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Una bambina
camminava veloce fra la folla, la mano stretta attorno a quella della
sorellina, attenta e premurosa. Un rumore forte aveva interrotto la loro
traversata verso il banchetto dei gelati, un tuono sopra le
loro teste. Entrambe avevano alzato lo sguardo incantate
e un lampo si era frantumato in una miriade di colori che dipingevano il cielo
ormai reso scuro dalla notte.
I fuochi di Bodhum erano iniziati finalmente.
Eccitata, la più piccola lasciò la sua mano
per applaudire a quello spettacolo pirotecnico, poi aveva intrecciato le dita e
aveva chiuso gli occhi. La sorella la guardò incuriosita, non appena
riuscì a togliere lo sguardo da quei colori quasi magici.
- Serah, che stai facendo?-
La piccola le rispose senza aprire gli occhi. - Sto
esprimendo un desiderio, sorellina.-
L’altra la guardò di sbieco. - E perché?-
- Non lo sai
che questi fuochi fanno avverare i desideri? Me l’ha detto la mamma... -
La bambina sospirò rendendosi conto che la sorella
aveva solo quattro anni ed era comprensibile credesse
ancora a quelle sciocchezze. Anche se, a dirla tutta, sapeva di
essere lei quella strana delle due. Troppo seria per
avere solo sei anni, troppo adulta, o almeno era così che si
mostrava agli altri. Tornò con lo sguardo verso i colori che vibravano
nel cielo, l’indomani sarebbe stato il suo
compleanno, avrebbe compiuto sette anni eppure non aveva desideri da esprimere.
Sperava solo che la sua vita continuasse ad andare in quel modo, spensierata e
senza troppi problemi.
Improvvisamente la folla la travolse, allontanandola dalla
piccola Serah che iniziò a piangere disperata. La vide da lontano
correre via, verso i loro genitori, e la bambina sospirò sollevata. Se
fosse capitato qualcosa a sua sorella per colpa sua non
se lo sarebbe mai perdonato.
Sollevò ancora lo sguardo verso il cielo, ormai
completamente sola e libera di poter essere sé
stessa per qualche minuto. Non sapeva perché si comportava diversamente
con gli altri, era da sempre stata una sua particolarità. Il suo
carattere chiuso le impediva di sorridere allegra come tutte le bambine della
sua età, non riusciva mai a dimostrare l’affetto che realmente provava
nei confronti dei genitori e anche della sorella.
Senza rendersene conto, intrecciò le dita delle mani
imitando il gesto compiuto da Serah qualche istante prima, chiuse gli occhi
azzurri e desiderò di poter essere sé
stessa con qualcuno, prima o poi. In quell’istante una donna, trascinata
anch’essa dalla folla, la scontrò urtandola. Lei alzò lo sguardo spaventata poiché non aveva ben capito
cosa stesse accadendo. Si voltò ed incontrò un paio di occhi verde acqua che la lasciarono a bocca aperta. La
donna la guardò quasi allo stesso modo, poi le sorrise dolcemente.
- Perdonami piccola, ma sai con questo pancione... - disse scherzosa
indicando il ventre gonfio -... Non riesco ad essere agile come prima.-
La bambina le sorrise di rimando,
un sorriso timido, incerto. Scosse la testa e poi abbassò lo sguardo
azzurro, puntandoselo sui piedi chiusi in sandali bianchi. La donna,
incuriosita da quella bambina così graziosa e silenziosa, si
accucciò un po’ a fatica arrivando alla sua altezza.
- Posso sapere
il tuo nome?-
La sua voce era gentile e le ricordava tanto quella di sua
madre. Alzò ancora gli occhi su di lei e constatò quanto fosse bella. I capelli lucenti, d’un
biondo chiarissimo, le sfioravano appena le spalle e nonostante apparisse
esile, il ventre sembrava darle una bellezza e una forza straordinari.
Soggiogata da quell’aria così materna che emanava, la bambina
abbassò ancora la testa e sussurrò piano la sua risposta.
- Claire... -
L’altra sorrise. - E’ un nome bellissimo Claire, io mi chiamo Nora. E quanti anni hai?-
Claire non osò guardarla ancora, chissà per
quale strano motivo si sentiva così in soggezione da quella donna
così bella. - Domani compirò sette anni.-
Finalmente la bambina le rivolse lo sguardo osservando
stupita che quel dolce sorriso fosse ancora lì,
tutto per lei.
- Ma allora sei già una signorina. Cosa stavi facendo
qui tutta sola, Claire?-
Scosse la testa. - Non sono sola,
laggiù c’è mia sorella. Io stavo solo... esprimendo
un desiderio.- disse alla fine, chiedendosi il perché riuscisse ad
essere così aperta con quella donna.
Nora si rialzò, guardando i fuochi che non avevano
smesso un attimo di accendere il cielo con i loro colori. - Forse... -
iniziò portandosi le mani sul ventre -... Dovrei esprimerne uno anche
io.-
Improvvisamente il viso della donna mutò in
un’espressione di vago dolore. Strinse di più le mani e
iniziò a respirare velocemente. Claire, spaventata, restò
immobile non sapendo cosa stesse accadendo. Poi Nora
la guardò con un sorriso.
- Uh, questo
piccoletto non fa altro che tirare calci da quando
abbiamo iniziato a parlare. Credo voglia conoscerti. -
La bambina allungò piano una manina per poi posarla
su quella grande pancia che le stava di fronte, e
improvvisamente sentì un movimento all’interno. Intimorita
ritrasse la mano, ma la donna, con dolcezza, la guidò nuovamente verso
il bambino che portava in grembo. Anche questa volta
Claire, avvertì il piccolo muoversi sotto il suo tocco, ma non ebbe
paura. Pensò che fosse la cosa più straordinaria che avesse mai
provato.
- Credo che tu gli stia simpatica.- affermò la donna sorridendo. Non
sapeva spiegarsene la ragione ma avvertiva come un
richiamo verso quella bambina.
Claire sorrise soddisfatta poi chiuse gli
occhi appoggiando l’orecchio sul grembo gonfio della donna. - Anchelui mi sta
simpatico.- ammise senza rendersene conto. Nora spalancò gli occhi.
- Lui? Credi sarà un maschietto?-
La bambina annuì. - Ne sono certa. Come si
chiamerà?-
La donna la guardò interrogativa. - Avevo pensato a Hope, se fosse stata
una bambina però... -
- No... - la
interruppe Claire - Hope è perfetto.-
Nora sorrise felice poi, quando Claire si allontanò,
avvertì un senso di disagio staccandosi dalla bambina. Come se non fosse lei a provare quei sentimenti, ma qualcun altro.
- Adesso devo
andare... - esordì la piccola passandosi una mano fra i capelli del
colore dei ciliegi in fiore. -... tornerete?-
Nora la guardò con dolcezza. - Sì torneremo
sicuramente, io e lui.-
Guardò la piccola allontanarsi con un sorriso che
ancora non le aveva visto, la vide raggiungere una
bambina a lei simile nell’aspetto ma più piccola e poi scomparve
fra la folla. Nora posò ancora lo sguardo sui fuochi sopra di lei, le
mani ancora ben salde sul ventre. Il piccolo si mosse appena e lei sorrise mentre
dava voce a una certezza ispiratale da chissà
quale voce inconscia.
- Vi rivedrete,
presto.- sussurrò alle luci nel cielo. - E’ una certezza ma anche
una piccola speranza. Non è
così, Hope? -
E le mani della donna avvertirono
il tepore di un battito, un fremito attraverso il ventre.
**********************
Ciao a tutti!
Oddio, ho scritto una cosa così dolciosa che quasi mi
son venute le carie ò.ò
Inutile ripetere che amo Hope, che amo Light, e che li amo
assieme XD
Dunque preparatevi perché ho una decina di storie
già pronte su di loro ( questa raccolta, poi un’altra... )
Questa fanfic è la prima a partecipare all’ iniziativa di BlackIceCrystal, “The
One Hundred Prompt Project.” e fa parte della mia prima raccolta basata sull’argomento
13: Fasi della vita.
Ringrazio ancora tutti coloro che
hanno letto fino in fondo, e un ringraziamento speciale va a tutte quelle
persone deliziose che hanno recensito fino ad ora le mie altre due storie
postate su questo fandom... grazie davvero!!! *-*
Ricordo che una piccola recensione mi fa felice e mi aiuta a
migliorare gli errori, quindi se siete rimasti offesi da questa... questa... questa “cosa” potete dirmelo
tranquillamente XD
Oh cielo, quanto sto parlando... me ne vado
va u.u
Baci a tutti alla prossima
Selhin ♥
Campagna
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del tuo tempo alla causa pro recensioni.
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di scrittori.
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo
dove meglio crede)
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto
ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho
elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà
di Square-Enix che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata
scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non
esistenti in "Final
Fantasy XIII", appartengono solo a me.
13° Argomento: Fasi
della Vita
62. Nascita
[ All I ever think about is you
You got me hypnotized, so mesmerized
Do you ever think when you're
all alone?
All that we can be, where this thing can go?
Am I crazy or falling in love?
Do you catch a breath when I
look at you?
Are you holding back like the
way I do? ]
Crush - David Archuleta
The
Beginning of Love
I capelli color
platino ondeggiarono dolcemente al ritmo della brezza
serale che quella sera spirava leggermente più vorace sulla spiaggia di
Bodhum. Il ragazzo si mosse appena, socchiudendo gli occhi non appena
incontrarono i riflessi rossi del sole che stava andando a spegnersi
nell’immenso oceano davanti a sé. Poi si rannicchiò su sé stesso, avvicinandosi un ginocchio al petto in una
posizione che assumeva oramai da molti anni. Socchiuse gli occhi verdi
assaporando il profumo del mare. Quella non poteva di certo definirla casa, eppure sapeva di essere mancato
ormai davvero da tanto. Sapeva che erano stati lontani troppo, insieme.
Sistemò velocemente un ciuffo ribelle che era
scivolato via danzando con il vento, e si sistemò meglio sulla spiaggia,
sporcandosi le dita di sabbia dorata. Senza alcun preavviso un fulmine
attraversò l’orizzonte dove alcune nuvole scure si stavano facendo strada verso la costa. Un fulmine pallido, con
riflessi rosati dati dal sole rosso. Il ragazzo sorrise
dell’ironia che aveva a volte la natura. Si domandò, a
proposito, dove lei si fosse
cacciata. Gli aveva detto di aspettarlo lì, che non potevano presentarsi
insieme, non così, e lui aveva acconsentito. Sapeva quanto fosse dura per lei, eppure, iniziava a chiedersi se stesse
andando tutto bene, se lei sarebbe davvero tornata.
Ma sapeva anche che lei non lo avrebbe mai abbandonato,
glielo aveva promesso tanti anni prima e così
era sempre stato. Non lo aveva fatto, mai.
E forse, sorrise, era stato proprio quello l’iniziodi ogni
cosa...
*****
-
L’operazione NORA finisce qua. -
Il ragazzino spalanca gli occhi chiari come se non credesse
a ciò che lei gli ha appena detto. Vede improvvisamente tutti i suoi
obbiettivi, tutti i suoi propositi, svanire assieme
alla voce dura della donna.
- Cosa?- riesce appena a pronunciare questa piccola parola.
Non ci crede, deve sentirlo ancora una volta.
- Io... -
inizia lei ma non la lascia continuare. Un improvviso
turbine d’ira sembra essersi impossessato di lui. - No!-
Non la sente nemmeno quando cerca
di calmarlo chiamandolo per nome. - Mi hai detto tu di combattere!- la rabbia
è troppa, ma svanisce immediatamente non appena lei lo interrompe
furiosa più con sé stessa che con lui.
- Ho
sbagliato!-
Non lo guarda, non ne ha quasi il
coraggio. Lei, fredda e indomabile. Lei, dura e distaccata. Lei, non riesce a guardarlo
perché sa di averlo illuso.
- Ma non puoi farmi questo... - la voce del ragazzino è
sottile, incredula, disperata quasi. - Non puoi creare tutto e poi
abbandonarmi.-
Finalmente la donna alza gli occhi azzurri e lo guarda
rendendosi conto di quanto questo l’abbia ferito.
Si sente perduto, esattamente come si era sentita lei
appena era diventata una l’Cie. Lo raggiunge, prendendolo delicatamente
per le spalle. E’ così fragile, così innocente, che lei ne
ha quasi paura. E si sorprende lei stessa delle parole
che pronuncia.
- Non ti abbandonerò. - lui alza gli occhi
verdi verso di lei, stupendola della forza che trasmettono e la donna ripete le
parole con maggior sicurezza, convincendo soprattutto sé
stessa. - Non lo farò.-
Il ragazzino la fissa. Sguardo verde-acqua
riflesso in iridi azzurre, profonde e libere come i cieli che solo in sogno
aveva intravisto. E mentre lei, troppo orgogliosa per
restargli così vicina, si allontana per riprendere il loro
cammino, lui si domanda cosa ne sarà di loro adesso.
Non riesce a spiegarsi il motivo che l’ha portata a
quella decisione. A interrompere ogni cosa,
l’unico obbiettivo che lo spingeva a continuare a vivere. Lei
l’aveva illuso, e adesso ogni cosaera finita. Il suo desiderio di
vendetta si sarebbe mai placato? Sarebbe mai riuscito a dimenticare
l’odio e il rancore che si porta nel cuore? No, non poteva lasciar perdere così, non poteva proprio. Snow doveva
pagare per quello che aveva fatto, doveva riuscire a cancellargli quel sorriso
idiota dalla faccia. Doveva.
La donna, da parte sua, aveva deciso e niente l’avrebbe fermata. Adesso sapeva di aver commesso un errore,
l’ennesimo della sua vita. Aveva sbagliato con Serah, e adesso aveva
coinvolto anche lui... e tutto per il
suo stupido orgoglio, per la sua smania di combattere.
Stava solo scappando dalla realtà. Per questo aveva dato fine
all’operazione NORA. Sperava, in parte, che così lui avrebbe
capito che la vendetta non l’avrebbe portato a nulla se non a un cumulo di rimpianti. Ma era
solo un ragazzino che era rimasto completamente solo, e lei sapeva benissimo
come poteva sentirsi. Perso, abbattuto, senza speranza... proprio lui.
- E adesso cosa facciamo?- lo sente improvvisamente pronunciare
alle sue spalle. La stava seguendo riflessivo e silenzioso come sempre,
e lei ormai aveva fatto l’abitudine alla sua costante presenza.
Inizialmente non faceva che voltarsi allarmata,
trovandoselo poi di fronte con uno sguardo spaurito, ma adesso si sentiva quasi
inquieta al solo pensiero di non
averlo con sé. - Voglio dire... - continua, alzando leggermente la voce,
senza aspettare che lei si volti. -... Se abbandoniamo il piano, che battaglie
combattiamo? E contro chi?-
C’è rabbia nella sua voce, lo
sente. Rabbia e delusione.
- Non lo so. -
risponde la donna dopo qualche attimo. Si volta per guardarlo e prova una fitta
di sofferenza. E’ stata lei a rendere quegli occhi così tristi? - Ma
non dobbiamo perdere la speranza.-
Lui la guarda come se lo stesse prendendo in giro, e in effetti è proprio così che si sente.
- Speranza?- le domanda incredulo. Come
può parlare di speranza adesso, proprio lei? - Non c’è
speranza, non per un l’Cie.-
Lui si volta sedendosi su dei gradini poco distanti. Si
sente svuotato dopo quest’ultima affermazione della donna. Umiliato,
amareggiato. La vede avvicinarsi ma non osa guardarla
negli occhi.
- Abbiamo te.-
dice lei con dolcezza, come se fosse la cosa più logica del mondo.
Ma il ragazzino sospira. Come
può non capirlo? Proprio lei che pensava riuscisse
a comprenderlo davvero, come può non rendersi conto di quello che gli
sta facendo?
Come può essere così indifferente?
- Hope è
solo il mio nome... -
Perché non riesce a capirlo?
Perché tutti si ostinano a dare così
tanta importanza a quella stupida parola? E improvvisamente avverte un leggero
odio verso sua madre, per averlo lasciato solo, per avergli dato
quel nome assurdo di cui tutti abusano. Ma è solo un attimo,
perché i suoi pensieri vengono interrotti dalla
voce di lei.
- Anch’io ero come te.-
Hope alza lo sguardo finalmente, incontrando l’azzurro
dei suoi occhi. Trattiene il fiato nel guardarla davvero, per la prima volta come mai lei si era
mostrata a lui. A tutti. E’ bella, troppo forse, e finalmente vera. Negli occhi d’acqua riesce
finalmente a scorgere una Lightning diversa
da quella fredda e taciturna che ha sempre conosciuto. E’ un attimo, ma
lui la vede davvero per quella che è, quella che è sempre stata
ma che cercava di nascondersi per orgoglio o forse... per paura.
Lei lo osserva per un attimo lunghissimo
poi, paralizzata da una morsa alla bocca dello stomaco, si volta per
guardare altrove. Non sopporta quegli occhi verdi, quegli
occhi innocenti, quegli occhi delusi da
lei. Si sente colpevole, sa di averlo ferito, sa come lui
si sente, cosa prova. Anche lei si era sentita
così...
- I miei
genitori sono morti.- dice quasi contro il suo volere. Non sa perché lo
fa, forse solo per liberarsi da un peso, forse per farsi vedere più
forte.
E la sua voce continua imperterrita, a lasciar trapelare
quello che sente, quello che è stata senza che
riesca a fermarla. - Dovevo essere forte per Serah e dimenticare il mio
passato. E così, sono diventata
“Lightning”.-
O forse, lo fa per lui? Per aiutarlo, per
rassicurarlo del fatto che lei c’è, che non è solo. Che sia invece per affetto?
Strano, ma non impossibile.
Hope la osserva, ipnotizzato quasi. Non si era mai reso
conto di quanto in realtà fossero simili, di quanto lei invece poteva e riusciva a comprenderlo. Si odiò
per non essere stato in grado di capirlo prima, di accorgersi prima di lei per
quella che era e non per quella che si mostrava. Adesso che osserva solo le sue
spalle può unicamente immaginare la sua espressione,
eppure gli sembra quasi di percepirla come se potesse vederla davvero. Gli
occhi rivolti verso l’alto, a scrutare un cielo immateriale,
l’espressione dura e un’impercettibile rossore alle guance. Invisibile
agli altri, ma non a lui.
- Con un nome
diverso credevo di poter diventare un’altra. Ero solo una ragazzina... -
Com’era possibile che l’affinità fosse
così grande, così smisurata, e lui non se ne fosse
mai accorto? Per un istante gli tremano le mani, le labbra. Vuole dirle
qualcosa, vuole farle capire quanto in realtà sianouguali. Vuole
guardarla negli occhi, vuole sentire il suo sguardo penetrante addosso.
Per un istante, si vede alzarsi e raggiungerla, stringerla e dirgli ogni cosa. Ma è solo un attimo, solo l’illusione di un
momento e lui sa di non essersi mosso. Se ne sta lì, in silenzio con il
timore d’interromperla, di spezzare la magia di quel momento e sa che non
farà niente. Continuerà a guardarla, ad ammirarla, a desiderare
quello sguardo, quel respiro trattenuto nel vederla,
quella fitta allo stomaco. Ma riuscirà mai a
farsi ammirare, guardare, trattenere il fiato da lei?
-
“Lightning”. Un bagliore che brilla e svanisce. Non protegge nulla.
Distrugge solamente.-
Hope sa che è quello il momento, che è quella
la vera lei. Che non si sentiranno più soli
perché continueranno a combattere, insieme.
Che è quella la nascitadi ogni cosa...
*****
Trattiene un sospiro mentre un altro fulmine scorre veloce sulla linea
dell’orizzonte. L’aria inizia a farsi fresca di pioggia, carica di elettricità. Ma non
può andarsene, lo sa bene, lei non glielo perdonerebbe mai.
E inaspettatamente due braccia
forti gli avvolgono il petto ormai adulto. Sente il suo respiro sulla spalla,
il suo cuore battere veloce a contatto con la sua
ampia schiena. E sorride nel vedere che però
non ha gli occhi chiusi. Lei non li chiude mai, davanti a nulla, nemmeno con
lui. Lei non ha mai paura, lei è forte e lo sarà sempre.
Sarà sempre un passo avanti a lui. Ma
dopotutto, lui ama quegli occhi e non vorrebbe mai e poi mai vederli chiusi.
- Sei in
ritardo.-
L’accenno di un sorriso, un’invisibile
divertimento nello sguardo. - Eri preoccupato?-
No, lui non ci casca ancora una volta. - Certo che no.
Sapevo che saresti tornata.-
L’espressione di lei non
cambiò. - Davvero? Non credi di essere un po’ troppo presuntuoso?-
Hope rise divertito posando una sua mano, che adesso era
più grande e forse più forte, su quella di lei.
- E tu non
credi di essere un po’ troppo sicura di te, Claire?-
Al solo sentire il suo nome, il suovero nome pronunciato da lui, la
donna esitò per un istante. Era sempre così, possibile che
trattenesse sempre il fiato non appena lui la chiamava in quel modo? La guardava in quel
modo? Eppure, non era più una ragazzina.
- Chi ti ha
dato tutta questa libertà di usare quel
nome?-
Lui alzò lo sguardo come a cercare una risposta
convincente. Poi tornò a posare gli occhi verdi su di lei, bellissima
come la prima volta che l’aveva vista davvero.
Era possibile innamorarsi ogni giorno, sempre della stessa persona? Non lo
sapeva, eppure a lui accadeva continuamente, in un ciclo senza fine.
Sorrise sfiorandole il viso con il proprio. - Tu... ovvio.-
***********************
Note
Autrice: Oh eccomi con la
seconda fic su questa raccolta, sempre partecipante al OHPP ^^... Mmmhh non
è che non mi piaccia, è solo che temo di non essere riuscita ben
a trasmettere quel che sentivo mentre la scrivevo... Per me, quella che ho
appena descritto, è una delle scene più belle fra Hope e Light
che appare durante il game. Si nota complicità, fiducia, affetto... ho visto tante di quelle cose in quella scena che temo,
appunto, di non essere riuscita in quel che volevo.
Ad ogni modo spero che la fic piaccia a qualcuno ^^
Ringrazio tantissimo per le recensioni ricevute alla
storia/capitolo precedente... davvero mille e mille grazie!!!
*-*
Come sempre, ricordo che una recensione positiva
mi rende felice e quella negativa mi spinge e aiuta a migliorarmi (_ _)
Alla
prossima allora ^^
Selhin ♥
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove
meglio crede)
Mi guardi, e sei così deciso che stento a riconoscerti mentre parli all’intero gruppo.
Le tue parole sono rivolte a tutti, è vero, eppure
guardi quasi esclusivamente me.
Stai cercando la mia approvazione?
Ciò che dici è giusto, sono frasi fin troppo
mature per un ragazzo della tua età. Ma tu sei dovuto
crescere in fretta, come me. Nei tuoi
occhi leggo forza, determinazione, eppure anche una certa fragilità.
Hai abbandonato la vendetta e imparato a perdonare.
Sei cresciuto senza
che me ne accorgessi.
Ed è mentre ti volti che,
guardandoti, sorrido.
Orgogliosa nel vedere ciò che sei, adesso.
************
Note
Autrice: E’ tardi
ma ho voluto aggiornare questa raccolta lo stesso >_<
Il lavoro non mi sta dando tregua ( questo è un
messaggio intenzionale per quelle persone che seguono la mia fic sul fandom dei
digimon: non sono sparita, è solo che sono
stravolta dal lavoro... passato natale aggiornerò! ) sono
stanchissima, e la sera arriva a casa, mi butto sul letto e dormo XD
Comunque, se devo essere sincera,
questa drabble è una delle mie preferite in assoluto che abbia mai
fatto... e in questa raccolta, la reputo la fic migliore di tutte... non so,
forse è affetto, o forse dipende dal fatto che ero davvero presa quando
l’ho scritta!
Ad ogni modo è ambientata nel 10 capitolo, dopo aver sconfitto bahamut... Hope inizia a parlare a tutti, ma ricordo molto bene che guardava spesso Light, e che lei a sua volta, sorrideva nel sentirlo parlare in un modo così maturo e così diverso dall'inizio del game... ecco mi sono ispirata a quei sorrisi pieni d'orgoglio nello scrivere questa drabble... perchè Hope, in quel momento, fa capire chiaramente quanto sia cresciuto, e questo secondo me è bellissimo.
Inutile ripetere quanto le vostre recensioni mi aiutino, mi stimolino e mi facciano fare i salti di gioia
ogni volta che ne vedo una *-*
Grazie a tutti, e scusate se non vi ringrazio uno per uno ma sto morendo dal sonno!
Prima che leggiate, avverto che
in questa fic c’è un leggero spoiler sul finale del gioco...
perciò se ancora non l’avete terminato, consiglio di non leggerla
^-^
Tipologia: Flash-fic
(575 parole) - lo so, non è proprio una Flash-Fic, ma per 25 parole
metterla nella One-shot mi sembrava esagerato (>-<)
Genere: Slice
of Life
13° Argomento: Fasi
della Vita
64. Vita
[ Il vero miracolo non
è
né
di volare nell'aria
né
di passeggiare sull'acqua,
ma di camminare sulla terra. ]
Proverbio cinese
Life
Crystal
Silenzio.
Non un rumore si avvertiva nella pianura di
Archylte, su Gran Pulse, ma solo un orribile, devastante e quasi
tangibile silenzio.
Tutto taceva, tutto era immobile
come le quattro figure poste sotto la colonna di vetro, luccicante alla luce di
un sole nascente. Forse in attesa di qualcosa.
Aspettavano
immobili.
Aspettavano un miracolo, aspettavano
di morire, aspettavano di vivere.
Sì, perché non era né
vita né morte la loro ma una strana via che passava nel mezzo.
Era un sonno, irrefrenabile, eterno.
Eppure, attendevano con una
speranza fredda, accecata dalla luce dei desideri e delle preghiere.
Ognuno di loro, inconsciamente e senza saperne la ragione,
si chiedeva quando sarebbero tornati a vivere, si domandava se era quello il
prezzo da pagare per aver osato credere in un miracolo. Interrogativi
che forse non avrebbero mai avuto risposte. Condannati a restare nel
nulla per l’eternità sarebbero per sempre rimasti
con loro e nessuno li avrebbe mai ascoltati.
Non avvertivano né il caldo né il gelo nelle
loro prigioni di cristallo. Sapevano la loro identità, ricordavano la loro vita precedente e conoscevano, con ogni
probabilità, ciò che il destino gli aveva riservato. Nulla.
Solo una vita imprigionata in un cristallo indistruttibile e
forse, al loro risveglio, niente sarebbe più stato lo stesso. Forse
quello era l’inferno,
forse era quella la punizione dei fal’Cie. Non diventare
Cie’th, non morire, non essere distrutti dai rimpianti delle scelte fatte, ma divenire cristalli e perdere sia la vita che la
morte. Perché se la vita è un diritto,
anche la scelta della morte deve esserlo, e loro non l’avevano. Non
potevano scegliere, non potevano piangere, non
potevano urlare. Potevano solo attendere.
E infine, senza alcuna previsione,
il miracolo avvenne e il silenzio svanì.
La donna sentì improvvisamente la strana sensazione della
vita scorrerle nel corpo. Era come se fosse rimasta sott’acqua per un
lungo lasso di tempo e improvvisamente fosse riemersa,
respirando nuovamente l’aria fresca del mattino. Sentì
i polmoni gonfiarsi dentro il suo corpo, avvertì il battito del
cuore e lo scorrere lento del sangue. Era come... nascere. Chi ricorda il giorno della propria venuta al mondo?
Nessuno, nemmeno lei. Eppure, in qualche modo, sapeva
che era quella la sensazione.
Quando aprì gli occhi azzurri
li puntò sulle sue mani e le sembrò di aver fatto un lungo,
lunghissimo sogno. Le osservò come forse aveva fatto solo rare volte
durante la sua vita precedente, se così poteva chiamarla. Era davvero
ritornata dalla vita da cristallo alla quale era stata condannata? Aveva mai
combattuto per la salvezza del mondo? Alzò lo sguardo d’acqua e si
fermò ad ammirare la colonna di cristallo davanti a sé. Quella
era Cocoon, la sua casa, ed era così vicina, così bella. Com’era possibile?
Forse, il miracolo era avvenuto davvero.
Quanto tempo era passato? Era sola?
Si voltò al sentire la voce familiare dei suoi
compagni che avevano sul viso la stessa espressione stupita che doveva avere
anche lei. Lì guardò ad uno ad uno, anche
se alla fine non poté trattenere un sincero sorriso nel vederlo
lì, davanti a sé. Anche lui era vivo. Di nuovo.
Le si avvicinò piano,
incerto, sorridendole. Gli occhi verdi spalancati a guardarla come fosse la
prima volta.
Quando avvertirono le voci delle
compagne che si erano sacrificate per loro, per Cocoon e per evitare la
distruzione, nemmeno si accorsero che le loro dita si sfioravano alla ricerca
del calore della vita che, adesso,
sarebbe stata la loro unica scelta.
Note
Autrice: E finalmente
aggiorno anche questa raccolta ^^
Scusate se ci ho messo un po’, ma avevo fatto una
promessa a un’amica che spero di non aver
infranto. ( Alister, non leggere se ancora non hai
finito il gioco!!! >_< )
Devo dire che mi è piaciuto
scrivere questa... roba... ò.ò non trovo definizione ecco.
E spero che vi sia piaciuta, in
caso contrario sapete che potete dirmelo tranquillamente!
Consigli e critiche son sempre ben accetti
(__ __)
Arigatou!!!
Alla prossima, e ultima di questa raccolta ^-^ ( nel prossimo
aggiornamento ringrazierò per bene tutte le
persone che hanno recensito fino ad ora! )
Fandom:
Final
Fantasy XIII Pairing: Hope/Lightning Personaggi: Hope
Estheim, Lightning Tipologia:
One-shot ( 2.321 parole titolo escluso ) Genere:
Triste
13° Argomento: Fasi della Vita
65. Morte
[
Nothing left to fear, l'Cie
Cradled in eternity
Shore of sands, your fate awaits
Oh surrender in the light. ]
Dust to Dust - Matsue
Hamauzu ( Original
Soundtrack of FF XIII )
Crimson
Snow
Ti
stringo mentre avverto lentamente il
calore della vita abbandonare la tua pelle.
Allaccio con più forza
le braccia attorno al tuo corpo, senza che in realtà sappia
quello che faccio.
E’ un gesto inconscio dovuto al fatto che ancora non credo a
quello che i miei
occhi vedono.
Perché te ne stai così
immobile?
Perché non ti alzi e
mi sorridi come sempre?
Perché non provi,
ancora una volta, a sciogliere questo mio carattere freddo?
Dov’ è finita la luce
che illuminava i tuoi occhi verdi?
Sposto lo sguardo poco
più avanti, qualche centimetro, non di più.
Non avevo mai visto
della neve rossa. Mai.
Eppure so che non avrei
mai voluto vederla... non così, non per causa tua.
* *
* *
*
- Io vado avanti!-
Hope si voltò a guardarla come per cercarne
l’approvazione.
Chissà perché, per ogni cosa che faceva, compiva
quel gesto. Sembrava non
riuscisse a stare senza guardarla, senza sapere quello che pensava. E
anche quella
volta Lightning posò una mano sul fianco e alzò
un sopracciglio sottile e ben
definito. Restò ferma in quella posizione per qualche
secondo poi, finalmente,
gli sorrise. Un piccolo sorriso che ultimamente però,
appariva sempre più
spesso sul suo viso. -
D’accordo, ma fa’
attenzione.-
Lui annuì e poi corse via, riducendosi a un puntino lontano
nel mezzo della foresta che stavano attraversando. Lightning scosse la
testa
pensando fra sé e sé a quanto fosse diventata
accondiscendente con lui. Troppo
a dire il vero, anche se per nessuna ragione al mondo
l’avrebbe mai ammesso ad
altri che a sé stessa. Non poteva certo negare di provare
dell’affetto per quel
ragazzino, o che le desse fastidio averlo continuamente attorno. Non
l’avrebbe
mai fatto perché, in un modo alquanto insolito, lui era
riuscito a farla
sentire un po’ meno sola - cosa a cui tutti quanti avevano
rinunciato dopo
averla conosciuta per più di due giorni - e forse,
più indulgente sia con gli altri
che con sé stessa.
Camminò per qualche metro in balia dei suoi pensieri mentre
osservava gli alberi attorno a sé. Si trovavano su Gran
Pulse, di nuovo. Non
erano più l’Cie, non avevano più il
Sanctum alla loro ricerca, non avevano più
una missione da compiere eppure erano partiti ancora una volta,
insieme. Solo
loro due. Il perché non sapeva spiegarselo, però
una mattina lei aveva deciso
di andarsene e Hope... l’aveva seguita, punto. Si era persino
messo contro il
padre pur di seguirla...
Sospirò domandandosi che fine potesse avere fatto quel
piccoletto che, lentamente, stava iniziando a crescere tanto da non
riuscire
più a tenerlo sotto controllo. Era un adolescente dopotutto. - Hope!- lo
chiamò
non troppo forte, ma abbastanza per farsi sentire.
Il silenzio che venne dopo la preoccupò. Lo
chiamò altre due
volte mentre già estraeva la Gladius pronta al peggio.
E’ vero che non erano
più l’Cie però, quello era pur sempre
Pulse, come poteva essere stata così
incosciente?
E, mentre si apprestava a correre verso la direzione nella
quale l’aveva visto allontanarsi, lui le comparve alle spalle. - Sono qui,
Light-san.- Un sorriso innocente e le guance leggermente arrossate per
il
freddo.
La donna si voltò colta alla sprovvista.
Rinfoderò l’arma
cercando di non dare a vedere quanto si sentisse agitata. - Non sparire
mai più
in quel modo, mi hai capita?-
Hope abbassò lo sguardo, conscio del grosso pasticcio nel
quale si era cacciato. - Scusami ma ecco... io ho trovato un posto
molto bello,
seguimi.-
Le afferrò la mano e la trascinò con
sé, sempre più
all’interno del bosco. La presa non era molto forte, eppure
lei non si liberò
dalla stretta. Quel contatto era piacevole. Le ricordava quello di
Serah, della
sua famiglia. Scosse la testa come a scacciare quel pensiero. A volte
non
sapeva definire chi tra loro fosse il bambino e chi l’adulto.
Dopo qualche minuto - e dopo che Hope l’aveva pregata di
chiudere gli occhi, cosa che lei aveva fatto restando al suo gioco - lo
sentì
lasciarle la mano per posizionarsi al suo fianco. - Ora puoi
guardare
Light!-
La donna aprì lentamente le palpebre rivelando le iridi
azzurre. Focalizzò lo sguardo e rimase sorpresa nel vedere
che davanti a lei si
apriva un piccolo viale nel centro della foresta. Era malandato e
piuttosto
usurato dal tempo, le pietre che dovevano comporne la strada da seguire
erano
spaccate o mancanti in vari punti. C’era ancora qualche
traccia del legno che
era stato utilizzato come recinzione per evitare probabilmente agli
animali di
avvicinarsi. Eppure, nonostante si trovasse in quelle condizioni,
dovette
ammettere a sé stessa che fosse un viale davvero bellissimo.
Hope la sorpassò di un passo. - Te l’avevo detto
che era
bello. Avevo ragione?-
Lei annuì senza però mostrarsi troppo
interessata, per poi
sorridere divertita nel vederlo sbuffare borbottando qualcosa che
assomigliava
a un “Possibile che non ti stupisca
mai
di niente?”.
Percorsero il viale per qualche minuto, poi convennero che
era l’ora di riposarsi e così si sistemarono
vicino a un albero, ben nascosti
nel caso fosse passato qualche mostro con “cattive
intenzioni” il modo in cui diceva sempre Hope, come
se fosse la cosa più
vera del mondo. Mangiarono qualcosa senza parlare poiché non
era nei loro
caratteri perdersi in chiacchiere superficiali, restando silenziosi e
riflessivi. Forse era questo uno dei tanti motivi che li faceva stare
bene
insieme. Erano simili in molte cose. Lightning rivedeva nel ragazzino
la sé
stessa del passato, ma aveva trovato in lui un riscatto. Hope era la
sua
redenzione, l’aveva capito non troppo tempo prima eppure
adesso era una delle
poche certezze che aveva.
E fu quando decisero di ripartire che il cielo volle fare
loro un piccolo regalo.
Improvvisamente Hope sentì freddo sulla guancia,
alzò lo
sguardo e vide i piccoli fiocchi di neve scendere giù,
leggeri e sinuosi, fino
al terreno sciogliendosi poi in gocce d’acqua. Non aveva mai
visto la neve e
restò incantato col naso all’insù, un
sorriso simile a quello di un bambino, le
labbra leggermente dischiuse dalle quali usciva leggera della condensa
bianca.
La donna lo guardò sorpresa, non capendo cosa gli stesse
succedendo, finché non
comprese restando anche lei imprigionata da quella magia. - Non avevo mai
visto la neve prima d’ora... - asserì lui senza
però abbassare lo sguardo.
Lei lo imitò, sorridendo al pensiero di quanto fosse ironico
il destino in certe occasioni. - Nemmeno io... -
Restarono così, immobili a fissare il cielo, per un lungo
lasso di tempo. Quando si decisero a tornare con lo sguardo sulla
terra, la
videro completamente imbiancata. Lightning alzò un
sopracciglio. Le cose erano
due: o erano lì da almeno un’ora, o la neve
scendeva davvero troppo in fretta.
Non c’era vento per cui i fiocchi scendevano lenti, uno sopra
l’altro, sempre
allo stesso ritmo accumulandosi sul terreno fino a ricoprirlo del tutto. - Sarà
meglio che
troviamo un riparo, o congeleremo.-
Hope la guardò concordando con le sue parole, eppure era
recidivo a lasciare quel viale così splendidamente candido.
Si voltò
controvoglia seguendola, mentre s’incamminava lungo la strada
alberata alla
ricerca di un posto nel quale ripararsi. Poco più avanti il
viale si divideva
per via di un fiume, ormai ridotto solo a un rivolo d’acqua
fredda,
attraversandolo con un piccolo e malfermo ponte di legno. Decisero non
di
attraversarlo ma di passarci sotto, riparandosi così dalla
neve e dal vento. Si
sedettero in attesa che la tormenta si acquietasse un po’,
con le spalle al
muro, i corpi vicini a cercare inconsciamente calore. Hope
appoggiò piano la
testa sulla spalla della donna, aspettandosi quasi un lamento seccato
che lo
costringesse a spostarsi. Invece lei non disse nulla, contrariamente ad
ogni
aspettativa chiuse gli occhi e accostò il viso sui capelli
argentei del
ragazzino e nel silenzio di un breve momento di dolcezza, si
assopì. Hope
poteva sentire i capelli rosei pungergli sul viso, il profumo che lei
stessa
emanava. Un odore di erba bagnata e di pioggia, dolce e forte al tempo
stesso,
così com’era lei. Chiuse gli occhi anche lui, come
a cercare di godere più a
fondo di quelle sensazioni di piacevole familiarità. Quel
gesto era così
intimo, così naturale, che persino per lui non era
così sorprendente, ma se
avesse vissuto quella scena nemmeno un anno prima non ci avrebbe mai
creduto.
Così entrambi sprofondarono nel silenzio più
quieto che
potesse esistere nel bel mezzo di una tormenta. Lightning preda di un
sonno
senza sogni, le labbra leggermente arricciate e dischiuse, il sospiro
leggero,
l’espressione di chi non ha pensieri. Hope immerso nei suoi
pensieri di
adolescente, indeciso sul suo futuro, insicuro su sé stesso,
ma con i sensi ben
attenti come lei gli aveva insegnato. Non gli sfuggì infatti
uno scricchiolio
improvviso, quasi impercettibile, che ruppe il silenzio di quel
pomeriggio. Hope
non si mosse e restò immobile in attesa di qualcosa.
Isolò la mente,
concentrandosi unicamente sui rumori della foresta,
allontanò dai pensieri la
sensazione dei capelli di Lightning, il suo respiro, il suo calore.
Esistevano
solo Hope e quello strano presentimento che lo attanagliava,
spaventandolo. Stick.
Fu un attimo. Hope ebbe appena il tempo di afferrare la
donna per un braccio e trascinarla lontano mentre questa si svegliava
di
soprassalto atterrando col viso sulla neve fredda. Lightning si
alzò in fretta
e, senza nemmeno il tempo di voltarsi, estrasse la Gladius pronta a
qualsiasi
combattimento. Quando però alzò gli occhi azzurri
incontrando quelli verdi del
ragazzino, non capì immediatamente cosa stesse accadendo
fino a che il suo
sguardo non cadde sulla neve dalla quale si era appena rialzata. Rosso. Era l’unico colore che
riuscisse
a distinguere.
Sotto i suoi piedi la neve si era tinta d’un rosso scarlatto.
Il rosso del suo sangue.
Lightning alzò nuovamente le iridi color cielo. Doveva
vedere i suoi occhi verdi ancora,
lo
voleva. E li vide, spalancati, fissi su di lei.
Spenti.
Non riuscì nemmeno a pronunciare il suo nome prima che lo
sguardo scendesse verso il torace dilaniato dagli artigli di un mostro
di
Pulse. Questo restò immobile a guardarla, come se potesse
conoscere il dolore
che le aveva appena inferto, come se godesse compiacendosi per questo.
Mai,
nella sua vita, Lightning era stata talmente ingenua da abbassare la
guardia.
Mai nessuno era riuscito a distrarla un solo istante. Mai aveva provato
una
rabbia simile a quella che la consumava adesso, velocemente.
Il mostro, pronto alla battaglia, si decise a lasciare la
presa sul ragazzino esanime, scaraventandolo a terra, il viso immerso
nella
neve candida. La donna restò immobile mentre la creatura le
si avvicinava
minacciosa. Restò ancora più immobile quando
questa alzò gli artigli pronta a
dilaniarla come aveva già fatto con Hope. Hope...
Lightning alzò la Gladius e colpì il mostro senza
che questo
potesse avere il tempo di reagire. Lo colpì una, due, tre
volte. Ancora e
ancora, sempre più forte, sempre più veloce. La
violenza con cui la lama
dilaniava la carne della creatura era quasi piacevole per lei,
avvertiva il
sangue correre giù lungo la Gladius, sul suo viso, macchiare
i suoi vestiti. Non
si era mai sentita così completamente estranea
a sé stessa. Era come se potesse vedersi da
un’altra angolazione, come se
quella donna senza pietà non fosse lei.
Per Light in quel momento esisteva solo una cosa: quella
dannata neve rossa. Sembrava che
volesse
tingerla ancora di più, trasformando il colore, che via a
via si faceva sempre
più scuro con il sangue della creatura. Si rese conto che
oramai il mostro non
avrebbe più potuto fare niente, che non si sarebbe mai
più mosso, eppure non si
fermò.
Non si sarebbe
fermata se, lentamente, le energie non avessero iniziato a diminuirle.
Lightning si accasciò al suolo senza nemmeno avvertire il
freddo della neve sulle sue ginocchia. Non riusciva a respirare, le
pareva
quasi che le fossero state strappate via sia le gambe che le braccia.
Per
qualche istante i suoi occhi non videro che
l’oscurità e credette per un
istante che fosse arrivata la sua ora, questa volta. Invece, la vista
le tornò
qualche secondo dopo, lasciandola alla vista della sua arma abbandonata
sotto
di lei. La lama immersa per metà nella neve mentre
l’elsa era ormai resa
irriconoscibile per colpa del sangue che la ricopriva.
Per qualche momento è lei stessa a non ricordare
l’accaduto
di qualche minuto prima - o forse di qualche ora - poi, alzando lo
sguardo, gli
occhi le si posano su ciò che ha fatto. E lentamente, anche
le immagini del
massacro appena compiuto le tornarono alla mente.
Distolse veloce lo sguardo da ciò che restava di
quell’essere, come se, agendo così, potesse
cancellare l’orrenda verità. Era
davvero stata capace di compiere una tale oscenità? Era
davvero lei quella
furia scatenata?
Lentamente, e con molta fatica, riuscì a voltarsi da quella
scena. Ma alle sue spalle, giaceva a terra, l’altra
metà di ciò che aveva
compiuto. Stava sdraiato accanto al ponte dove solo poco tempo prima
avevano
riposato tranquilli, il viso nascosto e quasi ormai sepolto dalla neve.
Dietro
di lui, si stendeva ancora quel viale così bello, ma anche
così dannato per
lei.
In qualche modo riuscì a trascinarsi fino a lui, strisciando
e lasciando dietro di sé un’unica, lunga orma
sulla neve. Lo raggiunse
chiamandolo ripetutamente per nome. Per quel nome che lui aveva tanto
odiato,
ma a cui lei aveva dato un significato. L’unica risposta che
ottenne fu il silenzio.
Riuscì a voltarlo e a togliergli il ghiaccio dal viso, le
iridi verdi erano aperte non c’era più alcuna
traccia della luce che brillava
in esse solo poche ore prima.
Lightning chiuse gli occhi.
Senza esitazione e silenziosa come una piuma, una lacrima
scivolò sulla sua guancia.
Non piangeva Lightning, non avrebbe pianto mai.
Appoggiò la fronte a quella del ragazzino,
l’avvertì fredda
mentre si domandava come poteva essere stata così ingenua.
Non si preoccupò del
freddo, della fame, della stanchezza. Restò solo
così, immobile, sotto la neve,
per ore...
Hope, non esisteva più.
Note: E' tantissimo
che non pubblico qualcosa, mi dispiace davvero tanto. La mia saluta non
è migliorata affatto, e infatti quello che sto pubblicando
è l'ultimo capitolo di questa raccolta, ma l'avevo
già pronto da mesi, poichè ha partecipato a un
contest. Mi spiace ma non ricordo nemmeno più come si
chiamava e quando c'è stato...
Tra l'altro torno con una storia che non mi piace, che volevo
riscrivere, ma che appunto per colpa della mia saluta non sono
riuscita, così ho preferito pubblicarla così
com'era.
Insomma, è orrenda lo so, ma spero non vi siate schifati
troppo.
Concludo questa raccolta, ma ne ho pronta già un'altra,
anche se solo per metà... quindi vi assillerò
ancora con questa coppia ^^
Sperando
che la mia salute migliori e mi permetta di scrivere ancora, ringrazio
tutti voi che avete letto/recensito/insultato/aggiunto fra i preferiti
questa raccolta.