In my mind my dreams are real

di Lyla Vicious
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tonight I'm a rock'n'roll star ***
Capitolo 2: *** The outcast ***



Capitolo 1
*** Tonight I'm a rock'n'roll star ***


Hey, sono ancora io. Questa storia l'ho scritta l'anno scorso ed è ispirata a varie canzoni degli Oasis, di cui ero e sono tutt'ora una grande fan. Detto questo per un fan sarà molto semplice indovinare le canzoni.
Comunque i personaggi mi appartengono a metà, le canzoni non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.
Enjoy it, vedrò di aggiornare.

Black 


Estate.

La città brillava vissuta e piena di speranze davanti ai tuoi occhi.

Avevi vent’anni e in testa la voglia di cambiare il mondo, di volare a ritmo di chitarre distorte.

Apristi lo sportello, entrasti nell’auto.

La sigaretta ancora sulle tue labbra a tracciare il tuo futuro.

Cercavi qualcosa che la vita non ti aveva mai dato: il successo, l’ebbrezza della fama.

Non era poi chiedere tanto per un dio della chitarra.

Volevi scappare dalla città, quella prigione grigia.

Era il tuo sogno diventare una rockstar, almeno per quella notte volevi essere una star del rock’n’roll.

Una star del rock’n’roll.

Quella frase ti bucava il cervello come un tarlo nel legno.

Da anni pensavi che quello sarebbe stato il tuo destino.

Vivevi la tua vita per le stelle che ti brillavano sopra la testa.

Era da anni che suonavi la chitarra e annotavi su un notes tutto quello che ti faceva sentire più vivo.

La gente diceva che sprecavi il tuo tempo, che erano tutte illusioni.

Rinunciare ai tuoi sogni, quella per te era un illusione.

Sempre meglio che andare ad Oxford o a Cambridge a studiare legge come i tuoi ti imponevano con forza.

Non volevi che qualcuno decidesse il tuo futuro, dovevi ancora scrivere il tuo destino che nitido ti attraversava la mente e ti attraeva con forza.

Il palco, i tour…cose che niente avrebbe potuto farti odiare o toglierti per nulla al mondo.

La cultura per te non voleva dire niente, cazzo, si vive una volta sola, giusto?

Volevi prenderti una pausa da tutto il mondo che frenetico non ti lasciava neanche la libertà di respirare.

Le colline e i grattacieli ti scorrevano davanti e inalavi lo smog dal finestrino aperto.

Tutto il mondo era grigio, senza speranze per nessuno.

Cosa cazzo volevano farti credere? Che potevano manipolarti neanche fossi una marionetta in un fottuto teatrino?

No, se pensavano che eri solo un altro di quelli stupidi idioti a cui facevano il lavaggio del cervello erano proprio fuori strada.

Tu, Liam, non ti facevi mettere i piedi in testa da nessuno, dal giorno in cui eri nato.

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Capitolo 2
*** The outcast ***




Ancora tu, ancora tu ma certo.

Oppresso da una società che subivi e odiavi con tutto te stesso.

Apristi la porta, uscisti tanto per non farti invadere dalla monotonia.

Corresti verso la città.

Con quella nebbia vedevi a malapena i tuoi piedi, avevi la testa come un treno fantasma: così invisibile e vuota, così opaca e accecata.

Il posto era vicino, potevi raggiungerlo anche a piedi.

Lo facevi tutte le mattine per racimolare qualcosa in più.

Ma tanto non era poi una grande differenza un penny in più o uno in meno.

Lo facevi tutte le mattine per pagare l’affitto.

Ecco, eri arrivato.

La porta di legno stantio cigolò mentre la aprivi.

Prendesti il grigio grembiule d’occorrenza e ti spostasti dietro al bancone, chissà da quanto non lo lavavano.

Subito iniziasti a trafficare coi bicchieri, c’era un tale caos.

Quando finivi il tuo turno eri così sollevato, a volte ti sembrava che non avresti finito mai.

Vivevi da oppresso senza via d’uscita.

La tua mente e il tuo corpo non avevano tempo di respirare, avevi la testa in un acquario, solo che i pesci erano dei tali stronzi.

Avevi in mano due birre ghiacciate, non era di certo uno scherzo.

Senza accorgertene sbattesti l’anca in uno dei tavoli, solo una stupida botta ma un dolore lancinante che ti pungeva il corpo.

Cercasti di non farci caso e ti allontanasti quando ti presero per il collo della maglia.

Ti girasti, cosa mai era successo?

“Ehi, bastardo! Avrei dovuto averla in mano, non addosso! Razza di idiota!”

Un tipaccio dall’aria corpulenta e piuttosto infuriata te lo disse con il suo accendo del Galles, quasi a sputarti in faccia.

Adesso ti stringeva le spalle in una morsa.

Lo spingesti via.

Non potevi farlo nel bel mezzo del tuo stupido turno di lavoro, ma quel tizio ti stava importunando, ed eri così infuriato…

“Che problema hai? Ti ha mandato il diavolo? Ma va da un’altra parte!”

Ovviamente si rialzò.

Ti spinse via la faccia con un pugno.

Ti toccasti con la mano che si macchiò di rosso.

Sangue, forse dal naso.

“Ehi, la ragazzina qui sta sanguinando!”

Te ne tirò un altro altrettanto forte.

A quel punto eri così fuori di te che presi una sedia e, senza pensarci due volte, gliela scaraventasti addosso.

Subito cadette pesantemente a terra.

Così imparava a provocarti.

Uscisti dalla porta sul retro.

C’erano due bidoni verdi della spazzatura, pessimo spettacolo, ma in fondo a te piaceva.

Prendesti una sigaretta dalla tasca.

Te l’accesi tra le labbra.

Tirasti una boccata da vincitore mentre l’altro, dentro, era steso a terra da perdente.

L’ospite indesiderato che alla fine rimane, solo che quella volta era lui.

Ma tu eri l’escluso, eri tu la classe oppressa.

Non eri quello che vinceva una rissa, ne tanto meno ne provocava una.

Eri solo bloccato nella tua vita, bloccato in quel locale infernale.

Te ne andasti, a dire la verità era una perdita di tempo.

Un’altra boccata.

Davanti a te una nuvola di fumo.

Non vedevi più nulla ma continuavi a camminare.

Era buio.

Non vedevi nessuno e non ti vedeva nessuno.

Ti trovavi così bene nell’oscurità.

Il cielo ti abbracciava col suo manto e stendeva un velo su ciò che non volevi vedere.

Eri arrivato a casa.

Gettasti a terra la sigaretta e la spensi con un piede.

Questa era la tua vita da escluso.

Una vita da ipocrita.

Avevi il tuo sogno che non ti avrebbe mai abbandonato.

Avevi talento ed eri motivato per diventare una rockstar, ma nonostante tutto eri un semplice barista con una vita monotona a cui ti eri presto abituato.

Pura ipocrisia.

dovevi smettere di vivere la vita di qualcun’ altro, dovevi rimuovere le menzogne dalle scarpe quella sera.

Sfasciarle.

Lentamente.

Una ad una.

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