Due
A Nyomda - La Stamperia
Se c'era qualcosa di
cui i ragazzi di Duna Sugárút davvero non potevano fare
a meno, quello era la Stamperia.
L'Antica Stamperia di
Debrecen, che un po' cadeva a pezzi e certi giorni era tenuta in
piedi soltanto da loro, i piccoli eroi che ci trovavano un mondo, tra
le mura di quello che -nessuno ricordava con esattezza da quando,
così preferivano pensare che non ci fosse stato un inizio vero
e proprio, ma una storia destinata a sfidare l'eternità- era
da sempre il loro Quartier Generale.
Quando era nata Dùnja
era già stata "liberata", la Stamperia, ma Fëdor,
che era più grande di lei di sei anni, un giorno le aveva
fatto leggere il Diario di Guerra di Isaakij Rájk, suo
fratello maggiore, il primo documento che i ragazzi di Duna Sugárút
avessero mai stampato.
Isaakij adesso lavorava
tutto il giorno giù alla miniera, e quando tornava a casa
aveva giusto la forza di tirare giù dalla sua stellina un po'
triste un sorriso stanco che, con quella curva un po' amara nel bel
viso stravolto, riempiva sempre tutti di malinconia.
Una volta gliel'aveva
chiesto, Dùnja, perché, se il lavoro in miniera lo
rendeva tanto triste, continuasse ad andarci.
Aveva riso, quel
giorno, Isaakij, e Dùnjetshka, al pensiero che ridesse di lei,
che la stesse prendendo in giro, s'era tanto dispiaciuta che l'aveva
lasciato lì, con i piedi in ammollo nel Danubio e la sua canna
da pesca in mano, che le aveva riportato Fëdor il giorno dopo.
Ma forse era davvero
troppo triste e stanco, Isaakij Rájk, quel giorno, per
risponderle.
Forse non poteva
davvero fare a meno di lavorare in miniera, e lei non l'aveva capito.
"Del resto, tu sei
la figlia di Jànos Geréb, l'astronomo a tempo perso.
Lui fa così, per difendersi, per star meglio, per non
disimparare a sognare. Ma lo sai, tu, che laggiù in Russia,
dove lavora, scende anche lui in miniera, che è per questo che
ha sempre le mani nere di fumo, quando torna a casa, ed è per
questo che tua madre lo abbraccia così forte, quelle sere? Lei
non vorrebbe vederlo andare via e lui, se potesse, resterebbe!
Ma non lo sai, tu,
perché non può restare, perché poi ci torna
sempre, laggiù nelle miniere dei Carpazi, perché quando
ti bacia ti fa sempre il solletico con quella barba ch'è
grigia come il carbone per cui scava, e quanti anni ha, tuo padre?
Come dici? Non sai ancora contare? Ma certo. Sei una bambina, tu. Ne
deve fare ventisette? Ecco: l'hai visto. Io non sono come lui, però.
E' coraggioso, tuo padre. Io non ce la faccio".
No, lui non ce la
faceva.
Anche lei ce l'aveva,
una stellina a cui aggrapparsi, ma era un po' acerba, la sua, ma ci
trovava la forza di scherzare con Fëdor e gli altri, di
ricacciare indietro le lacrime, e le bastava, le bastava.
Ad ogni modo, Isaakij
Rájk era stato il primo a scrivere per la Stamperia, uno dei
pochi che sapeva scrivere, tra i ragazzi di Duna Sugárút.
Lui, nel suo Diario di
Guerra del 1833, aveva raccontato della loro lotta contro chi la
Stamperia la voleva buttare giù, contro chi diceva che, tanto,
ormai non serviva più a niente.
Poi era arrivato il
1837, Isaakij aveva compiuto tredici anni ed era sceso in miniera per
la prima volta, e alla Stamperia un po' aveva dovuto dire addio, ma
ogni volta che riusciva a tornarci, anche solo a fermarsi per un
attimo a guardarla da lontano, gli brillavano gli occhi.
I ragazzi di Duna
Sugárút non avrebbero saputo dove andare, se, tutt'un
tratto, non ci fosse più stata la Stamperia.
Alla Stamperia, gli
undici anni di Dùnja si confondevano un po' con i ventitré
di Isaakij, nessuno pensava più all'età, tra le mura
della Stamperia.
Ognuno aveva qualcosa
da dire, all'Antica Stamperia di Debrecen.
C'era Isaakij che
parlava della miniera, quando poteva, e Mitrej che un giorno aveva
levato un pugno al cielo, gridando: "qui bisogna fare qualcosa!"
e Fëdor che gli aveva messo una mano sulla spalla ed aveva
lasciato cadere nell'aria una domanda, un triste: "e cosa,
amico?", con quel suo sorriso che spezzava il cuore.
Qualche volta si
stampava anche, alla Stamperia, ma solo quando c'erano Isaakij e i
ragazzi più grandi, che in genere lavoravano tutto il giorno,
che sapevano leggere e scrivere e provavano a insegnarlo agli ultimi
arrivati, con risultati così buffi che si finiva per ridere
sempre tanto, alla Stamperia.
Un giorno Fëdor
era arrivato con un sorriso strano, ed era cambiato tutto, alla
Stamperia.
Avevano parlato del
ragazzo della città dei ponti e degli Asburgo che occupavano
Budapest.
Era finita con un pugno
battuto sul tavolo e coi capelli biondi di Fëdor che, un poco
scomposti dal vento che entrava dalla porta miseramente ridotta, gli davano
quell'aria da patriota settecentesco ch'era proprio quello che
serviva.
Era meraviglioso il
modo in cui Fëdor, Isaakij ed i Rájk avevano preso a
cuore l'Ungheria, pur essendo piuttosto fieri delle loro origini
polacche.
Era finita con un "chi
è con me metta una firma qui!" e con il respiro mozzato
di Dùnja e l'aria di lacrime trattenute, perché lei la
firma proprio non la sapeva fare.
Era
finita con Fëdor che aveva guidato la sua mano sul foglio un po'
ingiallito dal tempo che non perdonava e poi le aveva sorriso in quel
certo modo un po' speciale che era come una specie di solletico al
cuore, era finita che il tempo non poteva certo aspettare loro, che
un po' non sapevano scrivere e un po' non capivano dove dovessero
firmare, e che alla fine era bastata la parola, ad una sola voce, dei
ragazzi di Duna Sugárút, era finita ch'era cominciata
la Forradalom.
Ora bisognava dirlo al
ragazzo della città dei ponti, però!
Fëdor era troppo
orgoglioso, Aleksej era peggio ancora ed entrambi avevano preso a
dare tante di quelle gomitate a Dmitrij che il povero ragazzo era
ormai lì lì per acconsentire, giusto per non divenire
tutto un livido.
Eppure era stato il
ragazzo della città dei ponti, alla fine, ad andare da loro.
Per una questione di
cavalleria, sarebbe stato suo dovere presentarsi subito a Fëdor,
ch'era il capo, ma forse nella città dei ponti la cavalleria
era relativa, perché Csónakos aveva preferito
incontrarli in gruppo.
Li aveva colti di
sorpresa, aspettandoli appena fuori dalla Stamperia.
E questo, forse per una
questione d'orgoglio, di rispetto o, appunto, di cavalleria, ai
ragazzi di Duna Sugárút non era piaciuto affatto.
-Conoscete i piani di
Lajos Kossuth?-
Il ragazzo della città
dei ponti era lì, davanti all'insegna consumata dagli anni.
Fëdor
Rájk teneva una mano sulla porta, su quel "Régi
Nyomda Debrecenben"
che si leggeva ancora per miracolo, in un istintivo gesto di difesa
della loro cara Stamperia.
Dalla compatta schiera
dei ragazzi di Duna Sugárút si levava un leggero
brusio, la confusione e l'agitazione di essere stati "scovati"
proprio nell'uscire dal loro Quartier Generale.
La domanda di Csónakos
era rimasta nell'aria, e a Fëdor ancora pareva d'udire
l'inflessione della voce, impassibile proprio come il ragazzo, che lo
sfidava apertamente con lo sguardo, come a prendersi gioco di lui.
In un moto
d'incontrollabile ira e frustrazione, forse solo per non rimanersene
lì, immobile, con le mani in tasca e lo sguardo d'un tordo
cascato dal ramo, afferrò Dùnja per la treccia e le
tirò uno schiaffo.
-Perché
gliel'hai detto?-
-Non gliel'ho detto!-
protestò la ragazzina, strofinandosi la guancia con il dorso
della mano, con il cuore che ancora le batteva forte per la reazione
inaspettata del suo amico.
-Nessuno ci ha parlato
a lungo quanto te-
-Ma
non gli ho parlato di questo-
replicò, testarda -E tu...-
-Sta
zitta,
Dùnja, per carità-
-Tu
sai ragionare solo con la violenza-
continuò lei, sprezzante.
-C'è un altro
modo, forse? Dùnja, qui si muore di fame. Se scopro che mi si
vuole portare via l'unico che posto in cui c'è un po'...un po'
d'umanità...-
-Lui non ci vuole
portare via niente, Fëdor!-
-Sei stata tu?-
Il giovane polacco
ripeté la domanda con estrema lentezza, ed una voce così
bassa che le fece quasi paura, da tanto che era irreale.
-No!-
Negli occhi chiari di
Fëdor, in cui aveva visto passare, un tempo, anche la dolcezza,
ora c'era solo una grande tristezza.
Oh, ma era
così...esagerato!
Come poteva...?
Si era sempre fidato di
lei, Fëdor.
Anche
lei ci teneva tanto, troppo,
alla Stamperia.
E
lo sapeva, lui.
Quanto al ragazzo della
città dei ponti, non lo conosceva affatto.
Doveva averli seguiti,
ma non sembrava avere cattive intenzioni.
-Mi dispiace,
Dùnjetshka-
Fëdor Rájk
la salutò con una tenerezza insperata, un buffetto sulla
guancia e un sorriso un po' mesto e un po' severo, poi fece un cenno
ad Aleksej, che incominciò a guidare i ragazzi alle porte di
Duna Sugárút, alle spalle della Stamperia.
-Ma qual è il
problema?- gli gridò dietro Dùnja, ma oltre a quel
sorriso triste non ottenne niente, dal suo vecchio amico polacco, dal
suo Fëdor Rájk, sempre così irragionevole e
impulsivo, sempre così, sempre così...
Il ragazzo della città
dei ponti, ch'era rimasto in silenzio fino a quel momento, la
osservava con occhi dispiaciuti.
-Mi hanno scambiato per
un invasore, vero?-
Dùnja scosse la
testa, un po' sbuffando un po' ferita.
-Sei così
strano, tu... Così diverso da Fëdor, che le cose te le
dice in faccia, così... A volte fai quasi paura-
Csónakos
spalancò gli occhi, un po' sorpreso un po' divertito.
-Io?-
-Perché
sei venuto qua? Non ci viene mai nessuno, alla Stamperia. Saremmo
venuti a cercarti noi, stavamo
per
venire a cercarti noi... Adesso ti vedono come un nemico, loro, e
prima di domani li avrai tutti contro, li conosco, io... Non ci viene
mai nessuno, qui, se non per dichiarare guerra a noi... E noi non
possiamo permetterci di perderla un'altra volta, la Stamperia-
Il ragazzo della città
dei ponti pareva seguire il discorso, ma come Dùnja terminò,
strappandosi il nastro dai capelli con un gesto di rabbia, se ne uscì
con una domanda del tutto incoerente con l'argomento, che lasciò
la piccola Geréb ancora più perplessa.
-Quanti anni hai?-
Gliel'aveva chiesto con
una curiosità un poco sfociante nell'impertinenza, a cui
Dùnjetshka rispose con uno sguardo di sfida.
-Dodici-
Csónakos parve
sospettoso.
-Li hai già
compiuti?-
Dùnja sospirò.
Compiere gli anni la
notte del 31 Dicembre non era una cosa particolarmente simpatica.
Scosse la testa, ma di
abbassare lo sguardo non se lo sognava nemmeno.
-Io ne ho sedici-
La piccola Geréb
si morse il labbro inferiore, non troppo entusiasta della scoperta.
Ora non solo avrebbe
avuto l'ennesima prova della leggendaria presunzione dei ragazzi più
grandi, ma, avendo Csónakos un anno in meno di Fëdor,
orgoglioso come pochi, il capo di Duna Sugárút non
l'avrebbe mai ascoltato.
-Sei uno scriccioletto,
tu- aveva continuato lui, con un sorriso un po' tenero un po'
incomprensibile.
-Proprio piccola
piccola. Ma sei abbastanza simpatica-
Dùnja sgranò
gli occhi, i suoi begli occhi di quell'azzurro chiaro per cui li
avevano sempre scambiati per fratelli, lei e Fëdor.
Non lo capiva, il
ragazzo della città dei ponti.
Fëdor se n'era
andato, e adesso anche i suoi amici di una vita, forse, avrebbero
cominciato a dubitare di lei.
A cosa le serviva
essere "piccola piccola, ma abbastanza simpatica"?
E poi...piccola
piccola? Sarà stato grande lui!
-Senti, tu... Tu li
conosci, i piani di Lajos Kossuth?-
L'aveva già
sentito nominare, Dùnja, quel Lajos Kossuth.
L'aveva chiesto anche a
Fëdor e agli altri ragazzi, quello Csónakos, e pareva
proprio deciso ad ottenere una risposta.
-Non li conosce neanche
Fëdor...-
-Tu
li conosci?-
-No- ammise, e le era
costato tutto il suo orgoglio.
Lui annuì con un
sorriso lieve lieve, ma sul suo volto non parevano esserci tracce di
scherno.
Fece scivolare dalla
manica del cappotto un foglio ripiegato più volte,
visibilmente stropicciato. Come cadde ai suoi piedi si chinò
a raccoglierlo, dopodiché glielo mise in mano.
-Dallo al tuo capo-
Dùnja annuì,
anche se un poco confusa.
-Tu non ce l'hai, un
capo?-
Lui scosse la testa,
sorridendo malinconicamente.
-E chi ascolti, quando
non sai cosa fare?-
Csónakos non lo
doveva sapere, ma, a pensarci bene, a volte neanche Fëdor, che
teoricamente era il suo capo, sapeva cosa fare.
-Ascolto la voce di
Budapest-
-E cosa dice, adesso?-
-A
Forradalom ami beszél ég, mi megcsináljuk
minket-
Dùnja sorrise.
Non le avrebbe
mai dimenticate, quelle parole.
La
Rivoluzione di cui parla il cielo, la faremo noi.
-Ehi, Csónakos...-
Il ragazzo della città
dei ponti la guardò, in attesa.
-Come ti chiami?-
Non ricevendo risposta,
e infastidita da tale silenzio, gli voltò le spalle e fece per
andarsene.
-Dùnjetshka!-
La ragazzina si voltò,
guardandolo un po' storto.
-Vuoi sapere come mi
chiamo?-
Nonostante tutto, Dùnja
continuava a morire di curiosità.
-Beh...dimmelo, se
vuoi-
Il ragazzo della città
dei ponti sorrise, forse intenerito dalla sua diffidenza forzata.
-Njörðr.
Njörðr Csónakos-
Dùnjetshka
socchiuse gli occhi, cercando di ricordare i racconti di suo fratello
Baldr, che, chiamandosi come il dio della luce, era piuttosto
informato in materia.
-E' il dio del mare
della mitologia norrena, vero?-
Njörðr
Csónakos rise, annuendo.
-Non gli somiglio
neanche un po'-
La fanciullina lo
guardò attentamente, pensierosa.
-Insomma, non somigli
molto a un dio in generale. Ma sei più ragionevole di Fëdor.
E poi tu...-
Dùnja sorrise,
cominciando ad allontanarsi.
-Sei il ragazzo della
città dei ponti-
-Sono cosa?-
Con una corsa Dùnja
raggiunse Duna Sugárút, preparandosi ad affrontare
Fëdor e gli altri, dopodiché ripeté, stavolta
gridando: -Sei il ragazzo della città dei ponti!-
Solo allora si voltò.
Sorrideva
anche lui.
Note
Régi Nyomda Debrecenben (ungherese): Antica Stamperia di Debrecen.
Ed
ecco il secondo capitolo! ;)
A
Nyomda, La Stamperia, Régi
Nyomda Debrecenben,
l'Antica Stamperia di Debrecen, il Quartier Generale dei ragazzi di
Duna Sugárút.
Il
secondo incontro tra Dùnja e Csónakos, Njörðr
Csónakos.
Ci
ho pensato tanto, al nome da dargli, ma Njörðr...insomma,
gli si addice. ;)
E'
entrato in scena Isaakij, il fratello di Fëdor, personaggio a
cui sono particolarmente affezionata, e lo stesso Fëdor ha il
suo ruolo, un po' positivo e un po' no, in questo capitolo.
Ma
è un ragazzo particolare, Fëdor.
Non
è cattivo, ma...è tutto difficile, per lui.
Si
capirà meglio nei prossimi capitoli, il suo personaggio.
Poi
c'è Jànos Geréb, il padre di Dùnja, forse
uno dei personaggi più positivi della storia, che presto
entrerà in scena di persona.
E
infine c'è Lajos Kossuth, Lajos Kossuth che è stato
davvero il capo della Rivoluzione Ungherese del 1848, e che ha
guidato il popolo magiaro -ungherese- verso l'Indipendenza dagli
Asburgo, e che ha anche una statua in Hősök
tere -Piazza
degli Eroi-, a Budapest.
C'è
la Rivoluzione che è alle porte, e ribalterà davvero
tutto, questa Rivoluzione.
Per
oggi è tutto, mi pare. ;)
Questo
capitolo lo dedico alla mamma, perché oggi è il suo
compleanno e perché...se lo merita, ecco! ;)
Grazie
a tutte per le recensioni e a presto!
Marty
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