The Worst That Could Happen. di LucyToo (/viewuser.php?uid=147343)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
Premessa: La storia contiene tematiche forti, di stupro, violenza e omofobia, che non ricorrono in tutti i capitoli, ma che sono ugualmente presenti. Hurt/Comfort sarebbe la definizione migliore.
La fanfiction in inglese è stata scritta con i tempi al presente, ma per motivi pratici abbiamo deciso di renderla al passato per rendere la narrazione più scorrevole.
Beta reader: Kurtofsky.
Questa è la fanfiction che ogni Gleek dovrebbe leggere, non solo i fan della Kurtofsky, sperando che una volta arrivati in fondo la amerete come i 6 pazzi che la stanno traducendo :)
The Worst That Could Happen
-Capitolo 1-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/1/The_Worst_That_Could_Happen
Cominciò tutto con un'email.
Kurt non riconobbe l'indirizzo del mittente. L'avrebbe voluta cancellare come faceva con le mail spam incredibilmente seccanti che il suo account di hotmail sembrava incapace di eliminare (malgrado le loro promesse e la cartella che gli avevano creato chiamata Junk con ben troppo ottimismo) se non fosse stato per l'oggetto:
Ascoltami fino in fondo e non ti darò più fastidio.
Aveva già visto messaggi così creativi per delle mail spam, ma quando indugiò con il puntatore del mouse sul pulsante per cancellarla, il suo istinto lo fermò. Aprì la mail, pronto a farla finire nella cartella degli scarti non appena avesse visto un link sospetto o un riferimento alla dimensioni del qualcosa di qualcuno.
Santana non vuole più fare la cosa dei Bullywhips visto che non è diventata reginetta del ballo (e se Kurt non fosse già stato abbastanza distratto dal mittente della email, avrebbe sussultato al ricordo di chi fu eletto reginetta del ballo) e senza di lei non ho la scusa per farlo. Comunque, mi sembra di non aver fatto ancora abbastanza, quindi se ogni tanto mi vedi in giro per i corridoi non spaventarti. Non si tratta di stalking o qualcosa del genere, e non ho intenzione di fare nulla. Penso solo che qualcuno dovrebbe tenerti d'occhio per un po'. E se qualcuno ti rompe le palle fammi sapere.
L'email era firmata solo con 'Karofsky', e Kurt non seppe se ridere ironico o scuotere la testa triste quando vide che l'indirizzo del mittente era 'thisiswhereyousendmeemails' (*) chiocciola gmail.
Era strana, e inaspettata, ma Kurt non la cancellò subito come forse avrebbe dovuto fare.
Karofsky si era già scusato una volta con lui, e Kurt non aveva visto neanche un accenno di disonestà in quelle scuse. Nonostante l'eccessiva compensazione, credeva davvero che quel “caso non dichiarato” fosse dispiaciuto, e anche se quella non era la soluzione a tutti i loro problemi, era abbastanza per Kurt da imparare a non essere più spaventato dal suo precedente tormentatore. Certo, non erano neanche lontanamente amici: era perfino tentato di chiedere a Karofsky dove avesse preso il suo indirizzo email.
Ma quando rispose, non lo fece. Non disse un sacco di cose che invece avrebbe voluto. Gli scrisse un messaggio - miracolo dei miracoli - semplice.
Pensi di non aver ancora fatto abbastanza? Se pensi di dovermi qualcosa, non ne hai motivo. Abbiamo fatto pace e a me va bene così.
-Kurt
La risposta arrivò prima di quanto si aspettasse, la notifica dell'email lampeggiò come se fosse appena entrato nel sito di Perez Hilton e questo gli fece tornare in mente che, a dispetto di quello che ogni tanto dicevano i suoi amici, al mondo esistevano persone più gay di Kurt Hummel.
Beh, a me non va bene così. So che non è abbastanza. Se la cosa ti da fastidio dimmelo che la smetto. Ma io ti devo ancora qualcosa.
Kurt non era un santo. Anche se non credeva in Dio, sapeva che raramente le persone erano capaci di vite altruiste piene di perdono e il voltare l'altra guancia o tutte quelle virtù alla Madre Teresa. Ma Kurt non era una di quelle persone. A volte si arrabbiava ancora per colpa di Karofsky, per le sue continue persecuzioni e il modo in cui a nessuno era mai importato di fermarlo. Pensava ancora che il consiglio scolastico gli avesse tirato un forte schiaffo in faccia quando avevano revocato la sua espulsione.
Karofsky era davvero dispiaciuto, ma era facile essere dispiaciuto. Non c'erano sfide nel 'dispiacere', nessuno sforzo. Karofsky aveva ragione – indossare un ridicolo basco e pattugliare i corridoi come in una pubblicità per Santana la reginetta del ballo alla Law and Order, non era affatto abbastanza per rimediare a quello che aveva fatto.
Ma nonostante i brillantini e i sorrisi, Kurt non era completamente ingenuo. Infatti poteva essere davvero schietto e cinico riguardo alcune cose. Ricevere una scusa da un bullo non era abbastanza, ma era molto di più di quello che spesso ricevevano la maggior parte delle persone. Far fare coming out a una completa testa di rapa non dichiarata in un momento di rabbia non assolveva tutti gli idioti dai loro sporchi doveri, ma d'altra parte la maggior parte dei gay non dichiarati come Karofsky rimanevano nascosti per troppi decenni e vivevano in maniera miserabile. A volte non lasciavano neanche Narnia.
Kurt era un ragazzo del Glee con la mentalità aperta, ma sapeva come andavano le cose nel mondo. Sapeva che la giustizia spesso bisognava farsela da soli. Karofsky stava venendo alla luce con una scusa e un basco, ma era a miglia di distanza rispetto a dove era un paio di mesi fa, ed era già qualcosa.
Quindi era sincero quando scrisse una risposta curata per Karofsky
Se pensi davvero di dovermi qualcosa, sai già qual è l'unica cosa che voglio da te. Tutte le volte che ti dico di fare coming out ti rifiuti senza pensarci. È tutto ciò che voglio da te, okay? Non è nemmeno la cosa del coming out. Voglio solo che ci pensi sul serio. Ho conosciuto tuo padre. Sembra una persona comprensiva. Magari puoi cominciare con lui e vedere come va. A questo punto credo veramente che dovresti iniziare semplicemente dicendo ad alta voce le parole guardandoti allo specchio. So che pensi che mi comporti come un disco rotto su questo argomento. Ma ci sono passato anche io, e sono uscito dall'altro lato vivo e vegeto, giusto?
-Kurt
La risposta tardò ad arrivare. Kurt aprì la pagina di Perez in un'altra finestra e controllò i post assente mentre aspettava che l'indicatore facesse di nuovo beep. Ebbe un'improvvisa e probabilmente ingiusta immagine mentale di Karofsky seduto davanti al computer a scrivere lentamente una risposta con due grosse dita, facendo un immenso sforzo a scrivere le parole correttamente. Il che era, okay, un po' meschino, ma nessuno ha mai detto che Kurt Hummel non possa essere meschino. Era una delle caratteristiche che lo definivano.
Alla fine, arrivò.
Sai perchè prima ti odiavo? Perchè tu hai fatto quello che io ho troppa fifa di fare. Tu sei un promemoria vivente di quanto cazzo sia codardo. Alcune volte voglio farlo, sai? E penso diavolo, tu l'hai fatto, perchè non posso farlo anche io?
Ma è una stronzata. La mia vita non è per niente come la tua. I tuoi amici sono diversi, tuo padre è diverso, e solo perchè tu sei riuscito a fare coming out con loro ed è tutto fiori e unicorni o quella roba lì non vuol dire che sarà lo stesso per me.
Fa schifo, non voglio mentire. A volte odio la mia vita del cazzo così tanto che penso di fare cose stupide. Ma se dico alla gente la verità, potrebbe fare ancora più schifo. Ad ogni modo questa cosa non ha senso e non so come dirla in modo giusto, ma fa lo stesso. Solo non ti allarmare se mi vedi in giro per i corridoi, è tutto quello che ti sto dicendo.
Kurt parlava come un disco rotto ma perfino lui poteva stancarsi di ripetersi. Avrebbe voluto lasciar perdere, ma c'era un'ultima frase, più sotto, come se Karofsky avesse schiacciato il tasto Invio un po' di volte pensando a cosa scrivere.
Se tutto ciò che vuoi è che io ci pensi, credo che tu abbia già vinto. Perchè non riesco più a pensare a qualsiasi altra cosa.
Era una vittoria che non soddisfava, ma Kurt la accettò. Gli rispose molto brevemente:
Allora pensa a questo: se lo fai, qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere? Onestamente, non voglio essere impertinente, ma dovresti pensarci sul serio. Perché se immagini la cosa peggiore che potrebbe succederti e la confronti con l'inferno in cui stai vivendo adesso... vedrai qual è la scelta migliore e potrai prendere una decisione in modo più semplice.
E per quel che conta... anche se non sceglierai la strada che penso dovresti, sono comunque abbastanza fiero di te.
Fu strano scrivere quelle cose, e fu ancor più strano inviarle. Ma forse la cosa più strana di tutte fu realizzare che le pensava davvero. Aveva avuto dei problemi con Karofsky, che basterebbero per secoli di terapia, ma sapeva anche com'era stare chiusi dentro l'armadio, e ossessionarsi se fare quel primo passo o no.
Aspettò la risposta per un po', facendo shopping online sul sito di Prada e sbavando sui nuovi modelli di Hugo Boss. Quando realizzò che stava aspettando un'email da David Karofsky, il surrealismo diventò impossibile da ignorare. Borbottò tra sè e sè e chiuse il computer per scendere al piano di sotto e vedere cosa stava preparando Carole per cena.
Il giorno dopo nei corridoi affollati notò una giacca letterman mentre andava dall'aula di letteratura inglese a quella di musica. Karofsky si appoggiò al muro con nonchalance, finchè Kurt e Finn non furono abbastanza lontani, e dopo essersi stiracchiato li seguì. A distanza – Finn non lo notò neanche – ma abbastanza vicino che Kurt dovette solo voltarsi un attimo per individuare il rosso della giacca.
Decise subito che non gli dava fastidio. Magari avrebbe dovuto fare l'orgoglioso e andare a dirgli che non gli serviva un baby-sitter, ma poi si ricordò che non era molto bravo a difendersi dai bulli.
Quando raggiunsero l'aula di musica, Kurt tenne la porta aperta a Finn e rimase indietro abbastanza da vedere Karofsky arrivare e ciondolare sul posto come se la sua destinazione fosse una delle aule lì vicino. Quando gli passò accanto, Kurt seppe che stava sorridendo. Era un sorriso debole, incerto, ma era tutto ciò che aveva da offrire.
"D'ora in poi ti chiamerò Dave", annunciò, annuendo a se stesso mentre pronunciava le parole, soddisfatto della decisione presa.
Con sua grande sorpresa Karofsky non si irrigidì – almeno non troppo. Incontrò gli occhi di Kurt per un istante fugace e gli sorrise di rimando. Piccolo, insicuro e... strano, quasi timido. Davvero un nuovo aspetto per lui, e realizzò che quello sguardo gli fece rilassare le spalle e crescere il suo stesso sorriso.
Karofsky-che-adesso-è-Dave non disse nulla. Continuò a camminare per il corridoio. Kurt lasciò che la porta dell'aula di musica si chiudesse dietro di lui, e si preparò per un'altra ora di Rachel che faceva sfoggio delle varie soap opera etero-tragiche che amavano svilupparsi in quell'aula.
Quindi fu così che iniziò. Con un'email, e un sorriso timido nei corridoi, e nessuna idea di dove le cose sarebbero potute andare da quel momento in avanti.
Dove finì, però... nel luogo in cui iniziò qualcosa di interamente nuovo e del tutto orribile... fu in un oscuro spogliatoio con voci in preda al panico e l'intera visione del mondo di Kurt che si sfasciava, diventando qualcosa che non riconosceva più.
Era di nuovo nell'aula di musica. (Era passata una settimana dopo le email, quel piccolo sorriso nei corridoi e la decisione che la “nuova vita” di Karofsky si meritava un “Dave”, ma l'aula di musica rimaneva un'ambientazione comune nella vita drammatica di Kurt.)
"D'altronde, penso che dobbiamo ammettere che anche se ha un impeccabile senso per la moda e un'inclinazione per la teatralità, alcune persone potrebbero trovare la scelta delle sue canzoni un pochino... inaccessibile."
Kurt fece roteare gli occhi e allungò una mano per tenere a bada Mercedes proprio mentre stava trattenendo il fiato. Lanciò a Rachel uno dei suoi sorrisi più dolci. “E io penso” disse cordiale con le gambe accavallate e le braccia incrociate in una posa da diva sicura di sé (sapeva che appariva a quel modo visto che faceva pratica guardandosi allo specchio), “che guardare una teenager che piange mentre canta una canzone sui problemi di altre persone non sia il momento clou della serata di nessuno.”
Mercedes si rilassò, sospirando con aria soddisfatta.
Le guance di Rachel si colorarono di una delicata sfumatura rosa (probabilmente lei faceva pratica di quello davanti allo specchio) e si irrigidì. "Percepire l'emozione in una mia canzone è difficilmente qualcosa che considero un danno."
“È quello il punto, dolcezza," disse Kurt con un sorriso. "Se non per il fatto che tu provi tutte quelle emozioni, così che non ne lasci neanche un po' agli altri. Nessuno nel pubblico verserà una lacrima se sei una fontana già di tuo."
Rachel si voltò sulla sedia per guardarlo in faccia. "Spero che tu sappia che Uta Hagen stessa una volta ha detto che il compito di chi è sul palcoscenico è di-"
"Okay, sapete cosa vi dico." Mr. Schue, conciliante come sempre, andò nel centro della stanza.
Gettò un sorriso veloce a Kurt e uno più lungo a Rachel. "Kurt ha sollevato un argomento interessante. E sono contento che l'abbia fatto, perchè ad essere onesto non avevo idea di cosa farvi fare questa settimana."
Rachel si calmò, voltandosi di nuovo per dare attenzione al professore.
Mr. Schue guardò i suoi alunni, con lo sguardo da momento-della-lezione-di-vita. "La maggior parte delle volte vi chiedo di scegliere una canzone riguardo un tema specifico, riguardo a come vi sentite o come gli altri si sentono. Questa settimana, invece, voglio che troviate una canzone che sia in grado di far provare certe sensazioni al vostro pubblico. Felicità, tristezza, rabbia-"
"Eccitazione?" Puck lo interruppe, prendendosi una gomitata nel fianco da Lauren, ma ignorandola completamente.
Mr. Schue rise. "Anche, ma in modo innocente."
"Eccitazione innocente?" Puck lanciò un'occhiata alla sua fiera fidanzata. "Esiste?"
Lei alzò le spalle. "Preadolescenti intorno a Justin Beiber."
Ci pensò su.
Mr. Schue scosse la testa con un sorriso. "Seriamente, ragazzi. È facile piangere mentre si canta una canzone triste. Cantare una canzone che fa piangere il pubblico è un'altra cosa, per voi e per loro. E sapete qual è la cosa migliore? Dobbiamo anche indovinare qual è l'emozione che state cercando di farci provare. Ecco il compito della settimana."
Ci fu il solito miscuglio di sospiri e bisbigli eccitati e Kurt non ci mise troppo tempo per voltarsi verso Mercedes con gli occhi spalancati. "Non ho nessuna idea per questo compito."
Lei rise, colpendogli il braccio. "Per tua fortuna c'è tutta la settimana." Rilassò le spalle con un sorriso soddisfatto sul volto. "Io? Io so già cosa fare."
Lui fece roteare gli occhi. "Dimmi che non canterai qualche tipo di inno cercando di farci vedere Dio."
"Zitto, pagano. Non te lo dico, mi ruberai l'idea."
Mr. Schue si allontanò un attimo per scambiare due parole con Brad di fianco al piano, dando un po' di tempo ai ragazzi per discutere delle loro idee, e Kurt si sporse in avanti per toccare il braccio di Finn.
"E tu? Su che emozione punti? Ti voglio bene e tutto, ma sappiamo entrambi che non sei una persona profonda."
Finn sogghignò, senza prenderla sul personale, come al solito. Alzò le spalle e cantò stonato, "Don't you know everyone wants to laugh?'"
Kurt sorrise subito radioso. "Hai appena cantato un pezzo di un musical! Io e il mio essere gay stiamo esultando!"
"Sta zitto. E comunque, tu ridi qualunque cosa io canti, quindi credo non sia troppo difficile."
"Non riderei mai del tuo modo di cantare," rispose Kurt, offeso. "Sarebbe irrispettoso, e francamente ho troppa classe per fare una cosa del genere. Potrei trovare un poco di umorismo nel tuo modo di ballare che sembra privo di equilibrio mentre stai cantando, ma il cantare stesso?"
Finn fece roteare gli occhi. "Non ti preoccupare, volevo aggiungerci anche la coreografia."
"Quello allora dovrebbe essere perfetto. O... no, sarebbe stato perfetto se tu non avessi appena detto a tutti che tipo di emozione canterai, e noi dobbiamo indovinare, ricordi? Adesso devi cercarti qualcos'altro."
Finn ci pensò un attimo e aggrottò le ciglia. "Dannazione."
Quinn si chinò per mormorargli qualcosa, ma il suono metallico della sua suoneria di Britney Spears la interruppe. Ignorò Finn istantaneamente per prendere il telefono.
Kurt non si ricordava se stessero insieme oppure no, o se ci fosse di mezzo Rachel stavolta. Due decenni fa sarebbe sicuramente stato uno di quei ragazzi gay amanti delle soap-opere che piangevano ogni volta che Susan Lucci non vinceva un Emmy. Ma pensando seriamente alla sua vita? Le soap sono passate di moda ed ha così tanto dramma intorno a lui che ne è quasi stanco.
Quinn fissò il display del suo cellulare e fece una smorfia prima di rimetterlo in borsa mentre ancora squillava. "Ugh, vorrei non aver mai dato il mio numero a quella donna psicopatica."
"Chi?" chiese Finn, risparmiando a Kurt lo sforzo di interessarsi della vita di Quinn.
"Coach Sylvester," disse Quinn con una risatina smorfiosa quando il suo cellulare tornò silenzioso. "Fa in modo che le Cheerios le diano ogni numero di telefono possibile per essere contattate. Seriamente, tutti i numeri di telefono possibili. Una volta ha chiamato per davvero a casa di mia nonna solo perché ero in ritardo per l'allenamento."
"E allora perché non cambi numero?" chiese Mercedes sopra la spalla di Kurt.
Quinn sorrise subito, e Kurt dovette ammettere che con tutto il dramma e l'angoscia che si trascinava dietro quella ragazza, era davvero graziosa. "Non posso! Le ultime quattro cifre del mio numero sono 2883, e ho realizzato il mese scorso che posso dire alla gente che il mio numero di telefono è 577-CUTE (**)."
"Oh mio Dio." Kurt rise e subito tirò fuori il suo cellulare per vedere che cosa ne usciva dal proprio numero di cellulare. Mercedes aveva già il telefono in mano e le si misero tutti intorno.
Dietro Quinn, il cellulare di Santana cominciò a squillare con un suono sinistro. "Merda, la Sylvester sta chiamando me ora."
Finn si voltò per guardarla. "Hai una suoneria apposta per la Coach Sylvester?"
"Ci sta. È la musica di 'Psycho'."
Il suo telefono smise di squillare a metà canzoncina. Quasi subito di fianco a lei ci fu lo scoppio di un tintinnio che si scoprì poi essere la canzone di My Little Pony. Brittany ovviamente prese il cellulare senza controllare chi fosse, anche se Santana la guardò con terrore per cercare di fermarla.
"Pronto? Oh, Coach Sylvester!" Brittany ascoltò per qualche minuto e il suo vago sorriso svanì. All'improvviso sporse il proprio cellulare in direzione del pianoforte. "Mr. Schue? È per lei."
Lui sbatté le palpebre, ma la raggiunse per prendere il telefono. Fece una smorfia in direzione di Kurt e Finn mentre guardava il cellulare, come se stesse dibattendo con se stesso se riagganciare o rispondere, ma con un sospiro se lo portò all'orecchio. "Sue? Stiamo provando in questo..."
Le parole gli morirono sulle labbra. Lo sguardo allegro che aveva in volto svanì, trasformandosi in qualcosa che Kurt non riuscì ad interpretare.
Diede le spalle ai suoi studenti e abbassò la testa. "Hey... Hey! Sue! Calmati, cosa stai-"
Tutti si zittirono, la loro curiosità morbosa su cosa stesse dicendo la Sylvester fu inevitabile, ma di solito quella si trasformarmava in genuino gossip. Kurt si rimise il cellulare in tasca, guardando accigliato le spalle tese del professore.
"Aspetta. Dove sono...chi ha bisogno..."
All'improvviso si voltò, e la sua faccia era completamente pallida. Guardò Kurt. "Cosa c'entra Kurt in tutta questa..."
Kurt si tirò su a sedere, e qualcosa nel suo istinto cominciò a fargli sentire il cuore in gola.
Mr. Schue chiuse la chiamata, con gli occhi spalancati e un'espressione strana. Trattenne un attimo il respiro e fece un gesto veloce a Kurt. "Vieni con me, Kurt. Mercedes," disse quando vide che lei aveva ancora il cellulare in mano. "Chiama la polizia."
L'aria nella stanza si assottigliò.
"La polizia?" Mercedes aprì il cellulare ma esitò. "Cosa devo dire?"
Lui scosse la testa, andando a prendere Kurt per un braccio visto che lui non si era ancora mosso. "Digli di andare in palestra. Dì che c'è qualcuno ferito." Non le lasciò il tempo di chiedergli qualcos'altro, si voltò e si trascinò dietro Kurt nei corridoi. Camminava veloce, la sua faccia era completamente pallida e la sua mascella era tesa.
Kurt vorrebbe ripetere la domanda che Mr. Schue aveva chiesto alla coach – Cosa c'entrava lui con qualunque cosa stesse succedendo? Ma rimase in silenzio e continuò a tenere il passo con l'andatura incalzante del professore.
Sentì del rumore dietro di lui e si voltò un attimo per vedere Finn, Puck e Santana. Mike e Sam li stavano seguendo. Avevano tutti un'espressione confusa, ma ovviamente non avevano intenzione di aspettare e sapere cosa fosse successo da qualcun altro. Finn annuì a Kurt, con lo sguardo teso e confuso, e Kurt di solito si sarebbe calmato nel vedere quel caldo segno di supporto, ma non aveva idea di che cosa stesse succedendo e non aveva mai visto Mr. Schue così cupo.
I corridoi erano silenziosi, c'erano solo un paio di ritardatari che si affrettavano ad andare in classe. Kurt ignorò loro e i loro sguardi nel vedere mezzo glee club che si affrettava lungo il corridoio. C'era troppo silenzio, ed il cuore di Kurt batteva veloce, e le mani gli sudavano. Tenne il passo con l'andatura di Mr. Schue mentre gli altri rimanevano dietro di loro cercando di non farsi notare nel caso il professore avesse voluto rimandarli in classe.
C'erano alcune persone fuori dalla palestra, e all'interno della palestra stessa c'erano un gruppo di ragazzi in tuta intorno ad una delle porte di servizio.
Mr. Schue si diresse in quella direzione senza esitare, e dal modo in cui si guardava intorno non sembrava a proprio agio.
Davanti alle porte che portano negli spogliatoi c'erano un paio di atleti grandi e grossi, sui loro volti uno sguardo pallido reduce da uno shock causato sicuramente dalla Sylvester.
"Hey," disse uno di loro, con la voce ancora tremante per qualunque cosa gli avesse detto la Sylvester per farsi ascoltare, "La Coach dice che non può passare-"
"Lasciaci passare," disse Mr. Schue con sguardo truce ai due ragazzi. La preoccupazione lo rese stranamente cupo e deciso; Will Schuester non era mai stata una persona intimidatoria, ma quei due ragazzi si mossero ai lati della porta dopo un solo attimo di pausa.
Mr. Schue entrò spingendo le porte, e Kurt rimase al suo fianco come un assistente nervoso.
C'erano dei suoni davanti a loro, una voce echeggiava per i corridoi. Da un lato c'era lo spogliatoio delle ragazze, dall'altro quello dei ragazzi. Il professore seguì il suono di quella voce attraverso le porte dello spogliatoio femminile.
La prima cosa che Kurt notò fu un'ammaccatura nel muro vicino agli specchi dentro la porta.
Stucco rovinato e un buco rotondo, e qualcosa di scuro e marrone che sporcava l'orribile pittura gialla. Guardò accigliato il muro rovinato, confuso, mentre continuava a seguire Mr. Schue.
La voce era quella della Coach Sylvester. Era molto più dolce di quella che era solito sentire, ma la riconobbe comunque.
"-solo, aspettali qui, okay?" Era forte e spavalda, Sue Sylvester, ma in quel momento la sua voce tremava come se qualcuno l'avesse chiusa da qualche parte.
Mr. Schue girò l'angolo intorno una fila di armadietti e si fermò così all'improvviso da dover puntarsi con una mano contro l'armadietto per evitare di inciampare. Kurt quasi gli andò addosso, ma lo scansò agilmente grazie ad anni di danza e gli girò intorno.
Si fermò improvvisamente.
Guardò, e vide, ma non riuscì a capire che cosa avevano davanti.
Coach Sylvester era in ginocchio di fianco ad una delle lunghe panche tra le file degli armadietti. La panca stessa era spostata in un angolo e c'era dell'altro marrone scuro sopra di essa, come sull'ammaccatura nel muro. C'era dell'altro marrone attraverso la schiera di armadietti, in una linea di punti come se qualcuno ci avesse spruzzato della vernice.
Per terra vicino alla Sylvester c'era... qualcuno, un ragazzo, uno studente, ma Kurt non poté dire di più. Chiunque fosse era sdraiato sullo stomaco, con la faccia a terra. Capelli scuri bagnati e tre asciugamani da doccia gli coprivano quasi tutto il corpo. Gli asciugamani erano sporchi a chiazze di marrone – no, non marrone, rosso, rosso scuro e color ruggine. Era anche sul pavimento. Formava una piccola pozzanghera vicino alla testa del ragazzo.
All'inizio non riuscì a vedere molto all'infuori di quegli asciugamani bagnati, rossi e sporchi, ma poi gli occhi di Kurt finirono sul sottile cellulare nero che doveva appartenere alla coach, che giaceva dimenticato sul pavimento vicino ad un braccio pallido non coperto dagli asciugamani.
C'era odore di ferro. Quell'odore che aleggiava per l'intera stanza fece venire in mente a Kurt il sapore che si sentiva in bocca quando si mordeva per sbaglio il labbro mentre dormiva.
I suoi occhi tornarono su quell'avambraccio pallido, e non riuscì a prendere fiato. Tutto quello che riuscì a fare fu notare che le unghie delle mani erano smussate, corte e sanguinolente, e il pavimento sotto di loro era segnato da lunghe strisce rosse. Come se il possessore di quelle mani avesse cercato di strisciare via o qualcosa del genere.
Kurt prese fiato a fatica, piccoli respiri pungenti. Tornò a guardare Coach Sylvester, riuscì a vedere come il suo corpo rabbrividiva per accompagnare la sua voce tremante.
Alzò lo sguardo, evitando Kurt per guardare diretta Mr. Schue, i suoi occhi erano spalancati e stranamente allarmati.
"Cosa..?" Mr. Schue si mosse all'improvviso, e chissà come riuscì a trovare la forza per farlo, visto che Kurt in quel momento non era nemmeno in grado di capire come riuscisse ancora a respirare. "La polizia sta arrivando," disse mentre girò intorno alla panca e si accucciò dall'altro lato del corpo coperto dagli asciugamani. "Cosa è successo?"
Coach Sylvester scosse la testa, stava respirando quasi come Kurt, veloce e leggero. Lei era una roccia, quindi se lei riusciva ad esserci con la testa, allora Kurt poteva decisamente arrendersi a dare un senso a tutta questa roba.
All'improvviso ci fu un nuovo suono, un suono basso. Un mormorio, dal pavimento, da sotto quei capelli scuri bagnati di sangue.
Quel po' di debolezza presente nello sguardo della Sylvester svanì e lei si chinò, appoggiando una mano sul quel braccio flaccido. "Hey. Solo...sta zitto e aspetta l'ambulanza."
La voce mormorò di nuovo, e anche se Kurt non riuscì a trovare un senso a tutto ciò era sicuro che la coach doveva esserne in grado. Lei alzò lo sguardo e i suoi occhi finirono su Kurt, sempre spalancati e stranamente spaventati anche se la sua voce era forte e ferma come al solito, "Ti ho detto di tacere. Non ti preoccupare, lui è qui e nessuno gli farà niente."
Lui è qui. 'Lui' era Kurt? Non aveva senso. Non riusciva a capire cosa stava succedendo e non riusciva a respirare.
Il corpo sul pavimento si mosse. Gli occhi di Kurt si spostarono dal viso della coach al suolo, e vide gli asciugamani muoversi mentre la persona sotto di essi provava a girarsi. I capelli scuri si alzarono dal pavimento e Kurt riuscì subito a vedere la pelle pallida di una faccia piena di chiazze rosse e degli occhi verdi contornati da sfumature marroncine.
Kurt pensò tra sé e sé, in modo chiaro e assurdo, Non mi ero mai accorto che i suoi occhi fossero di quel colore. Fu solo dopo quel pensiero che realizzò di riconoscere la persona a terra.
Quella identificazione esplose nella sua mente come se gli avessero spruzzato addosso dell'acqua gelida. Nei momenti successivi realizzò altre cose: quel rosso-marroncino che era sparso dappertutto era sangue. C'era un'ammaccatura negli armadietti dietro la Sylvester, e la panca che era stata spostata di lato doveva essere stata abbandonata sul pavimento in un'altra posizione.
Quello era qualcosa di più di una rissa scolastica. Quella era una cosa seria; quella era una cosa folle. E la persona che due mesi prima sarebbe stata in cima alla lista dei sospettati era la stessa i cui occhi vitrei stavano cercando di mettere a fuoco la situazione. Per trovare Kurt.
Kurt fece un piccolo rumore spaventato, capendo sempre di più ma cercando di rifiutarlo.
Mr. Schue alzò subito lo sguardo a quel rumore. "Kurt. Mi dispiace, non dovresti essere qui. Vai là fuori con gli altri ragazzi, okay? Fai in modo che i paramedici sappiano dove andare quando-"
Kurt fece un passo più vicino, e poi un altro, sentendosi intorpidito e rimosso dal proprio corpo.
Avrebbe voluto essere seduto con Mercedes a lamentarsi di Rachel. Avrebbe voluto essere a cercare nel suo iPod la perfetta canzone per il compito della settimana. Avrebbe voluto essere a dieci minuti prima così da non doversi spiegare tutto ciò.
"Kurt!" La voce di Mr. Schue era tagliente.
Kurt saltò su.
Il braccio pallido sul pavimento si mosse bruscamente. Ci fu un movimento dal corpo sotto gli asciugamani sporchi, e i mormorii di quella voce rauca si fecero più forti.
Kurt fece un altro passo, incapace di focalizzarsi su cosa gli stesse chiedendo Mr. Schue. Non c'era neanche un punto in cui inginocchiarsi che non fosse sporco di macchie di sangue, quindi si accucciò instabile.
"Dave?" La sua voce era così raspa che quasi non la riconobbe, quasi come foglie secche che si accartocciano. Non riuscì ancora a fare un respiro pieno e si sentì i polmoni schiacciati.
All'improvviso ci fu confusione alle porte d'ingresso, e si sentì un bang come se due porte fossero state aperte in modo rude.
Mr. Schue e la Coach Sylvester furono in piedi in un lampo, andando a vedere dietro l'angolo nel caso la folla di studenti si fosse fatta impaziente e fosse entrata. Ma a quel punto il velcro in fondo alla tuta della coach si impigliò in uno degli asciugamani che coprivano il corpo, e prima che potesse toglierselo di dosso con un grugnito, l'intero asciugamano si era spostato, seguendola. Si era mosso.
Gli occhi di Kurt si spostarono da quel viso pallido e quegli occhi vitrei all'asciugamano.
Vide della pelle nuda sotto. Vide sangue e lividi che cominciavano a formarsi lungo la curva della coscia muscolosa. Vide una spessa striscia di sangue scuro lungo quella coscia, che macchiava il pavimento in mezzo alle gambe. Capì subito che Dave era completamente nudo sotto quegli asciugamani.
Il cervello di Kurt mise insieme tutti questi indizi e diede un nome a quello che era successo.
Ci furono dei passi pesanti dietro di lui e suppose fossero i paramedici perché la Sylvester non avrebbe lasciato passare nessun altro. Sentì delle voci che gli dicevano di spostarsi e vide immagini di uniformi bianche intorno a lui. Allungò la mano per far scorrere le dita tremanti sulla mano aperta di Dave, notando i graffi e la pelle rovinata sul retro delle dita.
Aveva reagito. Dio, doveva aver reagito così tanto.
Per un attimo quegli occhi vitrei guardarono in alto e incontrarono quelli di Kurt.
Poi una presa forte stava spingendo indietro Kurt, e prima che potesse protestare, Mr. Schue lo stava conducendo dietro l'angolo, lontano da qualunque cosa stesse succedendo dall'altro lato di quella fila di armadietti.
Fuori dall'aria rugginosa dello spogliatoio tutto era luminoso e rumoroso. Una folla di persone era radunata lì fuori, a chiacchierare, come se quel cambiamento nella loro giornata folle non fosse niente di più che un'occasione di socializzare.
Finn si avvicinò, praticamente trascinando via Kurt da Mr. Schue. "Gesù, Kurt! Cosa diavolo sta succedendo qui? Sembri.."
Non riuscì a rispondere. Non riuscì neanche a guardare in faccia il suo sciocco fratellastro.
L'interesse per l'innocenza di Finn era a miglia e miglia di distanza.
Kurt chiuse gli occhi e si sforzò di fare un bel respiro per la prima volta da quando Mr. Shue aveva spento la chiamata nella choir room. Quando espirò riuscì a sentire dei singhiozzi scavargli il petto. Visto che non aveva nessuna idea di cosa dire o fare, li lasciò uscire.
Note di Traduzione.
(*) "quièdovemandileemail"
(**) 577-CARINA
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
Beta Reader: Kurtofsky.
GRAZIE a tutte le persone che hanno letto il primo capitolo, l'hanno recensito e inserito la storia nei preferiti :)
The Worst That Could Happen
-Capitolo 2-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/2/The_Worst_That_Could_Happen
Erano passati forse tre giorni da quando Kurt si era scambiato quelle e-mail con Dave Karofsky, quando decise di mettere al corrente di tutto Blaine scrivendogli qualche messaggio.
Questo non perché avesse una vera reale preoccupazione nel rendere il suo ex bullo uno pseudo-quasi-amico, ma giusto perché desiderava sapere esattamente quanto fosse pazzo su una scala che partiva da Rachel Berry e arrivava a Joan Crawford, per dire.
Non gli importava di essere folle, voleva solo essere in grado di godersi la cosa per ciò che era.
Però Blaine si era comportato in maniera strana su tutta la faccenda. Aveva fatto un sacco di domande su come Dave si era comportato in aula e se avesse sorriso in modo strano oppure no e se Kurt si fosse sentito tranquillo. Cose del genere.
Era chiaro a Kurt che Blaine stesse pensando ciò che Kurt stesso non aveva considerato, ovvero che Dave volesse trovare un altro modo per tormentarlo, come d'altra parte aveva pensato lui stesso quando nelle mail gli aveva detto di non preoccuparsi se l’avesse visto in giro.
Kurt ridacchiò di questa sua apprensione. Sapeva che non era questo il caso. “Comunque”, disse al telefono quando ormai aveva finito di rincorrerlo per messaggi e voleva parlare sul serio, “non mi ha nemmeno mai veramente tormentato prima. Voglio dire, sì, ogni volta che mi vedeva era come se volesse farmela pagare, ma non era come se andasse in giro a cercarmi. Ho dovuto inseguirlo per urlargli contro”.
“È una tua scelta” disse Blaine con un piccolo sospiro controllato. “È solo che non riesco a fare a meno di pensare ai bulli che conoscevo e ai tiri mancini che possono giocarti”.
Kurt rise, anche se non avrebbe dovuto farlo.
"Non penso che ci sia permesso avere dei luoghi comuni sui bulli, quando noi stessi lottiamo così duramente contro quelli che fanno di noi degli stereotipi. Dave non è come quei tipi con cui andavi a scuola. A meno che anche loro non fossero tutti casi non dichiarati, comunque."
Non fu sicuro del perché avesse contestato Blaine così duramente a meno che… nella sua mente Karofsky si stesse comodamente definendo come Dave e Kurt stesse iniziando a sentirsi al sicuro quando vedeva del rosso per i corridoi della scuola. Quello era un nuovo passo in avanti a cui voleva aggrapparsi.
“Sai”, disse al silenzio dall’altra parte della cornetta, “Penso che lui avrebbe anche potuto ballare con me al ballo se io non l’avessi trasformato in un momento di coming out. Voglio dire, l’avrebbe preso come uno scherzo, ma penso che avrebbe davvero potuto.”
Sono strane le cose che le persone rimpiangono col senno di poi.
Kurt non rimpiangeva di aver accettato il consiglio, in verità stupido, di Blaine di affrontare il suo bullo psicotico e violento tutto da solo, almeno non adesso che il trauma del suo primo bacio era abbastanza lontano da poterlo rimuovere.
Ma rimpiangeva di aver portato Blaine ad affrontare Dave in pubblico sulle scale tra il cambio delle lezioni, perché proprio mentre lo faceva si era reso conto che “in pubblico” e “affollato” erano due cose che un rabbioso caso di ragazzo non dichiarato avrebbe voluto evitare se forzato a una chiacchierata di quel tipo.
E rimpiangeva di aver chiesto a Dave di fare coming out al ballo, perché pensava davvero che Dave avrebbe potuto ballare con lui. Stava al fianco di Kurt sul palco, scendendo con lui quei gradini fino alla pista da ballo e non aveva esitato fino a quando Kurt non aveva aperto la sua bocca per uno stupido Dai-questo-è-il-momento-che-ti-cambia-la-vita.
Anche un breve ballo preso come scherzo avrebbe avuto un enorme impatto su qualcuno spaventato come Dave.
Blaine interruppe il flusso dei suoi pensieri prendendolo in giro riguardo il fatto che il suo effettivo compagno di ballo non fosse abbastanza bravo per lui e lasciarono perdere l’argomento.
Kurt era seduto in una stanza di colore bianco con delle stampe Currier e Ives enormi e senza alcuna personalità appese ai muri. Pensò di chiamare Blaine, ma non voleva dover rivolgersi a Dave come “Karofsky” in quel momento e Blaine sembrava troppo teso quando invece lo chiamava Dave.
Inoltre, le sue mani non avrebbero mai smesso di tremare abbastanza per comporre un numero.
Mr. Schue era dietro una fila di telefoni pubblici, e stava camminando curvo con la schiena girata. Finn sedeva vicino Kurt, dato che si era rifiutato di lasciarlo solo dopo la palestra. Sue Sylvester sedeva davanti Kurt e Finn, la sua spina dorsale eretta e i suoi occhi affilati puntati su chiunque e qualsiasi cosa che si muovesse attorno. Aveva gli occhi più spalancati del normale.
Kurt non riusciva a pensare a quanto fossero strane le sue reazioni paragonate a quelle della Coach Sylvester che conosceva. Perché ciò significava pensare all’eventualità che fosse stata lei ad entrare nello spogliatoio. Significava chiedersi se fosse stata lei a mettere quegli asciugamani su Dave, e se così fosse stato, cosa aveva visto? Significava domandarsi se lei fosse intervenuta mentre quel… quell’aggressione era in corso o se Dave fosse rimasto sdraiato sul pavimento nello spogliatoio delle ragazze, solo, ferito, aspettando di essere trovato…
Significava pensare a cose che gli facevano accelerare il respiro.
“Tranquillo”, gli disse Finn mentre iniziava ad avvertire la tensione. Si chinò e tirò dei colpetti al braccio di Kurt.
Kurt lasciò uscire un sospiro e tentò di liberarsi di quelle immagini nella sua testa, allontanandosi dalla Coach Sylvester e fissando una stampa a pastelli di cattivo gusto rappresentante un cottage nei boschi.
Arte ospedaliera. Onestamente.
All'improvviso Mr. Schue sbatté il telefono, così forte che non solo Kurt e Finn sobbalzarono al colpo. Ritornò verso di loro con l’espressione rabbuiata e la Coach Sylvester si alzò per incontrarlo a metà strada.
Le porte dell’ascensore si aprirono prima che potessero scambiarsi qualche parola e Kurt venne distratto dall’unica cosa che avrebbe potuto riportare un po’ di stabilità nel suo universo.
“Papà?”
Si alzò ancor prima di capire di averlo fatto, e improvvisamente le braccia di suo padre lo avvolsero e provò così maledettamente a non singhiozzare di nuovo, che dovette serrare gli occhi così forte da farsi del male.
“Ehi, figliolo”. Suo padre sembrava vagamente confuso, molto preoccupato, ma lo abbracciò di nuovo senza indugiare.
Non c’era niente che Burt potesse fare per farlo sentire un po’ meglio, così Kurt infossò il viso nel petto del padre, annusando le tracce di sudore e olio per motori che rimanevano sulle sue tute da lavoro da quando Kurt riusciva a ricordarsene.
Suo padre non si staccò, non allentò la presa.
Fece scivolare da dietro una mano sul collo di Kurt e gli batté la schiena con l’altra. Kurt desiderò che questo migliorasse le cose, ma non fu così.
C’erano voci attorno a lui, sopra la sua testa. Sembravano come un rumore di sottofondo. C’erano dei movimenti e si sentì un po’ sballottato, ma non si concentrò su nessuno di questi. Ci volle suo padre, che parlava sopra la sua testa, per renderlo consapevole. Il “Cosa?” secco e sorpreso di Burt gli fece sollevare il capo e sbattere le palpebre come se si stesse risvegliando da un incubo.
Mr. Schue e Finn erano in piedi, furiosi, pallidi e a disagio a loro volta. Dietro di loro, la Coach Sylvester camminava tesa, in allarme, come se stesse cercando la possibilità di avventarsi su qualcuno.
Mr. Schue iniziò a parlare e Kurt fu costretto a strizzare gli occhi e a focalizzarsi sulla sua bocca prima che il suo cervello registrasse le sue parole. “-non pensa di venire. È tutto ciò che so”.
“Gesù”, mormorò il padre di Kurt.
Kurt si accigliò. “Cosa? Cosa è successo? Ci sono novità?”
Suo padre lo lasciò andare, ma la mano attorno al collo di Kurt scivolò alla sua spalla e la strinse. Sorrise, ma i suoi occhi erano furiosi. “Siediti, figliolo. Fammi capire cosa sta succedendo e te lo farò sapere.”
Kurt voleva discuterne, ma vide dalla faccia di Finn che questi aveva ascoltato tutto. Si allontanò silenzioso, per niente imbarazzato quando vide la macchia fresca che aveva lasciato sulla maglia del padre.
Finn lo riportò alle sedie e Kurt parlò prima che potessero sedersi. “Cosa è successo?”
Abbastanza sicuro di quello che fosse successo, Finn non mostrò esitazione. “Mr.Schue ha chiamato il papà di Karofsky. Penso che non verrà qui.”
“Cosa?”
Finn alzò le spalle goffamente, ma i suoi occhi erano turbati. “Kurt… amico, sapevi che Karofsky è gay?”
Kurt si incupì, rifletté sulla domanda e i suoi occhi tornarono a Mr. Schue, a suo padre e alla loro conversazione solenne. “Cosa?”, domandò di nuovo, avendo bisogno di tempo per incastrare tutti quei frammenti.
“Sì. E’ ciò che Mr. Schue ha detto. Immagino che il papà di Karofsky lo abbia cacciato di casa perché é gay e che adesso stia recitando la parte del Io-non-ho-un-figlio. Penso che Karofsky sia stato da alcuni amici nell’ultimo paio di notti. Non lo so, ho solo ascoltato ciò che Mr. Schue ha detto.”
"Ma…" Kurt spostò lo sguardo dagli adulti a Finn e viceversa. Si sentì ammutolito e minuscolo. “Ma noi abbiamo incontrato suo padre. Era addirittura dalla mia parte riguardo… riguardo tutto.”
Finn si limitò a scrollare le spalle. Gli occhi di Kurt ritornarono dietro la piccola scrivania dove un paio di infermiere erano sedute. Le porte a due ante dietro di loro erano quelle dove avevano portato Dave.
“Lo sapevi.”
Kurt guardò nuovamente Finn.
L’espressione di Finn era scioccata, ma era difficile da stabilire quale fosse la causa. C’erano troppe cose scioccanti che stavano succedendo attorno a loro. “Non sei nemmeno sorpreso, tranne riguardo suo padre.”
Kurt annuì. Finn già lo aveva capito, negarlo non sarebbe stato di alcun aiuto.
Finn si avvicinò. “È…uhm.” Lanciò uno sguardo al loro padre e alla Coach Sylvester e abbassò la voce. “È una cosa tipo gay-radar?”
Kurt rimase a bocca aperta sul momento, poi improvvisamente si avvicinò e si schiacciò contro il sottile braccio della sua sedia in finto legno in modo da poter stringere Finn in un abbraccio.
Finn sospirò sorpreso. Batté dei colpi sulla schiena di Kurt non molto sicuro.
“Mi hai fatto quasi ridere”, disse Kurt all’altezza della sua spalla ossuta. “Persino ora, mi hai fatto quasi ridere. Grazie, Finn.”
“Oh. Sì. Non c’è di che.”
Lasciò andare il suo confuso fratellastro e il suo tenue sorriso svanì. Guardò di nuovo le porte a due ante dietro le infermiere.
Alla fine, suo padre si avvicinò e si sedette accanto a lui. Kurt poteva sentire l’odore di olio per motori e questo gli faceva venir voglia di voltarsi verso di lui e piangere, gemere, balbettare su come fosse stato orribile e di come non avesse mai visto niente del genere al di fuori dei film…
Ma non riguardava lui. Non ancora. Avevano bisogno di capire cosa stesse succedendo dietro quelle porte a due ante, e dopo sarebbe potuto andare a casa e farlo.
Aveva davvero pensato che Paul Karofsky fosse una brava persona. Una persona migliore di suo figlio, almeno. Ecco perché Kurt era tornato pensieroso dai due incontri con loro. Si aspettava che il padre di Dave fosse un disgustoso bullo ignorante. L’aveva quasi sperato, per potersi dare una spiegazione sensata al comportamento di Dave. Ma non gli era apparso proprio in quel modo.
In quel momento Dave era disperso dietro quelle porte a due ante e suo padre non veniva nemmeno a visitarlo.
Dei dottori uscivano di tanto in tanto, causando uno stato di tensione e di attesa perenne in Kurt, la Sylvester e Mr. Schue. Forse due ore dopo l’arrivo di Burt Hummel uno di quei dottori parlò con calma all’infermiera della scrivania e lei annuì verso il gruppo che attendeva.
Kurt si rizzò in piedi in un secondo, ma Sue Sylvester lo batté sul tempo.
“Allora?”
Il dottore non sorrise con sollievo, né scambiò due parole o nemmeno si preoccupò di chiedere se fossero lì per Dave. Si guardò attorno e parlo gravemente. “C’è qui qualcuno della sua famiglia?”
Kurt non ebbe nemmeno il tempo di entrare in panico riguardo il fatto che nessuno di loro fosse un suo parente o di pensare di mentire per poter ottenere notizie, prima che una voce rispondesse con sicurezza. “Io.”
Dovette stringere le mani a pugno per evitare di rimanere di sasso nei confronti della Coach Sylvester.
Si allungò per sfiorarle il braccio e le annuì indicando le porte dietro di lui, e chissà come lei gli prestò attenzione.
Kurt spalancò la bocca troppo tardi per aggiungersi alla bugia, ma Mr. Schue lo raggiunse e gli sfiorò la spalla. ”Ci dirà tutto ciò che scoprirà.”
Sembrava così sicuro di quelle parole, ma Kurt conosceva la Coach Sylvester. Perché avrebbe dovuto dire qualcosa? Perché era lì? La cosa più vicina a un lato soft che avesse mai visto in quella donna era stato – se si escludeva tutto quello che aveva a che fare con sua sorella - quando lei aveva preso le sue difese contro Dave.
No. Non poteva domandarselo. Non poteva nemmeno pensarci. Gli faceva tornare in mente gli asciugamani insanguinati sul pavimento dello spogliatoio. Gli faceva domandare cosa avesse visto, quanto dovesse essere stato terribile da scioccare qualcuno come lei così profondamente.
Serrò gli occhi e si allontanò dalle porte. Non riuscì a fare a meno di rivedere una mano distesa con le unghie dilaniate e tagli lunghi e profondi tra le nocche. Non riuscì a fare a meno di pensare alla quantità di sangue che venava grandi gambe nude.
Dave era così forte. Kurt era magro e di certo non il ragazzo più alto del mondo, ma non era cedevole. Quando Dave era Karofsky avrebbe potuto lanciarlo in giro come se non pesasse più di un’oncia. Era forte ed enorme. Avrebbe dovuto combattere. Chi avrebbe mai potuto prendersela con uno come Dave Karofsky? Chi avrebbe mai potuto immobilizzarlo, resistendo ai suoi pugni?
Era stata più di una persona? Qualcuno lo teneva fermo mentre qualcun altro…?
Dio.
Aveva urlato aiuto o era rimasto disorientato? Era stato per terra da solo o, tra tutte le persone, Sue Sylvester era riuscita a entrare lì dentro giusto in tempo per fermare qualsiasi cosa stesse succedendo? Perché aveva pronunciato il nome di Kurt? Perché le aveva domandato di Kurt? Perché era successo tutto questo, cazzo?
Tremava, tantissimo, e improvvisamente suo padre fu proprio lì e Kurt non aveva capito di ster piangendo di nuovo fino a quando non sentì la maglietta bagnata di suo papà contro la sua guancia. Si strinse ancora di più a lui, afferrando suo padre, vedendo nella sua mente gli occhi vitrei di Dave e il suo sorriso timido nel corridoio e pensando che vedeva sempre un accenno di rosso nei dintorni quando ultimamente si muoveva per la scuola.
Non avevano più parlato, non da quelle mail. Avrebbero dovuto. Kurt aveva il suo indirizzo - avrebbe dovuto scrivergli. Kurt avrebbe dovuto sapere che era stato cacciato di casa. Non avrebbe dovuto lasciarlo solo ad affrontare tutto.
Nessuno aveva più insultato Kurt nell’ultima settimana. Dave lo aveva tenuto al sicuro, con o senza berretto. Anche prima delle e mail. Anche al ballo. L’elezione era stata una umiliazione, ma gli studenti avevano applaudito quando Kurt aveva preso la sua corona e si erano uniti a lui quando aveva ballato con il suo ragazzo.
E Dave era scappato via solo, perché Kurt non era riuscito a tenere chiusa la sua bocca da compiaciuto.
Dio. Dio, Kurt non era religioso e sapeva che nessuno rispondeva a quel nome, ma altre persone mettevano così tanto potere in quella parola e così lo pensò anche lui. Dio, Gesù. Cristo. Perché, perché, perché?
Suo padre aveva cominciato a lamentarsi del fatto che dovessero andarsene, parlando della cena e dei compiti e dell’intero mondo che all’apparenza esisteva fuori dalla sala di aspetto dell’ospedale.
Ma le porte a due ante si aprirono e una impallidita Sue Sylvester vi marciò fuori e si diresse verso Kurt senza chiedere a nessuno se stesse bene. “Ho detto loro che dovrebbero far entrare uno dei suoi amici.”
Kurt si allontanò da suo padre e da Finn, mettendosi in piedi senza essere consapevole che il suo corpo si stesse muovendo. La fissò, lei era ancora pallida e la sua bocca era sigillata, così distese la mano quando lei gli offrì la sua e lo trascinò via dalla sua famiglia, verso quelle doppie porte.
Suo padre fece un suono soffocato di incerta protesta alle loro spalle, ma Kurt non titubò.
Si bloccò quando le porte si chiusero dietro di lui, quando fu al sicuro dentro il corridoio interno. La Coach Sylvester si fermò e lo guardò, lasciando cadere la sua mano come se in quello stato lei fosse ancora impaurita di sembrare troppo delicata.
“È… sveglio?”Si rabbuiò. “No. È pompato completamente di medicine al livello della Lohan. Andiamo, Porcellana.”
“Perché… perché io?”
Sembrò irritata al fatto che non le si obbedisse, o forse era solo impaziente di tornare indietro. Guardò verso il corridoio e sibilò un respiro.
Quando si mosse più vicina, non poté fare a meno di irrigidirsi. “Pensava che tu fossi il prossimo della lista. Ne era sicuro. Ecco perché ha chiesto di te a scuola, ecco perché hai bisogno di dirgli qualcosa adesso. Non lo so e non mi importa quando vuoi due avete iniziato a legarvi l’uno all’altro. Non mi importa se tu lo odi ancora o se tutto ciò che è successo tra voi era una questione di depravati abusi domestici. Tutto ciò che mi importa è che quando l’ho trovato lui era spaventato che potesse succederti qualcosa. Ora vai, prima che ti prenda e ti ci porti di peso.”
La seguì mentre gli faceva da guida. Il suo respirò tornò a essere corto, non era riuscito a frenarlo nemmeno a scuola.
La corsia d’ospedale non era come quella che aveva sempre visto in Scrubs. C’erano un sacco di apparecchiature ma le stanze non erano propriamente stanze, solo piccoli stanzini divisi da sottili tendine. Alcune delle tende erano state lasciate aperte e vi vide persone sdraiate su brande leggere e donne preoccupate tenere la mano di vecchie signore e dovette immaginare cosa potesse esserci dietro le tendine rimaste chiuse.
La Coach Sylvester si fermò davanti a una delle tende tirate. Frenò la sua camminata convulsa e inspirò. Rubando il respiro a se stessa.
Kurt non ebbe il tempo di fare lo stesso, dato che le sue dita magre e piene di calli gli afferrarono il polso e venne spinto dietro la tenda assieme a lei.
Avrebbe voluto farlo lentamente, ma non c’era nient’altro da osservare che il letto e fu lì che i suoi occhi si diressero all’istante.
Dave faceva sembrare piccola la branda. Un piede penzolava fuori dal letto, le sue spalle erano troppo ampie per starci bene. C’era un sottile lenzuolo appoggiato vicino alle braccia e le spalle che lasciava scoperta solo la sua testa. Respirava, una macchina dietro di lui si muoveva ritmicamente e uno schermo faceva dei bip a causa del battito cardiaco, c’era un display con dei numeri che aumentavano e diminuivano, aumentavano e diminuivano, ma a differenza di quello che Kurt conosceva grazie alla televisione era tutto completamente immerso nel silenzio.
La sua testa era coperta da una benda e Kurt si ricordò come i suoi capelli luccicassero bagnati sotto la fioca luce dello spogliatoio. Le sue labbra erano gonfie, la sua mascella rossa e c’erano un paio di punti escoriati sulla pelle del mento. I suoi occhi erano entrambi neri a causa dei lividi. C’era un tubicino che scendeva giù per la sua gola e Kurt avrebbe voluto chiedere il perché. Avrebbe voluto chiedere se aveva smesso di respirare o se aveva qualcosa a che fare con le medicine che gli avevano dato, o altro ancora. Avrebbe voluto sapere tutto.
Si avvicinò al lettino, guardando quell’enorme testardo e il suo volto tumefatto e slavato.
Tutto ciò a cui riusciva a pensare era Dave che gli sorrideva nel corridoio il primo giorno dopo le loro email. Ripensò a se stesso, così soddisfatto, così luminoso, avendo deciso che i tempi fossero maturi abbastanza da poter chiamare il ragazzo per nome e Dave che gli sorrideva di rimando perché gli piaceva l’idea ma era troppo timido da dirlo ad alta voce.
Non conosceva per niente Dave Karofsky.
Avrebbero dovuto parlare. Avrebbero dovuto sentirsi per e-mail. Avrebbe dovuto ringraziare Dave per averlo scortato in giro, per avergli coperto le spalle, anche se non pensava che glielo dovesse.
Avrebbero dovuto ballare assieme.
Deglutì e lo sfiorò. Le braccia e le mani di Dave erano sotto il lenzuolo così Kurt si accontentò di lasciare che la sua mano andasse delicatamente sulla sua spalla. Forse lì non era ferito, probabilmente era un posto sicuro da toccare.
“Starà bene?”, domandò, sperando che gli occhi di Dave si aprissero così avrebbe potuto vedere quel verde che non aveva mai notato prima di quel giorno. Aveva pensato che non fossero nient’altro che marroni. Non aveva mai visto quel sorprendente color nocciola.
La Coach Sylvester rispose con lentezza, come se si stesse agitando a causa dei suoi stessi pensieri interiori. “Non sta morendo”, disse con durezza.
“So cosa è successo”, affermò Kurt, accarezzando la spalla di Dave con la punta delle dita ansiose, come se questo potesse offrirgli un qualsiasi tipo di conforto.
“Ho visto. Quando l’asciugamano è caduto…” deglutì.
“Allora cosa vuoi che ti dica?” rispose seccata e in qualche modo capì che la tensione nella sua voce non era pericolosa. Non per lui, almeno.
“Qualsiasi cosa abbia detto il dottore” replicò e non riuscì a spostare gli occhi da Dave.
“Ha una commozione cerebrale”, dichiarò veloce e indignata. “Gli hanno colpito duramente la testa con qualcosa”.
Annuì, figurandosi in testa l’ammaccatura nel muro.
“Naso rotto. Entrambe le spalle disarticolate. Costole incrinate, nessuna rotta per miracolo. Molti tagli e lividi.”
Dopodiché esitò.
Non riusciva a guardarla, cosa che probabilmente aiutò entrambi.
“Gli hanno lacerato il … hanno strappato il muscolo in modo abbastanza orribile, ma il dottore non pensa che lui abbia alcun… alcun danno interno…” emise un sospiro.
Allora capì quale muscolo avevano lacerato. Chiuse gli occhi, ricordando gambe enormi e il sangue. Non comprese di tremare fino a quando la mano di Sue non gli si poggiò sulla spalla per calmarlo.
“Siete amici?” chiese, nonostante la precedente dichiarazione che non gliene importasse.
Non erano davvero amici. Non erano niente. Tutto ciò che erano per l’altro non era più utilizzabile. Annuì di nuovo.
“Allora prenditi qualche minuto e parla al tuo amico. Non mi importa se ti possa sentire o meno.” La sua mano scivolò via e si allontanò camminando, ma Kurt si girò improvvisamente prima che lei potesse chiudere la tendina.
“Cosa ha visto?” le domandò improvvisamente, stupendo anche se stesso.
Si irrigidì. Non lo guardò. “Stavano scappando quando sono arrivata”, disse semplicemente, dopodiché sparì dall’altra parte della tenda.
Stavano. Più di uno. Loro, ma… ma Kurt era felice che Dave non fosse stato lasciato solo, ferito e spaventato, prima che lei lo ritrovasse.
Si girò verso il letto. C’era una sedia vicino al muro, persa nelle apparecchiature attorno, e la mise accanto a un lato del letto.
L’atmosfera non era abbastanza silenziosa. Le macchine non facevano più beep vari o altro, ma poteva sentire passi, voci. Quella tendina non era una reale barriera tra loro due e il mondo.
La Coach Sylvester gli aveva ordinato di parlargli, ma non aveva niente da dire. Non c’era assolutamente niente, dato che si ricordava come mai lei avesse chiesto di lui in primo luogo.
“Sono qui,” disse, sussurrando verso il volto svigorito di Dave.
“Sto bene. Nessuno mi ha inseguito,” sospirò e cercò di fermare il tremore nella sua voce. “Mi hai tenuto al sicuro, proprio come avevi promesso.”
Se fosse stato un altro giorno, sarebbe stato inorridito dalle sue lacrime. Singhiozzare in modo costante e drammatico era uno di quei stereotipi gay che non gli piaceva incarnare. Aveva pianto molte lacrime in diciassette anni di vita, ma ognuna era stata provocata. Ognuna di esse era stata per qualcosa di importante. Ed ecco perché non era imbarazzato, perché suo padre che aveva mandato via Finn di casa per aver chiamato le decorazioni della stanza da letto di Kurt “da finocchio” era niente in confronto a tutto quello. Pur con tutto il dramma e la tensione del liceo McKinley, quello era un livello che avrebbe fatto sbiancare qualsiasi altra cosa al confronto.
Kurt aveva pianto per la Coach Sylvester quando era morta sua sorella. Aveva pianto al capezzale di suo padre dopo il suo infarto. Quelle erano le uniche cose che pensava si potessero paragonare.
Il pensiero che ciò che era successo sarebbe potuto succedere a chiunque era scioccante. Ciò che aveva visto coi suoi stessi occhi, era stato orrendo, aveva visto le conseguenze instabili del tutto. Era qualcuno che conosceva, qualcuno con un carattere duro, una montagna di paura, un sorriso timido e un apparente resistenza nell’usare gli apostrofi nelle sue e-mail… l’unico altro ragazzo gay al McKinley di cui Kurt sapeva qualcosa…
Non c’erano più parole.
Sperava in qualche movimento, sperava che almeno le sue palpebre si muovessero, ma niente. Si sedette per un po’, lasciando ogni tanto sapere a Dave che era lì e che stava bene, nell’eventualità che Dave potesse ascoltarlo. Dopo poco, la tendina venne spostata e una lunga ombra si allungò sul letto.
“È ora di andare, Porcellana. Tuo padre pensa ti abbia traumatizzato tenendoti qui.”Kurt sbuffò con un suono cinico e duro. Suo padre era arrivato in ritardo per evitargli il trauma e non era successo in ospedale.
La Sylvester annuì concordando con il suo sbuffo, ma rimase vicino la tendina aperta fino a quando lui non si alzò e lasciò il letto.
“Qualcuno dovrebbe rimanere”, affermò Kurt mentre si muoveva per la stanza.
“Non preoccuparti, figliolo,” rispose in modo risoluto. “Nessuno caccerà la zia Sue da qui.”
La cosa positiva del conoscere il lato oscuro di Sue Sylvester era che Kurt sapeva che aveva ragione. Nessuno sarebbe riuscito a smuoverla se lei avesse voluto rimanere lì.
Aveva ricevuto due messaggi in segreteria e cinque sms da Blaine quando si ricordò di possedere un telefono e dovette leggere solo il primo sms per realizzare che Blaine aveva capito che qualcosa era successo.
Lo chiamò, sedendo sul letto e stringendo saldamente l’apparecchio.
“Kurt, grazie a Dio, stai bene? Ero preoccupatissimo."
Forse aveva urlato, perché la sincera preoccupazione di Blaine non fece altro che farlo sentire stanco. “Sto bene. Non mi è successo nulla.”
“Mercedes ha detto che ha dovuto chiamare la polizia. Che qualcuno ha lasciato la scuola in ambulanza e che tu non sei più tornato in classe.”
Si incupì , appoggiandosi sul muro dietro al letto. “Non ha detto altro?”
“Non sapeva niente! Nessuno sa qualcosa, suppongo. Ha detto che c’era una voce riguardo al fatto che un gruppetto di giocatori di football avesse saltato le lezioni ma… dai! Cosa è successo? Hanno provato a fare qualcosa? Qualcuno ti ha fatto del male, o-“
“Ti ho detto che sto bene, Blaine.” Non intendeva dirlo in modo così secco, ma non si rimangiò nulla.
“Guarda, ti dirò tutto domani, promesso. Sono davvero esausto adesso, ok?”
“Bene,” disse Blaine e fu un po’ tagliente. Kurt riattaccò con un sospiro, ma un secondo dopo il suo telefono vibrò per un messaggio in arrivo e lo lesse:
“Ti amo, ricordatelo. Riposati.”
E sorrise.
Quella notte sognò una partita di football al rallentatore, la folla in delirio e i cori delle Cheerios. Per qualche ragione si svolgeva tutto dentro la palestra e anche se sedeva tranquillamente guardando la partita e applaudendo, per qualche motivo sapeva che dietro le porte che conducevano agli spogliatoi qualcuno stava urlando. Qualcuno chiedeva disperatamente aiuto, e nessuno sulla faccia della Terra riusciva a sentirlo.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. ***
Beta Reader: Kurtofsky
Grazie a tutti quelli che hanno recensito e continuato a leggere. Sappiamo benissimo che questi primi capitoli sono pesanti ed estremamente drammatici, ma speriamo che non vi fermino dal continuare a leggere questo capolavoro :)
The Worst That Could Happen
-Capitolo 3-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/3/The_Worst_That_Could_Happen
Al McKinley si sapeva tutto di tutti. Le cose erano così, lo erano sempre state. Forse attraverso il gossip, o il noioso ed invadente blog di Jacob, o forse perché la metà delle cose importanti che succedevano loro accadevano nei corridoi tra le classi.
Camminando per la scuola il giorno dopo, Kurt fu comunque sorpreso di vedere che nessuno aveva una teoria solida e realistica di quello che era successo il giorno prima.
Tutti sapevano dell’ambulanza. Tutti sapevano che un manipolo di giocatori di football non si era presentato per le lezioni del pomeriggio. Alcuni sembravano sapere che Dave Karofsky fosse coinvolto, ma nessuno sapeva.
La Coach Sylvester non era a scuola quel giorno, ma nessuno riusciva a mettere insieme i pezzi, quindi il gossip aveva stabilito che doveva essere irrilevante.
Persino Finn, benché fosse a conoscenza che Dave era ferito e in ospedale, non sapeva esattamente cosa fosse successo. E forse aveva anche tenuto la bocca chiusa riguardo a quello che sapeva, perché quando Kurt lo aveva raggiunto a pranzo con gli altri del Glee Club tutti sembravano confusi.
“La Beiste era scocciata,” disse Puck non appena Kurt si sedette a mani vuote, ben lontano dall’essere affamato. “Con mezza squadra assente ieri, senza contare le assenze ancora maggiori di oggi.”
Continuò, parlando con Santana e Finn ma tenendo a fatica la voce bassa. “Ho sentito dire che hanno ucciso qualcuno. E che le cose si sono messe male e sono diventate serie, quindi ora hanno tutti la bocca cucita al riguardo.”
Finn lanciò un’occhiata a Kurt.
Kurt rimase al suo posto.
“Ma dai. Metà squadra?” Santana era dubbiosa.
“Non dico che siano tutti coinvolti,” andò avanti Puck. “Serrano le fila, sapete? È così che lo chiamiamo. Come nei film di John Wayne. Voglio dire… lo scorso anno, giusto? Alcuni di noi erano un po’ usciti di testa quando abbiamo perso contro i Sheldonberg, e forse la casa del coach della squadra ha avuto un piccolo… problema. Con il fuoco.”
“Cosa?” Lauren si aggiunse alla conversazione, con un sorriso nella voce. “Davvero?”
Puck scrollò le spalle. “Una vecchia borsa di roba infiammabile lasciata sul portico. Un ritorno di fiamma. Ad ogni modo, abbiamo dovuto guidare due ore per andare e due per tornare, e sapevamo già che quando Figgins ne sarebbe venuto a conoscenza avrebbe convocato la squadra per vedere chi non aveva dormito la notte. Quindi… abbiamo stretto le fila. Abbiamo sparso la voce in maniera tale che la maggior parte di noi rimanesse a casa il giorno dopo. In questo modo non avrebbe potuto scoprire chi era stato, e non potessero prendersela con qualunque giocatore fosse rimasto a casa visto che era l’ottanta per cento della squadra.”
Si accomodò sulla sedia, scrutando i suoi ascoltatori. “Stessa cosa oggi, ci scommetto quello che volete. Scommetto che c’è stata una dannata battaglia ieri, e alcuni ragazzi sono conciati male, quindi staranno a casa almeno finché i graffi non saranno guariti, sapendo che Figgy e la Beiste li stanno cercando.”
“È abbastanza intelligente, anche se in un modo malato.” Lauren si rimise comoda, e sembrava che fosse compiaciuta allora più che mai del suo ragazzo, dopo essere venuta a conoscenza di quelle trame nascoste.
Kurt avrebbe voluto vomitare.
Prima di lasciare l’ospedale Kurt aveva dato alla Coach Sylvester il suo numero di cellulare, e aveva atteso notizie per tutta la mattina tenendosi il telefono stretto in mano.
Ricevette una marea di messaggi arrabbiati su quanto fossero bastardi i dottori e su un’infermiera, che lei aveva soprannominato "Il Mietitore" che la teneva lontana dalla stanza. Gli parlò dei mali dell’arte da ospedale – sui quali lui era ormai più che informato – e gli mandò ben tre messaggi sul fatto che aveva quasi picchiato la faccia alla Doogie Howser di un dottore che le aveva suggerito di passare un po’ di tempo nella cappella dell’ospedale.
I suoi messaggi erano così imbarazzanti da fargli pensare che non passasse molto tempo a scriverne, ma li lesse tutti con attenzione cercando di non leggere troppo fra le righe.
Quei messaggi erano l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi, oltre al ruggito delle macchine da gossip insoddisfatte del McKinley, tant’è che dopo solo cinque minuti ne aveva avuto abbastanza di quelle risatine e quei pettegolezzi, tanto da andarsene in biblioteca pur di uscirne. Non era il suo posto preferito al mondo – fin troppo soffocante per qualcuno come lui - ma di certo nessuno lo avrebbe cercato lì.
Entrò su uno degli antichi computer del laboratorio di informatica e guardò le email, come se avesse impostato il pilota automatico. Blaine gli aveva mandato un paio di messaggi quel giorno, e quello era già strano. Il suo ragazzo sapeva che poteva mandargli degli sms durante le ore di scuola, visto che le mail non erano di certo il mezzo di comunicazione preferito da Kurt.
Aprì la prima mail che gli aveva mandato Blaine e vide che era decisamente troppo lunga per essere mandata via messaggio.
Kurt,
so che pensi che io sia allarmistico e melodrammatico, ma lasciami spiegare come mai mi sono così preoccupato per te la scorsa notte, e come mai devo veramente insistere sul fatto che tu mi chiami una volta uscito da scuola per dirmi cosa è successo ieri. Hai ragione a dire che non dovremmo lasciarci prendere dagli stereotipi verso chi ci fa del male tanto quanto non dovrebbero lasciarsi prendere loro dagli stereotipi verso di noi, ma lascia che ti spieghi alcune cose riguardo ai ragazzi come David Karofsky.
Kurt a quel punto si fermò. Diede una rapida occhiata al paragrafo successivo e notò che il nome di Karofsky era menzionato più di una volta. Blaine pensava che David lo stesse seguendo, e che Kurt fosse così preso dall’accaduto da voler provare ancora e ancora che Dave non stava dando di matto.
Kurt cestinò l’email.
Scorse con lo sguardo la barra laterale, fino alla sua cartella nominata con molta intelligenza “Esattamente, perché?”, dove c’erano tutte le mail strane o inclassificabili. Sapendo cosa ci fosse in cima alle mail di quella cartella, ci cliccò sopra. Fissò l’indirizzo 'thisiswhereyousendmeemails' e il suo cervello lo riportò all’ospedale.
Si chiese se Dave fosse ancora intubato. Fino a quando lo avrebbero tenuto?
C’era troppo silenzio in biblioteca, ma c’era troppo rumore da qualunque altra parte. Rimase lì, entrando in modalità auto-flagellazione e cliccando sul’ultima email presente, in modo da poterla rileggerla insieme alle altre con calma.
Non riuscì ad andare oltre la sua ultima mail, quella a cui David non aveva mai risposto. Si concentrò sull’ultima di Dave, e la lesse tutta, più volte, fino a fissarsi tanto da non riuscire ad andare avanti sulla prima riga.
‘… e anche se lo facessi, qual è la cosa peggiore cosa che ti potrebbe succedere?’ (*)
Kurt si ricordò che la mail precedente di Dave era quella in cui gli parlava di come la sua vita non fosse come la sua, e di come il suo coming-out non sarebbe mai stato come quello di Kurt. E la sua risposta era stata quella. Qual era la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere?
Nella mail diceva a Dave che non voleva essere impertinente, ma in realtà… quando la stava scrivendo, un po’ lo era stato. Perché davvero, qual era la cosa peggiore che poteva capitare ad un armadio a due ante come Dave Karofsky? Le cose peggiori che fossero mai successe a Kurt erano state a causa di ragazzi come Dave, quindi naturalmente Dave non doveva avere nulla da temere. Nessuno avrebbe mai tirato una granita in faccia a Dave Karofsky. Nessuno lo avrebbe sbattuto contro gli armadietti.
Quantomeno nessuno che non avesse le spalle ben coperte.
Kurt era un piccolo ed esile essere che odiava sporcarsi le mani ed avere i vestiti stropicciati.
Di certo… di certo Dave, il giocatore di football tutto muscoli e niente cervello, non poteva avere gli stessi problemi di Kurt.
‘Ma è una stronzata.’ Rilesse l’ultima mail di Dave, e gli sembrò che qualcosa stesse scavando nel suo petto a poco a poco. ‘La mia vita non è per niente come la tua’
Tutti volevano credere che le cose fossero diverse per loro. Tutti volevano pensare a loro come l’eccezione. Kurt non aveva prestato attenzione a quelle parole, perché ovviamente un ragazzo che era terrorizzato dalla prospettiva di uscire allo scoperto avrebbe pensato il peggio delle persone vicine a lui. Ma Dave sapeva. Era a conoscenza di cose su suo padre che Kurt non sapeva, e poteva sicuramente saperne di più di Kurt su come pensassero gli atleti. Dave sapeva che le cose sarebbero andate male.
Ma allora perché lo aveva fatto?
‘Qual è la cosa peggiore che può succedere?’
Nella biblioteca c’era un silenzio di tomba – probabilmente tutti erano a pranzo. Non c’era nessuno che potesse sentire il respiro di Kurt farsi sempre più corto, mentre rileggeva le stesse mail ancora e ancora e ancora, ogni volta sempre più pallido e paralizzato dall’orrore. Non c’era nessuno che potesse essere lì nel momento in cui Kurt capì. Il momento in cui realizzò che tutto quello che era successo, tutto quello che aveva visto, quell’insensibile, irreale violenza ed orrore…
Era tutta colpa sua.
‘A volte odio così tanto la mia vita del cazzo che penso di fare cose stupide.’
Non c’era nessuno che potesse zittire il suono strozzato che gli uscì dalla gola, quando lesse le parole di Dave e realizzò che quello era un ragazzo che aveva già pensato a… ferirsi? Uccidersi? Perfino prima che quell’orrore accadesse.
Staccò a forza gli occhi dallo schermo e tirò fuori il cellulare, mandando un rapido e mal scritto messaggio a suo padre prima di potersi anche solo fermare a pensarci.
"Papà crdo che abbia bisgno di un psto dove andare."
Mandò il messaggio e rimase a fissare il cellulare, con il suo brillante orologio e lo sfondo di Gaga.
Blaine. Doveva chiamare Blaine. Doveva parlare con qualcuno, perché perfino quando Kurt si sentiva solo ad affrontare i suoi problemi, aveva sempre avuto persone con le quali poteva parlarne. E aveva sempre fatto conto su questo.
Poteva chiamare Mercedes. O Blaine. Blaine lo amava.
Il cellulare gli vibrò in mano. Si concentrò su quello e vide che suo padre lo stava chiamando, quindi chiuse le mail e si disconnesse prima di rispondere.
“Papà?”
“Quale lezione stai saltando per mandarmi messaggi, Kurt?”
“Nessuna.” Kurt spense il monitor e si mise la borsa sulla spalla. “Pranzo, c’è ancora il pranzo.”
“Oh.” Suo padre esitò. Sentiva dei rumori provenire dal telefono, del frastuono mischiato a dei suoni metallici e, più piano, delle voci. Il suono caratteristico di un’autofficina nel mezzo di una giornata di lavoro. “Odio i messaggi, lo sai. Per cui cosa volevi intendere con quello che hai mandato? Chi ha bisogno di un posto dove andare?”
“Dave. Quando verrà dimesso.” Kurt uscì dalla biblioteca, finendo quasi per andare addosso ad una matricola timida che si scansò senza dire una parola. “Quando uscirà dall’ospedale, papà. Deve avere un posto dove stare.”
“Sono sicuro che qualcuno si prenderà carico di questo.” Il tono di suo padre era già cauto.
Kurt attraversò una porta d’uscita laterale e si fermò subito, strizzando gli occhi per la luce che era dovunque. C’era un piccolo gruppo di ragazzi nel parcheggio riservato agli studenti, una combriccola che cercava senza successo di mascherare il fumo che usciva dal centro del gruppo.
Erano abbastanza lontani da Kurt per farlo continuare a parlare. Appoggiò la borsa sulla strada e si sedette sul marciapiede, dando giusto un’occhiata al gruppo in caso avessero deciso di rientrare o tentare di coinvolgerlo.
“Hai sentito Mr. Schue, il suo stesso padre non andrà a fargli visita. Chi gli guarderà le spalle adesso?”
“I suoi insegnanti, suppongo. Magari ha altri famigliari attorno, oppure… Kurt, non capisco. Come ti è venuta quest’idea? So che hai visto di più di quanto avresti dovuto ieri, ma questo non ti rende immediatamente un suo amico.”
“Papà-”
“Non ho un’amnesia. Mi ricordo esattamente chi è David Karofsky e cosa ha fatto, quindi non girarci attorno. Perché ti stai comportando come se tutto questo fosse una tua responsabilità?”
“È gay.” Le parole vennero fuori prima che Kurt potesse fermarle, ma si guardò attorno per essere sicuro che nessuno oltre suo padre le avesse sentite, e non si pentì di averle dette. Dave era venuto allo scoperto con suo padre, non era di certo un segreto. E Kurt si fidava di suo padre abbastanza da sapere che non sarebbe andato a raccontare niente di tutto quello ad anima viva.
“Sì, lo so. Ho sentito quello che ha detto Mr. Shue riguardo a suo padre. Ma questo non rende di te il suo guardiano.”
“È gay ed avrei dovuto… aiutarlo. Almeno provare ad aiutarlo. Perché era spaventato, e non voleva… era per questo che era così crudele con me. Ma è stato…” Kurt crollò, sfregandosi il volto e tenendosi stretto il telefono contro l’orecchio.
I suoni dal lato della cornetta di suo padre si zittirono, ma riuscì comunque a sentire il rumore di un ronzio. Il ventilatore che si trovava nell'ufficio, nel retro del garage. Kurt chiuse gli occhi e riuscì quasi a vedere suo padre, seduto dietro la piccola scrivania con il suo vecchio computer e la pila di ricevute sempre più alta.
Suo padre non disse nulla, Kurt prese un respiro e tenne gli occhi chiusi per prolungare quell’immagine, così da poter credere che suo padre fosse lì.
“È colpa mia, papà.” Kurt sussurrò quella confessione, arrendendosi e fissando il marciapiede. “Io gli ho detto… l’ho forzato. Non avrei dovuto. Ogni volta che voleva parlare di qualcosa, gli dicevo… gli dicevo sempre di ‘uscire allo scoperto’. Come se questo avrebbe potuto rendere le cose più semplici. Suo padre l’ha cacciato di casa e lui non me l’ha nemmeno detto, ma qualcuno deve averlo scoperto.”
“Come fai a saperlo?” chiese suo padre sembrando stanco.
“Devono averlo scoperto. Nessuno si metteva contro David qui. Nessuno a parte la squadra di hockey, ma nemmeno loro negli ultimi tempo. La squadra di football ha vinto il campionato, Dave è re del ballo. È in cima, papà. Nessuno vuole avere problemi con chi è in cima, non al McKinley. A meno che non abbiano una valida ragione.”
“Kurt. Figliolo… ho sentito quello che la Sylvester ha detto in ospedale, d’accordo? Non penso che questo abbia qualcosa a che fare con l’ambiente scolastico. Solo perché è successo a scuola non vuol dire che…”
“È stato qualcuno della squadra di football. Tutti lo sanno, ci stanno ridendo sopra come se fosse tutto uno scherzo.” Gli occhi gli bruciavano di nuovo, ma Kurt ignorò la cosa con un moto di irritazione. “Hanno saputo di lui, lo so. Magari è stato lui a dirglielo. Ho continuato a dire ‘vieni allo scoperto’. Gli ho detto…” Chiuse gli occhi. “Gli ho detto ‘qual è la cosa peggiore che può succedere?’ e suo padre l’ha mandato fuori di casa e qualcuno a scuola lo sa e lui…”
“Calmati Kurt. Lo sai che niente di tutto questo ha qualcosa a che fare con il fatto che è stato picchiato, vero?”
Kurt sapeva cosa stava per dire ancor prima di esserne cosciente, ma non per questo si sorprese di meno delle sue parole. “Papà, non l’hanno solo picchiato. L’hanno stuprato.”
Si fermò, e improvvisamente rabbrividì come se fosse stato preso in pieno da una granitata gigante.
C’era una buona probabilità, realizzò in maniera assurda, che non avesse mai detto quella parola a voce alta. Mai.
“Kurt…” disse suo padre, con voce strozzata.
Gli occhi di Kurt erano spalancati. Il cuore stava battendo troppo veloce. Si posò una mano sul petto, guardando il parcheggio senza vederlo davvero. “L’ho visto,” disse, a voce bassa, e pensò alla differenza che c’era nell’ammetterlo con la Coach Sylvester e nell’ammetterlo con suo padre. “Aveva provato a coprirlo, ma uno degli asciugami si era spostato. L’ho visto. Tutto quel sangue, e…”
“Gesù Cristo”
“È stata colpa mia, papà. Era steso lì e c’era sangue dappertutto, e… l’hanno lasciato nudo sul pavimento, così la Coach ha dovuto coprirlo con degli asciugamani, ma uno si è mosso e io l’ho visto. Quando lei… quando sono entrati i paramedici. Mr. Schue mi ha detto di andarmene ma non potevo. Dovevo stare con lui, papà. Non potevo lasciarlo quando…”
“Sto venendo a prenderti, Kurt.”
“Non avrebbero voluto… anche se si odiavano l’un con l’altro, nessuno avrebbe voluto fare quello. A meno che non sapessero. Sono dei ragazzi, papà. Qualcuno della sua squadra. Più di uno. E loro…”
“Dove sei? Sei con i tuoi amici?”
“Cosa?”
“Kurt. Ascoltami.” C’era più forza nelle sue parole ora, come se si stesse mettendo in moto. “Devi trovare Finn, d’accordo? Mi stai ascoltando?”
“Finn?” Kurt scosse la testa, confuso. Stava ancora rabbrividendo. “Cosa c’entra Finn?”
“Adesso devi trovare Finn. Non mi importa dov’è, nemmeno se è in classe o meno. Devi trovarlo e stare con lui finché non arrivo.”
Kurt si accigliò, ma aveva già preso la borsa e si stava muovendo. Tornò indietro dalla porta dalla quale era uscito, ma poi si ricordò il motivo per cui aveva mandato un messaggio a suo padre ed esitò.
“Ha bisogno di un posto dove stare, papà. Quando uscirà.”
“Parleremo con i suoi insegnanti. Parlerò con suo padre. Farò tutto quello che vuoi, figliolo, se mi prometti di andare a trovare Finn adesso. Mi hai sentito? Trovalo, dagli il telefono e stai con lui finché non arrivo.”
Kurt si mosse attraverso le porte e i corridoi. Aveva resistito solo cinque minuti al bar con tutto quel rumore e chiacchiericcio, ma andò avanti perché suo padre glielo aveva detto. Camminò avvolto nella nebbia, ascoltando suo padre che attraversava velocemente il traffico attraverso il telefono. Attraversò le porte della mensa e si fermò al suono delle risate e del parlottio.
Vide la cresta di Puck e andò avanti. C’era un tavolo di visi familiari che lo guardavano, ma lui stava vedendo un’altra cosa. Si mosse verso Finn e gli tese il cellulare, rimanendo immobile.
Dopo un momento Finn prese il telefono, e lo guardò per vedere che non c’era nessuno in linea. Suo padre doveva aver attaccato per parcheggiare.
Finn circondò con un braccio Kurt e gli lanciò un’occhiata prudente, ma invece di stringerlo forte non lo forzò a fare qualcosa. Si girò verso Puck e andò avanti con quello che stavano dicendo prima. Disse perfino a Mercedes si lasciarlo stare quando lei chiese l’attenzione di Kurt.
A volte Kurt amava Finn così tanto da chiedersi come avesse fatto a vivere fino a quel momento senza un fratellastro.
Kurt capì in maniera distaccata, con una parte ancora coerente del suo cervello che non era quella che stava impazzendo, che avrebbe dovuto essere spaventato. Non c’era nulla di strano, in quello. Non aveva mai visto Mr. Schue così arrabbiato come l’altro giorno, e di certo non aveva mai visto la Coach Sylvester comportarsi a quel modo.
Cose come quelle non accadevano tutti i giorni. Magari in qualche parte del mondo sì, ma non a Lima. Non al McKinley.
Non si era sorpreso riguardo al perché la Sylvester stesse facendo da Mamma Orsa per uno studente che non le era mai piaciuto. La risposta era sul pavimento dello spogliatoio. Non aveva bisogno di chiedere come mai Mr. Schue fosse così furioso con il padre di uno studente. Per quello bastava un piccolo letto d’ospedale.
Quella era la verità nuda e cruda: poteva aver visto milioni di documentari su Stonewall, Matthew Shepard (**) e i tempi in cui l’AIDS era ancora chiamato il Cancro dei Gay, ma nessuno di quelli era stato reale quanto sentire il termine ‘frocio’ da una persona che voleva prenderlo in giro.
Niente era reale, niente, finché non lo si viveva. La morte nei film era fatta da controfigure e sangue al ketchup. I combattimenti più sanguinolenti diventavano Contenuti Speciali nei DVD, dove gli attori parlavano ridendo di quanto fosse stato divertente girare quelle scene. Stupro era un film di Jodie Foster. Stupro era Deliverance (**), grugnire come un maiale, e doppi sensi sul raccogliere il sapone nella doccia. E anche quando era serio, non era reale. Non era abbastanza vicino da essere reale.
Quello che era successo l’altro giorno era violenza e omofobia e stupro. Ed era reale. Era sul pavimento, e in una impronta sul muro che doveva essere ancora lì. Era una persona con una faccia, un nome, e del verde negli occhi che Kurt aveva visto a meno di un metro di distanza.
Kurt lo stava vivendo. Non come Dave, ma lo stava vivendo lo stesso.
Burt non disse molto quando arrivò a scuola. Portò fuori Kurt fin sulla macchina, e poi cominciò a guidare. Quando presero la strada diretta all’ospedale, senza che Kurt dicesse una sola parola, voleva fermarsi ed abbracciare suo padre. Ma rimase seduto a guardare l’ospedale entrare nella sua visuale senza muoversi.
Dave era stato spostato in una stanza, qualcosa di più simile a Scrubs della stanzetta del giorno prima, e dovettero chiedere un paio di volte in posti diversi prima di trovarla.
“Dobbiamo parlare,” disse Burt in tono grave non appena trovarono Sue Sylvester. C’era il cinquanta per cento di probabilità che suo padre volesse urlare contro la Coach per quanto suo figlio avesse visto sotto la supervisione di un’insegnante, e un altro cinquanta per cento dove Kurt supponeva che suo padre volesse parlare con lei riguardo dove sarebbe andato Dave una volta dimesso, come aveva promesso.
Con tutta probabilità voleva parlare di entrambe, in realtà.
Non che gliene importasse molto. Avrebbe preferito che suo padre saltasse la parte delle urla, ma se c’era una donna nel mondo che sapeva badare a se stessa quella era la Coach Sylvester. Dall’altra parte, non prestò loro più attenzione del dovuto. Supplicò la Coach con lo sguardo da dietro suo padre.
Lei gli indicò il corridoio. “317. Ti ho messo nella lista Vip, Porcellana, ti lasceranno entrare.”
Lui andò senza ringraziarla, ma sapeva che lei avrebbe capito.
Dave era sveglio. Sveglio e quasi seduto in uno di quei letti regolabili con un sacco di cuscini a sostenerlo. Aveva la testa ancora fasciata, e gli occhi erano ancora neri. Aveva una brutta cera, ma era comunque meglio di prima.
Kurt non era preparato a vederlo sveglio. Non sapeva cosa fare, o dire.
Dave lo fissò, gli occhi così brillanti in contrasto con la pelle scura attorno ad essi.
Kurt esitò sulla soglia, ma entrò e chiuse la porta dietro di sé. Si schiarì la voce, incerto. “Avevo pensato di portati dei fiori,” disse infine, provando a dare il solito tono leggero alla sua voce. “Ma mi era sembrato un po’ scontato.”
C’era una televisione sulla parente, che cominciò a diffondere il rumore di una risata come se il solo guardarla fosse stato un segnale d’inizio. Dave diede un’occhiata allo schermo. La sua mano raggiunse un telecomando e spense l’apparecchio. Le dita erano fasciate. Per le nocche, pensò Kurt. Magari si era rotto qualche osso. Era facile che succedesse, quando si faceva a botte, o almeno così aveva sentito dire.
Kurt riusciva a parlare. Si mosse, guardando Dave appoggiare il telecomando sul letto, vicino alle gambe. Dave non fece nessun movimento, e gli occhi erano ancora fissi sulla tv muta.
Kurt aprì la bocca e poi la chiuse. Si mise vicino ai piedi del letto mentre Dave non lo stava ancora guardando. Pensava di chiedergli come stesse, salvo realizzare non appena provò a formare le parole, quanto ridicole queste sarebbero state se le avesse pronunciate in quella stanza silenziosa.
C’erano un paio di sedie contro il muro. Una di quelle aveva la giacca della Coach Sylvester appoggiata sullo schienale. Kurt prese l’altra ed esitò prima di portarla vicino al letto.
Come si sedette, Dave parlò. “Mi meraviglio…” La voce gli uscì in un raspo roco, e si schiarì la gola.
Kurt attese, guardando il suo profilo.
“Mi meraviglio di come tu riesca a scoprire tutti i miei segreti.” Sorrise quasi, ma Kurt era abbastanza sicuro che quel movimento del labbro era dovuto a tutto meno che alla felicità o alla voglia di fare una battuta.
La Sylvester doveva aver già parlato con lui. Doveva già aver detto a Dave che Kurt era a conoscenza di tutto quello che era successo. Era un sollievo. Non c’era modo di essere brillanti in quel genere di conversazione, e Kurt non voleva nemmeno immaginare di dover essere lui a dirglielo.
“Non sapevo di tuo padre,” rispose calmo Kurt, appoggiando con leggerezza la mano sul lato del letto. Era un letto vero, almeno, e non qualcosa su cui Dave non poteva nemmeno sdraiarsi. “Almeno fino all’altro giorno.”
Dave fissò lo schermo nero del televisore. “Non ha…” si fermò, schiarendosi la voce. Si guardò le mani, coperte per la maggior parte da delle garze. Aveva le dita coperte da bende fino alle unghie.
Non finì di parlare. Lanciò un’occhiata a Kurt, ma fu solo quello e niente di più. I lividi sul suo volto lo facevano sembrare molto pallido, e il bendaggio che copriva gran parte dei capelli lo faceva sembrare quasi un estraneo.
“È venuto un ragazzo. Un poliziotto.” Dave continuò a fissarsi le mani, muovendo le dita bendate in modo assente. “Voleva che sporgessi denuncia, l’ha chiamato un crimine.”
“Tu…” Kurt sbatté le palpebre, perché non aveva realizzato che ci fosse una reale alternativa a chiamarlo un crimine. “Dovresti farlo.”
David deglutì. Si sdraiò contro i cuscini, lo sguardo verso l’alto. “Hanno fatto dei test. Per le prove. Hanno fatto qualcosa mentre ero qui. Ero svenuto, e non mi hanno nemmeno chiesto…” sembrava che stesse combattendo con emozioni contrastanti. “I poliziotti hanno detto che posso decidere dopo.”
“Dave.” Kurt lo chiamò.
Dave sembrava guardare oltre Kurt. I suoi occhi erano castani e vuoti, come spenti. Nessuna traccia di verde. Nessuna traccia di vita. “Cantami qualcosa. Fancy(***).”
“Cosa?”
“È quello che fai, no? Non è la soluzione di tutti i problemi per Schuester?”
“Sai…” Kurt trattenne il respiro. “Sai chi è stato?”
Dave sollevò di nuovo lo sguardo. Il volto si strinse, le labbra strette l’una contro l’altra.
Annuì.
Kurt espirò ed inspirò bruscamente, portando la mano vicina a quella bendata di Dave. Non voleva toccarlo – c’erano regole al riguardo, pensò, delle regole sull’avvicinarsi a delle persone ferite a quel modo? Non lo sapeva, ma era sempre stato una persona fisica ed era impossibile non allungarsi verso di lui.
Dave si tese, gli occhi chiusi. Girò la testa di lato, dall’altra parte rispetto a Kurt, ma le dita lo raggiunsero fino a quando non si sfiorarono, e l’intero letto tremò quando Dave singhiozzò.
Kurt aveva già pianto così tante volte. Inghiottì le sue emozioni e appoggiò il palmo su quello più grande e coperto di bende di Dave. Non riusciva a pensare a nulla di felice, quindi si schiarì la voce e cominciò a cantare di quello a cui riusciva a pensare.
"All around me are familiar faces, worn out places, worn out faces.
Bright and early for the daily races, going nowhere, going nowhere.
Their tears are filling up their glasses, no expression, no expression.
Hide my head I wanna drown my sorrow, no tomorrow, no tomorrow..."
Dave si portò l’altra mano al volto, nascondendosi quanto più possibile quando le lacrime cominciarono a scendere.
Le parole di Kurt scivolarono, il tono si abbassò, ma prese un profondo respiro e alzò anche la mano sinistra, prendendo quella di Dave tra le sue prima gentilmente, e poi più forte quando Dave sembrò aggrapparsi a lui.
Cantò, e forse non era la soluzione ad alcun problema, ma era quello che Kurt fece.
I find it kind of funny, I find it kind of sad;
the dreams in which I'm dying are the best I've ever had.
I find it hard to tell you, I find it hard to take.
When people run in circles it’s a very, very
Mad world...
Note di Traduzione:
(*) 'qual è la cosa peggiore cosa che ti potrebbe succedere?' è la traduzione del titolo della storia "The Worst That Could Happen".
(**) I documentari di cui parla Kurt si riferiscono ai Moti di Stonewall, una serie di violenti scontri che avvennero tra la polizia di New York e degli omosessuali che si trovavano in un pub chiamato "Stonewall Inn" nel Greenwich Village il 28 Giugno 1969. Mentre Matthew Shepard era un ragazzo picchiato e ucciso perchè omosessuale. Il processo contro il suo omicidio è diventato famoso in tutto il mondo e ha addirittura portato il presidente Bill Clinton a rinnovare di estendere la legge federale in materia di crimini per pregiudizio includendo individui gay, lesbiche e disabili, poi ufficializzata nel 2009 da Obama.
(**) 'Deliverance' è un film thriller statunitense del 1972, tradotto in italiano come "Un tranquillo Week End di Paura". Primo film in cui venivano mostrate delle scene in cui venivano stuprati degli uomini.
(***) Fancy è il tipico soprannome con cui Dave chiama Kurt, ma non si tratta di un insulto. Uno dei significati di "fancy" è 'completamente grazioso, intraprendente e carino", è inoltre un modo sofisticato per dire "gay" (Urban dictionary). Visto che per la serie TV la traduzione in italiano lascia un po' a desiderare e siccome non siamo riusciti a trovare un soprannome che ci soddisfasse come l'originale, abbiamo preferito lasciarlo in inglese.
La canzone che canta Kurt è Mad World di Gary Jules.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. ***
Beta Reader: Kurtofsky.
Un piccolo avvertimento, c'è un motivo per cui Kurt si comporta in questo modo con Blaine. Kurt è innamorato di Blaine, ma non può fare a meno di sentirsi come si sente noi confronti di Dave. Non può raccontare al suo ragazzo cosa sia successo a Dave perchè non sa nemmeno lui come reagire. Andando avanti con i capitoli verrà spiegato il motivo di tutto ciò nel migliore dei modi, come solo Lucy sa fare. Pazienza :)
Inoltre, per ora siamo propensi ad aggiornare due volte la settimana, il martedì e il venerdì.
Ah e ovviamente GRAZIE a chi ha letto e recensito :)
The Worst That Could Happen
- Capitolo 4-
http://www.fanfiction.net/s/7109340/4/The_Worst_That_Could_Happen
“Domani non vai a scuola,” disse Burt sulla strada del ritorno verso casa.
Kurt, che stava fissando le mani sul grembo, studiando le impronte rosse e sottili causate dalle mani bendate di Dave che le avevano strette forte, alzò lo sguardo. “Cosa?”
Burt strinse il volante, guardando dritto verso la stretta autostrada. “Non ci torni lì. Non fino a quando non prendono i ragazzi che hanno fatto tutto questo. E non è qualcosa su cui sono preparato a discutere con te, Kurt, quindi… non è un dibattito aperto.”
Kurt si accigliò “Ma ho… i test, e-“
“E loro hanno l’obbligo di mantenere gli studenti incolumi. Finché non si prendono le loro responsabilità, non me ne importa niente dei loro test.” Gettò un’occhiata Kurt. “Ho parlato con la tua coach. Ha detto che la polizia è coinvolta e Figgins sta già dominando la situazione, quindi non dovrebbe volerci molto. Ma se hai ragione, se hanno fatto così tanto male a quel ragazzo solo perché è gay, pensi davvero che ti manderò lì mentre sono ancora in giro?”
Kurt esitò. Fu quasi sorpreso che fino a quel momento non avesse effettivamente pensato a sé stesso come un bersaglio.
"Potevi essere tu, Kurt.” Burt guardava di nuovo fisso davanti a sé, e pronunciò quelle parole come se dal primo momento fosse l’unica cosa a cui avesse pensato. “Ora, non sarò capace di proteggerti da tutto quello che ti farà del male, ma sono piuttosto sicuro che quando nella tua scuola ci sono dei mostri che attaccano i ragazzi gay facendoli finire in ospedale, mi sia permesso tenerti lontano.”
Kurt studiò il profilo di suo padre.
“Vuoi discutere? Perché ora sono in uno stato d’animo davvero strano, ragazzo. Non posso prometterti che andrà bene.”
“No,” disse, guardando le dita di suo padre attorno il volante. Le nocche erano bianche, tanto stringeva forte. “Non discuterò.”
Burt annuì, ma non parlò.
Kurt non aveva pensato affatto a sé stesso. Non aveva pensato affatto che chiunque avesse fatto questo era ancora là fuori. Ed era strano: Kurt – che era conscio dei suoi difetti quanto dei suoi pregi – tendeva ad essere abbastanza egocentrico.
“Ti lascerò a casa” disse Burt all’improvviso, sempre fissando davanti a sé come se non potesse distogliere lo sguardo neanche per un momento. “C’è qualcosa che devo fare. Finn non sarà a casa prima di qualche ora. Ti va bene stare da solo per un po’?”
“Dove stai andando?”
Burt esitò. “Tu non vieni.”
Kurt lo guardò. “Papà. Dove stai andando?”
“Sto andando a parlare con Paul Karofsky.”
Kurt si abbandonò sul sedile guardandosi le mani, anche se le linee rosse erano tutte svanite. “Vengo anche io.”
“Cosa ho appena detto?”
Kurt pensò a Dave nel suo letto, al momento in cui Kurt aveva nominato suo padre, alla pausa che ci fu e che svanì prima che Dave cambiasse discorso menzionando il poliziotto che stava provando a convincerlo a presentare accusa. La confusione di Kurt persisteva – Paul Karofsky, che sembrava così comprensivo. Non sembrava che gli interessasse cosa fosse Kurt, aveva preso le sue parti andando contro al suo stesso figlio.
Kurt prese un respiro e annuì a sé stesso. “Vengo anche io.”
“Che diavolo-“
“Papà.” Kurt girò a sufficienza il sedile per poter guardare suo padre in faccia. “Lo capisco, okay? Vuoi proteggermi ma non hai potuto. Non da questo, quindi ora stai cercando di tenermi lontano da tutto il resto. Lo capisco, ma.. ma non puoi.”
Burt non batté ciglio. Diede un’occhiata allo specchietto retrovisore, mise le frecce e scivolò sul terreno fuori dall’autostrada, fermando la macchina ad uno stop.
“È troppo tardi,” iniziò Kurt prima che suo padre potesse dire qualcosa. “Sono coinvolto ora. Lo sono dal momento in cui l’ho visto su quel pavimento, e non puoi tenermi lontano dal sapere cosa sta succedendo o non sarò mai in grado di affrontarlo.”
Burt scosse la testa, lo sguardo malinconico.
“Non è colpa tua, papà.” Kurt si sporse, facendo cadere lo zaino sul pianale di fronte al sedile. “Forse Mr. Schue non avrebbe dovuto portarmi con lui in palestra ieri, ma non sapeva cosa stesse accadendo. Forse la coach Sylvester non avrebbe dovuto menzionarmi quando ha chiamato aiuto, ma era poco lucida e ha detto che Dave stava dicendo il mio nome.”
Deglutì, provando a non pensare a quella parte. C’era ben troppo nella sua testa su cui voleva sfogarsi, non poteva continuare ad aggiungere cose alla lista.
Ma aveva iniziato quella piccola discussione, doveva andare fino in fondo. “Dave aveva paura che dopo sarebbero venuti da me. Ecco perché ha chiesto di me. Non puoi prendertela con lui per questo. Aveva promesso che mi avrebbe tenuto al sicuro, papà, e..” Kurt scosse la testa, come per distrarsi.
Prese un respiro. “Sono coinvolto ora, e non è colpa di nessuno. Non posso aiutare Dave o anche solo sopportare ciò che ho visto, a meno che non sappia cosa sta succedendo. Ho bisogno di andare fino in fondo, e posso farlo. Posso gestirlo.”
Burt scosse la testa, ma un po’ meno veementemente. “Non so se potrò gestire te che gestisci tutto questo.”
Kurt lo guardò negli occhi e sorrise, un sorriso debole ma chiaro. “Sono forte, papà. Mi hai sempre lasciato essere forte. Non smettere adesso che ne ho bisogno.”
Ci fu una pausa. Burt si accasciò contro sedile, guardando accigliato la strada davanti a loro.
“Lo so che sei preoccupato,” disse piano Kurt. “Ma.. puoi aiutarmi a preoccuparmi per Dave per un po’, invece di preoccuparti per me? Anche se gli hanno fatto del male perché è gay come me, è comunque successo a lui. Non a me.”
Burt scosse ancora la testa, la mascella stretta, ma riaccese il motore e riportò la macchina in strada.
Un minuto dopo passarono l’uscita che li avrebbe portati a casa, e Kurt emise un piccolo sospiro e si distese.
“Ragazzo testardo..” Burt prese l’uscita imminente per ovunque dovesse svoltare per arrivare a casa Karofsky. “Ma resterai in macchina.”
Kurt esitò, ma annuì. Non era quello che avrebbe voluto, ma avrebbe capito di più in macchina che a casa. E le mani di suo padre stavano ancora tremando, quindi era forse un buon momento per accettare un compromesso.
Era una bella casa. Una campata larga, due piani, l’erba nel cortile tagliata perfettamente e una macchina nuova nel parcheggio. Kurt pensò di aver sentito da qualche parte che il padre di Dave era un avvocato, ma non ci avrebbe giurato. L’uomo guadagnava bene, era piuttosto chiaro.
Il padre di Kurt camminò dritto verso la porta e bussò così forte che Kurt lo sentì anche in macchina. Dopo un minuto la porta si aprì, e dopo un’altra pausa Burt entrò in casa. La porta si chiuse, e fuori cadde il silenzio.
Kurt raggiunse il suo zaino, dissotterrando il cellulare, e tornò a sedersi sul sedile.
Blaine, Mercedes, Finn. Di nuovo Blaine.
Sospirò e picchiettò il nome di Blaine.
“Kurt?” Blaine rispose dopo uno squillo, senza respiro.
Il senso di colpa attanagliò lievemente Kurt. “Ciao.”
“Dove sei? Mercedes ha detto che sei andato di nuovo via da scuola?”
Lottò contro il bisogno di roteare gli occhi –la preoccupazione era gradevole, davvero, anche se fuori luogo. “Non avrei mai dovuto darti il suo numero. Sto bene, Blaine. Papà è venuto a prendermi per andare via..”
“Andare dove? Kurt.. Sto cercando di essere paziente qui, ma..”
“Lo so. Mi dispiace. Solo..” Non poteva dire tutto a Blaine. L’ultima volta che gli aveva detto uno dei segreti di Dave, non era finita bene. Era quello il problema, non poteva dirgli qualcosa senza dirgli tutto.
“Hai ricevuto le mie e-mail? Su Karof-“
“Okay, aspetta.” Kurt prese un respiro. “Non parlare di Dave proprio ora, okay? Non è davvero.. non è un buon momento per quello, Blaine.”
“Bene. Allora dimmi cos’è successo così posso smetterla di speculare.”
“Gli hanno fatto del male.” Sicuro, giusto? Anche Finn sapeva solo questo. “È lui che hanno dovuto portare in ambulanza per ieri. Gli hanno fatto del male, ha bisogno di aiuto.”
Ci fu una pausa, e un sospiro corto e contenuto.
“Non hai letto le e-mail, vero?”
“Di che stai parlando?” Kurt guardò di nuovo la casa silenziosa. Non c’era modo per capire cosa stesse succedendo dentro quelle mura. Avrebbe dovuto essere più testardo sull’andare dentro con suo padre.
“Kurt. Guarda, ascoltami e basta. I ragazzi come Karofsky..”
“Blaine, ho detto-“
“Sono manipolatori, Kurt. Seriamente. Questo tipo non ha fatto niente di meglio che assalirti, sono sicuro che sarebbe capace di farsi del male se pensasse che questo attirerebbe la tua attenzione.”
“Ho detto di smetterla!” Kurt non aveva nessun diritto di prendersela con Blaine, quando era lui quello che gli stava nascondendo tutto. Non poteva arrabbiarsi. Se Blaine avesse saputo la verità sarebbe stato zitto, ed era Kurt quello che continuava a nascondergliela. Non poteva irritarsi. Non poteva dare la colpa al suo povero, preoccupato fidanzato.
Ma lo fece lo stesso.
“Ora basta, Blaine. Quando sei pronto ad avere una conversazione con me che non includa il tuo sparlare su Dave Karofsky, richiamami. Fino ad allora, puoi continuare a chiedere notizie a Mercedes.”
Questo fu tutto quello che disse e attaccò il telefono, lasciando che gli scivolasse sulle gambe, mentre fissava la casa.
Il telefono squillò, ma lo ignorò. Squillò altre tre volte prima che la porta principale si aprisse di nuovo –ancora Blaine, due volte Mercedes. Kurt poteva dirlo perché avevano entrambi due suonerie diverse. Erano le persone più importanti nella sua vita a parte suo padre, dopotutto.
Li ignorò, niente distolse la sua attenzione finché la porta non si aprì.
Burt aveva un grande borsa logora sulla spalla, e la sua faccia era rossa e arrabbiata. Si mosse attorno alla macchina e lanciò la borsa sui sedili posteriori, salì in macchina e accese il motore senza neanche guardare Kurt.
Kurt guardò la casa, ma non c’erano movimenti dentro. Nessuno guardava dalla finestra, nessuno alla porta.
Aspettò fino a quando non fossero sulla strada. “Cosa è successo?”
Burt scosse la testa, emise un lento respiro simile al fischio del vapore che esce da un bollitore. “Certa gente non ha il diritto di definirsi genitore.”
Kurt deglutì, sconcertato. Avrebbe voluto ribattere, inutilmente, che Paul Karofsky sembrava così gentile.
Non chiese nulla, perché quando suo padre era turbato da qualcosa in genere diceva a Kurt di cosa si trattava. Di solito lasciava almeno qualche indizio.
E lo fece, appena si addentrarono nel loro quartiere. Rallentò la macchina, guardando dritto la macchina di Carole nel parcheggio, che significava che non avrebbero avuto modo di parlare privatamente in casa. Fermò l’auto di fronte casa, spense il motore, e non si mosse.
Kurt si girò verso di lui, aspettando.
“Se mai..” Suo padre si strofinò il viso, quello sguardo oppresso che Kurt aveva visto troppo spesso. “Se mai ti ho fatto pensare che per me ci sia qualcosa al mondo più importante di te..”
“Non l’hai fatto. Mai.”
“Niente, Kurt.” Suo padre aggrottò le sopracciglia. “Né il garage. Né la casa. Neanche Carole, o Finn. Loro.. loro potranno diventare tanto importanti, ma niente per me è più importante di te. Non mi importa chi ami o cosa fai. Non mi importa se prendi e ammazzi qualcuno perché indossa le scarpe bianche dopo la Giornata dei lavoratori.”
Kurt avrebbe voluto sorridere, ma non ci riuscì.
“Sono tuo padre, lo capisci? Non devo approvare tutto quello che fai. Non mi devono piacere tutte le tue idee, o capire tutto quello che fai. Non importa. Sono tuo padre, tu sei mio figlio. Questa è l’unica cosa che importa.”
Kurt sapeva tutto questo. Aveva quel tipo di fede in suo padre che non aveva in niente e nessun altro al mondo. Avevano affrontato diverse brutte cose per arrivare dov’erano, e non aveva bisogno che gli ricordassero a che punto fossero.
Ma sapeva che suo padre non stava dicendo quelle cose per Kurt. Non aveva nulla a che fare con Kurt. Quello era suo padre che affrontava un altro padre che non aveva fatto le stesse scelte, e ne era completamente disorientato.
Kurt guardò la grande borsa logora sul sedile posteriore. “Solo perché è gay?” chiese piano, nonostante sapesse già la risposta.
Suo padre seguì il suo sguardo e sospirò. “Sembra quasi che il mondo intero debba andare nella tua stessa direzione, non è vero?" allungò la mano e la posò sul braccio di Kurt, poi aprì lo sportello e si spostò per prendere il borsone sul sedile dietro.
Kurt scese dalla macchina e afferrò lo zaino, infilando il telefono in tasca.
“Se ha bisogno di un posto,” disse suo padre muovendosi attorno la macchina, “abbiamo una stanza qui. Se è quello che vuoi, Kurt. Se ti senti al sicuro.”
Kurt annuì. “Non mi fa più paura, papà.”
Improvvisamente, era il resto del mondo sul quale era insicuro, non Dave.
Quando la mattina dopo Dave vide il logoro borsone spalancò gli occhi, ma se quella era sorpresa fece in fretta a scrollarsela di dosso. Si mise seduto sul letto maneggiando il telecomando per alzare di più lo schienale
“Non sei andato a scuola.”
Kurt sorrise più di quanto avesse voglia. “Sei un’ottima scusa per marinare la scuola.”
“Grandioso, possiamo farci bocciare insieme.”
“Solidarietà, fratello.” Kurt alzò solennemente il pugno. “Vai, Team Arcobaleno.”
Il piccolo e debole sorriso di Dave svanì presto. Fece un cenno alla borsa. “È stato qui?”
“No.” Kurt si mosse verso il letto e posò il borsone. Aveva esaminato diversa roba che suo padre aveva preso da casa di Dave e aveva lasciato i vestiti e diverse altre cose nella camera degli ospiti a casa. Aveva portato solo le cose che pensava potessero interessare ad un ragazzo imprigionato in una camera d’ospedale. “Abbiamo più o meno.. invaso casa tua? Ieri? Mio padre, almeno. Penso che sperasse di parlare..”
Dave chiuse la lampo della borsa. Grugnì. “Com’è andata?” Non si disturbò ad aspettare una risposta che già conosceva. Prese un iPod e delle cuffie, e questa volta il suo sorriso era quasi reale. “Oh. Grazie. Daytime TV è..”
“Soap-opera e Supermarket Sweep. Lo so, tragico.”
Dave appoggiò l’iPod sul grembo e non calcolò più il borsone. “Tu non gli hai parlato, vero?”
“A tuo padre? No. Papà non mi ha fatto entrare.”
“Probabilmente ha fatto bene.” Dave giocava con l’iPod, scrollando diverse schermate, ma i suoi occhi seguivano a malapena quello che stava facendo.
Era il momento per chiedere senza giri di parole, ma Kurt si sentì stranamente titubante quando parlò. “Tuo padre.. non mi sembrava così tanto omofobo. Prima.”
“Non lo è.” Dave non distolse lo sguardo dall’iPod. Le labbra si incresparono, ma era quel tipo di sorriso che dovrebbe avere un uomo di cent’anni. Stanco e amaro.
“Non capisco” disse Kurt piano.
“Vuoi un altro segreto, Fancy?”
“Io..” Kurt aggrottò le sopracciglia. “Non è quello che..”
“Certo che lo vuoi.” Dave sovrastò la voce di Kurt. “Ecco, non ti dirò proprio un cazzo su questo.” Stringeva ancora l’iPod.
Kurt lo studiò per un momento, ma prese il lettore esitante . “Cosa..?”
C’era una lista di playlist sullo schermo. Quelle standard Aggiunti Recentemente e Più Ascoltate, una chiamata Palestra, e proprio sopra quella, una chiamata Fancy.
Kurt sbatté le palpebre e guardò Dave.
Dave non lo stava guardando. Giocava con il laccetto degli auricolari, praticamente strangolandolo tra le mani.
Kurt provò a sorridere. “È qui che nascondi Gaga?”
Dave chiuse gli occhi. Scrollò le spalle, guardando verso la porta. “Il male alla testa mi sta uccidendo. Quella cazzo di infermiera doveva già essere qui.”
“Vuoi che ti chiami qualcuno?”
Ci fu una pausa. Dave strangolava quella corda bianca e sottile tra le dita bendate, si lasciò andare sul cuscino e chiuse gli occhi.
Kurt si sentiva come se non stesse seguendo abbastanza velocemente. Non aveva idea di cosa stesse accadendo nella testa di Dave. Era qualcosa che non avrebbe intuito neanche prima che succedesse tutto questo.
Guardò il suo iPod, e selezionò la playlist Fancy.
Non riconosceva nessuna delle canzoni. Non sembravano canzoni stile Gaga, questo era ovvio.
“Il dottore..”
Tornò istantaneamente a guardare Dave.
Dave fissava il soffitto. “Ha detto che mi avrebbero tenuto qui solo per 48 ore. Per la testa, in caso avessi subito un trauma cranico o qualcosa del genere. Non so come si fa a dirlo, però. Qual è la differenza tra un atleta stupido e un ragazzo che ha subito un trauma cranico?”
Kurt si appoggiò sul bordo del letto, sedendosi precariamente. “Sembra l’inizio di un indovinello. Comunque, non sei stupido. Tuo padre ha detto che prendevi buoni voti, giusto? E noi abbiamo una camera per gli ospiti.”
Dave lo guardò.
“Se è quello a cui stai pensando.” Kurt sorrise. “Insomma.. se vuoi. La Sylvester potrebbe avere una stanza o qualcosa, ed è stranamente preoccupata per te ora, ma..”
“Vero? Era qui stamattina, prima di scuola.” Dave tornò a guardarsi le mani, come se cercasse di buttare sul ridere la presenza di Sue Sylvester, senza riuscirci. “Perché dovresti offrire una cosa del genere?”
Kurt esitò. Non c’era una risposta a quella domanda che non comprendesse un flashback al pavimento degli spogliatoi.
“Dove eri andato a stare?” chiese invece. “Gli ultimi giorni?”
“Con..”
Dave si fermò improvvisamente. Il suo viso sbiancò. Le mani allentarono la presa sulla la cordicella sottile e sfilettata.
Lo stomaco di Kurt si strinse. Si tese in avanti. “Dave?”
Dave chiuse di nuovo gli occhi, ma non era il mal di testa a contrarre il suo viso. Il dolore che incideva i suoi lineamenti non era fisico.
Kurt allungò il braccio, toccando istantaneamente la sua mano. “Dave, cosa?”
“Z,” disse Dave, premendosi i palmi contro le tempie come se il suo mal di testa fosse appena peggiorato di parecchio. La sua voce era cruda. “Stavo da Z.”
Kurt afferrò il borsone e lo dispose sul pavimento prima che cadesse. Mise l’iPod sul letto. Venne sfiorato da un pensiero orribile mentre guardava il colorito di Dave svanire dal suo volto.
Non aveva idea di che tipo di relazione intercorresse tra gli atleti, ma sapeva che prima che Karofsky si rivelasse gay l’aveva visto raramente senza Azimio al suo fianco. Erano migliori amici. Anche le persone che non li conoscevano affatto, quelli che odiavano, come Kurt, anche Kurt lo sapeva. Nessuno si incasinava con uno dei due senza avere l’altro contro, o entrambi.
Lo sapevano tutti.
Dave poteva chiudere gli occhi e dare la colpa a un mal di testa, ma Kurt era stranamente sicuro di sapere cosa non andasse.
“Era..” Faceva male spingere fuori la domanda. “Era uno di quelli che..?”
“No.” Dave esalò un respiro. “Ma era uno di quelli che sapevano.”
“Sapere che cosa?”
“Di me.” Il respiro di Dave si fece più veloce, più rigido. Si fissò le mani, il groviglio dei fili delle cuffie. “Sono andato a stare da lui quando mio padre mi ha cacciato di casa. Gli avevo finalmente detto perché mi aveva cacciato di casa, e.. il giorno dopo..” Alzò lo sguardo verso Kurt, e c’era un tale dolore nei suoi occhi, maggiore di quanto gliene avesse mai visto per colpa di suo padre fino ad allora. Forse perché si era sempre aspettato che suo padre gli voltasse le spalle. “Era a scuola ieri?”
Kurt esitò. Le lezioni del giorno prima erano per lo più offuscate, ma era andato a Francese. E il banco affianco al suo era rimasto vuoto.
Scosse la testa, e se ne pentì quando Dave crollò portandosi le mani alla testa. Schiacciava le nocche contro la tempia come se stesse combattendo un dolore ancora peggiore.
“Ma..” Kurt parlava velocemente, e solo Gaga sapeva perché stesse provando a fare l’avvocato del diavolo per un ragazzo che l’aveva maltrattato per tutta la sua vita liceale. “Ma un branco di ragazzi non è venuto a scuola. Puck ha detto che tipo metà squadra non si è presentata.”
Dave grugnì seccamente. “Serrano le fottute fila. Cristo.”
Kurt aveva quasi pensato che Puck si stesse inventando tutto. Metà delle sue fantastiche storie erano inventate, lo sapevano tutti e a Puck stava bene che lo sapessero tutti. Ma questa non lo era, apparentemente.
“È una procedura fottutamente standard, come se questo fosse un.. uno scherzo del cazzo. E Z è..” Grugnì di nuovo, ma era debole e rotto, e iniziava a respirare un po’ più velocemente.
A Kurt non piaceva Azimio. Un bullo con del senso dell’umorismo era pur sempre un bastardo per il ragazzo che veniva umiliato. Non stava facendo l’avvocato del diavolo perché pensava che Azimio fosse un bravo ragazzo. Semplicemente non riusciva a guardare Dave andare in pezzi.
Parlava velocemente –troppo velocemente. “Ma è così, no? Se è normale per voi saltare la scuola solo perché qualcuno nella squadra dice di serrare le fila, non significa che sappiate cosa state aiutando a nascondere. Giusto?”
Dave si strofinò gli occhi, allontanando lo sguardo da Kurt verso il muro.
“Non significa che aveva a che fare con tutto questo. No?”
“È una cazzo di coincidenza, allora,” Disse Dave, la voce rigida. “Ha detto.. quella notte, mi stava scocciando e continuava, che mio padre è così fantastico e io dovevo aver fatto qualcosa di serio perché mi cacciasse di casa, e voleva sapere cosa. Ti copro le spalle, diceva. Cazzo!” Dave si sbatté i palmi sugli occhi, rabbrividendo. “Cosa c’è che non va in me?”
“È una domanda stupida,” Rispose Kurt, pacato e inquieto. Sfiorò il braccio di Dave, ma quando Dave sussultò al tocco la sua mano si ritirò di nuovo, e lui si congelò.
Cosa doveva dire? Cosa doveva fare? Non sapeva come affrontare tutto questo, come faceva ad aiutare qualcun altro ad affrontarlo?
Dave prese un respiro, affannato. Deglutì una volta, poi due, come se combattesse contro il bisogno di vomitare. “Se avessi ucciso qualcuno,” disse, la voce aspra dai singhiozzi a cui non voleva abbandonarsi, “Mi avrebbe aiutato a nascondere il corpo. Ma sono fottutamente gay, quindi all’improvviso ogni cazzo di giorno da quando avevamo otto anni non significa un cazzo. Come se fossi un estraneo. E il giorno dopo tutta la squadra lo sapeva , e hanno..”
La sua voce cedette, e con un verso di dolore si coprì la faccia con le mani bendate.
“Dave.” La voce di Kurt era patetica, a malapena udibile. Non riusciva a guardare Dave crollare in pezzi un’altra volta, ma stava succedendo, e se c’era una cosa giusta da fare in quel momento non sapeva quale fosse. Era un ragazzo di diciassette anni, lui non sapeva nulla.
Si mosse sul letto, sedendosi goffamente all’altezza della vita di Dave. “Dave, ti prego.” Allungò di nuovo il braccio, preparato ad un altro sussulto, un altro scatto, ma le sue dita sfregarono leggermente la manica della vestaglia di Dave, e strinsero lì, e si mossero per il braccio di Dave e lui non si allontanò.
“Non posso..” Dave respirava come se stesse affogando; ansimando, respiri acquosi. “Perché? Io non.. non capisco. Perché hanno fatto questo?”
“Ti prego..” Disse di nuovo Kurt, e non aveva idea di cosa stesse chiedendo fino a quando le braccia di Dave non si abbassarono e le mani di Kurt non tornarono al loro posto. E non aveva idea di cosa stesse implorando fino a quando Dave non cedette e si sporse verso di lui, e le braccia di Kurt lo circondarono attirandolo più vicino.
Quando i singhiozzi di Dave scossero Kurt invece del letto silenzioso, Kurt seppe che quello era ciò di cui aveva bisogno.
Non zittì Dave, né perse fiato mentendogli su come andasse tutto bene. Chiuse gli occhi e provò a concentrarsi sul suo respiro, a restare calmo e ad essere qualsiasi cosa potesse essere utile a Dave in quel momento.
Dave era probabilmente una decina di centimetri più alto di Kurt, con una quarantina di chili di muscoli in più, che Kurt non aveva. Ma mentre Kurt sedeva lì stringendolo, si sentì come se fosse lui quello forte tra i due. Come se senza di lui lì Dave si sarebbe sciolto sul pavimento sotto di loro.
Suo padre gli aveva sempre detto che era forte, e Kurt non l’aveva mai sentito così vivamente come in quel momento. O almeno nessuno ne aveva avuto così tanto bisogno.
Non sapeva cosa stesse facendo. Era solo un ragazzo, e stava affrontando cose ben oltre le sue esperienze. Sapeva come cantare canzoni sulle cose brutte, ma nonostante le insistenze di Mr. Schue sul contrario, non c’era una canzone al mondo che potesse aggiustare minimamente una cosa incasinata come quella.
Ma stringendo Dave sentiva quella forza che suo padre vedeva in lui, e sapeva di potercela fare. Non sarebbe stato perfetto, sarebbe stato solo.. forte, e qualsiasi cosa buona che avrebbe fatto sarebbe dovuta essere abbastanza.
Dave si addormentò con delle tracce umide sul viso e le dita strette forte alla maglia di Kurt. La presa si rilassò quando si addormentò.
Kurt non andò via. Si spostò sulla sedia affianco al letto, ma la sistemò più vicino facendo in modo che potesse raggiungere Dave facilmente se ne avesse avuto bisogno.
Stette seduto per un po’, guardandolo, sentendosi affranto e devastato e stranamente snervato. Il bisogno di fare qualcosa lo divorava in silenzio. Ma non voleva lasciare Dave, quindi prese il suo ipod per abbattere quei pensieri e infilò gli auricolari nelle orecchie, e trovò una canzone a caso da ascoltare nella playlist Fancy.
La voce era familiare, ma la canzone no. Una chitarra, una batteria, e una voce sottile e tesa. Kurt si aspettava un favoloso mix di canzoni da ballo o qualcosa del genere –che cos’altro avrebbe potuto mettere Dave in una playlist chiamata in onore di Kurt? E non riusciva a capire cosa c’entrasse quella canzone con lui finché non zittì i suoi stessi pensieri abbastanza da ascoltare il testo.
It's just you and me against me
One, I get the feeling that it's two against one
I'm already fighting me, so what's another one?
The mirror is a trigger and your mouth's a gun
Lucky for me, I'm not the only one.
Lo spense.
Suo padre un tempo gli diceva di non ascoltare le conversazioni delle persone a meno che non si sentisse pronto a sentire brutte cose, e quella era una cosa troppo simile. Non voleva saperlo –cosa Dave pensasse di lui, o come l’avesse fatto sentire.
Erano dannatamente recenti i tempi in cui Dave era solo Karofsky. Solo un altro bullo della squadra di football, un violento ‘caso non dichiarato’, e poi.. solo un ragazzo miserabile la cui intera vita era stata una farsa. Tutte queste fasi che Karofsky aveva attraversato sembravano addossarsi nella testa di Kurt, ma per tutto il tempo Kurt stava vedendo solo questo piccolo pezzo di maschera, non lui. Neanche una volta lui.
L’idea gli bruciava dentro, perché c’erano persone al mondo che avrebbero dovuto conoscere Dave per quello che era. Suo padre, il suo migliore amico. Quelle sarebbero dovute essere le persone su cui Dave poteva contare, non Kurt. Non qualcuno che lo faceva sentire come quella canzone.
Kurt aveva visto l’odio negli occhi di Karofsky in tutte le fasi della loro drammatica relazione. Non riusciva a sopportare l’idea che ci fosse dentro con tutte le scarpe questa volta. Che Kurt, che era un estraneo tanto quanto Dave era un estraneo per lui, fosse l’unico che era lì per lui. Casa di Kurt era l’unico rifugio che gli avessero offerto, e le persone che avrebbero dovuto conoscere Dave per quello che era avevano invece preferito quel Karofsky disgustato da sé stesso.
Quando lasciò il fianco di Dave fu solo perché non voleva svegliarlo.
“Porcellana. Che c’è?”
“Ho bisogno di un’informazione.” Parlò a voce bassa al telefono, nonostante l’infermiera avesse messo nella flebo di Dave qualche tipo di medicina che rendeva il suo sonno ancor più pesante.
Coach Sylvester esitò solo per un momento. “Che tipo di informazione?”
“Mi serve un indirizzo. Può cercare uno studente per me?”
“Stai per fare qualcosa di ridicolmente stupido, raggio di sole?”
“Probabilmente.”
“Voglio sapere di che si tratta?”
“No.”
Un’altra pausa, ma non lunga. “D’accordo. Continua.”
Note di Traduzione:
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. ***
Beta Reader: Kurtofsky.
Grazie infinite a chi ha messo la storia tra i preferiti, TWTCH è entrata nelle storie più popolari :) Grazie :)
Happy Glee Day everyone! :)
The Worst That Could Happen
- Capitolo 5 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/5/The_Worst_That_Could_Happen
Ufficialmente Kurt aveva lasciato il suo armadio a sedici anni.
In realtà, qualsiasi armadio in cui Kurt si fosse nascosto doveva per forza avere le pareti di vetro, dato che secondo la maggior parte dei suoi conoscenti era il peggior nascondiglio della storia.
La sua carriera da gay dichiarato, quindi, andava avanti da un anno e qualche mese, ma, fin da quando ricordasse, era stato sempre deriso, disprezzato e picchiato per la sua sessualità.
La ragione per cui si era soffermato su certi pensieri era perché, quando la sua macchina si era fermata nel punto in cui segnava il GPS, si era ritrovato in una strada piena di sistemi d’allarme a cui era abituato a far fronte con disprezzo fin da quando era un bambino.
I bulli dovrebbero essere poveri, ignoranti. Dovrebbero odiare Kurt perché semplicemente non sanno fare altro. Come gli scimmioni. Kurt aveva speso ore ed ore nei suoi anni di scuola a costruire ed indovinare le vite delle persone che lo odiavano. Certe patetiche, certe orribili, altre ancora veramente malate, tutte immaginate per auto convincersi che l’odio avesse davvero un motivo, che quelle persone non fossero davvero cattive, ma semplicemente problematiche.
Dave Karofsky… bè, qualsiasi altro ragazzo gay, al suo posto, si sarebbe sicuramente domandato se dietro i suoi atti di bullismo non si nascondesse qualcos’altro. Quindi la storia di Dave rientrava sicuramente nei possibili scenari che la mente di Kurt aveva costruito. Era scioccante, sì, ma non impossibile.
Il posto in cui si ritrovò una volta sceso dalla macchina, comunque, faceva apparire il bel quartiere dove abitava Dave non più tanto bello. Iniziò addirittura a pensare che quelli che risiedevano lì avrebbero guardato con occhio critico il quartiere dei Karofsky. Enormi prati verdi la cui manutenzione era paragonabile ai campi da golf, entrate perfettamente asfaltate, soffitti a volta e scalinate a chiocciola.
Ogni tanto dimenticava l’esistenza di certi quartieri a Lima, e sicuramente quel giorno non si aspettava di guidare fino ad uno di quei posti, data la missione che aveva in mente. Ma era più che sicuro che la Coach Sylvester gli avesse dato l’indirizzo giusto, perché ancor prima di spegnere la macchina e di mettere piede a terra, una risata di scherno lo raggiunse.
“Oh cazzo, la regina delle checche è venuta a farmi visita. Qualcuno avrebbe dovuto avvertirmi, mi sarei messo i miei vestiti migliori!”.
Kurt avrebbe riconosciuto la voce di Azimio Adams ovunque, qualsiasi ragazzo del Mckinley ci sarebbe riuscito. Anche quando non stava puntando qualcuno, riusciva sempre a farsi riconoscere e aveva molta più personalità di qualsiasi altro bullo.
Kurt era sceso dalla macchina tenendo le chiavi strette in mano, in caso avesse dovuto tirare un pugno ed essere anche in grado di far del male all’altro ragazzo.
Azimio non indossava la sua letterman, cosa che colse Kurt di sorpresa: il giocatore di fronte a lui era solito indossare i colori del McKinley più di Dave. Quel giorno, comunque, indossava dei jeans ed una maglia nera che rendevano difficile credere che abitasse davvero in una di quelle case eleganti, ma si comportava come se fosse il Re del quartiere, e quello rendeva ovvio il fatto che vi appartenesse.
Con un ghigno sul volto si avvicinò a Kurt, inarcando un sopracciglio mentre lo guardava scendere dalla macchina. Kurt non riuscì a capire se dietro quel sogghigno ci fosse della cattiveria. Ma doveva esserci, o meglio, di solito c’era. Non notò alcuna espressione che tradisse i pensieri di Azimio e la cosa lo inquietò. L’odio nascosto era ancor più spaventoso di quello palese.
Azimio si era mosso, squadrando Kurt con aria sorpresa e divertita.
“Ora ti chiederò cosa diavolo tu stia facendo nel mio quartiere, principessa, ma non pensare che mi interessi la tua risposta. Non vorrei perdessi la tua testolina-“.
Furono quelle parole a riportare la mente di Kurt alla realtà, ancor prima che Azimio riuscisse a finire la frase. Quelle parole, quel ghigno, quel disprezzo a lui familiare. Kurt ci aveva convissuto per tutta la sua vita, ma il fatto che provenissero da Azimio gli fece immaginare Dave al suo posto.
E il pensiero di Dave bastò a riportare Kurt al motivo per cui si trovava lì.
Sbatté la porta ed affrontò Azimio, parlandogli addirittura sopra.
“Sapevi cosa stava per succedere?”.
Il sorriso di Azimio era più spavaldo che mai. “Come dice, sua altezza?”.
”Sapevi cosa stavano per fare?”. Non era il solito Kurt a parlare e, vista la mancanza di paura ed il modo in cui fronteggiava Azimio, era come se fosse lui il più grosso dei due.
Un sincero guizzo di curiosità, o confusione, attraversò il viso di Azimio.
“Dovrai essere più specifico, dolcezza. Conosco un sacco di persone e io-“.
“Bene”, rispose Kurt facendo un altro passo avanti, riducendo ancora di più lo spazio tra di loro.
Pensò a Dave, seduto da solo in un letto di ospedale. Sentiva ancora l’umido nel punto in cui Dave aveva pianto sulla sua maglia, anche se in realtà si era asciugata alcune ore prima. Sentiva ancora Dave tremare. Riusciva ancora vederlo disteso sul pavimento degli spogliatoi, con un braccio nudo e gli occhi vitrei e le unghie rotte mentre cercava di trascinarsi fuori da quell’inferno.
Kurt non incuteva timore, la sua corporatura era minuta, non era spavaldo, non era forte.
Ma per qualche motivo, mentre si avvicinava, il ghigno di Azimio svanì ed iniziò ad arretrare.
“Bene”, ripeté, mentre le sue mani si richiudevano a pugno. “Sapevi cosa stavano per fare a Dave quei bastardi?”.
“Dave?”, chiese sorpreso Azimio, come se non avesse mai sentito prima quel nome. “Tutto questo ha a che fare con quel cazzone di Karofsky? È un gay dichiarato da neanche dieci minuti e già voi checche fate gruppetto? Oppure-“.
“Silenzio!”. Il canto, si disse. Forse era stato il canto a fargli avere quel controllo sulla sua voce, sulle sue corde vocali. Non aveva mai parlato con quel tono prima di quel momento.
Azimio si era zittito immediatamente.
“Rispondimi!”, incalzò nuovamente Kurt, decidendo che avrebbe pensato più tardi a tutta quella situazione, e che sicuramente si sarebbe convinto di essersi immaginato tutto, perché non riconosceva nemmeno se stesso in quel corpo, in quel cervello. Non era lui a parlare attraverso la sua voce.
“Quando hai detto a quei bastardi che Dave era gay, sapevi cosa avrebbero fatto dopo?!”.
Azimio non rispose immediatamente. La sua fronte iniziò a corrugarsi, come se si fosse appena accorto che le cose che Kurt stava dicendo erano davvero importanti.
“Gli hai detto tu di farlo?”, chiese Kurt, quasi ringhiando. “Ti sei fatto quattro risate, dopo? Hai passato tu la voce di serrare le fila?”.
Il sorriso di Azimio sparì completamente, questa volta. Fissò Kurt allo stesso modo in cui lo fissava durante loro lezioni di francese, quando erano in coppia e Kurt parlava così velocemente che l’altro ragazzo riusciva a capire soltanto una parola ogni cinque.
Kurt annullò completamente lo spazio tra di loro, puntando un dito al petto del ragazzo più grande.
“Perché oggi sei a casa, brutto… brutto bastardo? Sai almeno cosa stai aiutando a coprire? Sai almeno perché lui è in ospedale?!”.
“Cosa?”
Il tono confuso di Azimio riuscì a far vacillare la furia di Kurt.
Azimio si ricompose e scosse la testa sbuffando come se stesse per ridere ma non ne fosse in grado.
“Di che cazzo stai parlando, signorina? A Karofsky non è successo nulla, probabilmente avrà fatto un incidente con il suo-”, ma le parole iniziarono a mancargli, ed anche nei suoi occhi passò una scintilla di comprensione. Scuotendo la testa ancora più forte, arretrò come se volesse andarsene, come se Kurt fosse riuscito davvero a spaventarlo, per una volta.
Azimio non sapeva. Davvero non sapeva. Da qualche parte nella sua testa Kurt avrebbe voluto esserne contento, rallegrarsi. Ma non era cambiato nulla. Magari Azimio non aveva accoltellato Dave alle spalle forte come credeva, ma aveva comunque conficcato un coltello.
Parlò ancora mentre guardava gli occhi di Azimio spostarsi di lato, come se si fosse perso in qualche pensiero, come se stesse cercando di ricordare qualcosa.
“Hai detto a tutta la squadra il suo segreto, no? Ti ha rivelato di essere gay, si è fidato di te, e tu…”.
Azimio scrollò le spalle. “Karofsky. Deve aver perso la ragione”.
“Aver perso la ragione?!”.
“Hey”, gli occhi del giocatore di football si fissarono di colpo su Kurt, “Non dirlo con quel tono. Lo conosco. È come un fratello per me, e lui non è un frocio. E che differenza vuoi che faccia? Sì, l’ho detto a qualcuno, ma-“.
“Hai detto loro di fargli del male? Gli hai detto di assalirlo in uno spogliatoio e…”
Uno scatto ed Azimio tirò fuori dalla sua tasca un cellulare, componendo subito un numero.
La rabbia di Kurt divampò di nuovo. “Hey! Ti sto parlando, metti via…”.
Bastò uno sguardo di Azimio per togliere di bocca le parole a Kurt.
C’era qualcosa di pericoloso sul suo viso. Qualcosa di oscuro, veramente spaventoso. Qualcosa di peggiore di qualsiasi cosa Kurt avesse mai visto nei corridoi del McKinley.
“Yo”, qualcuno aveva evidentemente risposto ad Azimio, ed il ragazzo, tenendo gli occhi fissi su Kurt, voleva delle risposte. “Cosa avete fatto? Smettila di parlare mentre sto cercando di farti una domanda”, una pausa, lo sguardo di Azimio diventò sempre più cupo, “Non mi avete mai detto per cosa diavolo stiamo serrando le fila”.
Kurt trattenne il respiro. Fissando il telefono si chiese se la persona all’altro capo avesse fatto parte o meno del gruppo che aveva ferito Dave.
“Fanculo il patto del silenzio, figlio di puttana”, il vocabolario di Azimio non era dei più immacolati nemmeno nei suoi giorni migliori, ma quel giorno era diverso, il suo tono diventava sempre più freddo minuto dopo minuto, “Avete detto di dover solo insegnare ad uno stronzo una lezione. Cosa cazzo significa?”.
Qualsiasi cosa avesse risposto la persona al telefono, qualsiasi cosa avesse sentito Azimio, generò un cambiamento nel ragazzo. Un cambiamento ben visibile, che tramutò la sua espressione fredda in qualcosa di completamente differente.
Non parlò più. Ascoltò la risposta a quella maledetta domanda e poco dopo mise fine alla chiamata.
Kurt non era sicuro di sapere cosa fare, ma soprattutto non sapeva se fosse davvero il caso di fare qualcosa. Era giunto fin lì furioso, era convintissimo che il suo umore sarebbe restato invariato, ma la verità era che in quel momento non sapeva come sentirsi.
“Hai detto che il mio migliore amico è all’ospedale?”, chiese Azimio spostando di nuovo il suo sguardo verso il cantante, “Quant’è conciato male?”
“Lo dimetteranno nel pomeriggio”, rispose, “ma sicuramente non perché sta bene”.
Azimio annuì con sguardo assente, guardò il suo telefono, la strada, e a Kurt parve che stesse finalmente mettendo insieme gli ultimi pezzi di quella storia.
“… E tutto perché ho detto agli altri che è un frocio”.
Kurt risentì nella sua testa le parole ditegli da Dave poco prima. “Sarebbe una stranissima coincidenza altrimenti, non trovi?”.
Azimio trasalì, in modo quasi impercettibile ma impossibile da non notare. “E io li sto aiutando ad uscirne puliti”.
“Sì, esattamente”. Kurt prese un respiro, sperando che in Azimio ci fosse qualcosa di più forte dell’odio nei suoi confronti. “Ma non far finta che ti importi o cose simili. D’altronde è un frocio, no? Se l’è cercata. Non è più tuo amico ormai, che differenza vuoi che faccia per te?”.
Gli occhi di Azimio si spostarono di nuovo, focalizzandosi su di lui, e Kurt riconobbe in essi una rabbia già conosciuta, ma che per una volta era felice di vedere. “Tappati la bocca, Hummel, non sai nulla sulla nostra amicizia”.
“So tante cose, Adams, ad esempio so che verrà da me quando verrà dimesso, perché tutte le altre persone della sua vita gli hanno girato le spalle”, sibilò Kurt.
“Fanculo! Se ne esce dal nulla con le sue cazzate e io dovrei pure-”.
“Cosa? Reagire come un essere umano? Ovviamente no, troppo difficile per te, vero?”.
“Fottiti, Dave è come un fratello per me”.
“No, lo era!”, rispose Kurt con tono più calmo, perché qualunque cosa fosse andato a cercare quel giorno, qualunque reazione avesse voluto ottenere, in quel momento la stava vedendo negli occhi del giocatore di football, “Ora le cose sono cambiate, no? Ora è gay!”.
“Allora è il mio fratello frocio, o quel cazzo che ti pare. Cercherò di convivere con questa stronzata, okay? Io e Dave l’affronteremo. È stato mio fratello per metà della mia vita, non smetterà di esserlo così facilmente. Mi ci vorrà del tempo, ma mi ci vuol del tempo per fare qualsiasi cosa”, i suoi occhi si posarono di nuovo su Kurt, “E il tuo lavoro qui è solamente dirmi per quale motivo ucciderò quei figli di puttana”.
Kurt esitò, riconoscendo la furia di Azimio, l’aveva già vista nei corridoi del McKinley, ma quella volta era certo non fosse rivolta verso di lui.
”Cosa gli hanno fatto”, domandò Azimio vedendo l’esitazione dell’altro ragazzo, “Cosa cazzo gli hanno fatto?”.
Kurt scosse la testa. No, non era compito suo raccontare la storia di Dave. Azimio sapeva già abbastanza e probabilmente avrebbe potuto immaginare per conto suo il resto, tutto dipendeva da quanto bene era a conoscenza delle persone coinvolte in quell’inferno.
“Lo aiuterai?”, gli chiese, la voce tremante.
Alcune parole incomprensibili lasciarono la bocca di Azimio mentre si allontanava da Kurt e la rabbia mutava la sua espressione. “Sa che lo farò”, aggiunse poi con voce più chiara, “Ma perché non mi ha chiamato?”.
Kurt si chiese se fosse davvero il caso di rispondere a quella domanda.
Ma la risposta gli arrivò direttamente da Azimio stesso che scosse la testa, mentre le sue mani si chiudevano a pugno e per un attimo Kurt pensò che avrebbe rotto il cellulare che ancora teneva stretto in mano.
“Merda. Perché non sono stato capace di tenere chiusa la mia cazzo di bocca”.
Si allontanò ancora di più da Kurt per poi girarsi e tornare sui suoi passi.
Kurt lo studiò, schiarendosi la gola prima di parlare. “Dirai alla polizia chi è stato?”.
Per un attimo Azimio lo guardò come fosse infastidito, ma durò solo pochi secondi prima che le parole facessero davvero effetto. “Aspetta. Ospedale ed ora polizia? Devono averlo conciato davvero male”.
“Già, l’hanno fatto”.
Azimio lanciò uno sguardo al suo telefono, fece un respiro e guardò l’altro ragazzo come se avesse appena preso la decisione più semplice ed ovvia di questo mondo. Forse lo era, pensò Kurt, sperava che lo fosse.
“Cazzo sì che dirò tutto agli sbirri. Sarò la più grande spia che la polizia abbia mai visto. Ma tu dovrai fare qualcosa per me”.
Kurt sospirò, ingoiando la sensazione di paura che sentiva in gola. “Cosa?”.
“Devi dire a Dave che non sono stato io, che non c’entro”, rispose Azimio, alzando subito una mano per fermare qualsiasi cosa Kurt avrebbe voluto rispondere. “Non sto negando di aver detto tutto io agli altri. Sono un uomo, mi prendo la responsabilità delle stronzate che faccio. Ma gli devi dire che qualsiasi cosa sia successa dopo… deve sapere che non sono stato io”.
Kurt annuì, perché era sicuro che Dave avesse bisogno di sentirselo dire più di quanto Azimio avesse bisogno di farglielo sapere. “Lo farò. Oppure… Potresti dirglielo tu?”.
“No, amico, ho ancora qualcosa di cui occuparmi. Se davvero è conciato come dici tu, allora non gli serviamo io e le mie stronzate sui froci intorno”, rispose Azimio studiando Kurt, “Presto, però. Diglielo. Presto”.
Kurt annuì, non riuscendo a capire se avesse voglia di sorridere o piangere.
Azimio si allontanò di colpo.
“Ora devo… Devo andare. Parlerò con i miei e mi farò portare in centrale. C’è, uh, c’è qualcun altro con cui dovrei parlare?”.
Kurt cercò il suo portafogli. Le mani tremanti mentre lo apriva, tirando fuori il biglietto da visita, che ancora custodiva, del poliziotto che aveva parlato a lui e alla Coach Sylvester il giorno prima, prima che lo lasciassero andare in ospedale. Lo porse ad Azimio che lo prese senza esitazione, mettendoselo in tasca.
“Grazie”, disse Kurt sottovoce, e quando si rese conto che ormai il confronto era giunto al termine si sentì stranamente nervoso.
Ma Azimio si incamminò verso la casa dietro di lui, e Kurt tornò alla sua macchina.
“Yo, Hummel”.
Guardò di nuovo oltre la macchina, trovando Azimio a metà strada, ancora fermo a fissarlo.
“Credevi fossi coinvolto in questa situazione”.
Kurt annuì, Dave l’aveva pensato, aveva pianto dopo averci pensato, e Kurt non poteva saperne di più di lui.
Ma non notò rabbia sul viso di Azimio dopo aver annuito. Ma qualcos’altro.
“Pensavi avessi buttato quel bestione di Karofsky in ospedale per essere un frocio, e sei venuto qui da solo per confrontarmi?”.
E in quel momento il nervosismo di Kurt aumentò. Perché, Santa Gaga, davvero Kurt l’aveva fatto. Quella stupida, stupidissima cosa che Azimio aveva appena descritto era davvero ciò che aveva fatto Kurt.
Il solito sorriso riprese il posto sul viso di Azimio e, anche se falso, quando parlò c’era davvero approvazione nella sua voce.
“Hai le palle più grosse di quanto pensassi. Cazzo, con delle palle così grandi dove le metti le ovaie?”.
E qualsiasi altro giorno quelle parole avrebbero indignato Kurt, ma forse per il sollievo, forse per esserne uscito vivo, quelle parole gli rubarono solo una risata.
Mentre guidava di nuovo verso l’ospedale, chiamò la Coach Sylvester. Mentre le raccontava che Azimio sarebbe andato alla polizia con i nomi di tutti quelli che avevano preso parte a ciò che era successo a Dave, lei sembrò quasi strozzarsi e gli urlò contro per il resto del viaggio su quanto era stato irresponsabile a pensare di poter affrontare una persona del genere per conto suo, chiedendogli se volesse venir ucciso, e soprattutto quanti barattoli di spray per capelli aveva dovuto respirare per renderlo così completamente ed irresponsabilmente stupido.
Per poi aggiungere che era fortunato che lei non avesse intenzione di dirlo a suo padre, e prima che gli chiudesse il telefono in faccia, Kurt poteva giurare di averla sentita chiamarlo per nome.
Kurt non si diede il permesso di pensarci più di tanto, di pensare a cosa sarebbe potuto succedere. Quello che aveva fatto, andare da Azimio… Era la cosa giusta da fare.
In ogni caso, decise, era meglio tenere Burt all’oscuro della sua pazzia.
Non sapeva nemmeno come lo avrebbe detto a Dave, ma in qualunque modo avrebbe dovuto farlo, lo aveva promesso ad Azimio.
Ma entrando nella camera di Dave, però, era sicuro di non volergliene ancora parlare. C’erano già troppe cose in sospeso e Dave, seduto sul letto ascoltando il suo iPod, sembrava almeno... a posto. Kurt non voleva rovinare quel momento, anche se il risultato delle sue parole avrebbe potuto essere positivo.
Ma quando Dave lo vide, si tolse le cuffie e si lasciò andare ad un piccolo sorriso. “Cosa ci fai qui?”.
Kurt scrollò le spalle. Tutto il nervoso che lo stava divorando svanì all’istante alla vista di quel piccolo sorriso. Tutte le cose che aveva fatto, tutti i rischi che aveva corso, avrebbe fatto tutto di nuovo.
“Sarai dimesso tra poche ore, no? Mio padre arriverà tra poco per firmare per farti uscire e tutto il resto, ho pensato ti servisse dell’aiuto per raccogliere le tue cose”.
Era una cosa stupida. E Dave non si lasciò sfuggire la debolezza di quella motivazione.
“Fancy. ‘Raccogliere le mie cose’ significa che devo sistemare quel coso”, indicò il suo iPod, “dentro quella cosa”, e fece un cenno con la testa verso la borsa sul pavimento. “Potrò anche essere conciato male, ma penso di poterci pensare da solo”.
“Quindi vuoi che me ne vada?”.
Dave rispose con torno fermo “No”.
Kurt incontrò i suoi occhi, cercando di non sorridere ancora di più, ma Dave distolse subito lo sguardo e poteva giurare di aver visto del rossore colorargli le guance.
Kurt era provato dalla giornata che aveva appena vissuto, dopo aver confrontato Azimio ed esserne uscito con la consapevolezza di aver fatto del bene, sapendo che Azimio avrebbe aiutato Dave, che presto i mostri che avevano messo Dave in una stanza di ospedale avrebbero finalmente avuto quel che meritavano. Era provato, sorrideva e si sentiva vittorioso, ma qualcosa in quel lieve rossore aveva toccato qualcosa di molto più profondo del suo umore.
Gli era piaciuto. Il rossore, lo sguardo che subito Dave aveva distolto. Gli era piaciuto tanto quando il primo timido sorriso a scuola.
Solo pochi giorni prima aveva pensato di essersi perso qualcosa di grande, perché non aveva mandato alcuna mail a Dave dopo quel primo scambio di messaggi, perché non aveva ballato con lui, perché aveva quasi obbligato un ragazzo palesemente terrorizzato a fare la cosa che più lo spaventava. Pensava di essersi perso qualcosa, ma…
Ma non era vero. Dave era ferito, sì, ma era ancora lì. Ancora vivo, e lui poteva parlarci. Poteva scrivergli delle mail se voleva, poteva guardalo arrossire.
Non aveva perso la sua chance, l’aveva solo rimandata più di quanto avesse dovuto fare.
“Tuo padre”, Dave gli lanciò un'occhiata, il rossore che già svaniva dal suo viso, “non posso credere che sia d’accordo, dopo tutto quello ho fatto”.
Kurt spostò la sedia che ormai considerava sua e sedette in modo composto. “Gli Hummel sanno perdonare”, disse, tirando fuori il cellulare dalla sua tasca prima che gli si confiscasse in un fianco. “E mio padre è…”, aggiunse con un sorriso, “dopo tutto quello che ha fatto per me, so che è il più comprensivo, il più generoso… Ma anche sapendo tutto questo, mi sorprende sempre ogni volta”.
“Già”, lo sguardo di Dave era tornato al suo iPod, “non faccio fatica a crederci. Nel senso… Qualsiasi altra persona in questo mondo mi avrebbe lasciato qui a marcire, ma tu no… Dopo tutto quello che ti ho fatto… Cazzo. Dev’esserci voluto un uomo fottutamente fantastico per crescere uno come te”.
La testa di Kurt si era alzata di scatto a sentire quelle parole, la bocca aperta.
Dave nel frattempo fingeva di intrattenersi con il menù del suo iPod, fissandolo come se di colpo fosse incredibilmente affascinato dalla sua playlist.
“Ti ho detto”, disse lentamente Kurt, tentando di comportarsi come se non fosse toccato da quelle parole più di tutto quello che in tanti gli avevano detto di suo padre, “che ti ho perdonato, Dave. Ho accettato le tue scuse, quelle cose ormai non contano più”.
“In realtà… Non l’hai fatto”
“Fatto cosa?”
“Accettare le mie scuse”, disse Dave guardandolo, “Quella volta, nei corridoi della scuola…”
Kurt annuì, perché quella non era una conversazione che sarebbe mai stato in grado di dimenticare.
Quella volta sapeva che Dave era infelice, non erano state le lacrime a sorprenderlo. Ma le parole, le scuse che non aveva chiesto… Quelle lo avevano sorpreso. Era stata la prima volta che Kurt aveva realizzato che Dave era davvero dispiaciuto.
Studiò Dave per un attimo. “Le ho accettate, invece”
“Hai detto… Hai detto che lo sapevi. Sapevi che ero dispiaciuto. E già quello significava molto per me. Ero felice che lo sapessi. Ma non era…”
“Bene”, Kurt raddrizzò la schiena, “Sistemeremo questa cosa, allora”
Dave si accigliò, ma un momento più tardi sembrò capire. Sorrise, debolmente e tristemente. “Mi dispiace, Kurt. Per tutto”
“Accetto le tue scuse”, disse Kurt in risposta, e anche se era intesa come una formalità, sentì qualcosa nel suo petto sciogliersi. Qualcosa che non aveva mai notato prima. Forse qualcosa che si era portato dentro per un bel po’ di tempo.
Si schiarì la gola. “Ti perdono”, aggiunse, e sentì un altro peso lasciarlo.
Dave sbatté gli occhi diventati di colpo lucidi e si lasciò andare ad un lento e profondo respiro, prima di tornare di nuovo al suo iPod. “Grazie”.
Per essere una ragazza silenziosa, Tina sapeva come far durare una conversazione via messaggi.
Quel giorno era partita a raffica a parlare delle prove del Glee. Su come il suo ragazzo avesse interpretato la sua canzone, su come avesse fatto sentire tutti più felici anche solo con i suoi movimenti di danza.
Blah blah blah. Kurt pregò di non risultare mai così assillante quando parlava di Blaine. Sperò comunque che, in quel caso, qualcuno lo avrebbe fermato.
Ma era bello sentirla così felice, quindi non la giudicò per far sembrare possibile che il senso della vita potesse venir spiegato tramite dei passi di danza.
A Kurt piaceva sentire Blaine cantare. Era più o meno la stessa cosa, no? Blaine era veramente talentuoso. Aveva carisma, era affascinante. E gli veniva naturale. Forse era un po’… appariscente, ma erano i gusti di Kurt a parlare. A Blaine piaceva cantare per la folla. Gli piaceva tenere il microfono in mano e sorridere e fare l’occhiolino e far andare in estasi le ragazze (e Kurt) tra il pubblico.
Quindi che c’era di male se lo stile di Blaine non era il preferito di Kurt? Era perfettamente normale che Kurt preferisse i momenti, che lo lasciavano a sempre a bocca aperta, in cui Rachel cantava e metteva se stessa nelle canzoni che sceglieva o le venivano assegnate. C’era differenza tra il diventare un personaggio ed esibirsi per la folla e, beh, lui era sempre stato un nerd del teatro… Le sue preferenze erano già ben chiare ancor prima di incontrare Blaine.
Non significava che amasse Blaine meno di quanto Tina amasse Mike. Era ridicolo. Aveva semplicemente passato lo stadio in cui vedere il nome di Blaine apparire sul suo telefonino lo rendeva raggiante. In quel momento era nello stadio in cui si domandava se anche qualcun altro potesse pensare che Blaine era un pochino… ruffiano mentre cantava, non che ci fosse qualcosa di sbagliato in quello.
Era quello che significava “sistemarsi” in una relazione.
Quello che stava facendo in quel preciso momento, leggere il messaggio “Avresti dovuto vederlo muoversi, Kurt, era come se le leggi della fisica non si applicassero al suo corpo” invece di rispondere a quello di Blaine… era la stessa cosa. Amava Blaine, non doveva per forza rispondergli.
C’era un silenzio confortevole nella stanza mentre sospirava e roteava gli occhi leggendo il messaggio. Dave si era appisolato un paio di volte per poi svegliarsi subito dopo, e quando era sveglio sembrava felice anche solo di stare sdraiato lì, nessuna distrazione che lo tenesse occupato.
Ecco, magari felice era proprio la parola sbagliata da usare.
Kurt aveva un piano per la serata – avrebbe aiutato suo padre a portare Dave in casa loro ed a sistemarlo, e poi si sarebbe barricato in camera sua ed avrebbe avuto l’attesa chiacchierata con Blaine su tutto quello che stava succedendo. Dopo avrebbe avuto un’altra tranquilla chiacchierata con Dave sul migliore amico che lui credeva di aver perso. Avrebbe portato tutti allo stesso punto, avrebbe eliminato tutto il dramma presente nelle loro vite.
E quello liberava il giorno seguente per occupazioni più allegre. Se Azimio avesse mantenuto la sua promessa di andare alla polizia – e in qualche modo Kurt sapeva che l’avrebbe fatto – allora significava che sarebbe potuto tornare a scuola prima del previsto. E forse anche Dave avrebbe potuto.
Il continuo scrivere di Tina venne interrotto da una telefonata, a cui Kurt rispose subito per evitare di svegliare Dave.
“Papà?”
“Hey, Kurt, volevo solo farvi sapere che sto arrivando. Ho finito un cambio d’olio più tardi del previsto, quindi ora sono imbottigliato nel traffico, ma dammi un’ora e sarò lì, okay?"
“Okay. Grazie, papà”
“Per aver il coraggio di andare in macchina alle cinque e mezza? Mi devi una cena, ragazzo, un ‘grazie papà’ non basta.”
Chiuse il telefono, passando mentalmente al setaccio le provviste nella loro cucina, pensando cosa avrebbe potuto preparare per cena.
La prima cena a casa di Dave. E, wow, c’erano un sacco di cose strane in quella frase, ma nello stesso tempo Kurt iniziò a pensare a tutte le sue ricette migliori, cercando di scegliere qualcosa di buono.
“Era tuo padre?”, chiese Dave girandosi sul fianco, sbattendo gli occhi pesanti dal sonno.
“Dovrebbe essere qui in circa un’ora.”
“Mmh”, Dave si strofinò gli occhi, “Fottute pillole.”
Il sorriso di Kurt si affievolì, senza però lasciare completamente il suo viso. Portavano spesso le medicine a Dave, ed un dottore gli aveva scritto una ricetta per poterne usare anche una volta arrivato a casa. Si aspettavano che sarebbe stato male per un bel po’.
Non gli piaceva pensarci più di tanto. Per un paio di momenti in quella giornata era riuscito a dimenticarsi che si trovano lì per un motivo, ed il motivo era che Dave era ferito, più ferito di quanto la sua pelle mostrasse. Per un momento si era permesso di pensare che fosse un’uscita. Un’uscita silenziosa, ma pacifica, perché erano amici o qualcosa di simile.
“Merda”, disse Dave di colpo, più chiaramente.
“Cosa?”
“Queste pillole mi rendono strano. Dirò qualcosa di stupido e tuo padre mi strozzerà”, disse con tono serio, come se avesse appena proclamato la più probabile delle previsioni.
Kurt rise. “Smettila di preoccuparti di mio padre. Non sei più il nemico, nemmeno per lui.”
“Le sue mani andranno dritte alla mia gola”, rise anche Dave, ma era una risata dovuta alle medicine più che per divertimento.
Kurt roteò gli occhi e prese in mano il telecomando del letto, premendo il tasto che fece alzare il letto di Dave, per farlo stare dritto.
“Pensi che si arrabbierà se ti chiamo Fancy? È un’abitudine dura a morire”
“Ne dubito”
Kurt a volte si domandava come mai non avesse capito prima che Dave era gay, dato che gli aveva dato un nickname che a malapena era un insulto. “Potrebbe addirittura piacergli!”
“A te piace?”
Kurt lo guardò, alzando un sopracciglio.
Dave grugnì e agitò la mano come per far dimenticare a Kurt quello che aveva appena detto.
“Merda, ignorami. Sono abbastanza sveglio per rendermi conto di quando io sia imbarazzante”
Kurt soffocò a forza una risata e rimise il telecomando sul lato del letto di Dave, vicino alla sua mano.
“Bè, in caso questo sia un problema di ‘in vino veritas’, posso prometterti che sopravvivrai a questa notte anche se dirai qualcosa di stupido.”
Dave fece un’espressione corrucciata. “In vino veritas, ma chi parla in questo modo?”
“Io, a quanto pare”, riprendendo il telefono in mano, pronto per perdersi di nuovo nel rispondere ai messaggi nel caso Dave avesse deciso di fare lo stizzoso, “E' latino. Significa-“
Dave gli lanciò uno sguardo e Kurt, sospirando, decise di lasciar perdere.
“Plebeian”, e si porto il cellulare davanti al viso.
“Significa ‘nel vino è la verità’. Questa è la traduzione letterale; in pratica significa che pensi che sono segretamente terrorizzato da tuo padre e che io lo stia ammettendo perché sono così fatto da non riuscire neppure a tenere gli occhi aperti. Non sono uno stupido idiota solo perché non vado in giro a infilare parole in latino nelle mie conversazioni, Fancy”.
Dave alzò il sopracciglio, sembrando fin troppo ironico per una persona sotto gli effetti delle medicine.
“Conosco pure il significato di ‘plebeian’, snob.”
Kurt sbatté le palpebre, ma mentre Dave si lasciava andare ad una risata, si aggiunse anche lui.
”Bene, bene. Tuo padre era serio mentre diceva che eri segretamente intelligente!”
E tutto d’un colpo il buon umore era sparito.
Kurt lo guardò svanire davanti i propri occhi, e li chiuse per un secondo mentre mentalmente si rivolgeva degli insulti.
Dave sospirò dopo un momento e si mise seduto.
“Sa almeno dove sto andando? Intendo… Tuo padre gli ha detto qualcosa?”
“Probabilmente”, Kurt chiuse il suo telefono e lo rimise in tasca. Non era così egoista da scrivere ad i suoi amici mentre Dave era seduto vicino a lui con questi pensieri in testa.
“Dovrei… Dovrei dirlo a tuo padre. Magari pensa sia temporaneo, o cose simili… Ma mio padre non mi lascerà tornare a casa. Dovrei sapere quanto tuo padre mi lascerà stare da voi, in modo da poter cercare un altro posto…”
Kurt sospirò, ma senza rassicurare Dave. Aveva come la sensazione che Dave avrebbe creduto a quelle rassicurazioni solo se fossero uscite dalla bocca di Burt.
“Non capisco”, disse invece, “non capisco proprio dove sia il problema.”
“Chi, mio padre?”, Dave scosse la testa, “Quanto tempo hai?”
Sembrava una domanda senza bisogno di una risposta, ma, dopo aver osservato Dave per qualche momento, decise di rispondere lo stesso. “Non vado da nessuna parte.”
Lo sguardo di Dave si spostò su Kurt, mentre la sua espressione si ammorbidiva, diventando meno guardinga, più confusa. Scosse la testa e l’amarezza tornò.
“Mio padre è un idiota che non riesce a smettere di cercare di impressionare i suoi amici del golf impegnati nella politica. Può sembrare una persona ragionevole, ma è solo un ipocrita che non sa far altro che criticare”, e Dave, guardando Kurt, sembrava sorpreso dal fatto che lui stesse ancora ascoltando, senza interromperlo. In attesa che continuasse.
“Avevi detto che non era un omofobo”, lo incoraggiò Kurt.
Dave rise amaramente. “Ovviamente non lo è. È così fottutamente liberale e aperto di mente. Fagli notare che c’è un gay pride nelle vicinanze e lui tenterà sicuramente di salire su uno dei carri”. Esitò solo un attimo prima di guardare Kurt con una determinazione che sembrava guidarlo a dire di più. “L’unica cosa che abbia mai voluto era che fossimo una fottuta famiglia perfetta. Una piccola famiglia perfetta da cartolina. La moglie a cucinare, le figlie dolci ed adoranti. E io sono il figlio, devo essere l’eroe della scuola, con la letterman e tutte le ragazze a lottare per me. Devo entrare alla Columbia, fare legge e seguire le sue orme. Rendere il vecchio orgoglioso”.
Scosse di nuovo la testa, il tono della sua voce faceva capire che questi sentimenti erano ormai familiari per lui. A quanto pare Dave aveva pensato a suo padre molto, ultimamente.
Kurt, che aveva guardato ogni cambiò di espressione del padre quando aveva fatto coming out, capiva perfettamente come si sentisse Dave. Lo studio ossessivo, e il pensiero di tutte le cose che il padre avrebbe potuto dire sui gay prima che sapesse che era uno di loro, tutte le cose che avrebbe potuto dire su chiunque fosse stato diverso da lui.
“Nel suo mondo non possiamo essere omofobici, perché questo disturberebbe alcuni suoi amici hippie. Ma questo sicuramente non significa che possiamo permetterci di essere gay”. Gli occhi di Dave fissavano il nulla.
Kurt invece restava in attesa. Affascinato, perché in quei pochi minuti aveva imparato più su Dave Karofsky che in tutti i mesi passati.
Era strano, ma sperava fosse intenso in senso positivo.
“È per lui che sono stato riammesso subito, sai”. La voce di Dave era diventata roca.
Kurt pensò per un attimo di mettere fine al discorso, di cambiare discorso, lasciare che Dave si rilassasse prima che venisse trasportato in un posto a lui sconosciuto. Ma pensando alle parole di Dave, decise di continuare. “Dopo la tua espulsione?”
“Sì. Mio padre si era comportato come se fosse felice della situazione, almeno davanti a voi e alla Coach, ma ha metà del consiglio scolastico nella rubrica del suo telefono. Stava parlando con loro ancora prima che arrivassimo alla macchina. E… non gli importava cosa fosse accaduto, era solo infastidito. L’avevo fottutamente umiliato facendomi buttare fuori dalla scuola”, fissò le sue mani come se fossero la cosa più interessante che avesse mai visto, “non ha urlato, niente, se n’è stato tranquillo. ‘Bene, Dave, sei contento? Hai umiliato me e la tua famiglia’.”
Dave si strofinò il viso, singhiozzando.
“Quel figlio di puttana è anche molto facile da umiliare. Mi ci sono voluti un sacco di anni per capirlo. L’ho umiliato scegliendo l’hockey invece che il football al primo anno. Non potevo essere solo un atleta, dovevo anche scegliere lo sport giusto. Mi ha rotto finché non ho deciso di cambiare. Ha smesso di rompere perché diventassi quarterback quando ha finalmente capito che nessun coglione come me avrebbe mai potuto conquistare quella posizione”, guardò di nuovo Kurt, “pensavi fosse una brava persona? Pensavi fosse dalla tua parte? Quando mi ha fatto riammettere a scuola, non ti ha nominato nemmeno una volta. Non ha nemmeno chiesto cos’avessi fatto, non gli importava nemmeno il perché. Ha soltanto detto che se non mi fossi dato una mossa e non avessi migliorato i miei voti avrebbe chiamato qualche amico dell’esercito e mi avrebbe mandato in Iraq o qualche posto simile”
Kurt sapeva già di avere il miglior padre che avrebbe mai potuto desiderare, ma ogni tanto qualcuno glielo ricordava senza che Burt fosse nei dintorni.
“E che ne è stato di…”, esitò un attimo, studiando l’espressione rabbuiata di Dave.
“Cosa?”, chiese Dave senza riuscire a guardarlo negli occhi, si lasciò andare ad una risata amara una volta capito quale sarebbe stata la domanda di Kurt. “Mia mamma s’è andata quando avevo dodici anni. Jen, mia sorella maggiore aveva deciso di mollare il college. Mamma sapeva che se lui l’avesse scoperto l’avrebbe uccisa. Per lui le donne devono avere gli stessi diritti, possono decidere per se stesse, ma non sua figlia”.
“Ti ha lasciato solo con tuo padre?”
Dave scrollò le spalle come se non fosse una gran cosa, ma c’era un tremolio nella sua voce che lo tradiva. “Non se n’è andata di punto in bianco. Ha chiesto il divorzio. Ha portato via Jen e Lori, l’altra mia sorella, e il giudice ha deciso che mio padre avrebbe dovuto tenersi il figlio maschio. Chi se ne frega. Quella stronza non chiama nemmeno. Si sono trasferite a Cleveland e mi ha spedito una cartolina di buon compleanno per i sedici anni quando io ne avevo diciassette, che si fotta. Credeva che sarei diventato una copia di mio padre”.
Si fermò di colpo, ridendo. “Cristo, aveva ragione, comunque. Era esattamente quello che ero diventato”.
Kurt si avvicinò al letto, cercando il contatto con Dave. L’aveva fatto altre volte prima di allora, non abbastanza da farlo diventare un gesto naturale, ma abbastanza da non far sussultare Dave.
Dave si irrigidì per un attimo, ma lasciò poggiare la sua fronte sulla spalla di Kurt e sospirò.
“Vuoi sapere un altro dei miei segreti?”
“Certo”, rispose dolcemente Kurt, “sto iniziando una collezione”.
Dave rise, lentamente. “La notte che venni espulso mi disse che sarei tornato a scuola il lunedì. Buona notizia, no? Invece io sono salito in camera mia e ho tirato fuori una bottiglia di vecchi antidolorifici di quando a dodici anni mi ruppi un braccio e…”
Kurt trattenne il respiro e non sembrava più in grado di respirare. Si girò molto lentamente per poter guardare meglio Dave. Lui gli regalò il sorriso più triste che Kurt avesse mai visto.
“Non ho nemmeno aperto la bottiglietta, okay? Ero troppo un codardo per anche solo provarci. Ma sono stato a fissarla per… per molto tempo e mi ha fatto sentire meglio. Sapere che era lì, capisci. Sapere che avevo un modo per uscirne. Quanto è fottutamente malato tutto questo? Ero stato riammesso a scuola come se nulla fosse successo e tutto quello che pensavo era che avevo un piano B per la prossima volta che le cose sarebbero andate... così male”.
“Dave, se mai…”, ma Kurt non riuscì nemmeno a finire la frase. Cercò contatto con Dave, le sue dita si posarono sulla sua spalla, e lo guardò negli occhi, non c’erano parole per dire quello che avrebbe voluto dire.
Dave scrollò le spalle. “Ho odiato me stesso per essere diventato come mio padre”, ammise, “ho odiato che abbia finto di essere il padre comprensivo, presente per il figlio problematico, che abbia messo a posto i miei problemi senza rendersi conto che ne stava peggiorando altri. Ero pieno di merda in quell’ufficio, lo so. Ma anche in quelle condizioni ho odiato che abbia ascoltato te, tuo padre e la Sylvester senza nemmeno chiedere cosa stesse succedendo. Era così arrabbiato con me per aver preso delle B che non ha speso nemmeno un minuto per far finta di essere dalla mia parte. E se nemmeno tuo padre ti copre le spalle…”
Si fermò di colpo, fissando nuovamente Kurt.
“Chi se ne frega. La cosa veramente malata è che anche ora, con la testa che mi esplode e le mie costole rotte e le spalle e anche… anche considerando… tutto il resto, tutto questo schifo che non sono ancora nemmeno pronto ad affrontare. Ecco, sono lontanissimo da quello che lui avrebbe voluto che fossi. A quei tempi ero in un posto peggiore di quello in cui sono ora. E questo è da pazzi, Fancy”.
Kurt annuì, perché era vero, era da pazzi, ma in senso buono. Almeno per quello che pensava.
Non aveva idea di come un padre potesse decidere di mandare un figlio lontano da lui, ma, di colpo, era incontrollabilmente felice che Paul Karofsky fosse un bastardo del genere.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. ***
Beta Reader: Kurtofsky
The Worst That Could Happen
- Capitolo 6 -
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"Signor Karofsky."
Sorpreso, Dave alzò lo sguardo. I suoi occhi superarono il dottore all'entrata e continuarono a muoversi come se aspettasse la presenza di qualcun'altro. Quando Kurt si accorse che stava cercando suo padre, il sentimento di rancore che stava nutrendo per quell'uomo crebbe nel suo petto. Come il cuore del Grinch alla fine dell'unico film di Natale decente mai esistito.
Dave realizzò in fretta di essere il signor Karofsky in questione, e la sua espressione di stupore svanì non appena il suo sguardo tornò sul dottore.
Il dottore era più vecchio, con i capelli grigi e di carnagione olivastra, una certa varietà mediterranea ma invecchiata molto bene. Sorrise a Dave, guardando a malapena Kurt. "Dovremmo rivedere alcune cose prima di lasciarti andare. Solo perché non sei più bloccato qui, non significa che ti rimetterai completamente." Si avvicinò e i suoi occhi si posarono su Kurt. "Ci concederesti alcuni minuti?" chiese, abbozzando un sorriso che rese le linee intorno ai suoi occhi più profonde.
Kurt esitò, spostando lo sguardo dal dottore sorprendentemente sexy per posarlo su Dave. "Potrei restare? Voglio dire, lui starà da noi. Potrei aiutare con.. le medicazioni o altro?"
Lo sguardo di Dave andò ovunque tranne che su Kurt. “ È tutto a posto, Kurt. Dammi solo un attimo."
Si sentì stranamente offeso mentre si alzava. Superò il dottore e si diresse verso la porta, esitando per un momento all'entrata nel caso in cui Dave volesse cambiare idea.
Ci fu silenzio finché il dottore non chiuse la porta dietro di lui.
Fuori, nel corridoio, rimase da solo, chiedendosi se avesse potuto origliare alla porta. Ma no, lui non era un bambinetto ficcanaso, e inoltre era anche una cosa assai strana l’essersi offeso perché Dave gli avesse chiesto di uscire mentre parlava con il dottore. A Kurt non era mai piaciuto che gli venisse detto di non essere l'esatto centro dell'universo, quindi forse era normale che si sentisse offeso.
Forse era solo un promemoria che gli ricordava che gli ultimi giorni erano stati una strana bolla lontana dalla realtà, e che stare seduto in una camera d'ospedale a messaggiare con Tina mentre Dave dormiva non rendeva lui e Dave amici. Non proprio.
Camminò per un minuto, avanti e indietro lungo una linea finché i suoi passi lo portarono alla fine del corridoio e sentì una voce familiare fuori dal gabbiotto delle infermiere.
Suo padre annuì con la testa mentre egli si avvicinava, occupato con delle scartoffie. "Ragazzi siete pronti?"
"Non ancora, il dottore voleva parlargli. Dave mi ha cacciato fuori." E ok, ora stava mettendo il broncio ed era semplicemente ridicolo.
Suo padre gli lanciò uno sguardo. "Sì, ok. Tu ti preoccupi sempre, figliolo. Se Karofsky ti conosce almeno un po' sa bene di non doverti far vedere quanto è messo male in realtà."
Kurt sbatté le palpebre.
Suo padre alzò un sopracciglio. "Forza, Kurt. A nessuno interessa sembrare forte più che ad un ragazzo della vostra età. Ne ho due sempre intorno, lo so per certo."
C'era una ragione più moderata rispetto a quelle che erano saltate in mente a Kurt in quel corridoio. Se la privacy era qualcosa che Dave voleva per sembrare più forte… era inutile, ma ammissibile.
Kurt sorrise immediatamente. scrollandosi di dosso il mite senso di indignazione per essere escluso. "Com'è andata al lavoro?" chiese avvicinandosi a suo padre, sorridendo all'infermiera dietro alla cassa che lo ignorò completamente.
"Com'è andata al lavoro?" Ripeté suo padre.
Kurt fece spallucce. "Ho voglia di parlare di qualcosa di normale e noioso per un po'."
"Uh huh." Diede le scartoffie, qualsiasi cosa fossero, all'infermiera e mise un braccio intorno alle spalle di Kurt, riportandolo alle sedie lungo le pareti. "Al lavoro tutto a posto, Kurt. Tranquillo. Ho staccato un paio d'ora prima, ho fatto qualche commissione. Per pranzo ho mangiato un'insalata e ne ho odiato ogni boccone."
"Buon per te!" Kurt sorrise a suo padre, ma il suo sguardo cominciò a strisciare di nuovo verso il corridoio. "Hai parlato a Carole riguardo a...?"
"Sì, le ho detto che un ragazzo della tua scuola ha bisogno di un posto in cui poter stare. Ho detto che era messo male e che non poteva tornare a casa. Questo è tutto quello che doveva sapere per essere d'accordo, ma…" Fece spallucce “È giusto che le abbia detto che cosa stava accettando"
Kurt percepì il sorriso nella voce di suo padre, e lo rese felice il fatto di essere stato il primo ad averli messi insieme. Anche se le sue motivazioni non erano state del tutto rispettabili.
Ma pensare a Carole lo fece pensare a Finn, e il suo sorriso svanì.
Finn sapeva già molto. Sapeva più di molti ragazzi al McKinley, anche se aveva tenuto la bocca chiusa a riguardo e non l'aveva detto a tutti. Ma lui non sapeva tutto. Non era a conoscenza delle cose che avevano reso Kurt così determinato ad aiutare Dave a riprendersi. Le cose che avevano convinto suo padre a lasciare che Dave venisse a casa con loro, e le cose che suo padre aveva sentito il bisogno di raccontare a Carole.
Finn almeno sapeva che Dave era gay, l'aveva sentito il primo giorno all'ospedale. Finn... non era un'anima complicata, sorprendente com'era, quindi forse quello sarebbe bastato per lui. Forse non si sarebbe domandato perché Dave fosse venuto a casa.
Kurt rifletté se chiamarlo, ma poi abbandonò l'idea. Con Finn a volte era meglio presentargli le situazioni così come venivano, anziché lasciargli il tempo di rifletterci su prima.
Sospirò e si spostò di lato, abbastanza da permettere alla sua spalla di sfiorare il braccio di suo padre. Era una sorta di piccola auto-indulgenza, un conforto. Un modo che gli permettesse di non pensare alla flebile speranza negli occhi di Dave nel momento in cui aveva pensato che suo padre avesse cambiato idea e fosse venuto a trovarlo.
Era anche, in un certo modo, un promemoria del fatto che Kurt non avesse mai dovuto provare quella momentanea speranza e la conseguente delusione.
Kurt si era chiesto ogni tanto, anche prima che quello succedesse e avesse dovuto provarlo su se stesso, cosa avrebbe fatto se suo padre avesse reagito alla sua confessione in un modo analogo. Blaine gli avrebbe detto che rimuginare su una cosa del genere era inutile. Non era successo, Kurt doveva essere felice e non pensarci più. Ma era difficile non mettersi nei panni di Dave, perché lui era passato per dove Dave era stato alcuni giorni fa. Nervoso, impaziente ed eccitato, finalmente pronunciando a voce alta parole che pensava non avrebbe mai detto. Raccontando i suoi segreti alle persone che voleva fossero le più orgogliose di lui.
Lui ci era passato, e il fatto che l'avesse superato senza che niente nella sua vita fosse diverso da com'era prima, con suo padre che roteava gli occhi e rideva di lui, e in qualche occasione lo guardava come se fosse di una strana specie aliena...
A volte lo dava per scontato. L'aveva dato per scontato con Dave. "Fai coming out," gli aveva ripetuto mille e mille volte, ogni volta che avevano avuto l'occasione di parlare. "Fai coming out. Sii libero, è facile!"
Ora si chiedeva se ci avesse creduto davvero. Aveva seriamente pensato che, solo perché suo padre lo aveva abbracciato e Mercedes lo aveva considerato prima possibile-fidanzato e poi amico-gay senza battere ciglio, per chiunque faccia coming out le cose siano così facili?
Suo padre l'aveva detto in maniera migliore, forse, in macchina durante il teso ritorno a casa dalla casa di Karofsky. "Ti aspetti che tutto il mondo abbia la mente aperta così come ce l'hai tu," aveva detto, o qualcosa del genere. E forse quello era il caso. Era stato così facile pensare che l'accettazione da parte di suo padre rappresentasse un punto di svolta nel mondo, e che tutti i papà avrebbero d'ora in poi seguito i suoi passi. Era facile prendersi in giro e pensare che quando Finn si era ripreso e aveva smesso di essere così imbarazzante con Kurt, quello significasse un avanzamento nella mente di tutti i ragazzi etero. Era così facile pensare al Glee club come se fosse la vita reale. Tutte quelle persone diverse, che si riunivano insieme urlando e graffiandosi a vicenda, alla fine erano solo una grande famiglia di disadattati tutti uguali, dove l'omosessualità di Kurt aveva poco conto così come il naso grande di Rachel.
Quando aveva realizzato che un ragazzo potesse ancora essere cacciato di casa solo per il suo essere gay, si era sentito come riportato indietro nel tempo di dieci anni. Voleva afferrare Paul Karofsky e scuoterlo, e dirgli che quel genere di problemi erano già stati affrontati, che ora andava tutto bene e come aveva fatto a perdersi quella notizia?
Forse, pensava tra sé e sé, fissando il corridoio che portava alla stanza di Dave, forse Kurt era troppo ingenuo per il proprio bene.
Probabilmente.
Dave si stava infilando le scarpe per uscire da lì, e Kurt stava tenendo la sua sacca sulla spalla, quando l'entrata della stanza fu riempita da una presenza.
Kurt stava divagando, nel tentativo di far sorridere Dave, su come fosse stato completamente disilluso dagli show televisivi, gli avevano fatto pensare che chi stava in ospedale venisse portato fuori in sedia a rotelle da una simpatica infermiera, quando improvvisamente lo sentì. Degli occhi stavano scavando il retro del suo collo.
Si girò, accostandosi a suo padre, ma fu - sollevato? Forse? - quando vide che era la Coach Sylvester.
Se ne stava lì a riempire la porta con il suo metro e ottanta di tuta, tenendo le braccia incrociate sul petto mentre Kurt la guardava. "Ehi. Knuckles."(*)
Dave alzò lo sguardo dai lacci delle sue scarpe - Burt glieli aveva dovuti portare, i vestiti e le scarpe, e Kurt non riusciva a pensarci perché l'avrebbe collegato col fatto che quando Dave era arrivato in ospedale non aveva ne vestiti né scarpe - e si sistemò quando vide chi gli stava di fronte.
"Ehi, Coach Sylvester," disse, e il sorriso che comparve sul suo volto era l'ombra del vecchio sorriso schivo che Kurt ricordava così affettuosamente.
Si incamminò nella stanza, lanciando il suo sguardo verso Kurt e suo padre e trovandoli totalmente privi d'interesse per essere notati. Andò dritta verso la sedia dove Dave stava piegato sulle sue scarpe, sorvegliandolo come se sperasse di sorprenderlo nel nascondere di aver fatto qualcosa.
Kurt negli ultimi mesi aveva visto lati di Sue Sylvester di cui non aveva nemmeno sospettato i primi due anni al McKinley, ma era sul punto di essere colpito un'altra.
"Lascia che ti spieghi una cosa, Knuckles," disse, imperiosa come sempre. "Ho un metodo, okay? Un metodo che ha funzionato maledettamente bene per me nelle ultime decadi. Sai qual è il fondamento di questo metodo? Che Sue Sylvester è l'unica persona a questo modo che conti. La gente mi definisce crudele? Non sono crudele, sono del tutto indifferente, perché non esiste nessuno in quest'universo, vivo o morto, che sia anche solo lontanamente interessante perché io me ne voglia preoccupare."
Kurt lanciò uno sguardo a suo padre e vide la stessa incertezza che Kurt stava iniziando a sentire.
La coach gli porse una mano e Dave la prese senza indugiare, lasciandosi aiutare ad alzarsi in piedi. Lei si mise una mano nella tasca della tuta e tirò fuori qualcosa, qualcosa che lui prese senza nemmeno guardare.
"Ora," disse lei in modo calmo. "Non esiste che uno smanioso atleta un po' troppo cresciuto riesca a far fallire il mio metodo. Quindi prendi questo numero e mettilo in quel rasoio elettrico super accessoriato che usi come cellulare e diamine se lo userai quando ne avrai bisogno. Me lo devi promettere, Lurch (**), e non accetterò un no come risposta. Devo essere capace di vivere la mia giornata senza fregarmene minimamente di un'altra anima viva e questo vuol dire che non posso sprecare le mie energie chiedendomi se hai bisogno di qualcosa che non stai chiedendo, capito?"
La tensione di Kurt se ne andò, ma era sicuro di avere la bocca così aperta che le sue tonsille potevano sentire un venticello.
Dave non sembrò sorpreso, e Kurt si ricordò di avergli sentito dire che lei era venuto a trovarlo almeno una mattina per controllare che stesse bene. All'improvviso desiderò ardentemente di esserci stato, proprio come una mosca sul muro: invisibile.
Le mani di Dave si chiusero su quello che Kurt si accorse essere un semplice pezzo di carta. Un pezzo di carta con sopra scritto il numero di Sue Sylvester. Sbatté le palpebre con occhi stranamente brillanti e si schiarì la gola. "Capito, Coach."
La Coach lo guardò. "Knuckles."
Dave abbozzò un sorriso, piccolo e storto e come aveva fatto Kurt a non accorgersi quanto adorabile poteva essere ogni tanto? "Mi scusi, volevo dire... Lo prometto, lo userò se ne avrò bisogno."
Lei restrinse il suo sguardo su di lui, ma girò sui tacchi senza dire un'altra parole e si diresse verso la porta. Si fermò quando si accorse che Burt stava lì in piedi con le chiavi della macchina in mano.
"Lei."
Era un po’ teso, come la maggior parte delle persone non abituate ai modi di fare della Coach.
Lo guardò e poi cambiò idea. "E' un buon padre. Tenga sempre d'occhio i suoi figli. Ognuno di loro." Lo guardò intensamente, rendendo chiaro che se lei fosse uscita da quella stanza e avesse lasciato Dave nelle sue mani, allora sarebbe stato maledettamente meglio se avesse iniziato a contare Dave come uno di loro.
Burt aprì la bocca per rispondere, ma lei non si preoccupò di aspettare. Se la svignò dalla stanza; l'Uragano Sylvester pronto a colpire la prossima spiaggia. Lasciando molti meno casini di quanti non ne facesse di solito.
Non che Kurt non sapesse già che fosse capace di provare alcune tra le più semplici emozioni umane. Quando ci pensava attentamente, le volte in cui era stata sorprendente e sincera e quasi gentile avevano ormai raggiunto quelle in cui, come Puck aveva detto una volta, un gran pezzo di stronza.
Era divertente pensarci, siccome lei era il crudele dittatore a capo delle Cheerios e aveva sempre agito come se gli sfigati del Glee le avessero fatto un torto per il fatto stesso di essere sfigati. Considerando tutto questo, era divertente accorgersi che era stata al massimo della sua gentilezza con le persone che erano senza forza. Sua sorella, e Becky Jackson, e per quando lei prenda in giro Kurt era da quando lui era stato disperato e spaventato e in serio bisogno di aiuto che lei era diventato il suo mito.
Giocava con le stupide caste sociale del liceo ed era malevola a riguardo, divertendosi nell'esserlo. Ma quando succedeva qualcosa al di fuori dei confini del dramma del Breakfast club del liceo, lei era la prima a farsi avanti. Solo che non l'aveva mai realizzato prima d'ora. L'aveva vista nei suoi momenti più calorosi ancora e ancora, ma considerava ancora in qualche modo ogni singolo episodio come un evento straordinario.
Kurt guardò di nuovo Dave.
Dave stava guardando quel pezzo di carta che aveva in mano. Non appena Kurt vi poggiò lo sguardo, lui chiuse il pugno e lo spinse a fondo nella tasca dei suoi jeans, il suo piccolo sorriso svanì solo dopo quel gesto, quando tolse la mano dalla tasca e si guardò attorno.
Kurt incontrò i suoi occhi, e pensò di indirizzargli uno di quegli sguardi da 'che diavolo è stato quello' e agire come se fosse stato uno scherzo. Invece si sistemò la borsa sulla spalla e lasciò passare la visita della Coach senza fare commenti. Perché, davvero, se lei era in grado di far sorridere Dave con tutto il peso che gravava sulle sue spalle, quello faceva di lei una delle persone migliori al mondo.
"Sei pronto per andare a casa?" chiese con un filo di voce.
Gli occhi di Dave si spostarono su Burt, insicuri, ma annuì con la testa e camminò sicuro sui suoi piedi mentre lasciava il muro, la sedia e l'ospedale dietro di sé.
Burt stava parlando di quel pezzo di motore rotto su una Comanche del '94 al negozio, come se fosse la cosa più affascinante su cui avesse lavorato in anni. Si infilò in quel genere di dettagli riguardo quella vecchia Jeep che facevano suonare un noioso, ordinario giorno di lavoro come la sfida di una vita, come la cura per il cancro che gli avrebbe assicurato un Nobel.
Kurt lo lasciò parlare, guardandolo con divertimento, poi noia, poi confusione man mano che il discorso si dilunga per dieci minuti, poi quindici.
Realizzò quello che suo padre stava cercando di fare solo quando accostò nel vialetto di casa e la storia giunse ad una brusca conclusione. Vide gli occhi di suo padre guizzare verso lo specchietto retrovisore, e Kurt spostò il suo sguardo vedendo Dave seduto pietrificato, teso, pallido e preoccupato, mentre fissava la casa come se ci fosse stato portato per punizione.
Kurt non sapeva quanto della storia Dave avesse ascoltato, sempre se l'aveva fatto, ma sapeva perché suo padre non aveva mai fatto silenzio in macchina durante il tragitto verso casa.
C'era solo un certo numero di volte in cui un figlio poteva dire al proprio padre di essere fantastico, così Kurt non disse nulla. Scese dalla macchina con Burt e insieme aprirono entrambe le porte posteriori, Burt prese la borsa dal sedile della macchina ed entrarono tutti in casa senza fermarsi.
Dave sedeva calmo, ma parlò qualche momento dopo che la porta anteriore era stata aperta e richiusa dietro Burt. "Lo capisci quanto questo sia complicato, Fancy?"
Kurt rimase impalato all'entrata e si mise a riflettere. Dopo solo un istante si mise a ridere dolcemente. "Per quanto strano possa sembrare ho appena portato Dave Karofsky per farlo stare a casa con me," disse, "non è nemmeno la cosa più strana che mi sia successa oggi. Quindi forza, smettila di pensarci e vieni dentro."
Dave obbedì dopo qualche istante, trascinandosi faticosamente verso il bordo del sedile e spingendosi in piedi.
Kurt lo guidò dalla macchina alla casa. Voleva seguire il metodo di suo padre e riempire il silenzio con ogni genere di discorso a cui riuscisse a pensare, ma.. in realtà non riusciva a pensare a nulla. Era vuoto, ed era una cosa preoccupante per un ragazzo che poteva discorrere con filosofia sulle sfumature color salvia nella nuova collezione di Marc Jacobs.
Quando arrivarono alla porta si fermò, girandosi verso Dave. "Entriamo e ti porto direttamente nella camera degli ospiti. La tua stanza, voglio dire, penso sia la tua stanza d'ora in poi. E se sei stanco, e non vuoi vedertela con nient'altro, questa sarà la fine della visita della casa, ok?"
Dave sposto lo sguardo dalla porta a Kurt, e qualsiasi cosa riuscì a vedere nell'espressione di Kurt lo fece rilassare. Annuì con la testa, e prima che Kurt potesse girarsi verso la porta raggiunse il suo braccio, toccandolo per un istante.
"Grazie. Per tutto questo. Davvero, Kurt."
I suoi occhi erano vividi, verdi e marroni in egual misura, e la sua voce era fredda e grave, e quando Kurt sentì il suo nome risuonare nello spazio tra di loro, gli sembrò la prima volta che qualcuno lo chiamava in quel modo. Il che era stupido, perché anche Dave lo aveva chiamato in quel modo prima, ma...
Ma aveva sentito qualcosa.
Kurt ebbe quell’improvviso, assurdo, ma quasi irresistibile bisogno di eliminare ogni spazio tra di loro. Solo per... per toccarlo a sua volta in qualche maniera, per far capire a Dave che Kurt non sarebbe andato da nessuna parte. Che anche se Dave poteva pensare di non meritare quella clemenza o la generosità, Kurt gliela stava offrendo lo stesso.
Alla fine, però, parlò e basta. In modo semplice, ma sincero. "Non posso fare in modo che quello che ti è successo scompaia," disse in modo calmo. "Se potessi, lo farei, in un istante. Tutto quello che posso fare è provare ad aiutarti, quindi.. lasciami solo continuare."
"Già," rispose Dave, abbassando lo sguardo. Probabilmente per evitare gli occhi da non-merito-tutto-questo che Kurt avrebbe voluto far scomparire un giorno, fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto.
Lui non meritava tutto quello che sta accadendo, ma non nella maniera in cui non riusciva a smettere di pensare. Forse un giorno sarebbe riuscito a capirlo.
"Vuoi rimanere fuori per qualche minuto?"
Dave fece un respiro e incontrò gli occhi di Kurt per un intenso secondo. Si raddrizzò come se avesse attinto le forza da una riserva nascosta. "Nah, sto bene. Fa maledettamente freddo, comunque."
Kurt sorrise e si sporse per girare la maniglia e aprire la porta. Gesticolò, galante come Cary Grant poteva essere nella sua mente. "Dopo di te."
Gli occhi di Dave sorrisero per un attimo ed entrò attraverso la porta.
Accadde tra un respiro e quello dopo, così veloce e stridente che Kurt quasi rise per la sorpresa.
Ma non c'era nulla di divertente a riguardo.
Un momento Dave stava attraversando la porta, nervoso ma curioso di scoprire come sarebbe stata la sua nuova casa. L'istante subito dopo era pietrificato, schiena al muro di fianco alla porta, c'era panico nei suoi occhi e nessun'ombra di colore nel suo volto.
Stava respirando velocemente, in modo brusco e rumoroso e Kurt sapeva in qualche modo che la sua mente era lontana da lì.
Ci volle solo un attimo perché Kurt capisse cos'era successo.
Il soggiorno era affollato. Finn era a casa e Puck era con lui. C'era anche Sam, seduto sulla poltrona preferita di Finn e Mike era dietro al divano con Finn e Puck. C'era persino Artie e la sua sedia a rotelle era infilata tra la poltrona e il divano.
L'intero gruppo stava lì in piedi, riempiendo la stanza, aspettando. Tutti erano rivolti verso la porta come se stessero aspettando la sua apertura. Un muro di ragazzi. E devono aver avuto gli allenamenti dopo le lezioni quel giorno, perché ognuno di loro aveva indosso la giacca della squadra.
Nessuno disse nulla. I pochi sorrisi imbarazzanti sparirono in fretta, e tutti gli occhi puntarono su Dave.
A Kurt sembrava che la sua mente stesse lavorando più velocemente del suo corpo. C'era un battito in cui aveva trovato l'inaspettato gruppetto e un battito in cui aveva notato il panico che aveva spinto Dave contro il muro.
E la sua mente era già dieci passi più avanti.
Si mosse veloce, mettendosi di fronte a Dave, standogli troppo vicino per poter bloccare la visuale delle giacche rosse e bianche dietro di lui. Non lo raggiunse - qualcosa gli disse di non farlo - ma gli parlò, con voce grave e veloce.
"Dave. Dave, sono solo io. Sono Kurt. Apri gli occhi, Dave," perché erano chiusi, stretti. "Ehi, forza, ascoltami. Sono solo io, è tutto ok. Sono solo io."
Continuò, ancora e ancora, e dietro di lui c'era un silenzio così forte da poter far sentire la propria presenza, voleva girarsi e urlare ai ragazzi di andarsene, di togliersi quelle fottute giacche.
Invece si concentrò su Dave, usando le stesse inutili parole. Sono io, è tutto ok, apri gli occhi, Dave, respira. Come un canto, una canzone, ancora e ancora, solo perché voleva far sentire a Dave la sua voce, non le singole parole.
"Per favore, Dave, è tutto ok, ascoltami." voleva allungarsi così tanto verso di lui che le mani iniziarono a tremargli.
Gli occhi di Dave si aprirono all'improvviso, grandi e vitrei, e Kurt gli era vicino ma Dave era più alto e riusciva a vedere cosa c'era aldilà delle sue spalle.
"Dave!" questa volta Kurt urlò, forte, per attirare l'attenzione di Dave su di lui. "Ho detto di guardare me, okay?"
Dave lo fece, il suo sguardo andò verso il basso, poi verso Kurt, prima di tornare a dov'era stato prima.
"Dave. Forza, sono io. Sono Kurt."
Gli occhi di Dave si chiusero, ma solo per un momento. Fece un respiro e per lo meno il suo sguardo era concentrato quando riaprì gli occhi di nuovo. "Sì. Ti ho sentito." La sua voce era stridente come se avesse dovuto tagliarsi una via di fuga dalla gola. "Merda," bisbigliò, con tono grave, sibilando e tremando. "Merda, cosa.."
Guardò oltre Kurt, e forse furono lo giacche, forse il pubblico inaspettato, ma improvvisamente il suo volto già grigio, impallidì ancora di più.
Kurt strinse il braccio di Dave senza pensarci e lo spostò dal muro, muovendosi veloce vicino a Finn e oltrepassando Artie, facendo praticamente jogging attraverso la stanza fino ad arrivare al corridoio. Aprì la prima porta che trovò, accese la luce del bagno e ci fece entrare Dave prima di richiudere la porta dietro di lui.
Solo allora, solo negli attimi seguenti quando smise di fissare la porta chiusa e poté sentire il forte, doloroso suono di Dave che vomitava dall'altra parte... Solo allora il suo corpo e la sua mente sembrarono rientrare in sincronia, e il suo cuore cominciò a battere forte nel suo petto.
Prima di accorgersi delle sue azioni, era di nuovo nel salotto, andando verso Finn come se fosse pronto a fare un tentativo di placcaggio. "Cosa diavolo stai facendo? Cosa c'è di sbagliato in voi idioti?"
"Noi non.." Finn era pallido, scosso. Alzò le mani, i palmi verso il fratellastro, mente Kurt si avvicinava. "Cristo, Kurt, non volevamo... Che diavolo era..."
Kurt non gli andò addosso come avrebbe voluto. Obbligò i suoi piedi a rallentare, occupando lo spazio restante con un dito minaccioso sul petto di Finn. "Cosa ci fai qui? Cosa ci fanno loro qui?"
"Calma, Kurt." Quando una mano si strinse sul braccio di Kurt, lui sobbalzò, girandosi per rivolgere il suo sguardo verso Noah Puckerman. Puck alzò le mani imitando il gesto di Finn. "Ehi bello. Qui siamo disarmati."
Kurt gli rivolse uno sguardo pungente.
Puck provò ad affrontare il suo sguardo, anche se la sua solita sfrontatezza era in contrasto con il pallore causato dalla sorpresa. "Kurt. Tranquillo. Pensavi che sapessimo sarebbe andata così?"
"Perché sei qui?" Kurt ribattè in risposta.
"Perché c'è un pettegolezzo davvero orribile che gira per la scuola in questi giorni," rispose Puck in fretta. "E alcuni di noi," indicò il gruppo in silenzio dietro di lui, "si stavano chiedendo perché siamo stati lasciati fuori da questa stronzata che la squadra sta facendo. Tutti sanno che io sono il primo da chiamare quando ci sono casini, e questa volta non mi ha chiamato nessuno." guardò Kurt prima di rivolgere il suo sguardo oltre, verso Finn. "Poi tua mamma ha mandato un messaggio a Finn dicendo che Karofsky sarebbe venuto qui, e questa ha fatto sembrare il pettegolezzo fottutamente vero."
"Quindi?" Kurt provò a rimanere deciso e furioso, ma poteva ancora sentire Dave vomitare, attenuato dalle pareti, e non poteva credere che la gente a scuola sapesse già. Non poteva credere che la voce stesse circolando come se fosse un pettegolezzo qualunque.
"Quindi..." Finn prese la parola, girando intorno al fratellastro furioso e raggiungendo Puck. "Quindi nessuno di noi potrebbe mai chiamare Karofsky 'amico', ma se... Le cose sono andate come la gente dice a scuola..." e Finn sapeva, Finn sapeva molto di più su quello che era successo rispetto agli altri studenti oltre Kurt e quei bastardi che avevano attaccato Dave, quindi aveva detto 'se' ma il suo sguardo non aveva nessun 'se' al suo interno.
Kurt sapeva cosa stavano dicendo, o che voci girassero, comunque. Erano qui per aiutare. Per mostrare supporto o chissà cosa. Erano dalla parte di Dave, almeno nei riguardi di quei pettegolezzi.
Era una cosa buona. Era una stupida, assolutamente stupida buona cosa che loro fossero qui.
Kurt fece un respiro profondo per riprendere il controllo. "Quei pettegolezzi dicono che sono stati dei ragazzi della squadra?"
Finn e Puck si scambiarono uno sguardo cupo. Puck annuì.
Kurt fece un altro respiro, ma la sua voce non voleva restare calma. "E allora perché mai vi siete presentati qui in gruppo con quelle fottute giacche?" Si sentiva bene, un piccolo guizzo di soddisfazione, perché non imprecava molto spesso, e mai di fronte a persone che non fossero amici intimi.
Questa situazione però meritava questo genere di parole.
Finn si guardò, guardò la giacca bianca e rossa. Guardò Puck, e poi dietro di loro verso gli altri ragazzi, e sembrò realizzare solo ora che tutti loro la stavano indossando.
Impallidì, facendo tornare il suo sguardo su Kurt. "Oh, bello, non ci avevamo nemmeno pensato. Abbiamo avuto gli allenamenti e..."
Kurt lo guardò.
"... E poi le abbiamo sempre addosso..." Finn concluse con un filo di voce.
Kurt fece un altro respiro e spinse di lato i due idioti che aveva di fronte così da potersi rivolgere all'intero gruppo di idioti. "Uscite di qua e basta, okay? È già esausto, lo era già prima che voi lo terrorizzaste."
"Cristo, Hummel." Puck borbottò con un filo di voce, ma fece un gesto al gruppetto. "Vedi di fare un lavoro fottutamente buono. Forza ragazzi, usciamo di qui."
Mentre si muovevano verso la porta, una linea di facce avvilite, Kurt ebbe un momentaneo senso di colpa. Sospirò e si mise una mano sul volto. C'era silenzio nella direzione del bagno del piano di sotto, e volle andare lì.
"Ehi," disse mente Puck era in coda alla fila. Finn si attardava ancora vicino al divano, ovviamente, ma si era già tolto la giacca e la stava tenendo di fronte a lui come se stesse per prendere fuoco.
Kurt guardò da Finn a Puck. "Gli dirò perché eravate qui, okay? E... E io s-sono... sono felice che siate dalla sua parte in questa faccenda."
"Non farti venire un aneurisma facendo finta di non essere incazzato, Kurt." Puck gli fece un sorrisetto. "Siamo degli scemi, l'abbiamo capito. Basta che dirai a Finn quando sarà pronto per farci fare un altro tentativo."
Kurt annuì conciso.
La porta si chiuse dietro Puckerman.
Finn spostò il suo sguardo dalla giacca a Kurt e poi di nuovo sulla giacca. "Uh, penso che... andrò di sopra?"
"Bene."
Finn si mosse verso le scale e prima di iniziare a salire, diede a Kurt uno di quei rari, solenni sguardi di cui ogni tanto era capace. «Mi dispiace, non avevamo intenzione di spaventarlo o altro.
Kurt annuì di nuovo, stanco.
Mentre Finn arrancava fino alle scale, Kurt si guardò intorno nel salotto improvvisamente silenzioso. Voci attenuate arrivavano dal piano di sopra, forse suo padre o Carole che avevano incontrato Finn. Tutto sarebbe stato teso e difficile ora, e Dave aveva resistito solo un secondo in casa Hummel prima che le cose precipitassero.
Kurt non credeva nei presagi, ma questo era stato davvero un malaugurato arrivo a casa.
Note di Traduzione:
(*) Knuckles è un soprannome alquanto intraducibile, quindi abbiamo preferito lasciarlo originale. Il termine in inglese vuol dire "nocche" ma può anche essere utlizzato come termine amichevole per dire amico o qualcosa di simile. Per maggiorni informazioni sul termine, qui il link per l'Urban Dictionary.
(**) Lurch è il maggiordomo della Famiglia Addams.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7. ***
Beta Reader: Kurtofsky.
The Worst That Could Happen
- Capitolo 7 -
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Kurt lasciò trascorrere dieci minuti, perché era abbastanza certo che Dave avesse bisogno di tempo per riprendersi dal quell'attacco di panico. I suoni provenienti dal bagno si erano zittiti, non c’erano più rumori che venissero dal piano superiore e alla fine si stancò di accatastare e disseminare un ammasso di dvd sul tavolino.
Alla fine attraversò il salotto, tornò alla porta del bagno e vi bussò con dolcezza. “Hai intenzione di uscire fuori?”
Ci fu un attimo di silenzio. Quando rispose, la voce di Dave era bassa, roca. “Se ti chiedessi una coperta e un cuscino potrei rimanere qui?”
Kurt sorrise debolmente alla porta. “No.”
Percepì dei movimenti dall’altra parte del muro, lenti e incerti, così non aprì bocca. Si appoggiò alla parete e attese.
Il rubinetto del lavandino si aprì e si richiuse, e quando la porta finalmente si spalancò Dave era lì, con il viso umido e rosso. I suoi occhi sormontarono all’istante Kurt, provando a vedere cosa ci fosse dietro l’angolo.
“Se ne sono andati”, proferì piano Kurt. “E tutti sono al piano di sopra.”
Dave non rispose, ma le sue spalle si rilassarono un po’. Si tolse una goccia d’acqua rimasta sul mento e Kurt non poté fare a meno di vedere quanto le mani gli stessero tremando.
“Ti chiedo scusa,” disse. “ È stato…”
Kurt si schiarì la voce. “Puck ha già ammesso che sono stati tutti degli imbecilli e Finn si è scusato a nome del gruppo. Penso che ci siano state abbastanza scuse per un solo pomeriggio, quindi conserva pure le tue.” Si mosse nella sua direzione, esitando un poco, e lasciò che la sua mano si posasse sul braccio di Dave. “Dai, andiamo di sopra, devi riposarti.”
“La tua famiglia non mi ritiene ancora uno psicopatico?” domandò Dave, ancora contratto sotto il tocco della mano di Kurt, ma nuovamente calmo quando iniziarono a spostarsi nel soggiorno.
“Per essere esatti”, affermò Kurt, inserendo più humor nella sua voce di quanto ne sentisse effettivamente, “la mia famiglia ti ha ritenuto prevalentemente uno psicopatico per mesi.” Dopodiché trattenne il respiro, non guardando Dave, perché era un tipo di battuta che avrebbe potuto avere un ritorno di fiamma.
Dave sbuffò sommessamente dopo un secondo. “E Finn e i suoi amici già mi odiavano. Non ho combinato nessun guaio allora, immagino.”
Nessun guaio tranne che per Dave. A Kurt non dava fastidio nemmeno dirlo o discuterne.
“Dovresti sapere qualcosa su di Finn e sui suoi amici”, dichiarò, percependo che Dave si stava rilassando sotto il suo braccio quando raggiunsero il soggiorno e ogni traccia del gruppo e delle loro giacche Letterman era sparita. “Anche le persone decenti, che provano a fare cose buone, possono essere dei completi idioti. Nessuno personifica questa cosa così perfettamente come Finn.”
Raggiunsero la base della scala e Kurt lanciò uno sguardo a Dave.
Dave le osservò, e tirò su il braccio che non era nella stretta di Kurt. La mano scivolò al suo fianco, fece una smorfia e trasse un respiro profondo preparandosi psicologicamente.
Kurt gli strinse il braccio. “Le tue costole?”, chiese calmo, ricordando quelle cose a cui non voleva pensare, come costole incrinate e spalle dislocate.
“Immagino che vomitare tutto ciò che ho mangiato questa settimana non conta come provare a prendere le cose più tranquillamente”, confermò Dave. “Il dottore si arrabbierà.” Ma si distese e afferrò per bene il corrimano. “Se ti metterai a ridere quando capirai che per fare questo impiegherò un’ora, me ne vado via di casa.”
“Sono offeso dalla tua insinuazione, ma fortunatamente per te sono troppo di classe per mostrarlo. Andiamo.”
Dave lo illuminò con un piccolo e instabile sorriso che Kurt gli restituì prima di iniziare a salire.
Dave non era un ragazzo di piccola statura. Kurt non era debole, ma era appesantito non solo da metà del peso di Dave, ma anche da quell’ampio senso di colpa, responsabilità e fredda consapevolezza che, qualsiasi altra cosa fosse successa a Dave dentro casa sua, la colpa non sarebbe stata assolutamente di nessun altro tranne che di Kurt stesso.
Alla fine impiegarono meno di cinque minuti invece che un’ora, e Kurt capì dalla mascella serrata e dal volto pallido di Dave che si stava muovendo troppo rapidamente e si caricò molto di più del suo stesso peso. Non disse nulla, ricordando ciò che suo padre aveva detto poco prima riguardo al fatto che nessun adolescente avrebbe voluto dimostrare quanto in realtà non fosse forte a sopportare certe situazioni.
Quando arrivarono alla cima delle scale, Dave continuò a muoversi, passo dopo passo, senza nemmeno fermarsi a festeggiare la sua piccola vittoria. I suoi occhi si erano rimpiccioliti per la determinazione, e la sua mano era artigliata al suo fianco in un modo che fece quasi desiderare a Kurt di andare da suo padre. Raggiunsero la porta della piccola stanza bianca degli ospiti, Kurt la toccò e la aprì veloce così da non far perdere a Dave il suo ritmo.
C’era un poster rosso brillante sul muro.
Catturò immediatamente l’attenzione di Kurt, era una cosa inaspettata (e rossa, che lui era tornato ad associare al male), infatti si fermò e si girò verso Dave, come se volesse in qualche modo proteggerlo.
Ovviamente, gli occhi di Dave vi andarono dritti, ma la sua reazione non fu come quella avuta al piano di sotto. Le sue palpebre si chiusero sorprese e i suoi piedi che già camminavano a fatica si fermarono sulla soglia.
Si guardò attorno, sorpassando Kurt come se non fosse nemmeno lì, sul suo viso si formò una strana espressione che Kurt non riuscì a decifrare. Strana, che non sembrava essere per niente tesa. Il suo volto si colorò nuovamente e camminò superando Kurt, facendo vagare lo sguardo.
Kurt si voltò a osservarlo ma i suoi occhi vennero di nuovo attratti da quel rosso e si prese un momento per dargli veramente un’occhiata. Era rosso e bianco, brillanti, ma era un logo che gli sembrava familiare in qualche modo e nella parte inferiore c’erano scritte le parole Detroit Red Wings.
Hockey, si ricordò. Dopodiché analizzò il resto della minuscola stanza.
C’erano dei libri sulla credenza, un cumulo di riviste. L’armadio era aperto, pieno di vestiti strani. C’era un computer, un laptop bianco, appoggiato sul comodino. Un altro poster sul muro dall’altra parte, alcuni giocatori di football che Kurt non conosceva. Il piumone sul letto non era familiare, di colore marrone scuro e all’apparenza consumato.
Sul ripiano in alto dell’armadio c’era una borsa da viaggio ordinaria, sformata e vuota, e dietro un’altra valigia consunta.
Dave si spostò verso il letto e si sedette con difficoltà. Distese la mano che non aveva bloccato attorno alle costole, le sue dita accarezzarono la parte superiore del laptop che era chiusa, sopra un adesivo sbiadito e mezzo strappato via con il logo della squadra del liceo McKinley.
Kurt si ricordò di cosa gli aveva detto suo padre poco prima all’ospedale. Parole a cui non aveva prestato attenzione all’epoca, su come avesse preso una pausa dal lavoro per poche ore quel giorno e avesse rinviato delle commissioni. Non sapeva se infuriarsi nuovamente con Paul Karofsky per aver lasciato che suo figlio andasse via di casa a quel modo, come se fosse quasi un estraneo, o se doveva solo concentrarsi su quanto era incredibilmente fortunato ad avere il padre che si ritrovava.
Kurt vide gli occhi di Dave illuminarsi mentre osservava le sue cose tutte spostate nella sua nuova stanza.
“Puoi parlargliene se vuoi”, disse Kurt. Si schiarì la voce quando questa si incrinò un po’. “Ma ho l’improvvisa sensazione che papà stia già pianificando di farti restare qui per un po’.”
"Sì. Io…” Dave lo guardò. “Io… io penso di aver bisogno di… riposarmi”. La sua voce riprese a funzionare e le labbra si chiusero delicatamente.
Kurt capì all’istante. Era stranamente riluttante ad annuire, a scivolare via dalla porta. “Riposati”, disse velocemente, comprendendo che Dave stava rapidamente raggiungendo il suo punto di rottura. “Ci vediamo domani mattina.”
Dave scosse la testa rapido. Il suo volto chinato, a nascondere la sua espressione.
Kurt avrebbe voluto dire qualcosa in più, tornare lì, sedersi vicino a lui e lasciare che la sua camicia si infradiciasse nuovamente. Ma non voleva sembrare più forte di quanto non fosse, e Dave stava lasciando intravedere a Kurt molto di più rispetto a quello che avrebbe scelto di fare in un’altra situazione. Così Kurt scivolò via dalla porta, la chiuse alle sue spalle e vi rimase abbastanza da sentire i primi suoni attutiti di Dave che si consegnava alle sue personali montagne russe della giornata.
Si fermò davanti alla porta della camera da letto di suo padre e di Carole e bussò delicatamente. “Papà?”
“Si è addormentato, Kurt,” rispose Carole attraverso la porta, palesemente abituata a come suo padre potesse riuscire a dormire con urla ed esplosioni una volta notte. “Lo abbraccerai domani mattina.”
Kurt rise. “Notte, Carole”. Si diresse verso la sua porta e, solo dopo un ultimo sguardo alla porta della camera degli ospiti, la stanza di Dave, vi entrò e si trascinò a letto.
Aveva dei progetti per la notte. Li aveva avuti, almeno. Un'austera chiacchierata con Blaine per fermare la sua campagna passiva-aggressiva anti-Karofsky e successivamente una lunga conversazione con Dave riguardo Azimio. La seconda non era stata ovviamente prevista, ma estrasse il suo cellulare dalla tasca e lasciò cadere la propria schiena sul letto.
Squillò una volta, poi due, e quando Blaine rispose ci fu un momento di imbarazzo. “Kurt?” Ci furono una serie di farfugliamenti e Kurt trasalì quando realizzò che probabilmente era molto più tardi di quanto avesse immaginato.
“Kurt? Stai bene? È tardi, cosa è…”
Kurt passò in rassegna la sua lista mentale di argomenti da affrontare. Avrebbe voluto iniziare raccontando a Blaine che si sbagliava sul conto di Dave, che non poteva scendere in dettagli ma che gli poteva sicuramente dire che Dave non aveva fatto niente a se stesso solo per attirare l’attenzione di Kurt. Avrebbe voluto raccontare a Blaine che in quel momento Dave era a casa sua e che se avesse voluto arrabbiarsi al riguardo avrebbe potuto semplicemente venire a vedere Dave coi suoi stessi occhi, capire quanto stesse male e quanto maledettamente avesse bisogno di stare lì.
Avrebbe voluto raccontare a Blaine, raccontare a qualcuno, di come avesse affrontato Azimio e lo avesse spinto ad andare alla polizia. Di Sue Sylvester e di come lei avesse dato a Dave il suo numero di telefono, che gli aveva dato un soprannome e che, nonostante odiasse le persone, facesse sorridere Dave.
Avrebbe voluto raccontargli di suo padre, del padre di Dave, e di come fosse completamente ingiusto che da una famiglia all’altra ci potesse essere una così grande differenza nelle priorità. Avrebbe voluto raccontare a Blaine di Finn e di Puck e dei ragazzi e di come avrebbero voluto fare le cose diversamente ma invece avevano portato Dave ad andare incontro a una paura incontrollata e lo avevano fatto vomitare così violentemente che avrebbe potuto farsi del male.
Dio, avrebbe voluto raccontare a Blaine quale fosse diventato improvvisamente il suo timore più grande al mondo, che anche lui potesse fare qualcosa del genere. Che avrebbe potuto essere ben intenzionato provando ad aiutare ma avrebbe peggiorato le cose così tanto che avrebbe finito per creare dei danni ancora più seri.
Non aveva idea di cosa stesse facendo. Non aveva nessuna idea di come aiutare qualcuno in quella situazione, come avere a che fare con i suoi strani, confusi sentimenti su qualsiasi cosa. Non poteva chiedere ad Azimio e non era sicuro di voler sapere esattamente chi era stato a fare una cosa del genere a Dave. Perché avrebbe significato metterci dei volti. Un viso da ragazzo in una giacca Letterman, un viso che conosceva a scuola. Più di un solo viso.
Non capiva più le persone. I ragazzi della scuola, Paul Karofsky. Non comprendeva quella specie di odio e come potesse portare degli individui ad aggredire a quel modo.
Non sapeva come aiutare Dave ed era pietrificato all’idea di sbagliare ma se ci fosse stato qualcuno che avesse saputo cosa fare e si fosse offerto di portare via Dave e aiutarlo… Kurt lo avrebbe osteggiato. Perché l’unica cosa più spaventosa dell’essere l’unico ad aiutare Dave ad affrontare tutto era il pensiero di non riuscire a essere presente.
C’era troppo da dire e non c’erano parole per niente e così tutto si bloccò all’interno del suo cervello. Avrebbe voluto distanziare così tante cose cosicché queste si sarebbero fermate e nessuna sarebbe più rientrata, come se il suo cervello fosse stato un canale di scolo otturato.
“Kurt? Mi stai spaventando.”
“Scusami.” Kurt deglutì e a malapena riconobbe la sua stessa voce.
Non doveva essere più forte, almeno per quella notte. Ma nel momento in cui fece andare tutto oltre il proprio controllo, fu come se la prima goccia di acqua fosse sfuggita via da quel tappo che c’era nella sua mente e, una volta che il tappo si squarciò, ogni cosa si sprigionò liberamente tutta in una volta.
“Io…” Non riuscì nemmeno a far uscire la seconda parola di bocca.
Blaine rimase al telefono con lui, facendo di tanto in tanto dei suoni delicati, mormorando il nome di Kurt tra parole calmanti. Andrà tutto bene, sono qui, sei al sicuro, sei eccezionale, ti amo.
Non rispose alle domande per una volta, non sembrava avesse bisogno di sapere perché Kurt gli stesse singhiozzando nelle orecchie. Per una volta, era semplicemente lì. Ed era sufficiente.
Il telefono era ancora sotto il suo orecchio quando al mattino venne risvegliato da un picchiettio alla porta.
Kurt cercò a tastoni il cellulare e lo mise sul tavolino vicino al suo letto. Si girò attorno, confuso, sentendosi fiacco ma comunque in forze.
“Kurt?” La porta si aprì.
Kurt si sollevò sui gomiti. “Papà?”
“Ehi, figliolo. Sto andando, ok? Carole e Finn sono già usciti. Se hai bisogno di qualcosa, chiama in officina.”
Giusto. Niente scuola, almeno non ancora. Kurt fece fatica a mettersi in piedi. “Papà? Rimani un attimo.”
La porta si spalancò ulteriormente e Burt entrò. “Se hai intenzione di farmi una lezioncina su come tu abbia bisogno del primo sonno o roba del genere, evita. Pensavo semplicemente che tu avresti voluto essere sveglio prima del tuo amico, in caso lui-”
Kurt riuscì a scendere dal letto e si gettò tra le braccia di suo padre nonostante il sonno che gli annebbiava la visuale. Lo strinse forte, inspirando Old Spice e olio per motori.
Burt ricambiò l’abbraccio all’istante. “Ehi. Non sto scherzando, ok – se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Vi posso portare qualcosa da mangiare per pranzo durante la mia pausa?”
“No, riuscirò a cucinare qualcosa.” Kurt indietreggiò e sorrise a suo padre. “Ti ringrazio. E non per esserti offerto di portarci il pranzo a casa.”
Burt gli accarezzò la schiena, ma non sorrise. “Kurt…” esitò, lanciando uno sguardo alla porta aperta come se Dave avesse potuto essere lì ad ascoltarlo. “Significa tanto per te, ecco perché il ragazzo è qui. Ma non voglio che tu debba prenderti più responsabilità di quante tu ne possa effettivamente affrontare, ok? E stai attento.”
“Attento?”
Suo padre gli rivolse uno sguardo molto preoccupato. “Le persone possono reagire in molti modi differenti quando viene fatto loro del male come è successo a quel ragazzo. E non è che lui fosse in precedenza un modello perfetto di stabilità.” Afferrò la sua mano all’istante, senza dubbio capendo l’espressione rabbuiata sul volto di Kurt. “Puoi arrabbiarti con me quanto vuoi, figliolo, ma sono serio in questo momento. Se fossi stato certo che lui fosse pericoloso, non sarebbe qui. Ma dato che hai avuto ragione sul fatto che lui ti avesse minacciato e avesse dei problemi con te perché non riusciva ad accettare che fosse gay, devo preoccuparmi di cosa potrebbe succedere se non riuscisse ad accettare tutto questo.”
Kurt avrebbe voluto arrabbiarsi, ma riuscì in qualche modo a lasciar perdere tra un respiro e l’altro. Burt era preoccupato, perché era ciò che i padri facevano. Ma Burt era andato a casa Karofsky e aveva ripulito la stanza di Dave e l’aveva ricostruita al meglio che aveva potuto così Dave avrebbe potuto sentirsi più a suo agio nella sua nuova insolita abitazione.
Non poteva arrabbiarsi davanti a una cosa del genere. Burt si era guadagnato l’immunità dalla collera di Kurt.
Quindi sospirò e annuì, fece qualche passo indietro così suo padre sarebbe potuto andare al lavoro. “Ti chiamo se abbiamo bisogno di qualcosa,” acconsentì, una concessione.
Burt fece un piccolo sorriso e si allungò verso di lui, scombinandogli i capelli e ignorando le sue rumorose proteste.
Ok, Hummel, se non mi dici cosa sta succedendo e perché tu non sei nemmeno OGGI a scuola, vengo a casa tua e farò tutte le COSE tipiche del ghetto contro di te.
Kurt alzò gli occhi al cielo, ma sorrise leggermente mentre pensava a come rispondere a quell’sms. Adorava Mercedes, era davvero la sua migliore amica in assoluto e sapeva che questo non sarebbe cambiato nel giro di poco. Ma non era una risposta che poteva darle, toccava a Dave. Ed era abbastanza certo del fatto che Dave non avrebbe dato il suo assenso nel metterla a conoscenza dei fatti accaduti.
Avrebbe voluto parlarle, per scoprire cosa sapesse, quali voci stessero girando. Dovevano essere tante e dovevano essere orribili se avevano spinto Puck e gli altri atleti del Glee ad andare a trovarli il giorno prima.
Sto bene, rispose alla fine. E dobbiamo parlare dopo le lezioni. Chiamami.
Mi dai sui nervi, dannazione. È meglio che tu stia bene per davvero.
Non le replicò, lasciò semplicemente il cellulare al piano di sopra così sarebbe potuto andare a preparare una sottospecie di colazione.
Quando emerse dalla cucina con un piatto di pancakes e uova cotte al vapore, sorrise nel vedere Dave sveglio e vestito, in cima alle scale, esaminando i gradini come gli avessero fatto del male.
Kurt sopraggiunse e fece di corsa le scale. “Hai bisogno di una mano?”
Dave aggrottò le sopracciglia ma non si oppose mentre Kurt lo raggiungeva e sgusciava al suo fianco. Appoggiò un braccio attorno alla sua piccola spalla e prese un respiro mentre iniziarono a scendere.
Era un ragazzo davvero enorme. Kurt lo sapeva, era già stato a stretto contatto con Dave ma non era stato molto cosciente della sua stazza. Ma condurlo per le scale fu come entrare in questo nuovo tipo di consapevolezza.
Forse era stato distratto da tutto ciò che era successo il giorno prima, per cui quando aveva aiutato Dave a salire quelle stesse scale non lo aveva per niente rilevato. Ma lo notò in quel momento.
Forse dipendeva dal fatto che il grosso braccio di Dave era sulla sua spalla, o il fatto che stringesse un po’ di più Dave mentre scendevano. Dave era massiccio e gigantesco, e col braccio attorcigliato alla sua vita mentre percorrevano le scale, Kurt poté capire quanto il suo fisico fosse compatto e sodo sotto il suoi vestiti senza forma.
Fu… strano. Tutto ciò fece infiammare il volto di Kurt, ma solo perché era diventato stranamente conscio di Dave. Riusciva a sentire i muscoli del suo braccio ammassarsi ogni passo che facevano così provò a rimanere bilanciato per non far cadere entrambi dalle scale. Poteva sentire la stretta di Dave, l’andamento dei suoi respiri bruschi.
Kurt era già stato vicino ad un altro ragazzo (escludendo suo padre) e Blaine non era proprio esile come lui ma era comunque una battaglia ad armi pari tra loro. Questa invece era una cosa completamente diversa e per qualche motivo, mentre si avvicinavano al termine della rampa, tutto ciò su cui Kurt rifletteva erano le sue parole infuriate pronunciate nello spogliatoio secoli prima. Paffutello, sudaticcio, babbeo.(*)
Era curioso ripensarci, ma una volta iniziato non riuscì più a smetterla. Rimase tranquillo mentre scendevano le scale, ma una volta che furono coi piedi per terra e il suo braccio scivolò dalla vita di Dave, non si frenò.
“Uhm. Allora… mi dispiace di averti insultato, quella volta.”
Dave era leggermente pallido, ma si cingeva le costole e si teneva al corrimano al termine della scalinata. Sbatté gli occhi guardando Kurt, con un sopracciglio aggrottato. “Cosa?”
“Lo sai. Quella volta. Nello spogliatoio.”
Dave lo fissò come se avesse iniziato a parlare francese.
Kurt non avrebbe voluto continuare, e sospirò. “Quando ti ho detto che eri… lo sai. Paffutello e sudaticcio e che saresti diventato… calvo… o qualcosa del genere.”
Dave spalancò le palpebre e per un istante brillò nei suoi occhi un bagliore di perspicacia, prima che iniziasse a ridere. “Stai scherzando?”
“Si? Forse?” si corrucciò Kurt, e rese più intenso il proprio sguardo mentre Dave continuava a sogghignare. “Cosa? Dai, c’è il cibo che si raffredda.”
Dave inciampò leggermente ma continuò a muoversi senza fretta e con agilità seguendo Kurt. “Non è niente. Ho dimenticato tutto.”
“Lo hai dimenticato?” Kurt spinse la porta della cucina e la tenne aperta. “Davvero?”
“Bè.” La risata di Dave si spense. “Sai, ciò che è successo dopo è stato…” Scrollò le spalle, imbarazzato.
Giusto. Ciò che era successo dopo. Non era di certo un buon momento per iniziare ad aprire certi cassetti della memoria.
Dave si schiarì la voce. “Comunque, dai, Fancy. I ragazzi si dicono cose del genere tante volte. Non mi hai mica spezzato il cuore o roba del genere.”
“No?”
Dave ridacchiò di nuovo, sistemandosi al tavolo della cucina sbuffando.
“Esci troppo con le ragazze. O è una cosa da gay, preoccuparsi inutilmente quando qualcuno ti dice qualcosa del genere?”
Kurt alzò gli occhi al cielo. “Ovviamente, non è una cosa da gay”, disse lanciando uno sguardo a Dave.
Il viso di Dave si colorò di rosa. “È solo per dire. Quel culone di Z mi chiama carico sporgente, ma non ha proprio il diritto di parlare. Siamo ragazzi, è così che parliamo. Di cosa diavolo dovresti scusarti. Specialmente quando…”
Kurt mise su un piatto delle uova e alcuni pancakes, tornando poi a guardare Dave che si era ammutolito.
Il sorriso di Dave era sparito senza lasciare alcuna traccia. Fissava il tavolo, sembrando di colpo un bambino di dieci anni. Per un momento Kurt pensò che stesse rimuginando sul bacio e le cose accadute successivamente.
Ma qualcosa gli diceva che non era così e quando rifletté meglio realizzò che ciò che stava succedendo davvero e si ricordò che dovevano affrontare una conversazione particolare.
Posizionò il piatto davanti a Dave. “Abbiamo del latte o del succo d’arancia. O del caffè, credo, se tu lo desideri te ne preparo un po’.”
Dave scosse le spalle. Guardò il piatto come se quest’ultimo volesse mangiarlo vivo. “Il latte va benissimo. Grazie.”
Kurt riempì un bicchiere di latte, versò nel suo il succo d’arancia e si mise nel piatto dei pancakes. Si sedette davanti a Dave e prese dello sciroppo.
Quando divenne chiaro che Dave non si sarebbe tuffato in una chiacchierata dato che lui stesso aveva portato a un punto morto la conversazione, Kurt si schiarì la voce e cercò di andare avanti.
Raccontò a Dave il discorso avuto con Azimio - riducendo al minimo la parte in cui Kurt era andato da solo ad affrontarlo nel suo stesso territorio - e la confessione di Azimio ai suoi amici di squadra riguardo Dave stesso.
Non fu una sorpresa per Dave ma la sua pallida infelicità divenne sempre più palese. Almeno fino a quando Kurt continuò a raccontare la sua storia.
“Quindi sta per andare alla polizia. O ci è già andato. Penso che ci dovesse andare ieri. Ma… lui è davvero, come dire, terribilmente infuriato e mi ha chiesto di dirti… lo sai. Che non ha chiesto di fare niente e non l’ha pianificato. Non sapeva cosa stesse coprendo assieme al resto della squadra. Appena gli ho detto che tu eri coinvolto…”
Dave smise di guardarlo come se la sua attenzione fosse stata catturata dalla colazione. Era rilassato sulla sua sedia, ascoltando Kurt, fissandolo mentre parlava o come se non capisse nemmeno una parola di quello che stava dicendo o come se non potesse lasciarsi sfuggire una sola singola sillaba.
Kurt sorrise debolmente, perché comunque erano delle buone notizie, no? Ma Dave stava diventando progressivamente più pallido “E…sì. Tutto qui. Mi ha chiesto di dirti che ti parlerà molto presto. Non adesso, credo, ma… presto. Nonostante faccia un uso molto copioso della parola ‘cazzo’, sono disposto a dargli credito.”
Dave fece un debole sorriso.
Dopodiché indietreggiò la sua sedia e mormorò qualcosa sul bagno.
Il suo piatto era rimasto immacolato e Kurt finì per gettare via il cibo, cosa che odiava fare. Ma, nonostante fosse stato silenzioso e strano mentre parlava e Dave si fosse poi allontanato subito dopo, si ritrovò a sorridere mentre finiva di pulire i piatti.
Secondo il detective che fece visita quella notte e che si sedette a parlare con Dave, Kurt e Burt per i dettagli, erano state arrestate cinque persone.
Kurt immediatamente affondò nello shock. Cinque. Cinque di loro.
Anche Dave rimase sorpreso e il detective chiarì che due di loro sapevano tutto, avevano fatto il palo davanti alla porta ed erano stati arrestati esattamente come i tre che avevano preso effettivamente parte all’aggressione.
Tre. Sempre meglio di cinque. Dio.
L’ufficiale di polizia non fece alcun nome. Dave si rifiutò di sapere chi era stato quando gli venne proposto e Kurt non aveva il benché minimo interesse nel scoprirlo. Sapeva che, una volta tornato a scuola, si sarebbe messo alla ricerca di volti familiari improvvisamente mancanti all’appello nelle aule. La catena dei pettegolezzi glielo avrebbe comunicato, che lo volesse o meno. Non sarebbe riuscito ad evitarlo, almeno tentò di farlo fino all’ultimo.
Non voleva dare a quell’aggressione un volto.
Il detective parlò a Burt molto seriamente riguardo all’organizzazione che stavano mettendo a punto con Figgins per mantenere la scuola al sicuro per il ritorno di Dave. Avevano intenzione di far mettere di guardia un agente per qualche tempo, per essere sicuri che non ci potessero essere delle ritorsioni a seguito degli arresti, ma si dicevano convinti che, dopo aver interrogato i sospettati, la cosa non sarebbe andata oltre. C’era uno nel gruppo che era sembrava esserne il capobanda e che una volta allontanato questo, il pericolo sarebbe cessato.
Burt non era rimasto molto convinto e, quando il poliziotto andò via, disse a Kurt e Dave che avrebbe lasciato loro libertà di scelta. Era giovedì, quindi sarebbero rimasti a casa il giorno dopo e avrebbero lasciato scemare le immediate reazioni a scuola.
Kurt aiutò Dave a salire le scale, questi svanì nella sua stanza e non vi uscì più per il resto della serata.
Dave sparì dalla circolazione per gran parte del weekend. Kurt lo vide solo mentre stava andando in bagno e quando lo salutò, Dave fece finta di non sentire.
Probabilmente era normale. Forse la sua discesa per la colazione quella mattina presto, ridendo di Kurt per le sue flebili scuse, forse era stato un errore. Era… era di più di ciò che avrebbe potuto aspettarsi se avesse dovuto indovinare le mosse di una persona che era stata aggredita come successo a Dave.
Ma questo comunque irritava Kurt. Bussò alla sua porta più di una volta, all’ora dei pasti, al mattino, prima di andare a letto. Otteneva risposte brevi e non intendeva forzare Dave, ma ogni volta che si allontanava da quella porta si sentiva sempre peggio.
Non era così stupido da chiedere a Dave di accompagnarlo al centro commerciale per incontrare Mercedes e Tina sabato, ma quando se ne andò non poté fare a meno di sentirsi in colpa, come se lo stesse abbandonando.
“Le persone non riescono a decidere se Karofsky sia morto o meno,” riferì Mercedes mentre erano al bancone di Jamba Juice (**). “Specialmente dopo giovedì. C’era il cinquanta percento di possibilità, ma penso che adesso tutti votino ‘morto’ dopo che i poliziotti sono venuti a scuola.”
Avevano portato via i sospettati in manette e Kurt fu tremendamente contento nel sentirlo. Quei bastardi avrebbero finalmente smesso di farsi vedere in giro.
“Tornerai a scuola lunedì?”
Kurt annuì quando Mercedes glielo chiese- non aveva ancora le idee ben chiare a riguardo, ma rispose lo stesso alla sua domanda. Dave non sarebbe tornato, non lo riteneva possibile, ma Kurt aveva necessità di farlo. Al ballo scolastico aveva imparato una lezione preziosa riguardante l’affrontare le cose che lo terrorizzavano. Lo aveva imparato grazie a Blaine e a Dave, anche se in modi completamente diversi.
Kurt avrebbe avuto paura nel camminare per le aule del McKinley, alla ricerca di chi non c’era. Avrebbe avuto paura della palestra, dello spogliatoio. Quindi avrebbe camminato per le aule e sarebbe andato in palestra e avrebbe conosciuto i nomi di chi era stato arrestato. Era l’unico modo possibile di poter gestire l’inquietudine.
Se Dave non avesse scelto lo stesso suo modo di agire, Kurt non gli avrebbe dato addosso. Il suo panico senza nome era completamente diverso da quello di Dave. Non c’era niente che non avesse un nome nella sua aggressione e ‘panico’ era probabilmente un pallido eufemismo.
Era strano uscire con le sue amiche al centro commerciale, passare davanti Macy’s, evitare Cinnabon (**) e ascoltarle chiacchierare riguardo la scuola, il Glee Club, le canzoni assegnate e i compiti a casa.
Quando aveva detto che sarebbe tornato lunedì. Mercedes gli sorrise e tirò fuori il suo telefono, componendo immediatamente un numero. “Kurt è dentro”, disse, e un momento dopo abbassò la voce. “Che taglia porti come giacca?”
“Scusa?”
Mercedes alzò gli occhi al cielo e scostò il cellulare. “Non ti preoccupare, è fatta su misura comunque.”
“Cosa?” Kurt guardò malamente sia lei che Tina.
Tina sorrise innocentemente. “Lunedì capirai. E non ci crederai.”
Note di Traduzione:
(*) Traduzione delle famose parole che dice Kurt nello spogliatoio prima del bacio, "Chubby, sweaty, hamhock", che abbiamo preferito non tradurre come il doppiaggio in italiano.
(**) La Jamba Juice è una catena americana famosa per i frullati, mentre la Cinnabon è una famosa catena di pasticcerie.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8. ***
Beta Reader: Kurtofsky
The Worst That Could Happen
- Capitolo 8 -
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Tina aveva ragione. Kurt non riusciva a crederci.
Il giorno in cui tornò a scuola il nero riempiva i corridoi del Mckinley. Non ovunque, ma c’erano abbastanza ragazzi ad indossare una giacca nera per far risaltare quel colore.
Santana lo raggiunse mentre tentava ancora di capire cose stesse succedendo, porgendo anche a lui un'orribile giacca nera di poliestere. “Tieni, indossala”.
”Cosa?”, chiese prendendo la giacca tra le mani per guardarla meglio: era la stessa che indossavano tutti gli altri, ma ad attirare l’attenzione di Kurt fu il logo cucito all’altezza del petto. Era uguale a quello delle giacche rosse che Santana e Dave avevano indossato per pattugliare i corridoi. Ed anche la giacca era simile, solo nera.
”Ma credevo che i BullyWhips servissero solo…”
”Non esisti solo tu”, sibilò Santana, “non c’entri più in tutto questo. Vuoi restare per sempre uno dei protetti? Oppure vuoi finalmente essere uno dei protettori?”
Kurt la studiò – Santana era nervosa ed irritante anche nei suoi giorni migliori, ma quello sguardo rabbuiato era una novità.
Lei si sistemò la giacca, fissandolo quando si accorse che Kurt non sembrava avere intenzione di indossarla. “Dai, Kurt. Tu più di tutti gli altri dovresti sapere come ci si sente a non essere al sicuro in questa scuola. Questa situazione è più grave di quella che in cui ti trovavi tu, è più grave di un paio di granitate e qualche gomitata”.
Kurt trovò difficile respirare in maniera regolare quando capì il motivo celato dietro quello sguardo. “Tu lo sai”.
”So quel che serve. So come funzionano i pettegolezzi in questa scuola. Ho dato il via o partecipato a gran parte di essi. So come trovare la verità”, Santana fece un cenno verso la giacca, “questa è una protesta. Questa scuola è fuori controllo da troppo tempo, e per qualche strano motivo gli adulti sembrano non notarlo, o forse semplicemente non sono interessati. Ed è uno schifo, davvero, ma noi non staremo a guardare. Perciò indossala, perché se non farai parte di questa cosa sarò io stessa a prenderti a calci”.
Kurt prese di nuovo in mano la giacca, guardando con altri occhi il corridoio pieno di ragazzi. “Come hai fatto a coinvolgere così tante persone? L’ultima volta eravate solo tu e Dave a far parte dei BullyWhips”.
“Ricatti. Minacce. Ho dovuto addirittura cambiare il colore delle giacche perché il rosso non è un colore abbastanza figo per questa massa di idioti”, scrollò le spalle mentre Kurt si sistemava la giacca sulle spalle, “ovviamente mi ha aiutata il fatto di essere la regina delle stronze, ma devo dare credito anche al mio nuovo partner”.
“Chi…”
A dimostrazione di quante casualità accadano al liceo Mckinley, la folla di spostò di colpo, lasciando passare Azimio Adams con la sua giacca nera.
Santana fece un cenno verso di lui mentre passava, e lui ricambiò. I suoi occhi passarono oltre Kurt come se non l’avessero nemmeno visto, e continuò a camminare per il corridoio.
“Tu ed Azimio?!”
“Si è proposto lui”, disse Santana tornando a guardarlo. “Vuoi davvero che sia sincera con te, Kurt? Non mi importava che tu venissi preso di mira, prima. Wow, omofobia alle superiori, uuh, incredibile. Ma ora? Quegli stronzi hanno fatto casino con il finto fidanzato della persona sbagliata. E quello che hanno fatto… Non è…”
Kurt si sistemò la giacca sulle spalle, e quando tornò a guardare Santana, nei suoi occhi c’era una rabbia che non aveva mai visto.
“Aspetta un attimo…”, disse, debolmente, “tu…”
“Non psicoanalizzarmi, Hummel. Ognuno ha i proprii problemi, okay? Sì, se buttano quello stronzo di Jason Campbell in galera so esattamente il perché. So cosa fa quando fa del male alle persone. Ma è stato tanto tempo fa, e questo non riguarda me”.
Jason Campbell. Kurt riconobbe il nome e riuscì a ricollegarlo ad un ragazzo, alto, occhi cattivi. Non una star della squadra di football, comunque, un ragazzo che non spiccava tra gli altri.
Un nome scoperto, ancora quattro.
Scosse la testa, spaventato, incapace di allontanare lo sguardo da quegli occhi pieni di rabbia. “Come… Quando…”
”Ho detto di non psicoanalizzarmi, Kurt. Tempo fa, e nulla di comparabile a quello che si dice abbia fatto a Dave. Ero troppo ubriaca per oppormi e non abbastanza per dimenticare, ma non riguarda me”.
Kurt non riusciva a capire. Era già difficile accettare che tutto quello fosse successo a Dave, non riusciva a mandar giù che tutto quello fosse successo anche a qualcun altro che conosceva.
Santana guardò lontano, testa alta ed occhi orgogliosi. “Ti chiedo solo di metterti quella stupida giacca”.
“Sembra ci sia un funerale qui”, disse una voce dietro Kurt, che lo fece sobbalzare.
Brittany guardava Santana con espressione vaga ma con sguardo triste. “Non mi piacciono i funerali”.
Ma indossava comunque la giacca.
Kurt la lasciò passare, guardandola mentre si sistemava al lato di Santana, prendendola a braccetto.
Santana guardò di nuovo Kurt. “Dave sta davvero a casa tua? Puck ha detto qualcosa in proposito…”
Lui annuì.
”Bene. Digli che saremo pronti ad accoglierlo quando vorrà tornare. Nessuno gli dirà nulla, e in caso qualcuno si azzardasse, ci saranno un centinaio di ragazzi in giacca nera pronti a prendere quella persona a pedate per tutti i corridoi”.
Girò i tacchi prima che lui potesse rispondere, portando Brittany via con se, tenendola ancora sottobraccio.
Il pensiero di Kurt si spostò ancora verso la giacca che stava indossando. Nera, stoffa di seconda scelta, luccicante e palesemente fabbricata per qualche economica catena di negozi di sport, con il logo che già si stava scucendo da un lato. Quella era il genere di cosa che non avrebbe mai voluto entrasse in contatto con i suoi vestiti. Ma spostò lo sguardo verso la direzione in cui doveva andare e non vide altro che nero davanti a lui e nero passargli al fianco, e nonostante possedesse un’autentica cravatta di Swarovski di Stefano Ricci, non era mai stato così orgoglioso di indossare un capo di abbigliamento come lo era in quel momento.
Il resto della giornata passò, stranamente, come tutte le altre giornate al Mckinley.
Nessuno gli chiese nulla dopo l’interrogatorio di Santana quella mattina. Vide uno dei volantini di Jacob Ben Israel in una bacheca – Karofsky – Vittima o Carnefice? – e fu tentato di tirarlo via e strapparlo, ma sapeva che sarebbe stato inutile.
Non fu sorpreso, comunque, di vedere che Jacob non indossava la giacca nera.
Sapeva di non riuscire a comprendere molti lati di molte persone, Jacob e la sua personalità erano solo l’ennesimo mistero che non aveva nemmeno voglia di provare a svelare.
Nonostante tutto, la giornata passò tranquillamente, almeno in parte. Ogni volta che vedeva un viso di un giocatore di football, lo cancellava dalla sua lista: il ragazzo biondo, riccio e ben piazzato, cancellato, quello con i capelli rossi a cui sedeva vicino ad inglese, cancellato.
Cercò di non dare molta importanza a chi non c’era, ma non riuscì a fare a meno di notare anche le assenze. Il senior che era impossibile non distinguere alle partite per i suoi lunghi capelli scuri? Sparito. Kowalski, lo studente del secondo anno con i capelli sempre in disordine? Visto da nessuna parte.
Forse era stupido non chiedere direttamente chi erano i responsabile, ma sentire i nomi avrebbe reso il tutto troppo reale.
Non poté fare a meno di notare che nessuno dei giocatori che aveva visto portava la giacca nera, ma vestivano tutti di nero, e si chiese quanto avesse dovuto minacciarli Azimio per fare in modo che ciò accadesse.
Passò davanti all’ufficio della Coach Sylvester per andare alle prove del Glee. Indossava la giacca. Ovviamente stava per far piangere una Cheerios, ma lo faceva indossando una giacca nera.
Perfino Mr. Schue entrò nell’aula di canto indossandone una, riponendola poi sulla sedia, sorridendo quando vide Kurt.
”Mi avevano detto che saresti tornato oggi”, disse mentre tutti gli altri entravano in aula e prendevano posto, “Come ti senti?”
Esitò, perché erano stati tutti bravi ad evitargli domande simili e non aveva nessuna risposta pronta.
”Ho avuto mesi migliori”, rispose alla fine con un debole sorriso.
Mr. Schue capì che non era il caso di fare altre domande. Ma era lì per lui in caso di bisogno, e Kurt lo sapeva. Gli diede un colpetto sulla spalla e si spostò verso la lavagna prendendo un pennarello e scrisse una parola.
Unità.
Si girò nuovamente verso di loro mentre il chiacchiericcio si spegneva e i ragazzi tornavano a focalizzarsi su di lui.
”Qualcuno sa dirmi come mai è questo il tema della settimana?”, chiese, puntando un dito alla lavagna.
Santana rispose immediatamente. “Perché il numero fa la forza. Se vuoi fare qualcosa nel mondo devi avere molta gente dalla tua parte”.
”In gran parte è giusto, cos’altro?”
Kurt sapeva dai pettegolezzi di corridoio che la gente sapeva e parlava, nonostante indossassero tutto la stessa giacca. Sapeva che era di dominio pubblico che Dave era stato cacciato da casa e sembrava di dominio pubblico anche il motivo per cui era stato sbattuto fuori. Nessuno lo diceva ad alta voce. Nessuno rideva o lo additava come gay – Santana non aveva davvero scherzato quando aveva detto che aveva spaventato tutti – ma tutti ne parlavano. Avrebbero riservato le battutacce per il dopo scuola, ma ne parlavano così tanto che Kurt sapeva che in qualche modo anche a loro importava.
Ignorando la mano alzata di Rachel Berry, parlò a voce leggermente alta.
”Le persone sono così ossessionate dalle cose che le rendono differenti dalle altre, che ignorano le molte altre cose che le rendono simili”.
”Bene”, rispose Mr. Schue, tornando alla lavagna e sottolineando la parola Unità con forza.
”Probabilmente ci avrete messo tutti cinque minuti al primo anno a capire che le uniche cose che sembrano importare in questa scuola sono quelle che vi rendono differenti dagli altri”.
”Amen”, mormorò Mercedes.
”Una delle cose che mi rende così orgoglioso di questo club, di tutti voi, è che provenite tutti da così tanti background diversi. Vivete vite così differenti, ma la cosa su cui vi focalizzate qui dentro è quella che avete in comune: la musica. Spero che questa lezione sopravviva fuori da questa stanza”, disse, poggiando il pennarello con un sospiro, “quindi, ci divideremo questa settimana, due gruppi e faremo…”
”Mr. Schue”. Rachel si alzò dal suo posto, mettendosi al centro della stanza davanti al resto dei suoi compagni. “Prendendo in considerazione il tema di questa settimana e tutto quello che sta succedendo nei corridoi, vorrei proporre di non dividerci affatto in gruppi. Penso che dovremmo fare una canzone unica, tutti insieme. Magari qualcosa da poter proporre all’assemblea di venerdì”.
Kurt guardò Mercedes alzando un sopracciglio.
Lei gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio. “Un assemblea contro la violenza, un’idea di Figgins”.
Annuì, la cosa non lo sorprendeva, e tornò a concentrarsi su Rachel. Non esisteva un problema su cui Figgins non potesse basare un’assemblea.
Mr. Schue guardò i ragazzi. “Potrei parlarne a Figgins, siete tutti d’accordo?”
”Che canzone potremmo cantare tutti insieme?”, chiese Quinn.
”Vorrai dire quale canzone canteranno due di noi mentre tutti gli altri resteranno a fare il coretto dietro di loro”, mormorò Mercedes.
”Veramente”, rispose Rachel senza perdere un colpo, “ho già pensato anche a questo. Penso che la gran parte delle persone in questa stanza siano a conoscenza dell’inno alla protesta di Marvin Gaye -What’s Going On? – così come le recenti cover fatte da vari artisti musicali. È una canzone veramente profonda e dà la possibilità ad ognuna delle nostre voci di venir ascoltate. E in spirito del momento…”, prese un respiro come se per lei fosse difficile dirlo, “nello spirito del momento, penso che dovremmo fare uno degli arrangiamenti moderni. Perché non c’è un’unica parte da solista, ogni cantante riceve una parte uguale alle altre”.
”Cristo santo”. Santana si avvicinò a Brittany proprio dietro a Kurt, “hai i piedi freddi? Perché l’inferno si è ufficialmente ghiacciato”.
Brittany guardò immediatamente i suoi piedi. Dagli altri ragazzi provenivano mormorii di sorpresa, ma più cenni d’assenso.
”Sono d’accordo con lei”, esclamò Mercedes, e nessuno era tanto sorpreso quanto lei di quella affermazione.
Rachel sorrise compiaciuta, soddisfatta come sempre quando qualcuno era d’accordo con lei.
”Bene, discusso ed approvato”, disse Mr. Schue con un sorriso, “se non ci sono obiezioni…”
Kurt si sistemò sulla sue sedia, mentre le prove si dissolvevano come sempre in chiacchiere, come ogni altro giorno. C’era un portatile acceso sul banco di Finn, che stava già cercando la canzone su youtube, e nel momento in cui la musica iniziò a riempire la stanza, Brittany e Mike si fondarono in mezzo alla stanza, movendo qualche passo di danza pensando ad una possibile coreografia.
Qualcosa non convinceva Kurt. Si accigliò ancora di più mentre guardava il gruppo si riuniva per ascoltare Bono e Christina Aguilera cantare contro l'ingiustizia e per scegliere le parti per ognuno.
Kurt riuscì a resistere solo per un minuto di quella canzone. Si alzò con una spinta e si girò per raccogliere i suoi libri e la sua giacca nera, mentre anche Mercedes iniziava a canticchiare insieme alle voci del video.
”Kurt? Dai, devi dermi se somiglio di più a Christina o ad Alicia”, disse la cantante, ma il sorriso svanì mentre si girava verso di lui, “dove stai andando?”.
Kurt scosse la testa mentre raccoglieva le sue cose. “Non posso”.
”Kurt?”, la voce di Mr. Shue lo raggiunse dal pianoforte, “Va tutto bene?”
Di nuovo scosse la testa, e di colpo si sentì come quella mattina mentre attraversava le porte degli spogliatoi e non sapeva ancora cosa aspettarsi. “No. Non posso farlo”.
”Fare cosa?”.
Ignorò la domanda, ignorò lo sguardo interrogatorio di Mercedes. Rimise la sua sedia a posto e si diresse velocemente verso la porta. Passando dall’aula di canto al corridoio, l’aria gli sembrò diventare meno pesante e poté respirare di nuovo normalmente.
Non si sorprese quando la porta si aprì di nuovo dopo alcuni secondi e sentì un paio di passi pesanti dietro di lui. “Hey, Kurt!”.
Spostò lo sguardo verso Finn, ma si spostò ancora di un paio di passi dall’aula da cui era appena uscito.
”Sto bene. Torna pure indietro a provare”
Finn lo raggiunse, le sue gambe lunghe stavano al passo di Kurt molto facilmente.
”So di non essere uno dei ragazzi più svegli, ma non sono così stupido. Cosa sta succedendo?”
”Nulla. Io non…”, ma Kurt non riuscì ad andare avanti. Guardò indietro verso l’aula dove i ragazzi del Glee stavano ancora provando. “Non posso farlo. Tutto qui. Non è niente di grave, torna alle prove”.
”Non puoi fare cosa?”
Kurt lasciò andare un sospiro, ma quando si girò verso Finn, il suo fratellastro ricambiò lo sguardo con aria confusa.
”Non posso cantare di questa situazione”, disse dopo un momento in cui aveva cercato di resistere a quell’espressione. “Non posso imparare la canzone e cercare una parte per tutti. Non posso, Finn. È un ricordo ancora troppo vivo. Non posso ancora chiudere gli occhi senza vedere… quello che ho visto quel giorno. Dave è a casa ad affrontare da solo tutto questo, e… non posso presentarmi davanti a lui sapendo che io ho passato un’ora imparando mosse di danza per dimostrare il mio supporto”.
La confusione sparì dal volto di Finn. Continuò a guardarlo con aria incerta.
”Penso sia una cosa più generale, non solo riguardante Karofsky, no? Come ha detto Mr. Schue, è un modo per unire le persone invece di…”
”Sì, lo so”. Kurt scosse la testa. “Non posso farlo, okay? Credimi, sono un gran supporter del cantare come forma d’espressione e di cooperazione, ma… non esiste una canzone adatta a questo. Questo… quello che è successo a Dave, non può essere un tema per la settimana”.
Cos’aveva detto Dave all’ospedale? Che il canto per Schuester era la soluzione a tutto? Qualcosa di simile, e di solito era una cosa su cui lui e Schue la pensavano allo stesso modo. Cantare una canzone allegra non era sicuramente una risposta, davvero, ma era un aiuto. Era confortante, ogni tanto, e le canzoni davano voce a cose che, gran parte delle persone, non riuscivano ad esprimere per conto loro. Qualche volta potevano far sembrare i problemi più semplici, o mettere tutto nella prospettiva giusta.
Ma non quella volta. Era il tipo di cosa che non poteva venir messa nella prospettiva giusta. Non era quel tipo di cosa che si sarebbe potuta sistemare in quel modo.
Avrebbe potuto cantare per tutto il giorno di problemi d’amore, ma non potevano cantare di schizzi di sangue su di un muro o di un corpo coperto di asciugamani sul pavimento di uno spogliatoio. Anche se la canzone era contro la violenza in generale, era comunque tutto partito da ciò che era successo a Dave.
E se esisteva una canzone che poteva avvicinarsi almeno un po’ a ciò che era successo a Dave, Kurt comunque non la conosceva. Non voleva conoscerla.
Guardò di nuovo Finn con un debole sorriso. “Ascolta, è davvero una buona idea, lo so. Se Figgins vi darà il via libera sarà un bene che tutti gli studenti siano presenti. Ma… non posso farlo. Okay?”
Finn sospirò, ma sorrise e colpì gentilmente Kurt sul braccio. “Dirò a Schue che sei dovuto tornare a casa”
”Grazie”. Kurt strinse i libri al petto e si allontanò velocemente da Finn, dall’aula di canto e da un gruppo di persone che non avevano capito nulla di ciò che era successo.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9. ***
Beta reader: Kurtofsky
Note: Probabilmente per quanto riguarda la pubblicazione pensavamo di aggiornare due volte la settimana nelle settimane in cui Glee è in pausa, mentre solo una in quelle regolari, quasi sicuramente il venerdì.
Grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa storia :)
The Worst That Could Happen
- Capitolo 9 -
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Suo padre era seduto in salotto quando Kurt arrivò a casa, stava guardando uno di quei reality show su spalaneve o pescatori di granchi o qualcosa del genere. Ma quando Kurt entrò nella stanza e chiuse la porta dietro di sé, Burt prese il telecomando e tolse il volume.
Non ci andava certo per il sottile, quindi Kurt fece scivolare la borsa dalla spalla e si avvicinò al divano. "Hey, papà."
"Come è andata a scuola?" La domanda era molto più seria del solito.
Kurt alzò le spalle. Si tolse la giacca e gliela fece vedere. "Meglio di quanto mi aspettassi, in tutti i sensi."
Burt prese la giacca e inarcò le sopracciglia. "Cos'è questa? Te l'ho comprata io?"
Kurt rise. "Sicuramente te lo saresti ricordato se mi avessi comprato una mostruosità del genere."
Si sedette sul divano, con il ginocchio alzato così da poter guardare in faccia il padre, e gli raccontò dei Bully Whips. Burt era a conoscenza del non-troppo-longevo-club creato da Dave e Santana: fu grazie a quello che Figgins lo convinse a far tornare Kurt al McKinley dopo il suo periodo alla Dalton, e per settimane aveva chiesto a Kurt i dettagli di come stavano andando le cose nei corridoi del McKinley.
Kurt raccontò al padre cosa aveva visto quella mattina, cosa gli aveva detto Santana, cosa aveva fatto per Dave con l'aiuto di molti altri studenti (e Sue Sylvester) e che Kurt non aveva mai pensato potesse succedere qualcosa di simile. Alla fine del suo resoconto della mattinata aveva di nuovo in grembo la 'mostruosità', e continuava a tracciare con le dita il contorno del logo dei Bully Whips con un sorriso incontrollabile in volto.
Burt lo guardò attentamente mentre parlava, come i giorni post Dalton, e alla fine si rilassò e annuì.
"Devo proprio dirtelo, stavo cominciando a pensare che quella scuola fosse al di là di ogni speranza. Ho lasciato perdere un sacco di cose che non avrei dovuto, ma mettere un ragazzo in ospedale... " scosse la testa. "Ero quasi arrivato al punto di dire che dovremmo farvi studiare a casa a voi ragazzi."
Kurt fece una smorfia all'idea – sia al pensiero di suo padre che si imbatteva nelle sue lezioni di francese e sia al fatto di doversi chiudersi in casa perchè il mondo non era pronto per capire la sua favolosità.
"Sì, allora." Burt ridacchiò all'espressione di Kurt. "Questa è l'ultima occasione, quindi sono contento che le cose finora stiano andando bene."
"Finora," Kurt ammise. "Figgins farà un'assemblea venerdì sulla violenza a scuola o qualcosa del genere, e Mr. Schue vuole farci cantare una canzone."
Suo padre aspettò, mentre il sorriso che aveva sul volto svaniva. "Non ti ispira come idea? Di solito non perdi occasione di stare sotto le luci del palcoscenico."
Kurt alzò le spalle, visto che sicuramente suo padre e Carole ne avrebbero sentito parlare anche da Finn. "Appena troverò una canzone che esprima nel modo giusto che dovremmo piantarla di picchiarci e... molestarci a vicenda, perchè non è per niente una cosa giusta..." Cominciò a sfilacciare il bordo del logo sulla giacca. "Allora tornerò sotto le luci della ribalta."
"Giusto." Burt fece una smorfia, sembrando capire. Lanciò un'occhiata alle scale e aggrottò le ciglia. "Quindi. Il tuo amico non ha proprio una bella cera."
"Dave." Kurt guardò in direzione delle scale. "So che non è la tua persona preferita, papà, ma aiuterebbe se tu non continuassi a chiamarlo 'il tuo amico' o 'quel ragazzo'."
Burt lo guardò, sembrando quasi sorpreso, come se non avesse mai realizzato di non aver mai usato il nome di Dave. "Huh. Sì, immagino di sì. Beh, guarda, Dave ha proprio una brutta cera e non so quanto possiamo aiutarlo nel lasciare che si rinchiuda in camera sua in quel modo. Voglio che scenda a cena con tutti noi."
Kurt annuì, forse troppo entusiasta. "Già, dopo quello che è successo questo week end lo credo anche io. Andrò a parlargli. Voglio dirgli dei Bully Whips e tutto il resto."
Burt lo guardò sollevato. "Bene, fai pure."
Kurt si alzò, piegando con cura la giacca sul braccio e prendendo la borsa.
"Hey."
Esitò, guardando suo padre dietro di sè.
Se c'era una cosa di cui poteva essere fiero di suo padre.... beh, quello era un pensiero assurdo, perchè c'erano migliaia di cose che lo rendevano fiero di essere suo figlio. Ma una cosa che Kurt aveva sempre notato, ed era sempre stato sorpreso da quello che aveva sempre saputo sulla maggior parte degli uomini e sul fatto di esprimere i propri sentimenti, era che suo padre non ha mai perso occasione di dire a Kurt come si sentisse riguardo certe cose.
Era stato sincero sui suoi sentimenti quando Kurt aveva fatto coming out. Era sempre stato aperto da quel momento, per le cose belle e quelle brutte. Non si faceva problemi a parlare con lui sia quando le cose andavano bene, sia quando queste erano al di fuori dalla sua portata.
Non era perfetto, anche se gli è sempre stato più vicino di molti altri padri di cui aveva sentito parlare. Era ancora un po' imbarazzato riguardo certe cose. Era ancora nervoso per un sacco di cose che riguardavano Blaine, o gli appuntamenti o le cose che fanno due ragazzi insieme. Ma continuava a starlo a sentire senza farsi problemi.
In quel momento alzò lo sguardo verso Kurt da sotto il suo vissuto cappellino da baseball, con il telecomando in mano così da poter tornare a guardare ragazzi che pescavano granchi o che abbattevano alberi o comunque qualcosa rimpinzato di testosterone. Gli sorrise quando incontrò gli occhi di Kurt e gli parlò apertamente.
"Sono veramente orgoglioso di te figliolo. Voglio dire, diavolo, lo sono sempre. Ma questa cosa, il modo in cui te ne occupi e il tuo esserci per questo... per Dave. Devo ammetterlo, a volte vorrei che la tua vita non fosse così piena di così tante follie. Ma tu non ne sei spaventato come a volte invece lo sono io, e … se sto facendo la cosa giusta per questo ragazzo, è solo perchè voglio essere all'altezza delle tue aspettative."
Kurt trattenne il fiato, mentre sentiva il petto riscaldarsi e la tensione dovuta alle prove del glee scivolare via come se non ci fosse mai stata.
Burt alzò le spalle, sembrando quasi imbarazzato. "Solo...sai, a volte senti dire un sacco di spazzatura su quanto un ragazzo gay sia meno uomo di uno etero, e se avessi mai pensato fosse vero mi hai insegnato che non è così. Sei già un uomo più maturo e cresciuto della maggior parte degli uomini adulti, e io diventerò una persona migliore solo per tenere il passo con te."
"Se continui a dire queste cose," disse Kurt, sbattendo le palpebre e avvertendo un caldo pizzicore attorno agli occhi, "Comincerò a piangere per tutta casa e rovinerò tutti i tuoi buoni propositi sulla mia virilità."
Burt ridacchiò, voltandosi di nuovo verso la TV. "Vai di sopra allora, vai a parlare al tuo...Dave. Fammi sapere se hai bisogno di aiuto per convincerlo a scendere a cena."
Si sentì combattuto tra andare di sopra come gli aveva detto suo padre o lasciar cadere per terra tutta la roba che aveva in mano e abbracciarlo così forte da non farlo respirare. Alla fine decise di rimettersi la borsa sulla spalla e di salire, consapevole che suo padre non aveva bisogno di un abbraccio per sapere quanto volessero dire quelle parole per Kurt.
Appoggiò la borsa sulla scrivania nella sua stanza e si guardò allo specchio. Si stropicciò gli occhi e si asciugò via dei residui umidi sotto gli occhi e sorrise al proprio riflesso.
Poi prese la giacca e attraversò il corridoio in direzione della stanza degli ospiti.
Non ci fu risposta quando bussò, ma fu paziente. Bussò ancora, ascoltando il suono che proveniva dal piano di sotto di un uomo che gridava qualcosa riguardo delle corde, gabbie o qualcosa di simile. Riconobbe quanto erano mascoline quelle voci perchè ogni due parole c'era un beep che censurava qualche parolaccia.
"Dave?" chiamò dopo un minuto, quando ci non fu ancora nessuna risposta né il suono di un movimento da dietro la porta.
Silenzio, e un improvviso tormento nervoso gli prese lo stomaco. Kurt bussò, ma non aspettò la risposta questa volta. "Hey, Dave? Sto entrando, okay?"
Nessun rifiuto – nessun suono – quindi Kurt girò il pomello e aprì lentamente la porta.
La camera era buia, le luci erano spente e le tapparelle alla piccola finestra sono chiuse. Il sole si intrufolava attraverso i buchini della tapparella, non era proprio buio pesto o qualcosa del genere, ma i suoi occhi ci misero un po' ad abituarsi a quella luce soffusa.
In primo luogo guardò il letto, presumendo che Dave stesse dormendo, ma era vuoto.
Sentì lo stomaco scombussolarsi, e cercò di pensare all'ultima volta che aveva parlato con Dave. Quella mattina? La sera prima? Dave non si era sforzato a parlare molto attraverso la porta, ma quando era stata l'ultima volta che lo aveva fatto?
I suoi occhi si spostarono nella stanza, ed era già pronto a volare giù dalle scale per andare a cercare Dave con suo padre.
Era seduto sul pavimento, incastrato tra i piedi del letto e il muro. Aveva le gambe tirate su e le braccia intorno la testa fasciata. In una mano teneva il cellulare, stringendolo forte. Non sembrava essersi accorto della presenza di Kurt, stava seduto là, raccolto su se stesso, tremando.
Kurt gli fu vicino in un lampo, la giacca dimenticata sul pavimento da qualche parte dietro di lui. Fu in ginocchio ancora prima di realizzare che si stava muovendo.
"Dave?" Si allungò verso di lui, ma le sue dita erano come quelle di un fantasma vicino al braccio di Dave. Non sapeva se poteva toccarlo. "Dave, cosa c'è? Cos'hai?"
Nessuna risposta, niente di niente. Solo dei respiri tremanti.
Kurt trattenne il fiato e lasciò che le sue dita si avvicinassero, sfiorandogli il braccio. "Dave?"
Dave si mosse subito, alzò la testa come se non avesse idea che Kurt fosse lì con lui. I suoi occhi erano agitati, quasi terrorizzati.
Ci volle solo un momento perchè riconoscesse Kurt e sembrò realizzare dove si trovasse, ma quel momento fu abbastanza per Kurt per arretrare, per fargli ricordare lo spogliatoio, gli stessi occhi agitati e lo stesso respiro affaticato.
Kurt ricadde suoi talloni, con le mani in avanti e i palmi alzati. Indifeso. "Va tutto bene, sono io!"
Dave lo fissò, prendendo un respiro indeciso. Tirò giù le braccia e notò il cellulare che stava tenendo in mano, lo guardò come se stesse quasi per mangiarlo. Lasciò cadere la testa indietro contro il muro e cominciò a respirare in modo irregolare.
"Cosa? Cosa c'è?" Kurt chiese sporgendosi in avanti di nuovo, sebbene non allungandosi ulteriormente. "Puoi dirmi cosa è successo?"
Dave scosse la testa, gli occhi chiusi. Inspirò ed espirò, cercando di calmarsi in qualche modo. All'improvviso, prima che Kurt potesse chiederglielo di nuovo, aprì gli occhi e lanciò il cellulare che aveva stretto nel pugno dall'altro lato della stanza, facendolo sbattere contro la parete e facendolo finire sul tappeto con un rumore sordo.
Kurt spalancò gli occhi, ma non si mosse. "Okay...Dave. Mi stai spaventando, cosa c'è?"
Dave scosse la testa, guardando Kurt di rimando come se fosse...imbarazzato. In qualche modo, cercando di non essere imbarazzato, provava a chiedergli qualcosa, solo che non sapeva se Kurt sarebbe stato d'accordo.
Kurt di solito era un ragazzo con un buon istinto, ma Dave Karofsky era sempre stato abbastanza misterioso per lui. Non aveva mai avuto sospetti sull'omosessualità di Dave fino al bacio negli spogliatoi, e aveva finito per fuggire dal McKinley perchè non aveva idea di come interpretare le azioni di Dave dopo quel bacio tranne come un tentativo di terrorizzarlo a morte.
Dave era difficile da leggere nei suoi giorni migliori. E quelli appena passati non erano i giorni migliori.
Kurt si domandò, guardando il pugno di Dave stringersi e il suo corpo premuto aderente al muro come se fosse legato a qualche cosa. Si domandò se potesse capirlo.
Si allungò verso di lui, terrorizzato dal fatto di poter fare un altro errore, e gli toccò il braccio. “Va tutto bene. Sono qui, ti puoi fidare..."
Non riuscì a finire la frase che Dave collassò sopra di lui.
Kurt deglutì, grato del fatto di aver avuto ragione, e cinse la schiena di Dave con le braccia. Riusciva a sentire i brividi di Dave sulla propria pelle, il modo in cui i muscoli erano abbastanza tirati da spezzarsi, il modo in cui il suo respiro diventava sempre più pesante. Dave lasciò cadere la fronte sulla spalla di Kurt.
Non pianse, cosa che Kurt invece si aspettava. Si appoggiò solo, respirando così a fatica che Kurt sentì un dolore nel petto a quel suono.
Kurt gli accarezzò la schiena, su e giù, cercando di pensare a tutte le cose che faceva suo padre con lui quando era di cattivo umore. Non aveva idea di cosa stesse realmente succedendo, ma non aveva bisogno di sapere per capire cosa doveva fare. Lentamente appoggiò la guancia ai capelli di Dave, e anche se era una cosa piuttosto intima, Dave non sembrò accorgersene.
Non fu sicuro di quanto tempo rimasero in quella posizione, sicuramente fino a quando il respiro di Dave non si calmò, tornò ad essere equilibrato, e le gambe di Kurt non cominciarono ad avere dei crampi per quella strana posizione.
Poi Dave parlò senza muoversi, e i crampi alle gambe passarono in secondo piano. "Mi hanno telefonato," disse con voce roca. "Dall'ospedale."
Kurt resistette all'impulso di ritrarsi e studiare la sua faccia per ottenere qualche indizio su cosa gli stava per dire. "Cattive notizie?" chiese dolcemente.
"No. E' per quella... quella cazzo di cosa." Dave sbuffò, e sembrava quasi una brutta impressione di una risata. "Mi hanno fatto questi test quando sono arrivato là, e..."
Kurt esitò, guardando in basso ai capelli di Dave. "Stai parlando del Kit (*) di cui mi hai parlato?"
"No. Voglio dire, sì, ma loro hanno anche..." Fece un respiro profondo, ma ancora non lo lasciò andare. La sua testa rimase appoggiata alla spalla magra di Kurt. "Fatto dei test, per... malattie. O quella roba lì."
Kurt capì. Si sentì gelare il sangue e non credette di non averci pensato prima. "Oh, Dio."
Dave sbuffò di nuovo. "No. Loro.. loro hanno detto che sto bene. E' per quello che hanno chiamato. I risultati erano a posto. Devo tornarci tra un paio di mesi. Credo che a volte alcune... alcune cose ci mettono un po' a venire fuori."
Kurt sospirò profondamente, mentre la sua guancia tornava ad appoggiarsi ai capelli di Dave. E se strinse ancora di più le braccia attorno a lui, fu qualcosa che entrambi capirono. "Oh. Okay...bene. Va bene." Chiuse gli occhi, dicendosi di rilassarsi. Di nuovo.
Erano stancanti, quei momenti di panico e sollievo, panico e sollievo.
Aprì di nuovo gli occhi, perchè Dave stava ancora tremando contro di lui. "Non sei incinto, vero?"
Era una battuta rozza, probabilmente di cattivo gusto, ma dopo un secondo Dave fece un suono che assomigliava molto vagamente ad una risata. "Cristo, Fancy."
"Cosa c'è?" Kurt chiese in risposta. "Sei...preoccupato per...?"
"No. Non...Non me ne frega un cazzo. Solo che...cazzo, suona così stupido pure nella mia mente."
"Non mi interessa, dillo."
Dave fece un sospiro, e poi un altro ancora, e infine si tirò indietro.
La sua faccia era pallida, e per la prima volta Kurt realizzò che brutta cera avesse. Il viso era scialbo, i capelli disordinati. Aveva gli occhi rossi, e la pelle subito sotto gli occhi così scura che sembrava avesse ancora dei lividi.
Kurt gli si avvicinò istantaneamente, spazzolandogli indietro alcune ciocche di capelli scuri. "Non hai dormito da quando sei arrivato qui?"
Dave alzò le spalle. Lasciò che la testa si appoggiasse al muro, i suoi occhi si muovessero da Kurt a un posto indefinito nel mezzo della stanza. "Ho fatto dei sogni del cazzo la prima notte. Da allora..." Alzò di nuovo le spalle in modo più marcato.
Kurt aggrottò le ciglia, ma colse l'opportunità di cambiare posizione, per piegare meglio una gamba sotto di se e sedersi un po' meno goffamente. "A quello ci penseremo dopo. Adesso...cosa è successo dopo la telefonata?"
"Te l'ho detto, è una cosa stupida."
Kurt si diede un colpo sul braccio prima di potersi fermare. "E io ti ho detto che non mi interessa. Parla."
Gli occhi di Dave tornarono su di lui quasi riluttanti. Per un momento sembrava quasi volesse sorridere, ma quel momento passò. "La tipa, l'infermiera, stava parlando del mio prossimo appuntamento. Ha detto qualcosa del tipo..." Fece roteare gli occhi, ma la sua voce diventava sempre più ruvida mentre parlava. "Riguardo a quanto tempo ci vuole perché alcune STD possano vedersi nelle analisi. Voglio dire, l'ha proprio detto... ha detto 'malattie a trasmissione sessuale', e io ho pensato... ho quasi detto, ma che diavolo? Sai? Non sono mai andato a letto con... con nessuno."
Kurt chiuse gli occhi per un momento, deglutendo.
"L'ho quasi detto, qualcosa del tipo. 'Ma signora, cosa cazzo sta dicendo? Non ho mai fatto sesso, perchè mi volete fare gli esami per.." Dave si portò le mani sul volto, i palmi appoggiati alle tempie. "E ci sono rimasto. Credo di aver fatto sesso."
"Dave." Kurt aprì gli occhi e gli si avvicinò, facendogli abbassare un braccio. "Hey." Afferrò la mano di Dave con entrambe le sue, sentendo il suo tremare sulle proprie dita. “Sai che non è così, vero? Non era sesso. Non è neanche lontanamente paragonabile... "
Dave scosse la testa, strofinandosi gli occhi con la mano libera come se fosse arrabbiato. "Certo che lo era. Quello era il... il fottuto punto. Hanno detto che avrebbero tirato fuori il frocio in me. Hanno detto che quando avrei saputo cosa voleva dire avere un cazzo nel culo avrei smesso di essere una checca e avrei cominciato a scopare per davvero.”
La presa di Kurt si fece più debole intorno alla mano di Dave. Si sentì il cuore in gola.
"Hanno detto che mi stavano facendo un fottuto favore. Li avrei ringraziati più tardi, quando sarei... sarei guarito. Cazzo!" Spinse la testa indietro contro la parete, così forte che si fece sicuramente male. "Cazzo, perchè non posso...è successo, perchè non posso affrontarlo? Ogni cazzo di ora mi sembra di realizzarlo di nuovo per la prima volta." Dave si asciugò di nuovo gli occhi, i suoi movimenti erano a scatti e nervosi.
"Dave." La voce di Kurt era minuta. Avrebbe voluto essere calmo, forte, sicuro e sicuro di sé, ma la sua voce aveva deciso di non cooperare. "E' stato una settimana fa. E' stato ieri. Nessuno si aspetta... nessuno riesce ad affrontare una cosa del genere in così poco tempo ."
Dave scosse la testa, ma non ribattè.
"Ascoltami." Kurt si chinò su di lui, afferrando forte la mano di Dave. "Io non ho neanche cominciato ad affrontare questa cosa, e non è nemmeno successa a me!"
Vide subito che quelle parole non lo aiutarono. Dave aprì gli occhi e si soffermò a guardare il viso di Kurt, e il dolore crebbe ancora di più. "Cazzo, Fancy. Non avrei dovuto... Tu non avresti dovuto..."
"No. Non provarci neanche." La voce di Kurt si fece più decisa. "Non comincerai a fare il martire. Hai così tante altre cose da affrontare, non devi biasimarti perchè io sono coinvolto." Fece scivolare le dita in mezzo a quelle di Dave e chiuse la sua mano in una stretta morsa. "Se tu dovessi andare incontro a tutto ciò da solo perchè io non sarei qui... capisci quanto peggio sarebbe? Per me?"
"Tu non mi devi niente, Kurt," Rispose Dave, il suo tono di voce era basso. Forse l'esaurimento stava cominciando a farsi sentire, forse era solo stanco di essere continuamente così di cattivo umore. "Tu avresti dovuto solo... aver sentito la notizia come tutti gli altri. Magari ti saresti sentito triste per me, ma...Cristo."
"Non mi interessa cosa sarebbe dovuto succedere. E sono onesto, Dave – se avessi la possibilità di tornare a una settimana fa e non essere coinvolto, non ne approfitterei. Se potessi fare in modo che tutto ciò non fosse mai successo ne approfitterei all'istante, ma visto che non posso... Sono proprio dove voglio essere. Okay?"
"Perchè?" Chiese Dave, un suono gracchiante che difficilmente assomiglia ad una parola .
Kurt esitò, e quando Dave lo guardò con quei brillanti occhi nocciola, seppe che la risposta era importante.
Doveva rispondere nel modo giusto, e doveva essere onesto. Lui e Dave, la loro storia insieme, doveva avere qualcosa a che fare con quella risposta. Non avrebbe potuto mormorare qualche banalità sul fatto di essere amico di Dave, perchè loro non erano amici prima di questo. Non avrebbe potuto neanche dire qualcosa di insipido sul nessuno si merita di soffrire da solo, perchè anche quello non era giusto.
Nessuno si meritava di soffrire in solitudine, ma Dave non era sul pavimento della camera degli ospiti di Kurt per una strana richiesta di adozione. Non era niente di così generico. Dave era lì perchè era Dave, perchè le cose che erano successe tra di loro avevano significato qualcosa.
Sì lasciò scappare un sospiro e si guardò in basso le mani, realizzando per la prima volta che stava stringendo la grande e graffiata mano di Dave tra le sue. Esitò, deglutendo per cercare di dare sollievo alla gola secca, incapace di non notare quanto fosse più grande la mano di Dave tra le sue magre e pallide dita.
"So di avertelo già detto all'ospedale," disse lentamente, cercando di trasformare le sue ragioni in parole, "Ma ti ho perdonato per quello che è successo tra noi due un po' di tempo fa, e posso dirti esattamente quando."
Dave lo studiò, quasi incapace di respirare mentre lo ascoltava.
Kurt lasciò il pollice vagare lungo una cicatrice sbiadita che stava ancora guarendo sulla nocca dell'indice di Dave. "Ti ricordi quando eravamo nell'ufficio di Figgins, quando stava dicendo a me e a mio padre dei Bully Whips e cercava di farmi tornare a scuola?"
Dave fece un cenno con la testa, breve e distinto.
"Ero seduto lì che ascoltavo tuo padre – e pensavo ancora che fosse un essere umano – che raccontava che ragazzo grandioso tu fossi. Un giovane scout." Sorrise timidamente.
Dave sembrava volesse provare a sorridergli di rimando, ma i suoi occhi rimasero rapiti sul volto di Kurt e ciò che uscì non fu nulla di più di una smorfia.
"Ascoltandolo realizzai che... quando disse che non sapeva perchè avevi iniziato a infastidirmi, ovviamente, realizzai che non sapeva nulla di te. Ma... so per certo che non ci si ritrova gay da un giorno all'altro. Quindi dovevi ancora essere... quello che eri quando eri un boy scout e non avevi ancora idea di essere gay. Qualunque cosa fosse cambiata, i tuoi voti e il tuo bullismo e tutto il resto, non eri tu che diventavi un'altra persona. Eri tu che attaccavi gli altri, perchè nessuno vedeva la persona che sei stato per la tua intera vita."
Sorrise debolmente. "Forse può sembrare compassione, ma... mi ha reso triste, Dave. Anche prima che venissi allo scoperto, tutti sapevano esattamente chi fossi. A volte mi sono sentito molto solo. È capitato molte volte, perchè nessuno intorno a me riusciva a capire i miei problemi, perchè loro non erano come me. Ma non sono mai stato realmente solo. Non ci sono mai stati problemi dei quali non abbia potuto parlare con mio padre o i miei amici. E quando penso a come sarebbe fare coming out, realizzare chi sono e quanto sono diverso... quando penso ad affrontare una cosa del genere senza il supporto di mio padre o la comprensione dei miei amici..."
Scosse la testa, guardando di nuovo in basso alle loro mani. Strinse gentilmente quella di Dave. "Ho visto che tu ti sentivi solo ed eri solo, in un modo in cui io non sono mai stato. E ti ho perdonato per qualunque cosa tu mi abbia fatto, perchè non posso capire come ci si sente, ma dubito che l'avrei affrontato in modo migliore."
Spostò lo sguardo sul viso di Dave, studiandolo, cercando di vedere cosa ci fosse dietro al barlume dei suoi occhi. "Tu sei me. Tu sei quello che sarei potuto essere io se non fossi stato così fortunato. Tutto quello che ti è capitato, anche quello che ti è successo la settimana scorsa, sarebbe potuto succedere a me. Non ti lascerò affrontare i postumi di tutto ciò senza aiutarti. Non posso più lasciare che tu sia solo. Forse... forse non è una buona ragione, ma..."
Dave alzò subito le spalle, strizzando gli occhi e asciugandosi l'umido che gli era rimasto in faccia. "E' buona abbastanza," disse calmo. "Fa schifo vedere che sono passato dal... terrorizzarti al essere diventato qualche tipo di... fottuto impegno. Ma..."
Kurt si raddrizzò, afferrando ancora più saldamente la mano di Dave. "Okay, piantala. Ti sto aprendo il cuore qui, non sei autorizzato a semplificarlo chiamandoti un impegno. Sono qui perchè voglio, non perchèdevo. Okay, non eravamo neanche amici o qualcosa di simile. Ma perchè non possiamo esserlo adesso? Forse non è il momento più sano per far crescere un'amicizia, ma mi piaci. Mi piace il lato di te che ho visto da quando ho lasciato la Dalton. E abbiamo delle cose in comune, cose che non tutti riescono a capire. Hai avuto bisogno che qualcuno ti stesse vicino per anni, Dave, ma non c'era. Quindi lascia che ci sia io per te adesso."
"Tu non hai idea di quanto mi senta fottuto in questo momento, Fancy," rispose, e subitò si mise a fissare le loro mani, cose se si fosse appena accorto di quanto le stesse stringendo forte Kurt. "Questa telefonata, questa merda... è solo, c'è troppo..." Si arrese con un sospiro. "Sono un fottutissimo e gigantesco impiastro che è stato seduto sul pavimento così a lungo da non sentirsi più il culo. Tu sei davvero pazzo se stai davvero pensando 'sì dai, lasciamene un po' anche a me. Ne voglio un po' anche io nella mia vita.'"
"Zitto." Kurt si lasciò sorridere un poco, anche perchè il dolore presente negli occhi di Dave aveva iniziato a diminuire. "Sono un vistoso ragazzo gay incline al melodramma. Se tu fossi meno complicato mi annoieresti."
Dave sorrise, fragile, ma annuì dopo qualche minuto. "Se tu sei davvero così stupido da volere che diventiamo amici, allora..." Alzò le spalle, ma il suo sorriso, per quanto possa essere debole, è sincero. "Ci sto."
"Davvero?" Kurt sogghignò.
"Solidarietà, giusto?" Dave alzò il braccio, con il pugno alzato. "Vai Team Arcobaleno."
Kurt rise, forse in modo troppo aperto, ma non importava. Quando si alzò in piedi e tirò quella mano che non aveva lasciato andare neanche per un attimo da quando l'aveva afferrata, Dave sbuffò e si alzò anche lui. Kurt lo lasciò andare, sorridendo, e cercò di non notare che le sue mani erano strane e vuote senza quella di Dave tra le sue.
Non aveva risolto nessuno dei problemi di Dave. Non era proprio nella posizione di dargli consigli riguardo a quanto stava andando incontro, e non aveva idea di come fare in modo che le cose tornassero nel verso giusto. Ma Dave aveva un amico in più questa volta, e forse alla fine ne sarebbe valsa la pena.
Kurt stava quasi per scendere al piano di sotto a dire a suo padre che avrebbero dovuto aspettare un altro giorno prima di forzarlo a scendere per cena con l'intera famiglia, ma quando bussò alla porta di Dave per dirgli che era pronta la cena se voleva scendere, Dave aprì la porta e uscì, strabuzzando gli occhi come una marmotta appena uscita dal letargo.
Aveva ancora un aspetto orribile, pallido, esausto e insicuro. Ma uscì, e lasciò che Kurt lo aiutasse a scendere le scale, sembrava un po' terrorizzato dalla cucina e dalle voci che uscivano. Sempre meglio però di come stava quel mattino
Kurt doveva solo fare in modo che durasse.
Quando entrarono in cucina Finn era già seduto al tavolo, le lunghe gambe allungate di fronte a sè. Stava parlando con Carole mentre lei si muoveva intorno al tavolo della cucina per finire di apparecchiare, e Burt era vicino al frigo a versare del liquido scuro nei bicchieri. The, suppose Kurt. Suo padre ormai beveva solo the da quando Kurt gli aveva proibito la soda.
Lo sguardo di Finn si spostò sulla porta quando entrarono, alzando le sopracciglia. Si mise seduto composto, il sorriso sul suo volto svaniva. Qualunque cosa stesse dicendo sull'assemblea di Figgins morì sulle sue labbra.
Carole, che dio la benedica, ebbe più buon senso del figlio. Gli lanciò un'occhiata e sorrise a Kurt e Dave come se non ci fosse nulla di strano nella loro presenza. "Sedetevi ragazzi. Spero che il salmone vada bene a tutti, perchè altrimenti... potete imparare a cucinare per conto vostro."
Kurt sorrise e spinse Dave verso il tavolo. "Carole è la mia più grande alleata nel mio piano per fare in modo che papà mangi come un uomo adulto," informò Dave, lanciando un sorriso al padre. "Ci lascia mangiare tutto quello che vogliamo a cena, tranne il venerdì, ma di solito io mangio quello che mangia papà. Pressioni sociali e tutta quella roba."
Dave non rispose, ma sembrava non gli dispiacessero le chiacchiere. Si sedette di fianco a Kurt, dal lato opposto rispetto a Finn, e il suo sguardo di spostò insicuro su Finn.
Finn non era di certo rilassato come quando erano entrati in cucina pochi momenti prima, ma fece un cenno a Dave, che ricambiò.
Kurt fece roteare gli occhi, ma per quanto potessero essere stupidi i cenni da 'comebutta' tra i ragazzi, era pur sempre un buon segno. (**)
Carole fece il giro e gli mise i piatti davanti. Si sporse tra Kurt e Dave, e sebbene non stesse guardando Dave direttamente, stava sicuramente parlando con lui. "Se non lo finisci diventerà il pranzo di Burt di domani, quindi va bene se non te la senti di pulire il piatto."
Kurt si immerse nel suo salmone con riso e verdure con gusto, mentre il nervosismo riguardo la cena svaniva lentamente. Avrebbe dovuto conoscerli abbastanza da non preoccuparsi – Finn poteva anche essere inopportuno un giorno sì e l'altro anche, ma sua madre era...beh, una mamma.
La conversazione continuò normalmente come se fosse una cena normale. Nessuno spinse Dave a parlare, come se ci fosse uno sforzo convenuto per tenere l'umore leggero e non concentrare tutta l'attenzione sul loro ospite. Uno sforzo troppo convenuto per essere una coincidenza, ma ciò fece Kurt amare ancora di più quel gruppo di persone intorno a lui per come si sforzassero per rendere le cose il più semplice possibile per Dave.
Dave stava seduto in silenzio. A volte si guardava intorno mentre parlavano, a volte studiava il cibo che aveva nel piatto come se volesse comunicare con lui. Ne mangiò alcuni bocconi. Non erano neanche lontanamente abbastanza, e il buon umore di Kurt svanì quando realizzò che lasciando Dave chiudersi in camera a quella maniera, non aveva idea di quanto avesse mangiato i giorni scorsi. Carole gli aveva portato del cibo e gliel'aveva lasciato fuori dalla porta, ma non aveva controllato quanto ne avesse mangiato sul serio.
Dave era un diciassettenne di circa 90 chili di muscoli, e qualcuno così aveva bisogno di mangiare. Forse aveva quell'aspetto così esausto perchè stava perdendo peso, perchè stava completamente negando se stesso.
Sembrava qualcosa di ovvio, ma fu qualcosa che indebolì l'umore di Kurt. Suo padre, per fortuna, pensava a cose che di cui Kurt non sembrava accorgersi. Burt sapeva che un paio di giorni chiuso nella sua camera erano più che abbastanza.
A volte Kurt pensava che la sua intera visione del mondo era stata distorta in maniera inequivocabile in quell'ultima settimana. Quando pensava a quei piccoli dettagli che aveva scoperto riguardo a quello che era successo a Dave – e ci avrebbe pensato, ne era sicuro, probabilmente sarebbe stato qualcosa che lo avrebbe tenuto sveglio quella notte – lo faceva riflettere sul fatto che ci fosse un intero aspetto delle persone, o del genere umano o qualcosa di simile, che non aveva mai visto prima.
Pensò ad un gruppo di ragazzi che mettevano in un angolo un loro amico, un loro compagno di squadra... facendogli sbattere la testa contro il muro, minacciandolo di far uscire il gay in lui e poi...poi vedere davvero le loro minacce attraverso...
Ci pensò e realizzò che non sapeva proprio un bel nulla della gente. Ed era una cosa assurda, perchè lui aveva visto il lato beffardo e crudele della gente per tutta la sua vita. Ma quando pensava che le persone potevano farsi del male tra di loro nel modo in cui in Dave era stato ferito, all'inizio non riuscì a capirli. Appartenevano ad una specie aliena, i ragazzi che avevano attaccato Dave.
Aveva bisogno di questo, della cena a casa, di suo padre e Carole, e anche di Finn, che era imbarazzante ma cercava di fare del suo meglio. Aveva bisogno di questo per ricordarsi che le persone che avevano attaccato Dave non erano normali. Non sono tutti. Erano il lato peggiore delle persone, la versione più orribile possibile degli esseri umani.
Burt, Carole, Finn, erano la versione migliore. Erano compassionevoli, altruisti e si amavano tra di loro, e ovviamente tenevano a Dave, sebbene avessero tutte le ragioni del mondo per odiarlo.
Le persone migliori e le persone peggiori, tutte in un giorno solo. Era sconcertante, e non aiutò Kurt ad arrivare ad alcun tipo di epifania.
Tutto ciò che riuscì a capire era che c'erano delle persone orribili come Jason Campbell e i suoi amici, e c'erano persone meravigliose come suo padre e Carole. E praticamente tutti gli altri nel mondo si trovavano da qualche parte in mezzo.
Note di Traduzione:
(*) si tratta dell' evidence kit, una serie di test che fanno quando si pensa possa essere avvenuto uno stupro.
(**) 'comebutta' è la traduzione letterale del termine 'wassup', slang di what's up. |
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Capitolo 10 *** Capitolo 10. ***
Beta Reader: Kurtofsky
The Worst That Could Happen
- Capitolo 10 -
Se non altro Kurt era determinato a non lasciare mai più Dave da solo.
L’aveva lasciato a se stesso per un paio di giorni e questo sembrava aver causato più danni che altro, quindi era ora di darci un taglio.
Aveva iniziato ad andare di nuovo a scuola, e questo significava che Dave aveva ben otto ore per starsene per conto suo. Ma oltre a quelle… non si sarebbe più limitato a bussare alla porta e a sussurrargli la buonanotte ed il buongiorno senza aspettarsi una risposta. Non l’avrebbe più lasciato solo.
Kurt si era assegnato da solo il ruolo di guardiano di Dave, e sarebbe diventato bravissimo a prendersi cura di lui: doveva solo farci la mano. Degli stupidi errori di percorso non l’avrebbero fermato.
Nonostante quella decisione, non disse una parola quando Dave si alzò per tornare nella sua stanza: aveva una chiamata da fare, e la cena era già stata un grande passo avanti.
”Non sarai felice di sapere ciò che sto per dirti”, annunciò al telefono non appena Blaine rispose. Chiuse la porta della sua stanza e si mise alla scrivania.
”Okaaaay”, rispose lentamente Blaine, ma con un’ombra di sorriso nella voce, “farai bene a raccontarmi tutto subito, qualsiasi cosa sia”.
”Si tratta di Dave”. Kurt appoggiò il cellulare alla spalla, liberando entrambe le mani per digitare la password sul suo computer.
”Karofsky?”, e Blaine non sembrava più tanto divertito.
”Ricordi quando ti ho detto che era stato ferito?”
Kurt non aveva fatto nulla di normale negli ultimi giorni, quindi quando aprì facebook si rese immediatamente conto di non sapere cose stesse succedendo nel mondo. “Dicevo la verità. È veramente… veramente ferito. E non è qualcosa che si è auto-inflitto per attirare l’attenzione o manipolare qualcuno”.
”Ti crederò sulla parola, ma sto ancora aspettando di sapere come mai tra poco sarò arrabbiato con te”.
“È qui. A casa mia. È qui per rimanere”.
C’era silenzio dall’altra parte del telefono.
Kurt osservò pigramente la home del suo profilo, trovando le solite cose, le solite chiacchierate tra i membri del Glee. Mercedes e Tina avevano comprato delle scarpe (e Kurt cliccò ‘mi piace’), uno dei padri di Rachel si era storto una caviglia (notò il ‘mi piace’ di Puck, che gli ricordò che l’amico, a volte, era proprio un idiota).
Vide il nome di Santana, ma la sua foto profilo non era più la solita. Si avvicinò allo schermo e strizzò gli occhi, sorridendo quando si accorse che la foto era il logo dei BullyWhips. Cliccò sull’immagine per controllare che nessuno avesse scritto qualcosa al riguardo. Santana aveva taggato il liceo Mckinley ma nessuno studente in particolare, ed il suo commento era “Tutti meritiamo di essere al sicuro. E se non parteciperete alla protesta ve la vedrete con me”.
Nessun altro aveva commentato. Probabilmente erano tutti troppo spaventati. Ma Azimio ed un altro centinaio di persone avevano cliccato ‘mi piace’, e Kurt decise di fare lo stesso.
Si accorse solo allora del silenzio prolungato che proveniva dal suo telefono. Sospirò e lo prese di nuovo in mano. “Blaine?”
Come se stesse solo aspettando un incoraggiamento, Blaine iniziò subito a parlare.
”Non posso credere che tuo padre permetta tutto con questo. E pure Finn è d’accordo? Dio, Kurt, sono il primo ad offrire una mano a chi ne ha bisogno, ma il tuo istinto di sopravvivenza è proprio fuori uso, eh?”
Kurt sospirò ancora allontanandosi dallo schermo. Stava guardando il suo profilo facebook per tenersi in qualche modo occupato, ma tutto d’un tratto gli sembrò fuori luogo.
Doveva a Blaine quella conversazione, doveva almeno tentare di dargli retta.
”Non capisci.”
”Allora spiegami! Cosa sta succedendo a casa tua?”
Buttò un’occhiata alla porta chiusa della sua stanza, abbassando la voce senza nemmeno accorgersene.
”Ti dirò le stesse cose che ho detto ai ragazzi a scuola. Non posso dirti di più però, non è una cosa successa a me e non ho alcun diritto di raccontarla”.
Blaine non rispose, in attesa di una spiegazione.
Kurt si alzò e si avvicinò al letto, collassandoci sopra e sospirando.
”Dave ha rivelato a suo padre di essere gay, e lui l’ha praticamente cacciato di casa…”
”Ne sei sicuro? Perché sembra una storia-“
Kurt si irrigidì. “Seriamente, falla finita. Lasciami finire di parlare, poi potrai avere qualsiasi reazione passiva-aggressiva che vuoi, d’accordo?”
Blaine sospirò dall’altro capo del telefono, ma sembrava meno teso quando risposte. “Va bene. Scusami.”
”Suo padre l’ha cacciato di casa, e sono sicuro di questo fatto perché mio padre è andato a parlargli… e qualsiasi cosa suo padre abbia detto… beh, Dave ora è qui. Quindi anche se pensi che io sia un idiota, sai benissimo che mio padre non lo è, giusto?”
”Kurt… Ho detto che mi dispiace. Terrò la bocca chiusa. E non penso tu sia un idiota, penso solo che… non so, credo che tu non abbia visto il lato peggiore delle persone come l’ho visto io”.
”Continua ad ascoltarmi”, rispose Kurt cupamente. Guardò il pavimento, desiderando che Blaine fosse vicino a lui in quel momento.
“Dave si era stabilito a casa del suo migliore amico, uscendo allo scoperto anche con lui… e lui non ha reagito bene. L’ha detto ad alcuni ragazzi della squadra di football, ed il giorno seguente a scuola…”
”Oddio”. Finalmente Blaine aveva capito la gravità della situazione.
Kurt si sentì sollevato. Amava Blaine soprattutto perché avevano molte cose in comune. Potevano essere entrambi molto egocentrici alle volte, ma il fatto che Blaine avesse avuto più brutte esperienze di lui gli faceva credere di essere un esperto.
”Raccontami tutto, Kurt, qualsiasi cosa sia.”
La pena nella voce di Blaine era quasi peggiore della rabbia. La pena gli riportava ricordi spiacevoli alla mente, impedendogli di distrarsi con le cene di famiglia e tutto lo shopping che Mercedes aveva fatto quel pomeriggio.
Deglutì, cercando di trovare le parole giuste e di non rivedere le scene di quella maledetta giornata. Non voleva ricordare, voleva solo raccontare.
”L’hanno seriamente ferito, Blaine. Ha passato due giorni in un letto d’ospedale, ed è ancora…”
Esitò, trattenendo un respiro e rilasciandolo subito dopo, tornando a posare lo sguardo sullo schermo del computer, perché guardandolo non si sarebbe ricordato dei muri insanguinati e delle unghie rovinate.
”Loro… Blaine…”
Respirò ancora profondamente. Stava bene. Non era qualcosa che non aveva mai detto. L’aveva detto il giorno successivo a quegli eventi, no? Parlandone a suo padre al telefono, sfogandosi.
Ma era più difficile. Sfogarsi era stato più semplice, non aveva dovuto pensare a cosa dire, non si era dovuto preparare. Forse era così difficile perché sapeva che Dave non avrebbe voluto che lui ne parlasse con Blaine. Probabilmente.
Ma non stava raccontando tutto a Blaine per far star meglio Dave. Era lui ad averne bisogno. Aveva bisogno di qualcuno che non conoscesse e che non avesse Dave in simpatia. Qualcuno che pensasse solo a Kurt. Era egoista, ma sperava di essersi guadagnato il permesso di pensare un po’ a se stesso durante la settimana precedente. Aprì la bocca per cercare di sfogarsi di nuovo come aveva fatto con suo padre. Ma dalle sue labbra non uscì nulla.
”Kurt… puoi dirmi tutto”.
La voce di Blaine era ancora gentile e Kurt capì che non stava più pensando a Dave.
Non poteva raccontarlo al suo ragazzo come aveva fatto con suo padre. Non era giusto che cercasse conforto in quel modo. Non ci era passato, non era stato ferito. Stava cercando di raccontare il segreto di Dave per i suoi comodi, e fortunatamente la sua gola non glielo voleva permettere.
”Okay”, aggiunse Blaine dopo un’altra pausa, “Va tutto bene, Kurt. Mi fido di te. È stato ferito ed è grave, ed è la verità. Non chiederò più nulla. Se tuo padre lo lascia stare da voi vuol dire che è la cosa migliore da fare, no?”.
”Già”, la voce gli tremava, voleva ridere di se stesso ma gli uscì solo un singhiozzo, ”Sono un disastro. Perché sono fatto così male?”.
”Cos’hai visto?”, gli chiese Blaine, “Ti conosco, Kurt. Hai un gran cuore e pensi sempre il meglio degli altri, ma sai sicuramente che a volte succedono cose brutte. Dev’essere qualcosa di veramente grave”.
”Già”. Ma Kurt non riuscì a rispondere alla domanda. Si girò sul fianco, chiudendo gli occhi per non dover guardare lo schermo del computer, per non guardare gli aggiornamenti di stato e le fotografie dei suoi amici che continuavano a vivere tranquillamente le loro vite. Si sentiva lacerato in due. Andava in classe, alle prove del Glee, controllava il suo profilo facebook e chiamava il suo ragazzo. Stava lasciando Dave solo nella camera degli ospiti. Non voleva che questo accadesse, ma… a Dave serviva stare da solo, non gli serviva Kurt al suo fianco. Erano a malapena amici, o qualcosa del genere.
Dio, si sentiva ancora in colpa per essere l’unica persona con cui Dave doveva condividere il suo segreto. Era contento di essere lui, davvero, non aveva mentito quando aveva detto che, se qualcuno gli avesse proposto di tornare indietro e lasciare che qualcun altro gestisse quella situazione, lui non avrebbe accettato. Ma doveva essere terribile per Dave potersi appoggiare solo a qualcuno che conosceva appena, che fino a poco tempo prima spintonava nei corridoi.
Fu allora che nella mente di Kurt si formò un pensiero che continuò a ripetersi, in un eco che sembrava solo diventare più forte invece che affievolirsi.
Parlò ad alta voce, perché quello era uno sfogo, nulla di programmato.
”Magari crede che io pensi che se lo sia meritato…”
”Cosa? Chi, Karofsky?”
”Dave”, lo corresse Kurt a bassa voce. Si mise seduto, accavallò le gambe, guardando verso la porta della sua camera, “Mi domando… se creda che io pensi che se lo sia meritato. Anche in piccola parte. Perché mi tormentava. Mi chiedo… non penserà che io creda che giustizia sia stata fatta, vero?”
Ci fu una paura. Blaine rispose dopo qualche minuto. “Pensi sia così?”
”Cosa?”, e sembrò un lamento piuttosto che una domanda.
”Non è un accusa, Kurt, solo una domanda”.
Solo una domanda. Il cuore di Kurt iniziò a battere più velocemente quando sentì un’ondata di adrenalina invaderlo. Ma era davvero solo una domanda, quindi chiuse la bocca portandosi una mano al petto per cercare di calmarsi, e pensò ad una risposta.
Ovviamente non avrebbe mai voluto che accadesse una cosa simile. Anche nei giorni in cui il comportamento di Karofsky era stato dei peggiori un’idea simile non gli era mai passata per la testa.
Ma se fosse successo a quei tempi… Ne sarebbe stato felice almeno un po’?
Scosse la testa, e si sentì immediatamente sollevato.
”No”, rispose, ed era la verità, “Questa non è giustizia. Niente di tutto questo… Nessuno si meriterebbe mai una cosa simile. Anche se Dave non fosse cambiato, anche se fosse ancora Karofsky…”
Si lasciò sfuggire un sospiro, sentendosi quasi felice che Blaine gli avesse posto quell’orribile domanda. Kurt era egoista, ma non così tanto da pensare una cosa simile. E ne era felice.
”Sai”, riprese Blaine dopo un po’, “Se pensasse davvero una cosa simile, sarebbe perché la pensa lui”.
Il sollievo svanì all’istante.
Kurt si alzò dal letto all’istante. “Ti richiamo domani, okay?”
E nonostante Blaine potesse essere paranoico e pieno di rancori, il tono con cui rispose era comprensivo.
”Cerca di dormire.”
”Cercherò”. Kurt riagganciò immediatamente, ma prima di lanciare il telefono sul letto, guardò la fotografia di Blaine sul suo display e si sentì quasi meglio. Blaine non era perfetto, ma avrebbe sopportato quella situazione per lui. Anche se riguardava Dave Karofsky. L’avrebbe sopportato.
Nonostante la reazione immediata che portò Kurt fuori dalla sua camera, passò per ben tre volte davanti alla porta della stanza degli ospiti prima di decidere di fermarsi e bussare.
In qualsiasi altro giorno, avrebbe bussato alla porta e sussurrato a Dave la buonanotte senza aspettare una risposta. Tuttavia quella sera era deciso a non lasciarlo solo, soprattutto dopo ciò che gli aveva detto Blaine. Girò la maniglia ed aprì la porta.
”Dave?”
Era buio, ma la luce proveniente dal corridoio illuminava lievemente la stanza e Kurt si accorse che Dave era a letto. Non era addormentato, però. I suoi occhi si voltarono verso la porta quando si accorse della luce improvvisa. Era sdraiato sopra le coperte, ancora con la maglia ed i jeans che indossava a cena, non fingeva nemmeno di tentare di addormentarsi.
Kurt entrò lentamente nella stanza, in caso Dave non l’avesse voluto nei paraggi.
”Volevo solo…”. Okay, cosa avrebbe potuto dire? Kurt non era solito censurare se stesso, ma da un po’ sembrava che la sua gola non volesse dire le parole che la mente gli suggeriva.
”Hai detto che non riesci a dormire bene”, disse alla fine, mentre entrava nella stanza lasciando la porta aperta in modo da vedere il letto. “Ho pensato di venire a controllare e…”
Dave scrollò le spalle, guardando il pavimento. “Se tento di dormire sicuramente vomiterò”
”Come?”, Kurt si avventurò ancora di più nella stanza, preoccupato.
”Faccio questi incubi… Cose fottutamente malate, Fancy, e mi fanno…”, alzò nuovamente le spalle, fingendo di star parlando del più e del meno. “Vomitare. E sarebbe maleducato da parte mia”
”Penso che Carole capirebbe”, rispose Kurt con un debole sorriso. Si sistemò alla fine del letto, spostando il ginocchio per vedere meglio Dave. “Che tipo di incubi?”
”Kurt…”
”No, intendo… Quelli che posso immaginarmi? O…?”
”No, sicuramente non quelli che mi aspettavo io, in ogni caso. Non so cosa ne direbbe uno strizzacervelli”, rispose Dave, soffocò una risata e spostò lo sguardo da Kurt.
”Quindi? Parlamene”
”Servirà a qualcosa?”
”Tenere tutto dentro non sembra ti stia aiutando, quindi…”
Dave sospirò. “Il dottore dell’ospedale, prima che mi dimettessero… Sai, Fancy, quella volta, quando ti ho chiesto di uscire, mi hai guardato come se ti avessi ucciso il gatto”.
Kurt sorrise ricordando quanto c’era rimasto male. “Il dottore era un figo, ecco perché. Ero solo geloso!”
Dave fece una smorfia, cercando di nascondere il viso da Kurt, ma lui se ne accorse.
Si accigliò cercando di interpretare quel cambiamento. “È stato uno stronzo?”
”No, era okay. Mi ha dato il nome di questo dottoressa. Ha detto che avrei dovuto chiamarla. Una cazzo di strizzacervelli, o qualcosa di simile”.
”Non dirmi che sei uno di quei cavernicoli che pensa sia che andare da uno psicologo sia una cosa di cui vergognarsi?”
”Non ci avevo mai pensato prima”. Lo sguardo di Dave tornò a fissarsi sul pavimento. “Potrai anche non crederci, ma nessuno prima d’ora mi aveva consigliato di parlare con qualcuno. Anche se ho frequentato qualche incontro di ‘Anger Management’(*) ”.
”Davvero?”
Dave sorrise. “Già. Adams Sandler. Gran bel film”.
”Dio, non trovo nemmeno le parole per dirti quanto sia pessima questa battuta”. Non si prese nemmeno la briga di cercarle, comunque, perché Dave stava finalmente sorridendo. “Seriamente, hai intenzione di chiamarla?”
”Forse. Non so se parlare con una strizzacervelli sia una cosa di cui vergognarsi, ma so che mi fa sembrare incapace di gestire i propri casini”. Il sorriso svanì all’istante. “Ma d’altra parte… sono veramente stanco”.
”Eppure non avevi avuto problemi a dormire all’ospedale, forse era merito degli antidolorifici. Ma il dottore te le aveva prescritte, no? Le hai finite?”
Dave non rispose. Guardò di nuovo il pavimento e le sue occhiaie erano ancora più evidenti grazie alla luce che proveniva dalla porta.
“Se fossi un po’ meno modesto”, disse Kurt con aria pensierosa, “mi verrebbe da dire che tu sia riuscito a dormire in ospedale perché ti ero accanto. In caso non l’avessi notato, la mia presenza è molto confortante”.
”Ah sì?”, la bocca di Dave si incurvò in quello che sembrò un sorriso, ma svanì subito. I suoi occhi erano scuri, ogni sfumatura d’oro e di verde era completamente scomparsa, non c’era nient’altro che buio nel suo sguardo.
Kurt si alzò improvvisamente. “Aspetta un secondo”. Sfrecciò fuori dalla stanza, diretto in corridoio verso camera sua.
Tornò qualche minuto più tardi portando con se la sedia della sua scrivania, posizionandola vicino a Dave.
”Okay. Facciamolo!”
Dave lo osservò tornare nella stanza, poggiandosi su un gomito. “Fare cosa, esattamente?”
”L’ultima volta che ti ho visto dormire tranquillamente, eri una stanza di ospedale ed io ero seduto al tuo fianco. Quindi…”, disse, avvicinando ancora di più la sedia al letto con un sorriso, “eccomi qui!”
Dave sorrise debolmente, scrollò la testa e si lasciò ricadere sul letto. “Sei veramente strano, Fancy”.
”Strano, ma confortante!”, gli ricordò Kurt.
Ma non stava scherzando, e non voleva che Dave lo pensasse. Quindi smise di sorridere e gli si avvicinò, toccando con delicatezza il braccio di Dave.
”Non andrò da nessuna parte. Quindi se hai intenzione di startene sveglio, chi se ne importa, io me ne starò comunque qui e farò lo strano per tutto il tempo”.
Dave restò in silenzio per qualche minuto, spostando lo sguardo dal pavimento a Kurt, da Kurt alla sua mano. Si accigliò e si mise a sedere sul letto.
”Hey”. Kurt lo guardo aggrottando le sopracciglia. “In caso stessi pensando di scappare via, è bene che io ti ricordi che ora come ora sono io quello che sa correre più veloce”.
”Non preoccuparti, Kurt”. Dave si mise in piedi e si avvicinò lentamente all’armadio. “Voglio solo cambiarmi. Non avevo intenzione di dormire, quindi non mi sono cambiato. Dovresti darmi un po’ di privacy”.
Kurt sorrise tra sé e sé. Tornò a guardare verso il letto, volgendo le spalle a Dave. “Non sbircerò”.
Dave non rispose.
Ci furono un paio di rumori sordi dietro di lui, dei passi, la chiusura di una cerniera.
Kurt non era così gay da tramutarsi in un maniaco ogni volta che un ragazzo si spogliava nelle sue vicinanze. Non avrebbe sbirciato. Non voleva sbirciare. Rimase seduto composto sulla sedia, prestando attenzione ai movimenti di Dave dietro di lui, senza sentire il bisogno di dare un’occhiata.
Ad ogni modo, in caso ne avesse sentito il bisogno… non ci sarebbero stati luogo, persona e momento peggiori.
”Siediti ancora un po’ più dritto e la spina dorsale ti uscirà dal corpo”.
Kurt si rilassò e lanciò uno sguardo in direzione di Dave. “Mi stai davvero accusando di essere seduto troppo dritto(**)?”
Dave si sistemò nuovamente sul letto e Kurt non lo guardò. Non gli importava, non sentiva la voglia di guardare. Era solo un ragazzo, un amico. Era solo Dave.
La sua idea di ‘cambiarsi per la notte’, comunque, consisteva nel togliersi i jeans e mettere al loro posto un paio di boxer, tenendo la maglietta. Quindi in realtà non c’era proprio nulla da guardare. Solo le ginocchia, ecco tutto quello che poteva vedere del corpo di Dave che non avesse già visto in precedenza. Ginocchia pallide e spalle larghe, che sembravano dorate nella tiepida luce proveniente dal corridoio.
E muscoli. E piedi, grandi e nudi piedi che scivolarono dentro le coperte.
Nulla, davvero.
Kurt si schiarì la gola, cercando di assumere uno sguardo carico di disapprovazione quando Dave finì di sistemarsi sul letto. “Cerchiamo di creare un po’ di atmosfera, qui, fai la tua parte”.
Dave corrugò la fronte, roteò gli occhi e sollevò il sedere per spostare le coperte da sotto di lui, facendo muovere i muscoli dei polpacci.
Kurt non lo stava fissando. Non doveva fissarlo, non era una specie di guardone.
Ma non riuscì a reprimere il pensiero che le sue nodose ginocchia prive di peli avrebbero fatto brutta figura a confronto con quelle del giocatore di football.
”Cristo, non occorre fissarmi in quel modo”, mormorò Dave, sistemandosi di nuovo sul cuscino. Si girò su un fianco, raggomitolandosi sotto le coperte mentre lanciava uno sguardo a Kurt.
”Non ti preoccupare, so di non essere il tuo tipo. Il mio fragile ego ricorda benissimo quelle crudeli parole!”
Kurt rise, e quel suono fu abbastanza da rompere l’incantesimo che lo obbligava a fissare Dave e permettergli di dargli una pacca amichevole sul ginocchio. “Non ti chiederò mai più scusa, scemo!”
Dave sorrise.
Per un istante, per un brevissimo stupendo istante, fu un sorriso vero. Ampio e senza ombre, per un secondo quel sorriso aveva raggiunto anche gli occhi di Dave. E Kurt voleva avvicinarsi e tracciare le curve che si erano formate sulle sue guance, per assaporare il gusto di quel sorriso. Il che era… strano.
Un istante dopo, comunque, tornò tutto come prima. Il sorriso iniziò a svanire dagli occhi, poi lasciò le sue guance e la curva delle sue labbra tornò piatta, come nulla fosse successo, memoria muscolare e basta, come se per il suo viso sentisse come naturale solo un’espressione accigliata.
Ma Kurt mantenne il suo sorriso, anche se con un po’ di sforzo. “Quindi…”
”Quindi?”. Dave tornò a poggiare la schiena sul materasso. “Non so cosa ti aspettassi, ma non sono improvvisamente stanco”.
”Non essere così testardo – sei più che stanco, Dave, sei esausto. Dagli un paio di minuti, vedrai che il sonno arriverà”.
Avvicinò ancora di più la sedia, e quando si accorse dell’iPod di Dave sul tavolino vicino al suo portatile, si sporse per raggiungerlo. Si rimise seduto con l’iPod in mano, curiosando tra le sue playlist.
Come in ospedale sperava di riuscire a non prestare abbastanza attenzione a Dave e fare in modo che si addormentasse. Non era comunque un’impresa facile.
Il silenzio calò nella stanza, Dave si sistemò ancora sotto le coperte per poi restare immobile.
Kurt cercò di non guardarlo mentre dava un’occhiata alla playlist creata in suo onore, capendo ben presto che sarebbe stato uno spreco di tempo cercare nel mezzo di quella lista almeno una canzone che conoscesse anche lui.
Non ascoltò nessuna canzone, curiosò e basta. Non riconobbe nemmeno il nome di un gruppo, stessa cosa valeva per le canzoni, anche se ogni tanto qualche titolo gli sembrava familiare. Si sorprese nel riconoscere alcuni nomi – Tom Waits, Rickie Lee Jones, Roberta Flack. Un sacco di artisti datati, per essere in una playlist di un teenager. Il tipo di musica che non avrebbero cantato nemmeno nel Glee, ma Kurt ne rimase veramente impressionato.
Radiohead, Disturbed. Un paio di gruppi che riuscì a riconoscere solo grazie a Finn.
Vide il nome di Tom Jones e quasi scoppiò in una risata, tentato di dire qualcosa. Ma i suoi occhi si posarono su Dave, non si era ancora addormentato, ma i suoi occhi non erano totalmente aperti, quindi decise di non infrangere il silenzio.
Si distrasse cercando di capire come mai quelle canzoni si trovassero proprio nella sua playlist. Una playlist che doveva per forza avere qualcosa a che fare con Kurt, doveva pur significare qualcosa.
Quando vide ‘Mad World’ il suo sguardo si rivolse nuovamente a Dave, chiedendosi se l’avesse aggiunta subito dopo il primo giorno in ospedale, quando Kurt gliel’aveva cantata, o se per caso Kurt avesse scelto una canzone della sua playlist senza volerlo.
Fu tentato di ascoltarla, e fissò le cuffie che penzolavano dal portatile sopra il tavolo.
Ma il silenzio si interruppe di colpo, e la sua attenzione tornò immediatamente a focalizzarsi sul ragazzo sdraiato sul letto.
”Sai…”, disse Dave. I suoi occhi erano chiusi, e forse proprio per quello aveva trovato il coraggio di parlare, perché sembra si stesse sforzando. “Non avrei mai…”
Qualcosa nel suo tono fece riporre l’iPod a Kurt. “Cosa?”
L’espressione di Dave si corrugò. Sembrava difficile per lui far uscire le parole.
”Nello spogliatoio. Non avrei mai… Non avevo nemmeno intenzione…”. Tranne un respiro.
Kurt gli si avvicinò, era una scelta rischiosa, ma gli aveva sempre portato fortuna con Dave. Allungò il braccio e con le dita si mise ad accarezzare la fronte di Dave. “Cosa?”, chiese di nuovo.
”Non l’ho fatto perché eri tu. Lo sai, no?”
Kurt non sarebbe più stato in grado di rientrare in uno spogliatoio senza pensare a chiazze di sangue e asciugamani e aria pesante e respiri affannosi. Ma capì immediatamente di che spogliatoio stava parlando Dave. Non era il suo primo pensiero quando sentiva nominare gli spogliatoi, ma forse per loro due era un ricordo più forte. Forse era un ricordo meno spiacevole. Più semplice.
”Quando mi hai baciato”, rispose.
”Già”. La testa di Dave si piegò di lato, aprendo gli occhi per guardare Kurt. “Non era… Non ha alcun senso, ma io non stavo pensando…”. Sospirò, quasi infastidito da se stesso. “Non ci stavo provando o qualcosa di simile”.
Kurt inarcò le sopracciglia, ma la curiosità era ben visibile sul suo volto. Rimase in silenzio, perché sapeva che era il modo migliore per far continuare qualcuno a parlare.
Dave si raddrizzò strofinandosi la faccia e gli occhi. Si muoveva più lentamente, quindi, forse, il sonno stava davvero per arrivare. Semplicemente prima sentiva il bisogno di dire quello che stava per dire.
”Non ci stavo provando, non riguardava il sesso. O niente di simile”.
La sua mano scivolò sul cuscino, a lato della sua testa, e Kurt cercò di non prestare attenzione alla curva del suo braccio, alla linea regolare dei suoi bicipiti.
Si schiarì la gola. “Di cosa si trattava, allora?”, chiese. Non perché volesse una risposta. Aveva superato quel bacio tanto tempo prima.
”Non lo so. Eri lì, in piedi, ad urlarmi contro e…”, Dave rise di colpo, un po’ raucamente, “e non stavo pensando. Ma più tardi, quando ci pensai davvero… Ero stanco che nessuno mi vedesse davvero. Magari non ha senso, non lo so. Mi ero costruito intorno da solo una corazza resistente. Ma pensavo che essendo tu gay…”, guardò Kurt con un piccolo sorriso, “e tu sei veramente tanto gay”.
Kurt roteò gli occhi e punzecchiò con un dito il braccio di Dave. “Non scherzare. Spiega e basta”.
Dave sospirò. “Ti odiavo. Intendo… Non sapevo nulla di te, ma odiavo l’idea di te. In parte perché eri più forte di me, e in parte perché credevo l’avessi intuito. Specialmente quel giorno, quando finalmente ti eri deciso a reagire alle mie stronzate, ero sicuro che avessi capito. Ma poi avevi iniziato a blaterare su quanto fossi un piccolo ragazzino etero spaventato e...”, alzò le spalle, “ed ero sempre stato terrorizzato dall’idea che sapessi tutto, ma quando mi hai guardato, speravo che qualcuno se ne accorgesse”.
Kurt sorrise tristemente. Guardò le sue stesse dita muoversi sul lenzuolo vicino al braccio di Dave.
”La prima volta che lo dissi ad alta voce… fu una sensazione fortissima. Un momento importante, fui finalmente in grado di essere me stesso per la prima volta in vita mia. E sai dove mi trovavo?”, chiese Kurt.
Dave lo guardò, in attesa.
”Sulla tomba di mia madre. Ero da solo e parlavo con una tomba. Non che pensassi che lei in quel momento fosse lì con me – anche avessi creduto in una vita dopo la morte, speravo che lei avesse qualcosa di meglio da fare che andarsene in giro per un cimitero in mezzo a delle lapidi. Ero da solo, ma non mi ero mai sentito così bene”. Incontrò gli occhi di Dave. “Perciò capisco quanta paura possa fare un segreto del genere, quasi da mozzarti il fiato. E non puoi parlarne a nessuno, ma non puoi nemmeno tenerti tutto dentro, e…”.
Gli occhi di Dave erano lucidi. Annuì in modo quasi impercettibile, e il suo sguardo sembrava rapito da Kurt.
Kurt realizzò che avrebbero dovuto fare questo discorso molto tempo prima. Quello era il discorso che avrebbero dovuto fare in quei difficili giorni dopo il bacio.
Gli occhi di Dave si chiusero di colpo, e diede le spalle a Kurt, e improvvisamente sembrò addolorato.
”Cazzo, avrei dovuto solo… non intendevo… fare quello”.
”Fare cosa?”. Kurt si irrigidì, di nuovo preoccupato.
”Baciarti. È stata una mossa stupida. Avrei solo dovuto dirlo”.
In quelle parole c’era tanto dolore. Anche troppo per un ricordo del genere.
Kurt lo studiò, cercando di capire da dove provenisse quel dolore. Roteò gli occhi al ricordo di se stesso.
”Non era… beh, hai tempi mi sono comportato come se fosse tutta questa gran cosa, ma non lo era”.
”Non mentirmi. Non far finta che non fosse importante per te. So che lo era…”
Il perché di tanto dolore gli fu chiaro di colpo: uno di loro aveva baciato Dave.
Uno di quei tre bastardi violentatori l’aveva baciato. Kurt capì una cosa dietro l’altra dopo quella rivelazione. Capì immediatamente perché Dave aveva riportato a galla il discorso del bacio.
Guardò Dave, allarmato, e si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia. “Cos’hai sognato? Perché non riesci più a dormire?”
Dave sapeva che lui sapeva, gli si leggeva in volto, mentre portava una mano sul viso e chiudeva gli occhi.
”Dillo, Dave. Devi dirlo a qualcuno”.
“È fottutamente… è…”. Dave si lasciò sfuggire un sospiro. “Non riesco a smettere, capisci? Ecco cosa succede. Non posso o non voglio smettere. È come un ricordo, è uguale alle cose già successe, solo che quando mi respingi… io perdo il controllo e… cazzo”.
”Smettila. Non dargli così tanta importanza. Non è quello che è realmente successo e lo sai”. Ma la voce di Kurt tremò, ed era stato sincero a dire a Blaine che quello che era successo a Dave non era giustizia, ma aveva avuto anche lui un paio di volte lo stesso incubo.
”Ecco tutto. Merda, Kurt, non c’è bisogno che io lo descriva. Hai capito il punto – sono in quel cazzo di spogliatoio e ti vengo dietro e ti spingo contro il muro e sbatto la tua testa finché non smetti di lottare e… ti tolgo i vestiti di dosso e ti sbatto per terra e…”
Kurt lasciò immediatamente la sedia per sedersi alla fine del letto e prendere la mano di Dave tra le sue per fermarlo. Non c’era bisogno di continuare.
Dave non sembrò comunque intenzionato a continuare. Rimase sdraiato lì a respirare affannosamente, quasi stesse cercando di non scoppiare a piangere o vomitare.
Kurt strinse la mano di Dave tra le sue per la seconda volta in quel giorno. Era affascinato, comunque, da quanto la mano di Dave fosse più grande della sua. Le sue dita lunghe e i palmi delle mani ampi, i segni dei graffi, in via di guarigione, ruvidi sotto il tocco della pelle soffice e delicata di Kurt.
Dave era più grande, più forte. Dave era sconvolto, instabile. Lo aveva terrorizzato, prima, ed ora aveva dei sogni riguardanti…
Kurt strinse ancora di più la sua mano e parlò non appena si rese conto dell’importanza della rivelazione appena avuta: “Non sono spaventato da te”.
Dave tentò di ritirare la mano, cercando di sfuggire alla stretta di Kurt.
Ma Kurt non glielo permise. “Ero spaventato da te, prima. Ma come hai detto tu, non ero nemmeno capace di vederti davvero. Mi hai baciato, Dave. E magari me ne sono lamentato ai tempi, ma Dio. Avevo già baciato Brittany prima di te, e lei era un’amica. Mi ero convinto che, essendo tu un ragazzo, il bacio valesse di più. Ma non era comunque un bacio vero. Non valeva di più di me che infilavo la lingua nella gola di un ragazza per provare al mondo quanto fossi etero”.
Dave scosse la testa, diventando più teso man mano che Kurt andava avanti.
Kurt rinunciò a rendere più leggero quel momento. “Sai perché non ho più paura di te? E perché, se ci avessi pensato più a lungo, non avrei dovuto aver paura di te nemmeno allora? Perché non volevi farlo. Hai urlato, mi hai minacciato, mi hai sventolato il pugno davanti alla faccia. Mi hai pregato di andarmene. Non volevi che fossi lì, non volevi fare quello che stavi per fare. E subito dopo averti respinto, sai cos’hai fatto?”.
Gli occhi di Dave erano chiusi. Aveva smesso di resistere alla stretta di Kurt – stava stringendo anche lui, forte.
”Ti sei fermato”, andò avanti Kurt. “Non sono abbastanza forte per cacciarti da solo, ma mi hai lasciato libero di tua volontà e poi te ne sei andato. E… non esiste una singola cosa successa quel giorno, che ti renda uguale a quei bastardi che ti hanno fatto del male, Dave. Te lo prometto. Non sei come loro”.
”Continuo a riviverlo”, disse Dave. Si girò di lato per stringere anche con l’altra mano quelle di Kurt.
”Se non sono come loro… perché continuo a sognarlo?”.
Pensava di esserselo meritato.
Blaine aveva ragione. Blaine aveva buttato ad indovinare ed aveva aperto gli occhi a Kurt.
Dave pensava di meritarselo e la sua mente gli spiegava il perché tramutando un bacio in una violenza.
Dave afferrò le mani di Kurt come se la sua vita dipendesse da quella stretta. Ma non era Dave quello che tratteneva a stento le lacrime. Era Kurt quello che non riusciva a vedere bene per le lacrime che gli riempivano gli occhi, quello che non riusciva a respirare senza sentire una fitta all’altezza del petto.
Kurt non era capace di dire nulla, e quella era la parte peggiore. Avrebbe voluto dire un sacco di cose.
Ti prego, non odiare te stesso per colpa mia. Non sei fatto così. Non potresti mai farmi del male, e lo sai anche tu.
Era la verità, maledizione. Non era terrorizzato da Dave da settimane, non lo era nemmeno nei suoi ultimi giorni da Karofsky. Non era più spaventato da Dave dal primo giorno che era tornato al Mckinley e si era ritrovato lui e Santana di fianco, con i loro assurdi berretti. Santana aveva cercati in tutti i modi che tutti la vedessero, ma Dave era sembrato solo orgoglioso del suo nuovo compito. Come se finalmente avesse iniziato ad andare nella direzione giusta. Certo, aveva sbuffato e si era lamentato, ma pattugliava i corridoi della scuola a testa alta e Kurt sapeva che non sarebbe più fatto passi indietro.
Aveva bisogno di dire tutto questo a Dave, di ricordargli quando bene aveva fatto, tanto da fare ammenda per quel bacio.
Ma la prese di Dave si rilassò e le sue spalle si abbassarono e il suo respiro diventò più pesante, ed era così vicino ad addormentarsi che Kurt non fece nulla per tenerlo sveglio.
Rimase seduto lì, sforzandosi di rilassare le mani mentre Dave si lasciava andare al sonno. Una delle sue mani scivolò sul materasso e Kurt rafforzò egoisticamente la stretta sull’altra.
Lasciò libera anche l’altra mano di Dave, dopo un po’. Dave stava russando leggermente ormai e la schiena di Kurt ormai era indolenzita, così lasciò andare la stretta e si rimise seduto sulla sua sedia.
Quando si svegliò la mattina seguente, la luce filtrava dalla tapparella della finestra della camera degli ospiti. Si stiracchiò e sentì che qualcosa nel suo collo non andava, e la sua schiena lo stava punendo per essersi addormentato su di una sedia.
Dave era ancora addormentato, immobile, raggomitolato su di un fianco, respirando piano.
Per tutto il giorno, a scuola, quando qualcuno gli chiedeva come mai si muovesse così lentamente o perché continuasse a massaggiarsi il collo, lui rispondeva di aver dormito male. Ma lo diceva con orgoglio.
Note di Traduzione:
(*) Con Anger Management l'autrice intendeva fare un gioco di parole con quei corsi specializzati nel controllo della rabbia e il film "Anger Management" in cui recita Adam Sandler, il cui titolo tradotto in italiano è però Terapia D'urto.
(**) Altro gioco di parole che si perde nella traduzione. La battuta di Kurt originale è "Are you actually accusing me of being too straight?". Straight in italiano può essere tradotto sia con diritto, che eterosessuale, quindi la frase può essere intesa sia come “Mi stai davvero accusando di essere seduto troppo dritto?” oppure come “Mi stai davvero accusando di essere troppo etero?”
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Beta Reader: Kurtofsky
Sì, siamo in ritardo. Lo sappiamo. È solo che venerdì la nostra detective ha trovato una vera chicca, tanto da meritarsi i complimenti di Max, e siamo stati distratti. Non sapete di cosa stiamo parlando? Andate qui. Enjoy.
The Worst That Could Happen
- Capitolo 10 -
Quel giorno, il suo piano di massima per tenere compagnia a Dave nel corso del suo ricovero, venne affiancato niente meno che da Mr. Schue tra tutti.
Era ben noto al McKinley che Dave fosse vivo, che non fosse stato arrestato per omicidio, e che stesse a casa di Kurt. Tuttavia, a parte Jacob Ben Israel che ogni tanto si appiccicava alla faccia di Kurt con il suo microfono-sostituto-del-pene, nessuno gli chiese molto sulla faccenda.
Almeno fino a quando Mr. Schue gli si sedette accanto mentre guardavano il resto del club e la loro prova per i costumi per l’assemblea del giorno dopo, insieme alla (a dire il vero piuttosto straordinaria) performance di What’s Going On.
“Stavamo parlando di Dave Karofsky stamattina, in sala insegnanti,” disse Mr. Schue, quasi casualmente. “Ci chiedevamo se David avrebbe voglia di mettersi al passo con un po’ del lavoro che sta perdendo. Posso mandargli i compiti di Spagnolo tramite te, e sono sicuro che il resto degli insegnanti può mettere insieme un pacco di quello che è stato fatto finora.”
L’adolescente dentro Kurt pensò automaticamente che forse i compiti erano l’ultima cosa a cui Dave stesse pensando in quel momento. Ma il guardiano in lui, la voce nella sua testa che diventava più forte ogni volta che vedeva lacrime in quegli occhi nocciola, concordò subito.
E quindi eccoli lì, seduti al tavolo della cucina, con i libri sparsi dappertutto, con Kurt ancora parecchio soddisfatto per il modo in cui Dave si era fiondato entusiasta sulla pesante borsa di compiti che aveva portato da scuola.
“Sai,” Iniziò Dave di punto in bianco, seduto sulla sedia. “Sei un ragazzo divertente.”
Kurt sbatté le palpebre; certo, era divertente ogni tanto, ma non era quella la situazione.
“Je suis incroyablement drôle, merci,”* rispose rigidamente al di sopra del suo libro di Francese.
“Sì, non ho idea di cosa tu abbia detto, ma ti si forma una ruga carinissima sulla fronte quando ti offendi.”
Kurt sbuffò un soffio che fece ridacchiare Dave.
Distrazione. Era quello di cui Dave doveva aver bisogno. Kurt avrebbe dovuto pensarci prima.
Kurt tirò su col naso come se fosse davvero offeso, ma in realtà voleva solo mantenere quel sorriso sulla faccia di Dave. “In che senso sono divertente?”
“Lo sei e basta.” Dave lo osservava dall’altra parte del tavolo, e tamburellava distrattamente la matita che aveva in mano contro il tavolo. “Sei un ragazzetto vezzoso, uno dei tuoi outfit di tutti i giorni vale probabilmente più della mia macchina. Canti canzoni da musical e ti pavoneggi in giro con le tue amichette, ma..” Scrollò le spalle. “Sei anche un duro.”
“Un duro,” ripeté Kurt, netto e preciso. “Sono un duro.”
Dave alzò gli occhi con un sorriso. “È un complimento, okay? Non preoccuparti, sei ancora un duro fottutamente Fancy. Ma, sì, non lo so. Pensavo che fossi tipo.. come sei a scuola, no? Tipo altezzoso”
Kurt rise, incredulo e divertito allo stesso tempo. “Se questa è davvero la tua versione di un complimento, credo che dovremmo mettere da parte i libri e studiare qualcosa chiamato buone maniere.”
“Hah, sì, così! Altezzoso in questo modo!” Dave indicava Kurt con la matita, sorridendo. “Ma non lo sei. Cioè, lo sei ora, ovviamente, ma non sempre. E ogni tanto dici cose spassose e sei così sottile che non si capisce neanche se stai scherzando. Non lo so, è solo che non sei come pensavo che fossi.”
Kurt avrebbe voluto continuare a far finta di essere offeso, ma il suo viso si sciolse in un sorriso incontrollabile, e non c’era molto che potesse fare per provare a nasconderlo. “Sindrome di Stoccolma,” disse invece. “Stai iniziando a convincerti che ti piace il tuo sequestratore per attenuare il trauma di essere qui.”
Dave rise. Venne fuori da sola – non una risatina, non uno sbuffo, una risata vera – e un istante dopo sembrava un po’ sorpreso di sé stesso.
Kurt dovette girare pagina sul libro di Francese per avere qualcosa da guardare, così che Dave non potesse prenderlo in giro per il senza-dubbio-ridicolo sorriso raggiante sulla sua faccia.
“Potrei dire piuttosto tranquillamente,” disse dopo un minuto, quando riuscì a controllare la sua espressione abbastanza da alzare lo sguardo, “che anche il Dave Karofsky che conoscevo al McKinley non è affatto come quello seduto qui.”
Dave sorrise, le guance un po’ rosee, e abbassò lo sguardo sul libro di Calcolo.
Kurt non voleva fermarsi in quel momento, però. Quello, chiacchierare, era ciò che due amici dovevano fare. Era ciò che, fiduciosamente, avrebbe reso accettabile il fatto che quando Dave avesse avuto un altro incubo o qualcosa del genere ci sarebbe stato Kurt a confortarlo.
“In primo luogo,” disse prima che il silenzio si stabilisse da solo. “Ti ho portato tutti quei compiti di Schuester e della Albright e di arte e per l’amor di dio, tu invece decidi di fare Matematica.”
Dave scrollò le spalle. “La matematica è facile, mentre la Albright è una vacca. Auto-espressione del cazzo, e finire le frasi con le preposizioni e quella roba. Faccio schifo in queste cose. E Spagnolo è solo fare le stesse cose in un’altra lingua.” Sospirò, gettando un’occhiata solenne a Kurt da sopra i compiti. “Forse non ci hai fatto caso, ma non sono una cima nemmeno in Inglese .”
Kurt rise. “Certo che l’ho notato, fai praticamente sanguinare le mie orecchie raffinate. Ma si abbina al tuo essere un grande atleta avvenente, matematica invece no, a dire il vero.”
“E fisica,” disse Dave, dando un colpetto ad un altro libro sulla pila, quello che sembrava proprio un libro di Fisica. “Non odiarmi. Sono fottutamente intelligente.”
“Così ho sentito,” disse Kurt, asciutto. A dire la verità, Dave aveva demolito la pila di compiti di Matematica con una facilità irritante, anche se per quel che ne sapeva Kurt avrebbe potuto aver scritto per tutto il tempo* scarabocchi su quanto amasse l’Easy Cheese o qualcosa del genere.
“Ora ti metterai a ridere,” disse Dave all’improvviso. Indicò di nuovo Kurt con la matita accusatoria, come ad enfatizzare il concetto. “Ti metterai a ridere davvero tanto, e questo può essere aggiunto a quella collezione dei Vergognosi Segreti di Karofsky che hai iniziato..”
Kurt si sporse in avanti, posando la matita. “Non vedo l’ora di sentire.”
Dave sorrise, ma le sue guance erano ancora rosse, e quando continuò a parlare non c’era niente di scherzoso nelle sue parole, solo l’aspettativa che sarebbero state prese come uno scherzo. “Stavo più o meno immaginando che forse andrei a scuola solo per questo. Le scienze, intendo. Non per essere un.. vabbè, uno sfigato con un camice da laboratorio. Stavo pensando.. potrei insegnare? Tipo, al liceo o qualcosa del genere. O forse fare il coach di una squadra. Come Tanaka, se avesse avuto un cervello. O un pene.”
Kurt dovette soffocare una risata. “O la Beiste?”
“Se il suo pene fosse un po’ più piccolo, forse. Mi fa sentire fottutamente inadeguato.” Dave sorrise.
Quando realizzò che non c’era ragione per soffocarsi, Kurt smise di lottare e rise forte abbastanza da farsi lacrimare gli occhi. “E hai detto che io ero divertente. Madonna.”
“Lo sei! Cos’era quello? ‘Madonna, oh Gaga, oh mio Lacroix.’ Perché non dici solo ‘merda’ o ‘cristo’ come gli altri?”
“Merda,” rispose Kurt doverosamente, perché “hai appena fatto riferimento a Christian Lacroix, che non ho mai nominato davanti a te! Tu,” disse, accusatorio, “sai delle cose su delle cose.”
Dave annuì al suo libro di fisica, come se ci fosse un capitolo sugli stilisti francesi. “Te l’ho detto. Sono fottutamente intelligente.”
“No, ma.. lo vedo.” Kurt tornò a sedersi, studiando Dave con i suoi favolosi occhi da progettista. “Coach Dave. La cosa del professore di scienze è un po’ più difficile da immaginare, lo ammetto.”
“Aiuterebbe se ti parlassi di fisica?”
C’era una nota nella voce di Dave, una curva nel suo sopracciglio, che fece un po’ accalorare le guance di Kurt. Ma rise, come avrebbe dovuto. “Non penso che sia la parte scientifica o la parte dell’insegnante a bloccarmi.”
Dave accennò un sorriso e tornò alla sua matematica.
Kurt non voleva che accadesse, ma cadde il silenzio, e a dire il vero andava bene. Piacevole.
Tornò ai suoi compiti di francese, ma i suoi occhi si alzarono di nuovo e si ritrovò a studiare Dave che scribacchiava sugli appunti che il professore aveva prima accatastato tra mani di Kurt.
C’erano ancora i segni, ovviamente. Anche fisicamente, solo guardandolo. Il mento di Dave stava guarendo, ma la pelle rossa era diventata solo di un rosa debole. Una notte di sonno non aveva fatto molto per far svanire le ombre sotto i suoi occhi, e la mano che stringeva la matita era ancora spellata.
C’erano probabilmente ferite peggiori che non erano ancora svanite, nascoste sotto i suoi vestiti.
Sembrava ancora teso, nonostante fosse più rilassato di quanto non mai fosse stato da quando.. beh, da quando era successo. Dal modo in cui la luce curvava sugli angoli del suo viso era ovvio che avesse perso peso nelle precedenti due settimane.
Aveva ancora gli incubi. Aveva cose in testa che Kurt non era ancora riuscito a togliergli. Ma quello, i compiti e le risate, era più o meno un recupero.
Kurt non si illudeva che quello fosse un qualche tipo di momento decisivo. Dubitava che il peggio fosse già passato. Ma Dave aveva bisogno di quel tipo di tregua dal dolore. Ne avevano bisogno entrambi, sì, ma il modo in cui Dave si era attaccato ai compiti tra le mani di Kurt era quello di qualcuno che aveva bisogno di almeno una cosa che fosse rimasta com’era prima..
Quella normalità era una maschera. Oppure, no, forse era una fasciatura. Che copre le vere ferite, ma anche… le protegge? Le guarisce.
O qualcosa del genere. Ad ogni modo, Kurt era carino, non era profondo.
Rise piano tra sé e sé, mettendo al bando i pensieri grevi. Qualsiasi cosa fosse, anche se fosse stata solo una panacea, l’avrebbe apprezzata.
“Cosa?”
Sbatté le palpebre e realizzò che Dave lo stava guardando. Pregando di non star arrossendo scrollò le spalle. “Ammetto un po’ di curiosità, quindi.. parlami di fisica, Coach Dave.”
Dave sbatté gli occhi ma sorrise. “Il momento è passato, Fancy. Dovrai guadagnartelo.” Abbassò lo sguardo, ma lo rialzò un momento dopo. “Ehi, quindi.”
“Mmm?” Kurt spostò lo sguardo sui suoi compiti. Casuale.
“Um.” Dave si abbandonò con un sospiro, e lanciò la penna sul tavolo. “Quindi quando hai.. okay, te lo chiederò, e tu non puoi ridere per aver trasformato la vita in un cazzo di film su Lifetime, okay?”
Kurt alzò lo sguardo, intrigato. “Vai avanti.”
Dave mostrò un piccolo sorriso, e Kurt notò che era una copertura. Notò anche che Dave aveva tanto interesse nel mantenere le cose allegre quanto ne aveva Kurt, per tanto a lungo quanto ci sarebbero riusciti.
“Da quando sapevi di essere gay?”
Kurt sbatté gli occhi, ma probabilmente non avrebbe dovuto essere sorpreso dalla domanda. “Quando lo sospettavo, o quando lo sapevo per certo?”
“Non lo so. Tutti e due.”
Kurt ci pensò su, e gli ci volle un tempo sorprendentemente lungo per formulare una risposta.
Era qualcosa che avrebbe dovuto sapere, vero? Come se non dovesse neanche pensarci –avrebbe dovuto aprire la bocca e la risposta sarebbe dovuta essere lì, così naturale come se Dave gli avesse chiesto quale fosse il suo colore preferito.
Dave restò seduto in silenzio, inclinato sulla sua sedia, guardando Kurt pensare alla sua risposta.
“Suppongo di averlo sospettato dal momento in cui ho imparato cosa significasse essere gay.” Kurt palesò un sorriso. “Sono sempre stato più o meno come sono ora. Difficilmente sfuggiva alla mia attenzione il fatto che gli altri ragazzi nel vicinato erano rudi e strani e gli piaceva fare tutte quelle cose che io non avrei neanche immaginato di apprezzare. Mio padre mi disse che lo sapeva da quando avevo tre anni,” riportò, perché quelle parole di suo padre non mancavano mai di farlo sorridere.
Ricordare l’intera risposta di suo padre al suo coming out, l’istante di riluttante accettazione, gli faceva amare suo padre ogni giorno di più. La parte dell’accettazione, ovviamente, ma anche la riluttanza, perché era onesta. Suo padre lo rispettava abbastanza da non zuccherare la sua risposta. Kurt aveva sempre pensato che le cose più difficili dovessero essere affrontate e contrastate con giustizia dall’inizio prima che inizino ad andare troppo oltre, ed era piuttosto sicuro che avesse ereditato quella convinzione da suo padre.
“Pensavo che avrei solo voluto essere una ragazza,” disse, arrossendo un po’ all’ammissione. Era quasi nervoso a incontrare gli occhi di Dave e vedere che tipo di risposta avrebbe ricevuto. “Intendo, mi piaceva quello che piaceva a loro e volevo quello che volevano loro. Non è stato fino a qualche anno fa che me ne sono fatto una ragione.” Sorrise timidamente. “Io, um. Diciamo che mi è iniziato davvero a piacere il fatto che avessi un pene.”
Dave rise – importante da notare perché non stava ridendo prima di allora.
Kurt guardò le curve delle sue guance, sorridendo di rimando perché onestamente, Dave non aveva il diritto di essere così carino quando sorrideva. ‘Carino’ era per i ragazzi come Kurt. I ragazzi come Dave dovrebbero essere belli, o sexy, o…
“Comunque,” disse velocemente prima che la direzione dei suoi pensieri si facesse più strana.
“Dì di nuovo ‘pene’,” lo interruppe Dave, sorridendo.
Kurt alzò gli occhi al cielo. Era difficile non sorridere di rimando. “Comunque,” disse di nuovo. “Ho capito che non volevo essere una ragazza, volevo essere un ragazzo, e volevo stare con un altro ragazzo. All’epoca ero abbastanza grande da sapere quale fosse il termine per quello, e mi sembrò naturale semplicemente accettarlo.”
“In quel momento lo hai saputo per certo?”
“Assolutamente positivo al cento per cento sicuro? No. Quello è stato.. circa sei settimane fa, giorno più giorno meno.”
Dave sbatté le palpebre, il suo sorriso svanì per la sorpresa. “Sei settimane?”
Kurt scrollò le spalle. “La prima volta che sono ufficialmente andato in prima base col mio ragazzo.” Avrebbe voluto ridere allo stupore di Dave, ma non era davvero così divertente. Era solo quello che era. “Ero piuttosto sicuro, ovviamente, molto prima di allora. Ma c’era sempre questa vocina, questo bisbiglio di incertezza, sai? Quando iniziavo a chiedermi se semplicemente non avessi incontrato la ragazza giusta, o se forse non avrei amato nessuno e basta. Insomma, guardavo i ragazzi in continuazione, ma riuscivo anche ad apprezzare la bellezza di alcune ragazze, e come facevo a sapere la differenza tra questi due tipi di attrazione?”
Dave annuì. Era ancora a bocca aperta, ma c’era consapevolezza nei suoi occhi.
“Anche quando iniziai a frequentare Blaine, ogni tanto… sedevo nella sala prove ascoltando Rachel cantare e pensavo che non avrei mai amato nessuno quanto amo lei nei momenti in cui è davvero brava.” Sorrise all’improvviso. “Poi Blaine mi ha infilato la lingua in bocca, e tutto è scattato al suo posto.”
Dave ridacchiò, ma era incerto e sembrava ancora un po’ sotto shock. “Cristo, Fancy. Pensavo che fossi venuto fuori dall’utero cantando ‘I Am What I Am’”
“Okay, andiamo!” Kurt guardò Dave a bocca aperta. “Questa è un’allusione a La Cage Aux Folles, chi diavolo sei tu?”
Dave sorrise, ma si raddrizzò sulla sedia e il suo sguardo cadde sul tavolo.
Kurt lo studiò per un momento “Quando l’hai scoperto tu?” chiese nel silenzio che seguì.
“Per certo?” Dave scosse la testa. “Io..”
“Sei appena uscito dall’armadio, non mi aspetto che tu sia già certo. Ma quando hai iniziato a sospettarlo?”
“Un po’ di tempo fa.” Dave esitò. “Non… non molto diversamente da te, non penso. Eccetto che io non ho mai voluto essere una ragazza. Pensavo solo di voler essere… loro.”
Kurt alzò un sopracciglio. Aspettò.
Dave spiegava lentamente, misurando le parole mentre parlava. “Ti ho detto di mio padre. Di com’è. Ha dato soldi ai gruppi che provavano a portare il matrimonio gay in Ohio, sai? Di larghe vedute e fiero. Ma… c’era sempre questa separazione fra Noi e Loro, con lui. Così fottutamente condiscendente, no? Guidavamo fino a Chicago per far visita alla sua gente, e c’erano sempre ragazzi che camminavano per strada tenendosi per mano come se non fosse nulla. E mio padre..” Scosse la testa.
Kurt pensò di cambiare argomento, ma tenne la bocca chiusa e aspetto. Voleva l’umorismo, le risate, la panacea. Ma quello era più importante.
Si era autonominato guardiano di Dave, ma era anche l’unico ragazzo gay che l'altro conoscesse, quindi.. doveva essere anche quello.
Dave emise un sospiro. “Mio padre diceva sempre quella roba, su come ‘loro’ fossero perfettamente normali ed supportarli era il nostro lavoro da gente democratica e intelligente. Guardava due tizi tenersi per mano ed era fottutamente fiero di sé per accettarlo. ‘Guarda, David, a loro è permesso essere aperti qui, che grande città, dovremmo sforzarci di rendere l’Ohio così aperto di mente. Guardami, non batto ciglio. Perché non possono essere tutti così tolleranti?”
Sorrise, e c’era decisamente un'ombra in quel sorriso. “Parlava di questa roba sui gay, sulle minoranze e gli immigrati e le famiglie in difficoltà e le adolescenti incinte. Su come fosse nostro dovere accettarli tutti, i diversi, quelli a cui servono i nostri culi borghesi per parlare per loro. “Loro” potevano fare quel che cazzo volevano nella sua piccola coalizione di cervelli arcobaleno, ma anche quando ero piccolo sapevo che quello che andava bene per ‘loro’ era off limits per tutti quelli che erano un ‘noi’.”
Kurt annuì lentamente, e effettivamente aiutò un po’ a spiegargli il mistero di Paul Karofsky. Non era mai riuscito a riconciliare le azioni dell’uomo verso Dave con le sue parole al McKinley. Come poteva un uomo difendere uno strano ragazzo gay che non aveva mai incontrato prima, ma non andare in ospedale dove il suo stesso figlio ha bisogno di lui, solo perché è gay?
Non aveva senso prima, ma iniziava a capire un po’ meglio. Non l’avrebbe mai davvero capito –almeno così sperava- ma all’improvviso non si sentiva più così confuso.
“Comunque, sì. L’ho capito, quando ho iniziato a pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in me… okay, di diverso,” si affrettò a dire quando Kurt aprì immediatamente la bocca per protestare. “C’era qualcosa di diverso in me, e l’ho capito perché stavo iniziando ad odiare il vecchio e il modo migliore per ribellarmi era diventare un Loro. Andavamo a Chicago un paio di volte all’anno e iniziai a guardare quei ragazzi che camminavano per Grace Street e volevo essere uno di Loro, non uno di Noi.”
Prese un respiro e tornò a concentrarsi su Kurt. “immagino che mi ci sia voluto un po’ per realizzare che i ragazzi gay erano gli unici Loro che avevo mai guardato in quella maniera, e che non aveva niente a che fare con mio padre. La prima volta che ho realizzato che non volevo solo essere Loro, ma che ero Loro, sono andato fuori di testa.”
“So come ci si sente,” disse Kurt piano.
“Sì, certo.”
“Lo so. Sono sempre stato un Loro, almeno nel modo in cui tuo padre vede le cose. Ma quando ho pensato per la prima volta alle parole, o le ho dette ad alta voce, specialmente quando ho iniziato a dirle ad altre persone.. sembrava così definitivo, sai? Avrei potuto andare avanti ed essere favoloso e non etichettato, ma invece stavo scegliendo di mettermi in una scatola.” Scrollò le spalle. “Ci vuole un po’ a capire che nulla sull’essere gay è una scelta. Non stavo cambiando niente di me non dicendo quelle parole. Se non l’avessi mai detto a nessuno, sarei comunque rimasto gay.”
“Sì.” Dave ci pensò su. “Sì, penso di sì. Merda, Fancy. Hai davvero la testa a posto su questa roba, vero?”
Kurt sorrise. “Mi ci è voluto tanto tempo, e un paio di errori imbarazzanti.”
“Oh?” Dave contraccambiò il sorriso dopo un momento. “Bene, siamo facendo delle confessioni, giusto?”
“Non ti dirò dei miei errori imbarazzanti, Dave.”
“Ma. Confessioni, Fancy! Stiamo legando o qualcosa del genere.”
Kurt scosse la testa. “Potremmo essere sposati con dodici figli e non saremmo abbastanza legati perché io ti racconti alcune di queste storie.”
Dave rise, un’altra profonda, reale risata, e non si prese neanche il tempo per esserne sorpreso. “Non hai le anche per partorire dodici figli.”
Kurt guardò in basso. “Forse no. Quindi ti offri volontario per fare la madre?”
“Cosa?” Dave rideva troppo forte per sembrare davvero shockato. “Vaffanculo, li adottiamo quegli stronzi.”
Kurt non era una ragazza o un bambinetto, quindi quello che fece non poteva essere chiamato una risatina, ma era il termine più vicino a cui potesse pensare. Non aveva quel tipo di risata profonda e spessa che aveva Dave e che poteva essere chiamata risata o qualcosa di equamente dignitoso.
In ogni caso, stava ridendo, gli riusciva difficile non ridere, ma Dave stava seduto lì con le guance rosse e rideva proprio quanto lui, e..
Era semplicemente molto piacevole.
Neanche per Dave, per il suo recupero eccetera. Era solo divertente stare seduti lì a fare i compiti con qualcuno, fare imbarazzanti conversazioni per-conoscerci-meglio e ridere su cose ridicole.
Stava conoscendo Dave Karofsky per la prima volta, e quello che stava scoprendo era che Dave aveva nascosto nel ripostiglio molte più cose delle sue preferenze sessuali. Aveva nascosto la sua intelligenza, il suo sogno di diventare qualcosa di semplice, come un insegnante di scienze. Aveva nascosto la sua rabbia nei confronti di suo padre, quel senso dell’umorismo che risultò in qualche modo compatibile con lo spirito cinico di Kurt in una maniera completamente naturale.
Tutto questo rivelato durante i compiti. Kurt non poté fare a meno di chiedersi cos’altro fosse celato sotto la superficie, nascosto alla vista dall'armadio di Dave.
Scrutò Dave improvvisamente, sospettoso. “Dave.”
“Mmm?” Dave si strofinò gli occhi, il viso rosa e felice.
“Nessuna possibilità che tu canti, vero?”
Dave sbatté le palpebre, sorpreso, e il rosa sulle sue guance diventò rosso. Alzò gli occhi al cielo dopo un momento di troppo. “Sì, no. Dimenticatelo. Non c’è modo.”
Oh, Lacroix. Lui cantava.
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Kurt andò a dormire con un sorriso sulla faccia, ignorando i messaggi che aspettavano sul suo cellulare perché era troppo di buon umore per rispondere a delle domande e parlare di cose serie. L’assemblea che l’aveva terrorizzato per tutta la settimana era il giorno dopo, ma si sentiva così stranamente ottimista su tutto che all’improvviso si sentì capace di riderci sopra.
Sarebbe stato un disastro, ma poi sarebbe finito, ed era Venerdì, quindi avrebbe avuto tutto il weekend per mettersi al pari coi compiti o qualsiasi cosa con Dave.
Aveva un amico. Un amico nuovo di zecca che effettivamente gli piaceva. E sì, okay, c’era ancora un sacco di lavoro in serbo per loro, ma… era come se Kurt fosse ancora più motivato a far superare a Dave quell’intera cosa, l’attacco e l’armadio e la scuola e suo padre. Sapeva quanto lavoro ci fosse ancora davanti a loro, ma era pronto ad affrontarlo come non lo era mai stato prima di allora.
Questo era quello che si diceva tra sé e sé, almeno, mentre spegneva il cellulare e saliva sul letto e sorrideva nel buio pensando a come avrebbe potuto costringere Dave a cantare per lui.
Ma poi si svegliò nel buio e nella tranquillità totale, sentendo dei rumori soffocati provenire dal bagno dall’altra parte del muro, e… e aveva pensato di sapere quanto lavoro ci fosse ancora da fare. Lo sapeva nella sua testa. Quando si alzò dal letto, però, e trascinò i piedi verso la porta e su e giù per le scale per prendere a Dave un bicchiere d’acqua, per sciacquarsi la bocca quando avrebbe finito di vomitare, gli sembrò che avessero fatto un gigantesco passo indietro.
Non era giusto nei confronti di Dave, o di Kurt. Non era un passo indietro, erano solo… andati avanti un po’ presto.
Tuttavia, era sempre pesantemente deluso.
Quando la porta del bagno si aprì e Dave lo vide lì che stringeva un bicchiere di acqua, era così ovvio che se Kurt era deluso da questo, l’incubo e il vomito e la mancanza di progresso, Dave ne era veramente sconvolto.
Seguì Dave nella sua camera e si sedette sul bordo del letto. Rimase con Dave per molto tempo, mormorando piano per togliere l’angoscia dagli occhi di Dave, intanto lui si addormentava di nuovo, terrorizzato da quel che avrebbe potuto trovare nei suoi sogni.
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* In francese nel testo, la traduzione è "Sono incredibilmente divertente, grazie." |
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Capitolo 12 *** Capitolo 12. ***
Note: il capitolo non è betato dalla nostra solita gentilissima beta per motivi di Lucca-comics. Ci scusiamo per il ritardo (di nuovo), per farci perdonare la settimana prossima aggiorneremo due volte, un capitolo martedì e uno venerdì :)
Grazie a chi continua a seguirci e alle 36 persone che hanno inserito la storia tra i preferiti, vuol dire davvero tanto per noi :)
The Worst That Could Happen
- Capitolo 12 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/12/The_Worst_That_Could_Happen
“Allora come sta il nostro ragazzo?”
Kurt diede un’occhiata a Santana nel momento in cui lei si sedette al banco vicino al suo. “Tu non frequenti questo corso".
La ragazza guardò a malapena cosa c'era di fronte a lei - la lezione non era ancora cominciata, e Mr. Royce non stava prestando loro alcuna attenzione. “Di solito ti vedo solo alle prove del venerdì, ma grazie a questa stupida assemblea non faremo le prove. Ecco tutto. Ti ho dato la caccia. Come si fa con un cane. Rispondi alla domanda.”
Non era sicuro se sentirsi stupito o toccato dal fatto che lei l’avesse seguito per avere un aggiornamento sulla situazione di Dave.
Non era nemmeno sicuro di come rispondere alla domanda. Dave… stava migliorando, forse. Stava benissimo, se pensava a come avrebbe potuto stare. La sua vita era un incubo, se la si paragonava a un mese prima.
Stava meglio? Kurt lo aveva pensato un paio di giorni prima, mentre facevano i compiti e si scambiavano stupide battutine sull’avere dei bambini e sulla dimensione del pene della Beiste. Ma poi c'era stata la notte appena passata, con il vomito e gli incubi e… alla fine Dave si era addormentato quando Kurt si era seduto con lui, abbracciandolo. Ma sembrava… così deluso, e così impaurito dal poter sognare ancora qualcosa.
Quindi, come stava il ragazzo? Visto il tempo che Dave passava senza Kurt in giro, era impossibile da dire.
Si fermò e cominciò un paio di risposte diverse, mentre il sopracciglio di Santana si inarcava sempre di più man mano che il suo silenzio andava avanti.
“Penso che starà bene,” disse finalmente. Il giorno prima era finito male, ma c’era speranza attorno al tavolo della cucina, nelle loro battute e nelle risate di Dave. Bei momenti, erano tutto quello che avevano. Non un punto di svolta. Ma anche i bei momenti significavano qualcosa, giusto?
Santana non sembrava soddisfatta della sua risposta. “Tornerà la prossima settimana?”
“Non ha…. Ne dubito.”
Lo guardò male, come se non stesse facendo abbastanza per riportare Dave al McKinley. Con uno sbuffo scivolò dalla sedia e andò verso la porta, la conversazione era chiusa.
Kurt tentò di concentrarsi sulla lezione quando Royce decise di riconoscere l’esistenza dei suoi studenti. Ma la ribellione di Bacon era storia. Probabilmente era un argomento normale nella classe di Storia Americana, ma Kurt non riusciva ad appassionarsi. Perché avrebbe dovuto pensare a cosa accadute centinaia di anni prima quando c’era così tanto che stava succedendo in quel momento?
Forse la caduta di Dave dalle risate agli incubi aveva depresso Kurt più di quanto avesse pensato all’inizio.
Dopo la lezione si incamminò per i corridoi. C’erano ancora Algebra, Francese, poi il pranzo, e poi Chimica prima che l’assemblea cominciasse. Poteva sopravvivere. Era una settimana che si diceva che gli importava andare a scuola, altre sette ore non l’avrebbero ucciso.
Ma dopo di quella ci sarebbe stato il weekend.
E Kurt non aveva idea di quello che avrebbe dovuto fare.
Aprì l’armadietto per mettere a posto il libro di storia e prendere quello di matematica, e tirò fuori il suo cellulare di riflesso per vedere se Blaine gli avesse mandato qualche nuova notizia.
Aveva un messaggio, ma il suo cellulare diceva che era da parte di Dave. Ed era un nome che non vedeva apparire sul display da quando aveva dato il suo numero al ragazzo la scorsa domenica, facendolo giurare che se avesse avuto bisogno durante il giorno l’avrebbe chiamato.
Si appoggiò contro il suo armadietto aperto, nascondendo il cellulare dai ragazzini che passavano dietro di lui.
Hey, hai qualcosa da fare domenica? Ho bisogno di una specie di favore.
Kurt sorrise e digitò istantaneamente la risposta sulla tastiera del suo schermo. Non ancora. E ho un debole per gli amici bisognosi. Cosa ti serve?
Avrebbe voluto rimanere lì in attesa di una risposta, ma la campanella suonò e c’era sempre meno gente in giro, quindi sbuffò annoiato e chiuse l’armadietto. La risposta arrivò prima che entrasse in classe, quindi riprese in mano il cellulare e la lesse appoggiato contro il muro.
Devo andare a casa. Devo prendere un paio di cose e voglio andare domenica quando mio padre sarà in chiesa.
Kurt fissò il telefono e non riuscì a pensare ad una risposta alternativa dal ‘se vuoi andare stanotte, sarò più che felice di distrarre tuo padre se è a casa. Potrei, per dire, investirlo con la mia Escalade, e poi investirlo ancora e ancora.’
Non era la risposta migliore probabilmente. Era più che felice di dire a tutti nell’universo come fosse arrivato a disprezzare Paul Karofsky… ma non a Dave. Dave non aveva bisogno di sentire commenti al vetriolo su una persona che ancora ovviamente amava.
Andò in classe senza rispondere, ma tenne il cellulare al suo fianco quando Mr. Erlend cominciò la lezione. Per fortuna, l’uomo praticamente abbracciava la lavagna per un buon ottanta percento delle lezione, quindi era pieno di ragazzi con i cellulari che facevano volare le dita sulle tastiere mentre scrivevano i loro messaggi.
Il cellulare vibrò prima che potesse pensare ad una risposta, ed era ancora Dave.
Prenderò anche il mio SUV così non dovrai più portarmi in giro dopo questa volta. Se vuoi farlo.
Kurt sbuffò e rispose. Ti ci porto. Non mi interessa. Stavo solo pensando che se hai in programma di portarti via molte cose io sono il più inutile set di muscoli a cui potresti chiedere una mano.
Nulla di grande. Ti prometto che non dovrai lavorare per nulla, Fancy. Puoi anche mollarmi sul marciapiede e lasciarmi lì se vuoi.
Kurt tirò su col naso, irritato dalle implicazioni, ma prima di poter rispondere Dave gli mandò un altro messaggio. Adesso hai quella tenera ruga sulla fronte, non è vero? Haha
Ghignò al telefono e si guardò intorno per controllare, ma Erlend era nel bel mezzo di un'equazione della circonferenza o simili e l’intera classe avrebbe potuto esplodere senza che lui lo notasse.
Sei tremendamente compiaciuto per un ragazzo che sta chiedendo un favore.
Hai già detto che mi porti, non puoi tirarti indietro adesso.
Sono una persona in una società democratica, sono praticamente obbligato a cambiare idea se voglio. È l’onere del libero arbitrio.
Cavolo, Fancy, calmati. Non vuoi cambiare idea, sei un ragazzo gentile e io sono un invalido.
Kurt sorrise al telefono, mentre le nuvole di testo andavano sempre più su. Le risposte di Dave erano veloci, era probabilmente seduto sul letto, o in soggiorno, e guardava il telefono aspettando.
Kurt sorrise dolcemente al pensiero.
D’accordo, hai vinto. Ti porterò laggiù e verrò dentro con te, ti aiuterò a portare fuori le cose e tutto quello che vuoi. Ho una debolezza, ora lo sai. Contento?
Estatico.
Dave! È una parola di tre sillabe, sono così fiero! Stai facendo emergere quell’intelligenza così tanto nascosta volta per volta.
Ci fu una lunga pausa prima che Dave rispondesse, e Kurt dovette fare i conti con l'inquietante e sempre imbarazzante sensazione che il messaggio venisse frainteso e fosse interpretato come qualcosa di offensivo.
Quando il cellulare vibrò di nuovo emise un sospiro di sollievo, e diede un’occhio alla nuvola di testo che era apparsa. Mentre stava leggendo, un’altra nuvola apparve seguita da un’altra ancora, e poi un’altra.
Allora, una delle teorie della fisica che ho sempre trovato molto interessante è quella del principio di indeterminazione. È qualcosa che riguarda la fisica quantistica che questo tizio che si chiamava Heisemberg scoprì qualche tempo fa. Dovresti sapere qualcosa di particelle atomiche e stronzate del genere perché lo spieghi in maniera dettagliata, ma la versione in inglese semplice è: non puoi misurare esattamente dove un elettrone sia e dove dovrebbe andate nello stesso tempo. (*)
Erano tre nuvole di testo, e Kurt aveva gli occhi dilatati per lo stupore e non riusciva a togliersi quel sorriso di dosso.
Andava avanti: E il problema della focalizzazione, capisci? Puoi misurare vicinanza e il momento ma non allo stesso tempo con le stesse misurazioni. Quindi ogni volta che provi a concentrarti su una sola di queste due cose, l’altra misurazione sarà meno accurata, daccordo?
Ci fu una pausa. Kurt fissava queste grandi nuvole gialle sullo schermo, e ci mise un secondo a realizzare che effettivamente Dave stava aspettando una risposta.
Mi hai perso da qualche parte intorno a “fisica quantistica”, digitò infine.
Il punto è, ci sono un sacco di stronzate in fisica che puoi applicare al mondo reale, ed è una delle ragioni per cui mi piace così tanto. Puoi leggere del movimento degli atomi e scoprire questa gigantesca verità sul mondo. Come in questa teoria, quella di Heisemberg. Quello che dice è che in sostanza se ti focalizzi su chi SEI non puoi focalizzarti su dove stai ANDANDO e viceversa. Per tutto il tempo il mio grosso problema (d’accordo, uno dei miei problemi, stai zitto) è stato il fatto di essere ossessionato da dov’ero ogni singolo secondo. Stavo recitando questo ruolo del ragazzo che mio padre voleva e della persona che i miei amici piaceva, ma questo è niente a confronto con il fatto che ero fottutamente ossessionato dal fatto che ogni parola e movimento dovessero essere quelli giusti. Non potevo rilassarmi per un cazzo di secondo.
Kurt cominciò ad avere una lieve sensazione di vertigini – poteva appena leggere una nuvola prima che l’altra apparisse e voleva solo scrollare e rileggere tutto dall’inizio ora che sapeva che le cose stavano diventando serie, ma non poteva perché non avevano ancora finito.
Ma come dice la teoria, visto che ero ossessionato da chi ero, avevo totalmente dimenticato dove stavo andando. Così un giorno mi sono preso un secondo e mi sono guardato attorno e ho realizzato che ero un gigantesco stronzo e che eri spaventato da me, non solo, metà della scuola mi odiava e laltra metà aspettava solo che facessi un passo falso, così avrebbero potuto prendere il mio posto. Quindi quello che cerco di dire è… sto cercando di trovare una sorta di equilibrio. Sto cercando di scoprire chi sono ora e dove voglio essere alla fine. Ha senso?
Aveva tutto il senso del mondo, e Kurt stava sorridendo come un’idiota ma in realtà avrebbe voluto piangere, anche, perché era totalmente e assurdamente fiero di quel ragazzo dall’altra parte del cellulare.
Prima che potesse digitare la sua imbarazzante risposta, un altro messaggio comparve:
Comunque, Fancy, l’altra cosa che sto cercando di dire è che BOOM, sono DANNATAMENTE INTELLIGENTE.
Rise, e non riusciva a smettere. Rise finchè la maggior parte dei ragazzini intorno a lui lo fissarono. Finchè persino Erlend si girò, chiedendosi chi stesse disturbando. Si accucciò sulla sedia e nascose il telefono, mordendosi forte la lingua per calmare le risate.
Quando Erlend tornò alla lavagna per continuare la sua noiosa lezione, Kurt cercò di darsi una calmata. Fece una smorfia a Jacob Ben Israel, l’unico che continuava a fissarlo, e rispose finalmente a Dave.
Sono quasi stato mandato fuori da Algebra, razza di stupido. E se sei così DANNATAMENTE INTELLIGENTE perché non usi l’apostrofo come si deve? Sto iniziando a pensare che tu sia allergico o qualcosa del genere. (**)
Erlend è veramente noioso. Non insegna, declama monologhi alla sua dannata lavagna. E tu dovresti sentirti fortunato che scriva in questo modo. X l mgr prt d m mc dvr scrvr n qst md.
Se lo avessi fatto avrei già spento il telefono. Quindi non mettere l’apostrofo è la tua versione di giocare allo stupido atleta? Dio, deve essere complicato essere nella tua testa.
Beh, il mio telefono è irritante e devi premere tre diversi bottoni per far comparire un apostrofo. Non tutti possiamo avere liphone.
Kurt guardò Erlend, e poi l’orologio. In realtà poteva mettere via il telefono e sentire cosa stesse dicendo – voleva davvero essere promosso in quella materia. Ma si sentiva di nuovo come quando stavano facendo i compiti un paio di sere prima. Gli sembrava di essere d’aiuto, come se non avesse importanza quanto le cose potessero andare male a casa, anche se Dave era fisicamente bloccato in un bagno appoggiato sul pavimento, riusciva ancora a fare delle battute con il cellulare. Doveva essere un buon segnale.
Quindi si accomodò. Incrociò le gambe e si sistemò sulla sedia. Non dirmi che sei uno di quegli snob anti-Mac?
Divertente, ti stavo per chiedere di non dirmi che eri uno di quelli che fantasticano sul dare a steve jobs un hummer.
Kurt sorrise dietro le spalle di Erlend e lo sguardo fisso di Jacob, e si preparò ad insegnare a Dave Karofsky tutto su come la Apple fosse la civiltà e lui fosse da compatire per la sua ignoranza da amore per i PC.
Figgy non aprì l’assemblea.
Fu una buona mossa strategica, in quanto il preside era la personificazione dell’Insipidità, ma fu comunque una sorpresa. Kurt non aveva nessuno a cui spiegare questa novità, visto che tutti quelli del glee club erano dietro il sipario aspettando di eseguire la loro canzone. Mercedes e Tina di solito erano accanto a lui per quelle cose, e si sentiva un po’ solo senza di loro.
In più, il suo cellulare si era scaricato nel primo quarto d’ora del pranzo, e non aveva nessuna possibilità di andare a recuperare il suo caricabatterie.
Quindi si sedette in silenzio, vicino all’uscita dell’auditorium così da poter andare via in fretta quando quella tortura fosse finita.
Non sapeva cosa aspettarsi dallo speaker che Figgins aveva assunto, ma il ragazzo che salì sul palco non era niente male. Un po’ più giovane di quanto Kurt si aspettasse, ma con una divisa alla marinara (non di marca, poteva dirlo con certezza, ma alla marinara lo stesso) e stava dietro il podio con un telecomando in mano e un sorriso in volto. Dietro di lui c’era un proiettore di quelli che usavano sempre per vedere quei documentari che avevano come tema il guidare ubriachi o l'educazione sessuale, che era stato posto davanti al sipario.
“Buon pomeriggio a tutti. Come va ragazzi?”
Kurt alzò gli occhi al cielo quando sentì dei mormorii di circostanza in risposta.
Non sembrò abbattersi. Sorrise di più e premette un pulsante sul telecomando. “La prima volta che ho cercato di suicidarmi,” cominciò un attimo dopo, “avevo otto anni.”
La fotografia mostrava un bambino che sorrideva in un letto d’ospedale con entrambe le braccia fasciate e un palloncino legato alla gamba del tavolo vicino al letto.
Gli occhi di Kurt rimasero immobili e sbattè le palpebre.
“Quello fu l’anno in cui un bambino che viveva nel vicinato scoprì che razza di sfigato ero,” lo speaker continuò con calma, dando le spalle allo schermo. “Non avevo alcuna idea di cosa fosse uno sfigato, naturalmente. Ma questo ragazzo, Mike Lewis, aveva un talento nel vedere cose come quella. Quando lui disse a tutti nel quartiere che ero un perdente, suppongo che divenne più evidente anche per gli altri ragazzi, perché lo seguirono subito. La notizià arrivo in fretta a scuola, e alla fine mi sentivo come se le altre persone pensassero che il mio nome fosse Sfigato. Un giorno Mike mi prese in un angolo e mi chiese come mai non mi buttavo sotto un’auto. Non riuscii a pensare ad una buona risposta, così lo feci.”
Sorrise, come se non gli importasse, e schiacciò il pulsante. L’altra fotografia mostrava lo stesso ragazzo – ampio sorriso, denti davanti mancanti, guance paffute, capelli castani e un aspetto totalmente normale. Non c’erano palloncini in ospedale quella volta.
“La seconda volta fu al mio decimo compleanno. Mike disse a tutti che chi veniva alla mia festa era un frocio viziato come me, ma mia madre continuava a chiamare e chiamare anche se sapeva cosa era successo, mentre io piangevo seduto davanti al tavolo vuoto con la mia torta storta. Ho pensato che lei fosse più triste di quando lo fossi io, e quando andai a letto presi una manciata di quelle pillole nella bottiglia marrone delle quali mia madre diceva che potevano uccidermi se le avessi prese.”
Cliccò ancora. “La terza volta,” andò avanti con lo stesso sorriso, “fu due anni dopo, quando Mike e due dei suoi compagni della squadra di calcio mi accerchiarono mentre tornavo a casa e mi legarono nudo ad un albero giusto dietro al nostro isolato. Mi misero una corda spessa attorno al collo, e cercai disperatamente di soffocarmi con quella prima che qualcuno mi trovasse.”
L’ultima foto era un ingrandimento della linea rossa sulla pelle della gola del ragazzo. C’era una didascalia che diceva che quell’immagine era di proprietà dell’ufficio dello sheriffo del Mason County.
Lo speaker, quel ragazzo normale nei suoi vestiti economici che non si era nemmeno presentato, ghignò. “La volta successiva…” disse, alzando gli occhi al cielo.
C’erano un paio di risatine imbarazzate dagli studenti. Kurt si guardò intorno per vedere un sacco di visi pallidi e non il solito messaggiare di continuo e parlare a voce bassa con il vicino.
Andò avanti. E avanti. Riuscì a mantenere una certa leggerezza fino al tentativo numero sei (la foto era della sua scuola di quell'anno, quando disse loro che stava cercando di rinchiudersi nell’armadietto senza lasciare tracce e senza che sua madre lo scoprisse.) Dopo quello la storia diventò sempre più umiliante, e i tentativi sempre più disperati, e non sorrideva più.
Era un racconto dietro l’altro di quel ragazzo, Mike Lewis, e dei suoi amici. L’imbarazzo era superiore all’umiliazione, e lo speaker nelle foto sembrava così normale, di solito sorrideva, e Kurt non aveva idea di come si sentissero gli altri, ma lui aveva un crampo allo stomaco. Se avesse visto quel ragazzino al Mckinely non l’avrebbe neanche notato. Come potevano sei seri tentativi di suicidio non lasciare il segno sul volto di un bambino?
Al tentativo nove c’erano persone nell’auditorium che piangevano. Lo speaker parlò loro del fatto che sua madre, preoccupata, lo avesse mandato da un terapista, avesse parlato con gli insegnanti. I servizi sociali lo avevano portato via di casa una volta, ma non abbastanza lontano da scappare da Mike Lewis, e quando provò a suicidarsi in un’altra casa le autorità realizzarono che sua madre non c’entrava nulla.
Dovette arrivare il suo primo anno al liceo prima di riuscire quasi ad inghiottire le medicine di sua madre con successo. Dopo quello si trasferirono, cambiarono vicinato e scuola, si lasciarono Mike Lewis alle spalle. Dopo quello, disse agli studenti, era calmo e serio e terrorizzato dall’idea di provare a farsi degli amici, quindi lui era un completo mistero per la sua nuova scuola. Cercava così disperatamente di essere ignorato che un paio di insegnati pensavano fosse muto fino a quando sua madre non andò ad una riunione.
“Spero” disse serio, guardando gli studenti del McKinely, “che qualcuno vi dica che il liceo e le cose che succedono qui non sono tutta la vostra vita. Spero che qualcuno vi dica che quando lascerete questo posto dovrete solamente attraversare la città per trovare un lavoro, amici, un’intera nuova vita dove nessuno saprà cosa vi è successo dentro queste mura. Perché quando ho realizzato questa cosa, quello è stato il giorno migliore della mia vita.”
Premette di nuovo il telecomando, e alcuni degli studenti avevano iniziato a sobbalzare ad ogni click. Quella volta ci fu un discreto shock quando video l’immagine.
Un uomo, sulla ventina. Non era lo speaker ma non potevano riconoscerlo. Aveva i capelli scuri ed era bianco, e gli occhi indicavano che doveva avere una discendenza asiatica. Ma aveva il naso rotto; gli occhi erano entrambi neri, le labbra nere e spaccate.
Lo speaker diede loro un attimo, e poi parlò: “Questo è Mike Lewis, e questo è quello che gli è successo quando avevo ventitre anni e lui passò sul marciapiedi fuori del mio noioso e comodo lavoro.”
Quella volta non guardò la foto. “La polizia mi disse che ci vollero tre persone per togliermelo dalle mani e ancora oggi non riesco a ricordare nulla. Il mio avvocato era una donna anziana molto gentile che provò a far dire al giudice dagli psichiatri che un’intera vita di abusi mi aveva reso temporaneamente incapace di intendere e di volere. Non so quanto fosse vero. Tutto ciò che so è che dopo sei mesi passati in prigione per aggressione era praticamente impossibile poter essere riassunto al mio lavoro comune, comodo e noioso. Non avrebbero dovuto comportarsi così duramente con me, ma io avevo distrutto alcune ossa della mascella di Mike così irreparabilmente che non sarebbe mai più stato in grado di mangiare cibi solidi. ”
Pigiò il pulsante un’ultima volta e tutti si fecero coraggio, ma la foto successiva era la prima: un ragazzo dalla faccia tonda e piena che faceva una smorfia verso la macchina fotografica con delle ingessature alle braccia.
Riprese il suo discorso con poche solenni parole su come le persone possano parlare fino a quando sono livide dalla rabbia sostenendo quanto sia ingiusto prendere in giro gli altri. Non poteva aggiungere altro, perché parlarne non cambiava le cose. Tutto ciò che disse basandosi sulla sua stessa esperienza personale era che c’erano conseguenze alle azioni dei bulli che loro stessi non potevano nemmeno a iniziare a comprendere.
Non era niente di profondo o di emozionante, ma non avrebbe dovuto esserlo comunque. Kurt era abbastanza certo del fatto che lo speaker avesse raggiunto il punto almeno tre foto prima.
Kurt li osservò, la marea di volti familiari che vedeva nei corridoi ogni giorno. C’erano ancora poche giacche nere nella folla. Non tante quanto lunedì, ma Kurt aveva notato che alcune persone avevano tolto il logo delle Bully Whip e lo avevano cucito sui loro zaini o lo avevano appuntato sui vestiti. Santana sembrava disposta ad accettarlo.
Burt gli aveva detto che aveva quasi perso la speranza nella sua scuola, ma Kurt aveva sempre saputo che i ragazzi erano solo ragazzi, che erano stupidi, crudeli e cattivi perché erano ragazzini stupidi. Il novantanove percento delle volte non capivano cosa diavolo stessero facendo.
Persino Jason Campbell, in modo orribile. Dave aveva detto a Kurt che Jason o uno dei suoi due amici bastardi aveva affermato durante l’aggressione che lo stavano facendo come favore nei suoi confronti, per aiutarlo a non essere più gay. Che dopo li avrebbe ringraziati.
Sembrava quasi impossibile da accettare, troppo orrendo per essere vero, ma Kurt si domandò se quei ragazzi non avessero davvero creduto a quelle parole, almeno un pochino.
Sapeva che le persone riuscivano a essere doppiamente crudeli solo per il gusto di esserlo. Raramente facevano la cosa sbagliata solo perché erano cattivi. La cosa più spaventosa era che riuscivano a giustificare le proprie azioni a se stessi. Si mettevano nel ruolo dell’eroe, e nel frattempo facevano del male, ridicolizzavano e aggredivano. In qualche modo credevano davvero in ciò che stavano facendo.
Era la cosa più terrificante delle persone, il modo in cui riuscivano a ottenere giustificazione per il male compiuto.
Non ci furono annunci dopo che l’oratore uscì dal palco nel silenzio generale. Solo un momento o due di pausa, dopodiché attaccò la musica.
"Mother...mother..."
Kurt aveva guardato i suoi amici del Glee Club durante le prove del numero, ma era tutto diverso in quel momento. L’umore all’interno dell’auditorium era cupo, triste e scosso e la band stava suonando quel lento canto funebre che Schue aveva montato.
"Brother...brother..."
Quando cominciatono a uscire sul palco,tutti indossavano i loro costumi. Kurt li aveva già visti, alcuni aveva aiutato a cucirli. Ma era tutto differente. Erano tutti quanti vestiti nella stessa maniera, con una retina nera a coprirgli la faccia. Faceva molto Lady Gaga agli MTV Awards, con il tessuto stretto sul volto. Rachel aveva detto durante le prove mentre stavano cucendo e organizzando il tutto che era una cronaca riguardante il conformismo.
La versione finale di What’s Going On fu più lenta dell’originale o del successivo rifacimento e mentre cantavano uno ad uno fecero a pezzi la maschera sul viso e la retina nera, rivelandosi poi in brillanti e meravigliosamente contrastanti stili. Rachel era nel suo completo odioso con la gonna e il barboncino sul pullover, Tina aveva esagerato col gotico. Finn indossava il suo jersey, Mercedes sembrava totalmente favolosa nel suo normale stile fatto a strati.
Era una canzone di protesta, ma le New Directions la eseguivano, la interpretavano, non reagivano solamente alla situazione. Iniziarono allo stesso modo, spaventoso e meraviglioso e sbagliato. Alla fine le differenze di ognuno erano chiare, erano tutti insieme ed era un vero e proprio trionfo. Era una sfida verso le persone che li attaccavano per via della loro diversità e Kurt quasi si pentì che non ci fosse qualcuno lì sopra a rappresentare i gay.
Non riguardava Dave. Finn aveva avuto ragione. Quando Kurt era fuggito via dopo la prima prova, Finn aveva detto che l’esibizione non era su Dave, era semplicemente una dichiarazione di unità, come aveva sostenuto il signor Schue. Celebrare le differenze invece di provare a combatterle negli altri. Kurt non rimpiangeva di essersene andato, perché il tutto era riguardo Dave secondo lui. Ma era stata una cosa veramente potente e quando terminarono di cantare fu il primo ad alzarsi e ad applaudire.
Mentre gli studenti stavano andando via, Kurt si recò nel backstage. Aiutò a mettere via i pezzi di rete nera abbandonati sul palcoscenico e abbracciò Rachel così forte da farle scricchiolare le ossa.
“A volte le tue idee sono davvero fantastiche”, le disse con sincera ammirazione.
Quando sciolse l’abbraccio, lei aveva gli occhi brillanti e gli sorrise con il suo sorriso da superstar. “Le mie idee sono sempre-”
“Non rovinare il momento.”
Andò a cercare Mercedes e, anche se non si era esibito, si stava godendo l’adrenalina da post canzone esattamente come molti di loro.
Però, quando Mercedes gli chiese se volesse andare da Breadstix, Kurt si scusò e declinò l’invito. Era stata una giornata migliore di quello che temeva avrebbe potuto essere, ma non pensava di essere l’unico studente del McKinley a lasciare la scuola senza molta voglia di festeggiare.
Era stato un peccato il fatto che il Glee Club fosse dietro le quinte mentre lo speaker era sul palco. Per quanto amasse tutti (la maggior parte) nelle New Directions, alcuni di loro avrebbero potuto trarre dei benefici dal discorso. E alcuni di loro avrebbero visto che i loro stupidi problemi da triangolo amoroso erano sciocchezze in confronto a quello che alcuni ragazzi dovevano affrontare.
Non disse una parola, comunque. Erano tutti euforici e così avrebbero dovuto rimanere: la loro era stata una performance strepitosa.
C’era una macchina strana parcheggiata fuori casa sua, una berlina coi vetri scuri.
Kurt già si sentiva come se avesse una ferita ancora praticamente scoperta, non sapeva cosa ci facesse lì quella automobile e non era sicuro di volerlo scoprire.
Ma la macchina era a casa sua e Dave era dentro casa sua, per cui… Mise la sua auto dietro la strana berlina e uscì fuori, dando uno sguardo alla macchina e alla sua abitazione immersa nel silenzio.
Quando aprì la porta principale, sentì delle voci interrompersi. Fissò la porta mentre la richiudeva incerrto e vide due donne sedute nel suo salotto. Due donne adulte sconosciute, ma ben vestite.
E Dave.
Stava per chiedere cosa stesse accadendo, ma i suoi occhi andarono sul viso di Dave e sentì lo stomaco sottosopra. Posò per terra la cartella all’istante mentre si accostava velocemente al tavolino da caffé, andando vicino Dave.
“Cosa c’è? Cosa sta succedendo?”
Dave non lo degnò di uno sguardo. I suoi occhi erano fissi sul pavimento, era seduto sulla poltrona dove di solito si sedeva Burt con la schiena dritta e la testa curva.
Kurt si avvicinò e la sua mano trovò il braccio di Dave all’istante. Dave non si mosse, non sembrò neanche notare che Kurt fosse con lui, ma Kurt dovette reprimere un sospiro sorpreso quando si rese conto di quanto Dave fosse teso.
Si appoggiò meglio, cercando il volto di Dave. Era pallido, era bianco come un cencio, cazzo e respirava a scatti. E a malapena guardava il pavimento.
Kurt si fece forza e affrontò le due estranee. “Cosa sta succedendo,” disse, una pretesa questa volta, piuttosto che una domanda.
La più giovane delle due donne aveva capelli e occhi scurii, probabilmente era ispanica. Aveva i capelli tirati indietro, il suo trucco era perfetto e leggero. Si chinò in avanti dopo un momento di silenzio e gli tese la mano. “Tu devi essere… Kurt?”
“Cosa sta succedendo?” chiese di nuovo Kurt all’istante, ignorando la sua mano. Non voleva lasciare Dave.
Andò oltre tranquillamente. “Mi chiamo Gloria Martin, signor Hummel. Sono un pubblico ministero dello Stato dell’Ohio. Questa è Missi Vander-”
“Non mi importa chi voi siate!” Kurt stava aggredendo delle estranee. Donne adulte. Di cui una era unprocuratore. Il suo salotto sembrava essere uscito da un episodio di Law and Order e lui stava strillando.
Dave si spostò sotto le sue mani. Non alzò lo sguardo, ma parlò senza espressione. “Diteglielo.”
Il pubblico ministero, Gloria o in qualunque modo si chiamasse, guardò Dave prima e poi Kurt. “Siamo qui per un motivo di cortesia, signor Hummel, per aggiornare David sul suo caso contro-”
La seconda donna, Missi, si sporse per seguire il procuratore. Parlò più bruscamente. “Lo Stato sta offrendo a quei ragazzi un accordo.”
Kurt strabuzzò gli occhi. E spalancò le palpebre nuovamente. Guardò verso Dave e si ritrovò quasi a inciampare fin quando non riuscì a sistemarsi sulla sedia.
Si sedette sul bracciolo accanto Dave. Osservò le due donne. “Cosa?”
“E’ una cosa che accade spesso,” disse Gloria il Pubblico Ministero lanciando un veloce sguardo carico di disapprovazione alla sua amica, “in casi come questi. Alla fine è meglio per tutte le parti coinvolte. Evita tutto il lungo e complicato processo di un procedimento giudiziario. Permette a David di non testimoniare, di non-”
“Cosa?” Kurt non riusciva più a ragionare. Sedeva lì, fissava quelle due donne e improvvisamente sperò con tutto se stesso che suo padre fosse già a casa.
“Non li stiamo lasciando andare,” affermò il procuratore, la sua voce improvvisamente carica di tensione - come se non fosse la prima volta che diceva quelle parole.
“Non tutti quanti,” aggiunse l’altra donna, a bassa voce.
Kurt sbatté gli occhi guardandola - ancora non riusciva a connettere, davvero, ma voleva sapere chi lei fosse esattamente.
Lei lo guardò dritto in viso e qualcosa nel suo volto senza nome gli fece nuovamente venire la curiosità, curiosità respinta solo dallo choc. “Due di loro hanno avuto un ruolo marginale. Ci hanno dato un sacco di dichiarazioni contro gli altri tre.Sostengono di non esser stati a conoscenza di ciò che i loro amici stavano progettando di fare e la posizione ufficiale è che crediamo loro. A questo punto i tre che hanno preso parte all’aggressione sono vicini ad un accordo - si dichiareranno colpevoli e lo Stato offrirà loro pene ridotte.”
“Ma voi non… non avete idea di cosa hanno fatto?” La mano di Kurt era ben salda attorno la spalla di Dave, ma Dave stesso nemmeno sembrava notarlo nè poteva importargli qualcosa.
Rispose il Procuratore Gloria e ci fu una sorta di minaccia nei suoi occhi mentre guardava l’altra donna. “Le decisioni sono state prese, gli accordi sono quasi completati. Francamente, non abbiamo nessun obbligo nel consultare o informare semplicemente il signor Karofsky sul processo di patteggiamento, ma il detective Vanderhoek ha insistito affinché venissimo a parlare direttamente con Dave. Ora, se ci voleste scusare-”
“David.” Missi, l’altra donna, il detective, scivolò oltre il pubblico ministero, mettendosi deliberatamente tra lei e la sedia su cui Dave era seduto completamente immobilizzato. “Hai il mio bigliettino da visita, ok? Puoi chiamarmi quando vuoi, ne parleremo ulteriormente presto.”
Dietro di lei, le labbra di Gloria-chiunque-fosse si assottigliarono, ma si girò semplicemente e si diresse verso la porta di ingresso.
La Detective Missi si accigliò davanti a Kurt quando vide che Dave non si muoveva. Cercò un attimo dentro la sua tasca. “Ecco, ne lascio uno anche a te.” Mostrò un piccolo bigliettino da visita color chiaro con un piccolo distintivo nell’angolo. “Usatelo se ne aveste bisogno, tutti e due.”
Kurt fissò il cartoncino. Lo prese lentamente, ma non riuscì a guardarla. Anche se gliene importava qualcosa, anche se aveva combattuto contro… comunque era quello che stavano facendo.
“Vada via” disse, artigliando le dita attorno al bigliettino.
La porta non era neanche completamente chiusa quando la donna si sistemò vicino all’altra, le loro voci dure attutite che svanivano mentre si allontanavano lentamente.
Kurt guardò il biglietto nella sua mano. Capì che stava per fare a pezzi la maglia di Dave che stringeva con l’altra e si ordinò di rilassarsi un po’. Fu lento nel farlo.
Dave ancora non sembrava essere in grado di accorgersi di qualcosa. Né della presa fortissima di Kurt, né delle due donne che se ne erano andate, né di Kurt che, una volta finalmente in piedi, gli chiedeva se stesse bene.
Dave non si mosse, non per molto tempo.
Note di Traduzione:
(*) Teoria del Principio di Indeterminazione di Heisenberg.
(**) Kurt si riferisce al fatto che Dave non utilizza gli apostrofi nelle espressioni don't, can't, aren't e via dicendo. In italiano una cosa del genere era veramente impossibile da rendere, quindi abbiamo provato a dare lo stesso effetto togliendo gli apostrofi dopo la "l" o quando andavano.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13. ***
Note: il capitolo non è betato.
The Worst That Could Happen
- Capitolo 13 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/13/The_Worst_That_Could_Happen
Kurt gli tirò fuori il bigliettino da visita con il piccolo distintivo nell’angolo.
Burt lo prese inarcando un sopracciglio e gli diede un’occhiata. “Questo cosa ha a che fare col fatto di andare a chiamare Dave per la cena?”
“Lui non scenderà.”
Burt restituì il cartoncino e rimase in attesa.
Kurt sospirò, osservando la base delle scale.
Poco prima, dopo esser rimasto seduto come raggelato per molto, molto tempo, Dave era svanito dal salotto mentre Kurt si era allontanato per prendergli dell’acqua e da quel momento si era rinchiuso nella sua stanza.
Kurt aveva bussato alla porta prima di tornare al piano di sotto, ma non aveva ricevuto risposta ed era abbastanza sicuro che quello non fosse un buon momento per cercare di risolvere la questione.
“Questa donna, la detective.” Kurt guardò il bigliettino. “Era con Dave quando sono tornato a casa, con un pubblico ministero.”
Burt si accigliò completamente. “Ah.”
“Stavano dicendo a Dave degli accordi fatti con la difesa dei ragazzi arrestati. ”
“Ah.” L’espressione di Burt non mutò di una virgola.
Kurt deglutì. “ I due che non l’hanno aggredito… li lasceranno andare perché hanno fatto fare tutto agli altri ragazzi. I rimanenti si dichiareranno colpevoli e avranno delle pene ridotte. E Dave dovrebbe anche ritenersi fortunato del fatto che quella donna, quel pubblico ministero del cazzo, sia voluta venire qui a dire cosa stesse succedendo, perché sembra proprio che lui sia l’ultima persona che conti in questa situazione.”
Burt lo guardò, il volto per niente cambiato e Kurt pensò quasi che si fosse perso qualcosa del suo ragionamento, che tutto quanto non fosse poi così importante come riteneva. Ma doveva esserlo, no? Come non avrebbe potuto essere importante?
Dopodiché, vide sulla mascella del padre una vena che stava pulsando e capì che aveva appena imprecato senza venire rimproverato.
Burt fece improvvisamente vagare lo sguardo alla cucina quando sentì le voci di Carole e Finn che chiacchieravano in modo allegro da madre a figlio. Si voltò verso Kurt, guardandolo calmo come sempre. “Dì a Carole di mettermi da parte un piatto”. Si allontanò, gli tolse dalla mano quel bigliettino e si diresse verso le scale.
Kurt osservò la schiena di suo papà e il sollievo lo fece leggermente rilassare. Burt si sarebbe senza dubbio preso cura di tutto quanto, in qualsiasi modo possibile. Non era il padre di Dave, perché Dave non aveva un genitore a combattere quella battaglia con lui. Non aveva un padre che fosse disposto a darsi da fare.
Una raffica di risate provenienti dalla cucina attirò la sua attenzione. Kurt vi si diresse, spingendosi oltre la porta ed entrando in cucina; in qualche modo il profumo del pollo arrostito e la vista di Finn che batteva a tempo le posate sul tavolo cantando qualcosa mentre sua madre lo osservava ridendo… lo fece solo sentire peggio.
Finn lo vide e si fermò. “Ehi, fre." (*)
“Carole, ha detto papà di conservargli qualcosa. E io non… io e Dave non siamo molto affamati ok?”
Carole si voltò verso di lui, la sua risata sparì. “Kurt?”
Fece in modo di rimandare le sue domande o preoccupazioni. Le indirizzò il miglior sorriso che riuscì a tirar fuori, le voltò le spalle e si trascinò fuori dalla cucina.
Andò al piano di sopra con lentezza, sentendosi pesante e sfinito.
Il ragazzo all’assemblea quello stesso giorno… Kurt si chiese perché gli speaker di quel tipo fossero gli unici a parlare ai bulli. Quell’uomo era stata una vittima, ma non aveva raccontato storie di quasi una decina di tentativi di suicidio solamente per farsi capire dai ragazzi che erano nella sua stessa barca. Parlava ai bulli, o a coloro che stavano semplicemente a guardare facendo nulla.
Non aveva parlato a Dave, o ai ragazzi del Glee o ai geni della matematica o a chiunque altro avesse già tentato di togliersi la vita in passato o che lo avrebbe fatto in futuro. A loro dedicò solo poche parole al termine- questa non è tutta la vostra vita, una volta andati via di qua nessuno nel mondo reale saprà o gliene importerà qualcosa. Questi anni non determineranno ciò che diventerete. Ed era un buon messaggio. A volte era facile pensare che il liceo rappresentasse il mondo intero.
Ma non era sufficiente.
D’altronde, cosa avrebbe potuto dire uno speaker se avesse voluto farsi capire dalle vittime di quei reati?
“Rassegnatevi ragazzi, perché non c’è ovviamente alcuna giustizia là fuori?” Anche se era la pura verità, sarebbe stata troppo cupa per una presentazione in powerpoint in un auditorium.
Kurt si fermò davanti la porta di Dave e vi bussò dolcemente. “Dave?”
Non ottenne risposta.
“Dave, ho detto a Carole che non avevi fame. Ci sono… degli avanzi nel frigo, se ti… dovesse tornare l’appetito più tardi.” Ma che diavolo stava dicendo? Avanzi di pollo? A chi importava degli avanzi di pollo?
Scosse la testa irritato, ma non c’era stata comunque risposta alle sue parole e si diresse verso la sua porta. Riuscì a sentire la voce di Burt, attutita, proveniente dalla stanza da letto sua e di Carole. Non aveva un tono felice, ma Kurt scivolò verso la sua stanza senza provare ad ascoltare di sfuggita qualcosa. Se ci fossero state delle novità, suo padre gliele avrebbe comunicate e comunque Kurt aveva visto abbastanza Law and Order per capire che nessun padre arrabbiato sarebbe mai riuscito a fare qualcosa per far cambiare idea a un pubblico ministero così stronzo.
Si sedette alla sua scrivania e afferrò il telefonino. Scorse la sua lista dei contatti, domandandosi con chi avrebbe potuto parlare. Chi avrebbe potuto fare la differenza?
Si blocco sul nome di Santana (bé, era registrata come Satana sul cellulare di Kurt. Stessa identica cosa). Non la chiamò, perché se le avesse detto cosa era successo lei gli avrebbe semplicemente urlato nell’orecchio tutte le cose per cui era già infuriato.
Le mandò invece un messaggio: Lunedì lui non verrà a scuola. Ha avuto una giornata molto dura oggi.
Gli arrivò un sms subito dopo che aveva spedito l’altro e strabuzzò gli occhi perplesso vedendo che proveniva da Finn.
Ehi cosa succede? karofsky sta bene?
Idiota di un fratellastro. Kurt sospirò, ma decise di rispondergli invece che scendere al piano di sotto e parlargli faccia a faccia.
Non sta bene. Ma non c’è niente che tu possa fare. Glielo inviò e fissò lo schermo, chiedendosi cosa fare dopo.
Valutò se chiamare o meno Blaine. Valutò davvero se chiamare o meno Sue Sylvester, ricordandosi della sua offerta di aiutare Dave se avesse avuto bisogno di qualcosa. Alla fine mise il cellulare in tasca e ignorò il computer. Andò a letto e si sdraiò sulle coperte, guardando il soffitto e pensando in modo assolutamente illogico a ogni episodio di Law and Order che riusciva a ricordarsi. Si chiese come si mettessero le cose per le vittime di quegli show televisivi.
Non bene, si ricordò. Di solito, per niente bene.
La sua vita era diventata un continuo saliscendi fatto di alti e bassi, ancora e ancora. Ridere ad algebra grazie ai messaggi di Dave e dopo rimanere sdraiato sul letto per ore il venerdì sera perché l’idea di alzarsi e fare qualcosa gli sembrava completamente assurda.
Alti e bassi, panico e sollievo, risate e poi quello, quello stupido dolore sordo.
A volte quella nausea da movimento lo faceva star male. A volte era un sollievo.
Si stese sul letto per molto tempo, fino a quando non sentì dei passi in avvicinamento provenire dalle scale e poi l’improvviso rumore di una mano che bussava alla porta accanto la sua.
La porta di Dave.
Kurt si raddrizzò, aggrottando le sopracciglia.
“Ehi, Karofsky? Sono io.”
Finn? Kurt si mise in piedi e si spostò verso la porta velocemente, pronto a precipitarsi fuori e a dire a suo fratello di lasciar stare Dave.
“Ehi, sei sveglio? Guarda, amico, ti sembrerà stupido ma… Puck è fuori con Lauren e Mike ha un impegno con Tina, e Rachel sta andando a Temple o che so io, e sono abbastanza sicuro che Quinn adesso mi odi, quindi…”
Kurt era già alla porta quando sentì qualcosa, un basso farfuglio di risposta che non riuscì a capire per via delle due porte chiuse che stavano tra lui e Dave.
Finn sbuffò. “Rilassati, amico. Se ti avessi voluto chiedere di uscire ti avrei portato dei fiori oppure delle medicine potenti o roba del genere.”
Kurt sollevò un sopracciglio.
“E’ solo che tutti sono fuori, e io voglio bene a Kurt, è mio fratello ma, amico, ma non riesce a gestire un controller, meno che meno sparare a una testa. E… Halo. Conosci? Io e te giocavamo a CTF (*) su Messanger a volte, so che non te la cavi male. E io sono veramente annoiato. ”
Kurt alzò gli occhi al cielo, per metà scioccato e per metà divertito dal suo tonto fratellastro. Non riuscì nemmeno a sfiorare con la mano la maniglia della porta perché percepì il sottile scricchiolio di un uscio che si apriva e una voce bassa mormorare qualcosa.
Finn esclamò “Fantastico” e due paia di piedi scesero le scale, uno veloce e pesante, l’altro lento e malfermo.
Proprio in quel momento, le personali montagne russe di Kurt tornarono positive e allontanò la mano dalla maniglia della porta, dicendosi tra sé e sé che non avrebbe più chiamato Finn tonto. Mai più.
Ci vollero solo cinque minuti prima che la tentazione avesse la meglio e Kurt si precipitasse nel corridoio e scese le scale, nel modo più tranquillo che poté.
I due erano seduti sul divano e Finn aveva il volume al solito troppo alto, come succedeva sempre quando giocava. Era esattamente se stesso, gridava e scuoteva il controller in ogni direzione tutto in una volta, urlando allo schermo.
Kurt poteva vedere solo il profilo di Dave. Dave non era per niente appassionato alla cosa come Finn, ma era comunque concentrato sullo schermo, e le sue mani si agitavano un po’ mentre usava il joystick. Non sorrideva, ma non aveva nemmeno lo sguardo infelice, se Kurt evitava di soffermarsi sulla sua pelle smorta e le occhiaie sotto gli occhi.
Alcuni spari fecero urlare Finn contro lo schermo, alcune violente imprecazioni riguardo qualcuno che gli dovesse succhiare il suo qualcosa (Kurt aveva imparato a distrarsi quando Finn gridava durante un video game). Finn si sporse e stese una mano, Dave sorrise compiaciuto e la batté senza pensarci e, mentre l'altro continuò a giocare. Dave sbatté le palpebre guardando prima il controller e poi Finn e assunse un‘ espressione leggermente sbigottita.
Kurt pensò che la sua vista si fosse ridotta solo al profilo di Dave, al suo luccichio sorpreso, al modo in cui guardava ancora lo schermo con un piccolo sorriso celato prima di concentrarsi nuovamente sul gioco.
Finn era un genio.
Kurt rimase seduto sulle scale a guardare due idioti che sparavano a delle cose, completamente incapace di andarsene, infatti incominciò addirittura a fargli male il fondoschiena, fino a quando il suo cellulare non gli vibrò in tasca. Sobbalzò, ma nessuno lo sentì a causa del volume della tv così alto da sembrare di essere in una vera sparatoria. Estrasse il telefonino e si accigliò quando vide il nome di Santana sul display.
Se non gli avesse risposto, probabilmente lei sarebbe venuta a casa sbraitando. Si mise in piedi e salì i gradini mentre apriva la chiamata. “Pronto?”
“Yo, ladyparts”
Non era Santana.
Kurt riconobbe chi era, aveva una voce caratteristica, ma rispose ancora con molta calma. “Mi dispiace, non c’è nessuno con quel nome qui.”
“Ah si? Non è quello che dice il cellulare di Santa. Sta proprio adesso sul display – Ladyparts Hummel. Sta zitta, donnicciola, ti chiamo come mi pare e piace.”
Kurt desiderò sorridere riguardo al “Santa” o agitarsi divertito per il fatto che lei lo avesse veramente salvato nella rubrica del telefono con quel nome ridicolo ma, nonostante il suo sollievo per il piccolo sorriso di Dave di un minuto prima, non era ancora completamente di buon umore per fare entrambi.
“Cosa vuoi, Azimio?”
“Cosa cazzo pensi che voglia? Sei tu quello che manda messaggi alla mia ragazza su persone che hanno avuto giornate difficili e roba del genere. Che sta succedendo?”
Ogni volta che Azimio diceva qualcosa, Kurt si sentiva come se avesse bisogno di un istante per digerire tutto quanto. Ok, pareva che Santana fosse la sua “ragazza” in quel momento, qualsiasi significato lo slang in uso assegnasse alla parola. E Azimio lo stava contattando per chiedergli del suo messaggio.
Oh! Azimio stava chiedendo di Dave.
Era decisamente un’ottima cosa.
Kurt rientrò in camera e chiuse la porta. “Pensavo che il messaggio si spiegasse da sé: Dave ha avuto una giornata difficile.”
“Oh, cazzo, la signorina si sta atteggiando. Come mai ha avuto una giornata difficile, tesoro?”
La bocca di Kurt si sollevò leggermente in alto, ma si schiarì la voce e controllò il tono. “Se vuoi davvero che ti dia delle informazioni, allora dovresti iniziare a usare dei soprannomi maschili. Ti risponderei più garbatamente. ”
Azimio ululò una piccola risata al telefono. “Come ti pare, maschiaccio. Rispondi alla domanda.”
Kurt alzò gli occhi al cielo. Non riuscì a fare a meno di pensare però alle cose che avevano rallegrato Dave ultimamente- fare i compiti, giocare ad Halo, mandargli dei messaggi sulla fisica. Tutte cose che lui faceva di solito, tutte cose che nell’ultimo paio di settimane gli erano state portate via. Cose normali, cose appartenenti al Prima.
A Kurt poteva non piacere Azimio Adams (nonostante gli fosse davvero esasperatamente difficile odiare Azimio Adams), ma era comunque un’ampia parte della vita di Dave nel Prima.
Quindi decise di dargli una possibilità. “Forse dovresti chiederlo tu stesso a Dave.”
Ci fu una pausa nella conversazione, da dove stesse chiamando Azimio si sentì in sottofondo un chiacchiericcio di voci femminili. Kurt non credeva in Dio, non era superstizioso, sapeva che non c’erano Forze Superiori nel mondo ad ascoltare i suoi desideri, ma durante quella pausa in cui aspettava la risposta di Azimio, incrociò le dita e sperò.
“Diavolo, se questo vuol dire che debba tornare a usare soprannomi maschili… probabilmente ne vale la pena.”
Kurt sorrise e si appoggiò al muro. “Santana potrà dirti come trovare casa mia, se vorrai venire domani o Dome-”
“Sarò lì tra venti minuti. Fai in modo che sia vestito per ricevere delle visite. Stronzo.”
La chiamata si concluse prima che Kurt potesse rispondergli. Fissò il display del cellulare per un secondo, infastidito, prima di capire cosa fosse realmente successo. Lasciò la camera da letto e guardò giù per le scale, verso il rumore di battaglia in corso, ma esitò e tornò indietro, andando invece verso la porta di suo padre e bussandoci delicatamente.
Burt gli rispose dopo un minuto, apparendo confuso e irritato. “Che c’è?”
Kurt trasalì perché sapeva che quel tono di voce voleva dire che le cose non erano andate proprio bene al telefono tra il padre e la detective. “Va bene se uno degli amici di Dave viene qui tra poco?”
Burt lo fissò come se gli avesse posto la domanda parlandogli in francese. Aggrottò le sopracciglia immediatamente, in modo duro, ma si chiuse la porta alle spalle e si mosse attorno a Kurt nel corridoio. “Andiamo. Riunione di famiglia.”
Kurt lo seguì, rimettendo il telefonino in tasca e cominciò a farsi delle domande. Loro non erano quel tipo di famiglia che faceva delle riunioni. Facevano la loro cena formale una volta a settimana e di solito si mangiava assieme più delle altre sere ed erano tutti abbastanza sicuri riguardo al fatto che tutto ciò che era nelle loro menti poteva essere tirato fuori senza dover organizzare alcun tipo di incontro.
Burt scese la piano di sotto velocemente, e quando Kurt raggiunse il padre al pianoterra l’immagine sulla tv era bloccata, lo schermo illuminato dall’arancione di un’esplosione a metà. Finn sembrava confuso –come sempre- e Dave si era alzato, come se non fosse sicuro di cosa fare.
Burt svanì in cucina, poi tornò dopo pochi secondi con Carole dietro di lui, che si asciugava le mani su uno strofinaccio.
“Siediti, Kurt.” Burt andò verso la sua poltrona, poi fece segno a Carole di sedersi mentre si metteva alle spalle del mobile.
“Voi, oh.” Dave indicò le scale. “Volete che io-”
“Siediti.”
Dave lanciò uno sguardo a Kurt e si sistemò di nuovo sul divano mentre Kurt si univa a lui e Finn.
Burt li squadrò tutti e tre. Appoggiò una mano sulla spalla di Carole e Kurt si chiese se fosse cosciente di ciò che si accingeva a fare.
“David”. Il padre di Kurt parlò con sicurezza una volta che iniziò.
Kurt fu in grado di percepire la tensione improvvisa di Dave, nonostante non fossero abbastanza vicini sul divano per toccarsi.
“Dave,” disse di nuovo Burt, guardando con cipiglio il ragazzo di questione. “Probabilmente sei già a conoscenza del fatto che non avresti mai messo piede in questa casa se non fosse stato per Kurt.”
Dave fece una smorfia.
Kurt scattò in piedi all’istante. “Papà.”
Suo padre sollevò una mano, gli occhi fissi su Dave. “Kurt è la ragione per cui ti ho portato qui, lo sappiamo tutti questo. Abbiamo avuto i nostri problemi in passato, ragazzo, e non sono delle cose che un genitore supera facilmente. ”
Kurt si inclinò verso Dave senza rifletterci, vedendo la sconfitta che affossava le sue spalle. Adorava suo padre più di qualsiasi altra persona viva o morta, ma questo non significava di certo che non sarebbe saltato giù dal divano e non lo avrebbe affrontato.
“Ok, siamo d’accordo su questo?” continuò Burt. “Devi a Kurt il fatto di essere qui. Ma…”
La mano di Kurt si posò sulla gamba di Dave senza pensarci su un secondo. Fissò suo padre con sguardo di sfida.
“Ma tu sei qui adesso e l’ultima volta che ho controllato non eravamo una casa di rieducazione. Sei sotto il tetto della mia casa. Ciò significa che, per quanto tu abbia dato delle preoccupazioni a me e Carole, noi abbiamo tre figli adesso.”
Dave sollevò gli occhi a queste parole, un’espressione di puro e semplice choc sul volto. “Cosa?”
“Mi hai sentito. Non mi piace l’idea di un padre che volti le spalle al proprio figlio. Non lo farei nemmeno in una situazione normale, figurarsi in questa che non lo è per niente. Hai bisogno di una famiglia ora e non dovresti mai chiederti quando ti metteremo un conto in mano o ti cacceremo fuori. Voglio essere cristallino su questo punto: nessuno in questa stanza è un ospite.”
Un sorriso colse Kurt e quando guardò in basso vide che Dave stava stringendo la sua mano, completamente inconsapevole di ciò che stava facendo. Fissò Burt e Carole, prima l’uno e poi l’altra. Non c’era nient’altro sul suo viso tranne che choc.
Kurt fece scivolare le sue dita tra quelle di Dave e deglutì, guardando suo padre con un sorriso crescente.
Burt ricambiò il suo sguardo, dopodiché osservò Finn. “Sono stato chiaro?”
Finn scrollò le spalle. “Se devo avere a che fare con due fratelli, almeno so che non proveranno a rubarmi le ragazze.”
Tutti gli occhi si concentrarono su Finn. Persino Dave, che sembrava stesse ricominciando finalmente a respirare, lo guardò.
Finn sorrise, ma la sua faccia era diventata rossa. “Era solo per dire.”
Kurt avrebbe voluto ridere, stringere Finn in un abbraccio che lo avrebbe fatto diventare rosso come un pomodoro e renderlo balbuziente per una buona ora dopo.
Ma riuscì a capire, guardando Finn negli occhi, che non era stata davvero una battuta. Al loro interno c'era comprensione. Nessuno avrebbe accettato facilmente un cambiamento così grande nella propria casa, ma Finn sapeva perché sua madre e Burt lo stessero facendo. Sapeva che Dave aveva bisogno di loro, che aveva bisogno di un qualche tipo di sicurezza.
E se avesse dovuto giocare a fare l’idiota coscienzioso e aiutare a far andare ogni cosa al suo posto, lo avrebbe fatto. Era da Finn: era ciò che stava facendo.
Kurt si schiarì la voce, la mano stretta attorno a quella di Dave. “Per la cronaca, vorrei solo dirvi che non ho mai amato nessuno di tutti quanti voi così tanto come in questo momento.”
“Ah, bene”. Anche Burt si schiarì la voce, e i suoi occhi si tuffarono sulle mani intrecciate di Kurt e Dave. Il suo sopracciglio si inarcò, ma si limitò ad alzare le spalle. “Non ci sono solo buone notizie per te, Dave. Ci aspettiamo molte cose da parte dei nostri figli. Avrai lo stesso loro coprifuoco e le stesse regole da rispettare in casa. Loro due devono mantenere alti i propri voti se vogliono essere nutriti, messi al riparo dalle intemperie e avere una paghetta. Tu… ne parleremo dopo a riguardo. Ti faremo tornare a scuola, ma ogni cosa a suo tempo. Il tuo dottore ha detto qualcosa sul fatto che c’è un terapista a cui vorresti parlare?”
Dave si schiarì la gola. Guardò Finn e annuì.
Kurt sorrise- Dave avrebbe imparato presto che nella loro casa non si nascondeva nulla e che Finn non avrebbe mai riportato delle voci riguardanti la sua famiglia a scuola.
“Ok. Sistemeremo tutto.” Si accigliò Burt. “Non c’è niente di ufficiale per ora. Per quanto i poliziotti e gli ospedali possano preoccuparsi, non ho interesse nel farli curiosare su ciò che ti accade.”
All’istante Kurt capì ciò che aveva condotto a una decisione del genere: suo padre aveva chiamato quella detective e non aveva ottenuto niente, perché non aveva una vera connessione con Dave.
Burt stava studiando Dave. “Hai diciassette anni, giusto? Non appena ne compirai diciotto non importerà più a nessuno chi è registrato come tuo tutore. Fino ad allora farò qualsiasi cosa in mio potere, ragazzo, ma non sarà tutto come vorrei e non ci sarà niente di cui tu abbia bisogno che non verrà fatto. Quindi, non farò finta che tuo padre non sia più un fattore in gioco. Gli parlerò, vedrò cosa posso fare, ma non aspettarti molto. ”
“Io non…” disse Dave. La sua voce era morbida, meravigliata. “Io non… Non ero pronto a…”
Kurt conosceva bene quel piccolo sorriso che suo padre stava provando a nascondere- lo conosceva davvero bene. Burt aveva un forte senso del dovere quando si parlava di famiglia e aveva sempre agito facendo ciò che aveva sempre fatto per Kurt perché quello era il suo lavoro come genitore. Non si aspettava dei ringraziamenti o dei meriti, per quanto fosse impensierito dal fatto che non stesse facendo nulla di più di un qualsiasi altro genitore. Ogni volta che Kurt vedeva quel piccolo ghigno orgoglioso sul volto di suo padre, non riusciva a contenersi, ogni volta doveva dirgli per forza quanto fosse fantastico, quanto lo adorasse e quanto gli fosse grato per ogni singola cosa.
Sorrise a quel modo poi a Dave, fissando i suoi occhi sbalorditi e dal modo in cui gli stava afferrando la mano sembrava come se avesse paura che si sarebbe risvegliato dal sogno, una volta che lui si fosse allontanato.
All’improvviso suonò il campanello e sia Dave che Kurt trasalirono al suono.
Burt annuì in direzione della porta. “Dave, non è quel tuo amico?”
Dave si accigliò. “Io non-”
“Sì.” Dannazione, Kurt non aveva nemmeno avuto la possibilità di dire a Dave di Azimio. “Probabilmente.”
Dave lo guardò.
Carole si alzò, sorridendo come aveva fatto per la maggior parte della riunione. Afferrò il marito per il braccio. “Bé… Io e Burt siamo vecchi e abbiamo appena avuto un figlio. Andiamo a letto presto.”
Kurt non riuscì a far allontanare suo padre prima di non esser saltato giù dal divano e averlo trascinato in un abbraccio molto stretto. Ciò voleva dire lasciare la presa convulsiva di Dave, ma Kurt non aveva scelta nella questione.
“Sei fantastico,” disse dolcemente a suo padre.
“Sì, lo sono abbastanza,” rispose con un sorriso, spostando indietro e stringendo il braccio di Kurt. “Non urlate, ragazzi.”
Mentre lui e Carole salivano le scale, suonò nuovamente il campanello.
“Uhm.” Kurt era solo con Dave e Finn. Fece un gran sorriso. “Bene, dovrebbe essere Azimio.”
“Cosa?” La tensione di Dave, che da poco si era allentata, ritornò a raddrizzargli la schiena.
Kurt lanciò a Finn uno sguardo eloquente. “Si, quindi… voi due vorrete parlare o altro.”
Finn alzò gli occhi al cielo e li diresse poi verso la televisione e l’immagine bloccata sullo schermo dell’esplosione del videogioco di prima con un sospiro pieno di rimpianti. “Va bene, come volete.” Si mise in piedi e si diresse verso le scale, mormorando qualcosa su Facebook, sul dover coltivare dei campi e sui venerdì sera patetici.
Kurt lo ignorò (il meglio che riuscì a fare, gli doveva ancora uno di quegli abbracci tipici con cui Hollywood fa terminare i film epici) e andò alla porta. Non voleva che Dave fosse preso alla sprovvista, ma forse sarebbe stato meglio far entrare Azimio prima che Dave potesse iniziare ad avere troppo terrore della cosa.
Aprì la porta e, nello stesso momento in cui vide che Azimio non indossava la sua giacca letterman, si ricordò del fatto che tutto quanto avrebbe potuto essere potenzialmente un vero e proprio disastro, e quindi dovette fare i conti con uno di quei momenti in cui il panico si mescolava al sollievo prima che la porta di casa si aprisse. Invece Azimio aveva addosso la sua giacca nera da Bullywhip e lui a Kurt non piaceva, ma si ritrovò lo stesso a sorridergli.
“Yo,” annuì in direzione di Kurt salutandolo.
Kurt alzò gli occhi al cielo, ma aprì la porta più che poté per farlo entrare. Quando Kurt lo guardò, Dave era in piedi con i pugni serrati sui fianchi, teso e pallido.
Azimio oltrepassò Kurt. Fissò direttamente Dave.
Kurt chiuse la porta di casa e c’era così tanta tensione nell’aria da poterla quasi vedere. Esitò – era come se fosse un duello dove due pistoleri si scambiavano occhiate feroci all’altro in una strada polverosa. Kurt sapeva come i Jets e gli Sharks (*) avrebbero risolto una cosa del genere, ma non aveva la minima idea di come due adolescenti stile macho gestissero le loro faccende.
Superò Azimio, andando dietro al divano e provando a leggere l’atmosfera. Poteva seguire Finn al piano di sopra: forse avrebbe dovuto andare via anche lui? O forse lasciarli da soli sarebbe stata la cosa peggiore che avrebbe potuto mai fare.
“Bè, uh.” Azimio alzò le spalle improvvisamente. “Colpa mia, amico.”
Kurt restò a bocca aperta.
Dave reagì nella stessa maniera, come se tutto ciò che stava aspettando era semplicemente ricevere delle scuse. Lo inseguì per la stanza fino a raggiungere il posto dove Azimio si era piantato. La sua mano destra si chiuse in un pugno strettissimo e mentre gli si avvicinava il suo braccio oscillava avanti e indietro.
Kurt strinse il retro del divano. Dio, era stata davvero una pessima idea.
Il suono del pugno che raggiungeva il suo obiettivo fu fragoroso, come qualcosa in un film che Kurt avrebbe congedato come un effetto sonoro molto scadente. Azimio inciampò all’indietro, la mano che volava alla sua mascella. Colpì il muro vicino la porta di ingresso e quasi subito il sangue iniziò a colare sul lato della sua bocca.
Dave si girò e tornò al divano. Mentre camminava, scrollava la mano, flettendo le dita. Non degnò Kurt di uno sguardo, si lasciò cadere sul divano e afferrò il suo controller abbandonato e il telecomando della televisione. Abbassò il volume e lanciò il telecomando sul tavolo.
Kurt fissava la sua testa e Azimio. Non riusciva a decidere se fosse il momento giusto per entrare in panico o se avesse già dovuto esserlo da un pezzo.
Azimio fece ruotare il suo collo, sospirando mentre si toccava la bocca e apriva le dita insanguinate. Mosse la mascella, facendo strisciare fuori la lingua per raccogliere il sangue e si pulì ulteriormente il mento sulla giacca. Dopodiché si spostò dal muro, facendo pendere la testa avanti e indietro come se si volesse rassicurare che non fosse in procinto di rotolare via.
Incespicò nei suoi primi passi, poi sembrò essere a posto e in grado di camminare verso il divano.
Kurt lo osservava, afferrando il divano, terrorizzato.
Azimio si sedette sul sofà vicino Dave, che gli lanciò il controller di Finn e sbloccò la partita.
Ci vollero due o tre minuti buoni di sparatorie, di controllers mossi a scatti e uomini sullo schermo con i propri cervelli schizzati ovunque prima che Kurt capisse che… cosa, cosa era tutto quello?
Si spostò attorno al divano e si gettò sulla sedia di suo padre, fissando i due ragazzi sul divano.
“Cazzo, D, dietro-”
“Ce l’ho… merda, il bastardo si sta nascondendo dietro il muro.”
“No problem, faccio io… cazzo, nemmeno una granata. Ma di chi è questa partita? Quel cazzo di Hudson non sa come cazzo equipaggiarsi.”
Kurt riuscì a rilassarsi dopo pochi minuti, fissando anche lo schermo della televisione di tanto in tanto quando c’era un rumore particolarmente forte. Il suo cuore stava iniziando a rallentare, era una buona cosa.
Ci furono abbondanti quindici minuti di gioco, di commenti mormorati e nessun contatto visivo e Kurt era sul punto di abbandonare tutte le sue speranze riguardo al fatto che due ragazzi adolescenti di diciassette anni fossero in grado di avere una qualsiasi conversazione degna di nota con l’altro.
A quel punto Azimio iniziò a parlare, gli occhi fissi sullo schermo. “Ok, amico. Cynthia Prasad.”
“Smettila, si sta nascondendo cazzo, stai sprecando munizioni. Che vuoi sapere?”
“Io ho dovuto- stai zitto, stronzo, so come giocare- dovuto ascoltare te mugugnare e lamentarti su di lei per tipo sei mesi il primo anno. Mi stai dicendo che ho dovuto sorbirmi i tuoi pianti da femminuccia e tu non hai mai voluto nemmeno fartela?”
“Fottiti, lei era bellissima.”
Kurt si tendeva nella loro direzione mentre li ascoltava, il mento tra le mani.
“Fottiti tu, lei era una ragazza e ho sentito dire che a te non piacciono. Gesù Cristo, mi hai appena sparato?”
“Oops.” Dave non sorrise nemmeno, non lo guardò proprio. Continuò semplicemente a premere bottoni. “Bruce Willis.”
Kurt fissò lo schermo, perché… cosa?
“Bastardo, beccati questa, femminuccia!”
“Bravo!” Dave alzò una mano.
Azimio gliela schiacciò. Si risedette e continuarono a usare i loro controllers. “Ok, immagino di poterti capire allora.”
Dave sorrise.
“Bruce Willis?” Kurt non stava capendo niente. “Per poterti capire?”
Dave lo guardò e la sua bocca si arricciò in alto. “Z adora più i film di Bruce Willis di un qualsiasi porno.”
“Ehi!” Azimio si inclinò e lo scostò a gomitate. “Non provare a sminuire ciò che sta tra me e Bruce, cazzo. Non è roba da froci, figlio di puttana. E’ amore.”
“Uh uh. Ehi, come sta venendo la tua fan fiction dal titolo ‘Sono la puttana di John McClane in prigione’?”
“La tua faccia è da puttana di John McClane in prigione, frocio.”
Kurt si irrigidì.
“Geloso?” Dave sorrise e colpì una serie di tasti in modo selvaggio, tanto che la tv ruggì nell’orecchio di Kurt.
Kurt si rilassò. Forse era tempo di accettare che semplicemente non capiva i ragazzi eterosessuali. O, in apparenza, ragazzi gay che si comportavano da etero. “Sono confuso.”
“Nessuno sta parlando con te, Ladyparts.” Azimiò lo guardò, ma con il sorriso sulle labbra. “Quello che D vuole dire è che Bruce Willis è un bastardo con un gran bel culo sexy e non devi essere una donna o un frocio per apprezzarlo. Quindi, forse, la sua quindicenne ormonale Cynthia Prasad era bella quanto Bruce- non che me la volessi fare, giusto perché tu lo sappia, era carina ma non è di certo Bruce- ma questo non significa che lui volesse scoparsela. O scopare qualsiasi altra ragazza.”
Kurt spalancò la bocca.
“Ok, questo posso capirlo. O meglio, cazzo, non lo capisco perché è fotttutamente da gay. Comunque…” Azimio mosse a scatti il suo controller e gridava a ogni cosa che accadeva sullo schermo. “Ecco il tuo plasma rifle, bastardo! (*)”
Kurt fece scivolare lo sguardo da lui a Dave e poi tornò ad Azimio. “Aspettate un minuto.”
“Cosa? Cristo, D, non puoi farci cucinare qualche biscotto o qualcos’altro dalla tua moglie del cazzo?”
Dave alzò gli occhi al cielo, ma fissò Kurt. “E’ tutto a posto, ok?”. E gli fece un debole sorriso, cosicché Kurt capì che non era tutto a posto, ma… in qualche modo lo era.
In qualche maniera un pugno in faccia, Halo e Bruce Willis riuscirono a sistemare le cose.
Quando riuscì finalmente a lasciare i due bambini ai loro plasma rifles, la prima cosa che Kurt fece nella sicurezza della sua stanza fu chiamare Blaine. “Dimmi una cosa: perché mai ci piacciono i ragazzi? Sono sfuggenti.” (**)
Blaine rise. “Ma sono carini, giusto? Per questo ne vale la pena.”
Kurt pensò al volto stanco di Dave e ai suoi occhi intimiditi mentre guardava suo padre. O al piccolo sorriso sul viso quando prima stava giocando a quello sciocco video game con Finn. O al modo in cui aveva stretto la mano di Kurt, così forte, terrorizzato nel credere a ciò che Burt Hummel gli stava dicendo.
Sospirò, ma non riuscì a non sorridere. “Sì. Immagino che questo aiuti.”
Note di traduzione:
(*) Fre' è la traduzione letterale del bro' americano.
(*) CTF è una modalità da gioco per i videogames, Capture the Flag.
(*) I Jets e gli Sharks sono le gang di strada di West Side Story.
(*) Il Plasma Rifle è una delle armi di Halo.
(**) Il termine originale è confusing, e sicuramente da molto più l'idea della parola sfuggenti, ma in italiano "che confondono" non è troppo elegante, quindi abbiamo optato per questa soluzione. |
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Capitolo 14 *** Capitolo 14. ***
Note: il capitolo non è betato.
The Worst That Could Happen
- Capitolo 14 -
http://www.fanfiction.net/s/7109340/14/The_Worst_That_Could_Happen
"Cosa c'è di tanto divertente?"
Kurt scosse la testa, portandosi il cellulare più vicino al petto, sebbene Blaine fosse seduto di fronte a lui e non potesse vedere lo schermo in ogni modo. Gli sorrise mentre la risata che aveva sulle labbra svaniva. "E' Dave. Lui...Ti saluta."
Blaine sorrise, alzando il sopracciglio.
Kurt guardò di nuovo il telefono, premendo i tasti per rispondere al messaggio di Dave (e veramente,'Beh allora come sta Sopracciglia Ingellate (*)questi giorni?' poteva essere interpretato come Dave che salutava Blaine).
Sta bene, e sii carino con il mio ragazzo.
Kurt appoggiò il telefono sul tavolo e guardò Blaine seduto di fronte a lui, sorridendo contento. "Dovresti venire più spesso a Lima," disse con tono lamentoso. "Questi appuntamenti illeciti a metà strada tra le nostre rispettive città sembrano davvero di cattivo gusto."
Blaine rise. "Andrò a dire a Rosita che pensi che l'insalata e il cheesecake sono 'di cattivo gusto'."
Kurt lanciò uno sguardo alla loro solita cameriera del sabato pomeriggio appoggiata al bancone a chiacchierare con il cuoco. "Sai cosa voglio dire. E' un viaggio lungo ma potresti vedere tutti, e potrei portarti fuori con le ragazze e farmi vedere in giro con te, e..." Kurt lo guardò attentamente con aria di sfida. "E so che ti piacerebbe fare un giro al centro commerciale insieme."
"Colpevole." Blaine rise. "Ma non mi dispiace trovarci a metà strada. Lo rende speciale, non è così? Venire da così lontano soltanto con lo scopo di vedersi."
Kurt ci pensò su. "Però. Lo Shopping."
"Mmm, vero."
Il suo telefono vibrò e Kurt lo prese in mano.
Perchè diavolo dovrei essere carino con quel cretino? Il fatto che tu te lo scopi non mi è che mi porta a essere carino con lui eh
Kurt sorrise e rispose velocemente. Nessuno scopa nessuno, idiota. E dovresti essere carino con lui perchè se lui non è felice anche io non lo sono e quando sono infelice posso diventare davvero petulante.
Appoggiò di nuovo il cellulare sul tavolo e guardò Blaine. "Okay, quindi. Il prossimo fine settimana almeno vieni a Lima. Organizzerò una giornata intera con Mercedes, e ceneremo da Breadstix, e Rachel ti potrà infastidire per i piani dei Warblers per le provinciali. Sarà una bella serata."
"Ci sta già pensando? Ma seriamente?"
"Oh, piantala. Come se non aveste già scelto le canzoni."
Blaine sorrise.
Il cellulare di Kurt vibrò.
Aspetta un attimo – tu puoi essere petulante? Tipo... diventare più acuto e fastidioso di quello che sei già adesso? Ho ascoltato la versione di Fancy alla Barry White per tutto questo tempo?
Kurt rise e digitò una risposta veloce, lanciando a Blaine un sorriso di scusa. Non hai idea. Ti distruggerò i timpani che neanche te ne accorgerai.
"Strano." Blaine parlò veloce quando Kurt appoggiò il cellulare sul tavolo. "Non mi immaginavo Karofsky come uno che scrive così tanti messaggi."
"Nemmeno io. Credo che stare in casa da solo per così tanto tempo non lo aiuti. Ma papà ha parlato di portarlo da un terapista per farlo tornare a scuola, così magari riuscirà ad uscire di più."
Il sorriso perplesso di Blaine svanì lentamente. "Come sta, comunque? Credevo di dovertelo chiedere."
Kurt alzò le spalle. "Ci sono dei momenti buoni e dei momenti cattivi. Io...io credo che stia andando davvero bene, ma non so quanto possa valere la mia opinione. Come per esempio, ieri sera si è rivelata essere davvero una buona serata. Un suo amico è venuto da noi e sono stati... strani e mascolini ed etero per un po'. E' stato un bene per lui. Ma durante la giornata gli hanno dato delle notizie che...”. Sospirò. "Non lo so, onestamente. Le cose succedono così velocemente che sembra non ci sia il tempo di reagire a tutto. Ti potrei vagamente dire come sto io ultimamente, non riuscirei a parlare per qualcun altro. Credo che se fossi in lui... non riuscirei a comportarmi così bene."
"Credi che sia un-"
Il telefono di Kurt vibrò e lui lo afferrò con un sorriso. "Aspetta."
Blaine si rilassò contro la schienale, guardandolo.
Hey, tuo papà mi ha appena detto che mi accompagnerà a casa domani se tu non ne hai voglia. Inoltre nessuna offesa ma se avessi saputo quanto fosse un grande tuo padre quando mi comportavo da coglione credo ti avrei odiato ancora di più.
Non ci sono problemi, ti porto io. Pensavo che se ne avevi voglia potevamo fermarci a pranzo da qualche parte dopo? In un posto calmo, sai, giusto per abituarsi di nuovo al mondo. E nessuna offesa – sono abituato ad essere il bersaglio per l'invidia di papà.
Kurt inviò il messaggio e subito si chiese se forse non era troppo presto per pianificare qualcosa come un pranzo in pubblico. Forse non avrebbe dovuto dire niente – aveva pensato di chiederlo a Dave mentre erano per strada se potevano fermarsi da qualche parte. Sarebbe dovuto rimanere con quel proposito, una cosa casuale sarebbe stata meglio
Sospirò e guardò Blaine dall'altra parte del tavolo. "Non hai mai avuto la sensazione di esagerare? O... no, tu non pensi di esagerare ma c'è qualcosa che ti fa chiedere se tu lo stia facendo e invece non lo capisci nemmeno?"
Blaine alzò le spalle, bevendo un sorso di caffè dalla tazza di ceramica. "Di solito non è che ci penso tanto. Preoccuparsi per qualcosa che non si può controllare è inutile, giusto?"
"Forse, ma..." Aggrottò le ciglia, giocando con il suo cellulare, preoccupandosi per cosa stesse pensando Dave dall'altro lato di quel messaggio. "Se l'altra persona potrebbe essere a rischio, non è peggio nonpreoccuparsi?" Il suo cellulare vibrò, facendolo saltare su. "Dio, scusa, aspetta un attimo."
Va bene, ce un posto in cui fanno i gyros a un paio di isolati da casa mia. Di solito mangio sempre lì, sono sorpreso del fatto che non abbia scelto agnello o roba del genere.. Dirò a tuo papà di non preoccuparsi. (*)
Kurt si rilassò con un sospiro. Mise da parte il cellulare senza rispondere, più che conscio del fatto che Blaine era seduto tranquillo di fronte a lui, mescolando il suo caffè.
"Okay. Fatto." Kurt lasciò che tutte quelle preoccupazioni scivolassero via. Afferrò la sua acqua e si appoggiò allo schienale. "Sai qual è la cosa che preferisco di più del venire qui al sabato?"
Blaine sorrise, appoggiando il gomito al tavolo e spostando il caffè di mano in mano. "Sono i bagni, vero? I bagni di questo posto sono fantastici."
Kurt fece roteare gli occhi (e rabbrividì un pochino, perchè Rosita era carina e il cheesecake era davvero buono, ma quel posto era un ristorante (*) e i bagni erano... bagni da ristorante). "Prova di nuovo."
Blaine ci pensò su. "E' qualcosa che ha a che fare con me, o il mio ego sta sfuggendo al mio controllo?"
"In realtà sì. A entrambi, ne sono sicuro."
Blaine ridacchiò. "Mi arrendo."
Kurt stiracchiò le braccia sopra il tavolo, e quando Blaine si allungò istintivamente per prendergli la mano, sentì lo stomaco scaldarsi piacevolmente. "Vederti così."
Le dita di Blaine si fecero lentamente spazio tra le sue. "Così come?"
"Lo sai." Kurt lo studiò – okay, a Blaine piacevano i prodotti per i capelli, di sicuro, ma nei week end ne faceva un uso moderato. Non aveva neanche indosso la sua uniforme della Dalton, anche se di solito si vestiva in modo leggermente formale anche quando non andava a scuola. "Così," disse, ondeggiando un mano nello spazio tra di loro. "Da bassifondi." (*)
"Da bassifondi?" Blaine rise, inarcando le sopracciglia. "E io che cerco di vestirmi bene per te."
"Ma lo fai!" Kurt sorrise. "Comunque, non devi mica fare nulla per impressionarmi. Hai già vinto il mio cuore." Il suo cellulare vibrò all'improvviso. Entrambi lo guardarono e Kurt sospirò, sfilando la mano da quella di Blaine. "Scusa, dovrei controllare. Nel caso."
Blaine alzò le spalle, rilassandosi con un'espressione noncurante.
Quindi credo che Z stia uscendo con Santana adesso. E sì ti sto messaggiando i gossip sta zitto.
Kurt sorrise e gli rispose subito. Non è giusto che tu sappia pure i gossip. Sono io quello che va a scuola con queste persone tutti i giorni.
Sì, ma tu non piaci a Z. E lo sapresti se fossi qui, Santana me lo sta dicendo proprio adesso.
Santana è a casa mia?
Non ti preoccupare, non le lascerò incasinare la tua roba.
Kurt rise calmo. Sarei più preoccupato se fosse Rachel. Adesso smettila di mandarmi messaggi, sto facendo cose da fidanzato.
Dannazione, Hummel, le persone cominceranno a pensare che sei davvero un finocchio totale se dici cazzate del genere.
Fa tutto parte del piano per accalappiarmi le ragazze, e Kurt non riuscì neanche a fare la faccia da etero mentre scriveva quelle cose. Le ragazze adorano i ragazzi gay.
Santana mi sta dicendo di dirti che ha un vibratore con il tuo nome sopra e cristo non riesco a credere che mi abbia detto una cosa del genere e che io l'abbia scritta su questo cazzo di telefono
Kurt dovette coprirsi la bocca per evitare di scoppiare a ridere così forte da disturbare Rosita. Lanciò un debole sorriso a Blaine e rispose subito. Promettimi che pulirai ogni cosa che tocca. E lasciami stare prima che venga scaricato nel bel mezzo di un ristorante.
Sì sì, ora spengo il cellulare. Ma seriamente? Dì all Usignolo VonTestadicazzo (*) che va bene avere i capelli senza gel di tanto in tanto. Quella roba del cazzo era già fuori moda negli anni cinquanta. James Dean non sta ritornando di moda, amico, lascia perdere.
Kurt decise di essere un uomo migliore e di non degnare quella cosa di una risposta. Si portò il cellulare davanti al viso mentre lo spegneva. "Dio, sono una di quelle persone che odio, quelle che messaggiano in compagnia."
Blaine sorrise, sebbene sembrasse rilassato quando Kurt si mise il cellulare nella tasca della giacca appesa al separè dietro di lui. "Mi è sembrato di di capire non fosse una crisi?"
"Se tu chiami Santana appostarsi fuori da casa mia 'non una crisi', allora no." Kurt alzò le spalle. "Mi preoccupo un po', scusami."
"Sembra che forse non ha bisogno di te in giro tanto quanto pensi che abbia bisogno," rispose Blaine, alzando la sua tazza di caffè e osservando Kurt prima di bere un sorso.
Kurt aggrottò le ciglia. "Cosa vuoi dire?"
"Niente. Solo...tu stai rispondendo ai suoi messaggi perchè sei preoccupato, ma lui non ti sta ovviamente scrivendo niente di serio. Non hai mai pensato che forse non è così sconvolto riguardo qualunque cosa gli sia successa come invece pensi?”
Proprio come era venuta, la risata scivolò via dal viso e dall'umore di Kurt.
Prese un respiro profondo e rispose molto lentamente. "Nessuno dovrebbe essere infelice ventiquattr'ore al giorno. Se ha bisogno di fare finta che stia bene e ridere di tanto in tanto, non vado a giudicarlo per questo. Infatti..." Si appoggiò allo schienale, fissando Blaine con aria di sfida. "Ne ho bisogno anche io, quindi tu pensi che io faccia solo finta di essere sconvolto?"
Blaine sospirò. "Dannazione, lo sapevo che mi sarebbe uscita male. Odio la sensazione di non sapere cosa sta succedendo nella tua vita, Kurt. Mi sembra di stare facendo tutti questi passi falsi e non so come fermarmi, perchè non so neanche cosa è off limits."
Kurt si sciolse a quella affermazione, stiracchiandosi le braccia di nuovo. "Mi dispiace. Sono un po' ipersensibile questi giorni, specialmente riguardo Dave. Credo...sia solo lui, okay? Lui è off limits.”
Blaine aggrottò le ciglia, ma distolse lo sguardo e intrecciò le dita con quelle di Kurt.
"Dimmelo," disse Kurt.
"Puoi dirmi perchè?" Blaine disse senza guardarlo. "Voglio dire...Dio, forse sono la persona più egocentrica dell'intero universo, ma il mio ragazzo mi dice che il tipo che lo terrorizzava, il tipo che lo ha baciato, vive nella sua stessa casa e gli manda tutti quei messaggi e lo fa ridere come nemmeno io riesco a farlo ridere, e io non posso neanche parlare di lui? Forse è un po' meschino da parte mia sentirmi così insicuro riguardo questa cosa, o... geloso, non so, ma credo che lo sarebbero tutti se fossero nei miei panni."
Kurt trattenne il fiato, sorpreso. "Sei geloso?"
Blaine ridacchiò e spostò lo sguardo su Kurt. "Ovviamente quella è l'unica cosa che ti rimane. Se io sono egocentrico, tu lo sei davvero molto di più."
Kurt non riuscì a non sorridere. "Mi dispiace, è solo che...davvero? È adorabile."
Blaine fece roteare gli occhi, ma sorrise. "Non ti ho più tutto per me, quindi probabilmente è naturale. All'inizio ero preoccupato all'idea che tu fossi nella stessa casa di quel... di Dave," si corresse subito. "Ero preoccupato che ti desse fastidio nella tua stessa casa. Ma adesso? E' tutto ciò di cui parli."
Il sorriso di Kurt svanì lentamente. In un modo che lo fece quasi fremere – era corso dietro a Blaine per così tanto tempo che a volte era difficile credere che fosse riuscito davvero a prenderlo. Quindi fu davvero difficile ingoiare il fatto che Blaine fosse geloso.
Ma Blaine aveva ragione. Non era giusto che non sapesse cosa stava succedendo, ed era davvero sgradevole da parte di Kurt essersi comportato a quel modo col ragazzo di cui era innamorato. Kurt sapeva di essere giustificato per essere così ossessionato dalla guarigione di Dave, ma Blaine no.
Prese un respiro profondo, pensando al suo cellulare e trovando difficile non raffigurare Dave dall'altro lato di quei messaggi far roteare gli occhi per le battute di Santana ed eludere i suoi commenti acidi o qualcosa di simile, ingenuamente inconsapevole che Kurt stava spifferando i suoi segreti. Kurt non poteva essere onesto sia con Dave che con Blaine, non su quella cosa. Ma almeno poteva fidarsi di Blaine e sperare che non ferisse Dave con quel segreto.
Blaine sembrò accorgersi del suo cambiamento d'umore. Strinse la mano di Kurt e ritirò il braccio, calmo, in attesa.
Kurt lanciò uno sguardo alle cameriere lontane al bancone – quel posto era sempre vuoto quando c'erano loro, troppo tardi per il pranzo e troppo presto per la cena. Ma non gli piaceva parlare di quelle cose ad alta voce, in pubblico poi.
Prese un respiro profondo. "Non devi dirlo a nessuno, okay? Lo so che non lo farai, non sei una persona del genere, e nessuno dei tuoi amici conosce Dave dopotutto, ma... me lo prometti?"
Blaine annuì subito, nei suoi occhi si accese un vivido interesse. "Te lo prometto."
Kurt aspettò, ma non riusciva a trovare le parole. Come si parlava di quelle cose? L'aveva detto solo una volta, a suo padre, e l'aveva sputato fuori senza pensarci troppo. Lo shock era arrivato dopo.
Guardò in basso al tavolo, e quello lo aiutò. Prese un respiro e mise le mani intorno al bicchiere d'acqua, e anche la sensazione di freddo lo aiutò, almeno era qualcosa su cui focalizzare buona parte del proprio cervello.
Cominciò e si fermò un paio di volte. Voleva andare piano, raccontare a Blaine tutto quello che sapeva sull'attacco prima di introdurre la parte peggiore. Costruirla come una storia o una canzone. Ma era ridicolo, e la vita di Dave non era una canzone, quindi decise di fare un paio di passi indietro alle stesse esatte parole che aveva detto a suo padre il giorno dopo che era successo.
"Non l'hanno solo picchiato," disse, e le parole facevano tremendamente male mentre gli uscivano dalle labbra. "L'hanno stuprato."
Era bizzarro essere spaventati da una parola, giusto? Era assurdo pensare che solo pronunciare una parola gli mozzasse il respiro in gola e gli facesse venire male allo stomaco. Poteva anche essere una delle parole peggiori del mondo, ma in fondo. Era una parola. A Kurt andavano bene le parole, amava le parole. Sapeva che alcune erano brutte, ma prima che tutto ciò accadesse non si sarebbe mai immaginato che una parola avesse potuto essere così... dolorosa.
Alzò lo sguardo dopo un momento, realizzando il silenzio intorno a lui.
Blaine lo guardava dall'altra parte del tavolo, aveva una mano sulla bocca e gli occhi spalancati, il viso pallido. Poteva sembrare l'immagine di qualcuno che faceva finta di essere scioccato, come quelle reazioni sarcastiche di Santana poteva avere ad alcune brutte ma ovvie notizie. Ma non lo era, perchè Kurt conosceva Blaine abbastanza per vedere l'onesta costernazione in quegli occhi, e l'ineleganza della sua mano. Era uno sguardo veritiero, e Blaine di solito era così sicuro di se stesso.
Il suo shock genuino rese le cose più facili per Kurt. Portò di nuovo lo sguardo al suo bicchiere d'acqua e cercò di aggiungere altre parole. "Mi ha detto poi...ha detto che l'hanno fatto perchè..."
Non c'era una singola parola della frase 'tirate fuori il frocio che era in lui' che Kurt riuscì a verbalizzare.
E Dio, Kurt voleva che Dave e Azimio facessero pace, perchè Dave aveva bisogno del suo migliore amico. Ma come poteva uno tirare un pugno in faccia – con un bel gancio o meno – ed essere pari con ciò che aveva fatto Azimio? Come poteva Dave vedere in Azimio qualcos'altro che non fosse la persona che aveva dato inizio a tutto ciò? Il loro rapporto non sarebbe mai tornato come quello di prima. Ma Kurt aveva notato che la sera precedente, dopo che ebbero finito di giocare e non erano più focalizzati sulla televisione, non avevano nulla da dirsi. Azimio era andato via subito dopo, ma Kurt l'aveva considerata una vittoria. Forse non era stati un passo così grande come si era immaginato.
Rabbrividì, e alzò la mano dal bicchiere d'acqua come se fosse quella la causa. Invece di raccontargli altri dettagli sull'aggressione stessa, la sua mente si spostò in un'altra direzione e guardò Blaine, pallido.
"Devono aver detto qualcosa su di me durante... o... dopo. La coach Sylvester l'ha trovato sul pavimento dello spogliatoio, sanguinante...e nudo e tutto quello che ha fatto... tutto ciò che ha fatto è stato chiedere di me. Voleva essere sicuro che non mi succedesse nulla."
Kurt si sentì senza fiato all'improvviso, perchè sapeva tutte quelle cose, ma non le aveva mai collegate insieme, non fino a quel momento. Sapeva che Dave fosse ferito, sapeva che Dave temeva fosse anche lui in pericolo. Solo che non aveva mai collegato le due cose.
Dave aveva chiesto di Kurt; era tutto ciò che era riuscito a chiedere dopo tutto quello che gli era successo.
Alzò le spalle, cercando di prendere un bel respiro. "Non credo sarebbero venuti a cercarmi. A loro... a loro non è mai importato che qualcuno come me fosse gay. E' successo quello che è successo perchè lui era uno di loro, perchè in qualche modo li stava tradendo, o..." Si asciugò la guancia bagnata senza fare caso ad altro. "Non ero in pericolo, ma lui... gli avevano fatto così tanto male, Blaine, e lui era preoccupato per me. Come posso non essere ossessionato dal volere che stia bene? Sapendo questa cosa, come posso parlare di altro?"
Blaine scosse la testa, e forse per la prima volta da quando Kurt l'aveva incontrato non aveva una singola risposta per i problemi di Kurt.
Dopodiché la conversazione raggiunse un punto morto, veramente, e Kurt si sentì subito colpevole di essere così lontano da Lima. Quindi meno di un'ora dopo stava già tornando a casa, guidando troppo veloce.
Giusto il tempo di posteggiare l'auto davanti a casa (strana macchina, Santana era ancora lì?) che era quasi entrato nel panico. Spense il motore ma si fermò di colpo, ricordandosi di aver spento il cellulare al ristorante. Se Dave avesse avuto bisogno di lui, non avrebbe sentito la chiamata.
Accese il telefono, seduto a ingoiare paura e preoccupazione, e sarebbe anche potuto entrare in casa e scoprirlo da solo, ma doveva sapere prima.
C'era solo un messaggio non letto, di un paio di minuti prima. Da parte di Blaine.
Kurt, per favore non prenderla nel modo sbagliato, ma... hai detto che tuo padre avrebbe fatto sì che Dave parlasse con un terapista? Credo sia una buona idea se ci andassi anche tu.
La porta di casa si aprì mentre lui era seduto lì a fissare quel messaggio e alzò lo sguardo per vedere Santana e Dave uscire sul porticato e ridacchiare riguardo qualcosa.
Bene. Dave stava bene. Era pallido, ed era sempre più evidente che stava perdendo peso, ma era fuori alla luce del sole e stava sorridendo a Santana, e non era raggomitolato da qualche parte ad avere flashback. Non aveva bisogno di aiuto. Non in quel momento.
Blaine aveva detto qualcosa riguardo quanto forse Dave non aveva bisogno di Kurt come quanto Kurt pensasse. Kurt non sapeva se fosse quello il caso – la sua mente gli riportava sotto gli occhi troppo facilmente le immagini di Dave all'ospedale, o raggomitolato sul pavimento della sua nuova camera con il cellulare stretto in una mano, o giacere là troppo spaventato per andare a dormire, ascoltando Kurt mormorare qualsiasi canzone lenta gli venisse in mente.
Dave aveva bisogno di lui. Kurt aveva bisogno che Dave avesse bisogno di lui.
Ma forse non sempre, non ogni istante in cui era sveglio.
Kurt guardò in basso verso il suo cellulare e sospirò al messaggio di Blaine. Alla fine rispose.
Credo tu abbia ragione.
Kurt fece scivolare il telefono nella tasca e scese dalla macchina quando Dave mise l'occhio sulla sua Escalade. Si avvicinò a Dave e Santana con un sorriso più disinvolto possibile. "State andando da qualche parte?"
"Il figo qua mi stava accompagnando alla macchina," disse Santana dando una gomitata a Dave. "Fa il gentiluomo."
Dave alzò le spalle. "E' divertente far finta."
C'era qualcosa nell'aria tra i due, e Kurt guardò prima uno poi l'altra cercando di capire di cosa si trattasse. "Avete parlato per tutto questo tempo?"
"Se stai cercando di sapere qualcosa, è tutto inutile." Santana gli sorrise scaltra.
Dave le strinse il braccio. "Calma, ragazza."
Lei gli lanciò un'occhiata di rimando. Fu in quel momento che Kurt notò quanto fossero rossi i suoi occhi. Quanto poco trucco avesse addosso, che non era esattamente il suo stile. Lei disse bruscamente che non era il suo cane e che non doveva permettersi di zittirla, ma il suo tono non era tagliente come le sue parole.
Kurt guardò attentamente anche Dave, e vide quel rossore anche nei suoi occhi.
Deglutì, perchè....giusto. Adesso avevano una cosa in più in comune oltre ai Bully Whips, giusto? Avevano Jason Campbell in comune.
Santana fece roteare gli occhi a qualunque fosse stata la risposta di Dave – Kurt rimase intrappolato troppo a lungo nei suoi pensieri da mancarla – e si voltò per avvicinarsi alla sua macchina. Ma esitò, lanciando uno sguardo a Dave per un momento.
"Dovresti tornare a scuola."
"E' la cosa che mi dicono tutti," Dave rispose vagamente.
Santana parlò con un tono così serio da sorprendere Kurt, anche dopo che ebbe realizzato che ne avevano dovuto parlare davvero a lungo. "Più tempo stai lontano, più grossa diventa la cosa. Cerca di superarla adesso, perchè non diventerà più semplice."
Aggrottò le ciglia. "Ti ho ascoltata, okay? Ho sentito quello che mi hai detto prima. Solo..."
"Sì, beh, come ti pare" Santana lanciò un'occhiata a Kurt. "Chiedi alla principessa qui, può dirtelo lui stesso quante persone hai dalla tua parte quando ritornerai. Se può fare la differenza." Mise un braccio intorno alle spalle di Kurt in modo un po' troppo grezzo. "E hey, so che storicamente froci e lesbiche non sono sempre stati i migliori tra gli amici. Ma questa è Lima, in Ohio, e Dio solo sa che non ce ne sono abbastanza di noi per essere schizzinosi su chi siano i nostri amici."
Kurt sorrise debolmente a Dave. Non voleva spingerlo a fare qualcosa per cui non si sentiva pronto, ma sperava vivamente che stesse almeno a sentire lei, perchè...
Strizzò gli occhi.
"Aspetta." Guardò Santana.
Era stata così disinvolta, lo aveva detto in modo così casuale, non aveva realizzato che fosse una cosa così grande. Ma...
"Hai appena fatto coming out con me?"
Sbuffò e gli diede una gomitata. "Se non sapevi ancora di me il tuo gaydar fa davvero schifo, Kurt." Ma la sua voce era leggermente tesa, un po' forzata, come se essere così disinvolta non fosse una cosa così semplice.
Kurt lanciò un'occhiata a Dave, per vedere che anche nei suoi occhi c'era sorpresa. Orgoglio, anche, forse.
Oh merda, lei aveva appena fatto coming out. E Dave sapeva. E..
"Ma stai uscendo con Azimio!" sbottò fissandola.
Lei lanciò uno sguardo corrugato a Dave e si allontanò da Kurt. "Voi fatine amate questo gossip così tanto che credo ti lascerò tutto ciò."
Dave le sorrise di rimando, il che rassicurò Kurt sul fatto di non averla offesa. Ovviamente Dave e Santana dovevano conoscersi un bel po' di più rispetto a quanto la conosceva Kurt, così si fidò del sorriso di Dave per fargli sapere che andava tutto bene.
Santana salì sulla sua macchina, con il suono del motore arrivò anche lo strillo di una qualche cantante e il fischio di una chitarra, fece retromarcia e li lasciò soli nel cortile.
Kurt si voltò verso Dave, stupito. "Wow."
"Già." Sorrise lui dopo qualche secondo. "L'ha detto a Z, ma non sapevo fosse pronta per qualcosa di più. Ma potrebbe anche essere perchè sei tu, credo, quindi..."
"Te l'ho già detto una volta, non credo nel far fare outing alle persone. Nessuno sentirà mai una cosa del genere detta da me." Kurt scosse la testa, dando una gomitata a Dave e incamminandosi verso la porta di casa. "Ma perchè allora ha iniziato a uscire con Azimio?"
Dave sorrise. "Hanno un piano."
"Uh huh?"
Entrarono in casa, e Kurt prese il braccio di Dave per trascinarlo su dalle scale per parlare in privato. Non c'era ancora nessuno in salotto, ma in quella casa le cose cambiavano sempre troppo in fretta.
Spinse Dave nella sua camera e chiuse la porta. "Parla."
Dave si avvicinò alla scrivania di Kurt e si sedette, dando un'occhiata al computer e il resto delle cose appoggiate sopra.
Kurt si tolse la giacca e andò ad appenderla nell'armadio. "Allora?"
"Beh, non è l'unica che esce con Z. Credo stia uscendo anche con Britt adesso."
Kurt si voltò verso di lui, incredulo.
Dave sorrise. "Sarà uno scandalo. Quel cazzo di jewfro-boy(*) sarà eccitato come pochi per questa merda."
"Ew, ma vai avanti."
Dave alzò le spalle, facendo ruotare la sedia della scrivania avanti e indietro in modo assente. "E' tutto lì. Loro tre. Usciranno per un po' e terranno in piedi questa cazzo di situazione del menage-a-tre. E poi Z le scaricherà entrambe o qualcosa di simile, e le due ragazze avranno solo l'un l'altra per curare due cuori infranti." Alzò le spalle. "Non lo so, secondo me è una cosa da pazzi, ma Z è d'accordo perchè lo fa sembrare un figo. E Santana crede sia l'unico modo per adattarsi a questa “cosa gay”. E poi, seriamente? Io non sono nella posizione per giudicare come qualcuno dovrebbe venire allo scoperto."
Kurt ci pensò su. "Aspetta, quindi. Anche Brittany è lesbica?"
"Nah, lei è solo Britt."
Aveva senso. Kurt rise ancora, stupito. "E io che pensavo di essere stato da solo per così tanto tempo, perso in un mare di eterosessuali."
"Strano, huh?" Dave ammiccò. "Comunque credo tu debba insegnare a Santana un paio di roba su tutta la questione della solidarietà."
Kurt alzò il suo pugno da Team Arcobaleno in saluto. "Aspetta, perchè? Se pensi che il coming out la farà smettere di chiamarci froci o..."
Dave gli fece un gesto con una risata. "Nah, solo... la prima cosa che ha fatto quando ha saputo di me l'anno scorso è stata ricattarmi e minacciarmi di dirlo a tutti."
Kurt strizzò gli occhi. Il pugno alzato cadde lungo il suo corpo. "Cosa?"
Dave alzò le spalle. "Non è questa gran cosa, solo... la ragazza prenderà una bella facciata un giorno o l'altro se non lo scopre da sola."
"Aspetta." La mente di Kurt tornò indietro. Ricordò l'ufficio di Figgins, a parlare a Dave con i loro padri che aspettavano fuori. Pensò a come, quando Dave gli aveva detto la verità, non si era affatto sorpreso, perchè in fondo era Santana. Ma avrebbe dovuto esserlo, perchè erano Santana-e-Dave e quei due non avevano mai avuto nulla a che fare l'uno con l'altro.
"I Bullywhips?"
"Non esattamente. Il ballo, quella era la cosa grossa. Fare finta di uscire insieme ed essere eletti re e regina. I Bullywhips erano solo un modo per arrivarci."
"Non me l'avevi detto." Kurt incrociò le braccia al petto e fissò Dave, turbato sebbene non sapesse perchè. "Nell'ufficio. Mi avevi solo detto che era una sua idea, non mi avevi detto che ti stava obbligando a farlo."
Dave sorrise debolmente. "No, non l'ho fatto."
Quella risposta lasciò aperta un'altra ovvia domanda, quindi Kurt gliela chiese: "Perchè no?"
"Perchè Fancy. Tenersi per mano con Santana nei corridoi e comprare un vestito del cazzo e una cravatta che si abbinasse al suo abito, quella cosa richiedeva il ricatto. Ma fare un passo in più e ammettere tutti gli errori del cazzo che avevo fatto? Farti tornare con i tuoi amici e tenerti d'occhio? Avrei potuto ringraziarla per avermene dato quella possibilità, perchè mi ha dato un modo per rimediare a quello che avevo fatto senza gettare via completamente la mia vita in una volta sola." Sorrise debolmente. "Credo di non poter dire nulla riguardo a come voglia alleggerirsi il coming out, perchè mi ha aiutato a diventare... umano, o qualcosa di simile. Inoltre..." Si fermò all'improvviso, arrossendo.
Kurt andò verso il letto e si sedette. "Inoltre?"
"Lascia perdere, è da idioti."
Kurt appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si portò il mento sulle mani. "Inoooooooltre..."
Dave fece roteare gli occhi, ma fece un sospiro e sputò fuori quello che voleva dire. "Non volevo che tu lo sapessi, okay?"
"Sapessi...che era un ricatto?"
Dave alzò le spalle. Girò la sedia nella direzione del computer e cominciò a giocare con le cuffie appoggiate accanto alla tastiera. "Avresti pensato che fosse l'unica ragione. Non saresti mai tornato se pensavi che sarei tornato ad essere quello di prima ogni volta che Santana non guardava, giusto?"
Kurt ci pensò su. "Beh, sicuramente ci avrei pensato due volte." Aggrottò le ciglia, studiando il profilo di Dave, essendo l'unica cosa che riusciva a vedere in quel momento. "Perchè...ora capisco, perchè non volevi fare coming out. Posso anche capire per quale motivo mi perseguitavi più degli altri ragazzi, perchè io ero allo scoperto. Ma perchè poi...perchè le cose sono diventate così pesanti? Dopo quello che è successo negli spogliatoi?"
Dave girò la testa, rimanendo a bocca aperta. "Stai scherzando?"
Kurt sbattè le palpebre. "No." Aggrottò le ciglia. "Stai cercando di dirmi che le cose non sono peggiorate?"
Dave fece roteare gli occhi. "Dai, non sono stupido. So che con certe cose sono andato troppo il là un paio di volte. Cazzo, alcune volte penso perdessi traccia del tempo. Sbattevo le palpebre e all'improvviso tu eri lì, spaventato, che ti agitavo il pugno contro, e..." Le parole gli morirono sulle labbra con una smorfia. "Ma...seriamente non sai perchè?"
Kurt ci mise un po' a rispondere. Voleva quasi fare una pausa per pensare a quello che era stato, per setacciare il suo cervello per una risposta che sembrava ovvia. Ma non ci riuscì – aveva già sprecato un sacco di ore a cercare di trovare una risposta a quella domanda. La maggior parte delle volte quando era ancora a scuola e rabbrividiva alla vista di Dave.
Non c'era una risposta. Non una semplice, né una ovvia. Quindi guardò Dave deciso. "Seriamente non lo so."
Dave scosse la testa, ma distolse di nuovo lo sguardo. Si schiarì la gola. "Merda. Possiamo parlare di questa roba un'altra volta? Mi è già venuta la voce roca a forza di parlare con Santana."
Kurt voleva spingerlo a parlare. Era stato in grado di guardare oltre il loro passato e i loro problemi per tutto quel tempo, ma erano comunque lì. Prima che succedesse quella cosa con Dave, prima che fosse ferito, Kurt aveva appena deciso di chiamarlo con il suo nome. Anche quella a suo tempo era stata una rivelazione. Forse aveva saltato un paio di tappe nel portarlo a casa sua e lanciarsi in un'amicizia. Ma non avrebbe cambiato nulla, non avrebbe fatto nulla in modo diverso se avesse potuto tornare indietro, ma... dimenticarsi di quelle altre cose non le faceva sparire.
Gli occhi di Dave erano ancora arrossati, e aveva detto a Kurt alcune cose di sua spontanea volontà. Gli aveva detto tanto, davvero, da quella prima volta che avevano iniziato a parlare in ospedale.
Quindi sospirò e lasciò perdere. "Okay, ma un giorno faremo questa chiacchierata."
Le spalle di Dave si rilassarono, ma il cenno che gli fece con la testa dimostrava quanto ancora fosse teso. "Ti devo molto di più di una chiacchierata. Io solo...in questo momento..."
"Hey." Kurt ebbe un'immagine improvvisa di come le cose potevano diventare tese e imbarazzanti tra di loro, tutti i progressi che avevano fatto spazzati via. "L'unica cosa che mi devi è il fatto che domani a pranzo mi toccherà mangiare cibo strano orientale. O...greco? I gyros sono grechi?"
Dave gli lanciò uno sguardo, cauto.
Kurt sorrise. "Non ne so molto di cucina etnica, okay? Nessuno è perfetto."
Dopo un momento Dave ricambiò debolmente il sorriso. "I Gyros sono grechi," rispose. "Ma questo posto è tenuto da questi tipi libanesi. Ti piaceranno, sono dei grandi. E amico, se ordini un shawarma invece di chiamarlo gyros, li farai piangere dalla gioia. Sarà divertente."
Kurt rise. "Ti lascerò ordinare per me."
"Pericoloso, Fancy. Sono veramente molto ben ferrato sulla cucina etnica."
"Gran bel modo di sconfiggere gli stereotipi, David!" Kurt fece roteare gli occhi con un sorriso, si alzò in piedi e si diresse verso la scrivania. "Alzati, devo controllare le email."
Dave si spostò dalla sedia al letto, lasciandosi cadere e facendo cigolare il materasso. "Seriamente, amico, dovresti allargare i tuoi orizzonti. Forse qualche volta che non c'è una cena di famiglia pianificata o qualcosa di simile posso prepararti qualcosa."
"Uh huh, certo." Kurt si appoggiò contro lo schienale della sedia mentre il suo account di hotmail si apriva - doveva organizzare un giro al centro commerciale in cui invitare Blaine e le ragazze. Sarebbero potuti andare anche a fare la mani...
...cure.
Si fermò.
Si sedette dritto. Girò lentamente la sedia, inarcando le sopracciglia. "Aspetta. Aspetta un attimo."
Dave strizzò gli occhi, fissandolo di rimando. "Cosa?"
"Dave. Mi stai dicendo..." aggrottò le ciglia, guardando Dave di traverso come se stesse cercando di leggergli in viso la risposta alla sua domanda. "Mi stai veramente dicendo che tu sai cucinare?"
Dave rimase con la bocca spalancata. "Cristo, Fancy, sei così drammatico. Sì, so cucinare."
Kurt non riuscì ad impedire che il sorriso gli si distendesse sul volto. "Tu cucini. In una cucina, con un grembiule e un mestolo e cucini."
Sorridendo, Dave fece roteare gli occhi e si lasciò cadere sulla schiena, stiracchiandosi sul letto di Kurt. "Non volevi che sconfiggessi gli stereotipi? Vivo per soddisfare."
"Dio, come...che cosa prepari? Voglio scrivere una lista della spesa e vendere i biglietti ai ragazzi del glee soltanto per far venire la gente qui per guardare."
"Niente di cui tu abbia mai sentito parlare. Eccetto forse..." Dave inclinò la testa per guardare Kurt. "Nah, non saresti interessato."
"In che cosa?" Kurt si alzò subito e fu di fianco al letto in un lampo, incantato. "Cosa? Cosa cosa cosa?"
Dave rise, le guance rosee, e alzò lo sguardo verso Kurt. "Potrei avere un hangiri. Sai, a casa."
"Un cosa?" Kurt riuscì a stento a rimanere fermo. Si allungò verso di lui, toccando la gamba di Dave. "Cosa? Che cos'è?"
"Cristo, sei assillante quando sei emozionato." Dave incrociò le braccia sotto la testa, sorridendogli dal cuscino di Kurt. "Un hangiri è una cosa, una cosa fatta col riso. Una ciotola, tipo. Raffredda il riso velocemente dopo che si è cotto."
"Riso? È quella la cosa che ti viene meglio, fare il riso?"
"Cazzo, Fancy, adesso sei tu quello che si lascia cadere negli stereotipi. Pensavo conoscessi 'ste cose. È per preparare il sushi."
Kurt fece un suono che non riuscì neanche a riconoscere - diamine, era a così alto volume che si sorprese di riuscire a sentirlo. "Oh mio dio! Dave Karofsky sa cucinare il sushi!"
"Riesco a fare un rotolo di riso." Dave alzò le spalle, ma il sorriso sul suo volto mascherava quelle parole disinvolte. "Piantala di squittire, Kurt. Dai fastidio. Comunque, quasi tutta la roba che so cucinare è russa. La mamma di mio padre è emigrata, sai? Passavo sempre un sacco di tempo a casa sua. Non c'era nulla da fare se non sedermi al tavolo e guardare mia nonna cucinare." Il sorriso di Dave si fece più marcato quando si accorse che Kurt lo stava fissando. "S', comunque. Ho imparato la cosa del sushi un'estate un po' di tempo fa. Ho fatto un corso. Riusciva a tenermi lontano da casa quando papà era... comunque."
Kurt era troppo impegnato a cercare di non lanciarsi sul suo cellulare per messaggiare qualcuno sull'ultima news per accorgersi di quello che aveva detto Dave. "Non ho idea del perchè," disse all'improvviso, "ma è una cosa così sexy."
Dave arrossì in un lampo. "Cosa?"
Kurt rise. "Lo è! Non ne avevo idea! Dio, mi chiedo se Blaine sappia cucinare." Saltò su dal letto per tornare al computer e aprire una nuova mail da mandare al suo ragazzo. "Sai che devi cucinare qualcosa? Qualcosa di figo. Magari non sushi, perchè solo una persona in questa casa a parte me lo mangerebbe, ma... qualcosa."
"Sì. Forse."
Kurt spostò di nuovo lo sguardo sul letto. Sorrise nel vedere Dave ancora con le guance rosa, in quel momento stava fissando il soffitto con aria impassibile. "Ti prometto che non venderò i biglietti a nessuno."
Dave lo guardò e fece un piccolo sorriso prima di alzarsi all'improvviso. "Hey, vado a distendermi, okay?"
"Va bene." Kurt sospirò e rilassò le spalle. Tornò a guardare il computer mentre fissava la pagina bianca della mail da mandare a Blaine, ma mentre sentiva il rumore della porta che si apriva gli venne in mente una cosa. "Hey! Aspetta!"
Dave face una pausa sull'uscio, guardandolo di rimando.
Kurt gli fece un sorriso. "Russo, huh? Nonna emigrata, huh?"
Dave lo guardò. "Già."
"Non è che per caso ti ha anche insegnato qualche parola insieme alla roba da cucinare?"
Dave ridacchiò e scosse la testa. "Scordatelo, Fancy. Sono sicuro che Capellone (*) parla francese o qualcosa di simile, vai a feticizzare lui."
Kurt fece roteare gli occhi. "Io parlo francese, non è eccitante se lo posso fare anche io! Dai, dimmelo. Dì solo qualcosa."
Dave scosse la testa. "Vai a parlare con Schuester qualche volta, te lo dirà lui quanto è non-sexy il mio spagnolo."
"Tutti parlano spagnolo! I hablo quel cavolo di espanol." Kurt fece un gran sorriso. "Il russo è diverso."
"Sei così strano."
Kurt fece il broncio. "E io che pensavo ti saresti trasformato in questo ammasso di interessanti contraddizioni."
Dave guardò la porta come se stesse progettando di fuggire. "Scordatelo. Sono contento di essere un grande ammasso di fiacca semplicità. Buonanotte, Fancy."
"Stai-"
"Ho detto," Dave gli lanciò un sorriso, "Spokojnoj nochi, Vychurnyj."
"Oh..." Kurt si portò una mano sulla bocca per fermare un altro squittio. "Non so neanche cosa sia, ma ne voglio uno!"
Dave rise mentre usciva, chiudendo la porta dietro di sé.
Con gli occhi che brillavano, Kurt si voltò di nuovo perso lo schermo. Aveva davvero bisogno di dire quella cosa a qualcuno, ma c'era una grande e vuota email sullo schermo e non riuscì a ricordarsi di cosa doveva scrivere a Blaine.
Con un sorriso chiuse la finestra e tirò fuori il cellulare per chiamare Mercedes invece.
Note di Traduzione:
(*) Le traduzioni dei rispettivi soprannomi che da Dave a Blaine sono Eyebrows McHairgel = Sopracciglia Ingellate, Warbler Von Douchebag = Usignolo VonTestadicazzo, Hairboy = Capellone
(*) quel "ce" posto a inizio frase è messo per cercare di rendere la scrittura senza apostrofi di Dave.
(*) Il locale in cui si trovano Kurt e Blaine non è propriamente un ristorante, ma un diner, un locale a metà tra il fast food e il ristorante, simile a una tavola calda ma non nel modo grezzo.
(*) Il termine da bassifondi fa schifo, ma è quello che assomigliava di più a slumming, il termine originale. Vuol dire appunto qualcosa di strada, da bassifondi, poco elegante o sofisticato.
(*) i Jewfro sono ragazzi di ascendenza ebraica, quindi Jacob.
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Capitolo 15 *** Capitolo 15. ***
Beta Reader: Kurtofsky
The Worst That Could Happen
- Capitolo 15 -
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"Stiamo uscendo!"
Dave era già fuori dalla porta e, teso e nervoso, si muoveva in fretta. Kurt diresse la voce verso la cucina, dove suo padre stava mettendo a posto la spesa e andò verso di lui.
"Ehi, Kurt?"
Si guardò alle spalle mentre suo padre arrivava dalla cucina con in mano un pacchetto di patatine. Kurt si girò e gli si avvicinò all'istante, ma prima che suo padre potesse raggiungerlo alzò gli occhi al cielo e gli mostrò il pacchetto.
"Cotte al forno, figliolo. Basso contenuto di sodio. È praticamente un pacchetto pieno di broccoli."
Kurt aggrottò la fronte, poi sospirò. "Non tutto il pacchetto, okay? E cosa c'è? Dave vuole andare e tornare prima che suo padre si faccia vivo."
"Oh. Niente di che. Solo..." suo padre lo studiò. "Tu e Blaine. Tutto bene tra di voi?"
Kurt sbatté le palpebre, sorpreso. "Sì, certo."
"Huh. Okay. Me lo stavo solo chiedendo."
Kurt scosse la testa, incerto ma un po' divertito. "A meno che tu non abbia sentito qualcosa che non so, comunque."
"Cosa c'è, non posso nemmeno più ficcare il naso negli affari di mio figlio ora?" suo padre sogghignò e aprì con foga il pacchetto. "Fuori di qui, dai."
"Ora vado. Ricorda. Non tutto..."
"Non tutto il pacchetto. L'ho capito."
"Merda"
"Cosa?" Kurt guardò dritto davanti a sé mentre la macchina rallentava, e vide da solo la risposta. “È la macchina di tuo padre?"
"Già." Dave guardò al di là del parabrezza, mentre Kurt rallentava maggiormente. "Ogni tanto va agli incontri pomeridiani, ma non è mai qui alle undici. Merda."
"Tranquillo." Kurt si mosse appena, ora che si stavano avvicinando. Tenne un occhio sullo specchietto retrovisore, ma l'ampia strada dietro di loro era deserta. "Possiamo pranzare prima e tornare più tardi, se vuoi."
Guardò verso la casa e la macchina man mano che si avvicinavano. Era pallido e teso, ma lo ero stato da quando aveva sceso le scale un'ora prima e aveva chiesto a Kurt se era pronto.
"No." Deglutì, ma rivolse lo sguardo verso Kurt e parlò con fermezza. "Fanculo, facciamolo e andiamocene via da qui."
Kurt aggrottò la fronte ma girò le ruote, accostandosi alla casa e fermandosi ad un segnale di stop. "Ne sei sicuro?"
"No." Dave sogghignò, sembrando malato. "Forse tu dovresti rimanere qui, però.”
"Già, ma forse no." Kurt slacciò la cintura di sicurezza. "A me va bene che tu davvero non voglia che venga con te, ma non ti lascerò affrontare quel verme da solo."
Dave aggrottò la fronte a sua volta, ma si sfilò la cintura a aprì la portiera. "Grazie Fancy," mormorò mentre scendeva dalla Escalade.
Kurt fece il giro attorno alla macchina e studiò la casa. C'era già stato, certo, mentre aspettava che suo padre provasse a far ragionare Paul Karofsky. Era una bella casa, un ampio cortiletto e un piccolo cul de sac, bici nei cortiletti dei vicini. Faceva molto americano medio.
Kurt seguì Dave verso la casa, guardandosi in giro per distrarsi dal pensiero di quanto orribile quella situazione sarebbe potuta diventare. "Sembra che stia lasciando crescere l'erba un po' troppo."
Dave sbuffò delicatamente, senza guardare verso Kurt. "Tagliare l'erba è un lavoro da figlio, non da padre. Suppongo che non abbia ancora trovato un modo per rimpiazzarmi."
Kurt fece una smorfia ma si ricompose in fretta. Non era il momento per esprimere il suo disgusto nei confronti del padre di Dave. Per lui sarebbe stato già abbastanza difficile anche solo entrare, non voleva peggiorare la situazione.
Dave si fermò all'improvviso, in modo così brusco che Kurt andò a sbattere contro il suo braccio. Kurt seguì il suo sguardo e vide la porta principale aprirsi.
Kurt aveva incontrato Paul Karofsky un paio di volte. La sua prima impressione era stata che sembrava davvero il padre di Karofsky. Un uomo alto, dalle spalle larghe, forte e con un completo non molto di stile. Ma poi aveva ascoltato tutto quello che Kurt aveva da dire, gli aveva creduto e aveva parlato con un lieve rimorso di come suo figlio fosse cambiato.
A Kurt piaceva. Forse quella era la parte peggiore. Kurt era uscito da quel primo incontro provando seriamente compassione per quell'uomo, a cui era capitato un bullo dalla testa calda per figlio. Poi era uscito dal secondo incontro chiedendosi perché Dave fosse così spaventato di fare coming out con un padre così comprensivo riguardo a tutto.
In quel momento si sentiva come se fosse stato preso in giro. Come se fosse stata tutta un'illusione.
Era lo stesso uomo in piedi sulla porta. La stessa barba tagliata in modo ordinato, gli occhi tristi e un completo ingombrante. Paul li guardò da lontano, Dave, poi Kurt e poi di nuovo Dave.
Dave emise un sospiro e aumentò l'andatura. "Sono qui solo per la mia roba," disse a voce alta, con lo sguardo basso sul prato, mentre si avvicinava alla casa.
Gli occhi di suo padre rimasero su di lui, e Kurt si chiese, seguendo Dave poco più indietro, cosa pensasse mentre lo guardava. Di sicuro avrebbe notato che suo figlio aveva perso peso. Avrebbe notato anche il pallore della sua pelle, le occhiaia sotto i suoi occhi. Non c'erano più lividi, nessun gonfiore, né arrossamenti. Ma era ovvio che Dave non si stesse muovendo come un tipico ragazzo menefreghista.
Quando Dave arrivò alla veranda Paul si mosse, indietreggiando e lasciando la porta aperta senza proferir parola. Dave camminava in fretta attraverso la casa e mentre Kurt superava la soglia, l'altro stava già salendo su per la rampa di scale.
Kurt esitò, guardandosi intorno nel raffinato e cortese salotto. Era una tipica casa dell'Ohio in realtà. Nessun quadro, però. Qualche opera d'arte sul muro, ma nessuna fotografia. Non ne vedeva da nessuna parte.
Aggrottò la fronte ma seguì Dave.
"Kurt."
Si fermò, voltandosi.
Paul sembrava incerto. "Non è così? Kurt Hummel?"
"Già." Kurt non era mai stato da solo con un uomo adulto che disprezzava. Non era sicuro se seguire le regole del galateo, o chissà cosa. Non voleva far nulla per peggiorare la situazione di Dave, e Kurt era un ragazzo in un mondo regolato dagli adulti, quindi c'era un limite anche se sceglieva di essere non del tutto cortese.
Paul si schiarì la gola, guardando verso le scale."Come sta?"
Oh beh, questo rendeva la sua decisione più facile.
Kurt non nascose il suo sguardo feroce, semplicemente perché il suo viso non avrebbe permesso di dissimularlo. Rispose a Paul Karofsky nello stesso modo in cui aveva risposto ad Azimio un paio di sere prima - nel modo in cui non avrebbe dovuto rispondere a Paul, perché era il padre di Dave e sarebbe dovuto essere a conoscenza di quelle cose senza dover chiedere.
"Dovrebbe chiederglielo di persona."
Paul non disse più nulla mentre Kurt si girò e marciò su per scale alla ricerca di Dave.
Trovò Dave abbastanza facilmente - solo una porta era aperta nel piccolo corridoio e poteva sentire Dave cadere con un tonfo prima di aver finito le scale.
La stanza di Dave... non era ciò Kurt si aspettava, almeno finché non realizzò di non aver avuto aspettative a riguardo. Le mura erano spoglie (ma ricordava i poster di hockey e football che ora erano appesi nella camera di Dave a casa Hummel). La camera era pulita, ma piena zeppa di cose. Una piccola libreria era riempita con pile di libri, fumetti e riviste. C'era una tv su un supporto su cui erano appoggiati una X-box e una pila di giochi e DVD. Era come un caos ordinato, come un piccolo covo lontano dalla blanda normalità del resto della casa.
Dave stava afferrando i vestiti che il padre di Kurt non era riuscito a portare via, gettando un mucchio di cose sul letto. Si stava muovendo in fretta, gesti senza grazia e a scatti che Kurt poteva interpretare più che facilmente: stava provando ad essere furioso. Ci stava provando davvero. Ma non era la rabbia a far brillare i suoi occhi in quel modo.
Kurt si accigliò per Dave e per il silenzio dietro Kurt in direzione delle scale. "Posso aiutarti con qualcosa?"
"No, con nulla." sibilò Dave, tirando fuori dal fondo dell'armadio un paio di pattini da ghiaccio sporchi e lanciandoli sul letto.
Kurt sospirò e si andò vicino al letto, toccando con le dita le lame dei pattini. "Hai davvero smesso di giocare ad hockey per colpa di tuo padre?"
Dave glì lanciò uno sguardo feroce dall'interno dell'armadio, ma poi si calmò e si voltò tornando a fare quello che stava facendo. "Già."
"Non ti piace giocare a football? Sei bravo. Cioè, suppongo tu lo sia. Placchi gli avversari e cose così. È una cosa buona, giusto?"
"Ogni cafone abbastanza grosso può giocare a football," disse Dave, rannicchiato per metà nell'armadio, la sua voce suonava come se stesse lanciando le cose in giro per divertimento. "Non faccio schifo, ma devi essere fottutamente bravo per attirare l'attenzione di qualcuno. Hockey... Avrei potuto ottenere una borsa di studio da qualche parte. I college con buoni programmi di hockey cercano a lungo giocatori. Ai talent scout per il football non frega niente, hanno venti giocatori per ogni posizione."
Kurt ne era sorpreso, ma non era sicuro di sapere il perché. Era dannoso per Dave a quel punto essere sorpreso per qualcosa come mostrare un qualche tipo di previsione per la sua vita dopo il liceo. Dave gli aveva già dimostrato una dozzina di volte che non era affatto come Kurt si aspettava.
Si sedette sulla parte di letto che non era coperta di roba, guardando la schiena di Dave mentre questi andava a caccia di qualsiasi cosa stesse cercando. "L'hai detto a tuo padre?"
"Non gliene fregava un cazzo." Dave si girò e si raddrizzò, guardando verso Kurt. "La Columbia Law non ha una squadra di hockey."
"Beh." Kurt incontrò gli occhi di Dave un attimo prima che si voltase. "A papà e a Carole probabilmente piace l'hockey. E poi l'anno è appena iniziato. Scommetto che potresti rientrare in squadra."
Dave si immobilizzò e si girò di nuovo verso di lui, con un'espressione sinceramente sgomenta.
Kurts sorrise. "C'è un lato positivo in tutte le cose," disse tranquillo.
Dave prese la cosa in considerazione. Tornò dentro all'armadio, lanciando le cose in modo meno violento.
Kurt si rilassò e guardò la pila di oggetti che cresceva sul letto. "Hai qualcosa in cui mettere tutta questa roba?"
Un borsone da sport rosso del McKinley High, sbiadito e stropicciato, partì dall'armadio e atterrò ai piedi di Kurt.
"Avresti potuto semplicemente dire di sì," mormorò Kurt, alzandosi in piedi e prendendo il borsone. "Vuoi che infili la roba dentro a casaccio o posso trattare queste cose come se fossero dei vestiti?"
"Non sono abiti da centinaia di dollari, Fancy. Metti dentro."
Kurt alzò gli occhi al cielo ma accennò un sorriso quando cominciò a prendere le cose e ad infilarle nel borsone. Era un modo orribili di trattare delle innocenti magliette, ma Dave aveva alcune cose veramente brutte. "Sai, alcune persone nel mondo hanno davvero ragione a comprare dei vestiti che stiano bene indosso. È una scelta di stile, lo so, ma penso che sia abbastanza valida."
Dave non rispose, ma questo non sorprese Kurt.
“Ti ricordi quando ti ho chiamato grasso e tu eri tremendamente devastato?” Fece un'espressione strana di fronte ad una collinetta di flanella, ma infilò il tutto nella borsa. “I tuoi vestiti non ti donano, dico solo questo. Sai, stai in una casa dove ci sono sia una madre che Kurt Hummel, quindi.. o ti rassegni a giustificare i tuoi vestiti ogni giorno oppure ti fai coraggio per un paio di sessione di shopping di cui hai seriamente bisogno.”
“Pensi ci sia qualcosa di sbagliato in me?”
Kurt sbuffò delicatamente. “Con le tue scelte di stile, sicuramente. Ma...” il suo sguardo si rivolse verso l'altro ragazzo e le sue parole si affievolirono.
Dave era appoggiato sui talloni, con la schiena rivolta verso Kurt. Le sue braccia erano appoggiate sulle gambe, forse stava tenendo qualcosa in mano. Kurt non riusciva a capirlo.
Le sue spalle erano curve, la testa bassa.
Kurt mandò giù qualsiasi stupido scherzo gli stesse venendo in mente. Appoggiò il borsone ormai pieno sul letto e si avvicinò all'altro con passo incerto. “Dave?”
“Sul serio, Kurt. Non è che pensi che... ci sia qualcosa di fottutamente sbagliato in me?”
“Seriamente? No. Non sei perfetto, ma non lo è nessuno.” Kurt si fermò a qualche centimetro da lui, studiando la sua schiena. “Ci stai provando, Dave. Può non sembrarti molto, ma è molto più di quanto alcuni facciano.”
Dave abbozzò un sospiro e le sue spalle si mossero. “I genitori dovrebbe amare i propri figli.”
Qualcosa di ciò che aveva appena detto, forse la semplicità della frase, quel livello di incertezza nella voce di Dave... Qualcosa colpì Kurt in modo davvero forte. Sussultò e guardò verso la porta aperto e il corridoio vuoto aldilà di essa.
La cosa peggiore era che qualsiasi cosa Kurt avesse potuto dire sarebbe sembrata terribilmente vuota. Non c'erano parole che potessero risuonare più forte del silenzio del piano di sotto.
Non era per niente giusto. Tutta quella storia, il padre e il silenzio e le cose da infilare nel borsone da palestra per portarle via.. erano abbastanza. Era troppo perché un ragazzo potesse sopportarlo. Non era fottutamente giusto che quelle fossero solo alcune delle cose con cui Dave dovesse convivere.
Kurt doveva seriamente smettere di pensare che ogni risata, ogni sorriso, fosse un segno di ripresa. Non lo era. Kurt si dava le pacche sulle spalle e si considerava un guardiano perché riusciva a far addormentare Dave o a distrarlo con casuali messaggi da scuola mentre era da solo a casa.
Lo raggiunse e mise una mano sulla spalla tesa di Dave. “Penso,” disse lentamente, “Forse alcune persone sono solo...” Cosa? Cattivi, egoisti bastardi? Completi sprechi di ossigeno? Stronzi ipocriti? “...egoisti,” continuò. “Troppo egoisti per cambiare nonostante abbiano un figlio. Sarebbe bello se diventare genitori rendesse le persone migliori, ma forse non è così. Non sempre.”
Dave scosse la testa, sempre guardando verso il basso.
“Ti ricordi Jennifer Faucher? Del primo anno?”
Una pausa, ma la testa di Dave si alzò. “... Sì.”
“Pensi che quando era in ospedale, o quando suo padre era di fronte ad un giudice pronto ad essere condannato... pensi che qualcuno si mai sia chiesto cosa c'era di così sbagliato in Jennifer perché suo padre l'aveva buttata giù per le scale?”
Dave inspirò e lasciò uscire l'aria. “Scommetto che lei se l'è chiesto.”
“Probabilmente. Tu l'hai fatto?”
“No.” Dave si rilassò un po' sotto la mano di Kurt. “Lo so, okay? Non era colpa sua e suo padre era un cazzo di alcolizzato.”
“Non è colpa tua se tuo padre è un bastardo passivo-aggressivo e dalla mentalità ristretta.”, Kurt rispose semplicemente.
“Forse no.” Dave indietreggiò improvvisamente e gli mostrò la mano. “Ma questo non vuol dire che non ci sia qualcosa di sbagliato anche in me.”
Kurt guardò in basso, verso le sue mani, all'inconfondibile oggetto di ceramica nero e bianco che stava nervosamente stringendo tra le dita.
Di tutti i ricordi che aveva di Dave... Di Karofsky... Quello era quello più intenso dopo il bacio negli spogliatoi.
Kurt posò lo sguardo sulle figure immobili di una sposa e uno sposo e poté sentire il freddo metallo degli armadietti sulla schiena. Poteva vedere l'espressione sulla faccia di Dave, la fredda, maniacale, spaventosa espressione nei suoi occhi.
Quando aveva raccontato al professor Schuester e alla coach Sylvester che loro non sapevano di cosa Dave fosse capace… Quando aveva detto a suo padre e al padre di Dave che il bullo gli aveva detto che l'avrebbe ucciso... Non era perché lui fosse troppo di mentalità ristretta da non riconoscere un modo di dire. Kurt aveva minacciato di uccidere Finn ogni volta che lasciava calzini sporchi in bagno, sapeva che la gente usava quelle parole senza intenderle davvero.
Ma quel giorno agli armadietti, il giorno in cui Dave gli aveva preso gli sposi per la torta da quelle dita troppo nervose per opporsi... Quello era stato il giorno in cui Kurt aveva pensato, "Mi ucciderà se gli do un motivo per farlo". E ci aveva creduto.
Ogni tanto quei ricordi gli tornavano in mente vividamente. Ogni tanto poteva ancora sentire un brivido di paura se ci pensava.
Si sporse un poco e prese la statuina dalla mano di Dave. La guardò e poi spostò il suo sguardo verso il viso di Dave.
Dave era terrificato, la mascella era aperta e sapeva che Kurt ricordava tutto. Sapeva, glielo si leggeva negli occhi che lo sapeva, che Kurt era riuscito a dimenticare tutte quelle cose nelle ultime settimane. Che il ricordo di quelle cose poteva cambiare il modo in cui Kurt la pensava su certe cose.
Ed... Era divertente, ma era vero. Kurt era riuscito a dimenticare quelle cose, e non a causa dell'aggressione. Era riuscito a dimenticare prima che ciò accadesse. Il primo giorno in cui Dave era stato davanti a lui con quel semplice, brillante berretto e un'espressione di disagio sul volto, Kurt aveva lasciato che quei ricordi.. Beh diventassero solo ricordi.
Guardò Dave e sorrise. Perché Dave era proprio lì e i ricordi di Kurt erano più vividi che mai nella sua testa, ma anche in quel modo non aveva paura del ragazzo che aveva di fronte.
Erano i ricordi a spaventarlo, non Dave.
Si mise a statuina degli sposi in tasca. Sorrise e si sporse un altro poco, scostò alcuni capelli ribelli dalla tempia di Dave. Si chiese se avrebbe riso di lui mentre si abbassava e posava le labbra delicatamente sulla sua fronte.
"Non c'è nulla di sbagliato in te," disse lentamente mentre si tirava indietro, "nulla che un centinaio di dollari e un pomeriggio da Macy's non possano risolvere."
Dave rise, ma era qualcosa di umido e doloroso e non c'era nessuno scherno in quel gesto. Solo un brutto accenno di auto-disgusto che Kurt voleva portargli via, proprio come lui gli aveva portato via la statuina degli sposi.
Finirono col portare tre borsoni pieni di vestiti, libri e cose di cui Dave poteva aver bisogno giù dalle scale.
Quando Kurt aveva chiesto a Dave perché avesse così tanti borsoni inutilizzati in fondo al suo armadio, il ragazzo aveva risposto che era solito pianificare di scappare almeno una volta all'anno molto prima che suo padre lo cacciasse. Kurt decise di lasciar perdere.
Erano quasi fuori dalla porta quando un movimento dal grande e aperto corridoio che sembrava portasse a quella sembrava una sala da pranzo catturò l'attenzione di Kurt.
Rallentò, guardando Paul Karofsky come se lo stesse minacciando in silenzio.
Dave non aveva dato alcun segno di averlo notato o meno, era uscito dalla porta in fretta,attraversando con lunghi passi il giardino.
Kurt si diresse verso la porta ma Paul Karosky era un'ombra nell'angolo della sua visuale e Kurt non poté controllarsi. Era un ragazzo in un mondo di adulti e lui era una quelle di quelle persone a cui Paul Karofsky pensava come un Loro. Ma non riuscì a tenere la bocca chiusa.
Posò il borsone che stava portando sul pavimento e si voltò, guardando il padre di Dave con ogni grammo dell'atteggiamento da diva che il suo essere gay-stiloso poteva mostrare.
"Sa," disse improvvisamente, "Ho un padre che non riesce mai a lavarsi via del tutto l'olio di motore dalle mani e una matrigna che pensa che il denim sia un valido materiale per abiti che non siano dei jeans. Ho un fratellastro che ha più ragazze che neuroni. E loro hanno me. Me e Dave, una coppia di confusi ragazzi finocchi. Nessuno di noi è perfetto." fissò il padre di Dave dritto negli occhi, il mento alzato e un'espressione che sperava essere minacciosa, dato che ci stava seriamente provando. "Ma tutto quelle che le rimane è una casa vuota."
E voleva aggiungere "spero che lei ci marcisca dentro, stronzo" così tanto che poteva sentirne il sapore. Ma girò sui tacchi e prese e maniglie del borsone che aveva posato sul pavimento. Si diresse verso la porta.
Quando il padre di Dave aggiunse qualcosa dietro di lui, non ci fece minimamente caso. Non voleva chiedersi se fosse stata la luce oppure se gli occhi di Paul erano davvero così rossi. O se era rammarico quello sul suo volto oppure solo un gioco di ombre.
Non gli importava. Non importava. Poteva dire quello che voleva e pentirsi quanto voleva, ma aveva lasciato uscire Dave senza dire una parola e quella era l'unica cosa che avesse importanza.
"Possiamo semplicemente andate a casa se-"
"Voglio un maledetto gyros, Fancy, sta un po' zitto."
Kurt sospirò, ma forse chiedere di andare a casa dodici volte durante un viaggio durato cinque minuti era un po' troppo. Tolse le chiavi dalla macchina e fissò il ristorante, un piccolo rettangolo, dubbiosamente.
Dave sbatté la portiera quando uscì, ma Kurt non gliene fece una colpa. C'era lo stress e poi c'era quello, e un portiera sbattuta e un po' di parolacce erano probabilmente uno sfogo salutare.
Lo seguì in fretta, raggiungendo Dave mentre apriva la porta. Un piccolo campanello suonò sopra di loro eKurt provo a non alzare gli occhi al cielo. Entrò ed inspirò.
Il suo stomaco stridette.
Okay. C'era un odorino niente male. Kurt ancora non riusciva ad evitare di fiutare il pavimento sudicio e i poster scoloriti e le altre cose appese al muro. Un calendario con una foto di una piccola squadra locale segnava AGOSTO 2004.
"David!"
Era un urlo, almeno tre voci che sbraitavano. Kurt fece un salto, girandosi verso Dave in fretta.
Dave sorrise, e il solo posto in cui la rabbia indugiava ancora era attorno agli occhi. "Yo."
Un uomo dalla carnagione olivastra e delle sopracciglia che avrebbero fatto piangere Blaine dalla vergogna si spostò dal registratore di cassa, tendendo con vigore la mano davanti a lui. "David amico mio! Stavamo parlando di te proprio oggi! Smetti di venire qui e i nostri incassi si dimezzano!"
Dave strinse la mano dell'uomo,facendola ondeggiare in direzione una coppia di uomini coi capelli scuri e la pelle rossiccia voltati verso un grande griglia nera. "Già, scusa, sono successi dei casini."
"Non importa, vedo che hai portato un amico!" Improvvisamente un'ampia ed altamente entusiasta mano fu tesa verso Kurt.
Kurt porse la sua mano incerto, e non poté evitare un sorriso quando l'uomo gli diede lo stesso sguardo che di solito riceveva dalle madri dei suoi amici, lo sguardo da 'sei troppo magro, devi mangiare qualcosa'.
"Sappiamo cosa prende Dave, ma a te cosa possiamo portare?" chiese l'uomo, e il suo accento era abbastanza forte e calcato ma era così amichevole che Kurt si sentì in colpa per ogni pensiero poco carino riguardo a quel posto.
"Uhm." Lanciò un'occhiata a Dave. "Posso avere un...sha...warma?" Si sentì strano nel dire quella parola, sperando di essersela ricordata giusta.
"Shawarma!" Era praticamente un ruggito, e Kurt si sarebbe spaventato se non avesse appena cominciato a ridere. "Amico mio!" L'uomo sembrava sopraffatto e tornò a dire qualcosa ai due ragazzi che erano alla griglia.
Dave rise, e colpì col gomito il braccio di Kurt dirigendosi verso un piccolo tavolo vicino ad una finestra sudicia. "Questi fottuti ragazzi."
"Lo vedo." Kurt si mise sulla sedia, grato che non ci fosse nulla di appiccicoso. Prese il piccolo oggetto di plastica che c'era sul tavolo, puntandolo verso Dave con un sopracciglio alzato. "Forse non dovrebbero chiamare questo posto The Gyro Hut se non vogliono che la gente li chiami gyros."
Dave fece spallucce "Siamo a Lima, qui nessuno sa cosa sia un fottuto shawarma."
"Vero." Kurt si appoggiò allo schienale, ma un movimento catturò la sua attenzione. Alzò lo sguardo mentre qualcun altro arrivava da dietro la cassa.
E...oh. Bene.
"Ciaooo," si ritrovò a dire con un filo di voce. Perché, wow, di solito non era così impertinente, ma...
Cavolo.
Era un ragazzo giovane, forse sulla ventina. Stessa pelle olivastra e capelli scuri dei cuochi che prima avevano urlato, ma lì finivano le somiglianze. Era snello e alto, i suoi capelli neri erano folti, abbastanza mossi da poter addirittura diventare ricci una volta cresciuti. Aveva delle labbra così carnose che avrebbero potuto dare filo da torcere a quelle universalmente sexy di Santana. Ma la parte migliore erano i suoi occhi. Aveva i capelli scuri, la pelle scura, ma gli occhi erano chiari, luminosi e di una lattea sfumatura di marrone. Facevano un contrasto stupendo contro la sua pelle e...
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