The Drummer.

di Muddafuggaz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Due bacchette. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Lei. ***
Capitolo 3: *** Primo passo verso Marte. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Shannon. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Il sogno di una Echelon. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. In defense of my dream. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Cos’è per te il ritmo? ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Di nuovo. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Due metà. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. Non è tempo per noi. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Mai iniziata. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. Istinto. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Lui è il paradiso. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. Again. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. A brand new name. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. Un pomeriggio d'estate. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. Ricordi. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. Piena di lui. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. Vetro. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Due bacchette. ***


Capitolo 1. 
“Due bacchette.”
Sveglia alle 7.30 del mattino. Spalanco gli occhi irritatissima. Solita fottuta routine, ancora e ancora. Altri pochi giorni di scuola e sarebbe finita. Mi strofino gli occhi. Mi volto verso il poster dei Mars per guardarli. Era il mio ‘Buongiorno’ quotidiano, un rituale direi. 
Mi alzo in fretta e furia, mi lavo e mi vesto mettendo su un jeans scuro, converse nere e la mia maglia dei Led Zeppelin preferita, quella bianca. Matita e mascara e di corsa in cucina a fare colazione. Saluto i miei, prendo lo zaino e con “Attack” nelle orecchie cammino verso scuola. L’i-pod è il mio vero e unico amico.
Cammino con passi veloci mentre canticchio quella canzone, importandomi poco delle auto che passano. Mi concentravo sulla batteria, dovevo imparare quelle battute. Ero certa che non sarei arrivata al livello di Shannon, ma volevo provarci. Suonare la batteria era l’unica cosa che mi rendeva felice e fiera di me. E poco m’importava che le mie compagne di classe mi dessero del maschiaccio  a causa dei calli sulle mani, dei graffi e del mio abbigliamento forse un po’ troppo  strano per delle tipe frivole e superficiali amanti del rosa… Quel che faceva di me diversa era proprio questo. Il fatto di non voler essere come loro, non m’importava della femminilità, al diavolo. Volevo vivere di musica, di ritmo e di batteria.
Proprio in quel momento mi accorgo di divagare e accelero il passo, sono in ritardo e la campanella è già suonata.
Entro in classe sotto lo sguardo divertito di Jessica, Ashley ed Helena, le tre oche troie della mia classe di biologia  che mi osservano da capo a piedi. Fingo un sorriso e mi siedo al mio posto quando sento Ashley avvicinarsi e dire:
“Hey Abby, come stai?” Ride sonoramente.
“Bene grazie, e tu?” Prendo i libri dallo zaino senza degnarla di uno sguardo.
“Ho saputo di te e Andrew e ops, mi hanno detto che ti ha lasciata per Jess, vero? Mi spiace, ma cosa pretendi da una che indossa maglie dark e che sembra un maschiaccio? Evidentemente voleva una vera donna al suo fianco” Mi schernisce.
Andrew era il mio ex. Siamo stati otto mesi assieme poi lui mi ha lasciato per Jessica…
Si era lamentato con me per il semplice fatto che fossi più legata alla mia batteria che a lui. Odiava gli Echelon, e mi odiava quando li definivo “Famiglia”. E gli avevo detto più volte che non avrei rinunciato alla mia passione per lui. Mi detestava, poi, quando lo lasciavo solo per andare a fare le prove, sì, con la mia band. Quel nostro piccolo sogno, una band… siamo gli ‘Shadows’, quel nome l’aveva scelto Joseph, il cantante e chitarrista.
Mi schiarisco la voce “Non sono una donna, sono una batterista.”
“Ecco, sei orrenda, guardati allo specchio, sei brutta Abby!”
Deglutisco e abbasso lo sguardo. Sto per scoppiare in lacrime.

“Basta Ashley! Va a importunare qualcun altro!” Sento la voce di Robert, il bassista nonché mio migliore amico.
Ashley va via e io cerco di trattenere le lacrime, Robert mi stringe.
Volevo che la Terra si aprisse per risucchiarmi dentro.
Dopo un po’ iniziano le lezioni. Volevo tornarmene a casa. Al suono dell’ultima campanella mi sento rinascere. Corro fuori dall’aula di inglese e mi sento crollare: Nel corridoio, di fronte a me, Andrew e Jessica si stanno baciando appassionatamente. Mi cadono i libri dalle mani e sento spaccarsi dentro di me l’ultima briciola del mio cuore di vetro già frantumato parecchie volte.
Jessica è bella. Bionda, alta, con gli occhi azzurri, slanciata, con tette e culo ovviamente. Chiunque la incontrasse voleva frequentarla. Chiunque. Ragazzi e ragazze. Era popolare e tremendamente attraente.
Io sono bisex. Forse sono la prima a non essere attratta da tanta cattiveria.
Le ragazze la invidiavano.
Io cercavo di ignorarla e ci riuscivo, ma lei riusciva a fracassare non solo la mia autostima, ma anche il mio cuore.
Raccolgo i libri, trattengo le lacrime e scappo a casa, corro, forse volo. E sento le lacrime sulle mie guance, tutto inutile. L’amore ti corrode l’anima e il cuore. Ti strappa in mille pezzi come un foglio di carta, ti brucia, fa male, cazzo, fa troppo male. Non posso sopportarlo.
Entro in casa, è ancora deserta. Salgo in soffitta, prendo le bacchette e inizio a suonare The Kill, da sola, così. Scollego il cervello dal corpo e lascio che il ritmo si impadronisca di me, esattamente come faceva Shannon, lasciavo che la musica mi guidasse e coinvolgesse. Non penso. Lascio alle bacchette che picchiano sui piatti le sorti di quella giornata. ‘Look in my eyes, you’re killing me, killing me, all I wanted was you!’ Cercavo di non sbagliare, ma nessuno avrebbe sentito quel rumore che non proveniva dalla batteria, ma dal profondo della mia anima oscura. Lasciavo che tutto quello schifo della mia vita andasse via da me, via, doveva scivolare via. La musica doveva attenuare i dolori, quella batteria ci riusciva, quel ritmo era ciò di cui necessitavo, come l’aria nei polmoni.
E’ come se le bacchette siano parte integrante di me, un prolungamento di quelle mani callose e piene di graffi. Un prolungamento di anima e cuore.
Finisco la canzone ansimando. Chi aveva bisogno di amore quando avevo tutto questo?
 
 
 
 
Io.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Lei. ***


Capitolo 2.
“Lei.”
Piove.
E’ il 28 di maggio e piove. Che schifo. Altri tre giorni e l’agonia della scuola sarebbe finita, io sarei stata a casa e non avrei visto più nessuno.  Dopo quel colpo di grazia ricevuto da Andrew credo che anche un lombrico sarebbe stato meglio di me.
Sono le otto di sera, e sto guardando fuori. In quegli istanti della tua vita capisci che tutto va a rotoli. Deglutisco, cerco di non pensare. Sto diventando un niente. Polvere. Forse anche la polvere era più felice di me.
 A un certo punto sento squillare il cellulare, era Joseph, che allarmato, mi chiede di precipitarmi a casa sua.
“Jos, ma sono le otto! E piove! Sei impazzito?” Gli urlo.
“Abby, è importante, cristo, muovi il sedere, prendi la bici o un cazzo del genere e fiondati qua!” Riattacca.
Perché era così preoccupato?
In silenzio esco di casa senza farmi vedere da mia madre che sonnecchia sul divano.  La pioggia è incessante, dimentico l’ombrello ed inizio a correre verso la casa di Joseph. In questo preciso istante mi sento bene, quasi come se la pioggia mi stesse lavando dalle mie paure. Sorrido. Non c’è un motivo preciso, ma continuo a correre e sorridere.  Non sento i miei piedi bagnati correre sull’asfalto, sto volando? Un’improvvisa scarica di adrenalina mi percorre l’intero corpo, accelero, ma cado in una fossa di fango. “DANNAZIONE” penso. La mia maglietta bianca era diventata zuppa di fango e i jeans ormai erano andati. Cerco di non bestemmiare, mi rialzo e inizio a correre di nuovo, incurante dei capelli spettinati, della maglietta sporca e dei jeans ridotti ad uno straccio. 
Dopo un po’ mi ritrovo a casa di Jos bagnata fradicia.
Entro sotto lo sguardo divertito dei miei amici che evitano, però di fare commenti.
Ci sono tutti i componenti degli Shadows, Jos, Robert, Derek (il tastierista) e io.
Il mio sguardo si sofferma, però, su una ragazza dall’altro lato della stanza. Non è altissima, forse più grande di me. Ha i capelli biondi e rossi, gli occhi verdi, ma di quel verde che ti rimane impresso, quel verde inimitabile che vedi una sola volta nella vita, le labbra carnose, sembrano quasi due petali, ma forse i petali al confronto sarebbero appassiti, un colorito non pallido come il mio, ma roseo che le colora soprattutto le guance. Credo che non esista essere più perfetto.  La guardo per qualche minuto, forse secoli, ma non riesco a staccare gli occhi da lei.  
Anche lei mi fissa, forse, è divertita dal mio fradiciume e dai capelli indomabili. E’ seria però, non ride come gli altri, quasi volesse scavare nei miei occhi per cercare qualcosa che magari non esisteva.
Ci stavamo quasi studiando, i miei occhi incollati ai suoi e i suoi incollati ai miei. Cosa stavamo cercando, l’una negli occhi dell’altra? Cosa avrebbe potuto trovare in una come me?
Mi sembra sia trascorso un secolo. Eppure il mio cuore, ferito, mi pulsa appena, lo sento.
Resto imbambolata e Jos, dopo un tempo indeterminato,  mi strattona.
“Ah, lei è mia cugina” Aggiunge Derek indicando quella ragazza. Lei mi sorride e diamine,  il mio cuore va definitivamente a puttane. Quel sorriso era quanto di più bello avessi visto in quindici anni. Sorrido anch’io facendole un cenno con la mano, imbarazzata. Le mie guance erano avvampate di rossore, ne ero sicura.
Lei si avvicina e mi porge la mano dicendo  “Mi chiamo Danielle.” La sua voce era simile ad una melodia mai suonata da nessun artista conosciuto o sconosciuto che fosse.
“Abby.” Le rispondo con un filo di voce mentre le prendo la mano.
Dopo il saluto Jos richiama la nostra attenzione.
“Vi ho chiamato qua perché… rullo di tamburi… partecipiamo ad un Talent Show.” Annuncia fiero.
“EEEEEH?” Urlo.
“Un Talent! E sai cosa si vince? Poter incidere un disco con la stessa casa discografica dei Thirty Seconds To Mars.” Replica lui.
Robert e Derek sorridono e corrono ad abbracciare Jos, mentre io resto impietrita e a bocca aperta.
“Cosa vuoi che sia, diavolo. Proviamoci!” Mi incita Robert.
“Non vinceremo mai.” Annuisco.
“Cosa ci costa provarci?” Dicono quasi all’unisono.
Sospiro e mi unisco all’abbraccio.
L’unione fa la forza, no?
Decidiamo quindi che per il Talent show che si sarebbe tenuto il 2 di Giugno avremmo suonato Attack poiché, secondo loro, era una delle canzoni più belle e difficili.
Non appena finita la nostra riunione torniamo a casa.
L’unica cosa che ricordavo di quella sera era il sorriso di quella ragazza. Chi era?
Rincasata,  salgo piano le scale infilandomi sotto la doccia. Chiudo gli occhi e inizio a pensare.
E se avessimo vinto? E se li avessi incontrati?
Il mio cuore iniziò a sussultare.
E se riuscissi davvero a coronare il mio sogno di fare musica? Sorrido.
L’unica cosa che volevo davvero era proprio arrivare ad avere un ruolo nella musica. Potevo riuscirci, dovevo credere in me, cazzo. Ce la potevo fare. Sono brava con la batteria. E’ l’unica cosa che studio, è l’unica cosa che amo, posso provarci.
 
Quella notte non sogno.  Non riesco a sognare.
 
Il sogno è appena iniziato. 

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Capitolo 3
*** Primo passo verso Marte. ***


Capitolo 3.
“Primo passo verso Marte.”
La nostra esibizione è una delle ultime, tutti e quattro siamo impazienti e ansiosi. Continuo a picchiettare con le bacchette sulla mia gamba e mi mordo le labbra. Jos accorda la chitarra, Robert sembra tremare e Derek strimpella con il suo basso.
Quei pochi giorni dall’annuncio di Jos erano passati troppo in fretta, avevamo imparato per bene Attack di volata ed eravamo pronti a quel grande evento che avrebbe cambiato le nostre sorti.
La scuola era finita, e con essa anche le mie sofferenze.
Prima di noi si erano esibiti talenti degni del nome, ragazze minute dalla voce tremendamente incredibile, alcune avevano cantato opere liriche, ed io, a differenza di tutte le ragazze presenti allo Show ero completamente diversa. Avevano tutte dei bei vestiti da sera, capelli raccolti, collane preziose. Io invece avevo deciso di indossare le converse nere, degli shorts del medesimo colore, una maglia rossa che richiamava le ciocche rosse che avevo fatto qualche mese fa nei miei capelli scuri. La triad la portavo sempre al collo, quella non l’avrei tolta, mai. Era una sorta di portafortuna.
“Ed ora signore e signori una band, gli Shadows!” Ci annunciano.
Un brivido percorre la mia schiena,  resto impalata al muro con il sangue nelle vene a dir poco congelato.
“Muoviti!” Robert mi trascina con lui.
Passo dopo passo mi avvicino al palco, metto i piedi incerti l’uno dietro l’altro. Sento di poter svenire da un momento all’altro.
“Buonasera ragazzi!” Ci saluta il presentatore e Jos, il ‘frontman’ si avvicina al microfono per ricambiare il saluto.
Mi sento sudare.
“Allora ci suonerete Attack! Chi canta? La ragazza?” Domanda sorridente il conduttore.
“No, lei è la batterista, è forte, suona la batteria come nessun altro!” Dichiara Jos.
“Una ragazza alla batteria non è una cosa di tutti i giorni!”
“Siamo un’eccezione.” Ammette il mio amico del tutto tranquillo.
Io avvampo di rossore.
Ci avviamo ognuno alle nostre posizioni, io mi siedo sullo sgabello e impugno le bacchette. –Okay- penso –Io ce la devo fare, ce la posso fare.- Respiro a fondo.
Inizia a suonare le prime note Jos con la chitarra elettrica, poi attacco io, chiudo gli occhi.
 Mi tremano le mani, ma non sbaglio, mi lascio guidare dal ritmo, esattamente come facevo a casa da sola o nel garage di Robert quando provavamo tutti assieme, mi lasciavo trasportare da quel che era la mia vita, era facile, ci sto riuscendo. Rispetto le pause cantando fra me e me e facendo girare le bacchette tra le mani. Mi sento bene, la paura stava svanendo nota dopo nota, si stava affievolendo anche la consapevolezza che ci fossero migliaia di perone. Solo io e la batteria. Tutto il resto era niente. Le bacchette e i pedali erano parte di me, un nuovo prolungamento del mio corpo, lasciavo che la rabbia picchiasse forte sui piatti, che tutto il rancore si sfogasse in quella canzone, in quel momento, che la mia anima venisse fuori in un urlo, adesso. Sto dando il meglio di me, questa notte deve cambiarmi la vita. Le mie mani continuavano a tenere il ritmo non sbagliando neppure una mossa.
Arriviamo all’ultima battuta che eseguiamo con assoluta maestria, quasi fossimo musicisti di successo e quando riapro gli occhi e la canzone era ormai finita la giuria sembra alquanto esterrefatta. Io sorrido e corro verso gli altri componenti. Ci prendiamo per mano e ci inchiniamo.
“Sono colpita, ragazzi, questa canzone è di una difficoltà estrema e voi l’avete resa in modo eccellente, una delle esibizioni migliori, complimenti”  Ci stava lodando una critica della giuria, al che mi lascio sfuggire una risata. Ero soddisfatta, tanto, troppo.
Torniamo nel backstage, doveva esibirsi solo un’altra ragazza poi avremmo saputo il verdetto.
“Qualsiasi cosa accada ragazzi, siamo stati grandi.” Dissi prendendo Derek e Robert per mano.
“Siamo stati forti!” Sorride Jos.
Annuisco con fervore.
 
L’ultima ragazza aveva finito. Mi sale il cuore in gola, tossisco. Avevo paura. Tutti i partecipanti, noi compresi, ci riuniamo sul palco. Tengo stretta la mano di Robert il quale mi sorride, anche se quel sorriso lasciava trapelare insicurezza, troppa insicurezza.
“In premio ci sarà un contratto discografico con la Virgin, una delle case discografiche più prestigiose, lo sapete no, ragazzi?” Annuncia il conduttore.
Tutti i partecipanti emettono un “Sì!” tranne io.
Sospiro e guardo in basso incrociando le dita.
-Ti prego- penso –per favore-
“Il vincitore del Talent Show di stasera è una band, signori.” Dichiara.
Mi si ferma il cuore che poi, dopo un intervallo che a me sembra infinito, inizia di nuovo a pulsare velocemente.
“Gli Shadows vincono il Talent di stasera!” Urla.
“OH CAZZO SIAMO NOI!” Salto in braccio a Robert mentre i coriandoli piovono dall’alto.
Io e i miei amici ci abbracciamo forte, addirittura sento le lacrime sul mio viso, avevamo vinto, NOI, finalmente. Mi scoppiava il cuore, lancio un urlo di gioia. E’ fatta, è fatta. Il nostro sogno è qua, finalmente.  Continuo a piangere ma sorrido stritolando tutti coloro che vengono a congratularsi.
E’ tutto così surreale. Mi do un pizzico.
E’ tutto vero.
Abbraccio di nuovo Der, Jos e Ru, come li chiamavo io.
E da oggi in poi nulla ci avrebbe fermato. Quello era il nostro sogno.
Ce l’avevamo fatta.
E’ il primo passo verso Marte.  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Shannon. ***


Capitolo 4.
“Shannon.”
Siamo in macchina, Rub sta guidando verso la sede della Virgin. Direi che  tra i quattro sarebbe impossibile capire chi fosse il più eccitato.
Jos sta strimpellando con la sua chitarra, Der, invece tiene stretta la sua tastiera ed io giocherello con le bacchette.
Sorrido, stavolta.
Erano già passate un paio d’ore da quando eravamo partiti, dato che, abitavamo nell’area più sperduta di Los Angeles, ma a minuti saremmo arrivati.
L’eccitazione era palpabile.
Giro e rigiro le bacchette tra le dita, così, per passare il tempo. Sono felice, fin troppo forse.
Quegli ultimi mesi erano stati una catastrofe. Uno spiraglio di felicità era giusto di tanto in tanto?
Guardo fuori dal finestrino, impaziente. Siamo arrivati. Jos parcheggia e mi fiondo fuori dalla macchina correndo nel maestoso edificio bianco ed enorme circondato da vetrate.
L’interno era arredato con poltroncine in pelle rossa e i muri erano neri, e ciò conferiva all’ingresso una maestosità e un lusso a dir poco sfarzoso. Erano appesi due quadri di arte contemporanea e di fronte vi erano alcuni CD d’oro e di platino dei più grandi artisti. Noto subito quello dei Mars e mi scappa un sorriso.
“Voi dovreste essere gli Shadows se non erro.”  Ci giriamo verso un tizio che porta in mano una cartella con fogli strani e ha un microfono archetto in testa.
“Sì siamo noi!” Gli sorride Jos.
“Bene, seguitemi, il produttore vuole vedervi e c’è una sorpresa per voi” Ci fa l’occhiolino.
Mi sento il cuore battere a mille. Cosa si cela dietro la sorpresa? E cosa intende dire?
Saliamo una rampa di dieci gradini e prendiamo l’ascensore che puntava all’ultimo piano, il decimo, e non appena si apre un uomo sui quarant’anni, in giacca e cravatta, con un sorrisone sulle labbra, ci accoglie.
“Salve ragazzi! Credo che voi sappiate già chi sono” Ride. Era il produttore.
“Certo, signore.” Risponde Rub.
“Bene, ho sentito la registrazione di ieri, siete forti, e anche secondo altre persone lo siete.” Dice entusiasta.
“Altre persone?” Mormoro sbiancando.
Ad un certo punto le mie gambe iniziano a tremare. Dietro il produttore si intravede il chitarrista che più stimavo e veneravo al mondo. Sento i miei occhi gonfiarsi di lacrime. Aveva gli occhiali da sole, come sempre, e vestito in total black. Tomo Milicevic.  Di impulso spalanco la bocca e sgrano gli occhi.
“Tomo…T…omo…M-Milic…evic.” Balbetto.
“Ciao, Abby!” Tomo mi sorride.
Sapeva il mio nome. MERDA, CAZZO.
“Oh, santo Dio!” Mi precipito verso Tomo e lo abbraccio con tutta la forza che mi rimaneva mentre lascio le bacchette cadermi dalle mani.
Sento il Produttore e i miei amici ridere e Tomo, sorridente, mi stringe a sé come se fossimo due amici che non si vedevano da tempo.
“Sarò anche definita la DivaH, ma non è giusto che mi lasciate sempre solo!” Quella voce. L’avrei riconosciuta tra mille. Era quella voce che mi aveva stregata da piccola, quella voce simile ad una sinfonia, quella voce. Era la voce di Jared che proveniva dal corridoio e ci stava raggiungendo con gli occhi lucidi.
Lancio un urlo.
“J-JARED L-LETO!” Ero crollata in lacrime, Jared mi si avvicina e, come Tomo mi stringe forte. Sento il suo profumo, quello di Hugo Boss che avevo anch’io a casa.
“Benvenuta su Marte” Mi sussurra mentre mi stringe.
Una volta sciolto l’abbraccio mi viene spontanea una domanda.
“E Shannon?” Chiedo guardando la stanza in fondo al corridoio.
 
E in quel momento la mia vita acquisisce un senso.
Shannon aveva guardato la scena senza interromperci restando vicino alla porta. Aveva i suoi soliti occhiali da sole, una giacca di pelle nera, dei Jeans e quelle famose scarpe multicolor.
Le mani in tasca, lo sguardo puntato verso di noi, le labbra leggermente schiuse e un atteggiamento quasi da snobbarci perché troppo giovani, forse, per fare rock.
Ma io smetto di respirare. Le gambe non mi sorreggono e cado in ginocchio con lo sguardo puntato verso di lui.
Quanto è bello.
Impallidisco mentre sento il mio cuore pulsare troppo velocemente. Inizio a respirare affannosamente mentre il mio stomaco era pieno di farfalle, o pterodattili.
Shannon si precipita verso di me preoccupato, si toglie gli occhiali lasciando scoperti quegli occhi tra il verde e il nocciola che mi ipnotizzano. Resto imbambolata.
“Stai bene?” Mi chiede preoccupato abbassandosi. La sua voce. Stava parlando a me. Era così profonda, così perfetta, come lui del resto. Calda e avvolgente. Sento i brividi sulla mia schiena.
Annuisco lentamente e il mio sguardo si concentra sulle sue labbra. Il labbro inferiore più pieno rispetto a quello superiore, sembrano essere state scolpite da chissà quale scultore di opere greche.
Deglutisco.
Erano sempre state la parte che più mi piaceva di lui.
Sento il mio cuoricino malato sussultare quando mi stringe tra le braccia muscolose.  La mia testa è sul suo petto, respiro il suo profumo. E’ dolce, ma aveva un che di pungente, forse era birra o qualcosa di simile. Il cuore mi stava uscendo dal petto e forse premeva contro il suo. Lo sento ridere piano. E quella risata, quasi indimenticabile, di un idolo che adesso era di fronte a me e mi stringeva,  era la più bella che avessi mai ascoltato.
Sospiro. Sono in iperventilazione.
Shannon mi lascia e mi sorride aiutandomi a rimettermi in piedi, eppure le mie gambe continuavano a tremare e non mi ero accorta di essere scoppiata in lacrime, di nuovo. Le asciugo.
“Non è possibile.” Mormoro.
“Sì che lo è.” Mi sussurra Shannon all’orecchio.
Mi sento di nuovo morire.
“Fratello, lasciala, guarda come l’hai ridotta!” Ride Jared.
“E’ sbiancata!” Tomo si unisce alla risata di Jared.
Io arrossisco e mi chino per prendere le bacchette, mi volto verso Shannon cercando di essere seria e professionale, per una volta.
“Abby Smith, batterista degli Shadows.” Gli porgo la mano.
“Shannon Leto, batterista dei Thirty Seconds To Mars.” Mi prende la manina, che nella sua sembrava essere scomparsa e lo guardo sorridendo.
Quando noto che anche lui mi sorride capisco che il centro della mia vita non era più la batteria, ma lui.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Il sogno di una Echelon. ***


Capitolo 5.
“Il sogno di una Echelon.”
Entriamo in una stanza lussuosa, anch’essa tappezzata di nero e rosso. Sembra tutto molto moderno e nuovo, tranne la scrivania del Produttore che è antica. Tuttavia l’ambiente è caldo e accogliente. Al muro, come nell’ingresso, sono appesi quadri di arte moderna, e forse, per chi non lo sapesse, sembrava più una mostra che una sede discografica. Tuttavia dietro la scrivania vi sono importanti dischi d’oro di qualsiasi artista.
“Allora, vi proporrei un album con la Virgin entro settembre, cosa ve ne pare?” Propone.
“Settembre sarebbe perfetto, avremmo tutto il tempo di scrivere, provare e incidere!” Dice Der.
Io fisso ancora Shannon che nel frattempo si era seduto su un divano di pelle rossa.
Chissà cosa avesse pensato di me.
“E in quest’arco di tempo io e il Produttore abbiamo pensato di…” Accenna Jared rivolgendosi con uno sguardo complice al produttore.
La mia attenzione si sposta entusiasta su Jared.
“…farvi venire in tour con noi!” Annuncia.
Lancio un gemito e sento lo sguardo di Shannon sfiorarmi lentamente.
“Cosa?!” Sorride Jos.
“Esatto! Potreste fare un po’ di pratica, raccogliere qualche sound e imparare. Potreste essere degli apprendisti e suonare con noi, siete forti! Che ve ne pare?” Ci chiede Jared.
“Sì!” Urlano Der, Rub e Jos.
Io resto impietrita, di nuovo. Mi sarebbe piaciuto esultare, ma non è possibile che tutto questo stia capitando a me, è un sogno. Sarà che sono troppo sentimentale, ma mi sento mancare di nuovo, stringo i pugni. Non ero mai stata così fortunata, possibile che tutto questo stava capitando a me, proprio a ME, di tutte le ragazze presenti a questo mondo? Io ero meno delle altre. Ma… per qualcuno avevo talento?
Scuoto la testa ed esco fuori dalla stanza, irritata e tremante.
Respiro.
Non era un sogno. Chiudo gli occhi. Stava capitando. Devo essere felice, cazzo. Era arrivato il momento di esserlo. Rabbrividisco. In quei nove mesi di scuola mi era andato sempre tutto male, per una volta, cristo, stavo realizzando un sogno. E io, dovevo essere capace di prendere in mano la mia vita e combattere per uno scopo, uno scopo che amavo più di me stessa, per quanto poco mi amassi.  
“Se non vuoi possiamo evitare.” Sento la voce di Robert che interrompe i miei pensieri.
“Io voglio! Ho solo paura che sia un sogno e che mi possa svegliare troppo in fretta Rub. Ho paura che tutto questo possa sgretolarsi. Ho paura che la mia vita sia un oblio di sofferenze, ho paura di svegliarmi e ricominciare, ho paura.” Ammetto con voce smorzata.
“Non avere paura. Ci siamo noi.” Mi sorride lui prendendomi per mano e torniamo dentro.
Tomo e Jared ci guardano.
“Siete dei nostri?” Tomo si rivolge a me, soprattutto.
“Sì.” Dico con finta fermezza.
 
Firmiamo un contratto con il Produttore della Virgin in cui affermavamo che il CD sarebbe uscito a settembre con quell’etichetta discografica anche se, prima, avremmo dovuto incidere un singolo con un video. Il tour con i Mars sarebbe iniziato il giorno successivo.
“E’ stato un piacere conoscervi!” Ci saluta il produttore e Jos, in qualità di Frontman, fa lo stesso.
Poi saluta i Mars, i quali, devono ancora finire gli ultimi preparativi per il tour.
Usciamo tutti e sette fuori dall’edificio, come degli amici che si conoscono da tempo. Jared e Tomo parlano allegramente con i miei tre amici ed io e Shannon ci teniamo distanti dagli altri, più dietro.
Camminavo affianco a lui, mi sentivo morire. Il cuore mi rimbombava veloce nel petto. Avrei voluto dire qualcosa ma il mio stomaco era pieno di far….pterodattili.Eppure volevo chiedergli di tutto, dal tipo di batteria che aveva, fino alla vita sentimentale, anche se sapevo che non me ne avrebbe mai parlato. Volevo dimostrargli tutta la mia ammirazione, dirgli che per me era sempre stato un idolo e una meta, che lo amavo come batterista e che avrei voluto imparare da lui. Eppure il mio cuore non faceva altro che sussultare trepidamente nel mio petto, rendendomi silenziosa. Forse riusciva a sentire i miei battiti violenti. E forse, ne stava ridendo mentalmente, o semplicemente trovava assurdo tutto questo.
Mi lascio scappare un sospiro. “Cazzo.” Mormoro.
“Cosa?” Domanda Shannon voltandosi verso di me.
“Nulla, borbottavo.”  Mi giustifico. Mi aveva rivolto la parola, lui.  Le parole mi si proferiscono forzatamente.
Inizio a torturarmi le labbra mordendole.
“Sei strana.” Ride appena.
“Non ho mai detto di essere normale.” Sospiro guardando in basso.
“Non ho mai detto che non mi piaccia.”
Lo guardo sbigottita ma lui aveva già raggiunto Tomo e Jared.
“Hai la triad!” Nota Tomo indicando il ciondolo al mio collo.
“Santo Tomislav, sono una Echelon.” Sorrido.
“E’ una sorella!” Jared mi abbraccia a tal punto da non riuscire a respirare.
“Già!” Rido cercando di fargli allentare la presa.
“Gli Echelon sono ovunque.”  Precisa Shannon quasi acido.
E io torno seria. Perché era così scorbutico?
“Si dia il caso che sarò anche un’Echelon come tante, ma a differenza di molte, io sono fiera di esserlo e di portare avanti il nome dei Mars, e se a uno dei tre non sta bene, be’ che se ne facesse una ragione.” La risposta mi venne insolita. Avevo appena sfidato Shannon Leto. Il mio idolo.
Shannon abbozza un sorriso e va via. Tomo e Jared ci danno prima informazioni per quanto riguarda la partenza poi si dileguando anche loro, dopo tanti abbracci.
Era stato strano quell’incontro. Era stato strano trovare uno Shannon così diverso e chiuso rispetto a come mi aspettavo. Non ne ero rimasta delusa, ma… colpita.
E se sotto quella maschera celasse qualcosa? Qualcosa che magari mai nessuno aveva colto? E se io, con quella partenza, l’avessi scoperto? Volevo, infatti, scoprire chi fosse davvero Shannon Cristopher Leto.
Torniamo in macchina esausti. Mi accorgo che le lacrime avevano fatto sciogliere la matita e il mascara riducendomi a sembrare un panda. Rido del mio aspetto.
“Perché mi odia?” Dico dopo un po’, tornando seria.
“Chi?” Domanda Der.
“…Shannon.” Mormoro.
“Non ti odia. Affatto. E’ psicologia inversa. A me sembra che gli interessi parecchio.” Risponde Jos.
Lo guardo di sottecchi.
“Noi ragazzi siamo più complicati di voi ragazze. Non lasciamo mai trapelare chi ci interessa davvero e sembriamo freddi proprio con quella ragazza che ha attirato la nostra attenzione.” Ammette Rub.
Scuoto la testa. “Non sono quel tipo di ragazza. Non potrò mai piacere a qualcuno, specie a Shannon Leto che cambia una modella, attrice o puttana a notte.”
“Magari sta volta non ne cambia più.”
E non ho capito chi avesse citato quella frase. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. In defense of my dream. ***


Capitolo 6.
“In defense of my dream.”
Valigie pronte, parenti salutati, ci stiamo recando verso la periferia di Los Angeles dove avremmo incontrato i Mars con il loro bus.  Avevano deciso la periferia perché sembrava loro più tranquillo per organizzarci e iniziare a capirne qualcosa. La prima tappa sarebbe stata a San Francisco, era l’unica cosa che sapevo.
“Finalmente!” Ride Jared vedendoci scendere dall’auto enorme della sorella di Ru.
Io saluto con la mano trainando due valige, una dove tenevo la mia roba, e l’altra dove avevo messo la batteria smontata. Pesano entrambe poiché sono entrambi grandi.
Shannon prende quella della batteria caricandola sul bus.
“Appena arriviamo la faccio montare.” Mi dice abbozzando un sorriso ma senza far trapelare emozione.
Annuisco. Aveva  capito che si trattava della batteria.
Ru, Jos e Der seguono Jared nel bus, Tomo era già dentro, mentre Shannon sta riguardando le ultime cose.
Mi volto indietro verso l’autostrada che conduceva in città e sospiro. Per tre mesi non avrei più visto nessuno. Avrei lasciato ricordi, le paure, le sofferenze, le assurdità, i pianti. Tutto qui, a Los Angeles. Rabbrividisco.
Niente più Andrew. Niente più amore, sebbene mi mancasse. Aveva estirpato il cuore dal mio sterno lasciandovi un fosso vuoto, solo, buio. Mi tocco il petto.
“Stai bene?” La voce meravigliosa di Shannon interrompe i miei pensieri nostalgici.
“Sì, tutto okay.” Mento.
“Non sembra.” Mi si avvicina.
E’ una mattina luminosa e i raggi del sole gli schiarivano gli occhi rendendoli gialli, con qualche sfaccettatura di verde. Indossa la solita maglietta, quella tagliata ai lati, un po’ larga, che gli lasciava scoperto parte del petto e della schiena. I capelli erano bagnati di sudore, come il viso, del resto. E le goccioline producevano su di lui un gioco di luce facendolo sembrare un dio di chissà quale mondo. E’ così tremendamente stupendo, lui.
“Sul serio, sto bene.” Lo guardo, poi, dopo averlo ammirato per poco, punto il mio sguardo in basso, verso le converse.  Poco mi importava che il tono con cui gli avevo risposto fosse poco convincente.
Accende una sigaretta, torno a guardarlo. La appoggia tra il labbro inferiore, carnoso e delicato, e quello superiore, più sottile. Lascia le labbra socchiuse ispirandone il fumo, prende poi la sigaretta tra l’indice e il medio e sospira emettendo nell’aria una nuvoletta grigiastra che si dissolve rapidamente.
E’ ancor più spettacolare quando fuma. Guardo il più bel film davanti ai miei occhi, in questo momento. Le mie mani volevano scivolargli sul viso per scorgerne i particolari invisibili alla vista, le mie labbra, tutt’a un tratto hanno un fremito che mi costringe a morderle. Volevo conoscerlo a fondo, scoprire ciò che non aveva mai detto a nessuno. Non volevo essere come tutte, non io.
Quando nota che lo osservo, quasi imbambolata mi porge una sigaretta e il mio sguardo si sposta dal suo viso assolutamente perfetto al braccio teso verso di me. La prendo senza fare complimenti poiché non fumavo da giorni ormai e ne avevo bisogno.
E inizio a fumare senza la grazia che aveva avuto lui poco prima.
“Quanti anni hai?” Chiede dopo un po’.
Mi arresto. Non volevo sapesse che avessi quindici, quasi sedici anni.
“Diciassette.” Mento.
“Sei bassina per essere una diciassettenne.” Ride.
“E tu bassino per essere un quarantunenne.” Gli rispondo quasi con antipatia.
Smette di ridere e mi si avvicina ancor di più. Lo guardo di sottecchi.
“Perché pensi che sia antipatico?”
“No, tu mi odi e non so perché.” Abbasso lo sguardo.
Shannon spegne il mozzicone di sigaretta calpestandolo.
“Non ti odio. E’ il mio carattere.” Sorride.
“No… con quelle belle intervistatrici sei sempre solare, con Tomo e Jared, e con le tue fans. Con me ieri non lo sei stato e neppure stamattina. Tu sei il mio idolo, non voglio che tu ed io… insomma…”
“Non sono quello cattivo.” Mi interrompe.
“Lo so, so che non lo sei.” Sospiro. “Non ci riusciresti.”
“Sei sicura di avere 17 anni?” Domanda dopo un po’, alzandomi il viso e costringendomi a guardarlo. Il mio volto non era mai stato così vicino a tanta perfezione. Le sue labbra erano poco distanti dalle mie. Stringo i pugni per non lasciarmi andare, non volevo pensasse che ero come tutte. Il suo tocco è gentile sulla mia guancia, sento che la sfiora piano, così dolcemente che era quasi impercettibile.  I suoi occhi giallo-verdi ipnotizzano i miei. E il mio cuore scoppia, volevo assaggiare le sue labbra per assaporarne la loro essenza, le mie bramavano le sue.
Cerco di guardare in basso.
“S-sì.” Annuisco.
“Mi sarebbe piaciuto ne avessi avuti trenta, mi sarebbe piaciuto tanto, forse troppo.”  Sussurra lasciandomi andare.
Si volta indietro di scatto e sale anche lui sul bus. Il cuore continuava a battere forte nel petto. Che intendeva dire? Perché mi salutava sempre con frasi che suscitavano in me trecento domande? Sono scossa, scossa dalla sua vicinanza, scossa da quella piccola carezza, scossa dai suoi occhi. Tremo.
Butto via la sigaretta finita e salgo sul bus. I Mars stavano parlando tra loro mentre gli Shadows erano riuniti su un divanetto nero.  Il bus all’interno era enorme. In fondo a destra c’era un bagno, varie micro-camere da letto e un cucinino così piccolo da sembrare inesistente. Tuttavia appare quasi una casa portatile.
Mi accomodo vicino a Ru, il quale mi bacia sulla guancia e mi stringe forte ed io ricambio l’abbraccio. Shannon, incuriosito, forse, da me ed il mio migliore amico ci guarda e io lascio subito la presa allontanandomi.
“Si va!” Dice Tomo sorridente.
“Siamo pronti, cazzo!” Aggiunge Jared guardando fuori dal finestrino. (O direi, finestrone.)
Non avevo notato che nel bus c’era un’altra miriade di persone e che dietro di noi vi erano alte roulotte con membri dello staff e cose varie. Saremmo stati un esercito!
 
Il bus parte.
E il mio sogno inizia. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. Cos’è per te il ritmo? ***


Capitolo 7.
“Cos’è per te il ritmo?”
E’ sera, ci stiamo già preparando per il primo spettacolo a San Francisco. Sono nel mio camerino, nel backstage, sento l’adrenalina percorrere ogni millimetro del mio corpo. Eppure non faccio altro che pensare a quel fottuto pomeriggio. Mi siedo e lego i lacci delle converse.
Quel pomeriggio era stato il più bello e incredibile di tutta la mia vita.
 
Dopo un viaggio abbastanza lungo eravamo arrivati a San Francisco e lo staff si era subito messo all’opera nel sistemare il palco, che poi, alla fine, dopo due ore avevano già ultimato completamente tutto.
Però avevano dimenticato di montare la mia batteria, così decido di essere fai-da-te. La scarico dal bus e la trascino sul palco, era pesante, fin troppo. Tuttavia riesco a montarla affianco a quella di Shannon, molto più grande e imponente.
Io e quelle due batterie eravamo sole. Tutto lo staff si era ritirato nei propri bus per riposarsi dopo tanto lavoro. Il palco, io, e le batterie, soli.
Spinta dalla voglia di provare quella batteria del mio idolo, così grande, così forte, afferrai le mie bacchette e dopo aver sfiorato ogni parte metallica, decisi di sedermi sullo sgabello dove, di solito, sedeva Lui. Non era possibile che fossi là, seduta lì. Da sola. Immaginavo Shannon suonare, con potenza, sferrando bacchettate forti su quella batteria indistruttibile. Mi morsi un labbro. Volevo mi stringesse a sé con quelle braccia forti, necessitavo di sentirlo vicino. Più stretto a me. Mi accorsi di divagare, così afferrai l’i-pod, auricolari alle orecchie e selezionai “A Beautiful Lie.” premendo il tasto play.
Iniziai a suonare, per la prima volta, quella batteria, la batteria di Shannon Leto. Chiusi gli occhi, mi immaginai che ci fosse il pubblico ai piedi del palco che mi acclamava mentre picchiavo con rabbia le bacchette sui piatti, seguendo il ritmo che mi pulsava nelle orecchie, continuando a suonare, forse, senza la stessa potenza di Shannon, ma era un buon modo per incominciare e scandire un ritmo che potevo portare solo con la batteria.
Ero presa, concentrata, ma a un certo punto sentii una mano sulla mia spalla. Sobbalzai e mi caddero le bacchette.  Restai in silenzio, con il cuore a mille, sia per lo spavento, sia per la rabbia con la quale suonavo.
“Scusa, ti ho spaventato?” Sussurra una voce al mio orecchio, la sua voce.
“N-no.” Mentii. “Scusa, mi sono lasciata prendere la mano, non volevo.” Mi alzai dallo sgabello e lui fece scivolare via la mano dalla mia spalla.
“Ma, non preoccuparti. Sei brava, non credevo così tanto.” Mi sorride.
E quando Shannon Leto sorride, tutto intorno a me diventa completamente insignificante.
Sentivo il cuore pulsare troppo.
“Grazie.” Mormorai senza fiato.
Lo guardavo negli occhi, lui guardava nei miei. Cosa cercava?
Era così dannatamente bello. Mi avvicinai alle sue labbra, quasi d’impulso. Volevo sfiorarle, assaporarle. Dovevo. Lui si ritrasse appena, ma io non andai indietro.
Mi sfiorò con la punta dell’indice il labbro inferiore così lentamente e dolcemente da farmi rabbrividire, mentre il mio cuore scoppiava. Passò poi sul labbro superiore tracciandone i contorni, si avvicinò. Lo sentivo così vicino. Poggiò il dito sulle labbra, il suo tocco mi stava rendendo cardiopatica. Mi piaceva, tremendamente. Gli baciai il dito, assaporavo la sua pelle, che aveva quel dolce profumo di vaniglia mischiato a qualcosa di pungente e mascolino. Tolse il dito avvicinando le sue labbra alle mie. Sentivo il suo respiro sul viso. Aveva fumato, si sentiva, eppure quell’odore sembrava così soave da togliermi il respiro. Al fumo si aggiungeva qualcosa di più dolce, forse vodka, forse un semplicissimo succo energizzante. Non riuscivo a far smettere il mio cuore di balbettare così forte.
“Cos’è per te il ritmo?” Sussurrò ad un certo punto, senza allontanarsi.
Lo guardai in quegli occhi verde-castani.
“Per me … il ritmo sei tu.” Mormorai senza fiato.
“Chiudi gli occhi.” Sfiorò le labbra sulle mie così lievemente e dolcemente da strapparmi un mezzo sorriso e feci come mi aveva detto. Intrecciò le mani ai miei capelli ribelli e poggiò le labbra carnose sulle mie schiudendole appena. Il mio cuore era ritornato a battere, lo sentivo, dopo quella grave ferita di otto mesi stava tornando ad amare. Era là io lo percepivo. Le sue labbra si unirono alle mie adattandosi, le mie nelle sue, si modellarono, le assaggiai, erano morbide, per niente violente, delicate, sembravano fatte di più strati di petali di rosa, carnose, rosse. E le mie, a contatto con le sue si perdevano. Le schiuse ancora cercando la mia lingua, io la intrecciai alla sua giocandoci. Mi strinse a sè, sentii le sue braccia cingermi forte i fianchi come avevo desiderato poco prima, lo assaporavo, lo amavo. Lasciai che le nostre lingue si bramassero quanto le nostre labbra perdendosi in quel bacio senza tempo e senza età, lasciai che di noi non restasse solo quel pomeriggio. Io volevo che fosse mio, anche per il resto della mia vita. Continuai a mangiare quelle labbra, poi, mugolando, si ritrasse lentamente mordendomi appena il labbro inferiore. E quando aprii gli occhi vidi tutto ciò che avevo sempre cercato: Lui.
Ripresi fiato, ansimavo, sorrisi appena.
“E per me, il ritmo ha il tuo nome inciso sopra.” Mi accarezzò la guancia arroventata.
“Io…..” Mormorai.
Rise nel vedere la mia espressione imbarazzata. Ero arrossita.
“Sei la prima ragazza che mi bacia in questo modo sai? Le altre vogliono tutte sesso sfrenato. E Shanimal le accontenta.” Disse quasi con stima di sé.
“Io non voglio Shanimal, io preferisco Shannon.” Ammisi abbassando lo sguardo.
Mi tirò in su la testa con un dito sotto al mento. “Sei la prima, sai?”
“Spero di essere la sola, allora.”
 
Shannon e io, quel pomeriggio ci eravamo appartenuti per qualche minuto. A me era sembrata un’eternità. L’unica cosa che avrei voluto sapere era cosa fossi io per lui. Cosa potevo essere io per Shannon Leto? Una fan che aveva baciato? Una bambina? Una collega?  Cosa?
Rub interrompe i miei pensieri irrompendo nella stanza. “Ma ti sbrighi? Vox Populi è nostra! La faremo noi! Prepara la batteria, riscaldati! Questo è il nostro momento!”
Usciamo fuori dalla stanza, sono nel backstage, pronta, con le bacchette nelle mani. Mi volto a destra, Shannon mi guarda. Sorrido, e fa lo stesso.
E poi Jos mi scaraventa con lui sul palco, lo show è iniziato. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Di nuovo. ***


Capitolo 8.
“Di nuovo.”
Era stata una serata più che eccitante, gli Shadows si erano esibiti con Vox Populi all’inizio e con The Fantasy assieme ai Mars, avevamo riscosso successo, erano diventati, forse, dei miti. Ma non pensavo in grande.
A noi si erano uniti i CB7 ed Antonie aveva mostrato subito un lieve interesse per me.  Anche se non capivo cos’avessi di tanto importante.
Il primo Show era stato entusiasmante, io non ero mai stata ad un loro concerto e, poter essere così vicina, cantare a squarciagola, suonare insieme a loro aveva scaturito in me una felicità innata, sembravo un’altra persona, sembravo quasi felice. Ero sempre quella Echelon sfegatata, e dopo quindici anni avevo avuto il puro culo di poter realizzare l’unico sogno per cui lottavo.  Era stata una di quelle serate che restano impresse. Sentire Jared che canta, sul palco e che coinvolge con la sua voce angelica, Shannon che portava il ritmo, il battito cardiaco, e Tomo, poi, che suonava quella chitarra sembrando quasi un dio. Quei tre, avevano catturato l’attenzione di migliaia di persone, che gridavano, insieme a noi, saltavano e talvolta piangevano nel vederli a pochi passi da loro. Chi, poi, si sporgeva in avanti per sfiorare la mano di Jared, il quale non si tirava indietro, ma andava loro incontro proprio per renderli felici.
Una famiglia, noi siamo una famiglia.
 
Ora siamo in hotel, Jared aveva deciso di restare qui per dormire meglio dato che avremmo avuto tempo per partire per Seattle.  La mia stanza è la numero 107, affianco c’è quella di Antonie e poi quella di Shannon. Mentre a destra ci sono quelle di Rub e Jos, nell’altra Der e Tomo, poi Jared aveva preteso la singola, esattamente come Shannon.
Sono le due del mattino, regna un silenzio tombale, eppure non riesco a chiudere occhio, io non riuscivo ancora a realizzare ciò che mi era successo. Sono supina sul letto fissando il soffitto. Avevo ancora indosso i pantaloncini neri e la canotta rossa come le converse, l’unica cosa che avevo tolto era la giacchetta elegante che rendeva il mio abbigliamento alquanto sbarazzino e stupido, come volevo che fosse.
Esco fuori dal balcone, e la visuale era stupenda. San Francisco si estendeva nella sua totale bellezza di fronte a me, sembrava uno spettacolo di luci di ogni colore. Spirava una leggerissima brezza che mi fa appena rabbrividire. Sorrido poi, senza un motivo.
“Pss.” Sento provenire dalla mia sinistra, mi volto. Shannon mi sorride e con la testa mi fa un cenno. Mi stava invitando in camera sua?
“Cosa?” Sussurro appena.
“Vieni qui!” Mormora.
Più confusa che mai, prendo la chiave della mia stanza e busso piano alla sua porta, lui apre subito.
E’ mezzo svestito, indossava solo dei pantaloni strappati e quelle scarpe multicolor. Era ancora sudato dal concerto, il petto nudo infatti, sembrava quasi bagnato. Il suo fisico era scolpito, e i muscoli del petto, del braccio, e delle spalle, esageratamente tanti, gli davano quell’aria di solennità, quasi come se fosse stato un dio. Scruto ogni minimo particolare del suo corpo, posando lo sguardo prima ai suoi occhi, poi sulle labbra, sul collo, sulle braccia, sul petto. Quasi avessi voluto mangiarlo solo guardandolo.  Non mi accorgo che ero rimasta in adorazione a bocca aperta, Shannon ride e mi prende per mano chiudendo la porta alle sue spalle.
Io cerco di riprendermi.
“Non volevo shockarti.” Mi lascia la mano sedendosi sul letto.
“Non l’hai fatto.” Mento.
“Mh.” Sorride.
“Come mai, stasera niente amichetta?” Rido guardandomi attorno.
“Amichetta?” Chiede lui, confuso.
“Già, una tipa che scopi e poi la mandi via.” Preciso.
Ride sonoramente.
“Shh! Gli altri dormono!” Sbotto.
“Scusa.” Dice continuando a ridere.
Sbuffo.
Torna serio. “Stanotte non mi andava scopare, volevo parlare, con te.”
Mi indico confusa.
“Cosa ti piace di me?” Domanda.
“Perché me lo chiedi?”
“E’ una domanda, come tutte.”
“Di te, be’” Sospiro. “Mi piace il modo in cui trasmetti emozioni solo suonando. Tu non lo sai, ma in quel ritmo io trovo più emozioni che in un libro, nel tuo ritmo trovo parole, conferme, in te, io trovo qualcosa di incredibile, quasi sovrumano. In te trovo quello che…” Abbasso lo sguardo “..vorrei avere.”
Lo sento ridere piano.
“Ti faccio ridere?”
Si alza camminando verso di me.
“Piccola. Non mi fai ridere, è solo che…” Si china appena baciandomi il collo con le labbra delicate. Rabbrividisco trattenendo il respiro e socchiudendo gli occhi.
“Shannon…” sussurro.
“Sono qui…” Mi prende il viso tra le mani portando il suo di fronte al mio.
“Sei bellissimo.” Mormoro, senza fiato, perdendomi, ancora una volta nei suoi occhi.
“Shhh, baciami.” Sorride sfiorando le mie labbra con le sue.
“Non voglio essere come tutte…” Mugolo.
“Non lo sei mai stata. Dal primo, fottuto momento che ti ho vista.”
Lo bacio con foga, passione, rimaste in me troppo a lungo. Le nostre labbra si bramavano ancora, le nostre lingue si univano per assaporarci l’un l’altro mentre le mie mani scivolano sul suo petto tracciandone i contorni. La barbetta intorno alle labbra mi pizzica appena, eppure era così piacevole che ne avrei avuto la nostalgia non appena si sarebbe staccato da me, desiderandone ancora, sempre di più. Sento le sue mani scivolare sotto la mia maglietta, stringendomi i fianchi toccandomi la pelle ardente e tenendomi a sé. La mia maglietta alzata scopriva la pelle che a contatto con la sua, sudata, diventava più rovente che mai, anche se la sua, sembrava fresca, perfettamente pura. Come due opposti.
Ansimante, si stacca da me guardandomi negli occhi. Io mi mordo un labbro guardando in basso. Sento le sue labbra sfiorarmi il collo baciandolo poi, all’incavo, proprio dov’era la Triad. Si ritrae.
“Devo fermarmi. Hai diciassette anni, sei una Echelon, non dovresti neppure essere qui.” Stringe i pugni tornando indietro, vicino al letto.
“Ma, che? Qual è il problema?” Lo guardo sbigottita.
“Non posso! Non posso toccarti! Mi faccio schifo, Dio! Hai solo diciassette anni!”
“No! Che stai dicendo?! Non mi importa!” Mi avvicino.
“A me si, cazzo! Non posso toccare le ragazzine, cazzo! Ci sono le puttane che si interessano a me!” Quasi urla.
Faccio qualche passo indietro, tremante.
“Ma nessuno ti ama quanto ti amo io, Shannon!” Gli urlo contro, con le lacrime agli occhi, sentivo il mio cuore spezzarsi, un’altra volta. Esco dalla sua camera sbattendo la porta. Corro verso il cortile con quelle lacrime che mi avevano accompagnato per troppo tempo.
Tutti parlano d’amore. Nessuno è capace di amare, però. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. Due metà. ***


Capitolo 9.
“Le due metà di un intero.”
Corro verso il cortile, incurante di essere sudata e mezza svestita, con le lacrime agli occhi che mi logorano il viso, e una volta arrivata giù cerco il posto più riparato, dove nessuno potesse vedermi o sentirmi,  dovevo piangere. Era stato tutto troppo perfetto fino a quando il mio cuore non ha iniziato a pulsare di nuovo amore dannato, maledetto. E il sangue di quell’amore disgraziato circolava dentro di me riducendomi ad essere un pozzo di lacrime senza fondo.
Perché scrivono sui pacchetti di sigarette “Il fumo uccide” e non fanno lo stesso sui cioccolatini o sulle rose che si regalano a San Valentino?
Avevo bisogno di lui, molto più vicino. E non mi fotteva niente dell’età. Quello è un numero, cazzo, un solo fottutissimo numero.
Mi getto a terra, con il viso rivolto sul prato raggomitolata. Mi sto lacerando d’amore.
“Stai bene?” Mi chiede preoccupato qualcuno alle mie spalle.
Antonie Becks era sempre stato disponibile con me, da quel pomeriggio. Ed era evidente che gli interessavo, anche se era palese che il mio cuoricino malato battesse per qualcun altro.
“No!” mugolo senza alzare la testa.
Antonie mi prende di peso, come una bambina, facendomi alzare.
“Non guardarmi, sono orribile.” Bofonchio.
“Orribile?” Sorride appena asciugandomi le lacrime. “Saresti stupenda anche con una torta in faccia.”
Riesco appena ad accennare un sorriso nelle lacrime.
“Che è successo?” Domanda.
Io mi ritraggo.
“Non sei costretta a parlarne, solo non stare qui, è tardi e dovresti riposare. Quindi ora se non vuoi andare in camera ti ci porto io, sei leggera.”
“N-no” scuoto la testa alzandomi. “Sono abbastanza in carne, cammino da sola.”
“Certo, come no.” Lo sento ridere.
Mi accompagna fino alla porta di camera mia. E mi saluta baciandomi sulla guancia, anche se io, grondante di lacrime continuavo a piangere.
Ma alla fine il sonno arriva per tutti.
 
La sveglia suona alle 8.00 precise, io mi ero addormentata vestita, ma il trucco mi si era sciolto sul viso disegnandomi righe nere fino al mento. Ero inguardabile.
Ho ancora mezz’ora quindi opto per una doccia e vestiti puliti.
Ricordavo tutto della sera precedente, del bacio, delle sue labbra sul mio collo, della sua reazione… Avrei deciso di ignorarlo, non potevo fare altro. Mi dovevo distrarre. Dovevo iniziare a diventare la cattiva compagnia di cui tutti i genitori non vanno fieri?
Prendo le mie cose e corro verso il parcheggio fingendo un sorriso.
Jared discuteva con Jos, Tomo e Shannon invece parlavano con Der e Rub.
“Giorno!” Urlo. E tutti si voltano a sorridermi.
Vedo Antonie sbucare dal nulla per corrermi incontro e abbracciarmi così forte da farmi mancare il respiro. Shannon sgrana gli occhi, sembrava adirato, prende una sigaretta, l’appoggia tra le labbra e allontanandosi inizia a fumare. Sospiro guardandolo andare via.
In quel momento desideravo sprofondare. Ero tra le braccia di Antonie ma desideravo essere tra quelle forti del mio batterista, lo desideravo come l’aria che respiravo.
Scaccio via quel pensiero scuotendo la testa, così tutti salgono sul bus tranne Shan che stava finendo di fumare e io che stavo sistemando la valigia.
Cammina avanti e indietro, a volte lo sento sospirare. Volevo dire qualcosa, ma non ne avevo il coraggio. Viene nella mia direzione poi si arresta come se ci fosse stata una rete invisibile a pochi passi da me, guardando a terra. Mi avvicino a lui, avrei voluto fargli alzare la testa, baciarlo, assicurargli che lo amavo ancora, anche dopo quella reazione… Tutto ciò che riesco a fare, mio malgrado, è un sospiro.
Salgo anch’io sul bus.
Prendo l’-pod e premo il tasto play. Sento qualcuno sedersi al mio fianco, Tomo.
“Hey!” Sorrido.
“Tu, io, dobbiamo parlare.” Mormora.
“Di?” Alzo un sopracciglio.
Lui fa un cenno verso Shannon che nel frattempo si era accomodato il più lontano possibile da me. Rabbrividisco.
“So che c’è qualcosa tra voi.”
“No.” Scuoto la testa.
“Sì. Conosco Shannon come le mie tasche. Lo vedo strano, preso da qualcosa, preso da te. E’ da tutt’altra parte con la testa, non fa altro che parlare di te, insomma.”
“Parla di me?” Sorrido appena.
“Professionalmente, sì.”
Annuisco.
“Il punto è che sei una Echelon, e per di più sei troppo giovane.”
“Lo so.” Sussurro.
“A te piace?”
Lo guardo. “Tomo, io ho trovato in quel fottuto batterista la mia ragione di vita.”
“Non so che dire… ho solo paura che possiate farvi del male a vicenda, e di certo, ignorandovi, non risolvete un cazzo.” Si alza e va verso Jared e i miei tre amici.
 
Siamo in viaggio da un’ora e lui non mi si era avvicinato, né tantomeno l’avevo fatto io. Ma non ne potevo più, quindi, prendo l’iniziativa. Mi alzo e faccio finta di andare in bagno, convinta, che mi avrebbe seguita, invece non l’aveva fatto. Restava là immobile a guardare fuori dal finestrino.
“Noi ci fermiamo all’autogrill!” Annuncia Jared entusiasta. “Chi viene?”
Der, Rub e Jos si precipitarono fuori seguiti da Antonie e Tomo che ridevano e Jared era rimasto per ultimo.
Era l’occasione giusta.
Shannon si alza per sgranchirsi e si dirige verso una stanza, ma lo tiro per un braccio.
“Non puoi trattarmi così.” Sussurro.
“Lasciami, ti prego.” Mi sfiora il polso con l’altra mano.
“Non posso, non chiedermi di lasciarti… non posso farlo.”
“Stai complicando le cose.” Stringe i pugni.
“Shannon, che cosa provi per me?” La domanda mi viene spontanea, lui mi guarda negli occhi.
“Non lo so.” Ammette. “Ma non ho mai provato una cosa del genere per qualcuno. Mi fai sentire, come se… dipendessi da te.” Aveva un tono di voce quasi distrutto.
Gli lascio il braccio.  “E cosa c’è che non va?” Mi avvicino a lui.
“N-non posso. Te l’ho detto, non posso.” Sembrava lottare contro sé stesso.
“Si che puoi.” Sussurro sulle sue labbra. “Perché io ti amo.”
“Ti stai mettendo nei guai. Mi sto mettendo nei guai.” Si scansa appena.
“Lo so.” Sospiro guardando in basso. “Ma come faccio a cercare di mandarti via se ogni volta che ti vedo il mio cuore va a puttane?”
Prende la mia mano e l’appoggia sul suo petto. Il suo cuore rimbombava violentemente come il mio, quasi stesse per uscirgli dal petto. Alzo gli occhi, dalla mia mano alle sue labbra, poi ai suoi occhi.
“Sei la prima che mi provoca tutto questo.” Mi lascia la mano.
Ci guardiamo intensamente per un po’.
Senza dir nulla entro in una stanza chiudendola inizio a baciarlo, con tutta la passione che avevo tenuto stretta a me per evitare che trapelasse, cerco la sua pelle, mi libera dai vestiti e io faccio lo stesso con lui, scopro ogni particolare del suo corpo perfetto gemendo e ansimando sotto di lui, corpo a corpo, istante dopo istante. La sua bocca sul mio collo, sulle mie spalle, desiderose e bramose. Non avrei voluto si fermasse. Ci stavamo completando, ci stavamo rendendo una cosa sola, in quel momento, eravamo due metà di un intero perfetto. Per trattenere i miei gemiti, poi, mi baciava o mi sussurrava qualcosa di tremendamente bello.  Ansimavo, lui era dentro di me, urlavo, lui cercava di zittirmi, ma io avevo voglia di lui, del suo corpo, della sua voce, delle sue mani su di me,  avevo voglia di quella bocca che avevo sognato troppe notti, che erano state troppo lontane e adesso mi baciavano con foga.
 
Sì, avevamo fatto l’amore. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. Non è tempo per noi. ***


Capitolo 10.
“Non è tempo per noi.”  
Non sapevo esattamente quanto tempo fosse passato. L’unica cosa di cui ero certa era che fossi tra le sue braccia. Mi stringe forte a sé. La mia testa è appoggiata al suo petto, la mia mano destra lo sfiora piano, le mie gambe erano intrecciate alle sue. Gioca con i miei capelli sussurrando cose che, forse, come diceva lui stesso, non aveva mai proferito a nessuna.
“Quindi non ti sei mai innamorato?” Lo guardo dubbiosa.
“Questa è la prima volta.” Sorride.
L’unica risposta è il mio cuore partito in quarta ad ogni suo minimo accenno di un sorriso, era splendido, come sempre.
“E tu? Ti sei mai innamorata?” Sussurra al mio orecchio.
Rabbrividisco. “Be’… più che altro l’unico ragazzo che ho avuto, dopo otto mesi mi lascia per la più troia della scuola. Non posso farci nulla. Ammetto, però, di aver sempre avuto un debole per te.”
“La cosa non mi dispiace.” Mi sfiora la schiena, lentamente. Il suo tocco mi rendeva dipendente da lui, come la sua presenza, come ogni cosa che lo riguardasse.
“Non si insospettiranno? Siamo soli, qui dentro, da un qualche paio d’ore.” Rido.
“In teoria, ma Tomo sa tutto. E credo che anche Jared l’avrà saputo, e di sicuro mi ucciderà.” Sospira.
“Perché?” Gli sfioro il viso con due dita, la barbetta mi pungeva al contatto, ma era un fastidio troppo bello per non riuscire a sopportarlo.
“Lo sai, non capirebbe. E sai che sono contro anch’io. Sei piccola, troppo. Ho paura, dei paparazzi, dei giornali. Non sai quanto possano essere perfidi i giornalisti, distorcono la realtà, la rendono bazzecole, e feriscono, talvolta portano la gente contro. Non voglio che dicano cose sbagliate di te, non ti conoscono.” Dice.
Lo stringo forte. “Non succederà…”
“Non puoi saperlo.” Mormora.
“Staremo attenti.” Sorrido.
“Dobbiamo alzarci, ma, prima… solo una cosa.” Mi alza la testa portando la sua davanti alla mia e baciandomi di nuovo con lentezza, poi, staccandosi appena sussurra “Ti amo.”
Rimango quasi immobilizzata da quella sua confessione, poi riprendo a baciarlo.
E restiamo lì dentro per altro tempo indeterminato.
 
Usciamo insieme da una micro-camera sotto gli sguardi sospetti di tutti. Jared si era immobilizzato nel vederci tornare dagli altri, Tomo, invece sembrava tranquillo, come se sapesse già tutto.
I miei tre amici, invece mi guardavano dubbiosi. Mi siedo vicino a loro sorridendo appena, cercando di non far trapelare nessun’emozione, poi Jared cammina verso il lato opposto da cui ero arrivata e tira Shannon per il braccio portandolo di parte.
Poco dopo erano scomparsi, i due fratelli.
Guardo Tomo impaurita, ma sul suo viso non c’era ombra di preoccupazione e mi mormora uno “Stai tranquilla.”
“Ma che avete fatto tu e Shannon Leto  lì dentro tutto questo tempo?” Chiede Jos.
Alzo le spalle.
“No, cazzo! Che è successo?” Domanda Ru quasi irritato.
“Niente, te l’ho detto, abbiamo parlato, ho scoperto molte cose su di lui.” Mi limito a dire.
“Tipo?” Interviene Der.
“Tipo che non è mai stato innamorato di nessuno..” Ammetto.
Ridono in coro.
“Shannon Leto dice cose del genere?” Ironizza Ru.
“…Sì.” Mormoro abbassando lo sguardo.
Tornano seri.
Mi concentro sulla moquette nera e sporca che ricopriva il bus e lasciava sollevare, talvolta, nuvolette di polvere. Il tempo sembrava d’un tratto, essersi fermato.
 
Dopo un po’ i due fratelli tornano. Shannon sembra piuttosto arrabbiato, esattamente come Jared che mi lancia un’occhiataccia.  Aveva capito. Aveva saputo. Tossisco.
Nel frattempo eravamo arrivati a Seattle, e lo show sarebbe stato alle nove di sera, erano solo le cinque, e ci sarebbe stato tempo. Mi volto indietro e Shannon era tornato alla sua postazione, guardava fuori. Volevo capire cosa fosse successo tra lui e Jared.
Per un attimo avrei desiderato scomparire.
I Mars (Shannon compreso) scendono dal bus recandosi verso un hotel lì vicino, insieme a Becks e i miei amici, io resto lì impalata, guardandoli. Non volevo essere causa di un litigio tra i Leto, non loro, almeno. Erano sempre stati uniti, amavo la loro musica e amavo vedere felice Shannon, non potevo rovinare tutto per star bene, no. Dovevo mettere in ordine le idee e dare priorità alla felicità degli Echelon, quindi, dovevo smettere… di amare Shannon… quell’amore era dannoso per entrambi.
Dovevo parlare con Jared.
Mi alzo di scatto e corro verso l’hotel.
Chiedo alla reception le chiavi della camera, incurante delle valige, e mi dirigo verso i piani superiori. L’unico caso è che incontro Jared davanti alla porta che cerca di infilare la chiave nella serratura.
“Una mano?” Domando riuscendo ad aprire la porta.
“Grazie.” Dice, freddo.
“Jared, cos’è che sai?”
“Entra, ne parliamo.” Richiude la porta alle sue spalle, una volta entrati.
“Allora?” Chiedo io impaziente.
“So che hai una cotta pesante per Shannon, è vero?”
Guardo in basso.
“Come pensavo.”
“Scusa, Jared, io, non… non scelgo di chi innamorarmi, capita…” Balbetto.
“Io lo so, credimi, amare è come respirare, è involontario. Ma ci sono persone destinate ad innamorarsi, non a stare assieme.”
Ci scambiamo uno sguardo intenditore.
Esco dalla sua camera e incrocio Shannon con gli occhi,  i miei nei suoi, di nuovo. Aveva gli occhi, sempre felini e duri, annebbiati ora dalla tristezza e dal rancore, quello sguardo, io, non l’avevo mai visto. I suoi occhioni verde-marroni si erano spenti diventando cupi. Aveva pianto?
 
Scuoto la testa, poi ripartono le lacrime.
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Mai iniziata. ***


Capitolo 11.
“Non era finita, non era mai iniziata.”
Non voglio scappare da lui, non era il caso. Rimango impietrita mentre lo vedo penetrarmi con lo sguardo dolente e affranto, come un uomo, o in questo caso, un dio, che avesse commesso chissà quale gravissimo reato. Gli occhi verde smeraldo che fino a un paio d’ora prima risplendevano sul suo viso si erano tramutati in due laghi di rossore che inferivano cupezza su quel che era il viso più bello del mondo intero.
Mi sembrava che quell’attimo fosse durato in eterno quando lo sento avvicinarsi di qualche passo per sfiorarmi con le dita una guancia sulla quale era scesa dolcemente una lacrima.
E poi indietreggia e va via.
Mi lascia sola con la moquette delle pareti e il pulviscolo che volteggiava leggero al suo posto. Un brivido freddo percorre la mia schiena e mi stringo tra le braccia, il cuore, quello, s’ era ghiacciato.
Le gambe quasi non mi tenevano più. Appoggio una mano sulla porta della camera di Shannon cercando di prendere un respiro pieno, ma si arresta non appena sento un rumore, come se qualcuno o qualcosa stesse calciando il muro o lo stesse prendendo a pugni.  Lui.
Ritraggo la mano e corro nella mia camera crollando in un pianto senza fine, trattenendo urla e singhiozzi che bruciavano in petto come troppo alcol assunto da un tossicodipendente. In questo caso Shannon era il mio alcol, io, la tossicodipendente che non poteva farne a meno.
 
Però dopo un po’ sprofondo in un sonno abissale.
C’erano luci, in quel sogno. Forse era un palco, o forse era un cielo stellato. Ricordo di trovarmi su una spiaggia e le sue mani mi sfioravano la pelle nuda delle gambe. Quel tocco l’avrei riconosciuto tra mille. E poi le sue labbra sul mio collo, quella voglia improvvisa che mi prendeva, la voglia che avevo di lui, del suo amore.
“Abby, sveglia!” Antonie urla spalancando la porta della mia stanza.
Mi sveglio spaventata urlando.  “Antonie, ma ti pare il modo?”
“Lo show inizia tra dieci minuti, manchi solo tu.”
“Non voglio venire, non servo.” Ricrollo sul letto.
“No, ma dico, sei impazzita? Ti porto in braccio? Muovi il culo. Dopo c’è il mio afterparty, ci divertiremo.”
“Non voglio divertirmi, vacci tu a quel concerto del cazzo, non voglio venirci okay? Vattene.”
“Abby, guardami.” Mi prende il viso tra le mani. “Stasera, alle due c’è il mio afterparty nella discoteca qui giù, quella enorme. Se non vuoi venire al concerto almeno vieni lì. Ho bisogno di stare con te, parlare, devo parlarti, mh? Devi esserci, piccola.”
Così dicendo si alza dal mio letto, sul quale si era seduto, e mi sorride appena vicino alla porta chiudendola una volta uscito.
 
Afterparty.
Dovevo distrarmi, ci sarei andata, ne avevo voglia. Volevo sapere cosa avesse da dirmi Antonie e dovevo distrarmi. Metto la sveglia del cellulare impostata alle due notando che fossero già le 10 di sera.  Sentivo lo show ai primi momenti, a Seattle. Si udiva la voce di Jared da lontano e i primi battiti cardiaci di ‘Search and Destroy.’
Per quanto li amassi, non avevo il coraggio fisico e mentale di recarmi da loro.
 
Torno a dormire.
 
La sveglia imperterrita suona alle due del mattino. Mugolo qualcosa alzandomi con la testa.
-Devo prepararmi- penso. –E’ tardi.-
Mi strofino gli occhi e apro la cerniera della valigia. Da qualche parte avevo infilato un vestitino nero, cortissimo e molto elegante, senza spalline, aderentissimo. Scavo tra le mie magliette dei gruppi e jeans fino a quando lo ritrovo tra le mani.
Non oso mettere delle calze. Le odio, così, infilo le converse nere senza neppure i calzini.  Lascio la triad pendere dal collo scoperto mentre pettino i capelli lisci neri e rossi, sistemando il ciuffo e passando una mano di matita sugli occhi e il mascara.
Nient’altro.
 
Non mi sentivo bella, mi sentivo diversa, quella sera. Spezzata.
Esco dalla camera, il corridoio era vuoto. Percorro le scale fino ad arrivare all’ascensore, dove premo il pulsante “0” che indicava il piano terra.
Non sapevo dove fosse la discoteca, quindi mi rivolgo alla reception.
“Scusi, per la discoteca?”
Il ragazzo, prima mi squadra dalle converse fino all’ultima ciocca rossa rimanendo imbambolato, poi scuote la testa. “Esci dal giardino, in fondo a destra.”
Sorrido e alzo una mano in saluto.
Arrivo davanti alla discoteca tirandomi giù il vestito, davvero troppo corto, maledicendo il giorno in cui l’avevo comprato. Si sentiva rimbombare.
Entro.
La confusione, la musica house, e l’afa regnano e persistono. Le persone ballavano e bevevano. In alto a destra Shannon ed Antonie erano alle prese l’uno con le percussioni, l’altro con i piatti da Dj.
Shannon era sudato, indossa gli occhiali da sole e una t-shirt, le sue solite, aperte ai lati. Ed era un dio.
“Signore e signori questa la dedico alla ragazza più bella del pianeta, la vedete? Quella lì che è entrata ora, quella bella come un sole, guardatela.” Antonie interrompe la canzone puntandomi con un dito.
Imbarazzata arrossisco e accenno un sorriso. Mi volto indifferentemente mentre tutti mi guardano.
-Cazzo- mugolo.
Parte un’altra canzone orribilmente house e i ragazzi tornano a ballare strappandomi quegli occhi indagatori dal corpo.
“Sei venuta.” Sorride Antonie.
“Certo, la  dedica potevi risparmiarla.” Urlo sulla musica.
“Sei bellissima. Davvero, sei, wow.”
“Grazie, ma non è vero.” Rido.
Guardo Shannon che nel frattempo era sceso dal palchetto e colloquiava animatamente con una donna bella , bionda, alta, e mezza svestita, la quale gli toccava il petto sudato.
Mi sento assalire da rabbia e gelosia, mi si traggono i muscoli, volevo allontanarla bruscamente da lui, non doveva toccarlo. Li divoravo con lo sguardo fino a quando Shannon non si accorge di me dall’altro lato dell’enorme stanza affollata. Non ero certa che guardasse me se non il culo di un’altra ragazza, ma lo vedo rimanere quasi a bocca aperta, come se avesse visto qualcosa di tremendamente bello che potesse competere con lui. Era palese non fossi io.  Sospiro guardando in basso, lasciando cadere i nostri sguardi intrecciati.
“Stai bene?” Chiede Antonie poi.
Annuisco poco convinta.
Mi offre un bicchiere di vodka, che io, in quello stato, accetto volentieri.
Mi concentro guardando il bicchiere pieno tra le mani e quando ri-alzo lo sguardo e Shannon Leto stava baciando quella bionda di poco prima.
Mi si arresta il cuore e mi cade il bicchiere dalle mani, riducendosi a piccoli cristalli sul pavimento. L’odore di vodka era emanato in quella terribile afa di respiri ubriachi. Il mio sguardo era perso tra quelle sue labbra che una sera prima avevano baciato me , tra quelle un’altra.
Sciolto il bacio, d’impulso, mi precipito al centro della stanza, per fermare quello scempio. Shannon accenna un sorriso. Io scuoto la testa e indietreggio.
 
Non era finita. Non era mai iniziata.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. Istinto. ***


Capitolo 12.
“Istinto.”
Non so cosa ci trovino le persone nelle discoteche. Si beve, ci si droga, si scopa e si balla. L’alcol e il sesso sono il fine di ogni serata in discoteca. E io odiavo tutto questo.
Restavo impietrita lì, al centro della stanza, quando a un tratto Antonie mi tira verso di sé.
“Cos’hai? Stai bene, Abby?” Mi guarda spaventato.
Annuisco per tranquillizzarlo strappandogli dalle mani quel bicchiere pieno di vodka alla fragola e ingurgitandolo in un sorso.
Non ero abituata a bere alcolici, al di fuori della birra, eppure ero certa che quella sera sarei entrata nella categoria di ciò che odiavo, e non per scelta razionale, per sfogo.
Corro verso il banco facendomi spazio tra la folla accalcata e madida di sudore che si agitava sulle percussioni di Shannon, una volta raggiunto, chiedo altri due bicchieri di vodka che butto giù rapidamente.
“Abby, basta, così ti uccidi!” E’la voce di Tomo che mi si era avvicinato e mi aveva tolto dalle mani l’ultimo bicchiere ormai vuoto.
“N…no..” bofonchio.
“Non è così che si dimentica un uomo.”
“Sì, ma è così che ci si diverte e si uccide la depressione, no?” Rido ordinandone un quarto.
Tomo mi guarda di sottecchi. “Smettila, ti ucciderai.”
“Smettila tu di preoccuparti.” Butto giù il quarto e ritorno al centro della sala dove inizio a ballare, ebbene sì, ballavo.
Più che altro saltavo dando a gomitate la gente, qualcuno mi spingeva, altri invece mi pestavano, mi confondevo nel caos, quel caos che mi aveva iniettato Lui in quel cuore, quel caos che mi stava pompando nelle vene impossessandosi di me, a poco a poco, come una sorta di droga.
“Abby!” Mi scuote Jos.
“Jooos, oh, che bel bicchiere!” Inconsapevole di cosa fosse ingurgito anche il bicchiere che Jos aveva tra le mani, mi sentivo male, ma ero così masochista da volermene fare ancora.
“Tu sei ubriaca.”
“Ma che dici?” Rido “Sto beniiiiiiissimooo.” Mi volto afferrando la birra di una tizia e bevendo bramosamente anche quella.
“Dico la verità, smetti di bere, cazzo.” Mi prende la birra notando che però era finita.
“Non smetto di bere, faccio quello che cazzo pare a me, capisci?” Alzo lo sguardo verso il palchetto. Antonie era tornato ai suoi piatti da Dj e Shannon ballava con quella bionda, quella troia, toccandole i fianchi.
“Andiamo a ballare?” Chiedo a Jos, ma nel frattempo Der mi aveva già trascinato vicino al palco, dove c’era anche Shannon con la sua troietta di turno, e iniziamo a saltare.
Der mi guarda in modo penetrante, io mi mordo un labbro.
“Sei ubriaco?” Gli dico mentre fa scivolare la sua mano sulla mia gamba.
“Sì, ho bevuto… p…arecchio e stasera ti trovo davvero at..traente….mh.” Balbetta avvicinandosi alle mie labbra.
Stavo al gioco. Mi soffermo poi sullo sguardo di Shannon che nel frattempo si era arrestato e guardava Derek con ira.
Mi avvicino alle labbra del mio amico sorridendo.
“Andiamo in un posticino meno affollato?” Sussurra lui al mio orecchio.
Annuisco.
Mi prende per mano e ci incamminiamo verso l’esterno sotto lo sguardo indagatore del mio Batterista che forse, adirato, ci avrebbe seguito, o forse sarebbe tornato alle sue stronzate con la biondina.
Una volta usciti fuori da quel casino frastornante di house e alcol il giardino era buio, quasi desolato, ma si sentivano i rimbombi della discoteca.
Io, che avevo ancora la mano intrecciata alla sua focalizzo poco ciò che succedeva. L’alcol mi stava ancora bruciando dentro, lo sentivo ribollire nell’anima.
Camminiamo per cinque minuti quando mi sento sbattere a quel che apparentemente sembrava un muro. Derek mi bacia con foga tenendomi i polsi e schiacciando il suo petto al mio corpo, quasi prepotentemente riducendomi ad essere costretta, senza via di scampo. Una sua mano scende sul mio collo, poi percorre la mia spalla lungo tutto il braccio fino alle punte delle dita della mano, pensavo si fermasse ma, il suo tocco diventa più insistente sulla gamba sinistra, facendo scivolare un polpastrello sotto il vestito, sentivo il suo dito vicino all’inguine sfiorava i miei slip e provava a scostarli con le mani.
Mi ritraggo.
“Der, che stai facendo?” Lo guardo atterrita, ansimante sulle sue labbra che ancora mi baciavano con foga, la sua mano continua imperterrita a cercare, stava per sfilarmi giù gli slip, ma stringo le gambe.
“Eddai, fammi giocare.” Ride inginocchiandosi e prendendomi le caviglie.
“Derek lasciami stare!” Mi dimeno, urlo. Non era possibile … avevo paura.
Ad un certo punto qualcuno o qualcosa spinge via Der, il quale cade nell’erba lasciandomi le caviglie.  Der si rialza subito e corre verso colui che, fino a poco tempo prima, si divertiva con un’altra, Shannon. Era madido di sudore, probabilmente per l’afa della discoteca, bellissimo, come sempre.
Ci aveva seguiti? Aveva visto tutto?
Shannon lo alza dalla maglietta schiacciandolo al muro. “Stammi a sentire, se non la lasci stare ti spacco la faccia, capito? Ti uccido.” Sembra ringhiare.
Der allunga la mano verso il muro sfilando un calcinaccio appuntito, sgrano gli occhi.  Resto impietrita, stringo i pugni. Non sapevo cosa fare.  Per non lasciarlo andare Shan continua a tenerlo sollevato cercando di afferrare quel calcinaccio, ma Derek riesce a provocargli un graffio sulla spalla destra, cadono delle goccioline di sangue, ne sentivo l’odore disgustoso. Shannon quasi si lascia sfuggire un gemito, portandosi la mano sulla ferita dopo aver dato un pungo nello stomaco al mio amico che, lasciando cadere l’arma, con un tonfo si ritrova a terra ululante di dolore.
Non era possibile.
Shannon si volta a guardarmi. Poi si sfiora la spalla.
Der si alza, poi,  dopo un po’. Ma era strenuo. Esausto. “Leto, continueremo, prima o poi.” Erano state le sue ultime parole prima di andar via.
Mi avvicino a Shannon, incerta. “Perché…?” Mormoro.
Lui non risponde. Eravamo a qualche metro di distanza. Riesco a notare la ferita, abbastanza lunga, sulla spalla muscolosa. Oso ancora qualche passo prima di arrestarmi a pochi centimetri da lui. Guarda in basso.
“D..devi medicartela.” Indico la spalla.
Annuisce.
“Grazie.” Sussurro.
“Non ringraziarmi…”
“Taci, taci Shannon. Devi medicarti. Stai perdendo sangue. E non posso vederti così. Perché l’hai fatto?”
“Istinto.” Dice, insolito.
Gli carezzo una guancia. Quanto mi era mancata quella sua pelle. Sembra rilassarsi. Perché era tutto così complicato?
“Andiamo, ho un kit di pronto soccorso in valigia, sono abbastanza brava. Dobbiamo far qualcosa per la tua spalla.” Lascio cadere la mano.
Lui sorride appena.
 
E ritornano le farfalle. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. Lui è il paradiso. ***


Capitolo 13.
“Lui è il Paradiso.”
 
Entriamo nella mia camera, insieme, accendo la luce.
“Siediti sul letto.” Gli ordino, e lui, obbedisce senza obiettare.
Cerco qua e là tra le mie cose borbottando. Dove avevo messo quel maledetto kit? Ero sempre stata disordinata, ma non dimenticavo di certo di prendere l’essenziale.
Lo trovo nel taschino anteriore della valigia e bagno un po’ di garza con dell’acqua ossigenata per pulire l’infezione.
“Brucerà. Parecchio.” Lo avverto avvicinandomi.  Aveva anche un taglio sul labbro e uno sulla guancia, la canotta imbrattata di sangue, gli occhi verdi, lucidi, i capelli scompigliati madidi di sudore. Però era splendido, era ancor più bello di quanto lo fosse stato prima.
Mi siedo sul letto. La ferita gli squarciava la pelle al di sotto della canotta che mi intralciava il lavoro.
-Dannazione- penso.
“Dovresti toglierla.” Indico la maglietta lacerata, e senza dir nulla la sfilò lasciando scoperto quel corpo perfetto, sudato, stupendo. Stavo lottando contro me stessa e con le fottute farfalle tanto che stavo per vomitare. Non sorrideva, guardava di fronte a se, senza dire nulla.
Poggio la garza sulla ferita, dolcemente, per evitare che il bruciore lo facesse sobbalzare, ma, geme cercando di trattenersi.
“Calmo, non è nulla.” Cerco di tranquillizzarlo.
“Brucia.” Mormora.
“Lo so, ma ti serve.”
Segue silenzio. La garza si imbrattava di sangue, ogni volta che la appoggiavo sulla spalla gemeva.  Poi, rabbrividisce.
“Voglio una motivazione.” Interrompo il silenzio.
“Non c’è, stavi male e volevo che evitasse di violentarti.”
“E’ il mio migliore amico. Non mi avrebbe violentata.”
“Urlavi, ulravi e gridavi aiuto. Avevi paura perché stava per tirarti giù gli slip. Ho visto, e per poco non gli avrei spaccato la faccia, lo avrei ridotto a niente se non ci fossi stata tu, poco m’importava se mi avesse ucciso. Lo avrei sbranato. Lo avrei fatto, per te. “ Ammette poi.
Fermo la mano la quale stava continuando a disinfettare la ferita e lo guardo.  Sorrido appena.
“Non devi fare nulla per me.” Sussurro avvicinandomi a lui. Shannon mi prende sulle gambe, ritornando taciturno, forse voleva lasciarmi parlare.
“Non sono nulla per te…” mugolo.
“Tu sei tutto, invece.” Appoggia la sua fronte alla mia.
“E la bionda? E Jared? Non possiamo andare contro corrente, non è possibile nulla. Non possiamo, io e te, avere un futuro, non esiste..”
“E se me ne fottessi di Jared? Se me ne fottessi del mondo?”
“No, non puoi. Jared, gli Echelon, non puoi, te lo proibisco.” Mi stringo forte a lui.
“Non mi interessa. Non voglio ascoltarti.” Mi cinge con le braccia.
“Ti prego, fallo. Non puoi abbandonare tutto, per me.”
“Non sto abbandonando tutto, sto dando un senso al mio tutto.” Mi guarda.
Torno a medicarlo fissando la ferita e rimuginando su quello che aveva appena detto. Si lamentava per il bruciore. Eppure quella vicinanza mi faceva sentire così viva, così completa.
“Bella la tua ragazza.” Dico, dopo un po’.
“Chi, la cubista bionda con cui ci provavo? Beh sì, molto carina direi.” Ride piano.
“Ti baci anche le cubiste che non conosci?” Alzo un sopracciglio.
“Stavi con Antonie, volevo farti ingelosire.” 
Lo guardo di sottecchi. “Sei stato stupido.” Sfioro il graffio sul suo labbro per accertarmi che non sanguinasse, ma al contatto con le sue labbra non potevo fare a meno che indugiare, sfiorarle. Farmi male. Ogni volta era una coltellata al cuore.  Mi sentivo crollare.  Avvicina le sue labbra alle mie sussurrando qualcosa che non riuscivo a comprendere per lo stordimento. Lo sentivo respirare sul mio viso.
“Baciami, dai…” Mi lascio sfuggire, quasi come se le parole provenissero dal cuore, non dal cervello,  quando sento le sue labbra sfiorare le mie.
“Agli ordini.” Sorride socchiudendo gli occhi per terminare quel momento di forte attesa prima di quel bacio che si consumava istante dopo istante tra le nostre labbra. Le sue che, poco prima avevano toccato quelle di qualcun'altra, e le mie, che si erano infettate dal desiderio di qualcuno che bramava troppo, si stavano riappropriando le une delle altre come se fossero due tessere di un puzzle nate per combaciare e unirsi in un amore, forse, senza tempo e senza età.
Ci separiamo piano l’uno dall’altra. Lui sorrideva appena, io, non mi ero accorta di essermi avvinghiata al suo petto durante il bacio. Avrei voluto scansarmi, ma mi teneva dai fianchi sulle sue gambe.
“Come faremo?” Sussurro appoggiando la testa sulla spalla sana.
“Dovremmo stare attenti per un po’. Poi non vorrò più tenerlo segreto. Non voglio più starti lontano.” Mi accarezzava i capelli.
“Neppure io. Ho così bisogno di te, non lo immagini..” Ammetto.
“Sono qui.” Mi stringe a lui così forte da farmi quasi mancare il fiato.
“Non andare via, stanotte.” Sussurro.
“Starò qui, con te, da soli.” Sorride baciandomi il labbro inferiore.
“E Jared? Se lo scopr..” Non mi lascia finire la frase interrompendo le mie parole con un altro bacio, intenso come quello di poco prima.

“Shannon Leto, sei un coglione.” Rido sulle sue labbra una volta allontanatami. 
“Shannon Leto ti ama.” Replica lui.
Inaspettatamente si stende sul letto tirandomi su di lui. Il mio cuore scoppiava. Appoggia una mano sul mio petto.
“Calma.” Sussurra. “Ci sono io.”
“Proprio perché ci sei tu, sto collassando.” Ironizzo, io.
“Mh… Sono le cinque del mattino. Dovremmo dormire, domani abbiamo un’altra tappa.” Suggerisce baciandomi il collo.
“Ma tu promettimi che una volta addormentata, non te ne andrai.” Gli passo una mano tra i capelli. Era così stupendo, gli occhi umani non avrebbero mai visto nulla di più incredibile.
“Lo prometto.” Appoggia le sue labbra sulla mia fronte.
Sorrido stringendomi più forte a lui, disegnando ghirigori sul suo petto stando attenta alla ferita, qualche volta lo sentivo sospirare, e mi voltavo baciandogli il mento poi le labbra e lui, non come aveva fatto Derek poco prima, mi sfiorava lentamente una gamba o mi accarezzava i capelli.
-Perché addormentarsi?- mi chiedevo. –E se stessi già sognando?-
“Voglio che riposi ora.” Mormora nel bel mezzo di un ennesimo bacio.
“Aspetta..” Ribatto non ascoltandolo.
E non lo so. Stavo sognando? E’ mai possibile che in quel momento desideravo che il Mondo premesse il tasto “stop” e si fermasse?
Perché, quelle dannate labbra che si muovevano in sincrono nelle mie, erano diventate ossigeno? Perché, quei nostri corpi, dovevano unirsi così perfettamente? Perché io ero sua?
 
Tra un bacio, tra una carezza e voglia di entrambi, mi addormentavo stretta al suo petto, tra le sue braccia, sentivo il suo respiro, il suo cuore battere sotto la mia mano. Era il paradiso. Lui è il paradiso. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. Again. ***


Capitolo 14.
“Again.”
Un raggio di luce mi sfiora la pelle del braccio, ne sento il suo calore carezzarmi. Era così incerto eppure così tangibile che talvolta sembrava scomparire e ricomparire. Schiudo lentamente gli occhi, la prima cosa che noto era il pulviscolo alla mia destra causato dal sole. Volteggiava in aria come piccoli palloncini spinti dal vento in un giorno di pioggia.
Sento il suo respiro sotto di me, soave, delicato. Avevo dormito tutta la notte sul suo petto. Le mie labbra percorrono il suo collo assaporandolo. Era così mio. Ed io ero così sua. E quella sua pelle era tutto ciò che necessitavo per vivere.
Lo sento mugolare, poi sospira abbassando la testa. Gli sfioro le labbra con le mie, poi le premo contro le sue, delicatamente, per non farlo svegliare. Poi mi stacco e lo stringo sfiorandogli piano la spalla ferita, lo sento rabbrividire, poi rilassarsi. Quel momento era troppo perfetto.
“Abby.” Sussurra stringendomi a se.
“Buongiorno.” Sorrido mormorando. “Non volevo svegliarti.”
“No, non mi hai svegliato.” Mi sfiora una guancia accennando un sorriso.
Resto imbambolata davanti a quella visione. I suoi occhi verdi erano illuminati da un raggio di luce che li facevano sembrare due gemme preziose, le sue labbra, rosse e lisce erano tese in un sorriso, le sue mani mi toccavano dolcemente, indugiando su qualche curva.  Gli sfioro i capelli con una mano mentre intreccio l’altra alla sua. Mugolo avvicinandomi alle sue labbra.
“Che c’è?” Infila una mano sotto il vestito percorrendo la mia gamba con due dita, e mi provoca un senso di piacere che mi costringe a mordermi un labbro e a socchiudere gli occhi.
Poi mi bacia, lentamente, stringendomi forte, e il mio cuore batte velocemente contro di lui, quasi volesse scontrarsi con il suo. E quel risveglio era stato il più bello di tutta la mia vita, non avevo mai pensato di poter amare in quel modo così profondo.
“Nulla.” Mormoro sulle sue labbra.
“Dormito bene?” Mi accarezza i capelli.
“Assolutamente sì.” Sorrido.
“Ma che… ore sono?” Sbadiglia.
Guardo l’orologio al mio polso, oh, cazzo. Erano le undici, tra mezz’ora dovevamo partire e la mia roba era ancora in disordine nella stanza. Guardo Shannon spaventata.
“Oh, cazzo, è tardi vero?” Afferra il cellulare per controllare l’ora. “Merda!” Esclama dopo aver accertato che fossimo davvero in ritardo.
Mi alzo e lui si tira su ma resta immobile non appena nota la nostra immagine vicina, riflessa nello specchio. Avevo i capelli scombinati, il mascara sciolto e il rossetto sbavato, e lo stesso rossetto gli ricopriva le labbra, evidentemente ieri sera c’ero andata pesante con i baci. Ne sorrido. 
Si sfiora la ferita ormai cicatrizzata e mi fa un cenno di ringraziamento, mi volto verso di lui per alzarmi in punta di piedi prendendo un fazzoletto: volevo togliergli quel rossetto dal viso, ma, alla sprovvista, mi ruba un altro di quei baci lenti e passionali, esattamente come poco prima, lasciandomi intontita e senza fiato, ancora una volta, un altro di quei baci che ti riempiono l’anima.
“Vado a prepararmi, mh?” Sussurra al mio orecchio.
Annuisco.
Si infila la shirt lacerata, poi esce divinamente dalla mia camera senza farsi notare e richiude la porta.
Crollo sul letto fissando il soffitto e portandomi una mano sul cuore che ancora batteva forte. Era tardi, quindi, dopo quei cinque secondi di delirio preparo la valigia incurante di mettere ogni cosa al proprio posto e nell’ordine giusto.
Poi mi soffermo sul mio abbigliamento, non potevo uscire con quel vestito cortissimo. Opto poi, per un jeans e una maglietta azzurra, la più anonima possibile, richiudo la valigia e pettino i capelli a dir poco indecifrabili.  Li lego e aggiusto il trucco, poi afferro il cellulare e le ultime cose e chiudo la porta della mia stanza trascinando la valigia.
“Giorno Abby!” Era la voce di Antonie.
Lo saluto con la mano.
“Sei sparita ieri sera..” Dice dopo un po’ mentre ci recavamo verso la reception.
“Sì, scusa, un contrattempo.” Mi giustifico.
“Un contrattempo con Shannon.” Rettifica.
Lo guardo male. Aveva capito?
“Sanno tutti di voi..” Ammette quasi con tristezza. “O meglio, qualcuno se n’è accorto.”
 
Con mia fortuna eravamo giunti al luogo di incontro, c’erano già tutti, mancava solo Shannon.
Derek mi lancia un’occhiataccia che fingo di non scorgere.
“Abby!” Mi salutano tutti.
“Buongiorno!” Sorrido.
“Dov’è quel coglione di Shannon?” Jared guarda l’orologio, e in quel preciso istante notiamo Shannon correre per raggiungerci.
“Scusate, scusate, ho fatto tardi.” Aveva il fiatone.
Rido.
Shan si volta verso di me, ma guardo in basso sospirando. Era bello. Era qualcosa di stupendo, ma cerco di non far trapelare emozioni.
Salgono tutti sul bus, me compresa, e ci mettiamo in moto per chissà dove. Shannon prende posto dietro di me. Mi volto per guardarlo e mi sorride. Di nascosto intreccio una mano alla sua e lui la sfiora piano.
“Abby, sei qui.” Era Derek che si era avvicinato, poi seduto vicino a me.
Le nostre mani intrecciate si sfilano le une dalle altre.
“Derek!” Lo saluto senza entusiasmo.
“Possiamo parlare?” Guarda Shannon minaccioso che nel frattempo si era sporto verso di noi.
“Certo” Annuisco.
E comincia con l’orrore della sera precedente.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. A brand new name. ***


Capitolo 15.
‘A brand new name.’

“Abby, io mi sento un coglione, non volevo, giuro. Ero ubriaco, non capivo niente, mi dispiace, mi dispiace davvero.” Derek quasi piangeva.
Io mi arresto, non so che dire. Era stato terrificante revocare quel ricordo così nitido anche se era stato attenuato dal calore di Shannon. Provare ad essere stuprata dal mio migliore amico, non era una cosa carina, affatto.
“Abby, per favore..” Derek mi prende una mano, ma la ritraggo.
“Qualche problema?” Interviene Shannon.
Lo guardo scuotendo la testa. Perché mi credeva una bimba incapace di difendersi? Era imbarazzante.
“Shannon, potresti lasciarci soli?” Ringhia il mio amico.
Shannon e Derek sembravano uccidersi con lo sguardo.
“Non ci penso nemmeno.” Sorride Lui.
“Shannon,  so cavarmela da sola.” Lo guardo, ma sembrava impenetrabile.
Derek sbuffa poi dice “Mi risponderai dopo..”
“No, non ti risponderà affatto!” Urla Shan.
Nel frattempo Jared, Tomo e i miei amici si erano voltati e ci squadravano con interrogazione.
“Chi cazzo sei tu, per dirle quello che deve fare?” Controbatte Derek alzandosi e avvicinandosi minaccioso a Shannon.
“Chi cazzo sei tu, microbo?” Risponde il mio batterista lanciandogli un’occhiataccia minacciosa.
“Okay, okay, basta. “ Mi interpongo tra i due.
Ringhiavano, entrambi. Poi Derek si allontana raggiungendo Joseph che continuava a fissarci.
 
“Perché cazzo l’hai fatto?” Mormoro a Shannon tentando si sembrare più taciturna possibile.
“Non lo so…” Abbassa lo sguardo.
“Hey.” Gli tiro su la testa. “So difendermi.”
“Lo so… ma…” Sussurra.
Jared tossisce dall’altro lato del bus. Mi allontano spontaneamente e lui, percorrendo la distanza che ci separava, afferra me e Shannon per un braccio portandoci in una di quelle microstanze.
“Ora mi spiegate cosa diamine c’è tra voi due!”  Ci urla Jared contro.
“Cosa vuoi che ci sia?” Mente Shannon sprofondando sul letto.
Io mi limito a fissarlo.
“Ieri sera dove siete stati?” Chiede.
“Io ero in camera, ho vomitato.” Dico io, frettolosamente.
“E io me ne stavo facendo una.” Shannon prende una sigaretta e inizia a fumare.
Cerco di non guardarlo.
Jared ci fissa in modo interrogatorio, quasi accusatore.  Poi dice: “Lo spero, perché se sapessi che è una menzogna ne rimarrei deluso, e non poco, Shannon, sei mio fratello, cazzo. Non puoi mentirmi.”
Mi sentivo in colpa, ma non dovevo, non potevo dire la verità.
“Non ti mentirei mai.” Sorride Shan. Era bravo a mentire, fin troppo, per i miei gusti.
Jared ci osserva, immobile, io inizio a rabbrividire, poi, dopo averci scrutati con quegli occhi azzurro cielo , va via,  sbattendo sonoramente la porta.
Per qualche minuto resto immobile nell’attesa che la porta si riaprisse, o nell’attesa di risvegliarmi da un sogno.
“Va tutto bene.” Sussurra Shannon al mio orecchio.
Annuisco.
“Guardami.” Mormora.
Mi volto verso di lui, Shannon mi sfiora la guancia con una mano, sorridendo appena, nei suoi occhi non notavo ansie, né paure. Era sereno, o fingeva di essere sereno.
“Ho paura.” Ammetto con un fil di voce.
“Non devi.” Appoggia la fronte alla mia.
“Usciamo di qui, non voglio che Jared noti qualcos’altro.” Involontariamente mi ritraggo e lui si passa la lingua sul labbro inferiore, poi, porta sulle labbra una seconda sigaretta.
E mi lascia di nuovo senza parole.
Mi stampa un leggero bacetto casto sulle labbra poi esce per primo dalla stanza lasciandomi sola. L’unica cosa che avevo capito era il semplice fatto che li stessi mettendo contro. E volevo evitare di farlo soffrire.
Ero io il problema, e in quanto tale, dovevo essere eliminato. Quante volte avevo fatto quel dannato discorso? Innumerevoli. E non avevo mai e poi mai portato a termine la mia decisione, ero troppo ostinata, in quell’amore che opprimeva.
Esco fuori, lentamente, incupita, e per la prima volta, mi siedo vicino a Jared, lontano, il più possibile dal Mio batterista, che se ne stava lì, a guardare fuori, ancora.  Sospiro, raccolgo i pensieri e le idee.
Sarà stato il dondolio del bus, o le ore piccole della sera precedente che crollo in un sonno profondo, di quelli pesanti e senza sogni, di quelli in cui sai di riposare e stai in pace, in quiete.
La prossima tappa era a Bellingham, era tutto ciò che ricordavo.
“Abby, sveglia.” Non era la voce che avrei voluto sentire.
Mugolo un nome, il Suo.
“Abby, sono Antonie, non Shannon.” Ride.
Spalanco gli occhi. “Non volevo Shannon, ho detto Scanner, sì, sì, ho detto scanner, giuro!” Era imbarazzante.
Antonie continua a ridere di gusto mentre si avviava verso l’uscita. Shannon aveva assistito alla scena, e nello girarmi, lo avevo notato, sorrideva divertito. Avvampo di rossore, poi torno seria.
“Noi… dobbiamo parlare.” Dico, quasi con freddezza.
Lui mi guarda confuso, abbassa la testa verso sinistra sporgendo appena il labbro inferiore. Le braccia erano conserte e le vene del braccio gli tracciavano qualche linea. Gli occhiali da sole erano scivolati sulla punta del naso e gli coprivano solo in parte la meraviglia dei suoi occhi. Quella maglia nera che indossava non gli rendeva giustizia.
Per l’ennesima volta, resto paralizzata, in apnea.
Lui si abbandona ad un altro sorriso, poi, passandomi accanto, mormorando con quella voce tanto profonda quanto soave: “Oggi pomeriggio, alle quattro nella mia camera.”
Annuisco e indietreggio, per poi scappare via, per non lasciarmi plagiare dalla melodia del suo tono, per non amarlo. Non si scappa per amore. Si scappa per evitare di amare.
Raggiunto il gruppo, il cast era già all’opera, e noi, stavamo organizzandoci con le valigie e i preparativi. E come il giorno precedente, prendo la mia valigia e noto che, recandomi alla reception, molti ragazzi e ragazze che passavano mi facevano un cenno col capo. Che strano.
La mia camera era la “6277”, ne rimasi colpita. Quanto era passato da “The Kill” a ora? Quanto tempo c’era voluto per diventare ciò che sono?
Salita in camera decido di voler abbandonarmi suonando. Non mi scatenavo alla batteria da qualche giorno, e ne avevo l’assurda necessita, afferrate le bacchette, quel mio prolungamento vitale, la mia batteria stava per essere montata sul palco, accanto a quella di Shannon, quindi, non potevo suonare.
Così, disfatti i bagagli, ritorno nel cortile e decido di vagare. Il mio sguardo, si sofferma poi, su un cumulo di strumenti lasciati da una banda musicale, e sfavillava anche una piccola batteria. Non era il massimo, ma, spinta dal desiderio, premo il tasto “Play” del mio I-Pod, e, sta volta, con “A Brand New Name” mi dimentico del mondo.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. Un pomeriggio d'estate. ***


Capitolo 16.
“Un pomeriggio d’estate.”
Finivo le ultime battute di “A brand new name” e apro lentamente gli occhi. Avevo l’abitudine di chiuderli, quando suonavo, come se volessi lasciarmi trasportare solo dalla musica.
Alcuni ragazzi, forse della mia età, si erano radunati intorno a me ed io, nel suonare, non me n’ero accorta, ed ora applaudivano e mi acclamavano come se avessi fatto chissà quale pezzo di una difficoltà immane, tra questi noto Antonie che mi sorrideva e applaudiva con loro.
Una bambina piccola, di due o tre anni, più o meno, mi guardava sorridente e cercava di applaudire con la poca forza che aveva. Lascio la piccola batteria e mi avvicino all’esiguo pubblico che mi accoglieva con gioia, poi mi abbasso, riuscendo ad arrivare alla mia piccola fan e a scompigliarle i capelli.
Lei mi abbraccia teneramente, come fanno i bambini nel vedere un vecchio amico, e io la stringo, lieta che qualcuno mi avesse apprezzato.
“Abby, Abby, mi fai un autografo?” Chiede un ragazzetto porgendomi una penna, ed io, senza alcun indugio, firmo un pezzo di carta bianca con uno scarabocchio, dato che, la mia calligrafia era stata variata dall’emozione di quel momento.
E poi ancora. Un altro foglio e un altro e un altro. E non mi tiravo indietro, no. Sapevo come ci si sentiva quando si implorava il proprio idolo per uno stupido scarabocchio, anche se fossero stati in mille li avrei firmati, fino alla fine.
 
“Sei stata brava.” Dice Antonie mentre tornavamo in camera.
“Sono stata me stessa.” Sorrido.
“Sei fantastica, Ab.” Ammette sospirando.
Mi fermo davanti alla porta della mia camera, mentre lo vedo scomparire nella sua. Erano le quattro e mezzo, sarei dovuta già essere da Shannon, quindi, busso alla porta affianco, ma non noto risposta. Eppure ero convinta che fosse la sua. Non era orario? Il mio orologio andava male?
Ricontrollo. Sì, erano le quattro e trenta del pomeriggio. Il mio Nokia mi segnalava un messaggio, lo visualizzo. Diceva “Abby, sono nel cortile, sul retro dell’hotel, raggiungimi lì. –Shan.”
Quasi d’impulso mi precipito verso l’esterno. Il cortile sul retro era un po’ distante dalle camere, cosa ci faceva lì?
Sento un rumore, simile a quello di un motore di qualcosa, ringhiava. Arrivata al luogo d’incontro, Shannon, stava macchinando con una moto, nera, di quelle da motociclisti esperti. All’apparenza sembrava nuova, ma qualche graffio insignificante caratterizzava il lato destro. Era imponente, enorme, e fottutamente bella. Lui, poi, indossava una giacca, di pelle e portava in mano un casco del medesimo colore della moto, e proprio come quella, sembrava essere costoso.
E per l’ennesima volta mi cattura il respiro e i battiti cardiaci. Il sole illuminava la moto e i suoi occhi facendoli splendere. E le sue labbra, piegate in un sorriso, sembravano ancor più rosse e deliziose. Stringo i pugni.
“Pensavo potessimo parlare lontano di qui, in spiaggia magari.” Interrompe il silenzio con quella sua voce melodica.
Annuisco, imbambolata.
Lui si avvicina e mi porge una giacca. “Voglio che la indossi, farà freddo.”
Mi soffermo sul suo braccio allungato verso di me.
“Non mi piace.” Storco il naso.
“Devi metterla. E anche il casco.” Mi lascia la giacca e afferra un altro casco nero porgendomelo.
Dopo aver borbottato infilo sia l’uno sia l’altro.
“Ti odio, Shannon Leto.” Ringhio infastidita, e lui, ne ride.
Mi sfilo il casco. “Senti, ma con questa presunzione, chi ti credi di essere?” Salgo sulla moto.
“Mh, che hai?” Mi guarda corrugando la fronte.
“Niente, mi da fastidio che mi obblighi come una bambina.”
“Scusi, signorina.” Alza gli occhi al cielo e prende posto avanti a me.
Lo abbraccio, spontaneamente, da dietro.
“Scusami.” Mormoro.
Lui mi sfiora le braccia, lentamente.
Mi rilasso, sospirando, poi mi ritraggo. Rinfilo il casco e lui parte, verso la costa.
 
Sembrava uno di quei panorami alla Kings And Queens, il sole era basso sull’orizzonte e dipingeva il mare cristallino d’un arancione vivo e intenso. Sfrecciavamo sulla litorale, avvinghiata alla sua schiena, con gli occhi persi in quell’infinito. Non c’erano limiti, non c’era ragione. Mi sentivo libera. Prendo un respiro, l’aria salmastra mi riempiva i polmoni. La velocità della moto faceva scorrere in me l’adrenalina, e la Sua presenza mi rendeva completa. Le onde si scagliavano sulla spiaggia con poca violenza, i gabbiani sfioravano l’acqua per poi ritornare nel cielo. Era fenomenale. Il più bel tramonto della mia fottuta vita.
 
Parcheggia sulla spiaggia libera e si sfila via il casco. I raggi del tramonto gli dipingevano il viso di splendore, come poco prima.
Macchino con la chiusura del mio casco, non riuscivo a sfilarlo via. Lui sorride e mi aiuta a toglierlo. Ero un’imbranata, lo so. Le sue mani, poi, indugiano sul mio collo.
Gli sfioro una guancia, lentamente.
Era seduto di fronte a me, bello, incredibile. E io non avevo il coraggio di dirgli addio. Non potevo rinunciare. Com’è possibile rinunciare all’unica cosa che ti tiene in vita?
“Cosa c’è?” Mormora lui, avvicinandosi a me.
Mi faccio coraggio, guardo in basso.
“Non possiamo..” Sussurro. “..Stare assieme.”
“Che stai dicendo?” Scuote la testa.
“Shannon” Alzo lo sguardo. “Sono la causa delle tue liti con Jared, capisci? Tu e Jared, tu e lui, avete fondato i Thirty Seconds To Mars. E io vi amo perché siete uniti, perché siete voi. Siete sempre stati ‘Jared e Shannon Leto’ i due fratelli del rock. Shannon, chi sono io per farvi litigare? Chi sono io, per provocare tutto questo?  Shannon… riflettici.” Le parole erano spontanee, il mio cuore si stava uccidendo.
“Vuoi… andare via da me?” Mi guardava, perso, triste.
Mi avvicino a lui. “Non voglio. Ma devo.”
Mi prende i polsi. “Non puoi andartene, no.” Sembrava quasi piangesse.
Appoggio la testa sul suo petto, lui mi stringe a sé.
“Non andare..” Mugola.
Gli sfioro le labbra con le mie. “Devo..Lasciami andare.”
“No.” Sussurra.
Gli stampo un bacio sulle labbra, freddo, inutile. “Vado in albergo.” Mi allontano da lui, ma, mi stringe a sé e mi bacia con foga, passione, intreccio la mia lingua alla sua, e le mie mani ai suoi capelli. Non volevo andasse via, non potevo andarmene, io lo amavo, io lo amo, io l’amerei anche se non mi avesse conosciuto. Bramavo le sue labbra, come la prima volta, e come la prima volta, non volevo finisse. Ero completa. Ero perfetta.
Terminato il bacio appoggia la fronte alla mia, stringendomi i fianchi. “Non osare andare via, ti prego.”
Accenno un sorriso. “Ti amo.” Mi lascio sfuggire.
Lui si allontana guardandomi negli occhi. “Non l’avevi mai detto..”
In effetti era così, non dicevo a tutti quella frase. Per me aveva un valore inestimabile, quasi esclusivo. E troppa gente lo usa in maniera impropria quando, andrebbe detto col cuore, quando qualcuno, il cuore, te lo fa esplodere.
“Te lo dico ora, io ti amo. Come non ho mai amato nessuno.” Ammetto.
“E io ti amo, perché non ho mai amato nessuno, e adesso so cosa significhi. Ora so amare, so amarti. Non ti lascerò andare via. Mai. ”
 
Non so cos’era successo, quel dannato pomeriggio d’estate. So solo che nessuno, né lui, né io, avrebbe mai e poi mai rinunciato all’altro. 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. Ricordi. ***


Capitolo 17.
“Ricordi”
Quella sera stessa avevamo avuto un altro ennesimo concerto, un altro successo colossale. Io e gli Shadows c’eravamo esibiti in ‘Edge of the earth’ e Oblivion, mentre i Mars avevano dominato il palco, come dei re, esattamente come facevano ogni volta.
Ed era un tuffo al cuore ogni qual volta, dal vivo, di fronte a me, Jared impugnava il microfono, Tomo pizzicava la sua chitarra e Shannon si scatenava sulla batteria. Era quell’emozione che si faceva largo tra ogni problema, ti faceva dimenticare il tuo “Io” per essere una di “Loro” di quella famiglia, immensa famiglia di Echelon.
Quella stessa sera le emozioni no, non potevano finire. Oblivion l’avevamo suonata io e Shannon, mi aveva trascinato sul palco, prendendomi di peso. Io mi ribellavo, per la vergogna, eppure mi aveva costretta tra le sue braccia e poi sullo sgabello della mia batteria, mi aveva porto le sue bacchette e lui ne aveva preso un altro paio. Mi aveva baciato sulla guancia davanti a migliaia e migliaia di persone che urlavano e c’eravamo esibiti al meglio di noi, lui ovviamente sempre impeccabile, mentre io cercavo di fare il mio meglio, il più possibile.
Jos e Jared, alla fine dello Show si erano lanciati tra la folla, e gli Echelon sembravano li stessero divorando, e nella mia mente m’era balzata la strabiliante idea di provarci, ma la razionalità me l’aveva impedito.
 
Adesso sono le 04.34 del mattino, guardo l’orologio. Sono nel pullman, da sola.
Avevo bisogno di dormire lontano da Shannon per evitare di farci l’amore. Non perché non volessi, no. Ma per il semplice fatto che non volessi metterlo nei guai, ancora una volta. Ormai era un rapporto strano, il nostro. Ci amavamo, ma di nascosto. Ero consapevole che avesse il terrore di farsi scoprire con me, ma avrei voluto che avesse badato di più al cuore, a ciò che desiderava davvero.
Mi volto verso il finestrino e tiro quel plaid rosso che avevo messo in valigia per scaramanzia, mi portava fortuna. Era caldo. Mia nonna ci aveva lavorato per un po’.  Appoggio la testa sul vetro freddo, rabbrividisco. Ripenso alla sera precedente, alle labbra di Shannon, al suo tocco. Sospiro, cerco di scacciare quelle idiozie, stronzate, voglie, stupide voglie di una ragazza che lo amava.
Vagavo, vagavo ancora. Ma le palpebre diventano pesanti.
“Abby, Abby” mi chiamava qualcuno, ma non riuscivo a identificare la voce, ma quel tocco, il Suo tocco sul viso mi rischiara le idee, stava provando a svegliarmi, forse. Ma ero troppo stanca, non riuscivo a parlare.
Shannon mi solleva tra le braccia e mi stringe a sé, sento il suo respiro sul collo e le sue mani sfiorarmi.
“Ti porto a letto.”
Mugolo, lui ride.
Quella risata l’avrei riconosciuta anche in un incubo.
 
Dopo di che, l’ultimo briciolo di cognizione mi abbandona e il nulla riesce a prendere il sopravvento.
 
Quando riapro gli occhi è già mattina. Il sole mi illuminava gli occhi, era insopportabile.  L’unica cosa che ricordavo della sera precedente era che qualcuno, dopo avermi portato in camera si era chinato su di me, baciandomi piano, lentamente, dopo di che avevo mormorato “Shannon” e lui mi aveva risposto con un “Dormi piccola, domani avremo più tempo.” Mi aveva baciato il collo, poi morso piano un labbro, ed era uscito, lasciandomi senza di lui.
Oggi saremmo dovuti partire per Spokane, un viaggio abbastanza lungo. Mi alzo di malavoglia dal letto trascinandomi fino al bagno, poi mi vesto in modo arrangiato e mi trucco, o almeno, provo a truccarmi in modo decente.
Quando scendo nel cortile già tutto lo staff e i miei compagni di viaggio si erano radunati mettendo in ordine le ultime cose. Eppure io non riuscivo a reggermi in piedi dal sonno, avevo dormito troppo poco.
“Abby, sembri malaticcia.” Dice Jared ridendo.
“Sì, ho dormito poco.” Mormoro io.
Shannon sorride nel vedere la mia espressione assonnata, ma le gambe tremule non riuscivano quasi a sorreggermi.
Derek mi raggiunge e mi prende in braccio, inaspettatamente.
“Va meglio?” Mi chiede lui.
“Mettimi giù!” Borbotto io.
Mi soffermo sull’espressione irritata di Shannon che squadrava me e il mio amico.
 
Da lontano, un ragazzetto moro, di discreta bellezza, dagli occhi azzurri e grandi scrutava la scena. Mi sembrava di averlo già visto, ma la lontananza quasi lo confondeva. Attizzo lo sguardo. Era palese, lo conoscevo. I capelli riccioluti gli arrivavano sulla fronte, la pelle candida faceva risaltare la magnificenza di quegli occhi che, tempo prima, mi avevano stregato: Andrew.
Mi si chiude lo stomaco nel rivederlo. Lo sguardo si sofferma nei suoi occhi. Derek, che aveva notato la mia espressione mi fa scendere. Tutti guardavamo quello strano ragazzo che ci fissava con le mani nelle tasche.
Mi avvicino, lui fa lo stesso, passo dopo passo. Basita, ero solo basita.
“Che ci fai tu, qui?” Domando io non appena fossimo ad una distanza tale da poter parlare.
“Sono venuto a riprendere ciò che è mio.” Dice, lui.
“E cioè? L’unica cosa che rimane, di te, sono i ricordi.”
“Quelli puoi tenerteli, sono venuto a prendere te.”
La stessa frase provoca in me un senso di rabbia, sento qualcuno avvicinarsi, dietro di me.
“Non voglio tornare con te e con le tue stronzate, e Jessica? Ti sei reso conto che non scopa bene, Andrew? Cos’è? Hai presto il giocattolo e vuoi riprendere l’altro dallo scaffale dei ricordi? Oh, merda, con me caschi davvero male.” Lascio che le parole scorrano da sole, piene di ira.
“Ma cosa stai dicendo? Non ti considero come le altre tu sei..”
“Una delle solite coglione che si è fatta prendere in giro!” Gli urlo contro.
“Abby, cazzo, smettila!”
“Non la smetto, Andrew, non la smetto, va via, esci dalla mia vita, ora e per sempre, e non mi fotte che sei venuto fin qui, non voglio vederti, mai più. Sei disgustoso, sei orribile, sei stato la causa dei miei pianti, delle mie incertezze, e non voglio più avere a che fare con te, e ora scusa, ma ho un tour da fare, una carriera da costruire e una vita da mettere in ordine, e per la cronaca, nella vita, nella mia vita, non sei incluso tu!”
Mi volto e noto che proprio Shannon era a qualche metro da me, lontano rispetto agli altri che stavano assistendo all’accaduto.
Andrew appoggia una mano sulla mia spalla ma Shannon mi tira verso di lui stringendomi forte.
“Ha detto che devi andartene, non ti è chiaro il concetto?” Ringhia Shan.
Andrew guarda prima me, poi lui.
“ Abby…” Mormora.
“Vattene!” Urlo ancora.
Lo sentivo allontanarsi piano trascinandosi via gli ultimi ricordi che gli appartenevano, e mi ero ripromessa di non piangere anche se, costretta tra le braccia di Shannon, nessuno, tranne lui stesso, poteva vedermi, e qualche lacrima si fa spazio tra l’orgoglio per scivolarmi via.
 
Non possiamo cancellare il passato, neanche quando proviamo a ricominciare. Ritorna nella memoria del presente per graffiarti il cuore. Ancora una volta. 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. Piena di lui. ***


Capitolo 18.
“Piena di Lui.”

“Ora calmati, dimmi chi è.” Aveva detto Shannon, tenendomi stretta a lui, dopo che gli altri componenti e lo staff sostavano nell’autogrill.
“Non voglio parlarne..” mormoravo.
“Devi, ti prego.” Mi guarda.
“Scusa, io non ce la faccio.” Guardo in basso.
“Quando vorrai, io sono qui.”
Annuisco con poca convinzione.
 
Ero tornata al mio I-Pod e a canzoni depressive quali alcune dei Pink Floyd, e pensavo, così, vagavo. Non c’è un motivo, la vita va male, il più delle volte. Non esiste uno spiraglio di felicità, no, affatto.
Io stavo lì, appoggiata con la schiena vicino al vetro, Shannon dal lato opposto del bus mi fissava. Di tanto in tanto gli sorridevo, solo per tranquillizzarlo. Talvolta chiudevo gli occhi, per non guardare la magnificenza del suo volto, semplicemente perché non volevo lasciar trapelare emozioni, emozioni logoranti.
 
Spokane non è lontana, ma il viaggio è lungo. Ognuno sembrava vivere da sé, se questa poteva essere definita vita. Non potevo avvicinarmi a Shan: Jared ci avrebbe trucidati seduta stante.
Avevo freddo, evidentemente avevo la febbre a causa della nottataccia della sera precedente. Mi porto la mano sulla fronte, ebbene, scottavo.
Sbuffo.
“Ab, cos’hai?” Chiede Antonie sedendosi vicino a me.
“La febbre.” Mormoro.
“Fortuna che stasera non ci sono concerti!” Ride lui.
“Divertente.” Lo guardo male.
“Si, in effetti.” Mi sorride.
“Quand’è che arriviamo?” Chiedo dopo una lunga pausa.
“Beh, Spokane è lontana da dov’eravamo prima, ma penso che tra un po’ arriveremo, sono già le cinque del pomeriggio.”
“Devo mettermi a letto.” Sussurro raggomitolandomi su me stessa e Antonie mi stringe forte.
“Va meglio?”
Annuisco.
 
 
Così, dopo mezz’ora, Jared riesce a scollarmi dal divanetto e mi costringe a rimettere insieme le mie ultime forze per trascinare la mia valigia fino alla mia stanza, poi precipito sul letto, dolorante.
Dopo un po’ sento bussare.
“Avanti..” Mugolo.
“Posso?” Era la voce vellutata di Shannon, ma la febbre alta mi costringe a rispondere solo con un cenno, restando ad occhi chiusi.
“Ti avevo portato un cornetto, ma sembri malaticcia.” Ride.
Mi tiro di malavoglia su, riuscendo ad afferrare la valigia fino ad arrivare al taschino inferiore, dove conservavo quel kit di pronto-soccorso e qualche farmaco, così decido di prendere una tachipirina.
Shannon si reca verso la porta chiudendola. “Non voglio mi trovino, stasera posso occuparmi di te.”
“Sì?” Mormoro.
“Certo.” Si siede sul letto, quasi sorridendo.
Crollo vicino a lui, e Shannon si stende sul letto prendendomi su di sé.
“Ti verrà la febbre.” Sussurro, stringendolo.
“Non importa.” Mi bacia, lentamente, intrecciando le mani ai miei capelli. Era bramoso, come sempre, ma sta volta si sentiva una tale premura e una tale dolcezza da lasciar senza fiato. Mi stringe a sé girandosi e portando me sul letto mentre lui si reggeva con un gomito per non far peso sul mio corpo con il suo. Intreccio le gambe alla sua vita, spingendolo contro di me mentre le nostre labbra continuavano a baciarsi e  le nostre lingue danzavano assieme, ancora,  di nuovo, desiderosi l’uno dell’altra.
Si allontana piano da me sorridendo appena.
“Jared ci ucciderà” Dico, accarezzandogli piano un labbro con l’indice.
“Non sa dove sono. Ho solo detto a Tomo che sarei andato in giro a trovare qualcuna per divertirmi.” Ride.
“E invece sei qui, perché?” Lo guardo dritto negli occhi cangianti.
Mi bacia lievemente il collo, sfiorandolo con le labbra. “Secondo te? Volevo stare con te, per una volta. Non ne abbiamo occasione durante il giorno, vuoi che me ne vada?”
“No, no.” Impugno la sua maglietta. “Mai.”
Shannon mi guarda così intensamente da lasciarmi imbambolata, persa, nei suoi occhi.  Mordicchiava continuamente il labbro inferiore, quasi come se si stesse trattenendo dalla rabbia, oppure, dalla tensione, come facevo io.
“Che c’è?” Gli domando.
Prima che potesse rispondere mi aveva già baciato di nuovo, con la stessa intensità di poco prima, poi infila una mano sotto la mia maglietta di cotone, sfiorandomi la schiena e costringendomi a rabbrividire.
“Shannon, n-no.” Mi allontano.
“Perché no?”
“Jared, non voglio metterti nei guai.”
“Non c’è Jared, e io non prendo ordini da lui, perché non posso dimostrarti che ti amo?” Si avvicina a me.
“Perché forse, siamo sbagliati.” Gli accarezzo una guancia e al contatto con la sua barbetta la mia pelle si rilassa, invece di contrarsi.
“Non mi interessa. Io voglio te.”
Guardo in basso. “Credi che io non ti voglia?”
Mi sfila la maglietta baciandomi una spalla. Mi mordo un labbro sospirando e stringendo i pugni. Innamorata, innamorata dell’impossibile. E per la millesima volta avevo paura che tutto questo fosse un sogno dal quale mi sarei svegliata.
Preme le labbra contro la mia pelle, poi con una mano, macchina con la chiusura dei miei jeans, ma lo aiuto a sbottonarli, li sfila via, indugiando sulle mie gambe, sfiorandole con le labbra.
In quel momento, il tocco delle sue labbra, della sua pelle, scollegano il cervello dal cuore, e mi ritrovo con la sua t-shirt tra le mani e i suoi pantaloni sul pavimento mentre le nostre labbra, ancora una volta si perdono in un altro bacio.
“Ti amo.” Mormora poi, sfilandomi via gli ultimi indumenti rimasti, quali il mio intimo.
“Credo di amarti anch’io”Sorrido.
“Credi?” Mi guarda male giocherellando con la Triad che mi scendeva sull’incavo del collo.
Gli bacio il petto, poi il collo, seguendo con le dita ogni muscolo del suo corpo perfetto, disegnando ghirigori sulla sua pelle liscia e soffermandomi con un dito sul tatuaggio a forma di Triad dietro al collo, tracciandone i contorni.
“Ti amo.” Gli sussurro all’orecchio. “E ti ho amato dal primo giorno in cui ti ho visto. Ho solo paura di svegliarmi.”
“Se stiamo sognando, sogniamo assieme.” Mi sfiora il profilo del corpo.
Rabbrividisco trascinandolo su di me. Nient’altro. Era facile, facile amarlo. Era facile come respirare.
Una volta liberatosi anche dai boxer, e dopo avergli ricordato di prendere precauzioni, si spinge dentro di me.
E di nuovo, labbra su labbra, corpo su corpo.
Mi era mancato ardere con lui, ardere per lui. Lo desideravo, come sempre. Questo mio amore insano mi divorava gli organi vitali mentre lui, dentro di me, si impadroniva non solo fisicamente del mio corpo, ma anche della mia anima, di quel cuore che batteva, ormai picchiava forte contro quel petto, quel cuore che non era più mio, era suo, gli apparteneva, come gli appartenevo io. E gemevo, sì, ansimavo, per il semplice fatto che quell’amore insano era ciò che volevo, ciò che mi teneva viva, per quanto odiassi amarlo, per quanto odiassi l’amore in generale, l’unica cosa che potevo fare, con lui, era proprio amarlo, perché non mi ci vedevo senza, perché ero sua, perché adesso Abby, non esisteva più, ma esisteva un' anima colma di lui.
E facevamo l’amore, di nuovo.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. Vetro. ***


Capitolo 19.
“Vetro”
 
Mi aveva preso per mano alle 11 del mattino seguente e costretto a seguirlo per una passeggiata in città.
“Sei sicuro che non s’insospettiranno nel vederci assieme?” Gli dico mentre salgo sulla sua inseparabile moto.
“Una giornata comune tra comunissimi amici.”
Ci scambiamo uno sguardo intenditore e prima che qualcuno potesse vederci mi stampa un bacio sulle labbra.
“Dov’è che vuoi portarmi di preciso?”  Gli avevo urlato mentre sfrecciavamo assieme sulla moto che portava in centro, anche se l’hotel non era per niente distante.
“A fare un giro, ci divertiremo.” Risponde ridendo.
 
Spokane non è affatto una città da sminuire. Sebbene non affacci sul mare è interessante.  E’ ricca di negozi per i patiti della moda, nonché la piazza centrale sia immensa e piena di distrazioni. Addirittura era munita di un parco di divertimenti.
“Allora, inizierei dal parco di divertimenti.” Ride lui, parcheggiando la moto. Io gli sorrido annuendo. Circospetto si guarda intorno per rubarmi un bacio, poi, mi tira giù e camminiamo verso la piazza, mano per mano.
Camminavamo fianco a fianco, mano nella mano, incuranti delle persone che ci vedevano e urlavano “OSSIGNORE, SHANNON LETO!”
Talvolta si fermava per sorridere e firmare qualche pezzo di carta, io rimanevo lì a guardarlo, oppure lo abbracciavo, senza spingermi oltre.
“Eccoci!” Indica entusiasta il parco di divertimenti.
La mia vista si ferma su un clown all’ingresso, indietreggio.
Fin da piccola ho sempre avuto il terrore dei clown assassini.  Ne ero rimasta impressionata da un incubo avuto all’età di due anni in cui un tipo travestito da clown mi accoltellava la schiena. Ed ero rimasta segnata a vita.
Mi nascondo dietro Shannon. “N-on voglio entrare” balbetto.
“Come no? Spokane è famoso per questo parco e non vuoi entrare?” Ride voltandosi.
Sbianco osservando il clown muoversi, Shan sembra accorgersene.
“Hai paura di quello?” Ghigna.
“N-no.” Mento.
“Abby.” Sussurra. “Non lascerò che un clown rovini la tua vita, ci sono io, fidati. Non succederà niente, puoi mettere da parte la paura e affrontare un giorno diverso con me?”
La sua voce melodiosa riduce le mie preoccupazioni a un granello di polvere insignificante, e annuisco con sicurezza.
Mi cinge le spalle con un braccio e non appena entriamo qualcuno tira Shannon dalla canotta.
“Shannon!” Era un timbro femminile, molto vicino a noi, ci voltiamo.
“A-Allyson!” Le risponde lui.
Era una ragazza, alta, mora, dagli occhi azzurri. Era pallida, ma quel pallore la rendeva fottutamente splendida. Indossava un vestitino rosso, che le scolpiva il fisico slanciato, lasciando scoperte le gambe nude, che terminavano con tacchi vertiginosi, rubini, come il vestito. I capelli corvini le scendevano sulle spalle disegnando spirali. Era una di quelle bellezze che lasciano senza fiato, impietrite, al confronto con qualcuno che indossava converse e jeans. Mi sento contrarre lo stomaco.
“Che ci fai tu qui?” Sorride lei, sfoggiando un sorriso perfetto dalle labbra scarlatte.
“Sono in tour, e tu?” Chiede lui, illuminandosi con un sorriso di rimando.
“Convegno, sai.. Sempre quegli impegni assurdi.” Si giustifica.
“Ah, si, i soliti convegni.”
“Cosa puoi aspettarti da una modella?” Ride lei, dolcemente.
Fantastico, era una modella. Mi sentivo una pulce al confronto con una leonessa.
“Hai ragione.” Annuisce Shannon.
“E proprio per i miei convegni assurdi… è finito tutto tra noi.” Mormora lei guardando in basso.
Inizio a tremare, eppure non faceva per niente freddo. Stringo la canotta di Shannon.
“Già…” Dice lui.
“E la tua amica non me la presenti?” Ride lei guardandomi con aria altezzosa.
Mi ritraggo, reazione orribile.
Shannon ride. “Ha paura dei clown.”
Allyson ghigna.
“Abby…” Porgo la mano, tremante.
“Sai già il mio nome” la stringe alla mia.
Annuisco.
“E quindi è tua figlia?” Chiede la modella ironizzando.
“No!” Shannon accompagna la risata dell’amica. “E’ una sorta di apprendista, le stiamo insegnando i trucchi del mestiere con la sua band.”
Apprendista, ecco come mi definiva. Solamente un’apprendista. Stringo i pugni, imbarazzata.
“Non sembri molto loquace piccolina!” la bella ragazza mi scompiglia i capelli, come se avesse a che fare con una bimba di due anni.
Non rispondo, altrimenti le avrei sputato sul bel visino di porcellana.
“Be’ allora, potremmo vederci, ti va?” Gli domanda.
“Certo, quando vuoi.” Risponde Shannon.
Lei caccia un biglietto con un numero di telefono scritto in nero.
“Chiamami quando vuoi. Mi sei mancato, Shannon. Mi manca tutto di noi.” Lei gli si avvicina e preme le labbra scarlatte su quelle di Shannon.
Indietreggio.
“Ciao Leto.” Con il suo portamento divino ondeggia via, lontano da me e Shannon, ed io resto lì, impietrita avendo guardato una scena assurda davanti ai miei occhi increduli.
“Abby?” Domanda Shannon voltandosi.
“Apprendista? Figlia? Quel bacio?” Quasi urlavo.
“Abby, è finita con lei…”
“Tu, lei, vi siete baciati!” Lo interrompo bruscamente.
“E’ stato un bacio a stampo, diamine, non la vedevo da secoli!”
“Che significa? Ora tutte quelle che non vedi da secoli hanno il diritto di baciarti?”
“Abby calmati!” Mi urla contro, qualcuno si volta chiedendosi cosa stesse succedendo.
 
“Ommioddio! Shannon Leto!” Delle ragazzine corrono verso di lui facendo cessare la nostra lite. Lui, sempre pronto per i fans, inizia a firmare fogli e a fingere sorrisi nelle foto. Approfittando della sua distrazione corro via, fuori dal parco giochi.
Non sapevo dove stessi andando, ne tantomeno avevo piantine della città.
Sento il cellulare squillare. –Shannon chiamata-
“Merda” mormoro.
Noto un pover’uomo solitario su una panchina. Spengo il cellulare e dopo aver tolto la SIM glielo porgo assieme a venti dollari.
Lui mi guarda e mi ringrazia con vigore, io gli sorrido.
“Conosce una strada per uscire dalla città?” Domando.
“Vada dritto, troverà un sentiero, porta alle campagne, ai parchi verdi, pieni di papaveri. E’ uno spettacolo grandioso.”
“La ringrazio.”
Seguo le indicazioni dell’uomo, passo dopo passo, accelerando. Avevo la netta sensazione di sbagliare. Purtroppo, non ho ancora il coraggio di affrontare i problemi, all’istante, ma penso, prima di agire. Avevo bisogno di un luogo mio, solo, da perdermici.
E Shannon, be’ lui, era lì, nella mia testa. Ma era palese che non potessi essere alla sua portata. Avevo notato che ogni donna con cui era stato, oltre ad essere più grande di me, era molto più bella e sinuosa rispetto ad una ragazzina quindicenne che si fingeva diciassettenne.
Ero vetro, disperso tra ferro. 

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