A piedi nudi sul selciato di Shira (/viewuser.php?uid=16687)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La dea snob ***
Capitolo 3: *** Cenerentola moderna ***
Capitolo 4: *** Le gioie dello shopping ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Il buio avvolgeva ogni cosa, inglobava i suoni, i colori, ovattava persino le emozioni, e la pioggia scorreva senza sosta, avvelenando gli animi, lavando via la speranza...e inzuppando una povera ragazza che non aveva nemmeno i soldi per pagarsi un ombrellino. Certo, avrebbe potuto aggredire qualcuno e impadronirsene, c'era solo un piccolo problema. Non c'era nessuno. Ma proprio nessuno. Sembrava che l'intera popolazione di quella misera città spersa nel nulla avesse cospirato per impedirle di rubare un ombrello. A dire il vero, dovette ammettere a se stessa che se anche qualcuno munito di ombrello le fosse passato a dieci centimetri non l'avrebbe visto, il buio la avvolgeva come una dura coperta, offuscandole tutti i sensi. Maledetto il suo stupido meccanico che si credeva un genio e non era neanche capace di riparare una moto di modo che non si disintegrasse dopo nemmeno due ore! Ma dove aveva la testa, quell'essere? Non lo sapeva, ma una fitta che le aveva provocato molta irritazione e anche un po' di dolore le diede un'inequivocabile risposta circa dove si trovasse la sua, di testa. Aveva appena sbattuto contro un palo della luce. Spento. Ovviamente. La giovane sentì il sangue ribollire nelle vene e lanciandosi in una serie di spergiuri che avrebbero fatto arrossire di imbarazzo persino un camionista cominciò a prendere a calci il povero lampione indifeso, urlando sempre più forte. Pochi secondi dopo due cose colpirono la sua attenzione. Primo: dopo un calcio particolarmente forte il palo si era sradicato e le era caduto addosso. E questo più che colpire la sua attenzione aveva colpito la sua testa. Di nuovo. Secondo: un rettangolo di luce aveva appena illuminato quelle scure tenebre. La ragazza osservò in direzione di quell'improvvisa fonte luminosa, una porta era stata aperta, e un uomo ora la stava osservando. Un uomo alto, distinto, con folti baffoni bianchi e capelli anch'essi sbiaditi dal tempo, indossava uno smoking e nel complesso aveva l'aria di un domestico.
“Signorina, potrebbe cercare di fare meno confusione? I miei padroni stanno dormendo”.
Per l'appunto, un domestico. La ragazza strinse i denti cercando di non ringhiare e non perdere la pazienza, ma fu più forte di lei
“Non me ne frega un cazzo dei tuoi padroni!”
urla con quanta voce ha in corpo, piena di rabbia per quei tipi con una villa immensa -grazie alla debole luce della porta riusciva a distinguerne la sagoma- e quel maggiordomo così distinto. Lei non aveva neanche i soldi per un ombrello e quella gentaglia snob aveva una villa e un maggiordomo!
Improvvisamente una seconda figura si aggiunse al variopinto -si fa per dire, era buio- quadretto.
Un uomo alto circa quanto il domestico, con un vestito elegante e di taglio fine, due baffi marroni ben curati, dei capelli freschi di parrucchiere e un bastone da passeggio che teneva con insolita fermezza. La giovane ebbe la certezza che prima o poi si sarebbe abbattuto sul suo capo. Non si poteva dire che avesse torto, in breve il nuovo arrivato la raggiunse e la colpì proprio con quel bastone, dalla parte del pomo. La poveretta si massaggio la parte lesa della testa, osservando quell'uomo, senza riuscire a insultarlo dopo quel colpo così doloroso. Era un signore che incuteva timore e rispetto anche dopo una sola occhiata. I suoi occhi marroni la scrutavano come se volessero leggere fin dentro la sua anima.
“Come ti chiami?”
Di nuovo la giovane non riuscì a formulare una risposta sdegnosa, ma dovette abbassarsi a rispondere.
“Belle Davis”
L'uomo continuò a scrutarla, osservando i suoi vestiti logori.
“Ce l'hai una casa dove andare”
“No”
A meno che una rientranza sotto un ponte non potesse essere definita casa.
Gli occhi dell'uomo continuavano a leggerle dentro, e il bastone si abbatte nuovamente sul suo capo, questa volta con meno forza.
“Non puoi stare qui fuori con questo tempaccio. Vieni dentro, e domani decideremo cosa farne di te”
Belle si chiese per quale motivo dovesse essere lui a decidere, neanche stesse parlando di una bambola vecchia che si poteva vendere per due soldi o portare alla discarica. Ma ancora una volta si sentì quasi in obbligo di non contraddirlo, e senza una parola lo seguì fin dentro la casa e lasciò che il maggiordomo chiudesse la porta dietro di lei.
“Ives, illustrale la situazione domestica e mostrale la sua camera, io vado a dormire”
Senza neanche degnare di uno sguardo l'ospite, l'uomo salì le scale diretto verso il piano superiore, lasciando Belle in balia di Ives, il maggiordomo. Non prima di averle indicato con un vago cenno della mano un divano, su cui lei prontamente si sedette, quasi temendo di essere sgridata se non eseguiva l'ordine alla svelta. O di essere nuovamente bastonata. Non riusciva a capire perchè quell'uomo incutesse così timore e rispetto, ma non poteva farci niente, si sentiva tremendamente piccola e indifesa di fronte a lui.
Ives le sorrise, come se le avesse letto nell'anima.
“Ha fame, signorina?”
La ragazza preferì non dire nulla, ma proprio in quel momento il suo stomaco iniziò a brontolare, rispondendo al suo posto. Con imbarazzo mosse i corti capelli biondi, sistemando alcune ciocche ribelli dietro i capelli, mentre il maggiordomo spariva in cucina per poi tornare con pane tostato, marmellata e quelli che sembravano gli avanzi di una cena sontuosa. Rapidamente sistemò tutto sul tavolo di fronte a Belle, mentre iniziava a spiegare la composizione della famiglia.
“L'uomo che l'ha accolta è John Claverton. Sua moglie è Elizabeth Claverton. La famiglia è poi composta dalla figlia più grande, Stefany Claverton, quindi da Vera Claverton, la secondogenita, e da Robin Claverton, la figlia più piccola...che dovrebbe avere la sua età, almeno ad occhio...lei quanti anni ha, se mi permette la domanda?”
Belle spalancò gli occhi, sbigottita. Una famiglia numerosa! Lei era orfana, cresciuta in un orfanotrofio che odiava da cui era scappata appena compiuti sedici anni. Mossa azzardata, considerando che da quel momento era stata costretta a vivere compiendo dei vari furtarelli. Non sapeva neanche cosa significasse avere dei genitori, figuriamoci trovarsi in mezzo a tutta quella gente!
“Diciotto”
rispose quindi, osservandolo sorridere.
“Allora ho ragione, avete la stessa età. Invece la signorina Vera ha vent'anni, mentre la signorina Stefany ne ha venticinque. Ma ora torniamo alla composizione della famiglia...”
Belle continuò a fissarlo...ma perchè, non era ancora finita, la famiglia?
“Il piccolo di casa è il signorino Icàr Claverton, ultimo figlio dei signori Claverton”
Accipicchia, i suoi due anfitrioni avevano quattro figli? Si erano dati da fare!
“Il piccolo Icàr ha sei anni”
Sì, ma a lei che cosa poteva importare dell'età di tutti i componenti?
“Per concludere, c'è la servitù. Composta da me, dalla cuoca Adeline e dalla cameriera Constance”
Ah, pure!
“Vi è infine il medico di famiglia, il signor Arthur Gordon, ma ovviamente lui non abita qui”
E per fortuna! Iniziava a sembrarle un hotel più che un casa! Ma una domanda incessante le martellava in testa...a che pro darle tutte quelle informazioni se con ogni probabilità il giorno dopo se ne sarebbe andata per non rivederli mai più? Preferì non chiederlo, temendo di essere scortese, inoltre aveva la bocca piena degli avanzi della cena.
“La signorina Robin Claverton era fuori con il fidanzato e non è ancora tornata. Vuole aspettarla o preferisce che le mostri la camera?”
Nuovamente Belle si stupì. Per quale razza di motivo avrebbe dovuto desiderare di aspettare una sconosciuta? Per dirle cosa, poi? “Salve, mi chiamo Belle, tuo padre mi ha accolto in casa dopo avermi bastonato. Ah, e ho la tua età. E probabilmente tu prendi in una settimana di paghetta quello che io non metterò insieme in tutta la vita, comunque è un vero piacere conoscere una principessina snob. Se magari crepi fammelo sapere, potrei voler ballare sulla tua tomba”.
Ok, forse era troppo cattiva, considerando che neanche la conosceva. Magari era simpatica e per niente snob. I suoi occhi vagarono per la stanza nella quale si trovava, un salotto arredato con mobili costosi -si vedeva anche senza bisogno di chiedere il prezzo- e con tappeti che sicuramente non erano stati comprati al mercato, impreziosito da soprammobili in oro e cristalli svaroski..ah, e come dimenticare il lampadario in oro con gocce di diamante che scendevano come una morbida cascata? No, se era cresciuta in quella casa era sicuramente una snob. Punto. Tuttavia nuovamente intuì che esternare il suo pensiero sarebbe stato scortese.
“La aspetterò con piacere”
rispose quindi con un falso sorriso. Il maggiordomo sorrise a sua volta.
“Bene, io vado a ripulire le brocche d'argento, se ha bisogno basta che chiami”
La giovane annuì, sospirando appena quando l'uomo sparì dalla sua vista. Bene, adesso non le restava che attendere l'arrivo di una principessina snob...e magari anche fingersi contenta di conoscerla. Ma in fondo si era fatta ospitare, si era riparata dalla pioggia, aveva mangiato fino a scoppiare e avrebbe dormito in un vero letto morbido invece che su un rigido materasso bucato in più punti. Il minimo per ringraziare i padroni di casa per la loro ospitalità era cercare di mostrarsi gentile.
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Capitolo 2 *** La dea snob ***
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Bene, e così
mi trovo qui, senza sapere cosa fare, ad aspettare una sconosciuta, sperando
solo che si degni di arrivare alla svelta. Sospiro piano e mi appoggio sul
divano, portando le braccia dietro la testa e creandomi così un comodo cuscino.
Pochi secondi dopo sento qualcuno bussare alla porta, sto per alzarmi, ma Ives
mi precede, dirigendosi alla porta ed aprendola.
“Buonasera
signorina Robin”
“Buonasera
Ives”
Il tono è
sprezzante, come se si stesse rivolgendo a uno scarafaggio ed io non posso fare
a meno di trovarla istantaneamente antipatica...ma quando varca la soglia
spalanco gli occhi e la bocca guardandola con la stessa espressione di un pesce
lesso.
Sarà anche
antipatica e snob, ma diamine se è una bella ragazza! Non posso fare a meno di
fissare il suo corpo perfetto e ben modellato e i suoi lunghi capelli neri che
le accarezzano il fondoschiena. Lei deve accorgersi del mio sguardo perchè
subito mi fissa con gelidi occhi dello stesso colore del mare.
“E questa
selvaggia chi è?”
Improvvisamente mi risveglio dal torpore e la osservo con
aria offesa.
“Non sono
una selvaggia!”
dico a voce
alta, scattando come una molla dal divano su cui mi ero abbandonata. Lei
continua a guardarmi con aria di sufficienza e noto che anche il suo sguardo è
fisso sul mio corpo, ma a giudicare dalla smorfia di disgusto dipinta sulle sue
labbra credo stia giudicando i miei vestiti logori più che il loro contenuto.
Non che il contenuto sia meglio, visto che ho un corpo molto mascolino e un seno
incredibilmente piatto. Non come il suo, che si mostra morbido e abbondante
sotto il vestitino rosa, tremendamente attillato e tremendamente corto. Ok, sto
delirando, devo tornare a concentrarmi sulla sua aria da snob.
Lei inarca
un sopracciglio e si volta verso Ives, come a chiedere spiegazioni della
presenza di una volgare plebea nella sua casa.
“Il signor
Claverton ha ritenuto opportuno ospitarla per la notte”
Il suo
sguardo torna verso di me e la osservo scrollare le spalle con indifferenza.
“Allora
vieni, selvaggia, ti mostro la tua camera”
Inizia a
salire le scale ed io sto per replicare nuovamente che non sono una selvaggia,
ma improvvisamente il mio sguardo viene catturato dal movimento ipnotico del suo
fondoschiena, che bascula a destra e a sinistra.
“La camera
degli ospiti è subito davanti alla mia”
Destra,
sinistra, destra, sinistra.
“Non so
perchè mio padre abbia scelto di ospitarti, ma non discuto le sue decisioni”
Sinistra,
destra, sinistra, destra.
Improvvisamente si ferma e si volta, ed io ringrazio i miei
riflessi felini che mi permettono di alzare la testa verso il suo viso prima che
si accorga del mio eccessivo interesse per il suo corpo.
“Ecco”
Con un vago
gesto del braccio -deve essere un vizio di famiglia non indicare chiaramente- mi
indica una camera chiusa da una pesante porta di legno. Subito davanti si trova
un'altra porta, sempre di legno, ma tinta di rosa. La sua, sicuramente. Ci sono
altre porte, ognuna tinta di un colore diverso.
Ma dove sono
finita?
La mia dea
snob entra in camera sua senza più degnarmi di uno sguardo, mentre io mi ritiro
nella camera degli ospiti, osservandola con sguardo distratto.
Mobili
pregiati, un tappetto sicuramente di lusso -su cui cadrò più volte, già lo so-,
un lampadario in oro, almeno credo. Un bagno privato. Oddio.
Sospiro
piano prima di abbandonarmi sul letto, dove cado in un sonno profondo.
* * * * * *
Belle dorme profondamente, intanto, nella sua camera, Robin
si toglie il leggero vestito rosa che le copriva le forme aggraziate,
sistemandolo con cura nell'armadio. Sbuffa impercettibilmente, lanciando uno
sguardo alla porta. Unica barriera -oltre al corridoio e all'altra porta- che la
separa dalla selvaggia. Suo padre deve essere impazzito, non c'è altra
spiegazione! Ospitare una plebea in casa loro...e se avesse rubato qualcosa? E
se li avesse assassinati nel sonno? Era solo una stracciona, e per di più si era
accorta perfettamente che la giovane aveva passato tutto il tempo a guardarle il
fondoschiena!
Rapidamente
si avvicinò alla porta e la chiuse a chiave. Non si sa mai. Non voleva rischiare
di essere molestata nel sonno da una villica. Rimane in intimo e rapidamente si
getta sul letto, coprendosi con le coperte di seta e addormentandosi nel giro di
pochi minuti.
La casa è
profondamente addormentata, persino il maggiordomo è andato a dormire, dopo aver
terminato il suo dovere. Tutti dormono, incuranti di ciò che accadrà il giorno
dopo, incuranti del destino. Solo John non riesce a dormire. Una vaga idea gli
frulla in testa, impedendogli di cadere tra le braccia di Morfeo. Un sorriso
appare improvvisamente sulle sue labbra, mentre sua moglie si rigira al suo
fianco, profondamente addormentata. Finalmente l'uomo ha preso la sua decisione,
ed ora può lasciarsi andare al sonno del giusto.
La notte
passa e un nuovo giorno si fa strada tra le tenebre. La servitù è la prima ad
alzarsi, seguita da John e poco dopo da Belle, abituata ad alzarsi presto, la
mattina. Il resto della famiglia è ancora immerso in un sonno profondo.
“Buongiorno
Belle”
La saluta
John senza alzare gli occhi dal giornale che sta leggendo.
“Buongiorno
signore” risponde la ragazza educatamente.
L'uomo
sorride e ripone il giornale, portando lo sguardo su di lei.
“Mia cara,
chiamami John”
“Va bene,
John”
L'uomo
sorride e batte un paio di volte il bastone a terra.
“Ti
piacerebbe continuare a vivere qui? Saresti trattata come una della famiglia,
ottimo cibo, buona compagnia”
Belle pensò
tra sé e sé che sembrava il dépliant di un villaggio turistico, ma non vedeva
altre soluzioni, non poteva tornare a vivere sotto un ponte, aveva già subito
degli abusi in orfanotrofio, abusi che erano continuati nella vita sulla strada,
era il momento di darci un taglio.
“Va bene”
rispose
quindi, titubante. L'uomo continuò.
“Naturalmente in cambio dovrai svolgere alcuni lavoretti
per noi”
Ecco la
fregatura.
“...D'accordo”
Tanto non
c'era via d'uscita.
L'uomo
sorrise e tornò a immergersi nella lettura del suo giornale, mentre Belle si
sedeva su una sedia posta intorno al tavolino.
Subito una
signora grassa vestita con un completo da cuoco e dall'aria gentile le si
avvicinò, sorridendole in modo materno.
“Tu devi
essere Belle”
“Sì,
signora”
“Io sono
Adeline”
Belle
sorrise, contenta di far la conoscenza di un altro membro della servitù, era
sicura che si sarebbe trovata meglio con loro che con gli snob.
“Piacere di
conoscerti, Adeline”
La cuoca
sorrise e le posò davanti un vassoio carico di ogni genere di vivanda per la
colazione.
Brioche,
fette biscottate, crostini, burro, marmellata, the, caffè, latte. Tutto, c'era
tutto.
Una nuova
figura fece la sua apparizione dalla cucina: una ragazzina con lunghi capelli
castani, tenuti legati in una crocchia. Dagli abiti intuì che si trattava di
Constance, la cameriera. Il suo sguardo vagò sulla figura della ragazza. Non
male. Era una ragazza carina, anche se piuttosto banale. Doveva essere più
giovane di lei, però. Circa sedici anni, a prima vista.
Ma era
legale fare lavorare una ragazzina di sedici anni?
Tornò a
concentrarsi sulle brioche, ma riusciva a sentire distintamente lo sguardo della
cameriera su di lei, si voltò di scatto, cogliendola in fragrante e Constance
arrossì fino alla punta dei capelli.
Un ghigno si
dipinse sulle labbra di Belle, forse aveva appena trovato il modo di rendere il
soggiorno piacevole.
Un rumore di
passi attirò la sua attenzione e lei si voltò, osservando le figure che lente
scendevano le scale. La prima era una donna di una certa età, ancora molto
bella, con capelli biondo cenere stretti in un chiffon. Doveva essere Elizabeth,
la moglie di John. Subito dietro di lei avanzavano due ragazze, sicuramente
Stefany e Vera. Il suo sguardo si fermò sulla più grande, Stefany, aveva lunghi
capelli mori ed assomigliava terribilmente a Robin, sembravano quasi gemelle,
nonostante il divario d'età. Ciò che le distingueva era lo sguardo, quello di
Robin era altezzoso e pieno di boria, Stefany invece aveva uno sguardo gentile.
Subito dietro di lei avanzava la sorella Vera. Una ragazza alta e molto magra
-forse anche troppo- con capelli biondo cenere di media lunghezza che portava
legati in due code, a causa della sua pettinatura nel complesso aveva l'aria di
una ragazzina. Il terzetto scese le scale e si sedette al tavolo, lanciandole
delle occhiate curiose ma senza dire nulla.
“Questa è
Belle”
esordì John,
catturando l'attenzione della sua famiglia.
“Resterà da
noi e in cambio eseguirà piccoli lavoretti”
Le tre donne
annuirono, concentrandosi sulla colazione come se nulla fosse. Belle intuì di
non essere all'altezza della loro attenzione, dovevano considerarla solo una
piccola plebea.
La giovane
bionda strinse i denti e si costrinse a continuare a mangiare, ma di nuovo venne
distratta dal rumore di qualcuno che scendeva le scale. Si voltò e vide Robin
scendere a passo di marcia, con il suo solito sguardo altezzoso. Dietro di lei
trotterellava allegro un piccolo angioletto biondo. Icàr.
“Sei ancora
qui?”
chiese la
principessa osservando Belle con sguardo di sufficienza.
John ripeté
la sua decisione, mentre Robin lo guardava sbigottita. Un ringhio sommesso uscì
dalla sua bocca ma a prezzo di una grande fatica si costrinse a rispondere
“Come vuoi,
papà”
Il signor
John ripose il giornale e prese il suo bastone e un cappello a cilindro.
“Io esco,
badate voi alla casa. Belle, sai guidare un'auto?”
Belle lo
osservò sbigottita
“Non ho la
patente”
Lo sguardo
di John era gelido
“Non è
quello che ti ho chiesto”
Belle
deglutì a vuoto e annuì
“Sì, so
guidare”
Un sorriso
illuminò il volto del padrone di casa
“Perfetto,
allora accompagna tu Robin a scuola. Io oggi non ho tempo e lei ancora non
riesce a guidare senza riportarmi l'auto in condizioni disastrose”
Robin
ringhiò ancora, osservando suo padre.
“Posso
chiamare Arthur e...”
lo sguardo
di suo padre la raggelò sul posto
“Scusa, non
ho capito. Stai dicendo che vuoi discutere una mia decisione?”
Robin
sembrava terrorizzata e per un breve istante -molto breve- Belle provò pena per
lei.
“No, padre”
“E quindi?”
“Andrò a
scuola con Belle”
John sorrise
e uscì, prendendo una delle auto che si trovavano sul vialetto e lanciando a
Belle le chiavi di una delle altre.
C'erano
cinque macchine! Cinque! Ancora una volta Belle ebbe la certezza che sarebbe
stata dura vivere lì, a rallegrarla c'era solo il pensiero della cameriera.
I suoi occhi
vagarono sulla figura di Robin.
Ecco,
peccato solo che la graziosità della cameriera svanisse come un fiore appassito
di fronte alla perfezione di Robin. Possibile che un corpo tanto perfetto
dovesse contenere un'anima tanto odiosa?
Robin la
superò senza degnarla di uno sguardo, fermandosi vicino a una grande auto nera.
Belle abbassò lo sguardo fino a leggere il modello. Porche. Bè, non si aspettava
certo che una famiglia del genere avesse una Punto.
Rapidamente
aprì le portiere dell'auto ed entrò, seguita a ruota da Robin che si sistemò al
suo fianco. Mise in moto la macchina ed iniziò a fare manovra per uscire.
Rapidamente
iniziò a vagare sulla strada, diretta verso la città più vicina. Non sapeva dove
si trovasse la scuola di Robin, ma di certo non in quello sperduto paese.
“Come mai
vivete così lontani dalla città?”
chiese,
curiosa. Robin sbuffò appena, ma poi decise di degnarsi di rispondere.
“Per i
cavalli”
“Cavalli?”
Robin sbuffò
di nuovo
“Gli ettari
di terreno su cui si trova la villa appartengono a noi, ci teniamo i cavalli per
l'equitazione. La facciamo tutti fin da piccoli, è una tradizione di famiglia”
Bene, pure i
cavalli avevano!
Belle
continuò a guidare silenziosamente, mentre Robin guardava fuori dal finestrino
con aria assente.
Intanto
nella villa Stefany passeggiava nervosamente sotto il portico, aspettando
l'arrivo del suo storico fidanzato, Chuck, che doveva portarla a fare una
passeggiata. Vera le passò di fianco, tenendo per mano Icàr.
“Che ne
pensi della nuova arrivata?”
Stefany si
girò verso la sorella, alzando le spalle con noncuranza.
“Perchè?”
“Perchè
Constance sembrava interessata” ribattè Vera ridacchiando, mentre sistemava Icàr
sulla macchina per portarlo a fare un giretto in attesa dell'arrivo del
precettore. A differenza di Robin, il piccolo non andava a scuola, ma riceveva
lezioni direttamente a casa.
Stefany la
osservò, gettando via la sigaretta che prima pendeva nelle sue labbra e
spegnendola con il tacco.
“Però a me
Belle sembrava più interessata alle curve di Robin”
Vera si
sistemò nell'auto dalla parte del guidatore, abbassando il finestrino su cui la
sorella maggiore si appoggiò, per continuare la conversazione.
“Ma ora
Belle lavora per noi”
Stefany
inarcò un sopracciglio.
“E allora?”
“Bè, si sa
come funzionano queste cose...i padroni con i padroni, i servi con i servi”
Stefany si
allontanò di scatto dall'auto, come se si fosse scottata, osservando la sorella
con uno sguardo carico di disprezzo.
“Non
dovresti parlare così!”
Vera mise in
moto la macchina, strizzando l'occhio alla sorella.
“Non è colpa
mia se non tutti hanno la fortuna di essere ricchi come noi. Evidentemente non
meritano di esserlo”
La macchina
partì, lasciando Stefany in attesa, tremendamente adirata con la sorella, e un
po' con tutta la famiglia. Sapeva bene che se Vera e Robin la pensavano così non
era per colpa loro, ma per colpa dell'educazione che avevano ricevuto. Ma questo
non mitigava certo la sua rabbia.
Una macchina
si avvicinò a gran velocità, sterzando all'ultimo secondo ed evitando il
cancello della villa solo di pochi millimetri.
Chuck era
arrivato.
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Capitolo 3 *** Cenerentola moderna ***
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Il destino si è accanito contro di me...non c'è
altra motivazione. Non riesco a capire come sia possibile che io, Robin
Claverton, sia costretta a viaggiare in auto con una villica. Cosa diranno i
miei compagni di scuola vedendomi con una stracciona? E il mio fidanzato? Riderà
di me per secoli, ne sono sicura. Il mio sguardo saetta verso la giovane bionda,
impegnata alla guida e un lieve rossore si diffonde sulle mie guance mentre
torno ad ammirare il paesaggio. Sì, è una rozza selvaggia, però devo ammettere
che è affascinante, è proprio quell'aria selvatica che la rende irresistibile,
come una tigre in gabbia. Non posso fare a meno di chiedermi quanta passione
possa mettere in un rapporto, sono sicura che sarà una bestia, un animale
liberato, la tigre a cui viene mostrata una bistecca dopo giorni di
digiuno...
Il
rossore sulle mie guance aumenta e io cerco di concentrarmi sui profili degli
edifici, siamo arrivate in città.
“Dov'è la tua scuola?”
la
sua voce mi risveglia ed io mi volto verso di lei. E' strano, quando la guardo
provo questo mix di attrazione e repulsione. E' una poveraccia, non è al mio
livello, vorrei che se ne andasse per non tornare mai più, ma allo stesso tempo
vorrei che riversasse su di me tutta quella passione che sento palpitare dal suo
corpo. Ok, sto delirando.
“E'
quell'edificio in stile barocco”
Mi
guarda scettica ed io intuisco che una villica non deve intendersi molto di
architettura.
“Quello”
glielo indico e lei sorride soddisfatta, per poi accostare
la macchina e permettermi così di scendere. Mi guardo intorno, ma del mio
ragazzo neanche l'ombra. Belle sta per scendere, ma io rapidamente mi sporgo
dentro la macchina fino al suo sedile e la trattengo per un braccio. Non posso
farmi vedere in giro con una come lei!
Forse nel trattenerla uso un po' troppa forza, ed
evidentemente lei non doveva aspettarsi una reazione così brusca, perchè il suo
corpo si lascia cadere verso di me, mentre lei si volta, incuriosita dalla mia
azione.
E a
causa di questo nefasto agglomerato di azioni le nostre labbra si sfiorano
appena ed io subito arrossisco come un peperone. Farfuglio qualche parola dal
dubbio significato e, veloce come la folgore, mi precipito verso la scuola,
senza voltarmi indietro.
* * * * *
Belle rimase qualche secondo interdetta quando la vide
scomparire a tutta velocità, senza una sola parola si portò una mano sulle
labbra, quelle stesse labbra che per qualche secondo erano state a contatto con
le sue. Riusciva ancora a sentire il suo tenue odore di vaniglia che aleggiava
per l'abitacolo. Con un sorriso idiota stampato in faccia Belle mise in moto la
macchina, decisa a fare un giro della città in attesa dell'uscita di
Robin.
Intanto alla villa Icàr seguiva con attenzione il precettore
che lentamente gli dettava un testo per mettere alla prova la sua conoscenza
della grammatica. Vera era seduta in un angolo, assorta nei suoi pensieri,
mentre guardava fuori dalla finestra. Sentiva che a breve il mondo le sarebbe
caduto addosso, ne era sicura, se lo sentiva. Quella mattina, mentre portava
Icàr al parco giochi per qualche minuto, in attesa del precettore, aveva
telefonato al Dottor Gordon, pregandolo di fissarle una visita il prima
possibile. Domani. Il giorno dopo avrebbe scoperto se il suo istinto aveva
ragione.
Un
nuovo sospiro uscì dalle sue labbra, e se la sua peggiore paura si fosse
avverata? Come avrebbe potuto parlarne a suo padre? Non l'avrebbe mai perdonata.
Peggio, l'avrebbe ripudiata. Lei avrebbe perso tutto...il prestigio, la
ricchezza, il nome. Sarebbe diventata una stracciona, si sarebbe ritrovata a
fare da cameriera alle persone ricche, come Constance. Non poteva pensare a
questa eventualità. Doveva fare qualcosa, trovare una soluzione. Doveva parlare
con Chuck, decidere con lui un piano d'azione. Ma forse prima era meglio
aspettare i risultati.
Belle aveva appena finito il giro dell'isolato, quando si
accorse di un bagliore sotto il sedile del passeggero. Immediatamente accostò e
si chinò per scoprire la natura del misterioso oggetto luccicante. Un cellulare
argentato. Doveva essere di Robin. Belle restò pensierosa qualche secondo, in
preda ai dubbi...doveva portarglielo? Ma per farlo doveva entrare nella scuola
della snob e lei non gliel'avrebbe mai perdonato.
D'altronde non era colpa sua se la dea aveva deciso di fare
la parte della Cenerentola moderna che invece della scarpetta perde il
cellulare.
Con
decisione fece manovra per tornare a immettersi nella strada e subito si diresse
verso la scuola, accostando davanti all'ingresso. Osservò l'imponente edificio
per qualche secondo, sospirando appena, quindi, con il cellulare ben stretto tra
le grinfie, aprì il cancello e camminò lungo il vialetto. Si sentiva addosso gli
sguardi dei ricconi snob, tutti vestiti elegantemente come se dovessero
partecipare a un matrimonio. Lei indossava solo un paio di jeans strappati e una
maglietta bucata in più punti, oltre a delle scarpe al tennis ormai
lise.
Strinse i denti, ringhiando sommessamente degli spergiuri
contro quei ricconi figli di papà.
Varcò il portone, ritrovandosi così all'interno
dell'edificio, dove altri ricchi rampolli si girarono per guardarla come se si
trattasse di un alieno. Lei si avvicinò a uno dei ragazzi più vicini.
“Ciao”
lui
non si degnò di risponderle, osservandola alzando un sopracciglio in modo
scettico
“Sto cercando Robin Claverton, lei...”
non
riuscì a completare la frase, perchè l'erede subito iniziò ad ignorarla,
tornando a parlare con i suoi amici come se lei non gli avesse mai rivolto la
parola. La rabbia iniziò a scorrere nelle vene della ragazza bionda che stava
per lanciarsi nella sua famosa serie di insulti da camionista, ma venne
fortunatamente bloccata da una mano che si posò sulla sua spalla.
Lei
si voltò, speranzosa di trovare la sua dea snob, così da restituirle il
cellulare e sparire alla velocità della luce. No. Non era la sua dea.
Davanti a lei si trovava un ragazzo con corti capelli
castani. Era carino ma piuttosto basso considerando la media maschile...e
probabilmente anche quella femminile. Era alto esattamente come lei, e lei con
il suo metro e sessantacinque non si era mai sentita particolarmente vicina alla
media. L'unica consolazione era che Robin era ancora più bassa, un metro e
sessanta, ad occhio.
“Io
sono Arthur Gordon Junior”
Belle rimase qualche secondo ad osservarlo, fermandosi sui
suoi grandi occhi color nocciola. Ci stava provando con lei o la sua
presentazione aveva uno scopo? Dopo pochi secondi però il suo volto si illuminò,
ricordando un particolare. Il medico della famiglia Claverton si chiamava Arthur
Gordon, quindi lui doveva essere il figlio.
“Conosci Robin? Sai dov'è?”
chiese speranzosa e fu felice di vederlo annuire.
“Sì, la conosco. Sono il suo fidanzato!”
Il
sorriso che era apparso sulle labbra della giovane subito morì con altrettanta
rapidità. Sapeva che Robin aveva un fidanzato, ma sperava di non doverlo mai
incontrare.
“Dov'è?”
Il
suo tono era diventato immediatamente brusco, e il ragazzo dovette accorgersene,
perchè la luce che era nata nei suoi occhi subito sparì.
“Dovrebbe essere in palestra...vieni, ti
accompagno”
La
giovane non disse niente, limitandosi ad un grugnito nervoso, quindi iniziò a
seguire lo sbigottito giovane figlio del dottore, che si diresse verso l'esterno
e quindi verso una grande costruzione con due porte.
“Ecco, dovrebbe aver finito, quindi immagino sia nello
spogliatoio. Quello femminile è quello di sinistra...ovviamente io non posso
entrare”
ridacchiò a disagio e Belle lo osservò con uno sguardo di
sufficienza
“Sì, va bene”
Senza neanche salutarlo o ringraziarlo per l'aiuto spinse la
porta di sinistra, ritrovandosi nello spogliatoio. Grandi panche di legno erano
addossate alle pareti, su cui troneggiavano scaffali e ganci per i vestiti,
molti abiti erano sparsi anche sul pavimento. A quanto pareva essere snob non
significava necessariamente essere ordinati.
Però non sembrava esserci nessuno. All'improvviso le giunse
un suono di voci e risatine divertite e si incamminò speranzosa verso la fonte
di quel rumore, continuando a stringere il cellulare.
Delle ragazze si stavano rincorrendo brandendo asciugamani e
cercando di frustarsi sulle gambe, ma subito si fermarono quando la
videro.
“E
tu chi sei?”
chiese una ragazza, osservandola disgustata
“La
serva di qualcuno?”
si
guardò intorno, ignorando lo sguardo di puro odio di Belle
“Hey, qualcuna di voi è la sua padrona?”
L'aveva forse presa per un cane? La scrutò attentamente,
imprimendosi il suo volto nella memoria e sicura che presto una ricca ragazzetta
sarebbe finita sotto le ruote di una qualsiasi macchina. Tanto sapeva collegare
i fili e non le servivano le chiavi.
Robin fece la sua apparizione, vestita solo di un
asciugamano rosa che le copriva appena le forme.
“Belle! Che ci fai qui?!”
Si
avvicinò alla bionda, che per tutta risposta si limitò ad allungare la mano che
conteneva il cellulare, impossibilitata a formulare qualsiasi frase di senso
compiuto. Era totalmente ipnotizzata da quelle magnifiche forme che si
intravedevano sotto l'asciugamano.
La
ragazza snob antipatica di prima si accorse della sua espressione adorante e
ridacchio divertita.
“Hey, Robin, non è che la tua stracciona è lesbica? Mi
sembra ti stia guardando piuttosto...affamata”
Belle immediatamente divenne rossa come un peperone,
portando alternativamente lo sguardo dalla ragazza a Robin e viceversa. Poi il
suo sguardo si assottigliò come quello di un killer. Quella snob era solo gelosa
perchè nessuno avrebbe mai guardato in quel modo una come lei. Le sue forme
debordavano letteralmente dall'intimo che aveva addosso, dandole l'aria di una
balena spiaggiata. Il suo volto era completamente pieno di brufoli e sovrastato
da un naso gigante che le copriva metà faccia. Sembrava la strega di Hansel e
Gretel, altro che adorazione.
Robin si voltò verso la strega, lanciandole
un'occhiataccia.
“Ma
che dici, Laureen? Ha uno sguardo adorante solo perchè sono la sua padrona, in
quale altro modo dovrebbe guardarmi una serva?”
Ecco, Belle era grata a Robin per averla difesa, ma magari
avrebbe preferito l'avesse fatto con altre parole. Non ebbe il tempo, però, di
replicare nulla, perchè subito Robin la prese per un braccio e la portò in un
angolo dello spogliatoio, lontano dalle altre che ancora
ridacchiavano.
“Senti, grazie per avermi portato il cellulare, ma non farti
mai più vedere qui! Che razza di figura vuoi farmi fare?! Non posso farmi vedere
con una villica!”
Belle restò qualche secondo sbigottita, per poi abbassare il
capo come un cane bastonato.
“Va
bene, scusa”
Robin dovette accorgersi di avere esagerato.
“Senti, adesso torna in macchina e restaci, io finisco di
prepararmi e poi mi fingo malata e ti raggiungo, così andiamo a comprarti dei
vestiti decenti, ok?”
Belle annuì appena e si allontanò per tornare al suo posto
di autista, ma la voce di Robin la costrinse a fermarsi.
“Per curiosità...davvero sei lesbica?”
Belle arrossì come un semaforo.
“...sì...”
Il
volto di Robin venne reso ancora più bello da un tenue sorrisetto.
“Non devi vergognarti, io sono bisessuale” sussurrò piano
perchè le altre ragazze non la sentissero.
Subito dopo tornò verso le altre per prepararsi, mentre
Belle tornava verso la macchina, con un chiaro sorrisetto stampato sul volto.
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Capitolo 4 *** Le gioie dello shopping ***
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Robin uscì dall'ufficio del preside,
che le aveva appena concesso di andarsene a causa del suo -finto- mal di testa.
Attraversò quasi correndo l'ingresso, finchè andò a sbattere contro
Arthur.
Alzò il volto, fissando il ragazzo
negli occhi, mentre lui la osservava adorante.
“Scusa,
Arthur, adesso non ho tempo!”
Il volto del
ragazzo si oscurò brevemente e la sua espressione divenne simile a quella di un
cucciolo abbandonato.
“Va bene
tesoro, stasera sei sempre d'accordo per andare al cinema?”
Robin
spalancò i profondi occhi azzurri, annuendo con la testa con aria assente. Si
era completamente dimenticata del cinema.
“Sì, certo.
Ciao!”
Senza
voltarsi ad osservare il ragazzo si diresse di corsa verso il cancello,
varcandolo con il fiatone. Si guardò intorno, finchè non scorse Belle poco
distante.
La giovane
bionda era appoggiata distrattamente al cofano della macchina e sembrava
interessata ai sassolini che costellavano l'asfalto, Robin rimase qualche
secondo imbambolata a guardarla, per poi riprendersi brevemente, iniziando ad
avviarsi verso di lei con meno foga.
In verità
avrebbe tanto voluto correrle incontro e finire tra le sue forti braccia, ma non
poteva fare una cosa simile, doveva ricordarsi che quella ragazza era pur sempre
una selvaggia. Bellissima, ma selvaggia. Tremendamente eccitante, ma
selvaggia.
Belle alzò
lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento dell'arrivo di Robin.
“Salve,
padrona”
la salutò
con tono ironico, osservandola con un sorrisetto stampato in volto. Ora che
Robin si era avvicinata ed era giunta da lei, poteva sentire il suo profumo da
ricchi spandersi per l'aria e inebriarle i sensi, dovette fare ricorso a tutta
la sua forza di volontà per non baciarla.
Robin
ridacchiò a quelle parole.
“Dovevo
difenderti! Chiamami Robin”
“Va bene,
Robin”
Il tono con
cui pronunciò il suo nome fece rabbrividire la dea snob, che riuscì a salire in
macchina senza voltarsi a guardare Belle solo al prezzo di un'enorme
fatica.
La selvaggia
salì al posto di guida e mise in moto la macchina, dirigendosi verso una
boutique che aveva visto durante il suo giretto, non aveva mai fatto shopping in
vita sua, ma immaginava che si sarebbe divertita. Magari poteva convincere Robin
a provare qualche completo intimo e farle vedere come le stava.
La macchina
si fermò davanti al negozio e le due ragazze scesero, dirigendosi
all'entrata.
Una donna
sulla trentina con corti capelli castano chiaro le vide e subito corse incontro
a Robin.
“Signorina
Claverton! E' un piacere vederla!”
Robin
sorrise
“Salve
Miranda. Ho bisogno di qualcosa per la mia domestica”
Belle la
osservò sarcastica, adesso era diventata una domestica? Bè, se si pensa che fino
a qualche minuto prima era solo una serva bisogna ammettere che aveva fatto
passi da gigante nel suo status.
La commessa
la osservò per qualche secondo, con espressione disgustata, quindi indicò con un
vago cenno della mano -sì, doveva essere una cosa da ricchi- alcuni abiti ben
allineati sulla parte destra del negozio.
“Quelli sono
i nostri ultimi arrivi, signorina Claverton”
Senza
attendere oltre Robin afferrò un braccio di Belle e la trascinò davanti agli
abiti, mentre la giovane domestica si beava di quel micro-contatto.
Pile e pile
di abiti vennero allineati in un camerino, pronti per essere provati.
“No,
aspetta, non vorrai mica che io provi tutta quella roba?!”
Robin annuì
e la spinse nel camerino senza tanti preamboli, per poi passarle gli abiti.
Belle indossò per prima cosa una camicia bianca a righe azzurre con bottoni in
madreperla, le sembrava di indossare un grande pigiama da carcerato, soprattutto
abbinato a quei jeans a vita bassa che sembravano sempre sul punto di cadere a
terra e rivelare il colore delle sue mutande.
Una volta
vestita aprì la tenda, permettendo a Robin di dare il suo giudizio.
“Uhm...no!”
La scena
andò avanti così per un'altra ora. Belle continuava a provare vestiti su
vestiti, sempre più ridicoli, e Robin dava sempre la medesima risposta:
no.
Belle uscì
dal camerino sbuffando come una vecchia vaporiera, l'unica cosa che aveva
trovato in un'ora era una camicetta completamente rossa e un paio di jeans neri.
Un po' poco per un'ora di fatica.
“Prova
qualcosa tu, invece di torturare solo me!”
sbottò,
incrociando le braccia al petto come una bambina imbronciata. La dea snob alzò
le spalle in un gesto di noncuranza ed entrò nel camerino.
“Che cosa
devo provare?”
Un
sorrisetto apparve sulle labbra della bionda, sostituendo il broncio di
prima.
“Scelgo
io?”
“Sì”
Il
sorrisetto si allargò, mentre Belle si guardò intorno lentamente, per poi
puntare verso un capo d'abbigliamento che aveva già notato
precedentemente.
“Questo!”
Glielo porse
e Robin sgranò gli occhi. Era un completo intimo, leopardato, formato da un
reggiseno a balconcino e un perizoma. Robin rimase interdetta qualche secondo,
poi alzò gli occhi sulla bionda, cogliendo il suo sorrisetto di sfida. L'idea di
restare semi-nuda davanti a Belle in fondo non le dispiaceva, sarebbe stato
divertente osservare la sua reazione, avrebbe potuto controllare se si sbagliava
sulla passione che sentiva provenire dalla giovane.
“Bene!”
Velocemente
afferrò il completo e chiuse la tenda con l'altra mano. Non si sarebbe certo
tirata indietro di fronte a questa palese sfida!
Pochi
secondi furono sufficienti per indossare il completo, ma aprire la tenda poteva
essere problematico, non aveva la sicurezza che fuori non ci fosse nessuno,
oltre a Belle.
“Non posso
aprire, entra tu!”
disse con
tono imbarazzato, aveva considerato l'idea di trovarsi mezza-nuda davanti a
Belle, ma non aveva considerato l'idea di finire chiusa con lei in un cubicolo di due metri per due.
Belle non si
fece ripetere l'ordine due volte e subito entrò, guardandosi attorno per
accertarsi che nessuno vedesse. Appena si intromise nel camerino fu costretta a
sbarrare gli occhi di fronte alla perfezione che le si mostrava davanti in tutto
il suo splendore.
“Sei...favolosa”
disse
lentamente, senza staccare gli occhi dal suo corpo. Robin arrossì imbarazzata e
allungò una mano verso Belle per spingerla fuori e potersi così rivestire, ma la
bionda fu più rapida e, afferrandola per il braccio, la tirò verso di sé, per
poi cingerle la vita con le braccia. In un secondo le loro labbra si congiunsero
e il rossore si fece evidente sulle guance di entrambe.
Dopo un
attimo di iniziale sbigottimento, Robin ricambiò il bacio, portando le braccia
intorno al collo della giovane.
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