No Secrets Anymore

di Neal C_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tell me when it's time to say I love you ***
Capitolo 2: *** How can I trust you again? ***
Capitolo 3: *** I’ m waiting for reasons. How long will it be before I hear? ***
Capitolo 4: *** You’ve always cast me aside, made me cry, You made me hope and what I got is crap ***
Capitolo 5: *** The End ***



Capitolo 1
*** Tell me when it's time to say I love you ***



WARNING:
Lemon esplicita, linguaggio Scurrile

No Secrets Anymore



Novembre è un mese del cazzo.
Nuvole, nuvole, sempre nuvole, un cielo grigiastro, sembra che stia per piovere da un momento all’altro e poi non succede mai. Un momento prima fa freddo di quei freddi secchi che ti gelano, poi, quando fa capolino il sole e ti investe con i suoi raggi, grondi sudore come un colapasta gronda acqua.
Allora mi chiedo...che cazzo dovrei mettere a Novembre?!
Ormai ho un’età, cristo santo! C’ho quarant’anni e vorrei evitare raffreddori, influenze, sbalzi di voce che mi incasinerebbero la vita. E poi il gruppo non me lo perdonerebbe mai.
Grazie al cielo, siamo in un momento di tregua. Niente tournè in giro per il mondo, niente concerti, interviste, eventi, tappeto rosso o che so io.
Casa. Solo casa.
La mattina posso alzarmi alle otto, sentire Britney che si fa la doccia, infilarmi una di quelle canotte traspiranti, i pantaloncini sintetici da ginnastica, le mie scarpe da ginnastica con la suola molleggiata e tutte quelle stronzate tecniche che le rendono maledettamente comode, afferrare il mio zainetto con la barretta energetica ai cinque cereali e una bevanda energetica dentro, uscire con l’Ipod nelle orecchie, e andare a fare Jogging.
è cinquecento volte meglio che correre su un dannato tapis rouland in una di quelle merdose tende da campus che ti montano quando arrivi in un posto sperduto e devi suonare quel pomeriggio, quella sera, domani mattina o quando sarà.
Io la mattina ho bisogno di correre. Mi fa sentire bene, mi fa sentire giovane, mi tranquillizza, specie perché so che magari domani dovrò saltare con il mio basso da una parte all’altra del palco.
Ci vuole allenamento per cose del genere, altrimenti non riuscirei a fare nemmeno un passo.
E correre mi aiuta a caricarmi, ad incominciare bene la giornata.
Tanto so che poi tornerò a casa e troverò la colazione pronta, Brit sarà uscita, Estelle sarà andata a scuola e avrò tutto il tempo del mondo prima delle undici, orario in cui si va in studio.
Forse oggi potrei fare un’eccezione.
Sto correndo sul marciapiede, mi rompo di andare a correre nel parco.
Ieri ho fatto il percorso lungo il laghetto, l’altro ieri quello nel bosco.
Oggi correrò sull’asfalto, passando davanti a tanti bei cubi grigi di cemento immersi nel verde, ciascuno con il loro steccato, il tosaerba, il garage, la serra, la casetta degli attrezzi e roba varia.
In fondo la periferia di Los Angeles è piacevole per una corsetta.
è il tipico quartiere residenziale, non per ricchi ma comunque per benestanti, in genere vicini abbastanza simpatici anche se un po’ ficcanaso che vanno in chiesa la domenica mattina presto, poi invitano mezza chiesa per una grigliata di mezzogiorno nel loro giardino: Normale amministrazione.
Imbocco una nuova strada, a me fin troppo familiare.
La terza casa, alla mia destra è quella di Billie Joe.
Potrei decidere di presentarmi senza nessun preavviso e fare colazione con il mio migliore amico.
In fondo oggi è domenica mattina, quindi ci sarà la famiglia al completo che starà ancora dormendo.
Potrei farmi prestare un accappatoio, farmi la doccia da lui, prendere in prestito qualcosa dal suo armadio...
Ok, quest’ultima è un po’ meno praticabile visto che i suoi pantaloni mi vanno un po’ cortini e le sue magliette sono troppo piccole di spalle.
Ho fatto due spalle enormi a furia di palestra.  Non ho mai visto Brit così contenta.
Me lo ripeteva da secoli che dovevo smaltire la pancetta e farmi un po’ di muscoli.
Eppure io li preferisco meno...scolpiti i muscoli. E qualche volta mi pesa il fatto di essere il classico tipo biondo e allampanato.

Tra me e Billie siamo una bella coppia. Lui si lamenta di essere tappo e io qualche volta vorrei non dover torreggiare sempre.
Solo Tré se ne sta buono buonino, nonostante sia monopalla. Ma Tré è Tré.
Un miracolo della natura. Un’altra storia.
E tra l’altro c’ha un tappetino da bagno che mi ha fatto innamorare.
Uno di quelli che si piazzano nella doccia per non scivolare. Lo voglio anche io.
Devo chiedergli dove lo ha comprato...

“DOVE CAZZO STAI ANDANDO?!?! TORNA SUBITO DENTRO!”

Mi blocco, mentre i peli mi si drizzano sulla nuca.
Mi guardo intorno, per vedere chi mi sta apostrofando così, e mi accorgo di essere praticamente arrivato a casa di Billie. La porta è aperta e Joey è sulla soglia mentre si infila un giubbotto di pelle nera e traffica con un grosso bagaglio che sembra stracolmo.
Posso sentirlo urlare, ostile:

“No papà! Non ne posso più!

Il figlio di Armstrong di qua, il figlio di Armstrong di là...per il mondo sono sempre e solo il figlio di Billie Joe Armstrong!
Uh! Guardate, quello è il figlio del cantante dei Green Day!
Mi sono rotto i coglioni!!!”
“Dio, Joseph, qual è il problema?!
Hai una band che adori, hai un contratto con una casa discografica che non ti creerà mai casini, hai un produttore e un manager che fanno i tuoi interessi e non sono tante sanguisughe che vogliono soldi e solo soldi. IO sono il tuo produttore, cristo santo, la mamma è il tuo manager! Ti stiamo aiutando in tutti i modi!”
“Punto primo: non chiamarmi così! Io sono Joey e basta.
 Punto secondo: Non voglio essere aiutato!”
“Allora vorresti che io fossi uno di quei padri che se ne frega dei figli?!
Tua madre dice sempre che come genitore sono un disastro! Vi faccio fare il cazzo che vi pare, a te e a tuo fratello! Non vi rompo più di tanto anche se sfoderate tutte le parolacce che conoscete! Se mi chiedete una cosa mi faccio in quattro per procurarvela!
Sto cercando di aiutarti! A-I-U-T-A-R-T-I!
Qualche volta mi sarebbe piaciuto che anche mio padre l’avesse fatto per me!”
“Il nonno era uno sconosciuto che come hobby suonava con gli amici al bar e giocava a carte!
Non era sempre fra i piedi, il suo volto su tutti i catelloni della città, il suo nome sulla bocca di tutti, la sua voce su ogni fottuto stereo da qui fino a Edimbrough!
Qualche volta vorrei aver avuto anche io un padre così!”

Queste parole per un attimo mi fanno trattenere il respiro.
Quello di Andy Armstrong l’ho sempre considerato un argomento off-limits.
Non c’ero all’epoca per consolare Billie e ancora oggi non me la sento per niente.
Tanto cosa avrei da dirgli? Le solite stronzate come “Si, ti capisco, so quanto è difficile..., passerà, adesso non soffrirà più, sarà in pace...”.
Meglio non parlarne. Quando vorrà ci penserà lui.
Improvvisamente mi sento un intruso che sta lì, con l’Ipod in pausa, a sentire i litigi del mio vicino, senza essere stato visto né autorizzato.
Posso vedere Joey che finalmente esce di casa mentre lo insegue un urlo rauco:

“Che cazzo ne sai tu, eh?! E ADESSO DOVE VAI?!”
“Me ne vado e basta. Non ti sopporto più. Parlerò con i ragazzi.
Voglio un produttore che non sia una star internazionale, tanto da farmi sentire una nullità e voglio un manager che non mi sgridi perché mi sveglio tardi la mattina, grazie!”

Lo vedo camminare velocemente fino alla sua Nissan Micra, nuova di zecca, regalata per il suo scorso compleanno e arrivata solo qualche settimana fa.
Fa appena in tempo a lanciarmi un frettoloso “Ehi, Mike”, accelerando il passo a testa bassa.
Si infila in macchina, chiudendo dietro il suo borsone, mette in moto e parte.
Billie si precipita fuori dalla casa, nel giardino, a piedi nudi, in jeans stravecchi pieni di buchi, e una magliettona  del Monty Day, la fiera del vitello tonnato, taglia XL, sbraitando a squarciagola, furioso e rosso in viso:

“JOEY?! TORNA SUBITO QUI! CAZZO, JOEY, TORNA IMMEDIATAMENTE!!!
JOEEEEEEEY!!!”

Ma il figlio è lontano, anzi, la sua auto è sparita dietro l’angolo.
Billie, in preda alla rabbia, si accanisce contro lo steccato di legno che circonda il giardino di casa sua e prende a dargli calci, sempre più forti finchè non sembra fargli male il piede e prende a saltellare su un piede solo, biascicando, a denti stretti:

“Cazzocazzocazzocazzocazzocaaaaazzooooo!!!”
“Ehi, Billie?! È tutto ok...adesso stai calmo, d’accordo? Calmo...”
“PORCA PUTTANA, MICHAEL, NO CHE NON STO CALMO!
PERCHE’ CAZZO NON LO HAI FERMATO?!?!”

Spalanco gli occhi, stranito da questa sua reazione.
Ok, sei un pochino incazzato.
Ok, stavi litigando con tuo figlio adolescente che ti ha scaricato portandosi via le valige e promettendo di non tornare a casa.
Ma adesso vorresti dire che è colpa mia?!
Scuoto la testa, e prendo un bel respiro, pazientemente.

“Non ho avuto nemmeno un secondo per dire bah!
Se ti calmassi un attimo potremmo parlarne! Non lo hai perso per sempre!
Dimostrami che hai un fottuto cervello e calmati!”

Il mio migliore amico sembra osservare ancora per un po’ il punto in cui è sparita la macchina di Joey mentre non abbandona uno stato di trance che lo rende più simile ad un pesce rosso sottovetro che altro. È distrutto, sembra terribilmente abbattuto.
Controllo se ha occhiaie. Non mi sembrano più grigie del solito. Anzi, mi pare che abbia dormito abbastanza stanotte. Si vede un po’ di matita secca che ha sbavato, in parte si è sbiadita, in parte deve essersi strofinata contro il cuscino o cose del genere.
Vorrei riscuoterlo. Vederlo in questo stato mi addolora.

“Billie, che ne dici adesso di entrare in casa? Fa un freddo cane e io pensavo di passare la mattinata a correre! Se sapevo che dovevo venire a consolarti allora certo non mi mettevo in costume.”

Lo vedo annuire lentamente, con le capacità di reazione di un bradipo.
Poi prende a camminare lungo il vialetto di qualche metro che lo separa dalla soglia di casa.
Io lo seguo mentre lui riprende a parlare, la voce più roca di prima, stavolta molto più fievole di quanto ricordassi, quasi piagnucolosa.

“Mike, è colpa mia?! non lo so... Io...
Era da giorni che Joey mi chiedeva di parlare, seriamente, ma io rimandavo continuamente, perché...insomma pensavo volesse parlarmi della band. Avevano nuovi progetti? Se si, allora dovevo anticiparlo, pensare qualcosa di nuovo per un altro video, un logo, una trovata pubblicitaria. Insomma volevo trasformarlo in un progetto, magari in una tourné, anche in un singolo concerto...
Pensavo in grande, capito?
E poi...arriva e...scopro di essere un padre di merda e un produttore di merda.
Non lo so, Mike, sono confuso. Ho cercato davvero in tutti modi di aiutarlo, facilitargli la strada e...”
“Billie, non lo hai sentito? Lui non vuole sentirsi facilitato, vuole sentirsi sostenuto psicologicamente, certo, ma vuole farcela da solo. Sei ossessivo Billie. Hai passato più di un mese sul progetto del loro primo video. Lo hai assillato, indicevi una riunione con la loro band un giorno si e uno no, ti sentivi libero di dare consigli a destra e manca.
E poi lui si sente dire che la musica degli Emily’s Army è tale a quale a quella dei Green Day e tutto questo perché lui è il figlio di Billie Joe Armstrong.
Cristo, cerca di capirlo no?”

Ormai siamo arrivati in salotto e io sento il bisogno di sedermi sul divano e strofinarmi le gambe intirizzite dal freddo.
Ho rinunciato a correre. Adesso il mio migliore amico è nei casini e ha bisogno di me.
Quindi concentrati Mike. Focalizza sul punto.
Purtroppo non riesco a pensare che Joey dica solo puttanate.
Ha ragione, per lui è dieci volte più facile la vita ma cinquecento volte più difficile diventare qualcuno che non sia “il figlio di...”.

“è colpa mia. Sono un pessimo padre. Lo ha ammesso lui stesso.
I miei figli...ho la sensazione che si vergognino di me!
E perché, poi? Perché non vesto in gessato, non metto mocassini italiani, non spendo il mio patrimonio in viaggi e costosi ristoranti francesi ma me ne sto qui, in questo buco della California, con la mia famiglia?
Perché a quant’anni mi tingo i capelli, metto il gel e metto la matita nera sotto gli occhi?!
Perché sono ignorante come una capra e riuscivo ad aiutarli a fare i compiti finchè erano alla scuola primaria? Già alle superiori i miei ricordi erano sbiaditi. Adesso non ci provano nemmeno più perché io mi limito a cercare tutto su google, anche se poi magari sono incapace di spiegarglielo.
Si vergognano?! Dimmelo tu, Mike, non so cosa pensare...”

La sua voce è rabbiosa mentre stringe i pugni e non ha il coraggio di guardarmi negli occhi. Forse non vuole che io colga il luccichio in quelle due palle da biliardo verdi, semi socchiuse.
I suoi occhi sono lucidi e ogni tanto rotola sulle guancie infuocate una lacrima.
In questo momento sento nascere tutto il mio spirito protettivo.
Vorrei abbracciarlo, fargli sentire che sono lì, cullarlo, fra le mie braccia, come un bambino.
Questo mi sembra, un bambino troppo cresciuto.  Ma devo trattenermi.
Devo prendere il respiro, pensare a mia moglie, a mia figlia, ad Adrienne, a Joey e Jake e soprattutto a Billie.
è proprio in questi momenti di debolezza che vorrei rivelargli quanto mi senta male nel vederlo così rabbioso, abbattuto, stressato, sull’orlo delle lacrime. E non voglio immaginare ancora.
è un anno e mezzo che non scopiamo.
Ci dicemmo che era il caso di prendersi una pausa. Lui si sentiva in veramente in colpa e voleva dedicarsi solo e unicamente a lei, tua moglie, alla tua famiglia, soprattutto alla carriera di suo figlio.
E io avevo acconsentito con grandi sofferenze all’inizio. Ero male abituato:
mi svegliavo con lui accanto che dormiva con la bocca semi aperta, la faccia premuta contro il cuscino sporco di nero, dopo che si era dimenticato di struccarsi.

“E adesso?! Dove cazzo è andato?! Dove passerà la notte?! Che mangerà a cena?!”
“Billie, per piacere, sembri mia madre. Lo so che adesso ti preoccupi come un pazzo, sei terrorizzato all’idea che succeda qualcosa a Joey, che possa avere qualche problema, ma fidati...quando succederà lui tornerà immediatamente a casa!
Devi fidarti di lui, ok? E poi anche tu te ne sei andato di casa alla sua età!”
“Non dire stronzate Mike, io avevo diciassette anni!”

“Beh, siamo lì, no?!
Ed è inutile che ti senti in colpa e continui a ripeterti che sei un pessimo genitore e cose così!
Tu fai quel che puoi per fare il genitore e Joey fa di tutto per sfuggirti e passarla liscia qualunque cosa faccia!
Anche io ho cercato inutilmente di vietare a Estelle-Desidere di farsi tatuaggi benché io avessi fatto il mio che avevo tre anni in meno di lei!
Adesso possibile che io meriti una condanna a morte e l’eterna nomea del pessimo genitore solo perché lei se l’è fatto lo stesso?!”

Ma il suo umore non sembra migliorare. Si limita a fissare il vuoto, con occhi assenti, ogni tanto tira su con il naso e si passa il dorso della mano sugli occhi, strofinandoli fino ad arrossarli.
Io continuo imperterrito a parlare e poi, per attirare la sua attenzione, gli poso gentilmente la mano sulla spalla sinistra.

“Mi hai capito, Billie?”
“Eh? Cosa?”
“Hai bisogno di distrarti, diamine!
Andiamo...che ti va? Vuoi che chiami Tré? Facciamo una cosa di gruppo...che ne so, suoniamo, ci guardiamo un film, ci beviamo una birra, ci facciamo una canna, un giro in centro oppure una cosa più tranquilla...tipo un film. Ti va?”

Tira un lungo sospiro e scuote il capo, cupamente.

Ma continua a non guardarmi, a perdersi nei suoi pensieri, a non dedicarmi nemmeno un briciolo di attenzione.

“Cazzo, Billie, guardami! Allora?!”

Non contento, lo aggiro e mi ritrovo faccia a faccia con lui. Lo afferro per le palle e lo scrollo per un po’ mentre lui lascia fare, come una bambola di pezza.
Nel frattempo io continuo a cercare i suoi occhi verdi e ben presto finisco per urlargli addosso:

“Billie Joe, non puoi stare così male per una stronzata simile! Ma che diavolo ti prende oggi?!?!”
“Non lo so, Mike. Non avevo mai litigato così con Joey...è destabilizzante...perchè se ne andato?!
Ho qualcosa che non va?! Non sono forse suo padre...non...non mi...vuole...”

“Non dirlo nemmeno per scherzo ok?! È tuo figlio!”

Non risponde subito, ma almeno finalmente alza lo sguardo su di me e posso vedere lo sguardo cupo nei suoi occhi verdi, intenso, adesso anche rossi a furia di lacrime represse e strofinamenti vari. Io lo tengo ancora per le spalle mentre cerco di apparire convincente.

“Abbracciami, Mike.”

Una scarica elettrica. Un corto circuito.
Devo stare calmo benché mi senta sudare come un quindicenne che si masturba in bagno, nascondendosi ai genitori.
Obbedisco, all’inizio quasi meccanicamente e poi man mano comincio ad accarezzargli la nuca.

Senti i corti capelli forse un po’ secchi a causa del gel che si appiccicano alle mie mani man mano che le passo sul collo e poi sul mento.
La barba è rasata male ed è quasi divertente accarezzarlo in contro pelo.
Per un attimo mi sembra di fargli il solletico perché si illumina in un sorriso seguito da una risatina
Seguo la linea delle labbra carnose con il dito e poi con la lingua, inumidendole con la mia saliva.
Poi penetro la sua bocca e accarezzo con la lingua le sue guance dall’interno incontrando la sua, di lingua che sfugge, ripetutamente ai miei tentativi di acchiapparla. Finalmente si intrecciano e per poco lui non morde la mia con i denti sporchi di caffè.
Lui ha già fatto colazione al contrario di me, ma non si deve essere lavato i denti; puzza di fumo e di caffè, io di dentifricio.
Lo sospingo indietro, costringendolo ad indietreggiare man mano contro la terribile carta da pareti a fiori che ci fissa dal muro e non mi fermo finchè non sento le sue spalle che aderiscono alla parete.
Adesso posso continuare a palparlo, le mani sotto la maglietta, e, mentre giochiamo di lingua, ben presto arrivo ai bottoni del jeans.
Almeno in casa non indossa quella benedetta cintura che mi ci vuole un anno per sfilare.

Anche le sue mani mi carezzano il petto, anche se timidamente, e poi si infilano fino alla schiena, massaggiandomela, lentamente.
È chiaro che anche stavolta sono io a condurre il nostro gioco.
Gli sbottono i Jeans e lascio che cadano ai suoi piedi. Lo stesso accade ai boxer e libero così la sua virilità eccitata che mi scivola nella mano, già bagnata.
Inizio a massaggiarla prima lentamente e poi con gesti più rapidi che fanno aumentare il ritmo dei suoi gemiti. Inarca la schiena contro la carta da parati e si aggrappa alle mie costole per poi graffiarmi la schiena, le mani umide di sudore a contatto con il mio petto che ormai ne gronda litri.
E tra i gemiti nessuno dei due sembra sentire lo scorrere della chiave nella serratura della porta di casa.

“Papà, non pensare che sia tornato...ho solo dimenticato il cell...”

Improvvisamente ci ritroviamo davanti Joey che ci guarda, impietrito, a bocca aperta come se non credesse ai suoi occhi.
Nel salotto di casa sua ci sono suo padre, mezzo nudo, e il suo migliore amico avvinghiati l’uno all’altro. Non me ne accorgo subito, nel frattempo Billie mi sta abbassando i pantaloncini e mi distrae. Poi vedo Joey che ci guarda orripilato.
Mi tiro su i pantaloncini in fretta e mi paro davanti a Billie, per nascondere al figlio la vista.
Il mio migliore amico non sembra aver capito un bel niente, perché ridacchia pensando ad un nuovo gioco e cerca di impedirmi di tirargli su i boxer. Sono costretto a schiaffeggiargli le mani.
Quello le ritrae, con un mugolio e sembra accigliarsi.
Poi arriva il richiamo, sconvolto, quasi una preghiera di Joey:

“Papà...cosa stai...cosa state facendo?!?!”

Prega che questo sia uno strano sogno perverso, prega che tutto questo non è successo, che adesso si svegli nel bel mezzo della notte, sudato e con la sensazione di aver fatto un orrido incubo.
E invece qua siamo tutti sveglissimi, tranne Billie che riprende coscienza quando finalmente inquadra la faccia sconvolta, disgustata, amareggiata, confusa e non si sa che altro del figlio.

“Joey...tu cosa...Oddio...no, è...”
“Papà...è un incubo vero? Quando cazzo mi sveglio?”
“Ascoltami...io non...noi non...merda...”
“QUANDO CAZZO MI SVEGLIO?!?!”

Vedo il mio migliore amico coprirsi il volto con le mani, sconvolto anche lui.
Solo io mi mantengo maledettamente calmo.
Ho la sensazione che sia caduto un velo. Una sensazione di libertà che non sentivo da così tanto tempo... adesso lo sanno. Certo lo hanno saputo nel peggiore dei modi ma quel che mi fa sentire così tranquillo è che non è più un segreto, uno sporco perverso segreto fra me e Billie.

“Papà...tu e Mike...stavate scopando contro il muro?!”
“Joey, ti prego...io non volevo assolutamente...io vi amo. Amo te, tuo fratello, tua madre.
Siete la mia vita...”
“TU E MIKE STAVATE SCOPANDO CONTRO QUEL FOTTUTO MURO! VI HO VISTI! NON PUOI NEGARLO!”
“Hai ragione Joey, non c’è niente da negare.
Io e tuo padre stavamo scopando.”
“No! Cioè...Joseph...”
“NON CHIAMARMI COSI’!!!
SEI UNO STRONZO! LA MAMMA TI AMA, SI FIDA DI TE! E IO...
ANCHE IO MI FIDAVO DI TE!!!”

Non riesco a fare a meno di stringere la sua mano, per rassicurarlo, ma serve a poco.
Ha i nervi a pezzi e non riesce a trattenersi dallo scoppiare in singhiozzi, violenti.
Chiama il nome di Joey, si asciuga le lacrime che continuano a cadere, inesorabili, si sporge verso il figlio che non fa altro che indietreggiare, per mettere quanti più passi possibili fra sé e suo padre.

“Io lo dirò alla mamma. Glielo dirò. Gli racconterò ogni singolo particolare.
Deve sapere con che razza di porco ha a che fare. E deve cacciarti di casa.
Non ti voglio più vedere. Mi fai schifo!”
“Joey...in parte è colpa mia...”
“Stai zitto, Mike! Tu vattene! Fate schifo! Due quarantenni, sposati, con figli, che si fottono come conigli!”

E così mi zittisce. Mi rimette a posto in un attimo e fugge via, lasciando la porta di casa spalancata.
Billie continua a piangere e singhiozzare, in uno stato quasi isterico.
Lo costringo a sedersi, ad appoggiare la testa allo schienale del divano, mentre sento mancargli il respiro. Affanna, in modo quasi compulsivo e spaventerebbe chiunque non lo conosca così bene.
è un attacco di panico.
Adesso deve solo stare tranquillo, fermo, mantenere stretta la mia mano ed evitare di soffocare, respirando così velocemente.
Lo costringo a stare fermo, gli passo una mano sulla fronte e sento che scotta come se fosse in preda alla febbre. Ma la mia mano sembra opprimerlo quindi mi limito ad appoggiarla alla spalla, almeno per fargli sentire che ci sono.
Dopo un momento di apnea sembra tornare a respirare, faticosamente, anche se abbastanza normalmente.

“Billie, mi senti? Tutto bene.”

Non risponde. Si appoggia, annientato al divano e chiude gli occhi, abbandonandosi completamente.
Non so se lasciarlo o no. Sono preoccupato per lui e non vorrei gli tornasse il panico, ma dall’altro lato sento che a questo punto vuole stare da solo.
Abbandono lentamente la sua spalla e cerco un telefono.
Lo trovo a pochi metri, su un cassettone, alzo la cornetta e digito il numero di Adrienne, segnato sul foglio attaccato alla parete.

-Pronto? Billie?
-Ciao, Adrienne, sono Mike.
-Mike! Ciao! Billie è con te?
-Si...ha appena avuto un attacco di panico.
-COSA?!
-Calma. Adesso sta dormicchiando sul divano.
Non mi fido di lasciarlo da solo anche se non sembra avere niente.
-Non ti preoccupare, sto arrivando. Ero al supermercato e a fare servizi in centro ma adesso ho finito e dovrei essere là in un quarto d’ora.
-Va bene. Sei sicura che posso lasciarlo?
-Si, sto arrivando.
Grazie mille, Mike.
-Fallo stare tranquillo, mi raccomando.
-Va bene, ciao.
-Ciao.

 

Abbasso la cornetta e do’ un ultimo sguardo a Billie Joe.
Respira tranquillamente e sembra star dormendo, messo lì, ad occhi chiusi, la testa che scivola leggermente giù. Con un ultimo sforzo gli sollevo la testa e il busto e lo metto steso, appoggiando sul divano anche le gambe.

Dopodiché mi avvio, lanciando occhiate frequenti dietro di me, cominciando finalmente a sentire l’inquietudine per tutto quello che è accaduto.
In fondo è tutta colpa mia.
Sono stato io, per l’ennesima volta, a provocarlo, a toccarlo per primo, ad iniziare.
E lui è stato al gioco, ci sta sempre e si diverte: perché non dovrebbe?
E invece tu, stupido di un Mike, non trovi mai il coraggio di dirglielo.

Tell me when it’s time to say I love you.

Ma ormai lo sanno. Lo sa Joey.
Lo sapranno tutti e lui sarà costretto a scegliere.
E sceglierà la sua famiglia.
Questo lo sai, Mike.


Alle 5.33 non ho nessuna voglia di scrivere commenti di sorta.
Spero che vi possa piacere, è un po’ troppo drammatica per il mio solito genere, ma oggi mi sentivo ispirata...che vi devo dire, “Perfect day” di Lou Reed mi fa quest’effetto.
Poi assieme alla colonna sonora di American Idiot Brodway, questo è il risultato rovinoso.
Vi annuncio che potrebbe esserci un altro capitolo di chiarimenti.
E avevo detto che non avrei più scritto una Slash...
Oyasumi Nasai*,

Misa

*Buonanotte (Jap.)

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Capitolo 2
*** How can I trust you again? ***



WARNING:
Linguaggio scurrile e a tratti offensivo che non rispecchia affatto le mie opinioni ne tanto meno quelle delle persone qui protagoniste. Io scrivo di personaggi, non di persone.
OOC Jakob Armstrong (per quel che si sa di lui, cioè molto poco...)


How can I trust you again?

[ADRIENNE's POV]

Parcheggio la macchina nel nostro garage, di fianco alla casa.
Automaticamente vado ad aprire il portellone posteriore del mio SUV.
Ho sempre desiderato una macchina bella grossa, che reggesse la strada, su cui si potesse viaggiare comodi e portare anche otto persone. In famiglia siamo solo quattro, certo ma in generale preferisco sempre stare comoda. E poi è perfetto se devo accompagnare qualcuno, ad esempio Mike e Britney, o Tré e la sua donna di turno, con i loro ragazzi, o ancora qualche amico di Joey.
Jake invece qualche volta mi lascia basita.
Ci sono giorni in cui non vede un anima, ma se ne sta lì, alla sua scrivania a studiare o a disegnare.
Nessuno direbbe che è figlio di Billie.
Mio marito ha sempre parlato della scuola come fosse Guantanamo e invece il mio secondo figlio ama la geografia e le lingue alla follia.
Adora interessarti di culture di paesi improbabili, si fa regalare libri su popoli sconosciuti, poi ne copia gli abiti, le capigliature, fa dei magnifici ritratti, e ha quattordici anni.

Mi ha pregato di iscriverlo ad una di quelle scuole internazionali e là segue ben tre corsi, uno di spagnolo, uno di tedesco e uno di russo e io davvero non so come faccia a ricordare tutti quei termini. Sicuramente non è predisposizione genetica!
Mio marito ha cercato di interessarlo alla musica, di farlo appassionare, lo ha portato ai concerti più disparati assieme a Joey, ha voluto insegnargli le basi della chitarra e Jakob ha ubbidito diligentemente.
Ma la chitarra acustica che gli ha regalato il padre sembra una specie di sopramobile.
Ha anche imparato a suonare qualcosa ma non si esercita e finisce per suonare solo ai raduni di famiglia dove Billie insiste sempre perché tutti noi lo ascoltiamo.
Ho cercato di fargli capire che non è bene forzare così un bambino, ma lui si è sempre limitato a scrollare le spalle e a ignorare i miei consigli.
Prima o poi litigheranno violentemente, e allora mio marito sarà un uomo di mezza età in andropausa e Jake si metterà a fare l’adolescente ribelle.
Per adesso mi basta Joey. È difficile seguirlo, quando fugge di casa per raggiungere Cole, Travis e Max a casa di qualcuno di loro, per suonare o semplicemente per cazzeggiare.
Ormai conosco i numeri di casa loro a memoria, anche perché il cellulare per Joey è un optional.
Lo dimentica in qualunque momento, dovunque, non lo sente, lo lascia suonare e non risponde, non so cosa faccia esattamente con quel cellulare fatto sta che non risponde mai!
E ogni volta è una storia...

Aperto il portellone, sto per scaricare la prima busta quando mi torna in mente la telefonata che mi ha fatto Mike, venti minuti fa.
ODDIO, COME HO POTUTO DIMENTICARLO?!?!?!?!?
Ma cosa ho stamattina!?!?! Per poco non tampinavo un tizio mentre parcheggiavo al supermarket, ho dimenticato la spesa nel carrello, non trovavo il portafoglio e il cellulare e me ne stavo andando senza pagare!
Mio Dio, Billie! Starà bene?!
Mike mi ha detto che si è calmato, ma non riesco a reprimere l’agitazione.
Lascio il portellone della macchina spalancato e mi precipito verso casa.
Se sta dormendo è meglio non suonare il campanello!
Mi tocca recuperare in macchina la borsa per estrarre le chiavi. Non riesco a stare calma mentre i miei movimenti bruschi e imprecisi non aiutano a velocizzare il processo.
Finalmente scatta la serratura di casa e mi fiondo in salotto.
Billie è sdraiato sul divano, i piedi neri sul bracciolo, la T-shirt umidiccia per il sudore.
Mi avvicino e gli metto una mano sulla fronte. Si è raffreddato ma è ancora un po’ caldo e arrossato in viso. Come al solito il trucco è tutto sbavato.
Mi toccherà mettere a lavare un’altra federa di cuscino e fargli l’ennesima lavata di capo.
Gli occhi sono rossi e irritati, e posso vedere l’ombra di gocce, forse lacrime, che hanno lasciato un’impronta sotto la palpebra, sul nero.
Dio, ma cosa è successo?! Perché mio marito si è messo a piangere?!
Non mi sfugge un altro particolare che mi lascia ancora più perplessa e stupita.
La patta dei pantaloni è aperta, come se si fosse infilato i jeans troppo in fretta.
Ma perché? Cosa stava facendo? È entrato qualcuno che lo ha sorpreso a girare in boxer per la casa?! Eppure io lo avevo lasciato che prendeva il caffè, assolutamente vestito.
E per di più, quando ci sono i ragazzi in casa io non sopporto che lui vada in giro senza pantaloni e doveva esserci Joey...almeno fino a poco fa.
O forse è in camera sua.
Do un altro sguardo a Billie. Si è davvero addormentato come ha detto Mike, o forse è in dormiveglia.
Lo accarezzo delicatamente sul braccio tatuato, abbandonato sul fianco più vicino e cerco di riscuoterlo dal sonno.

“Billie? Amore? Sono io, Adie. Mi senti?”

Piano piano, a furia di scuoterlo, lui sembra aprire gli occhi, sbattendo più volte le palpebre.
Ha una strana espressione, come uno che si è appena fatto di LSD.
Non avrà preso qualcosa di strano?!
Che io sappia ha sempre e solo preferito la marjuana e ha dovuto smettere con l’arrivo dei bambini.
Ci mancavano solo gli spinelli! Niente schifezze con i miei figli!

“Cosa...Adie? Sei tu?”

Questo mi preoccupa. Non mi riconosce?!
Forse non ci vede? È davvero fatto?!?!
Mike mi aveva parlato di un attacco di panico, cristo santo!

“Billie? Tutto bene? Mi vedi bene?
Hai mangiato, bevuto, fumato qualcosa? Ti sei iniettato qualcosa?!”
“Io...no...sto bene...”
“Come ti senti? Non farmi preoccupare!”
“BENE, BENE, CRISTO! ARIA! VATTENE!
MI SERVE ARIA!”

Mi scosto bruscamente, facendo un passo indietro.
Si è messo a urlare, la sua voce è rauca e ha rialzato la testa troppo velocemente.
Si guarda intorno, come fosse cieco e poi riappoggia la testa sul bracciolo del divano.
Probabilmente gli gira la testa. Ma cos’ha?!
Non è fatto, non è ubriaco...ha solo avuto l’ennesimo attacco di panico! Ma non è un dramma!
Era da tempo che non ne aveva uno! Se lo doveva aspettare.

“Adie”
“Amore”
“Scusami...mi sentivo la testa che girava.”
“Lo avevo capito. Adesso cosa senti?
Vuoi che chiami un dottore?”
“No...sto bene. Sul serio. Sono solo stanco.”
“Ti porto dell’acqua”

Mi avvio in cucina, lanciando sempre sguardi prudenti al mio Billie che sospira stancamente e chiude di nuovo gli occhi.
Prendo un bicchiere, lo riempio e lo porto in soggiorno.
Poi sento il mio cellulare che squilla nella tasca della mia giacca.
Appoggio per un attimo il bicchiere sul tavolino davanti ai divani e faccio per rispondere ma Billie comincia ad agitarsi e ad urlare come un pazzo.

“NON RISPONDERE!!! ADIE, NON RISPONDEREEEE!!! LASCIA QUEL CAZZO DI TELEFONO!!!”

Mi spaventa tanto che lo faccio cadere per terra. Quello continua a squillare e vibrare come un ossesso. Il visore si illumina e appare il nome del mittente a caratteri cubitali: JoeyCell

“Amore, stai tranquillo. È Joey. Nostro figlio. Posso rispondere?”
“NO, CAZZO NO! SPEGNILO! SUBITO!”
“è Joseph, Billie! Hai capito? J-O-S-E-P-H! Nostro figlio!”
“NO! SPEGNILO! FALLO STARE ZITTO!!!”

Non posso crederci. Mio marito è impazzito.
Si sta agitando solo perché mi squilla il cellulare!
Ma non posso non rispondere a Joey. E se avesse avuto qualche problema e avesse bisogno di me?!
In condizioni normali non mi chiamerebbe mai. È strano anche solo il fatto che lo abbia con se!
Lo raccolgo senza fare caso alle isterie di Billie e rispondo.

-Joey, amore, tutto bene? Dove sei? Perché mi hai chiamato?
COME SCUSAMI?!
Joseph, che stai dicendo?!
Ma cosa avete stamattina tutti quanti?!
Tuo padre è qui in preda ad una crisi isterica dopo l’ennesimo attacco di panico e tu adesso mi vai raccontando cose assolutamente folli!
Come ti vengono in mente?!
Tuo padre! E Mike!
Joey, se è uno scherzo non è per niente divertente!
Smettila immediatamente per favore!!!
Come ti permetti di parlare così di tuo padre?!?!
In questi termini, poi!!!
Basta, sono stufa!
Quando torni a casa facciamo i conti!
Ciao.

Metto giù il telefono scioccata dalle affermazioni di mio figlio.
Con quale coraggio va raccontando queste cose?!

A sua madre, poi! Avrà fatto una scommessa con i suoi amici, o queste stronzate che fanno i ragazzini quando sono in gruppo.
Tra l’altro, mezzo mondo ha teorizzato di tutto su mio marito; la stampa, la televisione, tutti avevano qualcosa da dire sull’orientamento sessuale di Billie Joe Armstrong.
Anche lui è stato abbastanza idiota da fare stupide dichiarazioni di omosessualità, bisessualità e chissà quante altre assurdità. Finchè fa notizia si può ignorare, ma mio figlio!
Mi viene quasi da ridere quando riappoggio il telefono sul tavolo e apostrofo Billie, ironica:

“Amore, qua Joey sostiene che tu e Mike avete scopato in soggiorno, contro la carta da parati che ci ha regalato Ollie, è vero?”
“Si.”
“Ecco appunt...COSA?”

Lo guardo allucinata. Sarà in delirio? È per questo che dice queste stronzate?
Lo guardo. Si è accucciato in posizione fetale, la voce è un debole gracidare, roco come un verso animale. Deve essere malato. Deve avere qualcosa di grave. Sragiona...o forse no?
Non so cosa pensare. Mi sembra assurdo, paradossale, impensabile.

“Amore, cosa stai dicendo? Ti senti bene?”
“Adie...io ti amo...vi amo tanto...siete la mia vita...ti prego...”
“Billie, calmo, ok? Sei sconvolto, stai sragionando.”
“Non sto sragionando.”

Mi mette a sedere, lentamente e mi guarda negli occhi, seriamente.
Ha un’espressione sofferente e sembra che sia sul punto di mettersi a piangere di nuovo.

“Io...stavo litigando con Joey. Lui diceva che ero oppressivo.
Io volevo solo aiutarlo, capire cosa c’era che non andava.
Poi se ne è andato di casa e io ho cominciato ad agitarmi.
è tutta colpa mia, è per me che se è andato...”
“Non dire così. Lo sai che Joey a volte è un po’ estremo.”
“Poi è arrivato Mike. Mike mi aiuta sempre quando mi sento così...a pezzi. Un fallito, come padre, come uomo, come produttore...forse l’unica cosa buona è la mia musica. O magari è tutta da buttare, non lo so...non so più niente.”
“E poi?”
“E poi, ci siamo abbracciati e...”

La stanza piomba nel silenzio.
Quell’ “e” aleggia ancora nell’aria, pesante come una nuvola nera, soffocante.
Sento una gran voglia di urlare. Di spaccare qualcosa. Di schiaffeggiarlo fino a rompergli il naso.
Quell’aria da cane bastonato. Tutta la scenata dell’attacco di panico, quell’aspetto funereo di chi ha un piede nella fossa.
Sta fingendo? Cosa si aspetta che dica adesso? Che non fa niente, amore, sono cose che capitano?!
Quel senso di colpa e di vergogna che ha stampato in faccia fa parte della mascherata?
Come posso fidarmi, adesso?
 


“Billie...mi hai tradita con Mike?”
“Si”
“Perché? PERCHE’ CAZZO L’HAI FATTO?!”
“Adie...io ti amo...ti prego...”
“Quante volte è successo? Perché?
Cosa ti mancava?! Sei un fottuto frocio, forse?!”
“...”
“Armstrong, rispondi!”
“Non lo so, Adie. Lo facciamo da secoli. Ogni tanto, mi aiuta a distrarmi, quando tu sei incazzata, quando sono depresso, quando c’è qualcosa che non va, noi...ci rilassiamo così.”
“Billie Joe, ma ti senti quando parli?!
Mi stai dicendo che scopare con Mike è la tua terapia anti-stress!”
“Si. Dopo mi sento bene, anche se i sensi di colpa mi uccidono.”
“Capisco...”
“Davvero?”
“Capisco che è arrivato il momento che tu esci da quella porta! Vai pure a farti fottere da Mike o da chi diavolo ti pare!”
“Adrienne...”
“FUORI DA CASA MIA!!!”

 

Lo vedo alzarsi goffamente e gli indico la porta, agitando violentemente le braccia.
Ma lui non accenna a muoversi. Mi fa irritare ancora di più. Dove trova la faccia tosta per guardarmi in faccia con quegli occhi verdi smarriti?
Non può aspettarsi che lo perdoni, non dopo questo.
Urlo di nuovo, mi agito, continuo ad indicare la porta di casa e lui non reagisce.
La mia mano parte e lascia un segno rosso sulla sua guancia sinistra. Poi un altro e un altro ancora.
Lo schiaffeggio violentemente finchè lui non mi ferma.

“Esci da questa casa, Armstrong. Non mi fido di te. Non ti voglio.
Tra noi è finita.”

Lui mi lascia andare di scatto, come se lo avessi bruciato con un mozzicone di sigaretta.
Poi, senza dire una parola, lo sguardo basso, si volta ed esce di casa.
Sento le lacrime premere e non riesco ad ignorarle.

How can I trust you again?



Non mi è piaciuto questo capitolo. Troppo drammatico, troppe isterie, troppa angoscia.
Però non riuscirei a scriverlo in nessun altro modo.
Stavolta le influenze musicali sono tante e diversificate:
Born to run, Atlantic City, Dancing in the Dark, Born in the U.S.A di Bruce Springsteens,
Pretty Vacant, C’mon Everybody, No Fun dei Sex Pistols,
The Changeling, L.A Woman, Riders on the Storm di The Doors,
e l’album Energy degli Operation Ivy.
E anche stavolta niente commento anche perchè c’è poco da spiegare.
Spero vi sia piaciuto,
Ja mataa*,

Misa

* A presto (Jap.)

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Capitolo 3
*** I’ m waiting for reasons. How long will it be before I hear? ***


I’ m waiting for reasons. How long will it be?


WARNING
OOC Jakob Armstrong (per quel che si sa di lui, cioè molto poco...)


[Billie’s POV]


Ti ha cacciato di casa.

Ti ha preso a schiaffi e poi ti ha cacciato di casa.
Sei un coglione Billie Joe.
Cosa ti aspettavi? Che ti riaccogliesse a braccia aperte?
Che ti consolasse, che dicesse che non fa niente, che lei ti ama, ti adora e ti perdonerebbe qualunque stronzata tu faccia?
è stata una grande stronzata, forse la più grande della mia vita.
Sicuramente è bastato questo per rovinarmela, forse per sempre.
Tra l’altro adesso cosa dovrei fare? Potrei andare a casa di mia madre ma questo significherebbe farmi almeno sei ore di auto fino a Berkeley e non ho nemmeno le chiavi della macchina.
A pensarci bene non ho niente. Né vestiti di ricambio, né soldi, né documenti, né chiavi della macchina, né cellulare, né le mie adorate chitarre, ma neppure un fottuto paio di scarpe.
Le uniche cose che mi sono rimaste sono la magliettona da casa Extralarge, il jeans e le mutande che ho addosso.
Ma di che mi preoccupo? Riavrò tutto tra un paio di giorni quando mi arriverà la lettera dell’avvocato divorzista, e allora mi toccherà versare metà del mio conto in banca in quello di Adie per pagare gli alimenti a lei e ai nostri figli.
Joey non vorrà più vedermi. Sicuramente l’ho deluso e mi odia con tutto sé stesso.
Anche io lo farei se sorprendessi sul fatto mio padre e il suo migliore amico che scopano in soggiorno, giusto mezz’ora dopo che me ne sono andato.
Mi è anche capitata una cosa del genere con uno dei compagni di mamma, subito dopo la morte di mio padre.  Mi ricordo la rabbia, la voglia violenta di prendere lui a calci in culo e di urlare contro mia madre i peggiori insulti. E loro si stavano semplicemente baciando, o meglio divorandosi mentre si contorcevano come anguille.
Ma almeno loro non erano due uomini, mezzi nudi che si palpavano contro un muro.
Non mi sono mai sentito così...svuotato. Non mi resta davvero più niente. 
Ironia della sorte, quando mi sento così di solito vado da Mike.
Ma adesso la sola idea mi disgusta. Mi sento un essere immondo, schifoso, un verme traditore.

Adesso mi serve un posto dove stare, almeno dove dormire, stasera, e per la prima volta non ho nessuna intenzione di andare dal mio migliore amico.
Tra l’altro, per come mi sento adesso non ho nessuna voglia di andarmene in giro fino a sera, come facevo ogni tanto, venticinque anni fa.
Ho bisogno di una camomilla, fa un cazzo di freddo qua fuori, siamo in pieno Novembre, e continuo a sentire qualcosa, al petto, alla gola, non so cosa sia, ma ho paura di soffocare, di strozzarmi con l’aria che respiro come se potessi annegare da un momento all’altro.
E nel frattempo cammino, mi mordo il labbro e cerco di concentrarmi sui miei passi.
Li conto già da un pezzo, sono arrivato almeno a trecento.
Per un attimo alzo lo sguardo e vedo il vicino e la moglie che camminano allegramente, sottobraccio. Mi lanciano un’occhiata un po’ turbata, a momenti scandalizzata mentre notano i miei piedi rossastri per il freddo, e neri per la polvere e lo schifo di questo marciapiede e dell’asfalto della strada.
Bofonchiano un “buongiorno”, forse un “salve” e continuano la loro idilliaca passeggiata.
Io mi limito ad un cenno che passa praticamente inosservato: sono troppo impegnati a commentare l’apparizione bizzarra del cantante dei Green Day, ma in fondo è una star, si può permettere tutte le stranezze che vuole.
Sarei la notizia del secolo se un giornalista passasse per caso di qua.
Non ho nemmeno gli occhiali da sole che in questa occasione sono una sicura difesa contro paparazzi e simili.

Finalmente vedo la mia meta e rallento.

Ho i piedi a pezzi, qualche taglio qua e là e parecchie croste.
E pensare che di solito questo tragitto lo faccio in macchina e ci metto minimo venti minuti.
Mi trascino davanti al campanello di casa “Wright”, busso, e prego con tutto me stesso che Frank sia in casa.
Si sa com’è Tré. Potrebbe essere dovunque, magari a casa di un un’altra delle sue fiamme, magari da Claudia, con Ramona o con Frankito. In genere se lo si cerca non lo si trova mai.
Ma se non apre, adesso che se ne è andato il sole, congelerò davanti alla porta di casa sua.
Busso disperatamente almeno un paio di volte ma nessuno sembra venire ad aprire.
Ricomincia a girarmi la testa, ho bisogno di sedermi e mi lascio cadere davanti alla porta, appoggio la schiena e mi rannicchio, ginocchia al petto. Ho la pelle d’oca.
Cristo santo, Frank, ma perché cazzo non ci sei mai quando servi a qualcosa?!
Strofino le mani sui piedi per riscaldarli, poi mi arriva qualche goccia d’acqua sulle braccia nude.

Mica dal tetto piove acqua? E invece no.
È questo tempo di merda. Si sta mettendo a piovere.
Ricapitoliamo...
Non ho un cazzo di cellulare e non posso rintracciare quel brutto figlio di puttana di Tré, in più devo stare sotto la pioggia con quindici gradi fuori perché mia moglie mi ha cacciato di casa.
I miei figli mi odiano, ho rovinato la vita al mio migliore amico, perché Britney presto lo verrà a sapere e sarà anche lui nei casini.

Ma perché a me?
Sento la porta smuoversi e presto mi sento mancare l’appoggio alla schiena e cado all’indietro per la sorpresa, sbattendo la testa per terra.

“Billie?!”


Quel coglione di Tré è davanti a me, la sorpresa dipinta in faccia e uno di quei suoi sorrisi sdentati che lo fanno sembrare terribilmente stupido.

Anche io mi sento stupido a stare steso per terra, mezzo dentro e mezzo fuori, con la testa dolorante, e i piedi che congelano.
Mi giro verso di lui e mi tiro su a fatica, mentre lui mi osserva con uno scintillio divertito negli occhi e l’espressione di un pazzoide che si è appena fatto di LSD.

“Che ci fai conciato così? Ti sei fatto convertire da qualche hippy fuori di testa?”

“Tré, fammi entrare.”
“Uhm...ma dico io! Un po’ di educazione, diamine! Non mi hai nemmeno salutato!
Come stai? Come sta tua moglie? E come stanno i tuoi genitori? I tuoi figli mangiano? E il tuo cane? Come sta il tuo cane?!”
“Trè...”
“Floooooweeers, flooowerrrs, weeeeee aaaaare the soooonssss of floooooweeers!”
 “CAZZO, TRE, FAMMI ENTRARE CHE STO CONGELANDO!!!”
“Weeeee areee the wooorld, weee areee the Chiiildreen! Accomodati, bello, c’è da chiederlo?”

Tiro un sospiro sollievo quando finalmente quello si sposta dalla soglia di casa e si infila dentro, invitandomi a seguirlo in soggiorno.

Lui nel frattempo ondeggia a ritmo della parodia di Michael Jackson che canta a squarciagola con quella sua vocetta che in genere mi fa morire dal ridere, con quelle note in falsetto, ma oggi non fa che irritarmi ancora di più.
Il soggiorno non è poi così disordinato, segno che la donna delle pulizie deve aver cancellato ogni traccia del casino “tree coolesco”. C’è solo qualche piatto sporco abbandonato sul tavolino, con snack, noccioline, biscottini, pistacchi e caramelle raccolte in tante delle coppettine, affianco un bel po’ di bicchieri di plastica usati e una brocca di ceramica con dentro il nescafé vecchio del giorno prima . Solo Tré ha questa stupida abitudine di fare il nescafé in una brocca. Accanto c’è anche una di quelle lattine di alluminio che spruzzano panna sui dolci, mezza aperta, con u odore di formaggio poco rassicurante.

Cristo, ho i vestiti tutti umidi per quel poco di pioggia che è scesa mentre quel coglione perdeva tempo ad aprirmi la porta.
Mi butto sul divano e ci affondo dentro, con uno sbuffo, mentre finalmente i miei poveri piedi hanno un attimo di tregua.

“Cristo, se mi viene una polmonite giuro che mando il conto del dottore e della farmacia ad Adrienne!”

“Che cazzo ci fai a mezzogiorno sotto casa mia?”

Finalmente sembro fare caso a Trè che si aggira in accappatoio, saltellando da un piede all’altro, la faccia rubiconda, il collo e le tempie imperlate di sudore.


“E tu che cazzo fai a mezzogiorno?  la sauna?”

“Uff, stavo scopando…”

Non posso fare a meno di guardarlo irritato, lanciandogli un’occhiataccia.

Ne ho abbastanza di queste storie, scopate, casini…come si dice…RELAZIONI SOCIALI!
Mi hanno rotto il cazzo le relazioni sociali!

“E lo fai a mezzogiorno? Pensavo ti ingozzassi di patatine e marshmellow a mezzogiorno!”

“Mi sono svegliato dieci minuti prima che tu bussassi. Non avevamo niente da fare, io e Christie…!”
“Oh, adesso si chiama Christie.”
“Si, non ve l’ho presentata?”

Di solito l’atteggiamento buffonesco, da pagliaccio, di Tré mi diverte.

è Mike quello che si irrita quando lui si dondola, gesticola, spalanca gli occhi, si interrompe per canticchiare, ti risponde provocatorio, facendo una tale faccia da schiaffi che spazientirebbe anche i Blues Brothers in missione per conto di Dio.
Poi parla per sottintesi, ti fa l’occhiolino, scoppia a ridere senza una ragione, mastica rumorosamente Big Babol e fa i palloni di chewing-gum mentre tenti di dirgli una cosa seria.
E quando Mike si incazza lui fa l’innocentino, ridacchia sardonico, la butta sul ridere e fa battute squallide tipo “su rilassati, lasciati andare! Ma attento a non cadere col culo per terra! Ahahahah, lasciati andare! L’hai capita?”
Insomma finisci per ridere comunque, non per la battuta, ma perché ti viene da scompisciarti dalle risate e basta.
Adesso non mi sto affatto scompisciando, però.
Adesso sono solo incazzato perché ne ho le scatole piene.
Vorrei dire qualcosa ma lui mi precede sul momento:

“No, eh? Beh, allora vuoi che te la presenti?

però…non so se è presentabile!!!
uhahahahaha! L’hai capita?!”

E comincia a rotolarsi dalle risate, emettendo urletti acuti esilarati,


“Vaffanculo, Frank, VAFFANCULO!!!”


Gli urlo contro e sento il mio volto farsi sempre più caldo e rosso, vedo Trè che smette di ridere e comincia a guardarmi, inquieto, come se mi vedesse per la prima volta, come se fossi malato o un pazzo scatenato, pericoloso per il resto del mondo.

Ben presto le sue risate sono un lontano ricordo mentre io pesto i piedi per terra, lo insulto, lo mando a fanculo e poi afferro il telecomando della TV che sta sul tavolino davanti a me e glielo lancio addosso.
Ho una pessima mira e il telecomando sbatte contro il corrimano della scala che va al piano di sopra.
Tré mi osserva, stavolta serio come non ricordo di averlo visto da molto tempo.

“Ehi, amico, ma che problemi hai?”

“CHE PROBLEMI HO?! TE LO DICO IO CHE CAZZO DI PROBLEMI HO!!!
Joey ha beccato me e Mike che lo facevamo in salotto e Adrienne mi ha cacciato di casa!
E sai come finirà?! Finirà che firmerò un fottutissimo accordo per cui mi verranno tolti i figli  e dovrò pagare gli alimenti a quella puttana!
Joey non mi vorrà più vedere per il resto della mia vita e ho buttato nel cesso venti anni di matrimonio!!!”

L’ho detto tutto d’un fiato e adesso devo prendere il respiro per non soffocare.

Dovrebbe essere liberatorio e invece mi fa sentire ancora più di merda.
poi si sente un rumore di passi leggeri che si fanno sempre più vicini finchè sulle scale non compare una moretta avvolta in un asciugamano, i capelli che ricadono scarmigliati sulle spalle, le labbra arrossate e due succhiotti sul collo.
La scena sembra ridicola.
Stiamo lì a fissarci come tanti idioti.
Mi sembra atipico che Tré non si sia messo a sghignazzare, cercando in tutti i modi di attirare l’attenzione su di sé, ma forse è meglio così e anche lui lo ha capito.

“Ciccino, ho sentito gridare…tutto bene qui sotto?”


Questo sembra risvegliare il Frank che conosco.


“Certo che si, Sugar. Niente di rotto.

Aehm…Billie, questa è Christie!
Christie, questo è Billie!”

Il suo entusiasmo sembra incoraggiare la ragazza che cammina in ciabatte di plastica scendendo gli ultimi gradini e accostandosi al divano.


“Ciao Billie,  sono Christine, Christine Nòtliger”


Mi tende la mano, con un sorriso degno della pubblicità di un dentifricio.

Io la stringo meccanicamente e lei continua a sorridermi come se si fosse cristallizzata in quella posa. Ma dove l’ha pescata questa? È una Miss California o simili?
Forse si aspetta che io dica qualcosa.

“Billie Joe Armstrong”



Lei sembra illuminarsi, nonostante il mio sguardo vacuo e il tono neutro, e aggiunge entusiasta:


“Oh! Quel Billie! Ma è magnifico!”


- Oh, quel Billie! Ma è magnifico!

-Il figlio di Armstrong di qua, il figlio di Armstrong di là…
- …il suo volto su tutti i cartelloni della città, il suo nome sulla bocca di tutti, la sua voce su ogni fottuto stereo da qui fino a Edimbrough!


Mi tornano in mente tutte le volte che ho trascurato Adrienne, ho lasciato soli i miei figli, ho rinunciato alla mia famiglia per accontentare il resto del mondo…o forse me stesso.
Adrienne che alza gli occhi al cielo perché ho alzato troppo il gomito con la birra.
Adrienne che ridacchia perché non ero capace di stare dietro ad un Jakob di due anni.
Adrienne che si incazza perché io e i miei figli abbiamo finito la vaschetta di gelato da cinquecento grammi, con l’ausilio di tre cucchiaini.
Adrienne che sbatte le ciglia, mi sorride con quegli occhi scuri che promettono tante coccole e forse qualcosa di più, ma soprattutto una tenerezza che farebbe spuntare il sole in una giornata nera o farebbe piovere in un deserto.
Io amo quella donna e l’ho tradita.
Come ho fatto ad essere così coglione?!

“Aehm…Billie? Tutto bene?”


Torno a focalizzare sulla moretta di Tré che mi osserva perplessa.

No, non va affatto bene. Rivoglio la mia famiglia.
Farò qualsiasi cosa per riaverla indietro.
Non mi importa nulla di Mike, della nostra “amicizia”.
Mike ci sarà sempre, si adatterà perché ci conosciamo da sempre e si è sempre adattato.
E poi è solo uno sfizio che condividevamo.
Anche lui ama sua moglie e i suoi figli…

“Billie, io non ho ancora capito perché Adie ti ha cacciato di casa.”


Tré mi riporta all’odiato presente.

Ma è idiota?! O magari sordo, perché l’idiozia gli era già stata attestata da un pezzo.

“Te l’ho detto, Tré. Io e Mike lo facevamo in salotto.”

“TU E MIKE?!?!”

Non l’ho mai visto così stupito.

Mi pare strano che non se ne sia mai accorto.
Certo noi siamo stati abbastanza schivi, tant’è vero che abbiamo conservato il segreto per quasi vent’anni senza che trapelasse qualcosa.
Ora che ci penso ci sono stati alcuni anni in cui sono andato a letto con Mike regolarmente e guarda caso in quei periodi Tré era meno presente di quanto non lo sia mai stato da quando si sono formati i Green Day.
Insomma, caro Mike, siamo stati bravi.
Ma si sa, ogni bel gioco dura poco.

“Scusate, ma chi è Mike?”


Ancora una volta la moretta interrompe la conversazione e distoglie me dai miei pensieri.

Comincia a starmi sulle palle.
Tré sembra finalmente rendersi conto della sua presenza e corre ai ripari:

“Zuccherino, perché non vai a farti una doccia?

Poi magari esci e ci rivediamo stasera, ok?
Ti chiamo io!”

Lei sembra rimanere dubbiosa, per un momento e poi risponde affermativamente anche se non con troppo entusiasmo.

Tiro un sospiro di sollievo quando risale le scale che portano alle camere da letto.
Non posso ignorare lo sguardo interrogativo appuntato su di me e poi il mio amico commenta serafico:

“Non sapevo fossi gay. Adrienne cos’è, una copertura?”

“No cazzo! Stai scherzando!?
Punto uno: io non sono gay! Al massimo bisessuale!
Punto due: io amo mia moglie e SOLO mia moglie!”

Eccolo di nuovo che insinua con quel suo sorrisetto malizioso.

Dio, che odio.

“Si, si…come no.”

“E comunque non è un segreto! L’ho dichiarato al mondo anni fa!”
“Ma Mike? Non lo facevo il tipo…mi sembrava più uno tutto famiglia-casa-chiesa!”

E solo una provocazione. Una stupida provocazione.

Mi limito a fulminarlo con lo sguardo mentre sprofondo ancora di più nel divano.

“Beh, adesso che vuoi fare? Trasferirti sul mio divano a vita?”

“Non lo so…ho rovinato tutto!”
“Comunque sei un coglione.”
“Grazie tante, lo so, cosa credi? Non avrei dovuto farlo.”
“Bah non per quello…e sei due volte coglione.”
“Perché?”
“Ma ti pare che ti fai beccare sul fatto! Che vi ho insegnato io?! Negare sempre!”
“Ma…”
“E poi ti stai a lamentare ma fondamentalmente non risolvi un cazzo! Anzi più tempo fai passare più fai la figura del vigliacco!
Devi tornare là e pretendere di poter spiegare le tue ragioni.”

Quest’uomo a un che di paradossale.

Non capisce niente delle vicende che gli racconti e ti da un mucchio di consigli e perle di saggezza talmente ovvi che tu ti chiedi se non ti abbia preso per un idiota o un suo simile.

“ Tré, ti ho mai detto che sei un genio?

Quali sarebbero le mie ragioni, brutta testa di cazzo che non sei altro?!”
“Tu ami Mike?”
“NO!”
“Ami Adrienne?”
“Si, cazzo! Io…”
“Riusciresti a vivere la tua vita lontano da lei?”
“No!  Io…”
“Sei disposto a mollare i tuoi figli per questa piccola stronzata?”
“Guarda che…”
“UFFI! E rispondi a monosillabi no?
Ti sto facendo un interrogatorio, abbi il buon gusto di capirlo e rispondere a tono!”
“No, non si libereranno di me così facilmente.”
“Ah, bene…bravo…BIS!
Dimmi un po’, ti sembro una tizia riccia e nera, in vestitino e rossetto rosso?”
“Perché?”
“Mi chiamo Adrienne Armstrong?”
“beh…no…”
“E ALLORA CHE CAZZO FAI ANCORA QUI?!?!”

 


****************

[JAKOB’s POV]


C’è una grande agitazione in casa.

Ed è da due giorni che Joey non si fa vedere.
è venuta nonna Ollie perché la mamma non faceva altro che piangere.
Non capisco cosa stia succedendo e questo mi fa arrabbiare.
La mamma non è in condizioni di spiegarmi niente, anzi non è in condizioni di fare assolutamente niente.
Pensavo che sarebbe stata contenta di sapere che avevo preso B al compito di geometria, e invece l’ho trovata in ginocchio a terra, che stringeva il cellulare e piagnucolava qualcosa, forse il nome di papà, forse qualcos’altro.
Non voleva ascoltarmi quando l’ho pregata di alzarsi e di calmarsi perché mi faceva paura in quello stato.
Fortuna che conosco a memoria il numero della nonna, perché sono sempre io a chiamarla per avvertirla se veniamo a pranzo domenica o no.
Mio fratello era scomparso e anche ora è chissà dove.
Non ho il coraggio di chiamare i suoi amici, potrebbero scoprire quanto mi sento solo, quanto sono preoccupato nonostante tutto.
Nonna Ollie mi ha spiegato che mamma e papà hanno litigato e perciò la mamma ha bisogno di tanto riposo, di dimenticare questo brutto momento, e io devo continuare ad andare a scuola come al solito, a parlare con i miei amici, a studiare e a prendere tante altre B in tutte le materie, devo continuare a disegnare, a giocare a calcetto con Rick e Fred e devo stare tranquillo perché passerà.
Papà è ricomparso anche lui il giorno dopo. Sembrava un barbone, avvolto in una camicia di una taglia più grande della sua, con i vecchi jeans che di solito usa in casa e un paio di ciabatte di plastica.
La mamma non ha voluto farlo entrare e gli ha lanciato dalla finestra una borsa con dentro i documenti, il cellulare, i soldi, qualche maglietta presa a caso dall’armadio e lo spazzolino.
Poi ha urlato qualcosa su un avvocato e ha detto che non si sarebbero visti prima di allora.
Quando ho chiesto alla nonna se i miei volevano divorziare, lei ha detto che non lo sapeva.
Significa si.
Quando gli adulti ti dicono che non sanno, o ti dicono forse allora significa che ti stanno dicendo il contrario di quello che dicono.
Lo so che è incasinato come ragionamento ma funziona.
Me lo ha insegnato Joey: non credere ai forse.
Quando chiedo alla mamma se possiamo andare all’acquario a vedere lo spettacolo delle orche assassine lei dice sempre “forse… appena ho tempo… ricordamelo…”
Significa che non mi porta.
Papà mi porterebbe anche, però non c’è mai a casa e non ci posso andare da solo perché c’è bisogno di un adulto che prenda il biglietto e mi accompagni in macchina perché l’acquario grande è dall’altra parte di Los Angeles.
Comunque i miei stanno divorziando. E io non so nemmeno perché.

Oggi è tornato papà ed è rimasto fuori casa.

La mamma mi ha proibito di aprirgli.
Ogni tanto lo guardavo dalle finestre del salotto; non si muoveva da lì, seduto sul gradino che collega la ghiaia del giardino con la porta.
Io sono rimasto a casa tutto il pomeriggio a osservare la mamma che lo ignorava ed evitava di uscire o anche solo di aprire la porta.
Lo ha fatto una sola volta, quando si è messa a spazzare l’ingresso e ha riempito papà di polvere.
L’ho sentito tossire parecchio.  Forse è allergico alla polvere.
Sarà per questo che ha quella voce così nasale?
Boh, comunque questa cosa mi fa star male.
Sono stanco di questa situazione.
Io vorrei tornare ai vecchi tempi, quando stavamo tutti insieme, quando mio fratello faceva un sacco di idiozie, mamma si arrabbiava con lui, lui incolpava me ed ero contento così perché questo faceva di me un complice prezioso.
Poi però ci beccavamo entrambi le punizioni! Che ingiustizia!
Invece con papà era una pacchia. Lui non ci puniva quasi mai, anzi, qualche volta chiudeva un occhio e qualunque desiderio lui era lì, pronto.
E Joey ne aveva un sacco, di desideri,  e infatti alla fine discutevano e i miei si lamentavano che mio fratello pretendeva troppo.
Adesso non posso rivolgere la parola a mio padre perché la mamma me lo ha impedito, non posso parlare con Joey perché non c’è, non posso parlare con la mamma perché è intrattabile ed ha continue crisi di nervi, quando parlo con la nonna mi risponde che “non lo sa”.
Ma perché hanno litigato! Vorrei sapere solo questo!
magari è colpa mia! Magari mamma ha scoperto che papà mi ha portato a provare il free-climbing il week-end scorso quando lei lo aveva vietato perché la trovava una cosa pericolosa!
E invece è stato divertentissimo!

Deve credermi! Mi sono arrampicato su queste pareti fatte apposta per esercitarsi, con tanti appoggi, tanti ganci ed ero molto più veloce degli altri ragazzi di quindici e sedici anni!
E poi abbiamo preso un maxi-gelato con papà, io coca cola e lui birra e ci siamo divertiti al bowling. L’ho stracciato! Ho vinto tipo tre partite complete e lui una sola.
è per questo che sono arrabbiati e vogliono divorziare?
è un motivo stupido ma potrebbe bastarmi.
Quello che mi fa sentire da schifo è che un motivo nemmeno me lo danno.

I’ m waiting for reasons. How long will it be?

 

Pessimo capitolo, scritto a pezzi, poi ricomposto.
Un casino bestiale.
Sarà che stavolta mi mancava una colonna sonora adatta <.<
E va beh, pazienza, tanto non riuscirei a riscriverlo in altro modo!
I miei aggiornamenti si faranno più radi adesso che esiste una cosa fastidiosa chiamata scuola quindi non garantisco nemmeno tanto sulla qualità dello scritto…spero non sia poi così deludente.
Grazie sempre a quelli che si fanno sentire o che seguono in silenzio questi sproloqui,
Au revoir,

Misa

 Nota di traduzione: Sto aspettando delle ragioni. Quanto passerà prima di sapere?

 

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Capitolo 4
*** You’ve always cast me aside, made me cry, You made me hope and what I got is crap ***



You’ve always cast me aside, made me cry,
You made me hope and what I got is crap.



[Jake’s POV]


Mamma e papà alla fine hanno parlato.
Mamma urlava un sacco, piangeva, ha rotto il vaso che ci aveva regalato la zia Anna, lo ha lanciato addosso a papà. Fortunatamente non lo ha preso, però i pezzi di ceramica sono volati dovunque.
Io stavo per entrare nella stanza quando papà mi ha urlato contro.
Se non lo avesse fatto a quest’ora avrei un pezzo di ceramica nel piede.
Io giro sempre scalzo per casa, tanto abbiamo i pavimenti di legno e quindi non prendo freddo ai piedi e poi le pantofole le lascio sempre da qualche parte e mi dimentico di metterle.
Comunque questo sembra aver calmato un po’ mamma che improvvisamente ha commentato, con voce stridula e rotta dal pianto:

“Ah, ti importa ancora qualcosa di noi?”

Se non fosse stata così sconvolta le avrei detto che quella frase suonava davvero malissimo e se la mia prof l’avesse sentita sicuramente avrebbe detto una delle sue stupide espressioni tipo: “Oh, che forma raccapricciante...”, “quale orrore...”, “Mr Armstrong, proprio non ci siamo...”.
Che cosa stupida che mi è venuta in mente.

Jake, ti pare il momento di pensare a queste stronzate?

Io rimanevo lì sulla porta a guardare.
Era la mia occasione per capire cosa succedeva in casa mia, se avrebbero divorziato, se avrebbero fatto pace.
Papà, dopo avermi osservato preoccupato per assicurarsi che stessi bene, è tornato a rivolgersi alla mamma, rispondendo per la prima volta dopo la serie di insulti e di urli che lei gli aveva rivolto:

“Altrimenti perché sarei qui?!”

Questo ha acceso in me una piccola luce, come le lampadine dei fumetti : speranza.
L’unico vero problema lì si chiamava “mamma sull’orlo di una crisi isterica”.
In preda all’euforia mi sono gettato verso papà, cercando di evitare i pezzi di ceramica, mentre mia madre si lasciava sfuggire un grido di sorpresa.
L’ho abbracciato e mi sono sentito molto stupido.

Era da un sacco di tempo che non lo facevo.

Ehi, Jake,ma quanti anni hai? Tre? Questa è roba da mocciosi, cristo, e tu sei grande.
Dodici  fottutissimi anni, Jake, non te lo scordare.

Papà è stupito, mi guarda quasi incredulo e poi risponde all’abbraccio, stringendomi forte, finchè io non comincio a sentirmi in imbarazzo.
Ho pur sempre dodici anni, diamine.
Alla fine allento la presa e sguscio via, mettendomi in mezzo, fra mia madre e mio padre, a gambe divaricate, con le braccia incrociate al petto, e un’espressione terribilmente seria sul volto.
Mamma non sa che dire. Si asciuga le lacrime, tira su con il naso e mi guarda, con rabbia.
è inutile che ti arrabbi con me, mamma, non posso fare finta di niente e non ti appoggerò oggi.
Io sono sempre la spalla, quello che da ragione a tutti, quello docile, più o meno ubbidiente.

Sei anche troppo buono, Jake, quelli non se lo meritano.
è così che va la vita: loro fanno i duri, ti rompono le palle, ti asfissiano e ti caricano di attenzioni.
Tu devi fottertene, Jake, devi mandare a fanculo i loro consigli, devi fare di testa tua.
Tu devi scoprire come va il mondo e loro hanno il compito di impedirtelo.
Ecco come funziona, Jake.


Tutti mi dicevano che da piccolo ero molto più pestifero e che sono cambiato un sacco e in meglio.
Qualcuno mi dice che non assomiglio affatto al mio papà.
Tutti si aspettano qualcosa da me, che io assomigli a mio padre, che suoni la chitarra come lui, che mi interessi alla musica, che legga fanzine come mamma...
Joey è quello che ha soddisfatto tutte le aspettative.

Guarda e impara, Jake, io suono la batteria, ho la mia band, ho registrato il mio primo disco…
E del resto non me ne frega un cazzo.

 

Per me non è così, Joey.
Qualche volta mi irrita che tutti diano per scontato quello che dovrei essere, quello che dovrei fare. Come sta facendo ora la mamma; solo perché sono il suo preferito, il suo piccolino, come lei continua a chiamarmi, nonostante il mio metro e sessanta.

“Mamma, perché tu e papà volete divorziare?”

Silenzio.
Non appena metto le cose in chiaro ammutoliscono entrambi.
è un’altra stupida irritante abitudine degli adulti.
Quando fai una domanda scomoda non sanno cosa inventarsi e quindi tacciono e, quando accade, sento come se la mia domanda fosse caduta nel vuoto e la risposta non arrivasse mai.
Poi improvvisamente mamma, sospira, guardandomi afflitta:

“Amore, noi non vogliamo divorziare.
Ero solo arrabbiata con papà...perchè credevo che...si fosse innamorato di...un’altra.”

Ho strabuzzato gli occhi.
Mamma era gelosa! Ecco perché!
Mi viene da ridere. Che cosa stupida. Erano solo suoi stupidi sospetti, qualche paranoia!
E mia madre mi stava facendo prendere un colpo del genere solo per qualche stupida scenata di gelosia?!

“Mamma mi prendi in giro?!
Litigate per questa cazzata?!”
“Jake!”
“Mamma, Joey lo dice sempre.”
“Ma Joey è grande...”

Come al solito mamma non è molto convinta quando mi rimprovera le parolacce.
La verità è che ne dice un sacco anche lei!
Non può dirmi davvero niente!
Do un’occhiata a papà che sembra al settimo cielo, e sembra a stento trattenersi dal saltare su come un grillo e mettersi a ballare.

“Adie, da-avveroo?”
“Che cosa...”
“Non hai...non vuoi...d-divoorziar-re?”

Balbetta tanto è emozionato e pende dalle labbra di mamma che sembra non degnarlo nemmeno di uno sguardo.
Io mantengo l’aria inquisitoria mentre mia madre alza gli occhi al cielo esasperata.
Stringe ancora in mano un orribile soprammobile che ci ha portato la nonna da Venezia.
Per i suoi sessant’anni papà e mamma le hanno regalato un viaggio a Venezia, lei e il suo compagno e lei ci ha portato una gondola di ceramica dipinta, davvero orribile che però nessuno dei miei ha il coraggio di far sparire.
Prima la brandiva come un’arma mentre adesso sembra sempre meno agguerrita e il braccio si sta abbassando gradualmente.
Mia madre non mi lancerebbe mai addosso una gondola di ceramica.
Questa è una certezza.

“Billie, fosse per me ti caccerei  via a calci. Ti rendi conto che non mi posso più fidare di te?
Tutti quei ‘ti amo’, ‘sei la mia vita’, ‘l’unica cosa che conta a questo mondo è la mia famiglia’… Che razza di uomo sei? Come faccio a fidarmi di uno che mi tradisce con…”

Si interrompe e sembra fargli un cenno indicando me.
Ma perché continuano a non parlare chiaro?!
è irritante! Pensano che sono stupido?! Che non capisco i loro cenni, le loro parole silenziose?!
Si vede lontano un miglio che mi nascondono qualcosa!
Non posso fare a meno di sbuffare e mettere il broncio:

“Insomma, non è così difficile!
Papà tu ami la mamma, vero?”
“Si…”
“Non hai un’altra?”
“No.”
“Vedi mamma?!
Papà non mi mentirebbe mai!”

 

Ancora una volta mia madre sembra fare un mezzo sorriso intenerito, misterioso, come se volesse compatire la mia ingenuità.
Non sono io lo stupido, è lei che complica le cose!

-Non è vero che non ti mentirebbe mai.
Ti mentono sempre  e dicono che lo fanno per proteggerti.
Nessuno che ti dica mai come veramente stanno le cose e non perché non possono ma perché non vogliono.
Non lo so il perché, Jake.
Nessuno lo sa.
Ma è così, sempre.
-Stavolta ti sbagli, fratellone. Non ti credo.

Io credo a papà quando mi dice una cosa e ci crederò sempre.
E lui non mi nasconderà mai niente. Perché mi vuole bene.
-Sei uno stupido, Jake. Se pensi queste cose sei fregato.
-Non ti credo! Joey, vaffanculo!

“Billie, voglio che ci parli. Voglio che chiarite.”
“Che diamine dovrei dirgli?”
“Non tornare finché non avrai fatto una scelta. O me o…lei.”

 

Mia madre indica la porta, inflessibile finchè mio padre non è costretto a uscire, facendo attenzione a non calpestare i cocci di ceramica con le ciabatte di plastica, da bagno.
Perché non si procura un paio di scarpe normali?!
 Finirà per farsi male.


****************************

[Mike’s POV]
 
Bussano alla porta.
Non ho nessuna intenzione di alzarmi ed andare ad aprire.
Sono seduto per terra, sul tappeto, con  una vecchia chitarra acustica in braccio.
Ogni tanto mi viene nostalgia della chitarra e metto da parte il basso.
In fondo io ho cominciato così. Con una chitarra acustica scadente che comprai di seconda mano da un tizio strampalato, il proprietario di un negozio di LP a Berkeley.
Poi l’ho regalata  a Billie.  Non che ci facesse qualcosa nemmeno lui.
La portava ai campus per non rovinare la sua Cherry Red Hohner, che gli aveva regalato il padre.
Poi c’era Blue, regalatagli dalla madre e dal suo maestro di musica, un certo Cole che BJ adorava.
Non ho mai potuto competere con la sua famiglia, su nessun fronte.
DLIN DLOOOOOON!

“Cristo! Brit vai ad apriiiire! Suonano da ore!”

Britney mi passa davanti con un’espressione seccata, il grembiule da cucina indosso e i guanti sporchi di farina, uovo e non so quali schifezze.
Starà facendo uno dei suoi benedetti dolci al burro.
Sa benissimo che c’ho il colesterolo alto, cazzo!
E se ne fotte altamente, cucinando uova, formaggio e ancora uova!
Ma come resistere? Il profumo dei suoi piatti invade tutta la casa ogni volta che lascia spalancata la porta della cucina. Tra l’altro non capisco perché insista a voler andare al ristorante, quando lei cucina molto meglio di certi pomposi chef.

“Billie! Accomodati!
Mike! C’è Billie!!!
Scusami, caro, ma ho un dolce in cantiere.”

Mi viene quasi da ridere.
Dopo il casino che è successo a casa Armstrong, mi aspettavo, come minimo, di tornare a casa e venir sbattuto seduta stante per strada.
E invece non è un successo un bel niente, nessuno mi ha fatto alzare il culo dal divano, né mi ha gridato contro che sono uno stronzo, un frocio di merda…

Brit quando si arrabbia competerebbe con un carrettiere.
è inutile che mi alzo.
Billie entra in soggiorno e subito lancia un’occhiata ai fogli che sono sparsi sul tavolo.
Che palle, non voglio che li legga.
La chitarra acustica mi fa quest’effetto. Mi viene voglia di strimpellare qualcosa, poi a seconda di quanto mi sento di merda escono le parole, a singhiozzi.
Allora mollo tutto, mi piazzo sul tavolo e comincio a scrivere forsennatamente.
Chiunque mi leggesse penserebbe che sono i deliri di un pazzo che posso competere con le stronzate di Kurt Cobain. Magari fare un sacco di soldi pubblicando i miei diari.

“Ehi”
“Ehi”
“Stavi scrivendo”
“…”

What’s wrong? What the fuck’s wrong with me?
He opens the door, I can see his wild eyes,
It’s crazy, He wants to slap my face.
But I’ve got my reason, do you?
I’ve got my reason, so you?

Be quiet, stay calm,  just listen at me once.
You’ve always cast me aside, made me cry,
You made me hope and what I got is crap.
From now on I’ll do on my way.

“Fammela sentire.”
“Non l’ho finita.
Mi manca ancora la musica.”


Mi volto per un attimo a guardarlo mentre rilegge più volte il foglio, se lo passa da una mano all’altra, canticchia, forse cerca un ritmo.
Insomma fa finta di nulla. Fai il finto tonto, BJ?
Non vuoi proprio capire?

“Non lo so, Mike.
 Questa, più che una canzone, sembra uno sfogo.
Non c’è una rima ed è difficile trovarle un ritmo che fili…”
“Non ti ho chiesto di metterla in musica.”

Lo vedo fermarsi per un attimo ad osservarmi con un velo di tristezza negli occhi.
Poi finalmente posa quel dannato foglio sul tavolo, là dove stava in mezzo a centinaia di altri scarabocchi non-sense che mi pento amaramente di aver gettato giù
Hai letto quello che penso, quelle parole lo urlano, se avessero una musica ti fracasserebbero i timpani. Ma tu ci passi sopra come se non ti importasse.
Questo mi fa incazzare.

“Mike, mi dispiace. Ho fatto un casino. Abbiamo fatto un casino.
Per poco non perdevo Adie e i ragazzi. Ma ho un’altra possibilità, capisci?
Un’altra possibilità e questa cosa sarà come se non fosse mai esistita!”
“…”
“Mike, dobbiamo farla finita, ok? Niente più distrazioni, niente più giochetti e tutte queste stronzate qua. Ti ho solo messo nei guai, mi sono fatto scoprire…per una volta in vita sua Tré ha ragione; sono stato un coglione.”

Lo vedo parlare animatamente come se dovesse convincere una platea intera che quello che dice è sacrosanto. Non posso credere che non abbia capito niente.
Pensa di avermi messo nei guai, pensa di essere lui il coglione quando tutto quanto è iniziato da me.
O finge? Perché stavolta non capisco cosa pensi, Billie?
L’ho sempre intuito, ho sempre pensato di saperlo.
Anzi ho sempre pensato di contare qualcosa per te, sotto sotto.
Ho sempre pensato che tu fossi solo molto bravo a nasconderlo.
O sei solo troppo ottuso per capire?

Cristo, mi sono fatto meno seghe mentali quando dovevo chiedere ad Anastacia il primo appuntamento, dieci anni fa.


“Mike, mi segui? È stato bello davvero…”
“Te l’ha chiesto Adie?”
“Cosa?”
“Di mettere le cose in chiaro.”
“Non è per quello che lo faccio.”
“Si, invece.”
“Cosa?”
“Niente”

Lo vedo agitarsi. È infastidito, sta camminando avanti e dietro, non riesce a stare fermo.
Io reggo ancora la chitarra in mano ma non una corda suona.
Gli do le spalle e so che questa cosa lo irrita.
Irriterebbe anche me, visto che stiamo facendo un discorso importante.

O meglio lo sarebbe davvero se lui non mentisse spudoratamente. Così è solo una farsa.

“Cristo, Mike, non ti capisco! Adesso che c’è?! Ho risolto!
Nessuno saprà niente, niente scandali, paparazzi, divorzi, costosi processi, le spese degli alimenti, litigi per l’affidamento e tutta la merda che ne viene fuori! Qual è il problema?!
Cosa vuoi di più?”
“Tu non hai mai pensato a quello che volevo io. Solo quello che era meglio per te.”
“Che cazzo dici?! Adesso parli come la sfinge?!
Ti ho chiesto scusa! è la MIA vita quella incasinata, è MIO figlio che ci ha visti, è MIA moglie che ci ha scoperti, sono IO che sono stato cacciato di casa per più di tre giorni!
E in tutto questo Brit non sa un cazzo di niente!
Adesso mi sento anche dire che sono un egoista e tutte queste stronzate qui!”

Va bene. Non vuoi capire, non capire.
Lasciami  pure soffrire come un cane, tornatene dalla tua famiglia.
Perché cedo sempre? Perché mi riduco sempre così?
Lui poi. O ci gode nel tenermi in scacco oppure è più idiota di quanto pensassi.
Dalla cucina sento il fracasso del frullatore di Brit.
Non avrà sentito una parola, alle prese con gli elettrodomestici più vari.
Meglio così.

“Mike?! Cazzo, mi rispondi?!”
“Si, scusa hai ragione.”
“E che cazzo c’entra questo?”
“Scusa, davvero ero sovrappensiero.
 Pensavo ancora alla canzone.”

Billie mi guarda stranito, strabuzzando gli occhi mentre il sospetto rimane ben visibile sul volto tondo. Soppesa le mie parole, non sa se credermi, non capisce cosa sono questi cambi improvvisi, di umore, di opinione. A questo punto non mi interessa se stai recitando, BJ.
Ormai è fatta.

“Allora…mai più. Ok?”
“…”

“Mike?”
“Promesso.”

Gli si allarga un sorriso, un sollievo che mi stringe la gola, che mi fa venire le lacrime, gli occhi lucidi, che mi spegne come due dita sulla fiamma di una candela.

You’ve always cast me aside, made me cry,
You made me hope and what I got is crap.


*************


Ebbene eccone un altro, più breve del solito, lo so, ma con scuola, impegni vari ecc. ho solo qualche serata per dedicarmi alla scrittura. Non so se considerarlo un ultimo capitolo o la premessa ad un ultimo. Rimane ancora aperto il problema di Joey anche se in teoria, a causa dello shock subito, è difficile che riaccetti il padre in famiglia con molta facilità.
Una cosa è venire a sapere certe cose una cosa è trovarsi là, sul momento, davanti al fatto compiuto.
Che dire? Chi vivrà vedrà.
Per informazione,  la parte in corsivo nella scena Jake’s POV è ovviamente la voce di Joey che Jake richiama sempre alla memoria.
La canzone invece l’ho scritta io, con un po’ di inventiva e tanta voglia di sembrare patetica agli occhi del mondo! Quindi fatevi quattro risate!

Misa

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Capitolo 5
*** The End ***


[Joey’s POV]

Apro gli occhi e lancio un’occhiata al soffitto sopra di me.
Un normale soffitto bianco da cui pende una lampada con uno di quei palloni di carta che si scassano e si devono cambiare ogni volta.
Ma non è il soffitto di casa mia.
è un mese che non torno a casa mia.
All’inizio c’era grande agitazione in famiglia: tutti a cercarmi,  a chiamarmi sul cellulare, a domandarsi se devono avvertire la polizia, a chiedere in giro se avevano visto “il figlio di Billie Joe Armstrong”.
Poi un giorno sono tornato a casa e ci ho trovato mio padre che scriveva freneticamente su uno dei suoi fottuti quadernini, strapieni di stronzate che poi sentivo sulla bocca dei miei compagni di classe.
Vorrei gridarlo a tutto il mondo: Billie Joe Armstrong è un immaturo del cazzo.
Un bambino, un ragazzino arrapato che mette il broncio, che va in giro con la matita sbavata a quarant’anni, che perde tempo a scribacchiare sui suoi quadernini le stesse cazzate che scriveva quando ce ne aveva diciassette, di anni.
E poi ovviamente va a letto con il suo migliore amico.
Mi fai schifo.
Gliel’ho detto.
Sei un frocio e sei un figlio di puttana.
Gli ho detto anche questo.
E per una volta non ha neppure aperto bocca.
Poi gli ho detto che me ne andavo, che non volevo essere cercato, che non rompessero il cazzo, lui  e la mamma con la loro stupida ansia da genitori isterici.
Non lo sono mai stati, vogliono cominciare adesso?
L’unica cosa di cui non riesco a perdonarmi è di aver lasciato lì Jake.
Quello non ha capito un cazzo come al solito, a lui basta che nessuno litighi, che tutti siano contenti ed era al settimo cielo quando mamma ha riaccolto papà.
No, io non sono contento, Jake.
E non ti spiegherò il perché, sei troppo piccolo.
Non crescere in fretta, Jake, poi ti ritrovi nella merda.

“Buongiooornoo”
“Ehi”

Volgo lo sguardo verso il ragazzo accanto a me che si strofina gli occhi con il dorso delle mani e sbadiglia.

“Ehi, Jo, che or’è?”
“ ’cazzo ne so.”
“mmhm”

Ralph si appoggia su un fianco e rimane per un attimo a fissarmi instupidito, intontito dal sonno.
Mi da fastidio.
Ogni tanto si ferma a guardarmi, poi si riscuote, abbassa lo sguardo, fa un commento, il più delle volte stupido e poi ciascuno sulle sue.
Io a rimuginare, lui a disegnare.
Per tutto il mese mi ha ospitato lui dopo che avevo chiesto a Cole di trovarmi un posto che non fosse casa sua o di uno dei miei conoscenti.
Non voglio essere rintracciabile, non voglio più ricevere telefonate, visite, suppliche.
Non ho ancora intenzione di tornare, se mai l’ avrò.
Voglio sparire, voglio che il mondo non mi trovi più.
Forse dovrei lasciare questa città di merda.

“Ehi”
“Che vuoi?”
“Mi passi le sigarette?”
“Cristo, non si respira! Almeno fammi aprire la finestra!”
“Ok.”

Non ho voglia di alzarmi ad aprire la finestra e rimango ancora steso, con la coperta appallottolata ai miei piedi.
Non so bene che faccio durante la notte ma la mattina il mio letto sembra un campo di battaglia, come se mi fossi agitato per cinquecento.
Ma come fa, appena svegliato a fumare?
è impressionante quanto cazzo fuma Ralph.
Fa fuori tre pacchetti al giorno, in media, fino ad un massimo di cinque, ha i denti gialli, ogni tanto tossicchia e sembra perennemente raffreddato, con il naso chiuso pieno di catarro.
E ha solo cinque anni più di me.
Sfumacchia praticamente sempre tranne quando lavora.
Fa il tatuatore, disegna tatuaggi su misura e ama il suo lavoro alla follia.
Ha lavorato a bottega dal padre per sei anni e adesso si alternano al negozio che sta in uno dei vicoletti di Little Tokio.
Casa sua è a qualche strada dalla bottega mentre il padre vive nell’appartamento sopra il negozio.
I miei non mi cercherebbero mai qua.

“Ehi, Jo! Cazzo, ti sbrighi?”
“E che fretta hai? Non rompere.”

Sbuffa, infastidito e un ciuffo di capelli scuri, liscissimi da vomitare, si spettina, scoprendogli la fronte.
Come tutti i cinesi, giapponesi o quello che sono, ha gli occhi a mandorla e i capelli piastrati che lui porta semicorti  e scompigliati, con un’ombra di gel e un colorito pallido o giallognolo, a seconda della luce.
Ralph Dayu Nishimura è nato qui in America, mi ha confessato di non essere mai stato in Giappone e non sembra interessargli molto. Si incazza se lo chiami Dayu o Nishimura o se lo chiami giapponese perché si considera un americano a tutti gli effetti.
D’altronde la sua famiglia è qua da generazioni.
A parte la sindrome da giappo-rifiuto è abbastanza normale come coinquilino; ha i suoi spazi, è riservato ma sa essere un buon amico.
Cucina riso e verdure in tutte le salse e i suoi hamburger sono fantastici.
Di meglio non mi poteva capitare.
Mi tocca alzarmi per andare ad aprire la finestra e rovistare sul pavimento della stanza in cerca delle sigarette.  Trovo un pacchetto di Philip Morris blu, semivuoto,  abbandonato sul pavimento sotto la sedia della scrivania.  Lo raccolgo e lo lancio sul divano-letto sfatto che dividiamo.
Diciamo che chiunque abbia progettato questa casa contava di vivere da solo o con una compagna. Punto.
Sono trenta metri quadri di monolocale con bagno e angolo cucina, né Ralph si è preoccupato di riempirlo, anzi c’è un sacco di spazio.
C’è un divano letto a due piazze, un armadio, una libreria piena di cd e dvd, qualche libro qua e là, centinaia di fumetti, americani e giapponesi, un televisore, una scrivania con portatile, carte e impicci vari, un tappeto con motivo geometrico davanti al divano.
Questo è tutto. Non c’è nemmeno un tavolo da pranzo, solo un tavolo di legno pieghevole che va cacciato fuori dall’armadio, insieme alle sedie.

Tanto oramai mi sono abituato a mangiare sul divano quindi tanto piacere.
Il patto è questo: io pubblicizzo il suo locale, gli porto clienti e lo faccio entrare gratis ai concerti e lui mi ospita.
Le pulizie si fanno a turno, la lavatrice la fa lui, il letto lo rifaccio io, chi cucina non lava i piatti.
Vado alla ricerca dei miei jeans, dispersi da qualche parte.

“Senti, quanto pensi di stare?”

Mi blocco, per un attimo mi si gela il sangue nelle vene.
Mi sta cacciando?!

“Che significa?”
“Naa…boh…per sapere.”
 

Si tira a sedere, si accende una sigaretta, aspira e caccia una nuvola di fumo, da grande fumatore quale è. Trovo finalmente i Jeans e me li infilo.
Non posso negare che si sta molto più comodi in boxer, ma, al contrario di mio padre, io non giro mezzo nudo per casa, specie quando non sono solo.

“Cosa hai intenzione di fare ? Ci torni a scuola si o no?”

Questa conversazione è appena iniziata e già mi sta rompendo i coglioni.
Si facesse i cazzi suoi!

“Ma che cazzo di domande fai?!”
“Boh, per sapere.”

Si, è un mese che manco da scuola.
Ufficialmente i miei mi avrebbero iscritto ad una scuola privata dall’altra parte della California.
Ma di fatto anche questo fa parte dell’accordo e quella della scuola privata è solo una formalità per evitare denunce per mancato obbligo scolastico o come cazzo lo chiamano loro.

 

“Hai litigato con i tuoi e quindi adesso addio manager e produttore, non vai a scuola, non sai fare un cazzo a parte suonare e sei bloccato dal contratto con la Adeline Records…che pensi di fare?”

Mi irrita. Non fa altro che sputare fumo come una ciminiera, guardarmi interessato, enigmatico con quel sorrisino stronzo che fanno sempre i cinesi-giapponesi o quello che è, quando hanno a che fare con il resto del mondo. Tutto uno stupido inutile via vai di convenevoli.

“Non so. Potrei andare a dormire sotto i ponti…almeno non avrei qualcuno che cerca di sfrattarmi di casa con piccole allusioni stronze.”

Non so cosa farò.
Prima avevo tutto e non ero contento, adesso non ho niente è sto di merda.
Morale della favola: il bicchiere è sempre mezzo vuoto e non esistono grandi scopi nella vostra vita.
Qualunque cosa facciate prima o poi starete di merda.

“Senti, io una cosetta per te ce l’avrei.”
“Che roba è?”
“Tu sei amico del proprietario del ‘Connecticut’ , no?”
“Embé?”

Si interrompe, si stiracchia, fa un bel sospiro accompagnato da un sorrisetto sornione e sputa fuori altro fumo. Ecco un altro aspetto di lui che mi irrita profondamente.
Una volta che conquista la tua attenzione diventa di un patetismo e di un teatrale che ti fa venire voglia di mandarlo a fanculo.
In genere lo faccio, ma per una volta sono seriamente interessato a quello che potrebbe propormi.


“Sai, ho incontrato Barry, l’altra sera, mentre suonavate.”
“Che cazzo c’entra Barry?”
“Niente…abbiamo parlato, qualche birretta. Una serata piacevole.”
“…”

Altra pausa d’effetto, altro tiro di sigaretta, una scrollatina di spalle.
Gradisce caffè, the, biscotti, magari pane burro e marmellata, nel frattempo?!

“Non sei curioso di sapere di cosa abbiamo parlato?”
“Se magari la pianti di dire stronzate e vai al punto…”
“Beh, abbiamo parlato del tuo amico del ‘Connecticut’.
E…abbiamo concluso che non va.”
“Cosa non va?”
“Non può continuare ad ignorarci.”
“Che vuoi dire?”
“Non fare lo stupido, Jo.”

So cosa vuole. Ma non dipende da me e lo sa benissimo.
Circa due mesi fa, suonavo al ‘Connecticut’con i miei ragazzi, giravano birre, qualche alcolico più serio, gente che andava, veniva, urlava, insomma il nostro solito casino.
Poi venne il momento della sbornia-post concerto e ci avvicinò un cino-giapponese di quelli giallognoli, malaticci con quattro peli neri in testa e gli occhi famelici.
è impressionante come alcuni di questi dimostrano almeno vent’anni più della loro età e  poi sembrano quasi viscidi, untuosi, cerimoniosi fino a farti venire il vomito.
Ci presentammo. Non ci potevo credere che si chiamava Barry e non YingYung o roba del genere.
Glielo feci notare non so quante volte mentre ridacchiavo come un idiota ma lui non si scompose più di tanto.
Credo volesse farmi ubriacare perché non faceva altro che ordinare birra e si fece portare anche un cognac per fare uno “spuntino”.
Insomma alla fine voleva che io convincessi Cal ad affittare loro una delle soffitte del locale per vendere della “roba”.
Da Cal non circolava né fumo né droghe. Erano vietate.
Se ti coglieva in flagrante, lui non ci pensava due volte a chiamare la polizia.

“Non ci posso fare niente, Ralph, lo sai…”

Per un attimo mi sembra di scorgere due fessure al posto degli occhi scuri di sempre e il suo volto si irrigidisce in una smorfia di disappunto. Sento il rumore dei suoi denti che cozzano, i superiori contro quelli inferiori  come un animale che addenta a vuoto, un coccodrillo che apre e chiude le fauci minaccioso.
Poi sputa fuori, a voce bassa, ma chiara:

“Stronzate”

Faccio finta di non sentire.
Non voglio averci niente a che fare.
Non voglio essere coinvolto negli affari fra locali e spacciatori, tanto meno fra locali a me anche troppo familiari e gli spacciatori di Little Tokio.

“Jo, quel lavoro ci serve”
“Ho fame.”

Mi muovo da lì,  cercando di non pensare a Cal, al ‘Connecticut’ e ai casini in cui è invischiato Ralph.
Sento il divano-letto che scricchiola, ormai invecchiato sotto il peso-piuma di un futon e di un ragazzo di massimo cinquantotto chili. Qualche volta, quando lo guardo, ho l’impressione che prima o poi mi si sbriciolerà davanti agli occhi tanto mi sembra sottile e fragile.
In effetti non fa altro che lamentarsi che nelle risse le prende sempre.
Non farebbe paura nemmeno ad una formica.

 

“Jo, piantala di cambiare discorso.”
“Ho detto che ho fame. Punto.”

Gli ringhio contro e sbuffo come un cavallo tanto che il ciuffo ribelle che ho sulla fronte mi scivola sul naso, i capelli mi pungono gli occhi. Da quanto tempo non vado dal barbiere?
Ho sempre tenuto i capelli corti, con quelli lunghi sto male; in fondo ho ereditato quella faccia di cazzo da mio padre. Sono costretto a rimettere a posto la ciocca sovversiva con un gesto brusco.
L’ho zittito. Sono uno dei pochi da cui si fa zittire anche se non ho mai capito perché ho tutta questa presa su di lui. Non è certo uno dei miei migliori amici, anzi, fino a qualche giorno fa non lo consideravo nemmeno tale.

“Nel frigo ci sono delle uova.”
“Non ne ho voglia. Esco.”
“E dove vai?”
“E che ne so?
Non ti preoccupare, mammina, torno per cena.”

Ho la bocca ancora impastata dal sonno e non ho per niente fame.
Semplicemente me ne voglio andare da qui, almeno per qualche ora, anche perché so che difficilmente potrei trovare altrove un posto migliore di questo; quindi datti una calmata, Joey, e non tirare troppo la corda con quello lì.
Ma, proprio ora, non si respira qui dentro e non parlo certo dell’ennesima Philip Morris che pende dalla bocca di Ralph.



******************

Ho fatto una sorpresa a Sarah e mi sono presentato sotto casa sua, intimandole di scendere se aveva il coraggio.
Era da una settimana e mezzo che non ci vedevamo; o meglio era una settimana e mezzo che mi sfuggiva, che io pretendevo una risposta.
Forse ho fatto una scemenza, quella sera, a quella festa, a dichiararmi, con un mazzo di fiorellini strappati dal giardino di un certo Tim, il festeggiato che non conoscevo nemmeno di nome, mezzo ubriaco, dopo che mi ero imbucato solamente per poterla vedere.
Non so che impressione le ho fatto ma certo non devo essere apparso un giovanotto brillante e raccomandabile come la maggior parte dei damerini che frequentano la sua scuola.
Lei però si è messa a ridere, ha accettato i fiori, mi ha accompagnato in bagno e mi ha tenuto la testa mentre vomitavo l’anima. Poi, il giorno dopo, mi sono svegliato nel salotto di casa sua, con una coperta addosso e una lettera di lei al mio fianco:

Ho preferito non svegliarti, tanto oggi sicuramente ti saresti sentito di merda, dopo la sbronza che ti sei preso ieri. E avresti bigiato comunque scuola, quindi non fa differenza.
A proposito di ieri…dammi qualche giorno per pensarci, ok?
Sei stato frettoloso, anzi non so nemmeno se stavi facendo sul serio o era solo una presa per il culo.
Comunque sei stato carino a strappare quei fiori dal giardino di Tim solo per darli ad una mezza sconosciuta. La prossima volta magari lascia perdere, stanno benissimo dove stavano.

Sarah


Non so cosa abbia raccontato ai suoi ma mi sono ritrovato in casa, da solo, con la donna delle pulizie che mi guardava storto perché era quasi mezzogiorno e finchè non me ne fossi andato lei non avrebbe potuto rassettare il soggiorno.
Inutile dire che ricordavo tutto e in quel momento ho sperato che mi rispondesse di si.
è per questo che sono andato sotto casa sua, dopo essere fuggito da Ralph e l’ho minacciata di arrampicarmi fino al suo balcone se non avesse accettato di vedermi.
Lei è scesa, tutta bardata come un’eschimese, ridacchiando nella sciarpa color panna, dicendo che ero un rompiballe, che lei aveva la febbre e in teoria non avrebbe dovuto mettere piede fuori di casa.
Le ho detto che magari, per una volta, poteva far lavorare un po’ quei dannati anticorpi e darmi la soddisfazione di vederla disobbedire ai suoi.
Troppo carina e accomodante, troppo educata e obbediente.
Che pensasse un po’ a divertirsi...
eppure forse era per questo che mi era piaciuta fin dal primo momento.
L’ho portata al Lunapark come si fa con i bambini piccoli, le ho offerto il pranzo e poi, qualche ora più tardi un bastoncino di zucchero filato.
Verso le cinque mi ha detto che era ora di tornare ma io non avevo ancora avuto la mia risposta.
Avevo disertato le prove con il gruppo per questo, avevo mollato Ralph che forse mi aveva aspettato per pranzo, o forse no. Insomma, in quel momento volevo solo sapere se il suo era un si.
è stupido tremare come un bambino alle prime armi ma non riuscivo a stare calmo, avevo le mani sudate e ogni tanto arrossivo quando sentivo il suo sguardo intenso, con quegli occhi verde chiaro che mi investivano, facendomi venire i sudori freddi.
Poi lei aveva capito e aveva cominciato a parlare, con l’aria seria di chi deve confessare una cosa importante.

Joey, tu...per me sei stato una scoperta...un vero amico...non ci avrei mai creduto se ti avessi incontrato in un’altra occasione...

Ecco di cosa avevo paura; che mi dicesse che per lei ero solo un amico, con cui si trovava a suo agio, a scherzare, ad andare in giro cazzeggiando allegramente, ma che non sarei potuto essere nient’altro.
Lei era così vicina, i suoi occhi erano così chiari, la fronte aggrottata come se dovesse concentrarsi per scegliere bene le sue parole, per non farmi troppo male, per rifiutarmi con gentilezza e tatto, perché lei faceva tutto con gentilezza e tatto.
Vedevo le sue labbra muoversi a rilento, mentre da quella distanza notavo piccoli particolari del suo viso, con un piccolo baffetto nerastro che faceva timidamente capolino sopra al labbro oppure quel neo che le dava un’aria esotica ed aristocratica, sulla guancia.
Eravamo ad un soffio; e ogni secondo che passava sentivo che mi avrebbe detto no.
E invece quando aveva finito la frase non avevo potuto trattenere un’esclamazione sorpresa, quasi non ci credessi io stesso.
Poi mi ero sporto in avanti e l’avevo baciata.
Le sue labbra sapevano ancora di zucchero filato, avrei voluto mangiarmele pian piano ma temevo che si potesse ritrarre e fuggire da un momento all’altro.
Ci era voluto qualche secondo perché si rilassasse e ricambiasse timidamente il mio bacio.
Come al solito ero troppo impetuoso e lei mi riportava alla calma.
Avevo continuato a premere, stavolta con gentilezza, non volevo lasciare quella bocca zuccherosa, anzi volevo assaporarla con la lingua che fremeva per avere la sua parte.
Mentre lei si lasciava andare e mi concedeva l’accesso a quell’antro di miele, per un attimo ero stato distratto da una figura che si avvicinava di gran corsa a noi.
Rimasi stupefatto quando riconobbi Ralph che la agguantò per un braccio spingendola di lato, via da me, come un uragano furioso che si abbatte su una delle coste del Pacifico.
Ho assistito alla scena, basito, mentre il mio coinquilino urlava, rosso in faccia come un tacchino e schiumante di rabbia:

“Chi è questa puttanella, eh?
Chi cazzo sei, piccola stronzetta? Da dove sei spuntata?
LUI E’ MIO, CAPITO? MIO!
Mettitelo in testa, troietta e torna nel bordello da dove sei venuta!”

Ero troppo sconvolto per reagire; avrei dovuto difenderla e invece me ne sono stato lì impalato, a guardare Ralph che la spintonava, sempre più lontano da me finchè lei non sembrò fuggire via in lacrime.

“La prossima volta che ti ritrovo a ronzare intorno a lui ti spacco quel bel faccino del cazzo che ti ritrovi!”
“Ralph...che cosa stai dicendo?”

Finalmente trovai la forza di parlare, attirando la sua attenzione.

Quello mi si avvicinò minaccioso, con fare sbrigativo e mi latrò contro, aspro:

“Adesso tu vieni a casa con me e non azzardarti a rivedere mai più quella sciacquetta.”
“Ma chi cazzo ti credi di essere per decidere con chi devo o non devo stare?!”
“Mi sono rotto di aspettare che tu capisca. O sei un coglione che non capisce un cazzo o sei un grande stronzo!”

Qualcosa avevo intuito ma non mi piaceva neanche un po’.
E quando non mi piace una cosa tendo ad ignorarla o a non pensarci e basta.
Ma adesso che mi veniva sbattuta in faccia con violenza, ne avevo paura.
Non avevo mai visto Ralph fuori di sé e non era un bello spettacolo.

 

“Piantala con queste idiozie. Lasciami in pace.”

Poi lo sentii arpionarmi il braccio con una rapidità impressionante. Sentii la sua mano stringermi forte il polso, tanto violentemente da farmi male, come se volesse lasciarmi l’impronta delle sue dita sulla pelle.

“No, tu non te ne vai.”
“Lasciami andare! ”
“Tu non torni da quella! Io la faccio a pezzi!
 Non ti dividerò con quel verme insignificante.”
“Ma ti rendi conto delle stronzate che dici?! LASCIAMI SUBITO!”

Tentai di sferrargli un pugno ma quello mi afferrò anche l’altra mano e mi tirò a sé tanto che, nella furia, gli caddi addosso.
Sentivo le sue mani sulle mie spalle, un formicolio sulla schiena man mano che scendevano, mentre mi spingeva a sé senza che potessi liberarmi da quell’abbraccio che assomigliava più alla morsa con cui il ragno ghermisce una mosca, rimasta intrappolata nella sua ragnatela.
Poi appiccicò le sue labbra sottili sulle mie, cercando di forzarle con la lingua, invasiva come una piccola serpe. Sembrava volesse mangiarmi, prendermi a morsi mentre la sua bocca, attaccata alla mia pelle come una ventosa, mi stordiva con il suo intenso puzzo di fumo,  mi teneva ancorato a sé facendo pressione con il suo busto contro il mio petto e togliendomi il fiato, il suo tocco era brutale e possessivo.

Solo quando mi accorsi che mi stava slacciando la cintura dei pantaloni, solo allora mi riscossi e lottai disperatamente per liberarmi. Lo avevo strattonato così forte che era caduto all’indietro e questo era bastato a indebolirlo abbastanza per sciogliere l’abbraccio. Lui, nel cadere si era aggrappato a me disperatamente e mi aveva strappato la camicia,verde militare, facendo saltare qualche bottone ma io gli avevo calpestato una mano con il piede e Ralph aveva mollato la presa, con un grido rauco.
Poi avevo preso a correre con quanto fiato avevo in gola.
Lui, con il fiato corto che aveva, non mi avrebbe mai raggiunto.

****************


[Ollie’s  POV]

Quasi non ci ho potuto credere quando, dopo mesi e mesi di silenzio, mi sono ritrovata davanti mio nipote in uno stato pietoso.
Aveva la camicia strappata, il pantalone e le scarpe da ginnastica piene di fango, i capelli luridi, ispidi e secchi, come paglia, sulle braccia qualche livido nero, una puzza di fogna e una faccia stravolta. Non so cosa gli sia capitato, non ne ha voluto parlare con nessuno.
Quando ho aperto la porta lui è rimasto a guardarmi per un po’, gli occhi lucidi, rossi e gonfi di chi ha pianto, poi mi si è lanciato contro e l’ho abbracciato stretto stretto.
Singhiozzava, piagnucolava cose senza senso e si stringeva a me come quando, da bambino, aveva paura del buio e non si addormentava se non fra le mie braccia o quelle della mamma.
Non gli ho chiesto niente, l’ho messo a letto, ho cantato per lui come avevo fatto con i molti neonati che erano passati fra le mie braccia, ma faticava a prendere sonno. Gli ho preparato una camomilla, con un cucchiaino di miele sciolto dentro; gli avevo misurato la febbre e aveva quasi trentanove.
Quella notte si è svegliato gridando aiuto contro un certo Ralph che sembrava popolare i suoi incubi, che lo aveva inseguito, perseguitato, che lo voleva morto.
Aveva impiegato un’altra mezz’ora a calmarsi e a riaddormentarsi.
Per tutta la settimana lo avevo tenuto a riposo, a casa mia all’insaputa di tutti.
Era stato lui stesso un giorno a telefonare ad Adrienne e dopo mesi, finalmente si erano rivolti la parola civilmente. Con mio figlio non aveva voluto parlare.
Poi un giorno lo avevo visto mentre osservava quasi intontito il titolo di un articolo di cronaca cittadina:



Arrestato giovane trafficante giapponese, pazzo e violento

ha quasi aggredito una ragazza nel suo appartamento, a South Park

 


Pian piano si è rimesso e tutto sta tornando come prima.
Ha ripreso a frequentare la sua vecchia scuola, suona ancora per locali e fa le prove della band con i suoi amici ma vive ancora da me. Si è fatto portare qui la batteria.
Spesso va a trovare Jake, oppure Adie viene da noi per un pranzo e lui è contento, torna a ridere. Ha cominciato anche a chiedere di suo padre.
Ogni tanto lo vedo però con lo sguardo perso nel vuoto e mi chiedo cosa stia pensando.

 

The End

 

 

 

Non so quanto possa andarvi a genio questo capitolo ma vi assicuro che è stato un luuungo parto.
Mi dispiace da morire per avervi fatto aspettare tanto ma avevo perso totalmente ispirazione e in parte anche interesse per questa storia e non riuscivo più a scrivere niente per questa sezione.
Spero di riprendermi in fretta!
Una cosa è certa, con questo capitolo non ho chiarito un bel niente ma forse è meglio così.
E poi difficilmente io risolvo qualcosa quindi perché cambiare proprio ora? :3
Immaginate pure voi come può essere andata ma dopo il casino che ho combinato all’inizio ho pensato che potevo rendere tutto ancora più drammatico, senza grandi riconciliazioni strappalacrime a cui non crede nessuno perché in fondo è solo quando tocchi davvero il fondo che ti accorgi di quanto siano importanti persone a te vicine, anche se ti hanno ferito e deluso.
Spero di non aver sconvolto nessuno a parte il povero Joey ma in effetti scommetto che se la passa benissimo, ignaro di tutte le scemenze che ho scritto su di lui. Salute a lui.
Grazie mille a tutti coloro che hanno voluto seguire/ricordare/commentare/preferire.

Misa

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