Favole per lupetti

di DanP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She's happy? ***
Capitolo 2: *** Twinkle Twinkle little wolf. ***
Capitolo 3: *** Rainbow Connection ***
Capitolo 4: *** Il grembiulino dello scandalo. ***



Capitolo 1
*** She's happy? ***


1. She's happy?

 

Era con un rito quasi solenne e pieno di lacrime non versate, che Stiles accoglieva ogni anno, con quel gesto comune e tradizionale che suo padre faceva, al cimitero, posando un mazzo di fiori freschi sulla tomba della moglie, gli stessi giorni, tutti gli anni.
Per l'anniversario di matrimonio, di morte, di nascita o semplicemente perchè c'erano giorni in cui il cuore di suo padre traboccava di così tanta solitudine che lui non riusciva a riempire, da costringerlo a rimettersi su quel sentiero desolato che portava alla piccola tomba di marmo bianco, immacolato anche dopo le notti di tempesta.
Gigli. Non perché fossero fiori comunemente usati in un luogo simile, da depositare sulle lapidi come a dedicare un minimo gesto d'affetto, come a ricordare che qualcuno c'era a pensare a chi se n'era andato.
I gigli poi, erano i fiori preferiti di sua madre, lei, li coltivava con lo stesso affetto non dissimile che adoperava per ogni cosa, ma mai abbastanza da essere paragonabile all'amore con cui li trattava, ogni giorno della sua vita. Ogni giorno, nel giardino di casa, con le sue mani esili e delicate, soffici come spuma, con quei capelli castani e mai ordinati, con le loro sfumature di un nocciola chiaro, che le ricordavano sempre i momenti in cui coglieva quelle piccole ghiande nei mesi autunnali e li sgusciava per poi imboccare il piccolo Stiles come un canarino, e ne rideva gioiosa, quando il bimbo le mordicchiava le dita sottili, per giocare.
Suo padre non si stancava mai di ricordare il loro primo incontro, avvenuto secoli addietro, quando lui era una sorta di celebrità scolastica e lei, così piccola ma energica, non apparteneva per nulla a quella genealogia di persone che amava pavoneggiarsi in pubblico.
Se ne stava sempre in disparte, spesso in biblioteca o in qualche deserta zona studio, mordicchiando una penna e facendola oscillare in alto e in basso.
Quando lui le si era avvicinato, sua madre l'aveva lasciata cadere, rimanendo a bocca aperta anche quando le aveva chiesto il nome e inarcava un sopracciglio guardandola con curiosa ironia.
L'aveva amata subito. Dal suo incespicare su pavimenti scombri di ostacoli, al suo agitare le braccia quando era allegra, quando rideva, quando si perdeva nei suoi pensieri e lui la richiamava alla realtà, quasi sempre a dire il vero.
Ma sopra ogni cosa, l'aveva amata quando le aveva donato Stiles -Genim- quel bimbetto pestifero che era il suo esatto ritratto e che avrebbe adorato con tutto il suo cuore, fino all'ultimo respiro.

Entrando nell'asettica camera d'ospedale, decorata per l'occasione con nastrini blu e orsacchiotti di pezza, gli aveva stretto la mano, rimanendo incantato a guardare quel visino buffo e tondo, che se ne stava stretto sul petto della madre e sonnecchiava a bocca aperta. Lei gli aveva chiesto come stava -quando in realtà doveva essere il contrario, giusto?- e poi Stiles aveva spalancato le palpebre, quasi realizzando che qualcun altro lo stava infastidendo dal suo primo sonnellino nel mondo esterno, rivelando quello che era l'esatto colore della famiglia materna.
La moglie, provata dal parto ma con un abbagliante sorriso, aveva chiesto se avesse un nome in mente, l'uomo aveva scosso la testa, la faccenda del nome all'epoca era l'ultimo dei suoi pensieri.
“Che ne dici di Genim?”
Padre e figlio, quasi in sincrono avevano agitato la testa, per nulla apprezzando quel nome.
“Quando sarà abbastanza grande da capirlo, lo odierà.” aveva risposto sicuro di sé.
“Oh, suvvia, lo adorerà.” poi aveva guardato di nuovo quella bambola di carne e perla. “Ma alla fine è solo un nome, che importa?” aveva sussurrato più al piccolo che all'altro.
“Godiamoci questo momento.”
Era stato speciale, dalle settimane di permanenza all'ospedale fino all'arrivo a casa, e poi nella cameretta dipinta di un azzurro chiaro, del neonato.
Il Signor Stilinski aveva impresso nella sua mente ogni singolo istante, forgiando a fuoco e scolpendo quei ricordi indelebili che sarebbero stati il glorioso memorandum di una vita spesa pienamente.

Stiles -Genim- era cresciuto in un batter d'occhio, parlando quasi il doppio dei suoi coetanei d'asilo e mangiando tre volte tanto. Lui si preoccupava, delle volte, ma la moglie ridacchiava, con la stessa identica parlantina del piccino, e lo rimproverava di essere troppo ossessivo.
Annuiva sempre, poco convinto, ma poi non poteva far altro che tornare a preoccuparsi, mentre Stiles sperimentava giochi pericolosi sin dalla più tenera età, tornando a casa con foglie e rametti incastrati tra i capelli e i vestiti sporchi di terra.
Stilinski lo faceva sedere sulle sue gambe, mentre si adoperava a rimuovere i rimasugli di un pomeriggio passato tra le fronte degli alberi -niente più Tarzan o Il libro della giungla, per te, lo ammoniva, pensando alle letture delle favole serali.- e il bimbetto se ne stava placidamente attento a non muoversi troppo, anche se, sgambettando come un ossesso qualche volta colpiva le ginocchia del padre e lui mormorava uno “scusa” con la sua vocetta di cristallo, tornando però a muovere i piedini su e giù qualche secondo dopo.
“Oggi Scott ha detto che sono operativo.” raccontò Stiles, scandendo bene le parole.
“Operativo?”
“Sì, l'hanno detto anche le maestre e lui me l'ha detto, sai siamo due spie e ci diciamo tuuuutto!”
Il padre si passò una mano tra i capelli, capendo il significato delle sue parole.
“Forse voleva dire iperattivo.”
“Quello che è, non so cosa vuol dire...”
Poi si girava sulle sua gambe e lo fissava ad occhi spalancati.
“Che vuol dire?”
Stilinski pensò che non sarebbe mai riuscito a spiegare per bene nulla, a quella mente spugnosa e furbetta che era suo figlio, come sua madre faceva delle volte, passava gran parte del suo tempo a leggere e ripetere a memoria ogni frase o parola su cui i suoi occhi si posavano, assimilando e creando.
“Diciamo che vuol dire...quando qualcuno non riesce a rimanere immobile per più di due minuti.”
“Scott ce la fa, ma è perchè dorme tantissimo, dorme anche durante i giochi che facciamo.”
rispose Stiles ostentando un intelligenza fuori dal comune, quel genere di cipiglio che faceva rabbrividire le maestre e lo etichettava come bambino “fuori dal comune”.
Era Stiles, che comunque, odiava il suo vero nome esattamente come lui aveva previsto.
E non seppe nemmeno come si fosse giunti a chiamarlo in quel modo, poi.
Non era passato tanto tempo, da quando aveva imparato che Genim non era un appellativo per lui, e Stiles aveva adottato un suo personalissimo carattere, fatto di allegria e spensieratezza ma di una certa dose di passione per il lavoro del padre, ligio al dovere e alla giustizia.
Quando rientrava tardi la sera, dopo il servizio, e si sdraiava spossato e svuotato d'ogni forza sul divano, il bambino correva al suo fianco, sedendosi – o meglio dire gettandosi- al suo fianco e chiedendogli come fosse andata la giornata, se aveva catturato cattivi e come, e se poteva portarlo con sé la prossima volta.
Il padre sbuffava e chiudeva gli occhi fingendo di dormire e lui, stando al gioco, correva da sua madre e gli diceva di fare piano, altrimenti papino si sarebbe svegliato e li avrebbe sgridati, lei, sapendo di essere sentita, gli bisbigliava che era d'accordo e che nel frattempo avrebbe preparato la cena.
Il suo ometto cresceva e lui invecchiava, in un processo del tutto logico ed inattaccabile, ma la tenerezza che rimaneva nei gesti di Stiles, nei suoi confronti, non cambiava di una virgola e sua moglie rimaneva la stessa brillante dolcezza di sempre.

Poi, in una notte quieta e per nulla differente dalle altre, qualcuno gliel'aveva portata via.
Strappata senza un lamento di troppo, nel silenzio di un luogo lontano.
E lui, alla veglia funebre, davanti al corpo freddo e pallido, vestito di velluto scuro, senza farsi vedere da nessuno, aveva pianto fin quasi a sciogliersi gli occhi.
Stiles però, dietro una porta della casa, aveva assistito alla scena, con la morte nel cuore, mentre comprendeva per la prima volta davvero, che era tutto finito, che da quel momento sarebbe cambiato tutto e al posto della madre ci sarebbe stato solo un vuoto insostituibile e profondo, denso di tristezza e sogni infranti.
Era crollato in ginocchio, con un tonfo sordo, sorprendendo il padre e gli invitati che facevano a turno per vedere sua madre, come fosse un qualche glorioso trofeo da esibire, e non aveva più aperto bocca, tentando di prendere il respiro ma non riuscendoci più.
Era quello morire?
Perché poi, si moriva?E perché non era toccato a lui, prima di sua madre?
Non lo sapeva e non l'avrebbe mai scoperto davvero.

Il dottore gli aveva detto che aveva subito una crisi di panico. Non sapeva cos'era una crisi, ma il panico gli ricordava brutte cose e alla fine aveva capito, crisi dopo crisi, che le due parole assieme erano anche peggio.
Passando ogni giorno senza uscire dalla stanza, tenendo stretto a sé, ogni ora, una foto di sua madre da viva, circondata dai gigli che amava tanto, non l'aveva aiutato a superare il trauma del lutto.
E forse, l'unico sviluppo che aveva trattenuto era quello di aver amato doppiamente suo padre, riempiendolo di quel sentimento che prima provava per entrambi, equamente distribuito.
Non era una sorta di ripicca, semplicemente sentiva che erano così che dovevano andare le cose, ora che lei non c'era più, ora che persino la sua voce cominciava a sbiadire dalla memoria e il suo profumo di cannella e menta spariva dalle stanze, portando con sé il rumore allegro della sua risata.
Era cresciuto Stiles, e viveva continuamente nel rimorso di non aver dato tutto se stesso per poter proteggere quella donna che amava sopra la sua stessa vita.
Perché era troppo piccolo da capire che cosa volesse dire amare.
Ma stringendosi al padre, abbracciandolo e facendolo sobbalzare sempre di sorpresa, mentre lo circondava in un goffo sbuffo di braccia, finendo poi per versare inavvertitamente qualche lacrima che si asciugavano sul collo del figlio, alla fine aveva compreso.

Era andata meglio, forse, quando suo padre, la notte prima di una giornata di scuola, mentre gli preparava la cartella, si era fermato con i pugni stretti al tavolo.
E lui l'aveva osservato, spegnendo la televisione e sedendosi davanti al padre, che continuava a tenere la testa bassa sui libri e l'astuccio.
“Mi manca la mamma.” aveva detto, triste, meditabondo, sconsolato.
Stiles non aveva risposto, alzandosi e stringendogli un braccio, che lui poi aveva scostato per permettergli di farsi largo sul suo petto.
“Papà.”
“Dimmi.”
“Pensi che lei sia felice?”
Lo sceriffo Stilinski aveva alzato il mento al figlio, perdendosi nel profondo di quegli occhi castani.
“Tu sei felice?”
Era una domanda strana a cui pensò a lungo, mentre lo guardava.
Suo padre, era davvero bello, pensò, di una bellezza da principe delle favole, che lo salvava sempre, da qualsiasi pericolo. Una bellezza valorosa e autentica, non romanzata da qualche descrizione idilliaca, era un uomo perfetto in carne ed ossa.
“Penso di esserlo, sì.” alla fine esclamò, deciso.
“Allora anche lei lo è, davvero tanto.”
Aveva risposto il padre, arruffandogli i capelli e premendo le labbra sulla sua fronte, respirando a pieni polmoni il profumo di cannella e menta. Il ricordo di vecchi tempi.


Fine primo capitolo.

NdA: Chissà, è un esperimento piacevole e io che vivo attorniata da bimbi pestiferi ho l'ispirazione sotto mano, se vi è piaciuta lasciate un commentino! Grazie mille a chi leggerà e apprezzerà! Dan

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Capitolo 2
*** Twinkle Twinkle little wolf. ***





 

 

2. Twinkle, twinkle little Wolf.

 

Beacon Hills era una sorta di paradiso incontaminato e abbandonato nelle profondità della California. Un polmone verde fitto di alberi e animali, di ogni genere e sorta.
Era una stagione particolarmente calda, in cui la fauna si riparava nel sottobosco umido di rugiada per trovare refrigerio, tra questi piccoli animali, come una macchia strana, inusuale nel panorama boschivo, si aggirava un bimbo.
Nella concezione più comune de termine, avrebbe avuto nove anni e un viso pulito, con lunghe ciglia sottilissime e folte, come quelle di una bimba, con occhi chiari come un cielo terso, senza ombre e una pelle morbida come pesca e nivea.
Una bambola rifinita in tutto e per tutto.
Ma si distingueva ,in quel contesto da normalissimo bambino, grazie allo sguardo tagliente e diretto, con cui fissava qualunque cosa.
Dai rami che creavano degli arabeschi di luce sul suolo coperto di foglie verdi, alla lussureggiante vegetazione ai suoi piedi, in una distesa verde-marrone che rimbalzava sul suo viso come un vetro smerigliato.
Passeggiando nel sottobosco, con lo scalpiccio dei suoi piedi tra le foglie come unico compagno di giochi, il piccolo osservava con sguardo selettivo il suolo bagnato, la terra smossa, ogni traccia, da destra a sinistra e viceversa, del passaggio della sua preda giornaliera.
Suo padre gli aveva insegnato, tra le altre cose, che la pazienza portava ai risultati.
Non potevi accelerare i tempi, non se volevi essere meticoloso e letale, rapido, con quella che sarebbe diventata la sua vittima.
Si mise carponi, scostando i rami di un cespuglio con le mani e graffiandosi con facilità tra i rovi.
Guardò per qualche secondo le ferite rimarginarsi, ancor prima che si potesse scorgere qualche stilla di sangue sulla pelle delicata, con un sorriso soddisfatto che avrebbe perso col tempo.
Attese, con le mani ancora stese, senza fare il minimo rumore, che il suo bottino si facesse vedere.
E dopo attimi di intenso silenzio, interrotti delle volte dal picchiettare di un uccello o dal suo canto in allarme, afferrò saldamente l'animale che scattò fuori dalla tana, trattenendolo con poche forze, evitando di spezzargli le ossa, nel tentativo di ammansirlo tra le sue dita.
Lo avvicinò a sé, strisciando per uscire finalmente dalla sua postazione d'ombra e sotto un raggio di luce filtrata, osservò con orgoglio il suo trofeo.
Era piccolo, forse giovane e troppo sprovveduto, da avventurarsi fuori dalla tana senza prima controllare che non vi fossero pericoli mortali.
Lo fece ballonzolare un po', con una mano sulla testa e una che lo richiudeva a coppa in una sorta di carezza accennata.
Poi, trasportata dal vento, sentì l'impensabile.
Era convinto di essere solo, nell'intera zona circoscritta di casa Hale.
Nessuno al mondo poteva permettersi di entrare senza permesso e farla franca.
Gonfiando il petto e impostando sul suo viso un'espressione truce, si voltò, seguendo di qualche strofa una melodia cantata da una voce di bambino.

Twinkle, twinkle, little star.
How I wonder what you are.
Up above the wo...!”

Il bimbetto appena sbucato dal nulla si bloccò alla sua vista, la bocca paralizzata in una “o” e i grandi occhi castani sgranati. Era partito per una spedizione in solitaria,
borbottando contro il suo amico Scott per essere troppo spaventato dalla profondità del bosco per potercisi inoltrare, mugolando un: “E se ci sono lupi?”

Stiles, questo il nome dell'intrepido avventuriero, l'aveva piantato in asso mentre lo pregava di tornare a casa con lui o avrebbe raccontato a suo padre quel che aveva fatto.
Nessuno deve entrare nel bosco da solo, specie un bambino. Stiles aveva prontamente riso davanti alla sua espressione contrita e preoccupata, dicendogli che non erano mica nelle favole, dove i bimbi venivano rapiti da streghe e messi a bollire in calderoni o mangiati vivi da un gigantesco lupo famelico. Non aveva esitato un istante di più, già pronto a scoprire chissà quante meraviglie che quello stupido di Scott si sarebbe perso di sicuro.
Ma mai si sarebbe aspettato un incontro simile, con un ragazzo, un bambino più grande di lui che teneva in mano...
Coniglio!” esclamò in un gridolino, spaventando alcuni uccellini nei paraggi, che si alzarono in volo, disturbando una volta per tutte l'atmosfera da sogno che il bimbo dagli occhi azzurri aveva tanto agognato.
Stiles si fiondò incurante verso lo sconosciuto, con le mani alzate e lo sguardo luminoso, prima di frenare violentemente a pochi passi dall'altro.
Non era educazione aggredire così le persone, gli suggerì un angolino della sua mente che lui solitamente metteva subito in castigo, perciò prese un bel respirone profondo e parlò.
Hey!” disse quasi sovrappensiero, la concentrazione tutta sull'animale che si muoveva senza sosta e con poca voglia di fare presentazioni.
Sei in una proprietà privata.” lo avvertì il misterioso figuro.
Era alto, molto più di Stiles e aveva un'aria minacciosa che non turbò per nulla il piccoletto dai capelli color nocciola.
Davverooo?Esistono cose del genere a Bicon?”
Non riusciva a pronunciare correttamente il nome della città, sebbene la sua parlantina fosse più che fluente, pensò un piccolo Hale, irritato da tanta sfacciataggine.
Sì e tu ci sei dentro senza permesso.” replicò gelido, continuando a squadrarlo, sperando che se ne andasse e subito.
Ooh!Hey!Hai preso un coniglietto!” ribattè lo Stilinski in miniatura, additandolo quasi con nonchalance, quando qualche istante prima l'aveva guardato come fosse la cosa più bellissima del mondo, qualcuno che teneva in mano un coniglio selvatico.
Wow.
Dov'è la trappola?” gli chiese guardandosi intorno e dietro il moretto, che lo fissava inacidito.
Non ho usato trappole, riesco a farcela da solo.” spiegò piccato il fanciullo, offeso da tanta insistenza e dalla sfiducia di quel moccioso nelle sue abilità di caccia.
Stiles non prestò attenzione a nemmeno una parola, continuando a fissare impaziente la piccola palletta bianca e tremante.
Ma non gli stai facendo male?” domandò impensierito, vedendo come il bambino acido premeva sul pelo morbido del coniglietto.
L'idea era quella...”
Oh.” per nulla felice di quella risoluzione, portò avanti la sua piccola battaglia verbale.
Ma è piccolino, magari cerca la sua mamma...” pigolò in tono confuso e speranzoso.
Sbuffando il bambino più grande capì che non c'era possibilità di uscirne vincitore da quella conversazione, lasciò che Stiles, quel tipetto invadente, accarezzasse un po' l'animale dalle sue mani, poi si chinò e lo lasciò libero.
Ecco, sei contento adesso?” commentò Hale, irritato all'inverosimile per quella mancanza di compostezza.
Stiles annuì con un sorrisone, battendosi le mani.

Il misterioso individuo, tuttavia, non rimase a guardarlo gioire della libertà e si girò, puntando senza indecisioni verso casa sua, tra gli alberi.
Hey, ma dove vai?” Il bimbo di nove anni lo fulminò in pieno, riuscendo a fargli perdere un po' di quel sorriso radioso.
A casa, mi sembra ovvio.” replicò asciutto con un tono un po' troppo maturo per la sua età.
Stiles si grattò un fianco, pulendosi le mani sulla maglietta sporca e rattoppata, fissò un po' il terreno, smuovendo del muschio con un piedino e poi lo guardò con l'aria di un cagnetto bastonato, tenendo ancora la testa bassa.
Non stai ancora un pò qui?” miagolò il piccino, toccando chissà quale tasto dolente nel cervello dell'altro.
Che colto subito da un dubbio, diede voce ai suoi pensieri.
Non ti sarai mica perso, vero?” sorrise alla sua volta, mettendosi le mani sui fianchi e redarguendolo con garbo e astuzia.
Che dici?So benissimo dove sono!” obbiettò Stiles, le guance imporporate e i pugni stretti ai fianchi. Il piccolo proprietario della zona ridacchiò, ottenendo un'occhiata imbarazzata e rabbiosa da quella peste in miniatura.
Ma non so dov'è il papà...” dichiarò incerto, peggiorando se possibile ancor di più la sua posizione.
Girava intorno al problema, vedendolo sotto un altro aspetto, furbo, ma mai quanto lui.
E magari vuoi che ti ci accompagni...” dichiarò sempre sorridendo il bel moretto.

Stiles gli si avvicinò, senza paura, senza pensare alla sua reazione.
Annuì sorridendo e tenendo testa al bimbo dagli occhi di cielo.
Sconfitto su tutta la linea Hale sospirò, voltandosi ed iniziando a camminare nella direzione opposta che aveva preso all'inizio.
Andava a passo sostenuto, ma vedendo che l'altro incespicava di continuo, impose al suo corpo un'andatura più lenta, in modo che potesse stargli a fianco.
Poi, inaspettatamente, avvertì una corrente scorrergli vicino al polso e Stiles lo prese per mano, stringendogli un ditino per assicurarsi che non gli sfuggisse, alzando su di lui, uno sguardo unico ed innocente.
Se ci teniamo per mano è meno pericoloso.” sancì tranquillo, osservando l'espressione dell'altro diventare di pietra e guardarlo come avesse visto un fantasma.
Pericoloso per me?” chiese, come se fosse la cosa più assurda del mondo.

Scosse la testa quando Stilinski tornò a guardare di fronte a sé, saltellando sopra rami secchi e radici bene in vista.
In ogni caso...non ti ha insegnato nessuno che non si parla con gli sconosciuti?” Hale lo interrogò, pensando all'assurdità della situazione in cui si trovava, solitamente, quando qualcuno aveva a che fare con un Hale, passava un bel po' di tempo prima che avesse il coraggio di prendere la parola invece quello strano tipino lo prendeva addirittura per mano, del tutto alieno ad un normale comportamento di fronte ad un pericoloso cacciatore, cosa che lui era, età ed aspetto a parte.
Stiles deglutì a vuoto, suo padre glielo diceva spesso, sperando che il figlio gli desse retta ed evitasse gli estranei, ma lui faceva orecchie da mercante e lo ignorava bellamente.
Ma noi non siamo sconosciuti!” replicò senza riserve.
Il mio nome?” domandò Hale, storcendo gli occhi e la bocca.
Stiles ci pensò su, gliel'aveva detto?O no?
Si fermò e liberò le mani dall'intreccio, portandone una davanti al petto del suo gentile accompagnatore.
Sono Stiles.” si presentò informale, radioso. Il ragazzo più grande spese qualche momento a rimuginare sull'idiozia di quel piccoletto.
Dico davvero, dovresti mettere un po' d'ordine in quello che hai nel cervello, prima di parlare.”
Stiles battè le mani, incerto se fosse un complimento o meno.
Sei strano, e dici cose strane, ma buffe!” rispose, senza capire bene.
Sicuro di non parlare per te?” sbuffò Hale, scatenando ancor di più l'ilarità del piccino che allargò le braccia saltando, per qualche oscuro motivo.
Mi piaci!Mi piaci proprio tanto, diventiamo amici?” lo sorprese, afferrandogli una mano tra le sue, gracili e pallide. A confronto sembravano le mani di una bambola che stringevano quelle della sua padroncina.
Amici.” esalò funereo il moro, quasi sconvolto.
Sì, non migliori migliori amici, quello è Scott per me, ma magari amici....”
Si sforzò di trovare un ruolo al nuovo venuto, incrociando le braccia e pensando intensamente a qualcosa che fosse un po' meno di “migliore” e un po' più di “amico”.
Era difficile, conosceva tante paroline ma una così non era semplice da trovare, avrebbe dovuto chiedere alla mamma, lei di sicuro l'avrebbe aiutato.
E comunque non ti devi preoccupare, non sono pericoloso, mio papà è lo scheriffo di Bicon.” gli spiegò in breve, ritornando ad un discorso ormai morto.
Almeno aveva ottenuto un'informazione in più, da tutto quel guazzabuglio di parole al vento, pensò un giovane Hale, frastornato.
Era il figlio dello sceriffo, certo, bhè scheriffo per lui. Non gli diceva nulla di sconvolgente, in ogni caso, al di fuori della sua famiglia non c'era molto che gli importasse, anzi, facendo bene due conti, non c'era nulla che gli importasse.
Scrollò le spalle, per nulla interessato alle chiacchiere di quel coniglietto.

Stiles!!” entrambi scattarono sull'attenti quando una voce maschile, arrabbiata e preoccupata nel medesimo tempo, interruppe le loro chiacchiere -le chiacchiere di uno dei due, almeno- e li fece allontanare l'uno dall'altro.
Stiles corse incontro al proprietario di quella voce, con le lacrime che già minacciavano di scendere. Non si voltò mai, nemmeno quando fu inghiottito dal fitto degli alberi.
Lo vide gettarsi tra le braccia del padre -aveva la divisa, per cui non c'erano dubbi che fosse lui- e piagnucolare.
Il bambino rimasto solo, si ritirò dietro ad un albero, sotto l'ombra , per evitare di essere visto.

Derek.” sobbalzò, mettendosi quasi sull'attenti come se un generale avesse richiamato all'ordine un soldato semplice, mentre suo padre, austero, integerrimo, splendido, si faceva largo tra la vegetazione, posandogli una mano sulla spalla, senza alcuna pressione di troppo.

Sembrava divertito per aver colto in fallo il figlioletto, le sue iridi lapislazzuli che brillavano come non mai e i capelli neri, con qualche ciuffetto selvaggio che gli copriva la fronte si muovevano sospinti da un vento che nemmeno si percepiva.
Derek, questo il nome del pargolo, secondogenito degli Hale, abbassò il capo, preparandosi a chissà quale rimprovero, per aver offeso qualche importante codice di caccia della famiglia, distraendosi con quel piccolo.
Captando la sua tensione, accentuò il sorriso, facendo intravedere una fila di denti bianchissimi con i canini più appuntiti del normale. Aveva un'aria sbarazzina, suo padre, ma aristocratica nei modi e nel parlato, come discendesse da una lunga stirpe di impeccabili gentleman.
Gli accarezzò la testa, scostando qualche ciuffo di capelli scintillante di rugiada, del tutto simili ai suoi.
Non sono arrabbiato...” lo informò, incoraggiante.
L'aveva preso ma poi l'ho lasciato.” parlò Derek, riferendosi al coniglio e non volendo in alcun modo deludere le sue aspettative.
Ho visto.” commentò il padre, guardandolo con affetto, poi lo rimproverò bonariamente: “Temo però che Laura avrà qualche difficoltà a crederti.”
Non la sopporto, non le va mai bene niente di quel che faccio.” disse Derek, incrociando le braccia e mettendo il muso.
Su, su, è perché vuole spingerti a migliorarti, lo faccio sempre anch'io, no?” ma suo padre non lo prendeva mai in giro, lo sosteneva, lo amava in modo del tutto incondizionato, forse anche più di Laura, e mai l'avrebbe lasciato indietro.
Andiamo a casa ora, vuoi?” Derek annuì sorridendo, mentre Hale senior lo prendeva in braccio senza alcuno sforzo, tenendolo per uno soltanto, lasciando l'altra mano libera di muoversi, permettendo che il fanciullo si aggrappasse al suo collo.
Quando arriviamo vicino ti metto giù, sennò Laura ti prenderà in giro.” gli disse in un orecchio, con la voce gentile.
Non gli importava molto che sua sorella lo sbeffeggiasse, gli piaceva stare tra le braccia di suo padre ed era una cosa a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Poi, pensò, chissà perché, anche Stiles, quel bambino strano, aveva abbracciato suo padre come se non volesse lasciarlo andare più. Qualcosa avevano in comune, ma rifletté sul fatto che, nonostante tutto, non l'avrebbe mai più rivisto.

Il piccolo Stiles, nel frattempo, affacciato al finestrino della macchina di servizio, si chiese chi fosse mai quello strano bambino che lo aveva accompagnato per un pezzo di strada. Quando aveva detto al papà di essere entrato in una proprietà privata lui aveva sbuffato un “Hale...” e se n'era rimasto zitto, rimbrottandogli contro di tanto in tanto. Però, continuando a canticchiare la sua canzoncina preferita, pensò che quel bambino somigliava davvero ad un piccolo animale, un lupo magari, con quei due occhi azzurri che sembravano diamanti, come la piccola stella nel cielo notturno e sperò di rivederlo per poter giocare ancora assieme.

 

...Up above the world so high,
Like a diamond in the sky.
Twinkle, twinkle, little star.
How I wonder what you are.”

 

 

Fine.

 

NdA: Forse necessita di qualche revisione, ma penso che scriverò ancora su loro due assieme, e per l'amor del cielo, come si fa a non amarli?A breve con il prossimo capitolo di “Be a Werewolf” recensite mi raccomando, così saprò che devo continuare a infangare questa sezione con i miei deliri!Dan

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Capitolo 3
*** Rainbow Connection ***


 


Rainbow Connection

Evidentemente il ruolo del baby sitter non calzava a pennello, ad uno come lui.
Ma il fatto che all'asilo di Beacon Hills fosse tanto popolare, con quei cinque piccoli batuffoli, lo riempiva di orgoglio.
Per questo, seduto su una delle attrazioni principali del parchetto della scuola, stringendo un libro con “le migliori raccolte di favole per bambini”o qualcosa di simile, che l'autore spacciava per distrazione e intrattenimento per i più piccini, Derek Hale immaginò che rimanere nel bosco vicino casa sua, in solitaria, fosse comunque un'opzione molto più attraente della sua attuale posizione.
C'era Jackson Whittemore, una sorta di bimbo egoisticamente legato a sé stesso che, sporadicamente, degnava d'interesse un'altra bimba, Lydia, bellissima come una bambola di porcellana, cesellata e fine, seduta compostamente con una gonna che era svolazzi e tulle, con le mani affondate nel rosa brillante dell'abitino, giocando con delle biglie brillanti alla luce del sole che picchiava su di loro.
Più in ombra, impegnato ad escogitare qualche gioco e attirare l'attenzione di un'adorabile fanciullina con boccoli neri di nome Allison, che aiutava l'amica a separare le palline di vetro più belle da quelle “passabili” stava Scott con il solito sorriso speranzoso e pieno d'aspettativa. Ma se avesse dovuto dare qualche medaglia per la presenza più sconvolgente di quei pomeriggi pieni di risate fanciullesche e piagnistei irritanti, l'avrebbe senz'altro affibbiata a Stiles. Stiles Stilinski era, probabilmente, il bambino più intelligente del creato e anche il più spietatamente arguto.
Non c'era possibilità che biechi ricatti di merendine e dolciumi vari potessero scalfirlo, costringerlo a fare qualcosa, qualsiasi cosa, era paragonabile a scatenare una reazione a catena che avrebbe condannato i suoi nervi ad una fine certa e coscienziosa.
Era uno spirito di puro chiarore, lontano dalle menzogne e dalle imposizioni dei genitori, e per questo, era anche più difficile metterlo all'angolo.
C'erano dei momenti però, che anche lui -bambino di nove anni ma già mentalmente maturo per affrontare qualsiasi genere di conversazione adulta- in cui Stiles era così incredibilmente adorabile da stringergli il cuore e doveva frenare quel terribile istinto che lo colpiva quando il piccoletto puntava su di lui due occhioni da cerbiatto indifeso, e doveva combattere per non abbandonare il suo libro di turno e affondare il mento tra i suoi capelli, stringendolo con tutta la forza che possedeva, possibilmente spupazzandoselo poi a dovere, come un bambolotto di pezza.
Era strano, molto, ma aveva una predilezione particolare per quel mostriciattolo.
Che ora, mentre Derek teneva sulle ginocchia un grande libro dalla copertina rigida, poggiava la testolina sui fogli colorati, davanti a lui, inginocchiato, cosi vicino alle pagine che il riflesso dei colori batteva sui cuoi occhi, creando un arcobaleno magico e rideva ogni qual volta finiva una pagina e lo obbligava ad alzare il mento per girare su una nuova storiella.
Qualche volta gli rivolgeva attenzione, mentre la sua voce si incrinava un poco quando lo sorprendeva a fissarlo e sorridere di sottecchi, come un gattone che si mette a spiare il padroncino mentre svolge i suoi compiti. Lui non aveva gatti a casa, data la situazione particolare della sua famiglia, ma Stiles gli aveva raccontato che erano una comoda distrazione per eludere lo studio di figurine geometriche e numeri bruttissimi.
C'erano dei pomeriggi in cui si metteva ad ascoltare lui stesso i racconti dei bambini, che lo sorprendevano infarcendo la storia della loro vita con elementi da sogno e fantasiosi, facendogli dubitare sulla veridicità delle vicende. Era comunque bello, starsene lì ad ascoltare le loro vocette d'angelo.

Stiles dopo qualche secondo, ancora appoggiato al libro, chiese:
“Cosa ci è dall'altra parte del 'baleno?”
Jackson alzò il nasino, rispondendo per primo a quella domanda per lui scontata.
“Un tesoro!E' pirati butti che lo difendono!” esclamò compito allargando le braccia.
Lydia scosse la testolina, facendo sobbalzare qua e là i morbidi ricci rossastri.
“Nooo, ci è un castello rosa, e una principessa che si pettina i capelli luunghi lunghi e poi arriva un principe che la sposa!”
Allison, impegnata a prendersi cura della chioma della sua bambolina la guardò, immaginandola come quella principessa.
“Con un drago che vuole tenerla prigioniera, però!” aggiunse la bambina mora, annuendo e dando ragione alla sua miglior amica.
Scott fece le boccacce a quella prospettiva, come quando lo obbligavano ad ingurgitare qualche disgustosa medicina o quando Jackson lo privava del suo gioco più bello. Principesse...che stupidaggine!
“Io dico alieni!Ci sono sicuramente gli alieni!Sono dallo spazio e hanno le astronavi grandi!” si mise a gambe incrociate, le mani sulle ginocchia ed un'espressione convinta sul visetto incorniciato da riccioli scuri e selvaggi, che puntavano in ogni direzione.
Derek sbuffò, non poteva aspettarsi null'altro, da quegli indisciplinati marmocchi, poi la sua attenzione ricadde su Stiles, che storceva le labbra incerto su tutte quelle opzioni.
“Tu che dici?” chiese Derek al piccolo.
Allorché il piccolo Stilinski alzò gli occhi su di lui, continuando a rimuginare un poco.
“Magari c'è la mia mamma.”

Jackson aveva sempre pensato che Derek, il loro amico più grande che faceva già le elementari, fosse molto strano, pieno di misteri e magari nascondesse qualche altro segreto che un giorno a l'altro lui avrebbe smascherato -giocare ai detective era in assoluto quello che gli piaceva fare di più, specie quando lui e Danny si divertivano a disturbare i giochi di Scott e quell'altro dal nome bizzarro- però trovava ancora più curioso il fatto che, spesso e volentieri, Stiles lo mettesse in situazioni imbarazzanti, come in quel momento. Mentre il bambino dagli occhietti castani lo guardava chiedendogli cosa avesse e lui, si schiaffava una mano sulla fronte cercando di resistere all'impulso di abbracciarlo.
“Strani.” disse il piccolo egocentrico al suo migliore amico, che lo stava aiutando a costruire un castello di sabbia.
“Chi?” domandò Danny curioso.
“Quei due...sono poooprio strani.” disse, puntando il mento nella direzione desiderata.
Danny inclinò la testa come un gatto, e alla fine replicò serioso.
“Io penso che sono carini.”

Fine
 

NdA: Stavolta molto breve...ma intensa?No, non direi...
Sembra che Stiles sappia bene come sfruttare il suo fascino e conosca bene Derek, sfruttando quel povero cucciolotto a sua insaputa!Spero abbiate apprezzato!Un bacio e chi leggerà e commenterà!
Il titolo e la quasi totalità della fic è ispirata al dolcissimo :Rainbow Connection di Weezer ft Hayley Williams (dove c'è lei ci sono io)

Dan 

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Capitolo 4
*** Il grembiulino dello scandalo. ***



 

 

Il grembiulino delle scandalo.

 

Dato che, non avere una mamma significava doversi prendere cura del suo papà, Stiles Stilinski prendeva molto seriamente quel compito.
Il suo papà -lo Sceriffo della contea- lavorava sempre fino a tardi e di rado trovava il tempo per giocare con lui, specie quando, rientrando a tarda ora a casa, incappava col piede in qualche pallina che trillava sotto di lui con un suono agonizzante e lui alzava la gamba rimanendo interdetto e mezzo frastornato a quel suono.
Quello era un metodo come un altro per sapere in anticipo del suo ritorno e passavano pochi secondi da quando lui posava il piede a terra a quando il bimbetto compariva come un ombra fugace dalla porta e si fiondava sulle sue gambe, facendogli perdere l'equilibrio ma sorridere nonostante la stanchezza e la fame. Da bravo ometto di casa poi lo invitava ad accomodarsi e tornava in cucina a spignattare e sbeccare qualche bicchiere. Stilinski senior si sedeva sulla tavola di noce, illuminata dalla luce accecante del lampadario che se ne penzolava pericolosamente sopra, minacciando di cadere da un momento all'altro, specie quando Stiles si metteva a fare il pesciolino sopra il legno scuro, muovendo braccia e gambe come se nuotasse e sbattendo provvidenzialmente la testa ogni qual volta si alzava con la sua solita carica energica e rimaneva in attesa, giocherellando con una forchetta lucida che strideva nettamente con il suo compagno coltello, dall'impugnatura coloratissima, stessa sorte veniva condivisa dal bicchiere di cristallo elaborato contro il piatto con le figure di qualche animale sorridente non chiaramente definito.
Poi Stiles entrava dalla porta con un gran frastuono di mestoli e pentole, alzandosi sulle punte per poggiarne una sulla tovaglia immacolata che veniva ricoperta da uno spandersi di gocce di sugo e unto. Col tempo aveva imparato che chiedergli di stare attento a certi dettagli non rientrava nelle cose da dirsi ad un bambino di sei -quasi sette!gli ricordava Stiles- anni che ti preparava la cena e aspettava pazientemente il tuo ritorno con devozione, rimanendo scompostamente seduto al tuo fianco, su una sedia sgangherata, e ti chiedeva di tutto, appoggiando il mento al tavolo o fissando ogni tuo più piccolo gesto.
Ma la loro convivenza aveva anche dei piccoli momenti in cui regnava incontrastato il caos.
Questo avveniva non solo quando Stiles si stringeva a lui, avvisandolo di un impellente nuovo attacco di panico, ma anche quando era lo stesso figlio a sgranare gli occhi sorpreso, mentre suo padre varcava la porta di casa febbricitante e malaticcio.
In quei casi, i doveri di Stiles si ampliavano e lui correva avanti e indietro da bravo infermierino pronto a rispondere a qualsiasi cenno di sofferenza o sbuffo di fastidio.
Assillandolo spesso e volentieri con domande del tipo: “Ti fa male il pancino?Vuoi la 'chipirina?Hai freddo?Accendo la stuffola!” anche quando all'esterno vigevano 30° e il clima non poteva che essere più afoso di così.

Quando lo sguardo del padre cadde torvo sul termometro, non poté esimersi dall'esprimere la sua frustrazione con un molto seccato: “E che caaahh...” che andò a cadere verso la fine della frase, mentre i suoi occhi si posavano sul faccino semi sconvolto di Stiles, mentre se ne stava lì come ad aspettare che concludesse la parola...quella parola che scatenava tutta la sua irriverente capacità di metterlo all'angolo e si portava le mani ai fianchi, come era solito fare lui durante gli interrogatori, anche se a differenza sua, non usava impostare quegli occhi da cucciolotto dal fare risaputo.
So che voi dire, è una brutta parola, tanto brutta!” commentò con quel tono indisponente e gli tendeva una manina bianca per farsi consegnare l'aggeggio e vedere la temperatura.
Sfortunatamente, a quell'età lui, che era solito divorare metà sillabe come una fetta di torta, non riusciva nemmeno a pronunciare la parola termometro, figurarsi leggerlo. Quindi rimaneva in silenzio, mentre Stilinski lo guardava attendendo il suo responso e lui rigirava nelle mani il bastoncino bianco e freddo con tutte quelle lineette e quella lunga barretta rossa, senza capirne alcunché.
Stiles poi alzava il capino, risolutamente deciso a fargli notare che sarebbero potuti rimanere lì per tutta la mattinata e il giorno seguente, fino a che suo papà non gli avesse rivelato quanto era gravosa la sua condizione. Lo Sceriffo alzò le spalle, sospirando un: “Oggi niente lavoro” posando di nuovo la giacca e riponendo la fondina in alto, lontano da manine curiose.
Stiles allora capiva che la situazione era critica e stringeva le manine sulle gambe del padre, fin dove arrivava, spingendolo verso le scale, diretto in camera.
A letto!A letto!” esclamava implacabile. Per suo papà, che non rimaneva a casa nemmeno con un brutto raffreddore, avere la febbre doveva essere orribile.
Una condizione impensabile, pregò con tutte le sue forze che quel brutto virus se ne stesse lontano, perché lui non avrebbe rinunciato a stare a letto per una giornata intera, senza poter armeggiare coi suoi giochi o all'affrontare nuove, mirabolanti, avventure con Scott, che pure era una mommoletta ma rimaneva il suo miglior amico.
“Stiles, andiamo non è così grave, basterà che prenda qualche pastiglia e...”
ma l'espressione corrucciata e per nulla gratificante che gli serbò il bimbetto lo distrasse da qualsiasi intento di proseguire.
Doveva andare a letto, e di corsa, prima che Sty iniziasse a piantargli le unghiette nelle gambe come un gatto e piagnucolare insistentemente che “il suo papà non 'li vuole bene pecchè non 'li ascolta.”
dannazione al suo lato tenero, fosse stato un padre dal polso fermo avrebbe gestito quella situazione in ben altra maniera, non rimanendosene a fissarlo disperatamente, come se afferrandolo per le spalle e scrollandolo un pochetto riuscisse ad arginare il fiume di lacrime in piena che minacciavano seriamente di straripare.
Fosse stato più rigido, alla fine si sarebbe puntato la pistola alla tempia decidendo che non era ammissibile che lui, un poliziotto perfettamente addestrato, deponesse le armi e l'orgoglio alla vista di...tutto quello.
Ma Stiles vinceva sempre, nel bene e nel male e così si risolveva a sdraiarsi a letto e rispondere con qualche monosillabo al torrente di domande che puntualmente arrivava.

Il Signor Stilinski, che pure era un uomo in tutto e per tutto, cominciava a dubitare delle sue capacità paterne, ma mai di quelle di Stiles.
Nonostante gli anni di differenza e la mancanza di una figura femminile che lo avesse cresciuto, quel piccino era una fonte di sorprese -e guai, spesso e volentieri- e c'erano delle volte in cui lui stesso gli dimostrava come comportarsi in situazioni di emergenza infantile come le prime volte che, rimanendo da soli, aveva dovuto occuparsi di lui e metterlo a dormire. Stilinski senior non sapeva nemmeno da che parte iniziare e lui gli aveva diligentemente illustrato che bastavano il pigiamino, una favola e la lucetta accesa, senza dimenticare che la porta della cameretta non poteva essere chiusa del tutto.
L' agente aveva annuito, pensando che forse sarebbe stato più opportuno appuntarsi da qualche parte quelle lezioni di vita, ma poi si era dato del cretino per aver avuto quella pensata.
Il menage familiare che si era creato aveva fatto il resto, se anche non era un padre perfetto nel senso più canonico del termine, lo era nel senso di Stiles.
“Sty, cucciolo, non serve che fai tutto questo.” lo riprese il padre, mentre lo guardava in cucina, spostarsi uno sgabello per raggiungere i ripiani più alti, pregando che non perdesse l'equilibrio e si sfracellasse contro il lavello.
“Ce la faccio da solo!” esclamò il piccolo restio a lasciare che il suo papà lo aiutasse quando quello era compito suo, poi lo guardava sconvolto e gli puntò un ditino contro:
“E tu vai a fare la nanna!”
Lo Sceriffo annuì, continuando però a rimanere appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte.
Vide Stiles fissare con disappunto un grembiule e poi tirarlo giù da una gruccia un po' più alta di lui per finire col ritrovarsi sommerso dal tessuto da capo a piedi, eccezionalmente più grande del suo corpicino. Lo guardò di nuovo torvo, tanto che si ritrovò a sorridere e coprirsi la bocca con una mano per evitare di farglielo notare.
Accadde poi che Stiles, presa coscienza di a che diavolo servisse quell'affare, se lo passò sopra la testa e si rimirò per bene, giudicando che ci fosse più stoffa di quanta ne servisse per riuscire a muoversi. Il grembiulino panna infatti gli arrivava fin sotto i piedi e lo facevano inciampare in continuazione e lui, perdendo la pazienza, sbuffò e tirò su con le mani quell'arnese come una principessa con suo lungo abito.
Metterselo era stata una pessima trovata ma infondo se lo metteva sempre anche papino quando cucinava qualcosa -le due volte a settimana che lo faceva- e lui non doveva essere da meno.
Il padre sgusciò poi in camera, fingendo di non aver assistito a quelle scenette comiche e lo osservava con preoccupazione mentre gli posava sulle gambe, sopra la coperta, un vassoio carico di generi alimentari poco adatti al suo stato di salute.
Prese con discrezione un pezzo di biscotto secco tra le dita e lo inzuppò in un caffè più nero della pece, versato in una tazza dalla forma grottesca accanto a un paio di muffin plastificati e sorrise sotto i baffi, osservandolo mentre teneva i pugni stretti ai fianchi, alzando il grembiule fin dove poteva e creando una miriade di spiegazzature che si perdevano sulle gambette coperte ancora dal pigiama. Avrebbe dovuto cambiarlo, no?Mah, facevano vacanza tutti e e due, quel giorno, decise senza obiezioni.
“Sei carino con quel grembiule, Sty.” decretò sogghignando.
Il bimbo non comprese il tono sarcastico e sorrise a sua volta, sedendosi al suo fianco e scartando un dolcino.
“Vero?” chiese, consapevolmente adorabile.
“Sono certo che da grande farai la felicità di un uomo fortunato!” continuò a scherzare col fuoco il più vecchio, considerando quell'uscita una vera a propria idiozia, adesso avrebbe messo in difficoltà sia lui che il piccoletto circa le “questioni amorose dei grandi”.
Ma Stiles, era sempre un tornado di sorprese:“E' quello che voglio fare da grande!” ribattè annuendo, felice di aver trovato l'approvazione del padre.
“Che cosa?” domandò curioso lui, del tutto ignaro di ciò che aveva scatenato.
“Divento una brava mogliettina!”
Quello fu più o meno un giorno che lo Sceriffo Stilinski avrebbe ricordato molto spesso negli anni a venire, considerandolo come una sorta di preavviso a ciò che sarebbe stato in futuro il suo adorato Stiles, o con CHI sarebbe stato, il suo adorato Stiles.
Ma a quel tempo la risposta che seppe dare fu l'unica possibile alla necessità del momento:

“Oh che caaaahhh...”

 

Fine.

 

NdA: Stilinski sa tutto -sia l'uno che l'altro- e ne prenderà maggior coscienza qui...(capitolo 7)
Commentate su!Non siate timidi!! Un bacio counque a chi leggerà e apprezzerà! Dan

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