parole sparse. di SLAPPYplatypus (/viewuser.php?uid=64760)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1. Abbandonare ***
Capitolo 2: *** #2. Ossessione ***
Capitolo 3: *** #3. Elogio ***
Capitolo 4: *** #4. Grata ***
Capitolo 5: *** #5. Incubo ***
Capitolo 1 *** #1. Abbandonare ***
abbandonare
Mi guardo attorno,
socchiudendo appena gli occhi; è come se qualcosa li stesse
pungendo, dritto nella pupilla; un ago freddo che appanna la vista.
E' una stanza desolata, lo so, me lo dicono tutti, o almeno me lo
dicevano. Una piccola discarica privata, nascosta in un piccolo
appartamento di una piccola cittadina sperduta da qualche parte, in un
immenso stato. Non può contare poi molto, no?
Eppure... eppure è qui, che sento il mio cuore sollevarsi,
che mi lascio scappare un respiro di sollievo. Sai come dicono, Casa è
dov'è il tuo cuore. Beh, il mio cuore
è qui; inizia a battere qui.
Questo è il mio posto, accocolata sul divano sfondato, di un
rosso scuro e sporco, e sui suoi cuscini disordinati; guardando
dall'alto tutti i piccoli frammenti di vetro verde sparsi sul
pavimento, che brillavano ammiccanti.
Alzo lo sguardo verso il soffitto grigio, seguo con gli occhi la
sottile crepa che lo attraversa; vorrei avere più tempo per
dire addio al posto che mi ha accolto così tante volte,
senza mai chiedere nulla in cambio.
Mi scosto i capelli sospirando, e mi butto lo zaino rossastro sulla
spalla, scacciando i pezzi di bottiglia che vi erano rimasti attaccati.
Un pensiero mi balena per la testa, solitario. Forse dovrei lasciare un
promemoria... sai, uno di quei quadratini di carta giallastra. Non camminare a piedi nudi.
Scuoto la testa, scacciando quell'idea assurda.
Non è più un problema mio. Quella non
è più casa mia. Sorrido appena, non mi sarei
più accucciata in un angolo a piangere. No, quella parte
della mia vita è finita, una nuova pagina bianca mi aspetta,
un nuovo capitolo pronto per essere scritto.
E' inutile rimuginare sul passato, si perde solo tempo.
Sbuffo tra me e me, chiudendomi la porta dietro le spalle e scendo le
scale di corsa.
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Capitolo 2 *** #2. Ossessione ***
ossessione
Guardasti la ragazza
che ti sedeva di fianco sorridendo, mentre i suoi occhi si illuminavano
e si sfiorava il naso con l'indice.
Volevi dirle un sacco di cose, ma la tua voce non voleva saperne.
Volevi dirle che sentivi di capirla davvero, che eravate due persone
uguali, due anime uguali. Che sapevi quanto male potesse fare il mondo,
quanti sogni potesse distruggere senza battere ciglio. Volevi
abbracciarla, stringerla forte e respirare a pieni polmoni l'odore dei
suoi capelli. Sapevi che ci sarebbe sempre stato un posto per voi due,
un angolo di universo in
cui non sarebbe importato. Era proprio là, riuscivi a
vederlo. Ecco, questo; questo era precisamente ciò che
volevi dirle.
Amelia.
Anche il suo nome, che ti scorreva muto sulla lingua, era dolce e
delicato più di ogni cosa che fossi in grado di richiamare
alla memoria.
Alzasti piano il braccio per chiamarla. Non sapevi cosa ti passava per
la mente, forse il punto era proprio che non stavi pensando a niente in
particolare, agivi semplicemente d'istinto. Ti bloccasti giusto in
tempo, con un pensiero secco e acido nella testa. Ma che cosa sto facendo?,
ti strillava una voce, la tua voce, nelle orecchie, obbligandoti ad
incrociare le braccia.
Chinasti piano il capo verso di lei, un patetico e inconscio tentativo
di sentire il suo profumo, carpirne una scia appena. Era dolce, troppo.
Di una dolcezza che fa male al naso, ma che su di lei sembrava solo un
delicato veleno, che inebisce lentamente e porta a vivere per un solo
scopo: lei.
Amelia scosse piano le spalle, come per scacciare un insetto, e tu ti
rintanasti nell'angolo più remoto del tuo sedile, su quella
vecchia metropolitana buia, con la mano destra a coprirti il volto.
No.
Non ce l'avresti mai fatta, ed era inutile sperarci. Lei, lei
così bella, non ti avrebbe mai guardato. Dovevi
semplicemente rassegnarti all'idea. Ecco tutto.
Piccola nota
dell'autrice:
Questo capitolo è stato scritto da me, ovviamente.
Sì, beh, fa parte di questa raccolta di cose scritte un po'
così, tanto per, e di questo ne abbiamo più o
meno già parlato. Ci tenevo a dire, però, che
questa è fortemente ispirata da una scena di uno spettacolo
teatrale che sto/stiamo preparando. Si chiama Untold, scritto
dalla mia professoressa di inglese, ed è veramente
fantastico. Quindi, i crediti della linea generale vanno a lei. Credo
che questa parte in particolare parli di stalking, visto dall'esterno
tenendo in particolare considerazione le.. uhrm, motivazioni? dello
stalker. E non vuol dire che io gli/le dia ragione. Ecco, chiudo qui o
andrò avanti per pagine e pagine. Grazie, arrivederci.
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Capitolo 3 *** #3. Elogio ***
elogio
Me ne dimentico sempre.
Spesso mi dimentico che non sei più qui, sai? Sembra tutto
così irreale... come se fosse solo un sogno.
Una volta ho sognato che tu eri morto; il sogno era così
terribilmente lungo, sembrava ricoprire la mia intera vita.
All'inizio era tutto così insopportabile, riesco a evocare
l'immagine sfocata e nebbiosa di un coltello, il pungente dolore della
lama quando incidevo sovrappensiero il tuo nome sul mio braccio con la
vista offuscata dalle lacrime che sembravano non finire mai. Le cose
andavano sempre peggio ma un giorno mi svegliai, e sbattendo le
palpebre con lo sguardo perso nel nulla, ricordo di essermi alzata dal
letto in camicia da notte. Ricordo di avere imboccato la strada senza
pensarci. Mi ritrovai nel cimitero, e girai alcuni angoli.
Mi inginocchiai sulla tua lapide, senza mai muovermi.
Adesso è vero, però.
E' vero, e non so cosa fare.
Vorrei solo abbracciarti, stringerti forte solo per un attimo e dirti
che ti voglio bene, vorrei ripetertelo per tutte le volte che non l'ho
fatto.
Niente è più lo stesso, nessuno è come
te; nessuno ti può sostituire.
Eri l'unico che credeva in me, che lo faceva sul serio, e adesso non ci
sei più.
Non posso reagire, non posso riprendere in mano le redini della mia
vita, perchè le stringevi tra le mani tu, quando iniziarono
a buttarti terra addosso, di fianco a quella lapide agghiacciante e
marmorea. Non posso arrendermi, perchè tu non lo
permetteresti. Non posso fare niente, non ne ho la forza.
Mi manchi tanto.
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Capitolo 4 *** #4. Grata ***
grata
Il ragazzo osservava il paesaggio brullo che si apriva davanti ai
suoi occhi, socchiudendo appena le palpebre per l'accecante
luminosità
di quel pomeriggio inglese di primavera.
Il suo sguardo si
soffermava sulle colline, verdi e lontane, sul castello grigio che
riusciva a scorgere, al limite della sua vista. Esitava sulle cime
degli alberi, popolati di uccelli. Si scostava velocemente i capelli
neri dagli occhi chiari, e rituffava tutto se stesso in
quel vedere, come fosse la cosa più preziosa.
Si riempiva la
mente con ogni particolare fosse riuscito a distinguere; la posizione
delle nuvole, le macchine solitarie che percorrevano velocemente il
sentiero sterrato, coperto da una sottile ghiaia giallastra.
Un
pettirosso si posava sul davanzale della finestra, distratto ed
attentissimo al tempo stesso, osservando con calma il giovane che si
trovava di fronte, prendendosi tutto il tempo necessario.
Scappò in
fretta e furia, una volta raccolte tutte le informazioni di cui aveva
bisogno, agitando le sue ali grigie.
Dopo qualche secondo ed un
sospiro, il ragazzo volse ancora lo sguardo al mondo. Un'auto che
sembrava minuscola si stava avvicinando, una piccola Jeep bianca
ondeggiava lungo il sentiero, facendosi sempre più grande,
fino a
svoltare l'angolo e sparire dalla sua vista.
Trascorse qualche minuto perfettamente immobile, fischiettando appena,
cercando di attirare qualche altra bestiola. Niente.
- Jake? - schioccò
una voce, facendolo sobbalzare.
- Non mi chiami
così. - sibilò
lui, sfiorando l'inferriata arrugginita che lo
separava dal
resto del mondo, e volgendo lo sguardo al suo interlocutore con uno
scatto.
- E' il tuo nome,
Jake. Come va, oggi? -
domandò la dottoressa con tono monocorde, agitando i
capelli biondi e cotonati all'inverosimile.
- E' una bella
giornata. -
sussurrò il ragazzo annuendo, sorridendo al sole che lo
ossevava, nascosto da una spessa coltre di nubi. - Propio una bella
giornata. - ripetè.
- Dobbiamo andare a
fare degli esami, Jake. - disse lei, aprendo
finalmente la porta blindata di un bianco
scrostato che li separava.
- Non voglio. - sbottò
lui, sedendosi sul letto grigio e puntando i
piedi. - Oggi no.
- Devi farli tutti
i giorni, lo sai. - disse la
dottoressa alzando gli occhi al cielo, stanca, come se lo
ripetesse ogni giorno. - Vieni, su. Non
vorrai farmi chiamare il dottor Smith, non di
nuovo... - gli tese una mano,
con un sorriso dolce e uno sguardo duro ed
autoritario. Io sono il
capo, sono io che comando, qui. Alzati subito, comandava.
- No. Non mi muovo
da qui. - ripetè
il giovane, attaccandosi saldamente alla testiera
in ferro battuto e contraendo i muscoli.
- Bene. L'hai
voluto tu, ragazzo mio. -
sussurrò la dottoressa, prima di fare qualche passo
indietro e urlare comandi per il corridoio.
In
principio, sembrava che non ci fosse nessuno, in quel castello deserto,
o almeno che nessuno la stesse ascoltando. Poi, improvvisamente, tutto
prese vita come un formicaio sotto attacco -le infermiere correvano per
il corridoio, una donna giovane ed esile, con ricci castani e occhi blu
entrò nella stanza, con un sorriso addolorato ed uno sguardo
spezzato. Non di nuovo,
no, sembrava sussurrare.
Due uomini la seguirono, due giganti che si rimboccavano le maniche e
si avvicinavano sempre di più, Jake si faceva piccolo
piccolo, sperava di sfuggire alle loro mani così grandi.
Lo strapparono dal letto, infilandogli un pezzetto di plastica in bocca
e costringendolo a morderlo forte. Gli omoni gli tenevano le mani e lo
sollevavano, trascinandolo nella stanza vicino.
- Spero che domani
te lo ricorderai, Jake. -
sussurrò la dottoressa, mentre il ragazzo veniva issato
su un lettino metallico, le sue braccia bloccate ed un buffo caschetto
gli era allacciato stretto sul capo.
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Capitolo 5 *** #5. Incubo ***
incubo
Fiori di pesco.
Ovunque guardassi, non riuscivi a vedere altro; un rosa acceso e
brillante che nascondeva tutto il resto, soffocandolo in una soffice
nuvola profumata.
Sorridevi, respirando a pieni polmoni quell'odore.
‒ Ciao. ‒ sussurrò
al tuo orecchio una voce dolce e mielosa, facendoti
sobbalzare. Il tuo sorriso si allargò istintivamente,
vedendo la
ragazza che ti stava di fronte.
Alta, capelli color miele, occhi azzurri e carnagione abbronzata; il
suo sguardo ti sorrideva.
‒ Ciao
‒ risposi goffamente, schiarendoti la voce.
Lei rimase ferma a guardarti negli occhi, prima il destro, poi il
sinistro, poi ancora il destro, facendo tremare lo sguardo sul tuo
volto.
Sembrava aspettare, ma era un'attesa priva di ansia. Un'attesa
piacevole.
La luce cambiò improvvisamente, il sole sembrava essere
oscurato da una nuvola. Non poteva essere; l'unica nuvola presente era
quella floreale.
La ragazza
guardò il cielo, mentre un'espressione spaventata le si
dipingeva sul viso.
‒ Aiutami, ‒ supplicava,
afferrando il tuo braccio tatuato. ‒ Ti prego, aiutami.
Non sapevi cosa avresti dovuto fare. Come potevi saperlo?
Le prime gocce iniziavano a cadere sul suo volto, lasciando linee e
linee di invisibilità su ciò che incontravano.
Un tuono scoppiò fragoroso nel cielo, e i petali rosa si
scagliavano contro di lei come un milione di piccole lame letali.
I fiori si tingevano di rosso vermiglio toccandola; la lasciarono in
fin di vita, accasciata al suolo.
Ad Amsterdam, un ragazzo si svegliò di soprassalto, cercando
con lo sguardo la ragazza che aveva perduto.
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