parole sparse.

di SLAPPYplatypus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1. Abbandonare ***
Capitolo 2: *** #2. Ossessione ***
Capitolo 3: *** #3. Elogio ***
Capitolo 4: *** #4. Grata ***
Capitolo 5: *** #5. Incubo ***



Capitolo 1
*** #1. Abbandonare ***


abbandonare


Mi guardo attorno, socchiudendo appena gli occhi; è come se qualcosa li stesse pungendo, dritto nella pupilla; un ago freddo che appanna la vista.
E' una stanza desolata, lo so, me lo dicono tutti, o almeno me lo dicevano. Una piccola discarica privata, nascosta in un piccolo appartamento di una piccola cittadina sperduta da qualche parte, in un immenso stato. Non può contare poi molto, no?
Eppure... eppure è qui, che sento il mio cuore sollevarsi, che mi lascio scappare un respiro di sollievo. Sai come dicono, Casa è dov'è il tuo cuore. Beh, il mio cuore è qui; inizia a battere qui.
Questo è il mio posto, accocolata sul divano sfondato, di un rosso scuro e sporco, e sui suoi cuscini disordinati; guardando dall'alto tutti i piccoli frammenti di vetro verde sparsi sul pavimento, che brillavano ammiccanti.
Alzo lo sguardo verso il soffitto grigio, seguo con gli occhi la sottile crepa che lo attraversa; vorrei avere più tempo per dire addio al posto che mi ha accolto così tante volte, senza mai chiedere nulla in cambio.
Mi scosto i capelli sospirando, e mi butto lo zaino rossastro sulla spalla, scacciando i pezzi di bottiglia che vi erano rimasti attaccati.
Un pensiero mi balena per la testa, solitario. Forse dovrei lasciare un promemoria... sai, uno di quei quadratini di carta giallastra. Non camminare a piedi nudi.
Scuoto la testa, scacciando quell'idea assurda.
Non è più un problema mio. Quella non è più casa mia. Sorrido appena, non mi sarei più accucciata in un angolo a piangere. No, quella parte della mia vita è finita, una nuova pagina bianca mi aspetta, un nuovo capitolo pronto per essere scritto.
E' inutile rimuginare sul passato, si perde solo tempo.
Sbuffo tra me e me, chiudendomi la porta dietro le spalle e scendo le scale di corsa.

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Capitolo 2
*** #2. Ossessione ***


ossessione


Guardasti la ragazza che ti sedeva di fianco sorridendo, mentre i suoi occhi si illuminavano e si sfiorava il naso con l'indice.
Volevi dirle un sacco di cose, ma la tua voce non voleva saperne. Volevi dirle che sentivi di capirla davvero, che eravate due persone uguali, due anime uguali. Che sapevi quanto male potesse fare il mondo, quanti sogni potesse distruggere senza battere ciglio. Volevi abbracciarla, stringerla forte e respirare a pieni polmoni l'odore dei suoi capelli. Sapevi che ci sarebbe sempre stato un posto per voi due, un angolo di universo in cui non sarebbe importato. Era proprio là, riuscivi a vederlo. Ecco, questo; questo era precisamente ciò che volevi dirle.
Amelia. Anche il suo nome, che ti scorreva muto sulla lingua, era dolce e delicato più di ogni cosa che fossi in grado di richiamare alla memoria.
Alzasti piano il braccio per chiamarla. Non sapevi cosa ti passava per la mente, forse il punto era proprio che non stavi pensando a niente in particolare, agivi semplicemente d'istinto. Ti bloccasti giusto in tempo, con un pensiero secco e acido nella testa. Ma che cosa sto facendo?, ti strillava una voce, la tua voce, nelle orecchie, obbligandoti ad incrociare le braccia.
Chinasti piano il capo verso di lei, un patetico e inconscio tentativo di sentire il suo profumo, carpirne una scia appena. Era dolce, troppo. Di una dolcezza che fa male al naso, ma che su di lei sembrava solo un delicato veleno, che inebisce lentamente e porta a vivere per un solo scopo: lei.
Amelia scosse piano le spalle, come per scacciare un insetto, e tu ti rintanasti nell'angolo più remoto del tuo sedile, su quella vecchia metropolitana buia, con la mano destra a coprirti il volto.
No.
Non ce l'avresti mai fatta, ed era inutile sperarci. Lei, lei così bella, non ti avrebbe mai guardato. Dovevi semplicemente rassegnarti all'idea. Ecco tutto.



Piccola nota dell'autrice:
Questo capitolo è stato scritto da me, ovviamente. Sì, beh, fa parte di questa raccolta di cose scritte un po' così, tanto per, e di questo ne abbiamo più o meno già parlato. Ci tenevo a dire, però, che questa è fortemente ispirata da una scena di uno spettacolo teatrale che sto/stiamo preparando. Si chiama Untold, scritto dalla mia professoressa di inglese, ed è veramente fantastico. Quindi, i crediti della linea generale vanno a lei. Credo che questa parte in particolare parli di stalking, visto dall'esterno tenendo in particolare considerazione le.. uhrm, motivazioni? dello stalker. E non vuol dire che io gli/le dia ragione. Ecco, chiudo qui o andrò avanti per pagine e pagine. Grazie, arrivederci.

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Capitolo 3
*** #3. Elogio ***


elogio




Me ne dimentico sempre.
Spesso mi dimentico che non sei più qui, sai? Sembra tutto così irreale... come se fosse solo un sogno.
Una volta ho sognato che tu eri morto; il sogno era così terribilmente lungo, sembrava ricoprire la mia intera vita.
All'inizio era tutto così insopportabile, riesco a evocare l'immagine sfocata e nebbiosa di un coltello, il pungente dolore della lama quando incidevo sovrappensiero il tuo nome sul mio braccio con la vista offuscata dalle lacrime che sembravano non finire mai. Le cose andavano sempre peggio ma un giorno mi svegliai, e sbattendo le palpebre con lo sguardo perso nel nulla, ricordo di essermi alzata dal letto in camicia da notte. Ricordo di avere imboccato la strada senza pensarci. Mi ritrovai nel cimitero, e girai alcuni angoli.
Mi inginocchiai sulla tua lapide, senza mai muovermi.
Adesso è vero, però.
E' vero, e non so cosa fare.
Vorrei solo abbracciarti, stringerti forte solo per un attimo e dirti che ti voglio bene, vorrei ripetertelo per tutte le volte che non l'ho fatto.
Niente è più lo stesso, nessuno è come te; nessuno ti può sostituire.
Eri l'unico che credeva in me, che lo faceva sul serio, e adesso non ci sei più.
Non posso reagire, non posso riprendere in mano le redini della mia vita, perchè le stringevi tra le mani tu, quando iniziarono a buttarti terra addosso, di fianco a quella lapide agghiacciante e marmorea. Non posso arrendermi, perchè tu non lo permetteresti. Non posso fare niente, non ne ho la forza.

Mi manchi tanto.

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Capitolo 4
*** #4. Grata ***


grata




Il ragazzo osservava il paesaggio brullo che si apriva davanti ai suoi occhi, socchiudendo appena le palpebre per l'accecante luminosità di quel pomeriggio inglese di primavera.
Il suo sguardo si soffermava sulle colline, verdi e lontane, sul castello grigio che riusciva a scorgere, al limite della sua vista. Esitava sulle cime degli alberi, popolati di uccelli. Si scostava velocemente i capelli neri dagli occhi chiari, e rituffava tutto se stesso in quel vedere, come fosse la cosa più preziosa.
Si riempiva la mente con ogni particolare fosse riuscito a distinguere; la posizione delle nuvole, le macchine solitarie che percorrevano velocemente il sentiero sterrato, coperto da una sottile ghiaia giallastra.
Un pettirosso si posava sul davanzale della finestra, distratto ed attentissimo al tempo stesso, osservando con calma il giovane che si trovava di fronte, prendendosi tutto il tempo necessario. Scappò in fretta e furia, una volta raccolte tutte le informazioni di cui aveva bisogno, agitando le sue ali grigie.
Dopo qualche secondo ed un sospiro, il ragazzo volse ancora lo sguardo al mondo. Un'auto che sembrava minuscola si stava avvicinando, una piccola Jeep bianca ondeggiava lungo il sentiero, facendosi sempre più grande, fino a svoltare l'angolo e sparire dalla sua vista.
Trascorse qualche minuto perfettamente immobile, fischiettando appena, cercando di attirare qualche altra bestiola. Niente.

- Jake? -
schioccò una voce, facendolo sobbalzare.
- Non mi chiami così. - sibilò lui, sfiorando l'inferriata arrugginita che lo separava dal resto del mondo, e volgendo lo sguardo al suo interlocutore con uno scatto.
- E' il tuo nome, Jake. Come va, oggi? - domandò la dottoressa con tono monocorde, agitando i capelli biondi e cotonati all'inverosimile.
- E' una bella giornata. - sussurrò il ragazzo annuendo, sorridendo al sole che lo ossevava, nascosto da una spessa coltre di nubi. - Propio una bella giornata. - ripetè.
- Dobbiamo andare a fare degli esami, Jake. - disse lei, aprendo finalmente la porta blindata di un bianco scrostato che li separava.
- Non voglio. - sbottò lui, sedendosi sul letto grigio e puntando i piedi. - Oggi no.
- Devi farli tutti i giorni, lo sai. - disse la dottoressa alzando gli occhi al cielo, stanca, come se lo ripetesse ogni giorno. - Vieni, su. Non vorrai farmi chiamare il dottor Smith, non di nuovo... - gli tese una mano, con un sorriso dolce e uno sguardo duro ed autoritario. Io sono il capo, sono io che comando, qui. Alzati subito, comandava.
- No. Non mi muovo da qui. - ripetè il giovane, attaccandosi saldamente alla testiera in ferro battuto e contraendo i muscoli.
- Bene. L'hai voluto tu, ragazzo mio. - sussurrò la dottoressa, prima di fare qualche passo indietro e urlare comandi per il corridoio.
In principio, sembrava che non ci fosse nessuno, in quel castello deserto, o almeno che nessuno la stesse ascoltando. Poi, improvvisamente, tutto prese vita come un formicaio sotto attacco -le infermiere correvano per il corridoio, una donna giovane ed esile, con ricci castani e occhi blu entrò nella stanza, con un sorriso addolorato ed uno sguardo spezzato. Non di nuovo, no, sembrava sussurrare.
Due uomini la seguirono, due giganti che si rimboccavano le maniche e si avvicinavano sempre di più, Jake si faceva piccolo piccolo, sperava di sfuggire alle loro mani così grandi.
Lo strapparono dal letto, infilandogli un pezzetto di plastica in bocca e costringendolo a morderlo forte. Gli omoni gli tenevano le mani e lo sollevavano, trascinandolo nella stanza vicino.
- Spero che domani te lo ricorderai, Jake. - sussurrò la dottoressa, mentre il ragazzo veniva issato su un lettino metallico, le sue braccia bloccate ed un buffo caschetto gli era allacciato stretto sul capo.

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Capitolo 5
*** #5. Incubo ***


incubo




Fiori di pesco.
Ovunque guardassi, non riuscivi a vedere altro; un rosa acceso e brillante che nascondeva tutto il resto, soffocandolo in una soffice nuvola profumata.
Sorridevi, respirando a pieni polmoni quell'odore.

Ciao. sussurrò al tuo orecchio una voce dolce e mielosa, facendoti sobbalzare. Il tuo sorriso si allargò istintivamente, vedendo la ragazza che ti stava di fronte.
Alta, capelli color miele, occhi azzurri e carnagione abbronzata; il suo sguardo ti sorrideva.

 Ciao ‒ risposi goffamente, schiarendoti la voce.
Lei rimase ferma a guardarti negli occhi, prima il destro, poi il sinistro, poi ancora il destro, facendo tremare lo sguardo sul tuo volto.
Sembrava aspettare, ma era un'attesa priva di ansia. Un'attesa piacevole.

La luce cambiò improvvisamente, il sole sembrava essere oscurato da una nuvola. Non poteva essere; l'unica nuvola presente era quella floreale.
La ragazza guardò il cielo, mentre un'espressione spaventata le si dipingeva sul viso.
‒ Aiutami, ‒ supplicava, afferrando il tuo braccio tatuato. ‒ Ti prego, aiutami.
Non sapevi cosa avresti dovuto fare. Come potevi saperlo?
Le prime gocce iniziavano a cadere sul suo volto, lasciando linee e linee di invisibilità su ciò che incontravano.
Un tuono scoppiò fragoroso nel cielo, e i petali rosa si scagliavano contro di lei come un milione di piccole lame letali.
I fiori si tingevano di rosso vermiglio toccandola; la lasciarono in fin di vita, accasciata al suolo.


Ad Amsterdam, un ragazzo si svegliò di soprassalto, cercando con lo sguardo la ragazza che aveva perduto.

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