What happens when two different worlds collide?

di xstaystrongandsmile
(/viewuser.php?uid=132508)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. How it began. ***
Capitolo 2: *** 1. - Another fucking school day. - Wake up,girl! ***
Capitolo 3: *** 2. - Are we together, right? - Oh, please, shut up or kill me. ***
Capitolo 4: *** 3. - It's ok. - What? A test?! ***
Capitolo 5: *** 4. - Who taught you to believe? - Never Say Never ***
Capitolo 6: *** 5. - Lies - I feel good. ***
Capitolo 7: *** 6. - A shit - A shit. ***
Capitolo 8: *** 7. - Surprise - ***
Capitolo 9: *** 8. - I'll always be me - Ok. ***
Capitolo 10: *** 9. - Guilt - I've said too much. ***
Capitolo 11: *** 10. - Like Twilight - Ehi vampire! ***
Capitolo 12: *** 11. - Ill - Barbie. ***
Capitolo 13: *** 12. - Psyco - Me too. ***
Capitolo 14: *** 13. - Little smile - Needs. ***
Capitolo 15: *** 14. - We must talk. - Something of magic. ***
Capitolo 16: *** 15. - Dream. - Air. ***
Capitolo 17: *** 16. - Live. - Mission. ***
Capitolo 18: *** 17. - Who is this girl? - She needs help. ***
Capitolo 19: *** 18. - This school is like a zoo. - The beat of butterfly's wings. ***
Capitolo 20: *** 19. - Woman in the mirror - Happyness. ***
Capitolo 21: *** 20. - I hate Christmas - Letter to... ***
Capitolo 22: *** 21. - Brand new start - I love you. I love you too. ***
Capitolo 23: *** 22. - I'm stupid. - I'm good. ***
Capitolo 24: *** 23. - Let's go! - I can't believe it! ***
Capitolo 25: *** 24. - You are my best friend. - - You are my best friend too. ***
Capitolo 26: *** 25. - Rising - Choose ***
Capitolo 27: *** 26. - Ronnie? ***
Capitolo 28: *** 27. - How it ends. ***



Capitolo 1
*** 0. How it began. ***


Showed me what I couldn't find 
When two different worlds collide
 

- Demi Lovato, When Two Worlds Collide;
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Le due ragazze si incrociano.
La mora sbatte contro la bionda.
Si guardano.
È come se non si fossero mai viste prima.
Eppure hanno la stessa età, fanno la stessa scuola e frequentano gli stessi corsi.
Com’è possibile che non si siano mai incrociate prima?
La mora scrive sulla mano della bionda una via.
- Alle tre, a casa mia. Finiamolo il prima possibile. – dice diretta rimettendo il tappo al pennarello nero e infilandoselo in tasca.
- Ok. – risponde la bionda e continuano per la loro strada verso i loro armadietti, ai lati opposti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

You and me, the perfect team 
Chasing down the dream 
We’re one and the same

- Selena Gomez & Demi Lovato, One And The Same;

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. - Another fucking school day. - Wake up,girl! ***


Author's notes;
Ta-da! Eccomi tornata con una nuova storia. 
Dopo Alice-Justin, eccomi qui con una FF tutta nuova e completamente diversa.
Qui non ci sarà la ragazza che s'innamora di Justin, o Justin che s'innamora di una ragazza.
Qui, Justin, sarà un 'piccolo punto che cambierà la storia'.
La canzone che accompagnerà la storia è della mia Devonne, When Two Worlds Collide.
so, hope you like it.

stay strong,
Alice.


ps- mi piacerebbe sapere tanto cosa ne pensate. Una recensione mi farebbe tanto piacere. :)

 


Capitolo 1.
 

- Another fucking school day. -
Wake up, girl!

 
Ronnie’s Pov

 

She was givin the world so much that she couldn't see 
And she needed someone to show her who she could be 


La sveglia canta l’ora di alzarsi.
Altro fottuto giorno.
Metto i piedi a terra e il freddo pavimento mi schizza al cervello, attivando i neuroni e facendomi alzare.
La prima cosa che faccio ogni mattina è guardarmi allo specchio.
Mi svesto,rimango nuda e osservo il mio riflesso.
Sono una bella ragazza.
Posso contare le costole chiaramente e anche lo spazio che si crea tra loro e tra una parte all’altra della cassa toracica.
Si potrebbero vedere anche gli organi, solo che c’è la pelle che li copre.
Le braccia sono rami e le gambe degli stecchini, che devono tenere su un corpo fragile.
Lo sguardo mi cade sui polsi, segnati da cicatrici vecchie e nuove.
Ci sono segni anche sui fianchi.
Salgo sulla bilancia.
Quaranta chili.
Perfetto.
L’obbiettivo numero uno è stato raggiunto.
Sedici anni e pesare così poco, una vera soddisfazione.
 
La gente non lo capisce, pensa che io sia malata.
Mi hanno mandata in rehab per sei mesi, perché non mangiavo.
Volevo essere perfetta.
Essere la perfetta etoilè, come desideravano i miei genitori, come desiderava la mia insegnante di danza, come tutti si aspettavano che diventassi.
In quella prigionia mi hanno riempita di pillole, facendomi arrivare al traumatico traguardo di cinquanta chili.
Da trentotto a cinquanta chili.
Quasi venti chili di pillole.
Tornata a casa ,è stato come suicidarmi.
La prima cosa che ho pensato, guardandomi è stata ‘Chi cazzo è questa grassona?’ poi ho alzato gli occhi e ho incontrato il riflesso dei miei.
Da lì ho deciso di vivere da sola e controllare completamente la mia vita.
 
Ieri ho ingerito centosettantaquattro calorie, oggi digiuno.
Mi faccio una doccia. L’acqua calda che scivola sulla pelle che mi rilassa e mi distrae dalla cosa che sta per cominciare.
Esco e mi asciugo i capelli velocemente, lasciandoli un po’ bagnati.
Indosso tre magliette, per fare spessore, e poi la felpa.
Niente colazione.
Pronta per scuola.
Sono una bella ragazza.
Bionda, alta, occhi azzurri e magra.
E nessuno può immaginare cosa ci sia sotto quella ragazza.

 
 

Elizabeth’s Pov

 
And she tried to survive wearing her heart on her sleeve 
But I needed you to believe

 

- Su Elizabeth, svegliati. È ora. -
Ora di svegliarmi.
- Fanculo. – dico aprendo gli occhi
- Buongiorno Elz, preparati e scendi di sotto a fare colazione. Oggi a scuola ci vai da sola, con l’autobus. –
‘Bene.’ Penso.
Mi alzo e mia madre sta sulla porta, mi sorride e scende di sotto in cucina, a preparare i cereali e latte.
Le sette e quindici.
Tra mezz’ora c’è l’autobus e alle otto inizia la stramaledetta fottuta scuola.
L’ennesimo giorno di scuola.
L’ennesima recita.
Mi guardo allo specchio.
Capelli castani scompigliati nel sonno.
Occhi ancora assonati.
Una bella smorfia sul volto.
Mi dirigo in bagno e faccio una bella doccia fredda, poi di nuovo in camera.
Indosso maglietta e jeans, prendo lo zaino e prima di scendere a fare colazione mi guardo allo specchio.
 
Quando ero bambina mi trovavo di più con i maschi che non le femmine.
Perchè le femmine pensavano solo ai vestiti e ai ragazzi mentre a me certe cose interessavano ben poco.
Piano piano poi ho cambiato direzione.
Non sono diventata una ragazza che si interessa di moda e di ragazzi.
Anzi la moda non mi interessa minimamente e i ragazzi sono degli idioti.
Però dal momento che non sono stata 'apprezzata' dai maschi non mi sono sentita di fare parte della loro banda.
Ho cominciato a portare gli occhiali a causa della miopia.
Ero piccola e ne ero entusiasta.
Peccato che andando avanti con gli anni ho cominciato ad odiare questo 'accessorio'.
Ho sempre desiderato avere i capelli lisci.
Non avevo mai incontrato persone con i miei stessi capelli e quindi mi sentivo un'estranea.
Comincia a stirarli.

"Guarda quant'è brutta." commentavano i ragazzi.
Credendo che io non li sentissi.
Ma in realtà rimanevo profondamente urtata dalle loro parole.
Decisi che dovevo togliermi quegli occhiali al più presto.
Non volevo essere come dicevano loro.
E quando ci riuscii ne fui sollevata.
Poi decisi di truccarmi.
Dovevo sembrare almeno 'carina'.
E da qeul giorno sono diventata schiava di lentine e trucchi.
Eppure cambiando così radicalmente non ero apprezzata come volevo.

Questa è la mia malattia.
‘Sei impazzita?’

No.
Ho sempre paura di non piacere alle persone come vorrei.
Anche se penso di essere una persona abbastanza buona.
E le persone non fanno altro che vedere solo la parte esteriore di me.
Se potessi girerei con un sacchetto in testa.
Se potessi mi trasferirei nel corpo di qualcuna più bella.
Più che malattia, la chiamo fissazione.

Oramai sono anni che ho in testa questa cosa e più vado avanti più mi accorgo che nulla cambia.
Cambio solo io. Il mio modo di vestirmi e di apparire.
Per cercare di piacere.
Ma i commenti non cambiano.
E ogni parola che dicono pare che vogliano prendermi in giro.

 
Mi sorrido dopo essermi mascherata bene.
Capelli lisci e trucco.
Pronta per interpretare la mia parte.
Come una brava attrice che sa il copione.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. - Are we together, right? - Oh, please, shut up or kill me. ***


Capitolo 2.
 

- Are we together, right? –
Oh, please, shut up or kill me.

 
Ronnie’s Pov
Cammino con la testa bassa, presa dalla musica che sto ascoltando.
 
Un anno fa, quando iniziai a venire in questa stupida scuola, stavo bene.
Oggi, dopo la rehab, per nulla.
Odio la mia psicologa che mi ha seguita per un mese l’anno scorso, dal profondo del mio cuore.
E odio i miei genitori perché si sono lascati trasportare.
Dopo aver smesso di ballare, non ho cominciato l’anno nuovo.
Ed è dopo aver smesso di ballare, che ho cominciato a distruggermi davvero.
Prima non mi tagliavo.
Oh no, si sarebbero visti i tagli sotto il tutù bianco di Odette.
Ma ora, l’unica cosa che mi dà sollievo è quel sangue che ogni singola sera scivola dai miei fianchi fino a toccare terra, creando una macabra linea di vita che se ne va.
In questo modo, io mi purifico e mi punisco.
 
Conto i passi mentalmente, e contemporaneamente le calorie che perdo.
Cento calorie da casa mia a scuola.
Non prendo mai il pulmino scolastico.
Primo perché non voglio incontrare i ragazzi popolari, quelli che contano.
Troppi montati. Troppe oche.
Troppi montati che stanno con troppe oche perché ‘è la classica coppia stereotipo del liceo’
Vaffanculo ai stereotipi.
Vedo un’ombra comparirmi da dietro, e poi delle vecchie scarpe verdi.
Jennie.
Mi tolgo le cuffiette e la sua voce acutissima mi accende i neuroni, trapanandomi le orecchie.
- Buoongiorno Ronnie! – allunga sulla o. Qualcosa mi dice che non mi piacerà affatto ciò che mi sta per dire.
- Buongiorno a te. – mugugno in ascolto
- Sai che giorno è oggi? – silenzio da parte mia – Oggi il professor Drek – quello di italiano – ci darà un compito da fare. Se per caso sono a coppie lo facciamo insieme, vero? –
- Certo. – rispondo sorridendo forzata.
La ragazza dalle trecce rosse e gli occhi verdissimi come i campi da cui viene sorride e se ne va saltellando.
Mi chiedo come quella ragazza possa avere tanta energia alle otto di mattina.
La campanella suona.
Prima ora scienze.
Entro in classe preparandomi alla lunghissima e noiosissima lezione della prof Jeikins.
 

Elizabeth’s Pov
- Ehi Elz! – la voce di Mike, il capitano della squadra di football mi chiama – Siediti qui, accanto a me. Sei tra quelli che contano. – salgo sul pulmino e mi avvicino al castano.
È bello sì, ma è strafottente ed egocentrico.
Infatti non appena mi siedo vicino a lui, comincia a raccontare di quella partita di football che ha fatto ieri sera.
Dei goal che ha fatto e di quello che poteva fare.
Lo ascolto a malapena.
Da quando sono al liceo, la gente non mi riconosce più.
Ed è grazie a questa maschera che indosso che oggi faccio parte dei popolari.
Quando i secchioni mi passano accanto abbassano lo sguardo, intimiditi e paurosi.
Quando camminiamo per i corridoi, gli ‘sfigati’ ci guardano con desiderio, vogliono essere noi.
A scuola, tutti ci invidiano, tutti vogliono essere noi.
Siamo i popolari, siamo quelli che contano, quelli che fanno la differenza, quelli che decidono cos’è giusto e cos’è sbagliato, quelli che decidono se una tale cosa è in o è out.
Sono l’unica non cheerleader qui.
Non ho mai desiderato esserlo.
Sono davvero troppo oche  per i miei gusti, ma per sembrare una di loro, mi subisco i loro discorsi su smalti, vestiti, ragazzi e le loro cattiverie sui meno.
Sospiro guardando fuori dal finestrino.
 
A volte non vorrei avermi costretta a cambiare così tanto.
Ho ferito tanta, troppa, gente con questa mia decisione.
Ma la voglia di essere accettati, di essere parte del gruppo, ha ucciso l’individualismo che avevo in corpo, anche se di notte mi ritrovo spesso a pensare alla vecchia Elizabeth.
 
L’autobus si ferma davanti al nostro liceo.
Due ragazze fanno per uscire per prima ma uno sguardo di Cassie le gela seduta al posto e scende il nostro gruppo.
- Volevano superarci. Chissà chi si credevano di essere. – mi dice Cassie
- Già. –
- Che abbiamo oggi in programma, Elz? –
- Il prof di italiano ha un compito, ricordi? –
- Certo. Quel bastardo farebbe di tutto pur di farci passare il pomeriggio a casa. –
‘Tu i compiti nemmeno li fai.’ Penso mentre annuisco.
La stramaledetta campanella suona.
Apro l’armadietto e mi do una controllata al trucco.
- Eh Cass, non è che avresti il lucidalabbra? – chiedo rivolgendomi alla bionda colorata.
- Certo. Di che gusto lo vuoi tesoro? –
- Fragola. – mi porge l’oggetto rosa e lentamente me lo passo sulle labbra.
- Sei una figa, amore. –
- Grazie tesoro. – rispondo chiudendo di botto l’armadietto e dirigendomi in classe.
Ora di scienze.
Vi prego ammazzatemi.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. - It's ok. - What? A test?! ***


Capitolo 3.
 

- It’s ok –
- What? A test?! -

 
Ronnie’s Pov
Il bello delle lezioni del prof Houston è che ti fanno viaggiare con la mente.
Insegna geografia.
Lui ti dice un dato paese e ascoltando le descrizioni dei suoi viaggi, ti ritrovi in quei posti così meravigliosi ed esotici.
Oggi ad esempio, parliamo dell’italia.
- L’Italia, ragazzi, wow. È uno dei paesi più belli in assoluto. Ed è anche uno dei più belli ed affascinanti che io abbia mai visitato. In tutti i miei centinaia di viaggi, mai ho incontrato un paese e un popolo, come l’Italia e gli Italiani. C’è una sorta di collaborazione tra natura, arte e svago. Non esiste nessun popolo come gli italiani. La loro è una storia complicata, che inizia ancor prima di noi americani. Inizia all’epoca di Cristo. Come mi raccontò un vecchio che incontrai a Roma, dieci anni fa… - e comincia a raccontare.
Chiudo un attimo gli occhi e poi li riapro.
Eccomi in mezzo alla folla italiana, che parla italiano.
Non li capisco, ma non importa.
Sono in un mercato, probabilmente.
Forse o a Roma o a Venezia.
Ci sono un sacco di donne che fanno la spesa mattutina, un sacco di uomini che urlano e cercano di far vendere le proprie merci e i bambini che corrono per la strada.
Una bambina sta mano nella mano con un bambino.
Il bambino dà un bacio leggerissimo sulla bocca.
La piccola sorride e lo abbraccia.
Quella bambina…
 
Quando ero piccola, ero identica a lei.
Stessi capelli biondissimi, stessi occhi accesi, stesso sorriso sul volto.
Quando ero bambina, mi divertivo ad imitare le grandi ballerine di quel tempo.
Mi divertivo a prendere le punte di mia sorella, indossarle – anche se mi stavano grandi – e girare per casa così.
Ricordo il sorriso dei miei genitori quando riuscii per la prima volta a salirci sul serio, a tredici o a dodici anni.
Quel sorriso fu la mia più grande soddisfazione.
Li sentivo dire di me che sarei diventata come mia sorella maggiore, Alexandra, ed io ci credevo.
Per me lei, era diventata più che una sorella, un idolo da imitare.
Un giorno la scoprii a vomitare in giardino, un altro giorno a tagliarsi.
A dodici anni, divenni la grande stella della mia scuola.
Ricordo il giorno di quella esibizione come se fosse ieri.
Poi morì mia sorella, lo stesso anno.
 
La campanella.
La campanella mi risveglia dai miei viaggi mentali e dai mie ricordi.
La campanella segna la fine dell’ora dei sogni e l’inizio della vita vera.
Pranziamo in mensa, e mi ritrovo al tavolo con i soliti visi.
Poi ritorniamo in classe.
- Non sei eccitata? – mi chiede Jennie
- Da morire – rispondo fredda
- E dai, un po’ di spirito, Ron! – le sorrido e lei mi sorride di ricambio.
Entriamo in classe per ultime e ci sediamo in posti affianco.
Il prof entra poco dopo.
- Buongiorno ragazzi –
 

Elizabeth’s Pov
- Buongiorno ragazzi –
‘Buongiorno uomo che è qui solo per lo stanno pagando oro’ penso ma non parlo.
- Spero che ricordiate tutti oggi che giorno è. –
- È il giorno del compito. – dice un secchione al primo banco
- Esattamente – il prof Drek sorride alla ragazza che quasi si scioglie sul banco.
Sbuffo scocciata.
Il prof tira fuori dalla sua cartelletta marrone sulla cattedra dei fogli bianchi.
‘Un compito a sorpresa. Fantastico.’
- È-è un compito a sorpresa prof? – balbetta un ragazzo moro in fondo alla classe. Il prof termina di consegnare le fotocopie poi rispondo sorridendo:
- Beh, più o meno. È un compito a sorpresa, ma non bisogna studiare sui libri. – un sospiro generale nasce tra i banchi, ma l’insegnate continua – Bisogna studiare su noi stessi. –
‘La cosa comincia a farsi interessante.’ Smetto di mettermi il mascara e presto minima attenzione al prof.
- Un test su noi stessi? –
- Esattamente. –
- A cosa le serve? –
- A me nulla, a voi molto. –
- Quanto tempo abbiamo? –
- Tre ore, a partire da ora. –
Sfoglio il fascicolo.
Dieci pagine.
Ci sono domande a risposte multiple, schemi da completare e domande aperte.
È davvero un test su di noi.
Apro la prima pagina.
Chiede di parlare della nostra famiglia.
E cosa dovrei scrivere io?
 
La mia famiglia sembra la famiglia perfetta.
Tutti sembrano felici, tutti sembrano andare d’accordo, tutti sembrano volersi bene.
Ma non è così.
Dietro tutti questi sorrisi c’è dolore, separazione, rimorsi e ricordi.
Mia madre e mio padre litigavano sempre, così hanno deciso di separarsi.
Mia madre si è risposata ed ha avuto un figlio, il mio fratellastro.
Ma anche se si è risposata, pensa ancora a papà.
Capita che a volte ne parli col nuovo marito, e quando lo fa, urlano.
Questa non è una famiglia perfetta, non lo è affatto.
Quello che abbiamo è uno specchio, uno specchio così fragile che può rompersi da un momento all’altro.
 
Le righe piene di punti mi invitano a scrivere, ma mi limito a mettere una parola.
‘Normale.’

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4. - Who taught you to believe? - Never Say Never ***


Author's notes;
Vorrei solo scrivere un avviso piccolino.
Anzi, forse due.
Il primo è che le visualizzazioni sono molte e ciò mi riempie di gioia, però vedo che le recensioni sono poche.
Ma l'improtante è sapere che la leggete, anche se mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. :)
Il secondo è che da qui si capisce cosa c'entra quel coglione di Bieber, :'D.
Ho terminato.

stay strong,
Alice
.

Capitolo 4.

 

- Who taught you to believe?-
- Never Say Never –

 
Ronnie’s Pov
 

You had your dreams, I had mine 

 
Sfoglio l’ennesima pagina di questo test.
L’ultima, finalmente.
Sono tutte domande su noi stessi.
Come siamo, come ci vediamo,  i nostri sogni, le nostre speranze, i nostri gusti e cazzate varie.
Probabilmente è per uno studio universitario.
Questa pagina riguarda il credere.
Sbuffo e prendo in mano la penna, pronta a scrivere.
Sono trenta domande, in tutto.
Alla trentesima mi blocco.
Chiede ‘Quali sono i tuoi sogni? Chi ti ha insegnato a crederci?’
 
Fino a qualche anno fa avrei risposto ‘Diventare ballerina. Ballare all’Opera de Paris e fare l’etoilè.’
Oggi che lo faccio, tranne per l’Opera, mi ritrovo senza risposta.
Cerco nel mio cuore qualche spunto.
Questo cuore rinsecchito.
Magari è proprio per colpa sua che non ne ho la più pallida idea, di quale sia il mio sogno.
 
Alzo lo sguardo e vado fuori dalla finestra.
Alberi millenari, che hanno visto passare generazioni e generazioni.
Come un vecchio controllore o bidello che fa la guardia alla scuola e agli alunni al loro interno.
Ci sono delle nuvole.
Le osservo per un po’, poi ne noto una a forma di nota musicale.
Un viso con un paio d’occhi nocciola, i capelli dorati, il sorriso che illumina il mondo e una voce d’angelo mi compare nella testa.
Un flash, un istante, ma che mi lascia senza respiro.
Sento il cuore battere più velocemente e un sorriso piccolo nascere sul mio volto.
 
È stata la stessa cosa di quando l’ho sentita la prima volta.
La sua piccola e tenera voce.
Su un video di You tube.
È stato strano.
C’era questo ragazzino con un cappello blu in testa e i capelli biondi tagliati male che aveva in mano una chitarra e cantava sulle scale di un teatro.
Qualche giorno dopo, pubblica un altro video dove cantava With You di Chris Brown.
È stato strano perché quella vocina così acuta e così pura, cantava pezzi difficili.
Mi è subito venuta in mente Anita Franklin.
La cosa che però più mi ha colpito, è stato non vederlo crescere su Disney Channel.
Si è lanciato da solo nel mondo della musica.
Mi ha rapita.
Il canale si chiama kidrahul.
 
Ritorno sulla terra per colpa della campanella.
Scribacchio una frase, per poi correre a consegnare all’insegnante.
Una frase che lui mi ha insegnato.
Una frase che l’ha portato lontano.
‘Il mio sogno è quello di incontrare il mio idolo. Never Say Never.’
 
Da una piccola cittadina del Canada, a tutto il mondo.
Lui mi dà speranza.
Lui mi insegna a credere.
Lui si chiama Justin Drew Bieber.

 

Elizabeth’s Pov

 
You had your fears, I was fine
 

Noioso, palloso, fottuto test psicologico.
Ma per una volta gli universitari farsi i cazzi suoi no, eh?
Hanno proprio bisogno di sapere tutto, ma proprio tutto, di tutti, ma proprio tutti.
Poi magari leggeranno le nostre risposte e ci divideranno in ‘Pazzi’ e ‘Normali’, che poi la normalità è un concetto soggettivo.
Bah.
Comunque, sono arrivata all’ultima pagina, finalmente.
Si tratta di rispondere alle ultime trenta domande.
Ultime trenta domande, ultimi dieci minuti.
Scrivo una risposta per ognuna, quasi tutte balle.
La trentesima dice: ‘Quali sono i tuoi sogni? Chi ti ha insegnato a crederci?’
 
Quali sono i miei sogni?
Avere una famiglia normale.
Una vita normale.
Non avere più la maschera.
Incontrare il mio idolo.
 
Se dicessi a loro chi è il mio idolo sarei sputtanata per tutta la scuola.
L’ultima cosa che vorrei.
 
Il modo in cui l’ho conosciuto è stato l’ultimo momento in cui ho pianto.
I miei litigavano per l’ennesima volta.
Litigavano per non so quale motivo, ma sentivo il mio nome uscire fuori.
Alla radio, poi, è passata una canzone.
Iniziava col pianoforte.
‘I never thought that I’d be easy, cause we’re both so distant now’
Pensavo a mio padre, al mio vero padre.
Mia madre e il suo nuovo marito, discutevano su questo.
Il nuovo marito era geloso, e a mia madre dava fastidio.
Quando stava con papà, litigavano quasi sempre.
Ma poi, papà l’ha picchiata.
Così hanno divorziato.
Non mi hanno voluto dire cosa ci hanno messo nella causale.
‘You tell me this for the best, so tell me why am I in tears?’
Mia madre mi disse che era per il mio bene, che papà se ne fosse andato, perchè sarebbe potuto succedere qualcosa di molto peggio, andando avanti.
E mi sembrava che quella canzone mi leggesse dentro.
 
Mi mordo un labbro e guardo l’orologio.
Due minuti al suono della campanella, e quindi alla fine di questa maledetta ora e di questa giornata.
 
Mi sono sentita attraversare.
Come se mi avessero infilato l’ago dentro corpo.
Poi questo mi ha trapassata dall’altra parte, lasciando una ferita incurabile.
Era un dolo piacevole, finalmente mi sentivo capita.
 
Ma se rispondo col suo vero nome, rischio troppo.
Così mi limito a scrivere.
‘Il mio sogno è quello di incontrare il mio idolo. Never Say Never.’

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5. - Lies - I feel good. ***


Author's notes;
Oh, ma voi fate bussare alla porta del mio cervello la signora Ispirazione così tante volte e così forte che mi verrà mal di testa, ossè.
Ma non posso non farla entrare. e.e
Vi ringrazio per le recensioni e per le visualizzazioni.
Beh, ho finito. :)

stay strong,
Alice.


Ps- se vi piace, recensite. Mi rendete felice. :D

Capitolo 5.
 

Lies.
- I feel good. -

 
Ronnie’s Pov
Esco dalla classe velocemente, riprendo i libri dall’armadietto e scappo a casa, cercando di evitare  Jennie e le sue domande a proposito del test.
Apro la porta e butto tutto sul tavolo della sala.
Il mio è un appartamento singolo con tutte le cose necessarie.
Una camera da letto, un bagno, una cucina, una sala, un balcone e un piccolo giardino.
 
Me lo sono comprato quando litigai con i miei, per l’ultima volta.
Anche perché me ne andai.
Lo avevo già adocchiato e avevo messo da parte i soldi guadagnati dal lavoro al bar.
Mi avevano mentito, sulla morte di mia sorella.
‘È morta per un incidente.’
Grazie al mio rifiuto di mangiare scoprii la verità.
Avevo quindici anni.
 
‘- Non puoi non mangiare, Ron. – dice papà guardando preoccupato il piatto ancora pieno.
Quanto mi dà sui nervi quando fa così.
Non ho tredici anni.
- Su, tesoro, è buona la carne. – insiste mamma con tono dolce.
- Non mi va. –
- Ronnie, sei uno scheletro, dovresti mangiare. – continua
- E diventare grassa quanto una balena? Rinunciare al mio posto di etoilè? No grazie. – sposto il piatto verso papà.
- Tesoro, te lo ripeto con calma, mangia qualcosa. Non ti ucciderà. – mamma è testarda.
- Ucciderà la mia forma perfetta. Ucciderà la mia immagine da etoilè. – sono testarda anch’io, lo sanno.
Mio padre scoppia:
 - Va bene, ora basta. Claire, basta con le cose carine. Ronnie o ti infili quella maledetta carne giù per la gola, o giuro che te la infilo io con le mie mani! – urla l’uomo alzandosi da tavola e sbattendoci contro.
Mi alzo anche io e inizio a gridare:
- Non lo farò mai, papà! Non toccherò mai più in vita mia del cibo, ok? Non mi interessa cosa voi ne pensiate di questa scelta, non ho intenzione di rischiare il mio futuro da etoilè per degli stupidi grassi e carboidrati. La danza è troppo importante per me! –
- Lo vedi a cosa l’ha portata a pensare, Claire? La senti? –
- Alexandra non c’entra con questa storia, è la sua assurda fissazione di diventare ballerina che l’acceca, Paul. –
- No, è colpa di quella stupida! –
- Ale non era stupida, era il mio mito. Lei era magra ed era bellissima. –
- Tua sorella non mangiava! –
- Per questo era perfetta! –
- Tua sorella non era perfetta, Ronnie. Tua sorella era malata. – mamma odia quando si urla, cerca sempre di calmare le acque con la sua voce, ma questa volta non ce la fa.
È una discussione che evitiamo da troppo tempo. La tensione si è fatta sempre più alta, fino allo scoppio.
- Tua sorella era malata! – grida mio padre.
Mi sorprende.
Alexandra malata?
Nah, impossibile.
- Non è vero. – dico certa. Se fosse morta per qualche malattia l’avrei saputo.
Magari vomitava un po’ troppo, ma non penso che si possa morire per questo.
- Sai com’è morta Alexandra, eh Ronnie? –
- Sì, per un incidente stradale. –
- Sbagliato. – papà sorride amareggiato.
- Paul, no. –
- Claire, è il momento di dirle la verità. – mamma si zittisce. Si alza da tavola e toglie i piatti. – Tua sorella, cara Ronnie, non è morta per un incidente. È morta perché non mangiava. Quella tua sorella che tanto amavi, si è ammazzata da sola. Che stupida. È stato un peso per tanti anni, poi per fortuna se ne è andata. Per sempre. – dice papà tranquillo, quasi fosse una cosa normale.
Ho l’impressione che il mondo mi cada addosso.
Mi si frantumi sulle spalle.
Mi hanno mentito.
Mi hanno mentito per tutti questi anni.
Mi hanno mentito con la cazzata dell’automobile.
Ed ora mi dicono che Alexandra è morta perché non mangiava.
Ed io rischio di fare la stessa fine.
Ma lei era brava, perfetta. Tutti le volevano bene.
Mi vogliono solo far paura, ecco.
- Mi avete mentito per tutti questi anni. Mi avete raccontato balle su balle perché vi vergognavate di lei. Mi avete mentito dicendomi di uno stupido incidente. Come ho fatto a non capirlo? Voi vi vergognavate di lei! Solo perché lei era perfetta ed amata da tutti. Lei è stata la persona che mi è stata a fianco sempre. Non come voi due, sempre troppo presi dal lavoro per accorgervi che la vostra figlioletta più piccola piangesse o che stesse male. Voi state cercando di screditarla ai miei occhi perché siete gelosi!  Perché volete che Alex diventi un mostro da tenere lontano! Ma vi dico una cosa, è troppo tardi. Ho deciso di prendere il suo esempio. E come lei, me ne vado. – sposto la sedia e vado in camera mia.
Passa un’ora durante la quale preparo le valigie.
Ormai ho preso la mia decisione.
Un’ora dopo sono scesa giù, sulla porta.
- Ciao Paul. Ciao Claire. – dico gelida.
Imito Alexandra quando se n’è andata.’
 
Basta.
Sbatto le palpebre un paio di volte.
Mi rendo conto di essere ferma in piedi da dieci minuti all’entrata di casa.
È il momento dei compiti.
Dante mi chiama e mi aspetta.
 

Elizabeth’s Pov
- Che fai oggi pomeriggio, Elz? – mi chiede Mike mettendomi un braccio intorno alle spalle
- Probabilmente nulla. – rispondo alzando le spalle.
Stiamo seduti nei nostri posti aspettando che io arrivi a casa.
- Stasera c’è un party a casa mia, Elz, ti va di venire? Prima però, pomeriggio di shopping sfrenato. – Cassie mi si affianca.
Mike mi leva il braccio dalle spalle.
- Certo, non posso mancare. A che ora e dove, Cass? –
- Alle tre davanti a ‘The choice star’. –
- Perfetto. – il pulmino si ferma ed io scendo. – Ci vediamo dopo. – dico salutandola e baciandola sulle guance.
Lei annuisce e sorride, poi il pulmino riparte.
 
- Sono a casa! – grido sbattendo la porta e buttando a terra lo zaino con i libri.
Mamma è in cucina che prepara qualcosa.
- Ciao Elz, com’è andata scuola? –
- Come sempre, mamma. Papà non c’è? –
- L’hanno chiamato a lavoro e ha detto che lavora anche a pranzo. Siamo solo noi due, quindi. –
- Ok. – dico chiudendo la conversazione.
Mia madre è casalinga mentre mio ‘padre’ è imprenditore. Per questo possiamo permetterci questa specie di villetta enorme.
 
Quando mamma sposò Dave, ero entusiasta all’idea.
Ma poi notai che Dave non mi degnava di uno sguardo, che la mia opinione valeva meno di zero.
Però ero felice per mia madre, anche se, secondo me, lei era troppo giovane per lui.
Undici anni di differenza.
 
Mi collego al computer e faccio un giro tra i diversi siti di moda e gossip.
I soliti pettegoli che spettegolano perché non hanno un cazzo di meglio da fare.
Mamma mi chiama e vado in cucina.
All’inizio stiamo in silenzio, assaporando l’ottima cucina di mia madre.
- Come stai, Elz? – mi dice dopo un po’.
Appoggio la forchetta al piatto e mi pulisco la bocca:
- Come vuoi che sto mamma, sto bene. –
- Davvero? –
- Sì. –
- E con la scuola come va? –
- Bene anche lei. –
- Hai fatto qualche nuova amicizia? – ah, ecco dove voleva andare a parare.
- Mamma, so che Mike, Cassie e compagnia non ti vanno a genio. –
- Fumano, bevono e non mi sorprenderei se ogni tanto assumessero anche qualche droga leggera. – mi interrompe puntualizzando lei.
- Sono le uniche persone che mi capiscono e che condividono i miei stessi interessi. – dichiaro, per poi riprendere la forchetta e una spaghettata.
- Qualche anno fa non eri così. Ti interessavi della scuola, del teatro, della natura, della fotografia e della pittura. Qualche anno fa i vestiti, i trucchi e i ragazzi non erano nella tua priorità. –
- Tutti cambiamo. Tutti cresciamo. –
- Già, forse hai ragione. – sussurra per poi tornare al suo piatto.
La conversazione finisce lì.
Strano che non abbiamo urlato.
Terminiamo di mangiare e le do una mano.
Torno al computer e al gossip.
Alle due e cinquanta mi sono cambiata e pronta per uscire.
- Dove vai? – la voce di mia madre spunta dal divano
- Esco. –
- Dove? –
- In centro. –
- Con? –
- Le solite. Dai mamma, starò bene. Prima che mi dimentichi, stasera ho una festa. Torno tardi. Ti voglio bene! – esclamo
Apro la porta e corro per le scale.
Sento però l’ultima frase di mamma.
- Apri gli occhi, Elz. -

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6. - A shit - A shit. ***


Author's notes;
Porco cammello (*O*)!
Stanotte Ispirazione mi ha fatto andare a dormire alle quattro. e.e
Mi è venuta a svegliare e sono rimasta sveglia tutta la notte perchè non se ne voleva andare, poi quando si è detta soddisfatta mi ha salutata dicendomi che era stato un piacere. e.e
Beh, non so quello che ho potuto scrivere alle tre di notte, ditemelo voi, se volete.
Ringrazio per le visualizzazioni e per le recensioni.

stay strong,
Alice.


Capitolo 6.

 

A shit.
A shit.

 
Ronnie’s Pov
- Penso che quella di Letteratura sia stata una vera stronza. Non può pretendere che mi impari a memoria Dante! – si lamenta Jennie alzando le braccia in modo plateale.
Alzo le spalle stanca.
Stanotte non ho dormito perché ho fatto stretching, e ora ho anche fame.
Ma non posso cadere nella tentazione.
E stanotte ho sognato Alexandra.
Jennie mi fa una domanda, ma non ho la minima idea di cosa mi abbia chiesto.
- Come scusa? – dico con la mente confusa.
- Ieri sera c’è stata la festa a casa della Parker. Si dice che Elizabeth sono la migliore, amatemi Winstor sia stata con Mike sono uno di quelli che conta, e anche se sono uno stupido asino non importa Tayser. –
- Ah, bene. – dico indifferente.
Oca che va con giocatore di football.
Classico.
Sbuffo annoiata.
Qui è sempre la stessa merda.
 
L’anno scorso entrai per la prima volta alla Winston Churchill High School.
Tutto mi sembrava meravigliosi e perfetto.
Ogni mattonella, ogni mattone, ogni porta, ogni finestra.
Tutto mi sembrava un sogno.
Ma come sempre, la realtà distrugge i sogni.
Li spezza e li divide in minuscolo pezzettini, per poi farli portare via dal vento.
La realtà era che questo liceo, era come tutti gli altri.
Gente in, gente out.
Gente che ha soldi a palate, gente che ne ha ma a uso minore.
Gente che non studio perché fa figo, gente che studia per un futuro.
La solita merda.
Io ero nel mezzo.
Anche se sono benestante, voglio continuare a studiare e frequentare l’università e il college, andare alla Oxford o alla Standford.
Voglio avere un futuro, io.
 
La campanella suona ed io entro in classe di letteratura.
La prof è già seduta sulla scrivania con i suoi occhiali ben poggiati sul naso che legge chissà cosa.
- Buongiorno prof. – dico con un sorriso.
La donna alza lo sguardo e risponde allo stesso modo, sorridendo.
Mi siedo in terza fila, mentre il fiume di ragazzi entra.
 

Elizabeth’s Pov
- Ma secondo te oggi mi interroga? –
- Sì. –
- Cazzo. – rido e ridò la matita a Cassie. – Cosa ridi, Elz? –
- Nulla. Solo la tua faccia. –
- Senti, solo perché tuo padre è il direttore di scuola, non significa che tu debba per forza prendermi per il culo. –
Mi zittisco.
Sa quanto odio quando puntualizza il fatto che mio padre è effettivamente il direttore di questo liceo.
 
Il Winston Churchill High School è il liceo che mia madre, dopo essersi risposata, mi ha costretto a prendere.
Ho lasciato tutta la mia vita, i miei amici e i ricordi alle elementari e ho cominciato questa nuova vita con questa nuova Elizabeth.
Sono subito diventata importante perché ero ricca ed ero la figlia del preside.
Una merda.
Però la sfrutto, questa fama.
In modo corretto, da parte dei popolari, in modo scorretto, da parte degli sfigati.
Poveri, quante volte avremo ordinato loro di farci i compiti?
Oggi, con Cassie sarà così.
Ci sarà qualche nerd con gli occhialoni neri a cui chiederà di suggerirle le risposte. Lui obbedirà come un cagnolino.
Qui comandiamo.
E nel mio gruppo, comando io.
 
- Muovi quel culo, bella. La prof non aspetta te. – la voce di Cassie mi giunge da lontano.
Chiudo l’armadietto sbattendolo ed entro in classe.
*
Ma chi me l’ha fatto fare di prendere letteratura?!
È davvero, ma davvero noiosa.
Tanto io non ho bisogno di questa qui.
Io sarò una modella.
E lo sarò per certo, perché mamma lavora in una rivista di moda, e sicuramente troverà posto per la sua bellissima figlia.
Sbadiglio annoiata.
Cassie ha preso sette nell’interrogazione senza aver aperto libro.
Come avrebbe potuto con la festa che ha dato ieri sera?
Sorrido al ricordo della notte passata.
In fondo mi sono divertita.
Essere popolare non è così male.
A parte per quel bacio tra me e Mike.
Tutti ne parlano, ma non m’interessa.
Non c’è niente tra me e lui.
 
Ho conosciuto Mike tramite mio padre.
Me lo descrisse come il ragazzo con più talento che abbia mai incontrato.
Ma io conoscevo un ragazzo più talentuoso di lui.
Magari non americano, ma con più talento di lui.
Comunque.
Mike mi apparse subito un montato, ma per essere me, dovevo sopportarlo.
Lui è convinto che mi piaccia, ma si sbaglia di grosso.
 
Sospiro consolata.
La lezione è finita.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7. - Surprise - ***


Author's notes;
Sinceramente...
Facciamo un applauso alla mia migliore amica che mi ha dato l'approvazione per questa storia. v.v
@Runaway: sentiti potente. u.u
Dopo questa cazzata, vi lascio al capitolo.
Hope u like it.

stay strong,
Alice.


Capitolo 7.
 

Surprise!

 
Ronnie’s Pov

 

Showed me what I couldn't find 

 
A pranzo solo una mela.
Quarantrè calorie.
Troppo.
Il mio obbiettivo di arrivare a trentotto mi sembra più lontano.
A pranzo solo una mela, che non basta per tenermi sveglia le due ore successive di tecnica agricola.
Mi addormento sul banco.
Jennie mi lascia dormire.
Poi viene l’ultima ora, l’ora del Drek.
Mi risveglio non appena lo vedo entrare con dei fogli in mano.
I nostri test.
- Buongiorno ragazzi – dice sereno e tranquillo.
- Buongiorno prof. – diciamo in coro.
- Questi qui sono i vostri test. Li ho letti, uno per uno. E mi siete sembrati sinceri. –
- Mi scusi, ma a cosa le servivano? – chiede Elizabeth.
Di solito non fa mai domande, preferisce guardarsi le unghie e rifarsi il trucco durante le lezioni.
- Per conoscervi un po’ meglio, Elizabeth, e a proposito di te, devo chiederti una cosa. Tu e Smith vi siete per caso copiate? –
- Perché? – chiedo stupita.
Io e la Winstor che scriviamo la stessa cosa?
Come può una gallina come lei scrivere qualcosa che io ho scritto?
Il prof deve essersi fumato una canna.
- Avete scritto la stessa identica frase. Alla domanda ‘Quali sono i tuoi sogni? Chi ti ha insegnato a crederci?’ avete risposto allo stesso modo. ‘Il mio sogno è quello di incontrare il mio idolo. Never Say Never.’ –
Quando sento quelle tre parole pronunciate mi vengono i brividi.
Non può essere.

 

Elizabeth’s Pov

 
When two different worlds collide 
 

Non può essere.
Non ci credo.
Non possiamo aver scritto la stessa identica cosa alla stessa domanda.
Dev’esserci un errore colossale.
Io non posso aver scritto la stessa cosa di una nerd.
Cassie mi guarda dubbiosa, ma io guardo la ragazza bionda che guarda stupita il prof.
Deve avermi letto la risposta, per forza.
Dato che è così sfigata, pensava che copiandomi, avrebbe avuto il suo momento di gloria.
Bene, ora che lo ha avuto, la pregherei di starsene zitta muta per il resto della sua inutile vita.
- Comunque, ragazzi, questi test mi servivano per dividervi in coppie. – aggiunge Derk posando i test e prendendo un foglio solo.
Cassie mi picchia sulla spalla.
Sicuramente staremo insieme.
Il prof ci spiega che ha creato le coppie per un progetto che servirà a conoscerci meglio.
Mi sembra tanto If you really know me di Mtv.
Un progetto che andrà avanti tutto l’anno.
Studiare insieme.
Invitarsi a casa.
Dormire insieme.
Andare in giro insieme.
Per fortuna che avrò Cassie al mio fianco.
- Dunque, le coppie sono… - e va a nominare tutte le coppie.
- …Smith e Winstor… - dice per poi andare avanti.
Il mondo si ferma, si blocca.
Non può essere.
Non può aver detto il mio cognome con quello di quella tipa.
Io non posso essere finita con una sfigata.
- Scusi professore, ci dev’essere un errore. – dichiaro gelida nascondendo lo shock
- Oh no, stia tranquilla signorina, ho controllato di persona, ed è giusto così. –
‘O cazzo.’ È il mio pensiero prima della campanella.
*
- Tu e quella tipa. Ahahah. Ci sarà da divertirsi! – esclama Cassie mentre riponiamo i libri negli armadietti.
- È terribile Cass. – esclamo – Sono rovinata. –
- Elz se la fa con una sfigata! – cantilena la ragazza per prendermi in giro.
- Non è divertente. – ribatto secca e la guardo male.
Cassie si zittisce subito.
La mia reputazione sta andando a farsi fottere.
Sapere che la ragazza più in della scuola va con una pressoché sconosciuta sarà uno scandalo.
Drek esce dall’aula e a me viene in mente di seguirlo e fermarlo.
- Scusi prof, non c’è modo di cambiare le coppie? – esclamo con troppa enfasi.
Il prof fa cenno di dissenso.
- Mi dispiace Elizabeth. –
- Perché proprio con quella devo stare? –
- Cos’hai contro di Ronnie? –
- È una che non conta, prof. Mi sta rovinando il nome, lo sa? –
- Vedrai che andrà tutto bene. Avete molte più cose in comune di quanto immagini. –
- Sì, certo. –
‘Come possono averlo l’acqua e il fuoco.’
Sospiro rassegnata e faccio per tornare al mio armadietto, quando...

 

No one’s pov
 
Le due ragazze si incrociano.
La mora sbatte contro la bionda.
Si guardano.
È come se non si fossero mai viste prima.
Eppure hanno la stessa età, fanno la stessa scuola e frequentano gli stessi corsi.
Com’è possibile che non si siano mai incrociate prima?
La mora scrive sulla mano della bionda una via.
- Alle tre, a casa mia. Domani. Finiamolo il prima possibile. – dice diretta rimettendo il tappo al pennarello nero e infilandoselo in tasca.
- Ok. – risponde la bionda e continuano per la loro strada verso i loro armadietti, ai lati opposti.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8. - I'll always be me - Ok. ***


Capitolo 8.
 

- I’ll always be me –
Ok.

 
Ronnie’s pov
- Tu, piccolo essere minuscolo, come hai potuto farmi questo? Sei una cogliona, lo sai? – Jennie sta sclerando accanto a me. – Mi hai rifilata a Max pallone gonfiato, ti rendi conto? – Jennie sta sclerando, ma non me la sto filando di striscio.
Continuo a fissarmi la mano e la via scritta in nero sopra di essa.
L’indirizzo di Eizabeth Winstor sulla mia mano.
Mi ha sorpresa.
Temevo mi riempisse di insulti, invece si è limitata di segnarmi il suo indirizzo.
Quanta gente lo vorrebbe?
- Mi stai ascoltando Ronnie? – esclama Jennie bloccandosi improvvisamente
- Sinceramente no. – rispondo con un sorriso innocente sul volto. Jennie mi guarda male ma poi continua a camminare.
- Che farai quindi? Non avrai mica intenzione di andarci, vero? –
Sospiro: - È un compito di scuola, Jennie. Non posso fare niente se non accettare. –
“Anche se è, praticamente, un omicidio.”
- Ti odio! Ti odierò per sempre! – esclama alzando le braccia in aria.
Non è seria.
Spero.
È una mia amica.
Anzi, la mia unica amica.
 
Avevo delle migliori amiche, a danza.
Ed andavamo  sempre d’accordo.
Pensavo “Finalmente qualcuno che parla la mia stessa lingua!”.
Alternavamo i pettegolezzi alle impressioni su ‘Il Lago Dei Cigni’ o de ‘La Bella Addormentata’.
Era così bello.
 
Mi hanno costretta a smettere.
Avrei potuto vivere di aria e danza.
Ma me l’hanno impedito.
Mi descrivevano come ‘un talento da non sprecare.’.
Ma loro non hanno ascoltato.
Non hanno voluto sentir ragioni e mi hanno buttata dentro un fottuto centro specializzato.
Sono morta.
 
Mi giro per guardarla negli occhi, e dentro ci leggo qualcosa.
Paura.
- Di cosa hai paura, Jennie? – chiedo piano, sussurrando.
- Che tu diventi come loro, come lei. – sembra che si voglia mettere a piangere – Sei una persona così genuina, carina e che sa cosa sono i valori. Ho paura che frequentarla ti rovinerà. –
Istintivamente l’abbraccio.
- Sei così tenera e indifesa, Jennie. – le sussurro
- Dimmi che non cambierai. –
- Non cambierò, Jennie. Stai tranquilla. Sarò per sempre Ronnie Smith. – ci stacchiamo e Jennie sale sulle scalette di casa sua.
La osservo entrare, poi prendo l’IPod e la sua voce comincia a girare nel mio sangue.
 

Elizabeth’s Pov
- Elizabeth sta con una sfigata! Elizabeth sta con una sfigata! Elizabeth sta con una sfigata! –
Ecco il bellissimo coro che mi attende appena salita sull’autobus.
Viene dal mio gruppo di ‘amici’.
Faccio finta di non sentirli e mi siedo, invece che vicino a un divertito Mike, da sola qualche fila più avanti.
Mi infilo nelle orecchie l’IPod.
Parte lui e per i prossimi venti minuti non ci sono per nessuno.
 
Entro in casa sbattendo la porta e lanciando lo zaino a terra.
- Com’è andata la giornata oggi, Elz? – grida mia madre dalla cucina
- Come sempre. – rispondo raccogliendo i trucchi nel mio zaino
- Che si mangia oggi? – mio padre entra con il suo grido di battaglia seguito dal mio fratellastro.
- Ragù. – risponde mia madre.
Mio padre mi passa accanto senza nemmeno guardarmi e poi raggiunge mamma, dandole un bacio leggero sulle labbra.
- Chiamami quand’è pronto, mamma. – sottolineo la parola ‘mamma’ e poi salgo in camera, per risistemare i trucchi e la mia camera.
 
- Elizabeth! Vieni giù, è pronto! – è mio padre a chiamarmi dalle scale.
“Nemmeno si degna di venirmi a chiamare.” Penso uscendo e scendendo le scale, passandogli accanto.
Ci sediamo tutti intorno al tavolo.
Io davanti a lui.
- Allora, Elizabeth, com’è andata scuola? –
Mi fanno sempre la stessa domanda.
- Ok. –
- E le amicizie? –
- Ok. –
- Lo studio? –
- Ok. –
- Puoi dire qualcos’altro oltre a ‘Ok’, Elizabeth?  Tuo padre sta solo cercando di importarsi di te.–
“Certo, perché ci sei tu. Altrimenti non se ne fregherebbe.”
- Ok. – rispondo infilando in bocca una forchettata di spaghetti.
È sempre così.
Quando c’è lui, l’aria diventa tensione.
Io non esisto più, divento solo una spettatrice che guarda le loro vite e ascolta le loro discussioni senza esserci.
Un film.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9. - Guilt - I've said too much. ***


Author's notes;
Sì, io continuo a sfornare 'sti cosi anche se quasi nessuno li legge o li recensiona. e.e
Ma non posso resistere all'Ispirazione e alla mia migliore amica. e.e

stay strong,
Alice.


Capitolo 9.
 

Guilt.
I’ve said too much.

 
- Il giorno dopo -

Ronnie’s Pov
 

She was scared of it all, watching from far away 


Ancora mi chiedo perché sto qui davanti a questa dannata porta.
Sono le due e cinquantacinque minuti e trenta secondi spaccati, ho ancora il tempo per prendere l’autobus.
Odio essere in ritardo o troppo in anticipo, ma considerando cosa sto per fare,mi sto lasciando questi ultimi cinque minuti per assaporarmeli e viverli.
 
Sono come gli ultimi cinque minuti prima dell’inizio dello spettacolo.
Li puoi passare mangiando, chiacchierando e standotene al centro del palcoscenico respirando profondamente.
In questi ultimi cinque minuti, è come se i tuoi sensi si acuissero e riesci a sentire anche il respiro degli spettatori che stanno entrando.
Senti tutto, davvero tutto.
L’eccitazione, la pura, la voglia, l’odio, l’amore, la fatica, l’attesa.
Li senti tutti sulla tua pelle e ti viene la pelle d’oca.
Ti sembra che quegli ultimi cinque minuti prima del debutto, siano più intensi di ogni altra cosa.
Più delle sfiancanti lezioni, più dei crampi ai piedi, più del dolore ad ogni parte del corpo, più delle ore al giorno, più dello stress degli ultimi giorni.
Sono i più intensi di tutto l’anno.
Gli ultimi dieci secondi, da quando il regista lo annuncia, sono i peggiori.
Passi in rassegna tutto il palco, le quinte, i colori, le tende.
Guardi i tuoi compagni come per l’ultima volta, perché sai che non sarai più la stessa, dopo.
 
La paura mi paralizza, ma la voglia mi spinge ad alzare il dito e premere il campanello di casa Winstor.
Sono le tre spaccate.
Mi apre la porta una signora che è tutta Elizabeth.
Stessi occhi, stessi capelli, stessa forma del viso.
Sarà sua madre, probabilmente ha trent’anni.
- Buongiorno signora Winstor. – balbetto piano abbassando lo sguardo lo sguardo intimorita dal suo, che probabilmente mi starà studiando e mi starà etichettando come ‘sfigata’.
- Tu devi essere Ronnie, vero? Chiamami Maggie. Sentirmi chiamare ‘signora Winstor’ mi fa sentire vecchia. – dice con un sorriso raggiante sul volto, stupendomi della sua voce chiara e allegra. Spalanca la porta e continua – Ti prego, entra e accomodati. Fai come se fossi a casa tua. –
Ok, forse sto impazzendo e la paura mi fa brutti scherzi.
Faccio due passi ed entro nell’atrio di casa Smith.
Già da qui, si capisce che non è una comune casa mortale.
La donna si dirige in cucina, quasi saltellando.
Sembra estremamente contenta della mia presenza qui.
La seguo in silenzio.
Mi dice di appoggiare lo zaino sul tavolo, ed io obbedisco.
- Elizabeth mi ha detto che dovete fare un progetto insieme. Sono così contenta che sei capitata tu, qualcuno di diverso, finalmente. Vuoi qualcosa da mangiare? Un dolce, magari? Abbiamo una fetta di torta al cioccolato, delle caramelle, delle barrette e… -
- No! – esclamo a voce troppo alta.
Maggie si blocca mentre ha in mano una tavoletta di cioccolato fondente.
- Volevo dire, no grazie. – mi correggo a bassa voce.
Passa un istante di silenzio, poi la donna sorride e comincia a fischiettare.
L’improvvisa alzata di voce non sembra averla scalfita e tranquillamente rimette tutti i dolciumi e cioccolatini dentro una scatola.
So che, se avesse continuato così, non avrei resistito ad assaggiare qualcosa, ma non posso proprio lasciarmi ad un piacere simile.
Il mio corpo ha bisogno, reclama, urla del cibo, e c’è quel pezzo di cioccolata fondente che mi attira.
Ma non posso permetterlo.
Mi rendo conto di aver pensato al mangiare qualcosa.
Stasera ci penserò io per questa mia mente malata.
Passa qualche minuto, poi la voce di Elizabeth proviene dalle scale:
- Chi è, mamma? –
- Vieni giù e lo scoprirai, Elz! – risponde Maggie.
Comincio a sudare freddo e a tremare.
La testa inizia a girare vorticosamente e il cuore prende il volo.
Sta per arrivare.
Miss Elizabeth sono la migliore, amatemi Winstor sta per arrivare.

 

Elizabeth’s Pov

 
She was given a role, never knew just when to play 

- Mamma se non è minimo minimo Britney Spears io… ah, sei tu. –
La ragazza bionda, Smth, è seduta al tavolo della cucina e mamma sta facendo qualcosa.
Sopra il tavolo c’è uno zaino della Eastpack viola.
“Perché viola?” penso osservandolo e uccido un sorriso che sta per nascere sul mio viso, non vorrei che fraintendesse.
Vorrei sorridere perché è il suo colore preferito.
- Ah, Smith. Ciao. – dico indifferente
- Eliz… Winstor. – risponde.
Mia madre smette di fare quello che stava facendo e ci guarda tra il serio e il preoccupato.
C’è una piccolo tensione tra noi due.
Non quanto quella che c’è quando ‘mio padre’ ritorna a casa.
- Beh, su, andate di sopra a studiare. Vengo tra un po’ per portarvi la merenda. – esclama mamma e con un sorriso consegna a me il suo zaino e fa alzare la Smith che mi segue su per le scale silenziosa e con la testa bassa.
La faccio entrare nella camera degli ospiti, perché non è degna di entrare nella mia camera.
È una bella stanza, luminosa, grande.
C’è un letto, un armadio e una scrivania.
Poggio sul letto lo zaino svogliatamente e apro la finestra.
- Ho caldo. – dico senza che me l’abbia chiesto.
Prendo una sedia e mi ci siedo al contrario, intanto Smith ha preso i libri e li ha appoggiati sulla scrivania.
- Vuoi una gomma? – dico prendendo un pacchetto di chewingum. Smith sembra guardarlo terrorizzata poi rifiuta gentilmente. Sbuffo e me ne ficco una dentro la bocca, cominciando a masticare fortemente. – Che dobbiamo fare? –
- Non sei stata attenta alla lezione oggi? –
“Ero troppo presa dal dirmi di quanto fossi stupida.”
- Ho di meglio da fare, io, che stare a sentire degli stupidi sottopagati. – ribatto e mi sdraio, quasi, sulla scrivania. – Comunque. –
- Ha detto che dobbiamo scrivere una storia sull’amicizia. Su quanto le persone possano sembrare diverse, ma che alla fine diventano separati. –
“Noioso. Noioso. Noioso. E senza riferimenti, eh? Ma tanto cosa mi dovevo aspettare da una secchiona e un prof logorroico e psicopatico?”
Sbuffo scocciata.
- E secondo te da cosa dovremmo cominciare? –
- Beh, lo spunto che mi è venuto in mente è una legge scientifica sugli opposti… - dice guardandomi.
La guardo annoiata.
“Ti sembra che ora io mi possa mettere a pensare alle fottute leggi scientifiche?”
- Gli opposti si attraggono. – lo dice in un sospiro, col tono deluso.
Sbuffo la terza volta.
- Da dove vuoi iniziare? –
- Ma che ne so! – esclamo – Io non so nemmeno cosa sia l’amicizia! – mi lascio sfuggire.
Smith mi guarda.
Lo sguardo sorpreso dura un secondo, poi lo ributta sul quaderno.
Ho detto troppo.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10. - Like Twilight - Ehi vampire! ***


Capitolo 10.

 
Like Twilight.
- Ehi vampire! -

 
Ronnie’s Pov
 

And she tried to survive living her life on her own 
Always afraid of the throne 

 
‘Ehi Ron, scusa, ma non mi sento tanto bene. Oggi non vengo a scuola. Ci pensi tu ai compiti, ok? Poi ti chiamo nel pomeriggio. Bacio. Jen.’
Fantastico.
Oggi Jennie non viene a scuola ed io sono tutta sola davanti alla porta della scuola, in attesa che quella stramaledetta campanella suoni.
Ho sparato nell’ IPod Justin, che mi dice di non arrendermi, mai.
‘I will never say never! I will fight to forever!’
Canto senza voce.
 
Quanto desidero incontrarlo?
Vorrei stare davanti a lui e ringraziarlo di tutto, piangendo.
Ringraziarlo perché c’è sempre, perché non mi lascia mai sola e perché mi salva la vita.
Vorrei incontrare anche Demi.
E vorrei avere una migliore amica.
Sì, Jennie è una buona amica, ma lei non sa niente di tutto quello che faccio o che passo.
Nn mi sembra pronta, ecco.
Lei vive nel mondo delle favole, perché riportarla alla realtà con la mia storia sanguinolenta e depressiva?
 
Sospiro e chiudo gli occhi.
Sarò una giornata molto lunga e noiosa.
Come ho già detto, sono sola a scuola.
 
I miei compagni di scuola hanno così tante idee diverse su di me.
Chi pensa che io abbia una malattia incurabile e super contagiosa, chi pensa che io sia un vampiro, chi pensa che io sia un qualche clone, chi pensa che io sia uno zombie, venuta qui sulla Terra per uccidere tutti gli essere umani e conquistare il mondo.
Ammetto che vorrei tanto essere un vampiro, in modo tale che possa uccidere tutti quanti qui.
E poi sarei perfetta per sempre.
Molto stile ‘Twilight’, insomma.
 
Sbuffo, qualcuno mi sta picchiettando sulla spalla.
Apro gli occhi e sto per dirgli di lasciarmi in pace.
Una ragazza mi sta dicendo che è ora di entrare.
Cazzo, non ho sentito la campanella.
Mi tolgo le cuffiette, sussurro un ‘Grazie’ e cammino dentro, fino al mio armadietto.
Mi fa male il taglio di ieri sera.
Forse, e dico forse, ho esagerato.
Magari l’ho fatto troppo profondo, magari dovrei smettere…
No.
Chiudo questi pensieri dentro il libro di chimica, che lancio malamente dentro l’armadietto, chiudendolo.
Mi infilo il cappuccio e a testa bassa mi dirigo verso l’aula di inglese.

 

Elizabeth’s Pov

 
But you've given me strength to find home 

- E allora? Com’è andata con Ronesie sono una malata contagiosa Smith? –
- Com’era? Gelida? – la battuta di Mike fa ridere tutti, tranne me.
 
Non sopporto quando delle persone prendono in giro la gente.
Se solo sapessero come ci si sente ad essere scimmiottati.
Se solo sapessero come ci si sente ad essere ridicolizzati davanti a tutti.
Se solo sapessero come ci si sente ad essere umiliati.
Se solo sapessero che fino a qualche tempo fa, anch’io ero parte di quell’altro gruppo.
 
- Che nome del cazzo, che ha. Dico, sembra del mille e ottocento! – esclama Cassie e tutti ridono.
Vorrei tanto urlarle in faccia di andare a farsi fottere e dire che Cassandra è vecchio come mia nonna, ma me ne sto zitta a guardare il cielo.
La campanella finalmente suona e una mandria di bufali entra dentro.
Io e il gruppo entriamo dopo, con tutta calma.
 
Siamo i soliti stereotipi da film.
Quelli belli, quelli forti, quelli che tutti vorrebbero essere.
Comandiamo, su tutto e tutti.
Ricordo quando ero una di loro.
Con gli occhiali e l’apparecchio.
Mi sentivo una merda, i ragazzi mi prendevano in giro e la mia vita mi sembrava facesse schifo.
Ammetto che a volte vorrei tornare a quel periodo.
 
- Ehi! Attenta dove guardi, sfigata! – esclamo quando una ragazza va a sbattere contro di me.
- Che succede Elz? – Mike mi è subito a fianco.
- Questa sfigata mi è venuta addosso. – piagnucolo appoggiandomi a lui.
- Fa vedere chi è, che ci penso io. Nessuno da fastidio alla mia ragazza. –
“Non sono la tua ragazza.” Penso ma mi stringo di più a lui.
Tira via il cappuccio e ne escono dei capelli biondi.
- Ehi ragazzi! Guardate chi c’è! Sono malata non toccatemi Smith! – esclama Mike cominciando a ridere – Che succede, vampiretta? I tuoi canini sentivano odore di sangue puro? – cominciano a ridere.
- Lasciami Mike. – ribatte lei fredda e indifferente. Riesce a liberarsi dalla presa del ragazzo e torna a farsi i cazzi suoi, superandoci.
- Ehi tu! – esclama il ‘mio ragazzo’ – Come ti permetti di farla franca così? – mi lascia e corre verso Smith che si gira e improvvisamente si ritrova spalle al muro. Ci avviciniamo cauti. – Sai a chi stai parlando eh malata? – le parla a due millimetri dalla faccia e quasi ringhia. Non è mai stato affrontato così da qualcuno.
- Sì. – risponde tranquilla – Ad un enorme deficiente cretino stupido coglione. – continua sicura, guardandolo negli occhi.
La campanella suona.
Mike guarda Smith con odio, le sussurra qualcosa pianissimo all’orecchio e la ragazza è a terra, mentre si tiene un fianco.
- Oh, che c’è, Smith? Hai perso le palle? – la scimmiotta Mike riallacciandosi a me. La bionda alza lo sguardo, è pieno di lacrime.
- Sei un coglione, Mike. –
Il ragazzo sputa a terra, poi entra dentro l’aula di storia. Gli dico che entro tra poco, prima devo fare una cosa.
Controllo che si siano posizionati tutti, poi le rivolgo la parola:
- Ehi, senti, oggi a casa mia non si può. Facciamo a casa tua il cazzo di progetto, ok? Dove abiti? – la bionda sputa il suo indirizzo – Sarò da te alle tre, vedi di renderti presentabile. – termino ed entro in classe.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11. - Ill - Barbie. ***


Capitolo 11.
 

Ill.
Barbie.

 
Ronnie’s Pov
Non capisco che diavolo mi abbia preso.
Mettermi contro Mike? Sputargli in faccia tutto quello che penso di lui?
Mi sa che stamattina lo zucchero, non era molto zucchero. Forse avevo comprato una bustina di droga e non me lo ricordavo.
Fatto sta che ora ho un dolore lancinante al fianco r che ho bisogno di andare in bagno, a vomitare.
Anche in fretta.
- Prof, scusi. – dico alzando la mano, interrompendo la lettura del brano di non so chi.
- Sì, signorina Smith? – dice la prof abbassandosi gli occhiali per studiarmi, di solito non parlo mai.
- Scusi prof, potrei andare in bagno? È una cosa abbastanza urgente. – rispondo seria.
La prof annuisce scocciata e mentre esco dall’aula la sento gridare ‘Una cosa veloce Smith!’.
“Vaffanculo.” Penso in risposta.
Vedo che stranamente il bagno è libero, così mi fiondo sul water, serrandomi la porta dietro e infilo due diti in gola.
Mi lascio andare ad occhi chiusi.
Sto li sopra finchè non sono del tutto vuota, come un tubo fatto di ossa che ricopre il niente, se non qualche organo raggrinzito.
La testa mi pulsa, mi fa male lo stomaco e il cuore.
Tiro giù lo scarico con un sospiro e poi apro la porta.
Una ragazza mi guarda terrorizzata.
Ha sentito tutto e in effetti non ho una bella cera.
- Io, io vado a chiamare il preside. Vai, vai in infermeria. – balbetta impaurita.
- Del preside non c’è bisogno, vado subito in infermeria e mi faccio fare un permesso per uscire prima. – dico con un sorriso rassicurante.
Esco dal bagno delle ragazze e lentamente mi dirigo all’aula di infermeria.
Sto per aprire la porta quando un lampo di genio mi illumina.
“Se entro qui dentro, scopriranno tutto. E mi faranno tornare al manicomio centro di specializzazione.”
Infilo la mano nella tasca della felpa, e dopo essermi infilata in cappuccio esco da scuola.
 
Mi sembra assurdo, certe volte.
Voglio dire, chi me lo fa fare?
Chi me lo fa fare di cercare di essere magrissima? Chi me lo fa fare di ammazzarmi ogni notte di tagli? Chi me lo fa fare di non mangiare nulla?
Mi sento così stupida, davvero.
Ma poi mi viene in mente Alexandra.
Sono certa che lei sarebbe fiera di me.
La sogno, di notte.
La sogno bella com’era e come sarà per sempre.
La sogno che mi dice ‘Sono fiera di te, Ronnie. Stai facendo un ottimo lavoro. Esagera ogni giorno di più, puoi farcela.’
E come posso resistere a lei?
Era praticamente tutto quello che avevo.
Era una sorella, era mia madre, era il mio esempio.
 
Senza accorgermene sono arrivata al parco.
Il grande parco verde che sta a dieci minuti da scuola.
Ok, il mio ‘pomeriggio a casa ammalata’ lo passerò qui, all’aria aperta.
 E fanculo alla scuola.
Mi appoggio sotto un acero dalle grandi foglie.
Sono le stesse foglie della bandiera del Canada.
Sorrido al sole che mi tocca la pelle.
Se fossi un vampiro, a quest’ora, sarei bruciata viva, ma non lo sono.
 

Elizabeth’s Pov
Messaggio da mamma.
‘Ehi Elz, ho un set fotografico stamattina e mi hanno chiesto di scegliere una modella. Ho scelto te, ovviamente. JDovrai uscire prima da scuola, tuo padre sa già tutto e…’
- La signorina Winstor Elizabeth è richiesta dal preside. – la voce metallica della segretaria  interrompe la prof.
Chiudo sorridente il cellulare ed esco dall’aula seguita dagli sguardi curiosi di tutti i compagni che si chiederanno che ho combinato e la prof.
Se quella di storia prova a dirmi qualcosa la faccio licenziare.
Salgo le scale per arrivare al secondo piano poi giro a sinistra e la prima aula è quella di ‘papà’.
Entro direttamente senza bussare.
- Ah Elz, vedo che sei vanuta subito. – lui, non si deve permettere di chiamarmi ‘Elz. Mi irrit ma rimango lo stesso con una faccia neutra. – Sai già tutto, no? Ecco il permesso e divertiti. –
- Sì, ciao. – dico per chiudere ‘la conversazione’ e corro fuori dalla scuola, dopo aver consegnato il permesso ai bidelli.
Sono al parco in dieci minuti e mi avvio verso il laghetto, luogo del servizio fotografico.
- Tesoro! – mia madre spunta improvvisamente e le vado incontro.
- Mamma, dimmi dove devo cambiarmi. – dico eccitatissima.
Ho un sorrisone stampato sul volto e non mi sono mai sentita più leggera.
- Ehi, calma tesoro. – dice rammonendomi dolcemente – George, lei è mia figlia Elizabeth. – continua presentandomi a un uomo con un gilet beige, pantaloni verde militare e un basco in testa.
È abbastanza ridicolo e faccio uno sforzo enorme per non sfotterlo davanti a tutti.
Tira fuori dalla tasca del gilet un paio d’occhialoni nero, che lo rende ancora più ridicolo, ma è il fotografo.
Trattengo una sonora risata.
- È uguale a te, Maggie. – dice con una cadenza francese.
- Già. – risponde mia madre, guardandomi fiera.
- Bene, mi sembri perfetta, tesoro. Vai, su, segui Aurora che ti poterà nel camerino. – mi giro verso la ventenne vestita rigida e una cartelletta rosa fucsia in mano.
“Tesoro?! Oddio, qualcosa mi dice che il fotografo non è esattamente ciò che si dice un ‘uomo virile’.”
Mi porta dentro un gazebo chiuso ai lati dove dentro ci sono due ragazze che cominciano a prepararmi.
 Pagine di Vanity Fair, sto arrivando.
 
Quando ero l’altra Elizabeth sognavo di fare l’avvocato o la giornalista.
Mi preparavo a studiare a Oxford o Stantford.
E questo era il motivo per cui ero considerata ‘sfigata’: io avevo dei sogni, la maggior parte dei miei coetanei sognavano, al massimo, di diventare calciatore o modella.
Ero da sola a seguire questo sogno.
Poi mia madre ha sposato il preside della mia scuola e lì ho conosciuto Mike.
Ho avuto paura di lui, non tanto per la stazza, quanto più per il giudizio che poteva avere di me.
È entrata in gioco Cassie e oggi sono una Barbie perfetta e stupida.
 
- Perfetta così, tesoro! Perfetta! – i complimenti del fotografo non possono altro che farmi piacere ma quando urla sembra una donna.
Non devo scoppiare a ridere, ma è inevitabile, e in un primo momento George si ferma, poi più estasiato di prima riprende gli scatti, due volte più velocemente e urlando due volte più forte.

*

- Ok, io penso che possa bastare. Elizabeth, vieni un attimo qui. – mi avvicino timorosa, come una brava bambina -  Sei stata magnifique! Magnifica! Magica! Perfetta! Hai un talento per posare, tesoro! – esclama George agitando le braccia in aria.
Gli sorrido illuminata e lo ringrazio infinite volte in francese.
- Mercì, mercì! – esclamo finchè non mi lascia libera di andare.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12. - Psyco - Me too. ***


Capitolo 12.
 

Psyco.
Me too.

 
Ronnie’s Pov
 

You had your dreams, I had mine 


- Non ci credo che hai fatto questo, Ron. Sei il mio mito a partire da ora. – Jennie è eccitata alla notizia del mio incontro-scontro con Mike. Beata lei.
- Non so nemmeno che mi abbia preso. E poi ho un’altra notizia bomba. –
- Spara, donna. –
- La Winstor, è una modella. –
- Cosa? E come fai a saperlo, Ronnie? Hai aperto uno di quei giornali patinati dove ci sono stereotipi di ragazze magrissime e anoressiche? –
- No. L’ho vista al parco, stamattina. –
- Vorrai dire oggi pomeriggio. –
- Ah, già, tu non c’eri. – mi lascio sfuggire.
- Cosa mi sono persa? – chiede infatti sospettosa.
- Niente, niente. Solo che non avevo voglia di stare a scuola, ho finto un mal di testa e mi hanno lasciata uscire prima. – mi affretto a giustificare.
- Mmmh, ti credo. – dice dopo un po’ di silenzio.
Il campanello suona e il mio cuore prende a cavalcare.
È sulla porta di casa mia.
- Ha suonato? – chiede la ragazza al telefono.
Ma ha gli ultrasuoni o cosa?
- Va’ ad aprire, per favore. – mi tratta come se fosse lì presente.
Vado ad aprire lentamente, sapendo esattamente chi c’è dall’altra parte.
Infatti una Elizabeth Winstor scocciata mi attende.
- Ehm, Jen, devo chiudere. Ci sentiamo stasera. – dico di fretta e chiudo il telefono. Cerco di darmi un contengo con la voce e poi continuo: - Winstor. –
- Smith. – ribatte lei ed entra in casa mia.
Ho l’impressione di sentirla dire ‘Bleah’ ma è solo un’impressione, spero.
- Finiamo subito, Smith. Ho un appuntamento al cinema alle sette. –
“Se fosse per me potresti andartene anche subito.”
Appoggia i libri sul tavolo e si siede sul divano.
Mi siedo davanti a lei, a debita distanza.
- Allora, hai qualche idea? – sussurro aprendo una pagina bianca del quaderno di italiano.
- Ho idea di non aver mai voluto fare questo fottuto progetto con te. – dice guardandosi le unghie, quasi dipendesse da esse la vita e la morta.
 
La scuola è una scusa.
È una scusa per tenermi impegnata.
Mento a me stessa andando a scuola.
Mento pensando che andandoci le cose vanno bene, sto bene, vivo una vita normale.
Mi sveglio, mi lavo, vado a scuola, conoscono gente, parlo, rido, torno a casa e mangio.
Ma la notte realizzo che non è così.
È,  più che un bisogno di sapere, un modo per distrarmi da ciò che realmente vivo e provo.
Tanto a cosa mi serve quando, anche se facessi tutti gli anni, nessuna università mi prenderebbe?
Con la mia cartella clinica mi si è chiusa ogni porta di università.
‘Soffre di depressione. Anoressia. Problemi mentali riguardanti il cibo e qualunque cosa commestibile. Scappata di casa a sedici anni. In clinica per sei mesi.’
Mi hanno descritta come una pazza furiosa.
E comincio a pensare che abbiano ragione.
 

Elizabeth’s Pov


You had your fears, I was fine 

Ho bisogno di rifarmi il trucco, troppo tempo che ce l’ho su così uguale.
Smith è troppo pesante, quasi peggio dei prof.
Spara idee e propone inizi a raffica e a me comincia a dare sui nervi.
- Vado un attimo in bagno. – dico e mi alzo anche se non mi sente.
Esco dalla sala e vado in fondo al corridoio dove ci sono due stanze una a destra e una a sinistra.
Apro poco la porta di quella a destra e riconosco delle pareti bianche.
Il bagno dev’essere questo.
Apro definitivamente la porta ed è una stanza ben più grande di un bagno e anche se fosse, la Smith non se lo potrebbe permettere.
C’è un letto attaccato al muro, con una finestra aperta, un armadio e una scrivania.
Mi rendo conto che è la sua camera da letto.
Ora, ci sono due cose che potrei fare: o entrare e ficcanasare nella vita del vampiro Smith oppure uscirmene come se nulla fosse.
Opto per la prima opzione e mi chiudo la porta piano alle spalle.
Mi avvicino alla scrivania che non ha uno specchio, ma ha bensì uno stereo, un computer, dei libri, un quaderno e un porta cd.
Ficcanaso uno po’ in tutti e poi afferro il porta cd.
Vediamo cosa ascolta Smith.
Magari quei rapper depressi che canta di quanto il mondo faccia schifo, oppure una di quelle band punk ed emo che vogliono ammazzarsi, o forse del rock punk aggressivo e fottuto.
Tiro la zip e mi sorprendo nel vedere che il primo cd è di Beyoncè.
La Smith che ascolta Beyoncè, sembra una battuta.
Magari le serve per rendersi conto di quello che lei non è, e non sarà mai.
Giro pagina per pagine e constato che la ragazza ha una grande cultura musicale.
Ascolta un po’ di tutto, dal rock al pop.
Tutti i cd sembrano molto usati, dovrebbe farsi un IPod.
Purtroppo, un punto a suo favore.
Eviterò di parlare di musica con lei, visto che ha molti gusti in comune con me.
Arrivo alle ultime due pagine e tirata via l’ultima mi paralizzo.
 
Justin.
Justin Bieber.
Justin Drew Bieber.
Lei lo ascolta.
Lei ascolta Justin Drew Bieber.
E lo ascolto anche io.
 
Rimango a fissare la copertina che conosco a memoria di ‘My World’, sperando che sia solo un’illusione.
Non può ascoltarlo anche lei.
- Che ci fai qui dentro? – esclama Smith alla porta – Esci dalla mia camera! – grida e ripresami non del tutto dallo schock esco.
- Sono le sei e cinquanta, meglio che vada. – dico e ritiro tutti i libri sul tavolo.
Smith mi apre la porta e capisco che ha voglia che me ne vada subito perché deve disinfettare la sua camera.
Prima di chiudermi la porta alle spalle le dico:
- Anch’io ascolto Justin Bieber. –

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 13. - Little smile - Needs. ***


Capitolo 13.
 

Little smile.
Needs.

 
Ronnie’s Pov
- Dici davvero? –
- No, per finta. – mi immagino la faccia di Jennie e mi affretto ad aggiungere – Certo che sì! Ti pare che ci scherzo sopra? –
- Elizabeth Winstor che entra in camera tua e tu non te ne accorgi. Epico. –
- Ero troppo concentrata su quel cazzo di tema. – dico in un impeto di rabbia.
- È strano che non è entrata in casa tua con i trombettieri e non abbia preteso un tappeto rosso. – Jennie fa questa riflessione e mi rendo conto di essere d’accordo con lei.
- Già. –
- Com’è andata, comunque? –
- A parte il fatto che è entrata in camera mia e stava ficcanasando tra le mie cose? Male. Quella ragazza o è stupida o è stupida. –
- Lo so, Ronnie, ma devi sopportarla. Ne va del tuo compito, dei tuoi voti e quindi del tuo futuro. –
“Già, magari.”
- Ehi Ron, devo andare a mangiare. Sergente mamma mi chiama. Ci sentiamo domani, eh? Grazie per i compiti. –
- Di nulla, Jennie. –
 
La mattina dopo ho paura a presentarmi a scuola.
Se ci fosse Mike ad aspettarmi?
Ieri se mi voleva picchiare, l’avrebbe fatto dopo la scuola, sicuramente.
Un brivido mi corre per la schiena.
Come avrebbe potuto ridurmi?
Minimo in briciole, ma anche in polvere semplicemente stringendo un po’ la presa.
Ma forse la cosa che più mi terrorizza è Elizabeth.
Ha scoperto chi mi dà la forza, chi mi aiuta a sopravvivere.
E se lo venisse a dire a qualcuno?
Dio, che figura.
Vorrei scappare in questo momento, uscire da scuola e non tornare più.
Trasferirmi in Canada e vivere in pace lì.
Cammino tra le file di ragazzi a testa bassa, aspettandomi da un momento all’altro o Mike o un qualcuno che mi viene a dire ‘Ti piace Biberon! Ti piace Biberon!’ ed io non riuscirei a non impazzire, facendo ancora di più una figura di merda.
Arrivo al mio armadietto e poi in classe senza vedere né l’uno né l’altro.
E anche la giornata procede come sempre, come se non esistessi.
Jennie è ancora a casa malata e quindi sono a pranzo da sola.
Nessuno sembra accorgersi della mia presenza, come se fossi un fantasma.
È tutto come sempre.
Nessuno che mi lancia occhiate divertite, o nessuno che mi ammazza.
Un pensiero mi si fa strada nella confusione che ho.
E se Elizabeth non avesse detto niente?
Se fosse rimasta zitta riguardo a cosa ha scoperto in camera mia?
Se non avesse parlato con nessuno di Justin?
Le cose sembrano dire questo.
Dovrei esserle riconoscente?
Dovrei andare da lei e dirle ‘Grazie per non aver svelato il mio segreto’?
Dovrei correrle incontro, abbracciarla e ringraziarla un milione di volte rendendomi ridicola?
Dovrei semplicemente mangiare?
Ma che…?
Devo semplicemente tranquillizzarmi e stare calma.
Mi lascio del tempo per pensare.
Per pensare a quelle parole che mi ha detto ieri sera, prima che la cacciassi/se ne andasse.
 
‘Anch’io ascolto Justin Bieber.’
L’ha detto in tono da confessione.
Quasi fosse un segreto che non aveva mai detto a nessuno.
Un soffio.
Era sincera, le leggevo l’agitazione al limite delle labbra mentre pronunciava ‘Justin’ e ‘Bieber’, e le guardavo gli occhi che voleva quasi mettersi a piangere, sembrava.
E poi quel leggero sorriso mentre scendeva le scale.
 
Mi ricordo improvvisamente dei compiti di algebra e conoscendomi so che non sarà una passeggiata farli correttamente al primo colpo.
Apro il libro degli esercizi e cancellando il pensiero di prima mi immergo nella matematica.
 

Elizabeth’s Pov
Sono ancora scioccata.
Oh sì.
Me ne rendo conto perché non sono presente con la testa, perché mi dimentico quasi di truccarmi e farmi la piastra, perché mi dimentico di Mike e del cinema di ieri sera.
Cassie e le ragazze parlano ininterrottamente da un’ora, ‘Quanto è bello Johnny Depp!’ ‘Se dovessi farmi sverginare, mi farei stuprare volentieri da lui.’ strillano e ho voglia di picchiarle, ma rimango ferma al mio posto, vicino a Mike che parla, ovviamente, di sé stesso.
 
Se non fossero tutti così stupidi, potrei parlare con loro anche di altre cose, oltre ai trucchi e agli attori.
Potrei parlare con loro di musica, di come quest’arte mi salvi dalla perfetta e schifosa realtà in cui vivo, dei miei sogni, delle mie speranze e ci sarebbe anche spazio per parlare di Justin.
Il mio idolo.
Colui a cui mi ispiro e il quale spero di incontrare un giorno.
Potrei parlarne se non fossero tutti così fottutamente egocentrici.
 
Sospiro rassegnata.
“È questa la vita che ti sei scelta, Elizabeth. Ora ne subisci le conseguenze.” Dice la voce della mia coscienza.
“Stai zitta.” Le ordino e torno al finestrino.
 
- Andiamo a fare shopping, Elz. Vieni con noi? – mi chiede Cassie prima di scendere davanti casa.
Faccio cenno di no con la testa senza dare spiegazioni, e loro non me ne chiedono.
Peccato, hanno perso l’unica proprietaria con una carta nera.
- Mamma! Sono a casa! – nessuna risposta.
Vado in cucina e c’è un biglietto sopra il tavolo.
È la scritta di mia madre, lo apro e recita così:
‘Ehi Elz! Probabilmente ti chiederai perché non sono a casa. L’arcano mistero è presto risolto: ho un servizio su Paris Hilton e sono dovuta partire in fretta e furia per Los Angeles. Il pranzo è dentro il forno. Per cena dovrei essere a casa, altrimenti non riesci ad organizzarti con le tue amiche? Un bacio, ti voglio bene. Mamma.’
Oh, un pomeriggio tutta sola.
Fantastico.
Apro il forno e ci trovo effettivamente delle lasagne alla bolognese ma oggi non mi va di mangiare così pesante, mi preparo un’insalata e mi piazzo davanti alla televisione.
Più che stare a sentire, passo il tempo a pensare.
 
Perché non ho detto niente agli altri del segreto di Smith Ronnie?
Perché ho avuto timore nell’aprir bocca?
Perché ho avuto paura?
Forse, e dico forse, l’ho fatto perché non volevo vederla stare male?
Che razza di pensieri sono, Elizabeth?
Non è che stai cominciando a valutare l’opzione che tu e Smith possiate anche rivolgervi la parola anche a scuola?
Non è che sta cominciando a piacerti?
C’è una remota possibilità che voi due diventiate amiche?
Rabbrividisco al pensiero.
Io e Smith Ronnie che diventiamo amiche.
Insieme.
Che facciamo shopping in centro e che ascoltiamo a palla Justin mentre ci raccontiamo gli ultimi pettegolezzi, ci raccontiamo segreti o che ci consoliamo.
Che ci chiamiamo alle tre di notte perché una non riesce a dormire.
Che facciamo a turno per andare a dormire una sera da una, una sera dall’altra.
Che diventiamo sorelle.
È come un filmino che mi passa davanti agli occhi della mente.
E vedo il sorriso.
Il mio sorriso.
Quello vero, non quello che mostro.
La vera felicità nei miei occhi.
 
Mi sveglio dalla trans con un bisogno impellente.
 
Devo chiamarla.
Devo sapere.
Dobbiamo parlare.
 
Cerco il cellulare e quando lo trovo attendo che la rubrica mi trovi il numero di Smith.
Attendo un minuto per chiamarla.
Un po’ per il coraggio, un po’ per superare la certezza del rifiuto.
Alla fine del minuto clicco il verde e attendo.
Due, tre squilli poi la voce metallizzata di Ronnie dice pigramente:
- Chi è? –
- Sm… Ronnie? Sono io, Win… Elizabeth. –
- Ah, sei tu. Che c’è, non riesci a scrivere da sola? –
- No, veramente no. È che, sì, insomma, ho bisogno di incontrarti. –
Trascorrono dei minuti.
Interminabili.
Poi si decide a dire:
- Dove e quando. –
- Al parco, tra cinque minuti. –
- Ci sarò. – e chiude la telefonata.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 14. - We must talk. - Something of magic. ***


Author's notes;
Dunque, dunque.
Devo dire che mi ritengo soddisfatta e che...
Ma chi se ne frega!
PORCO CAMMELLO VERDE FLUORESCENTE CHE PASSA SOTTO CASA MIA!
VOI. SIETE. FANTASTICI.
DAVVERO.
MI FATE SENTIRE 'BRAVA', COME SE ANCH'IO VALESSI QUALCOSA.
PORCO CAMMELLO, QUANTE BELLE, BELLISSIME RECENSIONI CHE MI SCRIVETE. *O*
IO POI PIANGO, e.e. :')

Comunque,
sono contenta che consideriate questa storia 'diversa'.
E sono molto contenta che alcune di voi si rispecchino nelle protagoniste.
Dopo questo, vi dico che mi ritengo soddisfatta di questo capitolo.
L'ho a notte fonda e mi è piaciuto.
Sì, sono abbastanza soddisfatta di ciò che scrivo.
Ditemi voi se sbaglio.
Ora vi lascio al capitolo, spero vi piaccia.

stay strong,
Alice.


Capitolo 14.

 

We must talk.
Something of magic.

 
Ronnie’s Pov
 
Showed me what I couldn't find 

Probabile che mi stia prendendo in giro, però ho deciso comunque di accettare il suo invito.
Alle quattro sono sotto l’albero di ieri mattina, a osservare il lago e ascoltare gli uccellini che cinguettano.
Sto rischiando, però mi sembrava davvero desiderosa di parlare con me.
Elizabeth Winstor che mi chiama e mi dice di incontrarci al parco.
Pazzesco.
Chiudo gli occhi in attesa di sentire, come minimo, un annunciatore che, appunto, annunci il suo arrivo trionfale su un cavallo bianco e accompagnata da un meraviglioso principe azzurro, con i capelli biondi e gli occhi azzurri come il mare.
Nah, io preferisco un canadese piuttosto che un tedesco o uno svizzero.
Anche se un modello dell’Abercombie non mi dispiacerebbe.
Ok, sto sognando troppo.
- Sm… Ronnie? – la voce di una ragazza mi giunge all’orecchio.
Apro un occhio e vedo un’Elizabeth normale.
Con un paio di jeans e una maglietta a maniche corte bianca.
No, non è Elizabeth.
È anche struccata.
È un sogno.
- Ronnie, stai dormendo? – mi prende per le spalle e mi scuote un po’ facendomi aprire di nuovo gli occhi e facendo ritrovare davanti alla faccia un’Elizabeth completamente diversa da quello che è di solito.
- No. – rispondo indifferente.
Per quanto la sua chiamata mi abbia sorpresa, non devo lasciar trasparire nulla, almeno davanti a lei.
- Posso sedermi? – chiede docile.
Elizabeth Winstor docile.
- Non è mio l’albero, puoi fare quello che vuoi. – rispondo.
Alza gli occhi al cielo.
- Intendo vicino a te. –
- Prego. – dico fissando il mare.
La sento sedersi accanto a me.
Due corpi che si sfiorano.
Due persone che si toccano.
Due mondi completamente diversi che stanno vicini senza attaccarsi.
Una trama da film, già.
- Bello il lago, eh? – dice per spezzare la tensione.
Annuisco senza dire niente.
- Perché non parli mai? – mi chiede vedendo che non reagisco a parole alle domande.
- Perché penso che il silenzio parli più mille parole. – rispondo sorprendendo me stessa per non averle detto ‘Perché sei una stupida.’ ‘Perché  non potresti capire.’ O ‘Perché potrei ammazzarti con tutte le cose che dovrei dire.’
- Ah, allora mi sa che non ci sento troppo bene. Potresti smettere di far parlare il silenzio e parlare tu? – insiste Elizabeth.
- Ci proverò. Fammi delle domande. –
- Parlami della tua vita e di come l’hai conosciuto. – ah-ah! Ecco perché vuole parlarmi! Perché vuole sapere tutto di me per poi sputtanarmi davanti a tutta la scuola.
- Che t’importa Elizabeth? – chiedo di rimando.
Stavolta la guardo negli occhi e lei guarda me.
Leggo nei suoi occhi qualcosa di diverso.
Come paura, timore, ansia e voglia di sapere come andrà a finire.
Sospira e torniamo al lago.
- M’importa perché se vogliamo fare bene quel tema, dobbiamo conoscerci un minimo. – risponde.
- Beh, mi chiamo Ronnie Smith, ho sedici anni, frequento il liceo e mi piace Justin Bieber. – dico – Ecco tutto quello che c’è da sapere di me. Solo e unicamente questo. – continuo tra i denti.
Mi alzo da terra e cammino verso il lago, arrabbiata.
- C’è qualcosa che nascondi, vero? Eh Ronnie? C’è qualcosa che nascondi e anche molto bene, devo dire. Perché ti nascondi dietro un muro di silenzio? Perché non riesci a mostrarti per quella che sei? Perché continui a nasconderti? E lasciatelo dire da una che sa cosa significa nascondersi. – dice.
Mi blocco ipnotizzata da quell’ultima frase.
- Che intendi dire? – dico appena mi è accanto.
- Sediamoci e parliamone. – risponde diplomatica.
- Preferisco camminare. –
- Come vuoi, basta che parliamo. –
 

Elizabeth’s Pov
 

When two different worlds collide 
 

Ronnie, dopo un lungo e profondo sospiro comincia a raccontare.
- Sono nata il sedici marzo di sedici anni fa. Era una giornata nevosa, durante la quale nascevano le rose bianche.
Il bianco è sempre stato il mio colore.
Era il colore del tutù che mi portò alla ribalta, ma anche dello stesso colore che mi rovinò la vita.
Ballavo.
Ballavo da quando avevo tre anni.
Ed era tutta la mia vita, tutto quello che avrei voluto fare da grande.
Il Royal Ballet, l’ Operà de Paris, la New York Academy School aspettavano solo me.
Ne ero certa.
Quello era il mio futuro.
Io avrei vissuto sul palco e avrei viaggiato in tutto il mondo mostrando la mia essenza, quello che mi faceva vivere: la danza. –
- Perché parli al passato? –
- Perché ho smesso. – e prima che possa aggiungere l’ovvio ‘Perché?’ aggiunge – Per una buona ragione.
Mia sorella, Alexandra.
Anche lei era una ballerina.
Era anche più brava di me.
Veniva sempre ai miei saggi e ai concorsi. Era orgogliosa di me.
Era mia sorella maggiore, mia madre e la mia miglior amica di sempre.
Ma poi se n’è andata.
Morta.
Sparita, per sempre.
Morta perché non mangiava, perché si era rovinata lo stomaco e il fegato a forza di vomitare.
Era il mio idolo, e io la seguivo in tutto quello che faceva.
Vomitavo anche io.
Lei mi incoraggiava dicendomi che se avessi continuato a farlo, sarei diventata perfetta.
Già, il mio obbiettivo era la perfezione.
Dimagrivo a vista d’occhio.
E mi convincevo che ogni giorno stavo migliorando.
Quando morii, continuai comunque.
Poi, un bel giorno, venne un medico per controllare la mia salute.
Ero diventata troppo magra.
Andai in rehab per sei mesi, e smisi di ballare, per sempre. –
C’è qualche minuto di silenzio.
Il mio cuore va velocemente e mi viene voglia di abbracciarla, ma mi stringo nelle tasche, osservandomi i piedi, con le Converse nere.
- Penserai ‘Ora sta bene e mangia.’ ma no, non è così.
Una volta uscita dalla rehab, è ricominciato il rito.
Anche più macabro.
Oltre a non mangiare più, mi taglio anche.
Sui polsi, sui fianchi, sotto la cassa toracica.
Ovunque so che si possa tagliare senza uccidermi.
Ecco perché non parlo con nessuno, ecco perché rimango sempre sulle mie.
Non voglio più affezionarmi a nessuno. –
- Ma Justin, in tutto questo, che c’entra? –
- Oh, beh, è semplice da spiegare. Lui e Demi mi salvano la vita. Ogni giorno.
Con le loro voci, le loro canzoni e le loro parole.
Sono i miei angeli custodi, anche se non lo sanno e non lo sapranno mai. –
- Mai dire mai. Ricordi? Io sono certa che un giorno li incontrerai. Te lo meriti, dopo tutto quello che hai passato. –
- Sì, ok. Per te è normale. Sei ricca, hai una vita fantastica, hai una famiglia perfetta. Puoi permetterti tutto quello che vuoi. –
- Ti correggo. La mia non è una famiglia perfetta. La mia vita non fantastica e scintillante. È una maschera.
La mia vita fa abbastanza schifo.
Vado avanti con la falsità.
A scuola, a casa, con le amiche.
Ovunque vado.
La mia vita è nata sulla falsità e morirà sulla falsità.
Quando ero più piccola, ero il brutto anatroccolo.
Ero brutta, ero una sfigata, con gli occhiali, l’apparecchio e tutto il resto.
E non crederti che oggi sia un bellissimo cigno.
Cioè, sì, lo sono, in apparenza.
Ma dentro no.
Il cigno bello, dentro non è felice.
Rimpiango i valori in cui credevo fortemente quando ero l’altra Elizabeth, rimpiango i sogni di entrare nelle università e dei college e rimpiango la sincerità con cui mi esprimevo quando ero l’altra Elizabeth.
Quella di oggi è completamente diversa.
L’Elizabeth di oggi è menefreghista, egocentrica, stupida, materialista e sa di non aver bisogno di studiare perché la mamma lavora in un rivista patinata e sa che farà la modella.
Justin, per me, è quello che mi ricorda sempre chi ero. ‘Down To Earth’ mi ricorda di quando la mia vita era difficile, ma vera. –
Siamo arrivate a un parco dove dei bambini stanno giocando.
Ci sediamo su una panchina lì affianco.
- Perché mi stai dicendo questo? – mi chiede Ronnie dopo un po’.
- Perché tu hai raccontato la tua storia. - passa ancora qualche attimo, poi sento la necessità di chiederle un’altra cosa – Lo andrai a dire a tutti, vero? –
- No. – mi stupisce questa sua risposta secca.
- Perché no? –
- Perché non sarebbe giusto. Sei stata sincera. Non ti meriti di essere sputtanata. Capisco quando sia difficile per te sopportare tutto questo. –
- Strano. – dico – Se lo dicessi a Cassie o a qualcuna di loro non avrei speranze di mantenere un segreto. –
- Quelle lì sono come oche, starnazzano. –  ridacchio per il paragone.
- Già. –
Il mio telefono squilla.
Rispondo, scocciata.
- Elz? Sono Cas. Mamma mi ha detto che tua madre è fuori anche stasera, quindi resti a dormire da me. Non sei contenta? –
- Certo, Cas. – rispondo.
Ronnie mi sta guardando.
- Ok, ci vediamo tra poco. Non fare tardi. -
- Sono appena le cinque. –
- No, sono le sette mento venti. Ma dove hai l’orologio? –
- Devo averlo cacciato da qualche parte, comunque, ci vediamo da te alle sette. –
- Ok. –
- Ciao. – dico riattaccando.
- Lasciami indovinare. Il tuo personaggio è richiamato in scena. –
- Già. – dico con un sorriso.
- Bene. Ciao allora. –
- Ciao. – e fa per andarsene, ma la afferro per una mano e in un impeto di emozioni l’abbraccio.
Prima rimane di pietra poi è come se si sciogliesse e mi stringe anche lei a sé.
Per un tempo interminabile i nostri odori si mescolano e i nostri mondi si scontrano.
Delle scintille sembrano nascere intorno al nostro abbraccio.
È l’inizio di qualcosa di magico.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 15. - Dream. - Air. ***


Author's notes;
Posso sposarvi?
CINQUE?
CINQUE RECENSIONI?

Io dico, ma che vi prende? Mi volete far perdere la voce
Non posso fare altro che ringraziarvi, e ringraziarvi e ringraziarvi.

stay strong,
Alice.


Capitolo 15.
 

Dream.
Air.

 
Ronnie’s Pov

 

She was scared, unprepared 
Lost in the dark, falling apart 

 
Sono passati dei giorni da quella chiacchierata al parco con Elizabeth.
Quella strana chiacchierata.
Io ed Elizabeth abbiamo cominciato a lavorare sul progetto.
A scuola come sempre.
Lei Winstor, io Smith.
Ma fuori, addirittura, ci rivolgiamo la parola.
 
Può un semplice pomeriggio cambiare un rapporto?
Certo.
Forse era destino.
Era destino che lei avesse bisogno di parlarmi e che io avessi bisogno di chiarimenti.
Poi è arrivato Justin e il parco e le cose potrebbero cominciare a funzionare.
 
Sicuramente funziona per il tema.
Ho delle idee che dovrò proporre a Elizabeth, oggi pomeriggio.
Il prof ci ha detto che il progetto dev’essere consegnato tra tre mesi.
Abbiamo tutto il tempo per pensarlo bene, studiarlo e scriverlo.
Jennie è tornata a scuola e ora non sto più sola in mensa.
- … e tu? – chiede dopo qualcosa che non ho minimamente ascoltato.
- Ah? Ehm. Sì. – rispondo, sperando di non aver autorizzato il lancio di missili sulla Russia.
Passa qualche minuto di silenzio.
- Beh? – è Jen a romperlo con un’incitazione.
- Cosa? – rispondo confusa.
Ah, non era una domanda d’importanza mondiale?
Peccato, mi sarebbe piaciuto passare alla storia come ‘la ragazza che ha rovinato l’equilibrio mondiale.’
Torniamo a Jen.
- Non mi stavi ascoltando, vero Ron? – chiede la ragazza.
Le rispondo con un sorriso innocente e dopo aver sbuffato ripone la sua domanda:
- Ti ho raccontato che il mio sogno, ora tocca a te. –
- Ah. Ok ho capito, ma… io non ho sognato nulla. – rispondo un po’ balbettando.
- Niente niente? – il suo sguardo indagatore mi entra dentro e ci scava.
- Assolutamente niente. Nero totale. –  ripeto con un sorriso.
La campanella suona.
- Salvata dalla campanella. – dichiara Jennie alzandosi e andando a buttare il pasto, per poi uscire e dirigersi verso chimica.
Mi alzo e appoggio il vassoio senza nulla dentro, poi mi dirigo in giardino.
 
Grazie ad una letterina magica dalla clinica sono esonerata da educazione fisica tutto l’anno, così ho un’ora di buco.
Mi piace stare in giardino il mercoledì alla prima ora pomeridiana.
C’è fresco e ombra, e poi è un grande spazio.
 
Le ho mentito e ci ha creduto in pieno.
Sono brava a mentire.
È che non potevo raccontarle del mio sogno stanotte.
 
- Ron? Svegliati. – dice una voce al mio fianco.
Apro un occhio pigramente e vedo un paio di pantaloni verdi.
Sorrido perché solo Alexandra poteva metterli.
- Ron? Per favore, ti devo parlare. – la voce è improvvisamente diversa. È femminile ed è uguale a quella di Ale.
Mi alzo e la trovo davanti a me.
Con i suoi capelli biondi, lisci e lunghi e i suoi occhi azzurri. Il suo corpo perfetto anche se sui polsi ci sono quei tagli.
Sbatto un paio di volte le ciglia per vedere se sto solo sognando, eppure lei rimane lì, ferma e sorridente.
- Ale? – sussurro
- Già. – risponde lei sorridendo.
- Ma tu sei… -
- Io sono niente, non me ne sono mai andata. Non vedi che dormo lì? – indica un letto attaccato alla parete.
Lì non c’è mai stato nessun letto.
Quando mi sono trasferita ho lasciato casa com’era. Con il mio letto e quello suo nella stessa stanza.
Non mi sono portata niente di immobile.
- Come va? – mi chiede sedendosi.
Le molle del letto scricchiolano.
In teoria se lei è morta, è una fantasma, non dovrebbe avere preso.
La mia mente vuole giocarmi brutti scherzi.
Sospiro.
- Bene, direi. – rispondo e dopo un attimo di attesa continuo – Tu? –
- Potrei stare meglio. Ho freddo in quest’ultimo periodo. Sarà perché sono agitata per lo spettacolo? – risponde sorridendo.
“Spettacolo? Hai smesso di ballare quando sei morta! Cioè un anno fa!”
- Ron, devo dirti una cosa. E so che non ti piacerà. – mi dice improvvisamente seria.
- Dimmi Ale. –
- Non va bene, quello che stai facendo. Ricordi che mi avevi fatto una promessa? Mi avevi promesso che saresti diventata più magra di me. –
- Sì, io… io ci sto lavorando. –
- Non è abbastanza! – grida alzandosi in piedi – Stai perdendo di vista l’obbiettivo! Non puoi far sì che una stupida ragazza ti faccia cambiare idea! –
- Ale? Quale ragazza? Non ho nessuna amica! –
- Oh, come no! Come si chiama? Quella fottuta Barbie… Elizabeth, giusto? –
- Io non mi sto lasciando convincere. Stai tranquilla che vincerò la scommessa! – ormai ci gridiamo contro.
Temo di svegliare i vicini, ma chi se ne importa?
Tanto è un sogno.
Ci alziamo e andiamo verso lo specchio.
C’è anche il suo riflesso.
- Ron, io ci tengo che tu vinca la scommessa, ok? Ti prego, non abbandonare tutto. Guarda a che punto sei arrivata, non mollare, va bene? –
- Ti straccerò, Ale. – le dico.
- Era questo quello che volevi sentire. – e mi abbraccia.
Io la sento, è reale.
In carne ed ossa.
Quel suo profumo…

 

Elizabeth’s Pov

 
I can survive, with you by my side 
We're gonna be alright (we're gonna be alright) 

 
 

Suona il campanello e una Ronnie spaventata e ansiosa mi si presenta alla porta.
La lascio entrare e sedere sul letto.
- Sei in anticipo. – dico per spezzare la tensione.
- Scusa è che eri nei paraggi ed ho preferito avvantaggiarmi. – risponde riprendendo il controllo.
- Va bene. – c’è qualcosa che non va, lo so, però evito di fare domande.
Se vuole, me lo dirà lei.
- Allora, a me sono venute delle idee per il tema. –
- Bello. – dico cominciando a sbirciare sul suo quaderno.
- Stavo pensando che per iniziare una storia, ci vogliono dei personaggi originali. –
- Certo. –
- E allora perché non crearli? – sembra uno dei protagonisti di qualche programma su Playhouse Disney.
Capitan ovvio è con noi.
- Penseremo ai personaggi e alle loro vite. Ci stai? Dai loro un ‘costume’. –
- Capito. –
 
In fondo, Ronnie è anche una persona piacevole.
Dopo la chiacchierata che abbiamo fatto, al vedo sotto un’altra luce.
È umana anche lei, e ne ha passate troppe per i suoi sedici anni.
In fondo, anche lei ha la sua parte da nascondere.
Siamo più simili di quello che pensavo.
Peccato che non posso dirlo anche agli altri che Smith è umana, e non è un vampiro né uno zombie.
Se glielo dicessi, perderei la mai reputazione perchè mi chiederebbero se le parlo e non potrei mentire.
Poi uscirebbero fuori i miei segreti, e ritornerei la vecchia Elizabeth.
 
Sospiro.
Sono già passate tre ore.
Abbiamo riso, un paio di volte, e devo dire che ha una bella risata.
Anche quando sorride, è bella.
Peccato che le si vedono tutte le ossa della pelle, che sembra tirata come uno spago.
Fa fatica a fare tutto, eppure non lo dà a vedere.
- Che succede? – chiedo senza pensarci. Me ne pento l’istante dopo averlo detto.
Si ferma dallo scrivere e mi guarda di sottecchi.
- Che intendi dire? – dice
- C’è qualcosa che mi nascondi. –
- È una domanda? – la guardo eloquente e Ronnie sospira – Ho fatto un sogno, stanotte. –
- Tutti facciamo sogni. –
- Lo so, ma questo era diverso, dai soliti che faccio. – mi sistemo meglio sul divano.
Ronnie si alza e va alla finestra.
- C’era Alexandra. –
- Chi è Alexandra? –
- Mia sorella maggiore. Aveva diciotto anni. È morta un anno fa. Perché era troppo magra e si era rovinata lo stomaco a forza di vomitare. –
- Ah. Mi… mi spiace. –
- Lei non vorrebbe questo. Lei non vuole che le persone abbiano pietà di lei. Ale era una ragazza forte e determinata. Solo così ha potuto raggiungere i ventisette chili. –
“Ventisette chili a diciotto anni.” Rabbrividisco mentre la mia mente lo sillaba.
- Mi ha svegliata e mi ha detto, arrabbiandosi, che sto perdendo di vista l’obbiettivo. Per colpa tua. Ha detto che non lo devo abbandonare perché ho faticato tanto. Poi mi ha abbracciata e sembrava reale. Il suo profumo… - non termina la frase.
Si morde un labbro.
- È stato strano. Perché sembrava vera. Aveva carne. Eppure io sapevo che era mrota, solo che la prendevo con leggerezza. Ora ho tutte le emozioni che sono state lontane durante la notte. Paura. Ansia. Terrore. E voglia di rivederla. –
- Ti manca? –
- No, però mi ha fatto come, piacere?, rivederla. –
- Capito. –
 
Ci sono dei momenti in cui le parole non  servono.
A volte il silenzio è un chiacchierone.
Come in questo momento.
Ci sono delle parole, delle frasi che svolazzano sopra la mia testa.
Ma non ho né voglia, né forza per tirarle giù.
Verranno da sole.
Ronnie è come un palloncino.
La gonfi, la gonfi, fino a che non scoppia e tutta l’aria esce fuori.
Così accadrà con lei, queste cose sono brava a capirle.
Si sta negando troppe emozioni, troppi pensieri, troppi gesti quotidiani che potrebbero cambiare la scommessa mortale fatta con la sorella.
Non si fermerà finchè non ci sbatterà il muso.

 
 
 

This is what happens when two worlds collide

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 16. - Live. - Mission. ***


Author's notes;
NVGNUHTRNVIUHRVYHRUVHY

Basta, io non so più che fare.
Ormai ringraziare mi sembra poco.
Sei recensioni all'ultimo capitolo.
Vi ringrazio tutti, con cuore in mano, eprchè mi fate sentire un pochino 'decente', ecco.
Capisco che fors enon faccio così schifo.
Vi ringrazio, tanto tanto.
Vi lascio a questo capitolo che, vi avviso, farà davvero cagare, ma non sapevo che scrivere.
Mi farò perdonare col prossimo, spero.

stay strong,
Alice.


Capitolo 16.

 

Live.
Mission.

 
Ronnie’s Pov
 

You had your dreams, I had mine 


- Ehi Ron. – Jen mi si avvicina e mi parla attraverso l’armadietto
- Sì? –
- Ti va di uscire, oggi pomeriggio? – fa questa proposta sottovoce, tanto che non credo di averla sentita bene.
- Come? –
- Andiamo a fare un giro? – ripete chiudendo il mio armadietto.
Che strana proposta.
Non abbiamo mai avuto bisogno di uscire insieme.
Di solito lo fanno le amiche vere.
E di solito si fa sempre tappa in qualche bar a mangiare e riempirsi di caramelle.
Caramelle.
Il mio cervello sillaba questa parola con orrore.
Mi si crea dell’acido nella bocca al solo pensiero di dover ingoiare qualcosa.
- Mmmh, senti Jen, mi dispiace ma devo studiare da Elizabeth, oggi pomeriggio. – dico come scusa.
- Anche di sabato? Ron, è una settimana che non ti fai sentire. È come se il compito ti avesse rubata al mondo reale. Ai tuoi amici. –
- È molto importante per me, perché è uno dei progetti che andrà sul curriculum e se non verrà un buon lavoro, lo rovinerà. Vorrei andare all’università, dopo il liceo. –
Non può replicare, perché lei è nella mia stessa situazione, quindi se ne esce con un ‘Ah ok’ e se ne va, uscendo da scuola.
In verità è cambiato qualcosa con Elizabeth.
Non è più solo ‘facciamo questo cazzo di progetto e poi addio’, è diventato una specie di appuntamento.
I rapporti tra me e lei sono migliorati, ogni giorno facciamo un passo avanti.
Comincio a pensare che preferisco il tempo con Elizabeth, che con Jennie, ma è solo una sensazione, causata dalla costante presenza della prima negli ultimi dieci giorni.
Non mi accorgo di uscire da scuola e andare verso casa mia.
“Troppo distratta, troppo, troppo.”
Entro in casa e getto sul divano lo zaino.
È sabato, e non c’è nessun compito da  fare.
Ma io non ho nulla da fare.
 
Quando ballavo, ero impegnata sette giorni su sette e ventidue ore su ventiquattro dalla danza.
Non andavo nemmeno a scuola, studiavo da privata.
I miei potevano permettermelo.
Non avevo un minuto di respiro, ma non sentivo il bisogno di altro.
Volevo ballare e basta.
Non ho mai saputo effettivamente cosa sia la vera amicizia.
O meglio, non ho mai saputo cosa significasse avere una relazione con qualcuno che non respirasse di danza.
È stato un trauma quando l’ho capito.
Vedevo tutti quei ragazzi che fumavano, bevevano e stavano insieme, ed io pensavo ‘Ma perché non ballano? Come fanno a starsene qui a crogiolarsene?’
Ho deciso di prendere la strada dell’anonimato.
Sono la ragazza tetra, io.
La ragazza pallida e bionda.
Senza un nome, solo cognome.
Smith.
Nessuno sa nulla di me.
Nessuno vuole parlare con me.
Li respingo.
Non ho bisogno di compagnia nel mio inferno.
Che si vivano pure le loro fottute vite, fatte da soldi, divertimento e amici.
Si divertano anche ad andare in discoteca il sabato sera e drogarsi e fare sesso.
Che si divertano pure a rimanere incinte a sedici, diciassette o diciotto anni.
Non è quella la mia vita.
Non è quella di una normale teenager.
Non sogno di avere tanti amici o di andare a divertirmi.
Voglio solo uscire da questo inferno che mi tiene prigioniera.
No.
Alexandra non lo vuole.
Io non lo voglio.
 

Elizabeth’s Pov

 
You had your fears, I was fine 


- Elz, ti va di uscire oggi? Andiamo in città a fare shopping. – è Cass a proporre questa cosa.
A me non va proprio per niente.
- Scusate ma devo studiare con quella sfigata di Smith. – lo dico a malincuore.
Ronnie non è sfigata.
È solo tanto triste e tanto sola.
“È compassione questa Elizabeth?” è la mia coscienza a parlare.
- Pure di sabato? – esclama scioccata Cassie.
Per lei è già fatica girare la pagina di un libro, figuriamoci studiare di sabato, è tipo un affronto alla sua persona.
La sconvolgerebbe dedicare più di un minuto allo studio.
Ma nemmeno questo è il mio problema.
Ho mia madre che mi assicura il futuro da modella.
Già mi vedo su tutte le riviste di moda.
Magari fidanzata con un Vip.
Sbuffo e entro a casa.
Mamma non c’è, ma mi ha lasciato nel forno qualcosa.
Un’insalata?
Mamma mi ha preparato un’insalata?
‘Mamma, scusa, perché mi hai preparato un’insalata?’ le invio mentre me la gusto sul divano
‘Ogni tanto mangiare sano fa bene, Elz. Se vuoi fare la modella, devi mangiare tre porzioni di frutta e verdura al giorno.’ Mi risponde.
Butto l’I Phone sul divano e accendo su Mtv.
Sta passando la pubblicità.
Una pubblicità contro l’anoressia.
Spengo la televisione immediatamente.
 
Ronnie.
Rischia di morire ogni giorno, con ogni movimento.
Rischia che gli si rompa l’osso del collo ogni secondo.

 
Il campanello suona.
- Chi è che viene a … -
- Ciao. – dice la ragazza bionda sulla porta
- Ronnie? Che ci fai qui? –
- Non ho niente da fare, e non ne ho la più pallida idea. Camminavo tranquillamente quando mi sono accorta di essere davanti a casa tua. –
- Beh, entra. – dico e Ronnie entra in casa mia.
L’ho invitata ad entrare.
O cazzo.
Se lo sa qualcuno dei miei sono fottuta.
- Tranquilla. Non lo verrà a sapere nessuno che sono entrata in casa tua e che tu mi hai invitata ad entrare. –
- Ma come…? –
- La tua faccia. – ribatte indifferente.
Mi giro verso lo specchio e la mia faccia è assolutamente ridicola, strano che non mi abbia riso in faccia.
Lei non ride mai.
- Posso chiederti una cosa? – le dico. Ronnie mi guarda.
- Dimmi. –
- Perché non sorridi mai? – sembra sorpresa di questa domanda.
- Io, beh, penso che non ci sia motivo di sorridere. –
- Secondo me è per il colore che indossi. Nero. Tutto ed esclusivamente nero. Non vorresti cambiare ogni tanto? –
- Dici? Non faccio caso a quello che compro. Non miro ad essere alla moda. –
- Io penso che i vestiti allegri mettano di buon umore. Forse è per questo che la gente è tanto intimorita da te. cammini da depressa, parli da depressa, guardi da depressa e sembri una depressa. –
- Forse lo sono. –
- Beh, proviamo. – la prendo per mano e la trasporto letteralmente fuori casa.
La  missione ‘salviamo la ragazza’ è appena cominciata.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 17. - Who is this girl? - She needs help. ***


Capitolo 17.
 
Who is this girl?
She needs help.
 
Ronnie’s Pov
 

Showed me what I couldn't find 

 
- Elizabeth, mi stai portando in un centro commerciale? – chiedo scioccata.
- Esatto, Ronnie, e non ammetto repliche. –
- Tu non puoi obbligarmi! – esclamo
- Non fare la bambina, Ronnie! Ne abbiamo già parlato in macchina! –
Mi sto comportando da bambina capricciosa e depressa.
Mi arrendo e mi lascio trasportare dentro il primo negozio di vestiti.
- Ciao Elizabeth! – dice la commessa
- Ciao Beth! – risponde la ragazza e mi porta verso il reparto ragazze.
- Prima di svaligiare l’intero negozio – comincia posizionandomi davanti allo specchio, in modo tale che il mio corpo si veda tutto – Osservati per l’ultima volta, baby, perché quella che vedrai dopo sarà una Ronnie completamente diversa.  Ricordati di questi vestiti e di questo viso, perché  dopo un pomeriggio con Elizabeth Winstor sarai un’altra ragazza. –
- Sembra una minaccia. –
- È una minaccia. –
“Oh, questo mi fa sentire molto meglio. Grazie Elizabeth.”
 
Odio i cambiamenti.
Mi fanno paura.
Ho paura a fare progetti, ho paura di iniziare o finire una cosa perché non so cosa potrebbe succedere, ho paura delle cose nuove.
Da sempre ho terrore a prendere una decisione.
No, non da sempre, da quando sono andata in manicomio rehab.
Quando ero piccola sognavo di diventare una grande ballerina che ballava in giro per il mondo.
Oggi spero semplicemente di sopravvivere alla notte.
 
- Abbiamo finito Elizabeth? – dico scocciata – Sono passate tre. Sono stanca e voglio andare a casa. –
Elizabeth mi ha costretta a seguirla ovunque.
Siamo entrate in qualunque negozio vedesse nel raggio di dieci kilometri.
Abbiamo svaligiato  ogni negozio, portandoci via ogni sorta di cose: bottigliette, trucchi, scarpe e vestiti.
Ed io non ho detto una parola.
Ma ora sono stanca.
E comunque, li abbiamo visitati tutti.
- Oh, non fare la bambina Smith. Ti sto facendo un favore. – risponde scocciata anche lei.
- Che gran favore che mi hai fatto, Winstor. – sussurro sovrappensiero
- Mi dici così hai contro qualunque cosa che non sia deprimersi? –
- Lo trovo inutile e superficiale, ecco cosa. –
- Quindi secondo te io sarei una persona inutile e superficiale? –
- No, dico che… Senti, ho una specie di allergia ai cambiamenti, per questo mi comporto così. – ammetto a testa bassa.
So che Elizabeth mi sta guardando per saperne di più, ma non aggiungo altro.
Usciamo da quest’ultimo negozio, aggiunge due buste alla collezione.
- Vuoi vederti? – propone dopo un po’
- Come? –
- Non ti sei accorta che ti ho completamente rivoluzionata? – dice stupita.
Faccio cenno di no con la testa.
Sono rimasta completamente impassibile e indifferente.
Mi prende per le braccia e mi fa girare verso destra.
 
Chi è?
Chi è questa ragazza?
Chi è questa ragazza dai capelli biondi, il viso chiaro, gli occhi azzurri e le labbra rosa e sottili?
Chi è questa ragazza che indossa questi strani abiti?
Da dove viene?
Qual è la sua storia?
È così bella.
Sono io.
Io.
Ronnie Smith.
La ragazza zombie.
Un leggere sorriso le nasce sulle labbra.
Un piccolo, minuscolo sorriso.
 
Vicino a me c’è Elizabeth e mi guarda orgogliosa.
Chi sono diventata?

 

Elizabeth’s Pov

 
When two different worlds collide 
 
- Vuoi qualcosa? – chiedo alla bionda.
Lei fa cenno di no con la testa.
Sorrido comprensiva, e ordino uno Starsbuck’s alla vaniglia.
La cameriera me lo porta e poi se ne va.
Ronnie è silenziosa, ma c’è qualcosa di strano.
- Che c’è? – chiedo.
- Io, io non ci posso credere. Ho fatto fatica a riconoscermi, giuro. Tu, tu mi hai stravolta, cambiata completamente. Non riuscivo a guardarmi negli occhi. –
- Sono contenta che tu sia soddisfatta del lavoro. –
- Una cosa l’hai sbagliata. –
- Cosa? – chiedo stupita.
Mai cantare vittoria prima di saper di aver vinto con certezza.
- I vestiti, coprono la mia magrezza. Alexandra non sarà contenta. –
- Ah. – dico e torno al mio caffè.
 
Alexandra non esiste.
È pazza.
La sua ossessione per essere perfetta.
Rischia di scomparire.
E non se ne rende conto.
Vorrei tanto urlarglielo in faccia, facendolo sentire a tutti quanti qui dentro, ma sarebbe esagerato e assolutamente inappropriato per il mio personaggio.
La vecchia Elizabeth lo avrebbe fatto.
Lei non aveva paura di niente.
Diceva ciò che pensava.
Andava fiera di essere sé stessa, amava leggere, studiare e progettava di salvare i panda.
La vecchia Elizabeth aiutava sempre gli altri.
Come ho fatto oggi, con Smith.
Oggi ho aiutato Ronnie.
Questa ragazza sta facendo tornare in superficie la vecchia me.
 
- Ok, ci vediamo lunedì a scuola. – dice Ronnie sulla strada.
Io aspetto l’autobus, lei va a piedi.
‘Per perdere calorie.’
“Vaffanculo Ronnie, non ne hai bisogno.”
Le faccio un segno con la testa e lei si allontana.
 
Sono le otto e sto cenando, da sola.
Mamma è chissà dove, papà è a scuola per una riunione e il mio fratellastro starà in giro in qualche discoteca a scoparsi qualcuna.
Ne cambia una ogni sera.
Sospiro e torno alla serie che non sto seguendo.
Le parole e le voci dei protagonisti mi scivolano nella testa e dicono parole, ma non le capisco.
Ronnie rimane nella mia testa.
 
E se mi ci sto affezionando?
Lei non è come le altre che frequento.
Lei ha bisogno d’aiuto, qualcuno che la ami e che la faccia sentire importante.
Qualcuno che le stia affianco e ci sia sempre per lei.
 
L’ I Phone vibra.
Lo prendo annoiata.
Mi aspetto un messaggio di Cassie o Mike, invece c’è un numero sconosciuto.
‘Volevo ringraziarti per il bel pomeriggio, mi sono sentita ‘bella’. Grazie. Ronnie.’

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 18. - This school is like a zoo. - The beat of butterfly's wings. ***


Author's notes;
C'è, io rimango fuori due giorni e mi ritrovo cinque recensioni.
VOI. SIETE. FANTASTICI.
Sul serio.
Vi devo ringraziare tanto, tantissimo.
Per me scrivere è uno sfogo, e vedere che la gente le apprezza, e sapere che a molte piacciono, boh, mi manda su di giri.
Non vi ringrazierò mai abbastanza, sul serio.
Spero che vi piacciano, sia questo che il prossimo.
Li ho ragionati tutti e due stanotte, dopo aver visto per la seconda volta i VMA's, *O*.

I'm done.

stay strong,
Alice.



Capitolo 18.
 

This school is like a zoo.
The beat of butterfly’s wings.
 

 

Ronnie’s Pov
Un respiro.
Un altro respiro.
“Va tutto bene. Sei Ronnie. Solo che sei un po’ diversa. Vestiti diversi e sei a viso aperto. Andrà tutto bene. nessuno ti guarderà quando entrerai. Nessuno si accorgerà di te. Sarà tutto come sempre.”
Faccio il terzo respiro e spingo la porta per entrare nella solita scuola schifosa, pronta per la prima ora.
Il coraggio mi abbandona non appena vedo un ragazzo girarsi verso di me.
Poi un altro, un altro e un altro ancora.
Sento i primi bisbiglli.
‘Ma chi è quella?’ ‘Dev’essere una nuova.’ ‘Non l’ho mai vista in giro.’
Ah, peggio di quello che pensavo. Addirittura non mi riconoscono.
Cammino molto velocemente passando tra i ragazzi e le ragazze che si girano per seguirmi con lo sguardo.
Vado addosso a qualcuno e finisco a terra, con tutti i libri usciti dallo zaino e sparsi.
- Oh, scusa. – dice una voce maschile e una testa mora e riccia si piega per raccogliere i miei libri. Intanto mi sono alzata in piedi. – A volte sono così distratto che… Smith? – esclama stupito guardandomi negli occhi e riconoscendomi.
Tutti gli occhi sono puntanti di nuovo su di me.
Vorrei sotterrarmi.
Afferro i libri prima che cadano di nuovo.
- Io… wow, che… che hai fatto? – balbetta sotto shock osservandomi
- Ho cambiato look. – rispondo brevemente
- Ti sta… ti sta benissimo. –
- Grazie. – gli sorrido e poi gli passo oltre, andando al mio armadietto.
Do una sbirciata attraverso lo specchio e vedo un gruppetto di ragazza indicarmi e sussurrarsi qualcosa all’orecchio.
Perché?
Perché dico io?
Vorrei sotterrarmi e scomparire per sempre.
Vorrei diventare invisibile.
Oppure che mi venissero a prendere gli alieni.
Farei qualunque cosa pur di sparire.
 
Suona la campanella dell’ultima ora.
Pigramente mi alzo e mi dirigo verso la mensa, sotto gli occhi di tutti.
Sempre osservata come si può osservare un animale in una gabbia dello zoo, prendo il mio vassoio e lascio che la signora della mensa ci metta sopra una mela e della Coca Cola.
Mi siedo da sola.
Tutti mi guardano, ma nessuno ha il coraggio di farsi avanti.
 
È come un tempo.
Un tempo ero sempre al centro dell’attenzione.
Ovunque andassi, ero ‘la ragazza prodigio di madame Celilè’.
Ero io, Ronnie Smith.
In città risuonava il mio nome tra le mamme e nei teatri.
Se avessi continuato e non mi avessero costretta al centro specializzato per pazzi ragazzi con problemi e disturbi alimentari, oggi sarei una stella.
Oggi non sarei in questa stupida scuola.
Non sarei con questa stupida gente che non fa altro che pensare a sé stessa, affetta da chissà quale patologia di egocentrismo ed egoismo.
Oggi avrei realizzato il mio sogno, e avrei realizzato la mia vita.
 
Osservo la mela in silenzio, poi qualcuno passa molto velocemente accanto a me e lascia cadere un bigliettino sul mio vassoio.
Prima di aprirlo mi guardo intorno, alla ricerca di qualcuno ancora in piedi.
Come è comparsa questa persona, si è volatilizzata.
Forse era Edward Cullen.
O forse leggo troppi Twilight.
Lo apro e ci trovo scritto un numero di telefono, con una calligrafia scritta velocemente e male.
Nessuna firma, nessun ‘Incontriamoci a… questo è il mio telefono.’
“Semplicemente avrà sbagliato tavolo.” Penso scrollando le spalle e torno all’osservazione della mela rossa.
Rossa come il sangue che verso ogni sera e con delle piccole striscioline bianche, come le sottili ossa che tengono in piedi il mio corpo.
Sento la sedia accanto a me strisciare.
Alzo lo sguardo e incontro quello di Elizabeth.
 

 

Elizabeth’s Pov
- I tuoi amici? – dice Ronnie gelida.
Osserva una mela come se fosse una cosa nuova.
- Perché non la mangi? – propongo, prendo la mia forchetta e ci prendo gli spaghetti, per poi mangiarmeli.
Non è lo stesso ragù delizioso di mia madre.
È decisamente confezionato e fatto con pomodori surgelati.
Ronnie appoggia la mela e solo quando rialza la mano, noto che ha sul vassoio anche un biglietto.
- Di chi è quello? – dico dopo la seconda forchettata, indicandolo con la testa.
- Cosa? – risponde innocente, ma lo nasconde ancora di più sotto il gomito.
- Il biglietto. –
- Non lo so. C’è solo scritto un numero di telefono. –
- Dai qua. – lo prendo senza chiedere e lo apro.
Calligrafia mossa è simbolo di fretta.
Leggo ogni cifra con attenzione, facendo fede alla mia mente per la rubrica.
All’ultima cifra un’illuminazione e un volto mi appaiono nella mente.
Non può essere.
Questa sì che è una novità.
- Io lo so chi è. – dico solenne e riconsegnandole il biglietto, con un sorriso a trentadue denti sul volto.
Ronnie mi guarda eloquente, ma non glielo dirò così facilmente.
- E allora? –
- Vuoi saperlo? –
- No. – sarcastica
- Se vuoi sapere l’autore misterioso di questo biglietto, devi prima fare una cosa per me. –
Ronnie mi guarda e mi studia attentamente.
È il suo modo di difendersi, fissare la gente e metterla in soggezione per farla andare via.
Ma io non sono ‘la gente’ e non ho problemi ad affrontarla.
- Spara Winstor. – dice arrendendosi
-  Devi mangiare questa. – dico e prendo la sua mela, mettendogliela davanti agli occhi e al naso.
Vedo Ronnie Smith persa, confusa, smarrita davanti a questa mela.
- Solo un morso. – continuo, sicura.
Davvero il cibo le ha condizionato la vita.
Guarda questo frutto come se fosse un nemico, eppure posso sentire il suo stomaco brontolare.
So che si sta negando qualunque cosa commestibile, e per lei questa è una tentazione.
Mi fissa con odio e poi dà un sonoro morso alla mela rossa.
 
È possibile sentire il battito delle farfalle?
Me lo sono sempre chiesto.
Quando avevo mal di testa da piccola mi sembrava di sentire due volte meglio, allora aguzzavo l’orecchio e andavo in giro urlando che avevo sentito il battito di una farfalla.
La gente mi prendeva per matta, però annuiva e si complimentava.
Questo quando ero una bambina.
Oggi ho potuto sentire il vuoto.
Il vuoto di un corpo umano.
Un pezzo di mela entrarci dentro e fare un piccolissimo tonfo nello stomaco di qualcuno.
È un suono raccapricciante.
È vuota.
Ronnie è completamente cava.
Mi chiedo come faccia a vivere ancora.
Chissà se quel cuore batterà ancora per molto.
 
Cade il silenzio.
Un tetro silenzio.
Ronnie mi consegna la mela senza fiatare.
- È stato così terribile? – dico per spezzare la tensione, ma non ricevo risposta. – Il personaggio misterioso è David Briston, comunque. – aggiungo e la campanella suona la fine dell’ora di mensa.
Mi alzo e vado a buttare il mio vassoio.
Lancio un’ultima occhiata a Ronnie, che sta fissando il tavolo con i capelli davanti, poi esco.
Vengo raggiunta immediatamente da Cassie che è eccitatissima per l’ultimo gossip che le è stato sussurrato all’orecchio.
  

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 19. - Woman in the mirror - Happyness. ***


Capitolo 19.
 

     Woman in the mirror.
Happyness.

     

Ronnie’s Pov
 

You had your dreams,
 

Ho mangiato.
Ho ingoiato qualcosa.

Sto lottando per ributtarlo fuori.
Ad Alexandra non farà piacere.
E poi per cosa?
Per quello stupido di Briston.
Non ne valeva la pena.

E se magari mi ha raccontato una cazzata?
Forse dovrei chiamarlo per avere conferma che sia di sua proprietà quel numero.
No.
Non chiamerò proprio nessuno.
Mi sento tremendamente male e in colpa.
Ho un forte dolore alla pancia e allo stomaco, come se invece di uno stupido pezzo di mela, avessi ingoiato un’incudine.

Avevo giurato che avrei smesso di mangiare, l’avevo giurato.

Un odore forte di rose mi investe e la finestra del bagno si appanna, come una ventata d’ara calda.
Alexandra è qui.
- Ron , Ron, Ron. Non hai mantenuto la promessa. – dice con la sua voce.
Alzo la testa dopo l’ennesimo tentativo di vomitare fallito e lei è seduta sulla basca da bagno, tranquillamente.

Mi sorride.
- Ale, mi dispiace tanto. Io non volevo. Ma Elizabeth, lei  mi ha costretto… mi dispiace… - ho delle lacrime che vogliono sgorgare fuori.
- Shh, shh, va tutto bene, va tutto bene. Non sono arrabbiata con te, ma con lei. Lo sapevo che ti avrebbe rovinata. – dice prendendomi il viso tra le mani calde e guardandomi negli occhi – Quella ragazza è pericolosa. Ti sta rovinando. –
- Perché sto così male? –
- Perché ti senti in colpa. E anche perché il tuo corpo, oramai, vede il cibo come un nemico. Se mangi, lui cerca di distruggerlo, facendoti prendere calorie. –
L’ultima parola risuona nella mia testa e poi per tutto il bagno.
Le calorie equivalgono al grasso, e il grasso equivale a deludere Alexandra.
- Cosa posso fare? – chiedo tra le lacrime che hanno voluto uscire da sole.
-  Punisciti. Punisciti perché sai che non devi mangiare, però l’hai fatto lo stesso. –
- E come? –
- Nel nostro solito modo. – da non so dove tira fuori la limetta per le unghie, e poi con un sorriso indica il polso destro e poi il polso sinistro.
- D’accordo. – dico e afferro la limetta.
Mi metto davanti allo specchio e brandendo come un coltello la limetta incido dei tagli sui polsi.
Il sangue cola anche sul pavimento.
Io e Alexandra osserviamo in silenzio il sangue che esce dai miei polsi.
Mi sento meglio.
- Credo di doverti delle scuse. – dico guardandola attraverso lo specchio.
Alexandra scuote la testa sorridendo, mi sposta i capelli dal collo e sussurra al mio orecchio:
- Stai andando bene. Continua così, tra poco sarà tutto finito. –
- Che vuol dire? – le chiedo però mia sorella sta scomparendo lentamente nella luce.
Il profumo di rose svanisce e la finestra di disappanna.
Se n’è andata.


Lo specchio riflette la mia immagine.
E mi fa schifo ciò che vedo.
Mi fa schifo il mio viso, la mia bocca, il mio naso, le mie labbra, i miei occhi.
Mi fanno schifo le braccia e le gambe.
Ma soprattutto mi ripugna il mio corpo.
Quel grasso e inutile corpo.

La carne umana è così debole.
Il diavolo mi ha tentata, ed io ci sono cascata.
Dopo tanta resistenza, sono crollata.
Ho bisogno di scrivere.

 

Elizabeth’s Pov
 

I had mine 

 
- Tesoro! – mia madre mi accoglie sulla porta di casa con un sorrisone sul volto che non le avevo mai visto prima d’ora
- Mamma? – la mia esclamazione esce fuori come una domanda esclamata.
È già strano vederla sulla porta, di solito a quest’ora sta preparando il pranzo, ed è ancora più strano vederla così sorridente.
Chiude la porta e poi si dirige in cucina.
Ci sono quattro posti, tra cui due già occupati.
‘Padre’ e ‘Fratellastro’ oggi ci sono anche a pranzo.
Strano, molto strano.
- Ehi Elz. – mio ‘padre’ mi saluta con una mano e un sorriso breve, quasi non fossi la sua figliastra ma un ospite non molto gradito.
Il mio fratellastro è troppo preso dalle sue lasagne per salutarmi.
Lasagne?
Mi siedo e poi ci raggiunge mamma.
Il pranzo è silenzioso, a parte i complimenti da parte di tutti delle lasagne per mamma.
Appena terminato faccio una domanda:
- Ok, che sta succedendo? –
- Come che sta succedendo, Elz, nulla. –
- No, c’è qualcosa che voi mi state nascondendo. Mamma fa le lasagne quando c’è un evento importante. –
La faccia di Dave e mamma è alla ‘O cazzo ci ha scoperti’.
Li osservo senza dire una parola, ma trasmettendo tanto con gli occhi.
Mamma comincia a mordicchiarsi un labbro, segno di nervosismo, e Dave si sistema la cravatta più o meno cinquecento volte.
- Guarda che la sgualcisci se continui così. – dico facendoglielo notare.
Mamma mi fulmina con gli occhi ma mi limito ad alzare le spalle.
Passa qualche minuto di silenzio totale, solo le urla del mio fratellastro che sta cercando di distruggere un mostro alla Play Station 3.
- Insomma, Dave, dobbiamo dirglielo. – sbuffa mamma guardando il marito – Io non ce la faccio a non dirglielo. –
- Non so come potrebbe reagire, Cinthya. –
- Oh, si comporterà da persona matura, perché lei lo è. Non ha dieci anni. –
- D’accordo. – prende un po’ di fiato, poi con voce solenne dice – Io e tua madre, Elz, abbiamo deciso di partire per le vacanze di Natale. –
Evito di scoppiare e ridergli in faccia.
Pensavo, che so, che mi dicessero ‘Guarda sono incinta’ oppure ‘Ci trasferiamo.’
- Ok, d’accordo. – dico
- Non ti senti sola, abbandonata, trascurata? – chiede mamma apprensiva
- No. –
- L’ho detto io che sei matura, Elz. –
- Dove andrete? –
- Abbiamo pensato in Italia, ma poi abbiamo optato per Parigi – la città dell’amore, wow, originali – Tu piuttosto dove andrai? –
- Posso chiedere a Cass. –
- Senti tesoro, mi piacerebbe che tu provassi a frequentare qualcun altro al di fuori di ‘Cass’ –
- Dici il suo nome come una parolaccia. –
- Lo so, è che conosci solo lei, e tu non sei un tipo timido! Che ne pensi di Ronnie? –
- Smith? – chiede Dave, mamma annuisce. – Stamattina l’ho vista in corridoio, era diversa. Era bella. –
“Tutto merito mio” penso orgogliosa, ma non lo dico.
- Che ne pensi Elz? –
- Oh, beh, a me va bene. –
- Brava, tesoro mio. Ronnie è una ragazza simpatica, dolce e per bene. Ti farà bene passare dei giorni con lei. –
Mi alzo da tavola e vado verso la mia camera.
Ho una strana sensazione nello stomaco.
È felicità.
Quasi non riesco a schiacciare il pulsante verde quando vedo ‘Ronnie Smith’ sulla rubrica, ma quando lo schiaccio e sento la sua voce al telefono, quasi impazzisco dalla voglia di urlare.
È la prima volta che mi succede questo, quando chiamo un’amica.
In questi due giorni prima dell’inizio delle vacanze di Natale, devo cercare di riunire le cose che mi serviranno per dieci giorni a casa di Ronnie Smith, il kit di sopravvivenza per sopravvivere.
Ma poi mi immagino le centinaia di cose che potremmo fare, e allora finisco per portare tutta la mia camera. 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 20. - I hate Christmas - Letter to... ***


Author's notes;
SCU.SA.TE.

Se ho pubblciato solo ora, ma ero nel bel mezzo del nulla. çç

Io vi amo.
Cè, dai, sei recensioni nell'ultimo capitolo.
Ho finito le parole.
Vi lascio a questo capitolo, che è stato difficile da scrivere perchè fuori fanno quaranticinque gradi. e.e

stay strong,
Alice.


Capitolo 20.
 

I hate Christmas.
Letter to…

 
Ronnie’s Pov
Quando due giorni fa, Elizabeth mi ha chiamata, pensavo fosse uno scherzo.
Però, per sicurezza ho tirato fuori il secondo letto, sotto il mio.
Ma ora devo benedirmi per averlo fatto.
Oggi, la mattina della vigilia, Elizabeth è davanti alla mia porta, con tre valige in mano e una strana espressione sul volto.
- Benvenuta. Entra pure. – dico con un leggero sorriso.
- Grazie. – risponde educata – Dove appoggio le mie valige? –
- In camera. –
- D’accordo. – la vedo scomparire dietro la porta della mia camera.
Quando torna, io mi siedo sul divano e lei davanti a me.
Mai avuto un ospite in casa per Natale.
Anzi, mai avuto un ospite da quando abito qui.
 
Prima, a ogni Natale, casa nostra era sempre piena di gente.
Mamma e papà conosceva un sacco di persone con figli, ed io li conoscevo tutti.
Quattro anni fa, il Natale era la festa più attesa di tutto l’anno.
Ci riunivamo la sera della vigilia e mangiavamo tutti insieme, intorno al tavolo, con la luce della candela che illuminava il ben di Dio che mamma cucinava sempre.
Oggi, la odio profondamente.
Dopo quattro anni, ancora la odio.
 
- Allora? Che si fa? – la voce di Elizabeth interrompe i miei pensieri
- Non lo so, sei tu l’ospite. – rispondo neutra – Decidi tu. –
- Casa tua è spoglia. Nessuna decorazione, nessun addobbo.  –
- Non vedo il motivo per cui addobbare la casa come fosse una festa. –
- Il Natale è un periodo felice, allegro, colorato, e tu te ne stai in casa con le finestre chiuse. Sembra un funerale, ecco cosa. –
Ridacchio ed Elizabeth tace per qualche secondo.
- Hai bisogno di cambiar vita, Ronnie. Quindi, prendi borsa e cappotto che andiamo a fare shopping natalizio. –
“Ancora?” penso scocciata.
Perché non posso passarmelo in pace e in casa mia, in silenzio e da sola questo cazzo di Natale?
- Non fare quella faccia. Su, vieni. – mi tira letteralmente in piedi dal divano e mi trasporta fuori.
Perché vuole sempre cambiarmi la vita?
 
La città illuminata è uno scenario da film.
Le luci sopra i lampioni, gli addobbi che creano sopra la nostra testa delle cornici, le stelle che sembra brillare di più.
E poi tutti sembrano più felici.
Tutti sorridono, anche se corrono.
Alcune persone hanno in mano cinquecento pacchetti e sembrano non aver ancora finito, eppure riescono a fermarsi a salutare e parlare con qualcuno, che magari conoscono da poco.
Alcune persone vanno in giro gridando ‘Buon Natale!’ e la gente, che di solito riderebbe di loro, li guarda sorridendo e ricambia gli auguri.
I bambini corrono sopra i marciapiedi, e di solito verrebbero puniti e sgridati, invece oggi vengono lasciati liberi e anzi, la gente è molto contenta della loro presenza.
Ognuna di queste persone ha una casa calda e accogliente, una famiglia che la ama e una festa da festeggiare tutti insieme.
In fondo oggi è nato Gesù, il salvatore del mondo, perché non bisognerebbe festeggiare?
Oggi è nato colui che ci salverà, perché non dovremmo essere tutti felici?
Perché ci sono persone, nelle periferie, che soffrono la fame.
Mentre tutta questa gente se ne sta in giro a fare spese e comprare regali costosi, la gente nelle periferie muore di freddo e di fame.
Non hanno nulla con cui festeggiare.
Né il vino, né il pane, né una casa.
Sono soli, abbandonati a sé stessi, e noi ce ne stiamo in giro per negozi completamente  indifferenti alla loro tragedia.
Magari qualcuno di loro aveva una famiglia.
Una moglie, un marito e due bambini.
E poi, per un terribile incidente voluto dal destino, sono morti tutti, e la persona è rimasta da sola.
Magari proprio il giorno di Natale.
 
- Elizabeth, vuoi scusarmi un momento? –
- Per fare che? –
- Devo comprare delle cose. – lo sguardo della ragazza di illumina di una gioia infinita e mi segue dentro il supermercato.
Compro del vino, del pane e un panettone, poi usciamo e la trasporto, contro voglia, dietro il centro, in un vicolo.
È freddo e buio, eppure non ho paura.
In un angolo, intravedo della luce.
Comincio a camminare molto più velocemente, seguita a ruota da Elizabeth.
- Ronnie, dove mi stai portando? – chiede fermandosi e fermandomi
- Le vedi quelle persone laggiù? – e le indico il gruppo che sta a venti metri da noi – È laggiù che dobbiamo andare. -
- Sei impazzita? Sono dei barboni. Potrebbero avere delle malattie contagiose e anche la malaria. – parla delle persone come se fossero degli animali, dei cani randagi.
Ho la forte tentazione di mollarle uno schiaffo, però mi limito e stringerle il braccio e a portarla con me da quella gente.
Siamo a dieci metri da loro.
Alcuni bambini lanciano degli urli e probabilmente la loro mamma, naturale e non, si alza in piedi.
- Chi siete? Cosa volete? Perché siete qui? – dice minacciosa e imponente.
- Tranquilli, siamo qui per darvi delle cose. – rispondo.
Sento Elizabeth stringermi il braccio e infilarmici le unghie .
- Non abbiamo bisogno di niente, tantomeno da voi dei quartieri alti. –
- Abbiamo del pane, del vino e del panettone. –
La donna mi osserva, mi scruta da capo a piedi, poi passa in rassegna Elizabeth.
Sta cercando di capire chi siamo, se siamo ciò che diciamo o se siamo qui solo per prenderli per il culo.
- Mostratemi la roba che avete. – tiro fuori dalla busta della spesa le varie cibarie.
Una bambina dai capelli rossi si fa avanti.
Ha gli occhi verde smeraldo.
È bellissima.
Sento il suo pancino brontolare.
- Mamma, ho fame. – sussurra.
La donna le fa una carezza sulla testolina, attende qualche secondo, e poi ci fa sedere accanto al bidone acceso.
Le do in mano il pane, che spezza con cura in parti uguali.
Elizabeth ed io ci rifiutiamo di prenderlo.
Poi, passato qualche minuto, cominciano a raccontarci le loro storie.
 
Torniamo a casa la sera, verso le sette.
Elizabeth è stata silenziosa tutto il tempo del ritorno a casa.
La vedo parecchio sentita e toccata.
Si siede sul divano pesantemente e infila la testa tra le mani.
- Stai bene? – le sussurro toccandola
Annuisce senza parlare.
- Non è vero. C’è qualcosa che non va. –
- Sono… credo di essere scioccata. – indugia qualche secondo – Mi hai fatto scoprire una realtà diversa da quella che vivevo. Ho capito che esistono la povertà, la fame e le disgrazie non solo dall’altra parte del mondo, ma anche qui da noi, nelle nostre periferie, a pochi metri da casa nostra. – confessa tutto questo in un secondo. Alza lo sguardo e vedo che ha gli occhi pieni di lacrime. - Grazie. –
Mi scappa un sorriso.
Un sorriso sincero.
Mi sento bene e felice?
L’abbraccio anche io.
Elizabeth riprende la sua gioia minuti dopo e addobbiamo casa mia come dovrebbe essere in tutto il mondo.
 
Questo è il secondo abbraccio che ci diamo, ed ho l’impressione che ce ne saranno molti altri.
 
 

Elizabeth’s Pov
Ronnie si alza dal letto e si dirige verso la sua scrivania alle sei del giorno di Natale.
Io posso vederla, lei non può vedere me.
Apre un cassetto con molta attenzione a non far rumore e ne tira fuori carta e penna.
Si siede.
Mi addormento.
 
Stavolta sono le nove.
Tre ore dopo.
Ronnie non è nel suo letto.
Mi metto seduta e mi stiracchio.
La finestra lascia entrare il sole nella stanza.
Mi domando se quello che ho visto stamattina fosse un sogno.
Mi alzo e infilo le ciabatte.
Lo specchio davanti al letto mi fa ridere.
Sembro la moglie di Frankestein con questi capelli.
Opto per il naturale, oggi.
Niente trucco, niente piastra.
Solo io, la mia pelle e i miei capelli.
Sulla scrivania c’è un foglio piegato e una penna sopra.
So che non dovrei farlo, però lo faccio lo stesso.
Lo apro.
È una lettera.
Una lettera indirizzata ad Alexandra.
 
‘Cara Alexandra,
…’
 
Mi rifiuto di leggere ancora.
La richiudo e la riappoggio dove stava prima.
Mi pettino solo i capelli e vado in sala.
La casa sembra nuova.
L’albero di Natale addobbato, il presepe, le luci e le finestre spalancate con la luce che entra.
La casa è nuova.
 
Anche io sono una nuova Elizabeth.
Cioè, sto tornando la vecchia Elizabeth.
Almeno con lei.
Ieri mi ha portata nei quartieri bassi e malfamati.
Non ci ero mai andata prima.
Pensavo che le disgrazie succedessero solo dall’altra parte del mondo, e non credevo possibile che dei bambini di cinque anni potessero sopportare di vivere in una catapecchia al freddo e al gelo.
Ronnie ha portato loro del cibo e quei piccoli sembravano come se gli avessero regalato la Play Station o un I Phone.
Quando per me il cibo era la cosa più naturale del mondo, per loro è stato il più bel regalo di sempre.
Ronnie è una ragazza davvero meravigliosa.
 
- Ronnie? – sussurro.
Nessuna risposta.
La porta del piccolo giardino è aperta.
Capisco che è là fuori.
Sono indecisa se andare o lasciarla pensare, ma la mia mente mi dice di andare.
La trovo seduta a terra, con le gambe incrociata che guarda un punto impreciso.
Sembra che a malapena respiri.
- Ronnie? Disturbo? – non dice niente.
Decido che ‘Chi tace acconsente’ e mi siedo accanto a lei, in silenzio.
Sta sempre zitta.
- Ronnie, ti sei alzata stamattina? –
- Hai letto la lettera, vero? –
- No, solo sbirciata. Perché… -
- Perché l’ho scritta alla mia sorella defunta? È una storia lunga. –
- Ho tutto il tempo. –
Fa un sospiro, non so se triste o scocciata.
- Esattamente quattro anni fa, moriva mia sorella Alexandra.
Alexandra è morta d’inverno, a Natale.
Dentro una camera d’albergo che aveva condiviso col suo ragazzo.
L’ha trovata lui, il ragazzo.
Non sapeva chi chiamare, se l’ambulanza o la polizia.
È sceso giù nella hall e ha gridato di chiamare entrambi.
C’era anche l’articolo di giornale.
I miei me l’avevano tenuto nascosto, che era morta così.
Non lo sapevo.
Poi, quando me l’hanno detto, mi sono trasferita e ho tagliato tutti i ponti con loro.
Mi rimane solo Alexandra come cosa in comune.
Il Natale per me è un giorno come un altro.
Non ho mai festeggiato, da quando sono qui.
Sempre da sola, in solitudine, col silenzio.
Ma poi sei arrivata tu e i miei progetti sono sfumati. –
- Mi dispiace. –
- Oh, non devi dispiacerti, ci ho fatto l’abitudine. –
- Quando io sono triste, mi getto a fare shopping, ma quello che facevo quando ero la vecchia Elizabeth era provare cose nuove. La tristezza se ne andava immediatamente. Dato che so che mi picchieresti se ti portassi in centro, oggi facciamo che io e te, proviamo cose nuove. –
- Del tipo? –
- Del tipo mangiare e provare a pensare. Ci stai? – propongo dandole la mano
- Ci sto. – risponde sicura stringendomela.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 21. - Brand new start - I love you. I love you too. ***


Author's notes;
Ammetto che non avevo la più pallida idea di cosa scrivere, però sapevo che era arrivato questo momento.
Era ora che queste due...
Ok, no, così vi rovino la sorpresa. e.e
Beh, ci ho messo tre ore per cercare la 'situazione ideale' per questo, spero che vi piaccia.

Ovviamente, vi amo sempre di più.
Ogni secondo, ogni minuto, ogni istante.

stay strong,
Alice.


Capitolo 21.
 

Brand new start.
- I love you. - - I love you too. -

 
- Capodanno -

 
Ronnie’s Pov
Che strane vacanze che sono queste.
Per la prima volta, non sono stata sola.
Né psicologicamente, né fisicamente.
C’è Elizabeth.
Un tornado di allegria, di idee e assolutamente contraria all’idea di tranquillità.
Mi chiedo cos’è che l’ha spinta a ‘scegliere’ me, come compagna per le vacanze invernali.
Pensavo tipo, non so, Cassie o Mike.
Dove ci sono feste, spettacoli e ci si droga ci si scopa senza pudore.
O comunque qualcuno di ‘loro’.
Mai avrei pensato che Elizabeth Winstor venisse a casa mia per Natale, né tantomeno che rimanesse fino a Capodanno.
- Grazie. – sussurro sovrappensiero
- Come? – chiede lei, alzando lo sguardo dal piatto di frittelle che si è preparata.
- Grazie. – ripeto a voce più alta – Per essere qui, a farmi compagnia. –
- Oh, è un piacere. – e alla mia faccia dubbiosa aggiunge – Davvero. Mi fa piacere stare con te. Sei… diversa dalle persone altre che frequento.  Mi stai aiutando a capire quali sono le cose importanti nella vita, e non sono i trucchi o i ragazzi. –
- Qualcuno deve pur far la parte dell’adulto, no? –
- Tu stai aiutando me, ed io ora aiuto te. – si alza in piedi – Ti preparerò un banchetto natalizio coi fiocchi. Non gli resisterai. –
“Oh, sì che ci riuscirò.” Penso.
Elizabeth si alza e si dirige in cucina.
 
Speravo che se ne fosse dimenticata, ma un patto è un patto.
Quindi, appena Elizabeth mi chiama, mi alzo dal divano, interrompendo la lettura de ‘La solitudine dei numeri primi’ e mi dirigo in cucina.
La finestra sul giardino è aperta e cade della neve.
Sul tavolo c’è il cibo per un esercito intero.
E anche per le Beliebers.
- La NASA ti ha aiutato molto, eh? – commento sedendomi davanti a lei.
Elizabeth mi guarda senza capire.
- Lascia stare. – sorrido e si siede anche lei.
- Così, da dove vuoi cominciare? – la guardo - Oh no, un patto è un patto. Io penso, tu mangi. –
- Davvero Elizabeth, io non so se è il caso… -
- Chiamami Elz. –
 
Cosa?
Mi ha detto di chiamarla come?
‘Elz’?
È impazzita?
Sì.
Certamente.
 
Sospiro.
Elz si stufa e mi mette sul piatto rosso della carne.
 
Carne.
Carne.
Grassi.
Colpa.
 
Caccio dalla mente queste parole.
- Un patto è un patto. – sussurra la ragazza mora davanti a me.
Afferro la forchetta come un’arma, che si trasforma improvvisamente in una piuma.
 
- Ronnie? – consiglio
 
- Su, non è difficile. Prendi la forchetta e infilzi, poi apri la bocca e mandi giù. –
“Sembro una bambina di tre anni.”
Faccio come dice.
Ingoio.
 
Il pezzo di carne scivola giù fino allo stomaco.
Mi si chiude.
Come una ganascia.
Non vuole lasciarlo passare.
 
Un altro pezzo.
 
- Ronnie. - ferma
 
Un altro ancora.
 
- Ronnie! - ordine
 
E così via, fino a finirla.
E poi c’è dell’altra carne, dell’altro cibo.
Che cade, scivola giù fino allo stomaco.
Si indebolisce sotto tutto questo peso e li lascia entrare.
 
Grassi.
Calorie.
Vitamine.
Grassi.
 
La voce di Alexandra mi urla nella testa di fermarmi, ma la voce di Elizabeth mi sprona a continuare.
 
La finisco.
Finisco la carne.
Finisco l’insalata.
E mangio anche il dolce.
Comincia il conto alla rovescia.
 
Tre.
Due.
Uno.
 
- Un nuovo anno, Ronnie. Cominciato con una rivoluzione.  – è questo quello che mi dice Elz mentre brindiamo.
Sullo sfondo i fuochi d’artificio.
 

Elizabeth’s Pov
Le quattro e un quarto.
E Ronnie non è nel suo letto.
È sempre sveglia questa ragazza.
Scendo dal letto e non indosso le ciabatte.
Il freddo del pavimento mi dà un brivido.
Stavolta son sicura di non sognare.
Ci sono dei rumori dal bagno.
Mi avvicino con cautela alla porta.
La scosto un po’ e c’è la luce accesa.
Come un flash, un pensiero entra nella mia testa, e non se ne vuole andare.
 
Ronnie.
 
Attendo qualche secondo.
Un rumore classico di chi vomita.
Il mio incubo è confermato.
Entro con forza nel bagno.
Noto che dietro alla porta c’è una sedia.
Mi giro verso ciò che so che non dovrei vedere, ma che ormai vedrò.
- Ronnie… -
La bionda ragazza è in posizione fetale a terra, con la faccia sul pavimento.
Del sangue le scivola dai polsi fino a toccare terra.
Dentro il water c’è la carne di oggi, e del sangue.
- Elz… vai via. – tossisce debolmente.
Non mi smuovo di un centimetro, anzi mi siedo accanto a lei.
Cerco di tirarla su per le spalle.
Inizialmente fa resistenza poi si lascia tirare su.
La vista del sangue sulla sua maglietta mi fa rabbrividire, e venire voglia di vomitare.
Ma non è il momento di pensare a me.
Devo salvarla dall'autodistruzione.
- Elz… vai via, per favore. –
- No Ronnie. Non ti lascio in queste condizioni. –
- Sto benissimo. C’è… Alexandra che mi aiuta, mi incoraggia. Posso farcela. –
- A fare cosa Ronnie? Ad ammazzarti? Guardati come ti sei ridotta. Sei coperta di sangue e vomiti sangue. Non è normale. Non è bene. –
- Alexandra… -
- Alexandra un cazzo! Ti stai ammazzando. La tua cazzo di sorella è morta e sepolta da un anno ormai. Lei non è qui. Lei non c’è. Ci sono io. E basta. –
- Perché stai piangendo? – dice con un sorriso debole
Non me ne ero accorta, ma delle lacrime salate hanno cominciato a scivolare sulle guance.
Non piango da una vita.
 
Già, perché sto piangendo?
In fondo non me ne dovrebbe fregare niente di lei.
Perché sono venuta a casa sua?
Perché ero così maledettamente felice di stare con lei?
Perché sono preoccupata per lei?
Perché?
Che cazzo mi sta prendendo?
Avevo fatto un giuramento: non mi sarei mai più preoccupata per nessuno.
Mai più.
Una volta sì, ma la nuova Elizabeth no.
Lei è completamente concentrata su sé stessa.
Egocentrica. Egoista. Menefreghista. Materialista.
Non dovrebbe importarle di questa sfigata che si ammazza vomitando e tagliandosi i polsi.
Non dovrebbe affatto importarle.
Se Ronnie dovesse morire, per lei sarebbe solo una cosa buona: un essere inutile in meno.
Quindi, perché tiene la testa di Ronnie sulla sua spalla, mentre entrambe piangono?
 
- Abbiamo fatto una scommessa, io e Alexandra. Chi di noi sarebbe stata la più magra. Ero così vicina a vincere. Ma poi sei arrivata tu e non mi lascia più in pace. Ogni notte mi sveglia e mi costringe a vomitare il niente e a tagliarmi, ed io non ho il coraggio né la forza di ribellarmi, perché lei è mia sorella maggiore, il mio idolo, e non posso non seguirla. –
- È tutto frutto della tua immaginazione, Ron. Non esiste Alexandra. È morta. E tu sei completamente fuori di testa. La vedi di notte perché è la tua ossessione dell’essere perfetta che te la fa vedere. Ma nessuno è perfetto. Anche io, che sembro tanto bella e gentile, in verità ho un sacco di difetti. Portavo gli occhiali e l’apparecchio. Andavo in giro con le treccine. Ero una secchione. Ma ero me stessa. Certo, nessuno mi degnava di uno sguardo, e sono anche cambiata completamente, ma non sono mai intervenuta sul mio corpo. Hai esagerato. –
- Sono da manicomio. –
- Sì. Però prima eri sola. Ora ci sono io con te. Fallo per me, Ronnie, smettila. Smettila con questa tua fissazione. Smettila col tagliarti. Smettirla col ‘non mangio perché me lo dice Alexandra’. Sei bellissima così come sei. –
- Siamo ridicole, te ne rendi conto? –
- Non m’interessa. Io… credo di… ti voglio bene, Ron. –
- Ti voglio bene anch’io, Elz. -

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 22. - I'm stupid. - I'm good. ***


Author's notes;
Ok, già vi ringrazio per le sette recensioni.
SETTE.
SETTE.
SETTE.

Va beh, avete capito.
Comunque.
Perdonatemi se questo capitolo fa schifo o c'ha errori tipo kndgiudhtiuhm, perchè l'ho scritto di getto e sono le una e venti. e.e
Solo questo e buona lettura.

stay strong,
Alice.


Ps- il mio twitter @_xbelieveinyou
Pps- vi amo, eh.

Capitolo 22.

 

I’m stupid.
I’m good.

 
Ronnie’s Pov
È passato più di un mese da Capodanno.
Le cose sono diventate fantastiche.
Il progetto per scuola è diventato tipo un incontro di gossip e grandi filosofi.
Ormai possiamo considerarci amiche, direi.
 
Scuoto la testa.
 
Io sono una cretina.
Una cretina, punto.
 
- Cos’ha da dire di no, signorina Smith? – l’attenzione del prof di matematica e di quella di tutta la classe vengono su di me.
Vorrei scomparire sotto il banco e scendere fino al centro della Terra, poi magari lì sciogliermi.
- Ha da ridire qualcosa? – insiste
Un errore madornale mi salta agli occhi.
- Ha… ha sbagliato il calcolo, prof. Non è sei fratto dodici, è sette fratto dodici. – sussurro balbettando.
Il prof mi guarda di sottecchi, poi prende la calcolatrice finisce il calcolo e accompagnato a un borbottio cancella il sei e mette sette.
 
E fu così che Ronnie diventò la secchiona della classe.
 
A pranzo,  Jennie mi ferma per un braccio e mi costringe a sedermi accanto a lei.
So che è il momento del terzo grado, le leggo negli occhi la voglia sfrenata di sommergermi di domande.
- Spara. – dico addentando un pezzo di carne.
Prima Jennie mi guarda molto sorpresa del gesto di mangiare e ingoiare un pezzo di carne.
Mi ricordo improvvisamente che lei non mi ha mai visto mangiare da quando ci conosciamo.
E non sa del mio ‘non mangiare’.
Sta zitta per qualche altro secondo e temo, prima che faccia qualsiasi domanda, che mi chieda ‘Perché mangi?’.
Però fortunatamente è troppo presa dalle sue domande che le frullano in testa.
- Cosa? –
- So che hai il terzo grado pronto. –
- Ok, d’accordo. Primo, dove sei stata tutti i sabati di questo mese? Secondo, perché vedo te ed Elizabeth sorridere? Terzo, perché non fai altro che studiare tutti i giorni con lei? Quarto, perché se provo a chiamarti sei sempre occupata? Quinto, perché stai mangiando? –
“Appunto. Cazzo.”
- Ho fame. – rispondo neutra.
- Non hai risposto alle altre domande e… -
- Ehi Ron. Posso chiamarti così, vero? – David Briston interrompe la frase di Jen.
- Credo di sì. – rispondo guardandolo.
- Bene, Ron. Lo sai che hai un bel nome? –
- Vieni al dunque Briston. – mi alzo e lasco la mensa, abbandonando una Jes parecchio infastidita dall’interruzione.
- Uuh, sulla difensiva, eh? – dice seguendomi.
Cammino diretta verso la mia aula, in anticipo di dieci minuti.
- Ehi senti, devo finire di ripassare. Interroga e voglio essere pronta. – dichiaro sbrigativa.
Se non l’ha capito, voglio che mi lasci in pace.
- Volevo solo chiederti un paio di cose. –
- Sbrigati. – sbuffo
- Quel numero era il mio. – “Lo sapevo” – E anche se volevi uscire con me. –
Cosa?
- Cosa? – chiedo incredula
- Ma sì. Un’uscita. Da amici, intendo. A meno che tu non sia già impegnata e… - si avvicina e prova a baciarmi.
Mi salvo grazie alla campanella.
La seconda volta.
 

Elizabeth’s Pov
- Allora, com’è andata? – le grido non appena ha fatto un passo in casa mia.
- Cosa? –
- L’appuntamento con David. -
- Mmh, sì, bene. – risponde vaga appoggiando i libri sul tavolo e accomodandosi sul divano.
- Sembri parecchio scossa e confusa. Un ‘bene’ non è esatto. –
- Sei una psicologa, o cosa? –
- Una buona osservatrice. – dichiaro con un sorriso – Allora, ti ha baciata? Avete parlato? Che ti ha detto? –
Ronnie abbassa lo sguardo e dietro il ciuffo, intravedo un sorriso.
- Oh Mio Dio! Ti ha baciata! E com’è stato? –
- Elz, che ne so! È stato un bacio, punto. –
È arrossita, e tanto.
- Uscirete una seconda volta? –
- Questo è il piano. Giovedì. – sussurra il giorno ma lo sento lo stesso.
- Oh! Una nuova coppia! –
- Sì, vuoi mandarlo a Gossip Girl? –
- Eh! Non è una cattiva idea… -
Il suo sguardo eloquente mi fa scoppiare a ridere.
- Facciamo il tema. – Ronnie chiude la conversazione.
 
Non è finita qui, ragazza.
Oh no.
Abbiamo appena iniziato.
 
- Sono stanca. Basta. – esclama a sorpresa Ronnie, chiudendo bruscamente il quaderno su cui stavo facendo tanti bei scarabocchi. – Andiamo a fare qualcosa.  Shopping ma… -
La guardo scioccata, letteralmente.
Ha veramente detto la parola ‘shopping’?
La parola tabù?
Lei mi cambia lo sguardo altrettanto sorpreso.
 
È come una speranza, una luce che illumina il mio mondo da quando l’ho conosciuta, questa ragazza.
Quando ride, rido anch’io.
Quando se ne esce con una delle sue frasi sarcastiche, ed io non le capisco, lei scoppia a ridere.
E alla fine ridiamo insieme.
Ho paura che qualcosa vada storto.
Ho paura che lei se ne vada.
Ho paura che questa amicizia, - che strano effetto che mi fa pensare che io e lei siamo amiche -.
Ho paura di un sacco di cose.
Le cose belle finiscono sempre male.
È tipo la cosa di cui avevo bisogno, ecco.
Ho bisogno di lei, come una guida, ecco tutto.
Io sto bene, con lei.
Mi fido di lei.
E me ne accorgo dopo un mese.
 
Ecco, dopo tre ore di shopping sfrenato siamo di nuovo a casa.
- Wow, è stato divertente. – si lascia sfuggire, appoggiando le cose sulla poltrona in sala – Le cose che abbiamo comprato sono forti. –
- Come? -
- L’ho detto davvero? Che cazzo mi hai fatto strega? Ti odio! – esclama alzandosi di scatto dal divano e indicando me.
- Come? Davvero? –
Davvero sto facendo la parte della ragazza fragile?
Qualcosa dentro di me vacilla.
- Stavo scherzando, ehi. – Ronnie mi si è avvicinata
- Che vuol dire? –
- Che ti voglio bene. E che per quanto può sembrare assurdo, mi sono davvero divertita. –
- Tu, Ronnie, sei davvero strana. -

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 23. - Let's go! - I can't believe it! ***


Capitolo 23.
 

- Let’s go! –
I can’t believe it!

 
- qualche giorno dopo -

 
Ronnie’s Pov
A scuola.
Cosa normale.
Armadietto.
Jennie ancora non si vede.
“Strano.”
Piccolo e veloce pensiero.
Veloce come il passo di David che mi si avvicina.
Non riesco a chiudere l’armadietto perché già mi ha presa da dietro e già ha appoggiato le labbra sulle mie.
- Ehi. Ti do un dito e ti prendi l’intero braccio? – sussurro dopo che ci siamo staccati.
Delle ragazze di terza sono passate e mi hanno guardata con… invidia.
Quasi volessero essere al mio posto.
- Ehi. Ho tutto il diritto. Hai un braccio così sensuale e la pelle così morbida che… - mi morde leggero sul collo - …sei irresistibile. –
- Non sono un biscotto. –
- Invece sì. Sei la mia biscottina. –
- No! Ti prego! –
- Qualcosa mi dice che l’hai chiamata ‘biscottina’ o con un qualche altro nomignolo terminante in ‘ina’. – Elz ci sorprende davanti a noi, facendomi fare un salto.
- Come fai a… -
- La tua faccia. –
- Ah. –
- Comunque, ero qui per darvi questi. – ci porge due foglietti bianchi – È la mia festa di compleanno. Si terrà il sedici febbraio. Siete invitati. –
- Grazie. – rispondo con un sorriso, lei mi ricambia e poi se ne va.
- Credo che sia il momento di andare. Hai da fare più tardi? –
- Credo di no. –
- Bene, ci vediamo fuori scuola, Ron. – mi dà un leggero bacio sulle labbra e poi va verso l’aula di storia.
È un ragazzo materialista, certo.
È un ragazzo che vede solo l’aspetto fisico.
È un ragazzo che non si fa scrupoli a tradirti.
È un ragazzo che appena ne vede un’altra, ti lascia senza preavviso.
Ma è estremamente carino, e molto simpatico, quindi perché non accettare il rischio?
Capelli biondo scuro, gli occhi nocciola. Un sorriso.
Beh sì, assomiglia parecchio a Justin.
Con un sorriso da ebete sulla faccia entro nell’aula di letteratura.
 

- sedici febbraio, giorno del compleanno di Elizabeth –

 
Cosa dovrei indossare?
La tuta non se ne parla.
Una felpa?
Può andare.
Un paio di leggins?
Esagerato.
Una canotta?
Troppo.
Ma Dio, di solito non me ne importerebbe.
Che diavolo mi sta succedendo?
Questi sono pensieri da Elizabeth, non da Ronnie.
- Siamo in crisi, eh? – la voce della ragazza che mi sta salvando la vita mi fa prendere un colpo.
È alla porta, sorridente.
Con una busta in mano.
- Elz! – esclamo sorpassando tutti i vestiti e correndola ad abbracciare –Vieni al momento giusto. –
- Io direi che le cose che abbiamo comprato l’altra volta andranno benissimo. –
- Credo di averle lasciate… - la ragazza mi dà la busta e vedo che dentro ci sono i nostri vestiti.
- Su muoviamoci. –
 

Elizabeth’s Pov
- È stata la festa più bella di sempre! Grazie! Ti voglio bene Ron! –
- Eh, addirittura. – dice.
La abbraccio forte e lei mi ricambia.
 
È stata davvero bella questa festa.
Il dj ha mandato le canzoni giuste.
Peccato che è finita.
Ci siamo divertite, e Ronnie era veramente una figa.
 
Entriamo in casa e mamma è sul divano.
Sono le tre.
- Allora tesoro, com’è andata la serata? Ah Ronnie, ci sei anche tu. Ciao. –
- Salve Maggie. –
- Dio, mamma. Non mi sono mai divertita tanto. – esclamo e abbraccio anche lei
- Ehi, cos’è questo abbraccio? E questo sorriso? Dai, ora vai a metterti il pigiama. – mi dà una piccola pacca sul sedere e quasi saltello andando verso la mia camera.
Scendo dopo pochi minuti, ma mi fermo perché sento la voce di mia madre e quella di Ronnie parlare sommessamente e piano.
- … penso che tu sia la cosa migliore che sia capitata in questa famiglia. Per me e per Elizabeth sei la cosa più buona, bella e genuina che potesse capitarci. Elz è diventata una persona diversa da Capodanno. E per questo ti ringrazio di cuore. –
- Io credo di doverti ringraziare, Mag. Tua figlia mi ha salvato la vita. Non mangiavo e mi tagliavo, poi è arrivata lei ed eccomi qui. Mi sento una persona nuova, grazie alla tua meravigliosa figlia. Quando ho avuto bisogno d’aiuto, lei c’era. C’è stata la sera di Capodanno. Ora io faccio del mio meglio per aiutarla a scaldarle il cuore. Molte emozioni se le tiene dentro, e sto solo cercando di farle provare tutto al cento per cento.  Però questo, non gliel’ho mai detto. –
 
Mag.
Mia madre non si faceva chiamare così da quando il mio vero padre se ne è andato.
Il cuore si riempie improvvisamente.
Diventa caldo dentro e più.
Sento finalmente il ghiaccio sciogliersi e la luce entrarci dentro.
 
- Sei davvero una brava amica, Ron. –
- Faccio solo quel che posso. –
 
Trattengo a malapena la felicità e la gioia.
Vorrei tanto saltare fuori e dir loro ‘Siete la cosa più importante della mia vita’ e, rivolta a Ronnie ‘Ti amo sopra ogni cosa. A parte Justin.’
 
- Vieni fuori Elz. So che stai origliando. – dice Ronnie.
Non provo nemmeno a negarlo ed esco allo scoperto.
Mamma e Ronnie sono seduta vicine e guardano entrambe me sorridenti.
 
Non ho mai visto quel sorriso su mia madre.
Ronnie le piace davvero.
Non come Cassie o Mike, che fa sempre il sorriso tirato ed educato, con lei sorride come si sorride… ad una figlia.
 
- Io ti voglio bene. Per questo mi si scalda il cuore. – dico sedendomi accanto alla bionda e abbracciandola
- Anch’io ti voglio bene. – mi dice sui capelli.
Non mi sono accorta che mia madre ha una macchina fotografica.
E lei è pericolosa quando ce ne ha una in mano, molto pericolosa.
Un click e ci stacchiamo.
- Ci hai fatto una foto, mamma? – esclamo divertita e leggermente infastidita.
- Siete la coppia più bella del mondo, voi due. – dice mamma guardando la foto soddisfatta.
Qualcosa passa per la testa di Ronnie,e le si illuminano gli occhi.
Scivola dal divano e si mette in ginocchio sotto di me.
- Vuoi tu, Eizabeth Winstor, prendere me, Ronnie Smith, come tua legittima sposa? –
- Sì, lo voglio. – tossisco prima di caderle addosso e cominciare a ridere come due pazze.
 
- Elz? –
- Sì Ron? –
Alla fine ha dormito a casa mia.
Sembra che abbiamo dodici anni, ma ero troppo felice per lasciarla andare.
Le ho prestato il mio pigiama ed ora dorme accanto a me.
- Non ti ho dato il mio regalo. –
“Il mio regalo più bello sei tu e la tua splendida amicizia.”
La luce si accende e lei si siede davanti a me, a gambe incrociate.
Mi tiro su anch’io.
Ha una piccola scatola davanti.
- È un anello? – mi esce naturale.
Trattiene una sonora risata con una fatta piano.
- No. Però è altrettanto importante. – mi da la scatola e la apro.
Dentro c’è una confezione ricoperta da una carta viola.
La scarto e c’è un cd.
- Un cd? –
- Giralo. –
Lo faccio e vedo la copertina.
Prima mi fa rimanere di sasso, e poi lancio un urlo.
Ronnie comincia a ridere e mia madre accorre subito.
- Dio, Ronnie, non ci posso credere! Non è vero! Dove l’hai preso? Non è nemmeno ancora in commercio! Come hai fatto? Mamma! È l’ultimo cd di Justin che deve uscire la settimana prossima! Giuro che sto per crepare. –
 
Ok, questa è una reazione esagerata e infantile.
Ma chissenefrega.
Siamo in famiglia .
 
- Come hai fatto a procurartelo Ron? – mai madre ha il tono scettico di chi sente puzza di bruciato.
- Ho vinto un concorso di scrittura e mi hanno regalato questi due cd, così mi son detta ‘Perché non regalarne uno a Elz?’ ma a quanto vedo non è una buona idea. Sta per morire. –
- Scherzi, Ron? È il regalo più bello che una persona potesse mai farmi! E tu, sei l’amica migliore che io abbia mai avuto. – ci abbracciamo sorridenti.
Le scocco un bacio sulla guancia.
- E vissero tutti felici e contenti, ora però andate a dormire, biberiane. –
- Beliebers, mamma! –
- Come vuoi. – mamma si chiude la porta alle spalle e torna a dormire.
- Lo ascoltiamo? – chiedo
- Aspettavo te per farlo. – Ronnie si alza e dallo zaino tira fuori il computer.
Le consegno il cd e lei lo infila dentro la porta, attende che si apra ITunes e la voce di Justin Bieber riempie l’aria.
Mi addormento con il cd tra le mani, incredula.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 24. - You are my best friend. - - You are my best friend too. ***


Author's notes;
Decido di dirvelo ora perchè così già vi preparate (?).
Questo è uno degli ultimi capitoli di questa storia.
Ciò vuol dire che non ne mancano molti.
Due più l'epilogo.
Ammetto che ho paura a scriverlo perchè non credo di essere pronta per lasciare questa storia.
Credo che questa sia una delle migliori storie che io abbia mai scritto, perchè mi ci sono impersonata ed è al novantanove per cento reale.

Spero vi piaccia, comunque. 

stay strong,
Alice.



Capitolo 24.
 

- You are my best friend. -
- You are my best friend too. -

 
Ronnie’s Pov
Penso che non dimenticherò mai la faccia di Elizabeth quando ha scoperto che aveva il cd di Justin Bieber in esclusiva.
Le si sono illuminati gli occhi e si sarebbe messa a piangere da un momento all’altro.
È stata una reazione infantile, come quella di una bambina a cui hanno regalato l’ultimissima Barbie o l’ultimissima Bratz, forse anche di più.
È stata sconvolta da una gioia immane, naturale, ed assolutamente divertentissima.
Mi sono sentita contenta anch’io.
Mi sarei messa a ballare e saltare, urlando con lei per tutta la stanza.
Quella camera è stata accesa da una gioia così forte che ho l’impressione che se avessimo aperto le finestre, si sarebbe propagata fino alla casa di fronte e così via.
Una vera meraviglia.
Per gli occhi e per il cuore.
 
- Ronnie? Torna sulla terra. Dobbiamo ultimare questo progetto. – la sua mano mi oscura la vista e mi accorgo di essermi incantata con il foglio in mano.
- Sì, scusa, stavo pensando. Dicevamo? –
- Dobbiamo solo ricontrollarlo, però è il caso che lo faccio io, tu vai a prenderti un bicchiere d’acqua, e uno di coca per me. – mi alzo da terra e vado in cucina, che finalmente serve a qualcosa.
 
Credo che tutto questo sia il destino.
Voglio dire.
La scuola, il prof, il tema, la storia.
E poi Justin.
Abbiamo deciso di scriverla, la nostra storia.
Cambiando i nomi, certo, ma è comunque la storia.
La storia di questa strana amicizia che è nata così, quasi per caso.
Da un po’ mi chiedo: ‘E se le cose dovessero andar male?’ ‘E se lei mi stesse prendendo in giro?’ ‘E se, consegnato il progetto, tutto finisse?’
Ma poi la guardo e capisco che lei non è un’amica, lei è l’Amica.
Quella che è una sorella.
Quella che è parte di te.
Quella che, per quanto possa essere diversa apparentemente, in fondo ha la tua storia simile.
Abbandono, sogni infranti, tristezza e nero ovunque.
Poi certo queste cose si affrontano in modi diversi.
Lei è stata più brava di me, l’ha nascosto.
Io mi sono quasi ammazzata.
Sono convinta che questo sia il destino, ecco.
Io avevo bisogno di lei per ‘ammazzare’ Alexandra, e lei aveva bisogno di me per ‘tornare quella di prima e che negava di essere’.
Potrei definirla, non solo mia sorella, ma anche la mia migliore amica.
 
- Ronnie? Ti muovi? – mi risveglio di nuovo dalla trans e le porto il bicchiere di Coca.
- Io direi che è venuto benissimo. – esclama Elz appoggiando il tema e bevendo un po’ di Coca – Il prof sarà fiero di noi. –
- Pensare che io e te ci odiavamo! –
- Già. Ora mi chiedo: perché ti odiavo? –
- Io lo so perché ti odiavo. –
- Ah sì? Spiegamelo brutta stronza. O ti lancio tutta la coca addosso. –
- Oh-oh! Che paura! Va bene, te lo dico, ma appoggia quell’arma micidiale. – attendo che lei mi presti la sua completa attenzione e spiego – Io credo che volevo essere come te. Sembravi così forte e sicura di te, sbruffona, egocentrica, egoista, ricca da far schifo e tutti ti amavano, mentre io ero lo zombie della scuola. Credo che più che odio, fosse invidia. –
- Oh, io non mi sono mai accorta della tua presenza. Voglio dire, era come se davvero non esistessi. Non leggevo nemmeno il tuo nome sulle bacheche. Eri proprio invisibile al mio naso. –
- Questo sì che mi fa stare meglio. Grazie amica mia. – le batto una mano sulla spalla con un sorriso sarcastico, lei ride e mi abbraccia – Ma per fortuna è arrivato il prof di italiano e ho cominciato a notare la tua presenza effettiva. Che avevi un anima, un cuore, carne ed ossa. –
- Beh, più ossa che carne aggiungerei – preciso
- Già. Eri davvero magrissima all’inizio. Sembravi uno scheletro vivente. –
- E tu sembravi una perfetta ragazza gallina, stupida e senza cervello. Tu mi hai salvato la vita ed io… -
- E tu hai salvato il mio cervello dal suicido. Ci siamo salvate a vicenda, no? –
La abbraccio stretta con un sorrisone sulla faccia.
- Grazie, ti voglio bene. – le dico
- Anch’io. Molto più di quanto immagini. Però ora ho una domanda. –
- Dica. –
- Tra cinque giorni è il tuo compleanno, che hai intenzione di fare? –
- Oh, una cosa semplice. –
- Va bene. – non sembra molto contenta, ma lo accetta con un sorriso.
Chiudiamo definitivamente il progetto con un brindisi tra due coche medie da Mc Donald’s.
 

- sedici marzo, compleanno di Ronnie –

 

Elizabeth’s Pov
- Avevo chiesto qualcosa di semplice, Elz! – esclama Ronnie una volta uscita dal locale.
Dice così, ma ha un sorrisone sulla faccia che le va da un lato all’altro del volto.
- Questa era una cosa semplice. –
- Ah sì? Allora avrò paura al ballo di primavera. –
- Oh insomma! Hai diciassette anni! Non ne hai più dieci! Devi cominciare ad andare alle feste da grandi. –
- Se per ‘feste da grandi’ intendi vedere il tuo non-ragazzo baciarsi con un’altra allora ok. – le si spegne il sorriso.
La cosa strana non è stata che io mi sono avvicinata a David e gli ho urlato ‘sei una brutta testa di cazzo’, è stata la sua reazione matura, che al vedere la scena si è girata e ha cominciato a ballare con un altro ragazzo.
Da stima.
- C’è sempre Justin… - le torna il sorriso.
So che se nomino Justin le torna il sorriso, perché succede anche a me.
- Andiamo. – dice e, salite in macchina, ci dirigiamo verso casa sua.
 
È proprio come nel tema.
Queste due ragazze, completamente diverse, si trovano a diventare amiche grazie alla musica.
Non abbiamo fatto il nome di Justin, ma il concetto era quello.
Io, che cercavo la perfezione sociale, e ne ero così ossessionata da cambiare addirittura faccia.
Ronnie, che cercava la perfezione fisica, addirittura da far del male a sé stessa, sul suo corpo.
Ogni volta che guardo quei tagli che ha sui polsi mi viene un nodo allo stomaco.
Penso a quello che ha passato.
Penso a com’era fragile e insicura.
Prima che arrivassi io.
‘Il tornado di energia che è venuta a distruggere la mia bolla di tranquillità’
Così mi ha descritta.
Io mi sento un’altra persona, grazie a lei.
Mi sento più rispettosa ed è per questo che alla festa di fine estate, inviterò tutti.
Nerds, sfigati, palestrati e galline.
Nessuno escluso.
Perché la musica unisce.
 
- E ora che abbiamo finito il progetto con quale scusa entrerò a casa tua? –
- Sarà sempre aperta per te. Sei mia amica, ricordi? –
- E se avessi una sorpresa? –
- Una sorpresa? –
- Sì. Una sorpresa. Una cose che non ti aspetti. –
- Sì, lo so cos’è. Intendo, una sorpresa? Per me? –
- Chi compie gli anni oggi? –
- Ieri. –
- È uguale. –
- No. –
- Fammi finire una frase! – esclamo divertita.
Ronnie si siede sul divano e mi guarda attenta.
Vado a prendere la borsa e cerco la busta delle lettere.
Per un secondo ho paura di averli dimenticati, o peggio, persi, poi però la trovo e la nascondo dentro la felpa.
- Tu hai da fare il due giugno? –
- No. Perché? –
- Perché iniziano i saldi d’estate e non voglio perdermeli. – le do la busta.
Lei la prende ma prima di aprirla dichiara:
- Se è un buono sconto per il centro commerciale, no grazie. –
Faccio gesto della bocca chiusa.
Ron mi studia ed ho la tentazione di urlale cosa c’è lì dentro.
 
‘- Senta, non m’interessa se non è ancora aperto la vendita biglietti, io devo avere quei due pass per il backstage e quei due fottuti biglietti, lo capisce? Non è una cosa per me, è per me e per la ragazza più importante della mia vita. La mia migliore amica. –
- Tesoro, lascia parlare me. E questi. – mamma tira fuori molte banconote ma faccio cenno di no con la testa.
- È la mia guerra. Se non me li dà, glieli strappo dalle mani. –
- Signora, la prego, le vuol dare questi maledetti fogli? –
- Non sono fogli, mamma! Sono tipo la cosa più importante. È il primo! Il primo di tanti! Non è uno qualunque! E per di più è vicino a noi! Non è una cosa qualunque. Incontrarlo, abbracciarlo, e dirgli quanto è stato per me e per Ronnie, non è una cosa di poca importanza. È di importanza fondamentale, lo capisci? –
- Va bene, ragazzina. Basta che ti tappi la bocca. – dice la signora al banco, poi schiaccia qualche tasto con i diti grossi e mi dà i biglietti e i pass per il backstage.’
Addirittura piangere per dei biglietti.
Non proprio con le lacrime, ma quasi.
 
- Elz… tu… Sono veri? – Ron ha aperto la busta e ne è rimasta paralizzata alla scoperta di cosa sono.
Tiene in mano quei due biglietti bianchi come chi tiene in mano un bambino appena nato, o una nuvola, o un sogno.
- No, sono falsi. Certo che son veri, Ron. E sono esclusivi. –
- Ancora devono aprire la vendita... –
- La voce da gallina isterica funziona. –
- Io credo che… O porca puttana! –
“Ecco. La sua reazione molto fine.”
- Questi sono… i pass?! – strilla scattando in piedi.
Sembra che le voglia prendere un infarto e mi rivedo nelle sue azioni come quando mi ha regalato il cd di Bieber.
Si metterebbe a piangere volentieri, ma è troppo presa a balbettare qualcosa di insensato.
Alla fine mi abbraccia, forte.
- Lo sai cosa sono questi? –
- Pass? –
- No, scema. Sono la realizzazione di un sogno. Finalmente potrò incontrarlo e dirgli quanto lo ringrazio epr avermi fatto conoscere una ragazza come te. Elz, sei la mia migliore amica. –
- Ron, sei la mia migliore amica anche tu. -

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 25. - Rising - Choose ***


Capitolo 25.
 

Rising.
Choose.

 
Ronnie’s Pov
 

You had your fears,

 
Non credo di aver mai visto tanta gente stipata in una casa come oggi.
Questo è un party vero e proprio, quello da VIP.
Ci saranno cinquecento persone, e solo uno o due imbucati.
Non perché sia una brutta festa, ma perché tutte le classi prime del nostro liceo, più qualche fidanzato di seconda, sono qui presenti.
La musica è altissima, tanto da sovrastare i miei pensieri, le canzoni sono quelle giuste e le persone sono quelle giuste.
Scendo dalla scala sotto gli occhi di tutti e mi avvicino a David, il mio accompagnatore.
È veramente carino.
Elz sta ballando con due ragazzi, uno dei quali è Mike.
Vorrei parlarle ma la vedo parecchio impegnata.
E comunque, ho altri programmi per stasera.
 
Rinascere.
 
- Sei davvero bellissima Ronnie! – esclama David stupito ed osservandomi mentre scendo gli ultimi scalini. Mi prende per mano e mi fa fare un giro su me stessa. – L’azzurro ti dona molto. Ti fa risaltare gli occhi. – dice guardandomi soddisfatto.
- Lo so. Me l’ha detto anche… - sto per dire il nome della mia migliore amica.
David mi guarda e mi perdo per un secondo in quegli occhi castano.
- … la commessa del negozio. È la stessa cosa che ha detto lei. – lui sorride e poi ci infiliamo nella mareai di corpi che strisciano e si muovono a ritmo di musica.
 
Era un sacco che non andavo ad una festa del genere.
Non avevo mai visto tanta gente.
E non ero mai stata vista da tanta gente.
C’è il dj, c’è la musica, ci sono le luci ed ho un accompagnatore.
È tutto fantastico.
 
La faccia di Alexandra mi compare nella mente come un flash.
 
Lo sapevo.
È arrivato il momento.
Mi sono preparata tanto.
Io posso farcela.
 
- Scusami… - dico a David e mi dirigo verso il bancone, dove sopra è posato ogni ben di Dio in fatto di schifezze e dolciumi.
Questa sarà la prima sera che mangerò dolci dopo tanto tempo.
Me l’ha chiesto Elizabeth di mangiare.
E lo farò.
Mi sono distrutta abbastanza per questo.
Ora è il momento di rialzarsi.
 
Il suo odore caratteristico, di Alexandra, entra nelle narici, si infila tra i pensieri e poi è nella mia mente, annebbiandola in pochi secondi.
Afferro una patatina e me la infilo in bocca, masticandola con forza.
Lo scricchiolio mi dà i brividi, però la ingoio.
Inizialmente lo stomaco brontola, come un cane che vede una cosa nuova per la prima volta.
Ci gira intorno, lo annusa e poi lentamente comincia a masticarlo.
- Che stai facendo Ronnie? – la sua voce è solo un sussurro.
Afferro una piccola caramella.
La rigiro nelle dita.
La scarto.
Osservo il suo colore rosso e poi decisa la metto in bocca.
Sono stata fortunata, è una di quelle morbide.
Do un morso.
Sa di fragola e di zucchero.
La ingoio.
Lo zucchero mi entra nelle vene, come se fosse stato invitato ed atteso da tanto tempo, e lui avesse accettato l’invito.
Non mi sorprenderei se ringraziasse e si scusasse anche per il ritardo.
- Ronnie. Stop. – la voce di mia sorella mi giunge un po’ più forte.
“No.” penso e convinta prendo un dolcetto fatto da Cynthia.
- Ronnie. No. – la voce di Alexandra è ora più forte della musica e la sovrasta, ferma e severa.
Non è un consiglio, è un obbligo.
È come se il mio cervello avesse abbassato il livello della musica per farmi sentire meglio la voce di Alexandra.
“E invece sì.” Penso di risposta e gli do un morso.
Il pezzo di cioccolato mi entra dentro.
Una carica di zuccheri e cioccolato al latte e cioccolato fondente si mischiano per poi entrare in circolazione nel mio sangue.
E mi piace.
Mi piace il suo sapore.
Il suo dolce sapore di cioccolato che si scioglie sulla lingua.
La morbida carezza delle gocce di cioccolato che finiscono nel mio palato.
Improvvisamente il mio corpo ne chiede ancora, sempre di più, sembra non desideri nient’altro.
Senza accorgermene afferro un biscotto, un altro, un altro e un altro ancora.
Alexandra comincia a urlare e più lei urla, più il mio corpo ne vuole e più ne ingoio.
Diventa una frenesia.
Ogni cosa commestibile che vedo su quel tavolo finisce nella mia bocca.
Assaporo ogni cibo e tutti quei vecchi sapori mi riportano con i ricordi a quand’ero piccola.
Mi maledico per essermi negata per tutto questo tempo queste prelibatezze.
Diventa un’ossessione, un bisogno frenetico.
Afferro e ingoio.
Afferro e ingoio.
Nessuno mi vede o mi sente, faccio tutto a luce spenta.
Il mio stomaco e il mio cervello sono divisi a metà.
Una parte ne vuole sempre di più, l’altra vuole fermarsi.
Il punto è che non le sento.
Il cervello è spento.
Non sento più nemmeno le urla di Alexandra.
Solo il rumore del cibo dentro la mia bocca.
 
Mi rendo conto di aver esagerato quando noto la torta al cioccolato vuota.
Ho in mano io l’ultima fetta.
La appoggio di nuovo ed esco di fretta.
Mi siedo davanti casa, sugli scalini, con le la testa tra le gambe.
 

Elizabeth’s Pov

 
I was fine 
 

Vedo Ronnie scappare, letteralmente, fuori dalla porta.
Dev’essere successo qualcosa.
Mi stacco dalle mani di Mike e la seguo fuori casa mia.
La vedo stretta a sé sugli scalini, con la testa tra le gambe.
- Ron? –
- Elz. – dice tirando su col naso
- Stavi piangendo? –
- No, ho solo freddo. – risponde lei ma non le credo.
Mi siedo accanto a lei e la abbraccio.
- Raccontami che è successo. –
- C’era. È arrivata, Elz. Alexandra. Mi ha chiamata mentre stavo ballando. Mi sono avvicinata al bancone dei cibi e ho preso una patatina. Lei mi ha detto di non farlo, ma l’ho fatto. L’ho mangiata poi ho preso una caramella e ho sentito la fragola e lo zucchero. Ha cercato di fermarmi ma ho mangiato anche quella. Alla fine ho preso un biscotto e l’ho mandato giù e… -
Racconta questi eventi come se avesse imparato ora a mangiare.
La abbraccio.
Ha gli occhi rossi dalle lacrime, e gonfi.
- Mi sono abbuffata, Elz. Ad un certo punto non ci ho capito più niente e ho cominciato ad afferrare ed ingoiare, senza distinzioni. Sono impazzita. Non capivo più quello che facevo. La cosa vitale era per me mangiare e basta. –
- E allora perché stai piangendo? –
- Perché sto male. Mi sento in colpa. Ho esagerato. Alexandra urlava. Non ha mai alzato la voce con me, si è arrabbiata parecchio. –
- Ora c’è? – le chiedo paziente.
- No, è andata via. Temo che stanotte, tornata a casa, verrà a farmi visita. – con un singhiozzo infila la testa tra l’incavo del mio collo e la testa e piange.
I singhiozzi la fanno sussultare.
- Lei non tonerà. Ci sono io con te che ti proteggo. Ti voglio bene. Sei la mia migliore amica. Non potrei mai abbandonarti. -
Le accarezzo i capelli lentamente.
È così difficile per lei.
E anche per me.
Lei è la mia migliore amica.
Soffre lei, soffro io.
- Elizabeth? – una voce gela il momento – Che ci fai qui fuori e con Smith? –
- Mike. – Ronnie alza improvvisamente la testa.
Mi alzo in piedi con uno scatto.
- Che succede qui? Elizabeth, tu non sei mica diventata sua… sua amica, vero? – sembra che si voglia a mettere a vomitare a questo pensiero.
Che poi è la realtà.
- Niente, stavamo solo parlando. –
- Di cosa? –
- Elizabeth, è il momento di dirglielo. – Ronnie ha la voce ferma.
- Cosa? –
 
Sono in un bivio.
Come in una strada.
Prendo la strada a destra? Quella di Ronnie? Quella giusta?
O prendo la strada a sinistra? Quella di Mike? Quella sbagliata?
Cos’è che è più importante per me?
 
Piano piano tutti i partecipanti alla festa si sono riuniti intorno a noi, ad osservarci.
Cassie passa davanti a tutti.
 
Ho preso la mia decisione.
 
- Cosa è il momento di dirci, Elz? Cosa mi nascondi? – Cass insiste con la sua voce dannatamente acuta.
- Che noi due siamo… - comincia Ronnie.
Progetto un piano in cinque secondi e poi continuo io per lei.
- .. amiche? Che siamo amiche? Stavi per dire questo, vero? – mi giro verso di lei – Quanto puoi essere credulona, eh Ronnie? Davvero pensavi che io e te fossimo amiche? –
- Ma Justin, la storia, il concerto… -
- Il concerto? Il concerto? Oh, ma sei proprio tonta, eh. Secondo te io porterei mai una come te ad un concerto? Ragiona. Siamo su due piani diversi. Tra le due, quella che salverebbe Dio, sarei io. Perché sarei semplicemente più utile alla società. Sei uno scarto, tesoro. Un inutile scarto da buttare nel cassonetto. – mi avvicino a Mike
- Elizabeth. Mi avevi detto che eravamo migliori amiche per sempre. Tu mi hai usata? –
- Oh, è arrivata ‘Capitan Ovvio’. Certo che sì, Smith. Mi servivi per prendere un bel voto in italiano, per quello stupido progetto. Insomma, davvero pensavi una cosa simile? Sei proprio stupida. Stupida e infantile. Cresci bimba, e, per tua informazione, sei una grassa sporca balenottera. – ed entro dentro casa mia.
- Continuiamo la festa? – è il dj che urla al microfono.
Tutto urlano, ma per me la festa è finita.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 26. - Ronnie? ***


Author's notes;
Ok, scrivo ora perchè perchè poi c'è l'epilogo e non me la sento di scriverci su. e.e
Vi amo tutte, ok?
Le sedici che hanno messo questa storia tra le preferite.
Le tre che l'hanno messa tra le ricordate.
Le tredici che l'hanno messa tra le seguite.
Le sessantuno che hanno commentato fino al capitolo precedente.
Ed io vi sono grata, davvero.

Questa non è una storia inventata, è presa totalmente dalla realtà.
E' la storia dell'amicizia tra me e la mia migliore amica, Gioia.
E' a lei che la dedico.
Lei che non è solo la mia migliore amica, è mia sorella e il mio angelo custode.
Le ripeto sempre che mi ha salvato la vita, lei dice di no, ma io so che è così.
Davvero Giò, sei la mia vita.
Ti voglio bene.

VI AMO.
UNA PER UNA.


Ricordate, ognuna di  voi è perfetta a modo suo.
Non lasciate che gli altri vi dicano chi essere, che fare e come comportarvi.
Non cambiate per nessuno, perchè se vi è amico e vi ama, vi ama per quello che siete, con i vostri difetti e pregi.
VOI SIETE PERFETTE.
E se per caso vi sentite una merda o una nullità, beh, non lo siete.
Voi non siete sole, c'è sempre qualcuno.
Se vi sentite male, parlatene con qualcuno, non fate come me, d'accordo?
Non chiudete il cuore e non state in silenzio, non lasciate che il dolore vi prenda e vi porti giù, giù sempre più, fino all'abisso.
Rimanete forti.

Questa è la mia storia, Ronnie è la mia storia.
Non è finita così, perchè altrimenti non sarei qui a scriverla.
Non è finita così grazie a Giò.
Mi hai salvato la vita, ok ragazza?
Spero che ognuna di voi trovi la sua 'Gioia'.


Detto questo, vi saluto e vi lascio all'ultimo capitolo e all'epilogo.
Spero che mi seguiate in una prossima FF che sto cercando di progettare.

stay strong,
Alice.



Capitolo 26.
 

Ronnie?
 
- Una settimana dopo –

 
Elizabeth’s Pov
 

Showed me what I couldn't find 
When two different worlds collide 

 
Sette giorni dopo la festa sono davanti a casa di Ronnie, indecisa se suonare o no il campanello.
 
Mi odierà.
L’ho chiamata ‘grassa balenottera’.
 
Tre giorni fa mi sono staccata di Mike e Cassie.
Ho detto loro molto semplicemente che la nostra amicizia era finita.
Ora frequento le ragazze del corso di scienze e devo dire che sono delle tipe davvero simpatiche.
Ronnie non si fa vedere a scuola dalla sera della festa e sono preoccupata.
L’ho lasciata in circostanze peggiori di quelle con cui l’avevo trovata.
Ho provato a chiamarla al cellulare, ma risulta sempre spento, le ho inviato dei messaggi e lasciato dei messaggi nella segreteria telefonica, ma niente.
Non mi ha né richiamato né cercato.
Un bel respiro e suono il campanello.
Nessuna risposta.
Suono il campanello un’altra volta e più a lungo.
Strano, di solito risponde sempre.
Sto per suonare quando noto che la porta è socchiusa.
L’ha lasciata aperta tutto questo tempo e non se ne è accorta?
C’è qualcosa che mi puzza.
Entro in casa e a bassa voce chiedo:
- C’è qualcuno? Ronnie sei a casa? Sono io, Elizabeth. – attendo con pazienza di vederla spuntare da qualche parte, ma di Ronnie nemmeno l’ombra.
Faccio un giro in cucina, in sala, in giardino, sul balcone, in camera sua.
La porta del bagno è accesa.
Busso un paio di volte e sussurro ‘Ronnie?’, però non ricevo risposta.
Anche questa è aperta.
La apro lentamente e subito noto il disordine a terra.
Scatolette, pillole, carta igienica e un asciugamano.
Ma lei non c’è.
La tenda della doccia è aperta.
Qualcosa mi percorre la schiena.
Un brivido.
Scosto la tenda.
 

Del sangue.
Delle pillole.
Una limetta per le unghie.
La scritta sul muro ‘Sono grassa’ e il corpo di Ronnie dentro la vasca, immersa in una pozza di sangue, con degli enormi squarci su petto, gambe, braccia e viso.
La realizzazione della cosa è velocissima quanto scioccante.
Non ci sarà nessun concerto.
Non ci sarà nessuna festa a casa sua.
Non ci sarà un’estate passata alle Hawaii.
Veloce come un lampo.
Come un flash.
Come un soffio di vento.
Ronnie non c’è più.
 
When two different worlds collide

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 27. - How it ends. ***


Epilogo.
 

Cause were one
And the same
We're anything but ordinary
One and the same
I think were almost legendary

 
Elizabeth’s Pov
Io, mia madre, mio padre, mio fratello, i suoi genitori, Jenni, i genitori di Jenni, e tutta la scuola siamo riuniti intorno alla sua tomba.
Anche il prof di italiano è venuto.
 
La notizia della sua morte, l’ho data io.
Hanno voluto venire tutti.
Tutta la scuola è riunita intorno a lei.
 
È stata una cerimonia sobria, come lei avrebbe voluto.
 
Abbiamo pianto.
Io tanto.
Non credo di aver mai pianto così tanto in tutti i miei diciassette anni.
Lei era la mia migliore amica.
La persona più importante della mia vita.
Mi ha cambiato la vita, stravolta e resa migliore.
Mi ha fatto diventare una migliore me.
La sua presenza nella mia vita è stata fondamentale.
Penso di amarla più di una sorella.
 
Ho organizzato tutto.
Ho scelto il sei maggio.
Ha piovuto mentre eseguivamo il tutto.
Abbiamo letto il suo testamento, l’aveva lasciato sopra il suo letto.
Ha salutato tutti, tranne me.
Ovviamente.
 
L’autopsia ha confermato ciò che io sapevo ma non volevo ammettere.
Si è suicidata la notte stessa della festa.
Tagliandosi più e più volte.
Dissanguata.
Hanno chiesto a me l’identificazione.
 
Il notaio mi ha dato un busta alla fine, molto confidenziale.
Dentro c’è un biglietto scritto a mano, con la sua meravigliosa calligrafia.
Sono incerta nel tenerlo in mano, ma lo apro.
 
‘Elz.
Probabilmente quando leggerai questo biglietto sarò da tutta un’altra parte.
Devi capire che non è colpa tua se sono partita, ok?
Non è colpa tua.
È colpa mia, solo mia.
Io so che tu l’hai fatto perché avevi paura di loro.
Ma non devi averne.
Devi fare affrontarla, quella paura.
Se io affronto questo, tu puoi affrontare loro.
Devi sapere che non ti odio.
Non ti odio e tu non ti devi odiare per quello che è successo.
Giuro che lo capisco.
Spero solo che questo ti faccia aprire gli occhi e che ti faccia capire chi ti è amico e chi non ti è amico, Elz.
Io ti vorrò per sempre bene.
Sarò sempre accanto a te, sempre.
Tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti finchè non ci rincontreremo.
Io non ce l’ho fatta, ma tu ce la devi fare.
Sei una donna forte.
Combatti e vivi anche per me.
Affronta il liceo, affronta il college, prendi l’università e diventa avvocatessa.
Vai al concerto di Justin e incontralo, digli che è il mio idolo e che lo ringrazio.
Ringrazialo da parte mia per avermi fatto conoscere la mia migliore amica, te.
Mi hai salvato la vita, Elz.
Non te l’ho mai detto apertamente, ma è così.
Sono certa che senza di te, non avrei vissuto sino a maggio.
Non ce lo con te, chiaro?
Io vivo in te e tu vivi in me.
Migliori amiche per sempre.
Ti voglio bene.
 
Ron.’
 
Richiudo con cura la busta e la metto dentro la borsa.
Lascio che la pioggia mi inzuppi completamente.
Non m’importa dei capelli, del trucco o dei vestiti.
È una cosa tra me e lei, ora.
- Ti voglio bene anch’io Ron! – urlo al cielo.
 Qualche istante dopo, il sole compare da dietro le nubi improvvisamente.
La pioggia e il nero, lascia spazio a un meraviglioso cielo azzurro e un meraviglioso arcobaleno.
Sorrido a Ronnie, la mia migliore amica.

 
You and me
The perfect team
Chasing down the dream
We’re one and the same.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=789271