Staying back watching her shine

di olor a libros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 'Staying back and watching me shine' ***
Capitolo 2: *** 'Look now: the sky is gold' ***
Capitolo 3: *** 'I'm 13 now and don't now how my friends could be so mean' ***



Capitolo 1
*** 'Staying back and watching me shine' ***


Il mio nome è Andrea.
Ma il nome da solo non vi dice niente, così aggiungerò anche il cognome e vedremo se in questo modo riuscirete a sentire qualcosa.
Il mio cognome è Swift.
Già, Andrea Swift; Certamente vi suonerà strano, preferireste un altro nome ad accompagnare Swift.
Riesco quasi a vederlo, quel cognome nella vostra testa che brilla, e chiama accanto a sé un nome capace di brillare altrettanto.
Taylor, è questo il nome che dovrebbe esserci.
E questo è il nome di mia figlia.
Taylor Swift.
Questo il nome che ogni volta esce da migliaia di bocche spalancate; questo il nome che stanno chiamando anche adesso, in un unico grido che mi avvolge completamente.
E io, io sono "la mamma di Taylor Swift"; quella dolce e grassottella mamma che parla con i fans e li aiuta ad incontrare Taylor nei famosi T-Party.
Ma non fraintendetemi, è così bello essere la mamma di Taylor Swift.
E' tutto quello che chiede un genitore: stare dietro ai propri figli a guardarli brillare, stando abbastanza lontano dai loro passi perché si scelgano da soli la strada, ma allo stesso tempo abbastanza vicino da poterli acciuffare prima che cadano.
E così faccio io, anche se a dirla tutta il mio posto non è alle spalle di mia figlia, ma sotto un palco.
Sotto un palco, a guardare lei lassù, a vederla con gli occhi dei suoi swifties, i suoi fans che la amano tanto.
Immersa fra tutti quei sorrisi e quelle lacrime di gioia, sposto lo sguardo e non incontro altro che occhi pieni d'amore che guardano lei, mia figlia.
Ed è la più grande ricompensa, vedere l'amore in così tante paia di occhi; quell'amore che ha creato Taylor ed in parte anch'io, avendo a mia volta creato lei.
Tutti i viaggi, tutta i sacrifici che feci per aiutarla a raggiungere il suo sogno; e ora questo enorme tour mondiale, giorni passati in aereo sempre al suo fianco - anzi, dietro - tutte le speranze che ho riposto in lei; tutto questo all'improvviso è niente, di fronte alla gioia di essere lì a guardarla brillare.
Siamo stati in Asia e parte dell'Europa, ed ogni volta Taylor era accolta come una vera stella. E' stato incredibile, scoprire che non sarebbe esagerato dire: "Mia figlia è amata da tutto il mondo".
Abbiamo visto tanti di quei luoghi, città fra le più strambe, visi diversi fra loro, ed è stata un po' come una seconda luna di miele.
Una luna di miele... Con mia figlia. E la sua band. E tanti, tanti ragazzini urlanti. Non ci siamo annoiati, vi dirò.
Questa sera siamo in Italia, Milano.
Lei è come sempre sul palco, e come sempre sta dando il meglio di sé.
E, come sempre, io mi perdo in divagazioni. Sto diventando parecchio sentimentale; dev'essere l'età, o forse è l'ambiente da favola che si crea ad ogni concerto.
Eppure vedendola lì, i riflettori puntati contro, la sicurezza - ma sicurezza dolce - con cui si muove, quell'aura che la circonda come fosse invincibile, non posso non pensare a quando era solo una ragazzina, in cerca di un posticino in questo mondo.

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Capitolo 2
*** 'Look now: the sky is gold' ***



Una nuvola di capelli biondi quasi bianchi.
Sotto una faccina che spunta, un nasino all'insù, due occhietti azzurri quasi grigi - pezzi di  cielo sotto le nuvole. Due guanciotte sporche di colore, la bocca corrucciata in un'espressione buffissima. Le manine si protendono verso di me, me le mostra, mi fa vedere quanto sono colorate, anche quelle. Poi sorride, gli occhi che brillano, lei che brilla in un arcobaleno di colori.
"La pittura va sul foglio, non sulla tua faccia, Taylor.", le dico.
Lei ride una risata sdentata.
Poi riprende a 'dipingere'. Passa le dita sui tubetti di tempera, sceglie il bianco, ha i pennelli proprio lì vicino ma li scarta subito. E' più divertente usare direttamente le mani, certo.
Ha già riempito fogli su fogli di manate colorate, bianco verde giallo rosso blu, gli stessi colori che ha sulle mani.
Ora una nuova impresa: pretende di colorare un foglio bianco con la tempera bianca.
Bianco su bianco. Come può pretendere.
Passa le dita sul foglio, è tutta concentrata, la testolina piegata, e chissà cosa sta disegnando.
Dopo qualche minuto ha finito, mi porta a vedere il suo capolavoro e mi guarda tutta soddisfatta.
Un foglio bianco.
"Cos'è, Taylor?"
"Una pecora invisibile!"

"Bravissima."









"...bravissima, canti proprio bene!"
Sì ferma un attimo, lì nella sua tutina rosa, poi riprende a girare. E a cantare. E' una canzone di cui non conosce bene le parole, ma lei va avanti, è tutta presa, si diverte, con la sua vocettina e la testa che le gira, e ormai non ce la fa più, si butta sulla poltrona di pelle con quel suo corpicino, e ride.
Quella è stata la prima volta in cui mi ricordo di aver pensato: Potrebbe fare la cantante, da grande.
L'avevo visto lì, insieme a tutti gli altri futuri che avrebbe potuto avere. Non so dire se avessi già visto tutto questo, tutto quello che poi è stato, forse solo una piccola scintilla.
Ma sapevo che qualsiasi cosa sarebbe diventata, lei sarebbe rimasta bella com'era in quel momento, con quella luce e quello sguardo intelligente. Sarebbe diventata qualcosa di davvero, davvero bello. Non importa cosa.

"Guarda in che condizioni ti sei ridotta, signorina. Hai finito di fare la trottola? Vieni, andiamo a dare un senso a questi capelli."








"...cos'hai nei capelli?"
"Ragni."
"Ahahah... non sono ragni, cosa sono quelli?"
"Codini."
"Sì, codini! Sei bellissima oggi, signorina Taylor."
"Grazie."
"Prego."
"Grazie, grazie..."
"Prego, tesoro."









"Cosa fai, mamma?"
"Prego, tesoro."
"E cosa dici a Dio?"
"Gli dico grazie."
"Perché?"
"Per te."









"Per te."
Guarda in su verso di me, mi porge un fiore giallo mentre sfodera uno dei suoi sorrisoni.
Non posso fare a meno di ridere.
"Oh, ma grazie, è una primula!"
Non so dove abbia trovato un fiore, in questo terreno duro e quest'aria fredda che la primavera ancora non l'ha vista.
"Vieni qui, dammi un bacio. Eh? Me lo dai anche un bacio?"
Inizia a ridere e correre, un pulcino dentro un giaccone imbottito, spuntano solo le gambette secche e qualche ciuffo di capelli.
Va anche veloce, corricchia sui suoi piccoli piedini, ma i suoi mille passetti equivalgono ad un passo mio. Per questo riesco a raggiungerla dopo poco, le acciuffo quel pon pon che ha sul cappellino e lei fa finta di non riuscire più ad andare avanti. Si dimena, ma non scappa.
Poi si arrende del tutto, ha perso, ma non era che un gioco, e alla fine arriva quel suo piccolo bacetto sulla mia guancia, me lo sono guadagnato.
"Grazie."
"Nieeeeente!"
"Dài, che dici, torniamo a casa?"
"Mhm-mhm."
La prendo per mano, ma lei rimane un po' indietro sui suoi passetti stanchi, mi abbraccia una gamba.
La prendo in braccio, poco dopo si addormenta; e arriviamo a casa così, passo dopo passo, mentre il cielo si fa dorato di tramonto.

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Capitolo 3
*** 'I'm 13 now and don't now how my friends could be so mean' ***



C'è un tredici grande e colorato in mezzo alla torta, e sopra altrettante candeline.
La mia Taylor soffia, si spengono tutte, no una è ancora accesa, soffia ancora, ecco, tutte spente.
Si è disegnata un tredici sulla mano, oggi, Taylor. Ha gli occhi che brillano, mentre li passa su di noi, e il suo sorriso risponde ai nostri applausi.
E' il 13 dicembre del 2002, Taylor compie tredici anni.

"Che desiderio hai espresso?"
"Non si può dire, Austin, altrimenti non si avvera!"
"Tanto lo sappiamo tutti cos'era."
"Sì, ineffetti mi sa di sì.", ride.
Ridiamo tutti, perché il suo sogno più grande non è certo un segreto. E' sempre lì sulla sua bocca, sulla chitarra, nelle note che ogni sera escono dalla sua stanza, negli infiniti tentativi di convincerci ad andare a Nashville, mamma che dici potremmo trasferirci a Nashville, papà che ne dici di Nashville?, vi prego mi portate a Nashville?

Le sue coetanee sognano di essere invitate alla festa del sabato sera, sognano di uscire con il ragazzo della squadra di football, sognano di essere popolari.
Lei no, lei guarda più in là, lei tutto questo lo prende come qualcosa di temporaneo, il mondo esterno lo vede ma non troppo, sono solo distrazioni, lei è sempre con gli occhi ben puntati su quello che davvero vuole fare: diventare una cantante country.



"Cantante country? Vuoi fare la cantante country?!"
Taylor imita i suoi compagni con una voce nasale. E disgustata.
E io posso facilmente immaginare come gli sguardi che le rivolgono siano anch'essi sguardi di disgusto.
Perché?
Perché lei è diversa, un conto è dire 'voglio diventare una rockstar', o una popstar, ma il country... il country non è 'cool'.
Lei è diversa.
E questo comporta sedersi da sola a pranzo, camminare da sola per i corridoi, non avere nessuno con cui parlare ma anzi avere qualcuno che parla di te. Sempre. Ma con discrezione, di orecchio in orecchio, sono poi solo le risatine quelle che davvero si notano.
Io so cosa sia tutto questo per lei.
Eppure non posso fare niente, se non lasciarmi bruciare da questa rabbia impotente che mi cresce dentro sempre più.




"Non verranno."
"Nessuno? Sei sicura?"
"Sì."
"Ma come fai a saperlo, magari..."
"Si sono messi a ridere."
"..."
"... E hanno strappato i volantini."
Non urla, Taylor.
Non è arrabbiata, con nessuno. E' triste, e non urla, sta piangendo.
 


E il mio cuore piange a vederla così.
Ora hanno passato il segno. Questa mattina mi sveglio decisa a fare qualcosa.
Qualsiasi cosa. Ma non starò più semplicemente a guardare le lacrime di mia figlia mentre gli altri la fanno a pezzi.
Ora lei è a scuola, e non importa se per lei sarà la cosa più imbarazzante della sua vita.
Ora io metto in moto la macchina, e vado dritta alla sua scuola.
Dritta davanti a quelle facce che sanno solo guardare e parlare da un lato della bocca.
Dritta davanti a quelle persone che credono di essere migliori della mia Taylor.







La sera del concerto Taylor è contenta. Non le importa più niente di quegli stupidi dei suoi compagni. Ora lei avrà un primo vero concerto, ossia un piccolo palco in un piccolo locale.
Ma qualcuno è venuto.
Sono lì sulle sedie un po' impauriti, ma la salutano quando entriamo.
E poi ci sono tutti i parenti, e così alla fine i posti a sedere sono tutti occupati.

Davvero un bel concerto. Taylor è radiosa, ha quella sua luce negli occhi.






La sento arrivare, sento che posa le chiavi sul tavolo.
E subito dopo sento le lacrime.
Non aspetto neanche di veder comparire il suo faccino triste.
Afferro le chiavi della macchina e quasi la trascino fuori stretta in un abbraccio.
Le apro la portiera, la faccio salire e poi faccio il giro e salgo anch'io.
Metto in moto.
"Dove andiamo?"
"E' importante?"
Sorride, e allora chi le guarda più le lacrime ora che c'è il suo sorriso.
Accendo la radio.
Ne esce una canzone, non so neanche quale, ma lei si mette a cantare, e lo faccio anch'io.
Così filiamo via lontano, cantando che sembriamo ubriache, con i kilometri dietro di noi e le risate che riempiono l'auto e il mio cuore.

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