The Worst That Could Happen.

di LucyToo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Premessa: La storia contiene tematiche forti, di stupro, violenza e omofobia, che non ricorrono in tutti i capitoli, ma che sono ugualmente presenti. Hurt/Comfort sarebbe la definizione migliore.
La fanfiction in inglese è stata scritta con i tempi al presente, ma per motivi pratici abbiamo deciso di renderla al passato per rendere la narrazione più scorrevole.
Beta reader: Kurtofsky.
Questa è la fanfiction che ogni Gleek dovrebbe leggere, non solo i fan della Kurtofsky, sperando che una volta arrivati in fondo la amerete come i 6 pazzi che la stanno traducendo :)


 

The Worst That Could Happen

-Capitolo 1-

http://www.fanfiction.net/s/7109340/1/The_Worst_That_Could_Happen



Cominciò tutto con un'email.
Kurt non riconobbe l'indirizzo del mittente. L'avrebbe voluta cancellare come faceva con le mail spam incredibilmente seccanti che il suo account di hotmail sembrava incapace di eliminare (malgrado le loro promesse e la cartella che gli avevano creato chiamata Junk con ben troppo ottimismo) se non fosse stato per l'oggetto:
 
Ascoltami fino in fondo e non ti darò più fastidio.
 
Aveva già visto messaggi così creativi per delle mail spam, ma quando indugiò con il puntatore del mouse sul pulsante per cancellarla, il suo istinto lo fermò. Aprì la mail, pronto a farla finire nella cartella degli scarti non appena avesse visto un link sospetto o un riferimento alla dimensioni del qualcosa di qualcuno.
 
Santana non vuole più fare la cosa dei Bullywhips visto che non è diventata reginetta del ballo (e se Kurt non fosse già stato abbastanza distratto dal mittente della email, avrebbe sussultato al ricordo di chi fu eletto reginetta del ballo) e senza di lei non ho la scusa per farlo. Comunque, mi sembra di non aver fatto ancora abbastanza, quindi se ogni tanto mi vedi in giro per i corridoi non spaventarti. Non si tratta di stalking o qualcosa del genere, e non ho intenzione di fare nulla. Penso solo che qualcuno dovrebbe tenerti d'occhio per un po'. E se qualcuno ti rompe le palle fammi sapere.
 
L'email era firmata solo con 'Karofsky', e Kurt non seppe se ridere ironico o scuotere la testa triste quando vide che l'indirizzo del mittente era 'thisiswhereyousendmeemails' (*) chiocciola gmail.
Era strana, e inaspettata, ma Kurt non la cancellò subito come forse avrebbe dovuto fare.
Karofsky si era già scusato una volta con lui, e Kurt non aveva visto neanche un accenno di disonestà in quelle scuse. Nonostante l'eccessiva compensazione, credeva davvero che quel “caso non dichiarato” fosse dispiaciuto, e anche se quella non era la soluzione a tutti i loro problemi, era abbastanza per Kurt da imparare a non essere più spaventato dal suo precedente tormentatore. Certo, non erano neanche lontanamente amici: era perfino tentato di chiedere a Karofsky dove avesse preso il suo indirizzo email.
Ma quando rispose, non lo fece. Non disse un sacco di cose che invece avrebbe voluto. Gli scrisse un messaggio - miracolo dei miracoli - semplice.
 
Pensi di non aver ancora fatto abbastanza? Se pensi di dovermi qualcosa, non ne hai motivo. Abbiamo fatto pace e a me va bene così.
-Kurt
 
La risposta arrivò prima di quanto si aspettasse, la notifica dell'email lampeggiò come se fosse appena entrato nel sito di Perez Hilton e questo gli fece tornare in mente che, a dispetto di quello che ogni tanto dicevano i suoi amici, al mondo esistevano persone più gay di Kurt Hummel. 
 
Beh, a me non va bene così. So che non è abbastanza. Se la cosa ti da fastidio dimmelo che la smetto. Ma io ti devo ancora qualcosa.
 
Kurt non era un santo. Anche se non credeva in Dio, sapeva che raramente le persone erano capaci di vite altruiste piene di perdono e il voltare l'altra guancia o tutte quelle virtù alla Madre Teresa. Ma Kurt non era una di quelle persone. A volte si arrabbiava ancora per colpa di Karofsky, per le sue continue persecuzioni e il modo in cui a nessuno era mai importato di fermarlo. Pensava ancora che il consiglio scolastico gli avesse tirato un forte schiaffo in faccia quando avevano revocato la sua espulsione.
Karofsky era davvero dispiaciuto, ma era facile essere dispiaciuto. Non c'erano sfide nel 'dispiacere', nessuno sforzo. Karofsky aveva ragione – indossare un ridicolo basco e pattugliare i corridoi come in una pubblicità per Santana la reginetta del ballo alla Law and Order, non era affatto abbastanza per rimediare a quello che aveva fatto.
Ma nonostante i brillantini e i sorrisi, Kurt non era completamente ingenuo. Infatti poteva essere davvero schietto e cinico riguardo alcune cose. Ricevere una scusa da un bullo non era abbastanza, ma era molto di più di quello che spesso ricevevano la maggior parte delle persone. Far fare coming out a una completa testa di rapa non dichiarata in un momento di rabbia non assolveva tutti gli idioti dai loro sporchi doveri, ma d'altra parte la maggior parte dei gay non dichiarati come Karofsky rimanevano nascosti per troppi decenni e vivevano in maniera miserabile. A volte non lasciavano neanche Narnia.
Kurt era un ragazzo del Glee con la mentalità aperta, ma sapeva come andavano le cose nel mondo. Sapeva che la giustizia spesso bisognava farsela da soli. Karofsky stava venendo alla luce con una scusa e un basco, ma era a miglia di distanza rispetto a dove era un paio di mesi fa, ed era già qualcosa.
Quindi era sincero quando scrisse una risposta curata per Karofsky
 
Se pensi davvero di dovermi qualcosa, sai già qual è l'unica cosa che voglio da te. Tutte le volte che ti dico di fare coming out ti rifiuti senza pensarci. È tutto ciò che voglio da te, okay? Non è nemmeno la cosa del coming out. Voglio solo che ci pensi sul serio. Ho conosciuto tuo padre. Sembra una persona comprensiva. Magari puoi cominciare con lui e vedere come va. A questo punto credo veramente che dovresti iniziare semplicemente dicendo ad alta voce le parole guardandoti allo specchio. So che pensi che mi comporti come un disco rotto su questo argomento. Ma ci sono passato anche io, e sono uscito dall'altro lato vivo e vegeto, giusto?
-Kurt
 
La risposta tardò ad arrivare. Kurt aprì la pagina di Perez in un'altra finestra e controllò i post assente mentre aspettava che l'indicatore facesse di nuovo beep. Ebbe un'improvvisa e probabilmente ingiusta immagine mentale di Karofsky seduto davanti al computer a scrivere lentamente una risposta con due grosse dita, facendo un immenso sforzo a scrivere le parole correttamente. Il che era, okay, un po' meschino, ma nessuno ha mai detto che Kurt Hummel non possa essere meschino. Era una delle caratteristiche che lo definivano.
Alla fine, arrivò.
 
Sai perchè prima ti odiavo? Perchè tu hai fatto quello che io ho troppa fifa di fare. Tu sei un promemoria vivente di quanto cazzo sia codardo. Alcune volte voglio farlo, sai? E penso diavolo, tu l'hai fatto, perchè non posso farlo anche io?
Ma è una stronzata. La mia vita non è per niente come la tua. I tuoi amici sono diversi, tuo padre è diverso, e solo perchè tu sei riuscito a fare coming out con loro ed è tutto fiori e unicorni o quella roba lì non vuol dire che sarà lo stesso per me.
Fa schifo, non voglio mentire. A volte odio la mia vita del cazzo così tanto che penso di fare cose stupide. Ma se dico alla gente la verità, potrebbe fare ancora più schifo. Ad ogni modo questa cosa non ha senso e non so come dirla in modo giusto, ma fa lo stesso. Solo non ti allarmare se mi vedi in giro per i corridoi, è tutto quello che ti sto dicendo.
 
Kurt parlava come un disco rotto ma perfino lui poteva stancarsi di ripetersi. Avrebbe voluto lasciar perdere, ma c'era un'ultima frase, più sotto, come se Karofsky avesse schiacciato il tasto Invio un po' di volte pensando a cosa scrivere.
 
Se tutto ciò che vuoi è che io ci pensi, credo che tu abbia già vinto. Perchè non riesco più a pensare a qualsiasi altra cosa.
 
Era una vittoria che non soddisfava, ma Kurt la accettò. Gli rispose molto brevemente:
 
Allora pensa a questo: se lo fai, qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere? Onestamente, non voglio essere impertinente, ma dovresti pensarci sul serio. Perché se immagini la cosa peggiore che potrebbe succederti e la confronti con l'inferno in cui stai vivendo adesso... vedrai qual è la scelta migliore e potrai prendere una decisione in modo più semplice.
E per quel che conta... anche se non sceglierai la strada che penso dovresti, sono comunque abbastanza fiero di te.
 
Fu strano scrivere quelle cose, e fu ancor più strano inviarle. Ma forse la cosa più strana di tutte fu realizzare che le pensava davvero. Aveva avuto dei problemi con Karofsky, che basterebbero per secoli di terapia, ma sapeva anche com'era stare chiusi dentro l'armadio, e ossessionarsi se fare quel primo passo o no.
Aspettò la risposta per un po', facendo shopping online sul sito di Prada e sbavando sui nuovi modelli di Hugo Boss. Quando realizzò che stava aspettando un'email da David Karofsky, il surrealismo diventò impossibile da ignorare. Borbottò tra sè e sè e chiuse il computer per scendere al piano di sotto e vedere cosa stava preparando Carole per cena.
 
Il giorno dopo nei corridoi affollati notò una giacca letterman mentre andava dall'aula di letteratura inglese a quella di musica. Karofsky si appoggiò al muro con nonchalance, finchè Kurt e Finn non furono abbastanza lontani, e dopo essersi stiracchiato li seguì. A distanza – Finn non lo notò neanche – ma abbastanza vicino che Kurt dovette solo voltarsi un attimo per individuare il rosso della giacca.
 
Decise subito che non gli dava fastidio. Magari avrebbe dovuto fare l'orgoglioso e andare a dirgli che non gli serviva un baby-sitter, ma poi si ricordò che non era molto bravo a difendersi dai bulli.
 
Quando raggiunsero l'aula di musica, Kurt tenne la porta aperta a Finn e rimase indietro abbastanza da vedere Karofsky arrivare e ciondolare sul posto come se la sua destinazione fosse una delle aule lì vicino. Quando gli passò accanto, Kurt seppe che stava sorridendo. Era un sorriso debole, incerto, ma era tutto ciò che aveva da offrire.
 
"D'ora in poi ti chiamerò Dave", annunciò, annuendo a se stesso mentre pronunciava le parole, soddisfatto della decisione presa.
 
Con sua grande sorpresa Karofsky non si irrigidì – almeno non troppo. Incontrò gli occhi di Kurt per un istante fugace e gli sorrise di rimando. Piccolo, insicuro e... strano, quasi timido. Davvero un nuovo aspetto per lui, e realizzò che quello sguardo gli fece rilassare le spalle e crescere il suo stesso sorriso.
 
Karofsky-che-adesso-è-Dave non disse nulla. Continuò a camminare per il corridoio. Kurt lasciò che la porta dell'aula di musica si chiudesse dietro di lui, e si preparò per un'altra ora di Rachel che faceva sfoggio delle varie soap opera etero-tragiche che amavano svilupparsi in quell'aula.
 
Quindi fu così che iniziò. Con un'email, e un sorriso timido nei corridoi, e nessuna idea di dove le cose sarebbero potute andare da quel momento in avanti.
 
Dove finì, però... nel luogo in cui iniziò qualcosa di interamente nuovo e del tutto orribile... fu in un oscuro spogliatoio con voci in preda al panico e l'intera visione del mondo di Kurt che si sfasciava, diventando qualcosa che non riconosceva più. 
 


 
Era di nuovo nell'aula di musica. (Era passata una settimana dopo le email, quel piccolo sorriso nei corridoi e la decisione che la “nuova vita” di Karofsky si meritava un “Dave”, ma l'aula di musica rimaneva un'ambientazione comune nella vita drammatica di Kurt.)
 
"D'altronde, penso che dobbiamo ammettere che anche se ha un impeccabile senso per la moda e un'inclinazione per la teatralità, alcune persone potrebbero trovare la scelta delle sue canzoni un pochino... inaccessibile."
 
Kurt fece roteare gli occhi e allungò una mano per tenere a bada Mercedes proprio mentre stava trattenendo il fiato. Lanciò a Rachel uno dei suoi sorrisi più dolci. “E io penso” disse cordiale con le gambe accavallate e le braccia incrociate in una posa da diva sicura di sé (sapeva che appariva a quel modo visto che faceva pratica guardandosi allo specchio), “che guardare una teenager che piange mentre canta una canzone sui problemi di altre persone non sia il momento clou della serata di nessuno.”
 
Mercedes si rilassò, sospirando con aria soddisfatta.
 
Le guance di Rachel si colorarono di una delicata sfumatura rosa (probabilmente lei faceva pratica di quello davanti allo specchio) e si irrigidì. "Percepire l'emozione in una mia canzone è difficilmente qualcosa che considero un danno."
 
“È quello il punto, dolcezza," disse Kurt con un sorriso. "Se non per il fatto che tu provi tutte quelle emozioni, così che non ne lasci neanche un po' agli altri. Nessuno nel pubblico verserà una lacrima se sei una fontana già di tuo."
 
Rachel si voltò sulla sedia per guardarlo in faccia. "Spero che tu sappia che Uta Hagen stessa una volta ha detto che il compito di chi è sul palcoscenico è di-"
 
"Okay, sapete cosa vi dico." Mr. Schue, conciliante come sempre, andò nel centro della stanza.
 
Gettò un sorriso veloce a Kurt e uno più lungo a Rachel. "Kurt ha sollevato un argomento interessante. E sono contento che l'abbia fatto, perchè ad essere onesto non avevo idea di cosa farvi fare questa settimana."
 
Rachel si calmò, voltandosi di nuovo per dare attenzione al professore.
 
Mr. Schue guardò i suoi alunni, con lo sguardo da momento-della-lezione-di-vita. "La maggior parte delle volte vi chiedo di scegliere una canzone riguardo un tema specifico, riguardo a come vi sentite o come gli altri si sentono. Questa settimana, invece, voglio che troviate una canzone che sia in grado di far provare certe sensazioni al vostro pubblico. Felicità, tristezza, rabbia-"
 
"Eccitazione?" Puck lo interruppe, prendendosi una gomitata nel fianco da Lauren, ma ignorandola completamente.
Mr. Schue rise. "Anche, ma in modo innocente."
"Eccitazione innocente?" Puck lanciò un'occhiata alla sua fiera fidanzata. "Esiste?"
Lei alzò le spalle. "Preadolescenti intorno a Justin Beiber."
Ci pensò su.
 
Mr. Schue scosse la testa con un sorriso. "Seriamente, ragazzi. È facile piangere mentre si canta una canzone triste. Cantare una canzone che fa piangere il pubblico è un'altra cosa, per voi e per loro. E sapete qual è la cosa migliore? Dobbiamo anche indovinare qual è l'emozione che state cercando di farci provare. Ecco il compito della settimana."
 
Ci fu il solito miscuglio di sospiri e bisbigli eccitati e Kurt non ci mise troppo tempo per voltarsi verso Mercedes con gli occhi spalancati. "Non ho nessuna idea per questo compito."
 
Lei rise, colpendogli il braccio. "Per tua fortuna c'è tutta la settimana." Rilassò le spalle con un sorriso soddisfatto sul volto. "Io? Io so già cosa fare."
 
Lui fece roteare gli occhi. "Dimmi che non canterai qualche tipo di inno cercando di farci vedere Dio."
 
"Zitto, pagano. Non te lo dico, mi ruberai l'idea."
 
Mr. Schue si allontanò un attimo per scambiare due parole con Brad di fianco al piano, dando  un po' di tempo ai ragazzi per discutere delle loro idee, e Kurt si sporse in avanti per toccare il braccio di Finn.
 
"E tu? Su che emozione punti? Ti voglio bene e tutto, ma sappiamo entrambi che non sei una persona profonda."
 
Finn sogghignò, senza prenderla sul personale, come al solito. Alzò le spalle e cantò stonato, "Don't you know everyone wants to laugh?'"
 
Kurt sorrise subito radioso. "Hai appena cantato un pezzo di un musical! Io e il mio essere gay stiamo esultando!"
 
"Sta zitto. E comunque, tu ridi qualunque cosa io canti, quindi credo non sia troppo difficile."
 
"Non riderei mai del tuo modo di cantare," rispose Kurt, offeso. "Sarebbe irrispettoso, e francamente ho troppa classe per fare una cosa del genere. Potrei trovare un poco di umorismo nel tuo modo di ballare che sembra privo di equilibrio mentre stai cantando, ma il cantare stesso?"
 
Finn fece roteare gli occhi. "Non ti preoccupare, volevo aggiungerci anche la coreografia."
 
"Quello allora dovrebbe essere perfetto. O... no, sarebbe stato perfetto se tu non avessi appena detto a tutti che tipo di emozione canterai, e noi dobbiamo indovinare, ricordi? Adesso devi cercarti qualcos'altro."
 
Finn ci pensò un attimo e aggrottò le ciglia. "Dannazione."
 
Quinn si chinò per mormorargli qualcosa, ma il suono metallico della sua suoneria di Britney Spears la interruppe. Ignorò Finn istantaneamente per prendere il telefono.
 
Kurt non si ricordava se stessero insieme oppure no, o se ci fosse di mezzo Rachel stavolta. Due decenni fa sarebbe sicuramente stato uno di quei ragazzi gay amanti delle soap-opere che piangevano ogni volta che Susan Lucci non vinceva un Emmy. Ma pensando seriamente alla sua vita? Le soap sono passate di moda ed ha così tanto dramma intorno a lui che ne è quasi stanco.
 
Quinn fissò il display del suo cellulare e fece una smorfia prima di rimetterlo in borsa mentre ancora squillava. "Ugh, vorrei non aver mai dato il mio numero a quella donna psicopatica."
 
"Chi?" chiese Finn, risparmiando a Kurt lo sforzo di interessarsi della vita di Quinn.
 
"Coach Sylvester," disse Quinn con una risatina smorfiosa quando il suo cellulare tornò silenzioso. "Fa in modo che le Cheerios le diano ogni numero di telefono possibile per essere contattate. Seriamente, tutti i numeri di telefono possibili. Una volta ha chiamato per davvero a casa di mia nonna solo perché ero in ritardo per l'allenamento."
 
"E allora perché non cambi numero?" chiese Mercedes sopra la spalla di Kurt.
 
Quinn sorrise subito, e Kurt dovette ammettere che con tutto il dramma e l'angoscia che si trascinava dietro quella ragazza, era davvero graziosa. "Non posso! Le ultime quattro cifre del mio numero sono 2883, e ho realizzato il mese scorso che posso dire alla gente che il mio numero di telefono è 577-CUTE (**)."
 
"Oh mio Dio." Kurt rise e subito tirò fuori il suo cellulare per vedere che cosa ne usciva dal proprio numero di cellulare. Mercedes aveva già il telefono in mano e le si misero tutti intorno.
 
Dietro Quinn, il cellulare di Santana cominciò a squillare con un suono sinistro. "Merda, la Sylvester sta chiamando me ora."
 
Finn si voltò per guardarla. "Hai una suoneria apposta per la Coach Sylvester?"
 
"Ci sta. È la musica di 'Psycho'."
 
Il suo telefono smise di squillare a metà canzoncina. Quasi subito di fianco a lei ci fu lo scoppio di un tintinnio che si scoprì poi essere la canzone di My Little Pony. Brittany ovviamente prese il cellulare senza controllare chi fosse, anche se Santana la guardò con terrore per cercare di fermarla.
 
"Pronto? Oh, Coach Sylvester!" Brittany ascoltò per qualche minuto e il suo vago sorriso svanì. All'improvviso sporse il proprio cellulare in direzione del pianoforte. "Mr. Schue? È per lei."
 
Lui sbatté le palpebre, ma la raggiunse per prendere il telefono. Fece una smorfia in direzione di Kurt e Finn mentre guardava il cellulare, come se stesse dibattendo con se stesso se riagganciare o rispondere, ma con un sospiro se lo portò all'orecchio. "Sue? Stiamo provando in questo..."
 
Le parole gli morirono sulle labbra. Lo sguardo allegro che aveva in volto svanì, trasformandosi in qualcosa che Kurt non riuscì ad interpretare.
 
Diede le spalle ai suoi studenti e abbassò la testa. "Hey... Hey! Sue! Calmati, cosa stai-"
 
Tutti si zittirono, la loro curiosità morbosa su cosa stesse dicendo la Sylvester fu inevitabile, ma di solito quella si trasformarmava in genuino gossip. Kurt si rimise il cellulare in tasca, guardando accigliato le spalle tese del professore.
 
"Aspetta. Dove sono...chi ha bisogno..."
 
All'improvviso si voltò, e la sua faccia era completamente pallida. Guardò Kurt. "Cosa c'entra Kurt in tutta questa..."
 
Kurt si tirò su a sedere, e qualcosa nel suo istinto cominciò a fargli sentire il cuore in gola.
 
Mr. Schue chiuse la chiamata, con gli occhi spalancati e un'espressione strana. Trattenne un attimo il respiro e fece un gesto veloce a Kurt. "Vieni con me, Kurt. Mercedes," disse quando vide che lei aveva ancora il cellulare in mano. "Chiama la polizia."
 
L'aria nella stanza si assottigliò.
 
"La polizia?" Mercedes aprì il cellulare ma esitò. "Cosa devo dire?"
 
Lui scosse la testa, andando a prendere Kurt per un braccio visto che lui non si era ancora mosso. "Digli di andare in palestra. Dì che c'è qualcuno ferito." Non le lasciò il tempo di chiedergli qualcos'altro, si voltò e si trascinò dietro Kurt nei corridoi. Camminava veloce, la sua faccia era completamente pallida e la sua mascella era tesa.
 
Kurt vorrebbe ripetere la domanda che Mr. Schue aveva chiesto alla coach – Cosa c'entrava lui con qualunque cosa stesse succedendo? Ma rimase in silenzio e continuò a tenere il passo con l'andatura incalzante del professore.
 
Sentì del rumore dietro di lui e si voltò un attimo per vedere Finn, Puck e Santana. Mike e Sam li stavano seguendo. Avevano tutti un'espressione confusa, ma ovviamente non avevano intenzione di aspettare e sapere cosa fosse successo da qualcun altro. Finn annuì a Kurt, con lo sguardo teso e confuso, e Kurt di solito si sarebbe calmato nel vedere quel caldo segno di supporto, ma non aveva idea di che cosa stesse succedendo e non aveva mai visto Mr. Schue così cupo.
 
I corridoi erano silenziosi, c'erano solo un paio di ritardatari che si affrettavano ad andare in classe. Kurt ignorò loro e i loro sguardi nel vedere mezzo glee club che si affrettava lungo il corridoio. C'era troppo silenzio, ed il cuore di Kurt batteva veloce, e le mani gli sudavano. Tenne il passo con l'andatura di Mr. Schue mentre gli altri rimanevano dietro di loro cercando di non farsi notare nel caso il professore avesse voluto rimandarli in classe.
 
C'erano alcune persone fuori dalla palestra, e all'interno della palestra stessa c'erano un gruppo di ragazzi in tuta intorno ad una delle porte di servizio.
 
Mr. Schue si diresse in quella direzione senza esitare, e dal modo in cui si guardava intorno non sembrava a proprio agio.
 
Davanti alle porte che portano negli spogliatoi c'erano un paio di atleti grandi e grossi, sui loro volti uno sguardo pallido reduce da uno shock causato sicuramente dalla Sylvester.
 
"Hey," disse uno di loro, con la voce ancora tremante per qualunque cosa gli avesse detto la Sylvester per farsi ascoltare, "La Coach dice che non può passare-"
 
"Lasciaci passare," disse Mr. Schue con sguardo truce ai due ragazzi. La preoccupazione lo rese stranamente cupo e deciso; Will Schuester non era mai stata una persona intimidatoria, ma quei due ragazzi si mossero ai lati della porta dopo un solo attimo di pausa.
 
Mr. Schue entrò spingendo le porte, e Kurt rimase al suo fianco come un assistente nervoso.
 
C'erano dei suoni davanti a loro, una voce echeggiava per i corridoi. Da un lato c'era lo spogliatoio delle ragazze, dall'altro quello dei ragazzi. Il professore seguì il suono di quella voce attraverso le porte dello spogliatoio femminile.
 
La prima cosa che Kurt notò fu un'ammaccatura nel muro vicino agli specchi dentro la porta.
 
Stucco rovinato e un buco rotondo, e qualcosa di scuro e marrone che sporcava l'orribile pittura gialla. Guardò accigliato il muro rovinato, confuso, mentre continuava a seguire Mr. Schue.
La voce era quella della Coach Sylvester. Era molto più dolce di quella che era solito sentire, ma la riconobbe comunque.
 
"-solo, aspettali qui, okay?" Era forte e spavaldaSue Sylvester, ma in quel momento la sua voce tremava come se qualcuno l'avesse chiusa da qualche parte.
 
Mr. Schue girò l'angolo intorno una fila di armadietti e si fermò così all'improvviso da dover puntarsi con una mano contro l'armadietto per evitare di inciampare. Kurt quasi gli andò addosso, ma lo scansò agilmente grazie ad anni di danza e gli girò intorno.
 
Si fermò improvvisamente.
 
Guardò, e vide, ma non riuscì a capire che cosa avevano davanti.
 
Coach Sylvester era in ginocchio di fianco ad una delle lunghe panche tra le file degli armadietti. La panca stessa era spostata in un angolo e c'era dell'altro marrone scuro sopra di essa, come sull'ammaccatura nel muro. C'era dell'altro marrone attraverso la schiera di armadietti, in una linea di punti come se qualcuno ci avesse spruzzato della vernice.
 
Per terra vicino alla Sylvester c'era... qualcuno, un ragazzo, uno studente, ma Kurt non poté dire di più. Chiunque fosse era sdraiato sullo stomaco, con la faccia a terra. Capelli scuri bagnati e tre asciugamani da doccia gli coprivano quasi tutto il corpo. Gli asciugamani erano sporchi a chiazze di marrone – no, non marrone, rosso, rosso scuro e color ruggine. Era anche sul pavimento. Formava una piccola pozzanghera vicino alla testa del ragazzo.
 
All'inizio non riuscì a vedere molto all'infuori di quegli asciugamani bagnati, rossi e sporchi, ma poi gli occhi di Kurt finirono sul sottile cellulare nero che doveva appartenere alla coach, che giaceva dimenticato sul pavimento vicino ad un braccio pallido non coperto dagli asciugamani.
 
C'era odore di ferro. Quell'odore che aleggiava per l'intera stanza fece venire in mente a Kurt il sapore che si sentiva in bocca quando si mordeva per sbaglio il labbro mentre dormiva.
 
I suoi occhi tornarono su quell'avambraccio pallido, e non riuscì a prendere fiato. Tutto quello che riuscì a fare fu notare che le unghie delle mani erano smussate, corte e sanguinolente, e il pavimento sotto di loro era segnato da lunghe strisce rosse. Come se il possessore di quelle mani avesse cercato di strisciare via o qualcosa del genere.
 
Kurt prese fiato a fatica, piccoli respiri pungenti. Tornò a guardare Coach Sylvester, riuscì a vedere come il suo corpo rabbrividiva per accompagnare la sua voce tremante.
 
Alzò lo sguardo, evitando Kurt per guardare diretta Mr. Schue, i suoi occhi erano spalancati e stranamente allarmati.
 
"Cosa..?" Mr. Schue si mosse all'improvviso, e chissà come riuscì a trovare la forza per farlo, visto che Kurt in quel momento non era nemmeno in grado di capire come riuscisse ancora a respirare. "La polizia sta arrivando," disse mentre girò intorno alla panca e si accucciò dall'altro lato del corpo coperto dagli asciugamani. "Cosa è successo?"
 
Coach Sylvester scosse la testa, stava respirando quasi come Kurt, veloce e leggero. Lei era una roccia, quindi se lei riusciva ad esserci con la testa, allora Kurt poteva decisamente arrendersi a dare un senso a tutta questa roba.
 
All'improvviso ci fu un nuovo suono, un suono basso. Un mormorio, dal pavimento, da sotto quei capelli scuri bagnati di sangue.
 
Quel po' di debolezza presente nello sguardo della Sylvester svanì e lei si chinò, appoggiando una mano sul quel braccio flaccido. "Hey. Solo...sta zitto e aspetta l'ambulanza."
 
La voce mormorò di nuovo, e anche se Kurt non riuscì a trovare un senso a tutto ciò era sicuro che la coach doveva esserne in grado. Lei alzò lo sguardo e i suoi occhi finirono su Kurt, sempre spalancati e stranamente spaventati anche se la sua voce era forte e ferma come al solito, "Ti ho detto di tacere. Non ti preoccupare, lui è qui e nessuno gli farà niente."
 
Lui è qui. 'Lui' era Kurt? Non aveva senso. Non riusciva a capire cosa stava succedendo e non riusciva a respirare.
 
Il corpo sul pavimento si mosse. Gli occhi di Kurt si spostarono dal viso della coach al suolo, e vide gli asciugamani muoversi mentre la persona sotto di essi provava a girarsi. I capelli scuri si alzarono dal pavimento e Kurt riuscì subito a vedere la pelle pallida di una faccia piena di chiazze rosse e degli occhi verdi contornati da sfumature marroncine.
 
Kurt pensò tra sé e sé, in modo chiaro e assurdo, Non mi ero mai accorto che i suoi occhi fossero di quel colore. Fu solo dopo quel pensiero che realizzò di riconoscere la persona a terra.
 
Quella identificazione esplose nella sua mente come se gli avessero spruzzato addosso dell'acqua gelida. Nei momenti successivi realizzò altre cose: quel rosso-marroncino che era sparso dappertutto era sangue. C'era un'ammaccatura negli armadietti dietro la Sylvester, e la panca che era stata spostata di lato doveva essere stata abbandonata sul pavimento in un'altra posizione.
 
Quello era qualcosa di più di una rissa scolastica. Quella era una cosa seria; quella era una cosa folle. E la persona che due mesi prima sarebbe stata in cima alla lista dei sospettati era la stessa i cui occhi vitrei stavano cercando di mettere a fuoco la situazione. Per trovare Kurt.
 
Kurt fece un piccolo rumore spaventato, capendo sempre di più ma cercando di rifiutarlo.
 
Mr. Schue alzò subito lo sguardo a quel rumore. "Kurt. Mi dispiace, non dovresti essere qui. Vai là fuori con gli altri ragazzi, okay? Fai in modo che i paramedici sappiano dove andare quando-"
 
Kurt fece un passo più vicino, e poi un altro, sentendosi intorpidito e rimosso dal proprio corpo.
 
Avrebbe voluto essere seduto con Mercedes a lamentarsi di Rachel. Avrebbe voluto essere a cercare nel suo iPod la perfetta canzone per il compito della settimana. Avrebbe voluto essere a dieci minuti prima così da non doversi spiegare tutto ciò.
 
"Kurt!" La voce di Mr. Schue era tagliente.
 
Kurt saltò su.
 
Il braccio pallido sul pavimento si mosse bruscamente. Ci fu un movimento dal corpo sotto gli asciugamani sporchi, e i mormorii di quella voce rauca si fecero più forti.
 
Kurt fece un altro passo, incapace di focalizzarsi su cosa gli stesse chiedendo Mr. Schue. Non c'era neanche un punto in cui inginocchiarsi che non fosse sporco di macchie di sangue, quindi si accucciò instabile.
 
"Dave?" La sua voce era così raspa che quasi non la riconobbe, quasi come foglie secche che si accartocciano. Non riuscì ancora a fare un respiro pieno e si sentì i polmoni schiacciati.
 
All'improvviso ci fu confusione alle porte d'ingresso, e si sentì un bang come se due porte fossero state aperte in modo rude.
 
Mr. Schue e la Coach Sylvester furono in piedi in un lampo, andando a vedere dietro l'angolo nel caso la folla di studenti si fosse fatta impaziente e fosse entrata. Ma a quel punto il velcro in fondo alla tuta della coach si impigliò in uno degli asciugamani che coprivano il corpo, e prima che potesse toglierselo di dosso con un grugnito, l'intero asciugamano si era spostato, seguendola. Si era mosso.
 
Gli occhi di Kurt si spostarono da quel viso pallido e quegli occhi vitrei all'asciugamano.
Vide della pelle nuda sotto. Vide sangue e lividi che cominciavano a formarsi lungo la curva della coscia muscolosa. Vide una spessa striscia di sangue scuro lungo quella coscia, che macchiava il pavimento in mezzo alle gambe. Capì subito che Dave era completamente nudo sotto quegli asciugamani.
 
Il cervello di Kurt mise insieme tutti questi indizi e diede un nome a quello che era successo.
 
Ci furono dei passi pesanti dietro di lui e suppose fossero i paramedici perché la Sylvester non avrebbe lasciato passare nessun altro. Sentì delle voci che gli dicevano di spostarsi e vide immagini di uniformi bianche intorno a lui. Allungò la mano per far scorrere le dita tremanti sulla mano aperta di Dave, notando i graffi e la pelle rovinata sul retro delle dita.
 
Aveva reagito. Dio, doveva aver reagito così tanto.
 
Per un attimo quegli occhi vitrei guardarono in alto e incontrarono quelli di Kurt.
 
Poi una presa forte stava spingendo indietro Kurt, e prima che potesse protestare, Mr. Schue lo stava conducendo dietro l'angolo, lontano da qualunque cosa stesse succedendo dall'altro lato di quella fila di armadietti.
 
Fuori dall'aria rugginosa dello spogliatoio tutto era luminoso e rumoroso. Una folla di persone era radunata lì fuori, a chiacchierare, come se quel cambiamento nella loro giornata folle non fosse niente di più che un'occasione di socializzare.
 
Finn si avvicinò, praticamente trascinando via Kurt da Mr. Schue. "Gesù, Kurt! Cosa diavolo sta succedendo qui? Sembri.."
 
Non riuscì a rispondere. Non riuscì neanche a guardare in faccia il suo sciocco fratellastro.
 
L'interesse per l'innocenza di Finn era a miglia e miglia di distanza.
 
Kurt chiuse gli occhi e si sforzò di fare un bel respiro per la prima volta da quando Mr. Shue aveva spento la chiamata nella choir room. Quando espirò riuscì a sentire dei singhiozzi scavargli il petto. Visto che non aveva nessuna idea di cosa dire o fare, li lasciò uscire.



Note di Traduzione.
(*) "quièdovemandileemail"
(**) 577-CARINA

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Beta Reader: Kurtofsky.
GRAZIE a tutte le persone che hanno letto il primo capitolo, l'hanno recensito e inserito la storia nei preferiti :)

 
The Worst That Could Happen

-Capitolo 2-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/2/The_Worst_That_Could_Happen

 


Erano passati forse tre giorni da quando Kurt si era scambiato quelle e-mail con Dave Karofsky, quando decise di mettere al corrente di tutto Blaine scrivendogli qualche messaggio.

Questo non perché avesse una vera reale preoccupazione nel rendere il suo ex bullo uno pseudo-quasi-amico, ma giusto perché desiderava sapere esattamente quanto fosse pazzo su una scala che partiva da Rachel Berry e arrivava a Joan Crawford, per dire.

Non gli importava di essere folle, voleva solo essere in grado di godersi la cosa per ciò che era.

Però Blaine si era comportato in maniera strana su tutta la faccenda. Aveva fatto un sacco di domande su come Dave si era comportato in aula e se avesse sorriso in modo strano oppure no e se Kurt si fosse sentito tranquillo. Cose del genere.

Era chiaro a Kurt che Blaine stesse pensando ciò che Kurt stesso non aveva considerato, ovvero che Dave volesse trovare un altro modo per tormentarlo, come d'altra parte aveva pensato lui stesso quando nelle mail gli aveva detto di non preoccuparsi se l’avesse visto in giro.

Kurt ridacchiò di questa sua apprensione. Sapeva che non era questo il caso. “Comunque”, disse al telefono quando ormai aveva finito di rincorrerlo per messaggi e voleva parlare sul serio, “non mi ha nemmeno mai veramente tormentato prima. Voglio dire, sì, ogni volta che mi vedeva era come se volesse farmela pagare, ma non era come se andasse in giro a cercarmi. Ho dovuto inseguirlo per urlargli contro”.

È una tua scelta” disse Blaine con un piccolo sospiro controllato. “È solo che non riesco a fare a meno di pensare ai bulli che conoscevo e ai tiri mancini che possono giocarti”.

Kurt rise, anche se non avrebbe dovuto farlo.

"Non penso che ci sia permesso avere dei luoghi comuni sui bulli, quando noi stessi lottiamo così duramente contro quelli che fanno di noi degli stereotipi. Dave non è come quei tipi con cui andavi a scuola. A meno che anche loro non fossero tutti casi non dichiarati, comunque."

Non fu sicuro del perché avesse contestato Blaine così duramente a meno che… nella sua mente Karofsky si stesse comodamente definendo come Dave e Kurt stesse iniziando a sentirsi al sicuro quando vedeva del rosso per i corridoi della scuola. Quello era un nuovo passo in avanti a cui voleva aggrapparsi.

Sai”, disse al silenzio dall’altra parte della cornetta, “Penso che lui avrebbe anche potuto ballare con me al ballo se io non l’avessi trasformato in un momento di coming out. Voglio dire, l’avrebbe preso come uno scherzo, ma penso che avrebbe davvero potuto.”

Sono strane le cose che le persone rimpiangono col senno di poi.

Kurt non rimpiangeva di aver accettato il consiglio, in verità stupido, di Blaine di affrontare il suo bullo psicotico e violento tutto da solo, almeno non adesso che il trauma del suo primo bacio era abbastanza lontano da poterlo rimuovere.

Ma rimpiangeva di aver portato Blaine ad affrontare Dave in pubblico sulle scale tra il cambio delle lezioni, perché proprio mentre lo faceva si era reso conto che “in pubblico” e “affollato” erano due cose che un rabbioso caso di ragazzo non dichiarato avrebbe voluto evitare se forzato a una chiacchierata di quel tipo.

E rimpiangeva di aver chiesto a Dave di fare coming out al ballo, perché pensava davvero che Dave avrebbe potuto ballare con lui. Stava al fianco di Kurt sul palco, scendendo con lui quei gradini fino alla pista da ballo e non aveva esitato fino a quando Kurt non aveva aperto la sua bocca per uno stupido Dai-questo-è-il-momento-che-ti-cambia-la-vita.

Anche un breve ballo preso come scherzo avrebbe avuto un enorme impatto su qualcuno spaventato come Dave.

Blaine interruppe il flusso dei suoi pensieri prendendolo in giro riguardo il fatto che il suo effettivo compagno di ballo non fosse abbastanza bravo per lui e lasciarono perdere l’argomento.


Kurt era seduto in una stanza di colore bianco con delle stampe Currier e Ives enormi e senza alcuna personalità appese ai muri. Pensò di chiamare Blaine, ma non voleva dover rivolgersi a Dave come “Karofsky” in quel momento e Blaine sembrava troppo teso quando invece lo chiamava Dave.

Inoltre, le sue mani non avrebbero mai smesso di tremare abbastanza per comporre un numero.

Mr. Schue era dietro una fila di telefoni pubblici, e stava camminando curvo con la schiena girata. Finn sedeva vicino Kurt, dato che si era rifiutato di lasciarlo solo dopo la palestra. Sue Sylvester sedeva davanti Kurt e Finn, la sua spina dorsale eretta e i suoi occhi affilati puntati su chiunque e qualsiasi cosa che si muovesse attorno. Aveva gli occhi più spalancati del normale.

Kurt non riusciva a pensare a quanto fossero strane le sue reazioni paragonate a quelle della Coach Sylvester che conosceva. Perché ciò significava pensare all’eventualità che fosse stata lei ad entrare nello spogliatoio. Significava chiedersi se fosse stata lei a mettere quegli asciugamani su Dave, e se così fosse stato, cosa aveva visto? Significava domandarsi se lei fosse intervenuta mentre quel… quell’aggressione era in corso o se Dave fosse rimasto sdraiato sul pavimento nello spogliatoio delle ragazze, solo, ferito, aspettando di essere trovato…

Significava pensare a cose che gli facevano accelerare il respiro.

Tranquillo”, gli disse Finn mentre iniziava ad avvertire la tensione. Si chinò e tirò dei colpetti al braccio di Kurt.

Kurt lasciò uscire un sospiro e tentò di liberarsi di quelle immagini nella sua testa, allontanandosi dalla Coach Sylvester e fissando una stampa a pastelli di cattivo gusto rappresentante un cottage nei boschi.

Arte ospedaliera. Onestamente.

All'improvviso Mr. Schue sbatté il telefono, così forte che non solo Kurt e Finn sobbalzarono al colpo. Ritornò verso di loro con l’espressione rabbuiata e la Coach Sylvester si alzò per incontrarlo a metà strada.

Le porte dell’ascensore si aprirono prima che potessero scambiarsi qualche parola e Kurt venne distratto dall’unica cosa che avrebbe potuto riportare un po’ di stabilità nel suo universo.

Papà?”

Si alzò ancor prima di capire di averlo fatto, e improvvisamente le braccia di suo padre lo avvolsero e provò così maledettamente a non singhiozzare di nuovo, che dovette serrare gli occhi così forte da farsi del male.

Ehi, figliolo”. Suo padre sembrava vagamente confuso, molto preoccupato, ma lo abbracciò di nuovo senza indugiare.

Non c’era niente che Burt potesse fare per farlo sentire un po’ meglio, così Kurt infossò il viso nel petto del padre, annusando le tracce di sudore e olio per motori che rimanevano sulle sue tute da lavoro da quando Kurt riusciva a ricordarsene.

Suo padre non si staccò, non allentò la presa.

Fece scivolare da dietro una mano sul collo di Kurt e gli batté la schiena con l’altra. Kurt desiderò che questo migliorasse le cose, ma non fu così.

C’erano voci attorno a lui, sopra la sua testa. Sembravano come un rumore di sottofondo. C’erano dei movimenti e si sentì un po’ sballottato, ma non si concentrò su nessuno di questi. Ci volle suo padre, che parlava sopra la sua testa, per renderlo consapevole. Il “Cosa?” secco e sorpreso di Burt gli fece sollevare il capo e sbattere le palpebre come se si stesse risvegliando da un incubo.

Mr. Schue e Finn erano in piedi, furiosi, pallidi e a disagio a loro volta. Dietro di loro, la Coach Sylvester camminava tesa, in allarme, come se stesse cercando la possibilità di avventarsi su qualcuno.

Mr. Schue iniziò a parlare e Kurt fu costretto a strizzare gli occhi e a focalizzarsi sulla sua bocca prima che il suo cervello registrasse le sue parole. “-non pensa di venire. È tutto ciò che so”.

Gesù”, mormorò il padre di Kurt.

Kurt si accigliò. “Cosa? Cosa è successo? Ci sono novità?”

Suo padre lo lasciò andare, ma la mano attorno al collo di Kurt scivolò alla sua spalla e la strinse. Sorrise, ma i suoi occhi erano furiosi. “Siediti, figliolo. Fammi capire cosa sta succedendo e te lo farò sapere.”

Kurt voleva discuterne, ma vide dalla faccia di Finn che questi aveva ascoltato tutto. Si allontanò silenzioso, per niente imbarazzato quando vide la macchia fresca che aveva lasciato sulla maglia del padre.

Finn lo riportò alle sedie e Kurt parlò prima che potessero sedersi. “Cosa è successo?”

Abbastanza sicuro di quello che fosse successo, Finn non mostrò esitazione. “Mr.Schue ha chiamato il papà di Karofsky. Penso che non verrà qui.”

Cosa?”

Finn alzò le spalle goffamente, ma i suoi occhi erano turbati. “Kurt… amico, sapevi che Karofsky è gay?”

Kurt si incupì, rifletté sulla domanda e i suoi occhi tornarono a Mr. Schue, a suo padre e alla loro conversazione solenne. “Cosa?”, domandò di nuovo, avendo bisogno di tempo per incastrare tutti quei frammenti.

Sì. E’ ciò che Mr. Schue ha detto. Immagino che il papà di Karofsky lo abbia cacciato di casa perché é gay e che adesso stia recitando la parte del Io-non-ho-un-figlio. Penso che Karofsky sia stato da alcuni amici nell’ultimo paio di notti. Non lo so, ho solo ascoltato ciò che Mr. Schue ha detto.”

"Ma…" Kurt spostò lo sguardo dagli adulti a Finn e viceversa. Si sentì ammutolito e minuscolo. “Ma noi abbiamo incontrato suo padre. Era addirittura dalla mia parte riguardo… riguardo tutto.”

Finn si limitò a scrollare le spalle. Gli occhi di Kurt ritornarono dietro la piccola scrivania dove un paio di infermiere erano sedute. Le porte a due ante dietro di loro erano quelle dove avevano portato Dave.

Lo sapevi.”

Kurt guardò nuovamente Finn.

L’espressione di Finn era scioccata, ma era difficile da stabilire quale fosse la causa. C’erano troppe cose scioccanti che stavano succedendo attorno a loro. “Non sei nemmeno sorpreso, tranne riguardo suo padre.”

Kurt annuì. Finn già lo aveva capito, negarlo non sarebbe stato di alcun aiuto.

Finn si avvicinò. “È…uhm.” Lanciò uno sguardo al loro padre e alla Coach Sylvester e abbassò la voce. “È una cosa tipo gay-radar?”

Kurt rimase a bocca aperta sul momento, poi improvvisamente si avvicinò e si schiacciò contro il sottile braccio della sua sedia in finto legno in modo da poter stringere Finn in un abbraccio.

Finn sospirò sorpreso. Batté dei colpi sulla schiena di Kurt non molto sicuro.

Mi hai fatto quasi ridere”, disse Kurt all’altezza della sua spalla ossuta. “Persino ora, mi hai fatto quasi ridere. Grazie, Finn.”

Oh. Sì. Non c’è di che.”

Lasciò andare il suo confuso fratellastro e il suo tenue sorriso svanì. Guardò di nuovo le porte a due ante dietro le infermiere.

Alla fine, suo padre si avvicinò e si sedette accanto a lui. Kurt poteva sentire l’odore di olio per motori e questo gli faceva venir voglia di voltarsi verso di lui e piangere, gemere, balbettare su come fosse stato orribile e di come non avesse mai visto niente del genere al di fuori dei film…

Ma non riguardava lui. Non ancora. Avevano bisogno di capire cosa stesse succedendo dietro quelle porte a due ante, e dopo sarebbe potuto andare a casa e farlo.

Aveva davvero pensato che Paul Karofsky fosse una brava persona. Una persona migliore di suo figlio, almeno. Ecco perché Kurt era tornato pensieroso dai due incontri con loro. Si aspettava che il padre di Dave fosse un disgustoso bullo ignorante. L’aveva quasi sperato, per potersi dare una spiegazione sensata al comportamento di Dave. Ma non gli era apparso proprio in quel modo.

In quel momento Dave era disperso dietro quelle porte a due ante e suo padre non veniva nemmeno a visitarlo.

Dei dottori uscivano di tanto in tanto, causando uno stato di tensione e di attesa perenne in Kurt, la Sylvester e Mr. Schue. Forse due ore dopo l’arrivo di Burt Hummel uno di quei dottori parlò con calma all’infermiera della scrivania e lei annuì verso il gruppo che attendeva.

Kurt si rizzò in piedi in un secondo, ma Sue Sylvester lo batté sul tempo.

Allora?”

Il dottore non sorrise con sollievo, né scambiò due parole o nemmeno si preoccupò di chiedere se fossero lì per Dave. Si guardò attorno e parlo gravemente. “C’è qui qualcuno della sua famiglia?”

Kurt non ebbe nemmeno il tempo di entrare in panico riguardo il fatto che nessuno di loro fosse un suo parente o di pensare di mentire per poter ottenere notizie, prima che una voce rispondesse con sicurezza. “Io.”

Dovette stringere le mani a pugno per evitare di rimanere di sasso nei confronti della Coach Sylvester.

Si allungò per sfiorarle il braccio e le annuì indicando le porte dietro di lui, e chissà come lei gli prestò attenzione.

Kurt spalancò la bocca troppo tardi per aggiungersi alla bugia, ma Mr. Schue lo raggiunse e gli sfiorò la spalla. ”Ci dirà tutto ciò che scoprirà.”

Sembrava così sicuro di quelle parole, ma Kurt conosceva la Coach Sylvester. Perché avrebbe dovuto dire qualcosa? Perché era lì? La cosa più vicina a un lato soft che avesse mai visto in quella donna era stato – se si escludeva tutto quello che aveva a che fare con sua sorella - quando lei aveva preso le sue difese contro Dave.

No. Non poteva domandarselo. Non poteva nemmeno pensarci. Gli faceva tornare in mente gli asciugamani insanguinati sul pavimento dello spogliatoio. Gli faceva domandare cosa avesse visto, quanto dovesse essere stato terribile da scioccare qualcuno come lei così profondamente.

Serrò gli occhi e si allontanò dalle porte. Non riuscì a fare a meno di rivedere una mano distesa con le unghie dilaniate e tagli lunghi e profondi tra le nocche. Non riuscì a fare a meno di pensare alla quantità di sangue che venava grandi gambe nude.

Dave era così forte. Kurt era magro e di certo non il ragazzo più alto del mondo, ma non era cedevole. Quando Dave era Karofsky avrebbe potuto lanciarlo in giro come se non pesasse più di un’oncia. Era forte ed enorme. Avrebbe dovuto combattere. Chi avrebbe mai potuto prendersela con uno come Dave Karofsky? Chi avrebbe mai potuto immobilizzarlo, resistendo ai suoi pugni?

Era stata più di una persona? Qualcuno lo teneva fermo mentre qualcun altro…?

Dio.

Aveva urlato aiuto o era rimasto disorientato? Era stato per terra da solo o, tra tutte le persone, Sue Sylvester era riuscita a entrare lì dentro giusto in tempo per fermare qualsiasi cosa stesse succedendo? Perché aveva pronunciato il nome di Kurt? Perché le aveva domandato di Kurt? Perché era successo tutto questo, cazzo?

Tremava, tantissimo, e improvvisamente suo padre fu proprio lì e Kurt non aveva capito di ster piangendo di nuovo fino a quando non sentì la maglietta bagnata di suo papà contro la sua guancia. Si strinse ancora di più a lui, afferrando suo padre, vedendo nella sua mente gli occhi vitrei di Dave e il suo sorriso timido nel corridoio e pensando che vedeva sempre un accenno di rosso nei dintorni quando ultimamente si muoveva per la scuola.

Non avevano più parlato, non da quelle mail. Avrebbero dovuto. Kurt aveva il suo indirizzo - avrebbe dovuto scrivergli. Kurt avrebbe dovuto sapere che era stato cacciato di casa. Non avrebbe dovuto lasciarlo solo ad affrontare tutto.

Nessuno aveva più insultato Kurt nell’ultima settimana. Dave lo aveva tenuto al sicuro, con o senza berretto. Anche prima delle e mail. Anche al ballo. L’elezione era stata una umiliazione, ma gli studenti avevano applaudito quando Kurt aveva preso la sua corona e si erano uniti a lui quando aveva ballato con il suo ragazzo.

E Dave era scappato via solo, perché Kurt non era riuscito a tenere chiusa la sua bocca da compiaciuto.

Dio. Dio, Kurt non era religioso e sapeva che nessuno rispondeva a quel nome, ma altre persone mettevano così tanto potere in quella parola e così lo pensò anche lui. Dio, Gesù. Cristo. Perché, perché, perché?


Suo padre aveva cominciato a lamentarsi del fatto che dovessero andarsene, parlando della cena e dei compiti e dell’intero mondo che all’apparenza esisteva fuori dalla sala di aspetto dell’ospedale.

Ma le porte a due ante si aprirono e una impallidita Sue Sylvester vi marciò fuori e si diresse verso Kurt senza chiedere a nessuno se stesse bene. “Ho detto loro che dovrebbero far entrare uno dei suoi amici.”

Kurt si allontanò da suo padre e da Finn, mettendosi in piedi senza essere consapevole che il suo corpo si stesse muovendo. La fissò, lei era ancora pallida e la sua bocca era sigillata, così distese la mano quando lei gli offrì la sua e lo trascinò via dalla sua famiglia, verso quelle doppie porte.

Suo padre fece un suono soffocato di incerta protesta alle loro spalle, ma Kurt non titubò.

Si bloccò quando le porte si chiusero dietro di lui, quando fu al sicuro dentro il corridoio interno. La Coach Sylvester si fermò e lo guardò, lasciando cadere la sua mano come se in quello stato lei fosse ancora impaurita di sembrare troppo delicata.

È… sveglio?”Si rabbuiò. “No. È pompato completamente di medicine al livello della Lohan. Andiamo, Porcellana.”

Perché… perché io?”

Sembrò irritata al fatto che non le si obbedisse, o forse era solo impaziente di tornare indietro. Guardò verso il corridoio e sibilò un respiro.

Quando si mosse più vicina, non poté fare a meno di irrigidirsi. “Pensava che tu fossi il prossimo della lista. Ne era sicuro. Ecco perché ha chiesto di te a scuola, ecco perché hai bisogno di dirgli qualcosa adesso. Non lo so e non mi importa quando vuoi due avete iniziato a legarvi l’uno all’altro. Non mi importa se tu lo odi ancora o se tutto ciò che è successo tra voi era una questione di depravati abusi domestici. Tutto ciò che mi importa è che quando l’ho trovato lui era spaventato che potesse succederti qualcosa. Ora vai, prima che ti prenda e ti ci porti di peso.”

La seguì mentre gli faceva da guida. Il suo respirò tornò a essere corto, non era riuscito a frenarlo nemmeno a scuola.

La corsia d’ospedale non era come quella che aveva sempre visto in Scrubs. C’erano un sacco di apparecchiature ma le stanze non erano propriamente stanze, solo piccoli stanzini divisi da sottili tendine. Alcune delle tende erano state lasciate aperte e vi vide persone sdraiate su brande leggere e donne preoccupate tenere la mano di vecchie signore e dovette immaginare cosa potesse esserci dietro le tendine rimaste chiuse.

La Coach Sylvester si fermò davanti a una delle tende tirate. Frenò la sua camminata convulsa e inspirò. Rubando il respiro a se stessa.

Kurt non ebbe il tempo di fare lo stesso, dato che le sue dita magre e piene di calli gli afferrarono il polso e venne spinto dietro la tenda assieme a lei.

Avrebbe voluto farlo lentamente, ma non c’era nient’altro da osservare che il letto e fu lì che i suoi occhi si diressero all’istante.

Dave faceva sembrare piccola la branda. Un piede penzolava fuori dal letto, le sue spalle erano troppo ampie per starci bene. C’era un sottile lenzuolo appoggiato vicino alle braccia e le spalle che lasciava scoperta solo la sua testa. Respirava, una macchina dietro di lui si muoveva ritmicamente e uno schermo faceva dei bip a causa del battito cardiaco, c’era un display con dei numeri che aumentavano e diminuivano, aumentavano e diminuivano, ma a differenza di quello che Kurt conosceva grazie alla televisione era tutto completamente immerso nel silenzio.

La sua testa era coperta da una benda e Kurt si ricordò come i suoi capelli luccicassero bagnati sotto la fioca luce dello spogliatoio. Le sue labbra erano gonfie, la sua mascella rossa e c’erano un paio di punti escoriati sulla pelle del mento. I suoi occhi erano entrambi neri a causa dei lividi. C’era un tubicino che scendeva giù per la sua gola e Kurt avrebbe voluto chiedere il perché. Avrebbe voluto chiedere se aveva smesso di respirare o se aveva qualcosa a che fare con le medicine che gli avevano dato, o altro ancora. Avrebbe voluto sapere tutto.

Si avvicinò al lettino, guardando quell’enorme testardo e il suo volto tumefatto e slavato.

Tutto ciò a cui riusciva a pensare era Dave che gli sorrideva nel corridoio il primo giorno dopo le loro email. Ripensò a se stesso, così soddisfatto, così luminoso, avendo deciso che i tempi fossero maturi abbastanza da poter chiamare il ragazzo per nome e Dave che gli sorrideva di rimando perché gli piaceva l’idea ma era troppo timido da dirlo ad alta voce.

Non conosceva per niente Dave Karofsky.

Avrebbero dovuto parlare. Avrebbero dovuto sentirsi per e-mail. Avrebbe dovuto ringraziare Dave per averlo scortato in giro, per avergli coperto le spalle, anche se non pensava che glielo dovesse.

Avrebbero dovuto ballare assieme.

Deglutì e lo sfiorò. Le braccia e le mani di Dave erano sotto il lenzuolo così Kurt si accontentò di lasciare che la sua mano andasse delicatamente sulla sua spalla. Forse lì non era ferito, probabilmente era un posto sicuro da toccare.

Starà bene?”, domandò, sperando che gli occhi di Dave si aprissero così avrebbe potuto vedere quel verde che non aveva mai notato prima di quel giorno. Aveva pensato che non fossero nient’altro che marroni. Non aveva mai visto quel sorprendente color nocciola.

La Coach Sylvester rispose con lentezza, come se si stesse agitando a causa dei suoi stessi pensieri interiori. “Non sta morendo”, disse con durezza.

So cosa è successo”, affermò Kurt, accarezzando la spalla di Dave con la punta delle dita ansiose, come se questo potesse offrirgli un qualsiasi tipo di conforto.

Ho visto. Quando l’asciugamano è caduto…” deglutì.

Allora cosa vuoi che ti dica?” rispose seccata e in qualche modo capì che la tensione nella sua voce non era pericolosa. Non per lui, almeno.

Qualsiasi cosa abbia detto il dottore” replicò e non riuscì a spostare gli occhi da Dave.

Ha una commozione cerebrale”, dichiarò veloce e indignata. “Gli hanno colpito duramente la testa con qualcosa”.

Annuì, figurandosi in testa l’ammaccatura nel muro.

Naso rotto. Entrambe le spalle disarticolate. Costole incrinate, nessuna rotta per miracolo. Molti tagli e lividi.”

Dopodiché esitò.

Non riusciva a guardarla, cosa che probabilmente aiutò entrambi.

“Gli hanno lacerato il … hanno strappato il muscolo in modo abbastanza orribile, ma il dottore non pensa che lui abbia alcun… alcun danno interno…” emise un sospiro.

Allora capì quale muscolo avevano lacerato. Chiuse gli occhi, ricordando gambe enormi e il sangue. Non comprese di tremare fino a quando la mano di Sue non gli si poggiò sulla spalla per calmarlo.

Siete amici?” chiese, nonostante la precedente dichiarazione che non gliene importasse.

Non erano davvero amici. Non erano niente. Tutto ciò che erano per l’altro non era più utilizzabile. Annuì di nuovo.

Allora prenditi qualche minuto e parla al tuo amico. Non mi importa se ti possa sentire o meno.” La sua mano scivolò via e si allontanò camminando, ma Kurt si girò improvvisamente prima che lei potesse chiudere la tendina.

Cosa ha visto?” le domandò improvvisamente, stupendo anche se stesso.

Si irrigidì. Non lo guardò. “Stavano scappando quando sono arrivata”, disse semplicemente, dopodiché sparì dall’altra parte della tenda.

Stavano. Più di uno. Loro, ma… ma Kurt era felice che Dave non fosse stato lasciato solo, ferito e spaventato, prima che lei lo ritrovasse.

Si girò verso il letto. C’era una sedia vicino al muro, persa nelle apparecchiature attorno, e la mise accanto a un lato del letto.

L’atmosfera non era abbastanza silenziosa. Le macchine non facevano più beep vari o altro, ma poteva sentire passi, voci. Quella tendina non era una reale barriera tra loro due e il mondo.

La Coach Sylvester gli aveva ordinato di parlargli, ma non aveva niente da dire. Non c’era assolutamente niente, dato che si ricordava come mai lei avesse chiesto di lui in primo luogo.

Sono qui,” disse, sussurrando verso il volto svigorito di Dave.

Sto bene. Nessuno mi ha inseguito,” sospirò e cercò di fermare il tremore nella sua voce. “Mi hai tenuto al sicuro, proprio come avevi promesso.”

Se fosse stato un altro giorno, sarebbe stato inorridito dalle sue lacrime. Singhiozzare in modo costante e drammatico era uno di quei stereotipi gay che non gli piaceva incarnare. Aveva pianto molte lacrime in diciassette anni di vita, ma ognuna era stata provocata. Ognuna di esse era stata per qualcosa di importante. Ed ecco perché non era imbarazzato, perché suo padre che aveva mandato via Finn di casa per aver chiamato le decorazioni della stanza da letto di Kurt “da finocchio” era niente in confronto a tutto quello. Pur con tutto il dramma e la tensione del liceo McKinley, quello era un livello che avrebbe fatto sbiancare qualsiasi altra cosa al confronto.

Kurt aveva pianto per la Coach Sylvester quando era morta sua sorella. Aveva pianto al capezzale di suo padre dopo il suo infarto. Quelle erano le uniche cose che pensava si potessero paragonare.

Il pensiero che ciò che era successo sarebbe potuto succedere a chiunque era scioccante. Ciò che aveva visto coi suoi stessi occhi, era stato orrendo, aveva visto le conseguenze instabili del tutto. Era qualcuno che conosceva, qualcuno con un carattere duro, una montagna di paura, un sorriso timido e un apparente resistenza nell’usare gli apostrofi nelle sue e-mail… l’unico altro ragazzo gay al McKinley di cui Kurt sapeva qualcosa…

Non c’erano più parole.

Sperava in qualche movimento, sperava che almeno le sue palpebre si muovessero, ma niente. Si sedette per un po’, lasciando ogni tanto sapere a Dave che era lì e che stava bene, nell’eventualità che Dave potesse ascoltarlo. Dopo poco, la tendina venne spostata e una lunga ombra si allungò sul letto.

È ora di andare, Porcellana. Tuo padre pensa ti abbia traumatizzato tenendoti qui.”Kurt sbuffò con un suono cinico e duro. Suo padre era arrivato in ritardo per evitargli il trauma e non era successo in ospedale.

La Sylvester annuì concordando con il suo sbuffo, ma rimase vicino la tendina aperta fino a quando lui non si alzò e lasciò il letto.

Qualcuno dovrebbe rimanere”, affermò Kurt mentre si muoveva per la stanza.

Non preoccuparti, figliolo,” rispose in modo risoluto. “Nessuno caccerà la zia Sue da qui.”

La cosa positiva del conoscere il lato oscuro di Sue Sylvester era che Kurt sapeva che aveva ragione. Nessuno sarebbe riuscito a smuoverla se lei avesse voluto rimanere lì.


Aveva ricevuto due messaggi in segreteria e cinque sms da Blaine quando si ricordò di possedere un telefono e dovette leggere solo il primo sms per realizzare che Blaine aveva capito che qualcosa era successo.

Lo chiamò, sedendo sul letto e stringendo saldamente l’apparecchio.

 

Kurt, grazie a Dio, stai bene? Ero preoccupatissimo."
 

Forse aveva urlato, perché la sincera preoccupazione di Blaine non fece altro che farlo sentire stanco. “Sto bene. Non mi è successo nulla.”

Mercedes ha detto che ha dovuto chiamare la polizia. Che qualcuno ha lasciato la scuola in ambulanza e che tu non sei più tornato in classe.”

Si incupì , appoggiandosi sul muro dietro al letto. “Non ha detto altro?”

Non sapeva niente! Nessuno sa qualcosa, suppongo. Ha detto che c’era una voce riguardo al fatto che un gruppetto di giocatori di football avesse saltato le lezioni ma… dai! Cosa è successo? Hanno provato a fare qualcosa? Qualcuno ti ha fatto del male, o-

Ti ho detto che sto bene, Blaine.” Non intendeva dirlo in modo così secco, ma non si rimangiò nulla.

Guarda, ti dirò tutto domani, promesso. Sono davvero esausto adesso, ok?”

Bene,” disse Blaine e fu un po’ tagliente. Kurt riattaccò con un sospiro, ma un secondo dopo il suo telefono vibrò per un messaggio in arrivo e lo lesse:

Ti amo, ricordatelo. Riposati.”

E sorrise.


Quella notte sognò una partita di football al rallentatore, la folla in delirio e i cori delle Cheerios. Per qualche ragione si svolgeva tutto dentro la palestra e anche se sedeva tranquillamente guardando la partita e applaudendo, per qualche motivo sapeva che dietro le porte che conducevano agli spogliatoi qualcuno stava urlando. Qualcuno chiedeva disperatamente aiuto, e nessuno sulla faccia della Terra riusciva a sentirlo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Beta Reader: Kurtofsky
Grazie a tutti quelli che hanno recensito e continuato a leggere. Sappiamo benissimo che questi primi capitoli sono pesanti ed estremamente drammatici, ma speriamo che non vi fermino dal continuare a leggere questo capolavoro :)

 

The Worst That Could Happen
-Capitolo 3-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/3/The_Worst_That_Could_Happen


Al McKinley si sapeva tutto di tutti. Le cose erano così, lo erano sempre state. Forse attraverso il gossip, o il noioso ed invadente blog di Jacob, o forse perché la metà delle cose importanti che succedevano loro accadevano nei corridoi tra le classi.
 
Camminando per la scuola il giorno dopo, Kurt fu comunque sorpreso di vedere che nessuno aveva una teoria solida e realistica di quello che era successo il giorno prima.
 
Tutti sapevano dell’ambulanza. Tutti sapevano che un manipolo di giocatori di football non si era presentato per le lezioni del pomeriggio. Alcuni sembravano sapere che Dave Karofsky fosse coinvolto, ma nessuno sapeva.
 
La Coach Sylvester non era a scuola quel giorno, ma nessuno riusciva a mettere insieme i pezzi, quindi il gossip aveva stabilito che doveva essere irrilevante.
 
Persino Finn, benché fosse a conoscenza che Dave era ferito e in ospedale, non sapeva esattamente cosa fosse successo. E forse aveva anche tenuto la bocca chiusa riguardo a quello che sapeva, perché quando Kurt lo aveva raggiunto a pranzo con gli altri del Glee Club tutti sembravano confusi.
 
“La Beiste era scocciata,” disse Puck non appena Kurt si sedette a mani vuote, ben lontano dall’essere affamato. “Con mezza squadra assente ieri, senza contare le assenze ancora maggiori di oggi.”
Continuò, parlando con Santana e Finn ma tenendo a fatica la voce bassa. “Ho sentito dire che hanno ucciso qualcuno. E che le cose si sono messe male e sono diventate serie, quindi ora hanno tutti la bocca cucita al riguardo.”
 
Finn lanciò un’occhiata a Kurt.
 
Kurt rimase al suo posto.
 
“Ma dai. Metà squadra?” Santana era dubbiosa.
 
“Non dico che siano tutti coinvolti,” andò avanti Puck. “Serrano le fila, sapete? È così che lo chiamiamo. Come nei film di John Wayne. Voglio dire… lo scorso anno, giusto? Alcuni di noi erano un po’ usciti di testa quando abbiamo perso contro i Sheldonberg, e forse la casa del coach della squadra ha avuto un piccolo… problema. Con il fuoco.”
 
“Cosa?” Lauren si aggiunse alla conversazione, con un sorriso nella voce. “Davvero?”
 
Puck scrollò le spalle. “Una vecchia borsa di roba infiammabile lasciata sul portico. Un ritorno di fiamma. Ad ogni modo, abbiamo dovuto guidare due ore per andare e due per tornare, e sapevamo già che quando Figgins ne sarebbe venuto a conoscenza avrebbe convocato la squadra per vedere chi non aveva dormito la notte. Quindi… abbiamo stretto le fila. Abbiamo sparso la voce in maniera tale che la maggior parte di noi rimanesse a casa il giorno dopo. In questo modo non avrebbe potuto scoprire chi era stato, e non potessero prendersela con qualunque giocatore fosse rimasto a casa visto che era l’ottanta per cento della squadra.”
 
Si accomodò sulla sedia, scrutando i suoi ascoltatori. “Stessa cosa oggi, ci scommetto quello che volete. Scommetto che c’è stata una dannata battaglia ieri, e alcuni ragazzi sono conciati male, quindi staranno a casa almeno finché i graffi non saranno guariti, sapendo che Figgy e la Beiste li stanno cercando.”
 
“È abbastanza intelligente, anche se in un modo malato.” Lauren si rimise comoda, e sembrava che fosse compiaciuta allora più che mai del suo ragazzo, dopo essere venuta a conoscenza di quelle trame nascoste.
 
Kurt avrebbe voluto vomitare.
 
Prima di lasciare l’ospedale Kurt aveva dato alla Coach Sylvester il suo numero di cellulare, e aveva atteso notizie per tutta la mattina tenendosi il telefono stretto in mano.
 
Ricevette una marea di messaggi arrabbiati su quanto fossero bastardi i dottori e su un’infermiera, che lei aveva soprannominato "Il Mietitore" che la teneva lontana dalla stanza. Gli parlò dei mali dell’arte da ospedale – sui quali lui era ormai più che informato – e gli mandò ben tre messaggi sul fatto che aveva quasi picchiato la faccia alla Doogie Howser di un dottore che le aveva suggerito di passare un po’ di tempo nella cappella dell’ospedale.
 
I suoi messaggi erano così imbarazzanti da fargli pensare che non passasse molto tempo a scriverne, ma li lesse tutti con attenzione cercando di non leggere troppo fra le righe.
 
Quei messaggi erano l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi, oltre al ruggito delle macchine da gossip insoddisfatte del McKinley, tant’è che dopo solo cinque minuti ne aveva avuto abbastanza di quelle risatine e quei pettegolezzi, tanto da andarsene in biblioteca pur di uscirne.  Non era il suo posto preferito al mondo – fin troppo soffocante per qualcuno come lui - ma di certo nessuno lo avrebbe cercato lì.
 
Entrò su uno degli antichi computer del laboratorio di informatica e guardò le email, come se avesse impostato il pilota automatico. Blaine gli aveva mandato un paio di messaggi quel giorno, e quello era già strano. Il suo ragazzo sapeva che poteva mandargli degli sms durante le ore di scuola, visto che le mail non erano di certo il mezzo di comunicazione preferito da Kurt.
 
Aprì la prima mail che gli aveva mandato Blaine e vide che era decisamente troppo lunga per essere mandata via messaggio.
 
Kurt,
so che pensi che io sia allarmistico e melodrammatico, ma lasciami spiegare come mai mi sono così preoccupato per te la scorsa notte, e come mai devo veramente insistere sul fatto che tu mi chiami una volta uscito da scuola per dirmi cosa è successo ieri. Hai ragione a dire che non dovremmo lasciarci prendere dagli stereotipi verso chi ci fa del male tanto quanto non dovrebbero lasciarsi prendere loro dagli stereotipi verso di noi, ma lascia che ti spieghi alcune cose riguardo ai ragazzi come David Karofsky.
 
Kurt a quel punto si fermò. Diede una rapida occhiata al paragrafo successivo e notò che il nome di Karofsky era menzionato più di una volta. Blaine pensava che David lo stesse seguendo, e che Kurt fosse così preso dall’accaduto da voler provare ancora e ancora che Dave non stava dando di matto.
 
Kurt cestinò l’email.
 
Scorse con lo sguardo la barra laterale, fino alla sua cartella nominata con molta intelligenza “Esattamente, perché?”, dove c’erano tutte le mail strane o inclassificabili. Sapendo cosa ci fosse in cima alle mail di quella cartella, ci cliccò sopra. Fissò l’indirizzo 'thisiswhereyousendmeemails' e il suo cervello lo riportò all’ospedale.
 
Si chiese se Dave fosse ancora intubato. Fino a quando lo avrebbero tenuto?
 
C’era troppo silenzio in biblioteca, ma c’era troppo rumore da qualunque altra parte. Rimase lì, entrando in modalità auto-flagellazione e cliccando sul’ultima email presente, in modo da poterla rileggerla insieme alle altre con calma.
 
Non riuscì ad andare oltre la sua ultima mail, quella a cui David non aveva mai risposto. Si concentrò sull’ultima di Dave, e la lesse tutta, più volte, fino a fissarsi tanto da non riuscire ad andare avanti  sulla prima riga.
 
‘… e anche se lo facessi, qual è la cosa peggiore cosa che ti potrebbe succedere?’  (*) 

Kurt si ricordò che la mail precedente di Dave era quella in cui gli parlava di come la sua vita non fosse come la sua, e di come il suo coming-out non sarebbe mai stato come quello di Kurt. E la sua risposta era stata quella. Qual era la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere?
 
Nella mail diceva a Dave che non voleva essere impertinente, ma in realtà… quando la stava scrivendo, un po’ lo era stato. Perché davvero, qual era la cosa peggiore che poteva capitare ad un armadio a due ante come Dave Karofsky? Le cose peggiori che fossero mai successe a Kurt erano state a causa di ragazzi come Dave, quindi naturalmente Dave non doveva avere nulla da temere. Nessuno avrebbe mai tirato una granita in faccia a Dave Karofsky. Nessuno lo avrebbe sbattuto contro gli armadietti.
 
Quantomeno nessuno che non avesse le spalle ben coperte.
 
Kurt era un piccolo ed esile essere che odiava sporcarsi le mani ed avere i vestiti stropicciati.
Di certo…  di certo Dave, il giocatore di football tutto muscoli e niente cervello, non poteva avere gli stessi problemi di Kurt.
 
‘Ma è una stronzata.’ Rilesse l’ultima mail di Dave, e gli sembrò che qualcosa stesse scavando nel suo petto a poco a poco. ‘La mia vita non è per niente come la tua’
 
Tutti volevano credere che le cose fossero diverse per loro. Tutti volevano pensare a loro come l’eccezione. Kurt non aveva prestato attenzione a quelle parole, perché ovviamente un ragazzo che era terrorizzato dalla prospettiva di uscire allo scoperto avrebbe pensato il peggio delle persone vicine a lui. Ma Dave sapeva. Era a conoscenza di cose su suo padre che Kurt non sapeva, e poteva sicuramente saperne di più di Kurt su come pensassero gli atleti. Dave sapeva che le cose sarebbero andate male.
 
Ma allora perché lo aveva fatto?
 
‘Qual è la cosa peggiore che può succedere?’
 
Nella biblioteca c’era un silenzio di tomba – probabilmente tutti erano a pranzo. Non c’era nessuno che potesse sentire il respiro di Kurt farsi sempre più corto, mentre rileggeva le stesse mail ancora e ancora e ancora, ogni volta sempre più pallido e paralizzato dall’orrore. Non c’era nessuno che potesse essere lì nel momento in cui Kurt capì. Il momento in cui realizzò che tutto quello che era successo, tutto quello che aveva visto, quell’insensibile, irreale violenza ed orrore…
 
Era tutta colpa sua.
 
A volte odio così tanto la mia vita del cazzo che penso di fare cose stupide.’

Non c’era nessuno che potesse zittire il suono strozzato che gli uscì dalla gola, quando lesse le parole di Dave e realizzò che quello era un ragazzo che aveva già pensato a… ferirsi? Uccidersi? Perfino prima che quell’orrore accadesse.
 
Staccò a forza gli occhi dallo schermo e tirò fuori il cellulare, mandando un rapido e mal scritto messaggio a suo padre prima di potersi anche solo fermare a pensarci.
 
"Papà crdo che abbia bisgno di un psto dove andare." 
 
Mandò il messaggio e rimase a fissare il cellulare, con il suo brillante orologio e lo sfondo di Gaga.
 
Blaine. Doveva chiamare Blaine. Doveva parlare con qualcuno, perché perfino quando Kurt si sentiva solo ad affrontare i suoi problemi, aveva sempre avuto persone con le quali poteva parlarne. E aveva sempre fatto conto su questo.
 
Poteva chiamare Mercedes. O Blaine. Blaine lo amava.
 
Il cellulare gli vibrò in mano. Si concentrò su quello e vide che suo padre lo stava chiamando, quindi chiuse le mail e si disconnesse prima di rispondere.
 
“Papà?”
 
“Quale lezione stai saltando per mandarmi messaggi, Kurt?”
 
“Nessuna.” Kurt spense il monitor e si mise la borsa sulla spalla. “Pranzo, c’è ancora il pranzo.”
 
Oh.” Suo padre esitò. Sentiva dei rumori provenire dal telefono, del frastuono mischiato a dei suoni metallici e, più piano, delle voci. Il suono caratteristico di un’autofficina nel mezzo di una giornata di lavoro. “Odio i messaggi, lo sai. Per cui cosa volevi intendere con quello che hai mandato? Chi ha bisogno di un posto dove andare?”
 
“Dave. Quando verrà dimesso.” Kurt uscì dalla biblioteca, finendo quasi per andare addosso ad una matricola timida che si scansò senza dire una parola. “Quando uscirà dall’ospedale, papà. Deve avere un posto dove stare.”
 
“Sono sicuro che qualcuno si prenderà carico di questo.” Il tono di suo padre era già cauto.
 
Kurt attraversò una porta d’uscita laterale e si fermò subito, strizzando gli occhi per la luce che era dovunque. C’era un piccolo gruppo di ragazzi nel parcheggio riservato agli studenti, una combriccola che cercava senza successo di mascherare il fumo che usciva dal centro del gruppo.
 
Erano abbastanza lontani da Kurt per farlo continuare a parlare. Appoggiò la borsa sulla strada e si sedette sul marciapiede, dando giusto un’occhiata al gruppo in caso avessero deciso di rientrare o tentare di coinvolgerlo.
 
“Hai sentito Mr. Schue, il suo stesso padre non andrà a fargli visita. Chi gli guarderà le spalle adesso?”
 
I suoi insegnanti, suppongo. Magari ha altri famigliari attorno, oppure… Kurt, non capisco. Come ti è venuta quest’idea? So che hai visto di più di quanto avresti dovuto ieri, ma questo non ti rende immediatamente un suo amico.”
 
“Papà-”
 
“Non ho un’amnesia. Mi ricordo esattamente chi è David Karofsky e cosa ha fatto, quindi non girarci attorno. Perché ti stai comportando come se tutto questo fosse una tua responsabilità?”
 
“È gay.”  Le parole vennero fuori prima che Kurt potesse fermarle, ma si guardò attorno per essere sicuro che nessuno oltre suo padre le avesse sentite, e non si pentì di averle dette. Dave era venuto allo scoperto con suo padre, non era di certo un segreto. E Kurt si fidava di suo padre abbastanza da sapere che non sarebbe andato a raccontare niente di tutto quello ad anima viva.

Sì, lo so. Ho sentito quello che ha detto Mr. Shue riguardo a suo padre. Ma questo non rende di te il suo guardiano.”
 
“È gay ed avrei dovuto… aiutarlo. Almeno provare ad aiutarlo. Perché era spaventato, e non voleva… era per questo che era così crudele con me. Ma è stato…” Kurt crollò, sfregandosi il volto e tenendosi stretto il telefono contro l’orecchio.
 
I suoni dal lato della cornetta di suo padre si zittirono, ma riuscì comunque a sentire il rumore di un ronzio. Il ventilatore che si trovava nell'ufficio, nel retro del garage. Kurt chiuse gli occhi e riuscì quasi a vedere suo padre, seduto dietro la piccola scrivania con il suo vecchio computer e la pila di ricevute sempre più alta.
 
Suo padre non disse nulla, Kurt prese un respiro e tenne gli occhi chiusi per prolungare quell’immagine, così da poter credere che suo padre fosse lì.
 
“È colpa mia, papà.” Kurt sussurrò quella confessione, arrendendosi e fissando il marciapiede. “Io gli ho detto… l’ho forzato. Non avrei dovuto. Ogni volta che voleva parlare di qualcosa, gli dicevo… gli dicevo sempre di ‘uscire allo scoperto’. Come se questo avrebbe potuto rendere le cose più semplici. Suo padre l’ha cacciato di casa e lui non me l’ha nemmeno detto, ma qualcuno deve averlo scoperto.”
 
Come fai a saperlo?” chiese suo padre sembrando stanco.
 
“Devono averlo scoperto. Nessuno si metteva contro David qui. Nessuno a parte la squadra di hockey, ma nemmeno loro negli ultimi tempo. La squadra di football ha vinto il campionato, Dave è re del ballo. È in cima, papà. Nessuno vuole avere problemi con chi è in cima, non al McKinley. A meno che non abbiano una valida ragione.”
 
“Kurt. Figliolo… ho sentito quello che la Sylvester ha detto in ospedale, d’accordo? Non penso che questo abbia qualcosa a che fare con l’ambiente scolastico. Solo perché è successo a scuola non vuol dire che…”
 
“È stato qualcuno della squadra di football. Tutti lo sanno, ci stanno ridendo sopra come se fosse tutto uno scherzo.” Gli occhi gli bruciavano di nuovo, ma Kurt ignorò la cosa con un moto di irritazione. “Hanno saputo di lui, lo so. Magari è stato lui a dirglielo. Ho continuato a dire ‘vieni allo scoperto’. Gli ho detto…” Chiuse gli occhi. “Gli ho detto ‘qual è la cosa peggiore che può succedere?’ e suo padre l’ha mandato fuori di casa e qualcuno a scuola lo sa e lui…”
 
“Calmati Kurt. Lo sai che niente di tutto questo ha qualcosa a che fare con il fatto che è stato picchiato, vero?”
 
Kurt sapeva cosa stava per dire ancor prima di esserne cosciente, ma non per questo si sorprese di meno delle sue parole. “Papà, non l’hanno solo picchiato. L’hanno stuprato.”
 
Si fermò, e improvvisamente rabbrividì come se fosse stato preso in pieno da una granitata gigante.
 
C’era una buona probabilità, realizzò in maniera assurda, che non avesse mai detto quella parola a voce alta. Mai.
 
Kurt…” disse suo padre, con voce strozzata.
 
Gli occhi di Kurt erano spalancati. Il cuore stava battendo troppo veloce. Si posò una mano sul petto, guardando il parcheggio senza vederlo davvero. “L’ho visto,” disse, a voce bassa, e pensò alla differenza che c’era nell’ammetterlo con la Coach Sylvester e nell’ammetterlo con suo padre. “Aveva provato a coprirlo, ma uno degli asciugami si era spostato. L’ho visto. Tutto quel sangue, e…”
 
Gesù Cristo”
 
“È stata colpa mia, papà. Era steso lì e c’era sangue dappertutto, e… l’hanno lasciato nudo sul pavimento, così la Coach ha dovuto coprirlo con degli asciugamani, ma uno si è mosso e io l’ho visto. Quando lei… quando sono entrati i paramedici. Mr. Schue mi ha detto di andarmene ma non potevo. Dovevo stare con lui, papà. Non potevo lasciarlo quando…”
 
Sto venendo a prenderti, Kurt.”  
 
“Non avrebbero voluto… anche se si odiavano l’un con l’altro, nessuno avrebbe voluto fare quello. A meno che non sapessero. Sono dei ragazzi, papà. Qualcuno della sua squadra. Più di uno. E loro…”
 
Dove sei? Sei con i tuoi amici?
 
“Cosa?”
 
Kurt. Ascoltami.” C’era più forza nelle sue parole ora, come se si stesse mettendo in moto. “Devi trovare Finn, d’accordo? Mi stai ascoltando?
 
“Finn?” Kurt scosse la testa, confuso. Stava ancora rabbrividendo. “Cosa c’entra Finn?”
 
Adesso devi trovare Finn. Non mi importa dov’è, nemmeno se è in classe o meno. Devi trovarlo e stare con lui finché non arrivo.
 
Kurt si accigliò, ma aveva già preso la borsa e si stava muovendo. Tornò indietro dalla porta dalla quale era uscito, ma poi si ricordò il motivo per cui aveva mandato un messaggio a suo padre ed esitò.
 
“Ha bisogno di un posto dove stare, papà. Quando uscirà.”
 
Parleremo con i suoi insegnanti. Parlerò con suo padre. Farò tutto quello che vuoi, figliolo, se mi prometti di andare a trovare Finn adesso. Mi hai sentito? Trovalo, dagli il telefono e stai con lui finché non arrivo.
 
Kurt si mosse attraverso le porte e i corridoi. Aveva resistito solo cinque minuti al bar con tutto quel rumore e chiacchiericcio, ma andò avanti perché suo padre glielo aveva detto. Camminò avvolto nella nebbia, ascoltando suo padre che attraversava velocemente il traffico attraverso il telefono. Attraversò le porte della mensa e si fermò al suono delle risate e del parlottio.
 
Vide la cresta di Puck e andò avanti. C’era un tavolo di visi familiari che lo guardavano, ma lui stava vedendo un’altra cosa. Si mosse verso Finn e gli tese il cellulare, rimanendo immobile.
 
Dopo un momento Finn prese il telefono, e lo guardò per vedere che non c’era nessuno in linea. Suo padre doveva aver attaccato per parcheggiare.
 
Finn circondò con un braccio Kurt e gli lanciò un’occhiata prudente, ma invece di stringerlo forte non lo forzò a fare qualcosa. Si girò verso Puck e andò avanti con quello che stavano dicendo prima. Disse perfino a Mercedes si lasciarlo stare quando lei chiese l’attenzione di Kurt.
 
A volte Kurt amava Finn così tanto da chiedersi come avesse fatto a vivere fino a quel momento senza un fratellastro.


Kurt capì in maniera distaccata, con una parte ancora coerente del suo cervello che non era quella che stava impazzendo, che avrebbe dovuto essere spaventato. Non c’era nulla di strano, in quello. Non aveva mai visto Mr. Schue così arrabbiato come l’altro giorno, e di certo non aveva mai visto la Coach Sylvester comportarsi a quel modo.  
 
Cose come quelle non accadevano tutti i giorni. Magari in qualche parte del mondo sì, ma non a Lima. Non al McKinley.
 
Non si era sorpreso riguardo al perché la Sylvester stesse facendo da Mamma Orsa per uno studente che non le era mai piaciuto. La risposta era sul pavimento dello spogliatoio. Non aveva bisogno di chiedere come mai Mr. Schue fosse così furioso con il padre di uno studente. Per quello bastava un piccolo letto d’ospedale.
 
Quella era la verità nuda e cruda: poteva aver visto milioni di documentari su Stonewall, Matthew Shepard (**) e i tempi in cui l’AIDS era ancora chiamato il Cancro dei Gay, ma nessuno di quelli era stato reale quanto sentire il termine ‘frocio’ da una persona che voleva prenderlo in giro.

Niente era reale, niente, finché non lo si viveva. La morte nei film era fatta da controfigure e sangue al ketchup. I combattimenti più sanguinolenti diventavano Contenuti Speciali nei DVD, dove gli attori parlavano ridendo di quanto fosse stato divertente girare quelle scene. Stupro era un film di Jodie Foster. Stupro era Deliverance (**), grugnire come un maiale, e doppi sensi sul raccogliere il sapone nella doccia. E anche quando era serio, non era reale. Non era abbastanza vicino da essere reale.
 
Quello che era successo l’altro giorno era violenza e omofobia e stupro. Ed era reale. Era sul pavimento, e in una impronta sul muro che doveva essere ancora lì. Era una persona con una faccia, un nome, e del verde negli occhi che Kurt aveva visto a meno di un metro di distanza.
 
Kurt lo stava vivendo. Non come Dave, ma lo stava vivendo lo stesso.


Burt non disse molto quando arrivò a scuola. Portò fuori Kurt fin sulla macchina, e poi cominciò a guidare. Quando presero la strada diretta all’ospedale, senza che Kurt dicesse una sola parola, voleva fermarsi ed abbracciare suo padre. Ma rimase seduto a guardare l’ospedale entrare nella sua visuale senza muoversi.
 
Dave era stato spostato in una stanza, qualcosa di più simile a Scrubs della stanzetta del giorno prima, e dovettero chiedere un paio di volte in posti diversi prima di trovarla.
 
“Dobbiamo parlare,” disse Burt in tono grave non appena trovarono Sue Sylvester. C’era il cinquanta per cento di probabilità che suo padre volesse urlare contro la Coach per quanto suo figlio avesse visto sotto la supervisione di un’insegnante, e un altro cinquanta per cento dove Kurt supponeva che suo padre volesse parlare con lei riguardo dove sarebbe andato Dave una volta dimesso, come aveva promesso.
 
Con tutta probabilità voleva parlare di entrambe, in realtà.
 
Non che gliene importasse molto. Avrebbe preferito che suo padre saltasse la parte delle urla, ma se c’era una donna nel mondo che sapeva badare a se stessa quella era la Coach Sylvester. Dall’altra parte, non prestò loro più attenzione del dovuto. Supplicò la Coach con lo sguardo da dietro suo padre.
 
Lei gli indicò il corridoio. “317. Ti ho messo nella lista Vip, Porcellana, ti lasceranno entrare.”
 
Lui andò senza ringraziarla, ma sapeva che lei avrebbe capito.


Dave era sveglio. Sveglio e quasi seduto in uno di quei letti regolabili con un sacco di cuscini a sostenerlo. Aveva la testa ancora fasciata, e gli occhi erano ancora neri. Aveva una brutta cera, ma era comunque meglio di prima.
 
Kurt non era preparato a vederlo sveglio. Non sapeva cosa fare, o dire.
 
Dave lo fissò, gli occhi così brillanti in contrasto con la pelle scura attorno ad essi.
 
Kurt esitò sulla soglia, ma entrò e chiuse la porta dietro di sé. Si schiarì la voce, incerto. “Avevo pensato di portati dei fiori,” disse infine, provando a dare il solito tono leggero alla sua voce. “Ma mi era sembrato un po’ scontato.”
 
C’era una televisione sulla parente, che cominciò a diffondere il rumore di una risata come se il solo guardarla fosse stato un segnale d’inizio. Dave diede un’occhiata allo schermo. La sua mano raggiunse un telecomando e spense l’apparecchio. Le dita erano fasciate. Per le nocche, pensò Kurt. Magari si era rotto qualche osso. Era facile che succedesse, quando si faceva a botte, o almeno così aveva sentito dire.
 
Kurt riusciva a parlare. Si mosse, guardando Dave appoggiare il telecomando sul letto, vicino alle gambe. Dave non fece nessun movimento, e gli occhi erano ancora fissi sulla tv muta.
 
Kurt aprì la bocca e poi la chiuse. Si mise vicino ai piedi del letto mentre Dave non lo stava ancora guardando. Pensava di chiedergli come stesse, salvo realizzare non appena provò a formare le parole, quanto ridicole queste sarebbero state se le avesse pronunciate in quella stanza silenziosa.
 
C’erano un paio di sedie contro il muro. Una di quelle aveva la giacca della Coach Sylvester appoggiata sullo schienale. Kurt prese l’altra ed esitò prima di portarla vicino al letto.
 
Come si sedette, Dave parlò. “Mi meraviglio…” La voce gli uscì in un raspo roco, e si schiarì la gola.
 
Kurt attese, guardando il suo profilo.
 
“Mi meraviglio di come tu riesca a scoprire tutti i miei segreti.” Sorrise quasi, ma Kurt era abbastanza sicuro che quel movimento del labbro era dovuto a tutto meno che alla felicità o alla voglia di fare una battuta.
 
La Sylvester doveva aver già parlato con lui. Doveva già aver detto a Dave che Kurt era a conoscenza di tutto quello che era successo. Era un sollievo. Non c’era modo di essere brillanti in quel genere di conversazione, e Kurt non voleva nemmeno immaginare di dover essere lui a dirglielo.
 
“Non sapevo di tuo padre,” rispose calmo Kurt, appoggiando con leggerezza la mano sul lato del letto. Era un letto vero, almeno, e non qualcosa su cui Dave non poteva nemmeno sdraiarsi. “Almeno fino all’altro giorno.”
 
Dave fissò lo schermo nero del televisore. “Non ha…” si fermò, schiarendosi la voce. Si guardò le mani, coperte per la maggior parte da delle garze. Aveva le dita coperte da bende fino alle unghie.
 
Non finì di parlare. Lanciò un’occhiata a Kurt, ma fu solo quello e niente di più. I lividi sul suo volto lo facevano sembrare molto pallido, e il bendaggio che copriva gran parte dei capelli lo faceva sembrare quasi un estraneo.
 
“È venuto un ragazzo. Un poliziotto.” Dave continuò a fissarsi le mani, muovendo le dita bendate in modo assente. “Voleva che sporgessi denuncia, l’ha chiamato un crimine.”
 
“Tu…” Kurt sbatté le palpebre, perché non aveva realizzato che ci fosse una reale alternativa a chiamarlo un crimine. “Dovresti farlo.”
 
David deglutì. Si sdraiò contro i cuscini, lo sguardo verso l’alto. “Hanno fatto dei test. Per le prove. Hanno fatto qualcosa mentre ero qui. Ero svenuto, e non mi hanno nemmeno chiesto…” sembrava che stesse combattendo con emozioni contrastanti. “I poliziotti hanno detto che posso decidere dopo.”
 
“Dave.” Kurt lo chiamò.
 
Dave sembrava guardare oltre Kurt. I suoi occhi erano castani e vuoti, come spenti. Nessuna traccia di verde. Nessuna traccia di vita. “Cantami qualcosa. Fancy
(***).” 

“Cosa?”
 
“È quello che fai, no? Non è la soluzione di tutti i problemi per Schuester?”     
 
“Sai…” Kurt trattenne il respiro. “Sai chi è stato?”
 
Dave sollevò di nuovo lo sguardo. Il volto si strinse, le labbra strette l’una contro l’altra.
 
Annuì.
 
Kurt espirò ed inspirò bruscamente, portando la mano vicina a quella bendata di Dave. Non voleva toccarlo – c’erano regole al riguardo, pensò, delle regole sull’avvicinarsi a delle persone ferite a quel modo? Non lo sapeva, ma era sempre stato una persona fisica ed era impossibile non allungarsi verso di lui.
 
Dave si tese, gli occhi chiusi. Girò la testa di lato, dall’altra parte rispetto a Kurt, ma le dita lo raggiunsero fino a quando non si sfiorarono, e l’intero letto tremò quando Dave singhiozzò.
 
Kurt aveva già pianto così tante volte. Inghiottì le sue emozioni e appoggiò il palmo su quello più grande e coperto di bende di Dave. Non riusciva a pensare a nulla di felice, quindi si schiarì la voce e cominciò a cantare di quello a cui riusciva a pensare.
 
"All around me are familiar faces, worn out places, worn out faces.
Bright and early for the daily races, going nowhere, going nowhere.
Their tears are filling up their glasses, no expression, no expression.
Hide my head I wanna drown my sorrow, no tomorrow, no tomorrow..." 
 
Dave si portò l’altra mano al volto, nascondendosi quanto più possibile quando le lacrime cominciarono a scendere.
 
Le parole di Kurt scivolarono, il tono si abbassò, ma prese un profondo respiro e alzò anche la mano sinistra, prendendo quella di Dave tra le sue prima gentilmente, e poi più forte quando Dave sembrò aggrapparsi a lui.
 
Cantò, e forse non era la soluzione ad alcun problema, ma era quello che Kurt fece.
 
I find it kind of funny, I find it kind of sad;
the dreams in which I'm dying are the best I've ever had.

I find it hard to tell you, I find it hard to take.
When people run in circles it’s a very, very

Mad world...

 


Note di Traduzione:
(*) 'qual è la cosa peggiore cosa che ti potrebbe succedere?' è la traduzione del titolo della storia "The Worst That Could Happen".

(**) I documentari di cui parla Kurt si riferiscono ai Moti di Stonewall, una serie di violenti scontri che avvennero tra la polizia di New York e degli omosessuali che si trovavano in un pub chiamato "Stonewall Inn" nel Greenwich Village il 28 Giugno 1969. Mentre Matthew Shepard era un ragazzo picchiato e ucciso perchè omosessuale. Il processo contro il suo omicidio è diventato famoso in tutto il mondo e ha addirittura portato il presidente Bill Clinton a rinnovare di estendere la legge federale in materia di crimini per pregiudizio includendo individui gay, lesbiche e disabili, poi ufficializzata nel 2009 da Obama.
(**) 'Deliverance' è un film thriller statunitense del 1972, tradotto in italiano come "Un tranquillo Week End di Paura". Primo film in cui venivano mostrate delle scene in cui venivano stuprati degli uomini.

(***) Fancy è il tipico soprannome con cui Dave chiama Kurt, ma non si tratta di un insulto. Uno dei significati di "fancy" è 'completamente grazioso, intraprendente e carino", è inoltre un modo sofisticato per dire "gay" (Urban dictionary). Visto che per la serie TV la traduzione in italiano lascia un po' a desiderare e siccome non siamo riusciti a trovare un soprannome che ci soddisfasse come l'originale, abbiamo preferito lasciarlo in inglese.

La canzone che canta Kurt è Mad World di Gary Jules.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Beta Reader: Kurtofsky.
Un piccolo avvertimento, c'è un motivo per cui Kurt si comporta in questo modo con Blaine. Kurt è innamorato di Blaine, ma non può fare a meno di sentirsi come si sente noi confronti di Dave. Non può raccontare al suo ragazzo cosa sia successo a Dave perchè non sa nemmeno lui come reagire. Andando avanti con i capitoli verrà spiegato il motivo di tutto ciò nel migliore dei modi, come solo Lucy sa fare. Pazienza :)
Inoltre, per ora siamo propensi ad aggiornare due volte la settimana, il martedì e il venerdì.
Ah e ovviamente GRAZIE a chi ha letto e recensito :) 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 4-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/4/The_Worst_That_Could_Happen

 

 

 

Domani non vai a scuola,” disse Burt sulla strada del ritorno verso casa.

Kurt, che stava fissando le mani sul grembo, studiando le impronte rosse e sottili causate dalle mani bendate di Dave che le avevano strette forte, alzò lo sguardo. “Cosa?”

Burt strinse il volante, guardando dritto verso la stretta autostrada. “Non ci torni lì. Non fino a quando non prendono i ragazzi che hanno fatto tutto questo. E non è qualcosa su cui sono preparato a discutere con te, Kurt, quindi… non è un dibattito aperto.”

Kurt si accigliò “Ma ho… i test, e-“

E loro hanno l’obbligo di mantenere gli studenti incolumi. Finché non si prendono le loro responsabilità, non me ne importa niente dei loro test.” Gettò un’occhiata Kurt. “Ho parlato con la tua coach. Ha detto che la polizia è coinvolta e Figgins sta già dominando la situazione, quindi non dovrebbe volerci molto. Ma se hai ragione, se hanno fatto così tanto male a quel ragazzo solo perché è gay, pensi davvero che ti manderò lì mentre sono ancora in giro?”

Kurt esitò. Fu quasi sorpreso che fino a quel momento non avesse effettivamente pensato a sé stesso come un bersaglio.

"Potevi essere tu, Kurt.” Burt guardava di nuovo fisso davanti a sé, e pronunciò quelle parole come se dal primo momento fosse l’unica cosa a cui avesse pensato. “Ora, non sarò capace di proteggerti da tutto quello che ti farà del male, ma sono piuttosto sicuro che quando nella tua scuola ci sono dei mostri che attaccano i ragazzi gay facendoli finire in ospedale, mi sia permesso tenerti lontano.”

Kurt studiò il profilo di suo padre.

Vuoi discutere? Perché ora sono in uno stato d’animo davvero strano, ragazzo. Non posso prometterti che andrà bene.”

No,” disse, guardando le dita di suo padre attorno il volante. Le nocche erano bianche, tanto stringeva forte. “Non discuterò.”

Burt annuì, ma non parlò.

Kurt non aveva pensato affatto a sé stesso. Non aveva pensato affatto che chiunque avesse fatto questo era ancora là fuori. Ed era strano: Kurt – che era conscio dei suoi difetti quanto dei suoi pregi – tendeva ad essere abbastanza egocentrico.

Ti lascerò a casa” disse Burt all’improvviso, sempre fissando davanti a sé come se non potesse distogliere lo sguardo neanche per un momento. “C’è qualcosa che devo fare. Finn non sarà a casa prima di qualche ora. Ti va bene stare da solo per un po’?”

Dove stai andando?”

Burt esitò. “Tu non vieni.”

Kurt lo guardò. “Papà. Dove stai andando?”

Sto andando a parlare con Paul Karofsky.”

Kurt si abbandonò sul sedile guardandosi le mani, anche se le linee rosse erano tutte svanite. “Vengo anche io.”

Cosa ho appena detto?”

Kurt pensò a Dave nel suo letto, al momento in cui Kurt aveva nominato suo padre, alla pausa che ci fu e che svanì prima che Dave cambiasse discorso menzionando il poliziotto che stava provando a convincerlo a presentare accusa. La confusione di Kurt persisteva – Paul Karofsky, che sembrava così comprensivo. Non sembrava che gli interessasse cosa fosse Kurt, aveva preso le sue parti andando contro al suo stesso figlio.

Kurt prese un respiro e annuì a sé stesso. “Vengo anche io.”

Che diavolo-“

Papà.” Kurt girò a sufficienza il sedile per poter guardare suo padre in faccia. “Lo capisco, okay? Vuoi proteggermi ma non hai potuto. Non da questo, quindi ora stai cercando di tenermi lontano da tutto il resto. Lo capisco, ma.. ma non puoi.”

Burt non batté ciglio. Diede un’occhiata allo specchietto retrovisore, mise le frecce e scivolò sul terreno fuori dall’autostrada, fermando la macchina ad uno stop.

È troppo tardi,” iniziò Kurt prima che suo padre potesse dire qualcosa. “Sono coinvolto ora. Lo sono dal momento in cui l’ho visto su quel pavimento, e non puoi tenermi lontano dal sapere cosa sta succedendo o non sarò mai in grado di affrontarlo.”

Burt scosse la testa, lo sguardo malinconico.

Non è colpa tua, papà.” Kurt si sporse, facendo cadere lo zaino sul pianale di fronte al sedile. “Forse Mr. Schue non avrebbe dovuto portarmi con lui in palestra ieri, ma non sapeva cosa stesse accadendo. Forse la coach Sylvester non avrebbe dovuto menzionarmi quando ha chiamato aiuto, ma era poco lucida e ha detto che Dave stava dicendo il mio nome.”

Deglutì, provando a non pensare a quella parte. C’era ben troppo nella sua testa su cui voleva sfogarsi, non poteva continuare ad aggiungere cose alla lista.

Ma aveva iniziato quella piccola discussione, doveva andare fino in fondo. “Dave aveva paura che dopo sarebbero venuti da me. Ecco perché ha chiesto di me. Non puoi prendertela con lui per questo. Aveva promesso che mi avrebbe tenuto al sicuro, papà, e..” Kurt scosse la testa, come per distrarsi.

Prese un respiro. “Sono coinvolto ora, e non è colpa di nessuno. Non posso aiutare Dave o anche solo sopportare ciò che ho visto, a meno che non sappia cosa sta succedendo. Ho bisogno di andare fino in fondo, e posso farlo. Posso gestirlo.”

Burt scosse la testa, ma un po’ meno veementemente. “Non so se potrò gestire te che gestisci tutto questo.”

Kurt lo guardò negli occhi e sorrise, un sorriso debole ma chiaro. “Sono forte, papà. Mi hai sempre lasciato essere forte. Non smettere adesso che ne ho bisogno.”

Ci fu una pausa. Burt si accasciò contro sedile, guardando accigliato la strada davanti a loro.

Lo so che sei preoccupato,” disse piano Kurt. “Ma.. puoi aiutarmi a preoccuparmi per Dave per un po’, invece di preoccuparti per me? Anche se gli hanno fatto del male perché è gay come me, è comunque successo a lui. Non a me.”

Burt scosse ancora la testa, la mascella stretta, ma riaccese il motore e riportò la macchina in strada.

Un minuto dopo passarono l’uscita che li avrebbe portati a casa, e Kurt emise un piccolo sospiro e si distese.

Ragazzo testardo..” Burt prese l’uscita imminente per ovunque dovesse svoltare per arrivare a casa Karofsky. “Ma resterai in macchina.”

Kurt esitò, ma annuì. Non era quello che avrebbe voluto, ma avrebbe capito di più in macchina che a casa. E le mani di suo padre stavano ancora tremando, quindi era forse un buon momento per accettare un compromesso.


Era una bella casa. Una campata larga, due piani, l’erba nel cortile tagliata perfettamente e una macchina nuova nel parcheggio. Kurt pensò di aver sentito da qualche parte che il padre di Dave era un avvocato, ma non ci avrebbe giurato. L’uomo guadagnava bene, era piuttosto chiaro.

Il padre di Kurt camminò dritto verso la porta e bussò così forte che Kurt lo sentì anche in macchina. Dopo un minuto la porta si aprì, e dopo un’altra pausa Burt entrò in casa. La porta si chiuse, e fuori cadde il silenzio.

Kurt raggiunse il suo zaino, dissotterrando il cellulare, e tornò a sedersi sul sedile.

Blaine, Mercedes, Finn. Di nuovo Blaine.

Sospirò e picchiettò il nome di Blaine.

Kurt?” Blaine rispose dopo uno squillo, senza respiro.

Il senso di colpa attanagliò lievemente Kurt. “Ciao.”

Dove sei? Mercedes ha detto che sei andato di nuovo via da scuola?

Lottò contro il bisogno di roteare gli occhi –la preoccupazione era gradevole, davvero, anche se fuori luogo. “Non avrei mai dovuto darti il suo numero. Sto bene, Blaine. Papà è venuto a prendermi per andare via..”

Andare dove? Kurt.. Sto cercando di essere paziente qui, ma..”

Lo so. Mi dispiace. Solo..” Non poteva dire tutto a Blaine. L’ultima volta che gli aveva detto uno dei segreti di Dave, non era finita bene. Era quello il problema, non poteva dirgli qualcosa senza dirgli tutto.

Hai ricevuto le mie e-mail? Su Karof-“

Okay, aspetta.” Kurt prese un respiro. “Non parlare di Dave proprio ora, okay? Non è davvero.. non è un buon momento per quello, Blaine.”

Bene. Allora dimmi cos’è successo così posso smetterla di speculare.”

Gli hanno fatto del male.” Sicuro, giusto? Anche Finn sapeva solo questo. “È lui che hanno dovuto portare in ambulanza per ieri. Gli hanno fatto del male, ha bisogno di aiuto.”

Ci fu una pausa, e un sospiro corto e contenuto.

Non hai letto le e-mail, vero?”

Di che stai parlando?” Kurt guardò di nuovo la casa silenziosa. Non c’era modo per capire cosa stesse succedendo dentro quelle mura. Avrebbe dovuto essere più testardo sull’andare dentro con suo padre.

Kurt. Guarda, ascoltami e basta. I ragazzi come Karofsky..”

Blaine, ho detto-“

Sono manipolatori, Kurt. Seriamente. Questo tipo non ha fatto niente di meglio che assalirti, sono sicuro che sarebbe capace di farsi del male se pensasse che questo attirerebbe la tua attenzione.”

Ho detto di smetterla!” Kurt non aveva nessun diritto di prendersela con Blaine, quando era lui quello che gli stava nascondendo tutto. Non poteva arrabbiarsi. Se Blaine avesse saputo la verità sarebbe stato zitto, ed era Kurt quello che continuava a nascondergliela. Non poteva irritarsi. Non poteva dare la colpa al suo povero, preoccupato fidanzato.

Ma lo fece lo stesso.

Ora basta, Blaine. Quando sei pronto ad avere una conversazione con me che non includa il tuo sparlare su Dave Karofsky, richiamami. Fino ad allora, puoi continuare a chiedere notizie a Mercedes.”

Questo fu tutto quello che disse e attaccò il telefono, lasciando che gli scivolasse sulle gambe, mentre fissava la casa.

Il telefono squillò, ma lo ignorò. Squillò altre tre volte prima che la porta principale si aprisse di nuovo –ancora Blaine, due volte Mercedes. Kurt poteva dirlo perché avevano entrambi due suonerie diverse. Erano le persone più importanti nella sua vita a parte suo padre, dopotutto.

Li ignorò, niente distolse la sua attenzione finché la porta non si aprì.

Burt aveva un grande borsa logora sulla spalla, e la sua faccia era rossa e arrabbiata. Si mosse attorno alla macchina e lanciò la borsa sui sedili posteriori, salì in macchina e accese il motore senza neanche guardare Kurt.

Kurt guardò la casa, ma non c’erano movimenti dentro. Nessuno guardava dalla finestra, nessuno alla porta.

Aspettò fino a quando non fossero sulla strada. “Cosa è successo?”

Burt scosse la testa, emise un lento respiro simile al fischio del vapore che esce da un bollitore. “Certa gente non ha il diritto di definirsi genitore.”

Kurt deglutì, sconcertato. Avrebbe voluto ribattere, inutilmente, che Paul Karofsky sembrava così gentile.

Non chiese nulla, perché quando suo padre era turbato da qualcosa in genere diceva a Kurt di cosa si trattava. Di solito lasciava almeno qualche indizio.

E lo fece, appena si addentrarono nel loro quartiere. Rallentò la macchina, guardando dritto la macchina di Carole nel parcheggio, che significava che non avrebbero avuto modo di parlare privatamente in casa. Fermò l’auto di fronte casa, spense il motore, e non si mosse.

Kurt si girò verso di lui, aspettando.

Se mai..” Suo padre si strofinò il viso, quello sguardo oppresso che Kurt aveva visto troppo spesso. “Se mai ti ho fatto pensare che per me ci sia qualcosa al mondo più importante di te..”

Non l’hai fatto. Mai.”

Niente, Kurt.” Suo padre aggrottò le sopracciglia. “Né il garage. Né la casa. Neanche Carole, o Finn. Loro.. loro potranno diventare tanto importanti, ma niente per me è più importante di te. Non mi importa chi ami o cosa fai. Non mi importa se prendi e ammazzi qualcuno perché indossa le scarpe bianche dopo la Giornata dei lavoratori.”

Kurt avrebbe voluto sorridere, ma non ci riuscì.

Sono tuo padre, lo capisci? Non devo approvare tutto quello che fai. Non mi devono piacere tutte le tue idee, o capire tutto quello che fai. Non importa. Sono tuo padre, tu sei mio figlio. Questa è l’unica cosa che importa.”

Kurt sapeva tutto questo. Aveva quel tipo di fede in suo padre che non aveva in niente e nessun altro al mondo. Avevano affrontato diverse brutte cose per arrivare dov’erano, e non aveva bisogno che gli ricordassero a che punto fossero.

Ma sapeva che suo padre non stava dicendo quelle cose per Kurt. Non aveva nulla a che fare con Kurt. Quello era suo padre che affrontava un altro padre che non aveva fatto le stesse scelte, e ne era completamente disorientato.

Kurt guardò la grande borsa logora sul sedile posteriore. “Solo perché è gay?” chiese piano, nonostante sapesse già la risposta.

Suo padre seguì il suo sguardo e sospirò. “Sembra quasi che il mondo intero debba andare nella tua stessa direzione, non è vero?" allungò la mano e la posò sul braccio di Kurt, poi aprì lo sportello e si spostò per prendere il borsone sul sedile dietro.

Kurt scese dalla macchina e afferrò lo zaino, infilando il telefono in tasca.

Se ha bisogno di un posto,” disse suo padre muovendosi attorno la macchina, “abbiamo una stanza qui. Se è quello che vuoi, Kurt. Se ti senti al sicuro.”

Kurt annuì. “Non mi fa più paura, papà.”

Improvvisamente, era il resto del mondo sul quale era insicuro, non Dave.


Quando la mattina dopo Dave vide il logoro borsone spalancò gli occhi, ma se quella era sorpresa fece in fretta a scrollarsela di dosso. Si mise seduto sul letto maneggiando il telecomando per alzare di più lo schienale

Non sei andato a scuola.”

Kurt sorrise più di quanto avesse voglia. “Sei un’ottima scusa per marinare la scuola.”

Grandioso, possiamo farci bocciare insieme.”

Solidarietà, fratello.” Kurt alzò solennemente il pugno. “Vai, Team Arcobaleno.”

Il piccolo e debole sorriso di Dave svanì presto. Fece un cenno alla borsa. “È stato qui?”

No.” Kurt si mosse verso il letto e posò il borsone. Aveva esaminato diversa roba che suo padre aveva preso da casa di Dave e aveva lasciato i vestiti e diverse altre cose nella camera degli ospiti a casa. Aveva portato solo le cose che pensava potessero interessare ad un ragazzo imprigionato in una camera d’ospedale. “Abbiamo più o meno.. invaso casa tua? Ieri? Mio padre, almeno. Penso che sperasse di parlare..”

Dave chiuse la lampo della borsa. Grugnì. “Com’è andata?” Non si disturbò ad aspettare una risposta che già conosceva. Prese un iPod e delle cuffie, e questa volta il suo sorriso era quasi reale. “Oh. Grazie. Daytime TV è..”

Soap-opera e Supermarket Sweep. Lo so, tragico.”

Dave appoggiò l’iPod sul grembo e non calcolò più il borsone. “Tu non gli hai parlato, vero?”

A tuo padre? No. Papà non mi ha fatto entrare.”

Probabilmente ha fatto bene.” Dave giocava con l’iPod, scrollando diverse schermate, ma i suoi occhi seguivano a malapena quello che stava facendo.

Era il momento per chiedere senza giri di parole, ma Kurt si sentì stranamente titubante quando parlò. “Tuo padre.. non mi sembrava così tanto omofobo. Prima.”

Non lo è.” Dave non distolse lo sguardo dall’iPod. Le labbra si incresparono, ma era quel tipo di sorriso che dovrebbe avere un uomo di cent’anni. Stanco e amaro.

Non capisco” disse Kurt piano.

Vuoi un altro segreto, Fancy?”

Io..” Kurt aggrottò le sopracciglia. “Non è quello che..”

Certo che lo vuoi.” Dave sovrastò la voce di Kurt. “Ecco, non ti dirò proprio un cazzo su questo.” Stringeva ancora l’iPod.

Kurt lo studiò per un momento, ma prese il lettore esitante . “Cosa..?”

C’era una lista di playlist sullo schermo. Quelle standard Aggiunti Recentemente e Più Ascoltate, una chiamata Palestra, e proprio sopra quella, una chiamata Fancy.

Kurt sbatté le palpebre e guardò Dave.

Dave non lo stava guardando. Giocava con il laccetto degli auricolari, praticamente strangolandolo tra le mani.

Kurt provò a sorridere. “È qui che nascondi Gaga?”

Dave chiuse gli occhi. Scrollò le spalle, guardando verso la porta. “Il male alla testa mi sta uccidendo. Quella cazzo di infermiera doveva già essere qui.”

Vuoi che ti chiami qualcuno?”

Ci fu una pausa. Dave strangolava quella corda bianca e sottile tra le dita bendate, si lasciò andare sul cuscino e chiuse gli occhi.

Kurt si sentiva come se non stesse seguendo abbastanza velocemente. Non aveva idea di cosa stesse accadendo nella testa di Dave. Era qualcosa che non avrebbe intuito neanche prima che succedesse tutto questo.

Guardò il suo iPod, e selezionò la playlist Fancy.

Non riconosceva nessuna delle canzoni. Non sembravano canzoni stile Gaga, questo era ovvio.

Il dottore..”

Tornò istantaneamente a guardare Dave.

Dave fissava il soffitto. “Ha detto che mi avrebbero tenuto qui solo per 48 ore. Per la testa, in caso avessi subito un trauma cranico o qualcosa del genere. Non so come si fa a dirlo, però. Qual è la differenza tra un atleta stupido e un ragazzo che ha subito un trauma cranico?”

Kurt si appoggiò sul bordo del letto, sedendosi precariamente. “Sembra l’inizio di un indovinello. Comunque, non sei stupido. Tuo padre ha detto che prendevi buoni voti, giusto? E noi abbiamo una camera per gli ospiti.”

Dave lo guardò.

Se è quello a cui stai pensando.” Kurt sorrise. “Insomma.. se vuoi. La Sylvester potrebbe avere una stanza o qualcosa, ed è stranamente preoccupata per te ora, ma..”

Vero? Era qui stamattina, prima di scuola.” Dave tornò a guardarsi le mani, come se cercasse di buttare sul ridere la presenza di Sue Sylvester, senza riuscirci. “Perché dovresti offrire una cosa del genere?”

Kurt esitò. Non c’era una risposta a quella domanda che non comprendesse un flashback al pavimento degli spogliatoi.

Dove eri andato a stare?” chiese invece. “Gli ultimi giorni?”

Con..”

Dave si fermò improvvisamente. Il suo viso sbiancò. Le mani allentarono la presa sulla la cordicella sottile e sfilettata.

Lo stomaco di Kurt si strinse. Si tese in avanti. “Dave?”

Dave chiuse di nuovo gli occhi, ma non era il mal di testa a contrarre il suo viso. Il dolore che incideva i suoi lineamenti non era fisico.

Kurt allungò il braccio, toccando istantaneamente la sua mano. “Dave, cosa?”

Z,” disse Dave, premendosi i palmi contro le tempie come se il suo mal di testa fosse appena peggiorato di parecchio. La sua voce era cruda. “Stavo da Z.”

Kurt afferrò il borsone e lo dispose sul pavimento prima che cadesse. Mise l’iPod sul letto. Venne sfiorato da un pensiero orribile mentre guardava il colorito di Dave svanire dal suo volto.

Non aveva idea di che tipo di relazione intercorresse tra gli atleti, ma sapeva che prima che Karofsky si rivelasse gay l’aveva visto raramente senza Azimio al suo fianco. Erano migliori amici. Anche le persone che non li conoscevano affatto, quelli che odiavano, come Kurt, anche Kurt lo sapeva. Nessuno si incasinava con uno dei due senza avere l’altro contro, o entrambi.

Lo sapevano tutti.

Dave poteva chiudere gli occhi e dare la colpa a un mal di testa, ma Kurt era stranamente sicuro di sapere cosa non andasse.

Era..” Faceva male spingere fuori la domanda. “Era uno di quelli che..?”

No.” Dave esalò un respiro. “Ma era uno di quelli che sapevano.”

Sapere che cosa?”

Di me.” Il respiro di Dave si fece più veloce, più rigido. Si fissò le mani, il groviglio dei fili delle cuffie. “Sono andato a stare da lui quando mio padre mi ha cacciato di casa. Gli avevo finalmente detto perché mi aveva cacciato di casa, e.. il giorno dopo..” Alzò lo sguardo verso Kurt, e c’era un tale dolore nei suoi occhi, maggiore di quanto gliene avesse mai visto per colpa di suo padre fino ad allora. Forse perché si era sempre aspettato che suo padre gli voltasse le spalle. “Era a scuola ieri?”

Kurt esitò. Le lezioni del giorno prima erano per lo più offuscate, ma era andato a Francese. E il banco affianco al suo era rimasto vuoto.

Scosse la testa, e se ne pentì quando Dave crollò portandosi le mani alla testa. Schiacciava le nocche contro la tempia come se stesse combattendo un dolore ancora peggiore.

Ma..” Kurt parlava velocemente, e solo Gaga sapeva perché stesse provando a fare l’avvocato del diavolo per un ragazzo che l’aveva maltrattato per tutta la sua vita liceale. “Ma un branco di ragazzi non è venuto a scuola. Puck ha detto che tipo metà squadra non si è presentata.”

Dave grugnì seccamente. “Serrano le fottute fila. Cristo.”

Kurt aveva quasi pensato che Puck si stesse inventando tutto. Metà delle sue fantastiche storie erano inventate, lo sapevano tutti e a Puck stava bene che lo sapessero tutti. Ma questa non lo era, apparentemente.

È una procedura fottutamente standard, come se questo fosse un.. uno scherzo del cazzo. E Z è..” Grugnì di nuovo, ma era debole e rotto, e iniziava a respirare un po’ più velocemente.

A Kurt non piaceva Azimio. Un bullo con del senso dell’umorismo era pur sempre un bastardo per il ragazzo che veniva umiliato. Non stava facendo l’avvocato del diavolo perché pensava che Azimio fosse un bravo ragazzo. Semplicemente non riusciva a guardare Dave andare in pezzi.

Parlava velocemente –troppo velocemente. “Ma è così, no? Se è normale per voi saltare la scuola solo perché qualcuno nella squadra dice di serrare le fila, non significa che sappiate cosa state aiutando a nascondere. Giusto?”

Dave si strofinò gli occhi, allontanando lo sguardo da Kurt verso il muro.

Non significa che aveva a che fare con tutto questo. No?”

È una cazzo di coincidenza, allora,” Disse Dave, la voce rigida. “Ha detto.. quella notte, mi stava scocciando e continuava, che mio padre è così fantastico e io dovevo aver fatto qualcosa di serio perché mi cacciasse di casa, e voleva sapere cosa. Ti copro le spalle, diceva. Cazzo!” Dave si sbatté i palmi sugli occhi, rabbrividendo. “Cosa c’è che non va in me?”

È una domanda stupida,” Rispose Kurt, pacato e inquieto. Sfiorò il braccio di Dave, ma quando Dave sussultò al tocco la sua mano si ritirò di nuovo, e lui si congelò.

Cosa doveva dire? Cosa doveva fare? Non sapeva come affrontare tutto questo, come faceva ad aiutare qualcun altro ad affrontarlo?

Dave prese un respiro, affannato. Deglutì una volta, poi due, come se combattesse contro il bisogno di vomitare. “Se avessi ucciso qualcuno,” disse, la voce aspra dai singhiozzi a cui non voleva abbandonarsi, “Mi avrebbe aiutato a nascondere il corpo. Ma sono fottutamente gay, quindi all’improvviso ogni cazzo di giorno da quando avevamo otto anni non significa un cazzo. Come se fossi un estraneo. E il giorno dopo tutta la squadra lo sapeva , e hanno..”

La sua voce cedette, e con un verso di dolore si coprì la faccia con le mani bendate.

Dave.” La voce di Kurt era patetica, a malapena udibile. Non riusciva a guardare Dave crollare in pezzi un’altra volta, ma stava succedendo, e se c’era una cosa giusta da fare in quel momento non sapeva quale fosse. Era un ragazzo di diciassette anni, lui non sapeva nulla.

Si mosse sul letto, sedendosi goffamente all’altezza della vita di Dave. “Dave, ti prego.” Allungò di nuovo il braccio, preparato ad un altro sussulto, un altro scatto, ma le sue dita sfregarono leggermente la manica della vestaglia di Dave, e strinsero lì, e si mossero per il braccio di Dave e lui non si allontanò.

Non posso..” Dave respirava come se stesse affogando; ansimando, respiri acquosi. “Perché? Io non.. non capisco. Perché hanno fatto questo?”

Ti prego..” Disse di nuovo Kurt, e non aveva idea di cosa stesse chiedendo fino a quando le braccia di Dave non si abbassarono e le mani di Kurt non tornarono al loro posto. E non aveva idea di cosa stesse implorando fino a quando Dave non cedette e si sporse verso di lui, e le braccia di Kurt lo circondarono attirandolo più vicino.

Quando i singhiozzi di Dave scossero Kurt invece del letto silenzioso, Kurt seppe che quello era ciò di cui aveva bisogno.

Non zittì Dave, né perse fiato mentendogli su come andasse tutto bene. Chiuse gli occhi e provò a concentrarsi sul suo respiro, a restare calmo e ad essere qualsiasi cosa potesse essere utile a Dave in quel momento.

Dave era probabilmente una decina di centimetri più alto di Kurt, con una quarantina di chili di muscoli in più, che Kurt non aveva. Ma mentre Kurt sedeva lì stringendolo, si sentì come se fosse lui quello forte tra i due. Come se senza di lui lì Dave si sarebbe sciolto sul pavimento sotto di loro.

Suo padre gli aveva sempre detto che era forte, e Kurt non l’aveva mai sentito così vivamente come in quel momento. O almeno nessuno ne aveva avuto così tanto bisogno.

Non sapeva cosa stesse facendo. Era solo un ragazzo, e stava affrontando cose ben oltre le sue esperienze. Sapeva come cantare canzoni sulle cose brutte, ma nonostante le insistenze di Mr. Schue sul contrario, non c’era una canzone al mondo che potesse aggiustare minimamente una cosa incasinata come quella.

Ma stringendo Dave sentiva quella forza che suo padre vedeva in lui, e sapeva di potercela fare. Non sarebbe stato perfetto, sarebbe stato solo.. forte, e qualsiasi cosa buona che avrebbe fatto sarebbe dovuta essere abbastanza.


Dave si addormentò con delle tracce umide sul viso e le dita strette forte alla maglia di Kurt. La presa si rilassò quando si addormentò.

Kurt non andò via. Si spostò sulla sedia affianco al letto, ma la sistemò più vicino facendo in modo che potesse raggiungere Dave facilmente se ne avesse avuto bisogno.

Stette seduto per un po’, guardandolo, sentendosi affranto e devastato e stranamente snervato. Il bisogno di fare qualcosa lo divorava in silenzio. Ma non voleva lasciare Dave, quindi prese il suo ipod per abbattere quei pensieri e infilò gli auricolari nelle orecchie, e trovò una canzone a caso da ascoltare nella playlist Fancy.

La voce era familiare, ma la canzone no. Una chitarra, una batteria, e una voce sottile e tesa. Kurt si aspettava un favoloso mix di canzoni da ballo o qualcosa del genere –che cos’altro avrebbe potuto mettere Dave in una playlist chiamata in onore di Kurt? E non riusciva a capire cosa c’entrasse quella canzone con lui finché non zittì i suoi stessi pensieri abbastanza da ascoltare il testo.

It's just you and me against me
One, I get the feeling that it's two against one
I'm already fighting me, so what's another one?
The mirror is a trigger and your mouth's a gun
Lucky for me, I'm not the only one.

Lo spense.

Suo padre un tempo gli diceva di non ascoltare le conversazioni delle persone a meno che non si sentisse pronto a sentire brutte cose, e quella era una cosa troppo simile. Non voleva saperlo –cosa Dave pensasse di lui, o come l’avesse fatto sentire.

Erano dannatamente recenti i tempi in cui Dave era solo Karofsky. Solo un altro bullo della squadra di football, un violento ‘caso non dichiarato’, e poi.. solo un ragazzo miserabile la cui intera vita era stata una farsa. Tutte queste fasi che Karofsky aveva attraversato sembravano addossarsi nella testa di Kurt, ma per tutto il tempo Kurt stava vedendo solo questo piccolo pezzo di maschera, non lui. Neanche una volta lui.

L’idea gli bruciava dentro, perché c’erano persone al mondo che avrebbero dovuto conoscere Dave per quello che era. Suo padre, il suo migliore amico. Quelle sarebbero dovute essere le persone su cui Dave poteva contare, non Kurt. Non qualcuno che lo faceva sentire come quella canzone.

Kurt aveva visto l’odio negli occhi di Karofsky in tutte le fasi della loro drammatica relazione. Non riusciva a sopportare l’idea che ci fosse dentro con tutte le scarpe questa volta. Che Kurt, che era un estraneo tanto quanto Dave era un estraneo per lui, fosse l’unico che era lì per lui. Casa di Kurt era l’unico rifugio che gli avessero offerto, e le persone che avrebbero dovuto conoscere Dave per quello che era avevano invece preferito quel Karofsky disgustato da sé stesso.


Quando lasciò il fianco di Dave fu solo perché non voleva svegliarlo.

Porcellana. Che c’è?”

Ho bisogno di un’informazione.” Parlò a voce bassa al telefono, nonostante l’infermiera avesse messo nella flebo di Dave qualche tipo di medicina che rendeva il suo sonno ancor più pesante.

Coach Sylvester esitò solo per un momento. “Che tipo di informazione?”

Mi serve un indirizzo. Può cercare uno studente per me?”

Stai per fare qualcosa di ridicolmente stupido, raggio di sole?”

Probabilmente.”

Voglio sapere di che si tratta?”

No.”

Un’altra pausa, ma non lunga. “D’accordo. Continua.”


Note di Traduzione:
La canzone che ascolta Kurt è Two Against One dei Danger Mouse.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Beta Reader: Kurtofsky.
Grazie infinite a chi ha messo la storia tra i preferiti, TWTCH è entrata nelle storie più popolari :) Grazie :)
Happy Glee Day everyone! :)



The Worst That Could Happen
- Capitolo 5 -
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Ufficialmente Kurt aveva lasciato il suo armadio a sedici anni.

In realtà, qualsiasi armadio in cui Kurt si fosse nascosto doveva per forza avere le pareti di vetro, dato che secondo la maggior parte dei suoi conoscenti era il peggior nascondiglio della storia.

La sua carriera da gay dichiarato, quindi, andava avanti da un anno e qualche mese, ma, fin da quando ricordasse, era stato sempre deriso, disprezzato e picchiato per la sua sessualità.

La ragione per cui si era soffermato su certi pensieri era perché, quando la sua macchina si era fermata nel punto in cui segnava il GPS, si era ritrovato in una strada piena di sistemi d’allarme a cui era abituato a far fronte con disprezzo fin da quando era un bambino.

I bulli dovrebbero essere poveri, ignoranti. Dovrebbero odiare Kurt perché semplicemente non sanno fare altro. Come gli scimmioni. Kurt aveva speso ore ed ore nei suoi anni di scuola a costruire ed indovinare le vite delle persone che lo odiavano. Certe patetiche, certe orribili, altre ancora veramente malate, tutte immaginate per auto convincersi che l’odio avesse davvero un motivo, che quelle persone non fossero davvero cattive, ma semplicemente problematiche.

Dave Karofsky… bè, qualsiasi altro ragazzo gay, al suo posto, si sarebbe sicuramente domandato se dietro i suoi atti di bullismo non si nascondesse qualcos’altro. Quindi la storia di Dave rientrava sicuramente nei possibili scenari che la mente di Kurt aveva costruito. Era scioccante, sì, ma non impossibile.

Il posto in cui si ritrovò una volta sceso dalla macchina, comunque, faceva apparire il bel quartiere dove abitava Dave non più tanto bello. Iniziò addirittura a pensare che quelli che risiedevano lì avrebbero guardato con occhio critico il quartiere dei Karofsky. Enormi prati verdi la cui manutenzione era paragonabile ai campi da golf, entrate perfettamente asfaltate, soffitti a volta e scalinate a chiocciola.

Ogni tanto dimenticava l’esistenza di certi quartieri a Lima, e sicuramente quel giorno non si aspettava di guidare fino ad uno di quei posti, data la missione che aveva in mente. Ma era più che sicuro che la Coach Sylvester gli avesse dato l’indirizzo giusto, perché ancor prima di spegnere la macchina e di mettere piede a terra, una risata di scherno lo raggiunse.

Oh cazzo, la regina delle checche è venuta a farmi visita. Qualcuno avrebbe dovuto avvertirmi, mi sarei messo i miei vestiti migliori!”.

Kurt avrebbe riconosciuto la voce di Azimio Adams ovunque, qualsiasi ragazzo del Mckinley ci sarebbe riuscito. Anche quando non stava puntando qualcuno, riusciva sempre a farsi riconoscere e aveva molta più personalità di qualsiasi altro bullo.

Kurt era sceso dalla macchina tenendo le chiavi strette in mano, in caso avesse dovuto tirare un pugno ed essere anche in grado di far del male all’altro ragazzo.

Azimio non indossava la sua letterman, cosa che colse Kurt di sorpresa: il giocatore di fronte a lui era solito indossare i colori del McKinley più di Dave. Quel giorno, comunque, indossava dei jeans ed una maglia nera che rendevano difficile credere che abitasse davvero in una di quelle case eleganti, ma si comportava come se fosse il Re del quartiere, e quello rendeva ovvio il fatto che vi appartenesse.

Con un ghigno sul volto si avvicinò a Kurt, inarcando un sopracciglio mentre lo guardava scendere dalla macchina. Kurt non riuscì a capire se dietro quel sogghigno ci fosse della cattiveria. Ma doveva esserci, o meglio, di solito c’era. Non notò alcuna espressione che tradisse i pensieri di Azimio e la cosa lo inquietò. L’odio nascosto era ancor più spaventoso di quello palese.

Azimio si era mosso, squadrando Kurt con aria sorpresa e divertita.

Ora ti chiederò cosa diavolo tu stia facendo nel mio quartiere, principessa, ma non pensare che mi interessi la tua risposta. Non vorrei perdessi la tua testolina-“.

Furono quelle parole a riportare la mente di Kurt alla realtà, ancor prima che Azimio riuscisse a finire la frase. Quelle parole, quel ghigno, quel disprezzo a lui familiare. Kurt ci aveva convissuto per tutta la sua vita, ma il fatto che provenissero da Azimio gli fece immaginare Dave al suo posto.

E il pensiero di Dave bastò a riportare Kurt al motivo per cui si trovava lì.

Sbatté la porta ed affrontò Azimio, parlandogli addirittura sopra.

Sapevi cosa stava per succedere?”.

Il sorriso di Azimio era più spavaldo che mai. “Come dice, sua altezza?”.

Sapevi cosa stavano per fare?”. Non era il solito Kurt a parlare e, vista la mancanza di paura ed il modo in cui fronteggiava Azimio, era come se fosse lui il più grosso dei due.

Un sincero guizzo di curiosità, o confusione, attraversò il viso di Azimio.

Dovrai essere più specifico, dolcezza. Conosco un sacco di persone e io-“.

Bene”, rispose Kurt facendo un altro passo avanti, riducendo ancora di più lo spazio tra di loro.

Pensò a Dave, seduto da solo in un letto di ospedale. Sentiva ancora l’umido nel punto in cui Dave aveva pianto sulla sua maglia, anche se in realtà si era asciugata alcune ore prima. Sentiva ancora Dave tremare. Riusciva ancora vederlo disteso sul pavimento degli spogliatoi, con un braccio nudo e gli occhi vitrei e le unghie rotte mentre cercava di trascinarsi fuori da quell’inferno.

Kurt non incuteva timore, la sua corporatura era minuta, non era spavaldo, non era forte.

Ma per qualche motivo, mentre si avvicinava, il ghigno di Azimio svanì ed iniziò ad arretrare.

Bene”, ripeté, mentre le sue mani si richiudevano a pugno. “Sapevi cosa stavano per fare a Dave quei bastardi?”.

Dave?”, chiese sorpreso Azimio, come se non avesse mai sentito prima quel nome. “Tutto questo ha a che fare con quel cazzone di Karofsky? È un gay dichiarato da neanche dieci minuti e già voi checche fate gruppetto? Oppure-“.

Silenzio!”. Il canto, si disse. Forse era stato il canto a fargli avere quel controllo sulla sua voce, sulle sue corde vocali. Non aveva mai parlato con quel tono prima di quel momento.

Azimio si era zittito immediatamente.

Rispondimi!”, incalzò nuovamente Kurt, decidendo che avrebbe pensato più tardi a tutta quella situazione, e che sicuramente si sarebbe convinto di essersi immaginato tutto, perché non riconosceva nemmeno se stesso in quel corpo, in quel cervello. Non era lui a parlare attraverso la sua voce.

Quando hai detto a quei bastardi che Dave era gay, sapevi cosa avrebbero fatto dopo?!”.

Azimio non rispose immediatamente. La sua fronte iniziò a corrugarsi, come se si fosse appena accorto che le cose che Kurt stava dicendo erano davvero importanti.

Gli hai detto tu di farlo?”, chiese Kurt, quasi ringhiando. “Ti sei fatto quattro risate, dopo? Hai passato tu la voce di serrare le fila?”.

Il sorriso di Azimio sparì completamente, questa volta. Fissò Kurt allo stesso modo in cui lo fissava durante loro lezioni di francese, quando erano in coppia e Kurt parlava così velocemente che l’altro ragazzo riusciva a capire soltanto una parola ogni cinque.

Kurt annullò completamente lo spazio tra di loro, puntando un dito al petto del ragazzo più grande.

Perché oggi sei a casa, brutto… brutto bastardo? Sai almeno cosa stai aiutando a coprire? Sai almeno perché lui è in ospedale?!”.

Cosa?”

Il tono confuso di Azimio riuscì a far vacillare la furia di Kurt.

Azimio si ricompose e scosse la testa sbuffando come se stesse per ridere ma non ne fosse in grado.

Di che cazzo stai parlando, signorina? A Karofsky non è successo nulla, probabilmente avrà fatto un incidente con il suo-”, ma le parole iniziarono a mancargli, ed anche nei suoi occhi passò una scintilla di comprensione. Scuotendo la testa ancora più forte, arretrò come se volesse andarsene, come se Kurt fosse riuscito davvero a spaventarlo, per una volta.

Azimio non sapeva. Davvero non sapeva. Da qualche parte nella sua testa Kurt avrebbe voluto esserne contento, rallegrarsi. Ma non era cambiato nulla. Magari Azimio non aveva accoltellato Dave alle spalle forte come credeva, ma aveva comunque conficcato un coltello.

Parlò ancora mentre guardava gli occhi di Azimio spostarsi di lato, come se si fosse perso in qualche pensiero, come se stesse cercando di ricordare qualcosa.

Hai detto a tutta la squadra il suo segreto, no? Ti ha rivelato di essere gay, si è fidato di te, e tu…”.

Azimio scrollò le spalle. “Karofsky. Deve aver perso la ragione”.

Aver perso la ragione?!”.

Hey”, gli occhi del giocatore di football si fissarono di colpo su Kurt, “Non dirlo con quel tono. Lo conosco. È come un fratello per me, e lui non è un frocio. E che differenza vuoi che faccia? Sì, l’ho detto a qualcuno, ma-“.

Hai detto loro di fargli del male? Gli hai detto di assalirlo in uno spogliatoio e…”

Uno scatto ed Azimio tirò fuori dalla sua tasca un cellulare, componendo subito un numero.

La rabbia di Kurt divampò di nuovo. “Hey! Ti sto parlando, metti via…”.

Bastò uno sguardo di Azimio per togliere di bocca le parole a Kurt.

C’era qualcosa di pericoloso sul suo viso. Qualcosa di oscuro, veramente spaventoso. Qualcosa di peggiore di qualsiasi cosa Kurt avesse mai visto nei corridoi del McKinley.

Yo”, qualcuno aveva evidentemente risposto ad Azimio, ed il ragazzo, tenendo gli occhi fissi su Kurt, voleva delle risposte. “Cosa avete fatto? Smettila di parlare mentre sto cercando di farti una domanda”, una pausa, lo sguardo di Azimio diventò sempre più cupo, “Non mi avete mai detto per cosa diavolo stiamo serrando le fila”.

Kurt trattenne il respiro. Fissando il telefono si chiese se la persona all’altro capo avesse fatto parte o meno del gruppo che aveva ferito Dave.

Fanculo il patto del silenzio, figlio di puttana”, il vocabolario di Azimio non era dei più immacolati nemmeno nei suoi giorni migliori, ma quel giorno era diverso, il suo tono diventava sempre più freddo minuto dopo minuto, “Avete detto di dover solo insegnare ad uno stronzo una lezione. Cosa cazzo significa?”.

Qualsiasi cosa avesse risposto la persona al telefono, qualsiasi cosa avesse sentito Azimio, generò un cambiamento nel ragazzo. Un cambiamento ben visibile, che tramutò la sua espressione fredda in qualcosa di completamente differente.

Non parlò più. Ascoltò la risposta a quella maledetta domanda e poco dopo mise fine alla chiamata.

Kurt non era sicuro di sapere cosa fare, ma soprattutto non sapeva se fosse davvero il caso di fare qualcosa. Era giunto fin lì furioso, era convintissimo che il suo umore sarebbe restato invariato, ma la verità era che in quel momento non sapeva come sentirsi.

Hai detto che il mio migliore amico è all’ospedale?”, chiese Azimio spostando di nuovo il suo sguardo verso il cantante, “Quant’è conciato male?”

Lo dimetteranno nel pomeriggio”, rispose, “ma sicuramente non perché sta bene”.

Azimio annuì con sguardo assente, guardò il suo telefono, la strada, e a Kurt parve che stesse finalmente mettendo insieme gli ultimi pezzi di quella storia.

“… E tutto perché ho detto agli altri che è un frocio”.

Kurt risentì nella sua testa le parole ditegli da Dave poco prima. “Sarebbe una stranissima coincidenza altrimenti, non trovi?”.

Azimio trasalì, in modo quasi impercettibile ma impossibile da non notare. “E io li sto aiutando ad uscirne puliti”.

Sì, esattamente”. Kurt prese un respiro, sperando che in Azimio ci fosse qualcosa di più forte dell’odio nei suoi confronti. “Ma non far finta che ti importi o cose simili. D’altronde è un frocio, no? Se l’è cercata. Non è più tuo amico ormai, che differenza vuoi che faccia per te?”.

Gli occhi di Azimio si spostarono di nuovo, focalizzandosi su di lui, e Kurt riconobbe in essi una rabbia già conosciuta, ma che per una volta era felice di vedere. “Tappati la bocca, Hummel, non sai nulla sulla nostra amicizia”.

So tante cose, Adams, ad esempio so che verrà da me quando verrà dimesso, perché tutte le altre persone della sua vita gli hanno girato le spalle”, sibilò Kurt.

Fanculo! Se ne esce dal nulla con le sue cazzate e io dovrei pure-”.

Cosa? Reagire come un essere umano? Ovviamente no, troppo difficile per te, vero?”.

Fottiti, Dave è come un fratello per me”.

No, lo era!”, rispose Kurt con tono più calmo, perché qualunque cosa fosse andato a cercare quel giorno, qualunque reazione avesse voluto ottenere, in quel momento la stava vedendo negli occhi del giocatore di football, “Ora le cose sono cambiate, no? Ora è gay!”.

Allora è il mio fratello frocio, o quel cazzo che ti pare. Cercherò di convivere con questa stronzata, okay? Io e Dave l’affronteremo. È stato mio fratello per metà della mia vita, non smetterà di esserlo così facilmente. Mi ci vorrà del tempo, ma mi ci vuol del tempo per fare qualsiasi cosa”, i suoi occhi si posarono di nuovo su Kurt, “E il tuo lavoro qui è solamente dirmi per quale motivo ucciderò quei figli di puttana”.

Kurt esitò, riconoscendo la furia di Azimio, l’aveva già vista nei corridoi del McKinley, ma quella volta era certo non fosse rivolta verso di lui.

Cosa gli hanno fatto”, domandò Azimio vedendo l’esitazione dell’altro ragazzo, “Cosa cazzo gli hanno fatto?”.

Kurt scosse la testa. No, non era compito suo raccontare la storia di Dave. Azimio sapeva già abbastanza e probabilmente avrebbe potuto immaginare per conto suo il resto, tutto dipendeva da quanto bene era a conoscenza delle persone coinvolte in quell’inferno.

Lo aiuterai?”, gli chiese, la voce tremante.

Alcune parole incomprensibili lasciarono la bocca di Azimio mentre si allontanava da Kurt e la rabbia mutava la sua espressione. “Sa che lo farò”, aggiunse poi con voce più chiara, “Ma perché non mi ha chiamato?”.

Kurt si chiese se fosse davvero il caso di rispondere a quella domanda.

Ma la risposta gli arrivò direttamente da Azimio stesso che scosse la testa, mentre le sue mani si chiudevano a pugno e per un attimo Kurt pensò che avrebbe rotto il cellulare che ancora teneva stretto in mano.

Merda. Perché non sono stato capace di tenere chiusa la mia cazzo di bocca”.

Si allontanò ancora di più da Kurt per poi girarsi e tornare sui suoi passi.

Kurt lo studiò, schiarendosi la gola prima di parlare. “Dirai alla polizia chi è stato?”.

Per un attimo Azimio lo guardò come fosse infastidito, ma durò solo pochi secondi prima che le parole facessero davvero effetto. “Aspetta. Ospedale ed ora polizia? Devono averlo conciato davvero male”.

Già, l’hanno fatto”.

Azimio lanciò uno sguardo al suo telefono, fece un respiro e guardò l’altro ragazzo come se avesse appena preso la decisione più semplice ed ovvia di questo mondo. Forse lo era, pensò Kurt, sperava che lo fosse.

Cazzo sì che dirò tutto agli sbirri. Sarò la più grande spia che la polizia abbia mai visto. Ma tu dovrai fare qualcosa per me”.

Kurt sospirò, ingoiando la sensazione di paura che sentiva in gola. “Cosa?”.

Devi dire a Dave che non sono stato io, che non c’entro”, rispose Azimio, alzando subito una mano per fermare qualsiasi cosa Kurt avrebbe voluto rispondere. “Non sto negando di aver detto tutto io agli altri. Sono un uomo, mi prendo la responsabilità delle stronzate che faccio. Ma gli devi dire che qualsiasi cosa sia successa dopo… deve sapere che non sono stato io”.

Kurt annuì, perché era sicuro che Dave avesse bisogno di sentirselo dire più di quanto Azimio avesse bisogno di farglielo sapere. “Lo farò. Oppure… Potresti dirglielo tu?”.

No, amico, ho ancora qualcosa di cui occuparmi. Se davvero è conciato come dici tu, allora non gli serviamo io e le mie stronzate sui froci intorno”, rispose Azimio studiando Kurt, “Presto, però. Diglielo. Presto”.

Kurt annuì, non riuscendo a capire se avesse voglia di sorridere o piangere.

Azimio si allontanò di colpo.

Ora devo… Devo andare. Parlerò con i miei e mi farò portare in centrale. C’è, uh, c’è qualcun altro con cui dovrei parlare?”.

Kurt cercò il suo portafogli. Le mani tremanti mentre lo apriva, tirando fuori il biglietto da visita, che ancora custodiva, del poliziotto che aveva parlato a lui e alla Coach Sylvester il giorno prima, prima che lo lasciassero andare in ospedale. Lo porse ad Azimio che lo prese senza esitazione, mettendoselo in tasca.

Grazie”, disse Kurt sottovoce, e quando si rese conto che ormai il confronto era giunto al termine si sentì stranamente nervoso.

Ma Azimio si incamminò verso la casa dietro di lui, e Kurt tornò alla sua macchina.

Yo, Hummel”.

Guardò di nuovo oltre la macchina, trovando Azimio a metà strada, ancora fermo a fissarlo.

Credevi fossi coinvolto in questa situazione”.

Kurt annuì, Dave l’aveva pensato, aveva pianto dopo averci pensato, e Kurt non poteva saperne di più di lui.

Ma non notò rabbia sul viso di Azimio dopo aver annuito. Ma qualcos’altro.

Pensavi avessi buttato quel bestione di Karofsky in ospedale per essere un frocio, e sei venuto qui da solo per confrontarmi?”.

E in quel momento il nervosismo di Kurt aumentò. Perché, Santa Gaga, davvero Kurt l’aveva fatto. Quella stupida, stupidissima cosa che Azimio aveva appena descritto era davvero ciò che aveva fatto Kurt.

Il solito sorriso riprese il posto sul viso di Azimio e, anche se falso, quando parlò c’era davvero approvazione nella sua voce.

Hai le palle più grosse di quanto pensassi. Cazzo, con delle palle così grandi dove le metti le ovaie?”.

E qualsiasi altro giorno quelle parole avrebbero indignato Kurt, ma forse per il sollievo, forse per esserne uscito vivo, quelle parole gli rubarono solo una risata.


Mentre guidava di nuovo verso l’ospedale, chiamò la Coach Sylvester. Mentre le raccontava che Azimio sarebbe andato alla polizia con i nomi di tutti quelli che avevano preso parte a ciò che era successo a Dave, lei sembrò quasi strozzarsi e gli urlò contro per il resto del viaggio su quanto era stato irresponsabile a pensare di poter affrontare una persona del genere per conto suo, chiedendogli se volesse venir ucciso, e soprattutto quanti barattoli di spray per capelli aveva dovuto respirare per renderlo così completamente ed irresponsabilmente stupido.
Per poi aggiungere che era fortunato che lei non avesse intenzione di dirlo a suo padre, e prima che gli chiudesse il telefono in faccia, Kurt poteva giurare di averla sentita chiamarlo per nome.

Kurt non si diede il permesso di pensarci più di tanto, di pensare a cosa sarebbe potuto succedere. Quello che aveva fatto, andare da Azimio… Era la cosa giusta da fare.

In ogni caso, decise, era meglio tenere Burt all’oscuro della sua pazzia.

Non sapeva nemmeno come lo avrebbe detto a Dave, ma in qualunque modo avrebbe dovuto farlo, lo aveva promesso ad Azimio.

Ma entrando nella camera di Dave, però, era sicuro di non volergliene ancora parlare. C’erano già troppe cose in sospeso e Dave, seduto sul letto ascoltando il suo iPod, sembrava almeno... a posto. Kurt non voleva rovinare quel momento, anche se il risultato delle sue parole avrebbe potuto essere positivo.

Ma quando Dave lo vide, si tolse le cuffie e si lasciò andare ad un piccolo sorriso. “Cosa ci fai qui?”.

Kurt scrollò le spalle. Tutto il nervoso che lo stava divorando svanì all’istante alla vista di quel piccolo sorriso. Tutte le cose che aveva fatto, tutti i rischi che aveva corso, avrebbe fatto tutto di nuovo.

Sarai dimesso tra poche ore, no? Mio padre arriverà tra poco per firmare per farti uscire e tutto il resto, ho pensato ti servisse dell’aiuto per raccogliere le tue cose”.

Era una cosa stupida. E Dave non si lasciò sfuggire la debolezza di quella motivazione.

Fancy. ‘Raccogliere le mie cose’ significa che devo sistemare quel coso”, indicò il suo iPod, “dentro quella cosa”, e fece un cenno con la testa verso la borsa sul pavimento. “Potrò anche essere conciato male, ma penso di poterci pensare da solo”.

Quindi vuoi che me ne vada?”.

Dave rispose con torno fermo “No”.

Kurt incontrò i suoi occhi, cercando di non sorridere ancora di più, ma Dave distolse subito lo sguardo e poteva giurare di aver visto del rossore colorargli le guance.

Kurt era provato dalla giornata che aveva appena vissuto, dopo aver confrontato Azimio ed esserne uscito con la consapevolezza di aver fatto del bene, sapendo che Azimio avrebbe aiutato Dave, che presto i mostri che avevano messo Dave in una stanza di ospedale avrebbero finalmente avuto quel che meritavano. Era provato, sorrideva e si sentiva vittorioso, ma qualcosa in quel lieve rossore aveva toccato qualcosa di molto più profondo del suo umore.

Gli era piaciuto. Il rossore, lo sguardo che subito Dave aveva distolto. Gli era piaciuto tanto quando il primo timido sorriso a scuola.

Solo pochi giorni prima aveva pensato di essersi perso qualcosa di grande, perché non aveva mandato alcuna mail a Dave dopo quel primo scambio di messaggi, perché non aveva ballato con lui, perché aveva quasi obbligato un ragazzo palesemente terrorizzato a fare la cosa che più lo spaventava. Pensava di essersi perso qualcosa, ma…

Ma non era vero. Dave era ferito, sì, ma era ancora . Ancora vivo, e lui poteva parlarci. Poteva scrivergli delle mail se voleva, poteva guardalo arrossire.

Non aveva perso la sua chance, l’aveva solo rimandata più di quanto avesse dovuto fare.

Tuo padre”, Dave gli lanciò un'occhiata, il rossore che già svaniva dal suo viso, “non posso credere che sia d’accordo, dopo tutto quello ho fatto”.

Kurt spostò la sedia che ormai considerava sua e sedette in modo composto. “Gli Hummel sanno perdonare”, disse, tirando fuori il cellulare dalla sua tasca prima che gli si confiscasse in un fianco. “E mio padre è…”, aggiunse con un sorriso, “dopo tutto quello che ha fatto per me, so che è il più comprensivo, il più generoso… Ma anche sapendo tutto questo, mi sorprende sempre ogni volta”.

Già”, lo sguardo di Dave era tornato al suo iPod, “non faccio fatica a crederci. Nel senso… Qualsiasi altra persona in questo mondo mi avrebbe lasciato qui a marcire, ma tu no… Dopo tutto quello che ti ho fatto… Cazzo. Dev’esserci voluto un uomo fottutamente fantastico per crescere uno come te”.

La testa di Kurt si era alzata di scatto a sentire quelle parole, la bocca aperta.

Dave nel frattempo fingeva di intrattenersi con il menù del suo iPod, fissandolo come se di colpo fosse incredibilmente affascinato dalla sua playlist.

Ti ho detto”, disse lentamente Kurt, tentando di comportarsi come se non fosse toccato da quelle parole più di tutto quello che in tanti gli avevano detto di suo padre, “che ti ho perdonato, Dave. Ho accettato le tue scuse, quelle cose ormai non contano più”.

In realtà… Non l’hai fatto”

Fatto cosa?”

Accettare le mie scuse”, disse Dave guardandolo, “Quella volta, nei corridoi della scuola…”

Kurt annuì, perché quella non era una conversazione che sarebbe mai stato in grado di dimenticare.

Quella volta sapeva che Dave era infelice, non erano state le lacrime a sorprenderlo. Ma le parole, le scuse che non aveva chiesto… Quelle lo avevano sorpreso. Era stata la prima volta che Kurt aveva realizzato che Dave era davvero dispiaciuto.

Studiò Dave per un attimo. “Le ho accettate, invece”

Hai detto… Hai detto che lo sapevi. Sapevi che ero dispiaciuto. E già quello significava molto per me. Ero felice che lo sapessi. Ma non era…”

Bene”, Kurt raddrizzò la schiena, “Sistemeremo questa cosa, allora”

Dave si accigliò, ma un momento più tardi sembrò capire. Sorrise, debolmente e tristemente. “Mi dispiace, Kurt. Per tutto”

Accetto le tue scuse”, disse Kurt in risposta, e anche se era intesa come una formalità, sentì qualcosa nel suo petto sciogliersi. Qualcosa che non aveva mai notato prima. Forse qualcosa che si era portato dentro per un bel po’ di tempo.

Si schiarì la gola. “Ti perdono”, aggiunse, e sentì un altro peso lasciarlo.

Dave sbatté gli occhi diventati di colpo lucidi e si lasciò andare ad un lento e profondo respiro, prima di tornare di nuovo al suo iPod. “Grazie”.


Per essere una ragazza silenziosa, Tina sapeva come far durare una conversazione via messaggi.

Quel giorno era partita a raffica a parlare delle prove del Glee. Su come il suo ragazzo avesse interpretato la sua canzone, su come avesse fatto sentire tutti più felici anche solo con i suoi movimenti di danza.

Blah blah blah. Kurt pregò di non risultare mai così assillante quando parlava di Blaine. Sperò comunque che, in quel caso, qualcuno lo avrebbe fermato.

Ma era bello sentirla così felice, quindi non la giudicò per far sembrare possibile che il senso della vita potesse venir spiegato tramite dei passi di danza.

A Kurt piaceva sentire Blaine cantare. Era più o meno la stessa cosa, no? Blaine era veramente talentuoso. Aveva carisma, era affascinante. E gli veniva naturale. Forse era un po’… appariscente, ma erano i gusti di Kurt a parlare. A Blaine piaceva cantare per la folla. Gli piaceva tenere il microfono in mano e sorridere e fare l’occhiolino e far andare in estasi le ragazze (e Kurt) tra il pubblico.

Quindi che c’era di male se lo stile di Blaine non era il preferito di Kurt? Era perfettamente normale che Kurt preferisse i momenti, che lo lasciavano a sempre a bocca aperta, in cui Rachel cantava e metteva se stessa nelle canzoni che sceglieva o le venivano assegnate. C’era differenza tra il diventare un personaggio ed esibirsi per la folla e, beh, lui era sempre stato un nerd del teatro… Le sue preferenze erano già ben chiare ancor prima di incontrare Blaine.

Non significava che amasse Blaine meno di quanto Tina amasse Mike. Era ridicolo. Aveva semplicemente passato lo stadio in cui vedere il nome di Blaine apparire sul suo telefonino lo rendeva raggiante. In quel momento era nello stadio in cui si domandava se anche qualcun altro potesse pensare che Blaine era un pochino… ruffiano mentre cantava, non che ci fosse qualcosa di sbagliato in quello.

Era quello che significava “sistemarsi” in una relazione.

Quello che stava facendo in quel preciso momento, leggere il messaggio “Avresti dovuto vederlo muoversi, Kurt, era come se le leggi della fisica non si applicassero al suo corpo” invece di rispondere a quello di Blaine… era la stessa cosa. Amava Blaine, non doveva per forza rispondergli.

C’era un silenzio confortevole nella stanza mentre sospirava e roteava gli occhi leggendo il messaggio. Dave si era appisolato un paio di volte per poi svegliarsi subito dopo, e quando era sveglio sembrava felice anche solo di stare sdraiato lì, nessuna distrazione che lo tenesse occupato.

Ecco, magari felice era proprio la parola sbagliata da usare.

Kurt aveva un piano per la serata – avrebbe aiutato suo padre a portare Dave in casa loro ed a sistemarlo, e poi si sarebbe barricato in camera sua ed avrebbe avuto l’attesa chiacchierata con Blaine su tutto quello che stava succedendo. Dopo avrebbe avuto un’altra tranquilla chiacchierata con Dave sul migliore amico che lui credeva di aver perso. Avrebbe portato tutti allo stesso punto, avrebbe eliminato tutto il dramma presente nelle loro vite.

E quello liberava il giorno seguente per occupazioni più allegre. Se Azimio avesse mantenuto la sua promessa di andare alla polizia – e in qualche modo Kurt sapeva che l’avrebbe fatto – allora significava che sarebbe potuto tornare a scuola prima del previsto. E forse anche Dave avrebbe potuto.

Il continuo scrivere di Tina venne interrotto da una telefonata, a cui Kurt rispose subito per evitare di svegliare Dave.

Papà?”

Hey, Kurt, volevo solo farvi sapere che sto arrivando. Ho finito un cambio d’olio più tardi del previsto, quindi ora sono imbottigliato nel traffico, ma dammi un’ora e sarò lì, okay?"

Okay. Grazie, papà”

Per aver il coraggio di andare in macchina alle cinque e mezza? Mi devi una cena, ragazzo, un ‘grazie papà’ non basta.”

Chiuse il telefono, passando mentalmente al setaccio le provviste nella loro cucina, pensando cosa avrebbe potuto preparare per cena.

La prima cena a casa di Dave. E, wow, c’erano un sacco di cose strane in quella frase, ma nello stesso tempo Kurt iniziò a pensare a tutte le sue ricette migliori, cercando di scegliere qualcosa di buono.

Era tuo padre?”, chiese Dave girandosi sul fianco, sbattendo gli occhi pesanti dal sonno.

Dovrebbe essere qui in circa un’ora.”

Mmh”, Dave si strofinò gli occhi, “Fottute pillole.”

Il sorriso di Kurt si affievolì, senza però lasciare completamente il suo viso. Portavano spesso le medicine a Dave, ed un dottore gli aveva scritto una ricetta per poterne usare anche una volta arrivato a casa. Si aspettavano che sarebbe stato male per un bel po’.

Non gli piaceva pensarci più di tanto. Per un paio di momenti in quella giornata era riuscito a dimenticarsi che si trovano lì per un motivo, ed il motivo era che Dave era ferito, più ferito di quanto la sua pelle mostrasse. Per un momento si era permesso di pensare che fosse un’uscita. Un’uscita silenziosa, ma pacifica, perché erano amici o qualcosa di simile.

Merda”, disse Dave di colpo, più chiaramente.

Cosa?”

Queste pillole mi rendono strano. Dirò qualcosa di stupido e tuo padre mi strozzerà”, disse con tono serio, come se avesse appena proclamato la più probabile delle previsioni.

Kurt rise. “Smettila di preoccuparti di mio padre. Non sei più il nemico, nemmeno per lui.”

Le sue mani andranno dritte alla mia gola”, rise anche Dave, ma era una risata dovuta alle medicine più che per divertimento.

Kurt roteò gli occhi e prese in mano il telecomando del letto, premendo il tasto che fece alzare il letto di Dave, per farlo stare dritto.

Pensi che si arrabbierà se ti chiamo Fancy? È un’abitudine dura a morire”

Ne dubito”

Kurt a volte si domandava come mai non avesse capito prima che Dave era gay, dato che gli aveva dato un nickname che a malapena era un insulto. “Potrebbe addirittura piacergli!”

A te piace?”

Kurt lo guardò, alzando un sopracciglio.

Dave grugnì e agitò la mano come per far dimenticare a Kurt quello che aveva appena detto.

Merda, ignorami. Sono abbastanza sveglio per rendermi conto di quando io sia imbarazzante”

Kurt soffocò a forza una risata e rimise il telecomando sul lato del letto di Dave, vicino alla sua mano.

Bè, in caso questo sia un problema di ‘in vino veritas’, posso prometterti che sopravvivrai a questa notte anche se dirai qualcosa di stupido.”

Dave fece un’espressione corrucciata. “In vino veritas, ma chi parla in questo modo?”

Io, a quanto pare”, riprendendo il telefono in mano, pronto per perdersi di nuovo nel rispondere ai messaggi nel caso Dave avesse deciso di fare lo stizzoso, “E' latino. Significa-“

Dave gli lanciò uno sguardo e Kurt, sospirando, decise di lasciar perdere.

Plebeian”, e si porto il cellulare davanti al viso.

Significa ‘nel vino è la verità’. Questa è la traduzione letterale; in pratica significa che pensi che sono segretamente terrorizzato da tuo padre e che io lo stia ammettendo perché sono così fatto da non riuscire neppure a tenere gli occhi aperti. Non sono uno stupido idiota solo perché non vado in giro a infilare parole in latino nelle mie conversazioni, Fancy”.

Dave alzò il sopracciglio, sembrando fin troppo ironico per una persona sotto gli effetti delle medicine.

Conosco pure il significato di ‘plebeian’, snob.”

Kurt sbatté le palpebre, ma mentre Dave si lasciava andare ad una risata, si aggiunse anche lui.

Bene, bene. Tuo padre era serio mentre diceva che eri segretamente intelligente!”

E tutto d’un colpo il buon umore era sparito.

Kurt lo guardò svanire davanti i propri occhi, e li chiuse per un secondo mentre mentalmente si rivolgeva degli insulti.

Dave sospirò dopo un momento e si mise seduto.

Sa almeno dove sto andando? Intendo… Tuo padre gli ha detto qualcosa?”

Probabilmente”, Kurt chiuse il suo telefono e lo rimise in tasca. Non era così egoista da scrivere ad i suoi amici mentre Dave era seduto vicino a lui con questi pensieri in testa.

Dovrei… Dovrei dirlo a tuo padre. Magari pensa sia temporaneo, o cose simili… Ma mio padre non mi lascerà tornare a casa. Dovrei sapere quanto tuo padre mi lascerà stare da voi, in modo da poter cercare un altro posto…”

Kurt sospirò, ma senza rassicurare Dave. Aveva come la sensazione che Dave avrebbe creduto a quelle rassicurazioni solo se fossero uscite dalla bocca di Burt.

Non capisco”, disse invece, “non capisco proprio dove sia il problema.”

Chi, mio padre?”, Dave scosse la testa, “Quanto tempo hai?”

Sembrava una domanda senza bisogno di una risposta, ma, dopo aver osservato Dave per qualche momento, decise di rispondere lo stesso. “Non vado da nessuna parte.”

Lo sguardo di Dave si spostò su Kurt, mentre la sua espressione si ammorbidiva, diventando meno guardinga, più confusa. Scosse la testa e l’amarezza tornò.

Mio padre è un idiota che non riesce a smettere di cercare di impressionare i suoi amici del golf impegnati nella politica. Può sembrare una persona ragionevole, ma è solo un ipocrita che non sa far altro che criticare”, e Dave, guardando Kurt, sembrava sorpreso dal fatto che lui stesse ancora ascoltando, senza interromperlo. In attesa che continuasse.

Avevi detto che non era un omofobo”, lo incoraggiò Kurt.

Dave rise amaramente. “Ovviamente non lo è. È così fottutamente liberale e aperto di mente. Fagli notare che c’è un gay pride nelle vicinanze e lui tenterà sicuramente di salire su uno dei carri”. Esitò solo un attimo prima di guardare Kurt con una determinazione che sembrava guidarlo a dire di più. “L’unica cosa che abbia mai voluto era che fossimo una fottuta famiglia perfetta. Una piccola famiglia perfetta da cartolina. La moglie a cucinare, le figlie dolci ed adoranti. E io sono il figlio, devo essere l’eroe della scuola, con la letterman e tutte le ragazze a lottare per me. Devo entrare alla Columbia, fare legge e seguire le sue orme. Rendere il vecchio orgoglioso”.

Scosse di nuovo la testa, il tono della sua voce faceva capire che questi sentimenti erano ormai familiari per lui. A quanto pare Dave aveva pensato a suo padre molto, ultimamente.

Kurt, che aveva guardato ogni cambiò di espressione del padre quando aveva fatto coming out, capiva perfettamente come si sentisse Dave. Lo studio ossessivo, e il pensiero di tutte le cose che il padre avrebbe potuto dire sui gay prima che sapesse che era uno di loro, tutte le cose che avrebbe potuto dire su chiunque fosse stato diverso da lui.

Nel suo mondo non possiamo essere omofobici, perché questo disturberebbe alcuni suoi amici hippie. Ma questo sicuramente non significa che possiamo permetterci di essere gay”. Gli occhi di Dave fissavano il nulla.

Kurt invece restava in attesa. Affascinato, perché in quei pochi minuti aveva imparato più su Dave Karofsky che in tutti i mesi passati.

Era strano, ma sperava fosse intenso in senso positivo.

È per lui che sono stato riammesso subito, sai”. La voce di Dave era diventata roca.

Kurt pensò per un attimo di mettere fine al discorso, di cambiare discorso, lasciare che Dave si rilassasse prima che venisse trasportato in un posto a lui sconosciuto. Ma pensando alle parole di Dave, decise di continuare. “Dopo la tua espulsione?”

Sì. Mio padre si era comportato come se fosse felice della situazione, almeno davanti a voi e alla Coach, ma ha metà del consiglio scolastico nella rubrica del suo telefono. Stava parlando con loro ancora prima che arrivassimo alla macchina. E… non gli importava cosa fosse accaduto, era solo infastidito. L’avevo fottutamente umiliato facendomi buttare fuori dalla scuola”, fissò le sue mani come se fossero la cosa più interessante che avesse mai visto, “non ha urlato, niente, se n’è stato tranquillo. ‘Bene, Dave, sei contento? Hai umiliato me e la tua famiglia’.”

Dave si strofinò il viso, singhiozzando.

Quel figlio di puttana è anche molto facile da umiliare. Mi ci sono voluti un sacco di anni per capirlo. L’ho umiliato scegliendo l’hockey invece che il football al primo anno. Non potevo essere solo un atleta, dovevo anche scegliere lo sport giusto. Mi ha rotto finché non ho deciso di cambiare. Ha smesso di rompere perché diventassi quarterback quando ha finalmente capito che nessun coglione come me avrebbe mai potuto conquistare quella posizione”, guardò di nuovo Kurt, “pensavi fosse una brava persona? Pensavi fosse dalla tua parte? Quando mi ha fatto riammettere a scuola, non ti ha nominato nemmeno una volta. Non ha nemmeno chiesto cos’avessi fatto, non gli importava nemmeno il perché. Ha soltanto detto che se non mi fossi dato una mossa e non avessi migliorato i miei voti avrebbe chiamato qualche amico dell’esercito e mi avrebbe mandato in Iraq o qualche posto simile”

Kurt sapeva già di avere il miglior padre che avrebbe mai potuto desiderare, ma ogni tanto qualcuno glielo ricordava senza che Burt fosse nei dintorni.

E che ne è stato di…”, esitò un attimo, studiando l’espressione rabbuiata di Dave.

Cosa?”, chiese Dave senza riuscire a guardarlo negli occhi, si lasciò andare ad una risata amara una volta capito quale sarebbe stata la domanda di Kurt. “Mia mamma s’è andata quando avevo dodici anni. Jen, mia sorella maggiore aveva deciso di mollare il college. Mamma sapeva che se lui l’avesse scoperto l’avrebbe uccisa. Per lui le donne devono avere gli stessi diritti, possono decidere per se stesse, ma non sua figlia”.

Ti ha lasciato solo con tuo padre?”

Dave scrollò le spalle come se non fosse una gran cosa, ma c’era un tremolio nella sua voce che lo tradiva. “Non se n’è andata di punto in bianco. Ha chiesto il divorzio. Ha portato via Jen e Lori, l’altra mia sorella, e il giudice ha deciso che mio padre avrebbe dovuto tenersi il figlio maschio. Chi se ne frega. Quella stronza non chiama nemmeno. Si sono trasferite a Cleveland e mi ha spedito una cartolina di buon compleanno per i sedici anni quando io ne avevo diciassette, che si fotta. Credeva che sarei diventato una copia di mio padre”.

Si fermò di colpo, ridendo. “Cristo, aveva ragione, comunque. Era esattamente quello che ero diventato”.

Kurt si avvicinò al letto, cercando il contatto con Dave. L’aveva fatto altre volte prima di allora, non abbastanza da farlo diventare un gesto naturale, ma abbastanza da non far sussultare Dave.

Dave si irrigidì per un attimo, ma lasciò poggiare la sua fronte sulla spalla di Kurt e sospirò.

Vuoi sapere un altro dei miei segreti?”

Certo”, rispose dolcemente Kurt, “sto iniziando una collezione”.

Dave rise, lentamente. “La notte che venni espulso mi disse che sarei tornato a scuola il lunedì. Buona notizia, no? Invece io sono salito in camera mia e ho tirato fuori una bottiglia di vecchi antidolorifici di quando a dodici anni mi ruppi un braccio e…”

Kurt trattenne il respiro e non sembrava più in grado di respirare. Si girò molto lentamente per poter guardare meglio Dave. Lui gli regalò il sorriso più triste che Kurt avesse mai visto.

Non ho nemmeno aperto la bottiglietta, okay? Ero troppo un codardo per anche solo provarci. Ma sono stato a fissarla per… per molto tempo e mi ha fatto sentire meglio. Sapere che era lì, capisci. Sapere che avevo un modo per uscirne. Quanto è fottutamente malato tutto questo? Ero stato riammesso a scuola come se nulla fosse successo e tutto quello che pensavo era che avevo un piano B per la prossima volta che le cose sarebbero andate... così male”.

Dave, se mai…”, ma Kurt non riuscì nemmeno a finire la frase. Cercò contatto con Dave, le sue dita si posarono sulla sua spalla, e lo guardò negli occhi, non c’erano parole per dire quello che avrebbe voluto dire.

Dave scrollò le spalle. “Ho odiato me stesso per essere diventato come mio padre”, ammise, “ho odiato che abbia finto di essere il padre comprensivo, presente per il figlio problematico, che abbia messo a posto i miei problemi senza rendersi conto che ne stava peggiorando altri. Ero pieno di merda in quell’ufficio, lo so. Ma anche in quelle condizioni ho odiato che abbia ascoltato te, tuo padre e la Sylvester senza nemmeno chiedere cosa stesse succedendo. Era così arrabbiato con me per aver preso delle B che non ha speso nemmeno un minuto per far finta di essere dalla mia parte. E se nemmeno tuo padre ti copre le spalle…”

Si fermò di colpo, fissando nuovamente Kurt.

Chi se ne frega. La cosa veramente malata è che anche ora, con la testa che mi esplode e le mie costole rotte e le spalle e anche… anche considerando… tutto il resto, tutto questo schifo che non sono ancora nemmeno pronto ad affrontare. Ecco, sono lontanissimo da quello che lui avrebbe voluto che fossi. A quei tempi ero in un posto peggiore di quello in cui sono ora. E questo è da pazzi, Fancy”.

Kurt annuì, perché era vero, era da pazzi, ma in senso buono. Almeno per quello che pensava.

Non aveva idea di come un padre potesse decidere di mandare un figlio lontano da lui, ma, di colpo, era incontrollabilmente felice che Paul Karofsky fosse un bastardo del genere.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Beta Reader: Kurtofsky
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 6 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/6/The_Worst_That_Could_Happen



"Signor Karofsky."

Sorpreso, Dave alzò lo sguardo. I suoi occhi superarono il dottore all'entrata e continuarono a muoversi come se aspettasse la presenza di qualcun'altro. Quando Kurt si accorse che stava cercando suo padre, il sentimento di rancore che stava nutrendo per quell'uomo crebbe nel suo petto. Come il cuore del Grinch alla fine dell'unico film di Natale decente mai esistito.

Dave realizzò in fretta di essere il signor Karofsky in questione, e la sua espressione di stupore svanì non appena il suo sguardo tornò sul dottore.

Il dottore era più vecchio, con i capelli grigi e di carnagione olivastra, una certa varietà mediterranea ma invecchiata molto bene. Sorrise a Dave, guardando a malapena Kurt. "Dovremmo rivedere alcune cose prima di lasciarti andare. Solo perché non sei più bloccato qui, non significa che ti rimetterai completamente." Si avvicinò e i suoi occhi si posarono su Kurt. "Ci concederesti alcuni minuti?" chiese, abbozzando un sorriso che rese le linee intorno ai suoi occhi più profonde.
 
Kurt esitò, spostando lo sguardo dal dottore sorprendentemente sexy per posarlo su Dave. "Potrei restare? Voglio dire, lui starà da noi. Potrei aiutare con.. le medicazioni o altro?"
 
Lo sguardo di Dave andò ovunque tranne che su Kurt. “ È tutto a posto, Kurt. Dammi solo un attimo."
 
Si sentì stranamente offeso mentre si alzava. Superò il dottore e si diresse verso la porta, esitando per un momento all'entrata nel caso in cui Dave volesse cambiare idea.
 
Ci fu silenzio finché il dottore non chiuse la porta dietro di lui.
 
Fuori, nel corridoio, rimase da solo, chiedendosi se avesse potuto origliare alla porta. Ma no, lui non era un bambinetto ficcanaso, e inoltre era anche una cosa assai strana l’essersi offeso perché Dave gli avesse chiesto di uscire mentre parlava con il dottore. A Kurt non era mai piaciuto che gli venisse detto di non essere l'esatto centro dell'universo, quindi forse era normale che si sentisse offeso.
 
Forse era solo un promemoria che gli ricordava che gli ultimi giorni erano stati una strana bolla lontana dalla realtà, e che stare seduto in una camera d'ospedale a messaggiare con Tina mentre Dave dormiva non rendeva lui e Dave amici. Non proprio.
 
Camminò per un minuto, avanti e indietro lungo una linea finché i suoi passi lo portarono alla fine del corridoio e sentì una voce familiare fuori dal gabbiotto delle infermiere.
 
Suo padre annuì con la testa mentre egli si avvicinava, occupato con delle scartoffie. "Ragazzi siete pronti?"
 
"Non ancora, il dottore voleva parlargli. Dave mi ha cacciato fuori." E ok, ora stava mettendo il broncio ed era semplicemente ridicolo.
 
Suo padre gli lanciò uno sguardo. "Sì, ok. Tu ti preoccupi sempre, figliolo. Se Karofsky ti conosce almeno un po' sa bene di non doverti far vedere quanto è messo male in realtà."

Kurt sbatté le palpebre.
 
Suo padre alzò un sopracciglio. "Forza, Kurt. A nessuno interessa sembrare forte più che ad un ragazzo della vostra età. Ne ho due sempre intorno, lo so per certo."
 
C'era una ragione più moderata rispetto a quelle che erano saltate in mente a Kurt in quel corridoio. Se la privacy era qualcosa che Dave voleva per sembrare più forte… era inutile, ma ammissibile.
 
Kurt sorrise immediatamente. scrollandosi di dosso il mite senso di indignazione per essere escluso. "Com'è andata al lavoro?" chiese avvicinandosi a suo padre, sorridendo all'infermiera dietro alla cassa che lo ignorò completamente.
 
"Com'è andata al lavoro?" Ripeté suo padre. 
 
Kurt fece spallucce. "Ho voglia di parlare di qualcosa di normale e noioso per un po'."

"Uh huh." Diede le scartoffie, qualsiasi cosa fossero, all'infermiera e mise un braccio intorno alle spalle di Kurt, riportandolo alle sedie lungo le pareti. "Al lavoro tutto a posto, Kurt. Tranquillo. Ho staccato un paio d'ora prima, ho fatto qualche commissione. Per pranzo ho mangiato un'insalata e ne ho odiato ogni boccone."
 
"Buon per te!" Kurt sorrise a suo padre, ma il suo sguardo cominciò a strisciare di nuovo verso il corridoio. "Hai parlato a Carole riguardo a...?"
 
"Sì, le ho detto che un ragazzo della tua scuola ha bisogno di un posto in cui poter stare. Ho detto che era messo male e che non poteva tornare a casa. Questo è tutto quello che doveva sapere per essere d'accordo, ma…" Fece spallucce “È giusto che le abbia detto che cosa stava accettando"
 
Kurt percepì il sorriso nella voce di suo padre, e lo rese felice il fatto di essere stato il primo ad averli messi insieme. Anche se le sue motivazioni non erano state del tutto rispettabili.
 
Ma pensare a Carole lo fece pensare a Finn, e il suo sorriso svanì.
 
Finn sapeva già molto. Sapeva più di molti ragazzi al McKinley, anche se aveva tenuto la bocca chiusa a riguardo e non l'aveva detto a tutti. Ma lui non sapeva tutto. Non era a conoscenza delle cose che avevano reso Kurt così determinato ad aiutare Dave a riprendersi. Le cose che avevano convinto suo padre a lasciare che Dave venisse a casa con loro, e le cose che suo padre aveva sentito il bisogno di raccontare a Carole.
 
Finn almeno sapeva che Dave era gay, l'aveva sentito il primo giorno all'ospedale. Finn... non era un'anima complicata, sorprendente com'era, quindi forse quello sarebbe bastato per lui. Forse non si sarebbe domandato perché Dave fosse venuto a casa.
 
Kurt rifletté se chiamarlo, ma poi abbandonò l'idea. Con Finn a volte era meglio presentargli le situazioni così come venivano, anziché lasciargli il tempo di rifletterci su prima.
 
Sospirò e si spostò di lato, abbastanza da permettere alla sua spalla di sfiorare il braccio di suo padre. Era una sorta di piccola auto-indulgenza, un conforto. Un modo che gli permettesse di non pensare alla flebile speranza negli occhi di Dave nel momento in cui aveva pensato che suo padre avesse cambiato idea e fosse venuto a trovarlo.
 
Era anche, in un certo modo, un promemoria del fatto che Kurt non avesse mai dovuto provare quella momentanea speranza e la conseguente delusione.
 
Kurt si era chiesto ogni tanto, anche prima che quello succedesse e avesse dovuto provarlo su se stesso, cosa avrebbe fatto se suo padre avesse reagito alla sua confessione in un modo analogo. Blaine gli avrebbe detto che rimuginare su una cosa del genere era inutile. Non era successo, Kurt doveva essere felice e non pensarci più. Ma era difficile non mettersi nei panni di Dave, perché lui era passato per dove Dave era stato alcuni giorni fa. Nervoso, impaziente ed eccitato, finalmente pronunciando a voce alta parole che pensava non avrebbe mai detto. Raccontando i suoi segreti alle persone che voleva fossero le più orgogliose di lui.
 
Lui ci era passato, e il fatto che l'avesse superato senza che niente nella sua vita fosse diverso da com'era prima, con suo padre che roteava gli occhi e rideva di lui, e in qualche occasione lo guardava come se fosse di una strana specie aliena...
 
A volte lo dava per scontato. L'aveva dato per scontato con Dave. "Fai coming out," gli aveva ripetuto mille e mille volte, ogni volta che avevano avuto l'occasione di parlare. "Fai coming out. Sii libero, è facile!"
 
Ora si chiedeva se ci avesse creduto davvero. Aveva seriamente pensato che, solo perché suo padre lo aveva abbracciato e Mercedes lo aveva considerato prima possibile-fidanzato e poi amico-gay senza battere ciglio, per chiunque faccia coming out le cose siano così facili?

Suo padre l'aveva detto in maniera migliore, forse, in macchina durante il teso ritorno a casa dalla casa di Karofsky. "Ti aspetti che tutto il mondo abbia la mente aperta così come ce l'hai tu," aveva detto, o qualcosa del genere. E forse quello era il caso. Era stato così facile pensare che l'accettazione da parte di suo padre rappresentasse un punto di svolta nel mondo, e che tutti i papà avrebbero d'ora in poi seguito i suoi passi. Era facile prendersi in giro e pensare che quando Finn si era ripreso e aveva smesso di essere così imbarazzante con Kurt, quello significasse un avanzamento nella mente di tutti i ragazzi etero. Era così facile pensare al Glee club come se fosse la vita reale. Tutte quelle persone diverse, che si riunivano insieme urlando e graffiandosi a vicenda, alla fine erano solo una grande famiglia di disadattati tutti uguali, dove l'omosessualità di Kurt aveva poco conto così come il naso grande di Rachel.
 
Quando aveva realizzato che un ragazzo potesse ancora essere cacciato di casa solo per il suo essere gay, si era sentito come riportato indietro nel tempo di dieci anni. Voleva afferrare Paul Karofsky e scuoterlo, e dirgli che quel genere di problemi erano già stati affrontati, che ora andava tutto bene e come aveva fatto a perdersi quella notizia?
 
Forse, pensava tra sé e sé, fissando il corridoio che portava alla stanza di Dave, forse Kurt era troppo ingenuo per il proprio bene.
 
Probabilmente.


Dave si stava infilando le scarpe per uscire da lì, e Kurt stava tenendo la sua sacca sulla spalla, quando l'entrata della stanza fu riempita da una presenza.

Kurt stava divagando, nel tentativo di far sorridere Dave, su come fosse stato completamente disilluso dagli show televisivi, gli avevano fatto pensare che chi stava in ospedale venisse portato fuori in sedia a rotelle da una simpatica infermiera, quando improvvisamente lo sentì. Degli occhi stavano scavando il retro del suo collo.
 
Si girò, accostandosi a suo padre, ma fu - sollevato? Forse? - quando vide che era la Coach Sylvester.
 
Se ne stava lì a riempire la porta con il suo metro e ottanta di tuta, tenendo le braccia incrociate sul petto mentre Kurt la guardava. "Ehi. Knuckles."(*) 
Dave alzò lo sguardo dai lacci delle sue scarpe - Burt glieli aveva dovuti portare, i vestiti e le scarpe, e Kurt non riusciva a pensarci perché l'avrebbe collegato col fatto che quando Dave era arrivato in ospedale non aveva ne vestiti né scarpe - e si sistemò quando vide chi gli stava di fronte.
 
"Ehi, Coach Sylvester," disse, e il sorriso che comparve sul suo volto era l'ombra del vecchio sorriso schivo che Kurt ricordava così affettuosamente.
 
Si incamminò nella stanza, lanciando il suo sguardo verso Kurt e suo padre e trovandoli totalmente privi d'interesse per essere notati. Andò dritta verso la sedia dove Dave stava piegato sulle sue scarpe, sorvegliandolo come se sperasse di sorprenderlo nel nascondere di aver fatto qualcosa.
 
Kurt negli ultimi mesi aveva visto lati di Sue Sylvester di cui non aveva nemmeno sospettato i primi due anni al McKinley, ma era sul punto di essere colpito un'altra.
 
"Lascia che ti spieghi una cosa, Knuckles," disse, imperiosa come sempre. "Ho un metodo, okay? Un metodo che ha funzionato maledettamente bene per me nelle ultime decadi. Sai qual è il fondamento di questo metodo? Che Sue Sylvester è l'unica persona a questo modo che conti. La gente mi definisce crudele? Non sono crudele, sono del tutto indifferente, perché non esiste nessuno in quest'universo, vivo o morto, che sia anche solo lontanamente interessante perché io me ne voglia preoccupare."
 
Kurt lanciò uno sguardo a suo padre e vide la stessa incertezza che Kurt stava iniziando a sentire.
 
La coach gli porse una mano e Dave la prese senza indugiare, lasciandosi aiutare ad alzarsi in piedi. Lei si mise una mano nella tasca della tuta e tirò fuori qualcosa, qualcosa che lui prese senza nemmeno guardare.
 
"Ora," disse lei in modo calmo. "Non esiste che uno smanioso atleta un po' troppo cresciuto riesca a far fallire il mio metodo. Quindi prendi questo numero e mettilo in quel rasoio elettrico super accessoriato che usi come cellulare e diamine se lo userai quando ne avrai bisogno. Me lo devi promettere, Lurch (**), e non accetterò un no come risposta. Devo essere capace di vivere la mia giornata senza fregarmene minimamente di un'altra anima viva e questo vuol dire che non posso sprecare le mie energie chiedendomi se hai bisogno di qualcosa che non stai chiedendo, capito?"
 
La tensione di Kurt se ne andò, ma era sicuro di avere la bocca così aperta che le sue tonsille potevano sentire un venticello.
 
Dave non sembrò sorpreso, e Kurt si ricordò di avergli sentito dire che lei era venuto a trovarlo almeno una mattina per controllare che stesse bene. All'improvviso desiderò ardentemente di esserci stato, proprio come una mosca sul muro: invisibile.
 
Le mani di Dave si chiusero su quello che Kurt si accorse essere un semplice pezzo di carta. Un pezzo di carta con sopra scritto il numero di Sue Sylvester. Sbatté le palpebre con occhi stranamente brillanti e si schiarì la gola. "Capito, Coach."
 
La Coach lo guardò. "Knuckles."
 
Dave abbozzò un sorriso, piccolo e storto e come aveva fatto Kurt a non accorgersi quanto adorabile poteva essere ogni tanto? "Mi scusi, volevo dire... Lo prometto, lo userò se ne avrò bisogno."
 
Lei restrinse il suo sguardo su di lui, ma girò sui tacchi senza dire un'altra parole e si diresse verso la porta. Si fermò quando si accorse che Burt stava lì in piedi con le chiavi della macchina in mano.
 
"Lei."
 
Era un po’ teso, come la maggior parte delle persone non abituate ai modi di fare della Coach.
 
Lo guardò e poi cambiò idea. "E' un buon padre. Tenga sempre d'occhio i suoi figli. Ognuno di loro." Lo guardò intensamente, rendendo chiaro che se lei fosse uscita da quella stanza e avesse lasciato Dave nelle sue mani, allora sarebbe stato maledettamente meglio se avesse iniziato a contare Dave come uno di loro.
 
Burt aprì la bocca per rispondere, ma lei non si preoccupò di aspettare. Se la svignò dalla stanza; l'Uragano Sylvester pronto a colpire la prossima spiaggia. Lasciando molti meno casini di quanti non ne facesse di solito.
 
Non che Kurt non sapesse già che fosse capace di provare alcune tra le più semplici emozioni umane. Quando ci pensava attentamente, le volte in cui era stata sorprendente e sincera e quasi gentile avevano ormai raggiunto quelle in cui, come Puck aveva detto una volta, un gran pezzo di stronza.
 
Era divertente pensarci, siccome lei era il crudele dittatore a capo delle Cheerios e aveva sempre agito come se gli sfigati del Glee le avessero fatto un torto per il fatto stesso di essere sfigati. Considerando tutto questo, era divertente accorgersi che era stata al massimo della sua gentilezza con le persone che erano senza forza. Sua sorella, e Becky Jackson, e per quando lei prenda in giro Kurt era da quando lui era stato disperato e spaventato e in serio bisogno di aiuto che lei era diventato il suo mito.
 
Giocava con le stupide caste sociale del liceo ed era malevola a riguardo, divertendosi nell'esserlo. Ma quando succedeva qualcosa al di fuori dei confini del dramma del Breakfast club del liceo, lei era la prima a farsi avanti. Solo che non l'aveva mai realizzato prima d'ora. L'aveva vista nei suoi momenti più calorosi ancora e ancora, ma considerava ancora in qualche modo ogni singolo episodio come un evento straordinario.
 
Kurt guardò di nuovo Dave.
 
Dave stava guardando quel pezzo di carta che aveva in mano. Non appena Kurt vi poggiò lo sguardo, lui chiuse il pugno e lo spinse a fondo nella tasca dei suoi jeans, il suo piccolo sorriso svanì solo dopo quel gesto, quando tolse la mano dalla tasca e si guardò attorno.
 
Kurt incontrò i suoi occhi, e pensò di indirizzargli uno di quegli sguardi da 'che diavolo è stato quello' e agire come se fosse stato uno scherzo. Invece si sistemò la borsa sulla spalla e lasciò passare la visita della Coach senza fare commenti. Perché, davvero, se lei era in grado di far sorridere Dave con tutto il peso che gravava sulle sue spalle, quello faceva di lei una delle persone migliori al mondo.
 
"Sei pronto per andare a casa?" chiese con un filo di voce.
 
Gli occhi di Dave si spostarono su Burt, insicuri, ma annuì con la testa e camminò sicuro sui suoi piedi mentre lasciava il muro, la sedia e l'ospedale dietro di sé.


Burt stava parlando di quel pezzo di motore rotto su una Comanche del '94 al negozio, come se fosse la cosa più affascinante su cui avesse lavorato in anni. Si infilò in quel genere di dettagli riguardo quella vecchia Jeep che facevano suonare un noioso, ordinario giorno di lavoro come la sfida di una vita, come la cura per il cancro che gli avrebbe assicurato un Nobel.

Kurt lo lasciò parlare, guardandolo con divertimento, poi noia, poi confusione man mano che il discorso si dilunga per dieci minuti, poi quindici.
 
Realizzò quello che suo padre stava cercando di fare solo quando accostò nel vialetto di casa e la storia giunse ad una brusca conclusione. Vide gli occhi di suo padre guizzare verso lo specchietto retrovisore, e Kurt spostò il suo sguardo vedendo Dave seduto pietrificato, teso, pallido e preoccupato, mentre fissava la casa come se ci fosse stato portato per punizione.
 
Kurt non sapeva quanto della storia Dave avesse ascoltato, sempre se l'aveva fatto, ma sapeva perché suo padre non aveva mai fatto silenzio in macchina durante il tragitto verso casa.
 
C'era solo un certo numero di volte in cui un figlio poteva dire al proprio padre di essere fantastico, così Kurt non disse nulla. Scese dalla macchina con Burt e insieme aprirono entrambe le porte posteriori, Burt prese la borsa dal sedile della macchina ed entrarono tutti in casa senza fermarsi.
 
Dave sedeva calmo, ma parlò qualche momento dopo che la porta anteriore era stata aperta e richiusa dietro Burt. "Lo capisci quanto questo sia complicato, Fancy?"
 
Kurt rimase impalato all'entrata e si mise a riflettere. Dopo solo un istante si mise a ridere dolcemente. "Per quanto strano possa sembrare ho appena portato Dave Karofsky per farlo stare a casa con me," disse, "non è nemmeno la cosa più strana che mi sia successa oggi. Quindi forza, smettila di pensarci e vieni dentro."
 
Dave obbedì dopo qualche istante, trascinandosi faticosamente verso il bordo del sedile e spingendosi in piedi.
 
Kurt lo guidò dalla macchina alla casa. Voleva seguire il metodo di suo padre e riempire il silenzio con ogni genere di discorso a cui riuscisse a pensare, ma.. in realtà non riusciva a pensare a nulla. Era vuoto, ed era una cosa preoccupante per un ragazzo che poteva discorrere con filosofia sulle sfumature color salvia nella nuova collezione di Marc Jacobs.
 
Quando arrivarono alla porta si fermò, girandosi verso Dave. "Entriamo e ti porto direttamente nella camera degli ospiti. La tua stanza, voglio dire, penso sia la tua stanza d'ora in poi. E se sei stanco, e non vuoi vedertela con nient'altro, questa sarà la fine della visita della casa, ok?"
 
Dave sposto lo sguardo dalla porta a Kurt, e qualsiasi cosa riuscì a vedere nell'espressione di Kurt lo fece rilassare. Annuì con la testa, e prima che Kurt potesse girarsi verso la porta raggiunse il suo braccio, toccandolo per un istante.
 
"Grazie. Per tutto questo. Davvero, Kurt."
 
I suoi occhi erano vividi, verdi e marroni in egual misura, e la sua voce era fredda e grave, e quando Kurt sentì il suo nome risuonare nello spazio tra di loro, gli sembrò la prima volta che qualcuno lo chiamava in quel modo. Il che era stupido, perché anche Dave lo aveva chiamato in quel modo prima, ma...
 
Ma aveva sentito qualcosa.
 
Kurt ebbe quell’improvviso, assurdo, ma quasi irresistibile bisogno di eliminare ogni spazio tra di loro. Solo per... per toccarlo a sua volta in qualche maniera, per far capire a Dave che Kurt non sarebbe andato da nessuna parte. Che anche se Dave poteva pensare di non meritare quella clemenza o la generosità, Kurt gliela stava offrendo lo stesso.
 
Alla fine, però, parlò e basta. In modo semplice, ma sincero. "Non posso fare in modo che quello che ti è successo scompaia," disse in modo calmo. "Se potessi, lo farei, in un istante. Tutto quello che posso fare è provare ad aiutarti, quindi.. lasciami solo continuare."
 
"Già," rispose Dave, abbassando lo sguardo. Probabilmente per evitare gli occhi da non-merito-tutto-questo che Kurt avrebbe voluto far scomparire un giorno, fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto.
 
Lui non meritava tutto quello che sta accadendo, ma non nella maniera in cui non riusciva a smettere di pensare. Forse un giorno sarebbe riuscito a capirlo.
 
"Vuoi rimanere fuori per qualche minuto?"
 
Dave fece un respiro e incontrò gli occhi di Kurt per un intenso secondo. Si raddrizzò come se avesse attinto le forza da una riserva nascosta. "Nah, sto bene. Fa maledettamente freddo, comunque."
 
Kurt sorrise e si sporse per girare la maniglia e aprire la porta. Gesticolò, galante come Cary Grant poteva essere nella sua mente. "Dopo di te."
 
Gli occhi di Dave sorrisero per un attimo ed entrò attraverso la porta.


Accadde tra un respiro e quello dopo, così veloce e stridente che Kurt quasi rise per la sorpresa.

Ma non c'era nulla di divertente a riguardo.
 
Un momento Dave stava attraversando la porta, nervoso ma curioso di scoprire come sarebbe stata la sua nuova casa. L'istante subito dopo era pietrificato, schiena al muro di fianco alla porta, c'era panico nei suoi occhi e nessun'ombra di colore nel suo volto.
 
Stava respirando velocemente, in modo brusco e rumoroso e Kurt sapeva in qualche modo che la sua mente era lontana da lì.
 
Ci volle solo un attimo perché Kurt capisse cos'era successo.
 
Il soggiorno era affollato. Finn era a casa e Puck era con lui. C'era anche Sam, seduto sulla poltrona preferita di Finn e Mike era dietro al divano con Finn e Puck. C'era persino Artie e la sua sedia a rotelle era infilata tra la poltrona e il divano.
 
L'intero gruppo stava lì in piedi, riempiendo la stanza, aspettando. Tutti erano rivolti verso la porta come se stessero aspettando la sua apertura. Un muro di ragazzi. E devono aver avuto gli allenamenti dopo le lezioni quel giorno, perché ognuno di loro aveva indosso la giacca della squadra.
 
Nessuno disse nulla. I pochi sorrisi imbarazzanti sparirono in fretta, e tutti gli occhi puntarono su Dave.
 
A Kurt sembrava che la sua mente stesse lavorando più velocemente del suo corpo. C'era un battito in cui aveva trovato l'inaspettato gruppetto e un battito in cui aveva notato il panico che aveva spinto Dave contro il muro.
 
E la sua mente era già dieci passi più avanti.
 
Si mosse veloce, mettendosi di fronte a Dave, standogli troppo vicino per poter bloccare la visuale delle giacche rosse e bianche dietro di lui. Non lo raggiunse - qualcosa gli disse di non farlo - ma gli parlò, con voce grave e veloce.
 
"Dave. Dave, sono solo io. Sono Kurt. Apri gli occhi, Dave," perché erano chiusi, stretti. "Ehi, forza, ascoltami. Sono solo io, è tutto ok. Sono solo io."
 
Continuò, ancora e ancora, e dietro di lui c'era un silenzio così forte da poter far sentire la propria presenza, voleva girarsi e urlare ai ragazzi di andarsene, di togliersi quelle fottute giacche.
 
Invece si concentrò su Dave, usando le stesse inutili parole. Sono io, è tutto ok, apri gli occhi, Dave, respira. Come un canto, una canzone, ancora e ancora, solo perché voleva far sentire a Dave la sua voce, non le singole parole.
 
"Per favore, Dave, è tutto ok, ascoltami." voleva allungarsi così tanto verso di lui che le mani iniziarono a tremargli.
 
Gli occhi di Dave si aprirono all'improvviso, grandi e vitrei, e Kurt gli era vicino ma Dave era più alto e riusciva a vedere cosa c'era aldilà delle sue spalle.
 
"Dave!" questa volta Kurt urlò, forte, per attirare l'attenzione di Dave su di lui. "Ho detto di guardare me, okay?"
 
Dave lo fece, il suo sguardo andò verso il basso, poi verso Kurt, prima di tornare a dov'era stato prima.
 
"Dave. Forza, sono io. Sono Kurt."
 
Gli occhi di Dave si chiusero, ma solo per un momento. Fece un respiro e per lo meno il suo sguardo era concentrato quando riaprì gli occhi di nuovo. "Sì. Ti ho sentito." La sua voce era stridente come se avesse dovuto tagliarsi una via di fuga dalla gola. "Merda," bisbigliò, con tono grave, sibilando e tremando. "Merda, cosa.."
 
Guardò oltre Kurt, e forse furono lo giacche, forse il pubblico inaspettato, ma improvvisamente il suo volto già grigio, impallidì ancora di più.
 
Kurt strinse il braccio di Dave senza pensarci e lo spostò dal muro, muovendosi veloce vicino a Finn e oltrepassando Artie, facendo praticamente jogging attraverso la stanza fino ad arrivare al corridoio. Aprì la prima porta che trovò, accese la luce del bagno e ci fece entrare Dave prima di richiudere la porta dietro di lui.
 
Solo allora, solo negli attimi seguenti quando smise di fissare la porta chiusa e poté sentire il forte, doloroso suono di Dave che vomitava dall'altra parte... Solo allora il suo corpo e la sua mente sembrarono rientrare in sincronia, e il suo cuore cominciò a battere forte nel suo petto.
 
Prima di accorgersi delle sue azioni, era di nuovo nel salotto, andando verso Finn come se fosse pronto a fare un tentativo di placcaggio. "Cosa diavolo stai facendo? Cosa c'è di sbagliato in voi idioti?"
 
"Noi non.." Finn era pallido, scosso. Alzò le mani, i palmi verso il fratellastro, mente Kurt si avvicinava. "Cristo, Kurt, non volevamo... Che diavolo era..."
 
Kurt non gli andò addosso come avrebbe voluto. Obbligò i suoi piedi a rallentare, occupando lo spazio restante con un dito minaccioso sul petto di Finn. "Cosa ci fai qui? Cosa ci fanno loro qui?"
 
"Calma, Kurt." Quando una mano si strinse sul braccio di Kurt, lui sobbalzò, girandosi per rivolgere il suo sguardo verso Noah Puckerman. Puck alzò le mani imitando il gesto di Finn. "Ehi bello. Qui siamo disarmati."
 
Kurt gli rivolse uno sguardo pungente.
 
Puck provò ad affrontare il suo sguardo, anche se la sua solita sfrontatezza era in contrasto con il pallore causato dalla sorpresa. "Kurt. Tranquillo. Pensavi che sapessimo sarebbe andata così?"
 
"Perché sei qui?" Kurt ribattè in risposta.
 
"Perché c'è un pettegolezzo davvero orribile che gira per la scuola in questi giorni," rispose Puck in fretta. "E alcuni di noi," indicò il gruppo in silenzio dietro di lui, "si stavano chiedendo perché siamo stati lasciati fuori da questa stronzata che la squadra sta facendo. Tutti sanno che io sono il primo da chiamare quando ci sono casini, e questa volta non mi ha chiamato nessuno." guardò Kurt prima di rivolgere il suo sguardo oltre, verso Finn. "Poi tua mamma ha mandato un messaggio a Finn dicendo che Karofsky sarebbe venuto qui, e questa ha fatto sembrare il pettegolezzo fottutamente vero."
 
"Quindi?" Kurt provò a rimanere deciso e furioso, ma poteva ancora sentire Dave vomitare, attenuato dalle pareti, e non poteva credere che la gente a scuola sapesse già. Non poteva credere che la voce stesse circolando come se fosse un pettegolezzo qualunque.
 
"Quindi..." Finn prese la parola, girando intorno al fratellastro furioso e raggiungendo Puck. "Quindi nessuno di noi potrebbe mai chiamare Karofsky 'amico', ma se... Le cose sono andate come la gente dice a scuola..." e Finn sapeva, Finn sapeva molto di più su quello che era successo rispetto agli altri studenti oltre Kurt e quei bastardi che avevano attaccato Dave, quindi aveva detto 'se' ma il suo sguardo non aveva nessun 'se' al suo interno.
 
Kurt sapeva cosa stavano dicendo, o che voci girassero, comunque. Erano qui per aiutare. Per mostrare supporto o chissà cosa. Erano dalla parte di Dave, almeno nei riguardi di quei pettegolezzi.
 
Era una cosa buona. Era una stupida, assolutamente stupida buona cosa che loro fossero qui.
 
Kurt fece un respiro profondo per riprendere il controllo. "Quei pettegolezzi dicono che sono stati dei ragazzi della squadra?"
 
Finn e Puck si scambiarono uno sguardo cupo. Puck annuì.
 
Kurt fece un altro respiro, ma la sua voce non voleva restare calma. "E allora perché mai vi siete presentati qui in gruppo con quelle fottute giacche?" Si sentiva bene, un piccolo guizzo di soddisfazione, perché non imprecava molto spesso, e mai di fronte a persone che non fossero amici intimi.
 
Questa situazione però meritava questo genere di parole.
 
Finn si guardò, guardò la giacca bianca e rossa. Guardò Puck, e poi dietro di loro verso gli altri ragazzi, e sembrò realizzare solo ora che tutti loro la stavano indossando.
 
Impallidì, facendo tornare il suo sguardo su Kurt. "Oh, bello, non ci avevamo nemmeno pensato. Abbiamo avuto gli allenamenti e..."
 
Kurt lo guardò.
 
"... E poi le abbiamo sempre addosso..." Finn concluse con un filo di voce.
 
Kurt fece un altro respiro e spinse di lato i due idioti che aveva di fronte così da potersi rivolgere all'intero gruppo di idioti. "Uscite di qua e basta, okay? È già esausto, lo era già prima che voi lo terrorizzaste."
 
"Cristo, Hummel." Puck borbottò con un filo di voce, ma fece un gesto al gruppetto. "Vedi di fare un lavoro fottutamente buono. Forza ragazzi, usciamo di qui."
 
Mentre si muovevano verso la porta, una linea di facce avvilite, Kurt ebbe un momentaneo senso di colpa. Sospirò e si mise una mano sul volto. C'era silenzio nella direzione del bagno del piano di sotto, e volle andare lì.
 
"Ehi," disse mente Puck era in coda alla fila. Finn si attardava ancora vicino al divano, ovviamente, ma si era già tolto la giacca e la stava tenendo di fronte a lui come se stesse per prendere fuoco.
 
Kurt guardò da Finn a Puck. "Gli dirò perché eravate qui, okay? E... E io s-sono... sono felice che siate dalla sua parte in questa faccenda."
 
"Non farti venire un aneurisma facendo finta di non essere incazzato, Kurt." Puck gli fece un sorrisetto. "Siamo degli scemi, l'abbiamo capito. Basta che dirai a Finn quando sarà pronto per farci fare un altro tentativo."
 
Kurt annuì conciso.
 
La porta si chiuse dietro Puckerman.
 
Finn spostò il suo sguardo dalla giacca a Kurt e poi di nuovo sulla giacca. "Uh, penso che... andrò di sopra?"

"Bene."

Finn si mosse verso le scale e prima di iniziare a salire, diede a Kurt uno di quei rari, solenni sguardi di cui ogni tanto era capace. «Mi dispiace, non avevamo intenzione di spaventarlo o altro.

Kurt annuì di nuovo, stanco.

Mentre Finn arrancava fino alle scale, Kurt si guardò intorno nel salotto improvvisamente silenzioso. Voci attenuate arrivavano dal piano di sopra, forse suo padre o Carole che avevano incontrato Finn. Tutto sarebbe stato teso e difficile ora, e Dave aveva resistito solo un secondo in casa Hummel prima che le cose precipitassero.

Kurt non credeva nei presagi, ma questo era stato davvero un malaugurato arrivo a casa.


Note di Traduzione:
(*) Knuckles è un soprannome alquanto intraducibile, quindi abbiamo preferito lasciarlo originale. Il termine in inglese vuol dire "nocche" ma può anche essere utlizzato come termine amichevole per dire amico o qualcosa di simile. Per maggiorni informazioni sul termine, qui il link per l'Urban Dictionary.
(**) Lurch è il maggiordomo della Famiglia Addams.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Beta Reader: Kurtofsky.
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 7 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/7/The_Worst_That_Could_Happen


 

Kurt lasciò trascorrere dieci minuti, perché era abbastanza certo che Dave avesse bisogno di tempo per riprendersi dal quell'attacco di panico. I suoni provenienti dal bagno si erano zittiti, non c’erano più rumori che venissero dal piano superiore e alla fine si stancò di accatastare e disseminare un ammasso di dvd sul tavolino.

Alla fine attraversò il salotto, tornò alla porta del bagno e vi bussò con dolcezza. “Hai intenzione di uscire fuori?”

Ci fu un attimo di silenzio. Quando rispose, la voce di Dave era bassa, roca. “Se ti chiedessi una coperta e un cuscino potrei rimanere qui?”

Kurt sorrise debolmente alla porta. “No.”

Percepì dei movimenti dall’altra parte del muro, lenti e incerti, così non aprì bocca. Si appoggiò alla parete e attese.

Il rubinetto del lavandino si aprì e si richiuse, e quando la porta finalmente si spalancò Dave era lì, con il viso umido e rosso. I suoi occhi sormontarono all’istante Kurt, provando a vedere cosa ci fosse dietro l’angolo.

Se ne sono andati”, proferì piano Kurt. “E tutti sono al piano di sopra.”

Dave non rispose, ma le sue spalle si rilassarono un po’. Si tolse una goccia d’acqua rimasta sul mento e Kurt non poté fare a meno di vedere quanto le mani gli stessero tremando.

Ti chiedo scusa,” disse. “ È stato…”

Kurt si schiarì la voce. “Puck ha già ammesso che sono stati tutti degli imbecilli e Finn si è scusato a nome del gruppo. Penso che ci siano state abbastanza scuse per un solo pomeriggio, quindi conserva pure le tue.” Si mosse nella sua direzione, esitando un poco, e lasciò che la sua mano si posasse sul braccio di Dave. “Dai, andiamo di sopra, devi riposarti.”

La tua famiglia non mi ritiene ancora uno psicopatico?” domandò Dave, ancora contratto sotto il tocco della mano di Kurt, ma nuovamente calmo quando iniziarono a spostarsi nel soggiorno.

Per essere esatti”, affermò Kurt, inserendo più humor nella sua voce di quanto ne sentisse effettivamente, “la mia famiglia ti ha ritenuto prevalentemente uno psicopatico per mesi.” Dopodiché trattenne il respiro, non guardando Dave, perché era un tipo di battuta che avrebbe potuto avere un ritorno di fiamma.

Dave sbuffò sommessamente dopo un secondo. “E Finn e i suoi amici già mi odiavano. Non ho combinato nessun guaio allora, immagino.”

Nessun guaio tranne che per Dave. A Kurt non dava fastidio nemmeno dirlo o discuterne.

Dovresti sapere qualcosa su di Finn e sui suoi amici”, dichiarò, percependo che Dave si stava rilassando sotto il suo braccio quando raggiunsero il soggiorno e ogni traccia del gruppo e delle loro giacche Letterman era sparita. “Anche le persone decenti, che provano a fare cose buone, possono essere dei completi idioti. Nessuno personifica questa cosa così perfettamente come Finn.”

Raggiunsero la base della scala e Kurt lanciò uno sguardo a Dave.

Dave le osservò, e tirò su il braccio che non era nella stretta di Kurt. La mano scivolò al suo fianco, fece una smorfia e trasse un respiro profondo preparandosi psicologicamente.

Kurt gli strinse il braccio. “Le tue costole?”, chiese calmo, ricordando quelle cose a cui non voleva pensare, come costole incrinate e spalle dislocate.

Immagino che vomitare tutto ciò che ho mangiato questa settimana non conta come provare a prendere le cose più tranquillamente”, confermò Dave. “Il dottore si arrabbierà.” Ma si distese e afferrò per bene il corrimano. “Se ti metterai a ridere quando capirai che per fare questo impiegherò un’ora, me ne vado via di casa.”

Sono offeso dalla tua insinuazione, ma fortunatamente per te sono troppo di classe per mostrarlo. Andiamo.”

Dave lo illuminò con un piccolo e instabile sorriso che Kurt gli restituì prima di iniziare a salire.

Dave non era un ragazzo di piccola statura. Kurt non era debole, ma era appesantito non solo da metà del peso di Dave, ma anche da quell’ampio senso di colpa, responsabilità e fredda consapevolezza che, qualsiasi altra cosa fosse successa a Dave dentro casa sua, la colpa non sarebbe stata assolutamente di nessun altro tranne che di Kurt stesso.

Alla fine impiegarono meno di cinque minuti invece che un’ora, e Kurt capì dalla mascella serrata e dal volto pallido di Dave che si stava muovendo troppo rapidamente e si caricò molto di più del suo stesso peso. Non disse nulla, ricordando ciò che suo padre aveva detto poco prima riguardo al fatto che nessun adolescente avrebbe voluto dimostrare quanto in realtà non fosse forte a sopportare certe situazioni.

Quando arrivarono alla cima delle scale, Dave continuò a muoversi, passo dopo passo, senza nemmeno fermarsi a festeggiare la sua piccola vittoria. I suoi occhi si erano rimpiccioliti per la determinazione, e la sua mano era artigliata al suo fianco in un modo che fece quasi desiderare a Kurt di andare da suo padre. Raggiunsero la porta della piccola stanza bianca degli ospiti, Kurt la toccò e la aprì veloce così da non far perdere a Dave il suo ritmo.

C’era un poster rosso brillante sul muro.

Catturò immediatamente l’attenzione di Kurt, era una cosa inaspettata (e rossa, che lui era tornato ad associare al male), infatti si fermò e si girò verso Dave, come se volesse in qualche modo proteggerlo.

Ovviamente, gli occhi di Dave vi andarono dritti, ma la sua reazione non fu come quella avuta al piano di sotto. Le sue palpebre si chiusero sorprese e i suoi piedi che già camminavano a fatica si fermarono sulla soglia.

Si guardò attorno, sorpassando Kurt come se non fosse nemmeno lì, sul suo viso si formò una strana espressione che Kurt non riuscì a decifrare. Strana, che non sembrava essere per niente tesa. Il suo volto si colorò nuovamente e camminò superando Kurt, facendo vagare lo sguardo.

Kurt si voltò a osservarlo ma i suoi occhi vennero di nuovo attratti da quel rosso e si prese un momento per dargli veramente un’occhiata. Era rosso e bianco, brillanti, ma era un logo che gli sembrava familiare in qualche modo e nella parte inferiore c’erano scritte le parole Detroit Red Wings.

Hockey, si ricordò. Dopodiché analizzò il resto della minuscola stanza.

C’erano dei libri sulla credenza, un cumulo di riviste. L’armadio era aperto, pieno di vestiti strani. C’era un computer, un laptop bianco, appoggiato sul comodino. Un altro poster sul muro dall’altra parte, alcuni giocatori di football che Kurt non conosceva. Il piumone sul letto non era familiare, di colore marrone scuro e all’apparenza consumato.

Sul ripiano in alto dell’armadio c’era una borsa da viaggio ordinaria, sformata e vuota, e dietro un’altra valigia consunta.

Dave si spostò verso il letto e si sedette con difficoltà. Distese la mano che non aveva bloccato attorno alle costole, le sue dita accarezzarono la parte superiore del laptop che era chiusa, sopra un adesivo sbiadito e mezzo strappato via con il logo della squadra del liceo McKinley.

Kurt si ricordò di cosa gli aveva detto suo padre poco prima all’ospedale. Parole a cui non aveva prestato attenzione all’epoca, su come avesse preso una pausa dal lavoro per poche ore quel giorno e avesse rinviato delle commissioni. Non sapeva se infuriarsi nuovamente con Paul Karofsky per aver lasciato che suo figlio andasse via di casa a quel modo, come se fosse quasi un estraneo, o se doveva solo concentrarsi su quanto era incredibilmente fortunato ad avere il padre che si ritrovava.

Kurt vide gli occhi di Dave illuminarsi mentre osservava le sue cose tutte spostate nella sua nuova stanza.

Puoi parlargliene se vuoi”, disse Kurt. Si schiarì la voce quando questa si incrinò un po’. “Ma ho l’improvvisa sensazione che papà stia già pianificando di farti restare qui per un po’.”

"Sì. Io…” Dave lo guardò. “Io… io penso di aver bisogno di… riposarmi”. La sua voce riprese a funzionare e le labbra si chiusero delicatamente.

Kurt capì all’istante. Era stranamente riluttante ad annuire, a scivolare via dalla porta. “Riposati”, disse velocemente, comprendendo che Dave stava rapidamente raggiungendo il suo punto di rottura. “Ci vediamo domani mattina.”

Dave scosse la testa rapido. Il suo volto chinato, a nascondere la sua espressione.

Kurt avrebbe voluto dire qualcosa in più, tornare lì, sedersi vicino a lui e lasciare che la sua camicia si infradiciasse nuovamente. Ma non voleva sembrare più forte di quanto non fosse, e Dave stava lasciando intravedere a Kurt molto di più rispetto a quello che avrebbe scelto di fare in un’altra situazione. Così Kurt scivolò via dalla porta, la chiuse alle sue spalle e vi rimase abbastanza da sentire i primi suoni attutiti di Dave che si consegnava alle sue personali montagne russe della giornata.

Si fermò davanti alla porta della camera da letto di suo padre e di Carole e bussò delicatamente. “Papà?”

Si è addormentato, Kurt,” rispose Carole attraverso la porta, palesemente abituata a come suo padre potesse riuscire a dormire con urla ed esplosioni una volta notte. “Lo abbraccerai domani mattina.”

Kurt rise. “Notte, Carole”. Si diresse verso la sua porta e, solo dopo un ultimo sguardo alla porta della camera degli ospiti, la stanza di Dave, vi entrò e si trascinò a letto.

Aveva dei progetti per la notte. Li aveva avuti, almeno. Un'austera chiacchierata con Blaine per fermare la sua campagna passiva-aggressiva anti-Karofsky e successivamente una lunga conversazione con Dave riguardo Azimio. La seconda non era stata ovviamente prevista, ma estrasse il suo cellulare dalla tasca e lasciò cadere la propria schiena sul letto.

Squillò una volta, poi due, e quando Blaine rispose ci fu un momento di imbarazzo. “Kurt?” Ci furono una serie di farfugliamenti e Kurt trasalì quando realizzò che probabilmente era molto più tardi di quanto avesse immaginato.

Kurt? Stai bene? È tardi, cosa è…

Kurt passò in rassegna la sua lista mentale di argomenti da affrontare. Avrebbe voluto iniziare raccontando a Blaine che si sbagliava sul conto di Dave, che non poteva scendere in dettagli ma che gli poteva sicuramente dire che Dave non aveva fatto niente a se stesso solo per attirare l’attenzione di Kurt. Avrebbe voluto raccontare a Blaine che in quel momento Dave era a casa sua e che se avesse voluto arrabbiarsi al riguardo avrebbe potuto semplicemente venire a vedere Dave coi suoi stessi occhi, capire quanto stesse male e quanto maledettamente avesse bisogno di stare lì.

Avrebbe voluto raccontare a Blaine, raccontare a qualcuno, di come avesse affrontato Azimio e lo avesse spinto ad andare alla polizia. Di Sue Sylvester e di come lei avesse dato a Dave il suo numero di telefono, che gli aveva dato un soprannome e che, nonostante odiasse le persone, facesse sorridere Dave.

Avrebbe voluto raccontargli di suo padre, del padre di Dave, e di come fosse completamente ingiusto che da una famiglia all’altra ci potesse essere una così grande differenza nelle priorità. Avrebbe voluto raccontare a Blaine di Finn e di Puck e dei ragazzi e di come avrebbero voluto fare le cose diversamente ma invece avevano portato Dave ad andare incontro a una paura incontrollata e lo avevano fatto vomitare così violentemente che avrebbe potuto farsi del male.

Dio, avrebbe voluto raccontare a Blaine quale fosse diventato improvvisamente il suo timore più grande al mondo, che anche lui potesse fare qualcosa del genere. Che avrebbe potuto essere ben intenzionato provando ad aiutare ma avrebbe peggiorato le cose così tanto che avrebbe finito per creare dei danni ancora più seri.

Non aveva idea di cosa stesse facendo. Non aveva nessuna idea di come aiutare qualcuno in quella situazione, come avere a che fare con i suoi strani, confusi sentimenti su qualsiasi cosa. Non poteva chiedere ad Azimio e non era sicuro di voler sapere esattamente chi era stato a fare una cosa del genere a Dave. Perché avrebbe significato metterci dei volti. Un viso da ragazzo in una giacca Letterman, un viso che conosceva a scuola. Più di un solo viso.

Non capiva più le persone. I ragazzi della scuola, Paul Karofsky. Non comprendeva quella specie di odio e come potesse portare degli individui ad aggredire a quel modo.

Non sapeva come aiutare Dave ed era pietrificato all’idea di sbagliare ma se ci fosse stato qualcuno che avesse saputo cosa fare e si fosse offerto di portare via Dave e aiutarlo… Kurt lo avrebbe osteggiato. Perché l’unica cosa più spaventosa dell’essere l’unico ad aiutare Dave ad affrontare tutto era il pensiero di non riuscire a essere presente.

C’era troppo da dire e non c’erano parole per niente e così tutto si bloccò all’interno del suo cervello. Avrebbe voluto distanziare così tante cose cosicché queste si sarebbero fermate e nessuna sarebbe più rientrata, come se il suo cervello fosse stato un canale di scolo otturato.

Kurt? Mi stai spaventando.”

Scusami.” Kurt deglutì e a malapena riconobbe la sua stessa voce.

Non doveva essere più forte, almeno per quella notte. Ma nel momento in cui fece andare tutto oltre il proprio controllo, fu come se la prima goccia di acqua fosse sfuggita via da quel tappo che c’era nella sua mente e, una volta che il tappo si squarciò, ogni cosa si sprigionò liberamente tutta in una volta.

Io…” Non riuscì nemmeno a far uscire la seconda parola di bocca.

Blaine rimase al telefono con lui, facendo di tanto in tanto dei suoni delicati, mormorando il nome di Kurt tra parole calmanti. Andrà tutto bene, sono qui, sei al sicuro, sei eccezionale, ti amo.

Non rispose alle domande per una volta, non sembrava avesse bisogno di sapere perché Kurt gli stesse singhiozzando nelle orecchie. Per una volta, era semplicemente . Ed era sufficiente.


Il telefono era ancora sotto il suo orecchio quando al mattino venne risvegliato da un picchiettio alla porta.

Kurt cercò a tastoni il cellulare e lo mise sul tavolino vicino al suo letto. Si girò attorno, confuso, sentendosi fiacco ma comunque in forze.

Kurt?” La porta si aprì.

Kurt si sollevò sui gomiti. “Papà?”

Ehi, figliolo. Sto andando, ok? Carole e Finn sono già usciti. Se hai bisogno di qualcosa, chiama in officina.”

Giusto. Niente scuola, almeno non ancora. Kurt fece fatica a mettersi in piedi. “Papà? Rimani un attimo.”

La porta si spalancò ulteriormente e Burt entrò. “Se hai intenzione di farmi una lezioncina su come tu abbia bisogno del primo sonno o roba del genere, evita. Pensavo semplicemente che tu avresti voluto essere sveglio prima del tuo amico, in caso lui-”

Kurt riuscì a scendere dal letto e si gettò tra le braccia di suo padre nonostante il sonno che gli annebbiava la visuale. Lo strinse forte, inspirando Old Spice e olio per motori.

Burt ricambiò l’abbraccio all’istante. “Ehi. Non sto scherzando, ok – se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Vi posso portare qualcosa da mangiare per pranzo durante la mia pausa?”

No, riuscirò a cucinare qualcosa.” Kurt indietreggiò e sorrise a suo padre. “Ti ringrazio. E non per esserti offerto di portarci il pranzo a casa.”

Burt gli accarezzò la schiena, ma non sorrise. “Kurt…” esitò, lanciando uno sguardo alla porta aperta come se Dave avesse potuto essere lì ad ascoltarlo. “Significa tanto per te, ecco perché il ragazzo è qui. Ma non voglio che tu debba prenderti più responsabilità di quante tu ne possa effettivamente affrontare, ok? E stai attento.”

Attento?”

Suo padre gli rivolse uno sguardo molto preoccupato. “Le persone possono reagire in molti modi differenti quando viene fatto loro del male come è successo a quel ragazzo. E non è che lui fosse in precedenza un modello perfetto di stabilità.” Afferrò la sua mano all’istante, senza dubbio capendo l’espressione rabbuiata sul volto di Kurt. “Puoi arrabbiarti con me quanto vuoi, figliolo, ma sono serio in questo momento. Se fossi stato certo che lui fosse pericoloso, non sarebbe qui. Ma dato che hai avuto ragione sul fatto che lui ti avesse minacciato e avesse dei problemi con te perché non riusciva ad accettare che fosse gay, devo preoccuparmi di cosa potrebbe succedere se non riuscisse ad accettare tutto questo.”

Kurt avrebbe voluto arrabbiarsi, ma riuscì in qualche modo a lasciar perdere tra un respiro e l’altro. Burt era preoccupato, perché era ciò che i padri facevano. Ma Burt era andato a casa Karofsky e aveva ripulito la stanza di Dave e l’aveva ricostruita al meglio che aveva potuto così Dave avrebbe potuto sentirsi più a suo agio nella sua nuova insolita abitazione.

Non poteva arrabbiarsi davanti a una cosa del genere. Burt si era guadagnato l’immunità dalla collera di Kurt.

Quindi sospirò e annuì, fece qualche passo indietro così suo padre sarebbe potuto andare al lavoro. “Ti chiamo se abbiamo bisogno di qualcosa,” acconsentì, una concessione.

Burt fece un piccolo sorriso e si allungò verso di lui, scombinandogli i capelli e ignorando le sue rumorose proteste.


Ok, Hummel, se non mi dici cosa sta succedendo e perché tu non sei nemmeno OGGI a scuola, vengo a casa tua e farò tutte le COSE tipiche del ghetto contro di te.

Kurt alzò gli occhi al cielo, ma sorrise leggermente mentre pensava a come rispondere a quell’sms. Adorava Mercedes, era davvero la sua migliore amica in assoluto e sapeva che questo non sarebbe cambiato nel giro di poco. Ma non era una risposta che poteva darle, toccava a Dave. Ed era abbastanza certo del fatto che Dave non avrebbe dato il suo assenso nel metterla a conoscenza dei fatti accaduti.

Avrebbe voluto parlarle, per scoprire cosa sapesse, quali voci stessero girando. Dovevano essere tante e dovevano essere orribili se avevano spinto Puck e gli altri atleti del Glee ad andare a trovarli il giorno prima.

Sto bene, rispose alla fine. E dobbiamo parlare dopo le lezioni. Chiamami.

Mi dai sui nervi, dannazione. È meglio che tu stia bene per davvero.

Non le replicò, lasciò semplicemente il cellulare al piano di sopra così sarebbe potuto andare a preparare una sottospecie di colazione.

Quando emerse dalla cucina con un piatto di pancakes e uova cotte al vapore, sorrise nel vedere Dave sveglio e vestito, in cima alle scale, esaminando i gradini come gli avessero fatto del male.

Kurt sopraggiunse e fece di corsa le scale. “Hai bisogno di una mano?”

Dave aggrottò le sopracciglia ma non si oppose mentre Kurt lo raggiungeva e sgusciava al suo fianco. Appoggiò un braccio attorno alla sua piccola spalla e prese un respiro mentre iniziarono a scendere.

Era un ragazzo davvero enorme. Kurt lo sapeva, era già stato a stretto contatto con Dave ma non era stato molto cosciente della sua stazza. Ma condurlo per le scale fu come entrare in questo nuovo tipo di consapevolezza.

Forse era stato distratto da tutto ciò che era successo il giorno prima, per cui quando aveva aiutato Dave a salire quelle stesse scale non lo aveva per niente rilevato. Ma lo notò in quel momento.

Forse dipendeva dal fatto che il grosso braccio di Dave era sulla sua spalla, o il fatto che stringesse un po’ di più Dave mentre scendevano. Dave era massiccio e gigantesco, e col braccio attorcigliato alla sua vita mentre percorrevano le scale, Kurt poté capire quanto il suo fisico fosse compatto e sodo sotto il suoi vestiti senza forma.

Fu… strano. Tutto ciò fece infiammare il volto di Kurt, ma solo perché era diventato stranamente conscio di Dave. Riusciva a sentire i muscoli del suo braccio ammassarsi ogni passo che facevano così provò a rimanere bilanciato per non far cadere entrambi dalle scale. Poteva sentire la stretta di Dave, l’andamento dei suoi respiri bruschi.

Kurt era già stato vicino ad un altro ragazzo (escludendo suo padre) e Blaine non era proprio esile come lui ma era comunque una battaglia ad armi pari tra loro. Questa invece era una cosa completamente diversa e per qualche motivo, mentre si avvicinavano al termine della rampa, tutto ciò su cui Kurt rifletteva erano le sue parole infuriate pronunciate nello spogliatoio secoli prima. Paffutello, sudaticcio, babbeo.(*)

Era curioso ripensarci, ma una volta iniziato non riuscì più a smetterla. Rimase tranquillo mentre scendevano le scale, ma una volta che furono coi piedi per terra e il suo braccio scivolò dalla vita di Dave, non si frenò.

Uhm. Allora… mi dispiace di averti insultato, quella volta.”

Dave era leggermente pallido, ma si cingeva le costole e si teneva al corrimano al termine della scalinata. Sbatté gli occhi guardando Kurt, con un sopracciglio aggrottato. “Cosa?”

Lo sai. Quella volta. Nello spogliatoio.”

Dave lo fissò come se avesse iniziato a parlare francese.

Kurt non avrebbe voluto continuare, e sospirò. “Quando ti ho detto che eri… lo sai. Paffutello e sudaticcio e che saresti diventato… calvo… o qualcosa del genere.”

Dave spalancò le palpebre e per un istante brillò nei suoi occhi un bagliore di perspicacia, prima che iniziasse a ridere. “Stai scherzando?”

Si? Forse?” si corrucciò Kurt, e rese più intenso il proprio sguardo mentre Dave continuava a sogghignare. “Cosa? Dai, c’è il cibo che si raffredda.”

Dave inciampò leggermente ma continuò a muoversi senza fretta e con agilità seguendo Kurt. “Non è niente. Ho dimenticato tutto.”

Lo hai dimenticato?” Kurt spinse la porta della cucina e la tenne aperta. “Davvero?”

Bè.” La risata di Dave si spense. “Sai, ciò che è successo dopo è stato…” Scrollò le spalle, imbarazzato.

Giusto. Ciò che era successo dopo. Non era di certo un buon momento per iniziare ad aprire certi cassetti della memoria.

Dave si schiarì la voce. “Comunque, dai, Fancy. I ragazzi si dicono cose del genere tante volte. Non mi hai mica spezzato il cuore o roba del genere.”

No?”

Dave ridacchiò di nuovo, sistemandosi al tavolo della cucina sbuffando.

Esci troppo con le ragazze. O è una cosa da gay, preoccuparsi inutilmente quando qualcuno ti dice qualcosa del genere?”

Kurt alzò gli occhi al cielo. “Ovviamente, non è una cosa da gay”, disse lanciando uno sguardo a Dave.

Il viso di Dave si colorò di rosa. “È solo per dire. Quel culone di Z mi chiama carico sporgente, ma non ha proprio il diritto di parlare. Siamo ragazzi, è così che parliamo. Di cosa diavolo dovresti scusarti. Specialmente quando…”

Kurt mise su un piatto delle uova e alcuni pancakes, tornando poi a guardare Dave che si era ammutolito.

Il sorriso di Dave era sparito senza lasciare alcuna traccia. Fissava il tavolo, sembrando di colpo un bambino di dieci anni. Per un momento Kurt pensò che stesse rimuginando sul bacio e le cose accadute successivamente.

Ma qualcosa gli diceva che non era così e quando rifletté meglio realizzò che ciò che stava succedendo davvero e si ricordò che dovevano affrontare una conversazione particolare.

Posizionò il piatto davanti a Dave. “Abbiamo del latte o del succo d’arancia. O del caffè, credo, se tu lo desideri te ne preparo un po’.”

Dave scosse le spalle. Guardò il piatto come se quest’ultimo volesse mangiarlo vivo. “Il latte va benissimo. Grazie.”

Kurt riempì un bicchiere di latte, versò nel suo il succo d’arancia e si mise nel piatto dei pancakes. Si sedette davanti a Dave e prese dello sciroppo.

Quando divenne chiaro che Dave non si sarebbe tuffato in una chiacchierata dato che  lui stesso aveva portato a un punto morto la conversazione, Kurt si schiarì la voce e cercò di andare avanti.

Raccontò a Dave il discorso avuto con Azimio - riducendo al minimo la parte in cui Kurt era andato da solo ad affrontarlo nel suo stesso territorio - e la confessione di Azimio ai suoi amici di squadra riguardo Dave stesso.

Non fu una sorpresa per Dave ma la sua pallida infelicità divenne sempre più palese. Almeno fino a quando Kurt continuò a raccontare la sua storia.

Quindi sta per andare alla polizia. O ci è già andato. Penso che ci dovesse andare ieri. Ma… lui è davvero, come dire, terribilmente infuriato e mi ha chiesto di dirti… lo sai. Che non ha chiesto di fare niente e non l’ha pianificato. Non sapeva cosa stesse coprendo assieme al resto della squadra. Appena gli ho detto che tu eri coinvolto…”

Dave smise di guardarlo come se la sua attenzione fosse stata catturata dalla colazione. Era rilassato sulla sua sedia, ascoltando Kurt, fissandolo mentre parlava o come se non capisse nemmeno una parola di quello che stava dicendo o come se non potesse lasciarsi sfuggire una sola singola sillaba.

Kurt sorrise debolmente, perché comunque erano delle buone notizie, no? Ma Dave stava diventando progressivamente più pallido “E…sì. Tutto qui. Mi ha chiesto di dirti che ti parlerà molto presto. Non adesso, credo, ma… presto. Nonostante faccia un uso molto copioso della parola ‘cazzo’, sono disposto a dargli credito.”

Dave fece un debole sorriso.

Dopodiché indietreggiò la sua sedia e mormorò qualcosa sul bagno.

Il suo piatto era rimasto immacolato e Kurt finì per gettare via il cibo, cosa che odiava fare. Ma, nonostante fosse stato silenzioso e strano mentre parlava e Dave si fosse poi allontanato subito dopo, si ritrovò a sorridere mentre finiva di pulire i piatti.


Secondo il detective che fece visita quella notte e che si sedette a parlare con Dave, Kurt e Burt per i dettagli, erano state arrestate cinque persone.

Kurt immediatamente affondò nello shock. Cinque. Cinque di loro.

Anche Dave rimase sorpreso e il detective chiarì che due di loro sapevano tutto, avevano fatto il palo davanti alla porta ed erano stati arrestati esattamente come i tre che avevano preso effettivamente parte all’aggressione.

Tre. Sempre meglio di cinque. Dio.

L’ufficiale di polizia non fece alcun nome. Dave si rifiutò di sapere chi era stato quando gli venne proposto e Kurt non aveva il benché minimo interesse nel scoprirlo. Sapeva che, una volta tornato a scuola, si sarebbe messo alla ricerca di volti familiari improvvisamente mancanti all’appello nelle aule. La catena dei pettegolezzi glielo avrebbe comunicato, che lo volesse o meno. Non sarebbe riuscito ad evitarlo, almeno tentò di farlo fino all’ultimo.

Non voleva dare a quell’aggressione un volto.

Il detective parlò a Burt molto seriamente riguardo all’organizzazione che stavano mettendo a punto con Figgins per mantenere la scuola al sicuro per il ritorno di Dave. Avevano intenzione di far mettere di guardia un agente per qualche tempo, per essere sicuri che non ci potessero essere delle ritorsioni a seguito degli arresti, ma si dicevano convinti che, dopo aver interrogato i sospettati, la cosa non sarebbe andata oltre. C’era uno nel gruppo che era sembrava esserne il capobanda e che una volta allontanato questo, il pericolo sarebbe cessato.

Burt non era rimasto molto convinto e, quando il poliziotto andò via, disse a Kurt e Dave che avrebbe lasciato loro libertà di scelta. Era giovedì, quindi sarebbero rimasti a casa il giorno dopo e avrebbero lasciato scemare le immediate reazioni a scuola.

Kurt aiutò Dave a salire le scale, questi svanì nella sua stanza e non vi uscì più per il resto della serata.


Dave sparì dalla circolazione per gran parte del weekend. Kurt lo vide solo mentre stava andando in bagno e quando lo salutò, Dave fece finta di non sentire.

Probabilmente era normale. Forse la sua discesa per la colazione quella mattina presto, ridendo di Kurt per le sue flebili scuse, forse era stato un errore. Era… era di più di ciò che avrebbe potuto aspettarsi se avesse dovuto indovinare le mosse di una persona che era stata aggredita come successo a Dave.

Ma questo comunque irritava Kurt. Bussò alla sua porta più di una volta, all’ora dei pasti, al mattino, prima di andare a letto. Otteneva risposte brevi e non intendeva forzare Dave, ma ogni volta che si allontanava da quella porta si sentiva sempre peggio.

Non era così stupido da chiedere a Dave di accompagnarlo al centro commerciale per incontrare Mercedes e Tina sabato, ma quando se ne andò non poté fare a meno di sentirsi in colpa, come se lo stesse abbandonando.

Le persone non riescono a decidere se Karofsky sia morto o meno,” riferì Mercedes mentre erano al bancone di Jamba Juice (**). “Specialmente dopo giovedì. C’era il cinquanta percento di possibilità, ma penso che adesso tutti votino ‘morto’ dopo che i poliziotti sono venuti a scuola.”

Avevano portato via i sospettati in manette e Kurt fu tremendamente contento nel sentirlo. Quei bastardi avrebbero finalmente smesso di farsi vedere in giro.

Tornerai a scuola lunedì?”

Kurt annuì quando Mercedes glielo chiese- non aveva ancora le idee ben chiare a riguardo, ma rispose lo stesso alla sua domanda. Dave non sarebbe tornato, non lo riteneva possibile, ma Kurt aveva necessità di farlo. Al ballo scolastico aveva imparato una lezione preziosa riguardante l’affrontare le cose che lo terrorizzavano. Lo aveva imparato grazie a Blaine e a Dave, anche se in modi completamente diversi.

Kurt avrebbe avuto paura nel camminare per le aule del McKinley, alla ricerca di chi non c’era. Avrebbe avuto paura della palestra, dello spogliatoio. Quindi avrebbe camminato per le aule e sarebbe andato in palestra e avrebbe conosciuto i nomi di chi era stato arrestato. Era l’unico modo possibile di poter gestire l’inquietudine.

Se Dave non avesse scelto lo stesso suo modo di agire, Kurt non gli avrebbe dato addosso. Il suo panico senza nome era completamente diverso da quello di Dave. Non c’era niente che non avesse un nome nella sua aggressione e ‘panico’ era probabilmente un pallido eufemismo.

Era strano uscire con le sue amiche al centro commerciale, passare davanti Macy’s, evitare Cinnabon (**) e ascoltarle chiacchierare riguardo la scuola, il Glee Club, le canzoni assegnate e i compiti a casa.

Quando aveva detto che sarebbe tornato lunedì. Mercedes gli sorrise e tirò fuori il suo telefono, componendo immediatamente un numero. “Kurt è dentro”, disse, e un momento dopo abbassò la voce. “Che taglia porti come giacca?”

Scusa?”

Mercedes alzò gli occhi al cielo e scostò il cellulare. “Non ti preoccupare, è fatta su misura comunque.”

Cosa?” Kurt guardò malamente sia lei che Tina.

Tina sorrise innocentemente. “Lunedì capirai. E non ci crederai.”


Note di Traduzione:
(*) Traduzione delle famose parole che dice Kurt nello spogliatoio prima del bacio, "Chubby, sweaty, hamhock", che abbiamo preferito non tradurre come il doppiaggio in italiano.
(**) La Jamba Juice è una catena americana famosa per i frullati, mentre la Cinnabon è una famosa catena di pasticcerie.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Beta Reader: Kurtofsky
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 8 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/8/The_Worst_That_Could_Happen

 


Tina aveva ragione. Kurt non riusciva a crederci.

Il giorno in cui tornò a scuola il nero riempiva i corridoi del Mckinley. Non ovunque, ma c’erano abbastanza ragazzi ad indossare una giacca nera per far risaltare quel colore.

Santana lo raggiunse mentre tentava ancora di capire cose stesse succedendo, porgendo anche a lui un'orribile giacca nera di poliestere. “Tieni, indossala”.

Cosa?”, chiese prendendo la giacca tra le mani per guardarla meglio: era la stessa che indossavano tutti gli altri, ma ad attirare l’attenzione di Kurt fu il logo cucito all’altezza del petto. Era uguale a quello delle giacche rosse che Santana e Dave avevano indossato per pattugliare i corridoi. Ed anche la giacca era simile, solo nera.

Ma credevo che i BullyWhips servissero solo…”

Non esisti solo tu”, sibilò Santana, “non c’entri più in tutto questo. Vuoi restare per sempre uno dei protetti? Oppure vuoi finalmente essere uno dei protettori?”

Kurt la studiò – Santana era nervosa ed irritante anche nei suoi giorni migliori, ma quello sguardo rabbuiato era una novità.

Lei si sistemò la giacca, fissandolo quando si accorse che Kurt non sembrava avere intenzione di indossarla. “Dai, Kurt. Tu più di tutti gli altri dovresti sapere come ci si sente a non essere al sicuro in questa scuola. Questa situazione è più grave di quella che in cui ti trovavi tu, è più grave di un paio di granitate e qualche gomitata”.

Kurt trovò difficile respirare in maniera regolare quando capì il motivo celato dietro quello sguardo. “Tu lo sai”.

So quel che serve. So come funzionano i pettegolezzi in questa scuola. Ho dato il via o partecipato a gran parte di essi. So come trovare la verità”, Santana fece un cenno verso la giacca, “questa è una protesta. Questa scuola è fuori controllo da troppo tempo, e per qualche strano motivo gli adulti sembrano non notarlo, o forse semplicemente non sono interessati. Ed è uno schifo, davvero, ma noi non staremo a guardare. Perciò indossala, perché se non farai parte di questa cosa sarò io stessa a prenderti a calci”.

Kurt prese di nuovo in mano la giacca, guardando con altri occhi il corridoio pieno di ragazzi. “Come hai fatto a coinvolgere così tante persone? L’ultima volta eravate solo tu e Dave a far parte dei BullyWhips”.

Ricatti. Minacce. Ho dovuto addirittura cambiare il colore delle giacche perché il rosso non è un colore abbastanza figo per questa massa di idioti”, scrollò le spalle mentre Kurt si sistemava la giacca sulle spalle, “ovviamente mi ha aiutata il fatto di essere la regina delle stronze, ma devo dare credito anche al mio nuovo partner”.

Chi…”

A dimostrazione di quante casualità accadano al liceo Mckinley, la folla di spostò di colpo, lasciando passare Azimio Adams con la sua giacca nera.

Santana fece un cenno verso di lui mentre passava, e lui ricambiò. I suoi occhi passarono oltre Kurt come se non l’avessero nemmeno visto, e continuò a camminare per il corridoio.

Tu ed Azimio?!”

Si è proposto lui”, disse Santana tornando a guardarlo. “Vuoi davvero che sia sincera con te, Kurt? Non mi importava che tu venissi preso di mira, prima. Wow, omofobia alle superiori, uuh, incredibile. Ma ora? Quegli stronzi hanno fatto casino con il finto fidanzato della persona sbagliata. E quello che hanno fatto… Non è…”

Kurt si sistemò la giacca sulle spalle, e quando tornò a guardare Santana, nei suoi occhi c’era una rabbia che non aveva mai visto.

Aspetta un attimo…”, disse, debolmente, “tu…”

Non psicoanalizzarmi, Hummel. Ognuno ha i proprii problemi, okay? Sì, se buttano quello stronzo di Jason Campbell in galera so esattamente il perché. So cosa fa quando fa del male alle persone. Ma è stato tanto tempo fa, e questo non riguarda me”.

Jason Campbell. Kurt riconobbe il nome e riuscì a ricollegarlo ad un ragazzo, alto, occhi cattivi. Non una star della squadra di football, comunque, un ragazzo che non spiccava tra gli altri.

Un nome scoperto, ancora quattro.

Scosse la testa, spaventato, incapace di allontanare lo sguardo da quegli occhi pieni di rabbia. “Come… Quando…”

Ho detto di non psicoanalizzarmi, Kurt. Tempo fa, e nulla di comparabile a quello che si dice abbia fatto a Dave. Ero troppo ubriaca per oppormi e non abbastanza per dimenticare, ma non riguarda me”.

Kurt non riusciva a capire. Era già difficile accettare che tutto quello fosse successo a Dave, non riusciva a mandar giù che tutto quello fosse successo anche a qualcun altro che conosceva.

Santana guardò lontano, testa alta ed occhi orgogliosi. “Ti chiedo solo di metterti quella stupida giacca”.

Sembra ci sia un funerale qui”, disse una voce dietro Kurt, che lo fece sobbalzare.

Brittany guardava Santana con espressione vaga ma con sguardo triste. “Non mi piacciono i funerali”.

Ma indossava comunque la giacca.

Kurt la lasciò passare, guardandola mentre si sistemava al lato di Santana, prendendola a braccetto.

Santana guardò di nuovo Kurt. “Dave sta davvero a casa tua? Puck ha detto qualcosa in proposito…”

Lui annuì.

Bene. Digli che saremo pronti ad accoglierlo quando vorrà tornare. Nessuno gli dirà nulla, e in caso qualcuno si azzardasse, ci saranno un centinaio di ragazzi in giacca nera pronti a prendere quella persona a pedate per tutti i corridoi”.

Girò i tacchi prima che lui potesse rispondere, portando Brittany via con se, tenendola ancora sottobraccio.

Il pensiero di Kurt si spostò ancora verso la giacca che stava indossando. Nera, stoffa di seconda scelta, luccicante e palesemente fabbricata per qualche economica catena di negozi di sport, con il logo che già si stava scucendo da un lato. Quella era il genere di cosa che non avrebbe mai voluto entrasse in contatto con i suoi vestiti. Ma spostò lo sguardo verso la direzione in cui doveva andare e non vide altro che nero davanti a lui e nero passargli al fianco, e nonostante possedesse un’autentica cravatta di Swarovski di Stefano Ricci, non era mai stato così orgoglioso di indossare un capo di abbigliamento come lo era in quel momento.


Il resto della giornata passò, stranamente, come tutte le altre giornate al Mckinley.

Nessuno gli chiese nulla dopo l’interrogatorio di Santana quella mattina. Vide uno dei volantini di Jacob Ben Israel in una bacheca – Karofsky – Vittima o Carnefice? – e fu tentato di tirarlo via e strapparlo, ma sapeva che sarebbe stato inutile.

Non fu sorpreso, comunque, di vedere che Jacob non indossava la giacca nera.

Sapeva di non riuscire a comprendere molti lati di molte persone, Jacob e la sua personalità erano solo l’ennesimo mistero che non aveva nemmeno voglia di provare a svelare.

Nonostante tutto, la giornata passò tranquillamente, almeno in parte. Ogni volta che vedeva un viso di un giocatore di football, lo cancellava dalla sua lista: il ragazzo biondo, riccio e ben piazzato, cancellato, quello con i capelli rossi a cui sedeva vicino ad inglese, cancellato.

Cercò di non dare molta importanza a chi non c’era, ma non riuscì a fare a meno di notare anche le assenze. Il senior che era impossibile non distinguere alle partite per i suoi lunghi capelli scuri? Sparito. Kowalski, lo studente del secondo anno con i capelli sempre in disordine? Visto da nessuna parte.

Forse era stupido non chiedere direttamente chi erano i responsabile, ma sentire i nomi avrebbe reso il tutto troppo reale.

Non poté fare a meno di notare che nessuno dei giocatori che aveva visto portava la giacca nera, ma vestivano tutti di nero, e si chiese quanto avesse dovuto minacciarli Azimio per fare in modo che ciò accadesse.

Passò davanti all’ufficio della Coach Sylvester per andare alle prove del Glee. Indossava la giacca. Ovviamente stava per far piangere una Cheerios, ma lo faceva indossando una giacca nera.

Perfino Mr. Schue entrò nell’aula di canto indossandone una, riponendola poi sulla sedia, sorridendo quando vide Kurt.

Mi avevano detto che saresti tornato oggi”, disse mentre tutti gli altri entravano in aula e prendevano posto, “Come ti senti?”

Esitò, perché erano stati tutti bravi ad evitargli domande simili e non aveva nessuna risposta pronta.

Ho avuto mesi migliori”, rispose alla fine con un debole sorriso.

Mr. Schue capì che non era il caso di fare altre domande. Ma era lì per lui in caso di bisogno, e Kurt lo sapeva. Gli diede un colpetto sulla spalla e si spostò verso la lavagna prendendo un pennarello e scrisse una parola.

Unità.

Si girò nuovamente verso di loro mentre il chiacchiericcio si spegneva e i ragazzi tornavano a focalizzarsi su di lui.

Qualcuno sa dirmi come mai è questo il tema della settimana?”, chiese, puntando un dito alla lavagna.

Santana rispose immediatamente. “Perché il numero fa la forza. Se vuoi fare qualcosa nel mondo devi avere molta gente dalla tua parte”.

In gran parte è giusto, cos’altro?”

Kurt sapeva dai pettegolezzi di corridoio che la gente sapeva e parlava, nonostante indossassero tutto la stessa giacca. Sapeva che era di dominio pubblico che Dave era stato cacciato da casa e sembrava di dominio pubblico anche il motivo per cui era stato sbattuto fuori. Nessuno lo diceva ad alta voce. Nessuno rideva o lo additava come gay – Santana non aveva davvero scherzato quando aveva detto che aveva spaventato tutti – ma tutti ne parlavano. Avrebbero riservato le battutacce per il dopo scuola, ma ne parlavano così tanto che Kurt sapeva che in qualche modo anche a loro importava.

Ignorando la mano alzata di Rachel Berry, parlò a voce leggermente alta.

Le persone sono così ossessionate dalle cose che le rendono differenti dalle altre, che ignorano le molte altre cose che le rendono simili”.

Bene”, rispose Mr. Schue, tornando alla lavagna e sottolineando la parola Unità con forza.

Probabilmente ci avrete messo tutti cinque minuti al primo anno a capire che le uniche cose che sembrano importare in questa scuola sono quelle che vi rendono differenti dagli altri”.

Amen”, mormorò Mercedes.

Una delle cose che mi rende così orgoglioso di questo club, di tutti voi, è che provenite tutti da così tanti background diversi. Vivete vite così differenti, ma la cosa su cui vi focalizzate qui dentro è quella che avete in comune: la musica. Spero che questa lezione sopravviva fuori da questa stanza”, disse, poggiando il pennarello con un sospiro, “quindi, ci divideremo questa settimana, due gruppi e faremo…”

Mr. Schue”. Rachel si alzò dal suo posto, mettendosi al centro della stanza davanti al resto dei suoi compagni. “Prendendo in considerazione il tema di questa settimana e tutto quello che sta succedendo nei corridoi, vorrei proporre di non dividerci affatto in gruppi. Penso che dovremmo fare una canzone unica, tutti insieme. Magari qualcosa da poter proporre all’assemblea di venerdì”.

Kurt guardò Mercedes alzando un sopracciglio.

Lei gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio. “Un assemblea contro la violenza, un’idea di Figgins”.

Annuì, la cosa non lo sorprendeva, e tornò a concentrarsi su Rachel. Non esisteva un problema su cui Figgins non potesse basare un’assemblea.

Mr. Schue guardò i ragazzi. “Potrei parlarne a Figgins, siete tutti d’accordo?”

Che canzone potremmo cantare tutti insieme?”, chiese Quinn.

Vorrai dire quale canzone canteranno due di noi mentre tutti gli altri resteranno a fare il coretto dietro di loro”, mormorò Mercedes.

Veramente”, rispose Rachel senza perdere un colpo, “ho già pensato anche a questo. Penso che la gran parte delle persone in questa stanza siano a conoscenza dell’inno alla protesta di Marvin Gaye -What’s Going On? – così come le recenti cover fatte da vari artisti musicali. È una canzone veramente profonda e dà la possibilità ad ognuna delle nostre voci di venir ascoltate. E in spirito del momento…”, prese un respiro come se per lei fosse difficile dirlo, “nello spirito del momento, penso che dovremmo fare uno degli arrangiamenti moderni. Perché non c’è un’unica parte da solista, ogni cantante riceve una parte uguale alle altre”.

Cristo santo”. Santana si avvicinò a Brittany proprio dietro a Kurt, “hai i piedi freddi? Perché l’inferno si è ufficialmente ghiacciato”.

Brittany guardò immediatamente i suoi piedi. Dagli altri ragazzi provenivano mormorii di sorpresa, ma più cenni d’assenso.

Sono d’accordo con lei”, esclamò Mercedes, e nessuno era tanto sorpreso quanto lei di quella affermazione.

Rachel sorrise compiaciuta, soddisfatta come sempre quando qualcuno era d’accordo con lei.

Bene, discusso ed approvato”, disse Mr. Schue con un sorriso, “se non ci sono obiezioni…”

Kurt si sistemò sulla sue sedia, mentre le prove si dissolvevano come sempre in chiacchiere, come ogni altro giorno. C’era un portatile acceso sul banco di Finn, che stava già cercando la canzone su youtube, e nel momento in cui la musica iniziò a riempire la stanza, Brittany e Mike si fondarono in mezzo alla stanza, movendo qualche passo di danza pensando ad una possibile coreografia.

Qualcosa non convinceva Kurt. Si accigliò ancora di più mentre guardava il gruppo si riuniva per ascoltare Bono e Christina Aguilera cantare contro l'ingiustizia e per scegliere le parti per ognuno.

Kurt riuscì a resistere solo per un minuto di quella canzone. Si alzò con una spinta e si girò per raccogliere i suoi libri e la sua giacca nera, mentre anche Mercedes iniziava a canticchiare insieme alle voci del video.

Kurt? Dai, devi dermi se somiglio di più a Christina o ad Alicia”, disse la cantante, ma il sorriso svanì mentre si girava verso di lui, “dove stai andando?”.

Kurt scosse la testa mentre raccoglieva le sue cose. “Non posso”.

Kurt?”, la voce di Mr. Shue lo raggiunse dal pianoforte, “Va tutto bene?”

Di nuovo scosse la testa, e di colpo si sentì come quella mattina mentre attraversava le porte degli spogliatoi e non sapeva ancora cosa aspettarsi. “No. Non posso farlo”.

Fare cosa?”.

Ignorò la domanda, ignorò lo sguardo interrogatorio di Mercedes. Rimise la sua sedia a posto e si diresse velocemente verso la porta. Passando dall’aula di canto al corridoio, l’aria gli sembrò diventare meno pesante e poté respirare di nuovo normalmente.

Non si sorprese quando la porta si aprì di nuovo dopo alcuni secondi e sentì un paio di passi pesanti dietro di lui. “Hey, Kurt!”.

Spostò lo sguardo verso Finn, ma si spostò ancora di un paio di passi dall’aula da cui era appena uscito.

Sto bene. Torna pure indietro a provare”

Finn lo raggiunse, le sue gambe lunghe stavano al passo di Kurt molto facilmente.

So di non essere uno dei ragazzi più svegli, ma non sono così stupido. Cosa sta succedendo?”

Nulla. Io non…”, ma Kurt non riuscì ad andare avanti. Guardò indietro verso l’aula dove i ragazzi del Glee stavano ancora provando. “Non posso farlo. Tutto qui. Non è niente di grave, torna alle prove”.

Non puoi fare cosa?”

Kurt lasciò andare un sospiro, ma quando si girò verso Finn, il suo fratellastro ricambiò lo sguardo con aria confusa.

Non posso cantare di questa situazione”, disse dopo un momento in cui aveva cercato di resistere a quell’espressione. “Non posso imparare la canzone e cercare una parte per tutti. Non posso, Finn. È un ricordo ancora troppo vivo. Non posso ancora chiudere gli occhi senza vedere… quello che ho visto quel giorno. Dave è a casa ad affrontare da solo tutto questo, e… non posso presentarmi davanti a lui sapendo che io ho passato un’ora imparando mosse di danza per dimostrare il mio supporto”.

La confusione sparì dal volto di Finn. Continuò a guardarlo con aria incerta.

Penso sia una cosa più generale, non solo riguardante Karofsky, no? Come ha detto Mr. Schue, è un modo per unire le persone invece di…”

Sì, lo so”. Kurt scosse la testa. “Non posso farlo, okay? Credimi, sono un gran supporter del cantare come forma d’espressione e di cooperazione, ma… non esiste una canzone adatta a questo. Questo… quello che è successo a Dave, non può essere un tema per la settimana”.

Cos’aveva detto Dave all’ospedale? Che il canto per Schuester era la soluzione a tutto? Qualcosa di simile, e di solito era una cosa su cui lui e Schue la pensavano allo stesso modo. Cantare una canzone allegra non era sicuramente una risposta, davvero, ma era un aiuto. Era confortante, ogni tanto, e le canzoni davano voce a cose che, gran parte delle persone, non riuscivano ad esprimere per conto loro. Qualche volta potevano far sembrare i problemi più semplici, o mettere tutto nella prospettiva giusta.

Ma non quella volta. Era il tipo di cosa che non poteva venir messa nella prospettiva giusta. Non era quel tipo di cosa che si sarebbe potuta sistemare in quel modo.

Avrebbe potuto cantare per tutto il giorno di problemi d’amore, ma non potevano cantare di schizzi di sangue su di un muro o di un corpo coperto di asciugamani sul pavimento di uno spogliatoio. Anche se la canzone era contro la violenza in generale, era comunque tutto partito da ciò che era successo a Dave.

E se esisteva una canzone che poteva avvicinarsi almeno un po’ a ciò che era successo a Dave, Kurt comunque non la conosceva. Non voleva conoscerla.

Guardò di nuovo Finn con un debole sorriso. “Ascolta, è davvero una buona idea, lo so. Se Figgins vi darà il via libera sarà un bene che tutti gli studenti siano presenti. Ma… non posso farlo. Okay?”

Finn sospirò, ma sorrise e colpì gentilmente Kurt sul braccio. “Dirò a Schue che sei dovuto tornare a casa”

Grazie”. Kurt strinse i libri al petto e si allontanò velocemente da Finn, dall’aula di canto e da un gruppo di persone che non avevano capito nulla di ciò che era successo.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Beta reader: Kurtofsky
Note: Probabilmente per quanto riguarda la pubblicazione pensavamo di aggiornare due volte la settimana nelle settimane in cui Glee è in pausa, mentre solo una in quelle regolari, quasi sicuramente il venerdì.
Grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa storia :)


The Worst That Could Happen
- Capitolo 9 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/9/The_Worst_That_Could_Happen



Suo padre era seduto in salotto quando Kurt arrivò a casa, stava guardando uno di quei reality show su spalaneve o pescatori di granchi o qualcosa del genere. Ma quando Kurt entrò nella stanza e chiuse la porta dietro di sé, Burt prese il telecomando e tolse il volume.

Non ci andava certo per il sottile, quindi Kurt fece scivolare la borsa dalla spalla e si avvicinò al divano. "Hey, papà."

"Come è andata a scuola?" La domanda era molto più seria del solito.

Kurt alzò le spalle. Si tolse la giacca e gliela fece vedere. "Meglio di quanto mi aspettassi, in tutti i sensi."

Burt prese la giacca e inarcò le sopracciglia. "Cos'è questa? Te l'ho comprata io?"

Kurt rise. "Sicuramente te lo saresti ricordato se mi avessi comprato una mostruosità del genere."

Si sedette sul divano, con il ginocchio alzato così da poter guardare in faccia il padre, e gli raccontò dei Bully Whips. Burt era a conoscenza del non-troppo-longevo-club creato da Dave e Santana: fu grazie a quello che Figgins lo convinse a far tornare Kurt al McKinley dopo il suo periodo alla Dalton, e per settimane aveva chiesto a Kurt i dettagli di come stavano andando le cose nei corridoi del McKinley.

Kurt raccontò al padre cosa aveva visto quella mattina, cosa gli aveva detto Santana, cosa aveva fatto per Dave con l'aiuto di molti altri studenti (e Sue Sylvester) e che Kurt non aveva mai pensato potesse succedere qualcosa di simile. Alla fine del suo resoconto della mattinata aveva di nuovo in grembo la 'mostruosità', e continuava a tracciare con le dita il contorno del logo dei Bully Whips con un sorriso incontrollabile in volto.

Burt lo guardò attentamente mentre parlava,  come i giorni post Dalton, e alla fine si rilassò e annuì.

"Devo proprio dirtelo, stavo cominciando a pensare che quella scuola fosse al di là di ogni speranza. Ho lasciato perdere un sacco di cose che non avrei dovuto, ma mettere un ragazzo in ospedale... " scosse la testa. "Ero quasi arrivato al punto di dire che dovremmo farvi studiare a casa a voi ragazzi."

Kurt fece una smorfia all'idea – sia al pensiero di suo padre che si imbatteva nelle sue lezioni di francese e sia al fatto di doversi chiudersi in casa perchè il mondo non era pronto per capire la sua favolosità.

"Sì, allora." Burt ridacchiò all'espressione di Kurt. "Questa è l'ultima occasione, quindi sono contento che le cose finora stiano andando bene."

"Finora," Kurt ammise. "Figgins farà un'assemblea venerdì sulla violenza a scuola o qualcosa del genere, e Mr. Schue vuole farci cantare una canzone."

Suo padre aspettò, mentre il sorriso che aveva sul volto svaniva. "Non ti ispira come idea? Di solito non perdi occasione di stare sotto le luci del palcoscenico."

Kurt alzò le spalle, visto che sicuramente suo padre e Carole ne avrebbero sentito parlare anche da Finn. "Appena troverò una canzone che esprima nel modo giusto che dovremmo piantarla di picchiarci e... molestarci a vicenda, perchè non è per niente una cosa giusta..." Cominciò a sfilacciare il bordo del logo sulla giacca. "Allora tornerò sotto le luci della ribalta."

"Giusto." Burt fece una smorfia, sembrando capire. Lanciò un'occhiata alle scale e aggrottò le ciglia. "Quindi. Il tuo amico non ha proprio una bella cera."

"Dave." Kurt guardò in direzione delle scale. "So che non è la tua persona preferita, papà, ma aiuterebbe se tu non continuassi a chiamarlo 'il tuo amico' o 'quel ragazzo'."

Burt lo guardò, sembrando quasi sorpreso, come se non avesse mai realizzato di non aver mai usato il nome di Dave. "Huh. Sì, immagino di sì. Beh, guarda, Dave ha proprio una brutta cera e non so quanto possiamo aiutarlo nel lasciare che si rinchiuda in camera sua in quel modo. Voglio che scenda a cena con tutti noi."

Kurt annuì, forse troppo entusiasta. "Già, dopo quello che è successo questo week end lo credo anche io. Andrò a parlargli. Voglio dirgli dei Bully Whips e tutto il resto."

Burt lo guardò sollevato. "Bene, fai pure."

Kurt si alzò, piegando con cura la giacca sul braccio e prendendo la borsa.

"Hey."

Esitò, guardando suo padre dietro di sè.

Se c'era una cosa di cui poteva essere fiero di suo padre.... beh, quello era un pensiero assurdo, perchè c'erano migliaia di cose che lo rendevano fiero di essere suo figlio. Ma una cosa che Kurt aveva sempre notato, ed era sempre stato sorpreso da quello che aveva sempre saputo sulla maggior parte degli uomini e sul fatto di esprimere i propri sentimenti, era che suo padre non ha mai perso occasione di dire a Kurt come si sentisse riguardo certe cose.

Era stato sincero sui suoi sentimenti quando Kurt aveva fatto coming out. Era sempre stato aperto da quel momento, per le cose belle e quelle brutte. Non si faceva problemi a parlare con lui sia quando le cose andavano bene, sia quando queste erano al di fuori dalla sua portata.

Non era perfetto, anche se gli è sempre stato più vicino di molti altri padri di cui aveva sentito parlare. Era ancora un po' imbarazzato riguardo certe cose. Era ancora nervoso per un sacco di cose che riguardavano Blaine, o gli appuntamenti o le cose che fanno due ragazzi insieme. Ma continuava a starlo a sentire senza farsi problemi.

In quel momento alzò lo sguardo verso Kurt da sotto il suo vissuto cappellino da baseball, con il telecomando in mano così da poter tornare a guardare ragazzi che pescavano granchi o che abbattevano alberi o comunque qualcosa rimpinzato di testosterone. Gli sorrise quando incontrò gli occhi di Kurt e gli parlò apertamente.

"Sono veramente orgoglioso di te figliolo. Voglio dire, diavolo, lo sono sempre. Ma questa cosa, il modo in cui te ne occupi e il tuo esserci per questo... per Dave. Devo ammetterlo, a volte vorrei che la tua vita non fosse così piena di così tante follie. Ma tu non ne sei spaventato come a volte invece lo sono io, e … se sto facendo la cosa giusta per questo ragazzo, è solo perchè voglio essere all'altezza delle tue aspettative."

Kurt trattenne il fiato, mentre sentiva il petto riscaldarsi e la tensione dovuta alle prove del glee scivolare via come se non ci fosse mai stata.

Burt alzò le spalle, sembrando quasi imbarazzato. "Solo...sai, a volte senti dire un sacco di spazzatura su quanto un ragazzo gay sia meno uomo di uno etero, e se avessi mai pensato fosse vero mi hai insegnato che non è così. Sei già un uomo più maturo e cresciuto della maggior parte degli uomini adulti, e io diventerò una persona migliore solo per tenere il passo con te."

"Se continui a dire queste cose," disse Kurt, sbattendo le palpebre e avvertendo un caldo pizzicore attorno agli occhi, "Comincerò a piangere per tutta casa e rovinerò tutti i tuoi buoni propositi sulla mia virilità."

Burt ridacchiò, voltandosi di nuovo verso la TV. "Vai di sopra allora, vai a parlare al tuo...Dave. Fammi sapere se hai bisogno di aiuto per convincerlo a scendere a cena."

Si sentì combattuto tra andare di sopra come gli aveva detto suo padre o lasciar cadere per terra tutta la roba che aveva in mano e abbracciarlo così forte da non farlo respirare. Alla fine decise di rimettersi la borsa sulla spalla e di salire, consapevole che suo padre non aveva bisogno di un abbraccio per sapere quanto volessero dire quelle parole per Kurt.

Appoggiò la borsa sulla scrivania nella sua stanza e si guardò allo specchio. Si stropicciò gli occhi e si asciugò via dei residui umidi sotto gli occhi e sorrise al proprio riflesso.

Poi prese la giacca e attraversò il corridoio in direzione della stanza degli ospiti.


Non ci fu risposta quando bussò, ma fu paziente. Bussò ancora, ascoltando il suono che proveniva dal piano di sotto di un uomo che gridava qualcosa riguardo delle corde, gabbie o qualcosa di simile. Riconobbe quanto erano mascoline quelle voci perchè ogni due parole c'era un beep che censurava qualche parolaccia.

"Dave?" chiamò dopo un minuto, quando ci non fu ancora nessuna risposta né il suono di un movimento da dietro la porta.

Silenzio, e un improvviso tormento nervoso gli prese lo stomaco. Kurt bussò, ma non aspettò la risposta questa volta. "Hey, Dave? Sto entrando, okay?"

Nessun rifiuto – nessun suono – quindi Kurt girò il pomello e aprì lentamente la porta.

La camera era buia, le luci erano spente e le tapparelle alla piccola finestra sono chiuse. Il sole si intrufolava attraverso i buchini della tapparella, non era proprio buio pesto o qualcosa del genere, ma i suoi occhi ci misero un po' ad abituarsi a quella luce soffusa.

In primo luogo guardò il letto, presumendo che Dave stesse dormendo, ma era vuoto.

Sentì lo stomaco scombussolarsi, e cercò di pensare all'ultima volta che aveva parlato con Dave. Quella mattina? La sera prima? Dave non si era sforzato a parlare molto attraverso la porta, ma quando era stata l'ultima volta che lo aveva fatto?

I suoi occhi si spostarono nella stanza, ed era già pronto a volare giù dalle scale per andare a cercare Dave con suo padre.

Era seduto sul pavimento, incastrato tra i piedi del letto e il muro. Aveva le gambe tirate su e le braccia intorno la testa fasciata. In una mano teneva il cellulare, stringendolo forte. Non sembrava essersi accorto della presenza di Kurt, stava seduto là, raccolto su se stesso, tremando.

Kurt gli fu vicino in un lampo, la giacca dimenticata sul pavimento da qualche parte dietro di lui. Fu in ginocchio ancora prima di realizzare che si stava muovendo.

"Dave?" Si allungò verso di lui, ma le sue dita erano come quelle di un fantasma vicino al braccio di Dave. Non sapeva se poteva toccarlo. "Dave, cosa c'è? Cos'hai?"

Nessuna risposta, niente di niente. Solo dei respiri tremanti.

Kurt trattenne il fiato e lasciò che le sue dita si avvicinassero, sfiorandogli il braccio. "Dave?"

Dave si mosse subito, alzò la testa come se non avesse idea che Kurt fosse lì con lui. I suoi occhi erano agitati, quasi terrorizzati.

Ci volle solo un momento perchè riconoscesse Kurt e sembrò realizzare dove si trovasse, ma quel momento fu abbastanza per Kurt per arretrare, per fargli ricordare lo spogliatoio, gli stessi occhi agitati e lo stesso respiro affaticato.

Kurt ricadde suoi talloni, con le mani in avanti e i palmi alzati. Indifeso. "Va tutto bene, sono io!"

Dave lo fissò, prendendo un respiro indeciso. Tirò giù le braccia e notò il cellulare che stava tenendo in mano, lo guardò come se stesse quasi per mangiarlo. Lasciò cadere la testa indietro contro il muro e cominciò a respirare in modo irregolare.

"Cosa? Cosa c'è?" Kurt chiese sporgendosi in avanti di nuovo, sebbene non allungandosi ulteriormente. "Puoi dirmi cosa è successo?"

Dave scosse la testa, gli occhi chiusi. Inspirò ed espirò, cercando di calmarsi in qualche modo. All'improvviso, prima che Kurt potesse chiederglielo di nuovo, aprì gli occhi e lanciò il cellulare che aveva stretto nel pugno dall'altro lato della stanza, facendolo sbattere contro la parete e facendolo finire sul tappeto con un rumore sordo.

Kurt spalancò gli occhi, ma non si mosse. "Okay...Dave. Mi stai spaventando, cosa c'è?"

Dave scosse la testa, guardando Kurt di rimando come se fosse...imbarazzato.  In qualche modo, cercando di non essere imbarazzato, provava a chiedergli qualcosa, solo che non sapeva se Kurt sarebbe stato d'accordo.

Kurt di solito era un ragazzo con un buon istinto, ma Dave Karofsky era sempre stato abbastanza misterioso per lui. Non aveva mai avuto sospetti sull'omosessualità di Dave fino al bacio negli spogliatoi, e aveva finito per fuggire dal McKinley perchè non aveva idea di come interpretare le azioni di Dave dopo quel bacio tranne come un tentativo di terrorizzarlo a morte.

Dave era difficile da leggere nei suoi giorni migliori. E quelli appena passati non erano i giorni migliori.

Kurt si domandò, guardando il pugno di Dave stringersi e il suo corpo premuto aderente al muro come se fosse legato a qualche cosa. Si domandò se potesse capirlo.

Si allungò verso di lui, terrorizzato dal fatto di poter fare un altro errore, e gli toccò il braccio. “Va tutto bene. Sono qui, ti puoi fidare..."

Non riuscì a finire la frase che Dave collassò sopra di lui.

Kurt deglutì, grato del fatto di aver avuto ragione, e cinse la schiena di Dave con le braccia. Riusciva a sentire i brividi di Dave sulla propria pelle, il modo in cui i muscoli erano abbastanza tirati da spezzarsi, il modo in cui il suo respiro diventava sempre più pesante. Dave lasciò cadere la fronte sulla spalla di Kurt.

Non pianse, cosa che Kurt invece si aspettava. Si appoggiò solo, respirando così a fatica che Kurt sentì un dolore nel petto a quel suono.

Kurt gli accarezzò la schiena, su e giù, cercando di pensare a tutte le cose che faceva suo padre con lui quando era di cattivo umore. Non aveva idea di cosa stesse realmente succedendo, ma non aveva bisogno di sapere per capire cosa doveva fare. Lentamente appoggiò la guancia ai capelli di Dave, e anche se era una cosa piuttosto intima, Dave non sembrò accorgersene.

Non fu sicuro di quanto tempo rimasero in quella posizione, sicuramente fino a quando il respiro di Dave non si calmò, tornò ad essere equilibrato, e le gambe di Kurt non cominciarono ad avere dei crampi per quella strana posizione.

Poi Dave parlò senza muoversi, e i crampi alle gambe passarono in secondo piano. "Mi hanno telefonato," disse con voce roca. "Dall'ospedale."

Kurt resistette all'impulso di ritrarsi e studiare la sua faccia per ottenere qualche indizio su cosa gli stava per dire. "Cattive notizie?" chiese dolcemente.

"No. E' per quella... quella cazzo di cosa." Dave sbuffò, e sembrava quasi una brutta impressione di una risata. "Mi hanno fatto questi test quando sono arrivato là, e..."

Kurt esitò, guardando in basso ai capelli di Dave. "Stai parlando del Kit (*) di cui mi hai parlato?"

"No. Voglio dire, sì, ma loro hanno anche..." Fece un respiro profondo, ma ancora non lo lasciò andare. La sua testa rimase appoggiata alla spalla magra di Kurt. "Fatto dei test, per... malattie. O quella roba lì."

Kurt capì. Si sentì gelare il sangue e non credette di non averci pensato prima. "Oh, Dio."

Dave sbuffò di nuovo. "No. Loro.. loro hanno detto che sto bene. E' per quello che hanno chiamato. I risultati erano a posto. Devo tornarci tra un paio di mesi. Credo che a volte alcune... alcune cose ci mettono un po' a venire fuori."

Kurt sospirò profondamente, mentre la sua guancia tornava ad appoggiarsi ai capelli di Dave. E se strinse ancora di più le braccia attorno a lui, fu qualcosa che entrambi capirono. "Oh. Okay...bene. Va bene." Chiuse gli occhi, dicendosi di rilassarsi. Di nuovo.

Erano stancanti, quei momenti di panico e sollievo, panico e sollievo.

Aprì di nuovo gli occhi, perchè Dave stava ancora tremando contro di lui. "Non sei incinto, vero?"

Era una battuta rozza, probabilmente di cattivo gusto, ma dopo un secondo Dave fece un suono che assomigliava molto vagamente ad una risata. "Cristo, Fancy."

"Cosa c'è?" Kurt chiese in risposta. "Sei...preoccupato per...?"

"No. Non...Non me ne frega un cazzo. Solo che...cazzo, suona così stupido pure nella mia mente."

"Non mi interessa, dillo."

Dave fece un sospiro, e poi un altro ancora, e infine si tirò indietro.

La sua faccia era pallida, e per la prima volta Kurt realizzò che brutta cera avesse. Il viso era scialbo, i capelli disordinati. Aveva gli occhi rossi, e la pelle subito sotto gli occhi così scura che sembrava avesse ancora dei lividi.

Kurt gli si avvicinò istantaneamente, spazzolandogli indietro alcune ciocche di capelli scuri. "Non hai dormito da quando sei arrivato qui?"

Dave alzò le spalle. Lasciò che la testa si appoggiasse al muro, i suoi occhi si muovessero da Kurt a un posto indefinito nel mezzo della stanza. "Ho fatto dei sogni del cazzo la prima notte. Da allora..." Alzò di nuovo le spalle in modo più marcato.

Kurt aggrottò le ciglia, ma colse l'opportunità di cambiare posizione, per piegare meglio una gamba sotto di se e sedersi un po' meno goffamente. "A quello ci penseremo dopo. Adesso...cosa è successo dopo la telefonata?"

"Te l'ho detto, è una cosa stupida."

Kurt si diede un colpo sul braccio prima di potersi fermare. "E io ti ho detto che non mi interessa. Parla."

Gli occhi di Dave tornarono su di lui quasi riluttanti. Per un momento sembrava quasi volesse sorridere, ma quel momento passò. "La tipa, l'infermiera, stava parlando del mio prossimo appuntamento. Ha detto qualcosa del tipo..." Fece roteare gli occhi, ma la sua voce diventava sempre più ruvida mentre parlava. "Riguardo a quanto tempo ci vuole perché alcune STD possano vedersi nelle analisi. Voglio dire, l'ha proprio detto... ha detto 'malattie a trasmissione sessuale', e io ho pensato... ho quasi detto, ma che diavolo? Sai? Non sono mai andato a letto con... con nessuno."

Kurt chiuse gli occhi per un momento, deglutendo.

"L'ho quasi detto, qualcosa del tipo. 'Ma signora, cosa cazzo sta dicendo? Non ho mai fatto sesso, perchè mi volete fare gli esami per.." Dave si portò le mani sul volto, i palmi appoggiati alle tempie. "E ci sono rimasto. Credo di aver fatto sesso."

"Dave." Kurt aprì gli occhi e gli si avvicinò, facendogli abbassare un braccio. "Hey." Afferrò la mano di Dave con entrambe le sue, sentendo il suo tremare sulle proprie dita. “Sai che non è così, vero? Non era sesso. Non è neanche lontanamente paragonabile... "

Dave scosse la testa, strofinandosi gli occhi con la mano libera come se fosse arrabbiato. "Certo che lo era. Quello era il... il fottuto punto. Hanno detto che avrebbero tirato fuori il frocio in me. Hanno detto che quando avrei saputo cosa voleva dire avere un cazzo nel culo avrei smesso di essere una checca e avrei cominciato a scopare per davvero.”

La presa di Kurt si fece più debole intorno alla mano di Dave. Si sentì il cuore in gola.

"Hanno detto che mi stavano facendo un fottuto favore. Li avrei ringraziati più tardi, quando sarei... sarei guarito. Cazzo!" Spinse la testa indietro contro la parete, così forte che si fece sicuramente male. "Cazzo, perchè non posso...è successo, perchè non posso affrontarlo? Ogni cazzo di ora mi sembra di realizzarlo di nuovo per la prima volta." Dave si asciugò di nuovo gli occhi, i suoi movimenti erano a scatti e nervosi.

"Dave." La voce di Kurt era minuta. Avrebbe voluto essere calmo, forte, sicuro e sicuro di sé, ma la sua voce aveva deciso di non cooperare. "E' stato una settimana fa. E' stato ieri. Nessuno si aspetta... nessuno riesce ad affrontare una cosa del genere in così poco tempo ."

Dave scosse la testa, ma non ribattè.

"Ascoltami." Kurt si chinò su di lui, afferrando forte la mano di Dave. "Io non ho neanche cominciato ad affrontare questa cosa, e non è nemmeno successa a me!"

Vide subito che quelle parole non lo aiutarono. Dave aprì gli occhi e si soffermò a guardare il viso di Kurt, e il dolore crebbe ancora di più. "Cazzo, Fancy. Non avrei dovuto... Tu non avresti dovuto..."

"No. Non provarci neanche." La voce di Kurt si fece più decisa. "Non comincerai a fare il martire. Hai così tante altre cose da affrontare, non devi biasimarti perchè io sono coinvolto." Fece scivolare le dita in mezzo a quelle di Dave e chiuse la sua mano in una stretta morsa. "Se tu dovessi andare incontro a tutto ciò da solo perchè io non sarei qui... capisci quanto peggio sarebbe? Per me?"

"Tu non mi devi niente, Kurt," Rispose Dave, il suo tono di voce era basso. Forse l'esaurimento stava cominciando a farsi sentire, forse era solo stanco di essere continuamente così di cattivo umore. "Tu avresti dovuto solo... aver sentito la notizia come tutti gli altri. Magari ti saresti sentito triste per me, ma...Cristo."

"Non mi interessa cosa sarebbe dovuto succedere. E sono onesto, Dave – se avessi la possibilità di tornare a una settimana fa e non essere coinvolto, non ne approfitterei. Se potessi fare in modo che tutto ciò non fosse mai successo ne approfitterei all'istante, ma visto che non posso... Sono proprio dove voglio essere. Okay?"

"Perchè?" Chiese Dave, un suono gracchiante che difficilmente assomiglia ad una parola .

Kurt esitò, e quando Dave lo guardò con quei brillanti occhi nocciola, seppe che la risposta era importante.

Doveva rispondere nel modo giusto, e doveva essere onesto. Lui e Dave, la loro storia insieme, doveva avere qualcosa a che fare con quella risposta. Non avrebbe potuto mormorare qualche banalità sul fatto di essere amico di Dave, perchè loro non erano amici prima di questo. Non avrebbe potuto neanche dire qualcosa di insipido sul nessuno si merita di soffrire da solo, perchè anche quello non era giusto.

Nessuno si meritava di soffrire in solitudine, ma Dave non era sul pavimento della camera degli ospiti di Kurt per una strana richiesta di adozione. Non era niente di così generico. Dave era lì perchè era Dave, perchè le cose che erano successe tra di loro avevano significato qualcosa.

Sì lasciò scappare un sospiro e si guardò in basso le mani, realizzando per la prima volta che stava stringendo la grande e graffiata mano di Dave tra le sue. Esitò, deglutendo per cercare di dare sollievo alla gola secca, incapace di non notare quanto fosse più grande la mano di Dave tra le sue magre e pallide dita.

"So di avertelo già detto all'ospedale," disse lentamente, cercando di trasformare le sue ragioni in parole, "Ma ti ho perdonato per quello che è successo tra noi due un po' di tempo fa, e posso dirti esattamente quando."

Dave lo studiò, quasi incapace di respirare mentre lo ascoltava.

Kurt lasciò il pollice vagare lungo una cicatrice sbiadita che stava ancora guarendo sulla nocca dell'indice di Dave. "Ti ricordi quando eravamo nell'ufficio di Figgins, quando stava dicendo a me e a mio padre dei Bully Whips e cercava di farmi tornare a scuola?"

Dave fece un cenno con la testa, breve e distinto.

"Ero seduto lì che ascoltavo tuo padre – e pensavo ancora che fosse un essere umano – che raccontava che ragazzo grandioso tu fossi. Un giovane scout." Sorrise timidamente.

Dave sembrava volesse provare a sorridergli di rimando, ma i suoi occhi rimasero rapiti sul volto di Kurt e ciò che uscì non fu nulla di più di una smorfia.

"Ascoltandolo realizzai che... quando disse che non sapeva perchè avevi iniziato a infastidirmi, ovviamente, realizzai che non sapeva nulla di te. Ma... so per certo che non ci si ritrova gay da un giorno all'altro. Quindi dovevi ancora essere... quello che eri quando eri un boy scout e non avevi ancora idea di essere gay.  Qualunque cosa fosse cambiata, i tuoi voti e il tuo bullismo e tutto il resto, non eri tu che diventavi un'altra persona. Eri tu che attaccavi gli altri, perchè nessuno vedeva la persona che sei stato per la tua intera vita."

Sorrise debolmente. "Forse può sembrare compassione, ma... mi ha reso triste, Dave. Anche prima che venissi allo scoperto, tutti sapevano esattamente chi fossi. A volte mi sono sentito molto solo. È capitato molte volte, perchè nessuno intorno a me riusciva a capire i miei problemi, perchè loro non erano come me. Ma non sono mai stato realmente solo. Non ci sono mai stati problemi dei quali non abbia potuto parlare con mio padre o i miei amici. E quando penso a come sarebbe fare coming out, realizzare chi sono e quanto sono diverso... quando penso ad affrontare una cosa del genere senza il supporto di mio padre o la comprensione dei miei amici..." 

Scosse la testa, guardando di nuovo in basso alle loro mani. Strinse gentilmente quella di Dave. "Ho visto che tu ti sentivi solo ed eri solo, in un modo in cui io non sono mai stato. E ti ho perdonato per qualunque cosa tu mi abbia fatto, perchè non posso capire come ci si sente, ma dubito che l'avrei affrontato in modo migliore."

Spostò lo sguardo sul viso di Dave, studiandolo, cercando di vedere cosa ci fosse dietro al barlume dei suoi occhi. "Tu sei me. Tu sei quello che sarei potuto essere io se non fossi stato così fortunato. Tutto quello che ti è capitato, anche quello che ti è successo la settimana scorsa, sarebbe potuto succedere a me. Non ti lascerò affrontare i postumi di tutto ciò senza aiutarti. Non posso più lasciare che tu sia solo. Forse... forse non è una buona ragione, ma..."

Dave alzò subito le spalle, strizzando gli occhi e asciugandosi l'umido che gli era rimasto in faccia. "E' buona abbastanza," disse calmo. "Fa schifo vedere che sono passato dal... terrorizzarti al essere diventato qualche tipo di... fottuto impegno. Ma..."

Kurt si raddrizzò, afferrando ancora più saldamente la mano di Dave. "Okay, piantala. Ti sto aprendo il cuore qui, non sei autorizzato a semplificarlo chiamandoti un impegno. Sono qui perchè voglio, non perchèdevo. Okay, non eravamo neanche amici o qualcosa di simile. Ma perchè non possiamo esserlo adesso? Forse non è il momento più sano per far crescere un'amicizia, ma mi piaci. Mi piace il lato di te che ho visto da quando ho lasciato la Dalton. E abbiamo delle cose in comune, cose che non tutti riescono a capire. Hai avuto bisogno che qualcuno ti stesse vicino per anni, Dave, ma non c'era. Quindi lascia che ci sia io per te adesso."

"Tu non hai idea di quanto mi senta fottuto in questo momento, Fancy," rispose, e subitò si mise a fissare le loro mani, cose se si fosse appena accorto di quanto le stesse stringendo forte Kurt. "Questa telefonata, questa merda... è solo, c'è troppo..." Si arrese con un sospiro. "Sono un fottutissimo e gigantesco impiastro che è stato seduto sul pavimento così a lungo da non sentirsi più il culo. Tu sei davvero pazzo se stai davvero pensando 'sì dai, lasciamene un po' anche a me. Ne voglio un po' anche io nella mia vita.'"

"Zitto." Kurt si lasciò sorridere un poco, anche perchè il dolore presente negli occhi di Dave aveva iniziato a diminuire. "Sono un vistoso ragazzo gay incline al melodramma. Se tu fossi meno complicato mi annoieresti."

Dave sorrise, fragile, ma annuì dopo qualche minuto. "Se tu sei davvero così stupido da volere che diventiamo amici, allora..." Alzò le spalle, ma il suo sorriso, per quanto possa essere debole, è sincero. "Ci sto."

"Davvero?" Kurt sogghignò.

"Solidarietà, giusto?" Dave alzò il braccio, con il pugno alzato. "Vai Team Arcobaleno."

Kurt rise, forse in modo troppo aperto, ma non importava. Quando si alzò in piedi e tirò quella mano che non aveva lasciato andare neanche per un attimo da quando l'aveva afferrata, Dave sbuffò e si alzò anche lui. Kurt lo lasciò andare, sorridendo, e cercò di non notare che le sue mani erano strane e vuote senza quella di Dave tra le sue.

Non aveva risolto nessuno dei problemi di Dave. Non era proprio nella posizione di dargli consigli riguardo a quanto stava andando incontro, e non aveva idea di come fare in modo che le cose tornassero nel verso giusto. Ma Dave aveva un amico in più questa volta, e forse alla fine ne sarebbe  valsa la pena.


Kurt stava quasi per scendere al piano di sotto a dire a suo padre che avrebbero dovuto aspettare un altro giorno prima di forzarlo a scendere per cena con l'intera famiglia, ma quando bussò alla porta di Dave per dirgli che era pronta la cena se voleva scendere, Dave aprì la porta e uscì, strabuzzando gli occhi come una marmotta appena uscita dal letargo.

Aveva ancora un aspetto orribile, pallido, esausto e insicuro. Ma uscì, e lasciò che Kurt lo aiutasse a scendere le scale, sembrava un po' terrorizzato dalla cucina e dalle voci che uscivano. Sempre meglio però di come stava quel mattino

Kurt doveva solo fare in modo che durasse.

Quando entrarono in cucina Finn era già seduto al tavolo, le lunghe gambe allungate di fronte a sè. Stava parlando con Carole mentre lei si muoveva intorno al tavolo della cucina per finire di apparecchiare, e Burt era vicino al frigo a versare del liquido scuro nei bicchieri. The, suppose Kurt. Suo padre ormai beveva solo the da quando Kurt gli aveva proibito la soda.

Lo sguardo di Finn si spostò sulla porta quando entrarono, alzando le sopracciglia. Si mise seduto composto, il sorriso sul suo volto svaniva. Qualunque cosa stesse dicendo sull'assemblea di Figgins morì sulle sue labbra.

Carole, che dio la benedica, ebbe più buon senso del figlio. Gli lanciò un'occhiata e sorrise a Kurt e Dave come se non ci fosse nulla di strano nella loro presenza. "Sedetevi ragazzi. Spero che il salmone vada bene a tutti, perchè altrimenti... potete imparare a cucinare per conto vostro."

Kurt sorrise e spinse Dave verso il tavolo. "Carole è la mia più grande alleata nel mio piano per fare in modo che papà mangi come un uomo adulto," informò Dave, lanciando un sorriso al padre. "Ci lascia mangiare tutto quello che vogliamo a cena, tranne il venerdì, ma di solito io mangio quello che mangia papà. Pressioni sociali e tutta quella roba."

Dave non rispose, ma sembrava non gli dispiacessero le chiacchiere. Si sedette di fianco a Kurt, dal lato opposto rispetto a Finn, e il suo sguardo di spostò insicuro su Finn.

Finn non era di certo rilassato come quando erano entrati in cucina pochi momenti prima, ma fece un cenno a Dave, che ricambiò.

Kurt fece roteare gli occhi, ma per quanto potessero essere stupidi i cenni da 'comebutta' tra i ragazzi, era pur sempre un buon segno. (**)

Carole fece il giro e gli mise i piatti davanti. Si sporse tra Kurt e Dave, e sebbene non stesse guardando Dave direttamente, stava sicuramente parlando con lui. "Se non lo finisci diventerà il pranzo di Burt di domani, quindi va bene se non te la senti di pulire il piatto."

Kurt si immerse nel suo salmone con riso e verdure con gusto, mentre il nervosismo riguardo la cena svaniva lentamente. Avrebbe dovuto conoscerli abbastanza da non preoccuparsi – Finn poteva anche essere inopportuno un giorno sì e l'altro anche, ma sua madre era...beh, una mamma.

La conversazione continuò normalmente come se fosse una cena normale. Nessuno spinse Dave a parlare, come se ci fosse uno sforzo convenuto per tenere l'umore leggero e non concentrare tutta l'attenzione sul loro ospite. Uno sforzo troppo convenuto per essere una coincidenza, ma ciò fece Kurt amare ancora di più quel gruppo di persone intorno a lui per come si sforzassero per rendere le cose il più semplice possibile per Dave.

Dave stava seduto in silenzio. A volte si guardava intorno mentre parlavano, a volte studiava il cibo che aveva nel piatto come se volesse comunicare con lui. Ne mangiò alcuni bocconi. Non erano neanche lontanamente abbastanza, e il buon umore di Kurt svanì quando realizzò che lasciando Dave chiudersi in camera a quella maniera, non aveva idea di quanto avesse mangiato i giorni scorsi. Carole gli aveva portato del cibo e gliel'aveva lasciato fuori dalla porta, ma non aveva controllato quanto ne avesse mangiato sul serio.

Dave era un diciassettenne di circa 90 chili di muscoli, e qualcuno così aveva bisogno di mangiare. Forse aveva quell'aspetto così esausto perchè stava perdendo peso, perchè stava completamente negando se stesso.

Sembrava qualcosa di ovvio, ma fu qualcosa che indebolì l'umore di Kurt. Suo padre, per fortuna, pensava a cose che di cui Kurt non sembrava accorgersi. Burt sapeva che un paio di giorni chiuso nella sua camera erano più che abbastanza.

A volte Kurt pensava che la sua intera visione del mondo era stata distorta in maniera inequivocabile in quell'ultima settimana. Quando pensava a quei piccoli dettagli che aveva scoperto riguardo a quello che era successo a Dave – e ci avrebbe pensato, ne era sicuro, probabilmente sarebbe stato qualcosa che lo avrebbe tenuto sveglio quella notte – lo faceva riflettere sul fatto che ci fosse un intero aspetto delle persone, o del genere umano o qualcosa di simile, che non aveva mai visto prima.

Pensò ad un gruppo di ragazzi che mettevano in un angolo un loro amico, un loro compagno di squadra... facendogli sbattere la testa contro il muro, minacciandolo di far uscire il gay in lui e poi...poi vedere davvero le loro minacce attraverso...

Ci pensò e realizzò che non sapeva proprio un bel nulla della gente. Ed era una cosa assurda, perchè lui aveva visto il lato beffardo e crudele della gente per tutta la sua vita. Ma quando pensava che le persone potevano farsi del male tra di loro nel modo in cui in Dave era stato ferito, all'inizio non riuscì a capirli. Appartenevano ad una specie aliena, i ragazzi che avevano attaccato Dave.

Aveva bisogno di questo, della cena a casa, di suo padre e Carole, e anche di Finn, che era imbarazzante ma cercava di fare del suo meglio. Aveva bisogno di questo per ricordarsi che le persone che avevano attaccato Dave non erano normali. Non sono tutti. Erano il lato peggiore delle persone, la versione più orribile possibile degli esseri umani.

Burt, Carole, Finn, erano la versione migliore. Erano compassionevoli, altruisti e si amavano tra di loro, e ovviamente tenevano a Dave, sebbene avessero tutte le ragioni del mondo per odiarlo.

Le persone migliori e le persone peggiori, tutte in un giorno solo. Era sconcertante, e non aiutò Kurt ad arrivare ad alcun tipo di epifania.

Tutto ciò che riuscì a capire era che c'erano delle persone orribili come Jason Campbell e i suoi amici, e c'erano persone meravigliose come suo padre e Carole. E praticamente tutti gli altri nel mondo si trovavano da qualche parte in mezzo. 


Note di Traduzione:
(*) si tratta dell' evidence kit, una serie di test che fanno quando si pensa possa essere avvenuto uno stupro.
(**) 'comebutta' è la traduzione letterale del termine 'wassup', slang di what's up.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Beta Reader: Kurtofsky
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 10 -



Se non altro Kurt era determinato a non lasciare mai più Dave da solo.

L’aveva lasciato a se stesso per un paio di giorni e questo sembrava aver causato più danni che altro, quindi era ora di darci un taglio.

Aveva iniziato ad andare di nuovo a scuola, e questo significava che Dave aveva ben otto ore per starsene per conto suo. Ma oltre a quelle… non si sarebbe più limitato a bussare alla porta e a sussurrargli la buonanotte ed il buongiorno senza aspettarsi una risposta. Non l’avrebbe più lasciato solo.

Kurt si era assegnato da solo il ruolo di guardiano di Dave, e sarebbe diventato bravissimo a prendersi cura di lui: doveva solo farci la mano. Degli stupidi errori di percorso non l’avrebbero fermato.

Nonostante quella decisione, non disse una parola quando Dave si alzò per tornare nella sua stanza: aveva una chiamata da fare, e la cena era già stata un grande passo avanti.

”Non sarai felice di sapere ciò che sto per dirti”, annunciò al telefono non appena Blaine rispose. Chiuse la porta della sua stanza e si mise alla scrivania.

Okaaaay”, rispose lentamente Blaine, ma con un’ombra di sorriso nella voce, “farai bene a raccontarmi tutto subito, qualsiasi cosa sia”.

”Si tratta di Dave”. Kurt appoggiò il cellulare alla spalla, liberando entrambe le mani per digitare la password sul suo computer.

Karofsky?”, e Blaine non sembrava più tanto divertito.

”Ricordi quando ti ho detto che era stato ferito?”

Kurt non aveva fatto nulla di normale negli ultimi giorni, quindi quando aprì facebook si rese immediatamente conto di non sapere cose stesse succedendo nel mondo. “Dicevo la verità. È veramente… veramente ferito. E non è qualcosa che si è auto-inflitto per attirare l’attenzione o manipolare qualcuno”.

Ti crederò sulla parola, ma sto ancora aspettando di sapere come mai tra poco sarò arrabbiato con te”.

“È qui. A casa mia. È qui per rimanere”.

C’era silenzio dall’altra parte del telefono.

Kurt osservò pigramente la home del suo profilo, trovando le solite cose, le solite chiacchierate tra i membri del Glee. Mercedes e Tina avevano comprato delle scarpe (e Kurt cliccò ‘mi piace’), uno dei padri di Rachel si era storto una caviglia (notò il ‘mi piace’ di Puck, che gli ricordò che l’amico, a volte, era proprio un idiota).

Vide il nome di Santana, ma la sua foto profilo non era più la solita. Si avvicinò allo schermo e strizzò gli occhi, sorridendo quando si accorse che la foto era il logo dei BullyWhips. Cliccò sull’immagine per controllare che nessuno avesse scritto qualcosa al riguardo. Santana aveva taggato il liceo Mckinley ma nessuno studente in particolare, ed il suo commento era “Tutti meritiamo di essere al sicuro. E se non parteciperete alla protesta ve la vedrete con me”.

Nessun altro aveva commentato. Probabilmente erano tutti troppo spaventati. Ma Azimio ed un altro centinaio di persone avevano cliccato ‘mi piace’, e Kurt decise di fare lo stesso.

Si accorse solo allora del silenzio prolungato che proveniva dal suo telefono. Sospirò e lo prese di nuovo in mano. “Blaine?”

Come se stesse solo aspettando un incoraggiamento, Blaine iniziò subito a parlare.

Non posso credere che tuo padre permetta tutto con questo. E pure Finn è d’accordo? Dio, Kurt, sono il primo ad offrire una mano a chi ne ha bisogno, ma il tuo istinto di sopravvivenza è proprio fuori uso, eh?”

Kurt sospirò ancora allontanandosi dallo schermo. Stava guardando il suo profilo facebook per tenersi in qualche modo occupato, ma tutto d’un tratto gli sembrò fuori luogo.

Doveva a Blaine quella conversazione, doveva almeno tentare di dargli retta.

”Non capisci.”

Allora spiegami! Cosa sta succedendo a casa tua?

Buttò un’occhiata alla porta chiusa della sua stanza, abbassando la voce senza nemmeno accorgersene.

”Ti dirò le stesse cose che ho detto ai ragazzi a scuola. Non posso dirti di più però, non è una cosa successa a me e non ho alcun diritto di raccontarla”.

Blaine non rispose, in attesa di una spiegazione.

Kurt si alzò e si avvicinò al letto, collassandoci sopra e sospirando.

”Dave ha rivelato a suo padre di essere gay, e lui l’ha praticamente cacciato di casa…”

Ne sei sicuro? Perché sembra una storia-“

Kurt si irrigidì. “Seriamente, falla finita. Lasciami finire di parlare, poi potrai avere qualsiasi reazione passiva-aggressiva che vuoi, d’accordo?”

Blaine sospirò dall’altro capo del telefono, ma sembrava meno teso quando risposte. “Va bene. Scusami.

”Suo padre l’ha cacciato di casa, e sono sicuro di questo fatto perché mio padre è andato a parlargli… e qualsiasi cosa suo padre abbia detto… beh, Dave ora è qui. Quindi anche se pensi che io sia un idiota, sai benissimo che mio padre non lo è, giusto?”

Kurt… Ho detto che mi dispiace. Terrò la bocca chiusa. E non penso tu sia un idiota, penso solo che… non so, credo che tu non abbia visto il lato peggiore delle persone come l’ho visto io”.

”Continua ad ascoltarmi”, rispose Kurt cupamente. Guardò il pavimento, desiderando che Blaine fosse vicino a lui in quel momento.

“Dave si era stabilito a casa del suo migliore amico, uscendo allo scoperto anche con lui… e lui non ha reagito bene. L’ha detto ad alcuni ragazzi della squadra di football, ed il giorno seguente a scuola…”

Oddio”. Finalmente Blaine aveva capito la gravità della situazione.

Kurt si sentì sollevato. Amava Blaine soprattutto perché avevano molte cose in comune. Potevano essere entrambi molto egocentrici alle volte, ma il fatto che Blaine avesse avuto più brutte esperienze di lui gli faceva credere di essere un esperto.

Raccontami tutto, Kurt, qualsiasi cosa sia.

La pena nella voce di Blaine era quasi peggiore della rabbia. La pena gli riportava ricordi spiacevoli alla mente, impedendogli di distrarsi con le cene di famiglia e tutto lo shopping che Mercedes aveva fatto quel pomeriggio.

Deglutì, cercando di trovare le parole giuste e di non rivedere le scene di quella maledetta giornata. Non voleva ricordare, voleva solo raccontare.

”L’hanno seriamente ferito, Blaine. Ha passato due giorni in un letto d’ospedale, ed è ancora…”

Esitò, trattenendo un respiro e rilasciandolo subito dopo, tornando a posare lo sguardo sullo schermo del computer, perché guardandolo non si sarebbe ricordato dei muri insanguinati e delle unghie rovinate.

”Loro… Blaine…”

Respirò ancora profondamente. Stava bene. Non era qualcosa che non aveva mai detto. L’aveva detto il giorno successivo a quegli eventi, no? Parlandone a suo padre al telefono, sfogandosi.

Ma era più difficile. Sfogarsi era stato più semplice, non aveva dovuto pensare a cosa dire, non si era dovuto preparare. Forse era così difficile perché sapeva che Dave non avrebbe voluto che lui ne parlasse con Blaine. Probabilmente.

Ma non stava raccontando tutto a Blaine per far star meglio Dave. Era lui ad averne bisogno. Aveva bisogno di qualcuno che non conoscesse e che non avesse Dave in simpatia. Qualcuno che pensasse solo a Kurt. Era egoista, ma sperava di essersi guadagnato il permesso di pensare un po’ a se stesso durante la settimana precedente. Aprì la bocca per cercare di sfogarsi di nuovo come aveva fatto con suo padre. Ma dalle sue labbra non uscì nulla.

Kurt… puoi dirmi tutto”.

La voce di Blaine era ancora gentile e Kurt capì che non stava più pensando a Dave.

Non poteva raccontarlo al suo ragazzo come aveva fatto con suo padre. Non era giusto che cercasse conforto in quel modo. Non ci era passato, non era stato ferito. Stava cercando di raccontare il segreto di Dave per i suoi comodi, e fortunatamente la sua gola non glielo voleva permettere.

Okay”, aggiunse Blaine dopo un’altra pausa, “Va tutto bene, Kurt. Mi fido di te. È stato ferito ed è grave, ed è la verità. Non chiederò più nulla. Se tuo padre lo lascia stare da voi vuol dire che è la cosa migliore da fare, no?”.

”Già”, la voce gli tremava, voleva ridere di se stesso ma gli uscì solo un singhiozzo, ”Sono un disastro. Perché sono fatto così male?”.

Cos’hai visto?”, gli chiese Blaine, “Ti conosco, Kurt. Hai un gran cuore e pensi sempre il meglio degli altri, ma sai sicuramente che a volte succedono cose brutte. Dev’essere qualcosa di veramente grave”.

”Già”. Ma Kurt non riuscì a rispondere alla domanda. Si girò sul fianco, chiudendo gli occhi per non dover guardare lo schermo del computer, per non guardare gli aggiornamenti di stato e le fotografie dei suoi amici che continuavano a vivere tranquillamente le loro vite. Si sentiva lacerato in due. Andava in classe, alle prove del Glee, controllava il suo profilo facebook e chiamava il suo ragazzo. Stava lasciando Dave solo nella camera degli ospiti. Non voleva che questo accadesse, ma… a Dave serviva stare da solo, non gli serviva Kurt al suo fianco. Erano a malapena amici, o qualcosa del genere.

Dio, si sentiva ancora in colpa per essere l’unica persona con cui Dave doveva condividere il suo segreto. Era contento di essere lui, davvero, non aveva mentito quando aveva detto che, se qualcuno gli avesse proposto di tornare indietro e lasciare che qualcun altro gestisse quella situazione, lui non avrebbe accettato. Ma doveva essere terribile per Dave potersi appoggiare solo a qualcuno che conosceva appena, che fino a poco tempo prima spintonava nei corridoi.

Fu allora che nella mente di Kurt si formò un pensiero che continuò a ripetersi, in un eco che sembrava solo diventare più forte invece che affievolirsi.

Parlò ad alta voce, perché quello era uno sfogo, nulla di programmato.

”Magari crede che io pensi che se lo sia meritato…”

Cosa? Chi, Karofsky?

”Dave”, lo corresse Kurt a bassa voce. Si mise seduto, accavallò le gambe, guardando verso la porta della sua camera, “Mi domando… se creda che io pensi che se lo sia meritato. Anche in piccola parte. Perché mi tormentava. Mi chiedo… non penserà che io creda che giustizia sia stata fatta, vero?”

Ci fu una paura. Blaine rispose dopo qualche minuto. “Pensi sia così?

”Cosa?”, e sembrò un lamento piuttosto che una domanda.

Non è un accusa, Kurt, solo una domanda”.

Solo una domanda. Il cuore di Kurt iniziò a battere più velocemente quando sentì un’ondata di adrenalina invaderlo. Ma era davvero solo una domanda, quindi chiuse la bocca portandosi una mano al petto per cercare di calmarsi, e pensò ad una risposta.

Ovviamente non avrebbe mai voluto che accadesse una cosa simile. Anche nei giorni in cui il comportamento di Karofsky era stato dei peggiori un’idea simile non gli era mai passata per la testa.

Ma se fosse successo a quei tempi… Ne sarebbe stato felice almeno un po’?

Scosse la testa, e si sentì immediatamente sollevato.

”No”, rispose, ed era la verità, “Questa non è giustizia. Niente di tutto questo… Nessuno si meriterebbe mai una cosa simile. Anche se Dave non fosse cambiato, anche se fosse ancora Karofsky…”

Si lasciò sfuggire un sospiro, sentendosi quasi felice che Blaine gli avesse posto quell’orribile domanda. Kurt era egoista, ma non così tanto da pensare una cosa simile. E ne era felice.

Sai”, riprese Blaine dopo un po’, “Se pensasse davvero una cosa simile, sarebbe perché la pensa lui”.

Il sollievo svanì all’istante.

Kurt si alzò dal letto all’istante. “Ti richiamo domani, okay?”

E nonostante Blaine potesse essere paranoico e pieno di rancori, il tono con cui rispose era comprensivo.

Cerca di dormire.

”Cercherò”. Kurt riagganciò immediatamente, ma prima di lanciare il telefono sul letto, guardò la fotografia di Blaine sul suo display e si sentì quasi meglio. Blaine non era perfetto, ma avrebbe sopportato quella situazione per lui. Anche se riguardava Dave Karofsky. L’avrebbe sopportato.


Nonostante la reazione immediata che portò Kurt fuori dalla sua camera, passò per ben tre volte davanti alla porta della stanza degli ospiti prima di decidere di fermarsi e bussare.

In qualsiasi altro giorno, avrebbe bussato alla porta e sussurrato a Dave la buonanotte senza aspettare una risposta. Tuttavia quella sera era deciso a non lasciarlo solo, soprattutto dopo ciò che gli aveva detto Blaine. Girò la maniglia ed aprì la porta.

”Dave?”

Era buio, ma la luce proveniente dal corridoio illuminava lievemente la stanza e Kurt si accorse che Dave era a letto. Non era addormentato, però. I suoi occhi si voltarono verso la porta quando si accorse della luce improvvisa. Era sdraiato sopra le coperte, ancora con la maglia ed i jeans che indossava a cena, non fingeva nemmeno di tentare di addormentarsi.

Kurt entrò lentamente nella stanza, in caso Dave non l’avesse voluto nei paraggi.

”Volevo solo…”. Okay, cosa avrebbe potuto dire? Kurt non era solito censurare se stesso, ma da un po’ sembrava che la sua gola non volesse dire le parole che la mente gli suggeriva.

”Hai detto che non riesci a dormire bene”, disse alla fine, mentre entrava nella stanza lasciando la porta aperta in modo da vedere il letto. “Ho pensato di venire a controllare e…”

Dave scrollò le spalle, guardando il pavimento. “Se tento di dormire sicuramente vomiterò”

”Come?”, Kurt si avventurò ancora di più nella stanza, preoccupato.

”Faccio questi incubi… Cose fottutamente malate, Fancy, e mi fanno…”, alzò nuovamente le spalle, fingendo di star parlando del più e del meno. “Vomitare. E sarebbe maleducato da parte mia”

”Penso che Carole capirebbe”, rispose Kurt con un debole sorriso. Si sistemò alla fine del letto, spostando il ginocchio per vedere meglio Dave. “Che tipo di incubi?”

”Kurt…”

”No, intendo… Quelli che posso immaginarmi? O…?”

”No, sicuramente non quelli che mi aspettavo io, in ogni caso. Non so cosa ne direbbe uno strizzacervelli”, rispose Dave, soffocò una risata e spostò lo sguardo da Kurt.

”Quindi? Parlamene”

”Servirà a qualcosa?”

”Tenere tutto dentro non sembra ti stia aiutando, quindi…”

Dave sospirò. “Il dottore dell’ospedale, prima che mi dimettessero… Sai, Fancy, quella volta, quando ti ho chiesto di uscire, mi hai guardato come se ti avessi ucciso il gatto”.

Kurt sorrise ricordando quanto c’era rimasto male. “Il dottore era un figo, ecco perché. Ero solo geloso!”

Dave fece una smorfia, cercando di nascondere il viso da Kurt, ma lui se ne accorse.

Si accigliò cercando di interpretare quel cambiamento. “È stato uno stronzo?”

”No, era okay. Mi ha dato il nome di questo dottoressa. Ha detto che avrei dovuto chiamarla. Una cazzo di strizzacervelli, o qualcosa di simile”.

”Non dirmi che sei uno di quei cavernicoli che pensa sia che andare da uno psicologo sia una cosa di cui vergognarsi?”

”Non ci avevo mai pensato prima”. Lo sguardo di Dave tornò a fissarsi sul pavimento. “Potrai anche non crederci, ma nessuno prima d’ora mi aveva consigliato di parlare con qualcuno. Anche se ho frequentato qualche incontro di ‘Anger Management’(*) ”.

”Davvero?”

Dave sorrise. “Già. Adams Sandler. Gran bel film”.

”Dio, non trovo nemmeno le parole per dirti quanto sia pessima questa battuta”. Non si prese nemmeno la briga di cercarle, comunque, perché Dave stava finalmente sorridendo. “Seriamente, hai intenzione di chiamarla?”

”Forse. Non so se parlare con una strizzacervelli sia una cosa di cui vergognarsi, ma so che mi fa sembrare incapace di gestire i propri casini”. Il sorriso svanì all’istante. “Ma d’altra parte… sono veramente stanco”.

”Eppure non avevi avuto problemi a dormire all’ospedale, forse era merito degli antidolorifici. Ma il dottore te le aveva prescritte, no? Le hai finite?”

Dave non rispose. Guardò di nuovo il pavimento e le sue occhiaie erano ancora più evidenti grazie alla luce che proveniva dalla porta.

“Se fossi un po’ meno modesto”, disse Kurt con aria pensierosa, “mi verrebbe da dire che tu sia riuscito a dormire in ospedale perché ti ero accanto. In caso non l’avessi notato, la mia presenza è molto confortante”.

”Ah sì?”, la bocca di Dave si incurvò in quello che sembrò un sorriso, ma svanì subito. I suoi occhi erano scuri, ogni sfumatura d’oro e di verde era completamente scomparsa, non c’era nient’altro che buio nel suo sguardo.

Kurt si alzò improvvisamente. “Aspetta un secondo”. Sfrecciò fuori dalla stanza, diretto in corridoio verso camera sua.

Tornò qualche minuto più tardi portando con se la sedia della sua scrivania, posizionandola vicino a Dave.

”Okay. Facciamolo!”

Dave lo osservò tornare nella stanza, poggiandosi su un gomito. “Fare cosa, esattamente?”

”L’ultima volta che ti ho visto dormire tranquillamente, eri una stanza di ospedale ed io ero seduto al tuo fianco. Quindi…”, disse, avvicinando ancora di più la sedia al letto con un sorriso, “eccomi qui!”

Dave sorrise debolmente, scrollò la testa e si lasciò ricadere sul letto. “Sei veramente strano, Fancy”.

”Strano, ma confortante!”, gli ricordò Kurt.

Ma non stava scherzando, e non voleva che Dave lo pensasse. Quindi smise di sorridere e gli si avvicinò, toccando con delicatezza il braccio di Dave.

”Non andrò da nessuna parte. Quindi se hai intenzione di startene sveglio, chi se ne importa, io me ne starò comunque qui e farò lo strano per tutto il tempo”.

Dave restò in silenzio per qualche minuto, spostando lo sguardo dal pavimento a Kurt, da Kurt alla sua mano. Si accigliò e si mise a sedere sul letto.

”Hey”. Kurt lo guardo aggrottando le sopracciglia. “In caso stessi pensando di scappare via, è bene che io ti ricordi che ora come ora sono io quello che sa correre più veloce”.

”Non preoccuparti, Kurt”. Dave si mise in piedi e si avvicinò lentamente all’armadio. “Voglio solo cambiarmi. Non avevo intenzione di dormire, quindi non mi sono cambiato. Dovresti darmi un po’ di privacy”.

Kurt sorrise tra sé e sé. Tornò a guardare verso il letto, volgendo le spalle a Dave. “Non sbircerò”.

Dave non rispose.

Ci furono un paio di rumori sordi dietro di lui, dei passi, la chiusura di una cerniera.

Kurt non era così gay da tramutarsi in un maniaco ogni volta che un ragazzo si spogliava nelle sue vicinanze. Non avrebbe sbirciato. Non voleva sbirciare. Rimase seduto composto sulla sedia, prestando attenzione ai movimenti di Dave dietro di lui, senza sentire il bisogno di dare un’occhiata.

Ad ogni modo, in caso ne avesse sentito il bisogno… non ci sarebbero stati luogo, persona e momento peggiori.

”Siediti ancora un po’ più dritto e la spina dorsale ti uscirà dal corpo”.

Kurt si rilassò e lanciò uno sguardo in direzione di Dave. “Mi stai davvero accusando di essere seduto troppo dritto(**)?”

Dave si sistemò nuovamente sul letto e Kurt non lo guardò. Non gli importava, non sentiva la voglia di guardare. Era solo un ragazzo, un amico. Era solo Dave.

La sua idea di ‘cambiarsi per la notte’, comunque, consisteva nel togliersi i jeans e mettere al loro posto un paio di boxer, tenendo la maglietta. Quindi in realtà non c’era proprio nulla da guardare. Solo le ginocchia, ecco tutto quello che poteva vedere del corpo di Dave che non avesse già visto in precedenza. Ginocchia pallide e spalle larghe, che sembravano dorate nella tiepida luce proveniente dal corridoio.

E muscoli. E piedi, grandi e nudi piedi che scivolarono dentro le coperte.

Nulla, davvero.

Kurt si schiarì la gola, cercando di assumere uno sguardo carico di disapprovazione quando Dave finì di sistemarsi sul letto. “Cerchiamo di creare un po’ di atmosfera, qui, fai la tua parte”.

Dave corrugò la fronte, roteò gli occhi e sollevò il sedere per spostare le coperte da sotto di lui, facendo muovere i muscoli dei polpacci.

Kurt non lo stava fissando. Non doveva fissarlo, non era una specie di guardone.

Ma non riuscì a reprimere il pensiero che le sue nodose ginocchia prive di peli avrebbero fatto brutta figura a confronto con quelle del giocatore di football.

”Cristo, non occorre fissarmi in quel modo”, mormorò Dave, sistemandosi di nuovo sul cuscino. Si girò su un fianco, raggomitolandosi sotto le coperte mentre lanciava uno sguardo a Kurt.

”Non ti preoccupare, so di non essere il tuo tipo. Il mio fragile ego ricorda benissimo quelle crudeli parole!”

Kurt rise, e quel suono fu abbastanza da rompere l’incantesimo che lo obbligava a fissare Dave e permettergli di dargli una pacca amichevole sul ginocchio. “Non ti chiederò mai più scusa, scemo!”

Dave sorrise.

Per un istante, per un brevissimo stupendo istante, fu un sorriso vero. Ampio e senza ombre, per un secondo quel sorriso aveva raggiunto anche gli occhi di Dave. E Kurt voleva avvicinarsi e tracciare le curve che si erano formate sulle sue guance, per assaporare il gusto di quel sorriso. Il che era… strano.

Un istante dopo, comunque, tornò tutto come prima. Il sorriso iniziò a svanire dagli occhi, poi lasciò le sue guance e la curva delle sue labbra tornò piatta, come nulla fosse successo, memoria muscolare e basta, come se per il suo viso sentisse come naturale solo un’espressione accigliata.

Ma Kurt mantenne il suo sorriso, anche se con un po’ di sforzo. “Quindi…”

”Quindi?”. Dave tornò a poggiare la schiena sul materasso. “Non so cosa ti aspettassi, ma non sono improvvisamente stanco”.

”Non essere così testardo – sei più che stanco, Dave, sei esausto. Dagli un paio di minuti, vedrai che il sonno arriverà”.

Avvicinò ancora di più la sedia, e quando si accorse dell’iPod di Dave sul tavolino vicino al suo portatile, si sporse per raggiungerlo. Si rimise seduto con l’iPod in mano, curiosando tra le sue playlist.

Come in ospedale sperava di riuscire a non prestare abbastanza attenzione a Dave e fare in modo che si addormentasse. Non era comunque un’impresa facile.

Il silenzio calò nella stanza, Dave si sistemò ancora sotto le coperte per poi restare immobile.

Kurt cercò di non guardarlo mentre dava un’occhiata alla playlist creata in suo onore, capendo ben presto che sarebbe stato uno spreco di tempo cercare nel mezzo di quella lista almeno una canzone che conoscesse anche lui.

Non ascoltò nessuna canzone, curiosò e basta. Non riconobbe nemmeno il nome di un gruppo, stessa cosa valeva per le canzoni, anche se ogni tanto qualche titolo gli sembrava familiare. Si sorprese nel riconoscere alcuni nomi – Tom Waits, Rickie Lee Jones, Roberta Flack. Un sacco di artisti datati, per essere in una playlist di un teenager. Il tipo di musica che non avrebbero cantato nemmeno nel Glee, ma Kurt ne rimase veramente impressionato.

Radiohead, Disturbed. Un paio di gruppi che riuscì a riconoscere solo grazie a Finn.

Vide il nome di Tom Jones e quasi scoppiò in una risata, tentato di dire qualcosa. Ma i suoi occhi si posarono su Dave, non si era ancora addormentato, ma i suoi occhi non erano totalmente aperti, quindi decise di non infrangere il silenzio.

Si distrasse cercando di capire come mai quelle canzoni si trovassero proprio nella sua playlist. Una playlist che doveva per forza avere qualcosa a che fare con Kurt, doveva pur significare qualcosa.

Quando vide ‘Mad World’ il suo sguardo si rivolse nuovamente a Dave, chiedendosi se l’avesse aggiunta subito dopo il primo giorno in ospedale, quando Kurt gliel’aveva cantata, o se per caso Kurt avesse scelto una canzone della sua playlist senza volerlo.

Fu tentato di ascoltarla, e fissò le cuffie che penzolavano dal portatile sopra il tavolo.

Ma il silenzio si interruppe di colpo, e la sua attenzione tornò immediatamente a focalizzarsi sul ragazzo sdraiato sul letto.

”Sai…”, disse Dave. I suoi occhi erano chiusi, e forse proprio per quello aveva trovato il coraggio di parlare, perché sembra si stesse sforzando. “Non avrei mai…”

Qualcosa nel suo tono fece riporre l’iPod a Kurt. “Cosa?”

L’espressione di Dave si corrugò. Sembrava difficile per lui far uscire le parole.

”Nello spogliatoio. Non avrei mai… Non avevo nemmeno intenzione…”. Tranne un respiro.

Kurt gli si avvicinò, era una scelta rischiosa, ma gli aveva sempre portato fortuna con Dave. Allungò il braccio e con le dita si mise ad accarezzare la fronte di Dave. “Cosa?”, chiese di nuovo.

”Non l’ho fatto perché eri tu. Lo sai, no?”

Kurt non sarebbe più stato in grado di rientrare in uno spogliatoio senza pensare a chiazze di sangue e asciugamani e aria pesante e respiri affannosi. Ma capì immediatamente di che spogliatoio stava parlando Dave. Non era il suo primo pensiero quando sentiva nominare gli spogliatoi, ma forse per loro due era un ricordo più forte. Forse era un ricordo meno spiacevole. Più semplice.

”Quando mi hai baciato”, rispose.

”Già”. La testa di Dave si piegò di lato, aprendo gli occhi per guardare Kurt. “Non era… Non ha alcun senso, ma io non stavo pensando…”. Sospirò, quasi infastidito da se stesso. “Non ci stavo provando o qualcosa di simile”.

Kurt inarcò le sopracciglia, ma la curiosità era ben visibile sul suo volto. Rimase in silenzio, perché sapeva che era il modo migliore per far continuare qualcuno a parlare.

Dave si raddrizzò strofinandosi la faccia e gli occhi. Si muoveva più lentamente, quindi, forse, il sonno stava davvero per arrivare. Semplicemente prima sentiva il bisogno di dire quello che stava per dire.

”Non ci stavo provando, non riguardava il sesso. O niente di simile”.

La sua mano scivolò sul cuscino, a lato della sua testa, e Kurt cercò di non prestare attenzione alla curva del suo braccio, alla linea regolare dei suoi bicipiti.

Si schiarì la gola. “Di cosa si trattava, allora?”, chiese. Non perché volesse una risposta. Aveva superato quel bacio tanto tempo prima.

”Non lo so. Eri lì, in piedi, ad urlarmi contro e…”, Dave rise di colpo, un po’ raucamente, “e non stavo pensando. Ma più tardi, quando ci pensai davvero… Ero stanco che nessuno mi vedesse davvero. Magari non ha senso, non lo so. Mi ero costruito intorno da solo una corazza resistente. Ma pensavo che essendo tu gay…”, guardò Kurt con un piccolo sorriso, “e tu sei veramente tanto gay”.

Kurt roteò gli occhi e  punzecchiò con un dito il braccio di Dave. “Non scherzare. Spiega e basta”.

Dave sospirò. “Ti odiavo. Intendo… Non sapevo nulla di te, ma odiavo l’idea di te. In parte perché eri più forte di me, e in parte perché credevo l’avessi intuito. Specialmente quel giorno, quando finalmente ti eri deciso a reagire alle mie stronzate, ero sicuro che avessi capito. Ma poi avevi iniziato a blaterare su quanto fossi un piccolo ragazzino etero spaventato e...”, alzò le spalle, “ed ero sempre stato terrorizzato dall’idea che sapessi tutto, ma quando mi hai guardato, speravo che qualcuno se ne accorgesse”.

Kurt sorrise tristemente. Guardò le sue stesse dita muoversi sul lenzuolo vicino al braccio di Dave.

”La prima volta che lo dissi ad alta voce… fu una sensazione fortissima. Un momento importante, fui finalmente in grado di essere me stesso per la prima volta in vita mia. E sai dove mi trovavo?”, chiese Kurt.

Dave lo guardò, in attesa.

”Sulla tomba di mia madre. Ero da solo e parlavo con una tomba. Non che pensassi che lei in quel momento fosse lì con me – anche avessi creduto in una vita dopo la morte, speravo che lei avesse qualcosa di meglio da fare che andarsene in giro per un cimitero in mezzo a delle lapidi. Ero da solo, ma non mi ero mai sentito così bene”. Incontrò gli occhi di Dave. “Perciò capisco quanta paura possa fare un segreto del genere, quasi da mozzarti il fiato. E non puoi parlarne a nessuno, ma non puoi nemmeno tenerti tutto dentro, e…”.

Gli occhi di Dave erano lucidi. Annuì in modo quasi impercettibile, e il suo sguardo sembrava rapito da Kurt.

Kurt realizzò che avrebbero dovuto fare questo discorso molto tempo prima. Quello era il discorso che avrebbero dovuto fare in quei difficili giorni dopo il bacio.

Gli occhi di Dave si chiusero di colpo, e diede le spalle a Kurt, e improvvisamente sembrò addolorato.

”Cazzo, avrei dovuto solo… non intendevo… fare quello”.

”Fare cosa?”. Kurt si irrigidì, di nuovo preoccupato.

”Baciarti. È stata una mossa stupida. Avrei solo dovuto dirlo”.

In quelle parole c’era tanto dolore. Anche troppo per un ricordo del genere.

Kurt lo studiò, cercando di capire da dove provenisse quel dolore. Roteò gli occhi al ricordo di se stesso.

”Non era… beh, hai tempi mi sono comportato come se fosse tutta questa gran cosa, ma non lo era”.

”Non mentirmi. Non far finta che non fosse importante per te. So che lo era…”

Il perché di tanto dolore gli fu chiaro di colpo: uno di loro aveva baciato Dave.

Uno di quei tre bastardi violentatori l’aveva baciato. Kurt capì una cosa dietro l’altra dopo quella rivelazione. Capì immediatamente perché Dave aveva riportato a galla il discorso del bacio.

Guardò Dave, allarmato, e si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia. “Cos’hai sognato? Perché non riesci più a dormire?”

Dave sapeva che lui sapeva, gli si leggeva in volto, mentre portava una mano sul viso e chiudeva gli occhi.

”Dillo, Dave. Devi dirlo a qualcuno”.

“È fottutamente… è…”. Dave si lasciò sfuggire un sospiro. “Non riesco a smettere, capisci? Ecco cosa succede. Non posso o non voglio smettere. È come un ricordo, è uguale alle cose già successe, solo che quando mi respingi… io perdo il controllo e… cazzo”.

”Smettila. Non dargli così tanta importanza. Non è quello che è realmente successo e lo sai”. Ma la voce di Kurt tremò, ed era stato sincero a dire a Blaine che quello che era successo a Dave non era giustizia, ma aveva avuto anche lui un paio di volte lo stesso incubo.

”Ecco tutto. Merda, Kurt, non c’è bisogno che io lo descriva. Hai capito il punto – sono in quel cazzo di spogliatoio e ti vengo dietro e ti spingo contro il muro e sbatto la tua testa finché non smetti di lottare e… ti tolgo i vestiti di dosso e ti sbatto per terra e…”

Kurt lasciò immediatamente la sedia per sedersi alla fine del letto e prendere la mano di Dave tra le sue per fermarlo. Non c’era bisogno di continuare.

Dave non sembrò comunque intenzionato a continuare. Rimase sdraiato lì a respirare affannosamente, quasi stesse cercando di non scoppiare a piangere o vomitare.

Kurt strinse la mano di Dave tra le sue per la seconda volta in quel giorno. Era affascinato, comunque, da quanto la mano di Dave fosse più grande della sua. Le sue dita lunghe e i palmi delle mani ampi, i segni dei graffi, in via di guarigione, ruvidi sotto il tocco della pelle soffice e delicata di Kurt.

Dave era più grande, più forte. Dave era sconvolto, instabile. Lo aveva terrorizzato, prima, ed ora aveva dei sogni riguardanti…

Kurt strinse ancora di più la sua mano e parlò non appena si rese conto dell’importanza della rivelazione appena avuta: “Non sono spaventato da te”.

Dave tentò di ritirare la mano, cercando di sfuggire alla stretta di Kurt.

Ma Kurt non glielo permise. “Ero spaventato da te, prima. Ma come hai detto tu, non ero nemmeno capace di vederti davvero. Mi hai baciato, Dave. E magari me ne sono lamentato ai tempi, ma Dio. Avevo già baciato Brittany prima di te, e lei era un’amica. Mi ero convinto che, essendo tu un ragazzo, il bacio valesse di più. Ma non era comunque un bacio vero. Non valeva di più di me che infilavo la lingua nella gola di un ragazza per provare al mondo quanto fossi etero”.

Dave scosse la testa, diventando più teso man mano che Kurt andava avanti.

Kurt rinunciò a rendere più leggero quel momento. “Sai perché non ho più paura di te? E perché, se ci avessi pensato più a lungo, non avrei dovuto aver paura di te nemmeno allora? Perché non volevi farlo. Hai urlato, mi hai minacciato, mi hai sventolato il pugno davanti alla faccia. Mi hai pregato di andarmene. Non volevi che fossi lì, non volevi fare quello che stavi per fare. E subito dopo averti respinto, sai cos’hai fatto?”.

Gli occhi di Dave erano chiusi. Aveva smesso di resistere alla stretta di Kurt – stava stringendo anche lui, forte.

”Ti sei fermato”, andò avanti Kurt. “Non sono abbastanza forte per cacciarti da solo, ma mi hai lasciato libero di tua volontà e poi te ne sei andato. E… non esiste una singola cosa successa quel giorno, che ti renda uguale a quei bastardi che ti hanno fatto del male, Dave. Te lo prometto. Non sei come loro”.

”Continuo a riviverlo”, disse Dave. Si girò di lato per stringere anche con l’altra mano quelle di Kurt.

”Se non sono come loro… perché continuo a sognarlo?”.

Pensava di esserselo meritato.

Blaine aveva ragione. Blaine aveva buttato ad indovinare ed aveva aperto gli occhi a Kurt.

Dave pensava di meritarselo e la sua mente gli spiegava il perché tramutando un bacio in una violenza.

Dave afferrò le mani di Kurt come se la sua vita dipendesse da quella stretta. Ma non era Dave quello che tratteneva a stento le lacrime. Era Kurt quello che non riusciva a vedere bene per le lacrime che gli riempivano gli occhi, quello che non riusciva a respirare senza sentire una fitta all’altezza del petto.

Kurt non era capace di dire nulla, e quella era la parte peggiore. Avrebbe voluto dire un sacco di cose.

Ti prego, non odiare te stesso per colpa mia. Non sei fatto così. Non potresti mai farmi del male, e lo sai anche tu.

Era la verità, maledizione. Non era terrorizzato da Dave da settimane, non lo era nemmeno nei suoi ultimi giorni da Karofsky. Non era più spaventato da Dave dal primo giorno che era tornato al Mckinley e si era ritrovato lui e Santana di fianco, con i loro assurdi berretti. Santana aveva cercati in tutti i modi che tutti la vedessero, ma Dave era sembrato solo orgoglioso del suo nuovo compito. Come se finalmente avesse iniziato ad andare nella direzione giusta. Certo, aveva sbuffato e si era lamentato, ma pattugliava i corridoi della scuola a testa alta e Kurt sapeva che non sarebbe più fatto passi indietro.

Aveva bisogno di dire tutto questo a Dave, di ricordargli quando bene aveva fatto, tanto da fare ammenda per quel bacio.

Ma la prese di Dave si rilassò e le sue spalle si abbassarono e il suo respiro diventò più pesante, ed era così vicino ad addormentarsi che Kurt non fece nulla per tenerlo sveglio.

Rimase seduto lì, sforzandosi di rilassare le mani mentre Dave si lasciava andare al sonno. Una delle sue mani scivolò sul materasso e Kurt rafforzò egoisticamente la stretta sull’altra.

Lasciò libera anche l’altra mano di Dave, dopo un po’. Dave stava russando leggermente ormai e la schiena di Kurt ormai era indolenzita, così lasciò andare la stretta e si rimise seduto sulla sua sedia.


Quando si svegliò la mattina seguente, la luce filtrava dalla tapparella della finestra della camera degli ospiti. Si stiracchiò e sentì che qualcosa nel suo collo non andava, e la sua schiena lo stava punendo per essersi addormentato su di una sedia.

Dave era ancora addormentato, immobile, raggomitolato su di un fianco, respirando piano.

Per tutto il giorno, a scuola, quando qualcuno gli chiedeva come mai si muovesse così lentamente o perché continuasse a massaggiarsi il collo, lui rispondeva di aver dormito male. Ma lo diceva con orgoglio.


Note di Traduzione:
(*) Con Anger Management l'autrice intendeva fare un gioco di parole con quei corsi specializzati nel controllo della rabbia e il film "Anger Management" in cui recita Adam Sandler, il cui titolo tradotto in italiano è però Terapia D'urto
(**) Altro gioco di parole che si perde nella traduzione. La battuta di Kurt originale è "Are you actually accusing me of being too straight?". Straight in italiano può essere tradotto sia con diritto, che eterosessuale, quindi la frase può essere intesa sia come “Mi stai davvero accusando di essere seduto troppo dritto?” oppure come “Mi stai davvero accusando di essere troppo etero?”

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Beta Reader: Kurtofsky
 

Sì, siamo in ritardo. Lo sappiamo. È solo che venerdì la nostra detective ha trovato una vera chicca, tanto da meritarsi i complimenti di Max, e siamo stati distratti. Non sapete di cosa stiamo parlando? Andate qui. Enjoy.

The Worst That Could Happen
- Capitolo 10 -



Quel giorno, il suo piano di massima per tenere compagnia a Dave nel corso del suo ricovero, venne affiancato niente meno che da Mr. Schue tra tutti.

Era ben noto al McKinley che Dave fosse vivo, che non fosse stato arrestato per omicidio, e che stesse a casa di Kurt. Tuttavia, a parte Jacob Ben Israel che ogni tanto si appiccicava alla faccia di Kurt con il suo microfono-sostituto-del-pene, nessuno gli chiese molto sulla faccenda.

Almeno fino a quando Mr. Schue gli si sedette accanto mentre guardavano il resto del club e la loro prova per i costumi per l’assemblea del giorno dopo, insieme alla (a dire il vero piuttosto straordinaria) performance di What’s Going On.

“Stavamo parlando di Dave Karofsky stamattina, in sala insegnanti,” disse Mr. Schue, quasi casualmente. “Ci chiedevamo se David avrebbe voglia di mettersi al passo con un po’ del lavoro che sta perdendo. Posso mandargli i compiti di Spagnolo tramite te, e sono sicuro che il resto degli insegnanti può mettere insieme un pacco di quello che è stato fatto finora.”

L’adolescente dentro Kurt pensò automaticamente che forse i compiti erano l’ultima cosa a cui Dave stesse pensando in quel momento. Ma il guardiano in lui, la voce nella sua testa che diventava più forte ogni volta che vedeva lacrime in quegli occhi nocciola, concordò subito.

E quindi eccoli lì, seduti al tavolo della cucina, con i libri sparsi dappertutto, con Kurt ancora parecchio soddisfatto per il modo in cui Dave si era fiondato entusiasta sulla pesante borsa di compiti che aveva portato da scuola.

“Sai,” Iniziò Dave di punto in bianco, seduto sulla sedia. “Sei un ragazzo divertente.”

Kurt sbatté le palpebre; certo, era divertente ogni tanto, ma non era quella la situazione.

Je suis incroyablement drôle, merci,”* rispose rigidamente al di sopra del suo libro di Francese.

“Sì, non ho idea di cosa tu abbia detto, ma ti si forma una ruga carinissima sulla fronte quando ti offendi.”

Kurt sbuffò un soffio che fece ridacchiare Dave.

Distrazione. Era quello di cui Dave doveva aver bisogno. Kurt avrebbe dovuto pensarci prima.

Kurt tirò su col naso come se fosse davvero offeso, ma in realtà voleva solo mantenere quel sorriso sulla faccia di Dave. “In che senso sono divertente?”

“Lo sei e basta.” Dave lo osservava dall’altra parte del tavolo, e tamburellava distrattamente la matita che aveva in mano contro il tavolo. “Sei un ragazzetto vezzoso, uno dei tuoi outfit di tutti i giorni vale probabilmente più della mia macchina. Canti canzoni da musical e ti pavoneggi in giro con le tue amichette, ma..” Scrollò le spalle. “Sei anche un duro.”

“Un duro,” ripeté Kurt, netto e preciso. “Sono un duro.”

Dave alzò gli occhi con un sorriso. “È un complimento, okay? Non preoccuparti, sei ancora un duro fottutamente Fancy. Ma, sì, non lo so. Pensavo che fossi tipo.. come sei a scuola, no? Tipo altezzoso”

Kurt rise, incredulo e divertito allo stesso tempo. “Se questa è davvero la tua versione di un complimento, credo che dovremmo mettere da parte i libri e studiare qualcosa chiamato buone maniere.”

“Hah, sì, così! Altezzoso in questo modo!” Dave indicava Kurt con la matita, sorridendo. “Ma non lo sei. Cioè, lo sei ora, ovviamente, ma non sempre. E ogni tanto dici cose spassose e sei così sottile che non si capisce neanche se stai scherzando. Non lo so, è solo che non sei come pensavo che fossi.”

Kurt avrebbe voluto continuare a far finta di essere offeso, ma il suo viso si sciolse in un sorriso incontrollabile, e non c’era molto che potesse fare per provare a nasconderlo. “Sindrome di Stoccolma,” disse invece. “Stai iniziando a convincerti che ti piace il tuo sequestratore per attenuare il trauma di essere qui.”

Dave rise. Venne fuori da sola – non una risatina, non uno sbuffo, una risata vera – e un istante dopo sembrava un po’ sorpreso di sé stesso.

Kurt dovette girare pagina sul libro di Francese per avere qualcosa da guardare, così che Dave non potesse prenderlo in giro per il senza-dubbio-ridicolo sorriso raggiante sulla sua faccia.

“Potrei dire piuttosto tranquillamente,” disse dopo un minuto, quando riuscì a controllare la sua espressione abbastanza da alzare lo sguardo, “che anche il Dave Karofsky che conoscevo al McKinley non è affatto come quello seduto qui.”

Dave sorrise, le guance un po’ rosee, e abbassò lo sguardo sul libro di Calcolo.

Kurt non voleva fermarsi in quel momento, però. Quello, chiacchierare, era ciò che due amici dovevano fare. Era ciò che, fiduciosamente, avrebbe reso accettabile il fatto che quando Dave avesse avuto un altro incubo o qualcosa del genere ci sarebbe stato Kurt a confortarlo.

“In primo luogo,” disse prima che il silenzio si stabilisse da solo. “Ti ho portato tutti quei compiti di Schuester e della Albright e di arte e per l’amor di dio, tu invece decidi di fare Matematica.”

Dave scrollò le spalle. “La matematica è facile, mentre la Albright è una vacca. Auto-espressione del cazzo, e finire le frasi con le preposizioni e quella roba. Faccio schifo in queste cose. E Spagnolo è solo fare le stesse cose in un’altra lingua.” Sospirò, gettando un’occhiata solenne a Kurt da sopra i compiti. “Forse non ci hai fatto caso, ma non sono una cima nemmeno in Inglese .”

Kurt rise. “Certo che l’ho notato, fai praticamente sanguinare le mie orecchie raffinate. Ma si abbina al tuo essere un grande atleta avvenente, matematica invece no, a dire il vero.”

“E fisica,” disse Dave, dando un colpetto ad un altro libro sulla pila, quello che sembrava proprio un libro di Fisica. “Non odiarmi. Sono fottutamente intelligente.”

“Così ho sentito,” disse Kurt, asciutto. A dire la verità, Dave aveva demolito la pila di compiti di Matematica con una facilità irritante, anche se per quel che ne sapeva Kurt avrebbe potuto aver scritto per tutto il tempo* scarabocchi su quanto amasse l’Easy Cheese o qualcosa del genere.

“Ora ti metterai a ridere,” disse Dave all’improvviso. Indicò di nuovo Kurt con la matita accusatoria, come ad enfatizzare il concetto. “Ti metterai a ridere davvero tanto, e questo può essere aggiunto a quella collezione dei Vergognosi Segreti di Karofsky che hai iniziato..”

Kurt si sporse in avanti, posando la matita. “Non vedo l’ora di sentire.”

Dave sorrise, ma le sue guance erano ancora rosse, e quando continuò a parlare non c’era niente di scherzoso nelle sue parole, solo l’aspettativa che sarebbero state prese come uno scherzo. “Stavo più o meno immaginando che forse andrei a scuola solo per questo. Le scienze, intendo. Non per essere un.. vabbè, uno sfigato con un camice da laboratorio. Stavo pensando.. potrei insegnare? Tipo, al liceo o qualcosa del genere. O forse fare il coach di una squadra. Come Tanaka, se avesse avuto un cervello. O un pene.”

Kurt dovette soffocare una risata. “O la Beiste?”

“Se il suo pene fosse un po’ più piccolo, forse. Mi fa sentire fottutamente inadeguato.” Dave sorrise.

Quando realizzò che non c’era ragione per soffocarsi, Kurt smise di lottare e rise forte abbastanza da farsi lacrimare gli occhi. “E hai detto che io ero divertente. Madonna.”

“Lo sei! Cos’era quello? ‘Madonna, oh Gaga, oh mio Lacroix.’ Perché non dici solo ‘merda’ o ‘cristo’ come gli altri?”

“Merda,” rispose Kurt doverosamente, perché “hai appena fatto riferimento a Christian Lacroix, che non ho mai nominato davanti a te! Tu,” disse, accusatorio, “sai delle cose su delle cose.”

Dave annuì al suo libro di fisica, come se ci fosse un capitolo sugli stilisti francesi. “Te l’ho detto. Sono fottutamente intelligente.”

“No, ma.. lo vedo.” Kurt tornò a sedersi, studiando Dave con i suoi favolosi occhi da progettista. “Coach Dave. La cosa del professore di scienze è un po’ più difficile da immaginare, lo ammetto.”

“Aiuterebbe se ti parlassi di fisica?”

C’era una nota nella voce di Dave, una curva nel suo sopracciglio, che fece un po’ accalorare le guance di Kurt. Ma rise, come avrebbe dovuto. “Non penso che sia la parte scientifica o la parte dell’insegnante a bloccarmi.”

Dave accennò un sorriso e tornò alla sua matematica.

Kurt non voleva che accadesse, ma cadde il silenzio, e a dire il vero andava bene. Piacevole.

Tornò ai suoi compiti di francese, ma i suoi occhi si alzarono di nuovo e si ritrovò a studiare Dave che scribacchiava sugli appunti che il professore aveva prima accatastato tra mani di Kurt.

C’erano ancora i segni, ovviamente. Anche fisicamente, solo guardandolo. Il mento di Dave stava guarendo, ma la pelle rossa era diventata solo di un rosa debole. Una notte di sonno non aveva fatto molto per far svanire le ombre sotto i suoi occhi, e la mano che stringeva la matita era ancora spellata.

C’erano probabilmente ferite peggiori che non erano ancora svanite, nascoste sotto i suoi vestiti.

Sembrava ancora teso, nonostante fosse più rilassato di quanto non mai fosse stato da quando.. beh, da quando era successo. Dal modo in cui la luce curvava sugli angoli del suo viso era ovvio che avesse perso peso nelle precedenti due settimane.

Aveva ancora gli incubi. Aveva cose in testa che Kurt non era ancora riuscito a togliergli. Ma quello, i compiti e le risate, era più o meno un recupero.

Kurt non si illudeva che quello fosse un qualche tipo di momento decisivo. Dubitava che il peggio fosse già passato. Ma Dave aveva bisogno di quel tipo di tregua dal dolore. Ne avevano bisogno entrambi, sì, ma il modo in cui Dave si era attaccato ai compiti tra le mani di Kurt era quello di qualcuno che aveva bisogno di almeno una cosa che fosse rimasta com’era prima..

Quella normalità era una maschera. Oppure, no, forse era una fasciatura. Che copre le vere ferite, ma anche… le protegge? Le guarisce.

O qualcosa del genere. Ad ogni modo, Kurt era carino, non era profondo.

Rise piano tra sé e sé, mettendo al bando i pensieri grevi. Qualsiasi cosa fosse, anche se fosse stata solo una panacea, l’avrebbe apprezzata.

“Cosa?”

Sbatté le palpebre e realizzò che Dave lo stava guardando. Pregando di non star arrossendo scrollò le spalle. “Ammetto un po’ di curiosità, quindi.. parlami di fisica, Coach Dave.”

Dave sbatté gli occhi ma sorrise. “Il momento è passato, Fancy. Dovrai guadagnartelo.” Abbassò lo sguardo, ma lo rialzò un momento dopo. “Ehi, quindi.”

“Mmm?” Kurt spostò lo sguardo sui suoi compiti. Casuale.

“Um.” Dave si abbandonò con un sospiro, e lanciò la penna sul tavolo. “Quindi quando hai.. okay, te lo chiederò, e tu non puoi ridere per aver trasformato la vita in un cazzo di film su Lifetime, okay?”

Kurt alzò lo sguardo, intrigato. “Vai avanti.”

Dave mostrò un piccolo sorriso, e Kurt notò che era una copertura. Notò anche che Dave aveva tanto interesse nel mantenere le cose allegre quanto ne aveva Kurt, per tanto a lungo quanto ci sarebbero riusciti.

“Da quando sapevi di essere gay?”

Kurt sbatté gli occhi, ma probabilmente non avrebbe dovuto essere sorpreso dalla domanda. “Quando lo sospettavo, o quando lo sapevo per certo?”

“Non lo so. Tutti e due.”

Kurt ci pensò su, e gli ci volle un tempo sorprendentemente lungo per formulare una risposta.

Era qualcosa che avrebbe dovuto sapere, vero? Come se non dovesse neanche pensarci –avrebbe dovuto aprire la bocca e la risposta sarebbe dovuta essere lì, così naturale come se Dave gli avesse chiesto quale fosse il suo colore preferito.

Dave restò seduto in silenzio, inclinato sulla sua sedia, guardando Kurt pensare alla sua risposta.

“Suppongo di averlo sospettato dal momento in cui ho imparato cosa significasse essere gay.” Kurt palesò un sorriso. “Sono sempre stato più o meno come sono ora. Difficilmente sfuggiva alla mia attenzione il fatto che gli altri ragazzi nel vicinato erano rudi e strani e gli piaceva fare tutte quelle cose che io non avrei neanche immaginato di apprezzare. Mio padre mi disse che lo sapeva da quando avevo tre anni,” riportò, perché quelle parole di suo padre non mancavano mai di farlo sorridere.

Ricordare l’intera risposta di suo padre al suo coming out, l’istante di riluttante accettazione, gli faceva amare suo padre ogni giorno di più. La parte dell’accettazione, ovviamente, ma anche la riluttanza, perché era onesta. Suo padre lo rispettava abbastanza da non zuccherare la sua risposta. Kurt aveva sempre pensato che le cose più difficili dovessero essere affrontate e contrastate con giustizia dall’inizio prima che inizino ad andare troppo oltre, ed era piuttosto sicuro che avesse ereditato quella convinzione da suo padre.

“Pensavo che avrei solo voluto essere una ragazza,” disse, arrossendo un po’ all’ammissione. Era quasi nervoso a incontrare gli occhi di Dave e vedere che tipo di risposta avrebbe ricevuto. “Intendo, mi piaceva quello che piaceva a loro e volevo quello che volevano loro. Non è stato fino a qualche anno fa che me ne sono fatto una ragione.” Sorrise timidamente. “Io, um. Diciamo che mi è iniziato davvero a piacere il fatto che avessi un pene.”

Dave rise – importante da notare perché non stava ridendo prima di allora.

Kurt guardò le curve delle sue guance, sorridendo di rimando perché onestamente, Dave non aveva il diritto di essere così carino quando sorrideva. ‘Carino’ era per i ragazzi come Kurt. I ragazzi come Dave dovrebbero essere belli, o sexy, o…

“Comunque,” disse velocemente prima che la direzione dei suoi pensieri si facesse più strana.

“Dì di nuovo ‘pene’,” lo interruppe Dave, sorridendo.

Kurt alzò gli occhi al cielo. Era difficile non sorridere di rimando. “Comunque,” disse di nuovo. “Ho capito che non volevo essere una ragazza, volevo essere un ragazzo, e volevo stare con un altro ragazzo. All’epoca ero abbastanza grande da sapere quale fosse il termine per quello, e mi sembrò naturale semplicemente accettarlo.”

“In quel momento lo hai saputo per certo?”

“Assolutamente positivo al cento per cento sicuro? No. Quello è stato.. circa sei settimane fa, giorno più giorno meno.”

Dave sbatté le palpebre, il suo sorriso svanì per la sorpresa. “Sei settimane?”

Kurt scrollò le spalle. “La prima volta che sono ufficialmente andato in prima base col mio ragazzo.” Avrebbe voluto ridere allo stupore di Dave, ma non era davvero così divertente. Era solo quello che era. “Ero piuttosto sicuro, ovviamente, molto prima di allora. Ma c’era sempre questa vocina, questo bisbiglio di incertezza, sai? Quando iniziavo a chiedermi se semplicemente non avessi incontrato la ragazza giusta, o se forse non avrei amato nessuno e basta. Insomma, guardavo i ragazzi in continuazione, ma riuscivo anche ad apprezzare la bellezza di alcune ragazze, e come facevo a sapere la differenza tra questi due tipi di attrazione?”

Dave annuì. Era ancora a bocca aperta, ma c’era consapevolezza nei suoi occhi.

“Anche quando iniziai a frequentare Blaine, ogni tanto… sedevo nella sala prove ascoltando Rachel cantare e pensavo che non avrei mai amato nessuno quanto amo lei nei momenti in cui è davvero brava.” Sorrise all’improvviso. “Poi Blaine mi ha infilato la lingua in bocca, e tutto è scattato al suo posto.”

Dave ridacchiò, ma era incerto e sembrava ancora un po’ sotto shock. “Cristo, Fancy. Pensavo che fossi venuto fuori dall’utero cantando ‘I Am What I Am’”

“Okay, andiamo!” Kurt guardò Dave a bocca aperta. “Questa è un’allusione a La Cage Aux Folles, chi diavolo sei tu?”

Dave sorrise, ma si raddrizzò sulla sedia e il suo sguardo cadde sul tavolo.

Kurt lo studiò per un momento “Quando l’hai scoperto tu?” chiese nel silenzio che seguì.

“Per certo?” Dave scosse la testa. “Io..”

“Sei appena uscito dall’armadio, non mi aspetto che tu sia già certo. Ma quando hai iniziato a sospettarlo?”

“Un po’ di tempo fa.” Dave esitò. “Non… non molto diversamente da te, non penso. Eccetto che io non ho mai voluto essere una ragazza. Pensavo solo di voler essere… loro.”

Kurt alzò un sopracciglio. Aspettò.

Dave spiegava lentamente, misurando le parole mentre parlava. “Ti ho detto di mio padre. Di com’è. Ha dato soldi ai gruppi che provavano a portare il matrimonio gay in Ohio, sai? Di larghe vedute e fiero. Ma… c’era sempre questa separazione fra Noi e Loro, con lui. Così fottutamente condiscendente, no? Guidavamo fino a Chicago per far visita alla sua gente, e c’erano sempre ragazzi che camminavano per strada tenendosi per mano come se non fosse nulla. E mio padre..” Scosse la testa.

Kurt pensò di cambiare argomento, ma tenne la bocca chiusa e aspetto. Voleva l’umorismo, le risate, la panacea. Ma quello era più importante.

Si era autonominato guardiano di Dave, ma era anche l’unico ragazzo gay che l'altro conoscesse, quindi.. doveva essere anche quello.

Dave emise un sospiro. “Mio padre diceva sempre quella roba, su come ‘loro’ fossero perfettamente normali ed supportarli era il nostro lavoro da gente democratica e intelligente. Guardava due tizi tenersi per mano ed era fottutamente fiero di sé per accettarlo. ‘Guarda, David, a loro è permesso essere aperti qui, che grande città, dovremmo sforzarci di rendere l’Ohio così aperto di mente. Guardami, non batto ciglio. Perché non possono essere tutti così tolleranti?”

Sorrise, e c’era decisamente un'ombra in quel sorriso. “Parlava di questa roba sui gay, sulle minoranze e gli immigrati e le famiglie in difficoltà e le adolescenti incinte. Su come fosse nostro dovere accettarli tutti, i diversi, quelli a cui servono i nostri culi borghesi per parlare per loro. “Loro” potevano fare quel che cazzo volevano nella sua piccola coalizione di cervelli arcobaleno, ma anche quando ero piccolo sapevo che quello che andava bene per ‘loro’ era off limits per tutti quelli che erano un ‘noi’.”

Kurt annuì lentamente, e effettivamente aiutò un po’ a spiegargli il mistero di Paul Karofsky. Non era mai riuscito a riconciliare le azioni dell’uomo verso Dave con le sue parole al McKinley. Come poteva un uomo difendere uno strano ragazzo gay che non aveva mai incontrato prima, ma non andare in ospedale dove il suo stesso figlio ha bisogno di lui, solo perché è gay?

Non aveva senso prima, ma iniziava a capire un po’ meglio. Non l’avrebbe mai davvero capito –almeno così sperava- ma all’improvviso non si sentiva più così confuso.

“Comunque, sì. L’ho capito, quando ho iniziato a pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in me… okay, di diverso,” si affrettò a dire quando Kurt aprì immediatamente la bocca per protestare. “C’era qualcosa di diverso in me, e l’ho capito perché stavo iniziando ad odiare il vecchio e il modo migliore per ribellarmi era diventare un Loro. Andavamo a Chicago un paio di volte all’anno e iniziai a guardare quei ragazzi che camminavano per Grace Street e volevo essere uno di Loro, non uno di Noi.”

Prese un respiro e tornò a concentrarsi su Kurt. “immagino che mi ci sia voluto un po’ per realizzare che i ragazzi gay erano gli unici Loro che avevo mai guardato in quella maniera, e che non aveva niente a che fare con mio padre. La prima volta che ho realizzato che non volevo solo essere Loro, ma che ero Loro, sono andato fuori di testa.”

“So come ci si sente,” disse Kurt piano.

“Sì, certo.”

“Lo so. Sono sempre stato un Loro, almeno nel modo in cui tuo padre vede le cose. Ma quando ho pensato per la prima volta alle parole, o le ho dette ad alta voce, specialmente quando ho iniziato a dirle ad altre persone.. sembrava così definitivo, sai? Avrei potuto andare avanti ed essere favoloso e non etichettato, ma invece stavo scegliendo di mettermi in una scatola.” Scrollò le spalle. “Ci vuole un po’ a capire che nulla sull’essere gay è una scelta. Non stavo cambiando niente di me non dicendo quelle parole. Se non l’avessi mai detto a nessuno, sarei comunque rimasto gay.”

“Sì.” Dave ci pensò su. “Sì, penso di sì. Merda, Fancy. Hai davvero la testa a posto su questa roba, vero?”

Kurt sorrise. “Mi ci è voluto tanto tempo, e un paio di errori imbarazzanti.”

“Oh?” Dave contraccambiò il sorriso dopo un momento. “Bene, siamo facendo delle confessioni, giusto?”

“Non ti dirò dei miei errori imbarazzanti, Dave.”

“Ma. Confessioni, Fancy! Stiamo legando o qualcosa del genere.”

Kurt scosse la testa. “Potremmo essere sposati con dodici figli e non saremmo abbastanza legati perché io ti racconti alcune di queste storie.”

Dave rise, un’altra profonda, reale risata, e non si prese neanche il tempo per esserne sorpreso. “Non hai le anche per partorire dodici figli.”

Kurt guardò in basso. “Forse no. Quindi ti offri volontario per fare la madre?”

“Cosa?” Dave rideva troppo forte per sembrare davvero shockato. “Vaffanculo, li adottiamo quegli stronzi.”

Kurt non era una ragazza o un bambinetto, quindi quello che fece non poteva essere chiamato una risatina, ma era il termine più vicino a cui potesse pensare. Non aveva quel tipo di risata profonda e spessa che aveva Dave e che poteva essere chiamata risata o qualcosa di equamente dignitoso.

In ogni caso, stava ridendo, gli riusciva difficile non ridere, ma Dave stava seduto lì con le guance rosse e rideva proprio quanto lui, e..

Era semplicemente molto piacevole.

Neanche per Dave, per il suo recupero eccetera. Era solo divertente stare seduti lì a fare i compiti con qualcuno, fare imbarazzanti conversazioni per-conoscerci-meglio e ridere su cose ridicole.

Stava conoscendo Dave Karofsky per la prima volta, e quello che stava scoprendo era che Dave aveva nascosto nel ripostiglio molte più cose delle sue preferenze sessuali. Aveva nascosto la sua intelligenza, il suo sogno di diventare qualcosa di semplice, come un insegnante di scienze. Aveva nascosto la sua rabbia nei confronti di suo padre, quel senso dell’umorismo che risultò in qualche modo compatibile con lo spirito cinico di Kurt in una maniera completamente naturale.

Tutto questo rivelato durante i compiti. Kurt non poté fare a meno di chiedersi cos’altro fosse celato sotto la superficie, nascosto alla vista dall'armadio di Dave.

Scrutò Dave improvvisamente, sospettoso. “Dave.”

“Mmm?” Dave si strofinò gli occhi, il viso rosa e felice.

“Nessuna possibilità che tu canti, vero?”

Dave sbatté le palpebre, sorpreso, e il rosa sulle sue guance diventò rosso. Alzò gli occhi al cielo dopo un momento di troppo. “Sì, no. Dimenticatelo. Non c’è modo.”

Oh, Lacroix. Lui cantava.

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Kurt andò a dormire con un sorriso sulla faccia, ignorando i messaggi che aspettavano sul suo cellulare perché era troppo di buon umore per rispondere a delle domande e parlare di cose serie. L’assemblea che l’aveva terrorizzato per tutta la settimana era il giorno dopo, ma si sentiva così stranamente ottimista su tutto che all’improvviso si sentì capace di riderci sopra.

Sarebbe stato un disastro, ma poi sarebbe finito, ed era Venerdì, quindi avrebbe avuto tutto il weekend per mettersi al pari coi compiti o qualsiasi cosa con Dave.

Aveva un amico. Un amico nuovo di zecca che effettivamente gli piaceva. E sì, okay, c’era ancora un sacco di lavoro in serbo per loro, ma… era come se Kurt fosse ancora più motivato a far superare a Dave quell’intera cosa, l’attacco e l’armadio e la scuola e suo padre. Sapeva quanto lavoro ci fosse ancora davanti a loro, ma era pronto ad affrontarlo come non lo era mai stato prima di allora.

Questo era quello che si diceva tra sé e sé, almeno, mentre spegneva il cellulare e saliva sul letto e sorrideva nel buio pensando a come avrebbe potuto costringere Dave a cantare per lui.

Ma poi si svegliò nel buio e nella tranquillità totale, sentendo dei rumori soffocati provenire dal bagno dall’altra parte del muro, e… e aveva pensato di sapere quanto lavoro ci fosse ancora da fare. Lo sapeva nella sua testa. Quando si alzò dal letto, però, e trascinò i piedi verso la porta e su e giù per le scale per prendere a Dave un bicchiere d’acqua, per sciacquarsi la bocca quando avrebbe finito di vomitare, gli sembrò che avessero fatto un gigantesco passo indietro.

Non era giusto nei confronti di Dave, o di Kurt. Non era un passo indietro, erano solo… andati avanti un po’ presto. Tuttavia, era sempre pesantemente deluso.

Quando la porta del bagno si aprì e Dave lo vide lì che stringeva un bicchiere di acqua, era così ovvio che se Kurt era deluso da questo, l’incubo e il vomito e la mancanza di progresso, Dave ne era veramente sconvolto.

Seguì Dave nella sua camera e si sedette sul bordo del letto. Rimase con Dave per molto tempo, mormorando piano per togliere l’angoscia dagli occhi di Dave, intanto lui si addormentava di nuovo, terrorizzato da quel che avrebbe potuto trovare nei suoi sogni.



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* In francese nel testo, la traduzione è "Sono incredibilmente divertente, grazie."

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


Note: il capitolo non è betato dalla nostra solita gentilissima beta per motivi di Lucca-comics. Ci scusiamo per il ritardo (di nuovo), per farci perdonare la settimana prossima aggiorneremo due volte, un capitolo martedì e uno venerdì :)
Grazie a chi continua a seguirci e alle 36 persone che hanno inserito la storia tra i preferiti, vuol dire davvero tanto per noi :)

 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 12 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/12/The_Worst_That_Could_Happen


“Allora come sta il nostro ragazzo?”

Kurt diede un’occhiata a Santana nel momento in cui lei si sedette al banco vicino al suo. “Tu non frequenti questo corso".

La ragazza guardò a malapena cosa c'era di fronte a lei  - la lezione non era ancora cominciata, e Mr. Royce non stava prestando loro alcuna attenzione. “Di solito ti vedo solo alle prove del venerdì, ma grazie a questa stupida assemblea non faremo le prove. Ecco tutto. Ti ho dato la caccia. Come si fa con un cane. Rispondi alla domanda.”

Non era sicuro se sentirsi stupito o toccato dal fatto che lei l’avesse seguito per avere un aggiornamento sulla situazione di Dave.

Non era nemmeno sicuro di come rispondere alla domanda. Dave… stava migliorando, forse. Stava benissimo, se pensava a come avrebbe potuto stare. La sua vita era un incubo, se la si paragonava a un mese prima.

Stava meglio? Kurt lo aveva pensato un paio di giorni prima, mentre facevano i compiti e si scambiavano stupide battutine sull’avere dei bambini e sulla dimensione del pene della Beiste. Ma poi c'era stata la notte appena passata, con il vomito e gli incubi e… alla fine Dave si era addormentato quando Kurt si era seduto con lui, abbracciandolo. Ma sembrava… così deluso, e così impaurito dal poter sognare ancora qualcosa.

Quindi, come stava il ragazzo? Visto il tempo che Dave passava senza Kurt in giro, era impossibile da dire.

Si fermò e cominciò un paio di risposte diverse, mentre il sopracciglio di Santana si inarcava sempre di più man mano che il suo silenzio andava avanti.

“Penso che starà bene,” disse finalmente. Il giorno prima era finito male, ma c’era speranza attorno al tavolo della cucina, nelle loro battute e nelle risate di Dave. Bei momenti, erano tutto quello che avevano. Non un punto di svolta. Ma anche i bei momenti significavano qualcosa, giusto?

Santana non sembrava soddisfatta della sua risposta. “Tornerà la prossima settimana?”

“Non ha…. Ne dubito.”

Lo guardò male, come se non stesse facendo abbastanza per riportare Dave al McKinley. Con uno sbuffo scivolò dalla sedia e andò verso la porta, la conversazione era chiusa.

Kurt tentò di concentrarsi sulla lezione quando Royce decise di riconoscere l’esistenza dei suoi studenti. Ma la ribellione di Bacon era storia. Probabilmente era un argomento normale nella classe di Storia Americana, ma Kurt non riusciva ad appassionarsi. Perché avrebbe dovuto pensare a cosa accadute centinaia di anni prima quando c’era così tanto che stava succedendo in quel momento?

Forse la caduta di Dave dalle risate agli incubi aveva depresso Kurt più di quanto avesse pensato all’inizio.

 


Dopo la lezione si incamminò per i corridoi. C’erano ancora Algebra, Francese, poi il pranzo, e poi Chimica prima che l’assemblea cominciasse. Poteva sopravvivere. Era una settimana che si diceva che gli importava andare a scuola, altre sette ore non l’avrebbero ucciso.

Ma dopo di quella ci sarebbe stato il weekend.

E Kurt non aveva idea di quello che avrebbe dovuto fare.

Aprì l’armadietto per mettere a posto il libro di storia e prendere quello di matematica, e tirò fuori il suo cellulare di riflesso per vedere se Blaine gli avesse mandato qualche nuova notizia.

Aveva un messaggio, ma il suo cellulare diceva che era da parte di Dave. Ed era un nome che non vedeva apparire sul display da quando aveva dato il suo numero al ragazzo la scorsa domenica, facendolo giurare che se avesse avuto bisogno durante il giorno l’avrebbe chiamato.

Si appoggiò contro il suo armadietto aperto, nascondendo il cellulare dai ragazzini che passavano dietro di lui.

Hey, hai qualcosa da fare domenica? Ho bisogno di una specie di favore.

Kurt sorrise e digitò istantaneamente la risposta sulla tastiera del suo schermo. Non ancora. E ho un debole per gli amici bisognosi. Cosa ti serve?

Avrebbe voluto rimanere lì in attesa di una risposta, ma la campanella suonò e c’era sempre meno gente in giro, quindi sbuffò annoiato e chiuse l’armadietto. La risposta arrivò prima che entrasse in classe, quindi riprese in mano il cellulare e la lesse appoggiato contro il muro.

Devo andare a casa. Devo prendere un paio di cose e voglio andare domenica quando mio padre sarà in chiesa.

Kurt fissò il telefono e non riuscì a pensare ad una risposta alternativa dal ‘se vuoi andare stanotte, sarò più che felice di distrarre tuo padre se è a casa. Potrei, per dire, investirlo con la mia Escalade, e poi investirlo ancora e ancora.’

Non era la risposta migliore probabilmente. Era più che felice di dire a tutti nell’universo come fosse arrivato a disprezzare Paul Karofsky… ma non a Dave. Dave non aveva bisogno di sentire commenti al vetriolo su una persona che ancora ovviamente amava.

Andò in classe senza rispondere, ma tenne il cellulare al suo fianco quando Mr. Erlend cominciò la lezione. Per fortuna, l’uomo praticamente abbracciava la lavagna per un buon ottanta percento delle lezione, quindi era pieno di ragazzi con i cellulari che facevano volare le dita sulle tastiere mentre scrivevano i loro messaggi.

Il cellulare vibrò prima che potesse pensare ad una risposta, ed era ancora Dave.

Prenderò anche il mio SUV così non dovrai più portarmi in giro dopo questa volta. Se vuoi farlo.

Kurt sbuffò e rispose. Ti ci porto. Non mi interessa. Stavo solo pensando che se hai in programma di portarti via molte cose io sono il più inutile set di muscoli a cui potresti chiedere una mano.

Nulla di grande. Ti prometto che non dovrai lavorare per nulla, Fancy. Puoi anche mollarmi sul marciapiede e lasciarmi lì se vuoi.

Kurt tirò su col naso, irritato dalle implicazioni, ma prima di poter rispondere Dave gli mandò un altro messaggio. Adesso hai quella tenera ruga sulla fronte, non è vero? Haha

Ghignò al telefono e si guardò intorno per controllare, ma Erlend era nel bel mezzo di un'equazione della circonferenza o simili e l’intera classe avrebbe potuto esplodere senza che lui lo notasse.

Sei tremendamente compiaciuto per un ragazzo che sta chiedendo un favore.

Hai già detto che mi porti, non puoi tirarti indietro adesso.

Sono una persona in una società democratica, sono praticamente obbligato a cambiare idea se voglio. È l’onere del libero arbitrio.

Cavolo, Fancy, calmati. Non vuoi cambiare idea, sei un ragazzo gentile e io sono un invalido.

Kurt sorrise al telefono, mentre le nuvole di testo andavano sempre più su. Le risposte di Dave erano veloci, era probabilmente seduto sul letto, o in soggiorno, e guardava il telefono aspettando.

Kurt sorrise dolcemente al pensiero.

D’accordo, hai vinto. Ti porterò laggiù e verrò dentro con te, ti aiuterò a portare fuori le cose e tutto quello che vuoi. Ho una debolezza, ora lo sai. Contento?

Estatico.

Dave! È una parola di tre sillabe, sono così fiero! Stai facendo emergere quell’intelligenza così tanto nascosta volta per volta.

Ci fu una lunga pausa prima che Dave rispondesse, e Kurt dovette fare i conti con l'inquietante e sempre imbarazzante sensazione che il messaggio venisse frainteso e fosse interpretato come qualcosa di offensivo.

Quando il cellulare vibrò di nuovo emise un sospiro di sollievo, e diede un’occhio alla nuvola di testo che era apparsa. Mentre stava leggendo, un’altra nuvola apparve seguita da un’altra ancora, e poi un’altra.

Allora, una delle teorie della fisica che ho sempre trovato molto interessante è quella del principio di indeterminazione. È qualcosa che riguarda la fisica quantistica che questo tizio che si chiamava Heisemberg scoprì qualche tempo fa. Dovresti sapere qualcosa di particelle atomiche e stronzate del genere perché lo spieghi in maniera dettagliata, ma la versione in inglese semplice è: non puoi misurare esattamente dove un elettrone sia e dove dovrebbe andate nello stesso tempo. (*)

Erano tre nuvole di testo, e Kurt aveva gli occhi dilatati per lo stupore e non riusciva a togliersi quel sorriso di dosso.

Andava avanti: E il problema della focalizzazione, capisci? Puoi misurare vicinanza e il momento ma non allo stesso tempo con le stesse misurazioni. Quindi ogni volta che provi a concentrarti su una sola di queste due cose, l’altra misurazione sarà meno accurata, daccordo?

Ci fu una pausa. Kurt fissava queste grandi nuvole gialle sullo schermo, e ci mise un secondo a realizzare che effettivamente Dave stava aspettando una risposta.

Mi hai perso da qualche parte intorno a “fisica quantistica”, digitò infine.

Il punto è, ci sono un sacco di stronzate in fisica che puoi applicare al mondo reale, ed è una delle ragioni per cui mi piace così tanto. Puoi leggere del movimento degli atomi e scoprire questa gigantesca verità sul mondo. Come in questa teoria, quella di Heisemberg. Quello che dice è che in sostanza se ti focalizzi su chi SEI non puoi focalizzarti su dove stai ANDANDO  e viceversa. Per tutto il tempo il mio grosso problema (d’accordo, uno dei miei problemi, stai zitto) è stato il fatto di essere ossessionato da dov’ero ogni singolo secondo. Stavo recitando questo ruolo del ragazzo che mio padre voleva e della persona che i miei amici piaceva, ma questo è niente a confronto con il fatto che ero fottutamente ossessionato dal fatto che ogni parola e movimento dovessero essere quelli giusti. Non potevo rilassarmi per un cazzo di secondo.

Kurt cominciò ad avere una lieve sensazione di vertigini – poteva appena leggere una nuvola prima che l’altra apparisse e voleva solo scrollare  e rileggere tutto dall’inizio ora che sapeva che le cose stavano diventando serie, ma non poteva perché non avevano ancora finito.

Ma come dice la teoria, visto che ero ossessionato da chi ero, avevo totalmente dimenticato dove stavo andando. Così un giorno mi sono preso un secondo e mi sono guardato attorno e ho realizzato che ero un gigantesco stronzo e che eri spaventato da me, non solo, metà della scuola mi odiava e laltra metà aspettava solo che facessi un passo falso, così avrebbero potuto prendere il mio posto. Quindi quello che cerco di dire è… sto cercando di trovare una sorta di equilibrio. Sto cercando di scoprire chi sono ora e dove voglio essere alla fine. Ha senso?

Aveva tutto il senso del mondo, e Kurt stava sorridendo come un’idiota ma in realtà avrebbe voluto piangere, anche, perché era totalmente e assurdamente fiero di quel ragazzo dall’altra parte del cellulare.

Prima che potesse digitare la sua imbarazzante risposta, un altro messaggio comparve:

Comunque, Fancy, l’altra cosa che sto cercando di dire è che BOOM, sono DANNATAMENTE INTELLIGENTE.

Rise, e non riusciva a smettere. Rise finchè la maggior parte dei ragazzini intorno a lui lo fissarono. Finchè persino Erlend si girò, chiedendosi chi stesse disturbando. Si accucciò sulla sedia e nascose il telefono, mordendosi forte la lingua per calmare le risate.

Quando Erlend tornò alla lavagna per continuare la sua noiosa lezione, Kurt cercò di darsi una calmata. Fece una smorfia a Jacob Ben Israel, l’unico che continuava a fissarlo, e rispose finalmente a Dave.

Sono quasi stato mandato fuori da Algebra, razza di stupido. E se sei così DANNATAMENTE INTELLIGENTE perché non usi l’apostrofo come si deve? Sto iniziando a pensare che tu sia allergico o qualcosa del genere. (**)

Erlend è veramente noioso. Non insegna, declama monologhi alla sua dannata lavagna. E tu dovresti sentirti fortunato che scriva in questo modo. X l mgr prt d m mc dvr scrvr n qst md.

Se lo avessi fatto avrei già spento il telefono. Quindi non mettere l’apostrofo è la tua versione di giocare allo stupido atleta? Dio, deve essere complicato essere nella tua testa.

Beh, il mio telefono è irritante e devi premere tre diversi bottoni per far comparire un apostrofo. Non tutti possiamo avere liphone.

Kurt guardò Erlend, e poi l’orologio. In realtà poteva mettere via il telefono e sentire cosa stesse dicendo – voleva davvero essere promosso in quella materia. Ma si sentiva di nuovo come quando stavano facendo i compiti un paio di sere prima. Gli sembrava di essere d’aiuto, come se non avesse importanza quanto le cose potessero andare male a casa, anche se Dave era fisicamente bloccato in un bagno appoggiato sul pavimento, riusciva ancora a fare delle battute con il cellulare. Doveva essere un buon segnale.

Quindi si accomodò. Incrociò le gambe e si sistemò sulla sedia. Non dirmi che sei uno di quegli snob anti-Mac? 

Divertente, ti stavo per chiedere di non dirmi che eri uno di quelli che fantasticano sul dare a steve jobs un hummer.

Kurt sorrise dietro le spalle di Erlend e lo sguardo fisso di Jacob, e si preparò ad insegnare a Dave Karofsky tutto su come la Apple fosse la civiltà e lui fosse da compatire per la sua ignoranza da amore per i PC.

 


Figgy non aprì l’assemblea.

Fu una buona mossa strategica, in quanto il preside era la personificazione dell’Insipidità, ma fu comunque una sorpresa. Kurt non aveva nessuno a cui spiegare questa novità, visto che tutti quelli del glee club erano dietro il sipario aspettando di eseguire la loro canzone. Mercedes e Tina di solito erano accanto a lui per quelle cose, e si sentiva un po’ solo senza di loro.

In più, il suo cellulare si era scaricato nel primo quarto d’ora del pranzo, e non aveva nessuna possibilità di andare a recuperare il suo caricabatterie.

Quindi si sedette in silenzio, vicino all’uscita dell’auditorium così da poter andare via in fretta quando quella tortura fosse finita.

Non sapeva cosa aspettarsi dallo speaker che Figgins aveva assunto, ma il ragazzo che salì sul palco non era niente male. Un po’ più giovane di quanto Kurt si aspettasse, ma con una divisa alla marinara (non di marca, poteva dirlo con certezza, ma alla marinara lo stesso) e stava dietro il podio con un telecomando in mano e un sorriso in volto. Dietro di lui c’era un proiettore di quelli che usavano sempre per vedere quei documentari che avevano come tema il guidare ubriachi o l'educazione sessuale, che era stato posto davanti al sipario.

“Buon pomeriggio a tutti. Come va ragazzi?”

Kurt alzò gli occhi al cielo quando sentì dei mormorii di circostanza in risposta.

Non sembrò abbattersi. Sorrise di più e premette un pulsante sul telecomando. “La prima volta che ho cercato di suicidarmi,” cominciò un attimo dopo, “avevo otto anni.”

La fotografia mostrava un bambino che sorrideva in un letto d’ospedale con entrambe le braccia fasciate e un palloncino legato alla gamba del tavolo vicino al letto.

Gli occhi di Kurt rimasero immobili e sbattè le palpebre.

“Quello fu l’anno in cui un bambino che viveva nel vicinato scoprì che razza di sfigato ero,” lo speaker continuò con calma, dando le spalle allo schermo. “Non avevo alcuna idea di cosa fosse uno sfigato, naturalmente. Ma questo ragazzo, Mike Lewis, aveva un talento nel vedere cose come quella. Quando lui disse a tutti nel quartiere che ero un perdente, suppongo che divenne più evidente anche per gli altri ragazzi, perché lo seguirono subito. La notizià arrivo in fretta a scuola, e alla fine mi sentivo come se le altre persone pensassero che il mio nome fosse Sfigato. Un giorno Mike mi prese in un angolo e mi chiese come mai non mi buttavo sotto un’auto. Non riuscii a pensare ad una buona risposta, così lo feci.”

Sorrise, come se non gli importasse, e schiacciò il pulsante. L’altra fotografia mostrava lo stesso ragazzo – ampio sorriso, denti davanti mancanti, guance paffute, capelli castani e un aspetto totalmente normale. Non c’erano palloncini in ospedale quella volta.

“La seconda volta fu al mio decimo compleanno. Mike disse a tutti che chi veniva alla mia festa era un frocio viziato come me, ma mia madre continuava a chiamare e chiamare anche se sapeva cosa era successo, mentre io piangevo seduto davanti al tavolo vuoto con la mia torta storta. Ho pensato che lei fosse più triste di quando lo fossi io, e quando andai a letto presi una manciata di quelle pillole nella bottiglia marrone delle quali mia madre diceva che potevano uccidermi se le avessi prese.”

Cliccò ancora. “La terza volta,” andò avanti con lo stesso sorriso, “fu due anni dopo, quando Mike e due dei suoi compagni della squadra di calcio mi accerchiarono mentre tornavo a casa e mi legarono nudo ad un albero giusto dietro al nostro isolato. Mi misero una corda spessa attorno al collo, e cercai disperatamente di soffocarmi con quella prima che qualcuno mi trovasse.”

L’ultima foto era un ingrandimento della linea rossa sulla pelle della gola del ragazzo. C’era una didascalia che diceva che quell’immagine era di proprietà dell’ufficio dello sheriffo del Mason County.

Lo speaker, quel ragazzo normale nei suoi vestiti economici che non si era nemmeno presentato, ghignò. “La volta successiva…” disse, alzando gli occhi al cielo.    

C’erano un paio di risatine imbarazzate dagli studenti. Kurt si guardò intorno per vedere un sacco di visi pallidi e non il solito messaggiare di continuo e parlare a voce bassa con il vicino.

Andò avanti. E avanti. Riuscì a mantenere una certa leggerezza fino al tentativo numero sei (la foto era della sua scuola di quell'anno, quando disse loro che stava cercando di rinchiudersi nell’armadietto senza lasciare tracce e senza che sua madre lo scoprisse.) Dopo quello la storia diventò sempre più umiliante, e i tentativi sempre più disperati, e non sorrideva più.

Era un racconto dietro l’altro di quel ragazzo, Mike Lewis, e dei suoi amici. L’imbarazzo era superiore all’umiliazione, e lo speaker nelle foto sembrava così normale, di solito sorrideva, e Kurt non aveva idea di come si sentissero gli altri, ma lui aveva un crampo allo stomaco. Se avesse visto quel ragazzino al Mckinely non l’avrebbe neanche notato. Come potevano sei seri tentativi di suicidio non lasciare il segno sul volto di un bambino?

Al tentativo nove c’erano persone nell’auditorium che piangevano. Lo speaker parlò loro del fatto che sua madre, preoccupata, lo avesse mandato da un terapista, avesse parlato con gli insegnanti. I servizi sociali lo avevano portato via di casa una volta, ma non abbastanza lontano da scappare da Mike Lewis, e quando provò a suicidarsi in un’altra casa le autorità realizzarono che sua madre non c’entrava nulla.

Dovette arrivare il suo primo anno al liceo prima di riuscire quasi ad inghiottire le medicine di sua madre con successo. Dopo quello si trasferirono, cambiarono vicinato e scuola, si lasciarono Mike Lewis alle spalle. Dopo quello, disse agli studenti, era calmo e serio e terrorizzato dall’idea di provare a farsi degli amici, quindi lui era un completo mistero per la sua nuova scuola. Cercava così disperatamente di essere ignorato che un paio di insegnati pensavano fosse muto fino a quando sua madre non andò ad una riunione.

“Spero” disse serio, guardando gli studenti del McKinely, “che qualcuno vi dica che il liceo e le cose che succedono qui non sono tutta la vostra vita. Spero che qualcuno vi dica che quando lascerete questo posto dovrete solamente attraversare la città per trovare un lavoro, amici, un’intera nuova vita dove nessuno saprà cosa vi è successo dentro queste mura. Perché quando ho realizzato questa cosa, quello è stato il giorno migliore della mia vita.”

Premette di nuovo il telecomando, e alcuni degli studenti avevano iniziato a sobbalzare ad ogni click. Quella volta ci fu un discreto shock quando video l’immagine.

Un uomo, sulla ventina. Non era lo speaker ma non potevano riconoscerlo. Aveva i capelli scuri ed era bianco, e gli occhi indicavano che doveva avere una discendenza asiatica. Ma aveva il naso rotto; gli occhi erano entrambi neri, le labbra nere e spaccate.

Lo speaker diede loro un attimo, e poi parlò: “Questo è Mike Lewis, e questo è quello che gli è successo quando avevo ventitre anni e lui passò sul marciapiedi fuori del mio noioso e comodo lavoro.” 

Quella volta non guardò la foto. “La polizia mi disse che ci vollero tre persone per togliermelo dalle mani e ancora oggi non riesco a ricordare nulla. Il mio avvocato era una donna anziana molto gentile che provò a far dire al giudice dagli psichiatri che un’intera vita di abusi mi aveva reso temporaneamente incapace di intendere e di volere. Non so quanto fosse vero. Tutto ciò che so è che dopo sei mesi passati in prigione per aggressione era praticamente impossibile poter essere riassunto al mio lavoro comune, comodo e noioso. Non avrebbero dovuto comportarsi così duramente con me, ma io avevo distrutto alcune ossa della mascella di Mike così irreparabilmente che non sarebbe mai più stato in grado di mangiare cibi solidi. ”

Pigiò il pulsante un’ultima volta e tutti si fecero coraggio, ma la foto successiva era la prima: un ragazzo dalla faccia tonda e piena che faceva una smorfia verso la macchina fotografica con delle ingessature alle braccia.

Riprese il suo discorso con poche solenni parole su come le persone possano parlare fino a quando sono livide dalla rabbia sostenendo quanto sia ingiusto prendere in giro gli altri. Non poteva aggiungere altro, perché parlarne non cambiava le cose. Tutto ciò che disse basandosi sulla sua stessa esperienza personale era che c’erano conseguenze alle azioni dei bulli che loro stessi non potevano nemmeno a iniziare a comprendere.

Non era niente di profondo o di emozionante, ma non avrebbe dovuto esserlo comunque. Kurt era abbastanza certo del fatto che lo speaker avesse raggiunto il punto almeno tre foto prima.

Kurt li osservò, la marea di volti familiari che vedeva nei corridoi ogni giorno. C’erano ancora poche giacche nere nella folla. Non tante quanto lunedì, ma Kurt aveva notato che alcune persone avevano tolto il logo delle Bully Whip e lo avevano cucito sui loro zaini o lo avevano appuntato sui vestiti. Santana sembrava disposta ad accettarlo.

Burt gli aveva detto che aveva quasi perso la speranza nella sua scuola, ma Kurt aveva sempre saputo che i ragazzi erano solo ragazzi, che erano stupidi, crudeli e cattivi perché erano ragazzini stupidi. Il novantanove percento delle volte non capivano cosa diavolo stessero facendo.

Persino Jason Campbell, in modo orribile. Dave aveva detto a Kurt che Jason o uno dei suoi due amici bastardi aveva affermato durante l’aggressione che lo stavano facendo come favore nei suoi confronti, per aiutarlo a non essere più gay. Che dopo li avrebbe ringraziati.

Sembrava quasi impossibile da accettare, troppo orrendo per essere vero, ma Kurt si domandò se quei ragazzi non avessero davvero creduto a quelle parole, almeno un pochino.

Sapeva che le persone riuscivano a essere doppiamente crudeli solo per il gusto di esserlo. Raramente facevano la cosa sbagliata solo perché erano cattivi. La cosa più spaventosa era che riuscivano a giustificare le proprie azioni a se stessi. Si mettevano nel ruolo dell’eroe, e nel frattempo facevano del male, ridicolizzavano e aggredivano. In qualche modo credevano davvero in ciò che stavano facendo.

Era la cosa più terrificante delle persone, il modo in cui riuscivano a ottenere giustificazione per il male compiuto.

Non ci furono annunci dopo che l’oratore uscì dal palco nel silenzio generale. Solo un momento o due di pausa, dopodiché attaccò la musica.

"Mother...mother..."

Kurt aveva guardato i suoi amici del Glee Club durante le prove del numero, ma era tutto diverso in quel momento. L’umore all’interno dell’auditorium era cupo, triste e scosso e la band stava suonando quel lento canto funebre che Schue aveva montato. 

"Brother...brother..."

Quando cominciatono a uscire sul palco,tutti indossavano i loro costumi. Kurt li aveva già visti, alcuni aveva aiutato a cucirli. Ma era tutto differente. Erano tutti quanti vestiti nella stessa maniera, con una retina nera a coprirgli la faccia. Faceva molto Lady Gaga agli MTV Awards, con il tessuto stretto sul volto. Rachel aveva detto durante le prove mentre stavano cucendo e organizzando il tutto che era una cronaca riguardante il conformismo.

La versione finale di What’s Going On fu più lenta dell’originale o del successivo rifacimento e mentre cantavano uno ad uno fecero a pezzi la maschera sul viso e la retina nera, rivelandosi poi in brillanti e meravigliosamente contrastanti stili. Rachel era nel suo completo odioso con la gonna e il barboncino sul pullover, Tina aveva esagerato col gotico. Finn indossava il suo jersey, Mercedes sembrava totalmente favolosa nel suo normale stile fatto a strati.

Era una canzone di protesta, ma le New Directions la eseguivano, la interpretavano, non reagivano solamente alla situazione. Iniziarono allo stesso modo, spaventoso e meraviglioso e sbagliato. Alla fine le differenze di ognuno erano chiare, erano tutti insieme ed era un vero e proprio trionfo. Era una sfida verso le persone che li attaccavano per via della loro diversità e Kurt quasi si pentì che non ci fosse qualcuno lì sopra a rappresentare i gay.

Non riguardava Dave. Finn aveva avuto ragione. Quando Kurt era fuggito via dopo la prima prova, Finn aveva detto che l’esibizione non era su Dave, era semplicemente una dichiarazione di unità, come aveva sostenuto il signor Schue. Celebrare le differenze invece di provare a combatterle negli altri. Kurt non rimpiangeva di essersene andato, perché il tutto era riguardo Dave secondo lui. Ma era stata una cosa veramente potente e quando terminarono di cantare fu il primo ad alzarsi e ad applaudire.

 


Mentre gli studenti stavano andando via, Kurt si recò nel backstage. Aiutò a mettere via i pezzi di rete nera abbandonati sul palcoscenico e abbracciò Rachel così forte da farle scricchiolare le ossa.

“A volte le tue idee sono davvero fantastiche”, le disse con sincera ammirazione.

Quando sciolse l’abbraccio, lei aveva gli occhi brillanti e gli sorrise con il suo sorriso da superstar. “Le mie idee sono sempre-”

“Non rovinare il momento.”

Andò a cercare Mercedes e, anche se non si era esibito, si stava godendo l’adrenalina da post canzone esattamente come molti di loro.

Però, quando Mercedes gli chiese se volesse andare da Breadstix, Kurt si scusò e declinò l’invito. Era stata una giornata migliore di quello che temeva avrebbe potuto essere, ma non pensava di essere l’unico studente del McKinley a lasciare la scuola senza molta voglia di festeggiare.

Era stato un peccato il fatto che il Glee Club fosse dietro le quinte mentre lo speaker era sul palco. Per quanto amasse tutti (la maggior parte) nelle New Directions, alcuni di loro avrebbero potuto trarre dei benefici dal discorso. E alcuni di loro avrebbero visto che i loro stupidi problemi da triangolo amoroso erano sciocchezze in confronto a quello che alcuni ragazzi dovevano affrontare.

Non disse una parola, comunque. Erano tutti euforici e così avrebbero dovuto rimanere: la loro era stata una performance strepitosa.

 


C’era una macchina strana parcheggiata fuori casa sua, una berlina coi vetri scuri.

Kurt già si sentiva come se avesse una ferita ancora praticamente scoperta, non sapeva cosa ci facesse lì quella automobile e non era sicuro di volerlo scoprire.

Ma la macchina era a casa sua e Dave era dentro casa sua, per cui… Mise la sua auto dietro la strana berlina e uscì fuori, dando uno sguardo alla macchina e alla sua abitazione immersa nel silenzio.

Quando aprì la porta principale, sentì delle voci interrompersi. Fissò la porta mentre la richiudeva incerrto e vide due donne sedute nel suo salotto. Due donne adulte sconosciute, ma ben vestite.

E Dave.

Stava per chiedere cosa stesse accadendo, ma i suoi occhi andarono sul viso di Dave e sentì lo stomaco sottosopra. Posò per terra la cartella all’istante mentre si accostava velocemente al tavolino da caffé, andando vicino Dave.

“Cosa c’è? Cosa sta succedendo?”

Dave non lo degnò di uno sguardo. I suoi occhi erano fissi sul pavimento, era seduto sulla poltrona dove di solito si sedeva Burt con la schiena dritta e la testa curva.

Kurt si avvicinò e la sua mano trovò il braccio di Dave all’istante. Dave non si mosse, non sembrò neanche notare che Kurt fosse con lui, ma Kurt dovette reprimere un sospiro sorpreso quando si rese conto di quanto Dave fosse teso.

Si appoggiò meglio, cercando il volto di Dave. Era pallido, era bianco come un cencio, cazzo e respirava a scatti. E a malapena guardava il pavimento.

Kurt si fece forza e affrontò le due estranee. “Cosa sta succedendo,” disse, una pretesa questa volta, piuttosto che una domanda.

La più giovane delle due donne aveva capelli e occhi scurii, probabilmente era ispanica. Aveva i capelli tirati indietro, il suo trucco era perfetto e leggero. Si chinò in avanti dopo un momento di silenzio e gli tese la mano. “Tu devi essere… Kurt?”

“Cosa sta succedendo?” chiese di nuovo Kurt all’istante, ignorando la sua mano. Non voleva lasciare Dave.

Andò oltre tranquillamente. “Mi chiamo Gloria Martin, signor Hummel. Sono un pubblico ministero dello Stato dell’Ohio. Questa è Missi Vander-”

“Non mi importa chi voi siate!” Kurt stava aggredendo delle estranee. Donne adulte. Di cui una era unprocuratore. Il suo salotto sembrava essere uscito da un episodio di Law and Order e lui stava strillando.

Dave si spostò sotto le sue mani. Non alzò lo sguardo, ma parlò senza espressione. “Diteglielo.”

Il pubblico ministero, Gloria o in qualunque modo si chiamasse, guardò Dave prima e poi Kurt. “Siamo qui per un motivo di cortesia, signor Hummel, per aggiornare David sul suo caso contro-”

La seconda donna, Missi, si sporse per seguire il procuratore. Parlò più bruscamente. “Lo Stato sta offrendo a quei ragazzi un accordo.”

Kurt strabuzzò gli occhi. E spalancò le palpebre nuovamente. Guardò verso Dave e si ritrovò quasi a inciampare fin quando non riuscì a sistemarsi sulla sedia.

Si sedette sul bracciolo accanto Dave. Osservò le due donne. “Cosa?”

“E’ una cosa che accade spesso,” disse Gloria il Pubblico Ministero lanciando un veloce sguardo carico di disapprovazione alla sua amica, “in casi come questi. Alla fine è meglio per tutte le parti coinvolte. Evita tutto il lungo e complicato processo di un procedimento giudiziario. Permette a David di non testimoniare, di non-”

Cosa?” Kurt non riusciva più a ragionare. Sedeva lì, fissava quelle due donne e improvvisamente sperò con tutto se stesso che suo padre fosse già a casa.

“Non li stiamo lasciando andare,” affermò il procuratore, la sua voce improvvisamente carica di tensione -  come se non fosse la prima volta che diceva quelle parole.

“Non tutti quanti,” aggiunse l’altra donna, a bassa voce.

Kurt sbatté gli occhi guardandola - ancora non riusciva a connettere, davvero, ma voleva sapere chi lei fosse esattamente.

Lei lo guardò dritto in viso e qualcosa nel suo volto senza nome gli fece nuovamente venire la curiosità, curiosità respinta solo dallo choc. “Due di loro hanno avuto un ruolo marginale. Ci hanno dato un sacco di dichiarazioni contro gli altri tre.Sostengono di non esser stati a conoscenza di ciò che i loro amici stavano progettando di fare e la posizione ufficiale è che crediamo loro. A questo punto i tre che hanno preso parte all’aggressione sono vicini ad un accordo - si dichiareranno colpevoli e lo Stato offrirà loro pene ridotte.”

“Ma voi non… non avete idea di cosa hanno fatto?” La mano di Kurt era ben salda attorno la spalla di Dave, ma Dave stesso nemmeno sembrava notarlo nè poteva importargli qualcosa.

Rispose il Procuratore Gloria e ci fu una sorta di minaccia nei suoi occhi mentre guardava l’altra donna. “Le decisioni sono state prese, gli accordi sono quasi completati. Francamente, non abbiamo nessun obbligo nel consultare o informare semplicemente il signor Karofsky sul processo di patteggiamento, ma il detective Vanderhoek ha insistito affinché venissimo a parlare direttamente con Dave. Ora, se ci voleste scusare-”

“David.” Missi, l’altra donna, il detective, scivolò oltre il pubblico ministero, mettendosi deliberatamente tra lei e la sedia su cui Dave era seduto completamente immobilizzato. “Hai il mio bigliettino da visita, ok? Puoi chiamarmi quando vuoi, ne parleremo ulteriormente presto.”

Dietro di lei, le labbra di Gloria-chiunque-fosse si assottigliarono, ma si girò semplicemente e si diresse verso la porta di ingresso.

La Detective Missi si accigliò davanti a Kurt quando vide che Dave non si muoveva. Cercò un attimo dentro la sua tasca. “Ecco, ne lascio uno anche a te.” Mostrò un piccolo bigliettino da visita color chiaro con un piccolo distintivo nell’angolo. “Usatelo se ne aveste bisogno, tutti e due.”

Kurt fissò il cartoncino. Lo prese lentamente, ma non riuscì a guardarla. Anche se gliene importava qualcosa, anche se aveva combattuto contro… comunque era quello che stavano facendo.

“Vada via” disse, artigliando le dita attorno al bigliettino.

La porta non era neanche completamente chiusa quando la donna si sistemò vicino all’altra, le loro voci dure attutite che svanivano mentre si allontanavano lentamente.

Kurt guardò il biglietto nella sua mano. Capì che stava per fare a pezzi la maglia di Dave che stringeva con l’altra e si ordinò di rilassarsi un po’. Fu lento nel farlo.

Dave ancora non sembrava essere in grado di accorgersi di qualcosa. Né della presa fortissima di Kurt, né delle due donne che se ne erano andate, né di Kurt che, una volta finalmente in piedi, gli chiedeva se stesse bene.

Dave non si mosse, non per molto tempo. 


Note di Traduzione:
(*) Teoria del Principio di Indeterminazione di Heisenberg.
(**) Kurt si riferisce al fatto che Dave non utilizza gli apostrofi nelle espressioni don't, can't, aren't e via dicendo. In italiano una cosa del genere era veramente impossibile da rendere, quindi abbiamo provato a dare lo stesso effetto togliendo gli apostrofi dopo la "l" o quando andavano.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Note: il capitolo non è betato.
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 13 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/13/The_Worst_That_Could_Happen


Kurt gli tirò fuori il bigliettino da visita con il piccolo distintivo nell’angolo.

Burt lo prese inarcando un sopracciglio e gli diede un’occhiata. “Questo cosa ha a che fare col fatto di andare a chiamare Dave per la cena?”

“Lui non scenderà.”

Burt restituì il cartoncino e rimase in attesa.

Kurt sospirò, osservando la base delle scale.

Poco prima, dopo esser rimasto seduto come raggelato per molto, molto tempo, Dave era svanito dal salotto mentre Kurt si era allontanato per prendergli dell’acqua e da quel momento si era rinchiuso nella sua stanza.

Kurt aveva bussato alla porta prima di tornare al piano di sotto, ma non aveva ricevuto risposta ed era abbastanza sicuro che quello non fosse un buon momento per cercare di risolvere la questione.

“Questa donna, la detective.” Kurt guardò il bigliettino. “Era con Dave quando sono tornato a casa, con un pubblico ministero.”

Burt si accigliò completamente. “Ah.”

“Stavano dicendo a Dave degli accordi fatti con la difesa dei ragazzi arrestati. ”

“Ah.” L’espressione di Burt non mutò di una virgola.

Kurt deglutì. “ I due che non l’hanno aggredito… li lasceranno andare perché hanno fatto fare tutto agli altri ragazzi. I rimanenti si dichiareranno colpevoli e avranno delle pene ridotte. E Dave dovrebbe anche ritenersi fortunato del fatto che quella donna, quel pubblico ministero del cazzo, sia voluta venire qui a dire cosa stesse succedendo, perché sembra proprio che lui sia l’ultima persona che conti in questa situazione.”

Burt lo guardò, il volto per niente cambiato e Kurt pensò quasi che si fosse perso qualcosa del suo ragionamento, che tutto quanto non fosse poi così importante come riteneva. Ma doveva esserlo, no? Come non avrebbe potuto essere importante?

Dopodiché, vide sulla mascella del padre una vena che stava pulsando e capì che aveva appena imprecato senza venire rimproverato.

Burt fece improvvisamente vagare lo sguardo alla cucina quando sentì le voci di Carole e Finn che chiacchieravano in modo allegro da madre a figlio. Si voltò verso Kurt, guardandolo calmo come sempre. “Dì a Carole di mettermi da parte un piatto”. Si allontanò, gli tolse dalla mano quel bigliettino e si diresse verso le scale.

Kurt osservò la schiena di suo papà e il sollievo lo fece leggermente rilassare. Burt si sarebbe senza dubbio preso cura di tutto quanto, in qualsiasi modo possibile. Non era il padre di Dave, perché Dave non aveva un genitore a combattere quella battaglia con lui. Non aveva un padre che fosse disposto a darsi da fare.

Una raffica di risate provenienti dalla cucina attirò la sua attenzione. Kurt vi si diresse, spingendosi oltre la porta ed entrando in cucina; in qualche modo il profumo del pollo arrostito e la vista di Finn che batteva a tempo le posate sul tavolo cantando qualcosa mentre sua madre lo osservava ridendo… lo fece solo sentire peggio.

Finn lo vide e si fermò. “Ehi, fre." (*)

“Carole, ha detto papà di conservargli qualcosa. E io non… io e Dave non siamo molto affamati ok?”

Carole si voltò verso di lui, la sua risata sparì. “Kurt?”

Fece in modo di rimandare le sue domande o preoccupazioni. Le indirizzò il miglior sorriso che riuscì a tirar fuori, le voltò le spalle e si trascinò fuori dalla cucina.

Andò al piano di sopra con lentezza, sentendosi pesante e sfinito.

Il ragazzo all’assemblea quello stesso giorno… Kurt si chiese perché gli speaker di quel tipo fossero gli unici a parlare ai bulli. Quell’uomo era stata una vittima, ma non aveva raccontato storie di quasi una decina di tentativi di suicidio solamente per farsi capire dai ragazzi che erano nella sua stessa barca. Parlava ai bulli, o a coloro che stavano semplicemente a guardare facendo nulla.

Non aveva parlato a Dave, o ai ragazzi del Glee o ai geni della matematica o a chiunque altro avesse già tentato di togliersi la vita in passato o che lo avrebbe fatto in futuro. A loro dedicò solo poche parole al termine- questa non è tutta la vostra vita, una volta andati via di qua nessuno nel mondo reale saprà o gliene importerà qualcosa. Questi anni non determineranno ciò che diventerete. Ed era un buon messaggio. A volte era facile pensare che il liceo rappresentasse il mondo intero.

Ma non era sufficiente.

D’altronde, cosa avrebbe potuto dire uno speaker se avesse voluto farsi capire dalle vittime di quei reati?

“Rassegnatevi ragazzi, perché non c’è ovviamente alcuna giustizia là fuori?” Anche se era la pura verità, sarebbe stata troppo cupa per una presentazione in powerpoint in un auditorium.

Kurt si fermò davanti la porta di Dave e vi bussò dolcemente. “Dave?”

Non ottenne risposta.

“Dave, ho detto a Carole che non avevi fame. Ci sono… degli avanzi nel frigo, se ti… dovesse tornare l’appetito più tardi.” Ma che diavolo stava dicendo? Avanzi di pollo? A chi importava degli avanzi di pollo?

Scosse la testa irritato, ma non c’era stata comunque risposta alle sue parole e si diresse verso la sua porta. Riuscì a sentire la voce di Burt, attutita, proveniente dalla stanza da letto sua e di Carole. Non aveva un tono felice, ma Kurt scivolò verso la sua stanza senza provare ad ascoltare di sfuggita qualcosa. Se ci fossero state delle novità, suo padre gliele avrebbe comunicate e comunque Kurt aveva visto abbastanza Law and Order per capire che nessun padre arrabbiato sarebbe mai riuscito a fare qualcosa per far cambiare idea a un pubblico ministero così stronzo.

Si sedette alla sua scrivania e afferrò il telefonino. Scorse la sua lista dei contatti, domandandosi con chi avrebbe potuto parlare. Chi avrebbe potuto fare la differenza?

Si blocco sul nome di Santana (bé, era registrata come Satana sul cellulare di Kurt. Stessa identica cosa). Non la chiamò, perché se le avesse detto cosa era successo lei gli avrebbe semplicemente urlato nell’orecchio tutte le cose per cui era già infuriato.

Le mandò invece un messaggio: Lunedì lui non verrà a scuola. Ha avuto una giornata molto dura oggi.

Gli arrivò un sms subito dopo che aveva spedito l’altro e strabuzzò gli occhi perplesso vedendo che proveniva da Finn.

Ehi cosa succede? karofsky sta bene?

Idiota di un fratellastro. Kurt sospirò, ma decise di rispondergli invece che scendere al piano di sotto e parlargli faccia a faccia.

Non sta bene. Ma non c’è niente che tu possa fare. Glielo inviò e fissò lo schermo, chiedendosi cosa fare dopo.

Valutò se chiamare o meno Blaine. Valutò davvero se chiamare o meno Sue Sylvester, ricordandosi della sua offerta di aiutare Dave se avesse avuto bisogno di qualcosa. Alla fine mise il cellulare in tasca e ignorò il computer. Andò a letto e si sdraiò sulle coperte, guardando il soffitto e pensando in modo assolutamente illogico a ogni episodio di Law and Order che riusciva a ricordarsi. Si chiese come si mettessero le cose per le vittime di quegli show televisivi.

Non bene, si ricordò. Di solito, per niente bene.


La sua vita era diventata un continuo saliscendi fatto di alti e bassi, ancora e ancora. Ridere ad algebra grazie ai messaggi di Dave e dopo rimanere sdraiato sul letto per ore il venerdì sera perché l’idea di alzarsi e fare qualcosa gli sembrava completamente assurda.

Alti e bassi, panico e sollievo, risate e poi quello, quello stupido dolore sordo.

A volte quella nausea da movimento lo faceva star male. A volte era un sollievo.

Si stese sul letto per molto tempo, fino a quando non sentì dei passi in avvicinamento provenire dalle scale e poi l’improvviso rumore di una mano che bussava alla porta accanto la sua.

La porta di Dave.

Kurt si raddrizzò, aggrottando le sopracciglia.

“Ehi, Karofsky? Sono io.”

Finn? Kurt si mise in piedi e si spostò verso la porta velocemente, pronto a precipitarsi fuori  e a dire a suo fratello di lasciar stare Dave.

“Ehi, sei sveglio? Guarda, amico, ti sembrerà stupido ma… Puck è fuori con Lauren e Mike ha un impegno con Tina, e Rachel sta andando a Temple o che so io, e sono abbastanza sicuro che Quinn adesso mi odi, quindi…”

Kurt era già alla porta quando sentì qualcosa, un basso farfuglio di risposta che non riuscì a capire per via delle due porte chiuse che stavano tra lui e Dave.

Finn sbuffò. “Rilassati, amico. Se ti avessi voluto chiedere di uscire ti avrei portato dei fiori oppure delle medicine potenti o roba del genere.”

Kurt sollevò un sopracciglio.

“E’ solo che tutti sono fuori, e io voglio bene a Kurt, è mio fratello ma, amico, ma non riesce a gestire un controller, meno che meno sparare a una testa.  E… Halo. Conosci? Io e te giocavamo a CTF (*) su Messanger a volte, so che non te la cavi male. E io sono veramente annoiato. ”

Kurt alzò gli occhi al cielo, per metà scioccato e per metà divertito dal suo tonto fratellastro. Non riuscì nemmeno a sfiorare con la mano la maniglia della porta perché percepì il sottile scricchiolio di un uscio che si apriva e una voce bassa mormorare qualcosa.

Finn esclamò “Fantastico” e due paia di piedi scesero le scale, uno veloce e pesante, l’altro lento e malfermo.

Proprio in quel momento, le personali montagne russe di Kurt tornarono positive e allontanò la mano dalla maniglia della porta, dicendosi tra sé e sé che non avrebbe più chiamato Finn tonto. Mai più.


Ci vollero solo cinque minuti prima che la tentazione avesse la meglio e Kurt si precipitasse nel corridoio e scese le scale, nel modo più tranquillo che poté.

I due erano seduti sul divano e Finn aveva il volume al solito troppo alto, come succedeva sempre quando giocava. Era esattamente se stesso, gridava e scuoteva il controller in ogni direzione tutto in una volta, urlando allo schermo.

Kurt poteva vedere solo il profilo di Dave. Dave non era per niente appassionato alla cosa come Finn, ma era comunque concentrato sullo schermo, e le sue mani si agitavano un po’ mentre usava il joystick. Non sorrideva, ma non aveva nemmeno lo sguardo infelice, se Kurt evitava di soffermarsi sulla sua pelle smorta e le occhiaie sotto gli occhi.

Alcuni spari fecero urlare Finn contro lo schermo, alcune violente imprecazioni riguardo qualcuno che gli dovesse succhiare il suo qualcosa (Kurt aveva imparato a distrarsi quando Finn gridava durante un video game). Finn si sporse e stese una mano, Dave sorrise compiaciuto e la batté senza pensarci e, mentre l'altro continuò a giocare. Dave sbatté le palpebre guardando prima il controller e poi Finn e assunse un‘ espressione leggermente sbigottita.

Kurt pensò che la sua vista si fosse ridotta solo al profilo di Dave, al suo luccichio sorpreso, al modo in cui guardava ancora lo schermo con un piccolo sorriso celato prima di concentrarsi nuovamente sul gioco.

Finn era un genio.


Kurt rimase seduto sulle scale a guardare due idioti che sparavano a delle cose, completamente incapace di andarsene, infatti incominciò addirittura a fargli male il fondoschiena, fino a quando il suo cellulare non gli vibrò in tasca. Sobbalzò, ma nessuno lo sentì a causa del volume della tv così alto da sembrare di essere in una vera sparatoria. Estrasse il telefonino e si accigliò quando vide il nome di Santana sul display.

Se non gli avesse risposto, probabilmente lei sarebbe venuta a casa sbraitando. Si mise in piedi e salì i gradini mentre apriva la chiamata. “Pronto?”

“Yo, ladyparts”

Non era Santana.

Kurt riconobbe chi era, aveva una voce caratteristica, ma rispose ancora con molta calma. “Mi dispiace, non c’è nessuno con quel nome qui.”

“Ah si? Non è quello che dice il cellulare di Santa. Sta proprio adesso sul display – Ladyparts Hummel. Sta zitta, donnicciola, ti chiamo come mi pare e piace.”

Kurt desiderò sorridere riguardo al “Santa” o agitarsi divertito per il fatto che lei lo avesse veramente salvato nella rubrica del telefono con quel nome ridicolo ma, nonostante il suo sollievo per il piccolo sorriso di Dave di un minuto prima, non era ancora completamente di buon umore per fare entrambi.

“Cosa vuoi, Azimio?”

“Cosa cazzo pensi che voglia? Sei tu quello che manda messaggi alla mia ragazza su persone che hanno avuto giornate difficili e roba del genere. Che sta succedendo?”

Ogni volta che Azimio diceva qualcosa, Kurt si sentiva come se avesse bisogno di un istante per digerire tutto quanto. Ok, pareva che Santana fosse la sua “ragazza” in quel momento, qualsiasi significato lo slang  in uso assegnasse alla parola. E Azimio lo stava contattando per chiedergli del suo messaggio.

Oh! Azimio stava chiedendo di Dave.

Era decisamente un’ottima cosa.

Kurt rientrò in camera e chiuse la porta. “Pensavo che il messaggio si spiegasse da sé: Dave ha avuto una giornata difficile.”

“Oh, cazzo, la signorina si sta atteggiando. Come mai ha avuto una giornata difficile, tesoro?”

La bocca di Kurt si sollevò leggermente in alto, ma si schiarì la voce e controllò il tono. “Se vuoi davvero che ti dia delle informazioni, allora dovresti iniziare a usare dei soprannomi maschili. Ti risponderei più garbatamente. ”

Azimio ululò una piccola risata al telefono. “Come ti pare, maschiaccio. Rispondi alla domanda.

Kurt alzò gli occhi al cielo. Non riuscì a fare a meno di pensare però alle cose che avevano rallegrato Dave ultimamente- fare i compiti, giocare ad Halo, mandargli dei messaggi sulla fisica. Tutte cose che lui faceva di solito, tutte cose che nell’ultimo paio di settimane gli erano state portate via. Cose normali, cose appartenenti al Prima.

A Kurt poteva non piacere Azimio Adams (nonostante gli fosse davvero esasperatamente difficile odiare Azimio Adams), ma era comunque un’ampia parte della vita di Dave nel Prima.

Quindi decise di dargli una possibilità. “Forse dovresti chiederlo tu stesso a Dave.”

Ci fu una pausa nella conversazione, da dove stesse chiamando Azimio si sentì in sottofondo un chiacchiericcio di voci femminili. Kurt non credeva in Dio, non era superstizioso, sapeva che non c’erano Forze Superiori nel mondo ad ascoltare i suoi desideri, ma durante quella pausa in cui aspettava la risposta di Azimio, incrociò le dita e sperò.

“Diavolo, se questo vuol dire che debba tornare a usare soprannomi maschili… probabilmente ne vale la pena.”

Kurt sorrise e si appoggiò al muro. “Santana potrà dirti come trovare casa mia, se vorrai venire domani o Dome-”

“Sarò lì tra venti minuti. Fai in modo che sia vestito per ricevere delle visite. Stronzo.”

La chiamata si concluse prima che Kurt potesse rispondergli. Fissò il display del cellulare per un secondo, infastidito, prima di capire cosa fosse realmente successo. Lasciò la camera da letto e guardò giù per le scale, verso il rumore di battaglia in corso, ma esitò e tornò indietro, andando invece verso la porta di suo padre e bussandoci delicatamente.

Burt gli rispose dopo un minuto, apparendo confuso e irritato. “Che c’è?”

Kurt trasalì perché sapeva che quel tono di voce voleva dire che le cose non erano andate proprio bene al telefono tra il padre e la detective.  “Va bene se uno degli amici di Dave viene qui tra poco?”

Burt lo fissò come se gli avesse posto la domanda parlandogli in francese. Aggrottò le sopracciglia immediatamente, in modo duro, ma si chiuse la porta alle spalle e si mosse attorno a Kurt nel corridoio. “Andiamo. Riunione di famiglia.”

Kurt lo seguì, rimettendo il telefonino in tasca e cominciò a farsi delle domande. Loro non erano quel tipo di famiglia che faceva delle riunioni. Facevano la loro cena formale una volta a settimana e di solito si mangiava assieme più delle altre sere ed erano tutti abbastanza sicuri riguardo al fatto che tutto ciò che era nelle loro menti poteva essere tirato fuori senza dover organizzare alcun tipo di incontro.

Burt scese la piano di sotto velocemente, e quando Kurt raggiunse il padre al pianoterra l’immagine sulla tv era bloccata, lo schermo illuminato dall’arancione di un’esplosione a metà. Finn sembrava confuso –come sempre- e Dave si era alzato, come se non fosse sicuro di cosa fare.

Burt svanì in cucina, poi tornò dopo pochi secondi con Carole dietro di lui, che si asciugava le mani su uno strofinaccio.

“Siediti, Kurt.” Burt andò verso la sua poltrona, poi fece segno a Carole di sedersi mentre si metteva alle spalle del mobile.

“Voi, oh.” Dave indicò le scale. “Volete che io-”

“Siediti.”

Dave lanciò uno sguardo a Kurt e si sistemò di nuovo sul divano mentre Kurt si univa a lui e Finn.

Burt li squadrò tutti e tre. Appoggiò una mano sulla spalla di Carole e Kurt si chiese se fosse cosciente di ciò che si accingeva a fare.

“David”. Il padre di Kurt parlò con sicurezza una volta che iniziò.

Kurt fu in grado di percepire la tensione improvvisa di Dave, nonostante non fossero abbastanza vicini sul divano per toccarsi.

“Dave,” disse di nuovo Burt, guardando con cipiglio il ragazzo di questione. “Probabilmente sei già a conoscenza del fatto che non avresti mai messo piede in questa casa se non fosse stato per Kurt.”

Dave fece una smorfia.

Kurt scattò in piedi all’istante. “Papà.”

Suo padre sollevò una mano, gli occhi fissi su Dave. “Kurt è la ragione per cui ti ho portato qui, lo sappiamo tutti questo. Abbiamo avuto i nostri problemi in passato, ragazzo, e non sono delle cose che un genitore supera facilmente. ”

Kurt si inclinò verso Dave senza rifletterci, vedendo la sconfitta che affossava le sue spalle. Adorava suo padre più di qualsiasi altra persona viva o morta, ma questo non significava di certo che non sarebbe saltato giù dal divano e non lo avrebbe affrontato.

“Ok, siamo d’accordo su questo?” continuò Burt. “Devi a Kurt il fatto di essere qui. Ma…”

La mano di Kurt si posò sulla gamba di Dave senza pensarci su un secondo. Fissò suo padre con sguardo di sfida.

“Ma tu sei qui adesso e l’ultima volta che ho controllato non eravamo una casa di rieducazione. Sei sotto il tetto della mia casa. Ciò significa che, per quanto tu abbia dato delle preoccupazioni a me e Carole, noi abbiamo tre figli adesso.”

Dave sollevò gli occhi a queste parole, un’espressione di puro e semplice choc sul volto. “Cosa?”

“Mi hai sentito. Non mi piace l’idea di un padre che volti le spalle al proprio figlio. Non lo farei nemmeno in una situazione normale, figurarsi in questa che non lo è per niente. Hai bisogno di una famiglia ora e non dovresti mai chiederti quando ti metteremo un conto in mano o ti cacceremo fuori. Voglio essere cristallino su questo punto: nessuno in questa stanza è un ospite.”

Un sorriso colse Kurt e quando guardò in basso vide che Dave stava stringendo la sua mano, completamente inconsapevole di ciò che stava facendo. Fissò Burt e Carole, prima l’uno e poi l’altra. Non c’era nient’altro sul suo viso tranne che choc.

Kurt fece scivolare le sue dita tra quelle di Dave e deglutì, guardando suo padre con un sorriso crescente.

Burt ricambiò il suo sguardo, dopodiché osservò Finn. “Sono stato chiaro?”

Finn scrollò le spalle. “Se devo avere a che fare con due fratelli, almeno so che non proveranno a rubarmi le ragazze.”

Tutti gli occhi si concentrarono su Finn. Persino Dave, che sembrava stesse ricominciando finalmente a respirare, lo guardò.

Finn sorrise, ma la sua faccia era diventata rossa. “Era solo per dire.”

Kurt avrebbe voluto ridere, stringere Finn in un abbraccio che lo avrebbe fatto diventare rosso come un pomodoro e renderlo balbuziente per una buona ora dopo.

Ma riuscì a capire, guardando Finn negli occhi, che non era stata davvero una battuta. Al loro interno c'era comprensione. Nessuno avrebbe accettato facilmente un cambiamento così grande nella propria casa, ma Finn sapeva perché sua madre e Burt lo stessero facendo. Sapeva che Dave aveva bisogno di loro, che aveva bisogno di un qualche tipo di sicurezza.

E se avesse dovuto giocare a fare l’idiota coscienzioso e aiutare a far andare ogni cosa al suo posto, lo avrebbe fatto. Era da Finn: era ciò che stava facendo.

Kurt si schiarì la voce, la mano stretta attorno a quella di Dave. “Per la cronaca, vorrei solo dirvi che non ho mai amato nessuno di tutti quanti voi così tanto come in questo momento.”

“Ah, bene”. Anche Burt si schiarì la voce, e i suoi occhi si tuffarono sulle mani intrecciate di Kurt e Dave. Il suo sopracciglio si inarcò, ma si limitò ad alzare le spalle. “Non ci sono solo buone notizie per te, Dave. Ci aspettiamo molte cose da parte dei nostri figli. Avrai lo stesso loro coprifuoco e le stesse regole da rispettare in casa. Loro due devono mantenere alti i propri voti se vogliono essere nutriti, messi al riparo dalle intemperie e avere una paghetta. Tu… ne parleremo dopo a riguardo. Ti faremo tornare a scuola, ma ogni cosa a suo tempo. Il tuo dottore ha detto qualcosa sul fatto che c’è un terapista a cui vorresti parlare?”

Dave si schiarì la gola. Guardò Finn e annuì.

Kurt sorrise- Dave avrebbe imparato presto che nella loro casa non si nascondeva nulla e che Finn non avrebbe mai riportato delle voci riguardanti la sua famiglia a scuola.

“Ok. Sistemeremo tutto.” Si accigliò Burt. “Non c’è niente di ufficiale per ora. Per quanto i poliziotti e gli ospedali possano preoccuparsi, non ho interesse nel farli curiosare su ciò che ti accade.”

All’istante Kurt capì ciò che aveva condotto a una decisione del genere: suo padre aveva chiamato quella detective e non aveva ottenuto niente, perché non aveva una vera connessione con Dave.

Burt stava studiando Dave. “Hai diciassette anni, giusto? Non appena ne compirai diciotto non importerà più a nessuno chi è registrato come tuo tutore. Fino ad allora farò qualsiasi cosa in mio potere, ragazzo, ma non sarà tutto come vorrei e non ci sarà niente di cui tu abbia bisogno che non verrà fatto. Quindi, non farò finta che tuo padre non sia più un fattore in gioco. Gli parlerò, vedrò cosa posso fare, ma non aspettarti molto. ”

“Io non…” disse Dave. La sua voce era morbida, meravigliata. “Io non… Non ero pronto a…”

Kurt conosceva bene quel piccolo sorriso che suo padre stava provando a nascondere- lo conosceva davvero bene. Burt aveva un forte senso del dovere quando si parlava di famiglia e aveva sempre agito facendo ciò che aveva sempre fatto per Kurt perché quello era il suo lavoro come genitore. Non si aspettava dei ringraziamenti o dei meriti, per quanto fosse impensierito dal fatto che non stesse facendo nulla di più di un qualsiasi altro genitore. Ogni volta che  Kurt vedeva quel piccolo ghigno orgoglioso sul volto di suo padre, non riusciva a contenersi, ogni volta doveva dirgli per forza quanto fosse fantastico, quanto lo adorasse e quanto gli fosse grato per ogni singola cosa.

Sorrise a quel modo poi a Dave, fissando i suoi occhi sbalorditi e dal modo in cui gli stava afferrando la mano sembrava come se avesse paura che si sarebbe risvegliato dal sogno, una volta che lui si fosse allontanato.

All’improvviso suonò il campanello e sia Dave che Kurt trasalirono al suono.

Burt annuì in direzione della porta. “Dave, non è quel tuo amico?”

Dave si accigliò. “Io non-”

“Sì.” Dannazione, Kurt non aveva nemmeno avuto la possibilità di dire a Dave di Azimio. “Probabilmente.”

Dave lo guardò.

Carole si alzò, sorridendo come aveva fatto per la maggior parte della riunione. Afferrò il marito per il braccio. “Bé… Io e Burt siamo vecchi e abbiamo appena avuto un figlio. Andiamo a letto presto.”

Kurt non riuscì a far allontanare suo padre prima di non esser saltato giù dal divano e averlo trascinato in un abbraccio molto stretto. Ciò voleva dire lasciare la presa convulsiva di Dave, ma Kurt non aveva scelta nella questione.

“Sei fantastico,” disse dolcemente a suo padre.

“Sì, lo sono abbastanza,” rispose con un sorriso, spostando indietro e stringendo il braccio di Kurt. “Non urlate, ragazzi.”

Mentre lui e Carole salivano le scale, suonò nuovamente il campanello.

“Uhm.” Kurt era solo con Dave e Finn. Fece un gran sorriso. “Bene, dovrebbe essere Azimio.”

“Cosa?” La tensione di Dave, che da poco si era allentata, ritornò a raddrizzargli la schiena.

Kurt lanciò a Finn uno sguardo eloquente. “Si, quindi… voi due vorrete parlare o altro.”

Finn alzò gli occhi al cielo e li diresse poi verso la televisione e l’immagine bloccata sullo schermo dell’esplosione del videogioco di prima con un sospiro pieno di rimpianti. “Va bene, come volete.” Si mise in piedi e si diresse verso le scale, mormorando qualcosa su Facebook, sul dover coltivare dei campi e sui venerdì sera patetici.

Kurt lo ignorò (il meglio che riuscì a fare, gli doveva ancora uno di quegli abbracci tipici con cui Hollywood fa terminare i film epici) e andò alla porta. Non voleva che Dave fosse preso alla sprovvista, ma forse sarebbe stato meglio far entrare Azimio prima che Dave potesse iniziare ad avere troppo terrore della cosa.

Aprì la porta e, nello stesso momento in cui vide che Azimio non indossava la sua giacca letterman, si ricordò del fatto che tutto quanto avrebbe potuto essere potenzialmente un vero e proprio disastro, e quindi dovette fare i conti con uno di quei momenti in cui il panico si mescolava al sollievo prima che la porta di casa si aprisse. Invece Azimio aveva addosso la sua giacca nera da Bullywhip e lui a Kurt non piaceva, ma si ritrovò lo stesso a sorridergli.

“Yo,” annuì in direzione di Kurt salutandolo.

Kurt alzò gli occhi al cielo, ma aprì la porta più che poté per farlo entrare. Quando Kurt lo guardò, Dave era in piedi con i pugni serrati sui fianchi, teso e pallido.

Azimio oltrepassò Kurt. Fissò direttamente Dave.

Kurt chiuse la porta di casa e c’era così tanta tensione nell’aria da poterla quasi vedere. Esitò – era come se fosse un duello dove due pistoleri si scambiavano occhiate feroci all’altro in una strada polverosa. Kurt sapeva come i Jets e gli Sharks (*) avrebbero risolto una cosa del genere, ma non aveva la minima idea di come due adolescenti stile macho gestissero le loro faccende.

Superò Azimio, andando dietro al divano e provando a leggere l’atmosfera. Poteva seguire Finn al piano di sopra: forse avrebbe dovuto andare via anche lui? O forse lasciarli da soli sarebbe stata la cosa peggiore che avrebbe potuto mai fare.

“Bè, uh.” Azimio alzò le spalle improvvisamente. “Colpa mia, amico.”

Kurt restò a bocca aperta.

Dave reagì nella stessa maniera, come se tutto ciò che stava aspettando era semplicemente ricevere delle scuse. Lo inseguì per la stanza fino a raggiungere il posto dove Azimio si era piantato. La sua mano destra si chiuse in un pugno strettissimo e mentre gli si avvicinava il suo braccio oscillava avanti e indietro.

Kurt strinse il retro del divano. Dio, era stata davvero una pessima idea.

Il suono del pugno che raggiungeva il suo obiettivo fu fragoroso, come qualcosa in un film che Kurt avrebbe congedato come un effetto sonoro molto scadente.  Azimio inciampò all’indietro, la mano che volava alla sua mascella. Colpì il muro vicino la porta di ingresso e quasi subito il sangue iniziò a colare sul lato della sua bocca.

Dave si girò e tornò al divano. Mentre camminava, scrollava la mano, flettendo le dita. Non degnò Kurt di uno sguardo, si lasciò cadere sul divano e afferrò il suo controller abbandonato e il telecomando della televisione. Abbassò il volume e lanciò il telecomando sul tavolo.

Kurt fissava la sua testa e Azimio. Non riusciva a decidere se fosse il momento giusto per entrare in panico o se avesse già dovuto esserlo da un pezzo.

Azimio fece ruotare il suo collo, sospirando mentre si toccava la bocca e apriva le dita insanguinate. Mosse la mascella, facendo strisciare fuori la lingua per raccogliere il sangue e si pulì ulteriormente il mento sulla giacca. Dopodiché si spostò dal muro, facendo pendere la testa avanti e indietro come se si volesse rassicurare che non fosse in procinto di rotolare via.

Incespicò nei suoi primi passi, poi sembrò essere a posto e in grado di camminare verso il divano.

Kurt lo osservava, afferrando il divano, terrorizzato.

Azimio si sedette sul sofà vicino Dave, che gli lanciò il controller di Finn e sbloccò la partita.

Ci vollero due o tre minuti buoni di sparatorie, di controllers mossi a scatti e uomini sullo schermo con i propri cervelli schizzati ovunque prima che Kurt capisse che… cosa, cosa era tutto quello?

Si spostò attorno al divano e si gettò sulla sedia di suo padre, fissando i due ragazzi sul divano.

“Cazzo, D, dietro-”

“Ce l’ho… merda, il bastardo si sta nascondendo dietro il muro.”

“No problem, faccio io… cazzo, nemmeno una granata. Ma di chi è questa partita? Quel cazzo di Hudson non sa come cazzo equipaggiarsi.”

Kurt riuscì a rilassarsi dopo pochi minuti, fissando anche lo schermo della televisione di tanto in tanto quando c’era un rumore particolarmente forte. Il suo cuore stava iniziando a rallentare, era una buona cosa.

Ci furono abbondanti quindici minuti di gioco, di commenti mormorati e nessun contatto visivo e Kurt era sul punto di abbandonare tutte le sue speranze riguardo al fatto che due ragazzi adolescenti di diciassette anni fossero in grado di avere una qualsiasi conversazione degna di nota con l’altro.

A quel punto Azimio iniziò a parlare, gli occhi fissi sullo schermo. “Ok, amico. Cynthia Prasad.”

“Smettila, si sta nascondendo cazzo, stai sprecando munizioni. Che vuoi sapere?”

“Io ho dovuto- stai zitto, stronzo, so come giocare- dovuto ascoltare te mugugnare e lamentarti su di lei per tipo sei mesi il primo anno. Mi stai dicendo che ho dovuto sorbirmi i tuoi pianti da femminuccia e tu non hai mai voluto nemmeno fartela?”

“Fottiti, lei era bellissima.”

Kurt si tendeva nella loro direzione mentre li ascoltava, il mento tra le mani.

“Fottiti tu, lei era una ragazza e ho sentito dire che a te non piacciono. Gesù Cristo, mi hai appena sparato?”

“Oops.” Dave non sorrise nemmeno, non lo guardò proprio. Continuò semplicemente a premere bottoni. “Bruce Willis.”

Kurt fissò lo schermo, perché… cosa?

“Bastardo, beccati questa, femminuccia!”

Bravo!” Dave alzò una mano.

Azimio gliela schiacciò. Si risedette e continuarono a usare i loro controllers. “Ok, immagino di poterti capire allora.”

Dave sorrise.

“Bruce Willis?” Kurt non stava capendo niente. “Per poterti capire?”

Dave lo guardò e la sua bocca si arricciò in alto. “Z adora più i film di Bruce Willis di un qualsiasi porno.”

“Ehi!” Azimio si inclinò e lo scostò a gomitate. “Non provare a sminuire ciò che sta tra me e Bruce, cazzo. Non è roba da froci, figlio di puttana. E’ amore.”

“Uh uh. Ehi, come sta venendo la tua fan fiction dal titolo ‘Sono la puttana di John McClane in prigione’?”

“La tua faccia è da puttana di John McClane in prigione, frocio.”

Kurt si irrigidì.

“Geloso?” Dave sorrise e colpì una serie di tasti in modo selvaggio, tanto che la tv ruggì nell’orecchio di Kurt.

Kurt si rilassò. Forse era tempo di accettare che semplicemente non capiva i ragazzi eterosessuali. O, in apparenza, ragazzi gay che si comportavano da etero. “Sono confuso.”

“Nessuno sta parlando con te, Ladyparts.” Azimiò lo guardò, ma con il sorriso sulle labbra. “Quello che D vuole dire è che Bruce Willis è un bastardo con un gran bel culo sexy e non devi essere una donna o un frocio per apprezzarlo. Quindi, forse, la sua quindicenne ormonale Cynthia Prasad era bella quanto Bruce- non che me la volessi fare, giusto perché tu lo sappia, era carina ma non è di certo Bruce- ma questo non significa che lui volesse scoparsela. O scopare qualsiasi altra ragazza.”

Kurt spalancò la bocca.

“Ok, questo posso capirlo. O meglio, cazzo, non lo capisco perché è fotttutamente da gay. Comunque…” Azimio mosse a scatti il suo controller e gridava a ogni cosa che accadeva sullo schermo. “Ecco il tuo plasma rifle, bastardo! (*)”

Kurt fece scivolare lo sguardo da lui a Dave e poi tornò ad Azimio. “Aspettate un minuto.”

Cosa? Cristo, D, non puoi farci cucinare qualche biscotto o qualcos’altro dalla tua moglie del cazzo?”

Dave alzò gli occhi al cielo, ma fissò Kurt. “E’ tutto a posto, ok?”. E gli fece un debole sorriso, cosicché Kurt capì che non era tutto a posto, ma… in qualche modo lo era.

In qualche maniera un pugno in faccia, Halo e Bruce Willis riuscirono a sistemare le cose.


Quando riuscì finalmente a lasciare i due bambini ai loro plasma rifles, la prima cosa che Kurt fece nella sicurezza della sua stanza fu chiamare Blaine. “Dimmi una cosa: perché mai ci piacciono i ragazzi? Sono sfuggenti.” (**)

Blaine rise. “Ma sono carini, giusto? Per questo ne vale la pena.”

Kurt pensò al volto stanco di Dave e ai suoi occhi intimiditi mentre guardava suo padre. O al piccolo sorriso sul viso quando prima stava giocando a quello sciocco video game con Finn. O al modo in cui aveva stretto la mano di Kurt, così forte, terrorizzato nel credere a ciò che Burt Hummel gli stava dicendo.

Sospirò, ma non riuscì a non sorridere. “Sì. Immagino che questo aiuti.”


Note di traduzione:
(*) Fre' è la traduzione letterale del bro' americano.
(*) CTF è una modalità da gioco per i videogames, Capture the Flag.
(*) I Jets e gli Sharks sono le gang di strada di West Side Story.
(*) Il Plasma Rifle è una delle armi di Halo.
(**) Il termine originale è confusing, e sicuramente da molto più l'idea della parola sfuggenti, ma in italiano "che confondono" non è troppo elegante, quindi abbiamo optato per questa soluzione.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Note: il capitolo non è betato.
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 14 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/14/The_Worst_That_Could_Happen


"Cosa c'è di tanto divertente?"

Kurt scosse la testa, portandosi il cellulare più vicino al petto, sebbene Blaine fosse seduto di fronte a lui e non potesse vedere lo schermo in ogni modo. Gli sorrise mentre la risata che aveva sulle labbra svaniva. "E' Dave. Lui...Ti saluta."

Blaine sorrise, alzando il sopracciglio.

Kurt guardò di nuovo il telefono, premendo i tasti per rispondere al messaggio di Dave (e veramente,'Beh allora come sta Sopracciglia Ingellate (*)questi giorni?' poteva essere interpretato come Dave che salutava Blaine).

Sta bene, e sii carino con il mio ragazzo.

Kurt appoggiò il telefono sul tavolo e guardò Blaine seduto di fronte a lui, sorridendo contento. "Dovresti venire più spesso a Lima," disse con tono lamentoso. "Questi appuntamenti illeciti a metà strada tra le nostre rispettive città sembrano davvero di cattivo gusto."

Blaine rise. "Andrò a dire a Rosita che pensi che l'insalata e il cheesecake sono 'di cattivo gusto'."

Kurt lanciò uno sguardo alla loro solita cameriera del sabato pomeriggio appoggiata al bancone a chiacchierare con il cuoco. "Sai cosa voglio dire. E' un viaggio lungo ma potresti vedere tutti, e potrei portarti fuori con le ragazze e farmi vedere in giro con te, e..." Kurt lo guardò attentamente con aria di sfida. "E so che ti piacerebbe fare un giro al centro commerciale insieme."

"Colpevole." Blaine rise. "Ma non mi dispiace trovarci a metà strada. Lo rende speciale, non è così? Venire da così lontano soltanto con lo scopo di vedersi."

Kurt ci pensò su. "Però. Lo Shopping."

"Mmm, vero."

Il suo telefono vibrò e Kurt lo prese in mano.

Perchè diavolo dovrei essere carino con quel cretino? Il fatto che tu te lo scopi non mi è che mi porta a essere carino con lui eh

Kurt sorrise e rispose velocemente. Nessuno scopa nessuno, idiota. E dovresti essere carino con lui perchè se lui non è felice anche io non lo sono e quando sono infelice posso diventare davvero petulante.

Appoggiò di nuovo il cellulare sul tavolo e guardò Blaine. "Okay, quindi. Il prossimo fine settimana almeno vieni a Lima. Organizzerò una giornata intera con Mercedes, e ceneremo da Breadstix, e Rachel ti potrà infastidire per i piani dei Warblers per le provinciali. Sarà una bella serata."

"Ci sta già pensando? Ma seriamente?"

"Oh, piantala. Come se non aveste già scelto le canzoni."

Blaine sorrise.

Il cellulare di Kurt vibrò.

Aspetta un attimo – tu puoi essere petulante? Tipo... diventare più acuto e fastidioso di quello che sei già adesso? Ho ascoltato la versione di Fancy alla Barry White per tutto questo tempo?

Kurt rise e digitò una risposta veloce, lanciando a Blaine un sorriso di scusa. Non hai idea. Ti distruggerò i timpani che neanche te ne accorgerai.

"Strano." Blaine parlò veloce quando Kurt appoggiò il cellulare sul tavolo. "Non mi immaginavo Karofsky come uno che scrive così tanti messaggi."

"Nemmeno io. Credo che stare in casa da solo per così tanto tempo non lo aiuti. Ma papà ha parlato di portarlo da un terapista per farlo tornare a scuola, così magari riuscirà ad uscire di più."

Il sorriso perplesso di Blaine svanì lentamente. "Come sta, comunque? Credevo di dovertelo chiedere."

Kurt alzò le spalle. "Ci sono dei momenti buoni e dei momenti cattivi. Io...io credo che stia andando davvero bene, ma non so quanto possa valere la mia opinione. Come per esempio, ieri sera si è rivelata essere davvero una buona serata. Un suo amico è venuto da noi e sono stati... strani e mascolini ed etero per un po'. E' stato un bene per lui. Ma durante la giornata gli hanno dato delle notizie che...”. Sospirò. "Non lo so, onestamente. Le cose succedono così velocemente che sembra non ci sia il tempo di reagire a tutto. Ti potrei vagamente dire come sto io ultimamente, non riuscirei a parlare per qualcun altro. Credo che se fossi in lui... non riuscirei a comportarmi così bene."

"Credi che sia un-"

Il telefono di Kurt vibrò e lui lo afferrò con un sorriso. "Aspetta."

Blaine si rilassò contro la schienale, guardandolo.

Hey, tuo papà mi ha appena detto che mi accompagnerà a casa domani se tu non ne hai voglia. Inoltre nessuna offesa ma se avessi saputo quanto fosse un grande tuo padre quando mi comportavo da coglione credo ti avrei odiato ancora di più.

Non ci sono problemi, ti porto io. Pensavo che se ne avevi voglia potevamo fermarci a pranzo da qualche parte dopo? In un posto calmo, sai, giusto per abituarsi di nuovo al mondo. E nessuna offesa – sono abituato ad essere il bersaglio per l'invidia di papà.

Kurt inviò il messaggio e subito si chiese se forse non era troppo presto per pianificare qualcosa come un pranzo in pubblico. Forse non avrebbe dovuto dire niente – aveva pensato di chiederlo a Dave mentre erano per strada se potevano fermarsi da qualche parte. Sarebbe dovuto rimanere con quel proposito, una cosa casuale sarebbe stata meglio

Sospirò e guardò Blaine dall'altra parte del tavolo. "Non hai mai avuto la sensazione di esagerare? O... no, tu non pensi di esagerare ma c'è qualcosa che ti fa chiedere se tu lo stia facendo e  invece non lo capisci nemmeno?"

Blaine alzò le spalle, bevendo un sorso di caffè dalla tazza di ceramica. "Di solito non è che ci penso tanto. Preoccuparsi per qualcosa che non si può controllare è inutile, giusto?"

"Forse, ma..." Aggrottò le ciglia, giocando con il suo cellulare, preoccupandosi per cosa stesse pensando Dave dall'altro lato di quel messaggio. "Se l'altra persona potrebbe essere a rischio, non è peggio nonpreoccuparsi?" Il suo cellulare vibrò, facendolo saltare su. "Dio, scusa, aspetta un attimo."

Va bene, ce un posto in cui fanno i gyros a un paio di isolati da casa mia. Di solito mangio sempre lì, sono sorpreso del fatto che non abbia scelto agnello o roba del genere.. Dirò a tuo papà di non preoccuparsi. (*)

Kurt si rilassò con un sospiro. Mise da parte il cellulare senza rispondere, più che conscio del fatto che Blaine era seduto tranquillo di fronte a lui, mescolando il suo caffè.

"Okay. Fatto." Kurt lasciò che tutte quelle preoccupazioni scivolassero via. Afferrò la sua acqua e si appoggiò allo schienale. "Sai qual è la cosa che preferisco di più del venire qui al sabato?"

Blaine sorrise, appoggiando il gomito al tavolo e spostando il caffè di mano in mano. "Sono i bagni, vero? I bagni di questo posto sono fantastici."

Kurt fece roteare gli occhi (e rabbrividì un pochino, perchè Rosita era carina e il cheesecake era davvero buono, ma quel posto era un ristorante (*) e i bagni erano... bagni da ristorante). "Prova di nuovo."

Blaine ci pensò su. "E' qualcosa che ha a che fare con me, o il mio ego sta sfuggendo al mio controllo?"

"In realtà sì. A entrambi, ne sono sicuro."

Blaine ridacchiò. "Mi arrendo."

Kurt stiracchiò le braccia sopra il tavolo, e quando Blaine si allungò istintivamente per prendergli la mano, sentì lo stomaco scaldarsi piacevolmente. "Vederti così."

Le dita di Blaine si fecero lentamente spazio tra le sue. "Così come?"

"Lo sai." Kurt lo studiò – okay, a Blaine piacevano i prodotti per i capelli, di sicuro, ma nei week end ne faceva un uso moderato. Non aveva neanche indosso la sua uniforme della Dalton, anche se di solito si vestiva in modo leggermente formale anche quando non andava a scuola. "Così," disse, ondeggiando un mano nello spazio tra di loro. "Da bassifondi." (*) 

"Da bassifondi?" Blaine rise, inarcando le sopracciglia. "E io che cerco di vestirmi bene per te."

"Ma lo fai!" Kurt sorrise. "Comunque, non devi mica fare nulla per impressionarmi. Hai già vinto il mio cuore." Il suo cellulare vibrò all'improvviso. Entrambi lo guardarono e Kurt sospirò, sfilando la mano da quella di Blaine. "Scusa, dovrei controllare. Nel caso."

Blaine alzò le spalle, rilassandosi con un'espressione noncurante.

Quindi credo che Z stia uscendo con Santana adesso. E sì ti sto messaggiando i gossip sta zitto.

Kurt sorrise e gli rispose subito. Non è giusto che tu sappia pure i gossip. Sono io quello che va a scuola con queste persone tutti i giorni.

Sì, ma tu non piaci a Z. E lo sapresti se fossi qui, Santana me lo sta dicendo proprio adesso.

Santana è a casa mia?

Non ti preoccupare, non le lascerò incasinare la tua roba.

Kurt rise calmo. Sarei più preoccupato se fosse Rachel. Adesso smettila di mandarmi messaggi, sto facendo cose da fidanzato.

Dannazione, Hummel, le persone cominceranno a pensare che sei davvero un finocchio totale se dici cazzate del genere.

Fa tutto parte del piano per accalappiarmi le ragazze, e Kurt non riuscì neanche a fare la faccia da etero mentre scriveva quelle cose. Le ragazze adorano i ragazzi gay.

Santana mi sta dicendo di dirti che ha un vibratore con il tuo nome sopra e cristo non riesco a credere che mi abbia detto una cosa del genere e che io l'abbia scritta su questo cazzo di telefono

Kurt dovette coprirsi la bocca per evitare di scoppiare a ridere così forte da disturbare Rosita. Lanciò un debole sorriso a Blaine e rispose subito. Promettimi che pulirai ogni cosa che tocca. E lasciami stare prima che venga scaricato nel bel mezzo di un ristorante.

Sì sì, ora spengo il cellulare. Ma seriamente? Dì all Usignolo VonTestadicazzo (*) che va bene avere i capelli senza gel di tanto in tanto. Quella roba del cazzo era già fuori moda negli anni cinquanta. James Dean non sta ritornando di moda, amico, lascia perdere.

Kurt decise di essere un uomo migliore e di non degnare quella cosa di una risposta. Si portò il cellulare davanti al viso mentre lo spegneva. "Dio, sono una di quelle persone che odio, quelle che messaggiano in compagnia."

Blaine sorrise, sebbene sembrasse rilassato quando Kurt si mise il cellulare nella tasca della giacca appesa al separè dietro di lui. "Mi è sembrato di di capire non fosse una crisi?"

"Se tu chiami Santana appostarsi fuori da casa mia 'non una crisi', allora no." Kurt alzò le spalle. "Mi preoccupo un po', scusami."

"Sembra che forse non ha bisogno di te in giro tanto quanto pensi che abbia bisogno," rispose Blaine, alzando la sua tazza di caffè e osservando Kurt prima di bere un sorso.

Kurt aggrottò le ciglia. "Cosa vuoi dire?"

"Niente. Solo...tu stai rispondendo ai suoi messaggi perchè sei preoccupato, ma lui non ti sta ovviamente scrivendo niente di serio. Non hai mai pensato che forse non è così sconvolto riguardo qualunque cosa gli sia successa come invece pensi?”

Proprio come era venuta, la risata scivolò via dal viso e dall'umore di Kurt.

Prese un respiro profondo e rispose molto lentamente. "Nessuno dovrebbe essere infelice ventiquattr'ore al giorno. Se ha bisogno di fare finta che stia bene e ridere di tanto in tanto, non vado a giudicarlo per questo. Infatti..." Si appoggiò allo schienale, fissando Blaine con aria di sfida. "Ne ho bisogno anche io, quindi tu pensi che io faccia solo finta di essere sconvolto?"

Blaine sospirò. "Dannazione, lo sapevo che mi sarebbe uscita male. Odio la sensazione di non sapere cosa sta succedendo nella tua vita, Kurt. Mi sembra di stare facendo tutti questi passi falsi e non so come fermarmi, perchè non so neanche cosa è off limits."

Kurt si sciolse a quella affermazione, stiracchiandosi le braccia di nuovo. "Mi dispiace. Sono un po' ipersensibile questi giorni, specialmente riguardo Dave. Credo...sia solo lui, okay? Lui è off limits.”

Blaine aggrottò le ciglia, ma distolse lo sguardo e intrecciò le dita con quelle di Kurt.

"Dimmelo," disse Kurt.

"Puoi dirmi perchè?" Blaine disse senza guardarlo. "Voglio dire...Dio, forse sono la persona più egocentrica dell'intero universo, ma il mio ragazzo mi dice che il tipo che lo terrorizzava, il tipo che lo ha baciato, vive nella sua stessa casa e gli manda tutti quei messaggi e lo fa ridere come nemmeno io riesco a farlo ridere, e io non posso neanche parlare di lui? Forse è un po' meschino da parte mia sentirmi così insicuro riguardo questa cosa, o... geloso, non so, ma credo che lo sarebbero tutti se fossero nei miei panni."

Kurt trattenne il fiato, sorpreso. "Sei geloso?"

Blaine ridacchiò e spostò lo sguardo su Kurt. "Ovviamente quella è l'unica cosa che ti rimane. Se io sono egocentrico, tu lo sei davvero molto di più."

Kurt non riuscì a non sorridere. "Mi dispiace, è solo che...davvero? È adorabile."

Blaine fece roteare gli occhi, ma sorrise. "Non ti ho più tutto per me, quindi probabilmente è naturale. All'inizio ero preoccupato all'idea che tu fossi nella stessa casa di quel... di Dave," si corresse subito. "Ero preoccupato che ti desse fastidio nella tua stessa casa. Ma adesso? E' tutto ciò di cui parli."

Il sorriso di Kurt svanì lentamente. In un modo che lo fece quasi fremere – era corso dietro a Blaine per così tanto tempo che a volte era difficile credere che fosse riuscito davvero a prenderlo. Quindi fu davvero difficile ingoiare il fatto che Blaine fosse geloso.

Ma Blaine aveva ragione. Non era giusto che non sapesse cosa stava succedendo, ed era davvero sgradevole da parte di Kurt essersi comportato a quel modo col ragazzo di cui era innamorato. Kurt sapeva di essere giustificato per essere così ossessionato dalla guarigione di Dave, ma Blaine no.

Prese un respiro profondo, pensando al suo cellulare e trovando difficile non raffigurare Dave dall'altro lato di quei messaggi far roteare gli occhi per le battute di Santana ed eludere i suoi commenti acidi o qualcosa di simile, ingenuamente inconsapevole che Kurt stava spifferando i suoi segreti. Kurt non poteva essere onesto sia con Dave che con Blaine, non su quella cosa. Ma almeno poteva fidarsi di Blaine e sperare che non ferisse Dave con quel segreto.

Blaine sembrò accorgersi del suo cambiamento d'umore. Strinse la mano di Kurt e ritirò il braccio, calmo, in attesa.

Kurt lanciò uno sguardo alle cameriere lontane al bancone – quel posto era sempre vuoto quando c'erano loro, troppo tardi per il pranzo e troppo presto per la cena. Ma non gli piaceva parlare di quelle cose ad alta voce, in pubblico poi.

Prese un respiro profondo. "Non devi dirlo a nessuno, okay? Lo so che non lo farai, non sei una persona del genere, e nessuno dei tuoi amici conosce Dave dopotutto, ma... me lo prometti?"

Blaine annuì subito, nei suoi occhi si accese un vivido interesse. "Te lo prometto."

Kurt aspettò, ma non riusciva a trovare le parole. Come si parlava di quelle cose? L'aveva detto solo una volta, a suo padre, e l'aveva sputato fuori senza pensarci troppo. Lo shock era arrivato dopo.

Guardò in basso al tavolo, e quello lo aiutò. Prese un respiro e mise le mani intorno al bicchiere d'acqua, e anche la sensazione di freddo lo aiutò, almeno era qualcosa su cui focalizzare buona parte del proprio cervello.

Cominciò e si fermò un paio di volte. Voleva andare piano, raccontare a Blaine tutto quello che sapeva sull'attacco prima di introdurre la parte peggiore. Costruirla come una storia o una canzone. Ma era ridicolo, e la vita di Dave non era una canzone, quindi decise di fare un paio di passi indietro alle stesse esatte parole che aveva detto a suo padre il giorno dopo che era successo.

"Non l'hanno solo picchiato," disse, e le parole facevano tremendamente male mentre gli uscivano dalle labbra. "L'hanno stuprato."

Era bizzarro essere spaventati da una parola, giusto? Era assurdo pensare che solo pronunciare una parola gli mozzasse il respiro in gola e gli facesse venire male allo stomaco. Poteva anche essere una delle parole peggiori del mondo, ma in fondo. Era una parola. A Kurt andavano bene le parole, amava le parole. Sapeva che alcune erano brutte, ma prima che tutto ciò accadesse non si sarebbe mai immaginato che una parola avesse potuto essere così... dolorosa.

Alzò lo sguardo dopo un momento, realizzando il silenzio intorno a lui.

Blaine lo guardava dall'altra parte del tavolo, aveva una mano sulla bocca e gli occhi spalancati, il viso pallido. Poteva sembrare l'immagine di qualcuno che faceva finta di essere scioccato, come quelle reazioni sarcastiche di Santana poteva avere ad alcune brutte ma ovvie notizie. Ma non lo era, perchè Kurt conosceva Blaine abbastanza per vedere l'onesta costernazione in quegli occhi, e l'ineleganza della sua mano. Era uno sguardo veritiero, e Blaine di solito era così sicuro di se stesso.

Il suo shock genuino rese le cose più facili per Kurt. Portò di nuovo lo sguardo al suo bicchiere d'acqua e cercò di aggiungere altre parole. "Mi ha detto poi...ha detto che l'hanno fatto perchè..."

Non c'era una singola parola della frase 'tirate fuori il frocio che era in lui' che Kurt riuscì a verbalizzare.

E Dio, Kurt voleva che Dave e Azimio facessero pace, perchè Dave aveva bisogno del suo migliore amico. Ma come poteva uno tirare un pugno in faccia – con un bel gancio o meno – ed essere pari con ciò che aveva fatto Azimio? Come poteva Dave vedere in Azimio qualcos'altro che non fosse la persona che aveva dato inizio a tutto ciò? Il loro rapporto non sarebbe mai tornato come quello di prima. Ma Kurt aveva notato che la sera precedente, dopo che ebbero finito di giocare e non erano più focalizzati sulla televisione, non avevano nulla da dirsi. Azimio era andato via subito dopo, ma Kurt l'aveva considerata una vittoria. Forse non era stati un passo così grande come si era immaginato.

Rabbrividì, e alzò la mano dal bicchiere d'acqua come se fosse quella la causa. Invece di raccontargli altri dettagli sull'aggressione stessa, la sua mente si spostò in un'altra direzione e guardò Blaine, pallido.

"Devono aver detto qualcosa su di me durante... o... dopo. La coach Sylvester l'ha trovato sul pavimento dello spogliatoio, sanguinante...e nudo e tutto quello che ha fatto... tutto ciò che ha fatto è stato chiedere di me. Voleva essere sicuro che non mi succedesse nulla."

Kurt si sentì senza fiato all'improvviso, perchè sapeva tutte quelle cose, ma non le aveva mai collegate insieme, non fino a quel momento. Sapeva che Dave fosse ferito, sapeva che Dave temeva fosse anche lui in pericolo. Solo che non aveva mai collegato le due cose.

Dave aveva chiesto di Kurt; era tutto ciò che era riuscito a chiedere dopo tutto quello che gli era successo.

Alzò le spalle, cercando di prendere un bel respiro. "Non credo sarebbero venuti a cercarmi. A loro... a loro non è mai importato che qualcuno come me fosse gay. E' successo quello che è successo perchè lui era uno di loro, perchè in qualche modo li stava tradendo, o..." Si asciugò la guancia bagnata senza fare caso ad altro. "Non ero in pericolo, ma lui... gli avevano fatto così tanto male, Blaine, e lui era preoccupato per me. Come posso non essere ossessionato dal volere che stia bene? Sapendo questa cosa, come posso parlare di altro?"

Blaine scosse la testa, e forse per la prima volta da quando Kurt l'aveva incontrato non aveva una singola risposta per i problemi di Kurt.


Dopodiché la conversazione raggiunse un punto morto, veramente, e Kurt si sentì subito colpevole di essere così lontano da Lima. Quindi meno di un'ora dopo stava già tornando a casa, guidando troppo veloce.

Giusto il tempo di posteggiare l'auto davanti a casa (strana macchina, Santana era ancora lì?) che era quasi entrato nel panico. Spense il motore ma si fermò di colpo, ricordandosi di aver spento il cellulare al ristorante. Se Dave avesse avuto bisogno di lui, non avrebbe sentito la chiamata.

Accese il telefono, seduto a ingoiare paura e preoccupazione, e sarebbe anche potuto entrare in casa e scoprirlo da solo, ma doveva sapere prima.

C'era solo un messaggio non letto, di un paio di minuti prima. Da parte di Blaine.

Kurt, per favore non prenderla nel modo sbagliato, ma... hai detto che tuo padre avrebbe fatto sì che Dave parlasse con un terapista? Credo sia una buona idea se ci andassi anche tu.

La porta di casa si aprì mentre lui era seduto lì a fissare quel messaggio e alzò lo sguardo per vedere Santana e Dave uscire sul porticato e ridacchiare riguardo qualcosa.

Bene. Dave stava bene. Era pallido, ed era sempre più evidente che stava perdendo peso, ma era fuori alla luce del sole e stava sorridendo a Santana, e non era raggomitolato da qualche parte ad avere flashback. Non aveva bisogno di aiuto. Non in quel momento.

Blaine aveva detto qualcosa riguardo quanto forse Dave non aveva bisogno di Kurt come quanto Kurt pensasse. Kurt non sapeva se fosse quello il caso – la sua mente gli riportava sotto gli occhi troppo facilmente le immagini di Dave all'ospedale, o raggomitolato sul pavimento della sua nuova camera con il cellulare stretto in una mano, o giacere là troppo spaventato per andare a dormire, ascoltando Kurt mormorare qualsiasi canzone lenta gli venisse in mente.

Dave aveva bisogno di lui. Kurt aveva bisogno che Dave avesse bisogno di lui.

Ma forse non sempre, non ogni istante in cui era sveglio.

Kurt guardò in basso verso il suo cellulare e sospirò al messaggio di Blaine. Alla fine rispose.

Credo tu abbia ragione.

Kurt fece scivolare il telefono nella tasca e scese dalla macchina quando Dave mise l'occhio sulla sua Escalade. Si avvicinò a Dave e Santana con un sorriso più disinvolto possibile. "State andando da qualche parte?"

"Il figo qua mi stava accompagnando alla macchina," disse Santana dando una gomitata a Dave. "Fa il gentiluomo."

Dave alzò le spalle. "E' divertente far finta."

C'era qualcosa nell'aria tra i due, e Kurt guardò prima uno poi l'altra cercando di capire di cosa si trattasse. "Avete parlato per tutto questo tempo?"

"Se stai cercando di sapere qualcosa, è tutto inutile." Santana gli sorrise scaltra.

Dave le strinse il braccio. "Calma, ragazza."

Lei gli lanciò un'occhiata di rimando. Fu in quel momento che Kurt notò quanto fossero rossi i suoi occhi. Quanto poco trucco avesse addosso, che non era esattamente il suo stile. Lei disse bruscamente che non era il suo cane e che non doveva permettersi di zittirla, ma il suo tono non era tagliente come le sue parole.

Kurt guardò attentamente anche Dave, e vide quel rossore anche nei suoi occhi.

Deglutì, perchè....giusto. Adesso avevano una cosa in più in comune oltre ai Bully Whips, giusto? Avevano Jason Campbell in comune.

Santana fece roteare gli occhi a qualunque fosse stata la risposta di Dave – Kurt rimase intrappolato troppo a lungo nei suoi pensieri da mancarla – e si voltò per avvicinarsi alla sua macchina. Ma esitò, lanciando uno sguardo a Dave per un momento.

"Dovresti tornare a scuola."

"E' la cosa che mi dicono tutti," Dave rispose vagamente.

Santana parlò con un tono così serio da sorprendere Kurt, anche dopo che ebbe realizzato che ne avevano dovuto parlare davvero a lungo. "Più tempo stai lontano, più grossa diventa la cosa. Cerca di superarla adesso, perchè non diventerà più semplice."

Aggrottò le ciglia. "Ti ho ascoltata, okay? Ho sentito quello che mi hai detto prima. Solo..."

"Sì, beh, come ti pare" Santana lanciò un'occhiata a Kurt. "Chiedi alla principessa qui, può dirtelo lui stesso quante persone hai dalla tua parte quando ritornerai. Se può fare la differenza." Mise un braccio intorno alle spalle di Kurt in modo un po' troppo grezzo. "E hey, so che storicamente froci e lesbiche non sono sempre stati i migliori tra gli amici. Ma questa è Lima, in Ohio, e Dio solo sa che non ce ne sono abbastanza di noi per essere schizzinosi su chi siano i nostri amici."

Kurt sorrise debolmente a Dave. Non voleva spingerlo a fare qualcosa per cui non si sentiva pronto, ma sperava vivamente che stesse almeno a sentire lei, perchè...

Strizzò gli occhi.

"Aspetta." Guardò Santana.

Era stata così disinvolta, lo aveva detto in modo così casuale, non aveva realizzato che fosse una cosa così grande. Ma...

"Hai appena fatto coming out con me?"

Sbuffò e gli diede una gomitata. "Se non sapevi ancora di me il tuo gaydar fa davvero schifo, Kurt." Ma la sua voce era leggermente tesa, un po' forzata, come se essere così disinvolta non fosse una cosa così semplice.

Kurt lanciò un'occhiata a Dave, per vedere che anche nei suoi occhi c'era sorpresa. Orgoglio, anche, forse.

Oh merda, lei aveva appena fatto coming out. E Dave sapeva. E..

"Ma stai uscendo con Azimio!" sbottò fissandola.

Lei lanciò uno sguardo corrugato a Dave e si allontanò da Kurt. "Voi fatine amate questo gossip così tanto che credo ti lascerò tutto ciò."

Dave le sorrise di rimando, il che rassicurò Kurt sul fatto di non averla offesa. Ovviamente Dave e Santana dovevano conoscersi un bel po' di più rispetto a quanto la conosceva Kurt, così si fidò del sorriso di Dave per fargli sapere che andava tutto bene.

Santana salì sulla sua macchina, con il suono del motore arrivò anche lo strillo di una qualche cantante e il fischio di una chitarra, fece retromarcia e li lasciò soli nel cortile.

Kurt si voltò verso Dave, stupito. "Wow."

"Già." Sorrise lui dopo qualche secondo. "L'ha detto a Z, ma non sapevo fosse pronta per qualcosa di più. Ma potrebbe anche essere perchè sei tu, credo, quindi..."

"Te l'ho già detto una volta, non credo nel far fare outing alle persone. Nessuno sentirà mai una cosa del genere detta da me." Kurt scosse la testa, dando una gomitata a Dave e incamminandosi verso la porta di casa. "Ma perchè allora ha iniziato a uscire con Azimio?"

Dave sorrise. "Hanno un piano."

"Uh huh?"

Entrarono in casa, e Kurt prese il braccio di Dave per trascinarlo su dalle scale per parlare in privato. Non c'era ancora nessuno in salotto, ma in quella casa le cose cambiavano sempre troppo in fretta.

Spinse Dave nella sua camera e chiuse la porta. "Parla."

Dave si avvicinò alla scrivania di Kurt e si sedette, dando un'occhiata al computer e il resto delle cose appoggiate sopra.

Kurt si tolse la giacca e andò ad appenderla nell'armadio. "Allora?"

"Beh, non è l'unica che esce con Z. Credo stia uscendo anche con Britt adesso."

Kurt si voltò verso di lui, incredulo.

Dave sorrise. "Sarà uno scandalo. Quel cazzo di jewfro-boy(*) sarà eccitato come pochi per questa merda."

"Ew, ma vai avanti."

Dave alzò le spalle, facendo ruotare la sedia della scrivania avanti e indietro in modo assente. "E' tutto lì. Loro tre. Usciranno per un po' e terranno in piedi questa cazzo di situazione del menage-a-tre. E poi Z le scaricherà entrambe o qualcosa di simile, e le due ragazze avranno solo l'un l'altra per curare due cuori infranti." Alzò le spalle. "Non lo so, secondo me è una cosa da pazzi, ma Z è d'accordo perchè lo fa sembrare un figo. E Santana crede sia l'unico modo per adattarsi a questa “cosa gay”. E poi, seriamente? Io non sono nella posizione per giudicare come qualcuno dovrebbe venire allo scoperto."

Kurt ci pensò su. "Aspetta, quindi. Anche Brittany è lesbica?"

"Nah, lei è solo Britt."

Aveva senso. Kurt rise ancora, stupito. "E io che pensavo di essere stato da solo per così tanto tempo, perso in un mare di eterosessuali."

"Strano, huh?" Dave ammiccò. "Comunque credo tu debba insegnare a Santana un paio di roba su tutta la questione della solidarietà."

Kurt alzò il suo pugno da Team Arcobaleno in saluto. "Aspetta, perchè? Se pensi che il coming out la farà smettere di chiamarci froci o..."

Dave gli fece un gesto con una risata. "Nah, solo... la prima cosa che ha fatto quando ha saputo di me l'anno scorso è stata ricattarmi e minacciarmi di dirlo a tutti."

Kurt strizzò gli occhi. Il pugno alzato cadde lungo il suo corpo. "Cosa?"

Dave alzò le spalle. "Non è questa gran cosa, solo... la ragazza prenderà una bella facciata un giorno o l'altro se non lo scopre da sola."

"Aspetta." La mente di Kurt tornò indietro. Ricordò l'ufficio di Figgins, a parlare a Dave con i loro padri che aspettavano fuori. Pensò a come, quando Dave gli aveva detto la verità, non si era affatto sorpreso, perchè in fondo era Santana. Ma avrebbe dovuto esserlo, perchè erano Santana-e-Dave e quei due non avevano mai avuto nulla a che fare l'uno con l'altro.

"I Bullywhips?"

"Non esattamente. Il ballo, quella era la cosa grossa. Fare finta di uscire insieme ed essere eletti re e regina. I Bullywhips erano solo un modo per arrivarci."

"Non me l'avevi detto." Kurt incrociò le braccia al petto e fissò Dave, turbato sebbene non sapesse perchè. "Nell'ufficio. Mi avevi solo detto che era una sua idea, non mi avevi detto che ti stava obbligando a farlo."

Dave sorrise debolmente. "No, non l'ho fatto."

Quella risposta lasciò aperta un'altra ovvia domanda, quindi Kurt gliela chiese: "Perchè no?"

"Perchè Fancy. Tenersi per mano con Santana nei corridoi e comprare un vestito del cazzo e una cravatta che si abbinasse al suo abito, quella cosa richiedeva il ricatto. Ma fare un passo in più e ammettere tutti gli errori del cazzo che avevo fatto? Farti tornare con i tuoi amici e tenerti d'occhio? Avrei potuto ringraziarla per avermene dato quella possibilità, perchè mi ha dato un modo per rimediare a quello che avevo fatto senza gettare via completamente la mia vita in una volta sola." Sorrise debolmente. "Credo di non poter dire nulla riguardo a come voglia alleggerirsi il coming out, perchè mi ha aiutato a diventare... umano, o qualcosa di simile. Inoltre..." Si fermò all'improvviso, arrossendo.

Kurt andò verso il letto e si sedette. "Inoltre?"

"Lascia perdere, è da idioti."

Kurt appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si portò il mento sulle mani. "Inoooooooltre..."

Dave fece roteare gli occhi, ma fece un sospiro e sputò fuori quello che voleva dire. "Non volevo che tu lo sapessi, okay?"

"Sapessi...che era un ricatto?"

Dave alzò le spalle. Girò la sedia nella direzione del computer e cominciò a giocare con le cuffie appoggiate accanto alla tastiera. "Avresti pensato che fosse l'unica ragione. Non saresti mai tornato se pensavi che sarei tornato ad essere quello di prima ogni volta che Santana non guardava, giusto?"

Kurt ci pensò su. "Beh, sicuramente ci avrei pensato due volte." Aggrottò le ciglia, studiando il profilo di Dave, essendo l'unica cosa che riusciva a vedere in quel momento. "Perchè...ora capisco, perchè non volevi fare coming out. Posso anche capire per quale motivo mi perseguitavi più degli altri ragazzi, perchè io ero allo scoperto. Ma perchè poi...perchè le cose sono diventate così pesanti? Dopo quello che è successo negli spogliatoi?"

Dave girò la testa, rimanendo a bocca aperta. "Stai scherzando?"

Kurt sbattè le palpebre. "No." Aggrottò le ciglia. "Stai cercando di dirmi che le cose non sono peggiorate?"

Dave fece roteare gli occhi. "Dai, non sono stupido. So che con certe cose sono andato troppo il là un paio di volte. Cazzo, alcune volte penso perdessi traccia del tempo. Sbattevo le palpebre e all'improvviso tu eri lì, spaventato, che ti agitavo il pugno contro, e..." Le parole gli morirono sulle labbra con una smorfia. "Ma...seriamente non sai perchè?"

Kurt ci mise un po' a rispondere. Voleva quasi fare una pausa per pensare a quello che era stato, per setacciare il suo cervello per una risposta che sembrava ovvia. Ma non ci riuscì – aveva già sprecato un sacco di ore a cercare di trovare una risposta a quella domanda. La maggior parte delle volte quando era ancora a scuola e rabbrividiva alla vista di Dave.

Non c'era una risposta. Non una semplice, né una ovvia. Quindi guardò Dave deciso. "Seriamente non lo so."

Dave scosse la testa, ma distolse di nuovo lo sguardo. Si schiarì la gola. "Merda. Possiamo parlare di questa roba un'altra volta? Mi è già venuta la voce roca a forza di parlare con Santana."

Kurt voleva spingerlo a parlare. Era stato in grado di guardare oltre il loro passato e i loro problemi per tutto quel tempo, ma erano comunque lì. Prima che succedesse quella cosa con Dave, prima che fosse ferito, Kurt aveva appena deciso di chiamarlo con il suo nome. Anche quella a suo tempo era stata una rivelazione. Forse aveva saltato un paio di tappe nel portarlo a casa sua e lanciarsi in un'amicizia. Ma non avrebbe cambiato nulla, non avrebbe fatto nulla in modo diverso se avesse potuto tornare indietro, ma... dimenticarsi di quelle altre cose non le faceva sparire.

Gli occhi di Dave erano ancora arrossati, e aveva detto a Kurt alcune cose di sua spontanea volontà. Gli aveva detto tanto, davvero, da quella prima volta che avevano iniziato a parlare in ospedale.

Quindi sospirò e lasciò perdere. "Okay, ma un giorno faremo questa chiacchierata."

Le spalle di Dave si rilassarono, ma il cenno che gli fece con la testa dimostrava quanto ancora fosse teso. "Ti devo molto di più di una chiacchierata. Io solo...in questo momento..."

"Hey." Kurt ebbe un'immagine improvvisa di come le cose potevano diventare tese e imbarazzanti tra di loro, tutti i progressi che avevano fatto spazzati via. "L'unica cosa che mi devi è il fatto che domani a pranzo mi toccherà mangiare cibo strano orientale. O...greco? I gyros sono grechi?"

Dave gli lanciò uno sguardo, cauto.

Kurt sorrise. "Non ne so molto di cucina etnica, okay? Nessuno è perfetto."

Dopo un momento Dave ricambiò debolmente il sorriso. "I Gyros sono grechi," rispose. "Ma questo posto è tenuto da questi tipi libanesi. Ti piaceranno, sono dei grandi. E amico, se ordini un shawarma invece di chiamarlo gyros, li farai piangere dalla gioia. Sarà divertente."

Kurt rise. "Ti lascerò ordinare per me."

"Pericoloso, Fancy. Sono veramente molto ben ferrato sulla cucina etnica."

"Gran bel modo di sconfiggere gli stereotipi, David!" Kurt fece roteare gli occhi con un sorriso, si alzò in piedi e si diresse verso la scrivania. "Alzati, devo controllare le email."

Dave si spostò dalla sedia al letto, lasciandosi cadere e facendo cigolare il materasso. "Seriamente, amico, dovresti allargare i tuoi orizzonti. Forse qualche volta che non c'è una cena di famiglia pianificata o qualcosa di simile posso prepararti qualcosa."

"Uh huh, certo." Kurt si appoggiò contro lo schienale della sedia mentre il suo account di hotmail si apriva - doveva organizzare un giro al centro commerciale in cui invitare Blaine e le ragazze. Sarebbero potuti andare anche a fare la mani...

...cure.

Si fermò.

Si sedette dritto. Girò lentamente la sedia, inarcando le sopracciglia. "Aspetta. Aspetta un attimo."

Dave strizzò gli occhi, fissandolo di rimando. "Cosa?"

"Dave. Mi stai dicendo..." aggrottò le ciglia, guardando Dave di traverso come se stesse cercando di leggergli in viso la risposta alla sua domanda. "Mi stai veramente dicendo che tu sai cucinare?"

Dave rimase con la bocca spalancata. "Cristo, Fancy, sei così drammatico. Sì, so cucinare."

Kurt non riuscì ad impedire che il sorriso gli si distendesse sul volto. "Tu cuciniIn una cucina, con un grembiule e un mestolo e cucini."

Sorridendo, Dave fece roteare gli occhi e si lasciò cadere sulla schiena, stiracchiandosi sul letto di Kurt. "Non volevi che sconfiggessi gli stereotipi? Vivo per soddisfare."

"Dio, come...che cosa prepariVoglio scrivere una lista della spesa e vendere i biglietti ai ragazzi del glee soltanto per far venire la gente qui per guardare."

"Niente di cui tu abbia mai sentito parlare. Eccetto forse..." Dave inclinò la testa per guardare Kurt. "Nah, non saresti interessato."

"In che cosa?" Kurt si alzò subito e fu di fianco al letto in un lampo, incantato. "Cosa? Cosa cosa cosa?"

Dave rise, le guance rosee, e alzò lo sguardo verso Kurt. "Potrei avere un hangiri. Sai, a casa."

"Un cosa?" Kurt riuscì a stento a rimanere fermo. Si allungò verso di lui, toccando la gamba di Dave. "Cosa? Che cos'è?"

"Cristo, sei assillante quando sei emozionato." Dave incrociò le braccia sotto la testa, sorridendogli dal cuscino di Kurt. "Un hangiri è una cosa, una cosa fatta col riso. Una ciotola, tipo. Raffredda il riso velocemente dopo che si è cotto."

"Riso? È quella la cosa che ti viene meglio, fare il riso?"

"Cazzo, Fancy, adesso sei tu quello che si lascia cadere negli stereotipi. Pensavo conoscessi 'ste cose. È per preparare il sushi."

Kurt fece un suono che non riuscì neanche a riconoscere - diamine, era a così alto volume che si sorprese di riuscire a sentirlo. "Oh mio dio! Dave Karofsky sa cucinare il sushi!"

"Riesco a fare un rotolo di riso." Dave alzò le spalle, ma il sorriso sul suo volto mascherava quelle parole disinvolte. "Piantala di squittire, Kurt. Dai fastidio. Comunque, quasi tutta la roba che so cucinare è russa. La mamma di mio padre è emigrata, sai? Passavo sempre un sacco di tempo a casa sua. Non c'era nulla da fare se non sedermi al tavolo e guardare mia nonna cucinare." Il sorriso di Dave si fece più marcato quando si accorse che Kurt lo stava fissando. "S', comunque. Ho imparato la cosa del sushi un'estate un po' di tempo fa. Ho fatto un corso. Riusciva a tenermi lontano da casa quando papà era... comunque."

Kurt era troppo impegnato a cercare di non lanciarsi sul suo cellulare per messaggiare qualcuno sull'ultima news per accorgersi di quello che aveva detto Dave. "Non ho idea del perchè," disse all'improvviso, "ma è una cosa così sexy."

Dave arrossì in un lampo. "Cosa?"

Kurt rise. "Lo è! Non ne avevo idea! Dio, mi chiedo se Blaine sappia cucinare." Saltò su dal letto per tornare al computer e aprire una nuova mail da mandare al suo ragazzo. "Sai che devi cucinare qualcosa? Qualcosa di figo. Magari non sushi, perchè solo una persona in questa casa a parte me lo mangerebbe, ma... qualcosa."

"Sì. Forse."

Kurt spostò di nuovo lo sguardo sul letto. Sorrise nel vedere Dave ancora con le guance rosa, in quel momento stava fissando il soffitto con aria impassibile. "Ti prometto che non venderò i biglietti a nessuno."

Dave lo guardò e fece un piccolo sorriso prima di alzarsi all'improvviso. "Hey, vado a distendermi, okay?"

"Va bene." Kurt sospirò e rilassò le spalle. Tornò a guardare il computer mentre fissava la pagina bianca della mail da mandare a Blaine, ma mentre sentiva il rumore della porta che si apriva gli venne in mente una cosa. "Hey! Aspetta!"

Dave face una pausa sull'uscio, guardandolo di rimando.

Kurt gli fece un sorriso. "Russo, huh? Nonna emigrata, huh?"

Dave lo guardò. "Già."

"Non è che per caso ti ha anche insegnato qualche parola insieme alla roba da cucinare?"

Dave ridacchiò e scosse la testa. "Scordatelo, Fancy. Sono sicuro che Capellone (*) parla francese o qualcosa di simile, vai a feticizzare lui."

Kurt fece roteare gli occhi. "Io parlo francese, non è eccitante se lo posso fare anche io! Dai, dimmelo. Dì solo qualcosa."

Dave scosse la testa. "Vai a parlare con Schuester qualche volta, te lo dirà lui quanto è non-sexy il mio spagnolo."

"Tutti parlano spagnolo! I hablo quel cavolo di espanol." Kurt fece un gran sorriso. "Il russo è diverso."

"Sei così strano."

Kurt fece il broncio. "E io che pensavo ti saresti trasformato in questo ammasso di interessanti contraddizioni."

Dave guardò la porta come se stesse progettando di fuggire. "Scordatelo. Sono contento di essere un grande ammasso di fiacca semplicità. Buonanotte, Fancy."

"Stai-"

"Ho detto," Dave gli lanciò un sorriso, "Spokojnoj nochi, Vychurnyj."

"Oh..." Kurt si portò una mano sulla bocca per fermare un altro squittio. "Non so neanche cosa sia, ma ne voglio uno!"

Dave rise mentre usciva, chiudendo la porta dietro di sé.

Con gli occhi che brillavano, Kurt si voltò di nuovo perso lo schermo. Aveva davvero bisogno di dire quella cosa a qualcuno, ma c'era una grande e vuota email sullo schermo e non riuscì a ricordarsi di cosa doveva scrivere a Blaine.

Con un sorriso chiuse la finestra e tirò fuori il cellulare per chiamare Mercedes invece.


Note di Traduzione:
(*) Le traduzioni dei rispettivi soprannomi che da Dave a Blaine sono Eyebrows McHairgel = Sopracciglia Ingellate,  Warbler Von Douchebag = Usignolo VonTestadicazzo, Hairboy = Capellone
(*) quel "ce" posto a inizio frase è messo per cercare di rendere la scrittura senza apostrofi di Dave.
(*) Il locale in cui si trovano Kurt e Blaine non è propriamente un ristorante, ma un diner, un locale a metà tra il fast food e il ristorante, simile a una tavola calda ma non nel modo grezzo.
(*) Il termine da bassifondi fa schifo, ma è quello che assomigliava di più a slumming, il termine originale. Vuol dire appunto qualcosa di strada, da bassifondi, poco elegante o sofisticato.
(*) i Jewfro sono ragazzi di ascendenza ebraica, quindi Jacob.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


Beta Reader: Kurtofsky

The Worst That Could Happen
- Capitolo 15 -

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"Stiamo uscendo!"

Dave era già fuori dalla porta e, teso e nervoso, si muoveva in fretta. Kurt diresse la voce verso la cucina, dove suo padre stava mettendo a posto la spesa e andò verso di lui.

"Ehi, Kurt?"

Si guardò alle spalle mentre suo padre arrivava dalla cucina con in mano un pacchetto di patatine. Kurt si girò e gli si avvicinò all'istante, ma prima che suo padre potesse raggiungerlo alzò gli occhi al cielo e gli mostrò il pacchetto.

"Cotte al forno, figliolo. Basso contenuto di sodio. È praticamente un pacchetto pieno di broccoli."

Kurt aggrottò la fronte, poi sospirò. "Non tutto il pacchetto, okay? E cosa c'è? Dave vuole andare e tornare prima che suo padre si faccia vivo."

"Oh. Niente di che. Solo..." suo padre lo studiò. "Tu e Blaine. Tutto bene tra di voi?"

Kurt sbatté le palpebre, sorpreso. "Sì, certo."

"Huh. Okay. Me lo stavo solo chiedendo."

Kurt scosse la testa, incerto ma un po' divertito. "A meno che tu non abbia sentito qualcosa che non so, comunque."

"Cosa c'è, non posso nemmeno più ficcare il naso negli affari di mio figlio ora?" suo padre sogghignò e aprì con foga il pacchetto. "Fuori di qui, dai."

"Ora vado. Ricorda. Non tutto..."

"Non tutto il pacchetto. L'ho capito."


"Merda"

"Cosa?" Kurt guardò dritto davanti a sé mentre la macchina rallentava, e vide da solo la risposta. “È la macchina di tuo padre?"

"Già." Dave guardò al di là del parabrezza, mentre Kurt rallentava maggiormente. "Ogni tanto va agli incontri pomeridiani, ma non è mai qui alle undici. Merda."

"Tranquillo." Kurt si mosse appena, ora che si stavano avvicinando. Tenne un occhio sullo specchietto retrovisore, ma l'ampia strada dietro di loro era deserta. "Possiamo pranzare prima e tornare più tardi, se vuoi."

Guardò verso la casa e la macchina man mano che si avvicinavano. Era pallido e teso, ma lo ero stato da quando aveva sceso le scale un'ora prima e aveva chiesto a Kurt se era pronto.

"No." Deglutì, ma rivolse lo sguardo verso Kurt e parlò con fermezza. "Fanculo, facciamolo e andiamocene via da qui."

Kurt aggrottò la fronte ma girò le ruote, accostandosi alla casa e fermandosi ad un segnale di stop. "Ne sei sicuro?"

"No." Dave sogghignò, sembrando malato. "Forse tu dovresti rimanere qui, però.”

"Già, ma forse no." Kurt slacciò la cintura di sicurezza. "A me va bene che tu davvero non voglia che venga con te, ma non ti lascerò affrontare quel verme da solo."

Dave aggrottò la fronte a sua volta, ma si sfilò la cintura a aprì la portiera. "Grazie Fancy," mormorò mentre scendeva dalla Escalade.

Kurt fece il giro attorno alla macchina e studiò la casa. C'era già stato, certo, mentre aspettava che suo padre provasse a far ragionare Paul Karofsky. Era una bella casa, un ampio cortiletto e un piccolo cul de sac, bici nei cortiletti dei vicini. Faceva molto americano medio.

Kurt seguì Dave verso la casa, guardandosi in giro per distrarsi dal pensiero di quanto orribile quella situazione sarebbe potuta diventare. "Sembra che stia lasciando crescere l'erba un po' troppo."

Dave sbuffò delicatamente, senza guardare verso Kurt. "Tagliare l'erba è un lavoro da figlio, non da padre. Suppongo che non abbia ancora trovato un modo per rimpiazzarmi."

Kurt fece una smorfia ma si ricompose in fretta. Non era il momento per esprimere il suo disgusto nei confronti del padre di Dave. Per lui sarebbe stato già abbastanza difficile anche solo entrare, non voleva peggiorare la situazione.

Dave si fermò all'improvviso, in modo così brusco che Kurt andò a sbattere contro il suo braccio. Kurt seguì il suo sguardo e vide la porta principale aprirsi.

Kurt aveva incontrato Paul Karofsky un paio di volte. La sua prima impressione era stata che sembrava davvero il padre di Karofsky. Un uomo alto, dalle spalle larghe, forte e con un completo non molto di stile. Ma poi aveva ascoltato tutto quello che Kurt aveva da dire, gli aveva creduto e aveva parlato con un lieve rimorso di come suo figlio fosse cambiato.

A Kurt piaceva. Forse quella era la parte peggiore. Kurt era uscito da quel primo incontro provando seriamente compassione per quell'uomo, a cui era capitato un bullo dalla testa calda per figlio. Poi era uscito dal secondo incontro chiedendosi perché Dave fosse così spaventato di fare coming out con un padre così comprensivo riguardo a tutto.

In quel momento si sentiva come se fosse stato preso in giro. Come se fosse stata tutta un'illusione.

Era lo stesso uomo in piedi sulla porta. La stessa barba tagliata in modo ordinato, gli occhi tristi e un completo ingombrante. Paul li guardò da lontano, Dave, poi Kurt e poi di nuovo Dave.

Dave emise un sospiro e aumentò l'andatura. "Sono qui solo per la mia roba," disse a voce alta, con lo sguardo basso sul prato, mentre si avvicinava alla casa.

Gli occhi di suo padre rimasero su di lui, e Kurt si chiese, seguendo Dave poco più indietro, cosa pensasse mentre lo guardava. Di sicuro avrebbe notato che suo figlio aveva perso peso. Avrebbe notato anche il pallore della sua pelle, le occhiaia sotto i suoi occhi. Non c'erano più lividi, nessun gonfiore, né arrossamenti. Ma era ovvio che Dave non si stesse muovendo come un tipico ragazzo menefreghista.

Quando Dave arrivò alla veranda Paul si mosse, indietreggiando e lasciando la porta aperta senza proferir parola. Dave camminava in fretta attraverso la casa e mentre Kurt superava la soglia, l'altro stava già salendo su per la rampa di scale.

Kurt esitò, guardandosi intorno nel raffinato e cortese salotto. Era una tipica casa dell'Ohio in realtà. Nessun quadro, però. Qualche opera d'arte sul muro, ma nessuna fotografia. Non ne vedeva da nessuna parte.

Aggrottò la fronte ma seguì Dave.

"Kurt."

Si fermò, voltandosi.

Paul sembrava incerto. "Non è così? Kurt Hummel?"

"Già." Kurt non era mai stato da solo con un uomo adulto che disprezzava. Non era sicuro se seguire le regole del galateo, o chissà cosa. Non voleva far nulla per peggiorare la situazione di Dave, e Kurt era un ragazzo in un mondo regolato dagli adulti, quindi c'era un limite anche se sceglieva di essere non del tutto cortese.

Paul si schiarì la gola, guardando verso le scale."Come sta?"

Oh beh, questo rendeva la sua decisione più facile.

Kurt non nascose il suo sguardo feroce, semplicemente perché il suo viso non avrebbe permesso di dissimularlo. Rispose a Paul Karofsky nello stesso modo in cui aveva risposto ad Azimio un paio di sere prima - nel modo in cui non avrebbe dovuto rispondere a Paul, perché era il padre di Dave e sarebbe dovuto essere a conoscenza di quelle cose senza dover chiedere.

"Dovrebbe chiederglielo di persona."

Paul non disse più nulla mentre Kurt si girò e marciò su per scale alla ricerca di Dave.

Trovò Dave abbastanza facilmente - solo una porta era aperta nel piccolo corridoio e poteva sentire Dave cadere con un tonfo prima di aver finito le scale.

La stanza di Dave... non era ciò Kurt si aspettava, almeno finché non realizzò di non aver avuto aspettative a riguardo. Le mura erano spoglie (ma ricordava i poster di hockey e football che ora erano appesi nella camera di Dave a casa Hummel). La camera era pulita, ma piena zeppa di cose. Una piccola libreria era riempita con pile di libri, fumetti e riviste. C'era una tv su un supporto su cui erano appoggiati una X-box e una pila di giochi e DVD. Era come un caos ordinato, come un piccolo covo lontano dalla blanda normalità del resto della casa.

Dave stava afferrando i vestiti che il padre di Kurt non era riuscito a portare via, gettando un mucchio di cose sul letto. Si stava muovendo in fretta, gesti senza grazia e a scatti che Kurt poteva interpretare più che facilmente: stava provando ad essere furioso. Ci stava provando davvero. Ma non era la rabbia a far brillare i suoi occhi in quel modo.

Kurt si accigliò per Dave e per il silenzio dietro Kurt in direzione delle scale. "Posso aiutarti con qualcosa?"

"No, con nulla." sibilò Dave, tirando fuori dal fondo dell'armadio un paio di pattini da ghiaccio sporchi e lanciandoli sul letto.

Kurt sospirò e si andò vicino al letto, toccando con le dita le lame dei pattini. "Hai davvero smesso di giocare ad hockey per colpa di tuo padre?"

Dave glì lanciò uno sguardo feroce dall'interno dell'armadio, ma poi si calmò e si voltò tornando a fare quello che stava facendo. "Già."

"Non ti piace giocare a football? Sei bravo. Cioè, suppongo tu lo sia. Placchi gli avversari e cose così. È una cosa buona, giusto?"

"Ogni cafone abbastanza grosso può giocare a football," disse Dave, rannicchiato per metà nell'armadio, la sua voce suonava come se stesse lanciando le cose in giro per divertimento. "Non faccio schifo, ma devi essere fottutamente bravo per attirare l'attenzione di qualcuno. Hockey... Avrei potuto ottenere una borsa di studio da qualche parte. I college con buoni programmi di hockey cercano a lungo giocatori. Ai talent scout per il football non frega niente, hanno venti giocatori per ogni posizione."

Kurt ne era sorpreso, ma non era sicuro di sapere il perché. Era dannoso per Dave a quel punto essere sorpreso per qualcosa come mostrare un qualche tipo di previsione per la sua vita dopo il liceo. Dave gli aveva già dimostrato una dozzina di volte che non era affatto come Kurt si aspettava.

Si sedette sulla parte di letto che non era coperta di roba, guardando la schiena di Dave mentre questi andava a caccia di qualsiasi cosa stesse cercando. "L'hai detto a tuo padre?"

"Non gliene fregava un cazzo." Dave si girò e si raddrizzò, guardando verso Kurt. "La Columbia Law non ha una squadra di hockey."

"Beh." Kurt incontrò gli occhi di Dave un attimo prima che si voltase. "A papà e a Carole probabilmente piace l'hockey. E poi l'anno è appena iniziato. Scommetto che potresti rientrare in squadra."

Dave si immobilizzò e si girò di nuovo verso di lui, con un'espressione sinceramente sgomenta.

Kurts sorrise. "C'è un lato positivo in tutte le cose," disse tranquillo.

Dave prese la cosa in considerazione. Tornò dentro all'armadio, lanciando le cose in modo meno violento.

Kurt si rilassò e guardò la pila di oggetti che cresceva sul letto. "Hai qualcosa in cui mettere tutta questa roba?"

Un borsone da sport rosso del McKinley High, sbiadito e stropicciato, partì dall'armadio e atterrò ai piedi di Kurt.

"Avresti potuto semplicemente dire di sì," mormorò Kurt, alzandosi in piedi e prendendo il borsone. "Vuoi che infili la roba dentro a casaccio o posso trattare queste cose come se fossero dei vestiti?"

"Non sono abiti da centinaia di dollari, Fancy. Metti dentro."

Kurt alzò gli occhi al cielo ma accennò un sorriso quando cominciò a prendere le cose e ad infilarle nel borsone. Era un modo orribili di trattare delle innocenti magliette, ma Dave aveva alcune cose veramente brutte. "Sai, alcune persone nel mondo hanno davvero ragione a comprare dei vestiti che stiano bene indosso. È una scelta di stile, lo so, ma penso che sia abbastanza valida."

Dave non rispose, ma questo non sorprese Kurt.

“Ti ricordi quando ti ho chiamato grasso e tu eri tremendamente devastato?” Fece un'espressione strana di fronte ad una collinetta di flanella, ma infilò il tutto nella borsa. “I tuoi vestiti non ti donano, dico solo questo. Sai, stai in una casa dove ci sono sia una madre che Kurt Hummel, quindi.. o ti rassegni a giustificare i tuoi vestiti ogni giorno oppure ti fai coraggio per un paio di sessione di shopping di cui hai seriamente bisogno.”

“Pensi ci sia qualcosa di sbagliato in me?”

Kurt sbuffò delicatamente. “Con le tue scelte di stile, sicuramente. Ma...” il suo sguardo si rivolse verso l'altro ragazzo e le sue parole si affievolirono.

Dave era appoggiato sui talloni, con la schiena rivolta verso Kurt. Le sue braccia erano appoggiate sulle gambe, forse stava tenendo qualcosa in mano. Kurt non riusciva a capirlo.

Le sue spalle erano curve, la testa bassa.

Kurt mandò giù qualsiasi stupido scherzo gli stesse venendo in mente. Appoggiò il borsone ormai pieno sul letto e si avvicinò all'altro con passo incerto. “Dave?”

“Sul serio, Kurt. Non è che pensi che... ci sia qualcosa di fottutamente sbagliato in me?”

“Seriamente? No. Non sei perfetto, ma non lo è nessuno.” Kurt si fermò a qualche centimetro da lui, studiando la sua schiena. “Ci stai provando, Dave. Può non sembrarti molto, ma è molto più di quanto alcuni facciano.”

Dave abbozzò un sospiro e le sue spalle si mossero. “I genitori dovrebbe amare i propri figli.”

Qualcosa di ciò che aveva appena detto, forse la semplicità della frase, quel livello di incertezza nella voce di Dave... Qualcosa colpì Kurt in modo davvero forte. Sussultò e guardò verso la porta aperto e il corridoio vuoto aldilà di essa.

La cosa peggiore era che qualsiasi cosa Kurt avesse potuto dire sarebbe sembrata terribilmente vuota. Non c'erano parole che potessero risuonare più forte del silenzio del piano di sotto.

Non era per niente giusto. Tutta quella storia, il padre e il silenzio e le cose da infilare nel borsone da palestra per portarle via.. erano abbastanza. Era troppo perché un ragazzo potesse sopportarlo. Non era fottutamente giusto che quelle fossero solo alcune delle cose con cui Dave dovesse convivere.

Kurt doveva seriamente smettere di pensare che ogni risata, ogni sorriso, fosse un segno di ripresa. Non lo era. Kurt si dava le pacche sulle spalle e si considerava un guardiano perché riusciva a far addormentare Dave o a distrarlo con casuali messaggi da scuola mentre era da solo a casa.

Lo raggiunse e mise una mano sulla spalla tesa di Dave. “Penso,” disse lentamente, “Forse alcune persone sono solo...” Cosa? Cattivi, egoisti bastardi? Completi sprechi di ossigeno? Stronzi ipocriti? “...egoisti,” continuò. “Troppo egoisti per cambiare nonostante abbiano un figlio. Sarebbe bello se diventare genitori rendesse le persone migliori, ma forse non è così. Non sempre.”

Dave scosse la testa, sempre guardando verso il basso.

“Ti ricordi Jennifer Faucher? Del primo anno?”

Una pausa, ma la testa di Dave si alzò. “... Sì.”

“Pensi che quando era in ospedale, o quando suo padre era di fronte ad un giudice pronto ad essere condannato... pensi che qualcuno si mai sia chiesto cosa c'era di così sbagliato in Jennifer perché suo padre l'aveva buttata giù per le scale?”

Dave inspirò e lasciò uscire l'aria. “Scommetto che lei se l'è chiesto.”

“Probabilmente. Tu l'hai fatto?”

“No.” Dave si rilassò un po' sotto la mano di Kurt. “Lo so, okay? Non era colpa sua e suo padre era un cazzo di alcolizzato.”

“Non è colpa tua se tuo padre è un bastardo passivo-aggressivo e dalla mentalità ristretta.”, Kurt rispose semplicemente.

“Forse no.” Dave indietreggiò improvvisamente e gli mostrò la mano. “Ma questo non vuol dire che non ci sia qualcosa di sbagliato anche in me.”

Kurt guardò in basso, verso le sue mani, all'inconfondibile oggetto di ceramica nero e bianco che stava nervosamente stringendo tra le dita.

Di tutti i ricordi che aveva di Dave... Di Karofsky... Quello era quello più intenso dopo il bacio negli spogliatoi.

Kurt posò lo sguardo sulle figure immobili di una sposa e uno sposo e poté sentire il freddo metallo degli armadietti sulla schiena. Poteva vedere l'espressione sulla faccia di Dave, la fredda, maniacale, spaventosa espressione nei suoi occhi.

Quando aveva raccontato al professor Schuester e alla coach Sylvester che loro non sapevano di cosa Dave fosse capace… Quando aveva detto a suo padre e al padre di Dave che il bullo gli aveva detto che l'avrebbe ucciso... Non era perché lui fosse troppo di mentalità ristretta da non riconoscere un modo di dire. Kurt aveva minacciato di uccidere Finn ogni volta che lasciava calzini sporchi in bagno, sapeva che la gente usava quelle parole senza intenderle davvero.

Ma quel giorno agli armadietti, il giorno in cui Dave gli aveva preso gli sposi per la torta da quelle dita troppo nervose per opporsi... Quello era stato il giorno in cui Kurt aveva pensato, "Mi ucciderà se gli do un motivo per farlo". E ci aveva creduto.

Ogni tanto quei ricordi gli tornavano in mente vividamente. Ogni tanto poteva ancora sentire un brivido di paura se ci pensava.

Si sporse un poco e prese la statuina dalla mano di Dave. La guardò e poi spostò il suo sguardo verso il viso di Dave.

Dave era terrificato, la mascella era aperta e sapeva che Kurt ricordava tutto. Sapeva, glielo si leggeva negli occhi che lo sapeva, che Kurt era riuscito a dimenticare tutte quelle cose nelle ultime settimane. Che il ricordo di quelle cose poteva cambiare il modo in cui Kurt la pensava su certe cose.

Ed... Era divertente, ma era vero. Kurt era riuscito a dimenticare quelle cose, e non a causa dell'aggressione. Era riuscito a dimenticare prima che ciò accadesse. Il primo giorno in cui Dave era stato davanti a lui con quel semplice, brillante berretto e un'espressione di disagio sul volto, Kurt aveva lasciato che quei ricordi.. Beh diventassero solo ricordi.

Guardò Dave e sorrise. Perché Dave era proprio lì e i ricordi di Kurt erano più vividi che mai nella sua testa, ma anche in quel modo non aveva paura del ragazzo che aveva di fronte.

Erano i ricordi a spaventarlo, non Dave.

Si mise a statuina degli sposi in tasca. Sorrise e si sporse un altro poco, scostò alcuni capelli ribelli dalla tempia di Dave. Si chiese se avrebbe riso di lui mentre si abbassava e posava le labbra delicatamente sulla sua fronte.

"Non c'è nulla di sbagliato in te," disse lentamente mentre si tirava indietro, "nulla che un centinaio di dollari e un pomeriggio da Macy's non possano risolvere."

Dave rise, ma era qualcosa di umido e doloroso e non c'era nessuno scherno in quel gesto. Solo un brutto accenno di auto-disgusto che Kurt voleva portargli via, proprio come lui gli aveva portato via la statuina degli sposi.


Finirono col portare tre borsoni pieni di vestiti, libri e cose di cui Dave poteva aver bisogno giù dalle scale.

Quando Kurt aveva chiesto a Dave perché avesse così tanti borsoni inutilizzati in fondo al suo armadio, il ragazzo aveva risposto che era solito pianificare di scappare almeno una volta all'anno molto prima che suo padre lo cacciasse. Kurt decise di lasciar perdere.

Erano quasi fuori dalla porta quando un movimento dal grande e aperto corridoio che sembrava portasse a quella sembrava una sala da pranzo catturò l'attenzione di Kurt.

Rallentò, guardando Paul Karofsky come se lo stesse minacciando in silenzio.

Dave non aveva dato alcun segno di averlo notato o meno, era uscito dalla porta in fretta,attraversando con lunghi passi il giardino.

Kurt si diresse verso la porta ma Paul Karosky era un'ombra nell'angolo della sua visuale e Kurt non poté controllarsi. Era un ragazzo in un mondo di adulti e lui era una quelle di quelle persone a cui Paul Karofsky pensava come un Loro. Ma non riuscì a tenere la bocca chiusa.

Posò il borsone che stava portando sul pavimento e si voltò, guardando il padre di Dave con ogni grammo dell'atteggiamento da diva che il suo essere gay-stiloso poteva mostrare.

"Sa," disse improvvisamente, "Ho un padre che non riesce mai a lavarsi via del tutto l'olio di motore dalle mani e una matrigna che pensa che il denim sia un valido materiale per abiti che non siano dei jeans. Ho un fratellastro che ha più ragazze che neuroni. E loro hanno me. Me e Dave, una coppia di confusi ragazzi finocchi. Nessuno di noi è perfetto." fissò il padre di Dave dritto negli occhi, il mento alzato e un'espressione che sperava essere minacciosa, dato che ci stava seriamente provando. "Ma tutto quelle che le rimane è una casa vuota."

E voleva aggiungere "spero che lei ci marcisca dentro, stronzo" così tanto che poteva sentirne il sapore. Ma girò sui tacchi e prese e maniglie del borsone che aveva posato sul pavimento. Si diresse verso la porta.

Quando il padre di Dave aggiunse qualcosa dietro di lui, non ci fece minimamente caso. Non voleva chiedersi se fosse stata la luce oppure se gli occhi di Paul erano davvero così rossi. O se era rammarico quello sul suo volto oppure solo un gioco di ombre.

Non gli importava. Non importava. Poteva dire quello che voleva e pentirsi quanto voleva, ma aveva lasciato uscire Dave senza dire una parola e quella era l'unica cosa che avesse importanza.


"Possiamo semplicemente andate a casa se-"

"Voglio un maledetto gyros, Fancy, sta un po' zitto."

Kurt sospirò, ma forse chiedere di andare a casa dodici volte durante un viaggio durato cinque minuti era un po' troppo. Tolse le chiavi dalla macchina e fissò il ristorante, un piccolo rettangolo, dubbiosamente.

Dave sbatté la portiera quando uscì, ma Kurt non gliene fece una colpa. C'era lo stress e poi c'era quello, e un portiera sbattuta e un po' di parolacce erano probabilmente uno sfogo salutare.

Lo seguì in fretta, raggiungendo Dave mentre apriva la porta. Un piccolo campanello suonò sopra di loro eKurt provo a non alzare gli occhi al cielo. Entrò ed inspirò.

Il suo stomaco stridette.

Okay. C'era un odorino niente male. Kurt ancora non riusciva ad evitare di fiutare il pavimento sudicio e i poster scoloriti e le altre cose appese al muro. Un calendario con una foto di una piccola squadra locale segnava AGOSTO 2004.

"David!"

Era un urlo, almeno tre voci che sbraitavano. Kurt fece un salto, girandosi verso Dave in fretta.

Dave sorrise, e il solo posto in cui la rabbia indugiava ancora era attorno agli occhi. "Yo."

Un uomo dalla carnagione olivastra e delle sopracciglia che avrebbero fatto piangere Blaine dalla vergogna si spostò dal registratore di cassa, tendendo con vigore la mano davanti a lui. "David amico mio! Stavamo parlando di te proprio oggi! Smetti di venire qui e i nostri incassi si dimezzano!"

Dave strinse la mano dell'uomo,facendola ondeggiare in direzione una coppia di uomini coi capelli scuri e la pelle rossiccia voltati verso un grande griglia nera. "Già, scusa, sono successi dei casini."

"Non importa, vedo che hai portato un amico!" Improvvisamente un'ampia ed altamente entusiasta mano fu tesa verso Kurt.

Kurt porse la sua mano incerto, e non poté evitare un sorriso quando l'uomo gli diede lo stesso sguardo che di solito riceveva dalle madri dei suoi amici, lo sguardo da 'sei troppo magro, devi mangiare qualcosa'.

"Sappiamo cosa prende Dave, ma a te cosa possiamo portare?" chiese l'uomo, e il suo accento era abbastanza forte e calcato ma era così amichevole che Kurt si sentì in colpa per ogni pensiero poco carino riguardo a quel posto.

"Uhm." Lanciò un'occhiata a Dave. "Posso avere un...sha...warma?" Si sentì strano nel dire quella parola, sperando di essersela ricordata giusta.

"Shawarma!" Era praticamente un ruggito, e Kurt si sarebbe spaventato se non avesse appena cominciato a ridere. "Amico mio!" L'uomo sembrava sopraffatto e tornò a dire qualcosa ai due ragazzi che erano alla griglia.

Dave rise, e colpì col gomito il braccio di Kurt dirigendosi verso un piccolo tavolo vicino ad una finestra sudicia. "Questi fottuti ragazzi."

"Lo vedo." Kurt si mise sulla sedia, grato che non ci fosse nulla di appiccicoso. Prese il piccolo oggetto di plastica che c'era sul tavolo, puntandolo verso Dave con un sopracciglio alzato. "Forse non dovrebbero chiamare questo posto The Gyro Hut se non vogliono che la gente li chiami gyros."

Dave fece spallucce "Siamo a Lima, qui nessuno sa cosa sia un fottuto shawarma."

"Vero." Kurt si appoggiò allo schienale, ma un movimento catturò la sua attenzione. Alzò lo sguardo mentre qualcun altro arrivava da dietro la cassa.

E...oh. Bene.

"Ciaooo," si ritrovò a dire con un filo di voce. Perché, wow, di solito non era così impertinente, ma...

Cavolo.

Era un ragazzo giovane, forse sulla ventina. Stessa pelle olivastra e capelli scuri dei cuochi che prima avevano urlato, ma lì finivano le somiglianze. Era snello e alto, i suoi capelli neri erano folti, abbastanza mossi da poter addirittura diventare ricci una volta cresciuti. Aveva delle labbra così carnose che avrebbero potuto dare filo da torcere a quelle universalmente sexy di Santana. Ma la parte migliore erano i suoi occhi. Aveva i capelli scuri, la pelle scura, ma gli occhi erano chiari, luminosi e di una lattea sfumatura di marrone. Facevano un contrasto stupendo contro la sua pelle e...

Wow. A Kurt, nonostante il suo essere gay, non capitava spesso di essere lasciato a bocca aperta da un ragazzo.

Dave si alzò dalla sua sedia per andare incontro al ragazzo, e poi sorrisero e si strinsero le mani in modo disinvolto.

"Mi sembrava di aver sentito il tuo nome," il ragazzo disse con un accento lievemente marcato ma comunque ovviamente simile allo stesso che stava urlando a Kurt qualche momento prima.

"Davvero? E dire che tuo padre è stato piuttosto sottile questa volta," disse Dave, sorridendo.

Gli occhi di Kurt andavano dall'Uomo Misterioso ai due ragazzi, e le sue sopracciglia si alzarono.

Forse vedeva del gay dove di gay non ce n'era, ma... le loro mani restarono strette un po' più del normale, e non poté evitare di notare il modo in cui il nuovo arrivato si comportava con Dave. Anche quando Dave si voltò per guardare Kurt, il ragazzo rimase a fissare nella direzione di Dave.

"-amico di scuola," stava dicendo Dave quando Kurt tornò alla realtà.

Kurt si ricordò delle buone maniere e si alzò in piedi, dirigendosi verso di loro. "Ciao."

Il ragazzo porse la mano, e Kurt la strinse, e diamine, era davvero carino. "Qualsiasi amico di Dave è ilbenvenuto," disse il ragazzo con un semplice sorriso.

Kurt fece un sorriso un po' troppo ampio prima di ricomporsi. "Grazie. Uhm... Non credo di aver capito, come ti chiami?"

"Samir," rispose il ragazzo prima di rivolgersi di nuovo verso Dave. "Sei arrivato troppo tardi, ho appena finito di lavorare in ufficio."

"Merda," disse Dave con un sorriso. "Non importa, mi conosci. Sarò sempre qua intorno."

"Bene." Il ragazzo, Samir, sorrise a Dave in modo un po' troppo calorosamente, e a malapena scosse la testa verso Kurt. "È stato bello conoscerti Kirk. Ci vediamo, Dave."

Kurt provò a non godersi la vista di lui che se ne andava, ma cavoli. Non gli importava nemmeno di esserestato chiamato Kirk. Sarebbe stato volentieri un Kirk per quel ragazzo.

Dave tornò al tavolo. "Dovresti tornare ogni tanto quando Sam è libero. È proprio un grande."

"Grande?" Kurt scivolò nuovamente sulla sua sedia. "Se per grande intendi 'oltremodo bello' allora sì, è un grande. E se per 'grande' intendi qualsiasi altra cosa, ti tolgo il tuo distintivo da gay."

Dave alzò gli occhi al cielo. "Suppongo sia abbastanza..." Fece spallucce, guardandosi intorno e riflettendo. Le sue guance si colorarono piuttosto in fretta.

Kurt si illuminò. "Ti piace!" Per una qualche ragione il suo stomaco sembrò contrarsi per un attimo - forse non era abituato ad avere quel genere di conversazione con qualcuno che non fosse Blaine. O qualche ragazza.

"Ehi, non mi piace. È un bravo ragazzo, tutto qui."

"Stai scherzando?" Kurt restò a bocca aperta. "Se non piace a te, può piacere a me? Gesù, Dave, come fa a non piacerti?"

Dave fece spallucce, prendendo e giocando con l'oggetto di plastica al centro del tavolo. "Sinceramente? Io non... Beh lo sai, non faccio molto caso a queste cazzate."

"Come fai e non farci caso..." Kurt voleva tornare a quell'ufficio di cui stavano parlando e riportate indietro Samir in qualità di Prova A. Ma esitò, tornando a concentrarsi su Dave. "Davvero?"

Le sue spalle si alzarono e si abbassarono di nuovo. "Forse ci faccio caso, non lo so. Però non gli do importanza. Non ha senso pensare a quel genere di cazzate."

Kurt si accigliò. "Perché non sei dichiarato?"

Dave rise. "Beh, quello sarebbe il motivo per cui non avrei mai fatto nulla anche se ci avessi fatto caso. Ma no, è più come... Non ci trovo molto senso. Farsi piacere un ragazzo, o qualcosa del genere."

Il posto era vuoto fatta eccezione per loro e gli impiegati, e i tre uomini vicino alla cucina stavano parlando a voce alta in arabo o chissà cosa, ovviamente non prestando attenzione a loro.

Comunque, Kurt abbassò un po' la voce, avvicinandosi. "Lo capisci che la parte del 'mi piacciono i ragazzi' è ciò che vale il dramma di essere gay, giusto?"

"Forse per te, Fancy. Forse il tuo Capellone (*) vale la pena, non so."

Kurt tornò ad appoggiarsi allo schienale, aggrottando le sopracciglia. "Sono confuso."

Dave alzò le spalle. "Dai, Kurt. I ragazzi gay... Sono come te, sai? Tutti carini e femminili e cose così. Bei vestiti e il comportamento e le cazzate. E i ragazzi che gli piacciono... Sono come cazzo di Sopracciglia (*), giusto? Tutti affascinanti e sdolcinati e merda varia." Posò l'oggetto di plastica sul tavolo, riappoggiandosi al suo schienale. "Ho capito presto che se sono davvero frocio, farà fottutamente schifo. E non per tutte le stronzate, ma perché non sono il tipo di persona che sta bene in quel mondo."

"Questo è.. Molto ristretto di mente da parte tua, David," Kurt riuscì a dire dopo un minuto, anche se la sua mente è concentrata a chiedersi se Dave pensasse di essere carino o meno.

"Davvero?" Dave sorrise. "Forse. Non ne so molto di queste cose." Guardò verso la cassa, ma continuò dopo un momento. "Potresti pensare che sono uno stupido, ma parte del motivo per cui non volevo essere così è... Per questo. Tutto quello che avevo come riferimento era Grace Street a Chicago, oppure tu e Sopracciglia, o le varie cazzate che vedevo in tv o nei film. Per un sacco di tempo ho pensato che 'gay' volesse dire che mi piacciono i ragazzi. Ma voleva anche dire essere dei ragazzi stronzi e delicati con dei bei vestiti, che danno consigli di moda a qualsiasi ragazza protagonista del film. Effeminato, hai presente?"

Kurt ci pensò su - era ristretto di mente, certo che lo era. Ma come la gente continuava a far notare, questa era Lima, e la vita di Dave a casa probabilmente non lo aveva esposto molto.

Dave arrossì un poco. "So di essere ... Vabbè. Questo fottuto sportivo idiota. So di non vestirmi un granché bene, e mi piacciono l'hockey e il football, e penso che se fatta al momento giusto non ci sia niente di più divertente di una scoreggia."

Kurt alzò gli occhi al cielo, ma sorrise.

"Ero davvero fottutamente preoccupato a riguardo. Potrei non essere sto granché, ma mi piace chi sono. Voglio dire, odio alcune cose, sì, ma l'hockey e l'X-box e i fumetti e tutte quelle cazzate... La parte che mi piace. Ho pensato che se ero come tutti quei ragazzi in TV allora tutto quello che mi piace doveva essere una bugia, e la perderei." sorrise a Kurt un po' imbarazzato. "Penserai che sono un idiota. Va bene, come vuoi. Ma ogni singolo ragazzo gay che io abbia mai visto era in un certo modo e io sono in un altro. E ho capito che posso essere frocio e rimanere comunque come sono, ma ho anche capito che finirò col rimanere da solo."

"Okay." Kurt scosse la testa, stanco di ascoltare questo modo di pensare. "Non sei un idiota, sei un oltremodo complicato ragazzo nerd che cucina."

Dave sorrise, ma senza convinzione.

"Ma questo non vuol dire che tu abbia ragione. Voglio dire, c'è qualcosa che tutti i ragazzi gay hanno in comune, e senza quello saresti davvero solo e depresso."

"E cosa sarebbe?"

"Gli piacciono i ragazzi"

Dave alzò gli occhi al cielo.

Kurt sorrise. "Davvero, Dave. È quello. Dobbiamo ampliare il tuo insieme di esempi, ovviamente, ma per ora puoi accontentarti della mia parola."

"È okay." Dave sorrise e si accomodò sulla sua sedia. "In realtà sono piuttosto d'accordo. Voglio dire, forse hai ragione e ci sono un miliardo di ragazzi come me, froci come un arcobaleno e incollati al Super Bowl. Ma non ne sono così preoccupato. Voglio dire, merda. Ho vissuto per i primi quasi-diciotto anni della mia vita da solo, posso gestirmi quello che rimane allo stesso modo."

Kurt tossì, ma cadde il silenzio non appena l'uomo dietro la cassa arrivò al loro tavolo con un paio di enormi piatti pieni di cibo.

Aveva un odore divino, sapeva di carne e piccante, e sembrava una grande pila di identificabile carne misteriosa tagliata a fettine sopra un pita, ma Kurt tenne la sua attenzione sul cibo solo per un attimo prima che i suoi occhi tornassero su Dave.

Stava migliorando riguardo alla questione dell'essere gay. Aveva pronunciato quelle parole, ne aveva parlato liberamente con Kurt. Ma non era mai sembrato a suo agio con l'essere gay come lo era sembrato ora, dicendo a Kurt con assoluta confidenza che essere gay per lui significava stare da solo.

Come se preferisse quell'idea all'alternativa.

Kurt era piuttosto sicuro che quello significasse qualcosa, ed era piuttosto sicuro che qualsiasi cosa volesse dire non era una cosa buona.


Quando Kurt aprì aprì la porta del bagno dopo il suo lungo rituale serale, vide Dave aspettare fuori dalla porta.

"David!" urlò in modo spontaneo, provando e probabilmente fallendo ad imitare un accento medio orientale.

Dave rise. "Shawarma!" urlò di rimando, e per fortuna nessuno a casa stava già dormendo.

Kurt fece eco alla sua risata mentre si superavano l'un l'altro. Dave entrò in bagno e Kurt si avviò verso la sua camera e chiedendosi all'improvviso se quella potrebbe diventare, tipo, una cosa. Come uno di quegli scherzi tremendamente seccanti che due persone si fanno ogni tanto che fa pensare a tutti gli altri che sono degli psicopatici.

L'idea lo fece sorridere e lo fece sentire un accaldato, e stava ancora sorridendo quando spense le luci e si sistemò sotto le coperte.


Quando si svegliò era per colpa di un colpo solido e attutito che gli fece aprire di scatto gli occhi.

Era tutto buio, ed era estraniato da quella nebbia grigia che a volte lo svegliarsi lascia addosso. Ma realizzò che il rumore arrivava dal corridoio, così scacciò la nebbia e si alzò.

La porta della camera di suo padre e Carole era socchiusa, e sbatté le palpebre ancora mezzo addormentato. "Ci penso io," bisbigliò.

Carole sorrise un po' incerta, ma chiuse la porta.

Andò verso la camera di Dave e bussò piano, spingendo la porta dopo non aver ricevuto nessuna risposta. "Dave? Stai be-"

Era sul pavimento di fianco al letto, avvolto nelle coperte. Era tutto incurvato nel mezzo del fagotto e stava sospirando. Silenziosi, rochi, sospiri pieni di dolore.

Kurt lo raggiunse in un lampo, pensando a malapena. Sul pavimento, sulle sue ginocchia, cercando di aiutarlo. Dave si sporse per raggiungere la sua mano, ma anziché allontanarla, la afferrò forte, e si tenne al braccio di Kurt come se stesse affogando e Kurt fosse l'unica persona presente.

Kurt si spostò per sedersi proprio lì dov'era lui, in quel cumulo di coperte. Dave stava stringendo la presa attorno al suo braccio abbastanza da fargli male ma non si allontanò o provò a parlare.

Usò la mano libera per spostare i capelli dal volto di Dave. Sentì sé stesso mormorare e dirgli di fare silenzio, ma doveva essere una qualche reazione istintiva perché non riusciva nemmeno a concentrarsi su quello che stava dicendo.

Dave si arrotolò stretto su se stesso, nascondendo la sua faccia contro il braccio di Kurt. Non stava proprio piangendo, non era quel mento tremante e la singola lacrima da Hollywood. Aveva il volto rosso e incasinato e soprattutto distrutto.

Kurt chiuse gli occhi e scivolò tra Dave e il letto, così Dave poteva ancora aggrapparsi al suo braccio ma almeno Kurt poteva stare tra lui e il pavimento freddo. Dave si curvò contro il suo ventre, e solo quando riuscì a voltarsi e sospirare sulla coscia coperta dal pigiama lasciò che la presa sul braccio di Kurt si affievolisse un poco.

"Pensavo..." Dave affogò sulle sue stesse parole, e c'era qualcosa di forte e sottile nella sua voce che fece socchiudere a Kurt ancora di più gli occhi, come se questo potesse impedire alle sue parole di uscire. "Pensavo che stessero solo facendo i cazzoni," singhiozzò sulla gamba di Kurt.

Kurt scosse la testa. Non voleva sentirlo. Non aveva bisogno di sapere che cosa Dave stesse pensando o cosa stesse sognando o a cosa stesse ripensando. Aveva solo bisogno di essere lì, tutto qui.

Ma non aprì bocca, e Dave non era rivolto verso di lui quindi non poté notare il suo scuotere la testa agitato.

"Anche...q-quando ho capito che era una cosa seria," e quel piccolo farfugliamento fece quasi scoppiare a piangere Kurt, proprio lì in quel momento. "Non pensavo..."

"Lo so," riuscì a dire Kurt. Aprì completamente gli occhi e abbassò lo sguardo verso quella testa coi capelli scuri sul suo ventre. Allungò una mano e passò le sue dita attraverso quei capelli con gentilezza.

"Non pensavo," Dave disse ancora prima che un altro gemito lo facesse tremare e gli impedisse di parlare. "Dio, Kurt. Faceva male. Faceva c-così fottutamente male."

Quello era peggio. Peggio di quanto non fosse prima.

Peggio, capì Kurt disperato mentre massaggiava i capelli di Dave in un disperato tentativo di essere calmante, perché sapeva più di quanto non avesse saputo prima. Sapeva della fisica, del cucinare, e aveva visto il sorriso di Dave e l'aveva sentito ridere, e anche all'inizio quando aveva visto Dave sul pavimento, nudo e sanguinante, non era così tanto male. Non aveva il shawarma o il pugno da Team Arcobaleno o qualsiasi altra cosa, di Dave, se non qualche e-mail e un solo timido sorriso.

Kurt all'inizio era terrorizzato perché quella cosa impensabile era successa ad una persona che conosceva, l'appena-battezzato Dave con le e-mail imbarazzanti.

Ma quel Dave ora era il suo Dave, e Kurt non singhiozzava assieme a lui ma il provare a trattenersi era così difficile che pensava sarebbe esploso ad un certo punto. Era lì seduto e passava le dita tra i capelli di Dave e sentiva le lacrime inzuppargli il pigiama ed era abbastanza. Voleva esplodere.

"Li ho pregati," disse Dave dopo qualche minuto, sembrando stanco e roco. "Li ho fottutamente pregati. Volevo soltanto che finisse."

Kurt annuì, inutilmente perché Dave non lo poteva vedere. Ma non si fidava di dire qualcosa.

"E non smette," disse Dave in modo più leggero, afferrando Kurt come se non volesse lasciarlo andare mai più. "Ogni notte, mi succede di nuovo. Io... Gesù, Kurt, voglio solo che smetta. Per favore."

"Mi dispiace."

Fu tutto quello che riuscì a dire. Fu tutto quello che riuscì a far uscire dalle labbra. Non poteva dire a Dave 'è tutto okay' o 'lo so' o qualcosa del genere, perché era fottutamente chiaro che non fosse tutto okay, e Kurt non aveva idee. Tutto quello che poteva dire era che fosse dispiaciuto. Ed era tremendamente inutile, era veramente ridicolo quanto poco d'aiuto lui e le sue scuse fossero.

Ma era tutto ciò che aveva.


Note di Traduzione:
(*) Gli adorabili soprannomi che da Dave a Blaine, Hairboy e Eyebrows.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


Beta Reader: Kurtofsky
 

The Worst That Could Happen

- Capitolo 16 -


http://www.fanfiction.net/s/7109340/16/The_Worst_That_Could_Happen
 


“Abbiamo bisogno di un mio intervento?”
 
Kurt alzò lo sguardo dal cellulare non appena Mercedes fece atterrare il vassoio del pranzo di fronte a lui in maniera un po’ troppo brusca. "Excusez-moi?"
 
Lei si sedette, guardandolo in tralice. “Questo weekend ho parlato con Blaine Anderson più di quanto ci abbia parlato in tutto lo scorso anno. E abbiamo sempre parlato di te. Ho parlato con te solo una volta in questi ultimi due giorni. Tu non parli con nessuno che non sia David Karofsky.”
 
Kurt avrebbe voluto sentirsi sorpreso, ma abbassò lo sguardo sul telefono, al messaggio che stava scrivendo e riscrivendo da tutta la mattina. Guardò il suo patetico Hey Dave, volevo solo essere sicuro, e non si sorprese di nulla. (Non riusciva a finire il messaggio perché non sapeva se menzionare la notte scorsa, gli incubi e i pianti oppure lasciare dei riferimenti impliciti sul perché fosse così preoccupato.)
 
Mercedes lo conosceva troppo bene. Non aveva alcun dubbio sul fatto che potesse leggere la colpa nei suoi occhi.
 
“Guarda,” disse lei dopo un momento, abbassando la voce e avvicinandosi per sovrastare il rumore dei ragazzi che stavano mangiando. “So che è una situazione strana. Non so esattamente come la cosa ti coinvolga – cosa su cui torneremo dopo, perché non apprezzo essere lasciata fuori da queste cose – ma so per certo che quando il tuo ragazzo chiama me supplicando di dargli delle notizie c’è qualcosa di sbagliato.”
 
“Ho parlato con Blaine questo weekend,” provò a replicare debolmente Kurt. “L’ho persino visto sabato.”
 
“E hai parlato di Karofsky tutto il tempo!” Mercedes si accigliò, poi esitò. “È quello che lui a detto, comunque. È vero?”
 
Kurt non tentò nemmeno di mentire. “Più o meno.”
 
Lei si accigliò di nuovo.
 
Kurt sospirò. “Senti, c’è… questo è molto più grosso…” era corrucciato, perché come si poteva spiegare l’intera faccenda? “Hai sentito quello che è successo. L’intera scuola lo sa.”
 
Mercedes prese una patatina dal suo vassoio con una scrollata di spalle. “Mi diverto a sentire i gossip, ma non devo per forza crederci.”
 
“Bene. Alcuni sono veri.” Kurt fece spallucce, guardando Rachel e Finn sedersi all’altro capo del tavolo. Erano uno di fronte all’altra, e Finn fece quel sorriso da stupido senza spina dorsale che significava che quel giorno erano insieme.
 
Abbassò la voce quando si girò verso Mercedes. “Forse dovresti passare da me.”
 
“Da te?” Mercedes lo studiò “O per vedere Karofsky? Perché non so come interpretare un suggerimento del genere.”
 
“Perché interpretare?”
 
“Perché non conosco Karofsky! E le cose che so me lo fanno disprezzare.” Morse l’estremità di una patatina e poi la puntò contro di lui mentre masticava. “qualcosa di brutto gli è accaduto. Ciò non rende di lui una persona diversa, ok? Anche se fosse davvero gay come dicono tutti. Perfino se suo padre lo avesse diseredato e Azimio Adams lo avesse mandato in ospedale e qualunque cosa sia davvero successa, questo non cambia il fatto che non è una brava persona. Solo perché ora è amichevole non significa che sia buono.”
 
“Non ho mai detto questo.” Kurt alzò le spalle, cancellando il suo messaggio incompleto dal cellulare in maniera un po’ rude. “Non è a causa di quello che è successo che è una brava persona, d’accordo? Ora è una brava persona perché lo è.”
 
 Lei scosse la testa, ma a quel punto arrivò Tina che si mise di fianco a lei, e allora Mercedes gli lanciò quell’occhiata da ne-discuteremo-più-tardi-ragaz
zo-bianco.
 
Era come con Blaine. Kurt si aspettava che Mercedes accettasse cose che non aveva idea fossero successe. Non era giusto per lei come non lo era per Blaine, ma… lei non era lontanamente come il suo comprensivo ragazzo. Non era una fonte sicura per il segreto di Dave.
 
Forse era un po’ presto chiederle di andare a casa sua, ma… non sapeva in che altra maniera farle vedere chi era Dave in quel momento. Non poteva parlare con lei del genere di cose che aveva detto a Blaine, senza contare che Blaine pure sapeva meno di un quarto di quello che stava succedendo con Dave.
 
Si stava tenendo per sé il Dave amante della fisica, sebbene non volesse tenere quel segreto nell’interesse di Dave.
 
Per quanto, certo, aveva chiamato Mercedes sabato sera e aveva blaterato di russo e cucina. Era praticamente esaltato per l’intera faccenda, e ripensandoci lei non aveva contribuito molto alla conversazione. Non aveva detto una parola, di fatto, non appena aveva realizzato di cosa stesse parlando Kurt.
 
Questo lo fece sentire davvero uno stupido riguardo all’idea che aveva avuto di chiamare lei per prima, e non faceva davvero schifo realizzarlo solo in quel momento?
 
Il telefono vibrò.
 
Kurt guardò in basso, ignorando qualunque cosa Tina e Mercedes stessero dicendo di fronte a lui. Vide il nome di Dave sullo schermo e parte della tensione che si stava portando dietro dalla mattinata scivolò via.
 
Ero così scocciato dal fatto che ci fosse mio padre che ho scordato di prendere il mio SUV da casa così non avresti più dovuto scarrozzarmi in giro.
 
Kurt sorrise tristemente al messaggio. Dove devi andare? Non mi da fastidio accompagnarti.
 
Ma ad un certo punto dovrò prendere la mia dannata auto. Oggi, pensavo… suppongo che tuo padre sia andato avanti e mi abbia prenotato un’ora con quella terapista del cavolo.
 
Il sorriso di Kurt divenne più genuino e rispose in maniera un po’ troppo entusiasta. Naturalmente ti ci porto. Non dovresti andare da solo la prima volta.
 
Mandò il messaggio e sorrise, grato di poter essere d’aiuto in un modo reale dopo gli abbracci inutili e i sospiri della scorsa notte.
 
Non poté fare a meno di notare che Mercedes lo stesse guardando da di fronte al tavolo. La guardò, lanciandogli una patatina dal suo pranzo immacolato. “Smettila di guardarmi. Davvero.”
 
Lei gli fece una smorfia in ritorno, ma gli lanciò indietro il cibo e tornò a parlare con Tina.
 
Si rilassò un po’ – Mercedes poteva non capire le cose al momento, ma perfino se andava fuori di testa al comportamento che Kurt stava tenendo nei confronti di Blaine, alla fine dei giochi era ancora la migliore amica di Kurt.
 
Il cellulare vibrò.
 
Grazie, Fancy. Questa cosa farà schifo, tienilo a mente.
 
Forse. Se sarà davvero orribile potremo andare a mangiarci un shawarma dopo. E sì, mi sto offrendo di andare a mangiare da Myster Meat due volte in due giorni per te. Sentiti onorato.
 
Haha. Shawarma! Mi piace, potremmo farlo. Non mentirmi, vuoi solo dare un’altra occhiatina a Samir.
 
Kurt ignorò le ripetute occhiate di Mercedes mentre rideva al cellulare.
 
Non è colpa mia se sono nato con degli ormoni gay, David. È genetica. I was born this way, baby.  
 
Merda, ho appena avuto un flash di quando stavo guardando la versione del vostro piccolo glee club di quella dannata canzone. Non devo per forza amare Gaga solo perché sono un finocchio, ok?
 
L’hai vista? Stalker. E ovviamente, il fatto che ti piaccia Mama non ti rende gay. Ti rende una persona con degli ottimi gusti.
 
Stai zitto, mi ci ha trascinato la mia copertura. Sono fiero della mia completa mancanza di ottimi gusti. Ed è fin troppo silenzioso in questa casa, Fancy. Distraimi. Dì qualcosa di divertente.
 
Kurt alzò gli occhi al cielo, stringendosi su se stesso quando Mike praticamente volò sulla sedia vicino a lui per poter fare gli occhi dolci a Tina dall’altra parte del tavolo.
 
Non sono divertente a comando, David. Non sono una scimmia addestrata.
 
Nessuno lo è tranne Schuester. Heh. D’accordo, solo… dimmi qualcosa. Come vanno le lezioni?
 
Kurt sorrise a se stesso, riscaldandosi all’istante. Noiose, rispose. Penso che gli insegnanti non sappiano se trattarci come adulti o come bambini troppo cresciuti. La mia prima lezione è stata una lettura sulle possibili ramificazioni economiche della tassa patrimoniale, come se avessi cinquant’anni.
 
Haha, la lezione di Brattons? Ama predicare stronzate repubblicane sotto forma di lezione.
 
Naturalmente Brattons. E nell’ultima ora ci hanno assegnato un tema riguardo a quale dei cinque sensi è il più importante e perché. Se non è da scolaretti non so cosa sia.
 
Dannata Albright. Te l’ho detto, Fancy, è una rottura di palle. Dovrebbe tornarsene a casa dalla sua orda di dannati gatti e lasciare briglia sciolta alle nostra creativa da scrittori.
 
Kurt sghignazzò, dando una forte spinta alla spalla di Mike, quando quest’ultimo si girò per vedere di cosa Kurt stesse parlando. “Stai indietro, ballerino.”
 
Mike ghignò. “È il tuo ragazzo, Kurt?”
 
“Lascialo stare,” urlò Tina al suo ragazzo. “Tu non messaggi mai con me a pranzo.”
 
Mike sbatté le palpebre. “Sono qui.”
 
Lei lo guardò male.
 
Kurt ghignò, lasciandoli al loro dramma.
 
Dave aveva mandato un altro messaggio durante la pausa: Ecco cosa farai, Fancy. Scriverai un tema sulla pericolosa e fuorviante lezione che ti è stata data sul nostro corpo, e come il mito di avere solo cinque sensi sia qualcosa che si dice solo per limitare le menti curiose.
 
Kurt rise – piano, non voleva attrarre troppo l’attenzione su di sé – e digitò una risposta.
 
Vuoi che io distrugga il suo instabile gatt-ordine mentale? Oltretutto, non scriverò un tema sul sesto senso. Non credo nei poteri paranormali.
 
Non stavo parlando di paranormale, Fancy. Sto facendo lo scienzato-nerd. Nessuno sa quanti sensi ci siano perché non c’è una definizione precisa di cosa costituisca un senso. Ma la maggior parte degli scienzati stimano che ce ne siamo almeno una o due dozzine.
 
Dio, sei sexy quando fai l’intelligente. Vorrei solo sapere quanto del tuo parlare di scienze sia una stronzata.
 
Stai zitto, sono sempre sexy. Solo che faccio vedere raramente. È talmente raro che non ho mai incontrato davvero nessuno con cui esserlo. E non dico mai stronzate sulla scienza. Vuoi che ti introduca ad uno dei sensi che non sai nemmeno di avere?
 
Kurt sorrise al telefono, allo schermo pieno di messaggi che Dave tendeva a lasciarsi dietro. Chi avrebbe mai pensato che Dave Karofsky fosse uno di quelli che mandano messaggi di continuo? La maggior parte degli amici di Kurt, anche quelli fantastici e carismatici, tendevano a rispondere in maniera sintetica ai messaggi, lasciando la sostanza per Facebook.
 
Tentò – fallendo miseramente – di ignorare che nell’ultimo messaggio Dave con relativa offerta di introdurlo ad un senso che l’aveva fatto arrossire giusto un po’.
 
Kurt si diverta a flirtare come idea in sé, ma in pratica era una cosa effimera che non aveva mai provato. Era abbastanza a suo agio con Blaine da sapere quando le loro conversazioni raggiungevano il livello del flirt ed esserne felice.
 
Ma con le altre persone non era così facile. Era abbastanza sicuro, in primo luogo, che Dave non stesse davvero flirtando. Di tutte le cose su cui Dave si sentiva in imbarazzo, essere gay sembrava essere quella in cima alla lista.
E lui e Kurt… avevano sviluppato quella che si potrebbe chiamare una amicizia complicata, ma complicata per via dei fatti, non perché ci fosse alcun tipo di tensione sessuale o cose del genere.
 
L’idea fece sogghignare Kurt tra sé e sé, sebbene le sue gote fossero ancora rosse. A parte l’ammissione di gelosia da parte di Blaine, Kurt considerava abbastanza straordinario il fatto che a lui piacesse Dave come amico, e che a Dave piacesse lui. C’era abbastanza da restarne sorpresi, senza aggiungerci implicazioni o congetture.
 
Finalmente rispose al messaggio di Dave con una sola breve risposta.
 
Sicuro, Coach Dave. Insegnami. 
 
Mandò il messaggio e il suo volto era così caldo che ormai era sicuro fosse rosa, ma tenne la testa bassa in caso Mercedes lo stesse guardando.
 
Un momento dopo Gaga stava cantando sul suo grembo riguardo all’essere senza parole. Kurt rispose velocemente.
“Sei fortunato che sia a pranzo”
 
Ci sono orologi dappertutto, lo sai,” disse Dave nel suo orecchio. “Potrei anche star evitando il McKinley come un bambino obeso evita le merendine, ma mi ricordo ancora quando è ora di pranzo.
 
Kurt rise. “Quindi? Ti sei annoiato di mandarmi messaggi?”
 
“Hey, me l’hai detto tu di insegnarti. Ti sto insegnando. Chiudi gli occhi.
 
Kurt alzò lo sguardo, incontrando l’occhiata di Mercedes e incapace di ignorare la folla attorno a lui.
“Cosa?”
 
Fallo, Fancy. Sei circondato dai tuoi amici canterini del Glee, nessuno ti romperà le scatole.”
 
Sbuffò annoiato, ma chiuse gli occhi. “D’accordo. E adesso?”
 
Ora mostra il tuo miglior saluto solidale alla sala da pranzo.
 
Kurt rise, ma alzò il braccio con il pugno chiuso. “La Squadra Arcobaleno è qui, McKinley.”
 
Stupido cretino,” disse Dave ridendo, in maniera bassa e roca.
 
Kurt ghignò e rabbrividì un poco, probabilmente perché era nel mezzo della sala da pranzo con gli occhi chiusi e il pugno in aria.
 
“E ora? In fretta, è imbarazzante. E se tu e Azimio avete programmato questo e mi sta per arrivare una granita sulla schiena, giuro che ti mostrerò quanto posso essere petulante.”
 
Non ho parlato con Z da quando è stato qui venerdì,” ammise Dave, la voce un po’ più bassa. Ma si riscosse subito. “Okay, punta l’indice verso l’alto. Continua a tenere gli occhi chiusi.
 
“Dio, è una fortuna che non abbia punti da perdere.” Kurt obbedì. “E?”
 
Toccati il naso.”
 
“Mi stai prendendo in giro?”
 
Fallo Hummel!”
 
Kurt rise e tenne gli occhi ermeticamente chiusi. Si toccò la punta del naso con il dito e fece una smorfia. “D’accordo, e adesso?”
 
In realtà è tutto qui.”
 
“E questo era…” gli occhi di Kurt si aprirono mentre rideva.
 
Mercedes lo stava fissando, le sopracciglia insolitamente alte.
 
Tina lo stava guardando storto.
 
Una rapida occhiata gli mostrò l’intero Glee club riunito per pranzo caduto nel silenzio, mentre lo guardavano con diverse espressioni di divertimento sul volto.
 
“Oh dio, sono un paria nel mio stesso club di perdenti,” mormorò Kurt, abbassando il braccio e resistendo all’impulso di sbattere la testa contro il tavolo.
 
Propriocezione.” (*)
 
Kurt smise di lamentarsi del suo destino abbastanza da concentrarsi sulla voce nel suo orecchio “Cosa?”
 
È così che si chiama.” Sembrava che Dave dovesse trattenersi dal ridere. “Il senso che hai appena usato. il fatto che tu sappia quale dito alzare e come portarlo al naso senza guardare. È un senso che abbiamo tutti e che non c’è nella lista da scolaretto insieme al tatto, il gusto e quelle stronzate lì.
 
Kurt si rilassò, sorridendo. “Huh. Cos’è?”
 
Tecnicamente, è i termine per indicare la coscienza del corpo di se stesso, almeno in relazione a se stesso. In latino significa anche ‘esercizio di pubblica umiliazione nella mensa scolastica’.
 
“Stai zitto.” Rise Kurt, guardando gli amici che lo stavano ancora fissando e alzando lo sguardo al cielo. “Wow, è una figata, davvero. Dilla ancora, quella parola.”
 
Dave si schiarì la gola, e praticamente mormorò al suo orecchio. “Propriocezione.”
 
D’accordo, Kurt rabbrividì al sentire quella parola, ma visto che sapeva che Dave non l’aveva fatto con intenzioni strane non si sentì in imbarazzo. Ghignò al telefono. "Tu brutto stronzo sexy."
 
Zitto Fancy.” Dave rise. “Farai diventare geloso Samir. Lo sai che è completamente preso da me, giusto?”
 
“Esatto.” Disse Kurt all’istante. “Lo avevo notato.” Rise mentre Dave quasi si strozzava dall’altro capo del filo. Invece di rimanere lì a spiegare cosa fosse successo alle persone attorno a lui, si alzò e tenendo il telefono attaccato al suo orecchio prese la sua borsa e il suo vassoio quasi pieno per buttarlo.
 
Era troppo di buon umore per rovinarselo con le occhiate di Mercedes o le domande di chicchessia.


 Doveva esserci una sorta di sicurezza nel telefono. Forse perché messaggiare e parlare al telefono metteva abbastanza distanza tra due persone in maniera che fosse facile per Dave sorridere e scherzare con lui.
 
Kurt diventò cosciente della cosa mentre tornava a casa da scuola e il Dave che lo stava aspettando non era di certo lo stesso che parlava di scienza in modo sexy a scuola.
 
Era teso, e si vedeva. Guardava a malapena Kurt, ed era così lontano dal ridere e scherzare che Kurt quasi credeva che un estraneo avesse fatto quella chiamata al suo posto.
 
Ma qualunque cosa avesse cambiato Dave nelle ore tra il pranzo e l’arrivo a casa di Kurt, aveva cambiato anche Kurt stesso. In qualche modo quando bussò alla porta della camera di Dave per dirgli che era a casa, non riuscì a sorridere quando aprì l’uscio.
 
“Quando vuoi andare?” chiese semplicemente.
 
“Presto,” rispose piano Dave. “Devo essere lì alle sei, e non so dove sia questo posto.”
 
Kurt scrollò le spalle. “Ho il GPS.” Si sentì in imbarazzo, quindi fece un piccolo sorriso e tornò indietro. “Busso quando sono pronto.”
 
Dave chiuse la porta senza rispondere.
 
Kurt sospirò e andò nella sua stanza, lasciando la borsa di scuola vicino alla porta e andando all’armadio per mettere a posto il cappotto.
 
Il fatto che riuscisse a distrarre Dave durante il giorno con i messaggi e mettendo se stesso in imbarazzo in pubblico… era un buona cosa. Era felice al riguardo, gli piaceva farlo. In realtà lo faceva sentire un po’ più orgoglioso di quello che probabilmente avrebbe dovuto. Voleva solo andare avanti. Voleva solo che ci fosse un effetto reale una volta posato il telefono.
 
Si sedette davanti al computer, ma finì solo per fissare il suo riflesso nello schermo nero per alcuni minuti prima di alzarsi e andare a prendere il telefono nella borsa.
 
Mandò un messaggio, come se quella cosa non fosse completamente assurda.
 
Stai bene?
 
Ci fu una luna pausa. Kurt giocherellò con il cellulare, e anche se normalmente amava distrarsi dalla noia quella volta era contento di rimanere seduto ad aspettare.
 
Non voglio farlo, rispose finalmente.
 
Kurt compose le parole, sospirando. Lo so. Ma voglio che tu stia meglio.
 
Se pensassi che questa stronzata aiuti sarebbe diverso.
 
Kurt chiuse il messaggio e si alzò, andò oltre la porta, attraverso il corridoio. Aprì la porta della camera di Dave senza bussare, e non si sorprese nemmeno quando vide Dave seduto ad un angolo del letto che teneva il telefono con entrambe le mani.
 
Kurt si avvicinò e si sedette vicino a lui, “Ti fidi della scienza, vero? È… medicina, è scienza. Non è concreta come una teoria di fisica, forse, ma aiuta le persone.”
 
Dave spense lentamente il telefono ed prese un respiro, espirando piano. “A volte funziona,” disse tranquillamente, “A volte non funziona. A volte questo genere di stronzate impiegano anni a passare, giusto? È così stupido…”
 
Kurt si accigliò. Avvicinandosi, accarezzò leggermente la schiena di Dave. “Cosa è stupido?”
 
“L’intera faccenda…” rise Dave, completamente a pezzi. “Quello che è successo a scuola è durato qualcosa come dieci minuti, probabilmente. Non lo so, la mia percezione era andata a farsi fottere. Ma non poteva essere durata così tanto, a prescindere da come mi sentivo. È così stupido che ci impieghi delle ore a venire a capo di una cazzata da dieci minuti.”
 
“Okay, mettiamo le cose in chiaro.” Kurt si sedette, studiando in maniera grave il profilo curvo di Dave. “Sono lieto di sapere che tu non pensi sia una cosa che puoi sistemare con un solo incontro, che entrerai lì dentro per un’ora e ne uscirai come se niente fosse successo. Ma… una volta hai detto qualcosa riguardo al fatto che la terapia ti farà sentire come se tu non stessi facendo nulla per te stesso? Lasciami essere completamente trasparente con te: puoi fare qualcosa. Stai facendo qualcosa.”  
 
Dave guardò oltre, il dubbio negli occhi.
 
“D’accordo, non stai dormendo. Hai gli incubi. Probabilmente sei ad un passo dalla depressione, e non vuoi ancora andare a scuola. Ma sei comunque in piedi, pranzi con la mia famiglia, mi mandi messaggi blasfemi e mi fai imbarazzate a pranzo. Sei capace di sorridere e ridere, esci dal letto ogni mattina e ti sforzi di far andare le cose meglio.”
 
Kurt incontrò gli occhi nocciola di Dave, più sincero e determinato di quanto mai lo fosse stato. “Sei così dannatamente forte che fatico a crederci delle volte. Okay? Questo non cambia nulla. Se anche tu non andassi mai a parlare con qualcuno, alla fine rimetteresti le cose a posto comunque. L’andare… da questo dottore, renderà solo più veloce il processo, ecco tutto.”
 
 
Dave fece una smorfia, guardando il suo telefono come se stesse aspettando una risposta da parte di Kurt.
 
Kurt si mosse senza pensarci. Posò le dita contro la guancia di Dave e lo fece voltare. “Ascoltami. So che starai meglio. Non ho nessun dubbio su di te. Starai meglio da solo, ma meriti di più di questo. Meriti di essere in grado di dormire. Se parlare con qualche Dottore ti aiuterà a sistemare le cose prima di quanto potresti farlo da solo, allora è quello che devi fare. Non perché tu non ne sia in grado da solo, ma perché non dovresti farlo da solo.”
 
Il dubbio, l’oscurità, sembrarono ritirarsi dagli occhi di Dave non appena trovò il volto di Kurt. Sembrò cercare qualcosa, magari un grammo di dubbio o l’inizio di una bugia.
 
Kurt rimase fermo, lasciandolo fare, perché sapeva che non c’erano bugie o dubbi che Dave avrebbe potuto trovare.
 
Dave emise uno sbuffò, quasi una risata. “Merda, Kurt.” Aveva gli occhi lucidi, ma sorrise. “Se pensi che sia in grado di farcela da solo, ci sto. Ma non sono stupido. Lo so… penso proprio… che sarà uno schifo. Sarei messo malissimo se non fosse per te.”
 
Kurt sorrise insicuro. “Non posso fare nulla per aiutarti. Nulla che sia reale.”
 
Dave scosse la testa. “Non hai idea di quanto tu mi stia aiutando.” Esitò, guardando una piccola cassettiera accanto al muro. “Non posso parlartene senza spaventarti un po’, ma vorrei poterlo fare. Dovresti saperlo. Tutto quello che c’è stato, tutto quello che io ti ho fatto passare, è davvero imbarazzante quanto abbia bisogno di...” Dave espirò.
 
“Puoi dirmelo,” disse Kurt un attimo dopo.
 
Non era un’offerta vuota. Era frustrato con se stesso ogni giorno, se accadeva qualcosa che non riusciva a sistemare. Dopo la scorsa notte, dopo Dave che singhiozzava abbastanza forte da farlo stare male, con Kurt che poteva solo dirgli quando fosse dispiaciuto…
 
Kurt amava mettere a posto le cose. Amava far andare le cose meglio. Era per questo che gli piaceva decorare e adorava aiutare gli altri con la sua piccola ossessione per la moda. Non era come essere inutili, anche se il modo in cui aiutava era piccolo e superficiale.
 
Pensava di avere aiutato Dave in qualche modo. Essere lì con lui la notte prima era molto meglio di Dave che passava la notte singhiozzando da solo. Ma non era abbastanza per quello che aveva affrontato.
 
Dave sembrava credere a quello che aveva detto. Che Kurt fosse d’aiuto, molto d’aiuto. Se avesse potuto… Kurt voleva saperlo. Voleva sapere quanto era stato d’aiuto, così da portarlo essere ancora.
 
Dave si alzò subito, muovendosi verso la cassettiera che stava fissando. “Tu… cazzo, non posso credere che…” Aprì il primo cassetto e rimase fermo per un momento. “Promettimi di non arrabbiarti.”
 
Kurt si sedette all’indietro, e si aggrappò al bordo del letto per precauzione. “Prometto.”
 
“Ricordi quando ti ho parlato… merda. Ehm. All’ospedale, ti ho detto quanto le cose andassero male con mio padre, che mi aveva sbattuto fuori e tutto quanto…”
 
Kurt si accigliò e ci pensò su, ma ci volle solo un momento per mettere insieme i pezzi del puzzle. Non si ricordava le esatte parole, solo la parte dove Dave rideva e si chiamava ‘femminuccia’ per non aver mai aperto la scatola di pillole.
 
Le mani di Kurt si strinsero un poco sul borso. Si schiarì la gola. “Sì,” disse finalmente, “Mi ricordo.”
 
Dave cercò dentro il cassetto e tirò fuori una scatola arancione con delle pillole. “Tuo padre l’ha trovata nelle mie cose,” disse, lanciando la confezione verso il letto.
 
Kurt sganciò una mano dal  materasso e prese facilmente la scatola. Riusciva a malapena a respirare mentre la guardava, con l’etichetta David karofsky stampata, e la data di scadenza del 2008.
 
Fissò la scatola.
 
“Deve averla trovata nel mio armadio e non ha notato la data,” Dave si girò verso il cassetto.
 
Quando Kurt decise di alzare lo sguardo, gli occhi erano puntati sulla mano di Dave. C’era una seconda scatole di pillole.
 
Dave la tenne in mano come se fosse una prova. “Mi diedero queste prima di lasciare l’ospedale. Il dottore mi disse di prenderle per il dolore, e per aiutarmi a dormire.”    
Kurt non aveva dubbi che la scatola fosse ancora piena. Fissò quella, e poi la scatola nella sua mano. Tornò a guardare Dave.
 
Dave scosse le spalle imbarazzato e mise la seconda bottiglietta sul ripiano della cassettiera. Rimase lì, a fissarla, e Kurt poteva vedere solo il profilo mentre parlava.
 
“Ho fatto un patto con me stesso,” disse piano Dave. “Intendo, dopo tutto quello che è successo, le stronzate con mio padre, e Z, e gli incubi… ho fatto un patto con me stesso. Mi sono detto… verrà un giorno, presto probabilmente, in cui non ci sarà un singolo momento bello. Un giorno in cui non succederà nulla di buono, nulla eccetto gli incubi e queste… queste cose che non riesco… cazzo, quando mi faccio una doccia devo far finta di essere un altro perché se solo penso di toccare me stesso mi viene da vomitare. Mio padre non mi vuole attorno, e a nessuno dei miei amici interessa un cazzo di me, e…” Respirò profondamente.
 
Kurt fece scivolare la bottiglietta dalla mano nella tasca. Non poteva staccare gli occhi da Dave.
 
“Ad ogni modo,” disse Dave un momento dopo. “Pensavo che un giorno non avrei avuto altro che queste brutte cose. Che non ci sarebbe stato un singolo momento bello. Quel giorno, quel giorno avrei smesso di essere una femminuccia e l’avrei fatto.”  Alzò le spalle, girandosi verso Kurt ma non guardandolo nemmeno per sbaglio. “Non pensavo ci volesse poi molto, ma fino ad adesso… non è mai capitato. Grazie a te.”
 
Uno sbuffo uscì dalla gola di Kurt.
 
“Perché mi sveglio ogni mattina sicuro che quello sia il giorno, e poi tu bussi alla mia porta e mi dai il buongiorno come fai ogni mattina, e il mio cervello dice ‘bene, non è oggi. Forse domani’.” Fece un sospiro tremante, tenendosi il volto con le mani. “Quindi, magari te pensi di non fare molto. Ma invece lo fai.”
 
Kurt riusciva a malapena a guardarlo, quel ragazzo in polo e jeans che un mese prima gli stavano a pennello, e ora li cadevano addosso, senza forma. Il suo Dave, il suo nuovo amico che ora conosceva abbastanza da sapere che non aveva scoperto nemmeno l’uno percento delle cose che c’erano da sapere su di lui.
 
Si mise in piedi in maniera instabile e attraversò la stanza, il braccio attorno a Dave in un istante mentre stava quasi piangendo – quasi – ma di certo stava respirando forte e velocemente contro la spalla di Dave.
 
Dave lo abbracciò stretto, in silenzio.
 
“Mi sono un po’ spaventato,” confessò Kurt contro la maglietta di Dave.
 
Dave ridacchiò. “Sì, probabilmente è giusto.”
 
Non è giusto. Non è giusto… non è giusto che tu abbia solo una cosa buona. Non è…” Kurt esitò, sperando di non fare il passo più lungo della gamba. “Non è giusto nemmeno per me.”
 
“Lo so.” Dave si mosse senza lasciare Kurt. Un momento dopo si stava tirando indietro abbastanza da mantenere un braccio attorno a lui, e offrì a Kurt la bottiglietta arancione. “La vuoi?”
 
Kurt si tirò indietro e incontrò i suoi occhi. “Non ne hai bisogno?”
 
Dave fece spallucce. “Suppongo che quando avrò il primo grosso crollo qui con temi farà sentire meno un perdente quando andrò dallo psichiatra per tutti gli altri crolli che affronterò.”
 
Kurt scosse la testa, incapace di staccare lo sguardo da Dave, dallo sguardo nei suoi occhi.
 
Dave sorrise debolmente, le guance rosee. “So che non è giusto gettare su di te le mie stronzate. Non ho mai pensato di dirti niente, ma… pensi che stia meglio, e sei così dannatamente intelligente, ecco. Se anche io lo fossi, allora andrebbe bene dirti la verità, dato che non lo sarebbe più per molto tempo ancora. Giusto?”
 
Kurt si alzò e sfioro la mascella di Dave. Si avvicinò alzandosi sulle punte e premette la bocca contro quella di Dave.
 
Nonostante la rabbia di Mercedes, la gelosia di Blaine e le domande di suo padre, non c’era nulla di sessuale in quel bacio. Kurt baciò Dave, per farla breve, perché non c’erano parole per dire quello che voleva dire, ma quello comunicava il messaggio piuttosto bene.
 
Si tirò indietro dopo un momento, sentendo il fiato di Dave contro il collo e assaporando il retrogusto di sale delle sue lacrime. Vide gli occhi di Dave aprirsi piano, e vide anche che Dave aveva compreso. Nessun rossore, nessuna agitazione, nessuno dei normali segnali di panico da gay di Dave. Dave sbatté le palpebre e guardò Kurt con quel sorriso timido e familiare sul volto.
 
Kurt non l’avrebbe mai detto a suo padre, o a Blaine. Non avrebbe avuto senso per altri che non fossero Kurt o Dave e non gli interessava poi tanto. Lui e Dave capivano, e solo quello contava.
 
Si alzò e prese la bottiglietta dalla mano di Dave.
 
Era intelligente abbastanza da sapere che l’intera faccenda, l’ammissione di Dave, non era esattamente normale. Magari non era giusto, non era sano, per Dave appoggiarsi in quella maniera a Kurt, e per Kurt sostenerlo. Entrambi sapevano che erano andati un po’ troppo in la, ma Dave stava migliorando, e Kurt avrebbe continuato a stare con lui.
 
C’era ancora tanto da fare, ed entrambi lo sapevano.
 
D'altra parte, Kurt iniziava a capire che si era sbagliato riguardo una cosa che lo aveva irritato per un po' di tempo. Aveva pensato, fin da quando era entrato nella stanza d'ospedale di Dave il giorno dopo l'aggressione, che non era stato giusto per lui che ci fosse stato solo Kurt Hummel lì ad aiutarlo. Aveva pensato, dato che non erano mai stati amici prima che accadesse tutto quanto, dato che erano stati davvero apertamente nemici per la maggior parte del tempo in cui erano stati consapevoli dell'esistenza dell'altro, che doveva essere d'aiuto a Dave in ciò stava passando. Aveva pensato che doveva aver ferito Dave in qualche modo, essendo stato quest'ultimo costretto ad affidare se stesso, i suoi segreti e la sua intera vita a un ragazzo con cui aveva avuto un pessimo passato. Ma guardava Dave in quel momento e vedeva che non c'era una briciola di risentimento nei suoi occhi. Parlava del suo primo, grande passo in avanti con Kurt come se l'avesse fatto tutto da solo. Come se si fosse sentito così vicino a Kurt da volerlo condividere con lui.
 
Erano amici; Kurt era a suo agio con l’idea che fossero amici. Quella era la prima volta che capiva che la cosa era reciproca. Che Dave pensava a lui come amico non solo per necessità, e non solo perché era l’unico che si era preso quel ruolo.
 
Dave pensava che Kurt come amico perché Kurt era suo amico. Dave si fidava di lui per portarlo a casa del padre, o dallo psichiatra, perché erano amici. Si fidava di Kurt per quanto riguardava i piani e gli incubi, cosa non facile per un adolescente maschio.
 
Kurt voleva che Dave avesse aiuto non perché si sentiva male all’idea di un essere umano che soffriva, ma perché la sua vita non sarebbe stata la stessa senza Dave. Perché Dave era un’atleta timido, sboccato e lunatico che nascondeva una passione per la cucina e la scienza perché era troppo spaventato per uscire dal guscio durante la maggior parte della sua vita.
 
Kurt voleva aiutarlo ad uscire dal guscio non perché fosse un bravo ragazzo e il povero Dave necessitasse di un supporto morale, ma perché Kurt era abbastanza intelligente da vedere lo splendido ragazzo che si nascondeva, ed era egoista abbastanza da volerlo conoscere.
 
Guardò Dave e sorrise, perché sapeva di non essere più preoccupato dal recupero di Dave. Infatti, avrebbe provato fortemente a non essere del tutto compiaciuto a riguardo, perché apparentemente Kurt era l’unica persona la mondo abbastanza intuitiva da vedere Dave per quello che era, e questo rendeva Kurt l’unica persona in grado di fare quell lavoro.
 
Kurt fece scivolare la seconda bottiglietta di fianco all’altra, si alzò e prese un braccio di Dave con il proprio, sorridendo.
 
“Andiamo, ti offro degli head-shrinking e un gyro.”


Note di Traduzione:
(*) Propriocezione.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


Beta Reader: Kurtofsky.
 

The Worst That Could Happen



Nonostante il GPS, Kurt si perse andando dalla terapista e venne quasi tamponato da un tizio in una Porche nuova di zecca, che Dave ribattezzò immediatamente ‘stronzo yuppie del cazzo in piena crisi di mezza età’. Più tardi Kurt si chiese se fosse stato un segnale, se i problemi nel raggiungere lo studio fossero stati dei presagi che aveva ignorato perché non aveva mai creduto davvero nelle premonizioni.

L’indirizzo che l’ospedale aveva dato a Dave era al sesto piano di un palazzo più grande pieno di aziende, con una banca nell’ingresso e un chirurgo plastico dall’altro lato dell’atrio dello studio della terapista. Era tutto molto distante e impersonale e la donna stessa dietro il vetro dello studio sembrava disapprovare il loro arrivo, messi a disagio dall’orario che si avvicinava.

 “Riempi questi moduli e riportali qui. Chiameremo il tuo nome quando la dottoressa sarà pronta a riceverti.”

Quella donna irritò a morte Kurt, ma Dave prese il blocco di fogli con un ‘Grazie’ sussurrato e si ritirò oltre il muro di sedie.

Kurt contò non meno di sette piante finte in quell’atrio e, considerando il fatto che quello fosse uno spazio piccolo, tutto ciò lo colpì impressionandolo molto. Non in maniera positiva, ovviamente. C’erano un paio di piante che pendevano dal soffitto con dei rampicanti lucidi, a loro volta posticci, che andavano verso il basso, e delle piante messe nei vasi e appoggiate sui tavoli accanto ai National Geographic e ai Time Magazine. C’era un enorme alberello cespuglioso nell’angolo e due diversi mazzi di margherite fasulli in alcuni vasetti sul bancone della receptionist stronza.

Veniva diffusa qualche radio rilassante fatta apposta per calmare le persone pazze o roba del genere e Kurt la ascoltò per un po’, ma non riconobbe nessuna melodia. Se qualcuno avesse dato a Enya un paio di pillole di Ambien (*) e le avessero fatto usare due chiavi diverse al pianoforte, quella sarebbe stata la musica che sarebbe uscita fuori.

Sedeva lì, disapprovando qualsiasi cosa, conscio che Dave stava depennando le sue statistiche vitali dai prestampati che la receptionist gli aveva dato. Di tanto in tanto lo fissava – il suo sguardo cadde sulla riga della data di nascita in cima al modulo e Kurt si segnò mentalmente il fatto che il diciottesimo compleanno di Dave sarebbe stato dopo un mese.

Dave si spostò sulla sedia e tirò fuori il portafoglio dai suoi jeans. “Spero proprio che mio padre non mi abbia tolto la sua assicurazione sanitaria,” mormorò senza guardare Kurt mentre estraeva la tessera dell’assicurazione, iniziando a copiare i dati.

Lo ucciderei felice, con i piedi a passo di danza e una canzone allegra nel mio cuore, Kurt non replicò nemmeno. Si piegò verso di lui e guardò Dave scrivere, ma i suoi occhi andarono in basso, nella sezione inferiore del questionario, uno spazio vuoto pieno di righe da riempire con la domanda Prego dichiarare brevemente lo scopo della vostra visita.

Compilò il tutto, un movimento rapido e nervoso lungo la schiena. Come avrebbe mai potuto Dave rispondere a una domanda del genere in quelle poche righe ordinate? Che razza di quesito era da fare a una persona prima della sua prima seduta?

Kurt sedeva lì, fissando la receptionist mentre rispondeva al telefono e sfogliava i documenti, il più delle volte ignorandoli, in attesa del momento in cui la penna avrebbe smesso di scrivere e invece Dave era bloccato su quelle righe vuote. Kurt aveva bisogno di aiutarlo a rispondere a quella domanda, ma non riusciva a pensare a un qualsiasi modo in grado di descrivere le settimane precedenti ‘brevemente’.

Comunque, pochi minuti dopo, senza rimanere congelato sul posto o implorare l’aiuto di Kurt, Dave si alzò e andò verso il banco. Posò il blocco e Kurt riuscì a vedere la tensione percorrergli le spalle e a sentire il brusco tono di voce della donna quando accostò a sé i fogli senza quasi degnarlo di uno sguardo.

Fu tutto ciò che fu in grado di fare senza schizzare in piedi e andare lì a passo di marcia. Invece osservò Dave, guardando il modo in cui le voltò le spalle, il trascinarsi pesante dei piedi mentre tornava a sedersi accanto a Kurt.

Provò a sorridergli in modo incoraggiante, ma Dave non lo guardò. Come spesso accadeva, quel sorriso non riuscì convincente nemmeno a Kurt stesso. Rimasero seduti per pochi minuti, ascoltando Enya addormentarsi sul suo pianoforte e studiando ogni singolo movimento della receptionist.

A un certo punto si spalancò la porta dietro il bancone della receptionist e uscì una donna. Era sulla trentina, vestita molto casual con un paio di blue jeans e sorridente come se avesse appena smesso di guardare un film comico o qualcosa del genere.  Si diresse verso il banco e si chinò verso di esso, chiacchierando con la receptionist per fissare un altro appuntamento o qualsiasi altra cosa fosse.

Dopodiché se ne andò, indirizzando un sorriso amichevole a Kurt mentre lui l’osservava scivolar via.

Per qualche strana ragione, tutto quello non lo fece stare più tranquillo riguardo l’intera faccenda.

Passarono solo un paio di minuti prima la receptionist si schiarisse la voce. “David Karofsky.”

Dave trattenne il respiro e poi espirò. Guardò Kurt. “Se dovessi iniziare a star male e a entrare nel panico, ti manderò un messaggio.”

Forse era uno scherzo, ma Kurt sorrise debolmente e tirò fuori il suo telefonino dalla tasca della giacca. “Allora lo controllerò.”

Dave andò verso il banco e poi verso l'entrata da cui era uscita l’altra ragazza prima. Prese un altro respiro profondo mentre spingeva la porta aperta e svaniva dietro di essa.

Kurt venne lasciato solo con se stesso e i suoi dubbi nervosi circa quel posto. Provò a non preoccuparsi troppo - non sapeva come avrebbe dovuto essere lo studio di una terapista, forse quello in cui si trovava era completamente normale - ma finì con l’accendere il cellulare due minuti dopo.

Avrebbe voluto giocare gettando uccelli a dei maialini per un po’, invece c’era un messaggio non letto ad attenderlo, e quindi lo aprì.

Er serio qnd m h dtt d venire?

Prese Kurt un po’ sottogamba, ma ripose a Mercedes con molta attenzione.

Pensavo avessi detto che l’idea fosse completamente sbagliata.

Mentre attendeva la risposta, aprì l’agenda e aggiunse al mese successivo la data appena appresa del compleanno di Dave. Trascorse altro un paio di minuti liberi a cercare di capire di quale segno zodiacale fosse Dave, non che credesse nell’astrologia, figurarsi, ma era una distrazione piuttosto buona in quel momento.

Oh, nn fraintendermi, piccolino, è ancora un’idea sbagliata. Ma sn la t migliore amica e ho dei doveri.

Sorrise leggendo l’ultima parte. Che ‘doveri’?

Si chiama Farsi gli affari tuoi, baby. Se Krfsky è affar tuo adesso, qst lo rende un affare anke mio.

Kurt sospirò, ma non alzò gli occhi al cielo. Tornò però a guardare la porta che gli aveva portato via Dave e non riuscì più a rispondere a Mercedes.

Stava giocando a fare la miglior amica super protettiva, era una cosa dolcissima. Ma Kurt stesso stava facendo la stessa cosa proprio in quel momento. Quel ragazzo chiuso in quello studio, quello che Mercedes aveva ammesso di disprezzare poco prima quel giorno stesso, era una sua responsabilità. Per quanto voleva che i suoi amici conoscessero Dave per come era diventato, non aveva bisogno di averli attorno se avessero in futuro ferito Dave molto più di quanto già non lo fosse stato.

Kurt era ciò che stava tenendo in vita Dave.

In un certo modo. E sperava non fosse solo lui, e non per tanto tempo ancora. Dio, era qualcosa di così gravoso che Kurt non era riuscito a capirla fino in fondo. Kurt, a cui piaceva essere utile, a cui piaceva essere indispensabile e importante, prima d’allora non aveva mai avuto un’influenza così grande su qualcuno.

Non era sicuro che gli piacesse davvero una cosa del genere. L’idea di essere così importante per qualcuno, di essere l’unica cosa che gli impediva di uccidersi

Era qualcosa di immenso. Che andava oltre la co-dipendenza. Era così immenso che quando ci pensava su, rifletteva sui suoi consueti bussare alla porta di Dave per dargli il buon giorno e su come non ci avesse mai dato particolare importanza, andava nel panico.

Avrebbe dovuto smetterla. Qualche volta, prima di farlo, era praticamente certo che avrebbe poi svegliato Dave e aveva esitato prima di battere e di chiamarlo. E se un giorno non lo avesse fatto? E se non avesse mandato quel messaggio a Dave da scuola quel giorno e lo avesse lasciato solo quella notte e quindi le uniche cose belle che Dave aveva ancora gli fossero state tolte?

Gli avrebbe lasciato un biglietto prima di ingoiarsi due interi tubetti di pillole o si sarebbe sdraiato sul pavimento lì quando Kurt sarebbe diventato impaziente di andarlo a controllare?

Gli avrebbe detto che sarebbe stata colpa sua?

No. Non lo avrebbe mai ritenuto responsabile, probabilmente nemmeno nella sua stessa testa. Non aveva mai biasimato Kurt per niente, non ancora. Ma alla fine tutto quello che era successo non era praticamente colpa di Kurt?

Il cellulare vibrò, ricordandogli che avrebbe dovuto già prima rispondere a Mercedes.

Ok, v sapere la verità? Pensavo che blaine stexe esagerando fino a qnd nn t h visto sorridere a pranzo. Ora credo d dover prestare attenzione a qst ragazzo.

Kurt sorrise per davvero. Sapeva che Mercedes non lo avrebbe deluso, non era sicuro sul tempo che le ci sarebbe voluto per capire la situazione.

Le rispose velocemente. Grazie. Lui ha bisogno di più amici possibile adesso.

Nn andare oltre. Ho detto k verrò, nn farò ulteriori promesse.

È un inizio, replicò Kurt, perché lo era davvero. Era un ottimo inizio.


Quaranta minuti dopo, quando la porta dietro il bancone della receptionist si aprì, Kurt la guardò immediatamente. Mise in mostra un bel sorriso sul viso, che però non durò a lungo.

Dave era entrato in quello studio, ma era stato Karofsky a uscirne.

Era il Karofsky che Kurt non aveva visto per mesi. Aveva le mani strette a pugno, camminava veloce mentre batteva i piedi con forza per terra e nei suoi occhi c’era quella furia da animale messo all’angolo che Kurt era stato abituato a vedere in lui, che sapeva riconoscere come molto, molto pericolosa.

Teneva qualcosa schiacciato nella mano, un foglio e, senza perdere il passo, lo stropicciò e lo gettò sul banco della receptionist.

Rimbalzò sul vetro, ma la donna sobbalzò come se fosse stata colpita. “Mi scusi!” disse fermandolo.

Dave le puntò addosso il suo sguardo alla Karofsky. “Vada a fanculo, signorina,” le rispose. Si precipitò fuori dal piccolo atrio e uscì dalla porta senza degnare Kurt di uno sguardo.

Oh Dio.

Kurt si alzò dalla sedia e corse fuori dalla porta, inseguendolo. Fortunatamente, erano al sesto piano, quindi trovò Dave a camminare semplicemente avanti e indietro tra le porte degli ascensori, dato che non si era allontanato di molto.

Kurt gli si avvicinò subito, ma ebbe abbastanza presenza di spirito da non avvicinarsi troppo. “Dave?”

“Vaffanculo a questa roba. Vaffanculo,” sibilò Dave mentre marciava, senza mancare un passo. “Non ci tornerò più, Kurt.”

Ok, sembrava il vecchio Karofsky ma almeno chiamava Kurt per nome. Un buon segno, probabilmente.

Kurt mi mosse con cautela, avvicinandosi di più. “Io non… cosa?” Aggrottò le sopracciglia, guardando Dave camminare. “Lo sapevi che non sarebbe stato per niente facile, no?”

Dave si voltò, riducendo la sua falcata in modo tale da poter guardare Kurt. “Una roba del genere? È stata una passeggiata. Avrei potuto mandare te al posto mio per quel poco che quella donna ha fatto.”

Kurt strabuzzò gli occhi, sorpreso. Si aspettava un Dave teso perché costretto a parlare di cose a cui nemmeno non riusciva a pensare, ma c’era qualcos’altro dietro.

Le porte dell’ascensore si aprirono scivolando e Dave vi entrò in un lampo, rimanendo vicino alla soglia, schiacciando il bottone per l’ingresso.

Entrare in un ascensore con Dave al culmine della sua parte Karofsky non fu una cosa semplice, ma Kurt si fece forza ed entrò. Dave non si mosse, rimase fermo, fremente di rabbia, con gli occhi fissi sulle porte chiuse e il respiro irregolare.

Raggiunsero l’atrio principale e poi il piccolo parcheggio all’esterno, e Kurt sgusciò al posto di guida.

Dave sbatté la porta quando entrò e si sedette fissando oltre il parabrezza con occhi di fuoco. Lo sguardo si rivolse poi rapido a Kurt quando sentì che il motore non si stava avviando. “Possiamo andarcene di qua, cazzo?”

“No.” Kurt deglutì e si girò su un fianco per affrontare Dave. “Parlami.”

Dave ringhiò. Lo guardò dritto in viso. “Ho già parlato abbastanza prima, cazzo.”

Kurt sollevò un sopracciglio. “Cosa è stato allora? Il colloquio? O la dottoressa, o…?”

“La dottoressa.” Sbuffò Dave. “Quella dottoressa del cazzo.”

"Dave."

Dave scosse il capo, poi guardò fuori dal finestrino. “Mi ha chiesto perché fossi lì. Le ho detto… lo sai, che non riesco a dormire, cazzo e non riesco ad andare a scuola e non riesco a guardarmi allo specchio senza sentirmi nauseato al mio cazzo di stomaco. Tutte queste cose.”

Kurt deglutì di nuovo - ogni volta che Dave gli rivelava dei piccoli dettagli su ciò che stava passando, gli faceva male il petto. Sentiva ancora di più il peso addosso.

Comunque, non gli chiese nulla a proposito della cosa dello specchio. “Le hai detto cosa ti è successo?”

“Non me l’ha chiesto, cazzo.” Dave rise, ma non c’era niente di allegro nel suono emesso. “Io ero pronto. Sono andato lì… pronto a parlare di tutta questa roba, cazzo. Mi sono detto… sai, non posso deludere Fancy. Lui ha detto che questo mi avrebbe aiutato. Non posso essere mica uno di quegli stronzi che combattono contro il confessarsi apertamente.”

“Non te l’ha chiesto?” Kurt ripetè quelle parole in modo incerto.

“No! Ho divagato per tipo dieci minuti su quanto io mi faccia schifo in questo momento, e lei ha tirato fuori una lista o qualcosa del genere e ha iniziato a farmi tutte queste domande del cazzo. Da me voleva solo quattro fottute parole: mai, raramente, qualche volta, spesso. Pensi mai al suicidio? Ti senti a tuo agio con gli altri? Stai bene da solo? Ti sei mai fatto del male o altre azioni simili? Mi ha fatto tipo duecento domande del cazzo.”

Kurt aggrottò le sopracciglia osservando non Dave, ma il palazzo dietro di lui. Non sapeva come queste cose andassero, non aveva la capacità di poter giudicare. Ma se non altro la reazione di Dave sembrava abbastanza controproducente nell’ottica della sua guarigione, dannazione.

Dave rise, in modo duro. “Alla fine, quindi, mi ha detto che oggi era il mio giorno fortunato, cazzo, perché aveva avuto da qualche maledettissimo produttore dei coupon riguardo un periodo di prova del fottuto Prozac e voleva farmi iniziare con trenta milligrammi o una roba simile e io pure che volevo solo che lei mi prescrivesse qualcosa per aiutarmi a dormire! Ha trascorso più tempo a parlarmi dei possibili effetti collaterali, cazzo, piuttosto che a sentirmi parlare.”

Prese un respiro e si girò infuriato verso Kurt. “Fanculo. Veramente, fanculo. Non sono un… non mi serve del Prozac, cazzo, da una che non se ne importa nemmeno qualcosa di ciò che…” Si passò una mano sul viso. “Non sono malato, Kurt, cazzo. So che ho bisogno di aiuto, ma… questo non riguarda me. Il problema è ciò che mi è successo, non sono io.”

Kurt mise in moto la macchina in silenzio. Avrebbe dovuto aspettarselo, sul serio. Tutte quelle piante nei vasetti fuori l’ufficio non potevano essere di certo un buon segno.

Lanciò a Dave un ultimo sguardo a Dave prima di dedicarsi alla guida.

Non voleva assumersi totalmente la responsabilità della vita di un’altra persona. Gli obblighi e la portata della responsabilità stessa lo avrebbero distrutto se continuava a pensarci così spesso. Qualcosa che avrebbe dovuto aiutare Dave, qualcosa che lui stesso aveva caldeggiato, aveva finito per ferirlo. E Kurt si sarebbe preso l’impegno, con piacere e orgoglio, di fare in modo che non capitasse più qualcosa del genere.


“Va bene, la ringrazio.”

Kurt fissò suo padre mentre questo chiudeva la conversazione al telefono. “Allora?”

Burt scrollò le spalle, sembrava afflitto. “Sembra che ci sia una differenza tra psicologo e psichiatra, e il dottore di Dave ha pensato bene che lui potesse trovarsi meglio con quello che può prescrivere medicinali.”

“Il dottore di Dave si è sbagliato di grosso, cazzo,” sbraitò Kurt.

Suo padre sollevò le sopracciglia. “Si. Sistemeremo questa faccenda, e tu dovrai controllare il tuo linguaggio.”

Kurt scosse la testa, camminando per la lunghezza della cucina, dato che stare seduto gli sembrava impossibile da fare. “Tu non lo hai visto, papà. Dovremmo considerarci fortunati se volesse mai acconsentire ad andare da qualche altro. Sta così… male, perché una psic…”

“hiatra.”

“Una psichiatra lo ha ascoltato per dieci minuti e ha deciso di tappargli la bocca dandogli semplicemente del Prozac. Lui non vuole delle medicine, come se ci fosse qualcosa di malato in lui. Ha semplicemente bisogno di aiuto!”

“Lo so, Kurt. Aggiusteremo ogni cosa, ok?”

Kurt scosse la testa di nuovo, ma non negava totalmente il fatto che esistesse la possibilità che tutto si sistemasse. Se ci fosse stato un altro al posto di suo padre a fare quella promessa, non gli avrebbe mai creduto. Ma Burt avrebbe davvero migliorato le cose. Lui riaggiustava le cose per mestiere e Kurt aveva certamente perso abbastanza velocemente la fiducia nel mondo fuori la porta di casa, ma il suo crescente cinismo non aveva per niente intaccato suo padre.

“Kurt. Ti siederesti un attimo?”

Kurt fece uscire una risata per niente vivace dalla sua bocca, ma quando smise di passeggiare e si girò verso Burt, vide qualcosa nel suo viso mentre questo lo osservava da dove era sistemato il telefono di casa.

“Oh Dio. Cosa c’è? C’è qualcos’altro che devi dirmi?”

Suo padre annuì verso il tavolo della cucina. “Siediti. Adesso lo dirò a te, poi andrò di sopra e parlerò a Dave. Ritengo che tu sia un po’ troppo stressato in questo momento per potergli comunicare ulteriori novità.”

Kurt si mosse lentamente verso il tavolo e tirò fuori una sedia. Non voleva sedersi, si sentiva agitato e troppo pieno di energie per i suoi gusti. Si sistemò al bordo del tavolo, con le braccia conserte.

“Ho avuto una chiamata oggi, al lavoro, quella detective. La detective Vanderhoek. Quella che tu hai incontrato-”

“Me la ricordo.” Kurt distese le mani sul grembo, in modo tale da poterle stringere in un pugno veramente stretto senza che suo padre lo notasse.

“Sì. Ha detto che anche gli altri ragazzi che hanno preso parte all’aggressione hanno patteggiato con la difesa. Due, quelli che semplicemente sono rimasti fuori…” aggrottò le sopracciglia. “Sono stati rilasciati. Non ha dato ulteriori dettagli riguardo gli altri tre, ma se Dave si metterà in contatto con lei, gli potrà dire di più.”

“Rilasciati.” Kurt annuì con attenzione. Sapevano che una cosa del genere sarebbe successa prima o poi. “Sono di nuovo in libertà, e… tutto qui? Si faranno… vedere a scuola domani,o…?”

Burt scrollò le spalle. “Sono minorenni e io non sono una parte in causa in tutto questo, non me l’ha detto. Mi ha dato delle dritte su come questa cosa possa essere gestita da parte di Dave, ma…”. Scosse la testa di nuovo. “Mi ha detto che si può assumere un avvocato, trascinarli in un tribunale civile e citarli per… lesioni, immagino. Dave può ottenere un ordine restrittivo che terrebbe questi qua fuori dal McKinley. Se dovesse mai tornare, ovvio.”

Kurt mosse il capo scuotendolo e le sue unghie si conficcarono così profondamente nei palmi che probabilmente iniziò a sanguinare. “Papà…”

“Lo so, Kurt.”

“Tutto questo non é… non è giusto. Perché… perché non pensano a Dave?”

Burt si spostò e si sedette in basso accanto a lui. “Si, pare anche a me che dovrebbero farlo, figliolo.”

“Insomma… il dottore, o i poliziotti, o semplicemente qualcuno? Qualcuno non dovrebbe metterlo al primo posto e tutelarlo?”

Suo padre si avvicinò e stese una mano sul braccio di Kurt. “Per ora siamo riusciti a farlo noi. Sono dalla tua parte, Kurt e non dovremmo essere i soli a pensarla in questo modo. Ma anche se lo fossimo, almeno lui può contare su noi. Giusto?”

“Sarà sufficiente?” si domandò Kurt guardando le venature del legno del tavolo, incapace di sollevare lo sguardo, temendo di scoppiare in lacrime un’altra volta quel giorno.

Burt non rispose. Kurt non si aspettava che lo facesse, dato che suo padre non faceva promesse che sapeva di non poter riuscire a mantenere.

All’improvviso la porta che conduceva alla cucina si spalancò. Kurt alzò gli occhi, spazzando via con rapidità una lacrima dispersa.

Dave entrò nella stanza con molta lentezza, le spalle basse e gli occhi arrossati. Kurt non si permise di poter sperare nemmeno per un attimo il contrario, perché era palese che aveva ascoltato praticamente l’intera conversazione.

Guardò prima Kurt, poi Burt e di nuovo il primo. “Tornerò.”

Kurt si scambiò un rapido scambio di occhiate con suo padre. “Cosa?”

“A scuola.” Dave alzò le spalle muovendosi verso il tavolo. Rimase dietro la sedia dal lato opposto a loro due, stendendo le mani sullo schienale. “Non… non domani. Lunedì, penso. Prossima settimana. Tornerò. È da idiota non andarci ed è… è veramente noioso stare in casa chiuso tutto il giorno. E devo diplomarmi, giusto? ”

“Giusto,” rispose con calma Burt.

Kurt osservò il volto di Dave, improvvisamente sembrava molto più chiuso in se stesso di quanto non lo fosse mai stato negli ultimi tempi.

“Devo chiederti se tu lo stai facendo per le motivazioni giuste però,” continuò il padre.

Dave scrollò le spalle. “Quali sarebbero le ragioni reali? Ho smesso di stare seduto e fermo, ad auto-commiserarmi. Specialmente quando è chiaro che nessun altro mi aiuterà, quindi devo aiutarmi da solo.” Fece un piccolo sorriso. “Nessun altro al di fuori di questa casa, voglio specificare. Comunque, è la vostra regola, no? Devo avere dei voti buoni per poter rimanere qui.”

“Te l’ho già detto, non te la chiediamo una cosa del genere per ora.”

“Sì, ma…” Dave fece una smorfia. “Avevate detto che dovevo parlare invece a quella terapista e, mi scuso per il linguaggio, signor Hummel, ma fanculo. Comunque,” aggiunse velocemente quando vide sia Kurt che suo padre aprire le loro bocche per replicare, “se continuo a stare qui attendendo un aiuto, non migliorerà un bel niente. Lo so. Posso dirlo con certezza. Niente sta andando per il verso giusto e penso… penso che sia perché io sto seduto qui aspettando che qualcuno mi faccia sentire meglio.”

Gli occhi di Dave si posarono su Kurt e sorrise impercettibilmente. “Non è giusto per Kurt. Lo sto caricando di troppe responsabilità e nonostante lui… lui sia stato grandioso…” Espirò profondamente.”Gli sto mettendo troppe cose sulle spalle, cose che dovrei portare io stesso. ” Incrociò gli occhi di Kurt. “Lo sai già… mi hai aiutato così tanto, dannazione. Prima hai detto che sono forte? Sei pazzo, perché sei tu l’unico che mi è stato vicino trasportando il mio fardello. Non voglio più una cosa del genere.”

Kurt gli restituì lo sguardo e, dopo un istante, sorrise. Forse quelle erano le ragioni giuste, forse si sbagliavano, ma quando erano arrivati a casa mezz’ora prima Dave era un relitto furioso e in quel momento…

Dave prese un respiro e si voltò verso il padre di Kurt. “La visita dalla dottoressa mi ha chiarito le idee, signor Hummel. Devo… fare qualcosa di mia volontà. Devo essere capace di controllare qualcosa o impazzirò. Più di quanto il Prozac potrebbe fare.”

Kurt guardò Burt.

Non era felice, era chiaro, ma non scuoteva la testa e non stava discutendo. “Siamo d’accordo su questa cosa, Dave - mi dispiace per ciò che è successo con quella dottoressa. Non sarebbe dovuta succedere una cosa del genere, e troveremo qualcuno che ti aiuterà per davvero. Solo che andare a scuola non ti aiuterà a fuggire dai tuoi problemi.”

Il lieve sorriso di Dave svanì ma dopo un secondo annuì in modo duro.

"Kurt."

Lanciò uno sguardo a suo padre.

“Concedimi un minuto con Dave.”

Kurt si accigliò.

Burt gli scoccò uno sguardo bonario. “Non era una richiesta, figliolo. Dave, vieni qui e siediti.”

Kurt spostò la sua sedia molto lentamente, ma quando osservò Dave non esitò più. Si mise in piedi e, quando Dave gli passò accanto per posizionarsi al suo posto vuoto, lo raggiunse e gli strinse leggermente il braccio.

Uscì dalla porta, per andare nello spazio più ampio e tranquillo del salotto. Non poteva andare altrove.

“Dave,” disse suo padre, e se fosse stato preoccupato dal fatto che Kurt potesse origliare, di certo non lo stava mostrando e nemmeno stava abbassando il tono della sua voce. “Riguarda te e Kurt.”

Kurt si irrigidì.

“Dovevamo già parlare di questo argomento tempo fa, ma non volevo aggiungere casini a quelli che già tieni. Ma voi due avete un passato che a volte trovo difficile da dimenticare.”

“Sì,” rispose Dave, la sua voce sottile.

“Mi vuoi spiegare perché essere un gay non dichiarato a scuola ti ha fatto uscire fuori di testa così tanto che mio figlio ha dovuto trasferirsi?”

Ci fu una pausa. Kurt si spostò più vicino alla porta senza fare il benché minimo rumore. 

“Con tutto il dovuto rispetto, signor Hummel, Kurt me lo ha chiesto prima di lei e io ho rimandato il discorso. Penso che dovrei dare delle spiegazioni a lui prima di parlarne ad altri.”

“Mi sembra giusto ma, una volta che avrete fatto questo discorso, anche noi due lo faremo. Ti dirò il perché. Hai avuto una visita orrenda con questa dottoressa, e lo capisco, aggiusteremo le cose. Ma, francamente, Dave, avresti dovuto parlare dei tuoi problemi di gestione della rabbia prima che succedesse tutto questo e l’idea che tu non stia elaborando tutto ciò che ti è successo in modo sano mi fa preoccupare riguardo al fatto che tutto questo possa poi venir fuori dopo in maniera non sana. E dato che tu e Kurt vi siete legati molto l’uno all’altro in questi giorni…”

Kurt accigliò le sopracciglia, appoggiandosi sul muro accanto la porta.

Dave non sembrò per niente sorpreso e non cercò di sviare. “Ci ho pensato, signore. A volte mi fa impazzire… non letteralmente, lo sa, ma… sì. Spesso mi arrabbio veramente… veramente sul serio, a causa di questa merd… roba che mi è capitata. E non mi sento a mio agio a parlarne con qualcuno tranne che con Kurt, quindi… ho riflettuto sul fatto che mi arrabbio al momento sbagliato e se lui è l’unico attorno a me…”

Kurt avrebbe voluto tornare in cucina e sistemarli entrambi. Non era spaventato da Dave a causa del suo carattere. Non era proprio più spaventato da lui, nemmeno dopo la fase acuta da Karofsky avuta poco prima.

“Okay,” disse Burt dopo un minuto buono. “Se ci hai pensato, sei già più avanti di quanto credessi. E devo dire che mi ha fatto piacere sentirti dire un minuto fa che mettere sulle spalle di Kurt pesi non suoi non è per niente giusto.”

“So che non lo è,” rispose Dave dolcemente. “Anche se lui è molto bravo a nasconderlo.”

“Mio figlio è fatto così,” rispose il padre di Kurt con una debole risata. “Potresti caricargli il mondo in spalla e lui lo prenderebbe. Ma non è così forte come pensa. E anche se lo fosse… è un ragazzino. Anche se fosse in grado di gestire una cosa del genere, non dovrebbe farlo.”

La voce di Dave divenne così bassa che a malapena Kurt riuscì a sentirlo. “Lo so.”

“Non è giusto chiedere a qualcuno di prendersi carico di tutti i tuoi problemi, no?”

"No, signore."

“E un ragazzo di diciassette anni merita la possibilità di godersi la sua età, giusto?”

“Sì. Lo… lo so, e mi dispi-”

“Kurt non è l’unico diciassettenne che sta provando a gestire cose più grandi di lui da solo.”

Ci fu silenzio. Kurt avrebbe voluto sorridere, per la piccola trappola tesa, ma non ci riuscì. Stette lì, in piedi, ghiacciato sul posto, in ascolto dei mugugni della voce bassa di Dave.

“Allora. Pianificheremo il tuo ritorno a scuola lunedì - se pensi davvero di essere pronto - ma troveremo qualcuno che non sia mio figlio ad aiutarti a gestire questo macigno che ti è precipitato addosso. Ti sembra giusto? ”

Non ottenne risposta, ma Dave aveva annuito o fatto qualcos’altro visto che ci fu improvvisamente il rumore di una sedia che strisciava sul pavimento.

Kurt valutò se correre dall’altra parte della stanza e sistemarsi sul divano facendo finta di non aver sentito nulla, ma alla fine rimase vicino al muro.

Quando suo padre scivolò fuori dalla porta, lo guardò come se avesse saputo già in precedenza dove trovarlo. “È stata una giornata lunga figliolo, dovresti andare a letto.”

Kurt guardò alle sue spalle - non ci fu nessun altro suono o movimento dietro suo papà.

Burt gli si avvicinò e mise il braccio attorno alla sua spalla. Non fu molto delicato nello strattonare Kurt lontano dal muro. “Andiamo. Dave sa come andare al piano di sopra.”

Kurt avrebbe voluto girarsi e tornare in cucina, per essere sicuro che quel silenzio non fosse una cosa così orribile, che Dave stesse davvero bene. Ma suo padre lo condusse via e lo seguì. L’intero mondo fuori dalla sua casa sembrava cospirasse contro Dave Karofsky, ma Kurt doveva aver fiducia in Burt e nel fatto che non lo avrebbe allontanato se Dave avesse avuto bisogno di lui.

Doveva credere in qualcosa o sarebbe finito con il diventare pazzo più di Dave. 


Note di Traduzione:
(*) Ambien è un medicinale per combattere l’insonnia.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


Beta Reader: Kurtofsky
Note: prima o poi troveremo il tempi di rispondere alle vostre meravigliose recensioni, promesso. Grazie a chi continua a seguirci e a farci sapere se la storia piace o meno, vi amiamo tantissimo.

 

The Worst That Could Happen


Kurt passò tutta la mattinata a scuola con il cellulare appoggiato in grembo, pronto a rispondere al primo accenno di messaggio e controllando constantemente che non ne fosse arrivato qualcuno senza che se ne fosse accorto.

Non mandò alcun messaggio a Dave, ripetendosi che avrebbe dovuto darci un taglio e scrivergli per primo, ma solitamente era Dave che iniziava le loro chiacchierate tramite sms e Kurt voleva andasse così anche quel giorno. Voleva semplicemente sapere che le cose erano a posto. Che l’altra notte e quel fottuto dottore non avessero fatto troppi danni.

Girovagava per i corridoi del Mckinley tenendo il cellulare stretto in mano. Decise che, se Dave non gli avesse scritto un messaggio entro l’ora di pranzo, l’avrebbe chiamato. Giusto per essere sicuro che stesse bene.

Aveva bussato alla porta di Dave prima di andare a scuola. Gli aveva augurato il buongiorno, come faceva di solito. Magari con una voce un po’ più squillante del normale, giusto perché credeva che Dave avesse ancora bisogno che almeno una cosa bella accadesse ogni giorno.

Mentre si faceva largo tra la folla che occupava l’atrio prima di pranzo, non poté non notare che ormai nessuno indossava più la giacca dei Bullywhips. La toppa raffigurante il simbolo dei Bullywhips era stata tolta dalle giacche e cucita sugli zaini e sulle magliette delle persone. Ma non era più la stessa cosa, come una moda che con l’andare del tempo svaniva. Se solo Dave avesse potuto vederlo…

Quel pensiero lo allarmò e, per la prima volta dalla notte che era appena passata, Kurt realizzò qualcosa: Dave sarebbe ritornato a scuola. Quei ragazzi e la loro mancanza d’impegno… Dave sarebbe presto tornato a girare per i corridoi in mezzo a loro. Se avevano perso così presto interesse nei Bullywhips, cos’altro avrebbero dimenticato?

Aveva programmato di nascondersi nella biblioteca durante il pranzo, per chiamare Dave, ma decise di fare una deviazione verso la caffetteria e fortunatamente riuscì a incrociare Santana prima che finisse per sparire nella folla di Cheerios, giocatori di football o qualsiasi altra persona con cui lei avesse voluto uscire quel giorno.

”Dobbiamo parlare”

Santana gli lanciò un’occhiataccia, ma si spostò dal fiume di ragazzi che spintonavano per andare a pranzo e lasciò che lui la portasse via dall’entrata. “Che succede, Cupcake?” (*)

Kurt si accigliò. “Stai decisamente passando fin troppo tempo con Azimio. Possiamo parlare per cinque minuti? E’ davvero importante.”

Santana era in divisa e, per qualche ragione, Kurt, nonostante la avesse indossata anche lui, la trovava ancora più intimidatoria del solito, con i capelli raccolti nella coda e una gonna abbastanza corta da violare qualsiasi legge sulla decenza.

Ma lei si limitò a sospirare e a liberarsi dalla stretta di Kurt, seguendolo per l’atrio ormai vuoto.

”Spero che sia-“

”Dave vuole tornare”

Santana si voltò di colpo, sorpresa. “Di già? L’ha deciso lui?”

”Sì. Lunedì. Pensa di tornare lunedì. E…”, Kurt fece un cenno verso i corridoi che li circondavano, ma scoprì di non essere in grado di dar voce ai suoi pensieri.

Ma Santana annuì. “E questi tizi fanno gli sfaticati. Ok”. Poi si girò e si avviò di nuovo verso la sala pranzo.

”Hey”, Kurt si affrettò a raggiungerla, “Dobbiamo decidere un piano-“

”I piani sono già stati fatti, bambolina. Devo parlare con Z. Tu…”, disse, guardandolo dall’alto in basso, “Glee. Questo pomeriggio. Dirai qualche parolina dolce a Schue e farai in modo che ci lasci liberi di pianificare qualcosa. Ci aiuteranno. Io porterò Z e… tu porta qualsiasi persona che sia dalla parte di Dave”.

Detto ciò riprese a dirigersi verso la sala mensa senza aspettare una risposta. Kurt non tentò nemmeno di fermarla. Onestamente non gli dispiaceva che Santana usasse i suoi soliti metodi. Kurt era responsabile di Dave, ma non aveva alcun potere sugli studenti del Mckinley. Al contrario di Santana ed Azimio. Dave aveva bisogno del loro aiuto, perché Kurt, a volte, non riusciva ad affrontare quei corridoi da solo, figuriamoci facendo scudo a qualcun altro.

Elaborare un piano durante le prove del Glee. Ce la poteva fare. Convincere Mr. Shue non sarebbe stata un’impresa ardua - era presente quel giorno, dopotutto.

Porta chiunque sia dalla parte di Dave, aveva detto Santana.

Kurt non si sentiva pronto per affrontare la sala mensa, e d’altronde voleva ancora chiamare Dave, così si girò e riprese a camminare nella direzione dalle quale era venuto.

Era fastidioso, ma non aveva alcuna idea di chi potesse essere dalla parte di Dave in quella scuola. Dave non parlava dei suoi amici, mai, eccezion fatta per Santana ed Azimio. Il che aveva senso, purtroppo: prima che tutto quello succedesse, Dave usciva con i suoi compagni di squadra e a quel punto Kurt era pronto a scommettere che non si sarebbe fidato di nessuno di loro nemmeno per un secondo. E Kurt non poteva biasimarlo.

Azimio li avrebbe aiutati, e i giocatori di football del Glee avevano già dimostrato la loro volontà di aiutare Dave (anche se l’avevano dimostrata in un modo così maldestro che avevano mandato Dave sull’orlo di un attacco di panico). Ma il resto di loro? Kurt li voleva il più lontano possibile da Dave. Non lo voleva vicino a nessuno che avesse a che fare con i metodi malati di certi giocatori. Vicino a nessuno che tenesse le porte controllate mentre loro agivano, persone che chiudessero i ranghi solo perché qualcuno in una letterman l’aveva chiesto. Non c’era nulla, in quei ragazzi, che ispirasse fiducia. Eccezion fatta, forse, per Azimio. Kurt non si era fatto ancora un giudizio completo su di lui.

Quindi chi conosceva Kurt che potesse essere dalla parte di Dave? Doveva pur esserci qualcuno all’infuori del Glee che potesse aiutarli. Magari avrebbe potuto chiedere alle classi che seguivano scienze o matematica, per vedere se Dave avesse aiutato un po’ di persone e se qualcuno gli dovesse un favore. O forse a qualche Cheerios, perché facevano sì parte dell’universo dello sport, ma non erano di certo violenti e zotici giocatori di football.

Non potevano contare solo sul Glee club. Soprattutto perché Mercedes ancora non tollerava completamente Dave e il resto di loro si sarebbe nemmeno sforzato di mostrare interesse, o se ne sarebbe uscito con qualche stupida idea al livello di quella della prima sera.

Ancor più importante: per Dave erano degli estranei. Anche si fossero dimostrati più tolleranti e comprensivi di quanto Kurt gli stesse dando credito, per Dave restavano comunque degli estranei.

Dave l’anno prima era diventato Re del Ballo, Cristo, doveva pur esserci qualcuno-

Si fermò immediatamente, ricordandosi di colpo che almeno una persona in quella scuola aveva mostrato dell’interesse nei confronti di Dave. Ed era qualcuno che aveva infinito potere su un bel numero di persone.

Con un sorriso enorme accellerò il passo e girò l’angolo alla fine del corridoio, dritto verso la palestra.


La Coach Sylvester non era nel suo ufficio e l’entusiasmo di Kurt ritornò quando realizzò che probabilmente si trovava in sala mensa ad urlare agli studenti. Si appoggiò alla porta, guardando distrattamente il luccichio di un migliaio di trofei di cheerleading.

Sapeva che lei avrebbe acconsentito ad aiutarli, ma ci sarebbe voluto un po’ per convincerla ad entrare nella sala prove del Glee e ad allearsi con i suoi peggiori nemici.

Alla fine si spostò dalla porta e sollevò il cellulare che aveva tenuto in mano per tutta la mattinata. Controllò velocemente – non c’erano nuovi messaggi – ed inviò alla Coach un messaggio.

Dave tornerà a scuola lunedì.

Può raggiungerci in sala prove dopo scuola?

Uscì dal suo ufficio e lasciò che i suoi piedi lo guidassero – non serviva prestare attenzione, soprattutto in una scuola come il Mckinley.

Voleva così tanto che Dave gli scrivesse qualsiasi cosa, che quasi ne poteva sentire il sapore. Qualcosa di folle, qualcosa a caso. Qualche definizione di fisica o qualche sciocchezza. Solo qualcosa. Ma non riuscì a trattenersi, cercò il nome di Dave tra i suoi contatti e lo chiamò.

Voleva che Dave stesse abbastanza bene da potergli scrivere per primo, ma non aveva intenzione di aspettare ancora. Non aveva bisogno di passare le successive ore di scuole come le quattro che erano già passate: troppo impaziente per non distrarsi dalla lezione.

”Yo! Qui parla Dave, lasciate un messaggio”

Kurt aggrottò le sopracciglia, ma il beep arrivò così presto che fu costretto a lasciare un messaggio.

”Hey. Sono… um, sono io. Volevo solo controllare… Ho le prove del Glee, quindi… Arriverò a casa tardi. Volevo solo essere sicuro che sapessi che sarei arrivato tardi. Dopo scuola, intendo”

E, onestamente, a Kurt piaceva pensare di essere brillante e affascinante, ma c’era qualcosa nel lasciare messaggi in segreteria che faceva scende il suo Q.I. di almeno cinquanta punti.

Si schiarì la gola con imbarazzo. “Puoi richiamarmi, se vuoi. E’ ora di pranzo. O mandami un messaggio, okay? Durante le lezioni. Il mio cellulare ha la vibrazione. Okay?”

Esitò, aprì la bocca per chiarire ancora che Dave poteva davvero chiamarlo, scrivergli o fare qualsiasi cosa, ma si fermò rendendosi conto che quello che aveva detto finora era già abbastanza imbarazzante.

Chiuse la chiamata con un sospiro.

Non c’era ancora alcuna risposta dalla Coach Sylvester, ma probabilmente non si portava sempre dietro il cellulare, come gran parte delle persone.

Una porta.

Kurt sollevò lo sguardo dallo schermo del suo cellulare mentre si rendeva conto che i suoi piedi l’avevano portato davanti ad una porta (era finito addosso a delle cose così tante volte guardando il suo iPhone, che ormai aveva sviluppato un istinto).

Di colpo la sua attenzione non era più fissa sul suo cellulare.

Fece un respiro, guardandosi intorno. Tutto sembrava tranquillo, deserto, perché la folla era tutta nella sala mensa. Quindi, anche se pensava che fosse davvero una cattiva idea, allungò una mano e aprì la porta di fronte a lui.

C’era una piccola folla di persone dentro. Un gruppo di ragazze, forse parte della squadra di atletica? Non importava, erano in uniforme, sedute sulle panche e mangiavano il loro pranzo, ignorando completamente Kurt mentre si spostata verso la palestra, che era vuota.

Le porte dietro sembravano incombere su lui, e tutto il mondo sembrava restringersi e sparire finché non rimase più nulla su cui focalizzarsi tranne quelle porte e il percorso che lo avrebbe portato davanti a loro.

Kurt cercò di non rivivere l’ultima volta che era entrato da quelle porte. Cerco di non ricordare l’apprensione che aveva preso il posto della solita aria di autorità sul volto di Mr. Shue. O i due giocatori di football che tenevano chiuse quelle due porte, ancora pallidi da qualsiasi minaccia avesse usato la Coach Sylvester per non far entrare nessuno.

Allungò il braccio verso la maniglia che le avrebbe aperte. La punta delle sue dita si fermò sul freddo metallo della maniglia, e pensò che avrebbe fatto meglio a girarsi e andare a mangiare.

Ma ormai era lì, nessuno gli stava prestando attenzione e qualcosa lo spingeva ad andare avanti. Qualcosa gli fece premere la maniglia, qualcosa lo spinse a percorrere il corridoio che portava ai due spogliatoi.

Sul lato sinistro c’era lo spogliatoio dei ragazzi: ricordi del suo primo bacio dato ad un ragazzo, un altro giorno imbarazzante in cui si era dovuto cambiare il più lontano possibile dai ragazzi etero. O doversi mettere la divisa dei Cheerios con quei ragazzi, che erano decisamente più a loro agio con la sua presenza di quanto fosse lui. O i giorni in cui aveva anche lui avuto un’uniforme da football da mettersi.

Nella mente di Kurt quella era una stanza strana. Un misto di emozioni. Non aiutava il fatto che uno dei ricordi più vivido – quel bacio – non fosse più solo un semplice ricordo.

Se si fosse diretto verso quella porta, avrebbe esattamente riconosciuto l’armadietto di Dave. Ricordava esattamente in che posto fosse successo. Poteva ancora ricordare la punta di rabbia nei suoi occhi, il modo in cui si era trasformata in qualcosa di diverso dopo che Kurt l’aveva spinto via in stato di shock.

Non erano brutti ricordi, non necessariamente. Il tempo era stato clemente con quel bacio. Avere un ragazzo e scambiarsi baci veri con lui aveva cambiato l’idea di Kurt su un ‘bacio vero’. Ed era stato quelo il momento in cui aveva capito che lui sapeva. Il momento in cui il suo tormentatore aveva smesso di esserlo, diventando qualcosa che Kurt poteva quasi comprendere.

Kurt avrebbe potuto attraversare quella porta e dirigersi verso l’armadietto di Dave, mettersi esattamente nel punto in cui si trovava quel giorno e magari riflettere su quel bacio e sul ragazzo che gliel’aveva dato. Magari liberarsi di ogni ultimo residuo di paura o confusione che ancora restava aggrappato a quel ricordo.

Ma, come se sapesse già quello che stava per fare, non attraversò la porta alla sua destra. Si diresse verso sinistra.

L’ammaccatura doveva ancora essere lì.

Sapeva che doveva esserci. Se lo aspetta. Entrò nello spogliatoio delle ragazze sapendo benissimo cosa aspettarsi. Il Mckinley aveva già abbastanza problemi economici per conto suo, Kurt era sicuro che Figgings non avrebbe speso soldi per far riparare un pezzo di cartongesso.

Ma c’era differenza dal sapere al vedere, e improvvisamente… era lì.

Si mosse distrattamente verso quell’ammaccatura. Si affrettò a raggiungere il muro e allungò le dita per percorrere quella perfetta superficie, fino al punto in cui quel cerchio quasi perfetto interrompeva tutto.

La sua testa. Era stata la testa di Dave a fare quella ammaccatura. Quell’ammaccattura, il cartongesso ed il muro, erano stati quelli a fare venire quell’orribile mal di testa Dave e a tenerlo in ospedale in osservazione per 48 ore. Erano stati quelli la causa del sangue, che aveva fatto brillare i capelli scuri di Dave quando Kurt aveva girato l’angolo quel giorno, trovando ricoperto da asciugamani.

Ne tracciò i contorni, perso nei suoi pensieri. Gli avevano fatto sbattere la testa per metterlo fuori gioco? Sembrava probabile. Loro erano in tre, sì, ma Dave era forte. A quel punto Dave probabilmente aveva realizzato che… poteva aver visto che avevano intenzioni serie. A quel punto potevano averlo già ferito abbastanza gravemente.

Dave non era mai così aggressivo come quando veniva accerchiato. Kurt lo sapeva per esperienza personale.

Quindi doveva aver lottato, e Kurt non dubitava che avrebbe potuto occuparsi di tutti e tre, non importava chi fossero. Quindi gli avevano sbattuto la testa contro il muro perché si stava battendo.

Era caduto dopo la botta? Quanto gli aveva fatto male? Era svenuto per un po’ o era solo caduto?

Era caduto o l'avevano comunque dovuto buttare per terra con la forza?

Le sue dita si fermarono di colpo, bruscamente.

Il muro era ancora marrone.

Era scolorito, ma nella parte danneggiata del cartongesso c’era ancora una persistente macchia.

Il sangue di Dave.

Kurt ritrasse immediatamente la mano, lo stomaco che gli faceva male.

Si girò.

Dietro l’angolo, alla fine della fila di armadietti, i suoi piedi si fermarono esattamente nel posto in cui si era fermato quel giorno, mentre aveva guardato la scena davanti a lui e non ne aveva compreso il significato.

La panchina non era stata sistemata. C’era un foglio stampato su di essa, un pezzo di carta e la parola ‘attenzione!’.

Ancora utilizzabile, sistemata nel posto in cui doveva essere. Ma rotta. Attenzione.

Gli armadietti erano ancora ammaccati, anche se qualcuno sembrava avesse goffamente tentato di sistemarne alcuni. Forse giusto un po’, per fare in modo che potessero ancora aprirsi e chiudersi.

Era quello che contava, no? Erano brutti a vedersi, come l’ammaccatura nel muro, ma funzionavano ancora. Perché preoccuparsi di aggiustarli?

Kurt si mosse verso quella panchina e si fermò a lato di essa. Non sapeva cosa stava facendo, o perché, ma, per la prima volta quel giorno, poggiò il telefono – finalmente – sulla panchina e la prese con entrambe le mani. La spinse.

Ci fu un rumore orribile mentre la panchina scivolava in un angolo. Nel posto in cui si trovava quel giorno, in cui era stata spintonata, presa a calci, con così tanta forza che i bulloni erano caduti.

Perché era successo? Non era in grado di immaginarsi la scena. Era ovvio – tre giocatori di football che cercavano di accerchiare un ragazzo come Dave, in uno spazio così stretto, corpi che si spintonavano qua e là. Per forza i bulloni non avevano tenuto.

Ma perché? Ci avevano gettato Dave? Era così che gli avevano rotto le costole e reso difficile per lui salire e scendere le scale da solo? L’avevano trascinato lì dopo avergli fatto sbattere la testa sul muro e gettato su quella panchina?

Il loro scopo era che ci cadesse sopra? O volevano che ci cadesse di lato, in modo che non ci sarebbe stato altro spazio sul pavimento?

Bastava il pavimento, dopotutto. No? Non serviva? Non serviva spazio per due ragazzi che trattenevano Dave per terra mentre il terzo si posizionava… sopra di lui.

Il colpo alla testa l’aveva stordito? O per tutto il tempo sapeva cosa gli stava succedendo?

Li aveva pregati. L’aveva raccontato a Kurt… li aveva pregati di fermarsi. Faceva male. Faceva tremendamente male e lui li aveva pregati.

Kurt realizzò che stava respirando in modo strano, velocemente e con respiri poco profondi. Capì di essersi seduto sulla panchina, ma non ricordava quando fosse successo, le sue dita stringevano forte il legno mentre lui fissava il pavimento e non riusciva a respirare.

Poteva sentire il calore sulle sue guance, le gocce di sudore sotto il mento che cadevano a terra. Non poteva respirare, si sentiva esattamente come la mattina di quel giorno, non poteva respirare.

Tutto ciò a cui riusciva a pensare era a cosa Dave doveva aver… aver pensato. Quello che doveva aver detto, all’inizio deridendoli quando gli si erano avvicinati, poi arrabbiandosi, forse, quando continuavano a volerlo accerchiare. Non spaventato, non all’inizio, perché Kurt sapeva per fonte sicura che Dave  sarebbe stato in grado di affrontare metà del Glee club senza esitazioni.

Probabilmente aveva iniziato a spaventarsi quando gli avevano colpito la testa. Kurt lo sapeva, come se l’avesse visto succedere, lo sapeva. Erano arrivati a lui perché Azimio aveva sparso la voce che Dave era gay. Erano arrivati a lui con gli stessi insulti che aveva ricevuto anche lui da ragazzi come loroi.

Ma Dave si era battuto. Se Dave avesse realizzato prima che non se ne sarebbero andati, probabilmente avrebbe addirittura dato il primo pugno. Si sarebbe infuriato ed avrebbe lottato, così gli avevano fatto sbattare la testa così forte da lasciare un ammaccatura sul muro, da farlo sanguinare, da fargli avere una commozione.

E quindi Dave si era spaventato, perché non poteva più combattere con la stessa forza.

L’avevano spinto sul pavimento.

Cristo. Cristo, l’immaginazione di Kurt era troppo buona, poteva vedere le cose com’erano andate. Poteva sentirle; poteva sentire il rumore dei pugni nella carne, il modo in cui Dave doveva aver lottato, provato a liberarsi, pregato.

Le sue unghie sanguinavano. Kurt l’aveva visto da vicino. Le sue unghie sanguinavano e il pavimento sotto le sue mani era sporco di tracce di sangue che erano come squarci. Si era aggrappato al pavimento così forte che le sue unghie avevano iniziato a sanguinare. Tutto per cercare di scappare.

Kurt non poteva respirare e le dita gli facevano male per aver stretto troppo la panchina, ma non riuscì a realizzare che stava piangendo – davvero piangendo, tremando per colpa dei singhiozzi – finché non lo raggiunsero dei suoni provenienti dalla porta, voci femminili felici lo raggiunsero e lo trascinarono via dalla sua spietata immaginazione.

Prese il suo telefono, si alzò in piedi e corse via, verso i bagni dietro le docce. Si diresse verso il bagno più lontano da quelle voci, sbatté la porta dietro di lui e si sedette sulla tavoletta del water.

Non riusciva a fermare i singhiozzi, ma si nascose. E quando lo sentirono, la sua voce che tremava per i singhiozzi, quelle voci felici si zittirono.

Una di loro si avvicinò al bagno in cui era nascosto e si schiarì la voce. “Hey, va tutto bene lì dentro?”, chiese una ragazza che non doveva aver idea di quello che era successo nella stanza in cui stavano.

Senza nemmeno pensare ad una risposta, Kurt sollevò la gamba e sbatté il piede contro la porta, forte. Un chiaro segnale per quella ragazza, quella stupida ragazza, di lasciarlo in pace.

”Come ti pare”, sibilò prevedibilmente, “stronza”.

Il gruppo di ragazze fece ciò che dovevano fare, sbattendo armadietti, spettegolando e non prestando la più minima attenzione alla persona che stava singhiozzando in bagno. E se ne andarono, ridendo ancora mentre si dirigevano verso la porta, che si chiuse mentre tutto tornava silenzioso.

Kurt non era sicuro di quanto tempo gli era servito per tranquillizzarsi. Sicuramente aveva perso un’intera lezione – i suoi piedi si erano addormentati e la sua mano, aggrappata al suo iPhone, gli face male mentre le sue dita allentavano la presa.

Non poteva restare lì mentre un’intera classe di ragazzine riempiva la stanza, quindi si alzò in piedi immediatamente.

Il suo cellulare vibrò e lui quasi lo fece cadere. Restando al sicuro nel suo bagno, si appoggiò al muro cercando di riprendere il respiro mentre sbloccava la tastiera.

Aveva una chiamata persa. Aveva un messaggio in segreteria. E l’aveva lasciato Dave.

Il cellulare quasi gli sfuggì di mano per la troppa fretta. Finalmente riuscì ad accedere alla segreteria e le mani gli tremavano mentre teneva il telefono vicino all’orecchio.

”Lasci davvero dei messaggi imbarazzanti, Fancy, lo sai vero?”

Dave non sembrava se stesso. Le parole erano canzonatorie, ma il tono non era quello giusto.

Kurt premette ancora più forte il cellulare contro l'orecchio e chiuse gli occhi.

”In ogni caso, non hai le prove del Glee tipo ogni giorno? E’ tutto a posto, okay? Mi assicurerò che Carole ti lasci da parte un piatto di sanissimo cibo”, c’era una pausa e la voce di Dave si addolcì, “sto bene, Kurt. Non devi preoccuparti per me ogni secondo. Ma… grazie. Ci vediamo questa sera”.

Kurt stava ancora respirando troppo velocemente, ma non poteva farne a meno. La dolcezza nella voce di Dave. Era un suono che Kurt non aveva mai sentito prima di quel mese passato insieme, ma era diventata familiare da quando lui aveva bisogno di sentirla.

Ne aveva bisogno come aveva bisogno di sorrisi, borbottii, risate roche e il modo in cui la voce di Dave accelerava quando parlava di qualche definizione di fisica per cui era dannatamente eccitato. Ne aveva bisogno come la punta di rabbia negli occhi di Dave, il modo in cui rispondeva quando veniva rimproverato. Il modo strano in cui si muoveva, come se non si fidasse del proprio equilibrio. I vestiti senza forma che non gli rendevano giustizia.

C’erano cose belle e cose brutte, ma l’insieme era Dave, e Kurt non poteva nemmeno respirare al pensiero che quello spogliatoio e la panchina rotta e l’ammaccatura sul muro gli avevano quasi portato via Dave prima che potesse davvero conoscerlo. Quei tre bambini troppo cresciuti, tre ragazzi delle loro età, avevano provato in tutti i modi di portarglielo via.

Non riusciva a capire come Dave fosse riuscito a sopportare tutto quello e ad avere ancora quella dolcezza nella sua voce per Kurt. Non riusciva ad immaginare quanto Dave dovesse lottare per urlare ‘shawarma’ o per esaltarsi parlando di cose scientifiche.

Peggio ancora, Kurt non riusciva ad immaginare quando Dave avrebbe potuto essere più dolce e più divertente se Azimio avesse tenuto la sua bocca chiusa. Se Kurt fosse stato così furbo da guardare dentro Dave prima che una cosa orribile come quella accadesse, chi ci avrebbe trovato?

Una volta aveva detto a Dave che si sentiva male per lui, perché nell’ufficio di Figgins suo padre aveva inziato a parlare di lui come fosse un estraneo, quando la verità era che lui si era sempre dovuto nascondere da lui. Non si era alzato una mattina e scoperto gay, lo era sempre stato.

Non si era alzato una mattina ritrovandosi quel ragazzo timido, intelligente con quel sorriso canzonatorio e quel quasi profano senso dell’umore. Era stato così da sempre.

Kurt odiava Jason Campbell e i suoi due sadici amici per averlo ferito. Odiava il padre di Dave per aver resto la sua corazza ancora più impenetrabile. E odiava se stesso, perché non aveva visto attraverso quella corazza esattamente come tutti gli altri, anche se al Mckinley – e forse in tutta Lima – era l’unica persona che avrebbe potuto accorgersene.


Finì col perdere tutte le classi del pomeriggio, ma nessuno venne a controllare. Non restò ovviamente rinchiuso nel bagno delle ragazze. Aveva aspettato che una classe finisse di cambiarsi, che le chiacchiere, le urla e il rumore degli armadietti che si chiudevano finissero, poi uscì dal bagno, curandosi di non guardare da nessuna parte oltre che davanti a lui, attraversò veloce lo spogliatoio e uscì dalla porta.

Era ormai l’ultima ora di lezione quando uscì dalla palestra ed era già in ritardo per chimica, quindi si limitò a tornare nell’ufficio della Coach Sylvester.

Non era lì, ovviamente. Era fuori ad urlare alle cheerleader. Ma il suo ufficio non era chiuso a chiave, quindi decise di entrare senza aspettarla e di sedersi di fronte alla sua scrivania, guardando il suo cellulare, unica cosa che aveva deciso di permettersi finché le sue mani non avessero finito di tremare.

Aprì l’editor dei messaggi e si fermò una decina di volte, indeciso su cosa scrivere. Voleva che Blaine lo chiamasse, voleva sentire la sua voce tranquilla e rassicurante vicino al suo orecchio. Voleva chiamare Carole o suo padre, per chieder loro se fosse possibile amare qualcuno quanto amassero i loro figli, e non restare paralizzati ogni volta che quella persona non fosse nel proprio campo visivo. Sapendo quel che sapevano loro sul mondo, com’era possibile preoccuparsi qualcuno e lasciarlo agire da solo?

Ma era una cosa troppo drammatica, e aveva appena avuto un crollo emotivo, ma non era così egoista da far preoccupare anche le altre persone che gli volevano bene.

Alla fine decise di scrivere a Dave.

Se il cibo salutare è una cena troppo estrema, scrivi, passerò il confine per comprarti qualcosa nel ritornare a casa.

Un messaggio il più lontano dall’essere profondo e pieno di significato, ma inviò lo inviò, tirò un sospiro e si sentì un po’ più vicino ad un essere umano di quanto si sentisse prima.

La risposta arrivò dopo un po', ma valse l’attesa.

Chalupa! Non così buona come shawarma, ma ok.

Se ti stai offrendo di passare da Bell, allora andrò avanti e ti dirò che il cibo sano è fin troppo estremo. Tipo i semi di soia o qualcosa di simile.

Kurt sorrise per la prima volta dopo ore e si diede permesso di rilassarsi.

Cosa vorresti, allora? Tortillas carne o formaggio, o formaggio, carne e tortillas? Con un menù così vario, non saprei proprio indovinare le tue preferenze.

Il sorriso non si spense mentre inviava il messaggio in attesa di una risposta.


E quando la campanella mise fine alla giornata scolastica si guardò intorno sorpreso – la Coach non si era fatta viva ed era giunto il momento di avviarsi verso la sala prove e pianificare.

Mentre si alzava dalla sedia nel ufficio silenzioso e mandava un ultimo messaggio a Dave, si rese conto che una chiacchierata di trenta minuti su quanta varietà possa offrire un fastfood con un determinato numero di ingredienti, era la cosa più divertente che aveva fatto negli ultimi tempi.

Dall’ultima volta in cui lui e Dave si erano inviati i messaggi di matematica, o avevano passato insieme un pomeriggio di studio, o erano entrati in un Gyro Hut.

A volte Kurt pensava che il suo restare così vicino a Dave fosse dovuto soltanto ad un senso di colpa, o ad un trauma, a qualche ipersviluppato senso di protettività. Ma ultimamente era quasi sicuro che fosse perché non si era mai sentito così brillante, o non si era mai divertito così tanto, o non era mai stato così necessario come quando Dave era vicino a lui.

Non sembrava importare se stavano ridendo tra di loro o se Dave stava singhiozzando sul pavimento stringendo Kurt come fosse un salvagente (**); in qualsiasi caso Kurt lasciava il suo fianco sicuro che, qualsiasi cosa fosse successa a Dave, non ci sarebbe stato altro posto in cui avrebbe voluto stare. 


Note di Traduzione:
(*) Cupcake = pasticcino.
(**) Il termine inglese era life-raft, che dovrebbe avere bene o male il significato metaforico che abbiamo messo noi, è qualcosa che salva la vita quando si è in acqua, identificabile in italiano come un salvagente o un'ancora di salvataggio.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. ***


Beta Reader: Kurtofsky

The Worst That Could Happen
- Capitolo 19 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/19/The_Worst_That_Could_Happen



Mentre entrava nella choir room, Kurt sperava che i segni del suo esaurimento nervoso di poco prima non fossero visibili sul suo viso. Nessuno riusciva a individuare i guai come Mercedes Jones, e lui non aveva bisogno che lei lo guardasse in modo più aspro di quanto già solitamente facesse.

Nel momento in cui varcò la porta realizzò che al momento aveva un problema più grande: le prove erano già cominciate. Artie era nel centro della stanza, Brad stava suonando il piano e la maggior parte del club era già lì, ad applaudire e sorridere felici.

Santana era seduta in fondo, le braccia incrociate al petto, guardando con disprezzo Mr. Schue. Ma il suo sguardo si spostò su Kurt nel momento in cui entrò nella stanza.

E sì, il suo piccolo esaurimento nervoso e il fatto che si fosse nascosto nell'ufficio della Sylvester voleva dire che non aveva parlato con Mr. Schue sul ritardare le prove. Il che spiegava perchè Artie era quasi alla fine della sua (bella ma prevedibile) versione di Dancing in the Streets, e l'umore era fin troppo contento nella stanza.

Kurt gettò a Santana un piccolo sorriso di scuse, e fece il giro intorno al piano per afferrare il braccio di Mr. Schue mentre stava applaudendo. "Posso parlarle?"

Mr. Schue gli sorrise. "Certo, Kurt. Solo un minuto, okay?"

La stanza scoppiò in un applauso allegro appena ebbe finito di parlare, e Artie fece un inchino per niente umile dalla sua sedia a rotelle. Il tema della settimana erano le Celebrazioni. Kurt era sicuro non ci fosse tema peggiore per lui in cui infilare il suo dramma.

"Bel lavoro, Artie," Mr. Schue disse ad Artie mentre lui ringraziava i ragazzi per gli applausi. "Mi fa venire in mente le nostre primissime prove del glee, quando pensavo che darti la parte principale in una canzone dove si parlava di ballare fosse ironico." Mr. Schue sorrise, facendo il giro del piano e allontanandosi da Kurt. "Credo che possiamo apprezzare tutti che qualcuno come Finn che canta Dancing in the Streets sarebbe più ironico a questo punto ."

Finn sorrise e fece roteare gli occhi mentre gli altri ridevano.

"Quindi!" Schue battè le mani, esaminando il gruppo. "Chi c'è adesso?"

La mano di Mercedes volò in alto. "Io dico che dovrebbe andare Kurt!"

Kurt le strizzò gli occhi, la borsa ancora sulla sua spalla e in piedi dall'altro lato del piano rispetto a tutti gli altri.

Gli fece un sorriso dall'altra parte della stanza. "Dai, boo, sono passate tre settimane dall'ultima volta che ti ho sentito cantare. Non fare finta che non ne abbia voglia anche tu."

"Sì, Kurt, dai. Fagli vedere," lo chiamò Finn dal suo posto in fondo.

Kurt sorrise suo malgrado nonostante altre voci lo incoraggiassero. Onestamente non aveva mai avuto così poca voglia di cantare come in quell'ultimo periodo – continuava a sembrargli una sciocca indulgenza, un modo inappropriato per risolvere i problemi. Ma fece lentamente il giro del piano, raggiungendo la sedia dove era seduta Mercedes e appoggiando la borsa per terra.

Lei gli sorrise per nulla dispiaciuta. "Mi ringrazierai quando avrai finito."

Lui non ne fu così sicuro. Non sapeva neanche che canzone potesse cantare che andasse bene col tema delle Celebrazioni.

Ma mentre raggiungeva il centro della stanza, quella realizzazione gli diede un'idea. Fronteggiò la classe, guardando i visi sorridenti delle persone con cui aveva legato di più in tre anni e passa di scuola.

Prese un respiro profondo e decise di essere onesto con loro.

"Non me la sono sentita molto di celebrare ultimamente," disse calmo. "Ma credo sia un valido approccio al tema, non è così? Voglio dire, se il tema è l'amore, cantiamo di quando lo siamo o di quando soffriamo a causa sua. Quindi...perchè non cantare quando il mondo intorno a te sta celebrando e tu devi sforzarti di seguire la massa?"

I sorrisi scomparvero. Finn aveva un'espressione solenne in viso, forse pentito di aver spinto Kurt a cantare quando lui più di tutti sapeva come era stato il suo ultimo mese.

Kurt sospirò, ma prese uno sgabello e ci si sedette sopra. Non aveva preparato quella canzone, non aveva chiesto a Brad o ai ragazzi che ricevevano crediti extra per suonare alle prove del glee di accompagnarlo. Ma non era spaventato dall'idea di cantare senza accompagnamento musicale.

Era più lenta di quella che avrebbe dovuto essere, e riuscì a sentire la debolezza nella sua stessa voce, ma... era una canzone.

"Smile when your heart is aching

Smile even though it's breaking

When there are clouds in the sky

You'll get by if you smile

Through your fear and sorrow

Smile and maybe tomorrow

You'll see the sun come shining through

For you..."

Prese un respiro per cominciare la strofa seguente, ma qualcosa nel petto si strinse e gli fece morire le parole in gola.

Stava cantando a se stesso? Aveva provato ogni tanto a sorridere e scherzare e ridere quando in realtà non ne aveva troppa voglia. Per rallegrare Dave, o per spezzare qualche momento particolarmente teso e soffocante. Per dimostrare di essere coraggioso a suo padre o Carole, o Dave.

Ma non aveva mai sforzato un sorriso o finto una risata o fatto qualche brutta battuta perchè pensava che avrebbe reso le cose più semplici. Era una maschera, non una cura. Era solo un trucco.

Si schiarì la gola, consapevole delle facce confuse che aveva di fronte, e aprì la bocca per continuare la canzone.

Ma non uscì nulla. Non riuscì neanche a ricordare come faceva il verso dopo.

"Kurt?"

Lanciò uno sguardo a Schue, che era seduto con il resto del club. Sorrise debolmente, ma quando i suoi occhi si spostarono dietro al professore e si fermarono su Santana, capì che quella che aveva davanti era un'opportunità più unica che rara.

Almeno aveva demolito il morale di tutti già con quella canzone.

"Guardate, ragazzi," cominciò lentamente. Quell'inconveniente esaurimento nervoso lo aveva lasciato completamente impreparato a ciò. "Ho bisogno del vostro aiuto."

Mr. Schue fu subito in piedi un momento più tardi, impallidendo. "Cosa sta succedendo, Kurt?"

Kurt non lo guardò. Guardò invece Mercedes, Puck, Lauren. Artie. Le persone di cui non era sicuro. "Dave Karofsky tornerà a scuola lunedì."

Mercedes irrigidì le spalle ed alzò le sopracciglia, ma continuò a guardarlo in silenzio.

Kurt si voltò verso Santana, incerto.

Si alzò agile in piedi e raggiunse Kurt di fronte al resto dei ragazzi . "Tornerà a scuola e noi lo aiuteremo. E' così." Annuì a Kurt e si rivolse al gruppo. "Kurt è carino abbastanza da chiedervelo. Io non lo sono. Noi lo aiuteremo."

"Certo, sicuramente," disse Finn, facendo l'occhiolino dalla sua posizione scomposta in fondo all'aula. Sembrava addirittura sorpreso che lo avessero chiesto.

Kurt amava il suo fratellastro. Non ne era neanche più sorpreso, ma continuare a ricevere dei promemoria sul perchè lo amasse era davvero bello.

"Sono confusa," Lauren disse dal suo posto fisso di fianco a Puck. "Perchè all'improvviso ci interessa di Karofsky?"

"Non mi potrebbe fregare un cazzo se ti interessa di lui o meno," rispose subito Santana. "Non mi ricordo di aver detto che vi deve importare di lui, ma lo aiuterete lo stesso."

Lauren alzò il sopracciglio, lenta e con aria di sfida. "Sul serio, J-Lo?" disse con voce strascicata.

"Veramente...sono confusa anche io," nientedimeno che Rachel disse titubante dal suo posto davanti. "Perchè dovremmo aiutare qualcuno come lui?"

Santana era troppo occupata a guardare male Lauren, lasciando a Kurt la possibilità di rispondere. "Perchè ha bisogno di aiuto. E non ha nessun altro."

"E'..." guardò Kurt aggrottando le ciglia. "Voglio solo dire... noi non siamo esattamente la cima della piramide sociale al McKinley. Karofsky è un atleta, non ha già tutta la scuola dalla sua parte?"

Quella frase riuscì a convincere Santana dal distogliere lo sguardo da Lauren. "Dai, Berry, possibile che tu non faccia attenzione a ciò che succede al di fuori di questa stanza?"

Artie si schiarì la voce prima che lei potesse risponderle. "Um. Io parlo per me stesso... ci sono un sacco di pettegolezzi su cosa è successo, ma se anche l'intera scuola odiasse Karofksy adesso... perchè è compito nostro muoverci per aiutarlo?" Alzò una mano per ripararsi dallo sguardo accusatorio di Santana. "Sono serio, okay? Sì, il glee club è per gli sfigati e gli emarginati che non trovano aiuto da nessun'altra parte. Ma ciò non vuol dire che abbiamo dei doveri nel perdonare qualcuno che è stato tremendo con noi per anni solo perchè non ha altri amici."

Rachel si voltò da Artie a Kurt con gli occhi spalancati. "Karofsky si unirà al glee club?"

"Okay, calma." Kurt alzò le mani. Quella non era una ribellione attiva o del gridarsi addosso, ma non era esattamente la reazione che si sarebbe aspettato. "No, non si unirà a noi..."

Esitò, lanciando uno sguardo a Santana.

Lei rispose al suo sguardo, sembrando dubbiosa.

Comunque avrebbero potuto chiedere. "Per ora non ci sono progetti per lui sul diventare un membro del glee. Non vi sto chiedendo questa cosa perchè il glee ha qualche sorta di dovere. Lo sto chiedendo perchè..." Li guardò uno ad uno. "Perchè voi siete miei amici e io non posso farcela da solo."

Quello li fece stare zitti, anche solo per un minuto.

"Sta veramente a casa con voi ragazzi?" Quinn chiese all'improvviso, facendo vagare lo sguardo da Kurt fino a Finn seduto dietro di lei.

Finn alzò le spalle, ma si alzò subito in piedi e scese i gradini per raggiungere Kurt e Santana. "Sì," disse, rivolgendosi all'intero gruppo. "Sta con noi. Ha passato un periodo di merda e si è rivelato un bravo ragazzo. Quindi fate quello che volete, ma io ci sono."

"Voi siete degli idioti," disse Lauren facendo roteare gli occhi e guardando con sufficienza gli altri. "Ho avuto degli atleti sfigati come Karofsky in mezzo ai piedi da quando ho cominciato a fargli il culo alle medie. Voi pensate davvero che visto che adesso le ha prese diventerà un bravo ragazzo?"

Puck le lanciò uno sguardo. "Bella, dai. L'abbiamo visto la sera che è uscito dall'ospedale, non è-"

Lei gli diede una gomitata. "Non chiamarmi 'bella'. Credete davvero che sia qualche sorta di favola? Togliete la spina dalla zampa del leone e lui è così riconoscente che decide di non mangiarvi?" Sbuffò. "C'è un motivo perchè quella storia è solo una favola. Perchè nella vita vera il leone vi mangerà, perchè è un animale incazzato che non sa fare di meglio."

Puck guardò prima lei e poi le tre persone in piedi al centro della stanza.

"Si unirà al glee club?" chiese Rachel, sporgendosi verso Kurt e provando a fare qualcosa che assomigliava vagamente a un sussurro cospiratore. "Che estensione ha? Non è un altro tenore, vero? E' ancora omofobico? Perchè anche un buon baritono non varrebbe una cosa del genere."

Kurt stava cominciando a diventare sempre più nervoso nel vedere quanti suoi amici sembravano ancora completamente indecisi o sconcertati. Sibilò a Rachel, "Tu non fa mai davvero attenzione alle cose intorno a te, vero? Non è omofobico, è gay."

Lei strizzò gli occhi. "Beh, una persona può essere entrambi."

E, okay. Non poteva discutere con lei di una cosa del genere. Kurt non era esattamente pronto ad un momento profondo da parte di Rachel Berry, ma lasciò perdere. Non poteva permettersi di perdere la concentrazione.

Guardò Mercedes, che era stata stranamente calma mentre tutti gli altri si esprimevano. Si rivolse a tutti, ma mantenne il suo sguardo sull'amica.

"Non dirò che è cambiato, perchè non credo sia ciò che è successo. Credo che si sia nascosto per un sacco di tempo, e adesso non lo fa più. Almeno, non lo fa con me e la mia famiglia, al di fuori di qui. E' miglioreadesso perchè non deve nascondersi, e se quando torna lunedì sarà come è sempre stato..."

Tornerà a nascondersi.

Kurt si era preoccupato sul fatto che Dave potesse spaventarsi, ricevere imboscate da quelle persone che volevano vendetta per la mancanza di cinque membri dalla squadra di football portati fuori da scuola in manette. Si era preoccupato per il microfono di Jacob e gli scherzi della gente. Si era preoccupato sul fatto che qualcuno avesse potuto fare del male a Dave.

Non l'aveva realizzato finchè non aveva pensato a quelle cose e aveva cominciato a preoccuparsi anche che Dave avresse potuto retrocedere. Preoccuparsi per i corridoi soffocanti del McKinley e l'ambiente stretto del liceo che faceva ritornare Dave dentro la sua conchiglia.

Poteva occuparsi di parare i colpi di Jacob e mettere a tacere gossip maligni. Non sapeva se poteva sopportare di vedere Dave svanire e lasciare che Karofsky prendesse di nuovo il suo posto.

Kurt prese un bel respiro e guardò le facce che lo stavano fissando. "Allora? Cosa ne pensate?"

Brittany si alzò, avvicinandosi a Santana. "Dave non mi ha mai guardato le tette come hanno fatto gli altri della squadra," disse, allungandosi per trovare la mano dell'amica, intrecciando i mignoli così casualmente che Kurt non riuscì a dire se si stava realmente esponendo con loro o aveva solo sentito il bisogno di stare al fianco di Santana

Ma Brittany sorrise a Kurt. "All'inizio ero confusa, perchè le mie tette sono eccitanti. Ma adesso non mi interessa più di tanto."

Kurt le sorrise di rimando, perchè con Brittany era impossibile non farlo.

"Yo, a che punto stanno i nerd?"

Il grido improvviso fu davvero rumoroso e fece voltare Kurt, nonostante fosse sicuro a chi appartenesse quella voce. Non perse il sorriso quando tutti gli occhi della choir room si voltarono verso l'entrata.

Azimio entrò con andatura ciondolante, con indosso la sua giacca letterman, il logo dei Bullywhip cucito sul davanti di fianco alla M. Aveva dei libri in mano e un sorriso disinvolto in volto.

Esaminò la stanza, il piccolo gruppo in piedi, le persone confuse, seccate e disgustate ancora sedute. Non perse un battito, appoggiò i libri sul pianoforte mentre ci passava accanto, allacciando un braccio intorno alle spalle di Santana e sorridendo a Brittany in piedi al suo fianco.

"Scusate il ritardo," disse a Santana, e i suoi occhi si spostarono su Kurt solo per un momento, includendolo nelle sue parole. "Ho dovuto trovare qualcosa per uscire dalla classe. Mi sono inventato questa scusa fantastica su mio zio che mi ha chiamato per aiutarlo a salvare un autobus pieno di bimbetti da una sparatoria o una merda del genere. Ma purtroppo la Beiste non mi ha creduto. Mi ha chiamato nel suo ufficio, quindi ho dovuto dirle che riguardava Dave e lei mi ha praticamente cacciato." Annuì a Kurt. "Dice di salutarglielo."

Kurt annuì con un sorriso.

"Cosa ci fa lui qui?" Tina, fino a quel momento silenziosa dal suo posto di fianco a Mike, intervenne acida.

Azimio alzò le spalle, disinvolto come sempre. "Tu credi che lascerò il mio ragazzo con un paio di nerd da canto corale?"

"I nerd del canto corale non sembrano propensi ad aiutare, a dire il vero," mormorò Santana.

Azimio alzò le sopracciglia. Guardò la stanza, Kurt e Finn e le cheerleader e se stesso, tutti in piedi a formare un piccolo gruppo, e poi guardò le facce tutt'altro che amichevoli di fronte a loro.

Rise. "Oh, diavolo, non è divertente? Si fa presto a dire che sono gli atleti ad essere quelli con la mentalità chiusa, huh? E, hey – Evans. Puckerman. Abrams, Chang, cosa cazzo state facendo? Venite qui."

Artie fece roteare gli occhi e rimase al suo posto. Sam lanciò uno sguardo a Quinn, si alzò in piedi.

Lei lo prese immediatamente per la manica della camicia. "Cosa stai-"

Sam alzò le spalle. "L'abbiamo visto quando è uscito dall'ospedale." Liberò il braccio dalla sua presa e ciondolò verso il centro della stanza, raggiungendo Kurt e sorridendo imbarazzato.

Puck e Mike non si mossero, entrambi seduti di fianco alle loro più che ostili fidanzate. Tina si allungò addirittura verso Mike per afferrargli la mano, stretta e possessiva.

"Guai a te se ti muovi," mormorò Lauren a Puck.

Kurt aprì la bocca per parlare, per supplicare, per riuscire a convincere Mercedes e nessun altro. Non poteva aspettare che i Glocks risolvessero i loro problemi.

Ma prima di riuscire a parlare, Puck's era in piedi. "Fanculo."

"Puckerman."

Lanciò uno sguardo a Lauren, mostrando il suo sorriso più fiero. "Dai, conosci così bene noi sfigati atleti incazzati da non aver previsto una cosa del genere?"

Lei rimase senza parole.

Puck scese lo scalino, girando intorno alla sedia di Artie e si mise di fianco a Finn.

"Okay, mi dispiace," disse Tina, e dall'espressione sulla faccia di Mike si poteva capire che gli stava stringendo la mano così forte da fargli male. "Sono l'unica che si ricorda che Karofsky ha terrorizzato Kurt e l'ha costretto a trasferirsi?"

"Roba vecchia, Lucy Liu," rispose veloce Azimio. "Ma non preoccupatevi, va bene lo stesso. Tenete pure i vostri culi su quelle sedie e lasciate che ce ne occupiamo noi. So che a voi sfigati piace convincervi che siete i bravi ragazzi in questa scuola. I martiri che nessuno comprende o quel diavolo che volete. Ho sempre pensato fossero delle gran cazzate, quindi questo è grandioso dal mio punto di vista. Prova che avevo ragione."

"Oh, cosa diavolo sai di noi?" chiese Lauren, continuando a guardare male Puck.

"So che state usando Ladyparts Hummel come giustificazione per essere dei cazzoni ostinati in questo modo," rispose subito Azimio. "Perchè indovinate un po'? Lui è qui con noi."

"Kurt è una persona che perdona," rispose Quinn incrociando le braccia al petto. "Alcuni di noi hanno bisogno di una ragione per perdonare."

"E' vero, comunque."

Gli occhi di Kurt si spostarono su Mercedes, e per quanto avesse potuto essere nervoso riguardo quel continuo avanti e indietro, la tensione divenne dieci volte maggiore quando sentì la sua voce .

Lo guardò dalla sua sedia, pensierosa. "Sii onesto, Kurt. Perchè ti sei trasferito?"

Kurt si accigliò e distolse lo sguardo, ma tutti gli occhi erano su di lui.

"Allora?"

Guardò di nuovo Mercedes. "Per colpa di Dave," disse, e anche se tutti ne erano a conoscenza faceva ancora male dirlo ad alta voce.

Lei annuì. "E perchè sei tornato?"

Lui sbattè le palpebre.

Lei alzò il sopracciglio. "Dai. Qual'è la cosa che ti ha riportato qui?"

La speranza fu un pizzicorio che si mosse lungo la sua spina dorsale e incontrò i suoi occhi e quasi sorrise. "Dave," rispose onestamente. "Lui mi ha riportato qui."

Lei sospirò, come se non si aspettasse una risposta del genere. Ma sulle sue labbra spuntò un sorriso quando si alzò dal suo posto. "Beh, non posso discutere di una cosa del genere."

Lo raggiunge a avvolse la mano stretta introno alla sua per stringerla forte.

Gli sorrise, ma rivolse subito altezzosa gli occhi ai ragazzi che erano ancora seduti.

"Lo sapevo che la sorella ci avrebbe appoggiato," disse Azimio lanciando un sorriso a Mercedes. "Adesso, visto che il resto di voi sfigati è molto meno di noi, credo sia t-"

"Sedetevi, teste vuote."

Un'altra voce, tagliente e improvvisa. Inaspettata ma sulla quale si poteva sperare. Qualcosa dentro il petto di Kurt si accese e istantaneamente cominciò a sentirsi meglio quando si voltò per vedere entrare la persona che sperava di vedere di più.

Sue Sylvester era dietro al pianoforte. In piedi di fianco al professor Schue, il che era più che strano, e in qualche modo nessuno l'aveva notata entrare.

Nessuno si mosse, visto che tutti tranne Kurt, in piedi o seduti, era scioccato dal vederla.

Lei rispose a quel silenzio in modo molto caratteristico. "Vi ho detto di sedervi. Tutti voi. Sedetevi. Chiudete la bocca e piazzate il culo su una sedia."

Mr. Schue sorrise debolmente al suo fianco, guardando in silenzio il gruppo.

Kurt strinse forte la mano di Mercedes mentre tornava alla sedia affianco a cui aveva appoggiato la borsa. Si misero a sedere mentre anche gli altro tornavano ai propri posti.

Puck non tornò di fianco a Lauren. Andò con Finn nel retro e si sedette vicino al suo migliore amico.

La Sylvester aspettò paziente, il suo solito disprezzo negli occhi. Quando furono tutti seduti annuì al professor Schue, e si spostarono sul davanti dove era Kurt fino a qualche attimo prima. Si mossero come un fronte unico, il che fu davvero strano.

"Se non l'aveste ancora realizzato," disse esaminando il gruppo davanti a sè, "cantare e ballare sono cancellate dalle attività di oggi. Il vostro amico si è presentato di fronte a voi chiedendo aiuto ed è di questo che ci occuperemo. Quindi, chiunque non voglia far parte di questa cosa può andarsene."

Ci fu una pausa. Rachel lanciò uno sguardo tradito Mr. Schue, più che altro perchè Rachel si sentiva tradita riguardo la cancellazione delle prove del glee, non per il motivo di quella novità.

"Sono seria," disse la Sylvester. "Chiunque in questo piccolo gruppo che non sia in grado di guardare oltre il fatto che ci sono cose peggiori che prendersi un bicchiere di ghiaccio e sciroppo in faccia, prenda le sue cose ed esca di qui. Adesso."

Lauren afferrò la sua borsa e lanciò un'occhiata a Puck.

"Dieci secondi," disse la Sylvester, guardando particolarmente Tina e Lauren. "Dieci secondi per portare le chiappe fuori di qui, altrimenti siete dentro."

Puck guardò Lauren di rimando, neutrale.

Tina si mosse, ma questa volta fu Mike ad afferrare la sua mano, e fu evidente che non aveva intenzione di muoversi.

Passarono dieci secondi.

Lauren lasciò cadere la borsa bisbigliando parolacce. Tina sospirò e si rilassò sulla sedia. Rachel guardò con desiderio oltre il piano.

"Okay." La Sylvester incrociò le braccia al petto, guardandoli come una regina con una folla di soggetti particolarmente irritanti. I suoi occhi si soffermarono su Santana, e poi su Kurt, e infine annuì. "Porcellana. Labbra. Tocca a voi."


Quando iniziarono veramente a organizzare tutte le cose, il tempo passò veloce. Kurt rimase il più vago possibile riguardo le cose Dave aveva dovuto affrontare nell'ultimo periodo, focalizzandosi maggiormente sulle cose al quale Dave sarebbe venuto più facilmente a contatto una volta tornato a scuola. Parlarono dei pettegolezzi, della possibilità di vendetta da parte della squadra di football, l'ostilità compiaciuta della squadra di hockey, di Jacob Ben Israel. E riuscirono a trovare delle soluzioni per tenere quelle cose lontane da Dave.

Azimio e i Glocks si sarebbero potuti occupare della squadra di football – con cinque dei migliori giocatori spariti, loro formavano ormai la maggioranza dei senior all'interno della squadra. Non sarebbe stato difficile convincere gli altri a tenere la bocca chiusa.

Kurt ebbe un'idea riguardo la squadra di hockey, quindi si offrì di occuparsene. Non raccontò cosa aveva in mente, visto che doveva prendere ancora una forma definitiva, ma fu d'accordo sul farsi aiutare da Finn nel caso avessero voluto tirargli una granita in faccia o qualcosa del genere.

Jacob fu più difficile da risolvere, visto che nessuno era mai riuscito a trovare qualcosa che lo facesse smettere dall'infilare il naso negli affari altrui. Nessuna minaccia o maledizione era abbastanza da far tentennare quel ragazzo, e nessuno lo conosceva abbastanza bene da riuscire a indovinare cosa avrebbe funzionato.

Santana parlò francamente, rendendosi volontaria per occuparsene lei. Promise addirittura di non ricorrere all'omicidio o di non lasciare alcun livido (visibile), quindi anche se fu una decisione difficile le affidarono l'incarico.

E per i pettegolezzi e le dicerie e le risate, per i ragazzi nei corridoi e quello che avrebbero potuto dire?

Quelli venivano al primo posto. Non c'era niente di più importante se non salvaguardarsi dai pettegolezzi, e anche se avessero dovuto scortare Dave di classe in classe come aveva fatto lui una volta con Kurt, era pur sempre un inizio.

Rachel li invitò tutti a casa sua quel fine settimana per un decorating party dopo che Santana le aveva detto che poteva cucire tutti i brillantini che voleva sulla sua giacca dei Bullywhip finchè la indossava.

Chiusero il discorso all'ora in cui di solito finivano le prove, e sebbene alcune persone erano meno entusiaste di altre, tutti sembravano sulla stessa lunghezza d'onda riguardo il piano.

"Comunque," aveva detto Artie (mano a mano che la chiacchierata era andata avanti lui era diventato il più entusiasta di tutti), "quanto sembreremo cazzuti? Il Glee club: guardie del corpo per una star della squadra di football."

Lauren fu l'unica ad andarsene con un'espressione tutto tranne che felice. Persino Tina era rimasta indietro per parlare con Rachel e Mercedes di alcune idee per rendere la giacca dei Bullywhip un qualcosa di più stiloso.

Finn aveva detto a Kurt di far sapere a sua mamma che non sarebbe stato a casa a cena quella sera – lui, Puck e Sam andavano a comprare qualcosa da mangiare e poi sarebbero andati a casa di Puck a giocare ai videogiochi. Per celebrare il fatto, aveva detto Puck, che per una giornata era stato più cazzuto della sua ragazza.

Ci volle un po' per far arrivare tutti alla stessa pagina, molto di più di quanto Kurt sperava, ma alla fine c'erano arrivati tutti ed era comunque molto meglio di quanto si aspettasse. E quando Kurt lasciò la choir room con il braccio intorno alla vita di Mercedes, seppe che faceva bene a fidarsi dei ragazzi del glee per quella cosa. Guardò dietro di sé a Schue e la Sylvester che discutevano mentre i ragazzi stavano andando via per parlare di ciò che era appena successo da una prospettiva adulta o qualcosa del genere, e seppe che faceva bene a fidarsi di loro.

Quando Dave sarebbe tornato a scuola non si sarebbe ritrovato con lo stesso gruppo di amici che si era lasciato dietro. Ci sarebbero state persone nuove a mostrargli supporto e a guardargli le spalle. Kurt non riuscì a fare a meno di pensare che sarebbe stata una cosa stupenda per Dave.


La casa era silenziosa quando entrò. La macchina di suo padre non era nel vialetto, Finn non c'era per una serata da ragazzo etero con i suoi amici, il salotto era calmo e silenzioso.

Kurt chiuse la porta calmo dietro di sé e salì le scale. Lasciò le sue cose in camera sua e bussò alla porta di Dave, aprendola quando non ci fu risposta.

Era vuota.

Kurt si accigliò, ma si diresse al piano di sotto.

Aveva già la bocca aperta per chiamare chi ci fosse in casa quando sentì una voce provenire dalla cucina. Carole, ovviamente, e si rilassò un poco avvicinandosi alla porta della cucina.

Rallentò, poi si fermò quando le parole furono abbastanza chiare da capire di cosa stava parlando.

"-di trovarti un ragazzo o qualcosa del genere. Non è una cosa tanto strana per i ragazzi della tua età, sai."

La voce di Dave era debole mentre le rispondeva. "Solo che non penso succederà, tutto qui."

"Perchè no?" Carole sembrava entusiasta, ma c'era una nota nella sua voce. Un pizzico di preoccupazione materna, forse.

"Non lo so, per un paio di ragioni." Dave sembrava un po' in imbarazzo, ma non così riluttante come se avesse dovuto rispondere a Kurt riguardo quella domanda. "L'ho detto a Kurt una volta... Non conosco nessuno di gay tranne lui e il suo ragazzo cazzone. Ma... da quello che sono riuscito a capire dalla TV o roba simile, mi sembra abbastanza chiaro che non vado d'accordo con tipi del genere."

Kurt aggrottò le ciglia, deluso. La sua discussione con Dave riguardo quell'argomento non era stata così efficace come pensava.

Carole rimase zitta, e ci furono una serie di suoni strascicati che sembrava come se fosse nel bel mezzo di preparare la cena.

"Voglio dire, su. Kurt è l'unico che conosco da così tanto tempo. Tu pensi che qualcuno come lui guarderebbe due volte a uno come me?"

Kurt fece un passo indietro, abbracciando il muro allo stesso identico modo in cui aveva spiato suo padre e Dave. Loro non sapevano fosse lì, quindi non doveva rispondere a quella domanda, ed era stranamente confortato a riguardo.

Carole rise calma. "Nemmeno io conosco molti uomini gay, a dire il vero. Tranne quelli con cui sono uscita, anche se di alcuni di loro lo sospetto soltanto."

Dave sbuffò.

"La maledizione di vivere la mia intera vita a Lima. Ma posso dire con sicurezza che Kurt Hummel, anche se è adorabile, non è tutti gli uomini gay del mondo. Infatti sto conoscendo un ragazzo che ne è l'esempio vivente." Sembrava stesse sorridendo. "So che quando sei un adolescente pensi di essere l'unica persona ad avere quel tipo di problemi, ma piano piano che invecchi riesci a realizzare quanto ti sbagli. Dave... sei un ragazzo che pratica sport e gioca con i video giochi al quale non importa nulla di moda, e ti piacciono i ragazzi. Pensi davvero di essere l'unico al mondo?"

"Beh, certo, sembra idiota quando lo dici in questo modo," disse Dave. "Vuoi sapere qualcosa di veramentestupido? Ci ho anche provato. Durante l'estate, quando finalmente non stavo tirando pugni ai muri ogni volta che la parola 'gay' veniva fuori... ho cercato di vedere se potevo farcela. Entrare nella mentalità, sai, come sono Kurt e il suo ragazzo figlio di papà. Ho passato le giornate chiuso nella mia camera a guardare questi cazzo – scusa – di musical su Youtube. Ho guardato quello show Queer Eye che ha fatto impazzire tutti – sai, quello in cui i ragazzi gay sono carini e stilosi ed effeminati, e prendono qualche idiota che mi assomiglia e lo “aggiustano”?"

"Ero solita amare quello show," disse Carole con una piccola risata. "Ma all'improvviso sembra qualcosa di orrendo."

"Seriamente. L'ho odiato, ne ho guardato solo alcuni episodi. Ma ho guardato anche altra roba, e... dovresti sentire Kurt quando faccio qualche riferimento alla roba che interessa a lui. Qualche stilista o musical. Mi guarda come se fossi tutt'altra persona, come se pensasse che sono migliore se conosco merda del genere. Scusa. Roba del genere."

Kurt sussultò.

"Pensa che io sia più interessante perchè conosco quella roba. Ma non è vero, non sul serio. Non voglio. Non è che la odio tutta, ma niente di tutto ciò è figo come una partita di football o una sparatoria in un film."

"Beh, ammetto di non aver parlato molto con Kurt di te, Dave, ma non sono stupida. Sono abbastanza sicura che sarebbe tuo amico comunque. Ci tiene a te, e non c'è riferimento a Marc jacobs che tenga."

"Sì, ecco..."

Kurt trattenne il respiro, continuando ad ascoltare.

"Comunque. E' davvero un bravo ragazzo a chiamarmi addirittura amico dopo tutto ciò che gli ho fatto, ma ad ogni modo non vuol dire che un ragazzo come lui – o qualunque ragazzo come lui, o Sopracciglia – vedrà mai un ragazzo come me come..." sospirò così forte che Kurt riuscì a sentirlo.

Non avrebbe dovuto ascoltare quella conversazione, ma non riuscì ad allontanarsi, o fare un qualunque tipo di suono così da far sentire che era a casa.

Non voleva ascoltarla, seriamente. Aveva sempre trovato che quando Dave faceva un riferimento a Christian LaCroix, la cosa fosse stata degno di nota. Ma soprattutto pensava fosse davvero molto più interessante quando parlava di scienza o quella volta che aveva parlato in russo. O tutte le volte in cui sorrideva in modi in cui Kurt non aveva mai pensato potesse, aperto, luminoso e felice.

D'altro canto... ogni volta che pensava a Dave come un adolescente gay della sua stessa età, di solito ci pensava in termini di avere qualcosa in comune. Condividevano qualcosa che non molte persone intorno a loro potevano capire. Qualcosa che lo aiutava a capire Dave in qualche modo.

Non aveva mai avuto il pensiero da dire...oh, un altro ragazzo gay. Un opzione se quello che aveva con Blaine non sarebbe durato.

Non era sicuro di voler pensare a Dave in quei termini. Anche pensare al solo pensarci su lo faceva sentire strano, come se ci fosse stato qualcosa di grande che lo inseguiva dal quel non poteva scappare.

Ci fu silenzio per un po'. Carole si mosse e fece un rumore sordo, la porta del forno si aprì e si chiuse, mandando un odore di qualcosa speziato che sapeva di erbe. Lasagne, forse, faceva delle lasagne insanamente buone.

"Tu...um. No, niente fa lo stesso." disse Dave all'improvviso per poi interrompersi un attimo dopo.

"Sputa il rospo, tesoro."

Dave esitò. "Tu sai cosa... cosa è successo. Giusto? Voglio dire, tutto?"

"Sì, Dave." Carole sembrava molto seria in quell'istante. "Prima che Burt ti portasse a casa mi ha fatta sedere e mi ha fatto capire a che cosa stavamo andando incontro quando gli ho detto che per me andava bene che tu stessi qui."

"Sì, Io...ecco." Dave sospirò. "E' più quell'altra cosa, credo."

"Che cosa? Tieni, ti dispiace metterli sul tavolo?"

Ci furono dei passi pesanti. Dave sembrava più calmo quando parlò di nuovo, come se non stesse guardando né Kurt nè Carole. "E' per quello che non mi immagino che avrò mai...sai. Che avrò mai un ragazzo."

Cadde il silenzio.

Quando Carole rispose la sua voce era solenne e strana. "Continua, Dave."

"Beh? Come diavolo faccio io a..." Dave sospirò. "Anche se dovessi piacere a qualcuno e tutta quella roba... nessuno vorrebbe stare con un pazzo che non sarà mai in grado di... fare qualunque tipo di cosa. Con loro."

"Stai parlando di sesso."

Kurt si morse il labbro. Guardò attraverso l'entrata della cucina, come se il suo sguardo fisso potesse far rispondere Dave.

Ma non lo fece. Cadde di nuovo il silenzio, pesante, e quel silenzio fu una risposta sufficiente.

"Dave." Carole si mosse all'improvviso, i suoi passi era più calmi e leggeri rispetto a quelli di Dave. "Siediti un minuto."

Ci fu uno strascichio di sedia. Kurt aggrottò le ciglia e chiedendosi cosa sarebbe successo.

"Adesso ti dirò una cosa che ho detto a pochissime persone negli ultimi vent'anni. Voglio che mi ascolti, okay? Perchè non è qualcosa di cui parlo spesso, ma è qualcosa che hai bisogno di sentire."

"Okay," disse Dave dolcemente.

Kurt avrebbe dovuto spingersi via da quella porta. Avrebbe dovuto andarsene, perchè era già abbastanza brutto sentir Dave parlare dei suoi dubbi che Kurt conosceva già. Non aveva alcun diritto di invadere la privacy di Carole.

Ma prima di potersi mettere in movimento, il segreto venne fuori.

"Quando avevo sedici anni, il mio ragazzo aveva deciso che io ero pronta per fare sesso, che lo volessi o meno. Sul sedile posteriore della macchina di suo fratello, parcheggiata dietro quel teatro sulla quindicesima che ha chiuso qualcosa come dieci anni fa." Rise debolmente, e fu l'unico suono che si sentì prima che tornò a parlare. "No non voleva dire no, non per lui, e nulla di quello che feci riuscì a fermarlo. Quindi... non ti sto trattando con condiscendenza quando dico che so esattamente dov'è la tua mente in questo istante. Tesoro... non guardarmi così, okay? Succede. E' una cosa terribile da dire, ma... è così che funziona. Succede molte più volte di quando la gente realizzi, e anche se succede più spesso a ragazzine ingenue, accade anche ai ragazzi."

"Io non..." la voce di Dave sembrava strozzata.

Kurt lo capì – era davvero una buona cosa che nessuno si aspettava che lui parlasse in quel momento.

"Non, Dave, ascolta solo quello che ti sto dicendo, okay? Non ti mentirò, ci sono donne che dopo essere state violentate non si lasciano sfiorare da nessun uomo. Non riescono a passare sopra a quello che è successo. Ci sono donne che si arrabbiano così tanto che alla fine la rabbia è l'unico sentimento che provano. Ci sono donne che vanno in una direzione completamente opposta, decidendo di essere rovinate in qualche modo e che non valgono la pena di essere protette, così vanno a letto con chiunque le degni di un'occhiata."

Fece una pausa, e il suo sorriso ritornò nella sua voce quando tornò a parlare. "La maggior parte delle donne, comunque, sono molto come me. Affrontano il loro dolore, e continuano ad affrontarlo anche dopo vent'anni. Ma guariscono. Si sposano, fanno tanto sesso che le fanno stare bene. Hanno dei figli. Più tardi si sposano di nuovo, e realizzano che là fuori ci sono degli uomini che sono così opposti dalla persona che le ha ferite che fa sì che quel vecchio dolore guarisca persino di più di quanto vent'anni di tempo abbiano fatto."

Kurt strinse gli occhi e sentì del calore scorrergli lungo il viso. Lo asciugò via assente, pensando che dovrebbe sedersi e parlare con Carole molto più spesso.

Si chiese se suo padre fosse a conoscenza di quelle cose.

"E' possibile essere felici, Dave," continuò lei. "Te lo prometto. E' possibile toccare qualcuno e non pensare a cosa ti è successo. E' difficile a volte, ma ne vale la pena."

"Non riesco neanche a immaginarmelo," disse Dave.

Kurt sapeva che suono avevano le lacrime nella sua voce. Le sentì in quel momento, e quello lo fece stare ancora più male.

"Io solo... non mi ritrovo mai a pensare a un ragazzo... che mi tocca, o qualcosa di simile. Ho sempre combattuto contro una cosa del genere. E quando ho smesso di combatterlo... mi è successa questa cosa, e adesso... adesso non riesco neanche a pensarci. Quando ci penso...come ti ho detto? A come nessuno vorrebbe mai stare con un ragazzo come me? A volte è l'unica cosa che riesce a farmi stare meglio."

"Dave. Dolcezza." Ci fu un rumore di una sedia che si spostava. "Vieni qui, tesoro."

Sentì Dave piangere, il suono era smorzato. Lei lo stava abbracciando. Era una mamma, non poteva fare altro che abbracciarlo, e lui non poteva fare altro che appoggiarsi a lei e piangere.

Kurt si spinse via dal muro e andò al piano di sopra vacillando. Si asciugò il volto, non sapendo se le sue lacrime erano per Carole, per Dave o per entrambi, o se stava piangendo solo perchè il mondo era così terribile che cose nel genere avvenivano così spesso.


Sorrise durante la cena – lasagne, ed erano così buone che quasi si dimenticò di non avere appetito e decise di fare il bis – e chiacchierò con Carole e Dave e suo padre quando tornò dal lavoro. Non c'era nulla di strano, niente di spiacevole. Una conversazione perfettamente normale.

Rimase al piano di sotto e guardò la TV con suo padre e Carole, lasciando che Dave andasse al piano di sopra nel caso avesse avuto bisogno di un po' di tempo per se stesso. Rise di gusto con suo padre e la sua matrigna quando Finn tornò a casa e si lamentò che avevano mangiato le lasagne quando lui non c'era.

Pensò a un sacco di cose.

Non voleva pensare a Carole e a quello che che aveva detto a Dave. Lui non avrebbe dovuto sentirlo, non dovrebbe saperlo, quindi decise di non pensarci. Ma pensò a Dave.

Un sacco. Sul serio, era diventato una costante nella sua vita – ogni giorno il sole sorgeva, Rachel era una diva e Kurt pensava a Dave.

Ma c'era qualcosa di nuovo su cui focalizzare i suoi pensieri.

Era stato esasperato dalla mentalità poco aperta di Dave nei confronti di uomini gay e come erano o non erano. Aveva detto a se stesso un milione di volte che Dave non aveva conosciuto nulla di meglio. Ma ovviamente vivere lì con Kurt non aveva portato a quella apertura mentale che supponeva sarebbe stato.

Aveva bisogno di far capire a Dave come stavano le cose. Farlo entrare a contatto con il mondo dell'omosessualità. Doveva fare in modo che Dave si sentisse a suo agio con la persona che era.

Kurt non poteva fare nulla riguardo l'attacco al McKinley. Non poteva far andare via quel dolore. Ma c'erano altre cose, cose più piccole che facevano stare male Dave. Erano quelle le cose con le quali poteva avere a che fare.

Quando salì per andare a letto (dopo aver bussato alla porta di Dave, avergli dato la buonanotte e aver sorriso alla debole risposta), affrontò i suoi rituali di pulizia del viso e si mise il pigiama. Poi prese il cellulare e fece una chiamata intanto che spegneva le luci e si metteva a letto.

"Hey," la risposta arrivò teneramente al suo orecchio mentre si sedeva sul materasso.

Kurt sorrise nel buio. "Ho bisogno che mi fai un favore che potrebbe danneggiare la tua media scolastica."

Blaine rise dolcemente."Sembra intrigante."

"Puoi venire qui?"

"Questo weekend? Posso sistemare la mia agenda."

"No...domani. Voglio dire...non voglio farti perdere lezione domani, ma...potresti venire dopo? E rimanere? Puoi inventarti qualcosa, giusto? Potresti stare per tutto il fine settimana, e sono solo due giorni di lezione, e..."

"Kurt. Stai bene?"

"Sto bene."

Blaine non stava più ridendo."Cosa succede?"

Kurt gli raccontò in modo veloce e succinto il suo piano, rimanendo vago sulla ragione per cui all'improvviso considerasse così importante far in modo che Dave diventasse familiare con il mondo che ha trovato una volta uscito fuori dall'armadio.

E alla fine, quando stava facendo un riassunto (“-e credo solo che se passasse un po' di tempo con me e te insieme potrebbe vedere come funziona una relazione nel mondo vero, e come sia diversa da quegli stupide coppie gay dei telefilm, così che possa sentirsi a suo agio con queste-") Blaine accettò così velocemente da non fargli neanche finire la frase.

"Sì. Assolutamente. E' un'idea grandiosa. Ha bisogno di vedere...come hai detto tu, ha bisogno di vedere come funziona una coppia felice come la nostra."

Kurt sorrise, sentendosi stranamente timido. "Davvero? Speravo non fosse un'idea completamente assurda."

"Oh, Kurt. Sai di essere brillante. Verrò domani pomeriggio dopo l'ultima lezione. Dirò al preside che c'è un'emergenza con la mia famiglia, o...beh, qualcosa mi inventerò."

Kurt si rilassò. Blaine era bravo ad aiutare le persone confuse – se quella fosse stata una cattiva idea Blaine l'avrebbe saputo. "Bene. Grazie."

"E' una grandissima noia passare molto più tempo con il mio ragazzo," Rispose Blaine contento. "E sarà grandioso anche per me e per te. Quattro giorni interi insieme, è molto più di quanto abbiamo avuto da un sacco di tempo."

"Sei il migliore, Blaine." Kurt aveva già cominciato a distrarsi, pensando a dove sarebbero potuti andare e come avrebbero potuto fare per introdurre Dave al mondo gay che è rimasto nascosto ai suoi occhi per tutto quel tempo.

Sarebbe riuscito ad avere anche il permesso di suo padre, ne era certo. Non c'erano altre camere per gli ospiti, ma Blaine poteva dormire in camera di Kurt (sul pavimento, avrebbero detto a suo padre) e inoltre era solo per un paio di giorni. Inoltre lo faceva per Dave. Suo padre era sempre stato così condiscendente nel fare qualunque cosa che avrebbe potuto aiutarlo che non avrebbe detto di no.

Era così perso nei suoi pensieri riguardo cosa avrebbero potuto fare – magari suo padre gli avrebbe permesso di saltare scuola il venerdì, così che fossero potuti andare tutti e tre a Cincy o in un posto più grande, con una popolazione gay piuttosto estesa – che quasi si perse la risata di Blaine e le sue parole calme.

"Vai a dormire, Kurt. Ti amo."

Kurt echeggiò le parole assente e spense il telefono, appoggiandolo sul comodino e sorridendo al soffitto, eccitato per quello che sarebbe successo.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 20 -

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Quando Kurt bussò alla porta di Dave aveva un sorriso sul volto. Pronto a prendere la giornata e qualsiasi cosa portasse. Si era svegliato presto – aveva bisogno di andare di andare in officina e far sapere a suo padre di Blaine prima di scuola – ed era notevolmente di buon umore, considerando tutto.

Bussò, e aspettò. “Dave? Buongiorno. Vado a scuola presto, okay?”

Nessuna risposta. In genere Dave riusciva ad emettere un grugnito o un borbottio o qualche parola, se sveglio. Ma ogni tanto c’era anche il silenzio.

Esitò, ma alzò la voce. Solo per essere sicuro che Dave l’avesse sentito, anche se non era abbastanza sveglio per rispondere. “Ci vediamo oggi pomeriggio. Oh, e tieni il cellulare carico. Ti chiamo durante il pranzo, devo parlarti di una cosa prima di stasera.”

Nessuna risposta. Scrollò le spalle e bussò di nuovo leggermente.

“Kurt! Smettila di parlare da solo e scendi giù.”

Sbatté gli occhi e camminò fino alla fine del corridoio e al piano di sotto.

Dave era sveglio, vestito e sorrideva a Kurt dalla porta mezza aperta della cucina. “Ehi, bello.” (*)

Kurt roteò gli occhi, ma alla vista di Dave e di quel sorriso il suo buon umore migliorò soltanto. Lasciò la borsa dei libri alla fine delle scale ed entrò in cucina mentre Dave ritornava dentro.

“Vorrei riuscire a far capire anche ad una sola persona quanto detesti essere chiamato..” Si fermò all’entrata, sorpreso. “..bello.” (*)

Dave tornò ai fornelli. “Preferisci carne o verdura?”

Dio, si stava facendo viziare. Lasagna la sera prima, e qualsiasi cosa Dave stesse facendo in cucina raggiungeva il naso di Kurt e lo faceva galleggiare per aria senza toccare il pavimento.

C’erano uova sul banco. Un tagliere con dei pezzetti di peperoni e pomodori decimati, e il rimanente di un pacco di bacon e un grosso pezzo di salsiccia da colazione. Il latte era fuori sul bancone, e c’erano già una pila di piatti nel lavandino.

Fortunatamente la natura meticolosa di Kurt era confinata su sé stesso,sul la sua pelle e sui suoi vestiti, quindi il disordine non lo disturbò.

“Carne o verdura cosa?”

“Omelettes, niente di sofisticato, Fancy.” (**)

Kurt avrebbe voluto roteare gli occhi ma non ci riuscì. Era troppo impegnato a guardare tutto. “Oh mio Dio, è presto. Non ho neanche fretta, posso sedermi qui e guardare tutto questo.”

Dave ridacchiò, muovendosi dai fornelli alla scodella. “Tuo padre non era così impressionato da questa vista,” disse con un ghigno. “Ma ne ha mangiate due, quindi immagino che conti.”

“Senza offesa per le tue abilità culinarie,” disse Kurt spostandosi verso il tavolo per girare una sedia e sedersi a guardare ogni singola cosa che succedeva, “ma papà è noto per aver mangiato una pizza che era rimasta fuori dal frigo per due giorni.”

Dave afferrò una bottiglia d'olio e ne versò due goccioline nella padella sul fornello, che iniziò a sfrigolare istantaneamente. “Agli uomini (*) piace mangiare,” rispose, non preoccupato dai gusti alimentari del padre di Kurt. “Ho mentito e gli ho detto che mi avresti ucciso per averglielo lasciato fare, era fottutamente estasiato."

Kurt sorrise. “Ma era una bugia, giusto?”

“Sì. Cioè, cavolo, uova. Colesterolo, e quella roba lì. Ma ho usato solo metà del tuorlo, e sto usando olio d’oliva invece del burro, e gli ho dato solo verdura.” Dave si rigirò verso i fornelli finché l’olio non iniziò a fumare leggermente. Prese una scodella e iniziò a mescolare qualsiasi cosa ci fosse dentro. “Tu invece, Fancy? Ti senti carnivoro?”

“Normalmente direi che devo evitare le calorie, ma..” Kurt scrollò le spalle indulgente. “Dammi la carne.”

“Bene.” Dave si rigirò verso i fornelli dando la schiena a Kurt mentre iniziava a tagliare e a raschiare e altre cose che Kurt non riusciva a vedere. “Ho tagliato il bacon un po’ spesso, voglio essere sicuro che venga bene. Sei solo il mio secondo giro di prova.”

“Sono ferito. Chi sarebbe più importante di me?”

“Beh.” Dave scrollò le spalle. “Sai. Carole fa il secondo turno oggi e ho pensato che visto che ha cucinato tipo la lasagna migliore che abbia mai mangiato..” Continuava a dare le spalle a Kurt, spostandosi avanti e indietro dal bancone ai fornelli.

Il sorriso di Kurt si indebolì un poco, ma continuò a guardare Dave e non permise alla sua mente di ripensare alla notte precedente. “Okay, suppongo che non mi dispiaccia venire dopo Carole.”

Dave lo guardò, sorridendo con un’ombra di quella vecchia timidezza. “È tipo fantastica. Parliamo un sacco quando fa il secondo turno o arriva prima a casa e siamo solo noi due qui.”

“Ah sì?” Piacevole e casuale, ma Kurt era improvvisamente curioso di sapere di che cosa potrebbero aver parlato quando non si trovava ad origliare.

Dave tornò a cucinare. “Comunque. Di cosa stavi parlando con la mia porta, un minuto fa?”

“Le stavo solo dando il buongiorno,” disse Kurt con un sorriso. “Cos’è che ti ha fatto venire voglia di cucinare?”

“Non lo so. Hai detto che è sexy, giusto? Era ora di portare un po’ di sexy qui.” Dave empatizzò le sue parole scaricando un miscuglio di brodaglia giallo brillante dalla scodella alla padella. “Eccitante, vero?”

Kurt rise, e la sua faccia era improvvisamente un po’ rosa. “Oh, baby.”

Dave sorrise a Kurt dalle spalle, poi si concentrò sulla cucina.

Faceva un sacco di lavoro in più di quanto Kurt avrebbe mai associato ad un’omelette, ma in meno di cinque minuti stava sistemando il contenuto dei fornelli sul piatto, e quel che gli piazzò davanti fu una grande, morbida scintillante pila di uova con delle verdure brillanti e del bacon ancora sfrigolante.

“Accidenti,” disse Kurt, girando la sedia istantaneamente. Il suo stomaco borbottò mentre si prendeva un momento per studiare quella cosa. “Non mi importa se ha un sapore orribile, è bella.”

“Hai delle strane priorità, Fancy.” Dave gli tese una forchetta. “Mangia e basta, e dimmi se il bacon è troppo oleoso o qualsiasi cosa.”

“Aspetta.” Kurt raggiunse la tasca e tirò fuori il cellulare. “Questa la devo preservare, per i posteri. O almeno Mercedes.”

“Stai..” Dave non si preoccupò neanche di chiedere, si limitò a sbuffare divertito mentre Kurt faceva una foto al suo primo pasto alla Karofsky.

Kurt rinfilò il cellulare nella sua tasca. “Vedila in questo modo – se il tuo cibo è buono allora lo mostrerò a chiunque mentre mi vanto del mio coinquilino insolitamente talentuoso. Se è orribile.. questa foto potrebbe essere la prova che serve ai poliziotti per catturare il mio assassino.”

“Melodramma. Com’è emozionante. È piuttosto difficile uccidere qualcuno con delle uova cotte, Hummel.”

Kurt afferrò la forchetta e spostò il piatto più vicino, inspirando curiosamente.

“E non preoccuparti, il tipo con l’impermeabile qui vicino mi ha promesso che il cianuro che stavo comprando per il sapore è completamente non-tossico.”

“Lo sapevo!” Kurt tirò di nuovo fuori il cellulare istantaneamente . “Rimani così, devo farti una foto ai fornelli. A volte i poliziotti non sono così intelligenti, devo rendere chiara la pista delle prove.”

Dave rise e provò a respingerlo, ma Kurt riuscì a scattargli una foto storta con la spatola in mano prima che Dave gliela puntasse addosso e si sforzò di estinguere il sorriso in uno sguardo torvo.

“Mangia, Hummel. Il mio cibo ha bisogno di essere apprezzato.”

“Okay, okay.” Kurt rimise il cellulare a posto e si rigirò verso il suo piatto.

Quando Dave si rifiutò di fargliene una seconda perché era a corto di uova e Kurt non era l’unico che volesse impressionare, Kurt lo minacciò con gesti sempre più ostili finché Dave non ebbe la faccia così rossa e un sorriso così grande che gli fece strizzare gli occhi, e Kurt ci rinunciò e corse in macchina (perché non era più presto) e non riuscì a fare a meno di pentirsi di non avergli scattato una foto al Dave di quel momento.


Chiamò suo padre mentre andava a scuola, visto che non aveva tempo di fermarsi grazie a Dave e alla sua omelette insanamente buona.

Stranamente, Burt non era innervosito dalla sua idea.

“Sì, è che.. vanno almeno d’accordo quei due? Mi sembra di ricordare tutt’altro.” 

“Questo era prima, papà. Sono cambiate un sacco di cose. E io voglio che vadano d’accordo. Dave è mio amico, Blaine è il mio ragazzo. Inoltre.. è per Dave. La sua idea di essere gay viene dal guardare, tipo, ‘Will and Grace’ o i personaggi gay nei film di Cameron Diaz, e non è sano.”

“Spero che questo non suoni male ma..sei abbastanza gay da solo, Kurt. Non hai davvero bisogno di un aiuto.” 

Kurt rise, soprattutto perché suo padre parlava davvero come se fosse spaventato di farlo arrabbiare. “Ha bisogno di vedere una coppia, papà. Ci ho pensato a lungo, è una buona idea. Ha bisogno di vedere che non siamo tutti stronzetti appassionati di musical. Se lo vede sarà più sicuro.”

Tu non sei uno stronzetto appassionato di musical? E non urlare, sto scherzando,” rispose Burt. “Non dovrei essere contentissimo del suo saltare la scuola, ragazzo. Perché non può venire solo per il weekend?”

“Non è abbastanza tempo! Andiamo, papà, sto cercando di aiutare Dave.”

“Uh huh. Non sono sicuro di credere che tu voglia il tuo ragazzo nei paraggi solo per il bene di Dave, ma. Ci proveremo. Penso solo che tu abbia bisogno di..”

“Cosa?” Kurt girò al parcheggio della McKinley. “Di cosa ho bisogno?”

Nulla. Guarda, ho speso un po’ di tempo in questi giorni a cercare qualche dottore da queste parti. Mi sono fatto dare i nomi dalla consulente nella tua scuola, quella che sembra una delle Superchicche.”

Kurt rise. “Le Superchicche? È una descrizione abbastanza accurata della signorina Pillsbury.” La sua risata svanì mentre parcheggiava, lontano dai posti più affollati e vicini a scuola. “È per questo che hai fatto tardi ieri sera?”

“Sì. Ho fatto un po’ di chiamate, ieri sono andato a vedere una donna dopo il lavoro che sembrava accettabile. Ho un’altra manciata di nomi da provare, ma questa signora.. sembrava piuttosto acuta. Mi sentirei sicuro a mandare Dave a parlare con lei.

Kurt parcheggiò e non rispose per un lungo momento.

Sapeva che era una buona idea. Non solo buona, necessaria. Dave aveva bisogno di un tipo di aiuto che Kurt, nonostante tutto il suo entusiasmo, non era davvero in grado di dargli.

Ma non poteva fare a meno di pensare al primo tentativo, e a come gli si fosse ritorto contro.

Kurt? Sei ancora lì?

“Sì. È solo che.. non voglio che sia ancora così turbato, papà.”

Lo so, ragazzo. Non posso prometterti che andrà bene, ma credimi quando dico che sto ponendo a questa gente delle domande difficili a cui rispondere. Non lo manderei da nessuno di cui non mi senta sicuro. Ho già imparato la lezione.” Burt sospirò. “Solo..  si sentirà un po’ in tensione a tornare a scuola, e se lo costringessi ad andare da un altro terapista le cose peggioreranno ancora di più. Non voglio aggiungere altro e metterlo più a disagio, sai?

Kurt sbatté gli occhi. “Pensi che avere Blaine nei paraggi lo farà sentire a disagio?”

“Penso solo che stia bene adesso. È abituato a noi, si sta rilassando abbastanza da fare la colazione. A proposito di questo..”

Kurt sorrise appena. “Sì, me ne ha fatta una.”

Cavolo. Il ragazzo ha talento. Ma..seriamente, Kurt. Blaine può venire a passare un po’ di tempo qui, ma tieni d’occhio Dave. Se gli fa più male che bene, lo rimandi alla sua scuola o lo farò io.

“Mi sarei offeso se non mi fossi accorto che sei protettivo nei confronti di Dave,” disse Kurt con un piccolo sorriso. “Non penso che sarà male, papà. Ora è così diverso.”

Dubito che me lo staresti chiedendo se pensassi che sarà male. È che.. diavolo. Penso che ci siano alcuni aspetti che non stai vedendo molto chiaramente, tutto qui.

“Che cosa intendi? Quali aspetti?”

“Sei in ritardo a scuola? Vai, Kurt. E ricordati di quello che ho detto, okay? Fai attenzione, e fai in modo che questo stia effettivamente facendo bene a Dave.

“Ovvio! Nessuno è più iperprotettivo nei suoi confronti di quanto non lo sia io adesso.” Kurt sorrise. “Ci vediamo stasera, papà.”

Non era ancora sicuro di cosa intendesse suo padre sugli aspetti che Kurt non stava vedendo, ma strappò l’iPhone dal caricabatterie che usava in macchina  mentre disconnetteva la chiamata, e si sentì sereno sull’intera faccenda nonostante quelle parole.


"Sei il mio migliore amico, lo sai vero?"

Kurt annuì allegro dall'altra parte del tavolo. "Certo."

"Ti voglio così tanto bene che non te lo immagini neanche. Sul serio. Sei così dannatamente carino che ogni tanto mi fai addirittura arrabbiare, e amo sentirti cantare, e sei tanto favoloso quanto ogni ragazzino gay possa sperare di essere."

Kurt alzò lentamente le sopracciglia. "Uh huh..."

Mercedes sorrise dolcemente. "Voglio che tu lo tenga a mente, così per la prossima parte di questa conversazione in cui ti dirò esattamente quanto sei stupido, puoi metterlo nel contesto giusto."

"Ahh." Kurt sorrise e si appoggiò allo schienale della sedia. "Doveva esserci qualcosa del genere dopo un discorso così. Perché sarei stupido?"

"Inviti Blaine, il tuo ragazzo, a casa tua. Dove David Karofsky – David 'gay-arrabbiato-e-ossessionato-da-Kurt-Hummel' Karofsky, vive attualmente."

Kurt fece roteare gli occhi. "Non so in quanti modi devo ancora dirlo – lui è diverso. Tutto è diverso."

"Non tutto," mormorò lei.

Lui sospirò, ma gli venne in mente una cosa e tirò fuori il suo cellulare dalla tasca. Con un sorriso che cresceva a vista d'occhio, fece scorrere le foto e trovò quella che sembrava uscita da una rivista culinaria. "Guarda!"

Lei prese il telefono con un sospiro. "Cosa?" Guardò furtivamente la foto. "E' cibo questo?"

"Era la mia colazione! La mia particolare e deliziosa omelette, cucinata da Dave Karofsky."

"Lui cucina?" Si avvicinò il telefono al viso, dubbiosa.

"Ti ho tenuta al telefono un'ora l'altro giorno dicendoti che sapeva cucinare!" Kurt si lasciò scappare un sospiro, allontanando la sua mediocre insalata e il petto di pollo. Solo pensare alla colazione gli fece realizzare quanto a confronto fosse disgustoso il suo pranzo. "Non mi stai mai a sentire. Il che è abbastanza da farmi venire dei complessi."

"Uh huh. Come se potessi influenzare il tuo ego..." Cominciò a giocare con il cellulare, ma all'improvviso si fermò. Aprì leggermente la bocca, stupita. "Cosa...?"

Kurt sbattè le palpebre. "Se mi stai leggendo i vecchi messaggi, non c'è niente che dovrebbe sorprenderti."

Lei fece girare l'iPhone per mostrargli cosa l'aveva sorpresa tanto. 

Sorrise senza rendersene conto – era la seconda fotografia che aveva fatto quella mattina. Dave con una spatola in mano, e la foto era storta e non messa a fuoco ma Dave stava sorridendo e facendo segno a Kurt di abbassare il cellulare mentre lui cercava di lasciare una traccia evidente nel caso fosse morto di avvelenamento da cibo.

Kurt si allungò verso il telefono, ma lei lo tirò indietro e chinò la testa per tornare a fissare la foto come se fosse una creatura aliena. 

"Huh," disse dopo un minuto, raddrizzandosi ma rinunciando a lasciargli il telefono. Guardò prima Kurt e poi il cellulare. "Okay, forse è cambiato." Gli restituì l'iPhone.

Lui lo prese e guardò la foto. "La spatola ti ha persuaso?"

Lei sbuffò. "Più o meno. Credo che un uomo in cucina sia abbastanza raro da essere considerato interessante. No, so solo che non avrei mai pensato che il vecchio Dave Karofsky fosse carino. Quindi, o c'è qualcosa che non va in me, o il tuo ragazzo lì è davvero diverso da quello che era."

Kurt rise, guardando teneramente la foto.

Dave era carino sul serio, nonostante la brutta angolazione della foto. Aveva uno di quei sorrisi che facevano venire voglia Kurt di allungarsi verso di lui e prendergli la guancia tra l'indice e il pollice, e Kurt aveva quasi dimenticato che non troppo tempo prima nessuno al McKinley aveva mai visto Dave sorridere.

Inoltre, i jeans e la t-shirt che stava indossando erano molto più di bell'aspetto senza quella grande giacca che lo faceva sembrare senza una forma definita. E il modo con cui alzava la spatola metteva in evidenza la curva del bicipite, e aveva perso peso da quando lo avevano ferito ma era ancora marcato e solido e quel braccio è così spesso e muscoloso e- ,

"Oh Gesù santissimo mio Signore."

Guardò accigliato Mercedes. "Cosa?"

Lo stava guardando a bocca aperta. "Oh, no. No, no, no. Kurt. Dolcezza. Oh Signore, per favore non provare neanche a dirmi..."

"Cosa?" Sentì la sua faccia riscaldarsi mentre faceva scomparire la foto dallo schermo e metteva via il suo cellulare.

"Dimentica quello che ti ho detto," disse subito. "Hai ragione. Far venire Blaine è un'idea fantastica. E' perfetto, è ciò di cui hai bisogno adesso."

Lui aggrottò le ciglia, inclinando la testa per studiarla meglio. "Non lo faccio mica per me."

"Per lui, allora. Karofsky. E' grandioso. Guarirà, sei un genio. Solo...sì. Fai venire qui Blaine."

Lui rise, incerto. "Sto cominciando a pensare che stanno diventando tutti pazzi e che io e Dave siamo ormai gli unici ad essere normali."

"'Io e Dave?' Dio, non provi neanche ad essere elusivo.” Lei scosse la testa. "Scommetto che Blaine ha accettato di venire qui così velocemente che non ti ha neanche fatto finire la domanda."

Kurt corrugò la fronte. "Okay, spiegati meglio o cambio argomento." Ma lui l'aveva fatto, non era così? Blaine. Era stato così entusiasta dell'idea che era stato sorprendente.

Guardò accigliato Mercedes. Quello era uno di quegli aspetti che non riusciva ad avere ben chiari davanti agli occhi, pensò. Ma qualunque cosa fosse, non la vedeva neanche in quel momento.


Aveva un’ora libera dopo pranzo, quindi prese la strada per il parcheggio e salì in macchina, via dalle orecchie tese e da migliori amiche confuse.

Picchiettò sul nome di Dave sulla lista dei contatti, e si sistemò sul sedile del guidatore e chiuse gli occhi, sospirando per quanto strano era stato il pranzo.

“Stai saltando la lezione della Albright?

Kurt sorrise istantaneamente. “Mi piace la Albright. Quando non ci fa lezione come se fossimo alle elementari, comunque. La colazione di Carole è stata un successo?”

“Penso di sì. Suppongo che ora mi trascinerà a cucinare qualche sera, è probabilmente un segno che le è piaciuta abbastanza.”

“Conosco Carole, dubito sia stata così sottile.”

Dave gli rise nell’orecchio, un basso brontolio. “Ci potrebbero essere stati alcuni complimenti abbastanza imbarazzanti, sì. Ma è gentile, amico, avrebbe detto quelle cose anche se avesse fatto schifo."

“Ne sono certo, fratello,” disse Kurt asciutto.

Fu ricompensato da un’altra risata bassa. “Hah, suona più naturale di quanto non avrei pensato provenendo da te. Te l’ho detto una volta, sei davvero un duro.”

Kurt sospirò e si arrese a quella battaglia in particolare, almeno per il momento. “Suppongo sia meglio di ‘Ladyparts’.”

“Che è probabilmente il modo meno offensivo con cui Z ti abbia mai chiamato.”

“Sì, non voglio saperlo. Sto appena iniziando a non odiarlo.” Kurt aprì gli occhi e guardò alla strada. Gli piaceva parcheggiare lontano dalla scuola. Gli dava qualche secondo per immaginare di essere ogni giorno in qualche posto meraviglioso e affascinante, invece di quel mortorio di mattoni che la gente di Lima chiamava scuola superiore. 

Era probabilmente ora di dire a Dave quello di cui aveva parlato con chiunque altro quel giorno. Era una buona idea, portare Blaine lì, Kurt lo sapeva. Ma era stranamente riluttante a dire qualsiasi cosa.

Quindi, cosa c’è, Kurt? Stamattina hai detto alla mia porta che avevi qualcosa di cui dovevi parlarmi?

Beh, quella era una battuta meno che sottile.  Kurt tamburellò le dita sul volante, sentendosi quasi a disagio.

Sì, le pause drammatiche non sono davvero tanto incoraggianti quanto tu possa pensare.

“Avremo un ospite. A casa. Per qualche giorno.” Era uno sbottare improvviso, un singhiozzo di parole, e perché ci stava girando intorno? Era stato abbastanza facile con suo padre, e con Finn nella hall prima, e Mercedes a pranzo. ‘Blaine verrà da noi.’ Semplice.

Oh.” Ci fu una pausa. “Um. Devo.. trovare un posto in cui stare, o..?

“Cosa? Certo che no!”

Oh,” disse di nuovo. “Behsono nella tua stanza per gli ospiti, giusto? E non riesco a capire perché diavolo sembri così nervoso. So che non hai invitato mio padre, comunque.”

“Non è una stanza per gli ospiti,” disse Kurt fermamente. “È la tua stanza. E la mattina in cui cucinerai omelettes usando il cianuro che hai menzionato prima, quella è la mattina in cui tuo padre potrà venire a casa mia come ospite per colazione.”

Malefico, Fancy. Guarda, qualsiasi cosa tu non voglia dire-

“Blaine.”

Ci fu una pausa. “Oh.

“Già.” Kurt voleva dire altro, per rendere la cosa più casuale. Ma era difficile, e perché era così difficile?

Beh. Sai, vabbé. È il tuo ragazzo, avevo immaginato che avrebbe mostrato la sua testa unta alla fine.”

Questo è lo spirito,” disse Kurt asciutto. Si rilassò un po’, però, ora che l'aveva detto e Dave era calmo e gli stava bene. “Per gioco potresti voler far pratica nel dire il suo nome. Potrebbe essere meno imbarazzante dei soprannomi assortiti con cui l’hai segnato.”

Eh, non mi piace tanto il suo nome. È tipo scuola privata, no? ‘Sopracciglia’ non è nemmeno un insulto.”

“Non penso che la vedrà in quel modo.” Kurt sorrise, si rilassò e chiude gli occhi di nuovo, concentrandosi sulla voce nel suo orecchio.

Forse no. Ehi, sai che ti dico – farò la cosa delle abbreviazioni. Cioè, sai, il mio nome è David, la gente mi chiama Dave. Quindi.. lo chiamerò Bleh.”

Kurt rise, prevalentemente per il modo in cui Dave disse ‘Bleh’ come se avesse mangiato qualcosa dal brutto sapore. “Dio, sarà un lungo weekend.”

“Cristo, il weekend intero? Va bene, Kurt, non sarò uno stronzo con Bleh. Starò fuori dai piedi o qualsiasi cosa.

“No! Non devi farlo! Dovresti stare insieme a noi. Potremmo.. potremmo presentargli lo shawarma!”

No.

La risposta fu istantanea, e ferma.

Kurt si drizzò, riaprendo gli occhi ai raggi di sole che arrivavano nella sua macchina. “..oh. Beh. Qualcos’altro, allora. Intendo..”

Vuoi farmi fare qualche uscita da Team Arcobaleno? Bene.” Dave sembrava che non stesse più sorridendo. “Ma non si immischierà con la mia roba. Verrò con voi a fare un giro al centro commerciale o per una giornata alla cavolo di spa se vuoi, ma quel cazzone si immischierà nella mia vita quando io dirò che potrà. Okay?”

“Okay,” disse Kurt rapidamente. “Okay, seriamente. Era solo un’idea."

Sì, beh. Brutta idea, Fancy. Guarda, devo..

“Sì, dovrei tornare dentro prima della fine dell’ora. “ Kurt guardò la finestra accigliato. “Ci vediamo stasera? Blaine dovrebbe venire dopo cena, quindi..”

Non vedo l’ora,” Disse Dave, la sua voce quasi fredda.

Ci fu un click nell’orecchio di Kurt prima che potesse rispondere, e allontanò il cellulare per vedere che Dave aveva attaccato. Guardò lo schermo per un momento, e prese pigramente la foto di Dave di quella mattina, tagliando uno storto primo piano sfocato della sua faccia sorridente e salvandola nelle informazioni del contatto di Dave. Non che un Dave sorridente fosse particolarmente accurato in quel momento, ma..

Doveva essere quella cosa, quel problema, l’aspetto che Kurt non stava vedendo e che suo padre aveva menzionato. Anche Dave lo capiva, apparentemente, ma Kurt no.

Ma ancora..  Kurt era un ragazzo piuttosto acuto di solito, o così gli piaceva pensare. Dopo tutto, si sentiva a disagio a parlare di ciò con Dave, giusto? Non voleva chiamarlo e dirglielo. E lo stava facendo per il bene di Dave.

Giusto?

Suo padre aveva detto qualcos’altro, sul dubitare che Kurt stesse invitando il suo ragazzo per Dave. Era così? Si stava comportando in maniera egoista, e forse si sentiva colpevole per quello? Voleva vedere Blaine così tanto che si stava inventando delle scuse?

No. Non quadrava, davvero. Kurt amava Blaine, sì, ma non gli era mancato ultimamente. Non più o meno del solito, comunque. Se era qualche desiderio dalla sua parte di spendere tempo con il suo ragazzo, era seppellito così in profondità che Kurt non ne aveva sentito una singola urgenza conscia. Non aveva pensato neanche una volta a tutto quello come un modo per avere il suo ragazzo più vicino.

Kurt sospirò e tracciò i polpastrelli distrattamente intorno alla foto di Dave nelle informazioni del contatto.

Era possibile che Kurt non si stesse permettendo di capire quale fosse la ragione per la quale tutti quanti si stessero comportando in maniera così strana sulla faccenda? Se stava mancando qualcosa di cose semplice, doveva essere intenzionale.

Avrebbe solo voluto che qualcuno gli spiegasse cosa esattamente stesse deliberatamente ignorando.


Note di Traduzione:
(*) Dave si rivolge a Kurt chiamandolo "dude", parola che in italiano non ha una traduzione ben precisa. Si avvicina in qualche modo ai nostri "bello", "amico" o comunque un modo per chiamare un ragazzo dandogli un'aria un po' più da macho quasi. Questa è l'alternativa più vicina all'originale che abbiamo trovato.
Nel secondo caso, quando Dave dice "
Agli uomini piace mangiare", "uomini" è un'altra possibile interpretazione della parola "dude" che può essere resa anche come "duri" o qualche sinonimo del genere.

(**) si tratta di un gioco di parole intraducibile in italiano. La frase originale è "Nothing fancy, Fancy", e gioca sulla parola “sofisticato” e sul soprannome di Kurt, che sono poi la stessa parola ma con due significati diversi.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. ***


Beta Reader: Kurtofsky
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 21 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/21/The_Worst_That_Could_Happen

 

Quando Kurt tornò a casa da scuola, sia la macchina di suo padre che quella di Carole non c’erano ancora, ma Finn era sicuramente rinchiuso in casa. Si incamminò verso l’entrata con la speranza di riuscire a parlare con Dave prima che la casa iniziasse a riempirsi e il suo ragazzo arrivasse. Blaine continuava a scrivergli messaggi di aggiornamento mentre guidava; sarebbe arrivato prima di quanto Kurt pensasse.

Kurt entrò dalla porta di casa aspettando di trovarci Finn e di venir raggiunto dai suoni di qualsiasi videogame avesse deciso di giocare quel pomeriggio. Ma di Finn non c’era traccia.

Dave era seduto sul divano. Era ancora vestito con i jeans e la maglietta che indossava quella mattina, ma non c’era altro che ricordasse il ragazzo che aveva lasciato poche ore prima, quello sorridente e che preparava uova.

Kurt sorrise d’istinto quando Dave guardò verso di lui, ma il sorriso si spense presto. Si avvicinò al divano e lasciò cadere la borsa per terra. “Hey”

”Hey”

Kurt si sedette sul divano – era imbarazzante, sì, ma era Dave. Aveva parlato con lui di cose che non aveva mai pensato di parlare. Erano passati attraverso dolore e lacrime ed una disperazione che Kurt prima non pensava potesse esistere. Un po’ di imbarazzo non lo avrebbe terrorizzato.

”Quindi”, spostò lo guardo nella direzione su cui quello di Dave era fisso, ma in quella direzione non c’era  nulla se non il riflesso di loro due nello schermo spento della televisione. “Albright vuole che scriviamo cosa abbiamo fatto durante le nostre vacanze estive”.

Dave sbuffò. “E’ un paio di mesi di ritardo per una banalità simile, no?”

“Nah, dice di volerci far riflettere su quegli avvenimenti con il senno di poi. Qualcosa sulle aspettative che avevamo verso le cose che sono realmente accadute. Sto iniziando a pensare che lei e Brittany abbiano molte cose in comune e forse questi compiti le vengono suggeriti da dei gatti”, Kurt gesticolò verso la sua borsa, “Non ti preoccupare, ti ho portato un sacco di compiti di fisica e analisi da riuscire a farti andar giù meglio il compito della Albrigh”.

”Grazie”

Kurt gli sorrise, ma il profilo di Dave restò neutro ed immobile.

Kurt sospirò. “Ok, seriamente. Se questo é per il fatto di Blaine... non puoi odiarlo così tanto. L’hai incontrato solo due volte. E, sì, sono stati due incontri abbastanza orribili, ma… le cose sono diverse ora. Per tutti noi”.

Dave guardò dietro di sè, verso le scale che portavano al secondo piano. “Finn”, urlò.

Si sentirono dei passi dal piano di sopra ed una porta che si apriva. “Cinque minuti, amico! Rachel sta avendo un crollo per colpa di facebook!” La porta si richiuse.

Dave sospirò, ma si girò finalmente a guardare Kurt. “Perché sta venendo qui?”

”Blaine?”, Kurt si dimenticò di Finn immediatamente, “é il mio ragazzo”.

”Quindi sta saltando scuola di colpo per farsi un giro?”, Dave si voltò di nuovo verso la TV, teso. “Gli hai chiesto di venire.”

”Già.”

Dave inarcò le sopracciglia, ma rimase in silenzio.

Kurt sapeva cosa voleva, ma… come quando prima aveva chiamato Dave, sapeva che non c’era una versione semplice di questa risposta. Non quando era Dave la persona con cui stava parlando.

”Penso possa aiutarti,” disse alla fine, “ha aiutato molto me, può aiutare anche te”

”Tu mi stai aiutando”. Dave continuava a guardare la TV così intensamente che Kurt si girò di nuovo a guardarla per essere sicuro che fosse ancora spenta.

”Non posso essere il solo”, disse Kurt, e quella risposta era più onesta di quelle che aveva dato a suo padre o a Mercedes e la cosa lo sorprese molto. “Non posso essere l’unica persona in grado di aiutarti, Dave. Non posso reggere da solo tutto il peso. Non so cosa sto facendo, sono pietrificato dall’idea di mandare tutto a puttane e rendere le cose peggiori”.

Dave si accigliò. “Tuo papà mi ha preso un appuntamento con un nuovo dottore, lunedì dopo scuola”.

”Va bene. Ti accompagnerò io, ti starò vicino”, Kurt sorrise esitante, “Se questo nuovo dottore sarà un bravo dottore, sì, potrei sentirmi meglio. Ma…”

Dave annuì. “Ma non é l’unico motivo per cui lo vuoi qui”.

Kurt osservò la sua mascella e il suo profilo immobili. “Ormai tutto nella mia vita gira intorno a te. Ho bisogno di qualcosa che sia mio di nuovo”.

Un’altra sorpresa… o forse no. Forse Kurt non l’aveva ammesso nemmeno a se stesso prima di allora, ma sentirsi dire certe cose non lo sconvolse. Era, dopotutto, un teenager abbastanza egocentrico. Aveva fatto un sacco per Dave, era cresciuto più di quanto avesse voluto in quel mese.

Gli mancava la sua vecchia vita. Gli mancava il “prima”, quando era ottimista riguardo il mondo e pensava che ricevere granitate e venir eletto reginetta del ballo fossero il limite massimo che la crudeltà della gente potesse raggiungere. Non riusciva a capire come mai tutti altri trovassero cattiva l’idea di far venire Blaine a Lima, ma lui aveva le sue ragioni. Ed erano buone ragioni, per lui.

Suo padre aveva ragione – se Blaine fosse finito col fare a Dave più danni che altro, Kurt l’avrebbe rispedito subito a Westerville. Ma se, semplicemente, si fosse limitato a non fare nulla per Dave? Avrebbe comunque fatto bene a lui vederlo.

Tante cose erano cambiate nelle ultime settimane. Tutte le persone della sua vita erano state spostate nei posti sbagliati. Ricollocate in ordine di importanza per lui. In realtà nessuno era dove avrebbe dovuto essere.

Blaine avrebbe dovuto essere esattamente al posto in cui era prima che Dave venisse ferito in quel modo. La sua relazione con Kurt non era cambiata, Blaine avrebbe dovuto occupare la mente di Kurt come prima. Avrebbe dovuto essere quello che Kurt fremeva per chiamare ogni sera e massaggiare durante scuola. Quello a cui Kurt avrebbe dovuto subito pensare quando gli capitava qualcosa di divertente e sentiva il bisogno di condividerla con qualcuno.

Quello avrebbe dovuto essere l’ordine giusto delle cose. Ma non era quello il modo in cui stavano andando le cose in quel periodo. Blaine non era più la prima persona a cui Kurt pensava.

Kurt doveva rimettere a posto le sue priorità. O… almeno doveva capire come mai le cose fossero cambiate così tanto e come mai non si fosse accorto di nulla mentre stavano cambiando.

Doveva capire se, come tutto il resto, era successo per Dave e per quello che gli era capitato.

Dave si alzò senza degnarsi di rispondere alle ultime parole di  Kurt.

Kurt reagì immediatamente, prendendolo per il polso. “Non essere arrabbiato. Per favore. Te l’ho detto… Non cambierei per nulla al mondo dove sono ora. Voglio esserci per te, solo…”

Dave guardò sopra la testa di Kurt, verso le scale. “Dai, Kurt, come potrei essere arrabbiato per una cosa simile?”

”Allora perché te ne stai andando?”

”Perché. Non posso controbattere. E non posso dire nulla al riguardo. Finn!”

Kurt sobbalzò al cambio di voce di Dave, lasciandogli libero il braccio senza accorgersene.

La porta di Finn si aprì dopo un momento e si precipitò giù per le scale.

”Scusa! Scusa, amico. Uno dei padri di Rachel le ha detto che la faccia è un po’ paffuta, quindi lei sta minacciando… Non so, di suicidarsi o diventare anoressica. Anche se sono quasi sicuro che stia scherzando. Difficile da capire quando impazzisce in questo modo”. Si tirò fuori dalla tasca un paio di chiavi mentre raggiungeva la fine delle scale. “Sei pronto? Hey, Kurt!”

”Sì”, Dave si avviò verso le porta e uscì senza lanciare un solo sguardo a Kurt.

”Aspettate”, Kurt si alzò in piedi velocemente, “Hey. Finn, dove state andando?”

Finn si fermò sulla porta di casa, scrollando le spalle.

”Lo sto solo portando a casa del padre, penso abbia lasciato la sua macchina laggiù. Ha detto di avere alcune cose da fare questa notte e di non voler rompere a nessuno chiedendo un passaggio”.

Kurt parlò a fatica. “Non sarà qui questa sera?”

Un’altra scrollata di spalle. “Non lo so, amico. Non gliel’hai chiesto?”, ma Finn uscì dalla porta prima che Kurt potesse rispondergli.

Rimase immobile per un minuto, insicuro su come reagire rispetto a… a tutto quello che era successo da quando aveva rimesso piede in casa, davvero.


Quando Finn tornò per cena dicendo che Dave gli aveva riferito di non tenergli nulla da parte, Burt e Carole lanciarono occhiate incomprensibili a Kurt prima di andare avanti a mangiare.

Al suono del campanello Kurt era più che contento di lasciare quel tavolo, si limitò ad alzarsi e correre alla porta, biascicando un “Vado io, state pure tutti seduti, e posso essere dispensato dalla cena?”.

E poi la porta si aprì e Blaine era davanti a lui, tutto sorridente, già pronto ad abbracciarlo. Non era un buon segno che Kurt non riuscisse a capire se era contento per Blaine o perché qualcuno – a caso – l’avrebbe abbracciato.

Portò Blaine al piano di sopra senza dire una parola a nessuno – avrebbe potuto salutare la sua famiglia più tardi.

Blaine lo seguì, alzando un sopracciglio e sorridendo a Kurt una volta che la porta di camera sua venne chiusa. “Ma ciao.”

Kurt gli sorrise di rimando. “Ciao.”

”Mi sembra di capire che io ti sia mancato.”

Kurt si avvicinò a Blaine, stringendolo in un altro abbraccio. “E’ stata una giornata molto strana. Scusami.”

Blaine ricambiò immediatamente l’abbraccio e Kurt chiuse gli occhi godendosi la familiarità che aveva con il suo ragazzo. Le pieghe dei suoi vestiti, il profumo di colonia. La fragranza fruttata di quel gel per cui Blaine pagava settanta dollari al barattolo. Si sentiva bene, qualcosa dentro di lui si rilassò, qualcosa che non si era nemmeno reso conto fosse in tensione.

Si allontanò da lui dopo un momento, soddisfatto.

”Hey...”, il sorriso caldo di Blaine scomparve, “Che sta succedendo? Devo dedurre che ‘una giornata strana’ non sia una bella cosa?”

”Non proprio”. Prese la mano di Blaine e lo portò verso il suo letto, dove si misero a sedere.

Era facile, era normale. Era quello che Kurt già sapeva. Blaine e la loro intimità. Se Kurt se ne era sentito per un attimo disconnesso, era solo perché non l’aveva avuto attorno da un pezzo. Tutto lì.

”Quindi? Parlami. Che succede?”

Kurt incontrò lo sguardo preoccupato del suo ragazzo e per un attimo desiderò di non rispondere. Voleva che restassero solo lui e Blaine ancora per un po’.

Ma non poteva. Non poteva usare quello come scusa per evitare i suoi problemi più gravi.

”Dave se n’è andato”, disse, dicendo quelle parole con difficoltà, dato che Dave era la tensione e Blaine era la calma.

Ma il sorriso caldo di Blaine sparì di nuovo. “Andato?”

”Da… un po’. A fare delle commissioni o roba simile. Non mi ha nemmeno detto niente,” Kurt sospirò guardando il computer, lontano dagli occhi di Blaine. “E’ arrabbiato per questa situazione. Per te”

Blaine non sembrò sorpreso. “Non mi conosce come mi conosci tu. Sono sicuro sia convinto che io non possa fare alcun bene stando qui”.

”Probabilmente." Kurt sorrise ironicamente. “Non è che voi due abbiate un bel passato."

”Potrebbe essere,” rispose Blaine, con tono divertito. “Tutto ciò che dovrebbe fare è non spingermi addosso qualcosa e quello diventerebbe subito il nostro miglior incontro”.

Kurt rise, ma non di gusto. “Non è più quella persona”. Suonava strano parlare di Dave in quel contesto. Strano parlare di lui con Blaine. Non era come parlarne al telefono o in un bar ad un’ora di distanza da casa. I suoi due mondi stavano entrando in collisione e quella situazione gli sarebbe sembrata strana anche se la conversazione che stavano avendo fosse stata facile e calma.

”Quindi quali sono i tuoi pian per i prossimi giorni?”, chiese Blaine di colpo, svegliando Kurt dai suoi pensieri. “Come faremo a far sentire qualcuno come Dave Karofsky a casa anche nel nostro mondo?”

Kurt scrollò le spalle. “Ho qualche idea. Cose sciocche, il Centro Commerciale e Breadstix e… sai, starcene fuori in pubblico, così che possa abituarsi all’idea che nessuno ci tirerà addosso delle pietre. Oppure… potremmo semplicemente fare un giro nei dintorni. Essere noi stessi, lasciare che veda che siamo uguali alle altre coppie.” Guardò Blaine, perché sapeva che era lui quello più intelligente, almeno quando si parlava di quelle cose. “Suona così male? Sono aperto ad ogni suggerimento, davvero.”

Blaine si sporse verso di lui, prendendogli ancora la mano. “E’ perfetto. Sarebbe troppo portarlo ad un Pride o ad una serata fuori in un gay bar. Potremmo controllare che non ci sia qualche incontro qui intorno durante il weekend – magari in una scuola nelle vicinanze ha un GSA (*). A Lima non ci sono incontri PFLAG, ma magari qualche città qui vicino li potrebbe avere”.

Kurt sorrise a quella risposta. Non aveva pensato a qualche incontro. Forse poteva essere già fin troppo per Dave, ma finché non avesse dovuto parlare  lui probabilmente, sarebbe stato d’accordo con quell’idea.

”Pensi sia troppo presto per cercare di trovargli un ragazzo?”

Kurt sbattè le palpebre. Il suo sorriso svanì. ”Cosa?”

Blaine scrollò le spalle. “E’ probabilmente il miglior modo per far sentire qualcuno a suo agio con la propria sessualità”, spiegò con un piccolo sorriso. “Se te la senti di guidare fino a Westerville, conosco un paio di ragazzi che ritengono quelli come Dave il loro ‘tipo’”.

Kurt rise. Si sentì strano. “Quale sarebbe questo ‘tipo’?”

”Bé, dai. Fisicamente, quel tipo. Gli altri Warblers gay sono tutti occupati, ma so per certo che il mio compagno di dormitorio dell’anno scorso è ancora single. E a giudicare dalla vastità della sua collezione di film con Vin Diesel, penso che sarebbe più che contento di dare a Karofsky una possibilità”

Kurt si ricordava del compagno di dormitorio di Blaine dell’anno scorso. Un ragazzo magro ed altro con i capelli rossi e le lentiggini, ma con bellissimi occhi blu.

Dana. Ecco qual era il suo nome. Era un idiota. Rideva come se qualcosa si fosse incastrato nella sua gola. Kurt rise anche mentre scuoteva la testa.

”Troppo presto. Decisamente troppo presto”.

Dave non avrebbe mai superato il fatto che il suo nome fosse Dana. Ed era troppo intelligente per qualcuno che dava gran mostra dei film di Vin Diesel. E troppo divertente per stare con qualcuno che sembrava sempre sul punto di soffocare ogni volta che rideva.

”No”, ripeté nuovamente, “Neanche per idea. Cattiva idea. Decisamente… troppo presto”

Le sopracciglia di Blaine erano alzate quando Kurt si focalizzò di nuovo su di lui. “Era solo un’idea”, disse dolcemente.

”Non pensiamoci più. Non so se Dave abbia già un ‘tipo’ di ragazzo, ma Dana?”

”Ho capito, Kurt.”

Kurt gli rivolse un sorriso, ancora divertito.

Blaine sembrava di colpo meno entusiasta. La sua presa intorno alla mano di Kurt si fece più intensa e il suo sorriso sembrava debole.

”Sai cosa? Abbiamo un sacco di tempo per pensare a Karofsky. Questa è la prima volta che ti ho tutto per me da un bel po’. Dovremmo prenderci un po’ di tempo per goderci la cosa, no?”

Kurt ricambiò il suo sorriso. “Cos’hai in mente?”, chiese con aria innocente, spalancando gli occhi.

Blaine rise delicatamente mentre gli si avvicinava, lasciando andare la sua mano per poggiarla sulla sua spalla.


E gli piaceva. Davvero. Blaine era un gran baciatore ed era da un po’ che Kurt non si godeva quella cosa. Si sentiva un po’ a disagio a baciarlo nella sua camera, con tutta la sua famiglia al piano di sotto, rispetto a quando lo facevano alla Dalton. Ma anche con quel po’ di imbarazzo, non c’era nulla di spiacevole nel baciare il suo fidanzato.

E gli piaceva anche perché lo rilassava e gli faceva pensare meno all’ordine che avevano preso le persone della sua vita. Con Blaine lì, che gli sorrideva, gli toccava il braccio con fare gentile e lo baciava finché la sua bocca non diventava insensibile, era difficile immagine come qualcuno potesse diventare più importante di lui per Kurt.

Famiglia, fidanzato, amici. Era così che avrebbe dovuto essere. Ed era così che gli era sembrato per un po’ nella sua stanza.

Ma nel momento in cui Kurt sentì un tonfo provenire dal piano di sotto, la sua mente agì senza che lui potesse farci nulla. Subito la sua attenzione lasciò quella stanza, ascoltando attentamente ed aspettando…

… quello, il suono di passi pesanti che si trascinavano su per le scale.

La sua mano lasciò la maglia di Blaine e si alzò immediatamente in piedi. “Finalmente!”

E fino al quel momento non si era reso conto di quanto fosse stato preoccupato.

Kurt non fece altro se non correre verso la sua porta, spalancarla per piazzarsi nel corridoio, aspettando di trovarsi davanti Dave una volta finito di salire le scale.

E Dave apparve un momento più tardi, cauto, ed era chiaro che avesse sentito Kurt muoversi. Lo fissò quando arrivò in cima alle scale.

Kurt annullò la distanza tra di loro velocemente e tirò un giocoso pugno al braccio di Dave.

”Ero preoccupato per te!”

Dave sembrò sorpreso da quel benvenuto, ma le sue spalle tese si rilassarono e sorrise in modo incerto a Kurt. “Scusa. Pensavo che Finn ti avesse messo al corrente di tutto”.

”Pensi che Finn presti attenzione a qualcosa? Tutto ciò che so è che mi preoccupo quando non posso tenerti sott’occhio in ogni momento in cui sono sveglio”.

”Cristo, Fancy”, l’espressione di Dave si rilassò, “Ecco come far diventare qualcuno paranoico. Se vuoi tutti i dettagli, stalker che non sei altro, dovevo prendere la mia macchina. E un altro paio di cose che avevo lasciato lì”, ed indicò la maglietta che indossava – una bitorzoluta maglietta di flanella, enorme e di due marroni diversi. “Dovevo assolutamente prendere questa perché sapevo l’avresti amata!”

”La amo davvero, in effetti”, rispose Kurt. “La prossima volta che andiamo la laghetto a pescare penso proprio che ti chiederò di prestarmela”

”Oh, finiscila”, Dave disse tra le risate, “principessina spara sentenze”.

Kurt si sentiva sollevato, sia dal fatto che Dave fosse tornato a casa che dal fatto che stesse ridendo di nuovo con lui che lo prese per il braccio – toccando consapevolmente la stoffa di quell’incubo di maglietta – e lo portò con se verso la sua porta. “Ho deciso che non mi piace quando sei arrabbiato con me”.

”E io che pensavo che facessi certe cose apposta per mandarmi in bestia”. Dave si fermò e guardò Kurt.

”Avevo bisogno… di un po’ di spazio. Capisci?”

”No. Ma posso immaginarlo”. Kurt incontrò i suoi occhi per un momento, e l’ultimo briciolo di tensione che aveva sentito scomparve. “E’ tutto okay. Solo ricordati di ciò che ti ho detto. Anche quando sono spaventato da tutto questo, non vorrei essere in un altro posto che non sia questo”.

”Sì”. Dave annuì arrossendo un pochino. “Sto cominciando a crederti quando dici robe del genere”.

La porta della camera di Kurt si aprì.

Kurt vide per prima la reazione di Dave: il ritorno di tutta la sua tensione e la scomparsa del suo sorriso.

Guardò in direzione di Blaine un secondo dopo ed anche il suo sorriso vacillò. Si rese conto di colpo che erano fin troppo vicini e che il braccio di Kurt era ancora intrecciato a quello di Dave, atteggiamento che poteva sembrare un po’ possessivo.

Non si mosse, perché non sentiva di star facendo nulla di male o di strano. Ma se ne rese benissimo conto.

Sorrise prima che qualcuno potesse dire qualcosa. “Ok! Tempo di presentazioni! Dave, questo é il mio ragazzo Blaine. Blaine, questo è il mio amico Dave”.  Lanciò un’occhiataccia a Blaine. “Il mio caro amico Dave. E mi auguro davvero che voi due andiate d’accordo, perché se le cose restassero imbarazzanti e strane, tutto ciò renderebbe la mia vita meno piacevole. Ed io non lo posso sopportare. Okay?”

Blaine sorrise, ma in modo automatico ed impercettibile. Il suo sguardo passò da Kurt a Dave, ma si mosse verso i due ragazzi e allungò la mano, stando al gioco. “Piacere di conoscerti, Dave. Per la prima volta in tutta la mia vita”.

”Già”. Dave lanciò un’occhiata sarcastica a Kurt, ma strinse la mano di Blaine. “Blaine, eh?”

Kurt vide un piccolo barlume di divertimento nei suoi occhi e si chiese quanto Dave avesse dovuto trattenersi per non chiamarlo ‘Bleh’ e – malgrado se stesso – dovette lottare per nascondere un sorriso.”

”Bravi ragazzi. Non c’è nessun motivo per il quale voi non possiate essere amici”

”Ovviamente”, concordò Blaine, “Almeno Dave non sembra sul punto di avere un accesso di rabbia da un momento all’altro”.

Il sorriso di Kurt si spense un po’. Lanciò a Blaine un’occhiata di avvertimento.

”Accesso di rabbia? Nah, almeno finché qualcuno non si metterà ad urlare in pubblico – davanti a tutta la mia scuola – dei fatti della mia vita privata. O rimproverarmi per, non so, essere gay nel modo sbagliato. Ma queste non sono cose che un ragazzo come te farebbe, vero Blaine?”

Blaine sorrise forzatamente a quelle parole.

Kurt si schiarì la gola. “Okay. E’ stata comunque una discussione educata. Abbastanza bene per il primo giorno”. Indicò la porta della sua camera. “Blaine, ritorna nel tuo angolo. Arriverò a fare la lezione anche a te tra un minuto”.

Blaine lo studiò, quindi lanciò un’altra occhiata Dave, ma tornò sui suoi passi e rientrò in camera di Kurt senza dire una parola.

Kurt sospirò. “Dave, vieni, è tempo per la tua lezione”

Dave gli lanciò un sorriso, ma portò Kurt nella sua stanza. Tirò fuori dalle sue tasche un paio di chiavi e le lanciò sulla scrivania. “Ha iniziato lui."

”Oh mio Dio, non siamo all’asilo”. Kurt chiuse la porta e fissò Dave, ma non durò a lungo. “Siamo… davvero, è tutto a posto tra noi?”

Dave scrollò le spalle, il sorriso svanì. Si lasciò cader sul letto, pesantemente e senza grazia come al solito. “Più o meno. Non lo so”. Indicò la porta. “Se pensi davvero che io e Dan Quayle finiremo per diventare amiconi, beh, alla fine di queste giornate non sarai di certo soddisfatto”.

”Posso accontentarmi di un comportamento educato”, concesse Kurt. “Ma non è quello a cui punto. Se solo vi deste a vicenda almeno una possibilità…” sospirò, “Intendo dire, non puoi odiare Blaine – è praticamente me – e tu mi adori. Zittò, tu mi adori davvero. E nemmeno lui può odiarti – è praticamente me – ed io ti adoro così tanto. Giusto?”

Dave sorrise debolmente. “Chiunque ti abbia detto che tu è Dapper Dan siete praticamente la stessa persona… Non so, dovresti prenderlo a pugni. O mandarlo da me, così potrei pensarci io”.

Kurt rise, sedendosi sul letto per vedere meglio Dave.  “Lo dicono tutti. E’ più simile a me di qualsiasi altra persona io abbia mai conosciuto”.

Dave gli lanciò un’occhiata dubbiosa. “Fancy. E’ un damerino e tu sei tu. Hai questo strano gusto nel vestire, ma quel damerino ingessato ed ingellato non sei tu. Se non fosse gay come due arcobaleni messi insieme, sarebbe un giovane repubblicano, almeno comparato a te”.

Kurt quasi si strozzò a sentire quella parole. “Ora stai solo dicendo cattiverie. Semplicemente non lo conosci, okay? Ed è questo a cui punteremo in questi giorni.”

”Come ti pare. E’ il tuo show, io sono solo una guest-star”. Dave allungò la mano verso la porta. “Vai pure, vai a dare una lezione a quel manichino. Io ho capito.”

Kurt roteò gli occhi, ma si alzò in piedi. “Va bene.”

Ma si fermò con la mano sulla maniglia, guardando Dave con uno sguardo più serio. “Stai  bene, sul serio? Con un primo passo del genere…”

“Mi dispiace.” Dave alzò le spalle, stendendo le gambe e togliendosi le sneakers usurate con un tocco. “Immagino che mi stia semplicemente abituando a… tu lo sai. Alla mia vita come è adesso. Non pensavo che sarebbe stato così difficile, una volta subìto un cambiamento. Anche se per pochi giorni.”

“Nemmeno io,”ammise Kurt. “Se non avessi pensato che ti avrebbe aiutato…”

“Lo so. E’ questa la cosa più irritante, Fancy. Pensi davvero che questa roba potrà aiutarmi.”

Kurt sorrise automaticamente, ma la curva sulla bocca di Dave era lievemente irregolare e Kurt non era sicuro del suo significato. Era uno scherzo o meno? Si era davvero irritato con Kurt a causa della sua idea? O forse arrabbiato per il fatto di non riuscire a prendersela con Kurt, visto che sapeva che aveva ragione? O…?

“Tu mi preoccupi più di chiunque altro abbia mai conosciuto, Hummel.” Dave si alzò con un gran sorriso. “A meno che tu non voglia rimanere per uno spogliarello, esci così posso andare nel mio fottuto letto.” Si tolse quella ridicola camicia di flanella e la gettò sul pavimento, lasciandosi addosso solo la t-shirt che indossava dalla mattina.

Il volto di Kurt andò a fuoco, ma almeno riuscì a domare la propria agitazione. “La tua crudeltà verso i vestiti dovrebbe bastare a mettere un freno alla nostra amicizia. Voglio che tu sappia che vado oltre certe cose, comunque. Tu… hai anche delle bellissime braccia, veramente. E’ ingiusto nasconderle tutto il tempo come fai sempre.”

Va bene, ok, la sua faccia in quel momento era diventata rossa. Ma perché stava parlando? Seriamente, avrebbe dovuto avere un qualche pulsante interno per zittirsi in quell’esatto istante.

Non riuscì nemmeno a guardare Dave. Spinse con la mano la porta già aperta. “Buona notte, Dave.”

“… notte, Fancy.”

Non capì il senso del perché avesse detto qualcosa sulle braccia di Dave. Non capì il senso di chiedersi perché le ultime parole di Dave gli fossero sembrate così calme. Dio, se fosse stato davvero confuso negli ultimi tempi sulle persone presenti nella sua vita e su chi fosse diventato più importante nei suoi pensieri… non stava facendo un gran favore a se stesso.

Non stava rendendo le cose più chiare.

Andò verso la porta della propria stanza e si fermò per un momento, guardando verso l’uscio di quella di Dave e domandandosi se fosse un brutto segno sentirsi leggermente colpevole.

Quando entrò in caera lo fece con il sorriso più ampio che riuscì a dipingersi in viso. “Sei fortunato che adesso non sia di umore pessimo riguardo la tua introduzione passiva-aggressiva.”

Blaine alzò gli occhi dal suo telefono. “Ha iniziato lui.”


Burt stava tra loro e li osservava mentre montavano un giaciglio sul pavimento su cui Blaine potesse dormire. Quando fu soddisfatto, uscì dalla porta, lasciandola aperta alle proprie spalle, pronunciando un ‘Notte, ragazzi’ e un ‘Tocca quella porta e Blaine dorme al piano di sotto sul divano.’

Kurt amava davvero suo padre, in tutta onestà.

Blaine si sistemò senza lamentarsi e per un po’ lui e Kurt parlarono al buio, tranquillamente, su cose a caso che stavano succedendo alla Dalton e al McKinley, di cosa Mercedes stesse facendo e dei piani di Blaine per le Provinciali. Piccole cose su cui normalmente messaggiavano attorno a quell’orario la notte.

Se Kurt menzionava nei discorsi Dave una o due volte, non creava reale sorpresa. Kurt era preoccupato per lui, dopotutto. Sorrideva, rideva e si divertiva con Blaine come se tutto fosse a posto, ma c’era una cosa che aveva imparato da Dave: stare bene per un istante non ti metteva al riparo da quello successivo.

Si addormentò a metà tra un commento sul livello di cliché che sarebbe stato richiesto nel fare un medley di Grease in ogni competizione, ovunque.

Si svegliò quando sentì una porta sbattere e un rumore soffocato.

Era stato più facile sentirlo con la porta aperta.

Kurt si alzò dal letto istintivamente – ormai era abituato così, e fu una cosa davvero deprimente quando lo realizzò. Teneva addirittura un bicchiere d'acqua sul tavolo accanto al letto così da non dover andare al piano di sotto. Prese il bicchiere e fece il giro intorno a Blaine mentre russava, per percorrere il corridoio.

Dave emerse dal bagno dopo un paio di minuti, pallido, tremante e sconvolto. Prese il bicchiere – entrambi erano abituati ormai – e seguì Kurt sulla via per la sua camera.

Bevve solo un sorso d'acqua prima di restituirglielo. "Non ho cenato," spiegò con tono roco. "La cosa bella del... non aver nulla da vomitare."

Kurt sorrise vagamente mentre Dave tornava sotto le coperte. Si sedette sul bordo del letto, rimboccandogli le coperte assente. "Sono passati un bel po' di giorni dall'ultima volta, almeno quello."

"Sì." Dave non ne sembrava troppo contento. "Ho quasi pensato..."

Kurt sospirò. "Non sono un terapista, ma credo che ci voglia ancora un po' prima che la cosa scompaia del tutto."

Dave borbottò una parolaccia sottovoce, ma annuì. Si voltò verso di lui, ma non lo guardò. “Voglio solo dormire, Kurt. Cristo.”

"Ci riuscirai." Kurt si allungò verso di lui, scostandogli i capelli dalla fronte. “Adesso ti addormenterai e dormirai fino a domani mattina. E la prossima volta che avrai un altro sogno... succederà la stessa identica cosa."

Gli occhi di Dave si stavano già chiudendo, pesanti di sonno. Mormorò qualcosa contro il cuscino, qualcosa che sembrava molto simile a una scusa.

Kurt di solito rimaneva lì fino a che Dave non si addormentava completamente. Dave aveva provato a far finta un paio di volte, e il giorno dopo era sempre esausto. Se si addormentava con Kurt accanto a lui dormiva tranquillo. Se non c'era, no.

Kurt canticchiò con la bocca chiusa, assente, accarezzando i capelli di Dave. Ma era una cosa che aiutava più lui che Dave, forse, ma gli piaceva quel gesto. Gli piaceva quanto risultasse calmante.

Dopo un paio di minuti si fermò, immaginandosi Dave si fosse calmato almeno un poco, ritirò la mano e tornò silente a guardare Dave.

I suoi occhi sono aperti, pesanti e iniettati di sangue. Sono entrambi abituati a quel tipo di routine, dopotutto. Dave sapeva che se Kurt se ne fosse andato non sarebbe più riuscito a dormire.

Kurt sorrise triste e ricominciò a canticchiare con la bocca chiusa.

Era la tensione, pensò. Tutte quelle cose che dovevano venire. Un finesettimana con Blaine, la scuola al lunedì, l'incontro con il nuovo terapista. Kurt se lo sarebbe dovuto aspettare, sul serio. C'era troppo carne al fuoco.

Avrebbe dovuto parlare con Blaine in mattinata – non aveva pensato a cosa avrebbero potuto fare mentre Kurt era a scuola. Quella era una casa grande, ma Dave e Blaine non sarebbero stati per conto loro per otto lunghissime ore.

Gli occhi di Dave si chiusero, e la sua testa affondò nel cuscino.

Kurt sorrise e si allungò verso di lui, le sue dita a strofinargli leggermente il braccio. Cominciò lentamente a cantare sottovoce, una dolce e banale canzoncina da uno dei musical veramente orrendi di Webber.

"Whistle down the wind, let your voices carry
Drown out all the rain, light a patch of darkness treacherous and scary
Howl at the stars, whisper when you're sleeping
I'll be there to hold you, I'll be there to stop the chills and all the weeping
Make it clear and strong, so the whole night long
Every signal that you send until the very end,
I will not abandon you, my precious friend..."

Dopo un poco si affievolì, sorridendo nel pensare al tipo di espressione che avrebbe avuto Dave se l'avesse sentito cantare quelle parole. Niente riusciva ad essere così orribile come Sir Andrew Lloyd Webber.

Whistle Down the Wind era un ottimo test per controllare se Dave fosse addormentato o meno, ma indugiò ancora per qualche minuto, giusto per essere sicuro. Quando finalmente si alzò dal letto e si mosse lentamente verso la porta, Dave non si mosse.

Nella sua camera Blaine era seduto sul suo giaciglio, con la schiena contro il letto di Kurt. Socchiuse gli occhi quando lo vide entrare, finché Kurt non chiuse la luce nel corridoi e l'oscurità non tornò di nuovo. Kurt fece il giro intorno a Blaine e si sedette sul letto mentre lui scivolava sul pavimento e tornava a sdraiarsi per terra.

Quando parlò forse era l'oscurità a rendere Blaine così profondo e cauto. "Accade spesso?"

"Tutte le notti," disse Kurt, rimboccandosi le coperte intorno alle spalle e fissando l'oscurità. "Beh...adesso va un pochino meglio di come stava prima."

Ci fu silenzio per un minuto. Blaine sospirò un poco e tornò sul pavimento, e proprio quando sembrava essersi addormentato di nuovo parlò dolcemente.

"Ci proverò di più domani."

Kurt quasi sorrise.
 


Note di Traduzione:
(*) GSA sta per Gay-Straight Alliance, un'organizzazione studentesca che si occupa di supportare i ragazzi omosessuali e trangender.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 22 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/22/The_Worst_That_Could_Happen

 


Mercedes sembrava si stesse trattenendo dal ridere. “Allora? Sei sopravvissuto, eh?”

Blaine era sotto la doccia, quindi Kurt poté rispondere apertamente. Sospirò, sistemato in posa drammatica sul suo letto e col braccio appoggiato sulla fronte. “Finora sì, ma oggi è il vero test.”

“Ah sì? Non ieri notte? Non avevate avuto casa tutta per voi, ragazzi? Non eri terrorizzato all’idea di andare a scuola ieri?”

Kurt sbuffò al ricordo. Certo che era stato terrorizzato. Dopo il casino di giovedì sera e il battibecco durato due minuti tra Blaine e Dave, non era sicuro di come avrebbe trascorso tutto il venerdì sera con loro.

Beh, ok, era praticamente sicuro che lo avrebbe fatto. Ma se non poteva lamentarsi senza sosta con la sua migliore amica, allora qual era il compito di una migliore amica?

“Quindi? Dopo che Mr. Strafighetto ti ha preso, che è successo?”

“Blaine.” Kurt dovette combattere un sorriso sul nascere. “Voglio dire, è una sillaba. Blaaaaine. Perché nessuno riesce a chiamare questo povero ragazzo col suo nome?”

Sono certa che lui riesca a farti pronunciare il suo nome per completo.

Kurt si stropicciò il naso. “Non farmi battute sul sesso quando sono arrabbiato.”

“Mmmmhh. Okay, smettila di essere arrabbiato e la finisco. Voglio i dettagli.”

“E’ noioso, credimi. Io e Blaine avevamo deciso che sarebbe stato meglio se lui fosse uscito per una giornata all’insegna del Non-rimaniamo-soli-in-casa-con-Dave, mi ha ha portato a scuola, mi è venuto a prendere e siamo tornati a casa.”

 “Stai sprecando tipo cinquanta parole per arrivare all’unica parte che mi interessa.”

Kurt sorrise. “Non è niente di che. Ho pensato che trascorrere l’intera giornata terrorizzato l’avrebbe solo fatto sembrare ancora peggio. Papà e Carole avevano un appuntamento stasera, Finn usciva con Rachel- ”

 “Quinn. Questo è quello che ho sentito, comunque.”

Kurt alzò gli occhi al cielo. Eterosessuali. “Così abbiamo passato il tempo. Abbiamo ordinato la pizza da quel piccolo posto a conduzione familiare che Dave conosceva, abbiamo trovato un paio di film che piacevano a entrambi- ”

 “Quindi niente Fosse?”

 “Vuoi che ti racconti, o no?” Dopo che Mercedes si tranquillizzò per i pochi secondi necessari, Kurt continuò. “Abbiamo lasciato che Dave ci trascinasse in RED e noi l’abbiamo costretto a vedere Wall-E. E’ stato molto divertente. In più, da una parte avevamo Bruce Willis- e ricordami di dirti chi pare abbia una cotta per lui- e Karl Urban. E dall’altra… Wall-E.”

“Ottima scelta, pensare che sono sorpresa dal fatto che ci siano ancora persone che non l’abbiano visto. Mi sembra di ricordare tu che mi hai trascinata al cinema in almeno tre occasioni separate.”

Kurt sorrise. “A David è piaciuto. Più di quanto pensassi.” Non era facile da dire. Una cosa per cui i film erano utili era nascondere silenzi tesi e loro non si erano esattamente seduti a fare cineforum dopo.

“Capisco. Robot robusti e sporchi  improvvisamente al cospetto di altri robot carini, altezzosi e scintillanti che lo odiano. Sicuro.”

 “Ok, non siamo qui a psicoanalizzare i film della Pixar, Mercedes. Le persone amano Wall-E perché è una storia bellissima. E io e Blaine non siamo robot altezzosi.”

"Vabbè. Che noia. Che altro è successo?”

"Ecco. Dave è andato a letto, io e Blaine abbiamo visto…um. RED. Di nuovo. Avevamo deciso che se Karl Urban voleva Blaine, glielo avrei lasciato senza combattere.”

Merdeces rise. “E tu? Kurt non ha un po’ di amore?”

“Io ho Bruce. Anche se dovrò lottare con Azimio per lui.”

“Azimio Adams? Ragazzo mio, stai frequentando delle compagnie davvero strane negli ultimi tempi. Aspetta… Azimio é…?”

“Sembra che il fatto che ti piaccia Bruce Willis non ti renda gay,” riferì Kurt con un sorriso. “Fortunatamente per me, non ti rende nemmeno etero.”

Un’altra risata echeggiò nel suo orecchio. “Speravo che ci fosse stato un po’ di melodramma, Kurt. Pensavo ci sarebbe stato almeno un tentativo di omicidio.”

 “No. Loro stanno dando il meglio con comportamenti imbarazzanti ed educati.”

E cosa è successo oggi per farti arrabbiare?”

Allora… Kurt si alzò, in ascolto di ogni minimo suono proveniente dalla doccia, per capire se stesse rallentando o meno. “Volevo portare Dave al centro commerciale per vedere se volesse indossare qualcosa scelto da me. Non hai idea di quanto voglia vederlo in un paio di jeans che gli stiano bene o in una camicia che non sia né una polo né una t. Che tu ci creda o no, Blaine non ha detto no alla mia idea.”

"Ci credo.”

Kurt sospirò, incrociando le gambe sul letto. Non riusciva a sentire ancora Dave muoversi per la casa, ma era ancora presto. Lui e Blaine erano mattinieri. Dave sembrava più il tipo che si ibernava fino a quando non veniva forzato a uscire dal letargo a causa di una qualche interruzione esterna.

“Niente centro commerciale, niente Macy’s. Non ancora comunque. Non mi è stato mai permesso di vestire qualcuno che non fosse me stesso o una ragazza. Non mollerò la presa tanto facilmente. E il ragazzo ha bisogno di aiuto.”

Il ragazzo ha bisogno di aiuto,” concordò.

“Quindi, andiamo al bowling invece.”

"Santo Etero!"

Kurt rise. “Giusto? Ma tra il guidare fino a Cincinnati per vedere Les Miserables o sedere qui nel salotto a guardare le partite dei Bruins (*), sembrava un buon compromesso. La penso così, almeno. Ho ancora bisogno di andare su Wiki e scoprire chi siano esattamente i Bruins. Comunque, non ti ho mai detto una cosa da quando ci conosciamo e mi scuso per questo, ma io sono davvero pessimo a bowling. Sono così pessimo che si richiede un’acca finale per poter comunicare in pieno questa cosa. Pessimoh.

“Ok, giocatore, sei pessimoh. Ma non hai anche una seria reazione allergica nell’indossare scarpe non firmate di altre persone?”

E’ dove il mio compromesso termina. Ho provato a spiegare  loro che era un problema, ma sembra che ‘per me è importante avere tutte le cose che mi rendono felice, voi due invece avete bisogno di lasciare stare alcune cose’ non sia un argomento valido. Comunque, questo è il piano. Uscire per giocare uno- inizio e concludo la citazione - ‘sport’ che richiede un sacco di sempo a stare seduti là a guardare gli altri, e dopo… cena.

"Sembra un appuntamento. Spero che non pesi molto al terzo incomodo.”

Kurt rise. “E’ Lima. Le nostre opzioni sono limitate. Ma non preoccuparti, programmo di mantenere la mia concentrazione su Dave. Sono solo… è un sacco di tempo, sai? Ed è ciò che voglio. Vorrei che tutti quanti noi trascorressimo del tempo assieme, per riabituare Dave alle cose. Ma…”

E’ più facile a dirsi che a farsi. L’ho già sentita questa.” Rimase in silenzio per un momento. “Kurt. Tesoro. Lo sai che ti voglio bene, no?

Il suo sorriso svanì. Sospirò. “Ok, mi reggo forte. Cosa c’è?”

Non mi sembra un appuntamento perché andrete a mangiare dopo il bowling. Tu lo fai sembrare un appuntamento. Forse sto andando oltre con l’immaginazione, ma… è un po’ strano sentirti parlare sia di Blaine che di Karofsky nello stesso tono di voce.

Si accigliò. “Cosa c’è che non va col mio tono di voce?”

“Ti definiresti sottile nelle tue cose, Kurt? E’ una domanda retorica, sappiamo entrambi la risposta. Sto dicendo… sei sempre stato così adorabile nei confronti di Blaine, parlando di lui con quella piccola intonazione nella tua voce da persona perdutamente innamorata, sospirando e diventando il più delle volte intollerabile. Giusto? ”

 “Questa è certamente una valutazione azzeccata.”

“Mh mh. Bè…”

Rise improvvisamente, e il rossore si diffuse sul suo viso come se fosse un meccanismo. “Io non parlo di Dave in quel modo!”

“Sicuro. Okay. Forse lo fai, forse non lo fai più così tanto con Blaine ormai. Il punto é…” sospirò. “Il punto è che tu hai bisogno di stare con Blaine. Lo sai? Quel ragazzo è davvero, davvero perfetto per te. Mi piace. Mi piacete voi due assieme. E’ il tuo principe azzurro e tu te lo meriti.”

Kurt sorrise, ma dopo un istante smise. “Sai, papà mi ha chieso l’altro giorno…”, scosse la testa. “Non so perché tutti quanti d’improvviso vi state preoccupando così tanto per me e Blaine.”

“Senza offesa, baby, ma sei ottuso in modo imbarazzante riguardo alcune cose.”

La doccia aveva smesso di scorrere senza che Kurt se ne accorgesse e doveva essere successo parecchi minuti prima, perché quando Blaine entrò in stanza era con i capelli completamente pieni di gel, elegante e vestito per far colpo.

Kurt sorrise accogliendolo, nonostante metà della sua attenzione fosse concentrata al telefono. “Non devi insultarmi, Mercedes.”

Blaine ghignò quando sentì il suo nome. Si mosse verso la scrivania di Kurt e si sedette, osservando con sollievo che alcuni dei timori di Kurt per la giornata erano un po' svaniti.

“Lo sai… ti voglio veramente bene, Kurt, ma a volte non riesco nemmeno a credere che tu così sia sciocco nelle tue azioni. In certe circostanze, sai esattamente cosa sta succedendo, e stai invece recitando questo ruolo da ingenuo, e… se lo credessi davvero, sarei piuttosto arrabbiata con te.”

Kurt fece una smorfia al telefono, girando gli occhi in modo drammatico verso Blaine con uno movimento della mano che significava Non-smette-mai-di-parlare. Fortunatamente questo nascose il suo tono di voce meno indifferente quando le rispose.

“Senza offesa, amica mia, ma se la smettessi di parlare girando attorno alle cose e mi dicessi cosa tu pensi stia accadendo, saremmo andati molto più lontano in questa conversazione. ”

“Sì, come no. Te la prenderesti con me, tesoro. Ma quando questa cosa ti esploderà in faccia, mi chiamerai e parleremo chiaramente di cosa sta succedendo quando vorrai. ”

Non riuscì a dire altro, non con Blaine proprio lì, ma il suo tono di voce divenne improvvisamente da affezionato a sinceramente irritato. “Devo andare, Blaine è qui.”

"Okay. Mi dispiace Kurt. E’ meglio che tu mi chiami stasera quando torni a casa, maledizione."

Dopo che Mercedes riagganciò, Kurt si sedette a giocare con il suo cellulare per un lungo momento. Stava iniziando a diventare scocciante quella sensazione, come se lui fosse al primo capitolo di un romanzo che tutti gli altri avevano già terminato. Non era sciocco, non per davvero. Non sulla maggior parte delle cose. Non aveva ancora imparato molto su cose come… le relazioni, per esempio, perché era ancora alla sua prima storia e stava ancora cercando il suo modo di adattarsi a tutto quanto. Ma conosceva un sacco di cose sul mondo.

Si era così tanto ostinato sull fatto che stesse ignorando quell’enorme cosa lampante di cui Mercedes stava parlando? E la sua cosa era la stessa di suo padre? Riguardava Blaine? O Dave? O Kurt stesso?

Erano crudeli quelle continue insinuazioni e accenni, le piccole risate e gli occhi alzati al cielo e tutti quei commenti alla Kurt-sei-così-ottuso.

Non si ritrovava in una situazione divertente. La sua vita era diventata seria. Precaria. Stava provando a tenere assieme tutti i suoi pezzi, stava provando ancora più duramente a impedire a Dave di crollare. Se ci fosse stato qualcosa di grande, qualcosa di importante che non stava capendo… aveva bisogno di farlo. Non poteva permettersi di rimanere all’oscuro riguardo qualcosa che poteva avere delle conseguenze su Dave, non quando lui era ancora così instabile.

Sospirò e chiuse il telefonino, guardando verso Blaine. “Ho capito perché ci piacciono i ragazzi,” disse con un sorriso poco sincero. “Le ragazze sono molto più disorientanti.”

“Mmmhh.” Blaine annuì solennemente. “E in più, non hanno peli in posti strani.”

Kurt alzò gli occhi al cielo, ma il suo sorriso fu più genuino del precedente. “Ok, sarà meglio andare a svegliare il gigante addormentato.” Superò Blaine e andò verso la porta, guardandolo poi con un sorriso. “Sei sicuro di non voler avere una giornata dedicata al restauro nel look? C’è un outlet di Neiman Marcus a solo cinque brevi ore di macchina da qui. Potremmo guardare le vetrine e decidere di comprare alcune deliziose spillette da ottocento dollari, facendo di Dave il nostro modello per alcuni vestiti di Hugo Boss? Scommetto che lui ha delle spalle vere sotto quelle maglie da incubo che indossa.”

Blaine alzò gli occhi al cielo e gli fece segno di non continuare. “Bowling, Kurt. Preferirei vederti con delle scarpe color rosa evidenziatore piuttosto che Dave o le sue ‘spalle’ oggetto di pettegolezzo.”

Kurt sorrise e uscì dalla stanza.


Mentre stava scendendo le scale, Dave rimpolpò il proprio portafoglio sottile e poi se lo mise in tasca. Aveva un fagotto senza forma di color marrone che pendeva sulla sua spalla e, prima che Kurt potesse dire una parola su cosa Dave stesse indossando, gettò quel disastro marrone nella direzione di Kurt.

“Dato che ti piace così tanto,” disse a Kurt mentre questo vedeva la sua faccia riempirsi di flanella. “Il bowling è campagnolo (**) quasi quanto la pesca, no?” 

Kurt rise mentre cercava di sfuggire alla maglietta. Strinse il colletto tra due dita e le mantenne così davanti a Dave. “Mais non, (***)” rispose enfatico. “Ma la prossima volta che farò un picnic per assistere alle gare della Nascar, io e questa maglia andremo d’accordissimo.”

 “Oh, ma dai! Potremmo abbinarci.” Dave sorrise e, anche se stava indossando lui stesso un capo di flanella (ovviamente), almeno era in rispettabili scacchi rossi e bianchi che gli dava una vera forma distinguibile come tale.

Anche la t shirt che indossava sotto la camicia sembrava andargli abbastanza a pennello. Kurt lo squadrò e non stava per niente male. I jeans rimanevano sempre ridicoli e informi, ma dopo tutto non erano niente di così grave che Kurt potesse giudicare troppo duramente.

Gli regalò un sorriso di approvazione, ma gli fece oscillare proprio davanti agli occhi il proprio braccio come se avesse tra le dita una granata pronta ad esplodere. “Potremo fare pendant quando riuscirò a farti indossare un Alexander McQueen, guerriero. L’idea è esaltare i meno fortunati, non nascondere una luce guida nel mondo dello stile sotto un saio di flanella.” Fece un gesto a Blaine, che era sul divando a fissare con comprensibile orrore la camicia di flanella che Kurt stava facendo dondolare. “Io e Blaine ci abbiniamo in modo gradevole. Studiaci e impara.”

Dave alzò gli occhi al cielo, a malapena degnando Blaine di uno sguardo. “Ma sono l’unico tra tutti quanti noi che riesco a vedere adatto a una pista di bowling, cazzo.” Si mosse e afferrò la camicia che Kurt stava facendo ondeggiare. “Che peccato, avevo pensato che a voi appassionati delle luci della ribalta piacesse mettervi un costume, recitare delle parti e roba del genere.”

Kurt sorrise mentre Blaine si alzava in piedi e lisciava i pantaloni. “Stai cercando di stuzzicare il piccolo teatrante che è in me. Questa è furbizia.” Però diede una seconda occhiata alla camicia. “Che ne pensi, Blaine? Potrei essere un campagnolo chic?

Blaine sorrise, avvicinandosi a Kurt e raggiungendolo, addrizzando il collo del suo maglione preferito-della-scorsa-stagione ma-pur-sempre-fantastico di Marc Jacobs. La analizzò, dandole più attenzione di quanto la domanda stessa poteva meritarsi.

“Penso,” annunciò dopo un momento, “che potresti andare in giro con qualsiasi cosa il tuo piccolo favoloso cuore voglia provare.”

Kurt provò a non farsi troppo bello. Solo una veloce aggiustatina ai capelli e una tirata a una manica. “Ovviamente.”

Blaine rise e si appoggiò a lui, baciandolo rapido e leggero. “Dovremmo andare.”

Kurt si voltò verso Dave giusto in tempo per vederlo andare via, verso la porta. Scivolò da Blaine e prese in mano la flanella marrone il momento prima che Dave la lasciasse per appoggiarla dietro il divano.

Illuminò Dave con un sorriso, superandolo e andando verso la porta. “Allora, solo per te, proverò a indossare questa cosa. In macchina. E questo è quanto.”

Dave ricambiò il sorriso all’istante.


Era stato un inizio brillante e rapidamente stava andando tutto in discesa.

Blaine non aveva mai menzionato alcun attaccamento al bowling: aveva persino votato contro Il grande Lebowski durante la loro serata di dibattito sul cinema il giorno prima (una cosa per cui Kurt pensava che Dave potesse aver giudicato un po’ Blaine. Kurt non era completamente sicuro di incolpare Dave. Chi non amava il Drugo? Ma sembrava stranamente interessato quando giocarono la prima partita. Acclamava Kurt, offriva consigli su come doveva tenere la palla nonostante il suo punteggio non fosse molto più alto rispetto a quello del fidanzato e sembrava stranamente irritato quando Dave sembrava sul punto di distruggerli entrambi.

“E’ un gioco da eterosessuali,” brontolò mentre Dave, con estrema nonchalance, si girava e li raggiungeva prima che la sua palla avesse ancora raggiunto i birilli. Tutti quanti i birilli. I quali poi caddero tutti assieme.

Kurt rise della lamentela di Blaine. “Questo escluderebbe tutti e quanti noi tre, ricordi?”

“Giusto. E’ facile da dimenticare.”

Kurt lanciò uno sguardo a Blaine. “Stiamo andando così bene. Non fare lo stronzetto.”

“Non lo sto facendo.” Blaine verso un gesto verso Dave mentre questo si sistemava sulla panchina dal lato opposto al loro e afferrava l’enorme bicchiere pieno di soda che quel posto sembrava definire un “bevanda media.”

Kurt alzò gli occhi al cielo, ma sorrise e batté la spalla a Blaine. “Vai, è il tuo turno. E non fare la parte del perdente irritato.”

“Non ho ancora perso.” Blaine sorrise e si diresse verso la pista.

Kurt guardò Dave. “ E’ già un perdente irritato”, disse di nuovo, nel caso non fosse stato già chiaro poco prima.

Dave alzò le spalle. “Non è tranquillo come pensa di essere. Testa di cazzo.” E non fu un caso il fatto che quelle parole vennero pronunciate ad alta voce, in modo da superare il casino delle altre piste attorno a loro.

Blaine non era per niente teso. Afferrò la sua palla e camminò, continuando a fare quello che Kurt aveva scoperto essere un adorabile ma lunga routine fatta di stretch e calcoli di mira prima del tiro. Diede a Kurt una bella visuale del suo fondoschiena per pochi secondi ogni volta che si accingeva a tirare, per cui non si lamentò.

Dave si sporse vicino a Kurt e questa volta si non trattenne. “Vuoi batterlo? Non stai lasciando andare la palla abbastanza veloce. Hai mira, ma la tua base è debole, e non ti permette di far andare la palla completamente dritta. Mettici semplicemente un po’ più di forza e lasciala andare un po’ più vicina alla pista.”

Kurt guardò Blaine, ma si voltò verso Dave con un veloce sorriso che sapeva di cospirazione. “Se lo sconfiggessimo entrambi, lui diventerebbe intollerabile.”

“Al contrario di come è adesso?” Dave si appoggiò allo schienale della panchina. “E’ solo per dire. Impegnati nel tuo lancio, Fancy. Fai la diva in questa cosa.”

A Blaine mancava solo un birillo per dare il cambio al round successivo, e sembrava soddisfatto mentre tornava a posto e si sedeva, almeno per due secondi prima che i suoi occhi andassero sullo schermo che faceva lampeggiare i loro punteggi. Il suo sorriso svanì e fece posto a un ringhio.

Era bello guardarlo diventare un vero macho per una partita di bowling.

Quando Kurt si alzò per il suo turno, il sorriso di Blaine fece ritorno e gli urlò parole di incoraggiamento. Kurt afferrò la palla marmorizzata color rosa che aveva scelto all’inizio della partita (“Sì, David, proprio quella.”). Rise vicino la spalla sentendo il fischio di Blaine, ma la sua attenzione venne atratta da Dave.

Dave aveva sollevato un sopracciglio, osservandolo in silenzio. Kurt allargò le labbra in un sorriso e si girò verso la pista e quei birilli che lo stavano tormentando.

Fare la diva in quella cosa. Poteva riuscirci. Mettere della forza nel lancio, far andare la palla più veloce.

Persino il suono della palla che sbatteva contro il primo birillo fu diverso. Anche il rimbombo che echeggiò sulla pista prima dell’urto.

“Wow!” Kurt rise scioccato quando l’ultimo birillo in procinto di cadere si arrese alla gravità e si abbatté. Fece un giro su se stesso, sollevando entrambe le braccia in segno di trionfo.

“Strike! Vai così, amore!”

Fece il pieno di complimenti da parte di Blaine e sorrise verso Dave. “Amico,” disse con enfasi.

Dave rise, mettendosi in piedi e muovendosi verso Kurt e superandolo dandogli un colpetto al braccio. “Pensavo che tu odiassi quella parola,” disse mentre prendeva la sua palla (di un noioso color nero).

“Stiamo giocando a bowling. Mi sembrava adatto.” Kurt si avvicinò e gli sussurrò come se fossero stati a teatro. “Hai altri consigli?”

Dave gli indirizzò un ampio sorriso, ma i suoi occhi superarono Kurt e il suo incresparsi di labbra su un solo lato. “Credo che non piacerebbe molto al tuo primo allenatore. Dai, Fancy. E’ il mio turno adesso.”

Blaine non guardava mentre Kurt passeggiava, tutto entusiasmato per il suo primo (e probabilmente unico) strike della serata. Dato che sapeva di essere ufficialmente intollerabile, Kurt scivolò sulla panchina accanto a lui e gli diede dei piccoli pugni sul braccio. “Scusami! Ho appena fatto un capolavoro laggiù.”

Gli occhi di Blaine si spostarono dalla figura di Dave a quella di Kurt. Stava ancora sorridendo, ma era quello stesso sorriso sottile, educato che aveva rivolto a Dave giovedì sera. “E tu hai un pubblico moltosoddisfatto,” affermò.

Il riso di Kurt si bloccò su un lato della sua bocca. “Uhm, perché così maligno?”

Blaine gli si avvicinò. “Ascoltami, lo scopo di tutto quanto non era farlo sentire a suo agio con una vera coppia? Fargli vedere che siamo uguali a qualsiasi altra coppia etero, che possiamo stare in mezzo alla gente e che va tutto bene?”

Kurt strabuzzò gli occhi. “Anche. Sicuro.”

“Bene.”

“Bene.” Si avvicinò a lui scivolando sulla panchina e strinse la sua mano attorno al braccio di Kurt. “Perché sei davvero tanto, tanto carino quando fai strike.”

Kurt sorrise baciandolo, nonostante si sentisse un po’ imbarazzato a farlo nel bel mezzo di quella panca dura con il rimbombo e i colpi delle partite delle altre persone attorno a loro. Si allontanò, e Blaine lo inseguì all’istante per baciarlo nuovamente.

Baciare Blaine era bello. Quello… quello era strano invece.

Quiando Blaine gli lasciò riprendere fiato, Kurt vide Dave che era tornato a sedersi al suo posto, tenendo la sua bevanda in mano e guardando appositamente lontano da loro due. Il suo sorriso era svanito.

Kurt guardò Blaine con sguardo confuso. Aveva baciato tantissime volte Blaine e quella volta invece era  stato diverso. Pensò che fosse perché non aveva proprio molto a che fare con lui.

“Bravo” disse a Blaine. “E la prossima volta che vuoi dimostrare qualcosa su… sull’orgoglio di essere gay o qualsiasi altra cosa a riguardo, non usarmi per farlo.”

Blaine sollevò le sopracciglia, apparendo sorpreso dal tutto. “So che non sei abituato alle dimostrazioni di affetto in pubblico, Kurt, ma è difficile rendere qualcuno più a suo agio al fianco di una coppia gay se non agiamo un minimo come coppia. Questa è una tua idea, non mia.”

Era verissimo, quindi Kurt non disse una sola parola. Guardò Blaine muoversi verso la pista e provò a non far vagare lo sguardo verso Dave. Provò a essere il fidanzato che appoggiava il proprio ragazzo, applaudendo mentre Blaine raggiungeva il suo posto. Vide il piccolo riscaldamento sfarfallante di Blaine e rise.

E… era tutta una sua idea, la cosa nella sua interezza. Ma come Mercedes gli aveva detto, una cosa era parlarne, un’altra farla sul serio e, ora che la stavano facendo, gli sembrava davvero una pessima idea.

Terzo incomodo, aveva detto Mercedes, ecco come si sentiva. Come un modo per escludere Dave, di girare il coltello nella piaga, perché lui era solo e loro stavano assieme. A Kurt piaceva pensare di avere maniere impeccabili, e invece si sentiva di esser stato maleducato.

Ma non era stato quello lo scopo? Come avrebbe mai potuto Dave sentirsi a suo agio con l’idea di coppia se sedevano lì come e non facevano niente da coppia? Comunque, non era come se Dave non avesse mai menzionato di voler avere qualcosa come quella che Kurt e Blaine avevano. Non parlava mai dei ragazzi, o del volere un fidanzato.

Infatti, era quasi l’opposto. Parlava molto più facilmente del non stare con nessuno piuttosto che del parlare di qualsiasi altro aspetto della sua sessualità.

Ma tutto quello era dovuto al fatto che non riusciva a immaginarselo? Era perché pensava davvero che le coppie gay fossero un’aberrazione da circo o un mezzo per farsi bello con Jennifer Aniston in un film? Se fosse stato quello il caso, allora tutto ciò che stava facendo lo avrebbe solo aiutato.

Giusto?

Per dirla con una sola parola, quella che la Mercedes presente nella sua testa gli ripeteva con sorprendente veemenza, lui era davvero totalmente sciocco riguardo alcune cose.


Breadstix era stata contemporaneamente la migliore e la peggiore idea che Kurt aveva mai avuto. Giudicando quanto la fortuna lo aveva abbandonato quel giorno… lo sarebbe stata davvero.

Era sabato, quindi ci sarebbe stata la folla tipica dei weekend. Ma era pomeriggio presto, solo le quattro, quando entrarono nel parcheggio. Breadstix era uno dei pochi posti a Lima a non essere una tavola calda, quindi ci sarebbe stata gente. Non molta, si sperava.

D’altra parte, era un luogo familiare. Un posto appartenente al Prima, dove Dave avrebbe potuto incontrare qualcuno che conosceva. E quella cosa sarebbe stata ottima, pensava Kurt. Dave aveva trascorso troppo tempo in ambienti controllati, e passare direttamente dalla sicurezza di casa Hummel al caos della scuola il lunedì dopo sarebbe stato troppo estremo. Aveva bisogno di una transizione, di fare piccoli passi prima del grande salto. Il bowling era stato un inizio, e quel minimo di familiarità sarebbe stato un bel passo in avanti.

Nel complesso, Kurt pensava che fosse stata un’ottima idea.

Quello però non voleva dire che avrebbe dovuto trascorrere tutto il tragitto in macchina a preoccuparsene.

Blaine percepì il suo nervosismo- trascorse tutto il tempo con la mano sul ginocchio di Kurt, conducendo una stupida conversazione su come il bowling non fosse un vero sport e, anche che se lo fosse stato, persone come lui erano geneticamente portate a giocarci uno schifo. Infatti, l’unica cosa che Dave disse durante l’intero viaggio gli uscì dalla bocca in quel momento, quando rispose sulle persone come Blaine con un ’teste di cazzo?’ sussurrato dal sedile posteriore.

Blaine lo sentì, afferrò il ginocchio di Kurt e sorrise durante il successivo brandello di conversazione banale, qualcosa che riguardava quanto la danza fosse uno sport ben più legittimo rispetto il bowling. Era difficile da dire se stesse solo facendo un po’ il brusco – sorrise a Dave a un certo punto e acconsentì al fatto che nessuno di quelli che aveva nominato potessero essere veri sport se comparati al football- o se avesse il broncio perché si era classificato ultimo alla pista da bowling.

Kurt si concentrò per metà sulla guida e per l’altra metà la sua mente si divise tra Blaine e Dave. Le cose tra loro non stavano migliorando e forse tutta la cosa era stata condannata al fallimento fin dall’inizio. Forse era quello che avevano visto tutti quanti tranne lui, una cosa semplice da capire.

Non riusciva a capacitarsene, comunque, e quello fu sufficiente a metterlo di cattivo umore dalla sala da bowling al parcheggio di Breadstix.

Blaine non era brusco. Non lo era. Kurt non era accecato dalla nebbia che circonda il primo fidanzato e che rendeva tutto ciò che faceva Blaine perfetta. Era ben consapevole che Blaine avesse dei difetti. Riusciva a essere presuntuoso, totalmente assorbito da se stesso. Rifuggiva l’attenzione negativa, l’esporsi eccessivo e forse, tenendo conto del suo passato, non era un difetto che aveva bisogno di eliminare. Ma c’era ancora qualcosa che Kurt notava, qualcosa che non trovava molto carino.

Blaine riusciva a monopolizzare qualsiasi cosa- un palcoscenico, una conversazione, un’intera serata. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione come meglio desiderava. Era un po’ troppo critico. A volte cantava come se avesse dovuto fare un’audizione per una boyband.

Quindi Kurt vedeva i suoi difetti. Lo avrebbe saputo se il suo ragazzo fosse stato uno stronzo completo, ma non lo era. Quindi, perché non parlare al suo fidanzato, pieno di difetti ma gentile e sensibile, del dare a Dave una vera chance?

La stessa cosa valeva per Dave. Dave era imprevedibile, poco ma sicuro. Era soggetto a scatti di’ira, era stato abitutato a nascondersi così tanto che sembrava che ormai la rabbia sembrava essere la sua reazione iniziale a qualsiasi cosa. Ma non era aggressivo, non più. L’armadio in cui si era rinchiuso, a cui si era aggrappato con tutte le sue forze era ormai stato demolito e i suoi artigli si erano ritirati.

Perché non riusciva a smettere di guardare male Blaine e di fare commenti pungenti che sarebbero stati divertenti se lui non li avesse pensati davvero?

Aveva senso il fatto che qualcuno come Blaine e qualcuno come Dave non fossero destinati a essere migliori amici. Non aveva senso nemmeno se Kurt li avesse pregati, non avrebbero mai iniziato a uscire assieme.

Quando parcheggiò fuori Breadstix, Blaine uscì velocemente e andò verso il lato del guidatore, incontrando lo sguardo di Kurt e porgendogli un braccio da mettere attorno al suo polso con un gran sorriso. “Andiamo,” disse, a voce bassa ma non tanto da impedire a Dave di ascoltarlo, “è tempo di mostrare a Dave come una vera coppia fa un’entrata.”

Kurt quasi non lo riconobbe, il sorriso brillante , lo sguardo nei suoi occhi. Il suo Blaine era ancora lì – c’era un limite scherzoso alle parole che Kurt riconosceva come appartenenti al suo ragazzo– ma era troppo. Troppo esagerato.

Come se stesse recitando, Kurt pensò mentre lasciava che Blaine lo conducesse nel ristorante. Ovviamente. Comportarsi come una coppia alla luce del sole, era ciò che Kurt gli aveva detto di fare.

Ma… no, non aveva più molto senso. Perché loro erano una coppia alla luce del sole. Non avrebbe dovuto essere un’uscita diversa da quelle già fatte, eccetto per il fatto che c’era Dave con loro.

E così, tornò a pensare a Dave.

Kurt guardò oltre la sua spalla, offrendogli un debole sorriso mentre attraversava la porta con Blaine. Gli si accostò per quei pochi secondi che la porta tra loro e Dave rimase chiusa.

“Potresti calmarti un pochino, per l’amor del cielo?”

Blaine lo travolse con un sorriso, ma esitò quando incontrò lo sguardo di Kurt. “Questo è ciò che desideravi,” affermò.

“No. Desidero che Dave sappia che noi siamo una coppia normale che può uscire assieme ed essere qualcosa di più che essere solo ‘gay’.” Kurt riuscì a percepire l’irritazione nelle sue stesse parole. Non si curò di provare ad ammorbidirla. “Non so cosa tu stia davvero facendo, ma voglio che Dave ti conosca. In questo momento non vorrei conoscerti nemmeno io.”

Blaine si allontanò leggermente, uno sguardo ferito apparve e scomparve dalla sua faccia. Fece scivolare il braccio lontano da Kurt. “Va bene.”

Kurt alzò gli occhi al cielo e lo afferrò, mettendosi al suo fianco e avvicinandosi. Riuscì a vedere Dave superarli senza nemmeno degnarli di uno sguardo, probabilmente pensava che si stessero prendendo un altro momento da soli per baciarsi.

"Blaine, ascoltami adesso. Sei la persona più sensibile e di conforto che conosca e voglio che Dave ti conosca proprio come ti conosco io. Voglio che ci conosca, perché nessuno che ci conosce potrebbe mai pensare che ci sia qualcosa di sbagliato in una coppia gay felice. Quindi, per piacere… possiamo essere semplicemente noi stessi?”

Blaine si rilassò, quasi all’istante. Annuì, con sguardo ammorbidito. “Questo è quello che succede quando dai a un ragazzo abituato a esibirsi col coro una vaga traccia su come agire sul palco.” Gli si avvicinò e fece scivolare le sue dita lungo la mascella di Kurt con un sorriso.

“Mi dispiace. A volte esagero nelle cose.”

Anche Kurt si rilassò, perché il suo Blaine era tornato a esserci in quegli occhi splendenti. Prese la mano di Blaine quando questo la abbassò e gliela strinse nella propria. “Bentornato.”

C’era gente lì, per la maggior parte famiglie giovani o coppie anziane a quell’ora del giorno; nel frattempo si erano alzati dove stava l’hostess, ma Dave stava già seguendo la ragazza tra i tavoli.

Li fece accomodare a un tavolo vicino al retro, Kurt scivolò vicino a Dave e gli sorrise calorosamente. “Andrà tutto bene”, gli disse.

Dave lo guardò quasi riluttante, gli occhi contratti mentre Blaine si metteva al fianco di Kurt. “Sì. Sicuramente.”

Blaine gli sorrise di ricambio. “Hai visto qualcuno che conosci? Kurt mi ha detto che avrebbe potuto essere rischioso.”

Dave si accigliò automaticamente a quelle parole, teso. Come se stesse aspettando il momento per iniziare a chiudersi a riccio.

Kurt trattenne il respiro.

Blaine ricambiò lo sguardo di Dave risoluto. “Mi è stato fatto notare che sono stato sgradevole,” affermò con un sorriso beffardo. “E non avevo assolutamente alcuna intenzione di esserlo. Penso solo di essere orgoglioso di ciò che ho,” spiegò, le parole pronunciate con misura e cautela. “Di ciò che io e Kurt abbiamo.”

Kurt osservò prima lui, poi Dave, in attesa, mentre chiudevano le palpebre.

Alla fine, Dave annuì, con una mossa veloce e rapida. “Sì, lo capisco.” Mantenne il contatto con gli occhi di Blaine per un secondo, dopodiché guardò in basso, sul proprio menu.

Blaine sorrise verso Kurt, raggiungendo e afferrando il suo lato del menu per tirarlo leggermente, in modo che potessero darci un’occhiata assieme.

E Kurt ebbe di nuovo quella sensazione, come se avesse appena iniziato il secondo capitolo del libro e tutti gli altri erano invece già all’epilogo. Come se l’intera conversazione appena avvenuta tra Blaine e Dave l’avessero perfettamente capita solamente gli altri due, e non lui stesso.


La cosa più ironica di Breadstix, a parte il fatto che la popolazione di Lima senza casa l’avesse inserito nella categoria ‘Ristorante di classe’, era che la cosa peggiore sul suo menu fossero proprio i grissini. Li servivano in circa dieci modi diversi: senza sale, con burro all’aglio, ricoperti di formaggio, cosparsi di quel condimento pesante che sembrava avere il sapore di glutammato monosodico al parmigiano. O parmigiano al glutammato monosodico, era difficile a dirsi.

Kurt li aveva provati tutti in qualsiasi maniera ed erano tutti abbastanza disgustosi.

Dave faceva strage di grissini con burro all’aglio, Blaine lucidava con cura l’unico che aveva preso dal cestino e a Kurt era toccato guidare la conversazione.

 “-pensando seriamente di fondare una sezione a Lima,” disse inspirando e Dave sembrava pronto a concentrarsi su qualcos’altro che non fosse gettarsi interi cestini di pane dritto dritto in gola.

Era un’ottima cosa il fatto che Kurt aveva avuto tempo per abituarsi alle abitudini alimentari di Finn, altrimenti avrebbe potuto rimanerne realmente sconcertato.

Invece sorrise semplicemente e continuò a parlare. “Ne ho parlato con alcuni professori- il signor Schue, ad esempio e la signora Pillsbury, ma non penso che siano troppo eccitati al fatto di rendere la scuola la base della sede. Ok, la cosa è anche comprensibile. Ma penso che il PFLAG possa essere una buona cosa per il McKinley, ma non sono sicuro del contrario.”

Dave alzò le spalle, togliendosi il burro all’aglio dalle mani col tovagliolo, usando la delicatezza tipica di un qualsiasi ragazzo adolescente, tranne Kurt Hummel. “D’estate la squadra di hockey aveva preso l’abitudine di incontrarsi in quel posto sulla Derry Drive, vicino il centro commerciale? Il community center. Giocavamo sui rollerskaters nel campetto di basket per tenerci in allenamento. Facevamo schifo sui pattini, cazzo, era davvero imbarazzante.”

“E’ più facile sul ghiaccio?” domandò Blaine.

Dave sollevò le spalle. “Forse è per l’ istinto di conservazione. Il ghiaccio fa un male cane, cazzo, quando ci atterri sopra col sedere, forse puntavamo solo sulla nostra forza di volontà. Il punto è il ragazzo che gestisce il posto, Brian. E’ un po’ spaventoso come tipo, ma scommetto che potrebbe darti una sala una volta a settimana o quando vuoi.”

"Davvero?” Kurt si illuminò – la chiacchierata sul PFLAG era stata semplicemente la prima cosa che gli era venuta in mente come argomento di conversazione. Era rimasta un’ idea vaga nella mente di Kurt dalla prima volta che lo aveva menzionato a Dave nell’ufficio di Figgins lo scorso anno. “Sarebbe fantastico!”

Dave sorrise debolemente. “Amico, lo sai… è per questo che le comunità hanno dei community centers. Quel posto sarà probabilmente sull’elenco telefonico.”

“Non provare a imbarazzarmi, non sono molto per i dettagli pratici. Sono un sognatore.” Kurt fece un sorriso radioso a Blaine. “Credi che possiamo farcela? E’ Lima.”

Blaine rise. “Per quanto sia difficile da credere, l’intera popolazione gay di Lima non è seduta a questo tavolo. Dove ce ne sono due, ce ne sono altri. Dovreste solo iniziare con calma, tutto qui.”

“Grandioso. Io e Fancy seduti in una stanza a fissarci. Con del punch e piccoli cookies a forma di girandola. ”

“Team Arcobaleno!” Kurt sollevò un pugno accompagnandolo a una risata. “Sai, non ti avrei costretto. A farlo con me.”

Dave lanciò uno sguardo a Blaine. Scrollò le spalle. “Educazione, giusto? A parte ciò, sarebbe fantastico mettere questa attività su una domanda per il college accanto alle cose dello sport.”

Kurt sorrise.

Ma Blaine non lo fece. “Col rischio di sembrare sgradevole di nuovo… se vuoi fare questa cosa con Kurt, dovresti prenderla molto più sul serio. Sono stato a qualche incontro in posti differenti, le persone che vi si presentano di solito hanno bisogno veramente di aiuto. Non è un raduno sociale, è un gruppo di supporto.”

Dave lo scrutò. “Con me nel mio nuovo costume da clown. Penso di riuscire a gestire cose così serie, grazie.”

“Voglio solo essere sicuro che tu sappia a cosa andrai incontro,” replicò Blaine. “Voglio che lo sappiate entrambi. Se darete inizio al tutto, e deciderete di gestirla voi stessi, diventerete simbolo di qualcosa di più grande di voi due.”

Kurt annuì lentamente. “Lo so. E anche se penso di essere stato il manifesto vivente del ragazzo gay di Lima per la maggior parte della mia vita, so che questa è una responsabilità completamente diversa. Ma possiamo farcela.”

“Tu e Dave?”

Kurt lo fulminò immediatamente. “Blaine.”

Blaine scosse la testa e i suoi occhi erano ancora teneri e preoccupati, ma non aveva intenzione di mollare la presa. “Non sto scherzando, Kurt. So che le cose sono cambiate negli ultimi tempi, ma…” Guardò Dave, quasi con sguardo di sfida. “Tu hai bisogno di aiuto, non hai necessità di darlo alle altre persone. Non sei pronto.”

“Non avevo capito che avevo firmato per un dottorato di ricerca,” rispose Dave, a voce bassa. “Posso gestire le cose riguardanti l’organizzazione, comunque. Non sono cretino, cazzo.”

“Dai.”

"Blaine!"

“No.” Blaine guardò a malapena Kurt prima di appoggiarsi al tavolo, puntando un dito contro Dave. “Tu stai parlando di qualcosa che prendo molto sul serio e non riesci a finire una frase senza essere sacrilego o sarcastico. Solo poche settimane fa tu ci chiamavi ancora ‘checche’ o ‘femminucce’ e tutte quelle altre offese che tanto piacciono ai tipi come te. Ma hai mai detto almeno una volta le parole ‘Io sono gay’ ad alta voce?”

La mano di Dave si serrò attorno al suo bicchiere d’acqua. “Vai a farti fottere, ragazzino. Non sai un cazzo della mia vita.”

Blaine fece uscir fuori un sospiro esasperato. “So fin troppo riguardo la tua vita, Dave. Kurt non è capace di parlare di altro da settimane. Fidati, non sto provando a  sminuire ciò che hai passato. Non ho dubbi sul fatto che tu abbia vissuto una prospettiva del coming out che molte persone non hanno mai visto. Ma gestire un PFLAG non riguarda l’avere una storia da raccontare. Riguarda l’essere capace di aiutare gli altri che stanno vivendo delle cose sulla propria pelle. Riguarda il diventare più forte per sostenere le persone che ne hanno bisogno. Riesci a malapena a sederti in un ristorante se non hai l’incoraggiamento di Kurt.” Guardò Kurt come a volersi scusare con lo sguardo. “Mi dispiace, ok? Ma io ho avuto il PFLAG al mio fianco quando ho davvero avuto bisogno di qualcuno. Un paio di quegli incontri mi hanno cambiato l’esistenza. Non riesco a immaginare qualcuno che abbia bisogno di una guida, proprio come ne avevo bisogno io all’epoca, qualcuno che vada a un incontro e scopra…”

"Si, Sopracciglia? Scoprire cosa?”

Kurt scosse la testa verso Blaine prima che potesse guardare nuovamente Dave. “Smettila. Se tutto questo sta per trasformarsi in una lite, possiamo farla dopo allora.”

“No, Fancy. Lascialo parlare. Avete entrambi ragione, lo sai. Ovviamente io ho bisogno di essere educato, cazzo, e il ragazzetto dalla faccia pulita qui è l’unico pronto a sistemare le cose. ” Dave si sistemò sullo schienale, fissando Blaine con sguardo duro. “Quindi? Insegnami, professore.”

Blaine lo trafisse con lo sguardo. “Non ti permetterò di farmi diventare il cattivo in questa situazione. Non mi scuserò perché ho a cuore la prossima generazione di ragazzi spaventati che vorranno solo sapere che non c’è nulla di sbagliato in loro.”

“La finite entrambi?” Kurt guardò torvo tutti e due. “E’ una cosa importante per me, non voglio che la riduciate a un bisticcio meschino.” Rivolse uno sguardo feroce verso Blaine. “Basta. Ti sto dicendo di smetterla. Se insisti, ne parleremo dopo. Non qui, non in questo momento.”

Blaine scosse la testa, ma la fece cadere all’indietro e prese in mano il suo drink. “Bene.”

Lo sguardo di Kurt attraversò il tavolo.

Dave lo fissò. “Puoi incazzarti quanto vuoi, Fancy. Il tuo fidanzato è ridicolo.”

“Oh, andiamo.” Blaine si, guardando Kurt con rabbia rinnovata. “Sai cosa sto dicendo e sai che ho ragione! Se tu mi dicessi che vuoi che mi unisca a questi incontri, lo farò. Guiderò qui dalla Dalton ogni settimana e gli darò un passaggio se ne ha bisogno. Io sono a favore delle persone che educano se stesse. Sono contro il fatto che un bullo confuso e violento abbia improvvisamente scoperto l’umilità e si comporti come se tutto fosse cambiato!”

Kurt vide Dave con la coda dell’occhio. Il suo sguardo era furioso, ma sobbalzò a quelle parole.

“Non è nella posizione di aiutare qualcun altro, Kurt! Ha bisogno di un dottore, ha bisogno di capire se stesso. Non è utile a nessuno in questo momento e tu lo sai!” Blaine si avvicinò a Kurt, toccandogli la manica. “Se un ragazzo del genere fosse stato al mio primo incontro PFLAG, probabilmente avrei una ragazza adesso.”

“Blaine…” Kurt non riusciva a decidere se essere più infuriato o confuso, fluttuò tra entrambi gli stati d’animo e l’indecisione lo fece tacere.

Blaine si voltò verso Dave. “Ascoltami. Seriamente. Anche se tu non fossi profano e senza tatto, anche se tu fossi in grado di sembrare professionale per una sera a settimana… tu sei terrificante. Il solo fatto della tua esistenza e di ciò che ti è capitato spingerebbe immediatamente le persone a non dichiararsi.”

Tra un respiro e l’altro, Dave passò da una rabbia che lo feriva leggermente a… al nulla.

Sbattè le palpebre e, mentre lo fece, la sua espressione si svuotò, il rosso della rabbia svanì sotto il pallore. 

Fissò il bicchiere d’acqua che aveva stretto così tanto sul tavolo. Guardò Blaine e poi Kurt. “Cosa mi è capitato?”

La domanda era stata posta in modo piatto e quasi educato. Quasi come se Dave stesse genuinamente chiedendo, come se volesse sapere.

Kurt capì il tutto un istante dopo, nel battito del duro silenzio che era caduto tra loro. Capì che cosa stava per succedere e chiuse gli occhi.

“Cosa mi è capitato, Blaine?” domandò Dave dopo un momento, la sua voce ammorbidita. “Avrai sentito che mio padre mi ha cacciato di casa? Si, che schifo. E il mio amico, il mio miglior amico per otto fottutissimi anni, mi ha voltato le spalle. E’ stata una cosa abbastanza schifosa pure quella, ma lui è poi tornato da me in qualche modo, quindi… non chiamerei tutto questo terrificante.”

Kurt avrebbe dovuto chiudergli la bocca, doveva sollevare le mani e coprirgli la bocca cosicché  lui non avrebbe fatto cosa? Provare a rispondere? Non aveva niente da dire.

“Infatti,” disse Dave, “mi hai chiesto se avessi mai detto quelle tre parole? ‘Io sono gay?’ Bè, questo è quello che è successo le prime due volte che l’avessi mai detto. Mi chiedo se tu sappia già cosa mi sia accaduto la terza volta.”

Blaine lo sapeva. Lo capì benissimo. Guardò Kurt con sorpresa, delusione e fallimento tutto in un solo sguardo.

Kurt si limitò a scuotere la testa, le mani bloccate sulla sua bocca. Guardava Dave, desiderando disperatamente che tutto quanto terminasse. Desiderando tornare a dieci minuti prima, così non avrebbe mai tirato fuori l’argomento PFLAG. O a venti minuti prima, quando avevano appena litigato e poteva implorare perdono e magicamente atterrare dall’altro lato della cosa.

Gli occhi di Dave si spostarono da Blaine, che provò neanche a rispondere, a Kurt. Il vuoto si spezzò quando Kurt ricambiò lo sguardo e c’era qualcosa…

Dio, qualcosa di orribile. Qualcosa legato al tradimento.

Non aveva tradito Dave. Non lo aveva fatto. Aveva dovuto semplicemente dirlo a qualcuno. Doveva rendere il fardello più facile da trasportare. Non era tradimento.

“Tu sai,” disse Dave, e la sua voce era tremante. “Non sono riuscito a fermarli e non ce l’ho fatta a evitare che la Coach Sylvester lo sapesse quando mi ha trovato. Non sono riuscito a fare in modo che i dottori non prendessero i loro kit del cazzo e mi facessero i loro… i loro test. Non sono riuscito a impedire che la cosa girasse per la scuola come… come un pettegolezzo, cazzo. Questo… non riuscirò mai a…” si fermò, la testa che si muoveva freneticamente.

Kurt non era neanche in grado di respirare. Non era in grado di non guardare gli occhi di Dave, di guardare il profondo dolore in essi, un dolore così contagioso che lo fece star male a suo volta.

“Gesù, cazzo,” sussurrò Dave, come se tutto fosse così pesante per lui da non riuscire nemmeno a esprimerlo con la voce. Era così tranquillo. “Quest’unica cosa, cazzo. Sarebbe dovuta essere mia. Sarei dovuto essere stato capace di tenerla segreta.”

Kurt cercò di aprire la bocca, cercò di dirgli che era dispiaciuto, cercò di sussurrarlo, di mimare le parole con le labbra. Ma non riusciva a togliere le mani dalla bocca. Non riusciva a muoversi.

“Non ho mai voluto una cosa del genere.” Dave fissava Kurt, calmo e immobile ed ciò fu nettamente peggiore di qualsiasi urla e di qualsiasi lacrima. Si stava nascondendo. Non si era mai nascosto da Kurt prima di quel momento. “Sapete cosa c’è? Tutti e due…” il suo sguardo volò su Blaine. “Non voglio uno stile di vita, cazzo. Non voglio essere come voi. Voglio solo essere me stesso, cazzo, e stare bene.”

Kurt annuì- la sua paralisi gli permise di fare quel gesto, un annuire frenetico e muto, perché ovviamente Dave andava bene esattamente per come era. Kurt non voleva cambiarlo, voleva solo che la smettesse di nascondersi. Era tutto ciò che aveva sempre desiderato, e se fosse riuscito a farlo capire a Dave…

Ma non ce l’aveva fatta. Annuì fino a quando non ne poté più e a quel punto si sistemò in silenzio e immobile, semplicemente fissando Dave con le lacrime che gli cadevano sulle mani.

Blaine iniziò a parlare, e Kurt era così concentrato su Dave che sobbalzò quando si ricordò che c’era qualcun altro lì con loro.

“Kurt non vuole cambiarti, Dave. Odiami quanto ti pare, ma devi sapere che ho ragione. Vuole accettarti solamente per ciò che tu sei, vuole che tu sia a tuo agio con-”

Fanculo!”

Lo disse a voce così alta da immobilizzare l’intero ristorante e da far portare gli occhi di tutti sul loro tavolo.

Dave sembrò non notarlo. O forse era ormai oltre il fatto che gliene fregasse qualcosa. “Fanculo a entrambi. Sì, mi aspettavo una roba del genere da te, Blaine. Non ti importa molto di nascondere il fatto che tu sia una testa di cazzo che ama giudicare gli altri. Ma tu…” I suoi occhi si mossero di botto su Kurt.

Kurt si ritirò. Le mani gli caddero dalla bocca, ma non riuscì a spiccicare parola.

“Il fottutissimo re della tolleranza, ma avrei dovuto saperlo, cazzo. Dall’inizio, dal momento in cui hai scoperto che ero gay, non mi hai dato possibilità. Non ero un gay perfetto per i tuoi canoni, non ero dichiarato e non saltellavo per i corridoi come facevi tu. Non hai avuto nessun’altra cosa da dirmi che non fosse ‘fai coming out’ fino a quando il mio segreto è svanito, cazzo. Avrei dovuto saperlo e… e possono andare a farsi fottere te, le tue uscite per lo shopping e  la serata fuori assieme alla coppietta felice perché non esiste che io possa essere un gay decente per conto mio senza una coppia di froci effemminati del cazzo che mi insegnino le cose giuste da fare.”

“Ehi!” Blaine prese la parola all’istante. “Non hai alcun diritto di parlargli così-”

Dave si mosse improvvisamente, spingendosi alla fine del tavolo e tirando via i piedi. “Non preoccuparti, non ho nient’altro da dirgli.” Dopodiché si fermò, ridusse i suoi occhi a due fessure e si voltò verso Kurt. “No, c’è ancora un’altra cosa.”

Blaine aprì bocca per opporsi.

Kurt gli si avvicinò e gli prese il braccio per fargli evitare di parlare. Fu la prima cosa razionale che fu in grado di fare.

Dave guardò prima Blaine, poi Kurt. Inspirò e sibilò la frase tra i denti. “Se non fosse stato per te, probabilmente sarei morto adesso,” disse.

Kurt scosse la testa, sapeva che era vero, era a conoscenza dei flaconi di pillole e della disperazione di Dave.

“Ma non ho mai incontrato qualcuno che mi abbia fatto sentire a disagio con me stesso più di te.” La rabbia di Dave sparì, svuotata o spinta e nascosta da qualche parte. Kurt era lì, seduto, testimone dell’esatto momento in cui Dave aveva ricomnciato a ricostruire il proprio muro o qualsiasi altra cosa potesse innalzare partendo dalle schegge distrutte provenienti dalla sua precedente barriera.

Lo sguardo di Dave scivolò su Blaine. “Capisco perché tu sia venuto qui,” affermò risolutamente. “Ma non devi più rimanere. Ho smesso di provare a essere qualcuno che non sono.”

Blaine annuì una volta sola, bruscamente, e rivolse uno sguardo duro a Dave mentre quello si voltava dall’altra parte.

Kurt non riuscì a muovere un muscolo per fermarlo. Nessuno. Tutto gli stava franando attorno, e come avrebbe potuto fermare tutto quanto quando era tutta colpa sua?

Non poteva.

Tutto ciò che riuscì a fare fu guardare Dave andar via. 


Note di traduzione:
(*) i Boston Bruins sono una squadra di hockey che gioca nella National Hockey League statunitense.
(**) il termine originale è "redneck" che indica in modo dispregiativo chi vive nel sud, abbiamo pensato che tradurlo come campagnolo sarebbe stato più appropriato.
(***) "Ma no" in francese.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. ***


Beta Reader: Kurtofsky
 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 23 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/23/The_Worst_That_Could_Happen


Guardò Dave andare via.

Era quell'artiglio dentro di lui, quella mano scheletrica nel suo petto che si stringeva sempre di più ad ogni respiro che faceva. E non era come se ci fosse stato qualcosa che avrebbe potuto dire. Non era come se fosse stato congelato, perchè non lo era. Non c'era assolutamente nulla che potesse fare in quel momento.

Dave uscì e le persone che li stavano ancora guardando a causa del suo eccesso d'ira tornarono tranquillamente ai loro tavoli, guardandosi con quei sorrisi che sembravano voler dire 'non vorrei mai essere nei panni di quei ragazzi' che c'erano sempre quando qualcuno perdeva la ragione in pubblico.

Blaine si voltò verso Kurt ad un certo punto; Kurt sentì i suoi occhi su di lui, anche se non riuscì ad alzare la testa per guardarlo. Sarebbe stato un lusso, un premio, lasciarsi andare a guardare qualcosa. Lasciare che Blaine o qualunque altra cosa sostituisse il ricordo dello sguardo completamente tradito che aveva scorso nei vibranti occhi nocciola di Dave.

Quell'immagine bruciava in modo così profondo nel suo cervello che aveva paura potesse essere permanente.

Non c'era nulla da dire, perchè Dave se n'era andato. Niente da fare, perchè aveva fatto tutto Kurt. Tutto ciò per cui era furioso Dave, era colpa di Kurt. Non c'era alcuna incomprensione, nessuno che saltava a conclusioni affrettate. Nessun tipo di scenario alla Hollywood in cui uno dei due avrebbe fatto roteare gli occhi e tutto sarebbe tornato alla normalità in quindici minuti netti.

Kurt era semplicemente colpevole.

"Kurt?"

Non voleva guardare Blaine, ma lasciò che il suo corpo lo facesse.

Blaine lo studiò preoccupato. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma esitò. Alla fine con un sospiro, fece un cenno con la testa nella direzione in cui se ne era andato Dave. "Non è venuto qui in macchina."

Kurt strizzò gli occhi a quella affermazione, senza capire a cosa Blaine si stesse riferendo.

Fino a quando, finalmente, capì. Poi furono solo gli ottimi riflessi di Blaine che gli impedirono di venir travolto da Kurt mentre cercava di alzarsi dal suo posto a sedere.

Corse diretto verso l'uscita, prendendo la via più corta in mezzo ai tavoli del locale, e in un lampo fu fuori a guardarsi intorno. Dave non c'era. Non era lì fuori ad aspettare un taxi furioso, non era una figura distante con le spalle strette pronto a una lunga, lunghissima camminata.

Dave non c'era.

Kurt raggiunse la sua Escalade, accese il motore e in un attimo stava facendo retromarcia per uscire dal parcheggio quando la porta del passeggero si aprì e Blaine salì in macchina.

"Dovevo pagare," disse, come se Kurt avesse risparmiato un singolo pensiero per immaginarsi perchè ci aveva messo tanto.

Kurt ingranò la marcia, e la Escalade sbandò in avanti quando il suo piede lasciò il pedale. Il marciapiede grattò contro la parte inferiore della ruota e Kurt imprecò sottovoce mentre cercava di fare retromarcia nel modo giusto.

Il suono di un clacson fu tutto ciò che impedì a Kurt di uscire dal parcheggio senza neanche guardarsi indietro, e quando afferrò il volante e aspettò che qualche madre indignata in una Camry lo superasse, l'unica cosa che riuscì a fare fu guardarsi le mani.

"Kurt. Parcheggia la macchina."

Lanciò uno sguardo tagliente a Blaine.

Blaine aveva già la portiera della macchina aperta, ma si fermò a metà strada e lo guardò serio. “Lasciami guidare. Hai provato a chiamarlo?"

Kurt non diceva spesso parolacce, non era la sua reazione automatica per la maggior parte delle situazioni, ma dovette soffocare alcune delle parole che non erano esattamente la sua prima scelta di solito. Parcheggiò e traslò sul sedile del passeggero, prendendo il cellulare e nello stesso tempo quasi aggrovigliandosi nella cintura di sicurezza.

Cliccò sul nome di Dave e chiuse gli occhi, ascoltandolo squillare mentre Blaine finalmente metteva in moto la macchina.

"Yo, Dave qui. Lasciate un messaggio."

Kurt riagganciò e rimase a fissare la foto di Dave nel piccolo quadrato sotto il suo nome. Ci cliccò di nuovo sopra, coprendosi l'altro orecchio con la mano mentre il telefono squillava.

"Yo, Dave qui. Lasciate un messaggio."

Riattaccò. "Dannazione." Guardò la strada lungo la quale stavano viaggiavano lentamente, ed una ad una le macchine dietro di loro cominciarono a superarli irritate. "Lo vedi?"

"No. Questa parte della città non è molto trafficata da pedoni," disse Blaine, aggrottando le ciglia nel guardare fuori dal finestrino mentre continuava a viaggiare lento. "Faccio il giro e torno indietro."

Kurt cliccò di nuovo sul nome di Dave. Socchiuse gli occhi e guardò nel fascio di luce dei fari davanti a sé. Una madre che spingeva un passeggino lungo il marciapiede era l'unica cosa che si vedeva davanti a loro.

"Yo, Dave qui. Lasciate un-"

Grugnì e disconnesse la chiamata. Dove sarebbe potuto andare Dave? Il suo veicolo era a casa loro e Kurt era stato l'unico che l'aveva portato in giro in quelle ultime settimane, tranne quando Finn...

Cominciò subito a far scorrere la lista dei contatti, diede un colpo secco all'icona di Finn che lo guardava con il suo solito sorriso blando e si portò il telefono all'orecchio.

"Hey, bello!"

"Finn! Dave ti ha chiamato?"

"Chi? Karofsky? Perchè avrebbe dovuto chiam-"

Era tutto ciò che Kurt aveva bisogno di sentire per riattaccare. Fece scorrere quel paio di nomi che c'erano tra il contatto di Finn e quello di Dave e cliccò di nuovo il suo nome.

"Quello non...no." Gli occhi di Blaine erano fissi su una figura distante che attraversava la strada. Ovviamente troppo magra e piccola. E asiatica.

Kurt lanciò uno sguardo alla figura distante.

"Yo, Dave qu-"

Riattaccò, frustrato.

"Kurt, lo troveremo. Calmati."

Calmarsi. Se Kurt non fosse stato totalmente incapace di ridere in quel momento, avrebbe riso. Fissò il suo inutile telefono, desiderando sentirlo squillare.

Aveva lasciato che Dave andasse via. Dio, come se avesse avuto bisogno un altro colpo del genere, aveva lasciato che Dave se ne fosse andato senza una macchina, un passaggio o qualsiasi cosa, e non era neanche riuscito a rendersene conto finchè Blaine non glielo aveva fatto notare.

Blaine si fermò per fare retromarcia e tornare indietro per continuare a cercare dall'altra parte. Mentre aspettavano che la luce del semaforo a cui si erano fermati cambiasse colore, guardò Kurt. Uno sguardo veloce, poi più intensamente. Alla fine disse la cosa sulla quale stava senza dubbio esitando.

"Non dovrebbe parlarti in quel modo."

Kurt si voltò verso di lui, la forza con cui avrebbe voluto urlargli 'COSA?' in risposta rimbombò così tanto dentro di lui da farlo quasi scuotere.

Blaine tornò di nuovo a guardare il semaforo. "So che è arrabbiato. Ma usare parole come quella..." Scosse la testa. "Non è cambiato, e mi preoccupa. C'è ancora così tanta rabbia dentro di lui, e non sa come metterla a tacere, e-"

"Blaine." Kurt tornò a fissare il suo telefono. "Dovresti davvero smetterla di parlare."

Blaine non rispose.

Kurt non riuscì a guardarlo, non voleva vedere se Blaine era arrabbiato o preoccupato. Non poteva lasciare che tutta la sua rabbia si sfogasse su di lui, perchè non era giusto. Non era Blaine quello da biasimare. Dave e Blaine avrebbero potuto passare l'intera serata a stuzzicarsi e probabilmente ne sarebbe stato contento.

Kurt era quello che aveva rovinato...Dio, quanto? Tutto? Non la giornata, o il fine settimana, ma ogni momento che aveva trascorso con Dave da quando aveva svoltato l'angolo negli spogliatoi e aveva visto macchie rosse e asciugamani sporchi?

Tutto. Ed era così tanto. Settimane, ed ogni cosa successa durante quelle settimane. Il sorprendente verde negli occhi di Dave, le battute sulla loro professoressa di inglese e i suoi gatti. Il chiudere gli occhi nel bel mezzo di una mensa affollata perchè una voce divertente nel suo orecchio glielo aveva chiesto.

Se ne era andato tutto? Come era possibile che se ne era andato tutto? C'era così tanto, e quella cosa era stata... stata così veloce, e così semplice, e...

"Aveva ragione," disse fissando il suo cellulare. "Tutto ciò che ha detto. Sarebbe dovuto essere in grado di tenersi i suoi segreti, e non ha neanche avuto quella possibilità. Avrebbe dovuto decidere lui a chi dire quella cosa, e io..."

"Kurt, puoi condividere i tuoi problemi con il tuo ragazzo quando hai bisogno di aiuto o consiglio. Anche se quei problemi riguardano qualcun altro."

Kurt rise, asciutto e pungente ed era come tossire segatura. "Ci sono dei limiti, Blaine. Cristo."

"Forse, ma...Kurt."

Blaine fece una pausa, aspettò, e con una parvenza di fastidio Kurt lo guardò, perchè sapeva cosa Blaine stava aspettando.

"Ti conosco," disse Blaine, incontrando gli occhi di Kurt giusto per un momento prima che le luci diventassero verdi e dovette far ripartire la macchina. "Non mi avresti detto nulla se non avessi avuto bisogno di dirlo a qualcuno. Dave lo capirà."

Kurt guardò il suo cellulare. Cliccò di nuovo il nome di Dave e diede le spalle a Blaine mentre lo sentiva squillare.

"Yo, Dave qui. Lasciate un mess-"

Riagganciò, ma all'improvviso cambiò idea e lo richiamò. Quella volta aspettò il beep e chiuse gli occhi mentre parlava. "Mi dispiace. Ti prego chiamami."

Fu tutto ciò che riuscì a dire. Riagganciò e appoggiò il telefono sulle gambe. "Aveva ragione anche su tutte le altre cose. Ho la mente stretta esattamente come tutti gli altri. Pretendo che tutti nella mia vita mi accettino per quello che sono, e poi vado dietro a Dave con questi stupidi e insensati commenti su come lui non sia... come dovrebbe essere diverso da come è se vuole essere gay."

Aveva fatto sentire Dave male con se stesso. Aveva fatto sì che Dave si sentisse peggio con se stesso di qualunque altra persona che avesse mai conosciuto. Dave, con suo padre che l'aveva cacciato di casa come spazzatura per non essere stato il perfetto figlio americano. Con il migliore amico che gli aveva voltato le spalle dopo otto anni di amicizia – anche se solo temporaneamente – perchè Dave era stato all'improvviso onesto con lui.

Quelle erano le uniche due persone con le quali Kurt poteva essere messo a confronto, e Kurt contro di loro perdeva. Kurt aveva fatta sentire Dave peggio riguardo se stesso di...

"Dio, quando penso..." Scosse la testa, guardando fuori dal finestrino anche se era consapevole del fatto che non sarebbe riuscito a intravedere Dave. "L'ho ferito, Blaine."

"Sei un essere umano. Le persone si feriscono, anche con le migliori intenzioni."

"Ho ferito Dave," enfatizzò Kurt guardando il profilo di Blaine mentre lui guidava. "Non capisci che non è... non è accettabile. E no, sai cosa? Tu non devi dire assolutamente niente riguardo tutto ciò, perchè aveva ragione anche su di te. Tu sei portato a esprimere giudizi affrettati e puoi essere uno stronzo."

La testa di Blaine si voltò per un attimo prima di tornare a guardare la strada. "Tu non mi hai mai detto che Dave non sapeva che io sapevo cosa gli era successo."

"Non sto parlando di quello." Kurt lo guardò accigliato. "Ti ha detto che avrebbe potuto fare altre cose per il gruppo, per il PFLAG. Le cose organizzative. E tu l'hai ignorato per urlargli di persone traumatizzate. Dave non aveva neanche intenzione di sedersi di fronte a un gruppo di persone e comportarsi come se avesse avuto le risposte a tutte le loro domande. Dio, Blaine, hai detto a un ragazzo terrorizzato che ha visto il suo nascondiglio demolito intorno a lui che potrebbe spaventare le persone se si presentasse a un incontro di supporto. Una cosa del genere come un può essere definita da stronzo?”

Non voleva essere arrabbiato con Blaine, ma... lo era. Era arrabbiato con se stesso, e con Blaine, e pure con Dave, un pochino, anche se sembrava un altro piccolo tradimento.

"Non avrei dovuto dirlo," disse Blaine dopo un momento. "Ma rimango della mia opinione che lui non appartiene a un gruppo del genere. Non ancora. Kurt, quando si è arrabbiato e non sapeva come esprimere un sentimento del genere, ci ha chiamati checche effemminati. Questo tipo di comportamento è come veleno, e non mi scuserò per non volerlo vicino a persone che hanno bisogno di aiuto."

"Non ti ascolti neanche," realizzò Kurt fissando Blaine. "Ti importa così tanto di quelle spaventate persone senza nome che non riesci neanche a vedere che Dave è una di quelle. Vuoi proteggere qualche futuro te da Dave, quando lui è stato cacciato di casa e ha perso tutto quello che aveva perchè è gay. E' stato attaccato per quello, Blaine. Si odia per quello, e tu pensi che il mostro sia lui."

Era discordante, e persino allarmante. Blaine aveva l'abitudine di aiutare le persone, l'abilità di trovare i cuccioli smarriti in una folla e sapere esattamente di cosa avevano bisogno. Era stato un fattore così importante nella vita di Kurt, una mano che potesse guidarlo e una voce di incoraggiamento, che era scioccante vederlo così cieco nei confronti di una persona che avrebbe avuto bisogno del suo aiuto.

"Questo.." Guardò accigliato Blaine, ed era il suo ragazzo. Gli stessi capelli impeccabili e stilosi e la sua espressione dolce e i suoi occhi altruisti. Ma era uno sconosciuto. Era un uomo che poteva guardare qualcuno di ferito in maniera così pesante come era Dave e ignorarlo completamente. Quello non era Blaine. Quello era un lato di Blaine del quale non voleva sapere l'esistenza.

Deglutì. "Questa cosa tra te e Dave. Non si tratta di personalità contrastanti, o risentimento riguardo come mi trattava. Tu lo odi davvero."

"No." Blaine rispose subito con convinzione. "No, non lo odio. Non credo nell'astio, Kurt."

"E allora cos'è? Perchè non riesci ad ascoltarmi mentre ti prego di dargli una possibilità?"

Blaine si lasciò scappare un sospiro. Sembrò esitante, ma guardò nella direzione di Kurt e aprì la bocca per rispondere.

'I'll never talk again/oh, boy, you've left me-'

Kurt prese al volo il telefono, rispondendo senza neanche leggere il nome sul display. "Dave?"

"Cosa cazzo hai fatto, Hummel?"

"Santana?" La sua iniziale delusione durò solo un istante. "Hai sentito Dave? Dov'è, cosa-"

"Sta bene, Z lo sta portando qui. E se entra in casa mia sconvolto come era al telefono dovrai fare i conti con me, mi sono spiegata?"

Kurt si accasciò al sedile. Il sollievo si scontrava contro la più grande preoccupazione, e non riuscì a trovare una risposta.

Ma la chiamata si interruppe nel suo orecchio qualche secondo dopo comunque. Si lasciò scappare un sospiro e appoggiò il telefono sulle gambe.

Guardò Blaine, il suo tono di voce calmo. "Andiamo a casa."


Non si dimenticò della conversazione che avevano iniziato in macchina. La casa era scura e calma quando tornarono, il sole era tramontato ma era ancora presto per un sabato sera. Nessuno era a casa, il che voleva dire che poteva trascinare Blaine al piano di sopra, chiudersi nella sua camera senza venire distratto dalle domande alle quali voleva che rispondesse.

"Dimmi perchè lo odi."

Blaine andò sul letto di Kurt e si sedette con un sorriso. "Te l'ho detto, io-"

"Se non è odio ci assomiglia davvero tanto," ribattè Kurt.

Blaine lo guardò accigliato.

Kurt non si lasciò influenzare – guardò lo sguardo stanco sul volto di Blaine e lo rivide da Breadstix mentre tamburellava le dita sul tavolo e diceva a Dave che avrebbe fatto tornare le persone nell'armadio.

Affrontò Blaine con tutta la cocciutaggine di cui era capace, e non era poca. "Sai perchè è furioso? Perchè io ti ho detto che è stato violentato. Ed è per quello che io sono furioso, Blaine. Perchè tu sai cosa è successo. E' stato violentato. E' stato lanciato sul pavimento dello spogliatoio delle ragazze e tenuto fermo, e lasciato lì nudo e sanguinante finchè qualcuno non lo ha trovato. Cosa fa di lui un mostro? Come puoi guardarlo con così tanto disprezzo quando sai cosa è successo?”

Blaine scosse la testa. "Non puoi semplificare le cose in questo modo, Kurt. Non è onesto. Sì, Dave è stato ferito, in modo grave. Ma ciò non gli da il permesso di essere crudele. Non gli da il permesso di camminare sopra le persone, dirti parolacce e chiamarti con nomi brutti quando tu hai solo cercato di aiutarlo."

Kurt trattenne un respiro, e poi lo lasciò andare. Rispose lentamente. "Amo il fatto che la maggior parte delle volte ai tuoi occhi io non faccia nulla di sbagliato, ma... Blaine. Dimenticati per cinque minuti che sono il tuo ragazzo. Hai così tanta empatia verso tutti, tienine un po' per Dave. Se lui fosse uno di quei ragazzini spaventati che si presentano a un incontro del PFLAG, se lui riuscisse a raccontare tra un singhiozzo e l'altro che la sua famiglia lo ha cacciato a di casa, che i suoi amici lo hanno tradito, che un manipolo di omofobi lo ha violentato... se ti dicesse che ogni tanto si arrabbia così tanto che perde il controllo, lo odieresti allo stesso modo? Se ti dicesse che l'unica persona con cui si confida è andata a raccontare i suoi segreti al suo ragazzo, cosa penseresti?”

Blaine non guardò Kurt mentre finiva il suo discorso. Il suo sguardo era disperso a metà strada, le sopracciglia corrugate. Sembrava... pensieroso, forse, ma non così tanto come Kurt avrebbe voluto. C'era qualcos'altro nel suo sguardo spento. Qualcosa di insolito, rassegnato.

Blaine sospirò e guardò il pavimento.

Kurt si accigliò, sicuro che non ci sarebbe stata una risposta. Era così vicina alla superficie che riusciva quasi a vederla, la forma delle parole nel sospiro di Blaine. Si sedette sul letto accanto a lui. Aspettando.

"Kurt...Dio." Blaine tirò la testa indietro, afflitto. "Lui ti ama."

Kurt aprì la bocca per dire 'chi?', perchè quella sembrava davvero una incredibile sciocchezza.

Le parole non gli uscirono dalle labbra.

Blaine gli lanciò uno sguardo e annuì a qualunque cosa ci fosse stata sullla faccia di Kurt, come se se lo fosse aspettato. "Se non ti conoscessi bene, penserei che tu stia fingendo di essere sorpreso. Ma credo che ognuno ha i suoi punti ciechi, e per qualche strana ragione, questo è il tuo." Sorrise debolmente, tornando a guardare il pavimento di fronte al letto. "Penso che quando hai deciso che ti piacevo e abbiamo iniziato a frequentarci, hai considerato l'argomento completamente stabile. Non ti guardi mai intorno, e non noti mai i ragazzi che ti guardano."

All'improvviso la sua camera sembrava davvero minuscola. Kurt scosse la testa, perchè ancora gli sembrava di non riuscire a trovare la voce.

"Fidati di me," continuò Blaine, con tono gentile, "Non è un discorso da geloso. Tutti sembrano aver capito cosa sta succedendo, tranne te."

Mercedes, e suo padre. Quella cosa che continuavano a dirgli, quella cosa gigantesca riguardo alla quale sembrava così incredulo quando diceva di non capire a cosa si stessero riferendo.

"Per l'amor del cielo, Kurt. Mi hai detto che ha una playlist sul suo iPod con il tuo nome. Questa non è una cosa che un ragazzo come lui crea per un amico."

Kurt riuscì a immaginarsi migliaia di momenti diversi, un centinaio di sguardi e sorrisi e battute e gomitate. Il modo in cui il sorriso di Dave era così tenero che Kurt non poteva fare a meno di guardarlo. Il modo in cui diceva Fancy e Kurt riusciva a carpire l'affetto in quel soprannome. I segreti che condivideva con lui. Il suo risentimento nei confronti di Blaine, la sua pazienza con Kurt.

Il modo in cui stringeva la mano di Kurt così stretta dopo un incubo. Il modo in cui guardava Kurt con occhi spaventati se lui dava segno di andarsene prima che si fosse addormentato. Come messaggiava con lui quando era a scuola se la casa sembrava troppo calma. Il modo in cui ridacchiava nell'orecchio di Kurt , profondo e privato, quando decideva di chiamarlo invece di mandargli messaggi.

Il tradimento nei suoi occhi quando aveva saputo che aveva detto il suo segreto a Blaine.

Avrebbe voluto scuotere la testa per dissuadere Blaine, per dire che non aveva senso. Ma lo aveva invece. Voleva provare a negarlo anche nella sua mente, dire 'Ovviamente Dave non mi ama, perchè...'

Ma non c'era una fine per quella frase. Non c'è un perchè.

Burt era preoccupato riguardo Dave, e aveva visto che Dave teneva a lui, lo aveva avvertito che non era il caso portare il suo fidanzato lì con loro. Mercedes aveva visto che a Dave piaceva Kurt, ma a lei piaceva Blaine, quindi gli aveva detto che era un'ottima idea.

Blaine aveva visto che a Dave piaceva Kurt, quindi era stato d'accordo nel venire a Lima così in fretta che non era neanche riuscito a finire la domanda. Aveva fatto tutto il viaggio appiccicato a Kurt e a lanciare occhiate a Dave. Ecco perchè non poteva dare una possibilità a Dave. Ecco perchè non riusciva a vedere le volte in cui Dave era gentile con loro, o persino a suo agio.

Ecco perchè Dave stava così male per la presenza di Blaine lì. Ecco perchè non poteva sopportare di vedere Kurt e Blaine che si baciavano o si tenevano per mano. Non era perchè non era a proprio agio con una coppia gay. Era perchè lui...

Amava Kurt.

Neanche un 'a lui piaceva' Kurt. Neanche qualcosa di vago tra il: a lui non 'piaceva piaceva' Kurt o gli piaceva 'in quel modo'. Lui amava Kurt. Era chiaro a tutti. Era così chiaro che Blaine lo aveva chiamato amore.

"Perchè non..." Kurt fissò Blaine e il suo profilo teso, ma la sua mente gli mostrò un migliaio di momenti di cui lui non faceva parte. "Se tutti sapevano, perchè nessuno me l'ha detto? Io sto...noi stiamo cercando di uscire da questo... questo orribile... Sto cercando di farcelo uscire, e nessuno... non pensavate che io avrei dovuto sapere?"

"No," rispose Blaine calmo e a bassa voce. "Quando ho realizzato che tu non onestamente non lo vedevi, ho sperato che non l'avresti mai fatto."

"Perchè? Dio, Blaine, hai idea di quanti danni avrei potuto..." Non riusciva a parlare; quella cosa gigante dentro di lui era troppo grande per scappare.

Blaine lo guardò, e le sue spalle sembrarono crollare. Blaine, che era sempre sostenuto e formale e perfetto, sedeva tutto curvo in una posizione innaturale come se non riuscisse a sopportare di stare seduto dritto.

Ma Blaine, sebbene tutti i suoi difetti, era sempre stato aperto e onesto con Kurt. Quando parlò in quel momento, la sua voce sembrava piena di dolore, e Kurt non dubitò che le sue parole fossero vere: "Quando parli di Dave mi terrorizzi."

Kurt trattenne il fiato. Si ricordò della confessione di gelosia di Blaine il sabato prima, seduti nel loro ristorante abituale mentre si tenevano per mano. Quando Kurt aveva messaggiato tutto il tempo con Dave.

"E' tutto così dolorosamente ovvio riguardo Dave... qualche volta quando parli di lui quelle cose vengono alla luce anche su di te, Kurt, e Dio. Perchè avrei dovuto farti notare una cosa del genere? Perchè avrei dovuto renderti conscio di ciò?"

Kurt non riuscì a rispondere.

Tutto ciò a cui aveva appena pensato – tutti i sorrisi che gli aveva fatto Dave o le battute che faceva o le risate al telefono – si vide all'improvviso dall'altro capo di tutto ciò. Sorridere di rimando, ridere, arrossire per il modo in cui la risata di Dave sembrava farlo rabbrividire al telefono e diffondersi per tutto il suo corpo. Il modo in cui non riusciva a lasciare Dave dopo un incubo finchè non era sicuro si fosse addormentato. Come non era mai stato così fiero di se stesso come quelle volte che aveva salvato Dave dall'affanno, dal dolore e dalla rabbia.

La furia innaturale che aveva sentito per le persone che avevano ferito Dave – i poliziotti, quella psichiatra. Se stesso.

Blaine aveva detto che era un suo punto cieco; Kurt aveva sempre pensato di essere semplicemente felice. Era sempre felice con Blaine. Si era innamorato così tanto di lui, in modo così veloce, e... come Blaine aveva detto, una volta che anche lui aveva iniziato a ricambiare quei sentimenti, la questione si era chiusa nella mente di Kurt.

Era stata quel po' di semplice felicità al quale Kurt si era aggrappato quando tutto nella sua vita si era oscurato ed era diventato complicato.

Guardò Blaine.

Lo stava studiando, guardando attentamente tutte le espressioni che passavano sul volto di Kurt. C'era una ferita reale e visibile negli occhi di Blaine, e sebbene tutto gli sembrava incerto, Kurt era sicuro di non voler vedere quel dolore sul suo volto.

Ma quando parlò rese le cose peggiori. "Non so come rispondere a questo," disse, sussultando alla fragilità di quelle parole.

Blaine annuì, quasi coprendo un sussulto. "Mi sono detto che c'era una possibilità che tu avessi riso e avessi negato fino alla morte. Persino nella mia testa sembrava una cosa assurdamente speranzosa."

Kurt sorrise e sentì un pizzicare negli occhi come se avesse voluto piangere. "Io amo te."

Blaine ricambiò il sorriso. "Non dubito di ciò neanche nella mia testa."

E fu lì che rimase. Quello era tutto ciò di cui potevano essere sicuri.


L'intero mondo di Kurt era diventato quella immensa nuvola di incertezza. Nemmeno Blaine era più solido come una roccia accanto a lui. Era orribile e...agitato pensare che avrebbe potuto fare un passo in una delle dozzine di direzioni e la nebbia condensarsi in una dozzina di possibili percorsi.

Le due cose di cui era sicuro, le uniche cose alle quali si poteva permettere di pensare con certezza:

Uno: che doveva portare Dave a casa e fare ammenda come poteva. Doveva fare qualcosa e tutto ciò che era necessario per assicurarsi che la fiducia di Dave in lui non fosse scomparsa completamente. Era incrinata in quel momento, non aveva dubbi. Una gran bella crepa. Ma avrebbe potuto ripararla, e lo avrebbe fatto. Non c'erano altre alternative, semplicemente. Non c'era alcun senso di orgoglio o egoismo o rassegnazione che avrebbe potuto sopraffare la sua determinazione, non riguardò a ciò.

E due: la prima cosa che avrebbe dovuto fare la mattina dopo, sarebbe stato dire a Blaine di andarsene. Era ciò che aveva promesso a suo padre, che se Blaine avesse fatto più danni che aiutato, doveva andarsene. La ragione per cui Blaine stava rendendo le cose difficili però, non era ciò che Kurt aveva sospettato quando aveva stretto quella promessa, ma non c'erano dubbi sul fatto che la sua presenza stava rendendo le cose più complicate. Kurt avrebbe dovuto svegliarlo con la valigia già pronta e avrebbe dovuto fare del suo meglio per non far sì che Blaine pensasse che era per quello che gli aveva detto quella sera.

Quelle due cose erano chiare, e assolutamente tutto il resto non lo era.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 24 -
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La mattina dopo, Blaine non fu affatto felice quando il discorso saltò fuori.

“Sto provando,” disse, seduto sul letto di Kurt con lo zaino preparato accanto a se, “a non vederla come se tu stessi scegliendo lui a me. Ci sto davvero provando.”

Kurt scrollò le spalle – non aveva dormito bene, ed era preoccupato per Dave, e amava Blaine ma non poteva avere una conversazione come quella ore dopo aver scoperto che il suo nuovo amico avrebbe potuto avere dei sentimenti per lui.

“L'ho promesso a mio padre,” affermò semplicemente, anche se non era servito spiegarlo a Blaine la prima volta pochi minuti prima.

Blaine scosse la testa e afferrò lo zaino. “Sai… sono solo un po’ ferito ora, e forse potrei andarmene e non dire niente, in caso lasciassi parlare le mie emozioni per me, ma..” lo guardò storto. “Vorrei che ti prendessi la responsabilità per qualcosa qui, Kurt."

Kurt si accigliò.

“Dai la colpa alle altre persone per non averti detto cosa prova Dave, quando è così ovvio che io stesso lo sapevo solo sentendoti parlare di lui. Dai la colpa a me per aver rovinato le cose l’altra notte, quando sei tu quello che vuole che me ne vada in modo che  le cose possano tornare come erano prima, perché a te piace che lui ti guardi come se fossi.. qualche sorta di risposta per lui. Una salvezza. Vuoi che la cosa continui anche ora, ma non puoi più dire di non capire i sentimenti dietro tutto ciò.”

Si avvicinò a lui, e l’unica cosa che trattenne Kurt dal dire qualcosa era che la rabbia sul viso di Blaine non era abbastanza da coprire il dolore nei suoi occhi.

“Vuoi che io sia il tuo sicuro fidanzato a due ore di macchina da qui, cosicché tu possa fare l’eroe, e Dave possa continuare ad amarti e tu abbia me come scusa per non fare nulla al riguardo.” Blaine scosse la testa, mettendosi lo zaino sulla spalla. “Hai detto a tuo padre che se avessi peggiorato le cose mi avresti chiesto di andarmene. Ma non ho peggiorato nulla qui. Quest’intera cosa è stata una tua idea, ed è colpa tua se ti è scoppiata in faccia. L’unica cosa che ho fatto è stata essere esattamente chi sono – il tuo ragazzo, l’unica persona a cui è permesso di diventare gelosa e protettiva quando inizi a lanciarti verso un altro ragazzo.”

Superò Kurt andando verso la porta, e Kurt avrebbe voluto raggiungerlo per fermarlo, ma non ci riuscì.

“Non puoi averla in tutti e due i modi,” disse Blaine piano da dietro di lui. “Non è giusto nei miei confronti, o in quelli di Dave. Se non si merita le mie ramanzine sul PFLAG, allora non si merita decisamente i tuoi messaggi confusi. Specialmente ora che non puoi più far finta di non capire.”

Kurt stava in piedi silenziosamente, consapevole di Blaine sull’uscio dietro di lui, in attesa. “Cosa vuoi che dica?” domandò finalmente, la sua stessa voce così sommessa da sembrare strana anche a lui.

Blaine gli rispose chiaramente, senza esitazione. “Niente. Voglio che ci pensi. Se non provi altro che senso di colpa e amicizia con Dave, ha bisogno di saperlo in modo che abbia possibilità di superare i suoi sentimenti. E se provi qualcosa di più per lui, allora merito di saperlo, giusto?”

Kurt avrebbe voluto far tornare Dave a casa per essere sicuro che stesse bene, cosicché potesse iniziare a rimediare ad un po’ del danno che aveva fatto. Non voleva un milione di pensieri confusi nella sua testa che glielo impedissero e si mettesse in mezzo tra lui e il suo obiettivo.

Ma Blaine era sempre stato onesto, e  aveva sempre avuto un sovrasviluppato senso di giustizia.

Inoltre... aveva ragione.

La sua reazione a quello che gli aveva detto Blaine la notte prima.. non aveva ancora iniziato a pensarci, e poteva continuare a non pensarci e a sospendere le sue reazioni per quel tanto che bastava finchè non ci sarebbe stato qualcosa in giro a distrarlo. Non era giusto per nessuno tranne che per Kurt, e Kurt.. era la parte meno importante di quella equazione. Era il catalizzatore, colui che azionava tutto. Dave era innocente. Blaine era innocente. Kurt era colpevole.

Così semplice, giusto?

Quando si voltò per dire finalmente a Blaine che capiva, che avrebbe capito cosa fare…

Blaine se ne era già andato.

 


Stranamente, le parole che rimasero più impresse nella mente di Kurt nella silenziosa ora dopo che Blaine se n’era andato, non erano quelle su cui avrebbe pensato di focalizzarsi.

‘Vorrei che ti prendessi la responsabilità per qualcosa qui, Kurt.’

Quello era ciò che echeggiava nella mente di Kurt mentre sedeva sul suo letto nella sua stanza silenziosa, piegando e ripiegando le lenzuola che avevano fatto da giaciglio a Blaine sul pavimento.

Aveva pensato sin dall’inizio che tutto quello che stava facendo fosse prendersi responsabilità per le cose. Non aveva ignorato per un momento la sua parte in tutto quello che era successo con Dave. L’unica cosa che era riuscito a sovrastare per qualche secondo la sua preoccupazione nei confronti di Dave era stato il suo senso di colpa sulla sua parte nell’intera faccenda.

Si era auto-eletto il protettore di Dave. E se quello non fosse stato accettare la responsabilità?

Lo colpì un pensiero casuale a cui quasi rise prima di realizzare che era vero: c’era una differenza tra essere responsabile per qualcosa, e prendersi la responsabilità.

E Kurt era stato responsabile per tutto ciò sin dall’inizio. Lo sapeva e non aveva permesso alla colpevolezza di soffocarlo.

Ma Blaine aveva ragione, non si era preso davvero la responsabilità. Non aveva permesso al suo senso di colpa di trasformarsi in qualcosa di attivo.

Aveva lasciato che Santana gestisse i ragazzi a scuola, aveva lasciato che suo padre gestisse i dottori e la polizia. Non si era neanche preso davvero responsabilità per Dave. Era stato... passivo su di lui, davvero. Reattivo. Stringeva Dave la notte e mormorava e si sentiva male con lui. Era un compagno nella depressione. Dave stava male, e Kurt stava con lui e si affliggeva per il suo dolore, e finiva lì.

Ora c’era questa grande nuova cosa secondaria, questa rivelazione che colorava tutto quello che lui e Dave erano stati e avevano fatto o si erano detti, e se se lo fosse permesso, Kurt sarebbe stato perfettamente felice di di essere responsabile per quello senza davvero prendersi quella responsabilità abbastanza da farci qualcosa.

Era un ragazzo, e forse quella era qualcosa come una scusa. Nessuno si sarebbe potuto aspettare di sapere come reagire a ciò.

Quindi invece di essere il perfetto supporto per Dave, Kurt aveva preso il ruolo senza davvero aver fatto propri i doveri che ne conseguivano. Carezzava i capelli di Dave finché non si addormentava e si sentiva come se avesse fatto il suo lavoro. Ma non aveva fatto proprio niente, davvero.

Quelle cose arrivavano a Kurt pezzo a pezzo, mentre piegava le lenzuola e metteva a posto la sua già ordinata camera da letto, necessitando di un’attività non impegnativa per aiutare la sua testa a ronzare.

Quando non riuscì più a tenersi occupato – non gli ci volle molto – e realizzò che era ora di fare qualcosa per davvero, il primo passo che aveva bisogno di fare gli venne in mente in modo incredibilmente veloce.

Era un ragazzo, e un ragazzo piuttosto invulnerabile. Usava quella come scusa, ma le scuse non avrebbero aiutato nessuno. Quindi, d’accordo, se era solo un ragazzo e non ci si aspettava che sapesse quale fosse la cosa giusta da fare, allora aveva bisogno di dedicarsi a quello.

Mandò un messaggio dal suo telefono – non direttamente a Dave, perché non dubitava che il suo telefono fosse ancora spento. Lo mandò a Santana invece. Il suo telefono sarebbe stato acceso, e il messaggio sarebbe arrivato a Dave.

Mi dispiace, scrisse. Per favore torna a casa.

E poi mise il cellulare sulla scrivania e si lasciò la sua camera alle spalle, andando al piano di sotto.

Suo padre alzò lo sguardo dal tavolo della cucina, dal giornale che leggeva sempre la domenica mattina, e le sue sopracciglia si alzarono quando vide Kurt.

“Ehi, figliolo. Stai bene?”

Kurt prese un respiro e fece il suo primo passo prendendosi per davvero le sue responsabilità. “Blaine se n’è andato. Ho davvero rovinato tutto, e non so come rimediare. Mi serve aiuto.”

Il giornale venne posato sul tavolo. Burt l'osservò attentamente.


Due ore dopo era seduto al tavolo in cucina e guardò suo padre dirigersi in soggiorno dopo aver sentito la porta principale aprirsi.

Sedeva lì e si studiava le mani mentre le voci andavano avanti e dietro – suo padre, Santana e ancora suo padre. Dave, silenzioso, un brontolio a malapena udibile.

Santana se ne andò, chiudendosi dietro la porta. E i passi tornarono rivolti alla cucina.

Kurt prese un respiro profondo e guardò in su. Guardò oltre Burt mentre entrava e ogni frazione di secondo tra il prima e il momento esatto in cui la porta si spalancò e apparve Dave gli sembrò durare un anno.

Gli occhi di Dave andarono dritti su Kurt e rimasero lì, anche se i suoi passi vacillarono per un momento.

Era ovvio che Dave avesse dormito bene come Kurt la notte prima. Le ombre sotto i suoi occhi erano profonde, la sua faccia era pallida e smorta.

“Siediti, Dave,” sussurrò Burt. “Parliamo.”

Dave distolse in fretta lo sguardo da Kurt, come se gli fosse servita solo una scusa. Guardò l'uomo, ma prese la sedia più vicina e ci si accasciò sopra, pesante.

Il giorno prima Kurt sarebbe già stato in piedi, dicendo a suo padre che avrebbe potuto aspettare, che Dave aveva bisogno di dormire. Ma la mente di Kurt stava ancora cercando di capire la differenza tra senso di colpa e responsabilità, e il modo in cui aveva agito prima non era una guida su come avrebbe dovuto comportarsi in quel momento.

Non si mosse e rimase in silenzio –anche se infelice – per la stanchezza che vedeva sul volto di Dave.

Burt li affrontò entrambi. Il suo sguardo e le sue parole erano rivolte a Dave. “Kurt mi ha detto cosa è successo ieri,” disse solennemente. “Mi ha detto che ha condiviso cose con Blaine che non aveva diritto di condividere senza il tuo permesso, ed è piuttosto spaventato dall’idea di aver perso la tua fiducia per quello.”

Dave non reagì, si limitò a guardare Burt con occhi stanchi.

“Quindi questo è il patto – Kurt ha trascorso le ultime ore facendo chiamate e parlando con delle persone. Se ha ragione e ti ha tradito in una maniera che tu non puoi superare, ha trovato delle opzioni per te.” Si fermò, guardando Kurt per dargli la possibilità di subentrare e parlare.

Kurt scosse la testa.

Suo padre sospirò. “Il tuo amico Azimio, ha una stanza che puoi avere se vuoi. Ha detto qualcosa su come sarebbe stata tua per tutto il tempo, e ai suoi genitori va bene se vuoi andare lì. La coach della vostra scuola, la Sylvester, ha detto che non ha un letto libero ma ha un divano e sei il benvenuto. Kurt ha anche parlato con tuo padre.”

Gli occhi di Dave si spostarono su Kurt.

Kurt guardò il tavolo, tentando di non mostrare nulla. La faccenda non riguardava lui.

“Devo dire che è l’ultima cosa che sceglierei, ma tuo padre è disposto a farti ritornare.”

A dire il vero, quello che aveva detto era più simile a ‘se lo trattiene dal dormire nella sua macchina come un barbone, la sua camera è ancora qui’. E Kurt non era sicuro, era giustamente prevenuto nei confronti di Paul Karofsky, ma anche se ci fosse stato qualcosa come speranza nella voce dell’uomo, le parole erano state sufficienti a convincere Kurt che tornare a casa fosse la peggiore tra le opzioni di Dave.

Burt si schiarì la gola dopo qualche lungo momento di silenzio tra loro. “Hai delle opzioni qui, Dave. L’ultima cosa che chiunque vuole fare dopo tutto questo è forzarti in qualcosa che non vuoi. Ma sarò onesto, ragazzo – vogliamo che tu rimanga qui. Capirò se non te la senti, ma quando ho detto che tu non sei un visitatore qui.. non l’ho detto solo perché amo il suono della mia voce.”

Kurt rischiò a sollevare gli occhi per guardare Dave.

Dave lo studiò, ma la sua faccia non diceva molto. Quello era un altro pungiglione, un altro colpo contro Kurt – Dave aveva iniziato a guardarsi da Kurt  per davvero solo la notte prima.

Il che fece chiedere a Kurt, nonostante quella fosse interamente l’occasione sbagliata, se Dave fosse stato capace di nascondere quel grande amore che presumibilmente provava, o se fosse stato lì per tutto il tempo e Kurt era stato semplicemente cieco.

Distolse lo sguardo da Dave prima di iniziare a cercarlo, o iniziare a vedere se mancasse qualcosa che c’era prima. Se l’intera conversazione con Blaine fosse stata irrilevante perché forse Dave non provava più quel che provava prima, ora che Kurt l’aveva ferito.

Suo padre si schiarì la voce nel silenzio. “Puoi decidere quando vuoi, Dave, ma verrei meno ai miei doveri di.. padre adottivo o qualsiasi cosa io sia per te adesso, se non dicessi qualcosa sulla faccenda.”

Kurt sentì gli occhi di Dave lasciarlo e andare di nuovo su Burt. Guardò in su, guardando anche lui suo padre.

Burt lo guardò storto, ma solo per un momento. Poi ritornò a Dave. “Kurt mi ha deluso, e gliel’ho detto. Quello che ha fatto è stato doloroso e irresponsabile, e questi non sono aggettivi che possono essere solitamente attribuiti a Kurt. Ma.. visto che lui non è così, devo chiedermi perché abbia fatto una cosa così stupida. E penso che sia qualcosa che hai bisogno di considerare anche tu, Dave. Mio figlio non è malizioso, e vorrei sperare che tu lo sappia. Pensi che abbia parlato di te con Blaine perché era divertente, perché voleva spettegolare su di te?”

Un’altra pausa.

Dave rispose, quieto e stridente. “No.”

Kurt riuscì a sentire il momento in cui lo sguardo di Dave tornò su di lui. Era come un caldo ma pesante peso sulle sue spalle, la sensazione di quegli occhi.

Prese un respiro per incoraggiarsi, e alzò il suo sguardo per incontrare quello di Dave.

Dave fece funzionare la gola. “Kurt non è così, “ disse piano, cercando il viso di Kurt. “Sapevo lo stavo caricando di troppi pesi. Aveva solo.. bisogno di parlare con qualcuno, immagino.” Guardò Burt, come se quella fosse stata la risposta giusta, ma tornò a guardare Kurt prima che l'uomo potesse dire niente.

“Sapevo che l’altra sera ti eri sentito dispiaciuto. Probabilmente l'ho saputo il secondo dopo che ho capito per cosa ti saresti dovuto dispiacere. Sapevo che gliene avresti parlato solo se tu avessi davvero avuto bisogno di parlare con qualcuno. Merda,” disse contorcendo la bocca, “qualsiasi ragazzo al McKinley sa cosa è successo. Per quanto fossi incazzato non potevo comportarmi come se fosse stato davvero questo grande segreto.”

Kurt non rispose, ma distanti e crescenti speranze minacciavano di stritolarlo tanto dolorosamente come il senso di colpa stava già facendo.

“Penso..” Dave aggrottò le sopracciglia, abbassando gli occhi e portando una mano incerta a strofinare i suoi occhi stanchi. “Penso che sia stato per quello che.. ha fatto così male,” disse, inciampando un po’ nelle parole. “Perché non ho mai avuto modo di tenerlo segreto, ma prima di ieri non c’era nessuno a cui potessi dare la colpa. Non era colpa di nessuno che l’intera cazzo di scuola lo avesse saputo prima che fossi fuori dall’ospedale, e sono stato così.. fottutamente arrabbiato per quello. Non è stato prima della notte scorsa che ho potuto effettivamente guardare qualcuno e sapere che era stato lui ad averlo rivelato. Ed era stato detto solo ad un tizio, ma..” scrollò le spalle, la sua testa piegata in giù, le sue dita immobili sulle sue tempie, ancorate lì come se avesse avuto mal di testa. “Sei stato la prima persona a cui ho potuto dare la colpa. Quindi ho incolpato te per tutto.”

“Mi dispiace,” disse Kurt, perché non riusciva più a tenersi le parole dentro. “Mi dispiace davvero tanto, per questo e per come sia andato l’intero weekend, e..”

Dave alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di Kurt. C’era qualcosa di strano nei suoi occhi, una strana distanza nel suo sguardo, come se stesse ricordando qualche altra ora e posto. Quando rispose, Kurt venne colpito dalla stessa sensazione, come se ci fosse un ricordo ma messo al contrario.

“Lo so.”

Dave sorrise e, anche se era il sorriso più piccolo nella storia dell’universo, era lo stesso forse la cosa più bella che Kurt avesse mai visto.

Kurt non riuscì ancora a ricambiarlo, ma lo memorizzò, lo impregnò nella memoria. “Cosa posso fare?” chiese, piano. “Cosa faccio per rimediare?”

Dave rilasciò un respiro, quasi una risata. “A parte darmi una casa e rimanere alzato con me la notte e occuparti di tutti i miei problemi e risolvere tutto anche quando sbagli? Proverò a pensare a qualcosa.”

Fu allora che Kurt ricambiò il suo sorriso, e il senso di colpa iniziò finalmente a lasciare la presa sul suo stomaco che era stata lì sin dalla notte prima. “Rimarrai qui? So che non è ancora migliorato niente, però..”

“Non lo so,” disse Dave accigliato. “Le camere di Z sono enormi.”

Kurt sbatté gli occhi, poi rise. Soprattutto aria, soprattutto sollievo, ma la presa era sparita, perché conosceva abbastanza bene Dave da sapere cosa stesse dicendo. “Pensavo che fossi io quello superficiale tra noi due.”

Dave scrollò le spalle con un sorriso. “Enormi, amico. Tipo, soffitti alti tre metri.”

“Difficile da rinunciare, capisco.” Kurt sorrise.

Svanì presto, però. Troppo facile, lasciare che fosse così, lasciarsi perdonare così facilmente. Era troppo facile, ed era successo  altro la notte prima oltre ad un segreto rivelato per sbaglio.

Esitò, riluttante a danneggiare l’appena-riparata atmosfera tra loro due. “Posso chiederti una cosa?” disse finalmente, avvisando Dave in caso fosse troppo stanco per altre cose serie.

Il sorriso di Dave svanì. Scrollò le spalle. “Se proprio ci tieni."

Kurt si permise quasi di scuotere la testa, di dire "non fa niente". Sospendere, così da non dover più sentire altre risposte che non sarebbe stato in grado di accettare.

Ma non avrebbe più fatto così, cavolo. Prendersi le proprie responsabilità significava più di sentirsi solo male.

“Hai detto.. l’altra sera, che ti ho fatto sentire male su te stesso.” Non solo male, però. Peggio su sè stesso di qualsiasi altra persona nella sua vita.

Incontrò lo sguardo di Dave, anche se fu difficile.

Dave non aveva bisogno che andasse avanti. Aggrottò le ciglia, ma non fu tanto solenne quanto sarebbe potuto essere. “La prenderai nel modo sbagliato, Fancy, ma.. ogni tanto mi ricordi mio padre.”

Le sopracciglia di Kurt si alzarono, e sì. Avrebbe potuto prenderla davvero male, visto che odiava il padre di Dave come non odiava nessuno al mondo. Eccetto forse per cinque ex giocatori di football della sua scuola.

Dave lo studiò. “Ti ho un po’ detto di lui, di com’è. Non è un cazzone, sai, un ubriaco che urla o mi picchia o qualcosa del genere. Ha sempre provato ad essere il padre perfetto, come lui vuole che io sia il figlio perfetto. Mi diceva che mi voleva bene tutto il tempo, come un padre dovrebbe. Ma.. lo sai. Un papàpapà  sarebbe stato tipo, ‘Sono tuo padre, David, ti voglio bene anche se vuoi giocare ad hockey’. E io sapevo per certo come se l’avesse detto ad alta voce che quello che intendeva era ‘Ti voglio bene, ma te ne vorrei di più se giocassi a football.’”

Kurt annuì lentamente. Aveva avuto suo padre per tutta la sua vita, quindi non era qualcosa che comprendeva, davvero. Ma stava a pennello con quello che sapeva su Paul Karofsky.

Dave sorrise, lievemente. “Forse sono io, non lo so, ma sento quel tipo di cose ogni volta che noi parliamo. Sai? Sento ‘siamo amici, Dave, mi piaci, ma mi piaceresti di più se tu..’ insomma, non lo so, se mi vestissi meglio o se ne sapessi di più su quella roba gay che tu ami. Siamo amici. Non ne dubito, ma tutto quello a cui riesco a pensare quando sei in giro è che saremmo amici migliori se io potessi cambiare tutte queste stupide cose di me.” Scrollò le spalle, pesante. “A volte tutto quello su cui riesco a concentrarmi ormai sono le cose che non ho e che mi rendono.. di meno.”

La cosa peggiore fu che nessuna di quelle cose era una sorpresa tanto grande. Kurt lo sapeva, da quando avevano parlato di ragazzi gay e di quello che piaceva loro, che Dave pensava che gli mancassero tutte quelle cose basilari che sembravano in qualche modo di vitale importanza per essere gay.

Gli venne in mente per la prima volta che quando Dave portava a galla l'argomento, parlava di sé stesso in termini di quello che piaceva a Kurt e di quello che non gli piaceva. Aveva detto a Carole quel giorno quando Kurt stava origliando, che Kurt era il ragazzo gay che aveva conosciuto per più tempo, quindi non aveva molto altro su cui basare le sue idee.

Ma Blaine diceva che Dave lo amava. E quelle parole, quelle insicurezze confessate sul non essere il tipo di ragazzo che piace a Kurt, immediatamente presero un nuovo peso.

Kurt non era pronto a capire tutto quello. Aveva bisogno di prendersi un po’ di tempo, di capire la sua stessa testa prima di fare qualsiasi cosa che potesse ferire Dave, o Blaine, o tutti e due nello stesso tempo. Aveva bisogno di una camera silenziosa e di un po’ di concentrazione, e aveva bisogno di essere sicuro che Dave stesse bene prima di poter anche solo provare a trovare quelle due cose.

Ma che le insicurezze di Dave fossero lì perché era innamorato di Kurt, o perché Kurt era davvero l’unica persona che avesse avuto come referenza, Kurt poteva almeno essere completamente onesto su di esse.

Allora incontrò gli occhi di Dave e parlò sinceramente. “Ti conosco abbastanza bene ora, Dave. Meglio di quanto non conosca un sacco di persone, anche se sembra strano capirlo.”

Dave annuì, come se avesse avvertito anche lui la stranezza.

“Quindi posso dirti con certezza e senza alcun dubbio che non c’è niente che cambierei in te, anche se potessi. Potrei cancellare alcuni brutti ricordi, tutto qui. E, okay, potrei comprarti un guardaroba migliore. Ma andiamo, quello non è perché tu sia in qualche modo difettoso, ma perché io sono un totale snob. Se avessi i soldi comprerei a qualsiasi singola persona che conosco un guardaroba migliore. Anche Mercedes, e lei è tanto vicina ad essere favolosa quanto possa esserlo chiunque senza il mio aiuto."

Dave sorrise debolmente, il suo sguardo scivolò sul tavolo.

“Penso che sia fantastico quando fai qualche referenza ad un musical o ad uno stilista,” ammise. “Ma è tanto fantastico quanto lo è quando parli di teorie fisiche o di cucina, o parli russo. Qualsiasi cosa io impari su di te che non sapevo prima, è tutto fantastico per me. Non perché io voglio che tu sia uno chef amante di Sondheim* (è il tizio che ha scritto West Side Story) con un babushka* (nonna in russo) o qualcosa del genere. Sono solo piccole cose che non sapevo, e che amo sapere ora.”

Stese il braccio attraverso il tavolo, spontaneamente, tenendogli la mano.

Dave la guardò, e guardò Kurt, e con le guance che si arrossavano infilò le sue dita tra quelle di Kurt.

Kurt strinse delicatamente la sua mano sorridendo. "Vuoi sapere un’altra cosa? Anche se amo la scienza e il russo e tutte quelle cose, non avevo bisogno di impararle per iniziare ad apprezzarti. Mi piacevi prima di allora. Senza neanche fare dispetto ai tuoi modi da rozzo sportivo: sei rozzo, e sportivo, e mi piaci.”

I sorrisi di Dave sembrarono quasi tornati alla normalità in quel momento. Curvi e ritrosi e dolci, non un sorriso raggiante ma qualcosa di cui Kurt ama ancora di più essere la causa.

“Vuoi sentire un altro segreto?” chiese Dave improvvisamente.

Kurt sbatté le palpebre, e sorrise, e ingoiò giù l’onda di gratitudine per essere riuscito a gestirlo bene, perché Dave gli aveva permesso di rimediare. Non richiamò attenzione su quello, sull’idea che Dave fosse ancora disposto a fidarsi di lui riguardo qualcosa, anche qualcosa di piccolo. Se l’avesse evidenziato si sarebbe potuto ritrarre indietro, quindi si limitò a sorridere e a stringere forte la mano di Dave.

“Certo.”

“Beh.” Dave arrossì. “È possibile che abbia esagerato qualcuna di quelle caratteristiche che sembra ti piacciano così tanto.”

Kurt alzò le sopracciglia. “Dimmi.”

“Ho provato a fare il sushi solo una volta, ed è stato un fallimento ridicolo. Inoltre, non parlo davvero tanto russo. Nonostante i migliori tentativi di mia nonna."

Kurt rise. “Non mi piace davvero il sushi, per dirti la verità. Dovrei, immagino, essendo favoloso e difficile da accontentare e di classe come sono.” Sorrise. “Avrei voluto sentire più russo, ma immagino che la nostra amicizia sopravvivrà lo stesso.” Sbatté gli occhi. “Che cosa mi avevi detto l’altra sera, allora? Era vero?”

Spokojnoj nochi, Vychurnyj?” Dave sorrise. “Significa davvero ‘buonanotte, Fancy’. Più o meno. Insomma, buona notte è facile, lo sentivo ogni notte quando ero piccolo ed ero a casa dei miei nonni. È di Vychurnyjche non sono sicuro. Mia nonna chiamava così mia madre, e pensava che lei fosse tipo leziosa e femminile. Penso che significhi, tipo.. merlettato o arricciato o qualcosa del genere. Che è abbastanza vicino."

“Lo prenderò per buono,” concordò Kurt. “Vuoi sentire un segreto in cambio?”

Dave sbatté gli occhi e sorrise, come se fosse sorpreso che la sua confessione, nonostante fosse sciocca, fosse andata così facilmente. “Certo.”

Kurt si sporse in avanti, portando la mano di Dave più vicino. “A dire il vero penso che la flanella sia davvero comoda.”

Dave rise. “Vuoi quella maglietta, vero?”

“No! Gesù, no. Il comfort non vale quell’incubo marrone-su-écru.” Sorrise. “Quella rossa e bianca che avevi l’altra sera..”

“Mi piace quella. Puoi rubarla ogni tanto, però.” Dave ghignò. “È il mio turno?”

Kurt all’improvviso distolse lo sguardo da lui, attorno alla cucina, ma suo padre non era lì. Probabilmente se n’era andato poco prima, una volta capito che le cose non erano irreparabili.

Si rilassò e tornò a guardare Dave. “Il confessionale è aperto, figliolo.”

Dave roteò gli occhi ma pensò. “Um. Okay, a dire il vero io amo le granite. Tipo, mi faceva incazzare quando dovevo sprecarne una sulla faccia di qualcuno. Un tempo me la prendevo con Z tutto il tempo. ‘Andiamo, amico, posso berne una ogni tanto?'”

Kurt rise. “Ogni tanto divento ossessionato con i miei vestiti e la mia pelle perché penso che se sono perfetti nessuno noterà che io non lo sono.”

Dave sbatté le palpebre a quello, ma scrollò le spalle comprendendo. “È quello a cui servono le giacche letterman. Quando la metto nessuno che mi guarda nota nient’altro.”

“Preferirei essere chiamato ‘bello' (*) che 'ragazza'. Non c’è niente che mi manda in bestia più di qualcuno che pensa che essere gay significa che metterei una gonna e del rossetto se potessi.”

Dave annuì. “A dire il vero mi piacerebbe poter mettere una gonna e il rossetto. Okay, era una cazzata enorme, scusa.” Sorrise alle risate di Kurt. “Davvero, um.. mi hai detto una volta che non ero stato io il tuo primo bacio, vero? E' perché avevi limonato con Britt una volta?”

Kurt annuì roteando gli occhi.

“Beh.” Dave sorrise. “Stesso per me. Del tutto.”

“Dio, tra lei e Santana..” Kurt rise. “Non si sono lasciate scappare molti ragazzi al McKinley, vero?”

“A dire il vero, è per quello che è successo. Eravamo a qualche festa pessima, si stava trasformando in un fottuto porno pre-adolescenziale, e Britt viene da me e dice ‘Penso che dobbiamo fare questo ora.’ E mi si sdraia sopra. E' stato abbastanza okay, visto che non si preoccupò di comportarsi come se fosse interessata o di chiedersi se io lo fossi. L’ha reso più semplice.”

“Però.. è strano, vero?”

“Sì,” Dave arrossì. “Ero ancora.. beh, più confuso di quanto non sia ora, sui ragazzi eccetera. Ho pensato che forse era solo, tipo, immaturità o qualcosa del genere. Come se non fossi ancora cresciuto dalla fase “ragazze uguale schifo” dalla scuola elementare.”

“Oh dio, stiamo entrando nei segreti imbarazzanti su questo?” Kurt sorrise, ma abbassò la voce,  giusto in caso. “La, um..” Sentì la faccia bruciare. “Okay, non riesco a credere di star dicendo questo a te. Um. La prima volta che ho mai..” Gesticolò in modo stupido,  un dimenamento del polso che fece ridacchiare Dave. “Beh, non la prima volta, ma la prima volta che l’ho fatto pensando a qualcuno..” Esitò, guardando verso la porta chiusa della cucina.

Dave rise all’improvviso. “Finn.”

Kurt si prese la faccia tra le mani. “Mia vergogna…”

“Non è poi così male,” disse Dave scrollando le spalle. “È.. un po’, um..”

“Sì.” Kurt si incoraggiò ad alzare lo sguardo, e sorrise all’imbarazzo sulla faccia di Dave. “Però a questo punto è ancora peggio. Neanche perché è mio fratello, ma perché è diventato un cliché avere una cotta per Finn. Tipo, chiunque al McKinley ce l’ha, è solo noioso ora.”

Dave rise. “Non io. Posso.. intendo, non è..” roteò gli occhi a sé stesso. “Posso apprezzare che non sia un cane, sai. Ma non è il mio tipo.”

Kurt respirò, occhi spalancati. Appoggiò il mento sulle mani, fissando. “Vai avanti.”

Dave arrossì ed evitò i suoi occhi. “Cosa?”

“Lo sai. Qual è il tuo tipo?

Il momento dopo aver posto la domanda, sorridente e affascinato, Kurt si ricordò che chiedere una cosa simile era improvvisamente inappropriato. Inappropriato e, se Blaine e Mercedes avessero avuto ragione, neanche esattamente gentile.

Ma Dave non sembrò più imbarazzato o esitante di quanto non lo fosse un secondo prima. “Solo.. ragazzi che non sono molto come me, penso.”

Una risposta sicura, e buona, e fece sorridere Kurt. “So quello che intendi,” fu quasi la sua reazione istantanea.

Le sopracciglia di Dave si sollevarono e studiò Kurt, ma non disse niente.

Kurt sorrise all’improvviso. “Okay, il tuo turno, ma voglio chiederti qualcosa di specifico.”

“Non faccio promesse sul rispondere, ma dì pure.”

Kurt si sporse in avanti, tenendo Dave in ostaggio con le loro mani ancora intrecciate. “Non hai davvero mai realizzato quanto sia estremamente sexy il tuo amico Samir?”

Dave rise. “Non sono cieco, Fancy, cazzo.” Il suo sorriso svanì, però. “Non lo so, è sexy, lo capisco. Ma non va mai oltre quello. Non con Samir e con un sacco di ragazzi. Tipo, lo so che sono un finocchio, lo capisco, e so che alcuni ragazzi sono belli. Ma queste due cose non.. vanno insieme, sai? Nella mia testa. Penso ‘Mi piacciono i ragazzi’ e ‘quello è un bel ragazzo’, ma non diventa un ‘Mi piace quel ragazzo’.”

Kurt annuì lentamente. “Nessuno ha mai detto che devi essere attratto da ogni ragazzo, però. Neanche quelli che pensi siano belli.”

Dave scrollò le spalle. “Lo so, ma per me.. è successo solo qualche volta, quando sono stato effettivamente capace di pensare.. lo sai. ‘Io e lui’, così.”

“Qualche volta?” Le sopracciglia di Kurt si alzarono, ma si impose di non chiedere. Non voleva saperlo. Non chi o quando o dove.

C’era ben troppo a cui pensare prima che potesse anche solo avventurarsi in quel sentiero, e aveva decisamente bisogno di organizzarsi prima che potesse iniziare a parlare con Dave di quello.

Era fortunato in quel preciso momento, senza fare un altro passo verso un campo inesplorato. Era davvero fortunato, più fortunato di quanto non avesse avuto il diritto di essere.

Era fortunato che Dave fosse tornato a casa, fortunato che non avesse accettato nessuna delle altre offerte che Kurt gli aveva trovato. Era fortunato che Dave capisse cosa fosse successo, che Kurt non aveva provato a fargli del male, che aveva parlato con Blaine perché aveva bisogno di parlare con qualcuno, non per dispetto a Dave.

Seduti lì a parlare di cose a caso, condividendo secreti stupidi, era come se nulla fosse stato danneggiato irreparabilmente a causa di Kurt.

E per quello, Kurt Hummel era un ragazzo fortunato, fortunatissimo, e aveva bisogno di tenerlo in mente.

Doveva ancora un sacco a Dave. Non era disposto a prendere i suol perdono così facilmente. Non accettava che Dave stesse solo sfogando su Kurt rabbia e risentimento trattenuti a lungo perché era il primo ad essere stato direttamente responsabile per qualcosa che altre persone senza nome avevano già fatto. Non poteva dimenticare il tradimento che aveva visto sul viso di Dave. Il dolore. Il modo in cui, anche se brevemente, negli occhi di Dave Kurt era tanto malvagio quanto quegli sconosciuti senza nome che avevano casualmente rivelato i suoi segreti nei corridoi del McKinley

Kurt rifiutava di dimenticare che lui era davvero tanto colpevole quanto quelle persone. Le sue motivazioni erano più complicate e forse più scusabili, ma non rendeva a posto quello che aveva fatto.

C’era lavoro da fare lì, e Kurt era pronto e disponibile a farsi avanti e farlo. Ma il giorno dopo era lunedì, c’era scuola e un appuntamento con un dottore la sera, e c’erano un milione di cose di cui Dave si sarebbe dovuto preoccupare in quel momento.

Ridendo sul tavolo in cucina, facendo finta che tutto fosse tornato alla normalità anche se Kurt non riusciva a lasciar andare la mano di Dave perché non riusciva a sopportare l’idea che potesse scivolare via di nuovo, era un’altra maschera. Un’altra panacea, coprire le cose che stavano lasciando irrisolte.

Ma Dave aveva bisogno di Kurt mentre tornava indietro alla sua vecchia vita, e Kurt aveva bisogno di pensare con cautela su tutto quello che quel weekend aveva rivelato. Avevano bisogno di superare i successivi inevitabili ostacoli prima che iniziassero a preoccuparsi  di quelli più grandi che non stavano andando da nessuna parte.

Era la cosa migliore per Dave – almeno per la sua prima settimana di ritorno a scuola e il suo secondo tentativo da un terapista. Era la cosa migliore per Kurt, perché si rifiutava di ferire di nuovo Dave in quel modo, e provare anche solo a iniziare a parlarne prima che Kurt sapesse come si sentiva sulla faccenda non avrebbe fatto altro che ferirlo.

Rimandare il discorso che avrebbero avuto bisogno di fare e lasciare le cose incerte era la cosa giusta da fare, in quel momento. L’unica persona verso la quale non era giusto tutto ciò era Blaine, ma Kurt mise sé stesso e Blaine al primo posto quando parlò con lui di Dave, e aveva causato tutto quel guaio. Quindi essere giusti nei confronti di Dave e non Blaine.. non sembrava poi così sbagliato. Sembrava qualcosa che gli doveva.

Sembrava la prima delle tante cose che doveva a Dave.


Note di Traduzione:
(*) la versione originale di questo bello è la fantastica parola intraducibile "dude". Bello, amico, il significato è sempre quello.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 25 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/25/The_Worst_That_Could_Happen



Il problema, per come lo vedeva Kurt, era quello: c'erano semplicemente troppe cose da gestire.

Voleva rimanere sdraiato nel suo letto a pensare a come risolvere le cose, perché era buio e silenzioso e ovviamente non si sarebbe addormentato tanto presto, quindi era il momento perfetto per farlo. Tranne per il fatto che l'unica cosa che gli veniva in mentre se provava a pensare, era che c'erano troppe cose che stavano succedendo.

Quando iniziò a pensare al fatto che Dave lo amava e che doveva capire cosa fare a riguardo, non riuscì nemmeno a realizzare la cosa. Perché Blaine diceva che Dave provava quel sentimento per lui, Mercedes la pensava allo stesso modo e Kurt era quasi sicuro che anche suo padre avesse notato qualsiasi cosa avessero notato gli altri due.

Ma c'erano così tante cose che stavano succedendo tra lui e Dave, così tante cose che Blaine o Mercedes e neanche suo padre potevano capire. Kurt non aveva mai avuto un rapporto con qualcuno come quello che aveva con lui, se fosse stato un osservatore esterno probabilmente avrebbe frainteso le cose anche lui.

A lui Dave piaceva davvero, sinceramente. Quella era una certezza, non c'erano dubbi. Dave era divertente e intelligente e timido e dissacratore e aveva una corazza dura, e a Kurt piaceva.

Non dubitava di piacere a Dave - infatti, era divertente pensarlo, ma Kurt si considereva qualcuno di speciale ai suoi occhi. Dave era entrato nella sua vita in maniera diversa dalla maggior parte della gente e forse era stato quello che aveva reso le cose così com'erano. I suoi amici lo conoscevano come il sé favoloso e un po' snob. Dave, forse perché non era abituato al tipo di favolosità di Kurt, ha sempre cercato di trovare quello che c'era sotto. Il ragazzo (*). L'adolescente, la persona sotto la stilosa apparenza.

Dave lo vedeva prima di tutto come un ragazzo, così lo chiamava in quel modo e non moderava il suo linguaggio rozzo, e gli tirava una orribile camicia di flanella perché, chissene, Kurt era un ragazzo (*), se la sarebbe dovuta mettere.

Dave non era rimasto sorpreso quando Kurt se l'era messa addosso. Non si stupiva se Kurt imprecava, o faceva battute un po' bastarde, oppure quando rilassava un po' quella sua esteriorità favolosa. E proprio perché Dave non si stupiva, Kurt era più a suo agio facendolo.

Kurt era sempre stato uno stereotipo. Accettava quella cosa di se stesso. Era smorfioso, ondeggiava le braccia e alzava gli occhi al cielo e metteva molta più enfasi nella sua voce rispetto ad un adolescente medio. Giudicava le persone e usava calzini da centinaia di dollari, gli piacevano i musical e sognava Broadway.

Era un cliché. Lo sapeva, e siccome lui era così non ci faceva caso. Almeno era un cliché che era raro a Lima, in Ohio. Poteva anche rispecchiare un tipo, ma era diverso dalle persone intorno a lui. Non gli importava che gran parte della gente, anche la maggior parte dei suoi amici, lo guardasse e vedesse il cliché senza aspettarsi nient'altro.

Dave non lo faceva. Dave non era mai stato a suo agio con quel luogo comune, e forse era per quello che era stato così rapido nel vedere oltre a quello.

Kurt gli aveva detto e aveva fatto con lui delle cose, anche cose da nulla, a cui Dave non facevano nè caldo né freddo, e che nessuno dei suoi amici avrebbe accettato senza fare commenti. Era più rilassato con Dave, perché non doveva aver paura di una sua reazione se usciva un po' dagli schemi. Perché a Dave piacevano quei tratti da ragazzo (*) che uscivano quando Kurt si lasciava andare. Kurt sapeva chi era, lo accettava e si piaceva, ma con Dave gli sembrava di imparare cose su se stesso che non aveva mai saputo.

Kurt si piaceva di più quando era con Dave.

Se Mercedes e Blaine non capivano nemmeno quel poco, riguardo quel lato di Kurt che era influenzato da Dave, allora come avrebbe potuto anche solo capire le cose più profonde?

Come potevano iniziare a capire quanto c'era tra Kurt e Dave ora che non poteva essere chiamata 'amicizia' ma nemmeno essere considerata 'amore'?

Kurt era il guardiano di Dave, la sua guardia del corpo, il suo infermiere notturno, il suo mentore gay. Il suo amico. Kurt non provava le cose che provava per Dave per nessun altro, ma chi era lui per dire che cosa provava l'altro?

Dave contava su Kurt. Gli piaceva Kurt, certo, e aveva bisogno di Kurt per l'aiuto, per i consigli, per dormire. Dave si sentiva come se dovesse a Kurt ancora qualcosa per tutte le gomitate tirate nei corridoi, si sentiva colpevole per quello che aveva fatto. Non c'era nessun altro nella sua vita verso cui aveva così tanti sentimenti fin troppo complicati e a volte contrastanti.

Mercedes e Blaine non lo conoscevano. Blaine diceva che i sentimenti di Dave erano ovvi, appariscenti, ma come poteva Blaine saper interpretare le azioni di Dave?

Il problema, per come lo vedeva Kurt, guardando fuori all'oscurità dal suo letto, era che lui non poteva iniziare a pensare a qualcosa se non accettava che la cosa fosse almeno vera.

C'era troppo tra lui e Dave, e se Kurt si fosse lasciato coinvolgere in qualcosa di così grande senza sapere se era vero o meno, rischiava di rovinare tutto. Quella considerazione era arrivata troppo presto dopo un grande sbaglio, non poteva permettersi di inseguire Dave per sempre, non aveva intenzione di rischiare.

Ma non poteva nemmeno ignorarla. Blaine non conosceva Dave bene: ciò non significava che avesse ragione, ma nemmeno automaticamente che avesse torto.

E quello non era un qualcosa che Kurt poteva mettere da parte. E se avesse avuto ragione?


Kurt continuava a pensarci e a preoccuparsi, faceva avanti e indietro. Ci pensò finché non colpì l'inevitabile muro del non essere certo su cosa provasse Dave, e poi ripartì dall'inizio finché si non si ritrovò davanti allo stesso muro.

Qualcosa come alle tre del mattino cominciò ad accettare che non avrebbe dormito per niente. Era agitato, stranamente nervoso. Si sentiva come la notte prima di un'esibizione, con quel brivido dovuto alla paura del palco o qualcosa del genere. Parte di quello - una gran parte - era quel suo costante pensare in tondo a Dave e la teoria di Blaine su di lui, ma c'era dell'altro.

Tra qualche ora sarebbe andato a scuola con Dave.

C'erano piani in movimento, certo, e l'intero Glee club (con la partecipazione di Azimio Adams) sarebbe stato lì per incontrarli con addosso le giacche dei Bully Whip. L'avrebbero scortato di classe in classe se avessero dovuto, si sarebbero messi tra Dave e chiunque o qualsiasi cosa che minacciava di disturbare il suo ritorno.

Ma Kurt era comunque nervoso.

Dopo scuola c'era un appuntamento con la terapista che suo padre aveva organizzato per Dave. Dave aveva la sua macchina ora ma Kurt si rifiutava di lasciarlo andare da solo. Non la prima volta, non dopo l'ultimo dottore. Per fortuna non se ne era lamentato, perché Kurt era sicuro che avrebbe potuto avere l'appoggio di suo padre e pretenderlo, ma non era una cosa che gli andava di fare in un momento come quello.

Tra le preoccupazioni per un amore di cui non era nemmeno sicuro, e la scuola e i suoi mille possibili disastri, e un dottore che avrebbe potuto potenzialmente distruggere l'ultimo barlume di volontà di Dave di accettare l'aiuto di qualcuno... 

Beh, non c'era da sorprendersi che non riuscisse a dormire.

Più tardi, si sarebbe chiesto se parte della sua insonnia fosse causata dall'istinto, dall'inconscia realizzazione del fatto che se Kurt era preoccupato, Dave dove essere terrorizzato.

Perché essere svegli alle tre del mattino significò che non appena sentì dei rumori provenire dalla camera attraverso il corridoio, fu giù dal letto e sul pavimento della camera di Dave più velocemente di quanto non avrebbe potuto fare in un altro caso.

Gli incubi era diventati normali oramai. Era orribile da ammettere, ma era vero. Aveva sviluppato un riflesso sul come trattarli. Di solito era Dave in bagno a svegliarlo.

Quella notte fu qualcosa di diverso.

Stava facendo dei rumori rochi e forti e incoerenti, e Kurt riusciva a sentirli da dietro la porta chiusa della sua stanza ma si fecero più forti mentre usciva in corridoio e andava davanti alla camera di Dave.

Incubi, ma diversi. Kurt si svegliava alla fine di questi sogni, non nel mezzo. Kurt c'era per gestire i postumi, non l'incubo stesso.

Non esitò per più di un momento però. Busso più per cortesia che per altro, spingendo contemporaneamente la porta di Dave.

"Dave?" Non riusciva a vedere nulla nella stanza buia, così tornò fuori dalla porta e accese la luce del corridoio, e grazie al fascio di luce del corridoio riuscì a mettere a fuoco la stanza.

Dave stava dormendo. Intrappolato. Era ancora sotto le coperte, ma la sua espressione era tesa e continuava a fare quei suoni. Non parole, niente con un senso, ma suoni soffocati e rochi e pieni di panico.

Kurt si avvicinò in fretta al letto. Esitò, perché non si era mai ritrovato in una situazione del genere, ma Dave era intrappolato e Kurt non avrebbe permesso che continuasse.

Si avvicinò e gli toccò il braccio, deciso. "Dave?"

Dave si scosse nel sonno, la sua testa si girò dall'altro lato. Il suo braccio scacciò la mano di Kurt, spogliandosi delle coperte e del tocco di Kurt.

"Dave?" Kurt alzò la voce, riprendendo immediatamente il suo braccio. "Dave, svegliati!"

Dave provò a scappare di nuovo da quel tocco, ed era forte anche se stava dormendo, ma Kurt era determinato. Le sue dita si chiusero attorno al polso di Dave e strinse.

"Dave, per favore. Va tutto bene, svegliati, è un sogno. Dave?"

I mormorii di Dave si fecero più forti, emise un rumore roco, come se ci fossero delle parole formate a metà intrappolate. Ebbe uno scossone, e poi un altro, e improvvisamente i suoi occhi si aprirono e le parole si formarono con chiarezza.

"Fermati, fermati, fermati," gridò anche quando i suoi occhi trovarono Kurt. Indietreggiò immediatamente, tirando via il braccio dalla presa di Kurt con uno strattone pieno di dolore.

Kurt sussultò, tirando via entrambi le mani da Dave. "E' tutto okay," le parole gli uscirono istintivamente. "Era un sogno. Era solo un-"

"Smettila," Dave gridò come se non lo potesse sentire, come se guardasse Kurt ma stesse ancora vedendo quel sogno. "Lasciami da solo!"

Era sveglio ora, doveva esserlo, i suoi occhi erano aperti e concentrati. Ma Kurt poteva dire che era ancora perso nei suoi sogni, e si avvicinò pur non provando a toccarlo di nuovo.

"Dave, per favore. È tutto okay. Sono io."

"Vattene fuori!" gli occhi di Dave erano concentrati, e sembrava come se stesse realmente parlando a Kurt e non all'immagine nella sua testa. "Vattene, esci di qui, vattene cazzo!"

Kurt scosse la testa, la gola gli si stava seccando mentre provava a raggiungerlo con dita incerte. "Dave, va tutti bene, sono solo-"

"Dio, Kurt, vattene. Esci di-" Ci furono dei passi dietro Kurt, e un'ombra sul letto, e Dave sussultò di nuovo e Kurt girò la testa.

Ci voleva un corno di toro per svegliare suo padre una volta che si era addormentato, ma all'improvviso lui era lì. Si era accesa la luce nella camera di Dave e suo padre stava prendendo il braccio di Kurt lo stava tirando come se fosse lui il problema in quel momento.

"Cosa stai facendo?" disse suo padre con un colpo secco, la faccia sgualcita dal sonno ma i suoi occhi erano ben svegli. Guardò oltre Kurt verso il letto. "Dave?"

"Lo porti via, lo porti via." Dave era ripiegato su sé stesso in quel momento, mani sul suo volto, stava tremando violentemente. "Dio, per favore, lo porti fuori di qui cazzo."

Kurt scosse la testa, sbalordito quando ci arrivò... Non era il sogno. Dave non stava vedendo le immagini del suo incubo. Stava vedendo Kurt lì in piedi, e..

No. No, non era così che dovevano andare le cose. Dave aveva un incubo e Kurt l'aiutava, era così che andava. Era stato l'unico aiuto che Kurt si era sentito in grado di dare, almeno fino a quel momento.

Kurt si voltò con gli occhi spalancati verso suo padre, incespicando sui suoi passi. "Papà..."

Suo padre non perse tempo. Prese il braccio di Kurt e lo condusse alla porta, deciso. "Vai, Kurt."

"Ma-" i piedi di Kurt erano bloccati sul posto quando sentì un suono dal letto che conosceva, fin troppo bene.

Dave stava singhiozzando, stava provando a combattere la cosa ma stava singhiozzando. Kurt non se ne andava quando Dave aveva bisogno di lui. Tra tutte le incertezze della sua vita quella era l'unica cosa che dava per assolutamente certa.

Quando provò a superare suo padre, però, fu spinto verso la porta e fuori nel corridoio.

"Kurt! Vai!"

Aprì la bocca per ribattere, ma suo padre chiuse la porta tra di loro con forza.

La bocca di Kurt si chiuse, e indietreggiò di un passo. Poteva sentire Dave attraverso la porta, suoni rauchi e dolorosi. Poteva sentire la voce di suo padre, ed era sbagliato. Doveva essere Kurt. La voce di Kurt, Kurt in quella stanza.

"Kurt?"

Sobbalzò, guardando verso la porta aperta alla fine del corridoio, incapace di sostenere lo sguardo preoccupato di Carole per più di un secondo.

Si voltò ed entrò in camera sua, chiudendo la porta. Trovò il suo letto, anche se era tutto tranne che cieco nell'improvvisa oscurità, e si lasciò cadere sul materasso. Afferrò le coperte ai suoi lati, guardando fuori verso il buio e provando a trovare un senso a quello che era successo.

Non era una cosa nuova. Gli incubi, il terrore, i singhiozzi. Niente di questo era nuovo, tranne per il fatto che Kurt era andato da Dave un po' prima del solito. Era quello, che Kurt l'aveva svegliato anziché averlo trovato già sveglio? O era...

...qualcos'altro.  Si asciugò il volto nell'oscurità con mani tremanti, la realizzazione di cos'altro era cambiato negli ultimi giorni facendolo sentire male nello stomaco.

Era troppo facile. Il tavolo della cucina, le parole ferme di suo padre, la comprensione di Dave. Le loro risate, le loro battute pessime.

Troppo facile. Kurt lo sapeva mentre stava succedendo, lo sapeva mentre stava sul letto senza riuscire a dormire. Ma in quel momento, mentre era seduto sul letto nell'oscurità, realizzò perché era stato troppo facile, e lo colpì come un martello pesante.

Aveva tradito Dave. Anche se Dave capiva il perché, che non era stata una cosa maliziosa, era pur sempre tradimento. Qualcosa tra di loro si era spezzato, o rotto. Qualcosa era cambiato.

Dave non si fidava più di lui.

La piccola epifania di Kurt sul prendersi le proprie responsabilità e rimediare ai suoi errori e alle sue mancanze...era arrivata troppo tardi. Il danno era fatto.

Non poteva più aiutare Dave. Non quando serviva, non nel bel mezzo della notte quando i suoi sogni lo terrorizzavano e Dave aveva bisogno di una qualche rassicurazione.

Kurt lo aveva tradito, quindi non lo poteva più aiutare.

Stette lì seduto a lungo, stordito e immobile, prima di sentire un leggero bussare alla sua porta.

La luce dal corridoio lo fece sobbalzare quando l'uscio si aprì.

Suo padre lo guardò accigliato. Entrò nella stanza, lasciando la porta socchiusa in modo da riuscire a vedere.

Kurt non riusciva a guardarlo. Piegò la testa e guardava giù verso le sue mani mentre suo padre si sedeva di fianco a lui. Parlò, e fece male, ma doveva sapere se aveva ragione e suo padre glielo avrebbe detto. "Non si fida più di me."

Suo padre esitò. "Dice che eri lì. Nel suo sogno. Penso che lo abbia fatto reagire in malo modo. Non so se voglia dire qualcosa di più."

Kurt si accigliò. Pensò alle conversazioni precedenti, a Dave che si scusava per il bacio negli spogliatoi e ammetteva di vedere se stesso far male a Kurt nei suoi sogni. Voleva saltare quella parte, voleva pensare che forse non aveva distrutto in modo così profondo le cose tra lui e Dave. Ma era troppo facile.

Deglutì, fissandosi le mani mentre si stringevano a pugno sul suo ventre. "Se mi stava facendo del male...come dice di aver sognato, allora...allora perché avrebbe...?"

Suo padre rimase in silenzio.

Kurt lo guardò e vide l'esitazione nei suoi occhi. La riluttanza nel rispondere.

Sbatté le palpebre, e inspirò. Si voltò per guardare suo padre faccia a faccia. "Non mi stava facendo del male."

Suo padre si accigliò. "Kurt, era comunque un sogno."

"Non mi stava facendo del male," Kurt disse di nuovo, in quel momento capì di aver ragione. "Ero...ero io a fargli del male. Non è così?"

"Era un sogno, Kurt. Se ci vedi troppe cose non fai nessun favore né a te né a Dave."

Kurt poteva solo rimanere seduto, attonito, troppo perso nei suoi pensieri per reagire, mentre suo padre si sedeva con lui e diceva qualche altra parola sui sogni e su cosa potessero o meno significare.

Poteva solo stare seduto lì a guardarsi le mani tremanti mentre suo padre sospirava e gli dava delle piccole pacche sulla gamba e gli diceva di dormire un po', che c'era del lavoro da fare, forse, ma se la sarebbero cavata.

Era sicuro che sarebbero stati bene.

Kurt non lo guardò allontanarsi, non alzò lo sguardo nemmeno quando la porta fu chiusa e lui non riusciva più a vedersi le mani attraverso l'oscurità. Non lo preoccupava dire che se suo padre era così sicuro che le cose si sarebbero sistemato, significava che almeno uno di loro non era terrorizzato dal pensiero che ormai fosse troppo tardi.


Bussò alla porta di Dave più presto del solito. Non si aspettava una risposta quando chiamò il suo nome, gli diede il buongiorno, ma non poté evitare di sentirsi ancora più giù quando non arrivò una risposta.

Disse qualcosa alla porta di Dave, qualcosa di sciocco riguardo al farsi la doccia presto così Dave avrebbe potuto prepararsi. Nulla, non si ricordava nemmeno le parole dopo averle pronunciate, ma ricordò il silenzio che seguì.

Fissò la parete mentre era nella doccia ed eseguì la sua routine mattutina senza uno straccio di pensiero per la testa, tutto quello a cui riuscì a pensare fu il silenzio.

Andò al piano di sotto e si sedette sul divano, pronto ad andare, lo zaino di fianco a lui

Quando realizzò che Dave non sarebbe sceso, si sentiva già così depresso che non riuscì a fare molto. Tirò solo fuori il cellulare e mandò un messaggio a Santana.

Non veniamo. Dì a tutti di andare in classe.

Spense il telefono e lasciò la borsa con i libri sul divano mentre si arrampicava sulle scale sentendo di pesare una tonnellata. Lanciò uno sguardo alla porta chiusa di Dave ma arrancò verso sua stanza.

Si lasciò cadere nel letto ancora vestito, sperando di riuscire a dormire almeno un po' dopo aver passato la notte insonne.


Kurt si chiese se suo padre aveva scelto quel posto, quel dottore, per il fatto che fosse il più possibile lontano dal primo.

L'ufficio era all'interno di un centro commerciale appena fuori dalla superstrada. C'era uno Starbucks, uno shop dedicato alla pesca. Un negozio di libri di seconda mano che Kurt non sapeva nemmeno esistesse nella sua città, e una porta nel mezzo di tutto con le ampie finestre oscurate e una piccola placca su di essa.

Dave rimase davanti alla porta per un momento. Lanciò uno sguardo a Kurt.

Erano silenziosi - lo erano stati tutto il santo giorno - ma Kurt annuì lievemente, in segno di incoraggiamento.

Dave sospirò e aprì la porta. Kurt lo seguì e, quando la porta chiuse fuori la brillante luce del giorno, si guardò intorno cauto.

Non c'era nessun tavolo nella piccola stanza. Nessun receptionist, niente a parte una fila di poltrone tutte nere e un tavolo con delle riviste. C'era della musica a volume basso, quasi la stessa melodia senza ritmo e comatosa che c'era nell'ultimo posto. Ma le pareti erano di un rosa adorabile, tutto era tranquillo e non sì sentì in bilico sul filo del rasoio come l'ultima volta.

Il che non voleva assolutamente dire che si sentiva rilassato, quello era ovvio.

C'era una porta sul fondo e sopra la porta una piccola luce verde accesa.

Dave andò verso la parete e si sedette, sembrando perso senza un modulo da compilare o qualcuno che gli dicesse cosa fare.

Kurt si sedette di fianco a lui.

"Se assomiglia anche solo un po' all'altro posto," disse nel silenzio teso, "esci. Ce ne andiamo a casa."

Dave annuì.

Aspettarono.

La porta sul fondo della stanza si aprì dopo qualche minuto (Kurt controllò l'orologio e riluttante decise di non lamentarsi quando si accorse che mancavano ancora cinque minuti al loro appuntamento). Ne uscì una donna. "David?"

Dave si alzò in piedi.

Kurt studiò la donna, teso, preoccupandosi se lasciar tornare Dave in un ufficio con un dottore. Era indiana - il nome sulla placchetta fuori l'aveva fatto capire e Kurt non voleva mettersi in imbarazzo anche solo provando a pronunciare quel nome - e più giovane di quanto si aspettasse. Aveva delle rughe intorno agli occhi ma i suoi capelli erano neri e folti, tirati indietro in modo sofisticato e neutro.

Era di fatto piuttosto adorabile, anche se lo notò più con sospetto che con apprezzamento. I suoi occhi erano così scuri da sembrare neri, la sua pelle era scura e sorrise a Dave nello stesso modo in cui Carole sorrideva ad ognuno dei suoi ragazzi.

Si avvicinò a loro - Kurt notò la sua semplice, stilosa gonna pencil con approvazione - e tese la sua mano verso Dave "Ho sentito un bel po' di cosa sul tuo conto Dave," disse con un sorriso.

Le strinse la mano, esitante, guardando verso Kurt per un momento. "Davvero?"

Sorrise e seguì il suo sguardo verso Kurt.

"Tu devi essere Kurt?"

Kurt esitò, ma si alzò in piedi e le strinse la mano. "Salve."

"Per favore, entra nello studio."

Kurt sbatté le palpebre. "Io?"

"Tutti e due. Almeno per i primi minuti."

Kurt e Dave si scambiarono un altro sguardo, ma almeno erano confusi e insicuri insieme, anziché essere insicuri e separati nel modo in cui lo erano stati tutto il giorno. Lo studio non era molto diverso dal lobby esterno.

Lo stesso rosa sulle pareti, semplice arredamento nero. Un tavolo non molto grande, una parete piena di libri, diplomi sulle pareti. Non era molto diverso da quello che Kurt si sarebbe aspettato dallo studio di una terapista, e per un attimo riuscì quasi a rilassarsi un po' nonostante si chiedesse ancora come mai avesse voluto anche lui dentro.

Indicò un paio di poltrone e prese posto su una terza sedia contro il muro, lontano dalla sua scrivania. "Vorrei dire ad entrambi qualcosa su di me e cosa mi piacerebbe fare qui, e possiamo partire da questo. Va bene?"

Aveva un accento finto e musicale, e incontrò i loro occhi in attesa di una reazione prima di continuare. Kurt sapeva che quella cosa riguardava Dave, e non aveva idea di cosa stesse provando in questo momento, ma il suo istinto gli disse di abbassare la guardia e dare una chance a quella donna.

Aspettò che Dave annuisse prima di continuare. Sorrise ad entrambi, gentile e calma. "Per cominciare, il mio nome completo è Madhuri Cheemalavagupalli. La maggior parte dei miei pazienti mi chiamano dottoressa Maddie. Se gli piace l'ironia lo abbreviano in dottoressa Mad (**)."

Kurt sorrise. Spostò il suo sguardo su Dave.

Dave la stava guardando, ancora cauto come sempre.

"Tuo padre," disse con un sorriso a Kurt, " mi ha parlato a lungo di voi due. Ho anche parlato con il dottore al Lima General, Dave, così come con la dottoressa Sampson."

Entrambi diventarono tesi al nome della prima dottoressa, la psichiatra.

Li guardò entrambi mentre parlava, e Kurt non ebbe dubbi sul fatto che si fosse fatta un appunto mentale sulle loro reazioni. "Prima di continuare in questo senso - e vorrei, Dave, che tu mi dicessi con parole tue perché sei venuto - vorrei parlare con te, Kurt."

Kurt sbatté le palpebre. "Con me?"

"Quando tuo padre mi ha raccontato la storia di Dave, non è potuto andare avanti per molto senza menzionarti. Mi stava parlando della situazione di Dave, ma è chiaro per me che la sua storia è collegata con la tua in modo piuttosto inestricabile. Se deciderai che sei a tuo agio nel vedermi, Dave, e stiliamo un calendario di appuntamenti, insisto che Kurt sia presente almeno ad alcuni di essi. Francamente, Kurt, non mi dispiacerebbe fissare degli appuntamenti per te da solo ogni tanto. Sempre se sei d'accordo, ovviamente."

Kurt esitò. Non era preparato ad incontrare quella donna, men che meno ad organizzare delle sessioni con lei.

"Penso sia una buona idea, Kurt."

Si girò subito, guardando Dave dritto negli occhi. Dave ricambiò lo sguardo e sorrise, timido. "Così, per dire."

Kurt sorrise a sua volta, ma in modo finto. Guardò di nuovo la dottoressa e annuì. "Sì, si può fare."

"Bene." Li guardò per un momento, il suo sorriso era leggero e la sua voce musicale, ma i suoi occhi erano penetranti. Kurt ebbe la sensazione che potesse vedere qualcosa di puù rispetto a quello che pensavano loro.

"Devo dire," disse dopo un momento "che per il modo in cui tuo padre mi ha parlato di voi due, non mi aspettavo questa tensione tra di voi. Sospetto che ci sia qualcosa di più dell'apprensione nel vedere un altro dottore."

Il sorriso di Kurt svanì. Allontanò il suo sguardo da lei.

"Sono stati un paio di giorni difficili," disse Dave alla fine con tono vago.

Attese, e siccome nessuno dei due continuò "Non c'è una struttura nei nostri incontri, neanche per questa prima volta. La cosa più importante è che quando siete qui dovete concentrarvi sulle cosa che hanno maggior effetto su di voi. Pensate ci sia qualcosa che vi sembra importante da discutere?"

Kurt lanciò un'occhiata a Dave.

Dave si accigliò a quelle parole. Rivolse il suo sguardo a Kurt.

Kurt non rispose e non lo voleva fare. Sarebbe venuto a vedere la dottoressa se lei voleva, se Dave pensava che fosse una buona idea, perché alla fine avrebbe dovuto. Ma in fin dei conti la cosa non era per lui.

Dave riportò il suo sguardo sulla dottoressa Maddie. "Parlare di questa roba ad uno sconosciuto aiuta davvero in qualche modo?"

Sorrise. "Saresti sorpreso. Non è una cura totale, certo, ma parlare in generale può aiutare molto più di quanto la gente possa pensare. Spesso sorprende i miei nuovi pazienti il dirmi cose basilari, molto importanti e poi realizzare che non hanno mai parlato di queste cose apertamente prima."

Dave emise un sospiro.

Lei gli annuì, incoraggiandolo. "Allora per te è importante parlarne, di questo paio di giorno difficili."

"Già. Certo." Non stava guardando Kurt. "Fa fottutamente schifo..." Si fermò. "È un problema se..uhm.."

Rise leggermente. "Non mi aspetto che tu moderi il tuo linguaggio con me, Dave."

"Okay. Allora, sì, questo fa fottutamente schifo." Rivolse il suo sguardo a Kurt e poi lo distolse in fretta. "Kurt è... È tipo l'unico che è stato qui mentre tutto questo succedeva, e odio quando lo cose vanno così male, cazzo."

Lei guardò verso Kurt.

Kurt esitò, ancora incerto sul fatto di rubare il tempo di Dave con i suoi sentimenti.

"Penso che sto iniziando a fargli più male che bene. Non so come fare a migliorare le cose." Gli occhi di Dave schizzarono di nuovo verso di lui, sorpreso. Kurt l'osservò. "Continuo ad incasinare tutto. Quando le cose cominciano sembrano essere apposto, io faccio danni."

"Dammi una pausa, Fancy. Hai fatto una cosa che mi ha fatto incazzare e ti ho già detto che capisco perché l'hai fatto."

"Allora perché ti faccio male nei tuoi sogni?"

"Perché i miei sogni sono complicati. Ma è meglio di me che faccio male a te, che se non ricordo male mi hai detto non contasse un cazzo perché quello che ho fatto nei sogni non l'ho fatto nella vita reale."

"Non è questo il punto." Kurt si accigliò, ma erano stati in silenzio tutto il giorno e non aveva avuto la possibilità di chiedere a Dave qualcosa a riguardo, e anche se non aveva programmato di parlare non riusciva più a fermarsi. "Il punto è che tu mi facevi del male nei tuoi sogni perché ti sentivi colpevole di quello che è successo sul serio una volta. Quindi se adesso sono io a farti del male anche questo vuol dire qualcosa. Vuol dire che ti ho ferito una volta e forse hai paura che lo rifarò, oppure..."

"Kurt." Dave si accigliò. "Non è la prima volta che faccio quel sogno."

La bocca di Kurt si chiuse. Riusciva a sentire il colorito sparire lentamente dal suo volto.

"È solo la prima volta che apro gli occhi e tu sei ancora lì, tenendomi ancora." Dave guardò da un'altra parte e i suoi occhi si posarono sulla dottoressa. "I sogni non devono per forza significare qualcosa vero?"

"Non devono," disse lei. "I sogni vengono dal subconscio di una persona che funziona sia da svegli che da addormentati. È importante considerare un sogno alla luce del giorno, quando anche la tua parte cosciente sta lavorando." Guardò Dave. "Secondo te cosa significano quei sogni?"

"Non so." Dave si appoggiò allo schienale. "Penso di diventare nervoso ogni tanto, perché...non lo so, perché sento di aver troppo bisogno di Kurt, e lui ha tutto questo controllo ora e...ci odiavamo a scuola, quindi che succede se inizia ad odiarmi di nuovo?" Fece spallucce. "So che non mi aggredirà in alcun modo, quella parte è da dementi. Ma potrebbe farmi tanto male quanto me ne hanno fatto quegli stronzi."

Kurt emise un sospiro strozzato. "L'ho già fatto. Farti del male. Forse non tanto quanto..." Si fermò, scosse la testa. "Voglio fare tutto nella maniera giusta. Voglio aiutarti."

"Non darò di matto se non sei perfetto, Kurt. Ti chiedo già abbastanza, cazzo." Dave sorrise all'improvviso, un sorriso piccolo e storto. "Ti chiedo sempre fottutamente troppo. Dovrei saperlo ormai."

Kurt sbatté le palpebre, girandosi nell'ampia poltrone per essere faccia a faccia con lui. Dave lanciò uno sguardo alla dottoressa in silenzio, poi tornò su Kurt. "Hai presente che mi rifiuto di parlare del motivo per cui ho messo su tutta quella roba da psicopatico dopo quello che è successo negli armadietti, dopo che ti ho baciato in quel modo?"

Kurt annuì.

"Penso che la prenderai male, questo è metà del perché non te ne voglio parlare. Perché la maggior parte di quello ero io che pensavo a delle complete stronzate e davo la colpa a te. Ma..." Si accigliò, passandosi una mano tra i capelli in uno strano gesto nervoso. "Ma parte di quello eri anche tu."

"Allora parlamene."

Dave scosse la testa, ma si girò all'improvviso verso la dottoressa Maddie. "Fanculo, glielo dirò. Non so che cosa le abbia detto il padre di Kurt su di me prima che tutta questa merda succedesse, ma... Sono stato in un fottuto armadio (***) per la maggior parte della mia vita, e l'anno scorso pensavo che sarebbe stato fottutamente fantastico prendersela con Kurt." Lei si mise comoda sulla sedia, annuendo.

"Come mai Kurt?"

"Perché? Gli chieda qualcosa sugli armadi e lui le parlerà di vestiti. Non m'importava se aveva detto alla gente che era gay o meno, non ha mai passato un cazzo di minuto a nascondersi. E quello mi faceva incazzare." Dave alzò le spalle. "E, vabbé, ero abbastanza messo male a qui tempi. Ero pronto ad esplodere e lui era l'obiettivo più ovvio."

Kurt non era sicuro su cosa suo padre avesse raccontato alla dottoressa del loro rapporto prima che Dave fosse attaccato, ma non ne sapeva molto a riguardo. In ogni caso, la dottoressa fu in grado di mettere insieme i pezzi abbastanza in fretta.

"E poi l'hai baciato."

Dave rise."Tipico, giusto? Il bullo omofobo in realtà è un caso non dichiarato. Mi ha seguito. Gli avevo tirato una gomitata o spinto o qualsiasi cosa facessi di solito e lui mi è venuto dietro. Mi ha seguito negli spogliatoi e.." Scosse la testa. "Era uno di quei cazzo di chihuahua che le ragazze si portano nella borsetta. È venuto ad abbaiarmi contro come un cane, tutto incazzato, maledendo me di essere uno di quei ragazzi etero che odiano i ragazzi gay perché pensano che l'unica cosa che vogliano sia infilarsi nei loroi pantaloni. E,a parte quello, io ero incazzato per quella reazione compiaciuta e volevo fargli vedere che si sbagliava. E per un secondo volevo che qualcuno mi vedesse per davvero, quando mi guardava."

La dottoressa annuì. "Ho già avuto come pazienti molti uomini e donne gay, e se la tua storia non è tipica, lo sono i sentimenti dietro di essa."

Dave sembrò rilassarsi un po' con quelle parole, come se si fosse aspettato che lei rimanesse scioccata dal suo essere gay.

Kurt si rese conto improvvisamente che anche se tutti sapevano di Dave, lui non l'aveva ancora detto a molte persone.

"Beh. È stata la cosa più stupida che abbia mai fatto, e ha solo peggiorato le cose. Neanche per un fottuto secondo..." Esitò. "No, non è vero." Guardò verso Kurt, poi di nuovo verso la dottoressa. "C'è stato un secondo. Tipo un secondo, dopo averlo preso e baciato e fatto indietreggiare. Un secondo in cui ho pensato...sa, che era okay. Avevo baciato un ragazzo ed era okay, non era stato strano o sbagliato. Non era un vero bacio, quello lo sapevo. Ma era stato okay. Per un secondo ho pensato... Ce la posso fare. Posso baciare un ragazzo e non sarà la fine del mondo. Tutto sarebbe persino potuto essere okay." Abbozzò un sorriso. "Merda, ho provato a farlo di nuovo. Ma Kurt mi ha spinto via, e ho visto quanto sembrava spaventato, e..."

Kurt parlò ad alta voce, veloce, e non avrebbe dovuto ma odiava quando quella cosa tornava a galla. Odiava sapere che Dave si considerava uno stupratore per colpa di quel gesto. Parlò fermo, guardando dritto verso la dottoressa così avrebbe potuto capire alla perfezione cosa stesse dicendo. "Ha visto che sembravo spaventato ed è corso via. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa avesse voluto, ma se n'è andato."

La dottoressa ricambiò il suo sguardo "È importante per te che io lo sappia."

"Lei e Dave, perché lui sembra non volerlo capire. Perché pensa ancora di avere qualcosa in comune col genere di persona che avrebbe..perché non lo capisce!" Si girò verso Dave, acceso e adirato. "Stupro è costringere qualcuno che non ti vuole. La prima volta che mi hai baciato non stavi pensando a quello che uno di noi due volesse. Me l'hai detto tu, non era un'offerta. Non aveva niente a che fare con il sesso. Non stavi pensando se lo volessi o meno. E quando hai visto che non lo volevo, sei scappato. Perché non sei il genere di persona che obbligherebbe qualcuno contro la propria volontà."

Dave incontrò i suoi occhi. Deglutì e annuì, poi tornò a guardare la dottoressa. "Okay. Devo ancora lavorarci su. Capisco cosa sta dicendo, e non...so di non essere uno stupratore. Ma a volte è difficile separare..." La sua voce si affievolì, trattenendo un respiro. "Comunque, questo non è nemmeno il cazzo di punto. Il punto è quello che è venuto dopo."

Kurt si accomodò sulla poltrona, chiudendo la bocca e stringendo le labbra per evitare di parlare ancora. Almeno Dave sembrava aver cominciato a capire la differenza tra un bacio e quello che gli era successo. Non era ancora dove Kurt voleva che fosse riguardo all'intera questione, ma ora era più vicino.

"Cos'è successo dopo quello?" chiese la dottoressa Maddie.

Dave rise, cupo. "Nulla."

Kurt spostò lo sguardo verso di lui. La dottoressa lo guardò, in silenzio. Dave prese un respiro. Si girò nella poltrona all'improvviso, in modo da essere faccia a faccia con Kurt. "Okay, senti...tu non lo capisci. Ti ho parlato di come io pensassi che essere gay volesse dire essere uno di quei frocetti sofisticati ed effemminati che si vedono in tv, giusto? Avevo questa paura dal momento in cui ho realizzato che mi piacevano i ragazzi, che nel momento in cui l'avrei accettato, sarei diventato come uno di loro. Tutti i giorni dovevo conviverci. Sapevo cos'ero ma ci ho combattuto ogni cazzo di secondo. Ero terrorizzato dal fatto che ogni cosa io facessi mi avrebbe fatto scoprire - non potevo vestirmi alla mattina senza aver paura di indossare qualcosa di troppo gay. Il giorno in cui ho ottenuto la mia giacca letterman è stato il giorno più felice dell'intero anno, perché da quel momento non avrei più dovuto preoccuparmi la mattina."

"Ma quella era solo una cosa. Hai la benché minima idea di come sia...Gesù, Kurt, ogni volta che aprivo bocca dovevo stare attento a come sembravo, e a cosa dicevo. Ogni volta che mi muovevo dovevo guardarmi attorno, dovevo stare attento a non muovere troppo le mani, a non farmi scoprire. L'anno scorso ero terrorizzato all'idea di fare un passo, senza guardare gli altri ragazzi, a fare quello a cui avrei dovuto adattarmi. Se la Coach faceva una domanda dovevo prima fare attenzione a cosa rispondevano gli altri prima di sapere cosa rispondere. Ogni volta che qualcuno diceva la parola 'gay' mi innervosivo come niente. E gioco a football al liceo, quella cazzo di parola è dappertutto."

Aveva ragione e Kurt era abbastanza intelligente da rendersene conto. Kurt non era sempre stato allo scoperto, non era sempre stato sincero sul fatto che gli piacessero i ragazzi. Ma era sempre stato lui. Non aveva mai vissuto con la paura di ogni parola o gesto. L'aveva scelto una volta, aveva scelto di fingersi etero. Non era per nulla la stessa cosa, perché la gente lo guardava come se fosse impazzito e lui se l'era aspettato. Ma era stato comunque ridicolmente difficile ricordarsi che non poteva dire quello che diceva di solito, o muoversi come si muoveva di solito. Dave non si stava nascondendo un qualche stereotipo sofisticato e gesticolante, ma la paura che lo potesse essere era abbastanza per rendere la sua vita un inferno. Dave si accigliò, studiando Kurt.

"L'anno scorso ero così stanco di vivere in quel modo, cazzo. Ho pensato...quel giorno negli spogliatoi, ho pensato che qualcosa fosse scattato. Ma non è successo, perché me ne sono andato e Z gironzolava nel parcheggio, e io ero tornato a controllare ogni parola e ogni gesto come se nulla fosse."

Kurt deglutì e annuì. Non capiva e non avrebbe finto il contrario, ma poteva arrivare abbastanza vicino alla comprensione del tutto.

"Non è stato fino a quando sono arrivato a casa che ho realizzato. Anche se non avevo finito di nascondermi... avevo finito, perché mi ero fatto scoprire. Avevo appena baciato un ragazzo, e non un ragazzo qualunque. Il ragazzo gay bocca larga e pettegolo del Glee club. Il ragazzo che mi odiava, cazzo, che non avrebbe desiderato altro che sotterrarmi probabilmente."

Kurt trattenne il fiato, cominciando a capire dove Dave si stava dirigendo.

"Sapevo che il Glee club avrebbe saputo. Anche prima che arrivassi a casa, ero sicuro che avresti mandato un messaggio alle tue amiche e anche Finn probabilmente ne sarebbe venuto a conoscenza. Ero allo scoperto. Lo sapevo. Il giorno dopo ho vomitato due volte prima di venire a scuola. Z è venuto da me nei corridoi quella mattina e sapevo che sapeva. Lo sapeva e mi avrebbe ammazzato di botte perché sono frocio. Ma non è successo nulla."

La testa di Kurt stava tremando, ma si fermò quando capì. Quando ripensò ai momenti dopo quel bacio, e per la prima volta ci ripensò dal punto di vista di Dave...

"Tutto il giorno, non è successo un cazzo. Ero pronto ad esplodere cazzo, e ogni volta che passavo qualcuno degli sfigati del Glee sapevo che stavano ridendo di me, spettegolando. Nessuno ha fatto nulla. Glielo avevi detto, lo sapevo. Dovevo averglielo detto perché tu mi odiavi o non c'era motivo per non dirglielo. Ma non è successo nulla. Almeno fino alla quinta ora."

"Oh, Dio." Kurt abbassò lo sguardo.

"Prima che potessi anche solo pensare di rilassarmi per un secondo, all'improvviso c'eri tu in mezzo alla scuola, tra le lezioni, con tutti intorno a noi. E non solo tu, ma tu e un completo sconosciuto. Un qualche scemo in uniforme. Allora ho capito che avevo ragione. Lo stavi dicendo alla gente. E non lo stavi solo raccontando, ma li invitavi pure a scuola e li portavi proprio davanti a me così potevano vedere anche loro il coglione non dichiarato. E sì, Blaine mi ha fatto un discorsetto su come mi avrebbe potuto aiutare e che non ero solo, ma dai."

Kurt annuì. "Lo so. Lo so quanto è stato stupido."

"Sono andato via da lì e sapevo che non sarebbe finita. Quella sera Z mi stava mandando dei messaggi riguardo qualche stronzata che aveva sentito a scuola, ed ero a metà del discorso quando ho capito che stava parlando di quel cazzone di Puck e di una stronzata che aveva fatto al centro commerciale."

Dave guardò la dottoressa, fermandosi per un minuto, incerto. Lei si limitò ad annuire in risposta, lievemente, incoraggiandolo a continuare.

Sospirò e si voltò verso Kurt. "Mi è bastata una settimana di giorni così, essere fottutamente terrorizzato ogni volta che qualche gleek mi passava di fianco, ogni volta che andavo agli allenamenti, ogni volta che ti vedevo nei corridoi. E ogni giorno in cui non succedeva nulla era solo un giorno peggiore, perché più tempo sarebbe passato più la cosa sarebbe diventata ingestibile Lo sapevo." scosse la testa, incontrando gli occhi di Kurt.

Ora non si stava nascondendo. Non c'ero nulla di difensivo nella sua espressione e Kurt sussultò vedendo il dolore nei suoi occhi. I ricordi di quei giorni.

"È stata la peggior settimana della mia vita, Kurt. Beh, fino a quest'ultimo periodo. Ma lo è stata, è stato orribile, cazzo. Ogni minuto di ogni giorno ero terrorizzato. E quando non sono più riuscito a sopportarlo sono venuto da te e per la prima volta dopo quel fottuto bacio hai detto che non lo avresti raccontato a nessuno." Rise, in modo malato. "Puoi scommetterci il culo che fossi incazzato. Mi stavo rendendo la vita un inferno e tu ne parlavi senza problemi. 'So che è difficile, bla bla, non lo dirò a nessuno'. Così fottutamente calmo. E io ti ho odiato, cazzo."

Kurt annuì. Faceva male ascoltare, ma non era niente che non sapesse già. Aveva visto l'odio negli occhi di Dave, era la cosa che lo spaventava di più.

Solo che non aveva capito fino ad allora che l'odio era arrivato solo una settimana dopo il bacio. Aveva evitato Dave, sì, perché come diavolo avrebbe dovuto reagire a quello che era successo? Ma non aveva capito cosa l'evitarlo aveva significato per Dave.

Dave lo guardò e all'improvviso sorrise. "Quindi... questa era metà della cosa."

"Metà?" la voce di Kurt era debole. Inspirò e trattenne il respiro. "Dio, cos'altro c'è?"

Dave alzò le spalle. "La parte in cui sono stato uno stupido. La parte in cui mi aspettavo troppo e incolpavo te per quello."

Kurt si avvicinò, terrorizzato ma volendo prendere tutto. Responsabilità, e colpe.

"Non ridere, ma... Quando non ti stavo odiando per aver detto a tutti di me, perché ero sicuro che lo stessi facendo, stavo aspettando che tu..." Sorrise. "Che tu mi aiutassi."

Kurt scosse la testa, incerto.

"Voglio dire, lo sapevi. Tu eri gay, hai passato le tue stronzate, e sapevi di me. Pensavo... che fossi una brava persona, migliore di me almeno. Sai che c'è un ragazzo in giro che sta attraversando questa cosa enorme, di sicuro avresti fatto qualcosa. Invece mi porti il tuo cazzo di ragazzo, giochi a 'guarda-il-caso-non-dichiarato' con lui, e quando il suo discorsetto sul fatto che non fossi solo non mi ha fatto piangere arcobaleni e lanciarmi a capofitto in in abbraccio di gruppo da gay-pride tu avevi chiuso con me."

Alzò una mano prima che Kurt potesse reagire. "Non dirlo, perché so che è una stronzata. Non giustifico l'averti minacciato e l'averti fatto quello che ti ho fatto. So di essere il cazzo di cattivo in questa storia, e tu sei l'eroe, e provare a dare la colpa a te per non aver risolto i miei problemi è una cosa così da codardi che non so perché lo sto ammettendo." Trattenne un respiro, e parlò con voce tremante e vicina alle lacrime. "Ti ho terrorizzato, ma non ho mai smesso di pensare che un giorno mi saresti venuto a cercare, mi avresti messo all'angolo da qualche parte in privato e mi avresti seriamente parlato di questa cosa... come minimo, ho pensato che sarebbe potuto succedere fino al giorno in cui sono stato espulso."

Kurt chiuse gli occhi, incapace di rispondere.

"Me lo sono meritato. Quello lo so. Ma... Sono rimasto comunque fottutamente incredulo per quella cosa. E quel giorno capii, alla fine, che non mi avresti aiutato."

"Oh mio Dio," disse Kurt, le parole gli uscirono di bocca prima che potesse fermarle. "Tu hai detto... Quello era il giorno in cui..." Dovette coprirsi la bocca, nascondere i singhiozzi. "Quella confezione di pillole."

"Già." Dave non esitò o negò.

"E tu eri parte di tutto quello. Mio padre era una grande parte, e il fatto che avessi passato quelle settimane d'inferno solo perché tutto tornasse come prima... quella era la causa maggiore."

"Mi dispiace." Kurt si spinse fuori dalla sedia e andò da Dave. Gli prese la mano e la tirò sù, e seppellì la sua faccia nella maglietta di Dave e lo abbracciò così stretto che gli risultò difficile respirare. "Mi dispiace, Dio, mi dispiace così tanto."

"Non è stata colpa tua." disse Dave, stringendo Kurt allo stesso modo. "Lo so. Credimi, lo so. Ho fatto tutto di mio pugno, e ti ho odiato per non essere una persona migliore di quella che chiunque sarebbe stato. Non è colpa tua e avevi paura. Non è colpa tua che sei ancora umano, e a volte fai cose che non sono perfette."

Kurt scosse la testa. "Mi dispiace."

Dave rise leggermente contro i capelli di Kurt. "Se c'è qualcosa per cui tu debba essere dispiaciuto... allora accetto le tue scuse."

Kurt si tirò indietro per guardarlo.

Dave aveva le lacrime agli occhi, ma il suo sorriso era gentile, piccolo e sincero. "Ti perdono."

Kurt rise, e la cosa aiutò. Si spinse di nuovo contro Dave e si aggrappò a lui, ed era ampio e caldo e stabile e non stava respingendo Kurt.

Aveva fatto un sacco di cose stupide nei confronti di Dave. Alcune di esse erano giustificate, alcune non lo erano. Alcune poteva lasciarle andare grazie al perdono di Dave. Alcune avrebbero richiesto molto più lavoro.

Ma Dave lo aveva perdonato e stava rispondendo all'abbraccio di Kurt e sarebbe rimasto a casa sua e gli avrebbe permesso di giocare all'infermiere. Dave era gentile abbastanza anche da esserne grato, grato di avere Kurt.

Quello era stato un giorno terribile. Dagli incubi della notte precedente alla delusione del mattino, al lungo e silenzioso giorno a casa di cui Burt non l'avrebbe neanche accusato più tardi. Tutto fino al teso viaggio in silenzio fino a quell'ufficio, perché anche se il padre di Kurt non avrebbe fatto problemi per aver saltato scuola dopo una notte come quella, voleva ancora affidarsi fermamente alla terapia.

Anche se aveva fatto venire a galla più problemi di quanti ne avesse risolti, si sentiva come se avesse riavuto Dave dopo averlo perso quel sabato da Breadstix.

"Porca puttana," disse Dave dopo un minuto. "questa stronzata del parlare aiuta davvero, suppongo."

Kurt sorrise, indietreggiò e si asciugò gli occhi per vedere Dave in modo chiaro. "Questa è una delle due importanti lezioni che mi porto via da qua."

"Ah sì?" Dave incontrò i suoi occhi, sorrise. "Qual è l'altra?"

"Non ascoltare mai più i consigli di Blaine riguardo qualsiasi cosa. Mai più."

Dave rise, la voce bassa e roca. "Ottima lezione."


La dottoressa Maddie segnò degli appuntamenti per entrambi - due per Dave per la settimana dopo, e uno per Kurt. Disse ad entrambi, sorridente e gentile, che non avrebbe potuto riceverli insieme tanto spesso, dato che sapevano andare bene anche senza il suo aiuto. Kurt non era del tutto sicuro che stesse scherzando.

Sapeva che una volta arrivato a casa avrebbe detto a suo padre che si sarebbe sentito sicuro a mandare Dave da lei. E quello in sé era un tale sollievo che valse la giornata.

Sulla via del ritorno si fecero uno shawarma al volo, Samir non c'era ma c'erano in compenso alcuni altri membri di quella che era l'apparentemente enorme e bellissima famiglia del proprietario, e tutti riconobbero Dave e incontrarono Kurt come se fosse un amico di lunga data.

Quando guidarono fino a casa Kurt prese la mano di Dave, e la tenne fino a che non furono arrivati. Dave sorrise e fece intrecciare le loro dita, continuando a parlare di tutti i pettegolezzi che sapeva di Samir grazie al resto della famiglia.

Kurt non voleva preoccuparsi se stesse mandando un messaggio sbagliato o meno, se Dave lo amasse, se stesse leggendo qualcosa che Kurt non intendeva. Non si preoccupò nemmeno su cosa davvero lui stesso intendesse.

Sapeva solo che voleva davvero stringere la mano di Dave, e l'avrebbe fatto finché Dave glielo avrebbe permesso.


Note di Traduzione:
(*) ragazzo=dude. Sempre lui.
(**) Mad in inglese vuol dire matto, pazzo, è quindi un soprannome un po' strano per una psicologa.
(***) si riferisce all'espressione inglese "in the closet" quando si intende una persona gay non dichiarata. In italiano si può rendere con la similitudine dell'armadio

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Capitolo 26
*** Capitolo 26. ***


Note dell'Autrice: Tenete a mente una cosa, ragazzi, la storia è interamente dal punto d vista di Kurt. Ci sono cose che lui pensa, vede e in cui crede che non devono per forza essere condivise dagli altri personaggi. In altre parole… c’è una differenza tra quello per cui incolpano Kurt e quello per cui si sente in colpa.
E adesso, andiamo a scuola. ;-)

 

The Worst That Could Happen
- Capitolo 26 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/26/The_Worst_That_Could_Happen

 

Kurt entrò nel parcheggio del McKinley, sistemando la macchina sul retro, piuttosto lontano dalla scuola in modo tale che non dovesse pensare più di tanto su dove stessero andando. Spense il motore e sospirò, guardando l’erba e l’asfalto di fronte a sè.

Dopo un momento si girò verso il passeggero seduto al suo fianco.

Dave sorrise. “Non è nulla di particolare, vero? Solo un altro noioso giorno di scuola.”

Kurt sollevò un sopracciglio, sorridendo in modo più gentile. “Sembri molto a tuo agio per essere uno che sembra stia per vomitare.”

Il sorriso di Dave si contorse in una smorfia e scivolò via. Non stava così male; un po’ teso, pallido come un fantasma, ma era stato peggio. A Kurt non piaceva il modo in cui aveva stretto la mascella, o la profondità delle occhiaie sotto i suoi occhi, o ancora il modo in cui le sue mani si contorcevano sul suo grembo come se volessero strozzare qualcosa.

Ma era lì. Ci stava provando. E quello era tutto ciò che Kurt poteva chiedere, al momento.

Per il resto del mondo… era una questione diversa. Aveva un'intera lista di richieste da fare ai ragazzi del McKinley, ai professori che di solito erano così deliziosamente apatici rispetto a quello affrontavano i loro ragazzi. La squadra di football, il Glee Club. Aveva delle aspettative su tutti loro, che avrebbero fatto meglio a rispettare.

Kurt Hummel non era mai stato un tipo tosto, persino quando la sua aggressività era al top. Dave stesso l’aveva descritto come un chihuahua, che… d’accordo, era carino, ma non il più lusinghiero dei confronti.

Ma quel giorno si sentiva pronto a spaccare il mondo se qualcosa fosse andato storto. Non sarebbe mai stato grande o grosso, ma era testardo. Anche i chihuahua facevano male se mordevano, dopotutto.

Inoltre, aveva davvero bisogno di lasciar perdere quella metafora prima che diventasse troppo per quel giorno.

Si allungò e prese la mano di Dave. “Te l’ho detto… ci sono delle persone qui per te. Andrà tutto bene.”

“Lo so. E non rovinerò tutto o cose del genere. Solo…” Dave sospirò e guardò oltre, sorridendo un po’ quando Kurt gli strinse la mano. Si rilassò.

Kurt non poté fare a meno di rilassarsi a sua volta, sorridendo di traverso alle sue lunghe dita contro la mano grande e ruvida di Dave. “Siamo in anticipo, possiamo prenderci qualche minuto.”

Il sorriso di Dave sbiadì. Per un momento gli strinse la mano. “Lo sai che ho cercato di lavorare su questa roba la scorsa notte? Visto che comunque non sarei riuscito a dormire, ci ho ragionato sopra. Non è come se quegli stronzi ci fossero ancora. Non è come se pensassi che mezza scuola mi debba saltare addosso ora che che se ne sono andati. È solo… merda.” Sospirò, sbirciando lo specchietto retrovisore.

“È normale essere nervosi.”

“Certo.” Diede un’occhiata a Kurt, quasi timido. “Vorrei solo saperne il motivo. È solo la dannata scuola.”

Kurt non rispose – Dave aveva bisogno di sostegno e quello gli avrebbe dato, non aveva bisogno di avere altro nervosismo sulle spalle, o di sapere che si sentiva così protettivo che probabilmente avrebbe aggredito la prima persona che avesse tentato di raggiungere Dave senza il suo permesso.

Come diceva Dave, era solo il McKinley. Un gruppo di adolescenti non era proprio il tipo di gruppo più calmo ed empatico di cui circondarsi, ma non erano cattive persone. Kurt sarebbe stato lì, avrebbe controllato che non ci fosse nessun cambio d’atmosfera. Erano gli stessi ragazzi con cui era andato a scuola per i tre anni passati. Ma erano adolescenti, ed avevano un’intera storia di comportamenti idioti alle spalle. Per quanto potessero essere carini gli adolescenti presi ad uno ad uno, nei corridoi di un liceo le cose cambiavano radicalmente.

Dave non aveva bisogno di sentire tutto ciò. Le sue paure erano probabilmente molto più viscerali – vedere un paio di giacche letterman passargli dietro, forse, o confrontarsi con la prima persona che gli fosse andata a dire qualcosa sull’essere gay. Attraversare la palestra, lo spogliatoio, sapendo cosa era successo. Dio, era stato un incubo persino per Kurt, senza il peso dei ricordi. Troppa immaginazione.

Guardò la strada dietro di sé e cercò di non pensare troppo intensamente all’idea di mettere in moto la macchina e andare via, preoccupandosi di tutto l’indomani. Ci stava pensando troppo.

Dave espirò nel silenzio e le sue dita sembravano volessero afferrare, stringere quelle di Kurt per un momento, prima di lasciarle andare. “Fanculo, andiamo.”

Kurt aprì la portiera e scivolò fuori dall’Escalade. Si mise la borsa a posto oltre la spalla, chiuse la macchina. Girò attorno al retro della scuola.

Dave stava fissando l’edificio, le macchine che si muovevano nel parcheggio e i ragazzi all’entrata.

Non dovettero attraversare nemmeno tutta la strada prima di vedere una figura in una giacca nera splendente venire verso loro dall’altra parte del parcheggio.

Dave ghignò a Santana non appena la vide, e Kurt non seppe dire se si trattava di reale felicità o se semplicemente stesse indossando una maschera. “Ehi.”

Lei lo studiò  mentre si avvicinava, restituendo il ghigno con giusto una punta di ferocia. “Puckerman ha scommesso venti dollari sulla tua fuga.”

Dave sbuffò. “Li perderà.”

Santana sembrò rilassarsi, andando di fianco a Dave e prendendolo a braccetto, lanciando un’occhiata a Kurt.

“Ignora ancora i miei messaggi, Hummel, e ti ritroverai contro tutta l'Adjacent.

Kurt sbattè le palpebre con fare innocente. “La batteria era morta. Una cosa strana.” Ovviamente li aveva ignorati, non voleva parlare con nessuno durante quel giorno orribile e strano che era stato il giorno precedente. Ma l’avrebbe capito. E se non l’aveva capito, ne avrebbero potuto discutere più tardi, quando Dave non fosse stato proprio lì talmente teso da potersi quasi spezzare.

Lei gli ringhiò senza entusiasmo prima di guardare Dave, ancora intrappolato nella sua presa.

“Andiamo, il mio nuovo finto fidanzato dovrebbe essere da queste parti.”

Dave sogghignò e fece scivolare un braccio attorno alla sua spalla. “Merda, non ci ho pensato. C’è qualche protocollo formale da ex-finto-fidanzato che dovrei seguire? Devo minacciare per finta di spaccare il culo a Z se ti farà del male per finta?”

“Ci ho già pensato,” rispose Santana con un sorriso sincero, guidandolo attraverso la scuola.

Kurt seguì Dave, guardando con attenzione il numero sempre maggiore di ragazzi.

“Si suppone che mi abbia ferito per finta, comunque, è quella l’idea.”

“Certo, avrei dovuto farti sapere che non giudico il piano elaborato da te e Britt,” disse Dave, con ancora il sorriso sul volto ma sempre più stiracchiato man mano che attraversavano la scuola, “ma non voglio sapere i dettagli. Lasciami pensare che questo melodramma a scoppio ritardato sia spontaneo. Se sapessi di ore di pianificazione e strategie dovrei prenderti in giro per tutto il tempo.”

“Puoi provarci, atleta da quattro soldi.” Gli sorrise dolcemente “Ti dirò che è stata tutta un’idea di Britt e ti sentirai troppo in colpa per anche il solo tentarci.”

Dave ci pensò un attimo. “Sarebbe come prendere a pugni in faccia un cucciolo, giusto?”

“Se per cucciolo intendi una ragazza incredibilmente sexy…” Santana strascicò un ampio finto sorriso. “Oh, sai che ti dico? Abbiamo il branco al completo qui.”

Kurt guardò al suo fianco: poteva essere una stronza tosta dell’Adjacent ma non era un’attrice. Almeno non fuori dal ruolo di finta-fidanzata.

Ma Dave non sembrava interessarsi riguardo la genuinità o meno della sua sorpresa. Era troppo occupato a fissare ciò che lei stava guardando con quel sorriso.

Grazie ai Glocks nel gruppo sembrava ci fosse un nuovo livello di autorevolezza nelle New Directions che si muovevano in maniera compatta, ma tutti insieme sembravano più o meno un gruppo di teneri cuccioli che tenevano compagnia al chihuahua Kurt.

D’accordo, cosa gli stava succedendo con la metafora del cane?

Sebbene vestiti tutti con le giacche nere e strizzati in quel piccolo gruppo… potevano quasi costituire un piccolo pericolo.

Aiutava che Puck e Lauren chiudessero le fila, ghiacciando con il loro tipico sguardo chiunque desse loro una seconda occhiata. Non aiutava che Rachel e Finn aprissero il tutto, con il sorriso tutto denti di Rachel e la consueta faccia di Finn mentre si avvicinavano.

Dave sembrava sconvolto, Kurt non sapeva dire se in bene o in male.

Qualcuno doveva aver spiegato tutto a Rachel nei termini – 'facciamo finta di essere delle guardie del corpo' – perché si fermò di fronte a Santana sull’attenti.

“New Directions a rapporto come ordinato.” Esordì.

Santana la guardò.

Rachel trasalì.

Per fortuna prima che quello potesse trasformarsi in una lotta di sguardi tra le due ragazze, Finn si mise in mezzo annuendo a Dave. "Ehi, amico. Sono contento che siate venuti."

Dave riguardò il gruppo in modo incerto, ma da quando si era trasferito a casa di Kurt, lui e Finn si erano avvicinati parecchio, grazie alle partite ad Halo e urlando bestemmie agli undicenni in Live.

Così Dave si rilassò un po' al saluto di Finn, e lo ricambiò con quel saluto-così-etero per il quale Kurt non poteva fare a meno di alzare gli occhi al cielo.

"Bene, stiamo andando a piedi sino alla classe", disse Finn quando nessuno sembrava voler proferire parola. "Lo sai, ci assicuriamo che la gente ti lasci in pace. "

Dave annuì, e guardò Kurt come se fosse sicuro che quella fosse stata una sua idea. "Il glee club mi sta proteggendo."

"È quello che ho detto," disse Rachel all’istante, la baldanza offuscata dallo sguardo di Santana. "Ma naturalmente il numero fa la forza, e anche se la tua posizione all’interno della scuola è sempre stata migliore della nostra, sei una persona. Noi siamo un gruppo."

Kurt scrollò le spalle allo sguardo incredulo di Dave che non svaniva. "Apprezzo l’ironia da solo."

"Ciao, Big D!" Azimio Adams irruppe improvvisamente a grandi passi nel gruppo con la sua giacca Letterman e una granita piena fino all’orlo in mano. Si sistemò tra Rachel e Finn.

Dave tentennò, ma Kurt notò con qualcosa che sembrava orgoglio che i suoi occhi indugiavano più sulla granita che sulla giacca Letterman. Se il vecchio rosso e bianco del Letterman lo stava infastidendo, non lo dava a vedere.

Azimio sorrise. "Sapevo che l'amore hippie qua fuori ti avrebbe mandato fuori un po’ fuori di testa. Questi ragazzi ..." Scosse la testa,la sua voce più forte e acuta che mai. "Sono a posto, d’accorda, ma cazzo. Lasci che questi perdenti ti portino in giro per la scuola senza almeno uno dei tuoi amici e credono di poter avere subito una qualche posizione qui dentro."

"Scusami?" urlò Mercedes da qualche parte dietro Finn.

Azimio la ignorò. Kurt non fu sorpreso da ciò. "Quindi, questo è quello che sto pensando. Sto pensando che è il tuo primo giorno, che hai avuto alcuni giorni difficili ultimamente, e ti meriti un qualche tipo di trattamento." Disse dando la granita a Dave. "Hai uno sconto."

Dave lo raggiunse e prese il bicchiere, e Kurt notò che metà del Glee Club seguì quel movimento con occhi allarmati.

Dave non sembrò reagire, ma c'era un certo divertimento nella sua voce mentre prendeva la granita. "Uno sconto."

"Certo che sì. Puoi colpire uno di questi nerd del cazzo ed essere sicuro che non si arrabbierà con te. Devono ancora seguirti come dei veri Bullywhips.".

"Scusami?" Mercedes non era una persona che si poteva ignorare. Si avvicinò a Rachel, con la sua migliore espressione Oh-no-assolutamente-no negli occhi. "Non ricordo che nessuno abbia eletto il tuo culo leader di questo gruppo".

Azimio lanciò un ghigno a Dave. "Se vuoi un consiglio gliela tirerei sui capelli. La sorella qui la adora". Si mosse scostando Kurt e gettando un braccio attorno a Dave, fiancheggiandolo in modo perfetto, con Santana ancora appesa al suo lato. "E vi dirò anche il perché il mio amico sta per raffreddare le idee ad uno di voi. Perché io c’ero quando stavate discutendo di fare questa cosa."

Forse era il silenzio e la quiete di Dave. Forse era il fatto che lui aveva ancora lo sguardo distante come se stesse per vomitare, o il modo in cui i suoi vestiti sembravano appesi al suo corpo troppo sottile. Forse era perché la mano che teneva la granita tremava un po’. Forse era perché erano esseri umani decenti e si erano davvero sentiti male il giorno in cui Kurt aveva chiesto il loro aiuto.

Qualunque cosa fosse, il ricordo di quel giorno mise un po’ in crisi Mercedes, Rachel ed Artie. Artie mosse la sedia un po', come se Azimio avesse appena concluso efficacemente l'argomento.

Il divertimento di Dave finì nel momento in cui capì a cosa si riferiva Azimio, la sua espressione illeggibile.

Kurt non parlò, visto che non poteva nemmeno discutere. La maggior parte del gruppo di fronte a loro si era opposta all'idea di aiutare, anche anche se tutti sapevano quanto era messo male Dave. La maggior parte di loro aveva dovuto essere minacciata per partecipare.

Ma quello non era quello il tipo di sospetto di cui aveva bisogno Dave in quel momento. Se il Glee Club era lì per lui, avrebbe dovuto essere autorizzato a pensare che almeno volevano essere lì.

Dave si accigliò. Ruotò la granita in via sperimentale, come se volesse sentirne il peso di nuovo. "Io non so chi vi ha detto di venire qui, se Kurt, Santana o Z" disse, e le sue parole erano morbide ed esitanti. Era ancora teso. "Ma vi capisco se non volete rimanere."

Un paio di occhi si girarono, un paio di sguardi vennero scambiati. Kurt vide il modo in cui Puck guardò Lauren, e il modo in cui Lauren rispose allo sguardo come se fosse offesa dal suo pensare che fosse stata tutta colpa sua.

Rachel fece un passo in avanti improvviso. "Vorrei solo dire, per la cronaca, che come figlia di due padri gay verrò sempre in aiuto di chi teme di essere ostracizzato per il proprio orientamento sessuale." Fissò Dave, il mento in aria.

"E anche se ho le mie obiezioni, l'altro giorno non aveva niente a che fare con voi ed invece aveva tutto a che fare con la distruzione di una prova di importanza vitale, se questa cosa soddisfa una sorta di debito karmico contro le New Directions io mi offro come bersaglio per la tua granitata."

Dave la fissò, guardandola come se si fosse dimenticato di avere la bevanda in mano.

Si voltò verso Azimio.

Azimio puntò Mercedes. "Nel capelli, amico."

Dave guardò verso Kurt, le sopracciglia alzate.

Kurt sorrise appena - era abbastanza sicuro di dove stesse andando a parare.

"Allora ... stai dicendo che posso fare tutto quello che voglio con questa granita e non ci saranno ripercussioni?"

"Esatto, D. Questi stronzetti meritano una lezione tipo debito karmico, o quello che la piccola ragazza bianca ha appena detto."

Dave sorrise e sollevò la coppa. Infilò la cannuccia in bocca, aspirando circa due centimetri di ghiaccio in un fiato.

"Grazie, amico."

Scivolò oltre Azimio, lontano dalla presa di Santana, e si avvicinò a Kurt mentre costeggiava il gruppo di ragazzi del Glee Club vestiti di nero.

"Se il tuo obiettivo era quello di confondermi finchè non avessi smesso di pensare a quella roba ha funzionato."

Kurt lo incontrò a metà strada, ed insieme si voltarono dirigendosi verso la porta. "Ti sei appena guadagnato un drink, comunque."

Dave sorrise. "Te l’ho detto, amico, adoro queste cose".


Kurt non era sicuro di cosa aspettarsi. Aveva sempre temuto quel momento, il momento in cui i passi di Dave sarebbero risuonati tra i corridoi del McKinley. Si era immaginato una scena da film, dove uno entrava in un bar e senza dire nulla la musica si fermava, e tutti lo fissavano. Deridendo e sussurrando alle sue spalle, quasi beffardi.

Si era immaginato qualcuno che chiamasse il nome di Dave, come se stesse facendo il tifo e accogliendo trionfalmente il ritorno del Re del Ballo, cogliendolo di sorpresa e spazzandolo via in un pubblico ammirato.

Quello che era successo era una via di mezzo. In pratica, non c’era stata alcuna reazione.

Beh, non nessuna reazione. Alcuni ragazzi che Kurt non poté vedere salutarono Dave con un 'Karofsky, yo' prima di svanire veloci nella folla. Ma la maggior parte dei ragazzi intorno a loro erano impegnati con la propria vita, e ridevano con gli amici fino a correre in classe, con i propri sms e le ricerche per i compiti.

Kurt fu quasi deluso – per una mente teatrale come la sua non c’era niente di peggiore di una reazione di quel tipo -- ma guardò verso Dave e la tensione fuoriuscire man mano che la gente gli passava vicino senza accorgersene. Se per Dave era meglio così, chi era Kurt per decidere diversamente?

Dave non ebbe molto tempo per rilassarsi. Venne colpito dalla presenza e dalla voce di Azimio alle sue spalle.

"Forza, McKinley! Si fa strada ai gay qui!"

Dave avvampò per la sorpresa e si voltò per affrontare il suo amico, ma Azimio si era messo in mezzo tra Kurt e Dave, intrappolando Kurt con la stessa presa con cui stava trattenendo Dave. Marciò tra la folla improvvisamente attento, trascinando i due nella sua scia.

Anche i ragazzi meno attenti in quel momento non avrebbero potuto fare a meno di notarli, scatenando una reazione a catena che stava attraversando velocemente il corridoio.

"Azimio!" sibilò Kurt.

"Stai zitto, Hummel," mormorò Azimio sorridendogli in modo smagliante. "Vuoi che stia all'erta tutto il giorno con la paura di essere notato, o che la finiamo con queste stronzate ora e subito?"

Kurt aggrottò la fronte, guardando la folla - sorridente mentre si rendevano conto della presenza di Dave -  che altrimenti lo avrebbero notato a poco a poco, oppure attraverso i pettegolezzi sul suo ritorno, per poi cercarlo nei corridoi.

Ogni tanto voleva odiare Azimio, a volte ci arrivava anche. Ma non era mai riuscito ad arrivare a quel punto.

La prima ora di Dave era Fisica, e Kurt riuscì a prendere un attimo di fiato sapendo che era anche la sua materia preferita, e che avrebbe potuto effettivamente essere un modo decente di tornare a scuola.

Azimio trascinò Kurt e Dave per tutto il tragitto, e con il resto del Glee Club in movimento dietro di loro come una banda in stile West Side Story con tanto di giacca di pelle d'ordinanza che non potevano fare a meno di attirare tutti gli sguardi su di loro. Kurt non poteva nemmeno vedere come la stesse prendendo Dave, perché Azimio era tra di loro e Kurt era troppo piccolo per guardare oltre la massa costituita da Azimio.

Nei pressi della classe Kurt scorse un ciuffo di capelli castani, con il risultato di irrigidirsi nuovamente per la tensione. Ma dal gruppo di ragazzi del Glee Club uscirono Santana e Brittany con i mignoli intrecciati, e Santana sembrava fissare Jacob fin dal corridoio.

Kurt non poté vedere il viso della ragazza, ma assisté alla reazione di Jacob - non sembrava spaventato, almeno non più  di quanto temeva normalmente Santana, che li guardò con occhi spalancati annuendo con un cenno del capo prima di proseguire il cammino verso la sua classe.

Santana e Brittany si voltarono casualmente e si diresse verso di loro, sorridendo a Kurt. "Te l'avevo detto che ci avrei pensato io a lui".

"Dovrei chiedertelo?"

Lei gli si avvicinò e abbassò la voce, infilando il braccio intorno alla vita di Brittany. "Gli ho promesso tutti i dettagli che avrebbe mai potuto avere sul trio di potere del McKinley."

Kurt sbattè le palebre, guardando verso Azimio ridacchiando. "Stai mentendo sulla tua vita sessuale?"

"Solo fin quando questo lo terrà lontano da Dave," confermò. "Nulla colpisce più l'attenzione di uno scandalo sessuale. Non ci è voluto molto a convincerlo che Dave era una notizia vecchia e che la novità siamo noi."

Brittany sorrise, senza il ghigno di Santana ma con la giocosità che le era propria. "Ho anche trovato un nome per noi - Brittanio."

"Buon Dio". Kurt roteò gli occhi e rise, mettendo un braccio intorno alla vita di Santana. "Benvenuta nel Team Arcobaleno, Santana. Sono davvero felice di avere te nella squadra".

Lei alzò gli occhi riservandogli uno dei suoi soliti sorrisi.

Erano sulla via della classe, la folla aveva smesso quasi del tutto di fissarli a bocca aperta, Azimio chiacchierava con Dave sul disastro che aveva fatto al vicino durante il fine settimana, e tutto sembrava come se potesse effettivamente funzionare - almeno per i primi dieci minuti della giornata - quando successe.

"Karofsky!"

Ed ecco il grido nel silenzio, il richiamo all'attenzione, il momento drammatico che Kurt si aspettava.

Erano in cinque. Si avvicinarono dal corridoio di fronte a loro, e anche se c'erano abbstanza giacche nere per essere certi di poterli portare fuori da lì, rimaneva comunque quella sensazione di terrore nell'aria.

Kurt si tese e smise di muoversi come tutti gli altri del suo eclettico gruppo. Lasciò andare Santana quando lei si irrigidì accanto a lui, e nell'improvviso silenzio nervoso non poté fare a meno di chiedersi ...

Perché quei ciuffi?

"Così ti sei fatto vivo di nuovo," disse il tizio alla sinistra - Cooper, pensò Kurt cercando di ricordarsi il suo nome - non appena i suoi amici bloccarono il corridoio.

Azimio avanzò immediatamente. Kurt gli afferrò il braccio e lo spinse indietro, dando un’occhiata a Santana che sembrava pronta ad arrivare a loro volando.

Spinse Azimio abbastanza indietro da poter vedere di nuovo Dave. Era teso, diffidente, ancora pallido, ma con un velo di colore sulle guance che prima non c'era. Forse la rabbia, forse solo una coincidenza.

Fissò allo stesso modo tutta la fila di giocatori di hockey. "Cosa vuoi, Cooper?"

"Ho sentito dire qualcosa", disse il tipo, condividendo un ghigno con il ragazzo accanto a lui. "Su di te".

"Potresti desiderare di stare zitto e fare un passo indietro", dichiarò una voce cupa da dietro Kurt.

Kurt si voltò e spalancò gli occhi quando vide dietro di lui Finn, che stava fissando Cooper con il tipo di rabbia che i tipi come Finn spesso non avevano.

Puck e Mike avevano attraversato il gruppo dei ragazzi del Glee Club per accostarsi a Finn dietro a Dave. Erano entrambi arrabbiati e, se Mike non fosse stato sufficiente per tutti gli altri, Puck e Finn sembravano abbastanza pericolosi per chiunque.

Ci sarebbe stato da dire qualcosa sul legame che si formava tra adolescenti nel gridare bestemmie ai bambini giocando in Live.

Cooper e i suoi compagni lanciarono solo un'occhiata ai Glocks prima di far tornare la loro attenzione a Dave. Si scambiò uno sguardo veloce con Kurt, quasi un segno di riconoscimento.

"Secondo questa voce," proseguì, sistemandosi i capelli sulle spalle come se fosse una Cheerio vanitosa, "stai pensando di tornare in squadra. "

"Cosa?" Dave sembrò sorpreso, come la folla dietro di lui.

"Sei un fottuto pazzo?" sbraitò Azimio, ancora teso accanto a Dave. "Big D è un Titan, cazzo, non uno come voi".

Ma Dave guardò all'improvviso verso Kurt, una domanda nei suoi occhi.

Kurt sorrise debolmente. Santana aveva gestito a suo modo Jacob, Kurt aveva pensato alla squadra di hockey.

Gli piaceva pensare di avere una buona testa per i dettagli, una buona memoria per le cose importanti. Non dimenticava i compleanni, si ricordava cose sui suoi amici che loro nemmeno ricordava di aver menzionato davanti a lui.

E non avrebbe potuto dimenticarsi il giorno in cui era in camera da letto di Dave aiutandolo a preparare le cose, e cosa gli aveva detto Dave sul perché era passato a giocare a football. Il ricordo era chiaro nella sua mente.

Non del dolore causato dal padre di Dave. O gli sposini, che avevano fatto la loro ricomparsa improvvisa quel giorno. Si ricordava solo di ciò che Dave aveva detto dell’hockey, di come niente sarebbe andato bene a meno che non fosse il football. Che aveva lasciato la squadra a causa di suo padre, perché non era sufficiente per Paul Karofsky essere un atleta, bisognava essere quello giusto.

Si ricordava il modo in cui si era suggerito a se stesso che l’anno era appena cominciato, e forse Dave avrebbe potuto cambiare di nuovo.

Si ricordava di quello, perché aveva causato uno dei primi veri squarci di speranza sul volto di Dave che Kurt avesse mai visto.

Inoltre, i giocatori di hockey erano come qualsiasi altro gruppo di atleti adolescenti – stavano tra di loro. Era bastato che Kurt accennasse al Coach Lewis che il suo vecchio difensore voleva tornare a giocare di nuovo.

Era molto orgoglioso di se stesso per quello, in realtà.

Dave fissò Kurt come se gli avesse letto la mente, come se fosse stato in grado di vedere il compiacimento. Scosse la testa, ma i suoi occhi andarono verso Azimio con un’alzata spalle. "In realtà ..."

Azimio aggrottò la fronte. "Diavolo no, non lo hai portato qui per giocare a hockey, cazzo."

Dave incontrò i suoi occhi. "Non c'è molta possibilità per me a giocare a football", disse semplicemente.

Azimio aggrottò nuovamente la fronte.

Kurt rimase lì in silenzio e si costrinse a farlo, per ricordare, per capire.

Dave poteva gestire Azimio con la letterman, bene. Ma anche se Dave avesse voluto ritrovarsi in uno spogliatoio circondato da quelle giacche, anche se avesse pensato di poter gestire quello, Kurt glielo avrebbe proibito. Avrebbe trovato un qualche tipo di autorità da qualche parte e glielo avrebbe vietato.

Alla fine lui non sapeva quanto poteva essere diverso con la squadra di hockey, ma Dave gli aveva parlato nella sua vecchia camera da letto di come voleva giocare di nuovo, e Kurt si sarebbe assicurato di fargli avere almeno la possibilità di ottenere tutto ciò che avrebbe potuto volere.

Certo, se Azimio cominciava ad essere possessivo, il piano era finito fin dall'inizio. Kurt aveva parlato più con Azimio Adams nelle ultime poche settimane che in tutti gli anni prima, ma solo perché lo conosceva meglio non voleva dire che fosse una persona pericolosa da far arrabbiare.

Azimio si rilassò, infine, pur rimanendo accigliato con Dave.

Kurt scivolò attorno ad Azimio mentre gli atleti erano bloccati nel loro piccolo gruppo indignato. Fece un passo fino a Dave e pose una mano sul braccio.

"Promettimi solo una cosa, Dave," disse Azimio, un po' troppo forte per poter apparire come un tono spensierato. "Non osare provare a farti crescere i capelli per somigliare a loro."

Gli occhi di Cooper erano puntati su Azimio mentre sorrise in risposta. "D’accordo, gli faremo avere una parrucca per i giochi."

Azimio lo guardò storto, voltandosi verso Dave. "Sei serio, amico? Non giocherai più?"

"Possiamo parlarne dopo?" Dave gli chiese tranquillamente.

Azimio aggrottò la fronte, ma non discusse.

"Se avete finito signore, domani dopo la scuola ci alleniamo. Il tuo vecchio numero è pronto per te, Karofsky".

Cooper raccolse la sua cricca e si immerse nella folla di ragazzini.

Gli occhi di Kurt rimasero su Dave. Vide la contrazione della sua bocca, lo scintillio di luce nei suoi occhi, e decise immediatamente che il dramma non aveva importanza. Dave voleva giocare a hockey, ed era quello che sarebbe successo.

Azimio poteva essere spaventoso quanto voleva. Kurt gli sarebbe andato addosso, senza batter ciglio.

"Smettila di fissarlo, non ha paura di te", disse Santana improvvisamente, muovendosi dietro Finn e dando una gomitata ad Azimio."Il tuo atteggiamento da macho può aspettare, Z."

"D’accordo." Azimio batté sulla spalla Dave - forse un po 'troppo forte, a giudicare dal fatto che Dave stava quasi per inciampare - e fece lampeggiare un sorriso. "Ci vediamo in classe, amico".

Dave riguardò la porta della classe, mentre Santana trascinava il suo finto- fidanzato lungo il corridoio.

Kurt guardò indietro e congedò le New Directions con un cenno prima di parlare con Dave. "Giusto perché tu lo sappia, tutte queste cose sono andate diversamente nella mia testa. "

Dave sbuffò. "Lo spero proprio."

Guardò indietro al gruppo alle loro spalle, e poi fissò di nuovo Kurt con un debole sorriso. Era un po' sottile, un po' stretto agli angoli, ma era un sorriso. "Grazie per tutto questo."

Kurt gli strinse il braccio e gli restituì il sorriso con uno luminoso dei suoi. "Ci vediamo dopo le lezioni?"

Dave annuì e inspirò profondamente. I suoi muscoli si contrassero sotto la mano di Kurt un momento prima di dirigersi verso la classe e di lasciarlo andare.


Kurt cercò di non pensarci troppo mentre andava verso la lezione di storia. Non stava lasciando andare Dave, era troppo drammatico anche per lui. Cercò di non pensare ad una lezione sul finire dell’anno prima, in cui Dave gli aveva chiesto di aspettarlo dopo le lezioni con un berretto e una giacca rossa.

Non era la stessa cosa, davvero. Non era come tornare al punto di partenza. Allora Dave aveva le lacrime agli occhi mentre offriva le sue scuse come se non potesse sperare che venissero accettate. Aveva chiesto a Kurt di aspettarlo come se fosse stato una sorta di favore che Kurt stava facendo per lui. Era dispiaciuto, dicevano le parole, ma era anche alla ricerca di una possibilità di dimostrarlo.

Kurt era quello che controllava la situazione allora, e si sentì come se fosse ancora quello che doveva controllare tutto. Era rimasto in quella classe di francese, perché si era reso conto che Dave ne aveva bisogno, e sarebbe andato incontro a Dave dopo Fisica quel giorno per la stessa ragione.


"Ehi, Hostess".

Kurt chiuse l’armadietto e si accigliò alla vista della folla che riempiva i corridoi.

Ora di pranzo, e a quello non ci aveva ancora pensato.

Si immaginò Dave semplicemente seduto al tavolo del Glee Club, ma il giorno ancora-relativamente-senza-dramma-ma-potenzialmente-ancora-imbarazzante voleva dargli una seconda opportunità. Azimio era passato sopra la storia degli atleti, ma avrebbe potuto cominciare l’argomento non appena Dave avesse potuto affrontarlo.

C'era una possibilità che Dave non avrebbe voluto fare una dichiarazione così pubblica come quella di sedersi al tavolo con loro, comunque. Essere in fondo al corridoio seguito loro era una cosa, sedersi e mangiare era un'altra. La sala mensa era come una lente d'ingrandimento per le strutture sociali al liceo – quelli con cui si mangiava in mensa significavano di più di quello che si faceva al Ballo di fine anno.

"Hostess!"

Sospirò e si avviò verso l'aula di spagnolo per intercettare Dave e vedere cosa ne pensava.

Un lungo, forte braccio atterrò sulla sua spalla.

"Capisco che non è così evidente come soprannome, ma ti dirò il motivo dietro a questa scelta."

Sue Sylvester lo salutò con uno dei suoi sorrisi lampo che potevano essere pericolosi o semplicemente falsi.

Camminò con lui lungo il corridoio, e quello sembrò ottennere l'effetto di far andare via ogni ragazzo dalla loro rotta. "Ecco, stavo per chiamarti Scintillio (*), ma capisco che per le tue conoscenze questo sia un termine che ha un significato diverso, e che non sia necessariamente un insulto. Così ho dovuto scegliere tra Ding Dong - che è troppo giovane anche per me - o Hostess dei Cupcake. Per ovvi motivi ho lasciato cadere la parte 'Cupcake', ma alla fine il punto che sto cercando di far passare è che sei un zuccherino senza alcun valore nutrizionale."

Kurt fece un sorriso. "C'è qualcosa che posso fare per Lei, Coach Sylves-"

"Beh, questo dipende da te, Fiocco di Neve. Stavo per venire a cercarti l’altro giorno, ma non eri in giro, e dopo la chiacchierata che abbiamo avuto al telefono di domenica mi sono ritrovata... non interessata, naturalmente, perché - e voglio essere chiara su questo - non me ne frega niente. Ma sono curiosa. "

La menzione della telefonata fece cambiare colore al volto di Kurt. Era stata un'idea di suo padre, dopo che gli aveva spiegato cosa era successo in quel catastrofico fine settimana e gli aveva chiesto come potesse cominciare a riparare le cose. Suo padre gli aveva detto che aveva bisogno di offrire a Dave quello che gli aveva negato in quel ristorante - una scelta. Così Kurt aveva chiamato Sue, Azimio e Paul Karofsky tra tutti, per vedere quali opzioni avrebbe potuto offrire a Dave se avesse voluto andare via da casa loro.

Col senno di poi, probabilmente avrebbe dovuto richiamare Sue una volta che tutto era stato risolto.

Avrebbe probabilmente dovuto chiamare anche Paul Karofsky ad un certo punto.

"Mi dispiace", disse con una smorfia, sperando che il suo rossore non fosse troppo evidente. "Ce l’abbiamo fatta."

"Lui è qui?"

"Sì".

Lei lo guardò storto, come se stesse mentendo. "E va tutto bene?"

Kurt annuì alla figura ancora appoggiata alla porta della classe di Mr. Schue. Sue fissò un punto in lontananza, e qualcosa nel suo viso si ammorbidì un po'.

Kurt lo notò sorridendo tra sé e sé. Il giorno in cui Dave venne aggredito, il giorno in cui lo aveva rinvenuto sul pavimento e Kurt l’aveva trovata in ginocchio accanto a lui con il panico negli occhi di solito d'acciaio...

Era stata una brutta giornata. Una delle più brutte dalla morte di sua madre. Ma momenti come quello dovevano fargli ricordare che ogni tanto le cose buone potevano venire fuori dagli eventi più orribili. Dave, che era rimasto ad aspettarli immobile, ricordava a Kurt tutto quello che poteva esserci di buono a partire dal cattivo. Li notò. Le sopracciglia erano alzate quando vide chi c’era al suo fianco, ma fece quel sorriso timido che Kurt adorava e si raddrizzò in tutta la sua altezza.

"Ehi, Coach."

"Knuckles". Lo studiò per un momento, come per assicurarsi che non stesse per crollare. Strinse il braccio di Kurt con più forza di quanta fosse stata strettamente necessaria e lo lasciò andare finalmente. "Bentornato".

"Grazie," disse Dave, le guance rosee.

Abbassò lo sguardo al suo polso senza orologio. "Giusto, mi sono improvvisamente ricordata di alcune cose che devo fare." Annuì verso Dave. "Il mio ufficio è vuoto per l'ora successiva, Knuckles". Annuì a Kurt. "Moonpie (**)".

Kurt la guardò allontanarsi, osservando la folla fendersi davanti a lei. Doveva essere un bella abilità da possedere.

"Ehi ..."

Guardò  Dave all'istante. "Ehi! Scusa. Pronto per il pranzo?"

"Sì, uhm".

Kurt aveva fatto bene a pensarci due volte sulla mensa. Riuscì a vedere l’ombra intorno agli occhi di Dave.

Dave fece un cenno verso la figura già lontana di Sue Sylvester. "Mi ha detto che mi potevo nascondere nel suo ufficio se ne avessi avuto bisogno quando stava cercando di convincermi a tornare. Pensi che potrei ... "

Kurt capì allora la menzione casuale dell’ufficio vuoto, e si ritrovò divertito dalla Sylvester di nuovo. Pur con il suo modo di insultare le persone si era accorta anche che Dave sembrasse un po' sopraffatto e gli aveva offerto il suo ufficio senza battere ciglio.

"Hai in mente qualcuno a tenerti compagnia?" chiese con un debole sorriso.

Dave esitò, ma solo per un istante. "Andiamo."

Solo quando furono al sicuro chiusi nell’ ufficio di Sue, seduti in mezzo ai trofei, Kurt pensò di chiedere, "Aspetta un minuto, quando avrebbe cercato di convincerti a tornare?"

Dave sorrise e alzò le spalle. "Tutto il tempo. Non sei l'unico che mi stressa tutti i giorni, sai."

E no, Kurt non lo sapeva. Ma non era più sorpreso.


"Si unisce a noi!"

Dave si fermò sulla porta della choir room immediatamente, gli occhi ben aperti.

Kurt raggiunse Rachel dandole uno schiaffetto sul braccio. "Zitta, arpia. Sono il suo autista, e mi sta solo aspettando."

Lei si accigliò aggrottando la fronte, e lui era sicuro che lei fosse assolutamente sconcertata dal fatto che qualcuno volesse rimanere ad una prova e non far esplodere il suo cuore dal canto.

Mr. Schue sorrise a Dave, dal momento che la sua lezione sull’intonazione era già stata interrotta da Rachel. "Dave, andiamo puoi sederti - nessuno ti farà cantare, te lo prometto ".

Dave sorrise debolmente e scivolò all'interno della stanza, chiudendo la porta alle spalle. Quando nessuno obiettò alla sua presenza - e sono stati con lui tutto il giorno, avrebbe dovuto davvero essere più rilassato - si sedette sulla sedia più vicina alla porta fissando i libri sul sedile accanto a lui.

Il professor Schue tornò ai ragazzi.

"Allora. Il punto è, allo stesso modo in cui la metrica regala emozioni, così è anche il ritmo della canzone. Ora, uno come Stephen Sondheim capirà sicuramente la scrittura della musica dal punto di vista di un attore, conosce la velocità, le pause, il modo per ottenere rabbia o irritazione. La sfida sta nel trovare il modo di iniettare queste cose nelle canzoni senza scrivere in parole, e senza perdere la melodia o il flusso della canzone. Così, Sam, per la tua esibizione di un minuto fa: ho la sensazione della canzone, nei tuoi movimenti, ma devi trovare il modo per farlo passare attraverso le parole. "

Guardò il resto della classe. "Qualcuno ha qualcosa di preparato? Kurt, hai detto che eri pronto?"

Gli occhi di Kurt andarono immediatamente a Dave. Per qualche ragione il suo volto arrossì. "Uhm. Io. .. ho bisogno di pensarci. Intonazione e tutto. Qualcun altro può-"

"Kurt. Andiamo, da quando sei timido?" Mr. Schue aveva ovviamente notato lo sguardo a Dave, ma dal suo sorriso doveva averlo male interpretato.

Oppure ... no. Perché non c'era nessuna interpretazione da fare.

Kurt si alzò senza problemi, perché opporsi avrebbe voluto dire che c’era qualcosa che doveva venir interpretato. Fece un passo verso la parte anteriore del gruppo, annuendo a Brad e voltandosi verso il suo pubblico. Non guardò le sedie vicino alla porta.

Nemmeno c’erano quelle sedie, maledizione.

Si schiarì la gola. "Nell'interesse del tema della settimana e per mettere in mostra le mie competenze linguistiche impeccabili, ho scelto di cantare il classico numero di Edith Piaf, Non, je ne regrette rien".

Mr. Schue era soddisfatto.

"Una sfida in una lingua straniera. Buona scelta, Kurt".

Kurt annuì indietro Brad, che cominciò a suonare con un arrangiamento che ben mischiava la parte orchestrale con la parte a piano.

Kurt non guardò di lato, e non vorrebbe aver scelto qualcosa di meno... effemminato. Chiuse gli occhi per ascoltare l’attacco, e inziò forte e preciso. Una sfida, in stile Kurt Hummel - con la voce di una donna morta francese.

"Non, rien de rien
Non, je ne regrette rien
Ni le bien qu'on m'a fait
Ni le mal, tout ça m'est bien egal
Non, rien de rien
Non, je ne regrette rien
C'est Paye, balayé, oublié
Je me fous du passé ... "

Per circa a metà della strofa si guardò intorno, amava testare il suo pubblico, e fu sorpreso di non vedere Mercedes fissarlo. Lei lo adorava, e adorava la sua voce, così seguì il suo sguardo per vedere cosa poteva importare di più ...

Dave. Stava fissando Dave.

A quel punto Kurt si accorse che Dave stava fissando proprio lui.

Kurt era un uomo di spettacolo, naturalmente, e non c'era nulla di inaspettato nell’avere un pubblico. Non mancò una nota, il suo tono era perfetto.

Alzò il mento e si raddrizzò di nuovo, cantando.

"Avec mes souvenirs, j'ai Allume le feu
Mes chagrins, mes plaisirs, je N'Ai oltre a besoin d'eux
Balayées les amours, avec leurs tremoli
Balayées versare toujours, je repars uno zero ... "

Ci fu un applauso quando raggiunse la fine della canzone e la sua voce si spense, fece il suo solito inchino e annuì in riconoscenza del meritato applauso.

Mercedes fece un sorriso mentre tornava a sedersi. "E pensare...", disse lei. "C'è stato un tempo in pensavo che tu fossi etero."

Sbuffò e le mandò uno sguardo altero, non appena fu seduto. Non aveva nemmeno controllato per vedere se Dave ancora lo stesse guardando.

Fino a un attimo dopo, quando lo fece. Dave aveva gli occhi a terra, o in grembo, o da qualche parte direttamente di fronte a lui.

Kurt si voltò verso Mr. Schue quando si alzò per concludere la prova generale per il giorno, mentre cercava di non riconoscere il fatto di essere deluso.

Mr. Schue li lasciò abbastanza presto - solo alcune cose sulla scaletta per le provinciali e furono liberi.

Mercedes afferrò la sua borsa e le sue cose affrettandosi verso la porta, il che era insolito per lei.

Kurt la guardò bloccandosi con la borsa appesa a metà sulla spalla quando lei si fermò accanto a Dave avvicinandosi e dicendogli qualcosa che Kurt non poteva sentire.

Dave sgranò gli occhi e il suo sguardo andò verso Kurt. Un attimo dopo il suo volto era rosso barbabietola e stava guardando lontano, a terra. Mormorò qualcosa che Kurt sentì come un ringhio basso.

Mercedes rise e si diresse fuori dalla porta.

Kurt si avvicinò lentamente a Dave. "Ehi, sei pronto?"

Dave si alzò velocemente dalla sedia e prese i libri. "Sì".

 


Aspettò fino a quando non furono in auto e sulla strada prima di guardarlo. "Allora. Che cosa ti ha detto?"

"Chi?" Dave chiese in modo troppo veloce.

Kurt sorrise. "Tu sai chi".

"Niente. Una stronzata". Dave fece per voltarsi verso Kurt, ma cambiò idea, guardando invece fuori dal finestrino.

Kurt alzò le sopracciglia, ma decise di lasciar correre ed andare avanti. "Bene. Ti ho visto abbastanza spesso oggi, ma... come è andata la giornata? "

Dave emise un fiato. "Strano," disse con una scrollata di spalle. "La metà del tempo mi sono chiamato femminuccia da solo per aver aspettato così a lungo, dato che ... sai, cazzo, è solo la scuola. "

"E l'altra metà del tempo?"

Un'altra scrollata di spalle, ma la sua voce scese improvvisamente.

"Ho dovuto prendere una pausa durante l'ultima ora. Ho chiamato la dottoressa".

"La dottoressa Mad?" Kurt cercò di sorridere. "Ti ha aiutato?"

"Credo. Voglio dire ... mi ha detto che non sono matto, anche se mi sono sentito bipolare per tutto il giorno." Sospirò e lasciò cadere il capo contro il poggiatesta. Le sue guance erano solo un po 'i rosa quando Kurt le intravide.

"Non posso fare qualunque cosa con la mia mente, suppongo. E 'strano. Mi guardo intorno e mi rendo conto che tutto va bene e poi il mio cervello comincia ad urlare ed io penso di essere fuori di testa. E mi piacerebbe avere un secondo di pausa ma poi il mio cervello ride di me per essere un perdente. E non riesco decidere se avere dei glee-stalker sia bello o patetico, o se sono

arrabbiato o felice riguardo a Z per quello che è successo questa mattina." Sospirò, guardando fuori. "Non so, sono gli stessi cambi d’umore che ho avuto nelle ultime settimane, ma ... improvvisamente il mio umore sta cambiando ogni due minuti invece che ogni due ore. "

"Hai molto più da fare del solito," commentò di Kurt. "Sei abituato a stare a casa a messaggiare con me. Per quanto possa essere stimolante, non sono la migliore preparazione per un ritorno a scuola".

"Sì, ha detto così anche la dottoressa." Dave si accigliò improvvisamente, strofinandosi il retro del collo. "Qualcosa su come il mio cervello non sia abituato a tutto questo, e il modo in cui dovrei reagire entra in conflitto con quello che sento e tutte quelle stronzate".

Kurt continuò a guidare. "Sembra logico."

"È come dire che il mio cervello è diverso", rispose Dave. "Non mi piace questa idea. Io non sono un altro."

"Beh ..." Kurt entrò nel vialetto con attenzione e mise l'auto nel parcheggio. Spense il motore e rimase lì, a pensarci.

Dave non si mosse, ovviamente in attesa di quello che stava per dire.

"Tu sei un tipo, Dave. Voglio dire... in un certo senso. In molti modi". Si voltò verso Dave, incerto. "L'hai detto te stesso, prima di tutto questo eri ossessionato dall’essere etero, non esporti. Non essere gay, sai?" Lui sorrise debolmente.  Anche se nient’altro fosse cambiato tranne che questo sarebbe comunque un bel peso da portarsi sulle spalle, giusto? "

Dave alzò le spalle. "Forse, ma non è di questo che sto parlando."

"Beh, se stai parlando di essere aggredito nel modo in cui tu lo sei stato e se ti aspetti che non abbia influenza su di te, allora sono d'accordo con il medico. E 'troppo pensare che tutto questo non lascerà una qualche cicatrice. "

Dave si accigliò. Non discusse, ma aveva una smorfia triste e si era voltato verso il parabrezza invece che a Kurt.

"Se aiuta ..." Kurt esitò, guardando Dave, la vena della tempia che pulsava e il modo in cui la gola sembrava essere in pausa. "Io penso che tu sia ancora te stesso. Solo una nuova versione di te. Il te che ha attraversato l'inferno e si è allontanato da esso. "

Sorrise, e gli sembrò un po' stupido, ma lo pensava davvero, e per fortuna Dave lo capì.

"Non mi piace quello che hai dovuto passare per arrivare fin qui, ma mi piaci. Che tu sia lo stesso o diverso, penso che tu sia piuttosto sorprendente. "

Dave guardò oltre, e la sua bocca sorrise per un attimo prima di distogliere lo sguardo di nuovo. "Questo probabilmente aiuta."

Prese i suoi libri dal grembo e raggiunse la maniglia della porta. Kurt afferrò la sua borsa e sorrise mentre faceva un passo fuori nel vialetto.

Non era stata una giornata perfetta, nemmeno con uno sforzo di immaginazione. Ma Dave era andato oltre, e Kurt lo aveva aiutato. Ed era quello che importava.


Mercedes non aveva nemmeno esitato a raccontargli quello che aveva detto a Dave prima di lasciare la choir room quel giorno.

"Gli ho detto che se vuole veramente far colpo deve fare il suo dovere e cantare."

Kurt non era sicuro se sentirsi esasperato o divertito o arrabbiato, così lasciò perdere.

Era abbastanza difficile per lui rimanere attorno a Dave, dopo tutto quello che era successo recentemente. Era difficile guardarlo e non pensare un mantra continuo di 'mi ama mi ama mi ama'. Difficile non cercare di leggere in ogni gesto, ogni parola o colpo d'occhio.

Era difficile sentire il commento allegro Mercedes':"Guarda, tesoro, penso che tu possa scegliere la più facile, più perfetta corrispondenza nel mondo o la più complicata e dolorosamente sbagliata. Ma penso anche che il ragazzo che ti ha visto oggi cantare ti guardava come i fedeli guardano il pastore. Amo Blaine, davvero, io faccio il tifo per lui. Ma, per quanto ho visto, lui non ti ha mai guardato in quel modo prima d'ora. "

Come non faceva ad esserne ossessionato? Come faceva a lasciare qualcosa di così enorme e complicato come l'amore là fuori senza fare qualcosa al riguardo?

Blaine amava Kurt e Kurt amava Blaine.

Dave (probabilmente) amava Kurt, e ...

E che cosa?

Kurt aveva sempre creduto che l'amore era l’amore e non c'era spazio a dubbi o confusione. Era di mentalità vecchio stile su cose come l'amore, l'idea che se amavi una persona non dovevi essere in grado di pensare anche a chiunque altro. L'amore doveva essere quella enorme, travolgente, cosa innata che non lasciava spazio a confusione.

Se amava Blaine, non avrebbero dovuto esserci termini simili per Dave. Non avrebbe dovuto avere alcun spazio nel suo cuore, perché l'amore era l’amore.

L'amore prendeva tutto lo spazio.

Ma come la maggior parte della sua vita negli ultimi tempi, scoprì che era sempre meno sicuro di sé su quella convinzione che aveva usato per essere sicuro di sè. Perché amava Blaine – pensava quelle parole e le diceva ad alta voce e avrebbe voluto dire che non erano vere. Ma lui non aveva mai amato Blaine con l'esclusione di tutte le altre opzioni.

Blaine gli aveva detto una volta che pensava Kurt avesse trovato Blaine e avevano deciso che dovevano stare assieme, e basta. Non c'era spazio per i pensieri sui altri uomini. Non era certo quello il caso di Kurt. Blaine aveva una buona ragione - Kurt era decisamente cieco quando si trattava di attrazione e ragazzi. Ma non sapeva se era perché lui era così contento di Blaine o semplicemente perché non vedeva quelle cose.

Non aveva familiarità con ciò a cui l'amore assomigliava. Kurt era sempre stato il primo a provare qualcosa per chiuque dei ragazzi che gli erano piaciuti. Lui era sempre stato quello che andava in giro a struggersi per amore. Lui e Blaine erano amici, e poi Blaine si era reso conto che Kurt sentiva qualcosa di più per lui, e alla fine Blaine aveva accettato e ricambiato.

Con Blaine non era mai 'Ti amo'. Era sempre 'Ti amo anche io'. Anche quando Blaine era il primo a dirlo, anche quando Kurt gli faceva eco, si sentiva ancora come se fosse che Blaine stesse recuperando terreno rispetto a lui.

Voleva dire che qualcosa di più grande di quello che Kurt e Blaine avevano? Oppure i sogni di Kurt su come ti consumava l’amore erano immaturi e ingenui?

La mancanza di familiarità di Kurt su qualcuno che si struggeva per lui allo stesso modo in cui lui si struggeva per altri, significava che lui non riusciva a vedere qualcosa di dolorosamente ovvio?

Forse più importante di tutti... come diavolo si faceva a dormire con quel casino in testa?


Note di Traduzione:
(*) il termine originale era Twinkie, che può significare sia scintillio, ma anche una categoria di gay che si riferisce a ragazzi particolarmente effemminati.
(**) il soprannome che usa la Sylvester per Kurt è intraducibile in quanto si tratta di una marca di biscotti americani.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27. ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 27 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/27/The_Worst_That_Could_Happen

 

Kurt non era sicuro di cosa fosse successo quando Dave aveva messo Azimio nelll'angolo a scuola martedì mattina e avevano risolto la questione hockey/football, ma quel giorno dopo le lezioni Dave accettò l'offerta di Cooper e ottenne di nuovo la sua giacca e il suo vecchio numero.

Se Kurt aveva qualche riserva sul fatto che Dave giocasse, andare in giro con un gruppo di sportivi arroganti che potevano diventare sadici così facilmente... beh, quelle riserve non andarono oltre quel martedì sera, quando Finn arrivò a casa prima di Dave e bussò alla porta della camera di Kurt con un ghigno sulla faccia.

"Quel cacchio di Barry Manilow," fu tutto quello che riuscì a dire inizialmente.

Andò avanti dicendo a Kurt che prima dell'allenamento di quel pomeriggio Finn e Puck e un paio di altri giocatori erano stati cacciati dallo spogliatoio dall'intera squadra di hockey, entrati tutti insieme e ognuno di loro strillando le parole di Copacabana come se fossero appena usciti da un bar col karaoke.

"Scott Cooper davanti a tutti, che guidava lo spettacolino intero, e ho pensato che lo stesse facendo per dare fastidio ad Azimio.” sorrise a Kurt.

Kurt era rimasto mezzo perplesso nell'immaginarsi una massa di teste col ciuffo che urlava cose su Lola e Rico.

"Hanno cominciato a farci uscire, come se fosse il loro territorio o qualcosa del genere, e ho quasi permesso a Puck di dare un pugno ad un ragazzo ma poi ho capito cosa stavano facendo."

"C'era una pensata dietro quella pagliacciata musicale?”

Finn annuì guardando Kurt. “Proprio nel mezzo del gruppo ho intravisto Dave, che rideva così tanto di quegli idioti che non penso avesse nemmeno realizzato dove fosse, e quando se n'era accorto, non gli è importato.” disse alzando le spalle. “Tutti sapevano cosa gli era successo negli spogliatoi. Scommetto che era nervoso di tornarci e loro l'avessero capito.”

La bocca di Kurt si spalancò di colpo, tutte le preoccupazioni riguardo Dave che giocava a hockey se ne andarono all'istante.

Finn di avviò con passi lunghi verso la porta, ovviamente aveva finito con le novità e probabilmente voleva chiamare Rachel o chiunque fosse la sua ragazza quella settimana. “Te lo dico io,” affermò mentre era sull'uscio, voltandosi di nuovo verso Kurt, “quei ragazzi sono dei completi idioti ma penso che non siano male.”

Quando Dave arrivò a casa dagli allentamenti un po' più tardi, sorrideva, era paonazzo e umido a causa della doccia della scuola, e non c'era traccia di ombre nei suoi occhi quando si sedette a tavola scusandosi con Carole per il ritardo.

Kurt lo guardò, trovando difficile spostare lo sguardo, e non lo disturbò il fatto che Finn e Dave trascorsero la cena intera a discutere delle differenze tra hockey e football. Si alzò dal tavolo della cucina con la testa piena di discorsi su strategie e posizioni e allenatori ed era tutto così macho e mascolino che si sentì stranamente etero mentre saliva le scale.

Ma Dave bussò alla sua porta ed andò a sedersi sul letto di Kurt per parlare un po' con lui mentre rispondeva a Mercedes su Facebook, e in pochi minuti il suo “gay” era di nuovo sano e salvo.


L'intera settimana fu stranamente troppo facile sotto quel punto di vista. Dave e Kurt non andavano insieme a scuola – tra gli allenamenti e le prove e Dave che aveva sessioni con la dottoressa Mad di giovedì e Kurt che le aveva di venerdì, sembrava poco probabile. Ma quello fu l'unico lato negativo della settimana.

Non c'erano pettegolezzi su Dave nei corridoi, Jacob continuava a raccontare della Sordida Storia del Brittano sul suo blog, e le cose sembrava stranamente tranquille. Tra i Glocks e Azimio (e i cinque che erano stati cacciati dalla scuola) non sembrava ci fossero molti altri sportivi che sentissero il bisogno di rendere la vita dei ragazzi del Glee un inferno. La granita che Dave aveva bevuto quel lunedì fu l'unica che Kurt vide per tutta la settimana.

Dave andava alle prove del Glee al martedì, ammazzando il tempo tra le lezioni e l'appuntamento con la psicologa.

Di venerdì, Kurt trascorreva lo stesso tempo andando a vedere gli allenamente della squadra di hockey.

Visto che non avevano abbastanza fondi per portare i ragazzi alla pista di pattinaggio ogni volta, spesso si allenavano in palestra sui rollerblades. Kurt trovava la cosa divertente, ma farlo notare a Dave lo portò a subire una ramanzina di venticinque minuti sulle differenze tra il muoversi sul ghiaccio e sulle ruote e quanto calavano le loro possibilità di vittoria se non riuscivano a fare pratica sul ghiaccio ogni giorno. Kurt aveva preso un appunto mentale che gli ricordasse di non riportare a galla quel discorso.

Andò in palestra venerdì, pronto per divertirsi, e all'inizio ci riuscì. Seriamente, era un branco di idioti che gridavano e scorrazzavano e brandivano le loro mazze per tutto il campo mentre avanzavano. Come faceva a non essere divertente?

Si sedette su una panchina in un paio di file dal fondo della palestra – giusto per evitare che qualcuno gli arrivasse addosso – e li guardò gironzolare, scontrarsi l'uno con l'altro e seguire questo minuscolo disco nero. L'allenatore di hockey era su un lato e strillava comandi che sembravano tanto una lingua straniera, e i giocatori a bordo campo fischiavano e urlavano.

Kurt vide Dave con un paio di altri ragazzi che non stavano giocando – erano in piedi vicino al muro con una fila di dischetti, colpendoli uno ad uno in una versione rimpicciolita di un goal, provando a farli entrare in una piccola porta. Sembravano prendersi in giro esattamente come facevano tutti gli atleti della loro stessa età.

Kurt non era un atleta. Non desiderava esserlo. Andava alle partite e ogni tanto poteva cantare con le Cheerios, ma quello era l'inizio e la fine della sua partecipazione nel programma di sport del McKinley.

Eppure, riusciva quasi a comprendere perché qualcuno avrebbe voluto far parte di una cosa del genere. Dopo una lunga giornata nella vita di un ragazzo di quell'età, doveva essere una sorta di sollievo sfogare un po' di stress mettendosi un'imbottitura e sbattere contro altre persone senza conseguenze. L'hockey, per quello che ne sapeva lui, esisteva solo per il gusto di andare addosso ad altre persone e pattinare.

Per metà del tempo non riuscì nemmeno a dire dov'era il dischetto e non era sicuro che nemmeno i giocatori lo sapessero.

Circa dieci minuti prima di mettersi in marcia per andare al suo appuntamento con la dottoressa, l'allenatore chiamò Dave in campo per giocare.

Sembrava più il vecchio Dave sotto quell'imbottitura – gli dava un po' di quella massa che gli ultimi mesi gli avevano tolto. Kurt non riusciva a capire la sua esperessione sotto il casco protettivo ma sembrava abbastanza entusiasta.

Poi si gettò dal bordo campo nella mandria dei giocatori e Kurt si dimenticò che quel gioco non aveva per niente senso.

Era molto più aggraziato di quanto Kurt si sarebbe aspettato. Più aggraziato della maggior parte degli altri idioti che scivolavano sul pavimento. Sfrecciò fuori dalla folla, si mosse veloce in mezzo e attorno agli altri giocatori, piroettava senza problemi, dando l'impressione di essere nato con le rotelle ai piedi.

Era bravo – era meglio della maggior parte di quei ragazzi, almeno se si parlava di muoversi agilmente. Kurt non sapeva dove Dave doveva essere o in che posizione stesse giocando, ma capiva perché Scott Cooper era stato così felice di sapere che sarebbe tornato nella squadra.

Era un gioco aggressivo. Forse anche più aggressivo del football, perché era così veloce e gli scontri sembravano molto più violenti. Dave sembrava aggressivo mentre volteggiava astutamente tra gli altri e ancora più astutamente andava loro contro se ce n'era bisogno.

Quando si ritrovò col dischetto, sembrava che qualcuno avesse premuto un interruttore dentro di lui. Si incurvò su sé stesso, stretto nelle spalle e con uno sguardo feroce, la sua mazza scivolò veloce attraverso la palestra, avanti e indietro, muovendo il dischetto davanti a lui finché non lo lanciò ad un altro giocatore o verso la porta.

Era bravo. Era veramente bravo.

Kurt poteva dirlo. Ed era Kurt, quindi Dave di sicuro era fantastico. Non era così semplice col football, ma non c'erano tante posizioni nel football che richiedevano qualche abilità in più rispetto allo andare addosso a qualcuno.

In quel momento sapeva di aver avuto ragione, a Dave mancava giocare. Al gioco era mancato lui.

Parlare con Cooper, rischiare quell'incontro lunedì mattina, sgridare Azimio e farlo parlare con Dave riguardo il giocare a football...

Ne era valsa la pena.

Mercedes poteva prendersi gioco di Dave sul fatto di cantare per far colpo su Kurt, e Rachel poteva sfinirlo chiedendogli in continuazione di unirsi al Glee Club, ma Kurt vedeva nella grinta di Dave la concentrazione e sentiva nelle urla e nei richiami agli altri giocatori che quello era quello che amava, così come Kurt amava cantare. Quello sciocco, irragionevole sport, quelle teste col ciuffo sui pattini a rotelle perché non avevano abbastanza soldi per andare sulla pista di pattinaggio... era lì che Dave voleva essere.

Non fu una sorpresa rendersene conto. Anche se Dave cucinava, leggeva riviste di scienza e forse cantava anche, rimaneva pur sempre Dave. Era ancora il tipo sportivo che era sempre stato, quello che voleva essere. Non fu un sorpresa il fatto di vederlo felice su quel campo.

La sorpresa stava nel realizzare che Kurt fosse felice con lui lì, quando Kurt guardò il suo orologio e si accorse che sarebbe dovuto partire cinque minuti prima, eppure era ancora restio ad andarsene. Non gli importava dell'hockey, non sapeva chi giocava in quale posizione o chi stava vincendo o qualsiasi altra cosa, ma voleva restare e guardare Dave sfrecciare per il campo e colpire il dischetto con colpi secchi e precisi sul il pavimento verniciato.

Blaine era un cantante, ed era bravo. Un artista. Kurt nel suo stato più adorante pensava che non ci fosse niente di meglio che amare un ragazzo che facesse le stesse cose che piacevano a lui, e le facesse così bene. Ma quello? Hockey? Dischetti e mazze? Poteva stare lì seduto e guardarlo come quando guardava una delle performance dei Warblers.

Probabilmente significava qualcosa, ma Kurt era già in ritardo di dieci minuti e non poteva mettersi a pensare cosa volesse dire veramente.


“Stavo leggendo delle cose a riguardo,” disse, mettendosi comodo sulla sua poltrona nera e ammirando ancora una volta il profondo color rosa delle pareti. “per provare ad informarmi ed essere pronto per oggi.”

La dottoressa Maddie sembrò divertita. “Capisci che la responsabilità di essere intelligente in questo ufficio è per la maggior parte mia, vero?”

“Beh.” Kurt mosse una mano a mezz'aria. “Uno, stavo solo leggendo cose su Wikipedia, il che non è essere propriamente preparati. E due..” Alzò le spalle sorridendo. “Speravo davvero di capire delle cose.”

“Come ad esempio?”

Gli piaceva il fatto che fosse così informale. Non stava seduta con un blocco e una penna, guardandolo e annotando tutte i suoi discorsi più strani. Sorrideva, parlava con semplicità.

Aiutava il fatto che fosse anche adorabile, un po' conservatrice, ma con stile e gusto – ed era piuttosto sicuro che stesse seriamente indossando delle Jimmy Choo.

E poi, stava aiutando Dave. Era passata solo una settimana, non abbastanza per miracoli o epifanie. Ma qualsiasi fosse la terapia quando Dave era seduto su quella poltrona, non era teso o arrabbiato quando tornava a casa. E quello bastava per motivare Kurt a darle una chance.

Si schiarì la gola e realizzò che non le aveva risposto. “Sinceramente?”

Sorrise. “E' un processo molto più efficace così, sii sincero.”

“Beh...” il suo sorrisò svanì leggermente. “Alcune cose sono state portate alla mia attenzione ultimamente, ed è molto da gestire, e...non lo so. Non posso evitare di pensare che questo tempo sarebbe speso meglio con Dave, quindi.. più cose posso risolvere da me, meglio è.”

“Aha.” Sorrise, ma le sue parole furono calcolate. “Spero tu capisca che il tuo essere qui non ha nulla a che fare con Dave.”

Sbatté le palpebre a quelle parole.

“Capisco che tu sia preoccupato per lui, ma Dave ha già avuto due sessioni questa settimana, e non penso che sia ansioso per una terza. Non stai prendendo del tempo pensato per lui, Kurt. Sei qui per te.”

Kurt si mise a pensare, e si sentì sorridere in modo falso. “Ho perso interesse nel preoccuparmi di me stesso.”

Rise, piano e con una risata musicale. “E' tutto a posto: così come essere preparata, essere interessata è il mio dovere qui.”

“E' pericoloso,” Kurt disse con un ghigno. “Chieda a mio padre – non sono bravo a parlare a meno che non venga incoraggiato.”

Lei lo studiò, e il suo sorriso svanì. “Dimmi che genere di letture hai fatto.”

Alzò gli occhi al cielo. “E' stupido, ed era solo Wikipedia.”

Lei continuò a guardarlo, in attesa.

Poteva sentire il calore arrivargli al volto. “Okay. Io, uhm.” provò a non sembrare troppo impacciato. “Non so, è che.. lei sa cosa sia la codipendenza?”

Annuì.

Arrossì vistosamente – era una psicologa, certo che sapeva cosa fosse la codipendenza.

Sul suo viso non c'era altro che pazienza, quindi provò a scacciare il suo imbarazzo. “Beh. Quello. Stavo leggendo riguardo quello. Pensavo ci fosse una possibilità che lei mi dicesse che... beh, lo sono.”

“Cosa pensi?” chiese semplicemente. “Ti preoccupi di poter diventare codipendente?”

Alzò le spalle.

Sorrise dopo un attimo. “Hai avuto un sacco di resposanbilità ultimamente, lo capisco.”

Rise. “Non proprio, più che altro me le sono prese e ora non voglio lasciarle andare.” Non rispose, sospirò e si girò nella poltrona. “Non ho mai esitato. Non mi si è dovuto chiedere nulla. Non una sola volta da quando Dave era stato aggredito qualcuno mi ha dovuto chiedere di essere lì per lui. Mi sono offerto volontario, e lo rifarei tutto da capo.”

“E coma mai?”

“Perché è stata colpa mia.”

E...

Okay. Cosa?

Non era di certo una rivelazione – era molto a cosciente del suo senso di colpa supersviluppato. Ma era sorpreso di se stesso per essere arrivato subito a quella conclusione. Aveva saltato tutte le altre ragioni – che Dave era suo amico, che erano entrambi gay e quindi c'era un legame, che l'aveva visto sul pavimento nello spogliatoio e che sapeva non sarebbe stato in grado di andarsene – come se non contassero nulla in confronto.

"Che cosa è stata colpa tua?" chiese lei.

"Tutto." Il suo sorriso era svanito, e non aveva gran voglia di toccare quell'argomento. Avrebbe preferito divagare sulla sua preoccupazione di essere codipendente, temendo di non riuscire ad abbandonare il suo ruolo di guardiano e infermiere.

Avrebbe preferito parlare di Dave.

Ma lei lo guardò con occhi calmi, ed era la stata la prima persona a chiedergli una cosa del genere senza che Kurt si dovesse preoccupare in qualche modo.

Non poteva parlare a suo padre di tutto quello che lo preoccupava, perché suo padre doveva gestire già abbastanza cose. Suo padre era stato incredibilmente d'aiuto con entrambi e avrebbe continuato ad esserlo se Kurt fosse andato da lui e gli avesse raccontato i suoi problemi.

Ma suo padre era ancora abbastanza fresco di matrimonio, aveva già avuto un attacco di cuore, e Kurt sapeva che solo perché poteva chiedergli il mondo quello non voleva dire che l'avrebbe dovuto fare.

Non poteva di certo parlarne con Dave. Non voleva far gravare quella cosa su Mercedes, o Blaine o Finn. I suoi amici avevano i loro problemi e anche se ora stavano migliorando, avevano ancora una visione distorta di Dave.

La donna di fronte a lui voleva seriamente ascoltare, e non avrebbe influenzato le sue parole con le proprie opinioni. Non sarebbe andata da suo padre a raccontargli le sue preoccupazioni e di certo non avrebbe spettegolato. Pensava ancora che in confronto a quelli di Dave non valesse la pena tirare fuori i suoi problemi, ma gli era stato dato un incipit ed esitando mosse un passo in avanti per vedere come andava.

“Tutta questa cosa...” distolse lo sguardo dai profondi occhi neri della dottoressa. “Sono quello che ha iniziato. Sono stato il catalizzatore.”

Lei non disse nulla.

Kurt sapeva che il silenzio era il miglior modo per far parlare una persona, ma non poteva di certo biasimarla per aver usato quel trucchetto. Era il suo mestiere dopotutto, giusto?

Emise un sospiro e cercò di mantere le sue parole il più studiate possibili. “Quando ho scoperto che Dave era gay... quando mi ha baciato l'anno scorso. Non lo so, era come se fosse una cosa enorme. Voglio dire... con qualcuno come me, essere gay è la caratteristica principale. E' la parte più prominente della mia vita, e... penso che forse ho pensato che fosse così per tutto. Blaine, il... il mio ragazzo...” si incespicò su quella parola, e quello era un problema non ignorabile. “Anche lui è fatto così. Voglio dire, non è solamente gay, ma è una delle prime cose che qualcuno noterebbe. Le sue storie sono sempre su vecchi fidanzati, o coming out, o vedersela con i bulli. La maggior parte del tempo parliamo di cantare canzoni ed essere gay.”

Le lanciò un'occhiata, ma lo sguardo profondo non era cambiato.

“Quindi... All'improvviso, ecco Dave. Ecco Karofsky, questo sportivo grande e grosso che si diverte a prendersi gioco degli sfigati nei corridoi. E per un momento questo è tutto quello che è. Quello dopo... è gay. E' uno di noi.” Kurt scosse la testa con un sorriso incerto. “L'ho ritenuto di idee ristrette per le cose che pensava volessero dire essere gay, ma sono colpevole quanto lui. Ho pensato che se era gay allora segretamente doveva essere come me e Blaine, ed essere gay era questa cosa enorme, ma al contrario di noi lui non la esprimeva. Ho pensato che forse era perché era così crudele, e se solo avesse ceduto un po' e avesse fatto vedere la sua parte gay, tutto sarebbe stato favoloso.”

Lei sorrise quando Kurt alzò il suo sguardo.

Alzò gli occhi al cielo. “Comunque... Mi sono preso l'incarico di aiutarlo, questa povera pecora persa e lontana dal gregge gay. Non all'inizio – abbiamo avuto il nostro periodo di drammi. Mi aveva minacciato e io lo avevo fatto espellere, mi aveva spaventato e io mi sono iscritto ad una scuola privata. Una di quelle fasi.”

La dottoressa rise sotto i baffi.

Kurt si rilassò un poco – parlare non era difficile per lui, ma parlare di quelle cose, di Dave, e ad una donna che anche se amabile era pur sempre un'estranea... non era facile. Quindi lo aiutò il fatto che sembrasse divertita. Kurt era un intrattenitore dopotutto, e il suo ego era abbastanza piccolo da farlo sentire legato alle persone che ammiravano il suo talento o ridevano per le sue storie.

"Quando abbiamo superato quel periodo, quando sono tornato al McKinley e mi aveva detto che era dispiaciuto e che non avrei più dovuto aver paura di lui. Quello è stato il momento nel quale mi sono prefissato di aiutare quel povero ragazzo gay intrappolato nei panni del burbero giocatore di football. E tutto quello che gli ho detto dopo quel momento, ogni volta che abbiamo parlato, quella era l'unica cosa su cui ero concentrato. Farlo uscire allo scoperto, aiutarlo a farlo diventare più gay, come me e Blaine.”

In quel momento esitò, perché quella storia si stava muovendo su una linea dritta, e non gli piaceva molto cosa veniva dopo. Le sue parole a Dave nei corridoi del McKinley, o nell'ufficio di Figgins, o sul palco al ballo, quelli erano momenti abbastanza brutti, ma almeno erano innocenti.

La parte che veniva dopo era più difficile.

“Mi ha mandato una mail,” sussurrò, la sua voce improvvisamente bassa. “Voleva tenermi d'occhio a scuola, essere sicuro che la gente mi lasciasse in pace, e voleva sapere se fosse okay. La mia risposta? 'Esci allo scoperto! Fai coming out, dimentica tutto il resto..'” Si accigliò. “Qual è quella cosa che ha la gente che non riesce a smettere di urlare “cazzo” a casaccio?”

“La Tourette?” suggerì lei, anche se sembrava leggermente disapprovante della sua descrizione della malattia.

“Ecco. Penso di aver avuto una gay Tourette o qualcosa del genere. Nel momento in cui vedevo il suo nome in una mail o sentivo la sua voce nei corridoi cominciavo a strillare 'esci allo scoperto' come se non potessi controllarmi.” Si accigliò guardando verso le pareti rosa, verso il gruppo di diplomi e certificati appesi dietro la scrivania. “Voleva fare ammenda, o essere amici, e tutto quello che ho fatto è stato tirarlo fuori dal suo armadio metaforico.”

Lei lo studiò nella pausa. “Ti ha mandato una mail,” continuò dopo un momento.

La guardò in modo cauto, chiedendosi se Dave le avesse già parlato di questa storia o se avesse solo un dono nello scovare le parti più importanti e sapere che portano da qualche parte.

“Già. Mi ha mandato una mail, e ho risposto con un'altra scarica di gay Tourette, e ho detto...” sospirò. “Gli ho chiesto quale... qual era la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere se mi avesse ascoltato davvero. Si era comportato come se fare coming out fosse la fine del mondo, e lo è stato... Dio, sono stato così insolente, e non riesco a superare la cosa. Ho ignorato cosa mi stesse dicendo. Mi sono rifiutato di pensare che gli sarebbe potuta andare peggio di come già stavano le cose. Ho solo continuato a punzecchiarlo. Gli ho chiesto, da piccolo marmocchio insolente, cosa ci potesse essere di così brutto nell'uscire allo scoperto. 'Pensaci e basta, Dave, vedrai che non c'è niente di peggio rispetto alla tua vita ora.'”

A quel punto alzò lo sguardo e, anche se era assolutamente colpevole di quello che stava dicendo e non era lì per essere perdonato, non riuscì a fermarsi dal dire. “Mi ha detto che era deprimente vivere come lo stava facendo lui. Ho seriamente pensato che fosse meglio per lui se avesse smesso di mentire a se stesso e a tutti gli altri. Ho pensato che stessi dicendo la cosa giusta.”

Annuì tranquilla. “Ti credo.”

Lo odiava. Davvero. Era lui che aveva iniziato la conversazione e l'aveva portata fino a li e lo odiava. Viveva sapendo chi c'era da incolpare per tutto quello che era successo a Dave, perché mai avrebbe voluto parlare proprio di quello?

Chiuse gli occhi per un momento e le immagini gli tornarono in mente così facilmente. Un momento Dave lo stava superando nel corridoio con un piccolo, timido sorriso sul viso. Il momento dopo era steso sul pavimento, le sue unghie erano insanguinate e l'asciugamano che lo copriva si stava spostando..

Deglutì e scosse la testa in modo amaro. “La prossima cosa che so è che è stato cacciato di casa, il suo migliore amico l'ha tradito, e lui è all'ospedale con un tubo nella gola e le infermiere gli sta facendo delle analisi del sangue per malattie sessualmente trasmissibili.”

Dio, di già. Non l'avrebbe fatto, diventare una palla di angoscia singhiozzante solo perché essere nell'ufficio di una psicologa lo permetteva. Ma la sua voce era tremante e sentiva delle punte pizzicargli gli occhi e odiava quel sentimento.

Aveva spinto Dave ad uscire allo scoperto. Uscirci aveva portato Dave da Azimio, e aveva fatto arrivare la verità alla squadra di football, e aveva spinto Jason Campbell e i suoi amici crudeli a mettere Dave nell'angolo dello spogliatoio delle ragazze.

“Non volevo che fosse ferito,” disse, e la sua voce era tesa e flebile. “Pensavo che sarebbe stato okay. Sono stato così stupido e lui è stato quello che ha sofferto. E' colpa mia, tutto quello che ha fatto. Tutto quello che è successo.”

“Kurt.”

Alzò lo sguardo, quasi in segno di sfida. Non c'era dibattito da fare – poteva essere intelligente ma nessun ammasso di neuroni poteva cambiare il passato.

Si girò nella sua sedia, lisciandosi la gonna in grembo. “Torniamo a quel bacio per un momento.”

Kurt si accigliò. La sua mente era ad un giorno diverso in un altro spogliatoio, ed era molto più importante del bacio.

Continuò, calma e costante. “Dave mi ha detto che il bacio è stato il risultato di un consiglio che ti ha dato il tuo ragazzo.”

Sbuffò, asciugandosi gli occhi mentre il calore diventava umidità. “Sono arrivato ad accettare il fatto che Blaine da dei pessimi consigli.”

Sorrise in modo finto. “Dave era un bullo con te, fisicamente e verbalmente. Aveva mostrato aggressività e disprezzo. E' ovviamente più grande di te come stazza e molto probabilmente anche più forte.”

Kurt annuì – non capiva come quello potesse essere più importante di Dave e dello spogliatoio o delle mail, ma dopotutto non ci teneva particolarmente a parlare di quelle cose. “E l'ho affrontato da solo, e probabilemente avrei dovuto essere colpito in piena faccia per quello.”

“Te lo aspettavi?”

Kurt ci ripensò. “Non mi aspettavo nulla. Quando l'ho seguito riguardava me, non lui. Voglio dire... quando mi ha sventolato il pugno davanti alla faccia ho cominciato a pensare a tutti i modi possibili in cui la cosa mi si sarebbe potuta ritorcere contro, ma in quel momento era già troppo tardi.” Si accigliò dopo un momento. “Mi aspettavo che mi colpisse, penso, una volta che lo avevo affrontato nello spogliatoio.” Sorrise debolmente. “Posso dire con certezza che non mi aspettavo mi baciasse.”

“Ma Blaine se lo aspettava.”

Sbatté le palpebre. “Cosa?”

Lo guardò incuriosita. “Non è così? Di sicuro sapeva cosa sarebbe successo.”

“Come avrebbe..” Kurt scosse la testa. “Di sicuro non lo sapeva. Non mi avrebbe spinto ad affrontarlo altrimenti.”

“Ma una volta che l'hai affrontato, e lui ti ha baciato e spaventato così tanto, sono sicura che Blaine ti abbia chiesto scusa per il suo consiglio. Sono sicura che abbia capito che quello che era successo era completamente colpa sua.”

Ebbe improvvisamente un cattivo pensiero – Dave le aveva parlato di Blaine? Aveva sentito cose orribili sul suo conto per arrivare a dire cose del genere? Non c'era altra spiegazione – era una dottoressa, avrebbe dovuto conoscere meglio quelle cose.

“Ascolti.” disse, con la voce nuovamente decisa, “quello che è successo non ha niente a che vedere con Blaine. Mi ha dato il miglior consiglio a cui potesse pensare, ma sono io quello che è andato in quello spogliatoio. Sono io quello che...”

Lei lo guardò.

Kurt sbatté le palpebre. Distolse il suo sguardo da lei corrugando la fronte. Blaine gli aveva dato il consiglio, ma era stato Kurt a tradurlo in fatti concreti.

Oh.

Deglutì.

Parlò dopo un momento. “Hai dato un consiglio a qualcuno che ne aveva bisogno. Hai dato il miglior consiglio a cui avessi potuto pensare, data la tua esperienza. Dave ha scelto di accettare quel consiglio, e dal momento in cui ha fatto la sua scelta si è assunto tutte le responsabilità per qualsiasi cosa sarebbe venuta dopo.”

Scosse la testa, ma gli ci volle un momento per far uscire la voce dalla gola che si stringeva. “Non è la stessa cosa.”

“No? Se Dave ti avesse davvero fatto del male quando l'hai affrontato, sarebbe stata colpa di Blaine? Se Dave, che entrambi sapevate capace di almeno un po' di violenza, ti avesse picchiato e ti avesse mandato all'ospedale, se si fosse scagliato contro di te per il tuo essere gay, se ti avesse aggredito nel modo in cui gli altri studenti hanno aggredito lui... quello sarebbe stato abbastanza per far diventare Blaine colpevole?”

“No!” poteva sentire il calore colargli sulle guance, ma non si disturbò ad asciugarsi stavolta. Chiuse gli occhi e scosse la testa in segno di negazione. “Non è la stessa cosa, avrei dovuto stare più attento.”

“Sei un teenager gay che è uscito allo scoperto e circondato da una famiglia amorevole e degli amici che ci tengono a te. Perché non dovresti incoraggiare qualcun altro a seguire i tuoi passi?”

“Perché! Il mondo non funziona così!”

“Alcuni ragazzi dicono ai loro padri di essere gay e finiscono per essere cacciati di casa, sì. E alcune vittime affrontano i loro bulli e finiscono all'obitorio.”

Non era così facile.

Non poteva esserlo. Non c'era modo che la cosa potesse avere senso. Di sicuro era colpa di Kurt. Tutto quello che era successo, era tutta colpa di Kurt. Lo sapeva, lo accettava. Aveva camminato curvato sotto il peso dei sensi di colpa dal giorno in cui era successo.

Non era possibile che gli fosse dato il permesso di levarselo, di metterlo sulle spalle di Dave. Non era giusto che la colpa andasse a Dave.

“Vorrei dirti una cosa, Kurt. Puramente in linea teorica, certo, dato che non darò dettagli su un mio paziente ad un altro. Teoricamente, una vittima di stupro ha un gran numero di ostacoli da superare mentre guarisce. Uno dei più grandi è con il ricordo della totale perdita di controllo. Lo stupro è un crimine di potere, non di passione. Per le vittime di sesso maschile in particolare il ricordo di essere estremamente impotenti è una delle cose più difficili da superare.”

Kurt non poteva fermare le lacrime dal loro scendere una ad una, ma anche se la dottoressa era sfocata alla sua vista, si concentrò su di lei, ad ascoltarla.

“Se qualcuno ha perso il proprio senso del controllo, rifiutargli ulteriore controllo è un atto di crudeltà. Anche se sembra ben intenzionato, anche se dare loro la responsabilità sembra più chiedere loro di prendersi la colpa."

Lo guardò solennemente. “Sei un ragazzo intelligente che capisce che il mondo non è sempre gentile. Quando hai deciso di seguire il tuo bullo in un posto isolato e affrontarlo, hai capito che qualsiasi cosa sarebbe successa era sulle tue spalle. Non negare a Dave lo stesso controllo sulle sue azioni. Anche lui è un ragazzo intelligente. Quando gli hai chiesto di pensare alla cosa peggiore che potesse succedere, sono sicura che l'abbia fatto. Ha pensato. E poi ha fatto la sua scelta e ha agito.”

Scosse la testa di nuovo in modo confuso, ma non ribattè. C'era qualcosa nel suo petto che si muoveva, si spostava, ma non sapeva ancora se il cambiamento era in meglio o in peggio. Sembrava rendere le sue lacrime più amarei, ma abbassò la testa e premette i palmi delle mani contro gli occhi, e questo sembrò aiutare.

La dottoressa non parlò. Il silenzio cadde e Kurt non voleva spezzarlo.

Sarebbe stato una lusso lasciarsi andare e crederle. Le sue parole avevano senso e pensandoci e confrontandolo con il suo accettare il consiglio di Blaine era sorprendente perché non gli era mai capitato.

Poteva rimanere ferito quando aveva affrontato Dave. Se lo era quasi aspettato. Ci aveva quasi sperato, come se fosse una prova della sua audacia. Sarebbe uscito da lì con un occhio nero o un labbro rotto e avrebbe comunque tenuto la testa alta. Sarebbe stata una vittoria morale, un simbolo del suo coraggio.

Sarebbe stato orgoglioso di se stesso, e felice di aver ricevuto il consiglio ma non al punto da dar credito a Blaine delle sue azioni.

E se lo cose fossero andate male, peggio di un occhio nero o un labbro sanguinante... se fosse finito in ospedale, se Dave con la sua rabbia e la sua forza gli avessero fatto davvero male, non avrebbe permesso a Blaine di prendersi la colpa per un istante.

La dottoressa Maddie aveva ragione – era quasi offensivo pensare che quando si era deciso ed era entrato nello spogliatoio avesse a che fare con Blaine. Blaine gli aveva parlato di coraggio, ma la vera audacia era stata di Kurt.

Forse era offensivo pensare che quando Dave finalmente si era deciso a parlare a suo padre, avesse a che fare con Kurt. Se le cose fossero andate bene, Kurt si sarebbe preso tutto il merito? Avrebbe sorriso e scosso la testa per quanto fosse fortunato Dave ad avere Kurt Hummel che gli diceva cosa fare?

Forse, per un attimo, Kurt si sarebbe compiaciuto a quel modo. Ma non sarebbe stato giusto. Sarebbe stata sciocca vanità.

Era facile dare consigli. Non ci voleva molto a dire 'esci allo scoperto'. Non ci voleva molto a dire 'coraggio'.

L'azione era l'unica cosa che importava. L'uscire dall'armadio, e l'atto di affronto. Un coro greco poteva stare sullo sfondo e cantare quanto voleva, ma non avrebbe mai diretto le azioni della commedia.

Dave aveva pensato a cosa aveva detto Kurt. Ci aveva pensato conoscendo suo padre meglio di quanto facesse Kurt e capendo i suoi amici in una maniera che Kurt non avrebbe mai compreso. Aveva fatto la sua scelta e aveva agito.

E non era colpa di Kurt.

Avrebbe dovuto essere una rivelazione emozionante. Avrebbe dovuto farlo felice, avrebbe dovuto essere un tale sollievo da non poter evitare di ridere dallo stupore.

Invece, non riusciva a smettere di piangere.


Ad un certo punto la dottoressa si alzò e andò dietro la scrivania e quando tornò Kurt prese il pacchetto di fazzoletti dalla sua mano con una risata. Si asciugò la faccia e si soffiò il naso nel fazzoletto, e quando alzò lo sguardo riuscì di nuovo a sorridere.

“E' sempre così?”

“Cosa, la terapia?” rise in modo gentile. “No. Non sempre. Di solito, i momenti di realizzazione posso essere tremendamente difficili da trovare.” Lo guardò e lui non dubitava che la sua faccia fosse rossa, gli occhi ancora bagnati e il suo sorriso probabilmente assurdo. “Allora, cos'altro hai letto su Wikipedia?”

Sorrise, ma svanì l'attimo dopo.

Ci fu un affluire improvviso quando realizzò che le poteva rispondere. Che lei lo avrebbe ascoltato, che probabilmente non sarebbe rimasta nemmeno sorpresa, che gli avrebbe detto seriamente se si stesse comportando in modo ridicolo.

Afferrò il pacchetto di fazzoletti con la mano. “Non penso di essere codipendente,” si lasciò scappare. “Ci ho pensato molto, e so che sarebbe facile pensare che lo sia, ma non lo sono.”

“Perché no?”

“Perché... perché voglio che stia meglio. Farà male, forse, un po', quando non avrà più bisogno di me. Ma voglio quel dolore. Se significa che lo perderò del tutto...” Kurt non poté nascondere il suo accigliarsi. “Spero che non succeda, ma se è il modo in cui le cose andranno per il meglio, sceglierò io per lui.”

La dottoressa sorrise. “Vedo che ci hai ragionato parecchio.”

“Mah.”

Aspettò rispettosamente.

Sorrise debolmente. “L'altra cosa.. Non ne sono così sicuro. La... cosa di Florence Nightingale.”

Sorrise di nuovo mentre le sue sopracciglia si alzarono. Nel sorriso potè vedere che lei sapeva già dove voleva arrivare. Era intelligente e di certo una psicologa sapeva cos'era l'effetto Florence Nightingale. Conosceva la sua situazione, sapeva che ruolo aveva preso nella guarigione di Dave.

Probabilmente aveva già capito le sue paure, ma nel suo silenzio Kurt sapeva che voleva farlo parlare ancora.

Aprì la bocca per continuare, ma esitò.

Dato che era già cosciente di dove stava andando, non c'era bisogno di ulteriori spiegazioni. Invece sospirò, e andò dritto al punto del dilemma. “Pensa che sia possibile provare troppo per una persona? Troppe cose?”

“In che senso?”

“Voglio dire...” si accigliò, gesticolando senza farci troppo caso. “Voglio dire, è possibile provare tutte queste piccole cose differenti e scambiarle per qualcosa di più grande?”

Lo guardò, aspettando che andasse avanti.

Sospirò di nuovo. “Se ti piace davvero qualcuno, e ci tieni a questa persona, e sei preoccupato tutto il tempo, e la vuoi sempre intorno, e forse sei davvero attratto da questa persona... è possibile sentire tutte queste cose in una volta e scambiarle per qualcos'altro, come... amore?”

La dottoressa incontrò i suoi occhi. “Cosa pensi che sia l'amore, se non tutte queste cose, tutte assieme in una volta?”

La bocca di Kurt si aprì e poi si richiuse.

Se l'epifania sull'avere il permesso di lasciar andare i sensi di colpa lo aveva fatto arrivare alle lacrime...

Quella lo lasciò completamente ammutolito.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28. ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 28 -
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Non sapeva quando era successo. Quello era ciò a cui stava pensando mentre tornava dall’ufficio della dottoressa a casa con calma, molta calma. Non aveva idea di quando fosse accaduto, e sembrava una cosa troppo grossa per non averne assolutamente idea.

Se qualcuno gli avesse chiesto un’ora prima della visita se amasse Blaine, avrebbe detto sì, e avrebbe esitato giusto per un brevissimo istante. Un mese prima non avrebbe avuto esitazioni. E in quel momento, dopo un’ora passata con una signorina molto gentile vestita Kate Spade, non sarebbe mai riuscito a rispondere a quella domanda.

Amava Blaine. Giusto? Ne era stato sicuro per un bel pezzo, e i suoi sentimenti non erano cambiati nell’ultimo paio di mesi. Blaine era il suo ragazzo, il suo adorabile, affascinante ragazzo. Blaine cantava per lui e gli mandava messaggi, e aveva ballato con lui al ballo della scuola. Blaine amava la musica, la moda e andava pazzo per il teatro. Se qualcuno che non avesse conosciuto Blaine avesse dovuto descrivere il perfetto ragazzo per Kurt Hummel, avrebbe descritto lui.

Fissò le foto di Blaine e sospirò sognante. Lesse e rilesse alcuni messaggi e mail particolarmente importanti delle settimane e mesi scorsi. Si scaldava quando Blaine gli teneva la mano, e arrossiva quando lo baciava. Blaine era spettacolare, dolce e talentuoso, e sicuramente non c’era persona al mondo che fosse migliore per Kurt.

Ma...

Si preoccupava per Dave, gli piaceva Dave, ci teneva a lui, e gli mancava così tanto quando non erano insieme. Non riusciva a smettere di ammirare le scintille di verde negli occhi di Dave e le diverse forme dei suoi sorrisi. Il modo in cui la guancia gli si sollevava quando sorrideva. Il modo in cui i suoi bicipiti si contraevano sotto i vestiti.

Passava la maggior parte del suo tempo senza Blaine attorno, e a volte gli mancava. Ma con Dave… Kurt provò ad immaginare cosa sarebbe successo se Dave avesse accettato l’aiuto di Kurt nel trovare un’altra sistemazione, e si fosse trasferito da Azimio o dalla Coach Sylvester. Provò ad immaginare la camera in fondo al corridoio diventare di nuovo una stanza per gli ospiti. Provò ad immaginare come sarebbe stato svegliarsi al mattino, oltrepassare la porta della stanza e non bussare, non mormorare buongiorno alla persona dentro di essa.

Di nuovo una sedia vuota a cena. La strada senza il SUV di Dave parcheggiato a lato. Messaggi che contenessero apostrofi. Niente partite urlanti con Finn mentre si stava giocando ad uno sparatutto. Notti su notti di sonni senza problemi senza gli incubi di Dave. Giorno dopo giorno libero dalla preoccupazione, dal costante bisogno di sapere come stava, di conoscere se anche la più piccola cosa era andata storta e quindi provare a renderla migliore.

Provò ad immaginare la sua vita senza Dave, senza il bello e il brutto di averlo lì.

Quando Blaine non era con lui, Kurt andava avanti con la sua vita. Quando pensò alla possibilità che Dave se ne potesse andare, dovette forzarsi per non accostare e chiamarlo solo per sentire il suono della sua voce, ed essere sicuro che lui sarebbe stato a casa quando Kurt fosse tornato.

Cosa avrebbe fatto, pensò, senza l’assillante preoccupazione che quei sentimenti venissero da un bisogno di sentirsi preoccupato, di essere protettivo? Era spaventato all’idea di lasciar andare Dave perché voleva proteggerlo o era perché la sua vita sarebbe stata peggiore senza di lui, sminuita a tal punto da non poterlo tollerare?

Svoltò davvero quando vide le luci di un distributore di benzina. Era assurdamente vicino a casa, ma si fermò e decise di fare benzina, sebbene fosse completamente inutile. Era tornato al volante dopo due minuti e non era abbastanza, così lasciò il motore spento e si accomodò sul sedile, cercando di concentrarsi.

Fin da quando Blaine gli aveva detto cosa tutti vedevano in Dave tranne Kurt, era stato ossessionato dai sentimenti di Dave. Era amore quello che Dave sentiva o era solo gratitudine? Kurt gli aveva usurpato la vita, dopotutto. Era sempre stato lì, sempre in aiuto. Dave aveva inziato a dipendere da lui per una casa, per il sonno, per un sorriso, per un buon giorno.

Dave gli era grato – doveva esserlo. Lo aveva ringraziato abbastanza, e aveva detto a Kurt quanto sarebbe stato perso se non ci fosse stato lì per lui. Kurt era stato, parole di Dave, la sola buona cosa che aveva avuto per giorni da quando era stato aggredito a quel modo.

Non poteva andare avanti a pensarci – ci aveva pensato senza fine fin da quando Blaine gli aveva detto quello che tutti vedevano, ma senza risultato.

Il biglietto da visita della Dottoressa Maddie era nella sua tasca – lei gli aveva detto dopo il loro primo incontro che era disponibile fuori dall’orario di visita, se ne avesse avuto bisogno. Dave, Kurt lo sapeva, l’aveva chiamata da scuola.

Era la prima volta.

Pronto?” rispose subito, ed era passata solo un’ora da quando aveva lasciato il suo studio, ma si rilassò subito a sentire quella delicata voce accentata.

“Posso farle una domanda potenzialmente stupida?”

Kurt?” Sembrava combattuta tra il ridere e l’essere preoccupata. “Sei a casa?

Guardò fuori dal distributore di benzina, la striscia d’asfalto e le linee di vernice ai lati. “Quasi.”

Annuì al telefono. “Qual è la tua domanda potenzialmente stupida?

“C’è un modo,” disse lentamente, “per distinguere l’amore dalla gratitudine? Per sapere quale delle due cose prova una persona?”

Lei rise dolcemente, senza dubbio sapeva che aveva guidato per tutto quel tempo pensando a quello che si erano detti durante la visita.

Puoi chiedere,” rispose semplicemente, “e non sarebbe male se tenessi in mente che le due cose non sono per forza mutuamente esclusive.

Sapeva cosa voleva dire, almeno cosa significassero le parole, ma non potè fare a meno di stringere il telefono e domandarglielo, trattenendo il respiro come se stesse per chiedere qualcosa di vitale importanza. “Cosa intende dire?”

Dico che le due cose non sono per forza separate.” Sembrava che sorridesse. “se stai cercando di interpretare i sentimenti di qualcuno, non si prova una o l’altra. Di solito è una combinazione delle due.”   

Ci pensò per un momento, e sospirò. “È perspicace e inutile assieme.”

Ho sentito questa lamentela più di una volta,” disse. “Kurt, non c’è una risposta certa che possa darti. Dubito che questa persona, chiunque sia, possa dirti con certezza cosa prova. Ma non mi preoccuperei troppo di cosa prova l’altra persona. Hai già i tuoi sentimenti di cui preoccuparti, ed è una cosa più difficile di quanto la gente pensi.

“Ma conta. No? Cosa prova l’altra persona?” Kurt non aveva alcun dubbio sul fatto che lei sapesse di chi si stesse parlando, ma era abbastanza ovvio che, se Dave avesse detto qualcosa al riguardo, lei non ne avrebbe fatto comunque il minimo cenno.

Naturalmente conta, ma non quando ti devi confrontare con quello che provi te. Non puoi basarti su qualcun altro per qualcosa di così importante e personale come il capire le proprie emozioni.

Fissò le luci del distributore finchè una piccola Civic che andava via non lo scosse. “Sta dicendo che  i suoi sentimenti non dovrebbero influire sui miei?”

Se mi puoi perdonare la metafora, talvolta penso che le persone siano come bolle. Quando vagano per l’aria, a volte corrono senza effetti l’una sull’altra, e a volte si scontrano e proseguono assieme. Hai mai visto due bolle volare attaccate fianco a fianco? Viaggiano assieme, e ognuna porta l’altra dovunque stiano andando. Ognuna ha degli effetti sull’altra, ma non si assorbono l’una con l’altra. Alla fine, non importa quante persone si scontrano o si incontrano, tu mantieni la tua identità personale. Devi trovare il tuo modo di vivere, di rimanere sul percorso che hai scelto, cercando di non sprofondare nel burrone. Non puoi esitare, aspettando e sperando che altre persone entrino in collisione con te, e che queste ti portino verso una direzione migliore. Non sarebbe giusto verso te stesso.”

“Quindi… se pensassi di amarlo…”

Allora amalo. Spera che ti ami a sua volta, rispetta qualunque cosa egli provi, e sii sincero con te stesso a prescindere da tutto. Alla fine dei conti la vita non è altro che questo, semplicemente.

“Semplicemente?” Scosse la testa ma sorrise al telefono. “Grazie, doc.”

Quando riattaccò rimase ancora qualche minuto fermo al distributore, pensando alle parole della dottoressa e cercando di preparare se stesso a prendere in considerazione quei consigli.


Entrò in casa e annuì a suo padre e Carole quando lo salutarono dal divano. Fece per andare sulle scale, ma esitò abbastanza per guardare Burt.

“La prossima volta che ti vedo ti devo il più umiliante degli abbracci per ringraziarti della Dottoressa Maddie, ma adesso devo fare delle cose. Okay?”

Visto che suo padre era preoccupato per lui, Kurt gli diede un momento per accertarsi che fosse tutto a posto e annuì in risposta. Quello fu tutto ciò che fece.

Fu sulle scale in un secondo, voltò a destra verso la porta di Dave e bussò piano.

“Sì?”

Kurt prese un bel respiro girando il pomello della porta. Non aveva piani, e forse fu un errore. Non aveva idea di cosa volesse dire essere fedeli a se stessi in quel caso. Non era passata nemmeno un’ora da quando aveva realizzato che i sentimenti che provava per l’amico non erano quelli che pensava fossero.

Ma era bravo ad essere sincero con se stesso – lo aveva fatto per la maggior parte della sua vita. D’altro canto, non c’era bisogno che dicesse qualcosa in quel preciso istante. Dave sarebbe rimasto felicemente all’oscuro della sua epifania, e Kurt non avrebbe dovuto accelerare le cose ad ogni modo.

Espirò bruscamente, e aprì la porta.

Dave era seduto sul letto, le ginocchia tirate su e il portatile pericolosamente in equilibrio sulle gambe. Vide Kurt e fece un piccolo sorriso. “Ciao. Come è andata dalla dottoressa?”

Kurt gli sorrise in risposta e andò verso il letto sedendosi all’altra estremità. “A dire il vero mi sento un po’ disidratato,” rispose.

Dave sbattè le palpebre, ma sorrise quando capì. “Sì, ci sono passato. Cazzo, non so come faccia quella donna a dire tipo tre parole in un’ora riuscendo comunque a farmi voler urlare come un dannato. ”

Kurt annuì. “È un po’ spaventosa.”

E per un momento, tutto fu normale. Era bello, caloroso e stava meglio quando era con Dave, ma era uguale a qualche settimana prima.

Poi Dave si stiracchiò le gambe di fronte a lui e chiuse il portatile, guardando Kurt seriamente. “Tutto a posto, vero? Quella roba può essere dannatamente intensa.”

Kurt lo guardò e cominciò a sorridere, cominciò a dire naturalmente che lui stava bene, e che era pericoloso avere accesso al suo telefono personale in modo che lui potesse chiamarla ogni volta che voleva.

Cominciò a dire tutto quanto, ma i suoi occhi catturarono quelli di Dave e quando vide quelle scintille verdi nelle iridi nocciola dell’altro rimase stordito.

Improvvisamente non potè separare Dave dal verde nei suoi occhi e dalla curva della guancia quando sorrideva. Non potè pensare a ‘Dave’ come ad una cosa, e al modo in cui sorrideva come un’altra.

Kurt amava quel sorriso, quegli occhi. Amava che Dave fosse un gigantesco secchione in matematica in privato, che potesse citare teorie di fisica e cucinare un omelette. Amava il modo in cui Dave lo guardava nell’oscurità quando cercava di rimanere sveglio dopo un incubo. Amava la stessa della mano di Dave che lo faceva sentire come se fosse indispensabile.

Era così semplice, come respirare. Non fu come la rivelazione nell’ufficio della Dottoressa Maddie, sebbene anche quello fosse stato un momento di particolare intensità. Quello, come dire, non era qualcosa che gli faceva mancare l’aria. Quello era semplicemente quello che era.

Un momento prima era meravigliato, ancora confuso. Il momento dopo…

Era ovvio che amasse Dave. Lo amava da un po’ ormai.

Non sapeva quando era successo perché non era stato un singolo momento. Era stato un processo, e lui vi era coinvolto da… quando? Da quella volta nell’ufficio di Figgins, quando Dave era stato così imbarazzato e beneducato di fronti agli adulti? Quello sarebbe potuto essere il primo passo, o forse lo era la prima volta che lo aveva visto con la divisa dei Bullywhip. Oppure era stato il giorno in cui Dave si era scusato fuori dall’aula di francese, senza che gli venisse chiesto, così sincero. Forse era stata quella prima imbarazzata mail, o il sorriso timido nel corridoio dopo che Kurt aveva deciso di smettere di pensare a lui come a Karofsky.

Forse era stato nello spogliatoio. Forse, in qualche modo, essere rimasto lì a cercare di respirare, cercando di raggiungere una pallida mano sanguinante, ascoltando il doloroso ansimare di Dave, forse era stato quello il primo passo.

Magari erano tutti quelli. Uno dopo l’altro. Ogni momento lo aveva portato sempre più dentro senza che lui lo realizzasse.

Non sapeva ancora quando fosse successo perché forse l’amore non funzionava in quel modo.

Con Blaine era stato un singolo momento. Con Blaine era stata una caduta istantanea, un precipizio che gli aveva dato giusto il tempo di pensare ‘wow, carino il ragazzo’ prima di innamorarsi. Amore.

E forse era quello il problema. C’era stato il primo momento, quello che aveva completamente sconvolto la sua vita. Ma una volta che Kurt era arrivato alla fine del precipizio non aveva altro dove andare.

Aveva amato Blaine in un istante. Gli istanti vanno e vengono, e alla fine è necessario andare avanti, nonostante tutto. Amare Dave era più come un viaggio: momento dopo momento dopo momento, senza un vero inizio ed una vera fine.

Kurt era stato confuso, dolorante, perché aveva assunto che non fosse possibile amare sia Dave che Blaine senza che una delle due cose fosse meno reale, meno legittimata. Potè vedere subito che non era giusto con se stesso con quella paura addosso. Il suo momento con Blaine era stato soverchiante e assolutamente reale. Se non fosse stato per Dave, Kurt avrebbe continuato a vivere felice nel ricordo di quel momento, e non ne sarebbe stato dispiaciuto. Sarebbe stato reale e sarebbe stato soddisfatto con quello.

Ma amava Dave, sebbene i suoi sentimenti per Blaine fossero uguali al passato. Non era possibile innamorarsi ancora di Blaine, perché aveva già dato tutto al loro primo momento.

Con Dave ogni parola, ogni respiro, lo facevano innamorare di più.

“Kurt?” il sorriso di Dave di spense in fretta nel silenzio, mentre Kurt rimaneva immobile e in lacrime mentre pensava. “Ehi. Tutto a posto?”

La Dottoressa Maddie aveva ragione. Kurt non era stato giusto con se stesso rimanendo in quell’indecisione. Non era stato giusto con Dave cercando di fargli dimostrare i suoi sentimenti prima che Kurt fosse pronto a mostrare i propri. Non era stato nemmeno giusto con Blaine.

Si mise in piedi. Sorrise a Dave – amalo, disse la sua mente quando guardò in quegli occhi preoccupati, amalo amalo amalo – e staccò la spina del portatile.

“Devo fare delle cose. Vai pure avanti con quelle piante, o con quello che stavi facendo.”

Dave sorrise dopo un momento, sebbene non sembrasse completamente sollevato. “Amico, non gioco a Farmville. Sono stato bannato da quella stronzata di gioco da quando Z rubò da una delle mie banche a Mafia Wars e non stava mai zitto a scuola. È andato avanti per alcuni cazzo di giorni.”  

Kurt ridacchiò, non potendo esprimere quello che aveva in mente – amava Dave per la preoccupazione nei suoi occhi, per i suoi borbottii e per il modo in cui sembrava essere incapace di lasciar fuori la parola “cazzo” da qualsiasi conversazione facesse senza adulti intorno.

“Bene, vai avanti con qualunque attività non ludica e senza dubbio macho stessi facendo quando sono venuto.”

Dave accese il portatile. “Vendere le mie cose a punto croce on Etsy? Sarà fatto, capo.”

Kurt rise, e amava il senso dell’umorismo di Dave e il fatto che nessuno riuscisse a farlo ridere più di lui. Amava il fatto che Dave non si sentisse così macho da poter fare delle battute sul punto croce o ammettere con Kurt che aveva pianto durante le sue visite.

Non poteva spegnersi, ma doveva fingere perché non aveva scelte. Non poteva ignorare il modo in cui i suoi sentimenti erano cambiati. Era già abbastanza difficile non concentrarsi su Dave per tutta la giornata. Sarebbe stato impossibile ora, a prescindere dal fatto che Dave lo amasse o meno, e Kurt doveva essere sincero visto quello che stava per succedere.


Entrò nella sua camera da letto e tirò fuori il suo telefono.

"Ehi!" arrivò il saluto allegro dopo il secondo squillo.

Kurt lo doveva fare, ma quello non significava che ne fosse felice. "Ciao a te".

"Kurt, stai bene?" Blaine si accorse immediatamente del suo tono, naturalmente, e il sorriso sparì dalla sua voce. "Oh, sei appena tornato dall'ufficio della dottoressa, giusto? Com'è andata?"

Kurt aprì la bocca per rispondere, ma si fermò. Non poteva farsi distrarre. "Blaine. Puoi venire qui domani?"

"Venire...? Naturalmente, se hai bisogno di me, assolutamente. Va tutto bene?"

"Sì." Kurt sospirò. "No. Dobbiamo parlare."

Ci fu silenzio dall'altra parte.

Kurt chiuse gli occhi. "Vieni. Non posso... ho bisogno di vederti di persona."

"Okay". La voce di Blaine era un bisbiglio. "Posso venire adesso?"

Kurt rise. "E' tardi. Domani è ..." Sleale. Blaine doveva sapere, o sospettare, o quantomeno temerlo.

Ma Kurt non poteva farlo per telefono - amava Blaine, gli doveva troppo.

Blaine trasse un respiro. "Ho un pranzo con Mercedes e Tina che non posso rimandare, ma... verso le due, forse? Per favore?"

"Okay. Alle due". Blaine espirò come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi sospirò al telefono. "Buona notte, Kurt."

Chiuse prima che Kurt potesse rispondere, e Kurt non poteva dargli torto, ma faceva ancora male.

Mise giù il telefono e si sedette sul suo letto, e quasi desiderò aver lasciato Blaine venire in quel momento, o essersi offerto di andargli incontro da Rosita. O non avere piani per prender tè in qualche hotel di lusso che Mercedes aveva riservato settimane prima, quando ne avevano sentito parlare (perché onestamente, tè? Kurt è un ragazzo alla moda gay, un tè in un albergo di lusso è come il culmine dei sogni).

Voleva tornare nella stanza di Dave, a sedersi con lui. Per consentire alla presenza di Dave di farlo sentire meglio. Ma quello non era giusto, e non sarebbe successo. Kurt si sarebbe allietato ridendo, scherzando e parlando, lasciando che il suo cervello dicesse amalo amalo amalo fino a che non avrebbe avuto più bisogno di pensare al giorno dopo.

Non l’avrebbe fatto. Essere fedele a se stesso significava essere onesti su quello che si vantava di essere. Essere onesto con Blaine parlando con lui prima di indulgere ulteriormente con i suoi sentimenti, ed essere onesti con Dave, non andando in là, seduto sul suo letto e di amandolo, mentre lui continuava a definire fidanzato un altro ragazzo.

Sarebbe stato facile per Kurt dire qualcosa a Dave, tirare fuori tutto, dire basta per testare i sui sentimenti e assicurarsi che in realtà lo amasse prima di lasciare Blaine. Ma non era giusto neanche quello. Essere fedele a se stesso voleva dire che nel momento in cui si era reso conto che amava qualcun altro, doveva concludere le cose con il suo ragazzo. Non vedeva l'ora di assicurarsi che le cose potessero funzionare con Dave. Non gli era permesso avere un piano di riserva. Blaine contava troppo e doveva fare la cosa giusta con Dave.

Il che non significava che la giornata di domani avrebbe fatto schifo per la maggior parte del tempo.


Incredibilmente, il tè al Marriott nel centro della Lima bene si rivelò essere una delusione. Era un po' meno Sex and the City e più ... Racconti della cripta.

Kurt non era il miglior giudice, davvero. Si svegliò temendo quel giorno e la sensazione non se ne andò via, neanche quando fu seduto nella sala da pranzo di un hotel di fascia media con le sue migliori amiche. Si vestirono per l'occasione - non si poteva andare a prendere il tè senza il proprio miglior cappello, ovviamente - e avrebbe dovuto essere divertente, se non fossero state le uniche persone presenti con meno di sessant' anni.

Il suo umore era evidente, ed entro la fine dell'ultimo vassoio di focaccine e marmellata non riuscì neanche più a fingere.

Diede delle scuse deboli e se ne andò presto - stavano parlando di andare al centro commerciale dopo, e non poteva obbligarle alla sua presenza un minuto di più. Mercedes gli diede un’occhiata piuttosto palese che voleva dire ‘ne parleremo, oh se ne parleremo' , ma lo lasciò andare senza discutere molto.

Controllò il suo telefono circa cinque volte durante il ritorno a casa, ma Blaine non lo aveva chiamato o mandato un sms durante tutto il giorno.

Sarebbe venuto, Kurt lo sapeva, e non poteva incolpare Blaine per aver letto a sufficienza nella loro stentata conversazione della notte prima per non sapere che non era il tipo di visita che richiedeva allegri messaggi sui punti di riferimento che c’erano durante il viaggio. Avrebbe voluto solo sapere quando, dove e che tipo di stato d'animo aveva avuto e quanto aveva indovinato o presunto…

Kurt sapeva che stava facendo la cosa giusta. Non c’era niente da fare. Amava i due ragazzi in due modi diversi, e mentre per uno di loro gli si struggeva l’anima d’affetto, l'altro era diventato così intrinsecamente parte di Kurt che se l'avesse mai lasciato, avrebbe potuto distruggergli l’anima.

Non era una differenza sottile, e agire su di essa era la cosa giusta da fare.

Se lo disse da solo, più e più volte. Stava facendo la cosa giusta ponendo fine alle cose con Blaine prima anche solo di sapere se Dave lo amasse. Blaine meritava di meglio di un ragazzo che amava qualcun altro più di lui.

Eppure, i nobili pensieri non facevano molto per rendere il suo stomaco più stabile mentre andava verso casa aspettando Blaine.

Le sue preoccupazioni, la paura e i nervi lo avevano tenuto abbastanza distratto per la maggior parte del viaggio. Fino a quando non aveva raggiunto casa e aveva visto la Jetta nera molto familiare già parcheggiata fuori.

Blaine era già arrivato.

Oh, dio. Blaine era lì e Finn stava trascorrendo la giornata con i genitori di Puck e i genitori di Kurt avevano programmato di passare la maggior parte del giorno girando negozi d’arredamento alla ricerca di idee per il resto della nuova casa ancora spoglio.

Blaine era a casa e Dave era a casa.

Kurt riuscì a mettere la macchina nel parcheggio, togliersi la cintura di sicurezza, e uscire dalla macchina prima ancora di rendersi conto di cosa stesse facendo. La chiave si inceppò nella serratura un paio di volte, preoccupato di dover andare in soccorso di ... a seconda di chi avesse avuto più bisogno di essere aiutato.

Blaine era seduto in una poltrona del salotto, sorseggiando un caffè dall’antica tazza Bassmasters di Burt. Si voltò quando Kurt entrò, le sopracciglia all’insù e il divertimento sul suo viso.

Kurt andò oltre, guardandosi intorno alla ricerca di Dave.

La porta della cucina si aprì.

"Ehi, allora cosa ne pensi ..." Dave entrò con la sua tazza fumante. Si fermò quando vide Kurt, e sorrise debolmente. "Ehi! Sei un pò in anticipo."

"Io... ho lasciato la ... cosa ...? Entrambi ..."

Il sorriso di Dave crebbe. "Wow, Fancy". Si avvicinò al divano per sedersi, accennando a Blaine.

"Che ne pensi?"

Blaine si rivolse a lui con un sorriso. "Hai ragione, è una bella differenza."

Kurt scosse le spalle, guardando uno e l’altro. "Che diavolo succede."

"Caffè", Dave rispose innocentemente. Allungò la sua tazza. "I vantaggi che derivano dalla cannella. Vuoi un po'?"

"Ho appena bevuto circa 80 varietà di tè, sono a posto". Era chiaro che non erano in guerra.

Non sembravano nemmeno imbarazzati. Tutto il resto non era chiaro.

"Okay, cosa sta succedendo qui?" Kurt infilò le chiavi in tasca e si spostò verso il divano, convenendo che il suo ingresso in preda al panico fosse stato divertente, ma insomma... Quando era troppo era troppo.

"Sono venuto prima", disse Blaine dalla poltrona di fronte a Kurt. "Volevo fare una chiacchierata con Dave."

Kurt lo fissò, e guardò verso Dave veloce, cercandolo.

Dave fece un sorriso, c’erano un sacco di cose nei suoi occhi e Kurt non era sicuro di come interpretare la maggior parte di loro. Non sembrava teso, almeno.

"Ho pensato un sacco", Blaine proseguì dopo una pausa.

Kurt si girò verso di lui di nuovo, Blaine si sedette lì elegante come sempre, sorridente mentre appoggiava il caffè sulle gambe accavallate. Aveva una calma che Kurt conosceva bene, una sorta di concentrazione che tendeva ad adottare durante le molte occasioni in cui aveva aiutato Kurt con qualche problema o qualche aspetto dell’essere gay dichiarato o una dozzina di altre cose del genere.

Era il suo modo di essere mentore, e avere Blaine seduto così vicino con quell'espressione sul volto faceva veramente male a Kurt.

Poteva sentirsi rilassarsi un po', nonostante il dolore, e si sedette sul divano con attenzione e attento a Blaine.

Blaine sorrise, ma i suoi occhi andarono verso Dave e il suo sorriso svanì. "Mi piace pensare di poter ammettere quando ho torto. O semplicemente quando sbaglio. Sono stato infastidito da quello che è successo tra noi. Per quello che mi riguarda, almeno." Guardò Kurt. "Mi hai detto più tardi che mi stavo comportando come un cazzone." La parola suonava strana detta da Blaine, che sorrise un po' come se potesse sentirlo. "Che stavo raccontando ad un ragazzo ferito e non volontariamente dichiarato che non c’era posto per lui durante una riunione della PFLAG".

Guardò Dave. "Quando ci ho pensato, ho capito che avevi ragione, Kurt. Ho praticamente attaccato Dave per il suo interesse nel contribuire a iniziare un gruppo di sostegno, e questo... è praticamente inconcepibile. Ma credevo a quello che ho detto, quando mi sono preoccupato per l’effetto che Dave avrebbe su altre persone che potrebbero venire ai vostri incontri. Ho avuto difficoltà a conciliare le due cose. "

Gli occhi di Kurt erano su Dave. Dave lo ascoltava, ma l’aveva ovviamente sentito prima. Dovevano aver parlato di tutto quello prima che Kurt fosse tornato a casa.

"Un paio di giorni fa sono andato a una delle riunioni PFLAG a Westerville dove andavo spesso. Ho parlato con uno dei miei vecchi mentori, un uomo che mi ha aiutato quando sono andato alla Dalton". Blaine sorrise mestamente. "Ho spiegato la maggior parte di ciò che è accaduto, e lui praticamente me l’ha permesso. Mi ha fatto notare che l'ho usato come un mentore, e che sono il mentore di altri, ma il punto della PFLAG e dei gruppi simili non è quello di accoppiare dei bambini difficili a dei consiglieri: il punto è che un ragazzo confuso e spaventato può camminare in una stanza e guardarsi intorno vedendo facce di dozzine di persone che stanno vivendo le stesse identiche cose che sta vivendo lui, di parlare con persone che condividono la confusione e la paura, e sapere che non sono soli. Poter parlare e ascoltare senza giudizio."

Si voltò verso Dave, e anche se probabilmente l’aveva già detto, all’improvviso la sua voce prese più forza. "Non vedo un adolescente gay spaventato quando ti guardo, e questo è colpa mia. Quando sono andato al mio primo incontro della PFLAG c'era questa ragazza, questa splendida ragazza ispanica, e mi chiedevo cosa stesse facendo lì. Io avrei voluto un incontro pieno di ragazzi spaventati come me che erano stati colpiti e emarginati e perseguitati a causa dell’essere gay, e avevano pensato che nessuno come lei potesse capire. Dopo tutto, essere un uomo gay ti fa diventare un bersaglio dell'odio. Essere una bella ragazza che bacia le ragazze ti fa diventare l'obiettivo di un sacco di sguardi lussuriosi. La cultura non è la stessa. " Abbassò lo sguardo alla sua tazza di caffè, la fronte aggrottata. "Quando ha cominciato a parlare della sua vita, sulla sua famiglia religiosa e della fitta cultura della comunità in cui viveva, e di come ha perso tutto quanto quando ha cercato di portare la sua ragazza a casa dal college, mi vergognavo. Lei lo sapeva, lei conosceva alcune lezioni meglio di me."

Trasse un respiro e guardò Dave. "Essere gay non ha una sola faccia. Ho pensato di aver imparato la lezione, ma poi eccoti. Il re del liceo, forte e popolare e spaventoso, e sapevo che non saresti stato in grado di capire che tipo di problemi affrontano quelli come me. Ancora adesso nessuno che ti guardi potrebbe pensare che sei gay ed odiarti per questo, nel modo in cui potrebbero odiare qualcuno come me, o Kurt. Tu non dovresti essere in grado di parlare di questo odio. Non dovresti essere in grado di parlare di episodi di bullismo, perché eri il bullo. Non dovresti poter parlare sul fatto di essere chiamato frocio, perché ancora usi questa parola te stesso. Nella mia mente tu eri l'opposto di me, e di  Kurt, e le nostre esperienze, e semplicemente non avevi nulla da dire a chiunque fosse venuto ad un incotro di supporto."

Dave fece un debole sorriso. "Devo ammetterlo, è piuttosto ironico essere odiato per non essere abbastanza gay."

E poi Kurt seppe per certo che avevano già parlato di quello. Guardò Dave e Blaine, e fu colpito dallo sguardo di Blaine.

Le parole che aveva detto erano dure, ma erano anche delle scuse. Le cose che stava dicendo Dave e che credeva di lui erano passate.

Blaine annuì a Kurt, come se stesse leggendo la sua espressione. "Sono stato a quella riunione l'altra sera, e ho parlato di questo di fronte al gruppo. Quello che ho imparato dagli uomini più grandi del gruppo, o dalle ragazze che non erano né stupende o completamente brutte, è che c’è un’aspettativa riguardo all’essere gay che rientra di solito nelle categorie giovane, bello, o ragazzi alla moda, e quelli che non rientrano in tale categoria possono lottare con questi aspetti tanto quanto qualsiasi altro aspetto di essere gay. E' stato umiliante, questa idea che io sia colpevole di usare gli stereotipi e l'etichettatura come uno qualsiasi degli omofobi che odio tanto. "

Dave si strinse nelle spalle. "L’ho fatto che la maggior parte della mia vita, non è qualcosa per cui posso darti la colpa."

"Beh, è questa è la cosa irritante. Dovrei essere migliore di te".

Dave rise.

Blaine guardò verso Kurt. "Sono venuto giù presto per chiedere scusa a Dave per le cose che ho detto. E per parlare anche di altro."

Kurt aveva gli occhi ridotti a fessure. "Che altre cose?"

"Non sono affari tuoi", Blaine gli risponde compostamente, facendo ridere Dave di nuovo. "Ma puoi rilassarti. Ne siamo usciti vivi. Sono anche disposto ad ammettere che c'è qualcosa di quasi affettuoso in tutte quelle pose macho ridicole contornate da bestemmie senza motivo."

"Amico... Sono proprio qui, cazzo." Dave aggrottò la fronte senza scaldarsi. "Ma, va bene, certo, devo ammettere che tutto ciò che ti metti nei capelli effettivamente funziona molto bene per te."

Blaine sorrise. "Se giocate bene le vostre carte vi mostrerò qualche foto in cui si vede come sono senza prodotti per lisciare i capelli".

"Aspetta, che cosa? Ci sono delle foto?" Kurt scosse la testa nel momento in cui disse quelle parole, perché voleva ridere. Era felice, entusiasta del fatto che Blaine e Dave avessero parlato, che fossero in una sorta di tregua.

Ma per l'amor di un Dio santissimo e inesistente, doveva accadere in quel momento?

Alzò una mano una sfregandosela sul viso, lottando con se stesso per quel momento quasi allegro. Non aveva fatto nulla di concreto. Tutto quello che doveva fare era inventarsi una buona scusa per cui voleva che venisse a trovarlo, un’altra cosa. Non sarebbe stato difficile, era appena uscito dalla sua prima visita con la terapista, le cose che aveva detto al telefono potevano essere causate dallo shock.

Ma non voleva quello, e quella piega inaspettata, quei sorrisi tra Blaine e Dave, quella pace temporanea nell’aria... gli rendeva ancora più difficile fare il prossimo grande passo.

Dave si schiarì la voce all'improvviso, alzandosi in piedi con la sua tazza attentamente bilanciata di caffè. "Okay, voi due ragazzi dovete parlare o qualsiasi altra cosa, e storicamente essere il terzo incomodo non ha funzionato troppo bene per me. Quindi, vado al piano di sopra."

Kurt sorrise mentre Dave andava, e lo raggiunse senza potersi impedire di mettere la mano sul suo braccio.

Dave si fermò e lo guardò, inarcando le sopracciglia. Forse vide il luccichio di preoccupazione negli occhi di Kurt, perché sorrise debolmente. Era un sorriso 'Sto bene, Fancy, grazie'.

Kurt si rilassò e lasciò cadere la sua mano, guardò Dave fino a che non arrivò alla scalinata.

Quando tornò indietro, guardò a destra Blaine e il suo cuore crepitò solo un po'. Era così adorabile in camicia e pantaloni troppo formali per il sabato, con i capelli impeccabili, e le sopracciglia fiere come sempre.

Ascoltò i passi di Dave mentre saliva su per le scale, e si accomodò un momento.

"Allora," disse Blaine all'improvviso, un attimo dopo aver udito il suono della porta della camera di Dave che aveva lasciato il silenzio nella sala. "Sono contento che mi hai chiesto di venire qui, perché ho bisogno di dirti una cosa."

Un'altra distrazione, forse un’altra trappola. Ma Kurt prese un respiro e glielo permise, egoisticamente. "Che cosa c’è?"

"Ho incontrato qualcuno".

Kurt sbattè le palpebre.

Blaine incontrò i suoi occhi con calma, ma, quando parla il suo sguardo si abbassò un po'.

"Non ti ho tradito. Non lo farei. Ma ho incontrato qualcuno a Westerville e penso che ci potrebbe essere qualcosa tra noi."

"Che cosa ...?" Kurt scosse la testa, e la sua attenzione era tutta per quella cosa. Niente più Dave, niente più Dottoressa Maddie. Osservò Blaine, assolutamente colto di sorpresa. "Cosa?"

Blaine alzò la tazza e sorseggiò il suo caffè. La sua fronte era liscia, gli occhi spalancati e bloccato appena dallo sguardo spaventato di Kurt. "Io... Mi dispiace."

Kurt non gli credette nemmeno per un secondo.

Era stato affascinato da Blaine molto più a lungo di quanto si fossero frequentati. Aveva studiato il ragazzo per settimane prima che Blaine si fosse mosso verso di lui. Conosceva il suo pollo. Sapeva riconoscere una bugia quando si mostrava sul volto di Blaine.

Solo proprio non riusciva a capire perché.

Blaine abbassò la tazza e guardò Kurt. "Mi dispiace darti questo pensiero quando hai così tante cose qui, ma... in un certo qual modo ti sto facendo un favore. Qui serve la tua attenzione, e ora non sareri una... una distrazione per te ".

Oh, dio.

Kurt fu seduto sul divano in un momento, e tolse il caffè a Blaine senza preoccuparsi di versarne un po’ sul divano. Era lì al fianco di Blaine, e non sapeva nemmeno come reagire.

Blaine stava mentendo, quella era una bugia. Perché Blaine sapeva il motivo per cui Kurt lo voleva lì. Perché voleva risparmiare a Kurt di dover fare questo da solo? Perché voleva salvare la faccia essendo il primo a dire quelle parole?

A causa di ciò che aveva appena detto, Kurt aveva capito che lui sapeva e che voleva rendergli le cose più facili?

Qualunque cosa fosse, era orribile e doloroso e Kurt non sapeva se era normale sentirsi riconoscente, ma lo era.

Blaine mise la tazza sul tavolino e si alzò in piedi. Raggiunse le mani di Kurt, ma naturalmente caddero insieme e le sue braccia si strinsero attorno a lui e Kurt afferrò il dorso della sua camicia quando si scontrarono.

Non si preoccupò di cercare di fermare le lacrime, ma non voleva stare al gioco. Aveva lasciato fare quello a Blaine, ma non voleva avere il ruolo dell’ ex ferito e sbagliato. Non avrebbe chiesto niente di quella persona, non avrebbe chiesto il motivo. E forse il suo silenzio rese troppo evidente il fatto che lui sapesse che Blaine stava mentendo, ma forse le parole erano le cose importanti.

Respirò in affanno contro la spalla di Blaine, lo strinse con forza. "Ti amo", disse lui, ed era sincero.

Blaine rise piano, e c’era tanto dolore che avrebbe potuto anche essere un singhiozzo. "Ti amo anch'io."

Kurt conosceva Blaine. Blaine era pazzo di Kurt, ma la parte dell’amare... era stato un percorso più lento per lui che per Kurt, ed era sempre stato come se Blaine dovesse raggiungere senza fretta Kurt, con calma.

Blaine sarebbe stato bene. Sarebbe tornato alla Dalton e probabilmente avrebbe avuto un paio di buoni pianti e avrebbe suggerito alcune canzoni delicate ai Warblers che gli altri avrebbero saggiamente respinto, e poi avrebbe chiamato Kurt per manifestare il suo fastidio su Wes dicendo che l’altro non comprendeva il concetto d’arte di Blaine. E avrebbe incontrato qualcuno, perché era incredibile. Perché aveva tanti difetti e poteva essere uno che giudicava e poteva anche essere un cazzone, ma stava facendo quello, quella cosa incredibile e orribile, per Kurt. Per Dave, per quello che probabilmente conosceva da più tempo di quanto lo sapesse Kurt.

Kurt non aveva intenzione di perderlo. Blaine era bello e di talento, intelligente e Kurt si rifiutava di lasciarlo andare completamente. Erano stati amici, una volta, buoni amici, e tutto ciò che Kurt doveva fare era ritornare a quei tempo.

Amava Blaine, e avrebbe potuto amarlo per sempre, se gli ultimi mesi non fossero andati in quel modo.

Si tirò indietro e fece un piccolo rumore in gola quando vide le linee lungo le guance bagnate di Blaine. Allungò la mano e asciugò le lacrime, ignorando il calore delle proprie lacrime sul volto.

"Possiamo ancora incontrarci il sabato?" chiese, e le parole erano agitate e confuse.

Blaine rise. "Rosita sa fare delle cheesecake incredibili."

Incontrò gli occhi di Kurt e sorrise, anche se le lacrime non si fermarono. "Dammi un paio di giorni prima di chiamare, ma..." Scosse la testa.

Kurt capì. Lesse i propri pensieri sul volto di Blaine. Forse quello non era il loro ultimo amore, ma non erano ancora preparati a perderlo del tutto.

Annuì. Lo raggiunse e strinse saldamente le mani di Blaine. Si chinò e lo baciò, leggero e semplice, ed era già diverso.

Blaine emise un respiro tremolante quando si staccò. "Kurt ..."

Kurt lo guardò con occhi probabilmente-palesemente-adoranti.

Blaine fece un cenno verso la scala che saliva al secondo piano. "Stai attento con lui." Sorrise tristemente, raggiungendo la mascella di Kurt e accarezzandola con la punta delle dita. "Questo sarebbe molto peggio se non avessi visto quanto abbia bisogno di te più di me." Lasciò cadere le mani e si tirò indietro, schiarendosi la gola. "... E fallo durare per sempre, ok? Perché, se qualcosa si deve mettere in mezzo a noi, è meglio che sia qualcosa di enorme."

Si sentì strano ad annuire, come se, nonostante le parole di Blaine, Kurt gli stesse facendo uno sgarbo.

Ma quello era enorme. Non era ancora nemmeno vero, nemmeno in programma tra Kurt e Dave, ma era così enorme che Kurt aveva vissuto nella sua ombra per settimane e settimane e non l’aveva nemmeno notato.

"Oh, e ..." Blaine emise un respiro improvviso, e la sua espressione si spostò in qualcosa di triste. "Probabilmente dovrei avvertirti. Mercedes mi adora, sta per rendere la vostra vita un inferno per questo."

Kurt rise finché non diventò un singhiozzo, e quando Blaine aprì le sue braccia Kurt diventò egoista un'ultima volta, fece un passo e lo abbracciò di nuovo.


C’era un pezzo di carta di quaderno sul letto di Kurt, e lui riconobbe la scrittura grazie alle sessioni di compiti assieme.

Si mosse lentamente, già prosciugato dalla giornata e difficilmente in grado di provare paura per quello che c’era scritto, o anche solo del perché Dave dovesse lasciargli un messaggio. Non era sicuro di essere pronto. Non dopo appena dieci minuti da quando la macchina di Blaine se ne era andata.

 

Fancy,

una delle altre cose di cui Blaine voleva parlarmi eri tu. Non scenderò nei dettagli ma lui pensa che dovresti sentire questa, ed è strano ma lo credo anch’io. Ha detto che talvolta quello che pensiamo con è così ovvio. Ha anche detto che a volte sei davvero ingenuo su certe cose.

Ad ogni modo. Ecco... Non sto cercando di creare problemi a nessuno, ma ha detto che dovresti saperlo ed è venuto fuori che è un tipo a posto quando non fa la testa di legno. Solo, non odiarmi. Mi ha promesso che non lo avresti fatto e odierei prenderlo a calci adesso.

- Dave

Ps: Ho evitato gli apostrofi perché lo so che lo adori. Prego.

 

Kurt guardò il letto, il pezzo di carta era appoggiato sopra l’iPod di Dave. Si avvicinò e lo prese in mano guardando di nuovo il messaggio.

Sembrava abbastanza spensierato, ma la carta era stropicciata e la scrittura era mossa e profonda. Era stata difficile da scrivere, e poteva comprenderne il motivo.

Si avvicinò alla scrivania e tirò in fuori la sedia. Staccò le cuffie dal computer e le collegò all’iPod.

Lo accese, sfogliando le playlist. Cercò Fancy. La fece partire.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29. ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 29 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/29/The_Worst_That_Could_Happen


 

Era pronto, si era fatto coraggio.

Era ciò che Kurt si disse mentre le primissime note di una canzone sconosciuta filtravano dagli auricolari.

Conosceva Dave, dopo tutto. Sapeva che Dave lo amava, che Dave probabilmente era innamorato di lui da un po’. Da molto più tempo di quanto immaginasse.

Kurt comprendeva tutto quanto, quindi sapeva già cosa sarebbe successo dopo. Faceva male amare qualcuno senza essere ricambiato. Kurt ci era passato. Aveva ascoltato tutta la musica irrequieta possibile a causa di Blaine o (con ancora maggior imbarazzo) di Finn. Aveva avuto anche una fase di breve durata dove sentiva canzoni d’amore disperate per Sam Evans.

Facendolo, sapeva già che ci sarebbe stata della roba eclettica sulla list- quando aveva sbirciato la prima volta l’elenco, aveva notato nomi come Roberta Flack e Tom Waits, musicisti autorevoli in là con gli anni che conosceva di nome ma di cui non andava pazzo, assieme a dei brani rock più moderni che riconosceva marginalmente solo tramite Finn o gli altri ragazzi al McKinley.  

Non era nemmeno più sorpreso dal fatto che quei nomi sulla list lo stupissero. Sapeva così tanto su Dave da non dare per scontati i suoi gusti in fatto di musica o qualsiasi altra cosa che contasse.

Il suo piano consisteva almeno nell’ascoltare la maggior parte della playlist, e poi andare da Dave a parlargliene. Aveva già pensato di andare verso la stanza di Dave e chiacchierare con lui prima che vedesse il biglietto e l’Ipod sul suo letto- era stanco di attendere, stanco di sentirsi come bloccato sul precipizio, come se la sua vita si fosse rallentata fino al punto di essere in attesa di fare un salto in avanti o un passo indietro.

Aveva bisogno di parlare con Dave, di essere interamente aperto e onesto, di vedere a che punto si trovavano entrambi e dove sarebbero potuti andare dopo.

Ma le canzoni minacciavano di farlo sviare.

La prima ad uscire fu, come se fosse stata il destino a sceglierla, ‘Mad World’. Kurt la conosceva, nonostante avesse più familiarità con una versione differente da quella che Dave aveva.

Ascoltò la maggior parte di quella versione più lenta, meno pomposa e malinconica di una canzone che era già malinconica di suo. Andò avanti perché già la conosceva e il verso che faceva riferimento ai sogni riguardanti la morte lo rese stranamente teso.

I pezzi successivi…

Non erano riguardo un amore non corrisposto. Non parlavano dell'angoscia che si prova generalmente quando si è soli. Non erano niente di così vago o prevedibile. Le ascoltò solo per pochi minuti, prima che l’amarezza assoluta della musica minacciasse di soffocarlo.

Nessuna di esse gli era in qualche modo familiare, ma ognuna gli rimase fissa nella testa- versi, melodie, le musiche cupe e le voci addolorate.

Self-inflicted circus clown
I'm tired of the song and dance
Living a charade, always on parade
What a mess I've made of my existence.

[Natalie Grant, The real me:
Clown da circo autolesionista
Sono stanca della musica e della danza
Vivere in una sciarada, sempre in processione
Ho fatto della mia vita un pasticcio]

I wake up, it's a bad dream
No one on my side, I was fighting
But I just feel too tired to be fighting.

[Keane, A bad dream:
Mi sveglio, è un brutto sogno
Nessuno al mio fianco, stavo combattendo
Ma mi sento troppo stanco per combattere]

I Coldplay, e questo sorprese Kurt fino a quando non ascoltò le parole.

Just because I'm hurting doesn't mean I'm hurt
Doesn't mean I didn't get what I deserved.

[Coldplay, Lost!:
Solo perché sto ferendo non vuol dire che io sia ferito
Non vuol dire che non abbia avuto ciò che mi meritavo]

Una cantante con una voce tesa che Kurt non riuscì a focalizzare: 
'm not as callous as you think
I
 barely breath when you are near
I'm getting smaller by degrees
You said you'd help me disappear.
[Amanda Palmer, Another year:
Non sono così indifferente come tu pensi
Riesco a malapena a respirare quando mi sei vicino
Mi sto rimpicciolendo momento dopo momento
Hai detto che mi avresti aiutato a scomparire]

Gnarls Barkley, e fu in quel momento che Kurt realizzò che aveva le lacrime che gli solcavano il viso. 

And I've tried
Everything but suicide
But it's crossed my mind.

[Gnarls Barkley, Just a thought:
E ho provato
tutto tranne il suicidio
Ma mi è passato per la mente.]

Ascoltò tutte le canzoni una ad una, ascoltò le loro parole. Riuscì a sperimentare l’amarezza, l’odio per se stessi, l’infelicità di vivere una vita che era una menzogna.

Dave gli aveva detto una o due volte perché lo odiava così tanto, ciò che simboleggiava nella sua testa: qualcuno che aveva il coraggio di non vivere la bugia in cui Dave tirava avanti. Qualcuno più forte, più coraggioso. Ed era su quello che erano basati quei pezzi: non sulla forza che Kurt possedeva, ma sulla debolezza che Dave disprezzava in se stesso.

Ecco come Kurt faceva sentire Dave.

E proprio quando pensava che non ci fosse nient’altro in quella lista tranne che disistima e disgusto per se stessi, trovò il tipo di canzoni che si aspettava di trovare, quelle dove la persona che odia completamente se stessa parla dell’amare qualcuno.

C’era una canzone dei Radiohead che Kurt conosceva. Che tutti quanti probabilmente conoscevano:
I want you to notice when I'm not around
You're so fucking special
I wish I was special.

[Radiohead, Creep:
Voglio che tu possa notare la mia assenza
Sei così speciale, cazzo
Vorrei essere speciale]

Poi, una voce che Kurt riconobbe ma non riuscì a fare altrettanto con la canzone:
Who's breathless now, who only hyperventilates?
Who'd die for you, who's dying inside anyway?
Which one of us is sunshine and which one's growing dim?
Two men dream of you at night, do you just dream of him?

[Barenaked Ladies, The Wrong Man Was Convicted:
Chi é senza respiro adesso, chi sta semplicemente iperventilando?
Chi morirebbe per te, chi sta morendo dentro comunque?
Quale tra noi è il sole e quale sta sfiorendo? Due uomini ti sognano la notte, tu sogni lui? ]

It's just you and me against me. [Siete tu e me contro me stesso]

Quella canzone che Kurt aveva sentito prima, la prima volta nell’ospedale che era in cima alla playlist.

The mirror is a trigger and your mouth's a gun.
[Danger Mouse/Daniele Luppi, Two Against One:
Lo specchio è un grilletto e la tua bocca è una pistola]

Una specie di canto funebre più lento: 
pray you've heard the words I've spoken
Dare to believe, only one last time
Then I'll let the darkness cover me
Deny everything.

[Disturbia, Darkness: Prego affinché tu abbia ascoltato le parole che io ho pronunciato
Osa crederci, ancora un’altra volta
Dopodiché lascerò che l’oscurità mi avvolga
Negherò ogni cosa.]

Le canzoni rock più recenti, i classici più in là con tempo, erano tutte identiche. Da Ella Fitzgerald (They're writing songs of love, but not for me/A lucky star's above, but not for me; Stanno scrivendo canzoni d’amore, ma non per me/ Una buona stella è in cielo, ma non per me, But not for me) alla voce resa roca dal whiskey di Tom Waits (Nobody, nobody will ever love you/the way I could love you; Nessuno, nessuno ti amerà mai/ nel modo in cui avrei potuto amarti io, Nobody). Dall’occasionale e sorprendente canzone pop da Top 40 (Daniel Bedingfield, If You’re Not The One : I can't take it, I don't understand/If I'm not made for you then why does my heart tell me that I am? Non ci riesco, non lo so/ se non sono fatto per te perché il mio cuore mi dice che lo sono?) a cantanti di nicchia come Rickie Lee Jones  (Rickie Lee Jones , A Lucky Guy: He goes to sleep at night/He don't turn off the light/And wonder how to find me/Or if I'm alone, Lui va a dormire/ Non spegne la luce/ E mi chiedo come possa trovarmi/ O se sono sola).

I sentimenti che legavano tra loro le canzoni non erano semplici come un amore non corrisposto. Erano canzoni riguardanti persone che non meritano l’amore che desiderano e che si odiano per questo. Anche i pezzi dove il messaggio non era completamente chiaro dovevano essere viste sotto una luce diversa vista la loro presenza nella playlist.

Anche una splendida ballata classica, anche Roberta Flack che cantava The First Time Ever I Saw Your Face, assumeva una declinazione dolorosa e depressive. Come se lei stesse solo fantasticando riguardo qualcuno che non avrà mai. Come se il delicato tono della sua voce fosse amarezza, non amore.

Kurt interruppe le canzoni una ad una, le ascoltava abbastanza da capire il loro significato e poi passava alla successiva. Ogni volta che premeva il tasto per andare alla canzone dopo, sperava sempre in qualcosa di diverso. Qualcosa che avesse anche la minima traccia di ottimismo.

Ma non fu così. Canzone dopo canzone, tutte erano sulla rassegnazione, la gelosia, la rabbia, l’infelicità. Non c’era una sola canzone su qualcosa come la speranza. Era amore, chiaramente amore, ma così doloroso e disperato da far male. Era amore, come anche qualcosa di tragico.

Avvilito, passò oltre la canzone che stava scorrendo in quel momento (Blue October, Hate me: Hate me for all the things I didn't do for you; Odiami per tutte le cose che non ho fatto per te) e analizzò le poche rimaste. Dovette schiarirsi gli occhi dalle lacrime per riuscire a vedere chiaramente il piccolo schermo e individuò un nome che lo aveva fatto ridere quando lo aveva notato per la prima volta sulla lista settimane prima.

Tom Jones. Cosa mai al mondo avrebbe mai potuto cantare Tom Jones di così depressivo come il resto di quella lista?

Cliccò sulla canzone, serrando le palpebre, attendendo con l’agitazione nello stomaco. Sperando in qualcosa di più positivo.

I, I who have nothing
I, I who have no one
Adore you, and want you so
I'm just a no one,
With nothing to give you but oh
I love You
 
He, He buys you diamonds
Bright, sparkling diamonds
But believe me, dear when I say,
That he can give you the world,
But he'll never love you the way
I love You

[Io, io non ho nulla, io, io non ho nessuno, ti adoro e ti voglio così tanto, non sono che nessuno con assolutamente niente da darti ma ti amo. Lui ti compra diamanti, splendenti, scintillanti diamanti ma credimi cara quando ti dico che lui potrebbe anche darti il mondo ma non ti amerà mai nel modo in cui ti amo io.]

 Kurt scosse la testa verso la fine della seconda strofa, per via del crescendo della musica e della fine di quelle parole protratte e dolorose.

Dave lo amava. Dave lo amava senza alcuna speranza, senza alcuna convinzione che qualcosa sarebbe mai potuto nascere tra loro. Non era stata la cecità di Kurt che lo aveva reso inconsapevole dei sentimenti di Dave per così tanto tempo. Era ottuso, certo, ma aveva tenuto assolutamente la sua concentrazione su Dave Karofsky per settimane. Nessuno sarebbe stato così ottuso.

Non lo aveva notato perché Dave non gli aveva dato indicazioni. In qualsiasi modo Dave guardasse Kurt quando Kurt stesso non l’osservava, in qualsiasi modo agisse, in maniera così ovvia a qualsiasi altra persona, non aveva lasciato sfuggire niente a Kurt stesso. Perché non credeva ci fosse una possibilità. Il suo amore per Kurt non era qualcosa che avesse necessità di avere un confronto. Era un fardello che doveva trasportare. Tutto qui.

Kurt avrebbe dovuto essere in grado di convincersi a essere più indeciso dopo aver ascoltato quella lista. Avrebbe dovuto essere in grado di bloccare il tutto, di posticiparlo e di discuterlo continuamente, nonostante la separazione da Blaine, nonostante la dottoressa Maddie e la sua chiacchierata avvolgente come una bolla.

Era una cosa enorme, una cosa spaventosa e Kurt avrebbe dovuto essere in grado di essere calmo e cauto al riguardo.

Ma non in quel momento.
 


Spense la musica, asciugò le lacrime e il tempo che gli ci volle per andare dal suo letto alla porta della camera di Dave era troppo poco per ritardare quello che ormai era ovvio.

Non attese che Dave rispondesse, non si bloccò nei secondi tra l’aver battuto alla porta e l’averla aperta. Chiuse l’uscio velocemente alle sue spalle, appoggiandosi ad esso, tenendo in mano l’iPod come se fosse una specie di capo di imputazione.

“Ti senti ancora in questo modo?” chiese, la voce tremante e le lacrime riempivano ancora i suoi occhi così tanto che vedeva Dave seduto sul letto completamente annebbiato.

Ci fu una pausa striminzita, un cambiamento nella figura sfocata sul letto.

“Cazzo,” disse Dave come risposta, in modo basso, facendo da eco al tipo di abbattimento che Kurt si sarebbe aspettato da qualcuno con quell’orribile playlist sul proprio orribile iPod. “Lo ucciderò, cazzo.”

“Rispondimi!” Kurt scacciò via le lacrime dagli occhi, muovendosi verso il letto e scagliando l’iPod lontano. Rimbalzò sul materasso e cadde sul pavimento con un rumore sordo, ma non gli dedicò un secondo della sua attenzione. “Ti senti ancora cosi?”

Quando la sua visuale si rischiarò abbastanza facendo sbattere le palpebre, vide Dave più chiaramente, la testa inclinata al muro, la gola esposta, gli occhi chiusi.

“Kurt, te l’ho detto… ti ho detto che non voglio crearti alcun problema, o…”

“Non riguarda me! Questa cosa non riguarda me! Ti senti ancora in questo modo riguardo te stesso?”

Gli occhi di Dave si spalancarono, la sua testa si abbassò, era pallido e teso come se fosse invecchiato di trent’anni da quando aveva lasciato poco prima Kurt e Blaine al piano di sotto. “Cosa?”

Kurt fece ciondolare il capo, si spostò verso il letto, chiudendo le mani a pugno nel tentativo di trattenere le lacrime.

“Dio, Dave, non ce la faccio…” Si sedette pesantemente sul bordo del letto, appoggiandosi e seppellendo il viso tra le mani. “Non riesco a sopportare il modo in cui ti rapporti a te stesso. Dall’inizio, da quando mi hai inviato quelle email insistendo sul fatto che tu avessi ancora delle colpe da espiare per un paio di errori fatti mesi prima. Il modo in cui tu ti paragoni a quei bastardi che ti hanno fatto del male, e le pillole, e…”

Dave si voltò alle sue spalle e la sua risposta esitante fu tranquilla. “E’… io sto meglio adesso. In tante cose. Sul serio.”

Kurt scosse  la testa. “A volte mi spavento per te. Non importa ciò che dico o ciò che faccio, quei pensieri orribili nella tua testa saranno sempre più forti di me.”

"Come se qualcuno potesse parlarti da sopra quando vuoi avere ragione."

Dave provò a scherzare, ridendo leggermente e sospirò quando la cosa non ebbe successo. “Sto meglio, Kurt. Lo giuro.”

Kurt si trascinò verso di lui respiro dopo respiro e, quando percepì la mano di Dave come un carico caldo sulla sua schiena, questo lo aiutò almeno a sentirsi meno al centro dell’attenzione.

“La dottoressa sta aiutando. Lo sta già facendo. E tu… Cristo, Kurt, non riesco nemmeno a dirtelo. Ti sento nella mia testa, te lo giuro, davvero. Comincio a pensare a queste solite cose negative, poi escono questi nuovi pensieri e li soffoco, e sembrano proprio te. Ti sento dirmi che non sono come quei ragazzi o che le cose che ti ho fatto non contano più. So che sono diverso dalla persona che ero. ”

Kurt annuì in accordo con il suo ragionamento, la sua speranza.

“Tu mi aiuti, la dottoressa mi aiuta, e... l’hockey mi aiuta, e la scuola. Tutto mi sta aiutando. Te lo giuro… Io non…”, la voce di Dave tremò.

Kurt si girò verso di lui, spostando le sue gambe sul letto.

Dave lasciò cadere le mani. Se ne stava seduto lì, le ginocchia attaccate al petto e c’era del dolore dipinto sul suo volto, ma non quel dolore del passato, di cui Kurt continuava ad avere dei flash. Non era il dolore di cui quelle canzoni parlavano.

”Non devo nemmeno più ascoltarti la mattina”, disse distogliendo lo sguardo da Kurt, “ho di nuovo altre cose che mi rendono felice. Anche se tu resti quella migliore, ora ho altre cose. Cristo, l’ultima cosa che avrei mai voluto fare era farti sentire in colpa, o…”

Kurt rise a quella frase, quasi singhiozzando. “Non mi sento in colpa”, disse onestamente. “Avrei preferito capirlo prima, ma... Ho cercato di fare del mio meglio. Dave, non posso fare di più di quello che sto facendo per te. Non posso sentirmi in colpa per questo”.

“Non dovresti in ogni caso”. Dave prese coraggio e fece un sorriso. “Hai fatto molte più cose di quante ne avrebbe fatte chiunque altro. E… non hai detto nulla su… su tutto il resto, ma dovresti saperlo. Non mi aspetto niente di più da te. Sono felice, Kurt. Te lo giuro, sono felice di come stanno le cose ora. Blaine ha detto che avrei dovuto dirtelo… ma non mi serve nient’altro da te. Dio, ha insistito così tanto sul fatto che avrei dovuto dirtelo…”. Si fermò, accigliato. Probabilmente stava cercando di capire meglio Blaine e perché gli avesse detto di confessare i suoi pensieri ed i suoi sentimenti al suo fidanzato.

Scosse la testa dopo un momento. “Non voglio che le cose tra noi vadano male, Kurt. Posso sopportare qualsiasi altra cosa nel mondo, ma non posso perdere te”.

Kurt incrociò i suoi occhi, lo shock, la pena ed il dolore causati da quelle canzoni scomparvero.

Qualcosa di diverso, di più grande ed importante e in qualche modo più soffice, prese il posto persino della paura.

Mantenne il contatto con lo sguardo di Dave. “Blaine ed io ci siamo lasciati”.

Dave inghiottì a vuoto. Cercò immediatamente il viso di Kurt, ma la sua espressione non cambiò di molto. “Come?”

“Da quando tu te ne sei andato”. Kurt fece un respiro e lo trattenne. “Ma sarebbe dovuto succedere molto prima. Avrei dovuto mettere fine al nostro rapporto settimane fa, la prima volta che mi sono resto conto che c’era qualcuno di più importante di lui nella mia vita”.

La bocca di Dave si chiuse, le sue labbra erano strette. Osservò ancora il viso di Kurt, i suoi occhi, con più urgenza.

”Non penso…”, la voce di Kurt si fece più debole ed inghiottì nuovamente, schiarendosi la gola. “Non penso fosse così insistente perché sapeva cosa provavi tu, Dave. Era perché sapeva cosa provavo io”.

“Cosa…”, Dave provò a parlare, ma si fermò. Aveva detto solo una parola, ma quello sembrava il massimo che riuscisse a dire.

I suoi occhi erano chiusi, in guardia, Kurt odiava i momenti in cui si rendeva conto che Dave si stava nascondendo da lui. Non funzionava mai, comunque – Kurt ormai lo conosceva troppo bene.

Gli occhi di Dave si stavano nascondendo da lui, ma il suo viso pallido e teso sembrava abbandonato a se stesso senza le mani di Kurt a toccarlo. Kurt si avvicinò, doveva. Perché le punte delle sue mani gli fecero male finché non toccarono i suoi lineamenti, e sentiva il bisogno di arrivare a toccare i suoi zigomi. Dave scosse la testa mentre Kurt lo toccava. Spostò il viso da un lato, come per scostarsi da Kurt, ma dopodiché non si mosse più.

Deglutì un’altra volta, Kurt l’aveva sentito grazie al silenzio che li circondava.

“Kurt. Questo non… Dio, non farmi questo. Ti prego. Non è questo il motivo per cui io…”

Kurt sorrise, perché Dave poteva anche essere in grado di nascondere i suoi occhi, ma Kurt ormai lo conosceva troppo bene. Conosceva la sua voce, il tremolio nelle sue parole, il controllo che ormai gli stava sfuggendo e il tipo di speranza più dolorosa che stava iniziando a crescere dentro di lui.

Era una cosa importante; era su di una scogliera, su un dirupo, e stava facendo un passo verso il vuoto più velocemente di quanto avrebbe creduto possibile. Ammettere i propri sentimenti… quando era stata la volta di rivelarli a se stesso, aveva esitato e aveva giocato all’Amleto con le sue indecisioni. Ora che era giunto il momento di dirlo a Dave, per farlo sentire meglio, per togliergli ogni sofferenza, era un milione di volte più semplice. Kurt avrebbe fatto di tutto per Dave. Sapeva questa cosa da un bel po’ di tempo, ormai. Sarebbe andato contro ai peggiori pericoli, a cose che mai avrebbe pensato di poter fronteggiare. Si sarebbe messo al secondo posto senza nemmeno pensarci. Avrebbe rischiato qualsiasi cosa per lui, ed era esattamente quello che stava facendo in quel momento.

Prima di allora aveva rischiato la sua sicurezza, il suo sonno, la sua salute, il suo senso di sicurezza verso il mondo che lo circondava. Mettere a rischio i suoi sentimenti era stato semplice in modo ridicolo ed era sorpreso di averci impiegato così tanto tempo.

“Non ha niente a cui vedere con quello che hai fatto”, disse, non riuscendo ad evitare un sorriso.

“Sarei venuto da te in ogni caso, ancor prima di aver trovato quelle canzoni. Per una volta non si tratta di te, Dave.”

Dave deglutì, il suo respiro si era fatto quasi impercettibile e non riusciva a guardare Kurt negli occhi.

“Si tratta di me. Si tratta di me che sto facendo l’egoista. Si tratta di me che non sono soddisfatto del ragazzo affascinante, talentuoso e ben curato che mi ama, perché voglio di più.”

“Di più?”. Dave rise amaramente, e in quel suono c’era di nuovo quell’odio verso se stesso.

”Di più”. Kurt spostò le sue dita, sopra l’orecchio di Dave e attraverso i suoi capelli.

“Ci ho pensato un bel po’ ultimamente, Dave. Sai cosa voglio?”

Dave fece segno di no con la testa, restando innaturalmente immobile sotto il tocco di Kurt.

“Voglio… le omelettes. E i concetti della fisica. Voglio shawarma, e… e una vita priva di qualsivoglia apostrofo, e qualcuno che riesca a farmi ridere più forte di quanto io abbia mai fatto prima di allora, che mi faccia toccare il mio naso nel bel mezzo della scuola in nome di qualche parola scientifica di cui non riesco nemmeno a ricordare il nome”.

Dave rise di nuovo, in modo soffocato ma senza l’amarezza di prima. I suoi occhi si spostarono un attimo, ma non sembrava ancora in grado di guardare Kurt. Kurt accarezzò i capelli di Dave, e la libertà in quel gesto lo stordiva. Non aveva bisogno di tranquillizzarlo, non aveva bisogno di trattenersi dal toccarlo per farlo stare calmo. Studiò Dave, aveva voglia di farlo sorridere in modo da poter finalmente cedere alla sua voglia di toccargli la curva delle sue guance.

”Voglio”, disse dopo un momento, “qualcuno che mi voglia così tanto da ascoltare canzoni terribili per convincere se stesso che non può avermi. Voglio qualcuno le cui risate attraverso un telefono mi facciano tremare così tanto da farmi perdere la concezione del tempo. Qualcuno di così forte da riuscire a rimettere insieme i pezzi di se stesso dopo aver passato le cose peggiori. Qualcuno che abbia perso tutto, ma che sia ancora in grado di sorridere grazie a me. Me. L’irritante e lezioso Kurt Kummel.”

Lo sguardo di Dave cambiò dopo quelle parole, i suoi occhi erano lucidi, ma non c’era più alcuno scudo tra lui e Kurt. In quello sguardo c’era tutta la speranza che Kurt aveva sperato di sentire in quelle canzoni. Era diluito da tracce di incredulità, ma nulla che Kurt non sarebbe stato in grado di far sparire.

Kurt cercò di incontrare gli occhi di Dave con i suoi, completamente aperti ed esposti, perché non c’era nulla tranne che sincerità nella sue parole, e voleva che Dave fosse in grado di capirlo dal suo sguardo.

“Voglio un atleta”, disse con un sorriso, “Voglio andare alle partite e guardare ragazzi grandi e grossi – su dei pattini da ghiaccio – cercare di colpire delle cose con dei bastoni. E voglio essere in grado – tra la folla – di puntare con il dito quale di quei ragazzi è mio. Voglio poter sbuffare per quanto è ridicolo l’hockey, ma fare da mamma chioccia ad ogni botta e ad ogni livido”. Sorrise ancora più dolcemente a Dave. “Voglio poter cantare durante il Glee delle canzoni per qualcuno nella folla, per qualcuno che so mi guarderà come fossi l’unica persona al mondo.”

Liberò le sue dita dai capelli di Dave, facendole passare appena sotto gli occhi di Dave, catturando qualcosa di umido.

“Proprio così”, disse con voce quasi impercettibile, mentre Dave sbatteva di nuovo le palpebre e nuove lacrime cadevano ancora dai suoi occhi.

L’espressione di Dave cambiò nuovamente, chiuse gli occhi mentre il controllo gli sfuggiva completamente. Kurt trattenne il respiro e la sua voce non era più che un sussurro ormai.

Ed era una cosa più grande di lui e gli faceva del male, ma andrò avanti senza che quella cosa lo soffocasse.

“Ti amo, Dave”, e quelle parole non gli erano mai suonate così bene, così vitali, “e voglio stare con il ragazzo che amo.”

“Kurt”. Ma la sua voce era soffocata e si dissolse prima che potesse dire altro.

Dave iniziò ad alzare le mani, in modo da coprirsi il viso. Ma Kurt prese le sue mani appena in tempo, passò le dita tra le sue e le strinse forte. Chiuse gli occhi, perché sebbene non fosse per dolore, ma per speranza, ancora non riusciva a sopportare le lacrime che attraversavano le guance di Dave. “Dio”, Dave si forzò di parlare, soffocando con il suo stesso respiro. “Pensavo di essere debole comparato a te, ma… non sono solo io. Sei la persona più fottutamente coraggiosa dell’intero universo.”

Kurt deglutì e sorrise, tenendo sempre gli occhi chiusi. “Sono la persona più coraggiosa dell’universo, e…?”

Dave rise e singhiozzò allo stesso momento. “E ti amo. Dio, Kurt. Ti ho amato per… per così tanto tempo…”

Kurt aprì di nuovo gli occhi, Dave lo stava ancora guardando. E c’erano ancora lacrime in quegli occhi verde–nocciola, e stava sorridendo e piangendo ed era paralizzato e sembrava così sollevato.

Quel misto di emozioni sul viso di Dave, era la cosa più bella che Kurt avesse mai visto.

Il timore nei suoi occhi, la paura che gli faceva tremare la voce, le lacrime e quel sorriso.

Era un miscuglio di cose che sembravano troppo per Dave, e a Kurt sembrò di guardare in uno specchio, vedeva rispecchiati i suoi sentimenti sul viso di Dave.

Dave si avvicinò, la meraviglia dipinta sul suo sguardo si fece più marcata di tutte le altre emozioni che ci aveva visto prima. Le sue dita esitarono solo un po’ sui lineamenti di Kurt, sopra le sue guance; un leggero tocco da quelle grandi e ruvide mani.

Kurt chiuse gli occhi si sporse in avanti nel tocco, avvicinando la guancia contro il palmo di Dave. Se quello, il brivido lungo la schiena e il calore dappertutto, più focalizzato dove Dave lo stava toccando... se quello era ciò che voleva dire saltare da un precipizio, stava per odiarsi davvero tanto per non averlo fatto prima.

Aveva amato Blaine. L'aveva fatto. Sapeva che era stato reale. Ma quando aprì gli occhi e incontrò quelli di Dave, capì di non aver mai provato qualcosa di così bello, di così grandioso per nessuno prima. Amava Dave, era così chiaro, così profondo ed evidente che non riuscì a credere a un singolo minuto della sua vita passato senza di esso. Non riuscì a credere ci fosse stato qualcosa prima di tutto ciò.

Il pollice di Dave scivolò sulla sua pelle, sfiorando il labbro inferiore di Kurt. Rimase a fissarlo nello stupore più totale, esterrefatto dalla libertà di tale gesto, come lo era stato Kurt momenti o minuti o ore prima.

Kurt sorrise al tocco, e qualcosa si accese dentro di lui. Guardò come lo sguardo fisso di Dave si immergeva nel suo sorriso, e voleva, ne aveva bisogno come aveva bisogno di respirare, voleva avvicinarsi e piegare la testa e chiudere gli occhi alla prospettiva di quello che sarebbe potuto succedere.

E poi la bocca di Dave era calda e umida contro la sua, salata per la rimanenza delle lacrime. La sua mano scivolò indietro, le dita aggrovigliate nei capelli di Kurt, il suo respiro caldo contro la sua guancia. Kurt fece scorrere la mano lungo la spalla solida e ampia di Dave, intrecciandola con i suoi capelli corti alla base del collo, tremando per come Dave era rabbrividito in risposta.

Era il loro...il loro terzo bacio, tecnicamente, ma Kurt avrebbe giurato su qualunque cosa se qualcuno gli avesse mai chiesto se quella era la prima volta che baciava qualcuno. Brittany e Blaine erano così lontani che avrebbero potuto far parte delle storie che gli venivano lette la sera prima di andare a dormire e che la sua memoria cercava di convincerlo che erano realmente esistiti.

La bocca di Kurt era così calda, bruciava, inaridita come se le labbra di Dave avessero potuto lasciargli delle cicatrici contro la pelle. Come se una volta separati ci sarebbe stato un segno permanente su di lui, e chiunque l'avesse guardato sarebbe riuscito a vederlo.

Era la sua esagerata e romantica immaginazione, ma se fosse stato reale... non gli sarebbe importato. Per niente.

Dave si allontanò dopo un altro minuto, e Kurt aprì gli occhi pronto a lamentarsi per quella mancanza sulle sue labbra, ma rimase intrappolato nel silenzio.

Quello, quel brivido splendente di verde e di marrone negli occhi lucidi di Dave, era la cosa più bella che Kurt avesse mai visto. Si chiese con tremante calore se quella sarebbe stata la sua vita da quel momento in poi, farsi continuamente cogliere di sorpresa per quanto risultasse meraviglioso Dave rispetto al momento prima.

Se era così, era un'altra cosa con la quale era completamente preparato a vivere insieme.

Dave incontrò i suoi occhi e sorrise, splendente e stupito e libero dalle ombre. "Di solito mi sveglio prima di questa parte, quindi non ho idea di cosa fare adesso."

Kurt non riuscì a non ridere. "Sei un genio, Mr. Corso di Fisica Avanzato."

"Sì, ma tu sei il Morfeo Gay qui, Fancy. Tu insegni, io imparo."

"Il gay cosa?"

Dave sorrise e arrossì. "Dai. Morfeo? Matrix?"

Kurt alzò le spalle. "E' un film. Mi basta sapere questo."

"Oh per l'amor di Neo." Dave sorrise, borbottando quelle parole con sollievo.

Se non fosse stato per il modo in cui le sue dita erano ancora intrecciate gentilmente nei capelli di Kurt e per il fatto che Kurt non riusciva a smettere di guardargli la bocca e di ricordare il suo sapore, sarebbe stata una conversazione come tutte le altre.

"Ti toccherà guardare Matrix, Kurt. So che Finn ne sarà entusiasta."

"Se ti rende felice," disse Kurt con un grande sorriso, inclinando la testa verso Dave, "potremo fare una maratona completa."

"No," rispose Dave subito. "Solo il primo. Sto cercando di farti piacere questo-"

Visto che Dave non ci arrivava, non capiva il motivo del sorriso ampio e instupidito che Kurt gli stava lanciando, Kurt sospirò e decise di prendere la situazione in mano.

Le parole di Dave svanirono contro la bocca di Kurt, ed entrambi sorrisero nel bacio, e forse era solo un ridicolo, sciocco ragazzo gay, ma quel sorriso rese solo tutto molto più bello.

Quando Kurt ridacchiò contro la sua bocca, Dave si ritirò di nuovo, sorridendo con le guance arrossate. E Kurt non riuscì a fare a meno di notare che c'era quel nuovo tipo di fiera felicità che brillava nello sguardo di Dave, una cosa che non aveva mai visto, e sapeva di avere lo stesso tipo di luccichio nei suoi stessi occhi.

Doveva rendere la sua espressione assolutamente ridicola, ma Dave si riflettè in quel bagliore come un fiore ricercava la luce del sole. "Cristo, sei bellissimo, cazzo," disse ammutolito, mentre il suo sorriso sbiadiva in qualcosa di più tenero.

Gli occhi di Kurt si immersero in quelli di Dave, e il suo sorriso divenne ancora più grande. Prima non aveva mai creduto a quelle parole così istantaneamente, senza riserve. Non aveva assolutamente dubbi che agli occhi di Dave era bellissimo.

Ma prima di riuscire a rispondere, prima di poter tornare con i piedi per terra, il sorriso di Dave svanì, e i suoi occhi sembrarono oscurarsi.

Kurt si allungò subito verso di lui, afferrando delicatamente il davanti della sua maglietta. "Di già?" disse come risposta a quello sguardo.

Dave sembrò sapere a cosa si riferisse, come al solito, e scosse la testa. "Io...Cristo, Kurt, Non so quanto mi ci vorrà prima che...prima che riesca ad arrivare a un punto in cui..." Scosse la testa, l'improvviso dolore nella sua espressione assomigliava ad uno dei tremori che aveva già visto nei suoi occhi. "Vuoi davvero stare con qualcuno che può a malapena toccarti?"

"Mi stai toccando adesso," disse Kurt con un sorriso.

La mano di Dave scivolò via dai sui capelli quasi in quello stesso momento, ma quando riportò il braccio in quella posizione non era come poco prima. Appoggiò la mano sotto quella di Kurt che ancora stringeva la maglietta. "Di solito pensavo che..." Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Kurt e c'era un indizio della sua vecchia timidezza in quelle iridi.

Kurt dovette trattenere il fiato e il desiderio di avvicinarsi a lui e baciare via quel timido sorriso.

"Pensavo...se fossi mai riuscito ad averti," Dave continuò, arrossendo, "se fossi riuscito ad essere così fortunato, non ci sarebbe stata neanche una cosa a cui ti avrei mai detto no. Pensavo... anche quando mi odiavo, quando pensavo di essere sporco, sapevo comunque che ti avrei dato qualunque cosa tu avessi voluto. Non importava cosa avrei dovuto fare. E forse non ne sarebbe valsa la pena. Ma-"

"Niente ma," Kurt disse subito. "Dave... Blaine e io siamo usciti insieme per quasi un anno. Non siamo mai andati oltre la prima base." Alzò le spalle, sorridendo imbarazzato. "Quindi tu sei spaventato; io sono un puritano. Dovrebbe funzionare bene."

Dave rise incredulo. "Tu?"

Kurt alzò le spalle. Forse troppo pudico, forse solo meno interessato al sesso di ogni altro ragazzo adolescente del mondo. Era qualcosa che accettava riguardo se stesso, sebbene sembrava qualcosa di stranamente molto lontano mentre era seduto vicino a Dave con la sua mano grande e calda sulla sua.

"Ad ogni modo, ho la sensazione che saremo in grado di aiutarci con quella roba," disse con un sorriso. "Ma fidati di me, non ho fretta."

Dave scosse la testa, ma le ombre stavano cominciando a sparire. "Tu non sei reale cazzo."

"Sono solo intelligente abbastanza da aspettarti visto che adesso ti ho per me." Kurt si avvicinò a lui, lasciando la presa sulla maglietta di Dave e afferrando la sua mano. "Ti amo," disse, sorridendo nel sentire quelle parole sulle sue labbra. "E c'è solo una cosa che ti chiederò, almeno per il prossimo futuro."

Dave si illuminò con gli occhi, il sorriso, ed ogni piccola parte di lui. Guardò in basso alle loro mani intrecciate e sembrò completamente contento. "Che cosa?"

"Mi lascerai fare un'altra playlist Fancy."

Dave rise leggero. "Non troverai mai abbastanza roba di Broadway sul mio iPod da soddisfarti."

"Dimenticati di Broadway, so cosa ascolti adesso, devo solo fare qualche sostituzione. Roberta, Ella..." sorrise, avvicinandosi a lui, chinando la testa mentre cantava dolcemente. "Someday he'll come along, the man I love/And he'll be big and strong, the man I love..." *

[*Ella Fitzgerald, The man I love: Un giorno lui verrà, l'uomo che amo/ e sarà grande e forte, l'uomo che amo]

Dave rise, ma fu qualcosa di intimo e avvicinò Kurt a sé e gli afferrò la mano mentre le loro bocche si incontravano di nuovo. La afferrò come se non avesse voluto lasciarla mai più.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30. ***


The Worst That Could Happen
- Capitolo 30 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/30/The_Worst_That_Could_Happen
 

"Blaine ed io ci siamo lasciati ieri," riportò Kurt a suo padre e Carole quando tornarono dal fruttivendolo il giorno dopo.

Suo padre si voltò velocemente verso di lui, dimenticandosi di qualsiasi cosa era sul punto di dire mentre entravano nella stanza. La sua faccia si illuminò subito di preoccupazione, cercando di capire se avesse dovuto guidare fino a Westerville per prendere a calci qualcuno che si era comportato male con suo figlio.

Kurt gli sorrise radioso.

Burt sbattè le palpebre, la fronte corrugata. "Voi, uh."

"Lasciati," Kurt ripetè con un sorriso.

Entrambi lo fissarono.

Dal piano di sopra arrivò un improvviso passo rumoroso e cadenzato. "E' Finn? Ho proprio voglia di mettermi davanti alla console e fargli il c-hey!" Dave fece un rumore sordo quando arrivò in fondo alle scale, sorridendo imbarazzato agli adulti. "Hey! Um. C'è bisogno di aiuto?"

Carole rise dolcemente e gli porse la busta del fruttivendolo. "Aiutami a mettere via queste cose. Cucini tu stasera, devi controllare se abbiamo preso tutto ciò che ci serve."

Dave sorrise e prese la borsa, per poi afferrare una di quelle che stava portando Burt. "Lasciate la macchina aperta, prendo io il resto." disse avviandosi verso la cucina.

Gli occhi di Kurt non poterono fare a meno che seguirlo, e quando Dave passò di nuovo davanti a lui si scambiarono un grande sorriso.

"Oh."

Si voltò verso suo padre quando Dave sparì attraverso le porte della cucina. Vide lo sguardo sul suo volto e non riuscì a non arrossire. "Cosa?"

Burt lo fissò severo e guardando nella direzione in cui era scomparso Dave sospirò. "Non ci saranno più porte chiuse quando voi due siete di sopra insieme."

Le guance di Kurt divennero più rosse, ma sorrise radioso di rimando.

Suo padre scosse la testa paziente, ma dietro le sue spalle Carole fece un grande sorriso a Kurt.


Kurt avrebbe voluto dirlo a Blaine per primo, ma rispettava il suo desiderio di non chiamarlo per qualche giorno. Inoltre, era probabile che fosse ridicolmente appiccicoso chiamare il suo ex fin-troppo-recente per smaniare sulla sua relazione attuale, anche se alla fine Blaine aveva fatto tutto quello che aveva potuto per fare in modo che accadesse.

  • Quindi disse a suo padre e a Carole tutto quello che poteva condividere sentendosi comunque a suo agio, e quando Finn arrivò finalmente a casa e mise su Call of Duty sull’X-box Live, Kurt continuò a sedere affianco a Dave e a tenergli la mano finché non ebbe bisogno del controller. E anche Finn non poté fare a meno di farci caso.

    Finn, essendo quello che era, li guardò e basta e fece una smorfia. “Qui dovremmo considerarci fratelli, ragazzi. Disgustoso.”

    Dave suggerì innocentemente ‘cognato’,  invece, cosa che fece soffocare Finn finché Dave non gli tirò un pugno, e Kurt sorrise finché non gli fece male la faccia.

    Ed era semplice.

    Era semplice ed era giusto, e tutto tra loro era come era prima. Parlavano per ore, facevano i compiti, ridevano per cose strane. Dave lo chiamava quando non erano insieme, e gli mormorava parole scientifiche multisillabiche finché Kurt non iniziava a rabbrividire così tanto che sembrava avere un attacco epilettico.

    Era come era prima. C’era Dave, ragazzone goffo che imprecava come uno scaricatore di porto e sorrideva come un bambino timido. E c’era Kurt, che si prendeva cura di lui, si preoccupava per lui, e rideva con lui. Che andava da un terapista una volta alla settimana mentre Dave ci andava ancora due volte, che parlava attraverso il suo senso di colpa e la sua disillusione nel mondo in un ufficio colorato di rosa così per poter poi tornare a casa e concentrarsi ed essere assolutamente felice.

    Fu solo quando Kurt realizzò come le cose tra loro fossero cambiate poco che realizzò esattamente quanto ciò fosse davvero inevitabile.  Si chiamavano ancora e si mandavano messaggi e se ne stavano insieme nelle loro camere e ridevano sulla Albright oppure si lamentavano di Rachel o degli allenamenti di hockey e tutto il resto.

    Stavano già insieme, apparentemente. Erano già una coppia, forse per tutto il tempo che Dave era stato lì. L’unica differenza ora era che quando faceva sorridere Dave con quei sorrisi pieni, Kurt poteva senza esitazione tendere la mano e tracciare la rotondità delle sue guance e guardarle diventare rosa sotto il tratto delle sue dita.

    Quando voleva stringere la mano di Dave non doveva avere una ragione. Quando dovevano iniziare a darsi la buonanotte potevano baciarsi e sorridere e mormorare parole dolci e baciarsi ancora un po’ finché non passava un’ora e non si erano ancora dati la buonanotte per davvero.

    Mercedes finalmente giunse a far visita a casa di Kurt, arrivando con la sua Diva fiammante su tutti i cilindri, pronta a fare il terzo grado a Dave perché lei era ancora Team Blaine. Se non fosse che Kurt li lasciò soli in soggiorno per preparare un vassoio di bibite e snack – come si addiceva ad un corretto ospite, per Madame Martha Stewart – e quando tornò Dave aveva la faccia rossa e Mercedes sorrideva per qualcosa e picchiettava il numero di Dave sul suo telefono. Kurt chiese cosa si fosse perso, ma Mercedes giurò di mantenere il segreto e Dave si limitò a guardarlo con occhi vulnerabili e sorrise timidamente finché Kurt non capì il succo della questione.

    Santana minacciò Kurt con la violenza se mai Dave avesse dovuto anche solo pensare di dare l’impressione di star valutando la possibilità di considerare di essere infelice.

    Azimio fece giurare solennemente a Dave di non condividere mai un singolo dettaglio su qualsiasi cosa succedesse mai tra lui e Kurt, mai.

    Non diffusero la parola al McKinley, non per le prime settimane, ma non si nascondevano neanche. Dave andava alle prove del Glee quando non aveva gli allenamenti di hockey. Si sedeva e guardava e ignorava i tentativi di Rachel di farlo cantare. Kurt andava agli allenamenti di hockey quando non aveva il Glee, si sedeva e guardava dei ragazzi andare su e giù su dei pattini e colpire delle cose con dei bastoni, e non riusciva a distogliere lo sguardo da Dave, che si faceva strada tra gli altri a tutta velocità ogni volta che giocava.

    Come era prima, davvero. Niente di così diverso, eccetto che Kurt era stato un ragazzo felice per la maggior parte della sua vita e ora non c’erano parole per descrivere come si sentiva.

    Lui e Blaine parlavano. Kurt faceva del suo meglio per tenere Dave fuori dalle loro conversazioni, ma lui era quello che era, quindi le cose gli scappavano. Blaine li sosteneva più che mai, silenziosamente. Nei weekend dopo la loro rottura Kurt chiese il suo aiuto per mettere insieme la perfetta playlist Fancy per l’iPod di Dave, e Kurt vacillava tra l’odiare se stesso e il volere indietro il suo amico Blaine. Forse era egoista. Probabilmente era egoista.

    Dave lo amava in ogni caso, quindi. Essere egoista andava bene per Kurt.


    Blaine stava per arrivare, due settimane dopo l’ultima volta che si erano visti. Due settimane nell’‘amicizia’, sarebbe arrivato e sarebbe andato a cena con Kurt e Dave.

    La cosa preoccupò Kurt per tutto il giorno, afferrava Mercedes il più spesso possibile per essere rassicurato che le cose sarebbero andate bene, e mandava messaggi a Blaine quasi costantemente per essere sicuro che fosse certo, che volesse venire davvero, non solo per essere gentile e nascondere il fatto che ora disprezzasse Kurt.

    Blaine lo chiamò a pranzo, divertito e un po’ nervoso, ricordandogli che era lui quello che aveva rotto, quindi forse Kurt si sarebbe dovuto preoccupare dei suoi stessi poveri sentimenti feriti.

    Kurt andò alle prove del Glee club con un occhio sul telefono, e quando Blaine iniziò a mandargli messaggi sugli stessi vecchi noiosi dettagli sul suo viaggio mentre si avvicina, Kurt finalmente si rilassò.

    Iniziò a concentrarsi sulle prove giusto in tempo per perdersi qualsiasi cosa su cui Mr. Schue stesse finendo di sproloquiare. Qualcosa sulla semplicità e su come i testi più schietti fossero spesso quelli che rimanevano alla gente.

    Kurt si sedette affianco a Mercedes e provò a non sorridere come un idiota quando la porta si aprì e Dave si infilò dentro, sedendosi sulla sua solita sedia prossima-alla-via-d’uscita, vicino all'uscio. Dave gli sorrise di rimando, indicandosi il polso e poi il sopracciglio.

    Kurt sogghignò (per essere gentile con l’ex-ragazzo di Kurt, Dave aveva acconsentito a continuare ad usare Sopracciglia come soprannome per Blaine) e alzò 5 dita, visto che Blaine sarebbe dovuto arrivare verso le 5 se non fosse incappato nell’inizio dell’ora di punta.

    Dave annuì e si sistemò, tirando fuori il cellulare per tenersi impegnato con qualche giochino.

    “Allora,” disse Mr. Schue sorridente quando nessuno sembrò dubitare della sua saggezza per quel che riguardava la bellezza della semplicità. “Chi non abbiamo sentito questa settimana? Puck? Artie?”

    “Sì, ho qualcosa.” Puck si alzò dalla sedia, dando un pugno al braccio di Lauren mentre passava – un segno d’amore tra i due, nessun dubbio. Kurt non aveva mai fatto finta di capire.

    Si spostò verso il pavimento e superò il piano, afferrando la sua chitarra dal muro e tirando una sedia di fronte a sè.

    Kurt sorrise quando Dave alzò lo sguardo verso di lui, roteò gli occhi e tornò al suo telefono. C’erano delle persone a cui Dave avrebbe fatto attenzione – più irritantemente, Rachel – ma nessuno degli atleti del glee erano nella lista.

    Le performance di Puck potevano essere... non-standard, e Kurt apprezzava il fatto che al contrario di quel che riguardava la maggior parte dei ragazzi nel Glee non aveva nessuna idea in anticipo di quale tipo di canzone Puck avrebbe potuto scegliere. Aveva fatto dei numeri così fantastici che avrebbero potuto metterlo su di un palcoscenico senza un singolo cambio e avrebbe sconvolto un pubblico. Ma era anche uscito fuori dai binari.

    Qualsiasi cosa Puck facesse la faceva fino in fondo, quindi Kurt era sempre interessato quando si faceva avanti.

    Puck si sedette di fronte al gruppo. Strimpellò un paio di volte, stringendo un paio di corde con il suo solito ghigno arrogante, e Kurt guardo di traverso Mercedes per condividere uno dei sorrisetti ‘oh dio e ora cosa’ che facevano solitamente all’inizio di una delle sue canzoni.

    Mercedes stava fissando dritto verso Kurt, assolutamente raggiante.

    Kurt sbatté le palpebre confuso, registrando l’eccitazione nei suoi occhi e l’esplosione di un sorriso. Giusto quando stava per chiederle di che tipo di droga si fosse fatta, Puck iniziò a suonare una melodia.

    Sollevò un sopracciglio a Mercedes e alla sua espressione piuttosto fuori luogo, ma si girò obbedientemente verso Puck per essere un buon pubblico.

    Era un piccolo brano, rapido e dolce, niente che Kurt conoscesse, e Puck suonò qualche nota e aprì la bocca, poi sbatté gli occhi e si accigliò.

    “Merda,” disse amabile. “Non mi ricordo neanche le parole.”

    Ci furono degli sbuffi e delle risate da dietro Kurt, ma il suo sopracciglio si aggrottò per il modo innaturale con cui recepì quelle parole, e per il modo in cui Mercedes era tutta fremente per l’attesa sulla sua sedia.

    Puck guardò gli altri. “Qualcuno mi aiuti qui – nessuno conosce questa canzone?”

    Nessuno la conosceva, ma Puck ghignò e iniziò a suonare la canzone dall’inizio, sicuro di sé, come se si aspettasse perfettamente che qualcuno si sarebbe alzato a cantare.

    E qualcuno lo fece.

    “This is the first day of my life
    Swear I was born right in the doorway.”

     Era un inizio incerto, una voce dolce che Kurt non riconobbe istantaneamente. Maschile e bassa ed esitante. Mercedes squittì con gioia affianco a Kurt. Puck continuò a suonare, silenzioso e non sorpreso.

    “I went out in the rain, suddenly everything changed
    They’re spreading blankets on the beach.”

    Vide del movimento con la coda dell’occhio, e gli occhi di Kurt si mossero lentamente come se si aspettasse degli ansimi di sorpresa dietro di lui.

    Dave.

    Era tutto rosso in viso, non aveva più il telefono in mano mentre si alzava. Si mosse dietro Puck, rimanendo su di lui mentre lui suonava senza reagire. Cantava.

    “Yours is the first face that I saw
    I think I was blind before I met you
    Now I don’t know where I am, I don’t know where I’ve been
    But I know where I want to go.

    Era nervoso e si vedeva – la sua voce era più morbida di quanto non dovesse essere, instabile all’inizio. Ma era bassa e sciolta e rauca, come era spesso Dave. Era perfetto.

    Kurt voleva guardare Mercedes, voleva sapere quanto avesse a che fare con questo, quando lei e Puck e Dave avevano avuto l’opportunità di far succedere tutto ciò. Ma non riusciva a distogliere lo sguardo da Dave.

    Gli occhi di Dave guardavano dritto di fronte a lui, ma non era concentrato. Non stava guardando nessuno, stava solo arrossendo e cantando e Kurt non poteva neanche respirare perché il suono non era il benvenuto a sovrastare la voce di Dave.

    “And so I thought I’d let you know
    That these things take forever, I especially am slow
    But I realize that I need you
    And I wondered if I could come home.”

    Dave iniziava ad acquistare sicurezza parola dopo parola. Diventava un po’ meno molle, un po’ meno arioso, e i suoi occhi cominciavano a mettere a fuoco le persone una ad una. La sua bocca scattò in su quando guardò Mercedes e lei si dimenava esaltata affianco a Kurt.

    Poi, prendendo un respiro, gli occhi di Dave si mossero verso Kurt e rimasero lì.

    “This is the first day of my life
    I’m glad I didn’t die before I met you
    But now I don’t care, I could go anywhere with you
    And I’d probably be happy.”

    Kurt non poté farci niente quando sbatté gli occhi e la sua vista si appannò. Non poté evitare di portarsi la mano alla bocca, coprendo quell’aspetto ridicolo sulla sua faccia che non riusciva a decidersi se guardare a bocca aperta o sorridere.

    Raggiunse e afferrò la mano di Mercedes, e lei rise e la strinse.

    Dave sorrise, ancora arrossendo, e fece il giro attorno alla sedia di Puck, avvicinandosi a Kurt mentre cantava. Aveva le mani infilate nelle tasche, la sua andatura era lenta, ma era adatta alla chiave basse di questa canzone che Kurt non conosceva.

    "So if you wanna be with me
    With these things there's no telling
    We'll just have to wait and see
    But I'd rather be working for a paycheck
    Than waiting to win the lottery."

    Dave porse una mano e Mercedes lasciò andare la mano di Kurt, così che potesse prendere quella del ragazzo. Kurt voleva piangere, stava per scoppiare a piangere, ma non riusciva a smettere di sorridere.

    Dave fece un sorriso smagliante e intrecciò le loro dita, e se c'era qualche dubbio sul fatto che la canzone fosse una serenata per una persona in particolare, lo mise a tacere facendo alzare Kurt e cantandogli gli ultimi versi, in modo tenero e sorridendo.

    "Besides, maybe this time it's different
    I mean I really think you like me..."

    Puck suonò ancora per un po', e Kurt lo sentì ma non ci fece molto caso. Sorrideva a Dave, prendendogli l'altra mano, fregandosene delle lacrime che aveva negl occhi e del sorriso che stava facendo, di sicuro ridicolo.

    Quando Puck si fermò, però, fu più difficile ignorare le reazioni del'intero club. C'erano gioia, applausi, fischi. Finn fece un commento del tipo "Dio, è praticamente un incesto, raccapricciante" che Santana e Quinn spensero picchiandolo.

    Rachel fu in piedi in un secondo, strattonando Dave, che non sembrò notare la sua presenza, e poi gridando a Mr. Schue. "Si unirà alle New Directions, vero? Farà parte del Glee club, giusto?"

    Kurt rispose, forse troppo debolmente perché qualcuno oltre a Dave potesse sentire. "No," disse, non riuscendo a distogliere lo sguardo dagli occhi di Dave che sembravano brillare e dal suo sorriso nel volto ancora arrossito. "È un giocatore di hockey."

    Dave rise e strinse la mano di Kurt. "Mi ha detto che era l'unico modo per fare colpo su di te," disse a Kurt facendo un cenno a Mercedes.

    Kurt rise. L'avrebbe uccisa più tardi, quando fosse stato di nuovo in grado di pensare, per aver saputo che una cosa del genere sarebbe successa e non averlo avvertito. "Non l'unico modo," rispose con ancora in faccia un sorriso ebete. "Ma sei andato sul sicuro."

    "Solo..." Dave fece spallucce, dando un'occhiata oltre Kurt e avvicinandosi a lui, abbassando la voce. Kurt non dubitava che la maggior parte del glee club li stesse guardando con dei ghigni enormi sulla faccia. "So che sei nervoso riguardo a stasera. Volevo distrarti un po'."

    "Bugiardo!" Mercedes comparì di fianco a Kurt, sorridendo. "Si è esercitato tutta la settimana!"

    "Smamma, Mariah," balbettò Dave senza guardarla.

    Kurt rise e si avvicinò ancora di più, facendo scorrere le mani attorno a Dave e sorridendogli. "Proprio quando penso di non poterti amare di più."

    Dave alzò gli occhi al cielo e non poté nascondere un sorriso compiaciuto.

    "Solo una cosa," Kurt non poté evitare di aggiungere.

    Il sopracciglio di Dave si alzò. "Non so chi ti ha detto che avessi bisogno di una critica, Canterino, ma si sbagliavano di grosso."

    Kurt rise. "No, solo." Annuì verso Rachel, che aveva messo all'angolo Mr. Schue, facendo calorose richieste e gesticolando verso Dave. "Non avresti dovuto farlo davanti a lei. Preparati ad incontrare un'ossessionata Rachel Berry tutti i giorni."

    Dave emise un verso, basso e sincero abbastanza da far ridere Kurt di nuovo.


    Come distrazione funzionava. Kurt non riuscì nemmeno a sentirsi imbarazzato quando accostarono in una stradina e vide Blaine lì in piedi, appoggiato alla sua Jetta.

    Uscì dalla macchina, raggiante, cantando ancora più forte quando il motore si spense e la musica continuò.

    "But I'd rather be working for a paycheck then waiting to win the lotteryyyy."

    Blaine sorrise, raddrizzandosi dalla sua posa casual mentre Kurt si avvicinava.

    "Sei di buon umore."

    Kurt lo abbracciò senza aspettare di vedere se Blaine gliene avesse data la possibilità.

    Fortunatamente Blaine era sempre Blaine, e abbracciò Kurt senza esitare un momento.

    "Ehi, tu."

    "Ciao." Blaine indietreggiò e lo studiò, scuotendo la testa. "Hai un aspetto terribile, non c'è da sorprendersi che mi abbia chiamato per salvarti."

    Kurt non riusciva nemmeno a parlare a causa del suo sorrisone.

    Gli occhi di Blaine si posarono su Dave. "L'hai drogato?"

    Dave fece spallucce. "È la musica," disse, e Kurt non poteva vederlo ma era sicuro che stesse alzando gli occhi al cielo. "Ce l'ha nell'anima o che cazzo ne so."

    Blaine sorrise. "Interessante! Non credo di conoscere la canzone che stavi cantando, è.."

    "Non la conosci?" il sorriso di Kurt si tramutò in una smorfia. "Non la conosci? È la mia canzone preferita di sempre."

    Blaine sbattè le palpebre, sembrando preoccupato per un attimo.

    Dave li superò e toccò il braccio di Kurt con il gomito. "Sì, da un'ora e mezza. Me l'ha fatta ascoltare ancora e ancora mentre venivamo fino a qui, cazzo."

    Kurt prese il braccio di Blaine mentre camminava per tenere il passo con Dave. "Suona meglio quando la canti tu," disse a Dave, per non la prima volta dopo aver ascoltato la versione registrata.

    "Hai cantato per lui?" Blaine gli chiese mentre inciampava per tenere il passo con Kurt. "Ha cantato per te?"

    Kurt si girò per raccontargli tutta la storia, seguendo Dave attraverso una porta senza prestare attenzione. Era proprio al punto in cui Puck fingeva di dimenticarsi le parole quando un coro di voci lo fece sobbalzare.

    "DAVID!"

    Kurt si guardò attorno per la prima volta, e si concentrò su qualcosa al di fuori della sua testa abbastanza per notare dove Dave aveva deciso che avrebbero mangiato.

    Sorrise agli ormai-familiari volti dietro la griglia, gli enormi sorrisi, il proprietario che si lanciò immediatamente di fianco alla cassa e tirò fuori il braccio per stringere le mani a tutti. Dave mise una mano sulla spalla di Blaine e lo allontanò da Kurt.

    "Ti ho portato un nuovo amico."

    "Un amico di Dave! Benvenuto, benvenuto!"

    Kurt rise mentre Blaine sbatteva le palpebre sconcertato ed esitante porgeva la mano all'uomo. Guardò verso Dave, mostrando tutta la sua sorpresa.

    Dave restituì lo sguardo alzando le spalle. "Non ho detto che non sarebbe mai potuto venire qui."

    Kurt rise e strinse il braccio di Blaine, avvicinandosi mentre finalmente gli lasciavano la mano. "Ricordami di spiegarti più tardi."

    Blaine gli fece un sorriso divertito.

    Si sedettero ad un tavolo vicino al muro, e Blaine si guardò attorno con lo stesso sguardo leggermente critico che aveva avuto Kurt tempo addietro.

    Kurt gli diede cinque minuti prima che si innamorasse del Gyro Hut.

    "Ehi!" raggiunse la mano di Dave sul tavolo, raggiante. "Andiamo al bowling dopo?"

    Dave alzò gli occhi al cielo e intrecciò le dita con quelle di Kurt.

    Blaine toccò il braccio di Kurt, facendo un cenno verso la cassa, alle facce dalla carnagione olivastra e con le sopracciglia folte che guardavano il loro tavolo con dei ghigni e dicevano cose in arabo. "Siete sicuri di... Voglio dire, siamo pur sempre a Lima."

    Dave rise. "Rilassati, Sopracciglia. Non si fanno problemi qui." guardò Kurt. "Il proprietario ha un figlio gay, non gliene fotte un cazzo." Il mento di Dave si mosse verso Blaine e alzò un sopracciglio.

    Kurt annuì, veloce e sicuro.

    Dave rise e lasciò andare la mano, tornando a guardare Blaine. "Aspetta, dovresti conoscerlo. È un bravo ragazzo." si girò sulla sua sedia e alzò la voce. "Yo, Sam!"

    Kurt era pazzamente, ridicolmente innamorato, ma quello non lo aveva privato della vista. Non aveva potuto evitare uno dei quei momenti da 'ma ciaooo' quando Samir uscì dall'ufficio sul retro e sorrise al loro tavolo.

    Blaine fece zoom su Samir come se fosse l'obiettivo di una macchina fotografica. Fece un rumore debole, una sorta di 'oh' mentre rimaneva a bocca aperta.

    Dave si alzò e strinse la mano di Samir in modo amichevole, facendolo avvicinare.

    Kurt si avvicinò a Blaine mentre lui fissava il ragazzo. "Allora," disse a bassa voce. "Il ragazzo che hai conosciuto alla Dalton... Come va? Non te l'avevo ancora chiesto."

    Gli occhi di Blaine non si staccavano da Samir.

    "Non ha funzionato." rispose.

    Un attimo dopo era in piedi, con il suo sorriso migliore in volto. Si mosse intorno al tavolo, porgendo la mano. "Sam, non è così? Piacere di conoscerti."

    Samir lo guardò e gli sorrise, tutto labbra carnose e occhi marroni chiari in contrasto con la pelle scura.

    Kurt ebbe ua stretta al cuore per un momento, e pateticamente non sapeva se fosse per Blaine o per Samir. Ma Dave si allontanò e lasciò i due da soli a parlare, e quando tornò a sedersi al suo posto di fronte a Kurt, quella stretta si dissolse come zucchero nell'acqua.

    Dave approfittò del loro momento da soli per prendere la mano di Kurt, per passare delicatamente il suo pollice sulle nocche dell'altro. "Siamo a posto ora?"

    Kurt sorrise subito. "Tu e Blaine? Come, ha lasciato che tu avessi me e tu gli hai presentato Samir in cambio?"

    "Huh. Mettiamola così.." Dave lo guardò negli occhi e sorrise, timido come faceva di solito (Kurt lo aveva imparato di recente) quando era emotivo.

    "Cazzo, ora sarò in debito con lui per il resto della mia vita, vero?"

    Kurt distolse lo sguardo e sorrise cercando di non sentirsi fin troppo felice. "Mi sembra giusto."


    Se c’erano ancora momenti oscuri, avvenivano con sempre meno frequenza.

    Ma era ancora difficile.

    Kurt poteva solo dare una mano in quelle occasioni, reggendo un bicchiere d’acqua fuori dal bagno, aspettando che la porta si aprisse.

    Dave emergeva dopo alcuni minuti, pallido e tremante, il volto e i capelli madidi di acqua (sudore). Cercava il bicchiere, e la mano gli tremava ma Kurt aveva imparato a non sentirsi così male quando succedeva.

    Kurt gli prese il braccio e se lo portò verso la stanza, in silenzio e triste.

    Uno dei due ragazzi espulsi che i poliziotti avevano lasciato andare… voleva tornare al McKinley. Non c’era nessun altra scuola con un programma di football decente, e il ragazzo voleva avere un incontro con Dave, Figgins e i loro genitori (i genitori del ragazzo, supponeva Kurt, e sperava che suo padre avrebbe potuto parlare per Dave.)

    Dave aveva detto a Kurt che non importava, che uno qualunque della squadra avrebbe potuto fare da palo per richiesta del team. L’aveva fatto anche lui un paio di volte. Non biasimava i pali, aveva detto. Dubitava che avessero un’idea di cosa stesse succedendo dietro la porta.

    Ma ora quello...

    Kurt si mise davanti a Dave e gli rimboccò le coperte. Dave si sedette sul materasso con un singhiozzo, mettendo il bicchiere sul tavolino vicino al letto.

    “Stanno peggiorando.” Kurt guardò Dave scivolare dentro le coperte. Si sedette a lato del letto quando Dave si fu sistemato.

    Dave sbuffò, ma non negò. “È stata solo una lunga giornata.”

    “No. Hai vomitato di nuovo.” Kurt si avvicinò e gli tirò i capelli indietro, sapendo che niente al mondo era magico. Il suo amore non era abbastanza per lenire le ferite. Ma Dio, voleva così tanto che tutto quello finisse. “Era da un po’ che non lo facevi.”

    Dave scosse la testa, ma non discusse. La sua mano scivolò libera dalle coperte per catturare il tessuto fine del pigiama di Kurt. “Sto bene.”

    “No che non stai bene.” Kurt poteva vedere l’ombra nei suoi occhi, e le occhiaie sotto di essi. Tutto era perfetto, e ora quel marchio nero. Lo odiava, odiava che Dave dovesse soffrire per qualcosa avvenuto mesi prima.

    “È per l’incontro, vero? Il bastardo che vuole tornare a scuola.”

    “No.”

    Kurt sbuffò e guardò la luce soffusa che filtrava dalla piccola finestra di Dave, guardò il palo perfettamente posizionato fuori.

    “E allora cosa? Le cose vanno peggio, Dave. Lo so, sono con te tutte le notti che…” Inspirò ed espirò.

    Le cose erano perfette, ma era preoccupato.

    “Sono…” Dovette sforzarsi, inspirare ed espirare. “Sono io?”

    Dave soffiò all’istante. “Cosa? E perché?”

    Kurt fissò la sua mano, posata senza curanza sui capelli di Dave. “Intendo… questo. Te e me.” Incontrò gli occhi di Dave. “Ti spingo troppo? Ti… tocco troppo, o…?”

    Dave sollevò subito un sopracciglio, gli occhi concentrati e spalancati. “Kurt.”

    Kurt aprì la bocca, deglutì, ma non prese la parola.

    Dave sbuffò e lo studiò. Dopo un momento si alzò e diede un colpo secco al fianco di Kurt. “Alzati.”

    “Cosa?” Kurt obbedì, perché era programmato per fare qualunque cosa Dave chiedesse senza un attimo di esitazione in notti come quelle.

    Dave alzò le coperte e si sistemò contro il muro. “Vieni qui.”

    Kurt guardò il letto, ma il suo corpo e la sue mente reagirono all’unisono, soprafacendo ogni senso di colpa o esitazione. Si mise nel letto, e Dave gli sistemò le coperte intorno.

    Per un momento Dave lo guardò, mentre Kurt si sistemava e aggiustava nervosamente il cuscino. Dave si sdraiò sulla schiena, aprendo il braccio, e Kurt scivolò in quello spazio come se lo avesse fatto centinaia di volte, come se avesse effettivamente esperienza nel dormire accanto a qualcuno.

    Passò il braccio sopra il suo petto e quello di Dave si mosse fino a circondargli la schiena, tirandoselo addosso. Kurt si aggrappò alla sua t-shirt e la sua gamba si mise tra le sue e sentì che essere nel letto di Dave in quel modo era esattamente il luogo a cui apparteneva.

    La guancia di Kurt era contro la maglietta di Dave, e guardò il suo stesso dito tracciare percorsi immaginari contro la t-shirt.

    Dave si mosse e accarezzò il braccio di Kurt con il retro delle dita. “Devi smetterla di preoccuparti così tanto,” disse, la voce bassa e roca.

    Kurt fece uscire un respiro che era diventata una risata mentre saliva. “Augurami buona fortuna per quello.”

    Dave brontolò dolcemente. “Sono serio. Pensi davvero di ferirmi in qualche modo?”

    “Stai peggiorando,” disse di nuovo Kurt. Lo sapeva, lo vedeva. Gli incubi non erano più così comuni, gli sprazzi di malumore, i momenti di angoscia non erano più così frequenti. Ma erano peggiori. “L’unica cosa che è cambiata sono io.”   

    “Vuoi sapere la mia teoria?”

    Kurt borbottò qualcosa lamentandosi ma non protestò.

    “Davvero, Fancy” La bocca di Dave era contro i capelli di Kurt. “Ti piacerà. È roba scientifica.”

    “E siamo già a letto? Pericoloso.” Era una battuta, ma abbastanza cinica.

    Dave sembrava sorridere mentre rispose. “Si chiama diffusione.”

    “Non è di certo la parola scientifica più sexy che tu mi abbia detto,” disse Kurt.

    “Le mie scuse. Potrei chiamarla diffusione molecolare se ti fa girare la testa.”

    Kurt rise nonostante tutto. “Meglio,” concesse.

    “Tu e le tue fisse,” disse Dave trai suoi capelli. Percorse il braccio di Kurt, avanti e indietro, mentre parlava. “Okay, lasciami capire come spiegarti questa cosa… molecole, giusto? Si muovono a caso, sono difficile da prevedere. Impossibile, se vuoi credere ad un mucchio di teorie di meccanica quantistica.”

    “Sei una molecola?” chiese Kurt con un sorriso, e la paura e il senso di colpa stavano già scivolando via dal letto. Forse era perché era vicino a Dave in quel modo, realizzando poco a poco quanto fosse caldo, quando fosse comodo. Magari era Dave, la sua voce bassa e roca.

    Comunque.

    “Lasciami parlare Fancy. E no, non sono la molecola, asino.”

    Kurt ghignò contro la maglietta di Dave, e chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo, aspirando il profumo del detersivo preferito di Carole, e Dave sotto quello.

    “Okay, molecole, movimenti casuali. Ci sei? Il punto è, se metti abbastanza molecole dentro uno spazio delimitato, nonostante i movimenti casuali, queste tendono a diffondersi. Si espandono fino ad occupare tutto lo spazio a disposizione.” Il dito di Dave si mosse oltre, andando a raggiungere la mano di Kurt e rimanendo lì. “Quindi maggiore spazio possono riempire, maggiore sarà la loro diffusione. Minore lo spazio, più le molecole si concentreranno.”

    “Penso di essere d’accordo con te,” disse piano Kurt. “Se ignoro la parte della ‘molecola’ è meno spaventoso.”

    “Mmm,” Dave ridacchiò, con una risata bassa e di gola. “Beh… è quello che sta succedendo. Questo è quello che penso.”

    Kurt sbattè gli occhi aprendoli e alzò la testa verso Dave.

    Dave gli sorrise, gli occhi pesanti. “Un paio di mesi fa, tutto quanto quello che mi circondava era maledettamente miserabile. Lo sai, no? Non avevo nulla di buono, niente a parte l’amicizia con te. Tutto il resto di me era completamente esposto, pieno di questa dannata infelicità.” Dave prese la mano di Kurt. “Ora? Ho questa bellissima vita, e sono così dannatamente felice.” disse quelle parole semplicemente, ma Kurt udì il sorriso, e la verità. “E questo ha spinto via la miseria (tristezza). Ha meno spazio da riempire. Quindi non sto peggiorando, Kurt. È solo che sono così felice il resto del tempo, che tutto questo squallore si concentra in questi pochi dannati momenti.”

    Kurt ci pensò.

    “La sola cosa che hai fatto,” disse Dave dolcemente, “è darmi qualcosa da confrontare con le notti come questa. Hai preso sempre più spazio, e se questo significa che queste stronzate saranno sempre peggio e sempre più rare, allora va bene.”

    Kurt sorrise, abbassando la testa e premendo le labbra contro la maglietta di Dave, proprio sul cuore. “Ti amo,” mormorò, ed era più vero ogni volta che lo diceva.

    “Ti amo,” rispose Dave, commosso e sincero.

    Kurt odiava gli incubi, la porta del bagno che lo svegliava, il bicchiere d’acqua che non poteva dimenticarsi di riempire ogni notte, giusto in caso. Odiava i momenti di dolore negli occhi di Dave, la disperazione, la furia.

    I ricordi. C’erano ancora, nella mente di Dave, nei suoi pensieri.

    Odiava vederli, ma erano veramente molto meno frequenti. Non erano frequenti come lo erano una settimana prima, e di certo non lo erano quanto un mese prima, e anche allora era sempre meglio di come erano due mesi prima.

    Il suo problema, forse, era che tendeva a dividere il tempo in un certo modo, invece di vederlo con un susseguirsi di cambiamenti.

    L’aveva sempre fatto. Con Dave più che con ogni altro e ogni cosa. C’era stato il periodo di Karofsky, degli spintoni e le granitate e le occhiate di odio. Poi il bacio, e la fase intermedia prima che andasse alla Dalton. Poi la fase dei Bullywhips. La mail imbarazzante che Dave gli aveva mandato avrebbe potuto essere l’inizio di una nuova fase, che l’aggressione nello spogliatoio aveva terminato (fatto terminare) troppo presto, e poi era cominciata una nuova orribile fase.

    Kurt separava costantemente la vita di Kurt, e quella di Dave, in quei periodi arbitrari, con fine ed inizio, istante dopo istante. Anche innamorarsi di Dave gli era sembrato accadere in blocchi prefissati di tempo. Quel giorno e quel giorno, ancora e ancora. Perfino in quel momento, in quel momento che aveva Dave, non poteva smettere di pensare alle differenze tra un istante e quello dopo. Era meglio questa settimana della scorsa? Era peggio questo momento dello stesso momento una settimana prima?

    Era abbastanza ridicolo, ora che riusciva a vederlo per quello che era. In dieci anni non avrebbe separato i suoi ricordi del liceo in mille momenti diversi.

    In dieci anni, in un anno, ci sarebbe stato un solo momento che contava veramente. Prima di Questo e Questo. La linea che avrebbe separato quei due periodi (e non era una linea, non una reale, perfino per qualcosa di quelle dimensioni, perché l’amore non era una singola caduta dal precipizio, no?) sarebbe stata l’unica a rimanere.

    Kurt si chiese se ci fosse qualche teoria scientifica per tutto quello, qualche doloroso ovvio termine fisico che descrivesse il modo in cui niente cominciava o finiva per davvero, semplicemente cresceva e si espandeva.

    Dave stava russando piano nel suo orecchio, la mano su quella di Kurt, così non si preoccupò di chiederlo a lui. Per il momento sarebbe rimasto contro Dave a chiedersi in maniera distante se suo padre lo avrebbe ucciso al mattino per averli trovati così, prima di ricordarsi che la porta della stanza di Dave era ancora aperta, quindi tecnicamente stavano rispettando le regole.

    Dave dormiva. Contro di lui, caldo, comodo e contento, e Kurt non ci mise molto a seguirlo.

    E, come sempre quando Kurt rimaneva accanto a Dave, gli incubi non li disturbarono più quella notte.

     

    Fine
     


    Note Finali.
    Abbiamo deciso di pubblicare insieme i capitoli 29 e 30 perchè anche Lucy ha fatto così nella versione originale. Anche perchè il 30 è l'epilogo e a detta sua non aveva senso pubblicato staccato dal 29.
    Speriamo caldamente che questa fanfiction possa esservi piaciuta, che vi abbia fatto piangere e che vi abbia toccato il cuore come ha fatto a noi che ci abbiamo messo davvero l'anima per tradurla. Speriamo che la nostra traduzione vi sia piaciuta e che sia stata almeno un po' fedele con le emozioni che suscita l'originale.
    Grazie a chi ha seguito questa storia dall'inizio e chi l'ha scoperta solo dagli ultimi capitoli.
    Grazie a chi ci ha lasciato recensioni, commenti e quant'altro per farci sapere che questa storia stava davvero piacendo. 
    Grazie a tutti i complimenti che ci avete fatto per la traduzione, sono davvero sentiti e vi ringraziamo davvero tanto
    Grazie a chi si è preso il tempo di leggere tutti e trenta questi meravigliosi capitoli ed ha saputo apprezzarli.
    Grazie anche a chi, leggendo questa storia si è innamorato un po' di più di Dave Karofsky e abbia capito la bellezza di questo personaggio.


    Ilaria, Irene, Martina, Clarissa, Gianluca e Noemi.

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