio senza anima viva. Seduto a terra, con accanto la mia cartella, stava un ragazzino esile, con gli occhioni castani sgranati.
-Stai bene?- Chiesi di riflesso.
Certo che non sta bene idiota! Gli hai tirato addosso una cartella!
Mi chinai davanti a lui per controllare io stessa che non perdesse sangue da nessuna parte e non rischiasse di svenire da un momento alla altro.
-Sto benissimo- Rispose quello pacato. Aveva la voce da donna. Poteva capitare, certo. Dopotutto era più piccolo e non aveva cambiato la voce … Già.  Si voltò a prendere la cartella e me la porse rialzandosi.
-Mi hai mancato- ammise tutto serio.
-E … Perché sei finita a terra?- Chiesi. Non rispose aspettando che mi accorgessi che avevo usato il femminile senza accorgermene. –Ahehh .. Finito, finitO, perdonami- Ridacchiai afferrando la mia borsa e portandomela al petto.
Sorrise gentilmente, aveva un faccino così carino! I lineamenti efebici, gli occhi che risaltavano sopra tutto di quel castano intenso e corposo mentre morbidi ciuffi scuri gli accarezzavano le guance.
-E’ stata la sorpresa, mi sono spaventato e non ho un gran equilibrio … - Fece vagare un attimo lo sguardo per poi tornare a fissarmi. –Perché lanciavi la cartella nel corridoio?-
Domanda cruciale.
Cominciai ad arricciarmi i capelli con un dito.
-Perché, bhè, mi piace lanciare le cartelle eheh, è divertente … Speri sempre che mettano le ali e si portino via i libri ehehehe … - Mi fissava come se mi fossi bevuta il cervello. Stavo facendo una figura orribile. Però anche lui poteva evitarsi una domanda simile.
-Le cartelle non volano-  Si limitò ad informarmi.
-Ah già … - Grazie di avermi dato questa notizia.
Calò un infausto silenzio  rumoroso, di quelli che ti fanno esplodere la testa per il loro frastuono, eppure in realtà non vi è nessun suono.
Di punto in bianco indicò il mio vestito. –Sei nuova di qui vero? –
Abbassai lo sguardo sul corpetto di velluto. In effetti ero un po’ troppo visibile per i miei gusti. Perché dovevo avere la fissa per i merletti e i nastrini? Era tutto il giorno che continuavo a domandarmi il perché del mio comportamento da decerebrata. Insomma Eleanor! Hai un gran cervello, puoi vantare un’intelligenza superiore alla media, usala! Fai valere la campionessa di scacchi che c’è in te. Che incoraggiamenti inutili. Avevo vinto un torneo, quella volta il campione in carica si sentì male e vomitò tutta la sua colazione , sui miei piedi naturalmente, giusto per dimostrarmi quanto fossi carina.
Per ripagarmi le scarpe mi offrirono il premio.
Certe persone sanno proprio come incrementare l’autostima altrui, mia madre sorrideva e batteva le mani, mio padre invece aveva da ridire sulle mosse dell’alfiere, non che me ne fregasse molto se l’alfiere era in A4 o A5, per me non cambiava nulla, non avevo mai studiato come lui. Mi buttavo a naso.
Che grande intellettuale che ero.
Comunque il ragazzino lì davanti attendeva una risposta, anche se non sembrava scocciato. Più che altro incuriosito.
-Sì, da oggi faccio ufficialmente parte del circo, piacere,sono Eleanor la lanciatrice di borse, con chi ho l’onore di parlare?- Incredibilmente ridacchiò, era carinissimo!
Peccato che fosse un po’ troppo piccolo, era più basso di me ed era anche molto più sottile. Io certo non potevo dire di essere una modella. Sì, ero alta, gentile eredità di mio padre, ma di certo non sottile. Non che fossi grassa, certo. Avevo solo delle ossa abnormi, tanto che anche diventando anoressica sarei pesata cinquanta chili.
-Sai, sei buffa- Schietto il ragazzino.
-Me lo dicono spesso … - Evitai di espandere ulteriormente quel velo di auto compatimento che mi permeava addosso. Meglio partire all’attacco.
-Sai per caso dov’è la biblioteca?- Domandai, una domanda molto innocente che parve però metterlo in difficoltà.
-Quale?-
-Come quale?- Avevano più di una biblioteca? Ma che era? Nemmeno il castello della Bella e la Bestia aveva più di una biblioteca!
Stava per dirmi che ero un’idiota. Sicuro. Poi alle sue spalle due gatti siamesi fecero la loro comparsa ghignando perfidamente.
 
**
 
-Haruhi, Kyoya ci ha mandati a cercarti-
-Dice che se non arrivi al club entro cinque minuti il tuo debito salirà di un milione … -
Haruhi provò uno dei suoi rari raptus omicidi nei confronti del re dell’ombra, poi riportò la sua attenzione sulla ragazza stramba che aveva tentato di ucciderla un attimo prima e che ora alternava, come impazzita, il suo sguardo tra Hikaru e Kaoru, che appena si furono accorti di lei si illuminarono come i fanali di un autobus.
-Salve principessa!-
-Ci scusiamo, ma se volesse essere intrattenuta dai qui presenti …-
-Deve seguirci nell’aula riservata all’Host club-
Li guardò spaesata. Quando i gemelli si mangiavano le parole sapevano essere molto irritanti, però anche lei, che sembrava sempre riflettere accuratamente su ciò che stava per dire … Faceva pensare a qualcuno che mentiva sempre. Eppure non le pareva il tipo.
-C’è un Host club? – Domandò come risvegliatasi da una specie di trans. I gemelli si fissarono negli occhi.
Un’altra ingenua preda per il loro triangolo amoroso? Oppure una dolce sirena per il lord? Una donatrice di torte per Honey? Un cucciolo per Mori? Una vittima di Kyoya? Un’amica per Haruhi?
La passarono allo scanner. Capelli. Oddio.
Vestiti. Neanche a parlarne.
Era alta quanto loro e la cosa era inquietante.
Haruhi lesse la cattive intenzioni in quei due prima ancora che entrassero in azione.
Kaoru afferrò la ragazza per un braccio mentre Hikaru quasi sollevava di peso Haruhi e le trascinarono entrambe verso l’inizio dei sogni di qualunque ragazza.
 
Nell'ala sud della prestigiosa Accademia Ouran, all'ultimo piano, alla fine del corridoio c'è un'aula di musica, inutilizzata. Apri la porta e trovi...




* Il paragone di Kyoya si riferisce al fatto che le ragazze giapponesi si classificano in due gruppi a seconda della forma del viso:
da procione (Haruhi) con il volto rotondo e da volpe, come in questo caso Eleanor, ovvero con il volto allungato e triangolare.
*Fraulein= signorina in tedesco

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Capitolo 4
*** Host club ***


 HOST CLUB

Dove Eleanor Lizbeth Desdemona Engels scopre che ai diavoli piace vestirsi da angelo, ma che se glielo si fa notare prendono fuoco.

 
Nell'ala sud della prestigiosa Accademia Ouran, all'ultimo piano, alla fine del corridoio c'è un'aula di musica, inutilizzata. Apri la porta e trovi...
Il pavimento era coperto di materia ovattata. Le pareti rilucevano di un bianco perlaceo mentre dal soffitto pendevano lunghe tende candide di pura seta che drappeggiavano l’intera stanza e brillando lì dove, nelle pieghe, la luce del sole proveniente dalle vetrate colava languida. Un turbine di petali di rosa mi avvolse. Sul volto di Haruhi si leggeva un vago disprezzo per quel che stava accadendo, ma non me ne chiesi il motivo. Invece i gemelli continuavano a ghignare. –Hanno cominciato senza di noi … - Disse uno.
-… Traditori!- Finì l’altro.
-Benvenute!- Il tono soave di più voci maschili mandò in ferie anticipate il mio cervello.
Davanti a noi, accoccolati sotto la luce delicata e le ombre tenui di quel paesaggio paradisiaco stavano quattro angeli sorridenti.
-Oh, quale soave bellezza portate al mio cospetto? Cosa si riflette in questi occhi cristallini? Il volto indescrivibile di una fanciulla celestiale! – Un angelo biondo svolazzò davanti a me inginocchiandosi e prendendomi una mano poggiandovi le labbra. Lo fissai. Seriamente, parevo una triglia per quanto lo fissavo.
Rimasi a fissarlo.
Indossava una tunica candida lunga fino alle caviglie, un cerchietto dorato sul capo ed un paio di  cose  che sarebbero dovute essere ali e che parevano sostenersi, per restare in tema, con la forza dello spirito santo.
Notando la mia palese mancanza di reazioni data dalla tramutazione totale e istantanea di ogni mia singola cellula in granito, sollevò il suo testolino dal simpatico baciamano puntandomi contro due occhioni violetti che mi perforarono senza pietà. Riconobbi la creatura brillantosa della mia classe. –Ancora tu?- Domandai. Sembrò scoraggiato ma non si arrese, fece per aprire nuovamente bocca che Il cugino della nipote della bis pro zia della sorella acquisita da parte di mamma di Dracula si fece avanti scandendo il mio nome peggio delle campane a morto.
-Eleanor-Lizbeth-Desdemona-Engels-  Un angelo occhialuto e dai capelli del concentrato più oscuro delle tenebre stesse si fece avanti scansando il biondo e sorridendomi appena, le labbra incurvate agli angoli sulla pelle pallida rischiarata e resa luminosa dagli abiti color avorio che ne slanciavano la figura, anche lui aveva un paio di ali posticce sulla schiena, meno appariscenti di quelle della creatura brillante che stava coltivando funghi in un angolo, e con una fila di penne scure nella parte inferiore. Si aggiustò gli occhiali sul naso. –Tu sei la nostra nuova compagna di classe, esatto? – Annuii automaticamente indietreggiando, alle mie spalle incontrai la superficie liscia della porta chiusa. –Diciassette anni … Trasferita ieri dall’Italia ? – Inarcò un sopracciglio.
 
**
 
Il fatto che avesse respinto a quel modo Tamaki significava soltanto che in classe era rimasta troppo stupita per agire e che dunque le sue deduzioni si erano rivelate errate. Cancellò la V accanto al nome del lord con un gesto di stizza. Se c’era una cosa che non gli piaceva era scoprire di non aver inquadrato nel modo giusto una persona.
La ragazza indietreggiò fino a poggiare la schiena contro la porta chiusa. Anche Haruhi aveva tentato la fuga la prima volta ed anche lei era incappata nel piccolo problema delle chiusura automatizzata. Non che lui c’entrasse niente ovviamente. Inarcò un sopracciglio notando la poca disponibilità del soggetto. Forse era ancora provata per la morte dei suoi? Che domande! Era ovvio che lo fosse!
-Hikaru, Kaoru, perché non fate accomodare la nostra ospite?- Sorrise di nuovo. Forse era meglio prenderla alla larga. Girare intorno. Intrappolarla. Certo che così sembrava davvero una persona spregevole, ma il guadagno veniva prima di tutto no?
I due gatti siamesi, che nel frattempo si erano cambiati, si accinsero a confondere la nuova principessa portandosi l’uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra e appoggiandosi ciascuno ad una sua spalla.
-Nee Eleanor – Hime … -
- … Da questa parte, si sieda con noi!-
La sospinsero verso un divanetto in uno svolazzare di penne e tuniche. La ragazza spaesata rimase in silenzio alternando lo sguardo dall’uno all’altro. Era forse imbarazzata?
Tamaki, ignorato da tutti, si riprese e decise di compiere il suo lavoro di lord. Poco male. Se non fosse stato per un esuberante scricciolo biondo.
Honey si accomodò tranquillamente a cavalcioni sulle sue ginocchia osservandola con gli occhioni castani e stringendosi al petto il suo coniglietto di pezza rosa. –Eleanor-hime ha un nome davvero lungo, come potrei chiamarla? Uhmmm … - Cominciò a chiacchierare per gli affari suoi ignorando i tentativi del lord di attirare l’attenzione con la sua solita presentazione dei vari membri. –Hele –chan? Uh … -Nor … -Nora … Nora-Chan!- Eleanor lo osservò con il capo piegato di lato. –Scusa, perché chan? Tu non sei delle elementari?-
Haruhi si sedette davanti a lei con grazia prendendo poi a versare il tè.
-In effetti è davvero un nome molto lungo … Uh, sei straniera vero?-
Honey si spostò di lato rimanendo avvinghiato comunque al braccio della principessa. –Nora-chan, vuoi un po’ di torta?-
-Non mi piacciono i dolci-
Tamaki riuscì a sfondare le mura nemiche e a piantarsi davanti a Eleanor con una posa perfettamente studiata con tanto di stelline luccicanti sullo sfondo.
-Benvenuta all’Host club, mia cara principessa … Quale tipo preferisc-
-Nessuno!-
Silenzio in sala.
 
**
 
Basta, ma dove ero finita? Nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie? Erano tutti pazzi? Facevano uso di droghe pesanti?
Il cosetto accanto a me indossava la divisa delle superiori nonostante apparisse palesemente delle elementari, su di me sentivo l’ombra oscura di un ragazzo in piedi alle mie spalle. Forse un po’ troppo alto, che mi teneva d’occhio dall’istante stesso in cui avevo rivolto la parola al puffo.
Ai lati del divanetto i gemelli-iene ridens-siamesi- dai capelli rossi di cui al momento non ricordavo il nome, discutevano tra loro di una questione che pareva riguardare molto da vicino i miei capelli e il mio modo, da quanto dicevano, decisamente out di vestirmi. Davanti a me un pietrificato lord mi fissava sconvolto mentre, oltre il suo corpo di marmo, il ragazzino che avevo tentato di uccidere con la cartella sorseggiava beatamente il tè come se non fosse toccato da tutto quel caos.
L’unica persona che poteva essere definita normale e neanche tanto, dato il suo aspetto, era il ragazzo con gli occhiali che poco prima aveva dato a vedere di aver ficcato il naso nel mio fascicolo personale. Se ne stava tranquillamente appoggiato a lato della porta con ostentata tranquillità.
-Ehi, voi, le clienti arriveranno da un momento all’altro … - Si limitò a comunicare poco prima che la sala venisse inondata da gonne color giallo limone.
 
Seduta su una delicata sedia imbottita, ad un tavolino fine e decorato con buon gusto, sorseggiavo un tè schifosamente zuccherato da una tazza che mi era stata definita “una delle migliori porcellane in circolazione” senza calcolare minimamente quanto me ne potesse fregare.
Seduto davanti a me, immerso in calcoli ed equazioni, o per meglio illustrare la situazione, sommerso stava il moro occhialuto.
-Quindi … Tu saresti il tipo affascinante.- Lo scrutai da sotto la mia frangia troppo lunga. In effetti qualcosa di fascinoso lo aveva. Si sistemò gli occhiali e mi gettò uno sguardo distratto, ma penetrante. “Come fa uno sguardo distratto ad essere penetrante?” Mi chiesi in quel momento.
-Esatto.-
-E questo … è un Host club.-
-Giusto.-
Perché avevo la parvenza di essere trattata con l’accondiscendenza che si ha per i neonati e gli idioti?
-E … Potresti spiegarmi un secondo cosa ci fa un Host club in una scuola?-
Sospirò poggiando la calcolatrice sul tavolino.
-L’istituto privato scolastico Ouran. In parole povere, nobiltà e denaro. I ricchi hanno molto tempo libero, quindi in questo host club noi riempiamo le nostre giornate intrattenendo le ragazze non meno afflitte di noi da un eccesso di tempo libero- Intrecciò le dita sotto il mento fissandomi. –Ora. Tamaki ti vuole far stare qui per un giorno, senza che tu sia iscritta e, per qualche strana ragione a me non chiara hai scelto di essere intrattenuta da me per questo lasso di tempo, quindi, visto che ho diversi calcoli finanziari da portare a termine non mi dispiacerebbe che la principessa Eleanor Lizbeth Desdemona Engels , prendesse il tè in silenzio. L’assenza di suono stimola la pace dell’animo sai?-
-Ah, ma qui quello che parla troppo sei tu. – Sbuffai arrendendomi. Quel tè era imbevibile. Riappoggiai la tazza sul tavolo, probabilmente nel modo sbagliato perché il piattino precipitò sul pavimento andando in mille pezzi. –Oh … - Fissai i cocci sul pavimento, poi notai un guizzo negli occhi del ragazzo che avevo davanti. –Lo ripago- Mi affrettai a dire prima che gli venisse un ictus. Sorrise e respirò piano sistemandosi gli occhiali e appoggiando la schiena alla sedia. –Lo spero.- Commentò. –Spero non vi siate ferita con le schegge … Le cure mediche costano fin troppo.-
Mi sentii punta sul vivo. Ora, cosa voleva questo?
Mi allungai sul tavolo. – E tu che ne sai?- Sibilai.
Lui rise divertito perforandomi con quegli occhi troppo neri e troppo … qualcosa per uno che dovrebbe corteggiarle le ragazze. Non mangiarle. Lupo. Da gatto e tonno eravamo passati a lupo e cappuccetto rosso.
-Semplice, la mia famiglia possiede il più delle ditte farmaceutiche e degli ospedali del paese.-
Il mio cervello fece un facile collegamento.
Riavvolse il nastro e riascoltò la frase.
Rifece il collegamento.
Purtroppo i miei neuroni si bloccavano anche solo a immaginare una cosa simile.
-Aspetta aspetta aspetta – Portai le mani davanti a me. –Tu. Ospedali. Aziende. Ootori. ?-
Sbuffò. –Tamaki sotto choc ha un uso delle proprietà verbali nettamente superiore al tuo.-
Forse doveva essere un’offesa.
-Tu sei un Ootori?- Mi uscì d’un fiato, la pala già in una mano pronta a sotterrarmi.
Sollevò un sopracciglio. –In classe non hai sentito l’appello?-
-Sono arrivata in ritardo … - Commentai tentando di sembrare acida, ma sfiatando atterrita. Un Oototi. Un altro, maledettissimo, bellissimo, dannatamente odioso Ootori!
-Ah, giusto. –Scacciò il proprio errore con un gesto della mano ignorando il mio accasciarmi sulla sedia come un sacco vuoto. –E tu sei la principessina che avrebbe dovuto sposare mio fratello. Presentazioni fatte. Ora, parlando del piatto che hai rotto.-
-Il fratello minore di Akito … Il fratello minore di Akito … Il fratello minore di Akito, dove?!?- Ero leggermente isterica. Non ci sarei potuta arrivare nemmeno dopo degli anni di stretta convivenza. Erano agli antipodi. Per cominciare Akito era biondo.
E poi, Akito non aveva solo un altro fratello biondo? Più piccolo? Con gli occhiali pure lui, ma biondo, cavolo! Chi era sto tipo?!?
-Mi stai ascoltando? Guarda che quello è un pezzo unico del suo gener … -
Avevo assoluto bisogno di dire qualcosa di stupido. Se l’avessi fatto il sogno (l’incubo) sarebbe esploso in tanti piccoli frammenti e io mi sarei ritrovata nel mio letto. Possibilmente in Italia. Con i genitori ancora vivi.
-E’ normale per voi Host vestirvi da angeli?- Lo squadrai dall’alto al basso. Primo: non gli donava.
Secondo: era ridicolo.
-No. Questa è solo una delle tante idee fantastiche da cui non riusciamo a distogliere il nostro lord.- Probabilmente si era arreso al fatto che lo stessi ignorando, o forse no visto che scribacchiò qualcosa su un’agenda mandando lampi decisamente non amichevoli con i suoi occhiali del demonio. Uhmmm.
-Mai preso in considerazione corna e forcone?- Domandai poggiando i gomiti sul tavolo.
Mi guardò. Trivellandomi con lo sguardo, potevo sentire la pelle consumarsi sotto il suo sguardo. Mi avrebbe uccisa.
-Non esistono esemplari uguali a quel pezzo da collezione che ha distrutto signorina Engels- Si alzò chiudendo l’agenda. –Si renderà conto che il risarcimento sarà salato … Per non contare i suoi già esorbitanti debiti con la mia famiglia … -
Mi avrebbe uccisa ed avrebbe occultato il cadavere.
Sorrise.
Mi avrebbe uccisa, avrebbe occultato il cadavere ed avrebbe incolpato il fesso biondo dal ferormone magico.
Fece un passo avanti.
-Nooooooora-chan!- Il ragazzino dal coniglietto rosa mi saltò sulle spalle cingendomi il collo con le braccia. –Vieni a mangiare la tortaaaaaa? Eh Nora-chan?-
Come glielo dovevo dire che la torta non mi piaceva?
Bhè, dopotutto era un’ opportunità per sfuggire al demone travestito.
-S-Sì, eccomi!- Lo seguii al tavolo accanto, non resistetti a girarmi e salutare con la mano il moro. Forse un gesto di sfida? No, mi divertivo solo a prenderlo in giro.
Però rimase impassibile, si sistemò il collo della tunica tornando a sedersi.
La cosa mi fece attorcigliare i nervi a tripla mandata. Dannato pinguino. Tsk.
 
**
 
Ma chi si credeva di essere quella Engels?
Quella mocciosa?
Strinse la stylo tra le dita tentando di respirare normalmente. Guardò i cocci a terra sentendo di nuovo il suo istinto omicida premere per fargli staccare la testa a quella ragazzina.
 
Presuntuosa
Immatura
Decerebrata
Rompi piatti a tradimento
Distratta

 
Forse Kyoya Ootori non si rese conto di quanto apparisse infantile il suo dedicare una pagina intera alla ragazza sulla quale aveva deciso di lucrare. Non si rese nemmeno conto, che , così facendo, non avrebbe certo migliorato la situazione.
Però il suo buon senso si era suicidato nell’esatto istante in cui quella gli aveva consigliato “corna e forcone”.
Perché nessuno poteva permettersi, dopo essersi visti solo per pochi minuti, di giudicarlo a quel modo.
Perché nessuno poteva permettersi di mandare in frantumi la sua facciata di host senza che se ne rendesse nemmeno conto.
Soprattutto quando quel nessuno era una ragazzina orfana e indebitata fino al midollo che lui stesso non riusciva a catalogare.
Questo però, non lo ammetteva nemmeno a se stesso.
 

I piatti della bilancia vibrano, tentennano. Fremono. Nell’aria un cambiamento. Nel buio qualcuno si avvicina.

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Capitolo 5
*** Tormento ***


TORMENTO

Come Eleanor Lizbeth Desdemona Engels preferisce accoltellarsi la milza con un compasso piuttosto che passare un solo istante assieme alle iene ridens.
E come cambi idea all’arrivo di un vampiro.

 
-Giammai.-
-Nee Nora-Hime …
-Quanto sei noiosa!-
-Ve lo scordate-
Un coro di mugolii delusi da parte delle viziate principessine, scosse i miei timpani facendomi odiare le due pesti sosia davanti a me, le rispettive frange e sculture di gel e capelli coperte da un berretto verde.
-Perché non prova a indovinare Eleanor-sama?- Fece una di quelle ragazze zuccherine fissandomi con grandi occhioni supplichevoli.  Ingollai una tazza di caffè senza zucchero, che per la cronaca faceva davvero schifo, ed accavallai le gambe sospirando drammaticamente. –Perché non vedo cosa ci sia di divertente o complicato. Sono due persone non due carte da gioco, è ovvio che a modo loro siano diversi – Sbottai.
Uno dei due, non so precisamente quale. Si chinò davanti a me. –Cosa? Ha paura di sbagliare Nora-hime?-
-Tremo.-  Dissi sollevando un sopracciglio.
 
Cosa poteva succedermi di peggio?
Kyoya mi aveva incenerita, il nano chiamato Honey mi aveva costretta a mangiare la torta e ad imboccare il suo coniglio, Tamaki, quell’essere scintillante, aveva decantato lodi ai miei lineamenti, alla mia parlata, ai miei capelli, ai miei vestiti, ai miei modi di fare e all’anidride carbonica che espellevo nel respirare.
Haruhi si era semplicemente limitato a scrollare le spalle quando ero strisciata ai suoi piedi per chiedere aiuto. –Sono sempre così. Poi uno ci si abitua.-
Se avesse detto “Possono ucciderti, non mi importa” forse l’avrei presa meglio.
Infine era arrivato lui. Alto, bruno, figo e inquietante.
Un gigante di un metro e novanta che mi squadrò dall’alto in basso per poi sedersi a mangiare torta con il moccioso.
Mai stata più a disagio in vita mia e quando sono a disagio me ne frego e parlo. Avrò raccontato almeno dodici volte i miei film preferiti e l’ordine esatto dei libri sugli scaffali di camera mia.
Solo una frase però parve accendere il saybor.
-E così, dopo l’ultimo giorno che passai nella palestra di kendo per imparare quel briciolo di auto difesa che conosco, mio padre mi regalò un cucciolo di pantera nero
Biiiiiiiip. Gli occhi si accendono. Niente lucette rosse, solo profonde iridi grigio scuro, il piattino poggiato su un ginocchio ed Honey poggiato sulle spalle. Mi osserva. Mi sta degnando della sua attenzione. A meno che non abbia qualcosa di strano in faccia ...
-Quando mi è stato portato era più o meno piccolo così … - Disegnai una misura con le mani. –Con il pelo molto … Molto fluffoso, come i capelli del citrul … ehm, di Tamaki per intenderci- Ammiccai verso il lord e miracolosamente il ragazzo sorrise della mia non-tanto-gaffe. Anche se sorrise è un’esagerazione … diciamo che gli angoli della sua bocca deviarono la loro andatura stabile verso nord.
-Sai Nora-chan, Takashi frequenta il club di kendo, potresti venire ogni tanto.-
No.
Negativo. Ci ho messo quasi dieci anni a convincere i miei che era un altro tipo di bastone quello che attirava la mia attenzione e che, tanto per non creare fraintendimenti, si chiamava matita.
Non mi farò mai più rinchiudere in una palestra in cui, causa costituzione e salute (non molta) frequenterò solo un paio di lezioni e resterò piccola e stolta così come sono arrivata. So a stento dare un calcio nel basso ventre, potete farvi un idea.
L’unica risposta possibile però fu –Verrò a vedere qualche volta magari. – Sorriso stordente e via! Dileguata.
In compenso so sparare. So sparare benissimo, tanto bene che per un certo periodo in cui il mio dentro e fuori dagli ospedali era condito da lunghe pause, insegnavo alle reclute dell’esercito. Sono stata anche al pentagono. Più di una volta. L’unica cosa che amo di me: la mia mira. Superba, perfetta, in grado di separare le ali dal corpo di una mosca con un solo proiettile a più di venti metri di distanza. Mi amo.
Dopo questo, non so come,
mi ritrovai davanti ad un branco di Yaoiste senza pudore che strillavano indemoniate. Davanti a loro un siparietto sdolcinato tra due ragazzi dai capelli rosso ramato che si abbracciavano giurandosi reciprocamente di non abbandonarsi mai. Probabilmente fu la goccia che fece traboccare il vaso.
-Basta, me ne vado. – Sbottai voltandomi verso la porta e scatenando una serie di reazioni a catena.
-Principessa! Ci onori ancora un po’ con la sua presenza!- Lo sguardo luccicante del lord stupido.
Lo avrei onorato, preferibilmente, con un cerotto sulla bocca.
-Uh, vengo anche io- Haruhi. Caro ragazzo.
-Nooooora-chan! Ma abbiamo altra torta!- No coccolotto dei miei stivali. Non mi piace la torta.
-…- Il discorso illuminante provenne da quel gigante di Takashi che diede un leggero sguardo alla porta e poi di nuovo a me. Mi stava sfidando ad uscire? O più probabilmente mi stava indicando la direzione da prendere. O forse mi chiedeva di restare …
Oh, sentite, chi se ne importa, come se avessi dato ascolto alle sue parole … Se ce ne fossero state.
-Ehi Nora – Hime … -
-Ti lasciamo andare solo se prima giochi con noi … -
Tò, pinco panco e panco pinco, uno appoggiato alla mia spalla destra e l’altro alla sinistra, si lanciavano tra loro occhiate d’intesa. –Io non gioco proprio con nessuno. Io esco di qui e me ne vado. Penso ci sia uno stupendo club di letteratura da qualche parte. Con permesso … -
Tentai di sgattaiolare via ma la reincarnazione di Jack lo squartatore mi trattenne.
Con sole poche parole.
-Il piatto Engels. Il piatto.-
Un’ombra scura si proiettò su di me. Mi voltai trovandomi alle spalle Kyoya.  Il cognome faccio troppa fatica a pensarlo quindi mi rifiuto. Il fatto che al momento cosplayasse un angelo Gabriel dalle nobili fattezze non mitigava le ombre che gli strisciavano attorno alle caviglie come fidi serpenti.
Tornai di mia spontanea volontà dai gemelli.
-Di che gioco si tratta?- Domandai.
Non l’avessi mai fatto.
Iniziò la mia tortura.
I due si scambiarono un sorriso volpino.
-Chi di noi è Hikaru-kun?- Dissero all’unisono calcandosi degli stupidi berretti in testa.
 
Ecco. È così che è cominciata. Non mi lasceranno uscire finché non avrò indovinato.
 
-Allora puoi tirare a indovinare … - Era Hikaru. O forse Kaoru … Ma si chiamavano Hikaru e Kaoru? Dopotutto era la prima volta che li vedevo. A stento ricordavo i nomi.
- … Anche se non ci riuscirai mai!-
Mi fecero la linguaccia continuando a scambiarsi di posizione.
-Visto che non ci riuscirò mai … Perché volete tanto che ci provi?- Dissi acida incrociando le braccia al petto.
-Ovviamente … -
-… Per umiliarti-
Un incudine mi cadde in testa.
-Perché l’ho chiesto?-
 
**
 
-Haaaaruhi! Bambina mia! Quel vestito da angioletto ti dona tantissimo! Vieni qui da papà!-
-Uh, scordatelo- La ragazza si allontanò dirigendosi verso le sue clienti e snobbando il suo "Paparino" molto palesemente.
-Tama-chan, Tama-chan! Non essere triste, ecco ti presto un po’ Usa-chan vuoi?-
Il lord si strofinò gli occhi nel suo angolino buio.
-Grazie Honey, tu si che sei gentile … -
In questa allegra atmosfera familiare Kyoya se ne stava relegato nel suo mondo con la schiena appoggiata alla parete ed un palmare, ultima novità del momento, fra le mani, intento a compiere delle ricerche catalogate in:
tutto ciò che riguarda la Engels.
Come sfruttarla al meglio.
Come estorcerle il pagamento per il piatto e, possibilmente, di un nuovo servizio da tè intero.
-Mammina! La nostra bambina è nel periodo della ribellione!-
Kyoya lo fissò dall’alto della sua onniscienza. Innervosito per essere stato interrotto nel pieno dei suoi piani malvagi. – Comincio a chiedermi quando abbia avuto una figlia. – Sbuffò cambiando scheda ed infiltrandosi nei documenti delle industrie elettroniche più famose di tutto l’occidente … ed abbastanza anche in Giappone.
Tamaki, straziato da questa mancanza di attenzione, si avvinghiò alla gamba della consorte frignando come un bambino in fasce. –Mamma, il papà è taaaanto triste!-
Kyoya sospirò rassegnato. Perché, perché solo a lui gli idioti ?
-A Natale ti regalerò un cervello … - Mugugnò tra i denti tentando di scrostarselo di dosso.
-Kyoyaaaaaa … -
Santa pace. Era impossibile fare qualcosa senza essere interrotti da biondi fosforescenti o gemelli sincronizzati.
-Hikaru. Kaoru. Che succede?- Disse con tutta la calma che aveva a disposizione.
- … La prigioniera non collabora!- Fecero all’unisono.
Kyoya inarcò un sopracciglio. A quanto pareva la straniera era passata da giocattolo, a vittima per finire con prigioniera. Di lì a poco i gemelli si sarebbero scocciati e dimenticati di lei. A meno che non facesse qualcosa di irrimediabilmente stupido … Come dar loro corda …
-QUELLO A DESTRA E’ HIKARU E QUELLO A SINISTRA KAORU!-
Sbucò alle loro spalle digrignando i denti e puntando un dito verso i due.
Il demone occhialuto sospirò. Non sarebbe mai più uscita di lì. Aveva firmato la sua condanna.
I gemelli pestiferi si voltarono lentamente.
Sogghignarono.
-SBA – GLIA –TO – Sillabarono, ombre scure sugli occhi dorati.
-Allora al contrario!-
-No, così non vale Nora-chan … -
-Devi dare una spiegazione … -
-M-ma avete detto … Che potevo tirare a indovinare …! –
Con sincronia perfetta si passarono l’uno un braccio attorno alla vita dell’altro piegandosi in avanti ghignando, i cappellini verdi che scendevano sulla fronte e la tunica da angelo frusciante.
-Sì,  ma … -
-… Non è più divertente!-

La ragazza si guardò intorno disperata. Incrociò lo sguardo di Haruhi e fece per dirigersi nella sua direzione quando un fascio luminoso e vagamente inquietante la attraversò paralizzandola sul posto.
Kyoya le stava puntando contro un flash malvagio proveniente dei suoi occhiali/lampade da abbronzatura.


**

Si era rivelato un vero Ootori alla fine.
Riuscii ad uscire da lì solo alla fine delle attività con il corpo perforato da occhiate assassine made – in –stronzo e i nervi tesi come corde del banjo che gli adorabili gemelli si erano divertiti a suonare tutto il giorno allegramente e spensieratamente, con il risultato che ora le altre clienti mi odiavano.
Odiavano ME.
Perché IO avevo monopolizzato i loro idoli.
Al solo pensiero mi venne l’improvvisa voglia di costituirmi a Kyoya già legata e con una mela in bocca pronta ad essere gettata negli inferi, cotta e divorata.
Come se tutto ciò già non bastasse i due siamesi mi si affiancarono sollevandomi di peso in maniera perfettamente simmetrica.
Lanciai uno strillo acuto presa di sorpresa. –V-voi! Hikaru! Togli quella mano da lì! Kaoru,  lascia la mia borsa! Mettetemi giù! Che fate?!?- 
Con la mano libera si coprirono un orecchio.
-Gridi proprio come una cornacchia. Non sei per niente femminile.-
Ed ecco il secondo incudine della giornata! Mi appiattì il cranio mettendomi a tacere.
-E comunque … -
-E’ stato Kyoya – sempai a dirci di rapirti.-



**
 
Kaoru gettò un’occhiata alla ragazza che teneva sollevata.
-Hai tirato ad indovinare anche questa volta?- Le domandò.  Non vedeva l’ora di schernirla un altro po’. Aveva indovinato al primo colpo, non era da tutti ed era apparsa anche dannatamente sicura di sé …
-CERTO! SECONDO VOI MI METTO A PRESTARE ATTENZIONE A COME TENETE IL CIUFFO MENTRE MI RAPITE?- Urlò assordandoli entrambi, una volta giunti davanti ad una sfavillante limousine nera una mano candida ed elegante aprì la portiera e lei venne brutalmente lanciata all’interno per poi finire accartocciata sul tappetino nello spazio tra sedili anteriori e posteriori, causa la brusca partenza.


Kaoru scrollò le spalle guardando l’auto di Kyoya allontanarsi.
-Dici che ha indovinato per caso, Hikaru?-
Il gemello gli prende la mano sorridendo e lo guarda con i suoi grandi occhi dorati.
-Ne sono sicuro, Kaoru.-
Entrambi i ragazzi si dirigono verso l’auto che li attende sospirando.
-E se fosse come Haruhi?-
La mano di Hikaru stringe la presa sulla sua.
-Nessuna è come Haruhi!- Sbotta innervosito.

-Quindi ha tirato a indovinare.-
-L’hai sentita anche tu no?-
-E perché durante il gioco non ha mai sbagliato?-


**

Ero stata sequestrata.
Contro la mia volontà.
Da un paio di iene ridens sotto l’ordine di un furer dal pugno di ferro e il cuore a forma di calcolatrice.

Mi sollevai arrampicandomi sul sedile posteriore a fatica, nemmeno stessi risalendo un parete del gran Canion. La mia chioma fulva fece capolino seguita dal mio sguardo truce ed assassino quando una voce vibrante e ad alto tasso corrosivo raggiunse le mie orecchie facendomi voltare di scatto alla mia destra, trovandoci appunto il direttore d’orchestra di questo bello spettacolino.
-Tu … - Soffocai una ringhio pronta a balzargli al collo per azzannarlo a morte.
Kyoya si limitò ad aggiustarsi gli occhiali sorridendomi in modo tale che fui arcisicura che quell’auto fosse diretta in un posto alquanto spiacevole. Tipo una fabbrica di carne in scatola. Mi avrebbero triturata e ingelatinata e poi imbarattolata, non mangerò mai più Simmental in tutta la mia vita!
-Questo è un rapimento! Sporgerò denuncia!- Gridai ancora inginocchiata tra i due sedili sventolandogli contro un dito con fare minaccioso. Lui sollevò un sopracciglio. –Quello di prelevarti da scuola è stato un diretto ordine del tuo tutore, non sono certo così disperato da sobbarcarmi una … - Mi fissò  come se stesse tentando di trovare un termine adatto. Lo vidi gettare un’occhiata alle pagine della sua agenda e sistemarsi gli occhiali.
Una che? Cosa vorresti insinuare stupido damerino?
-Comunque sia, il suo tutore ci ha contattati chiedendoci gentilmente di prenderci cura della signorina Engels, poiché la povera- sbaglio o c’era ironia nelle sue parole?- Eleanor si ritrova a vivere da sola senza il supporto di nessuno. – Appuntò qualcosa sovrappensiero. –Questo è il motivo per cui ti trovi qui.- Continuò a fissare l’agenda.
-Quindi, nonostante io trovi tutto ciò estremamente seccante, vivrai nella nostra residenza. Capisci?-
Mi trattava, di nuovo, come un’inetta?
Lo fissai per un momento sbigottita.
-No!- Sbottai d’un fiato.
Alzò un sopracciglio.
-Mi era giunta voce che non brillassi di intelligenza, ma non mi sembra un concetto così difficile da realizzare.- Fece, piuttosto acido, scendendo dall’auto ormai ferma. Nonostante fosse stato educato a rispettare le giovani principessine, non si sognò minimamente di aprirmi la portiera per aiutarmi ad uscire a mia volta.
-No, nel senso di NO, io non ci vivo in questa casa!- Saltai giù dalla vettura rischiando la vita della mia caviglia sinistra scivolando sulla brecciolina del vialetto per poi inciampare in un sasso più grande,  ribaltarmi molto poco elegantemente e veder avvicinarsi il suolo ad una velocità supersonica non consigliabile ai malati di cuore. Qualcuno mi afferrò per il gomito rimettendomi in piedi.
-Dove credi di andare?- Domandò Kyoya, ancora fermo accanto all'auto. No, non era stato lui a salvare il mio bel nasino. Figuriamoci se quello si metteva a soccorrere le donzelle in pericolo. No. Avevo davanti l'intera squadra dei men in black. Indietreggiai di un paio di passi schiarendomi la voce. -Lasciatemi passare.- Tentai leggermente insicura.
-Ci è stato ordinato di non lasciarla fuggire.-
Ovvio, ma me ne sarei pentita se non ci avessi provato.
Tornai a voltarmi verso Satana indicando con il pollice i tizi dietro di me. -Senti, tu li conosci?-
-Sono le mie guardie del corpo.-
-Ti fai proteggere dalla CIA? Sei un alieno? Hai mai visto l'area cinquantuno?- Il mio livello di sopportazione mi stava portando al gradino dopo lo sbroccare tipico da chi, come me, è condannato dall'avere i capelli rossi ed un carattere tremendamente irascibile.
Curioso come queste cose vadano a braccetto, non trovate?
Ignorando la trementina nella mia voce, il ragazzo si voltò facendomi strada verso l'ingresso il quale non era cambiato di una virgola da come lo ricordavo. Io rimasi al mio posto.
-Signorina Engels, non vorrei dare l'ordine che lei venga trascinata dentro a forza ... -
Dì la verità, dì che non aspetti altro che tramortirmi legarmi e trascinarmi all'interno in una cella umida dopo avermi spillato ogni minima goccia di sangue ed aver rivenduto i miei organi al mercato nero. Rabbrividii.
Ripiegai sulla logica. Ahrg, i miei neuroni non si erano mai nemmeno conosciuti di persona, figuriamoci se riuscivano a connettersi per tirare fuori qualcosa di decente!
-Uhmm ... I miei vestiti? E le mie cose?- Ero sulla buona strada. -Dovrei andarli a prendere ... -
Il sorriso che il moro mi rivolse mi fece venire in mente che avevo un golfino nella borsa... Un momento, quello era un pinguino?
-Abbiamo già portato tutto nella sua stanza, Hime, la prego di entrare.-
C-Cosa? Già portato tutto? Le mie cose nella casa degli orrori?
Dietro di me gli agenti segreti formavano una specie di muraglia cinese bracciuta, pronta ad afferrarmi qualunque scatto facessi, fosse anche quello di grattarmi il sedere. Non avevo scampo.
-Spero almeno di non scivolare su una lastra di ghiaccio ... - Mugugnai salendo i gradini mentre il vampiro si faceva da parte per farmi passare ignorando le mie parole con una vena in rilievo sulla tempia. Ancora una volta mi chiesi dove fosse questo ragazzo quando io passavo le mie giornate d'infanzia in questa residenza. Non avevo il minimo ricordo di lui. Forse furono questi pensieri a rallentare il mio passo, mentre inconsciamente fissavo il conte Vladimir e questi mi scherniva da dietro le lenti cangianti, una voce purtroppo ben nota mi fece rizzare i capelli sulla nuca.
-Alla fine sei di nuovo qui.-
-Kyoya, sicuro di non voler rivendere i miei organi al mercato nero? Ci faresti su un bel gruzzolo! Ti prego, pensaci!- Per poco non mi avvinghiai alla manica della sua giacca implorando pietà, mentre l'uomo biondo che aveva parlato mi si avvicinava con passo posato, simile ad un avvoltoio che cala sulla carcassa.
 

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