Thirty days of hell.

di Sh_NT
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning of a nightmare. ***
Capitolo 2: *** Day One ~ I'll show you mine if you'll show me yours ***
Capitolo 3: *** Day Two ~ Interviews? For what? ***
Capitolo 4: *** Day Three ~ Flashes ***
Capitolo 5: *** Day Four ~ Whatever Happened Last Night ***
Capitolo 6: *** Day Five ~ Talking, Kissing, Talking ***
Capitolo 7: *** Day Six ~ Dinner and... ***
Capitolo 8: *** Day Seven/Eight ~ Do I really need to write this down? ***
Capitolo 9: *** Day Nine ~ Happiness... I think. ***
Capitolo 10: *** Day Ten/Eleven/Twelve ~ Is this really happening? ***
Capitolo 11: *** Day Thirteen/Fourteen ~ Rain ***
Capitolo 12: *** Day Fifteen ~ Parenting ***
Capitolo 13: *** Day Sixteen ~ Maybe I've just waited for too long ***
Capitolo 14: *** Day Seventeen ~ I don't know where I am or where've been ***
Capitolo 15: *** Day Eighteen/Nineteen/Twenty ~ What is happening? ***
Capitolo 16: *** Day Twenty one/Twenty two/Twenty three ~ I hated you... ***
Capitolo 17: *** Day Twenty four/Twenty five ~ It's time to begin ***
Capitolo 18: *** Day Twenty six/Twenty seven ~ Weren't you supposed to follow your dreams? ***
Capitolo 19: *** Day Twenty eight/Twenty nine/Thirty ~ This is everything I've ever dreamed of ***
Capitolo 20: *** The beginning of a dream. ***



Capitolo 1
*** The beginning of a nightmare. ***


The beginning of a nightmare                                                                                   

The beginning of a nightmare.



Ero una normalissima giornalista di Rolling Stone, forse solo un po' più impegnata della norma ma credo che quello dipendesse dal fatto che non avevo una vita sociale come tutte le altre ragazze della mia età, e proprio per questo mi sono ritrovata a fare quel dannato articolo: perché pensavano che fossi "la più adatta" a quel tipo di lavoro. A saperlo non avrei mai lasciato quello sfigato del mio ex-ragazzo così presto, sarei rimasta con lui a festeggiare per sempre la mia giovinezza, tra sigarette e allegre bevute. Invece no, ho dovuto fare di testa mia, l'ho dovuto lasciare dopo l'ennesimo "Sposami, amore, così posso baciarti quando mi pare", frase che continuava a ripetermi da quando avevamo visto insieme "Tutta colpa dell'amore". Già, in quegli anni continuavo a fare errori del genere.

Il giorno in cui Tracey Jacobs entrò in redazione fu un fomento generale, tra persone che riflettevano su chi potesse essere interessato il caporedattore e a chi sarebbe toccato quella volta intervistare una nuova star di Hollywood. Già, perché ancora non riuscivamo ad abituarci alla vita che avevamo scelto; noi eravamo comuni esseri umani mentre loro erano sempre un gradino più in alto, o perlomeno questo era quello che si pensava. Tracey era l'impiegata e il massimo esponente della United Talent Agency, conosciuta in campo giornalistico – compresa me – per portare importanti contratti per interviste e grandi rivelazioni da parte degli attori hollywoodiani, per cui potete capire il perché di tanta eccitazione da parte nostra.
La donna indossava il solito tailleur grigio, tacco basso e un paio di occhiali dalla montatura leggera, e sono a conoscenza di questi dettagli solo perché sembrava che avesse solamente quel completo. Con una valigetta in mano e l'altra immobile lungo il fianco, sorpassò la folla sembrando la perfetta imitazione di Mosè, ed entrò nell'ufficio sotto lo sguardo entusiasta di Jack Mayer, caporedattore, che posò un secondo gli occhi su di me per poi voltarsi e seguire l'agente.
Già, avevo capito il mio destino e avrei preferito essere sepolta viva il quel momento. Da mesi mi assillava per un possibile articolo sulla vita di Johnny Depp, mi aveva avvertito, mi aveva detto di prepararmi... e io cos'avevo fatto? Avevo riso. Riso, sì, perché Johnny Depp, riservato e nemico delle macchine fotografiche non avrebbe mai accettato un articolo di QUEL genere. Un mese sotto i riflettori. Dio, nessun attore/cantante/regista/scrittore/personafamosaconuncervellofunzionante avrebbe accettato di sottoporsi a tale tortura. Eppure era successo. Jacobs uscì salutando con una stretta di mano il buon vecchio Jack, mi fissò con un sorrisetto malvagio dipinto in volto ed uscì apparentemente soddisfatta davanti gli occhi eccitati di decine di giornalisti. Ovviamente Ruth, la perfida Ruth Peterson, colei che si occupava dei più famosi, si diresse verso il capo, ma lui aveva occhi solo per me; m'indicò e mi fece segno di avvicinarsi.
Andavo dritta verso l'inferno.


«Sei a conoscenza di ciò che è successo a Johnny Depp, vero?» mi domandò appena entrai nel suo ufficio. Oddio, avrei dovuto? Non ero molto attenta ai giornali di gossip, ultimamente. Annuii deglutendo a vuoto.
«Beh, dopo la separazione da Vanessa Paradis si è lasciato un po' andare, ha distrutto un'altra suite e ora la sua agente vuole rinnovare la sua immagine.» Fece una breve pausa, creò la giusta suspanse e scoppiò a ridere. «HA ACCETTATO L'ARTICOLO!» urlò talmente forte che sentii qualche sedia cadere oltre la porta, o forse era la furia di Ruth che iniziava a divorarmi con il pensiero e mi rendeva quindi mentalmente instabile secondo dopo secondo.
Mimai la sua espressione per rendermi più credibile possibile «Ma è fantastico», quindi tornai all'espressione precedente, impassibile, sperando che in quel modo me la sarei cavata con poco. «Vado a chiamare Ruth».
Ma non feci in tempo a voltarmi che Jack mi dichiarò finalmente la sua
fantastica notizia. «L'articolo è tuo, Helen»

Un'ora dopo ero diretta verso il mio appartamento nella periferia di Los Angeles. Ebbene sì, Los Angeles. E so benissimo cosa state pensando:"Oh-mio-dio! Johnny Depp! Quant'è figo! Perché non era felice? E viveva anche a due passi da casa sua! Avrei potuto fare io cambio con lei!". Beh, sappiate che alla fine avevo accettato l'incarico, quindi potete anche smetterla di fare certi commenti poco consoni. Non fraintendetemi, anche allora pensavo che Johnny Depp fosse un bell'uomo, semplicemente non m'interessava. Tutta quell'aria di mistero, il mandare a quel paese le telecamere... io lo evitavo ogni volta che andavo al cinema e lui mi odiava. Odiava ciò che rappresentavo, ovvio. Proprio per questo sapevo che le prossime settimane sarebbero state un incubo. Nulla in confronto a quello che avrei passato quella sera, poco ma sicuro. Jack mi aveva lasciato uscire prima per prepararmi all'incontro che si sarebbe tenuto il giorno dopo, di conseguenza ebbi tempo di passare nel primo centro commerciale per comprare i film più conosciuti di Depp (a.k.a. Film di cui avevo sentito parlare da Claire): uscii con The Libertine, Pirati dei Caraibi, Sweeny Todd, Neverland e Secret Window e giuro – giuro – che riuscii a vederli tutti quella sera.

La mattina seguente non ero sveglissima. Forse andrei più vicina alla situazione dicendo che assomigliavo a uno zombie, ma ero pronta e preparata dopo aver letto su internet stralci di una biografia "dell'attore del secolo".
Negli ultimi giorni, avevo letto, dopo la rivelazione del tradimento di una notte di Vanessa Paradis con un cantante conosciuto anni prima, Johnny Depp l'aveva lasciata e aveva distrutto la suite in cui si trovava per la premiere di un nuovo film; si era chiuso a tutti, alcuni pensavano si fosse suicidato il che non credo potesse fare bene alla sua immagine, perciò l'adorabile Tracey Jacobs lo aveva costretto a firmare il contratto con... beh, me. Nessuna sorpresa quindi, che mi stesse squadrando da capo a piedi quando arrivai davanti a casa sua – chiamiamola casa – con un caffè in mano e la tracolla in spalla, cercando in tutti i modi di non farla scivolare e fare una figura di merda il primo giorno di,
gulp, lavoro.
Avevo detto di averlo evitato in tutti questi anni? Okay, mentivo. Claire mi aveva costretto a vedere La Fabbrica di Cioccolato. Ecco, l'ho ammesso. E in quel momento avevo solo paura che mi facesse affogare nella vasca di cioccolato che nascondeva nel seminterrato, insieme al forno gigante, e il suo parlare di continuo all'orecchio della tizia nel tailleur di sicuro non aiutava.
Presi un profondo respiro prima di imparare a parlare nuovamente inglese. Già da quella distanza riuscivo a distinguere ogni poro sulla sua pelle... senza parlare del naso che con il tempo avrei imparato a venerare.
«Buongiorno» mormorai con l'accento britannico rubato a mia madre accennando un sorriso, però non mi fecero terminare: subito la donna si voltò seguita dall'attore muto, per entrare a passetti veloci nella dimora. Rimasi immobile con la bocca aperta. Oh, avanti, mi avevano sbattuto una porta in faccia, voi cos'avreste fatto? Tornai in macchina dove abbandonai la tazza di caffé vuota, li raggiunsi in casa e li trovai chini su un pacco di fogli, seduti ad una grande tavolata. Il posto era immenso, roba che avrei potuto fare un pigiama party in cucina e avere anche lo spazio per il Twister, anche se non credo che Vanessa l'avesse usata poi così tanto.
«Mi hanno mandata qui dalla re-»
«Vieni qui, su, così firmiamo e puoi iniziare il tuo lavoro di ficcanaso.» Tra i premi che aveva vinto non credevo ce ne fosse uno per essere scorbutico.
«Non ho chiesto io questo lavoro, sai? Non mi piaci neanche.» Già, forse avrei dovuto rispondere in modo un po' diverso, visto che, giusto per farvelo entrare bene in mente, C'AVREI DOVUTO PASSARE 30 GIORNI INSIEME.
In tutta risposta si voltò verso di me con un sorriso finto stampato in faccia. «Qualcosa in comune, cara»
Non potevo fare altro che sedermi lì e firmare. Lui non mi piaceva, io non piacevo a lui, ma cosa me ne importava? Un articolo del genere scritto bene avrebbe significato un salto di carriera enorme.
Johnny Depp era lavoro. Solo lavoro.

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Capitolo 2
*** Day One ~ I'll show you mine if you'll show me yours ***


Day One. I'll show you mine if you'll show me yours.

Ormai era assodato: era antipatico con chiunque non avesse visto i suoi film.
Mi sedetti al tavolo sospirando sonoramente e strappai i fogli dalle loro mani per iniziare a leggere ciò che era scritto nel contratto. Avrei dovuto rispettare tutte quelle clausole? Tracey Jacobs si alzò e la sentii allontanarsi, mentre Depp rimase di fronte a me ad osservarmi con attenzione. Così mi metteva in difficoltà, dannazione! Cercai di evitare di alzare gli occhi e incontrare i suoi altrimenti sarebbe partita una gara di sguardi infinita, ne ero certa. I primi articoli parlavano del mio lavoro, di ciò che avrei potuto scrivere e di ciò che avrei dovuto assolutamente evitare, come descrizioni dettagliate dei luoghi che visitava, della casa, commenti crudeli sul suo stile di vita o informazioni sui film in aveva un ruolo o su persone che incontrava; cose ragionevoli. Continuai, fin quando mi imbattei in frasi alquanto interessanti. Schiarii la voce e le lessi al mio unico spettatore.
«Sarà vietato per la già citata Helen Chester avere momenti di intimità con il soggetto del suo articolo, l'attore Johnny Depp. Subirà inoltre una multa di oltre
blah blah blah se si avvicinerà a lui più del dovuto in pubblico blah blah blah.» Rimisi in ordine i fogli e incrociai le braccia al petto. «Ma voi due fate sul serio o mi state semplicemente prendendo in giro?» chiesi mentre tornava Tracey.
«Devo tutelarmi» rispose semplicemente, sogghignando.
Sbuffai. Dovevo farmi andar bene quella situazione per forza, non potevo rinunciare ora. "Solo poche settimane, solo poche settimane" continuavo a ripetermi a mente, e col tempo quelle parole sarebbero diventate il mio mantra. Non riuscivo neanche a tenere in mano la penna per il nervosismo. "Ci vuole professionalità". Già, professionalità.

«Allora, posso visitare la casa?» Ormai avevo firmato a fatica il contratto, la Jacobs era tornata in ufficio ed ero rimasta sola con Johnny Depp e il mio taccuino, e quest'ultimo non sembrava molto eloquente.
«Non hai letto il contratto?» Rispondere a una domanda con una domanda non ti avrebbe salvato da questo articolo, John.
«Certo che ho letto il contratto. Dice che non posso descrivere dettagliatamente le stanze, non che non posso scrivere quanti bagni ci sono.»
Mi scrutò minuziosamente e mi si avvicinò. «Solo se prima mi fai vedere casa tua.»
E purtroppo non stava scherzando. Mi domandai se sarebbe arrivato a quel punto ogni volta che non voleva mostrarmi qualcosa e subito mi tornò in mente un gioco che si faceva da bambini e a cui scommetto anche lui una volta aveva ceduto.
«Non ridere, sono serio!» Capii che non potevo negoziare, perché quando mai si era visto Johnny Depp serio? Oh, già, quando aveva a che fare con paparazzi e co. Mi dondolai sui talloni, mi girai i pollici e lo confusi iniziando a vagare per la stanza con lo sguardo, quindi iniziai una corsa contro di lui per arrivare al piano di sopra. Sembravamo due bambini, ma a quanto pareva era l'unico modo per avere qualcosa. Mi fermai però arrivata al pianerottolo, non perché l'attore mi avesse raggiunto, ma perché mi ero improvvisamente resa conto del silenzio che regnava in quella casa.
«Un momento...» iniziai, «I bambini dove sono?»
Si fermò anche lui a metà strada per osservarmi. «E' autunno, hanno scuola», e dalla sua espressione capii che mi stavo perdendo qualcosa. Oh-oh. Doveva essere qualcosa sulla sua vita, qualcosa che non avevo letto la sera precedente. Avrei dovuto riflettere, uscire con un'idea geniale, ma non ne ebbi il tempo.
«Vanno a scuola in Francia, per cui adesso sono con Vanessa.» Già, credo proprio che avrei dovuto saperlo.
«Oh, giusto, Francia!» Finsi un'aria disinvolta e continuai a salire le scale, ma una mano mi bloccò il braccio. Non dovevo stargli lontana?
«Casa tua implica casa mia. Dovresti aver studiato matematica al liceo»

Così fui costretta a guidare fino al mio appartamento.
Inutile fingere che l'atto di poco prima avesse avuto un significato, perché non ne aveva davvero. Prometto. Ma forse fu quel primo tocco, fin troppo casto se chiedete a me, che ebbe scatenato tutto. O forse il problema è che continuai a rimuginarci sopra per tutto il tragitto fin quando raggiunsi il punto in cui avrei pensato a qualsiasi cosa ad eccezione di quello.
«Sei troppo silenziosa per essere una giornalista» sussurrò guardando fuori da finestrino mentre teneva una sigaretta in mano sospesa tra l'indice e il medio, con la bocca semichiusa. Quella dev'essere stata la prima volta in cui pensai a Johnny Depp in modo tutt'altro che puro.
«Capisco di più dalle persone osservandole quando non parlano.»
«Cerca di non osservarmi mentre guidi, però» e accennò a una risata mentre faceva dei piccoli cerchi in aria con il fumo. Mh... probabilmente quella fu la seconda, ma è inutile elencarle tutte, sappiate solo che furono più di quanto avrei desiderato ammettere.
C'era troppo silenzio. Troppo.
«Ho visto sul contratto che potrò venire a casa tua solo entro orari prestabiliti.»
«Già, credo sia dalle nove di mattina alle dieci di sera. In quelle ore puoi seguirmi, dopo dovrai abbandonarmi e tornare a casa per scrivere ogni singolo dettaglio della mia vita.» Mpf, antipatico.
«Potresti evitare di dirlo ogni volta che parliamo? Sto solo cercando di lavorare; di sicuro non raccolgo quelle informazioni per il mio blog personale. La prossima volta che pensi qualcosa tipo, "Oh, sono in una suite e ho voglia di distruggere quella televisione!" pensaci due volte!» La discussione finì più o meno lì, a parte qualche borbottio incomprensibile da parte di entrambi. Ancora non riuscivo a capire perché volesse così tanto vedere il mio appartamento visto che, dannazione, non c'era davvero nulla da vedere! Probabilmente voleva qualche prova del mio segreto amore nei suoi confronti, cosa che non avrebbe-
«Amore, ciao! Ho trovato la chiave al solito posto – possibile che ancora non ti decidi a toglierla da sotto lo zerbino? – , sono entrata e ho trovato metà filmografia di quel figo di- OMMIODDIO PERCHE' C'E' JOHNNY DEPP NEL TUO APPARTAMENTO?» Claire. Adorata Claire. Perché proprio quel giorno dovevi trovarti lì, sul mio divano, con The Libertine in mano? Sono questi i dubbi della vita, le domande senza risposta che una persona continuerà a farsi per l'eternità. Aveva appena sentito la porta aprirsi e aveva già iniziato a parlare a raffica, come sempre. La mia unica amica, fan sfegatata di Johnny Depp. Il Grande Demone Celeste mi voleva morta.
«Johnny Depp, lei è Claire. Claire-»
«Johnny Depp, lo so!» Sì alzò lentamente e si diresse verso di lui, poi gli gettò le braccia al collo sull'orlo delle lacrime. Lo sniffò per bene e uscì correndo. Imbarazzante. Okay, è vero, avrei dovuto avvertirla prima che avrei dovuto passare un paio di giorni con lui, ma l'avevo... ehm... dimenticato.
Prima che riuscii a fermarlo, Johnny s'incamminò verso il tavolino di fronte al divano e sollevò la copertina di un dvd. «Quella parrucca era terribile.» Nessun vanto sulle sue qualità di attore? Passi avanti.
«Ricerca», non ero molto brava nell'inventare scuse sul momento. Anche se non era una scusa. Ma non potevo dirgli che non sapevo nulla di lui fino alla sera prima, no? Sì, sto blaterando.
Si guardò intorno e soffermò qualche secondo lo sguardo su un portafoto di fianco a Sweeney Todd: conteneva un'immagine mia e del mio ragazzo a New York qualche anno prima. Si riprese scuotendo la testa e, mormorando un «Andiamo», tornammo in macchina.

«Puoi visitare tutto tranne-»
«I bagni. Ho letto attentamente il contratto. So anche che non posso curiosare nei cassetti o vagare senza permesso.»
«Appunto».
La "casa" era enorme, ma questo l'ho già detto. Aveva più di cinque camere da letto, molteplici bagni (me li indicò), una sala da ballo usata per tenere strumenti musicali e un'altra stanza solo per intrattenere i bambini. Presi molti appunti, controllati sempre dall'attore che mi seguiva e sbirciava ogni tanto dalla mia spalla per assicurarsi che scrivessi solo il dovuto. Era asfissiante, ma potevo capirlo. Non solo veniva a sapere del tradimento della sua compagna, doveva anche sopportare una giornalista che avrebbe dovuto scrivere tutto della sua vita, lui che aveva cercato di condividere sempre il minimo con i media.
A pranzo ordinammo una pizza, lui ricevette una telefonata da Tim Burton in cui lo invitò a cena per il lunedì successivo e io continuai a vagare per la casa tutto il pomeriggio, sperando vivamente che quello fosse l'unico pomeriggio calmo del mese, o che il martedì era un suo giorno speciale, per cui oziava, altrimenti mi sarei tagliata le vene molto volentieri.
Andai via prima di cena.


Eravamo seduti uno di fianco all'altro sul divano di velluto nel grande salotto mentre lui nel film entrava nella carrozza e affiancava Rosamund Pike. Iniziò ad imitare i suoi stessi movimenti e lentamente infilò la mano sotto la coperta con cui ci proteggevamo e la avvicinò al mio corpo; tutto mentre si fingeva indifferente continuando ad osservare la scena sul televisore. Scostò l'orlo dei miei pantaloni, poi quello degli slip, e scese in basso.
Probabilmente voleva dimostrare che John Wilmot non era l'unico fantastico amante nella stanza.

Quel sogno mi disturbò parecchio e, come potete immaginare, mi fece perdere ogni voglia di tornare a dormire.

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Capitolo 3
*** Day Two ~ Interviews? For what? ***


Day Two

(In un terribile ritardo)
                                                     Day Two. Interviews? For what?


You will learn. ♪

Johnny Depp mi salutò così quella mattina quando entrai in casa con le chiavi che mi aveva dato il giorno precedente. "Il contratto dice alle 9, quindi sei autorizzata a venire a quell'ora. Al massimo sarai costretta a svegliarmi, fai un po' tu", aveva borbottato lanciandomene una copia. Quella mattina erano le nove e un quarto quando arrivai, e lui non stava decisamente dormendo.
Feci un primo passo sulla scalinata che portava al secondo piano, poi un altro, fino a raggiungere il pianerottolo.

♪ There's a hole in the world like a great black pit
and the vermin of the world inhabit it
and its morals aren't worth what a pig can spit
and it goes by the name of London... ♪

Fantastico, stava cantando. Per di più, dallo scroscio dell'acqua avrei giurato che stesse cantando sotto la doccia. Visto il sogno che avevo fatto quella notte – e che non voleva proprio abbandonare la mia mente per lasciarla libera – non posso dire di essere stata assolutamente a mio agio in quel momento. Ripetei a ritroso il movimento che avevo fatto salendo, il quale mi fece quasi cadere dal terzultimo scalino. Recuperato l'equilibrio e le facoltà mentali, corsi via come un'adolescente sui miei stivaletti vellutati.

Mi allontanai fino a raggiungere la prima caffetteria, quindi, ordinato un cappuccino, mi sedetti all'esterno e decisi di fare qualche telefonata.
«Sai che sei una stronza e che ho passato le ultime ore a razionalizzare ciò che ho fatto ieri a Johnny Depp? HO ANNUSATO JOHNNY DEPP! Ti rendi conto o no?» esordì Claire dopo il primo squillo.
Allontanai il telefono dall'orecchio per recuperare l'udito, di conseguenza risposi solo dopo un paio di secondi. «Non ho avuto tempo di avver-»
«TEMPO UN CORNO!» Sembrava furiosa e non potevo darle tutte i torti. Beh, in effetti sì, ma...
«Non avevo idea che tu fossi a casa mia, ma soprattutto non mi aspettavo di dovergli far vedere il mio appartamento, scema!»
Un minuto di silenzio prima di risentire la sua voce. «Okay, ma voglio incontrarlo di nuovo.» Ora suonava più determinata che mai, la finta rabbia si era dissolta e la voce emanava gioia al solo pensiero di rivedere il suo attore preferito.
Accennai una risata. «Promesso!» Dissi prima di riattaccare.
La chiamata peggiore mi aspettava ancora, però. Dovevo informare Jack, il mio capo, dei "progressi" dell'intervista. Non avevo molto, in realtà non avevo nulla, ma non potevo scomparire all'improvviso dal radar della redazione come se niente fosse. Il telefono squillo una, due, tre volte, e lui non sembrava voler rispondere.
«Avanti...» mormorai come a spingere un immaginario Jack verso la cornetta del telefono con le parole. Miracolosamente funzionò.
«Pronto?» Rispose annoiato. In sottofondo sentivo il rumore di vari fogli spostati, il che mi fece tornare in mente una serie di ricordi di lui che vagliava distrutto i conti del giornale, relegando continuamente tutto al notaio. Erano rarissimi i giorni di congedo che avevo preso, infatti in quel momento il mio cubicolo, la mia scrivania e le urla dei colleghi mi mancarono immensamente.
«Jack, sono Helen.»
«Oh-oh! Come procede l'articolo?» Un estivo Babbo Natale, ecco cos'era.
Mi limitai abbozzando un sorriso. « Procede. Lui sta facendo un po' il duro, ma sono sicura che col tempo...» "... la sua morte sarà un mistero perfino per me". Okay, cosa diavolo mi stava succedendo? Citavo anche a mente i suoi film? «... che con il tempo si scioglierà e mi racconterà qualche segreto.» Conclusi incerta.
«Beh, ma è perfetto!» Sentii una porta aprirsi e richiudersi, il rumore di tacchi, Jack salutò a bassa voce la donna. «Ti devo lasciare, ma ci sentiamo presto!» e chiuse la conversazione.

Era tempo di affrontare il mio nemico. Tutto quello che dovevo fare era eliminare quel sogno insensato dalla mia memoria. Il problema non erano i sentimenti che provavo per lui perché erano nulli, ma l'insicurezza che mi aveva causato quel momento di fronte alla scena di The Libertine. Insomma, la mia mente mi aveva tradito! Entrai spavalda in casa, e quella bastarda mi distrusse di nuovo facendomi inciampare nel minuscolo scalino. Due braccia mi recuperarono e mi aiutarono a rialzarmi. «E' ricercato da tutto il mondo, non sei imbranata tu, non preoccuparti.»
Sul momento non capii. Mi misi in piedi, controllai eventuali ossa rotte e poi alzai gli occhi verso il mio salvatore. «Ricercato? Non...» Ah, assassino ricercato! «Giusto.» Commentai passandomi una mano tra i capelli.
Johnny era vestito di tutto punto: camicia, panciotto, giacca – cravatta assente, ovviamente – e jeans. Mi squadrò per controllare che fossi tutta intera, prese la matita dal bancone ricoperto di lettere e chiavi varie, quindi si lanciò sul divanetto di fianco a una chitarra classica; la prese, socchiuse gli occhi e iniziò a suonare una melodia a me sconosciuta.
Non lo stava facendo per spettacolo, perché voleva far sapere ai fan quale gran chitarrista fosse. Lo stava facendo per se stesso, perchè in qualche modo era visibile quanto si sentiva bene mentre suonava. Apparteneva a un suo mondo incantato, fatto di note e storie impossibili, un mondo irreale in cui, per un lungo periodo, desiderai poter entrare a far parte.
Mi trascinai con l'eleganza di un bradipo fino alla poltrona di fianco a lui. Mentre prendevo il blocco appunti e la penna continuai ad ascoltare e lui sembrò notare minimamente la mia presenza. Scrissi velocemente, e senza rendermene davvero conto, "Dannazione, perché non lo fanno suonare in un film?", per poi passare a cose più dettagliare tipo la sua posa – una gamba a penzoloni e l'altra appoggiata al bracciolo – e la sua espressione serena.
Interruppi dopo un paio di minuti quel silenzio. «Non sapevo suonassi.» Dissi con voce incerta.
«Non sai un sacco di cose, a quanto vedo.» Rispose con gli occhi chiusi. Portò l'altra gamba oltre il bracciolo, poggiò la chitarra a terra e iniziò a scrivere ciò che aveva appena composto in una calligrafia scomposta e disordinata. Già, un mondo tutto suo.
Ignorai il tono scorbutico che aveva usato e continuai. «Da quando componi?»
Alzò gli occhi su di me, poi sui fogli che reggevo in mano. Era quasi... deluso. «Da sempre.»
Ero pronta a fare altre domande per iniziare davvero l'intervista, ma m'interruppe il telefono. Dannatissimo telefono. Rimisi tutto in borsa mentre lo prendevo e mi allontanai. Guardai lo schermo. Era Logan. Sbuffai prima di rispondere. «Pronto, Logan? Ti ho già detto di smetterla di chiamarmi, sto lav-» Perché continuavano ad interrompermi mentre parlavo?
«Hey, tranquilla, ti ho solo chiamato per sapere come stai!» Stava sorridendo, riuscivo a sentirlo dal suo tono di voce.
«Sto bene, grazie.» Un tono neutro era la migliore opzione, altrimenti avrebbe creduto chissà cosa, e l'unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era tornare insieme a lui.
«Non sto tentando di tornare insieme o di assillarti, assolutamente, ma mi piacerebbe prendere un caffè con te uno di questi giorni...»
Non ero crudele o cattiva. Io e Logan ci eravamo conosciuti al liceo ed eravamo amici. Passati all'università, però, qualcosa era cambiato. Iniziai a notare alcune attenzioni che mi riservava e che, nonostante tutto, non mi davano affatto fastidio. Dopo il primo periodo di "assestamento", quindi, diventammo il prototipo delle coppie perfette: litigavamo solo per le cose più stupide ma subito riuscivamo a fare pace, ci vedevamo ogni giorno ma passavamo anche del tempo con amici che non erano comuni... Insomma, eravamo felici. All'ultimo anno mi resi conto che però le feste di sera erano diventate troppo numerose e la mattina a malapena riuscivo ad assistere alle varie lezioni. Lo amavo davvero, per questo lo lasciai appena ebbi il lavoro alla redazione di Rolling Stone. Non potevo sacrificare in quel modo la mia vita, ma lui non sembrava averla presa molto bene. Tuttavia non ci eravamo lasciati prendere dalle droghe o cose varie, per cui avevo ancora molti ricordi felici del mio periodo con lui. «Un caffè dici? E vada per il caffè.»
«Okay, perfetto... uhm... domani mattina va bene? Verso le 9, visto che sicuramente devi lavorare dopo.» In certi momenti era anche adorabile, lo ammetto.
«Perfetto. Al solito posto.» Visto che non eravamo mai andati a vivere insieme – almeno non ufficialmente – la mattina prima di andare a lezione ci incontravamo in un piccolo café vicino il mio appartamento, visto che lui era l'unico con la macchina.
«Okay, allora... ehm... a domani!» Quasi mi pentii di aver accettato.
Quando chiuse la conversazione squillò il telefono di Johnny, ma lui non parlò affatto. Inizialmente pensai fosse Vanessa, ma la sua espressione non si scompose più di tanto e uscì facendomi un cenno. Lo seguii dopo aver recuperato la borsa e vidi che una macchina coi vetri oscurati, con dentro Tracey (la malefica agente), ci aspettava... o perlomeno aspettava la star Depp. Mi sedetti di fianco a lui sul sedile posteriore e partimmo verso una meta sconosciuta.
«Hai, anzi, avete intenzione di dirmi dove stiamo andando?» Domandai dopo qualche minuto di viaggio.
Johnny aveva chiesto di accendere l'aria condizionata, quindi io mi allontanai il più possibile dal centro del sedile, dove l'aria arrivava diretta. In questo modo ci trovavamo uno dai lati opposti della macchina mentre la sua agente occupava il sedile anteriore di fianco all'autista. Fu lei a rispondere per prima, con un tono arrogante. «Sei qui per le interviste, sul contratto non c'è scritto nulla riguardo farti sapere dove stiamo andando.»
«Smettila di fare la stronza, Tracey.» Johnny accennò una risata mormorando questa frase. «Sta solo facendo il suo lavoro, no? Lasciaglielo fare!» Nonostante mi avesse in un certo senso protetto, non mi degnò di uno sguardo. Non riusciva a nascondere il disprezzo che provava verso la mia professione, sebbene quanto insensato e infantile.

«Johnny, Johnny!»
«Johnny, è la tua nuova ragazza?»
«Hai ancora contatti con Vanessa?»
«E' vero che ha intenzione di toglierti la custodia dei bambini?»
«Johnny, a quando la prossima distruzione?»
Queste erano solo alcune delle cose che si sentivano urlare quando uscimmo dalla macchina dai vetri oscurati verso la folla di fotografi. I flash ci accecavano, eppure Johnny ne sembrava immune dietro quei suoi occhiali dalle lenti blu. Tracey Jacobs mi afferrò per un braccio e ci avviammo verso l'entrata nello studio di Letterman mentre l'attore veniva fermato per alcune foto.
Era pazzesco.
C'era gente che correva, altri camminavano per non far cadere la moltitudine di caffé per lo staff, il pubblico aveva già iniziato ad affluire in sala insieme alla strana orchestra ai lati del palco. Johnny ci raggiunse subito dopo e si diresse verso la sala per il trucco, dove gli fecero davvero pochi ritocchi per farlo apparire perfetto davanti alla telecamera e, odio dirlo, ma lo era davvero. Ancora non riuscivo a capire come facesse a sopportare i flash delle fotocamere, le urla, le richieste, eppure continuare ad essere gentile con i fan. Quella vita era un inferno, io mi ci ero fiondata a capofitto.

Durante l'intervista parlarono del più e del meno, dei suoi film che sarebbero usciti a breve, dei figli, però un argomento fu accuratamente evitato dal presentatore: la moglie o, per meglio dire, ex-moglie. Molto probabilmente, dall'aria soddisfatta che aveva l'agente alla fine dei 20 minuti di ripresa, era stato chiaramente specificato nel contratto.
Dannata la Jacobs e i suoi odiosi contratti.
Erano circa a metà intervista, io stavo osservando dal backstage uno schermo su cui veniva trasmesso ciò che stavano registrando, quando uscì un argomento a dir poco divertente per me.
«Quindi... ho saputo che stai facendo una strana intervista con Rolling Stone. E' vero?» Domandò Letterman.
«Beh, sì, sono trenta giorni della mia vita.» Sembrò volersi limitare a quello e girò un attimo lo sguardo di lato per incrociare gli occhi della sua agente.
«Ti sembra una bella idea? Insomma, cosa ne pensi?»
Cosa stava per rispondere? Era un attore, quindi sapeva ben nascondere le sue emozioni, e in quel momento lo fece perfettamente facendo comparire sul suo volto un sorriso e sfiorandosi il mento coperto dal pizzetto. «Non mi piace molto che la mia vita privata sia messa sotto i riflettori, ma sono un attore, ci sono abituato. Inoltre credo che sia un'opportunità per le persone per vedere cosa succede nel mondo del cinema.» Ti eri salvato in calcio d'angolo, caro Depp. Non ho idea di cosa significhi, ma l'avevi fatto.
Tracey sembrò piuttosto orgogliosa di quella sua risposta, come se fosse suo figlio. Che gli avesse insegnato lei come aggirare i problemi? Come cavarsela in questo modo? Che le avesse detto lei di evitare paparazzi e giornali intrusivi? Che l'avesse condizionato così tanto?

Ci riaccompagnarono a casa di Johnny che era ormai pomeriggio. Dopo Letterman eravamo passati anche da Jimmy Kimmel e all'uscita ci eravamo fermati per strada, come prima, per gli autografi. La cosa iniziava a diventare snervante per me, figuriamoci per lui che doveva viverci ogni giorno. Entrai anche se me ne sarei andata entro una mezzoretta: dopo quei giri e le interviste, sicuramente non avrebbe giovato alla sua salute mentale avermi intorno.
«Hai intenzione di rimanere per molto? Vorrei andare a dormire.» Già, volevo andarmene, ma se me lo diceva in questo modo mi sentivo costretta a rimanere. Mi lanciai sul divano e lo osservai da lì. Già, la compassione era scomparsa. Sbuffò.
«Per molto, finché non mi dirai cosa diavolo ti ho fatto. Ho ventisette anni e sto ancora facendo gavetta in un giornale che potrebbe portarmi in alto. Questo articolo, il tuo, potrebbe essere il lavoro che mi porterà a quei livello. Sto lavorando, lo capisci? Mi hanno dato un foglio in mano dicendomi:"Ecco ciò che devi fare, và a fare il tuo dovere. E' un pezzo grosso". Quindi mi ritrovo con un foglio, una penna e un blocco appunti a segnare ogni particolare di un attore di cui non sapevo e non m'interessava assolutamente nulla fino a due giorni fa. Due giorni. Ora sono qui, tra paparazzi e pezzi di carta per cui ogni tuo fan pagherebbe milioni. Quindi smettila di imitare lo stereotipo dell'attore hollywoodiano con me, perché non attacca e perché mi rendi solo in lavoro più difficile.» Mi alzai dal divano, caricai la tracolla sulla spalla e mi avviai verso l'uscita, ma mi fermai prima di fianco a Johnny. «Smettila di rendermi il lavoro dannatamente difficile e sono sicura che questi ventotto giorni passeranno molto più velocemente.» Uscii sbattendo la porta.
Lo sguardo che vidi apparire sul suo volto firmò un tacito accordo tra noi due, l'inizio di tutto.

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Capitolo 4
*** Day Three ~ Flashes ***


4. Day Three - Flashes

Day Three. Flashes

 

Logan si alzò quando mi vide arrivare, facendomi sentire più maldestra del solito. Era seduto all’interno del piccolo cafè, vicino a una finestra che dava sulla strada poco affollata. Non lo vedevo da un paio di mesi, ma non era poi cambiato molto: rimaneva alto e slanciato, i capelli curati arrivavano appena alle spalle. L’unico cambiamento era la barba che, prima d’ora, non aveva mai lasciato crescere.
A parte quando beveva –  e anche lì si scioglieva senza raggiungere ciò che definivo il “livello di degrado” – rimaneva un gentiluomo, sicché neanche in quello era cambiato.
« Buongiorno Helen. Ti trovo… splendente.»
« Risparmia i complimenti, Logan, non mi riconquisterai così facilmente» risposi tagliente. Era sempre stato pronto a fare complimenti, gentile con le donne, eppure conservava quell’atteggiamento da eterno bambino, una sorta di Peter Pan. Ero convinta che sarebbe rimasto per sempre all’università, con il mio fantasma a fargli compagnia. Mi sedetti lasciando scivolare a terra la borsa.
« Non voglio riconquistarti.» Indugiò qualche secondo, in cerca delle parole più adatte per spiegarsi meglio. « O meglio, se tu vuoi ho intenzione di smettere di provarci.» Ecco, ora andava meglio.
Ordinammo entrambi un caffè, chiacchierammo delle ultime novità, incluso l’articolo su Johnny, fin quando arrivammo al momento imbarazzante in cui nessuno dei due ebbe qualcosa da dire. Iniziai a giocherellare nervosamente con un fazzoletto, vizio che avevo sin da bambina. Quei due veli mi urlavano di essere divisi! Un secondo prima ero lì a controllare le macchie leggere del rossetto, quello dopo la mano di Logan s’intrecciava con la mia.
« Mi manchi» mi sussurrò.
Il suo tocco era caldo. Non solo perché fuori c’erano a malapena dieci gradi, ma perché era confortevole. Non avevo avuto altri ragazzi dopo di lui, quindi, avendo passato cinque anni della mia vita in sua compagnia, il suo tocco significava “casa”. Era abitudinale, mi sembrò quasi di non essermi mai separata dal ragazzo che mi stava di fronte. Per un attimo la tentazione di scompigliargli i capelli e baciarlo fu forte, ma tornai subito alla realtà. Recuperai la mano, la borsa, il cuore, e uscii nell’aria fredda di Los Angeles.

Arrivai a casa di Johnny Depp – lo so, facevo ancora fatica a crederlo – verso le dieci, più tardi del solito, ancora agitata per l’accaduto. Certo, non c’era molto di cui essere agitati, però… ecco, diciamo solo che mi aveva spiazzato. Non volevo tornare con Logan, ero piuttosto sicura di non amarlo più. Però c’era sempre quel “piuttosto” che mi spaventava.
Neanche l’attore scherzava. Era irrequieto, vagava per il salotto con un portabiti da viaggio in mano.
« Cerchi qualcosa?» Chiesi lanciando sulla poltrona la borsa a tracolla. Mi buttai anche io lì, in cerca di conforto tra la pelle nera.
Lui non sembrava avermi ascoltato, ma parve come se l’avessi risvegliato da una fase REM quando alzò gli occhi su di me. « Sei in ritardo» commentò con un pizzico di disappunto.
« In realtà sul contratto si dice che posso venire a partire dalle nove, non alle nov-»
« Sei in ritardo quando mi servi. Oggi mi servi.»
Mi continuavo a domandare, inutilmente, perché tutti continuavano a interrompermi. Dannati attori e le loro manie di onnipotenza. « Ti servo
« Esattamente. Andiamo.» Una macchina arrivò proprio in quel momento e Johnny uscì portando il portabiti e degnandomi appena di uno sguardo. Lo ammetto, il mio orgoglio femminile era leggermente ferito. Insomma, avrei dovuto controllarlo grazie all’articolo, mentre era lui che controllava me. Ripeto: dannati attori.
Lo seguii comunque fuori dalla villa ed entrai in macchina, senza alcun reale motivo. Sarei riuscita a prendere il controllo della situazione, in un modo o nell’altro.
« Dove andiamo?» Lo ripresi mettendomi comoda sul sedile posteriore.
« Mi ha detto Tracey di portarti con me.» Non capiva le domande o mi stava prendendo in giro?
« Sì, ma dove?» Domandai per la seconda volta, ora spazientita.
« A una première a New York.»

Los Angeles - New York = Incubo.
Arrivammo in una decina di minuti all’aeroporto e seguii Johnny per tutto il tragitto come un cagnolino. Non avevo mai preso un aereo prima d’ora perché ne ero terrorizzata, quindi in quel momento pensai che stavo andando incontro alla morte. La mia. Lui invece sembrava tranquillo. “Eh grazie,” continuavo a dirmi, “viaggia da una parte all’altra del globo all’uscita di ogni suo film!”. Aveva già i biglietti in tasca – prima classe, a quanto avevo capito, ma non mi rassicurava affatto – quindi andammo dritti verso il check-in. E’ inutile ripetere che non avevo una valigia, no? Non parlammo per tutto il tempo, salimmo sull’aereo e una hostess m’indico il posto, dietro all’attore.
« Tracey ti ha detto anche perché devo venire?» Ero ansiosa, avevo bisogno di parlare, quindi mi sporsi su di lui appoggiando i gomiti sullo schienale del suo sedile.
« Sì, ma non voglio dirtelo ancora.» Si voltò sfoggiando un sorriso crudele. « Ho paura che potresti scappare a gambe levate se te lo dicessi ora» disse poi tornando a guardare dritto di fronte a sé.
Tornai al mio posto sbuffando. Allacciai con l’aiuto della hostess la cintura di sicurezza e guardai fuori dal finestrino. Si era fatto un leggero ritardo per via della brina sulle ali dell’aereo, per cui non facevo altro che ringraziare l’inaspettato freddo per quel lieve ritardo. La mia fortuna era nota: infatti, a circa 5 minuti dall’ultimo ringraziamento, i motori si misero in funzione. Sentii una lieve vibrazione, una specie di sussurro dell’aereo, un avvertimento. Sembrava dirmi di scappare finché ero in tempo. Le ruote si mossero, prima lentamente, poi presero velocità e guidarono il velivolo lungo la pista. Una volta preso il volo, il carrello rientrò silenziosamente, e fummo su Los Angeles.

Dopotutto volare non è così male, se si evita di pensare all’atterraggio e al decollo. Osservare dall’alto dà una sensazione di potere, proprio ciò di cui avevo bisogno. Stare tra le nuvole, volteggiare, senza movimenti bruschi, sia chiaro, è rilassante oltre ogni misura.
Tra bevande e snack, un cognac ordinato da Johnny e un bicchiere di gin per me, le 8 ore di viaggio passarono senza problemi. Ovviamente non poteva mancare il messaggio minatorio a Jack:”La prossima volta che mi scegli come balia per attori poco eloquenti, avvertimi, gentilmente. Col cuore pieno di vendetta, Helen”, e al diavolo la tregua.
Piccoli disguidi a parte, arrivammo sani e salvi a terra. Rimasi a dir poco stupefatta dal panorama che avevo osservato dal taxi che ci aveva portati in hotel, e non vedevo l’ora di esplorare di più quella città, anche se non ero propriamente sicura che avrei potuto farlo.
« Non dovresti andare direttamente alla première? Non è così che funziona?» Avevo già notato che non indossava un vestito elegante, oppure perlomeno adatto all’evento, ma non era mai stato il tipo da Versace. Inoltre, lavorando nella redazione di Rolling Stone, mi erano passati sotto mano vari articoli sulle vite di attori del suo calibro, e sapevo che molti attori arrivavano direttamente dall’aeroporto perché il tappeto rosso era aperto presto alle star. 
« Sì, ma visto che devi cambiarti ho pensato di fare uno strappo alla regola.»
« Ahah- Cosa?» Cambiarmi… sì… certo.
« La cosa che dovevo dirti prima. Tracey vuole che mi accompagni.»
Non mi diede tempo di rispondere poiché arrivammo in quel momento all’hotel. Johnny non perse tempo e si fiondò sull’entrata, poi verso la reception.
« Mr. Stench» affermò a un uomo sulla quarantina dietro il bancone di marmo. Accennò appena un sorriso mentre lo diceva, ma ero certa che dentro di sé stesse ridendo di gusto. Tirai fuori dalla borsa il taccuino e annotai sopra quei particolari, quindi tornai ad osservare la scena.
« Certo, signor Puzzo, ecco la sua chiave e il pacco mandato dalla signorina Jacobs.»
Ci avviammo verso l’ascensore in silenzio. In realtà era molto più silenzioso dal giorno prima, dopo la mia sfuriata.
« Signor Puzzo?» chiesi senza trattenere una smorfia dovuta alla risata.
« E’ divertente, prenoto quasi sempre a questo nome.» Mi guardò un paio di secondi negli occhi, quindi mi accompagnò in una risata sonora.
Alzai un dito minaccioso verso il suo naso. «Non credere che sia tutto a posto tra di noi. Devi ancora spiegarmi questa faccenda.»
E lo fece appena entrammo nella sua suite. Mi spiegò l’idea della Jacobs di farmi passare per la sua nuova fidanzata in modo da distogliere i giornalisti dalle recenti “cadute di stile” di Johnny. Non posso descrivere cosa provai quando finì di raccontare tutto.
« Come ci siamo conosciuti?»
« Cosa intendi? Tutta l’America sa che stai facendo un articolo di me, quindi è tramite quello che mi hai incontrato.»
Indugiai qualche secondo. « E’ così che funziona quindi? Sono passati solo tre giorni e già ti desidero?» Non rispose a quella domanda, si limitò a lanciarmi un’occhiata sottecchi mentre poggiava il portabiti e la confezione sul letto della grande camera che avevamo appena raggiunto. Non mi andava molto di farlo. Anzi, non mi andava affatto. Avevo firmato per una lunga intervista e quella serata mi sarebbe stata utile per conoscere altri attori, ma poco m’importava in quei giorni. Dovevo occuparmi del mio articolo che parlava di Johnny Depp, ma finiva lì. Non potevo divagare troppo sulle persone che lo circondavano o sarebbe diventato un articolo su Hollywood. Poi quella storia sarebbe andata avanti per settimane, quindi non avrei potuto lavorare bene in quell’ambiente. Infine, detestavo Tracey Jacobs e quella era l’occasione unica per farla infuriare. Johnny non poteva cercare un’attrice – o magari un’altra cantante – che gli volesse bene e che volesse davvero stare con lui?
« Non ti pregherò di farlo perché non è stata un’idea mia, sei libera di rifiutare» disse con un sussurro osservando la mia espressione.
Volevo davvero rifiutare, ma c’era qualcosa che mi diceva di non farlo. « Lo farò», affermai con sicurezza, « ma a una condizione: dovrai parlarmi della tua vita nei dettagli, non come lo stupido riassunto su Wikipedia.» Ero pronta a prendere il controllo della situazione, anche con dei piccoli… ricatti.
« Vuoi mettermi a nudo?» Desiderare… mettere a nudo… dove sarebbe andata a finire quella conversazione?
« Voglio metterti a nudo» annuii mantenendomi seria. « Insomma, non fisicamente, non voglio spogliarti, ma… sai…» e poi rovinai l’atmosfera.
Fece qualche passo per la stanza, avanti e dietro, crucciato. « E sia. Ora infilati questo vestito così possiamo andare alla maledetta première.» Scoperchiò il pacco e mi lasciò intravedere un vestito rosso che mai avrei pensato di indossare.
Uscì con il portabiti in spalla verso il salotto, dove sospettavo si sarebbe cambiato, lasciandomi con i miei dubbi sull’effettiva grandezza dell’abito. Mi spogliai velocemente lasciando cadere a terra la felpa, la camicia, gli stivaletti e infine i jeans. Afferrai il vestito e mi piazzai di fronte allo specchio, cercando un modo di entrare in quel minuscolo pezzo di stoffa. Tirai giù la zip e, entrando nel vestito, mi resi conto che era proprio della mia taglia. Stavo sospettando un rapimento notturno per la misurazione del girovita, però la cerniera richiamò la mia attenzione. Chiamai con un urlo Johnny. Mi raggiunse continuando ad allacciarsi gli ultimi bottoni della camicia e guardò il mio riflesso allo specchio.
« Ti sta davvero bene il rosso» disse con un sorriso serafico. “Sì, prendi in giro, fai pure, io avrò la tua vita scritta su un taccuino”.
« Smettila, vieni qui ad aiutarmi!» Indicai la cerniera all’attore, che si mosse lentamente verso di me. L’afferrò poi con delicatezza e la guidò fino a chiudere completamente il vestito. Qualcosa accadde dopo, nel momento in cui si avvicinò a tal punto da riuscire a sentire il suo respiro sulla pelle. Fu un attimo, un secondo, ma non ci fu bisogno di discutere oppure di rovinare tutto con le parole. I nostri respiri si sincronizzarono, lui fece un passo indietro e tornò in salotto.
L’abito era magnifico, così come le scarpe che fino a quel momento erano rimaste nella scatola, il rosso mi stava davvero bene, ma non avevo notato lo spacco che dall’orlo arrivava alle cosce.

« Appena vedo Tracey la porterò al suicidio.»
« La vedrai tra qualche momento, ma sarai troppo impegnata a farmi da accompagnatrice.» Johnny si era rilassato, finalmente, eppure continuava a non convincermi il modo in cui parlava. Forse non riuscivo proprio a sopportare lui come persona.
« John Christopher Depp II, vedi di non baciarmi in pubblico.»
« Sono commosso, non credevo che qualcuno potesse ricordare tutto il mio nome.»
La discesa dalla macchina a vetri oscurati fu traumatizzante. Avevo un vivido ricordo di com’era vedere i flash abbaglianti delle macchine fotografiche dei paparazzi da lontano, ora era tutt’altra cosa. I fotografi erano di fronte a noi, ci circondavano, non sapevo dove girarmi, eppure in qualche modo riuscii a mantenere gli occhi aperti e un sorriso sul volto per tutta la durata delle foto sul tappeto rosso. Era di nuovo l’orgoglio femminile che lottava o il braccio di John Christopher Depp II che mi circondava?

La camminata fu dura su quei tacchi, e diedi tregua al mio volto solo quando fummo “al riparo”, ovvero nella sala di proiezione, dove era vietato portare le telecamere. I posti assegnatoci erano in seconda fila, dove ci sarebbe stato quasi impossibile vedere il film. L’attore m’informo velocemente della trama e degli attori – era diretto da Tim Burton, era venuto unicamente per questo – prima di allontanarsi per chiarire qualcosa con il suo vecchio amico. Rimasi seduta sulla poltrona di velluto visto che i due erano gli unici in piedi a chiacchierare, ma mi guardai intorno in cerca di qualche star con cui parlare più tardi. Avevo la sensazione, però, di non poter essere davvero accettata in quel mondo: probabilmente tutti avrebbero pensato che stessi agendo da spia in borghese, e non avrebbero avuto tutti i torti. Tutto quello sarebbe stato meraviglioso per l’articolo, ma non avevo l’adorabile borsa con me, quindi avrei dovuto affidarmi alla mia scarsa memoria fotografica.
Johnny tornò ad affiancarmi appena si spensero le luci, ci godemmo il film in silenzio. In realtà tutta la sala non aprì bocca per quell’ora e mezza, infatti regnava un religioso silenzio. Il cinema era considerato arte da molti, perciò chi, più di loro, poteva capire quando rimanere in silenzio davanti all’opera di Tim Burton?

Quando le luci si riaccesero mi ritrovai scaraventata nel mondo reale, disorientata come mi accadeva ogni volta che guardavo un film che catturava la mia attenzione. Il mio attore si alzò prima di offrirmi la mano per aiutarmi: l’abito non era davvero uno dei più comodi. Non eravamo ancora usciti dall’enorme sala che Orlando Bloom sbucò fuori dal nulla e si fiondò sulle spalle di Johnny. Lui si voltò un po’ scosso ma si riprese appena vide chi era l’attentatore. Si unirono in un abbraccio reso goffo dalla lontananza, giacché girava voce che non si vedessero da anni. Mi presentò a Orlando come aveva fatto anni addietro con Vanessa, questa volta recitando magistralmente.
Una volta usciti di lì mi guidò verso un locale vicino per l’after party, all’Hiro Ballroom del Maritime Hotel. L’”incidente” accadde appena arrivammo lì fuori.
« Salve, potrebbe rispondere ad alcune domande?» Una intervistatrice era riuscita a passare oltre il muro di guardie del corpo e ci stava seguendo. « Com’è essere la nuova fidanzata di Johnny Depp?»
Mi fermai e mi voltai per scacciarla, tuttavia rimasi terrorizzata nel vedere chi era la stalker: Ruth Peterson.
Esattamente, la giornalista degli attori hollywoodiani che lavorava con me in redazione. Cosa ci faceva lì? Non avrebbero dovuto mandare i novellini per questo genere di articoli?
Anche lei vedendomi rimase sorpresa, ma non si lasciò sfuggire quell’occasione. Si avvicinò fino a sfiorarmi l’orecchio. « Sai cosa darebbero i giornali per scoprire come stanno davvero le cose?» sogghignò maligna. Eravamo stati perfetti, cosa mi aveva scoperto? Fortunatamente mi raggiunse Johnny che si fece prendere sottobraccio salvandomi dalla strega cattiva. 
Conobbi molte persone in un paio d’ore, persone che non avrei dimenticato neanche dopo dieci anni. Tutti conoscevano la mia professione eppure, al contrario di quello che avevo immaginato, non si lasciarono spaventare e conversarono amabilmente.
Fu allo scoccare della mezzanotte che il mio cavaliere dall’armatura scintillante mi rapì per tornare al castello.

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Capitolo 5
*** Day Four ~ Whatever Happened Last Night ***


Day Four – Whatever Happened Last Night


La suoneria del cellulare mi fece da sveglia quella mattina.
Ero sdraiata di lato, un braccio sul petto di Johnny coperto da una canottiera nera. Non doveva dormire nell'altra stanza? Confusa, rotolai sul letto ritrovandomi a pancia in su e, ancora assonnata, allungai la mano per raggiungere
Florence + The Machines che, con No light, no light, mi incitava a rispondere allo sconosciuto.
« Pronto?» mormorai ancora semi-addormentata. Tentai inutilmente di mettermi a sedere, ma il mal di testa mi costrinse a tornare sul letto
« Quante volte devo chiamarti stronza? Sai di essere trend topic su twitter e unico argomento di discussione nei forum dedicati allo Zio?» mi chiese Claire dall'altra parte del telefono.
« Trend Topic? Zio? Ma di che diavolo stai parlando?» Purtroppo per lei non ero su Twitter. Ovviamente aveva cercato di convincermi a iscrivermi all'ennesimo social network, ma continuavo a rifiutare categoricamente: non mi era mai piaciuto far conoscere agli altri le mie azioni, per quello bastava Facebook.
« Su Twitter parlano solo di te e Zio John!» Lanciò un gridolino come per sottolineare la risposta ovvia. Giusto, Zio = Johnny Depp. Mia mancanza.
« Già... a proposito di quello...»
« Dovevi dirmelo! Perché non l'hai fatto? Devi raccontarmi tutto! Ero venuta da te per parlarti di una cosa – a proposito, non è che posso restare qui per qualche giorno? –, poi ho visto che non c'eri, ho acceso il pc e PUFF! Foto tue ovunque! Il vestito è meraviglioso, te l'ha regalato lui?» Certo che quando ci si impegnava sapeva essere logorroica. Ma era pur sempre Claire e l'adoravo!
Aprii la bocca per rispondere quando bussarono alla porta della suite, e a quel punto fui costretta a sedermi sul letto per tornare in piedi. Ero coperta unicamente da una grande camicia bianca, probabilmente quella che aveva indossato Johnny la sera prima, e non avevo idea di come fossi arrivata ad indossarla. Forse la sera precedente avevo bevuto un po' troppo. « Ti chiamo appena torno a casa, devo scappare!»
« Ma come, mi lasci cos-» Spensi il telefono e corsi, dopo aver chiuso dietro di me la porta della camera da letto, verso il cameriere appena entrato. Trasportava un carrello ricoperto di quella che sembrava un'abbondante colazione.
« Oh... buongiorno, chi l'ha ordinata?»
Lui si limitò a scrollare le spalle. « Mi hanno detto di consegnare anche questo.» Mi porse una minuscola busta da lettere prima di uscire sorridendo. Lo osservai un secondo, poi mi concentrai sul bigliettino:”Il piano ha funzionato. Vi aspetto nella hall”. Stronza. Mi lanciai il bigliettino alle spalle, alzai il coperchio di un vassoio scoprendo delle uova con pancetta, mentre il resto del carrello era occupato da frutta fresca e toast. Presi uno di questi e lo addentai voltandomi, scoprendo un Johnny Depp appena svegliato che mi osservava. Iniziavo ad apprezzare il suo strano fascino da uomo con il passato
bad boy che ha sperimentato droghe a 14 anni – è la sua citazione più famosa, dannazione, ovvio che la conoscessi anche allora!
Avanzò qualche passo, si passò una mano tra i capelli senza aprire bocca. Per un attimo temetti che stesse per baciarmi, così, senza motivo, invece allungò un braccio dietro di me per sollevare il coperchio dell'unico vassoio chiuso, come avevo fatto io poco prima. Arricciò le labbra per poi allontanarsi di un passo e prendere il bigliettino, leggerlo, e lasciarlo ricadere a terra.
« Credi che dovremo parlare?» domandò con la voce ancora assonnata.
« Parlare? Di cosa?» Quante domande quella mattina...

« Di ieri notte» Oh, ieri notte. Un momento... cos'era successo quella notte? Per quanto mi sforzassi di pensare, non riuscivo a ricordare, forse a causa dell'alcol della festa, che però non mi era sembrato eccessivo. Avevamo di sicuro bevuto qualcosa anche lì, quindi doveva essere stato quello a farmi perdere il controllo. Lui indossava ancora la maglietta e i pantaloni con cui era andato alla première – ma come faceva? – tuttavia io avevo addosso la sua camicia. Giusto, non avrei potuto dormire con quel vestito, sarebbe stato assurdo, il suo gesto era stato solo di cortesia... o no? Avevo ancora qualche dubbio, se fosse accaduto di più oppure nulla, ma non sembrò il momento per chiedere. Non credevo esistesse un momento giusto per chiedere una cosa del genere, in realtà.
« Non credo. Meglio... sai... far finta di nulla.» Annuii cercando di suonare convincente, quindi sgattaiolai in camera, dove erano ancora riposti i miei vestiti, mordicchiando il toast. Lo sentii armeggiare con il carrello e mangiare qualcosa, nient'altro.

Il bagno sembrò piuttosto confortevole il quel momento.
Mi ci rinchiusi dentro per fare una doccia e vestirmi, non sapendo a che ora avessimo l'aereo e se Tracey La Strega sarebbe dovuta venire con noi fino a Los Angeles. Strega, sì, perché “La Stronza” suonava troppo volgare alle mie orecchie da ricca giornalista fidanzata di Johnny Depp. Dio, perfino così, sapendo che era una bugia, suonava male.
Per qualche strana ragione – riflettei immersa nella vasca da bagno, circondata da schiuma – non mi ero trovata affatto a disagio in quelle condizioni davanti all'attore. Quali condizioni, chiedete voi? La sera della première non avevo tolto il trucco, che quindi appariva leggermente sbavato intorno agli occhi per il mio modo molto composto di dormire, i capelli erano leggermente scompigliati, e, ultimo ma non meno importante, avevo dormito con la sua camicia. Inutile chiedersi come la mia mente avesse avuto il coraggio di farmi avvicinare così tanto a lui da abbracciarlo durante la notte. Dovevo ricordare cosa diavolo era successo, a tutti i costi, perché quel pensiero mi stava uccidendo.
« Helen, dobbiamo scendere altrimenti perdiamo l'aereo, hai finito lì dentro?» Sembrava molto più calmo rispetto a prima, meno scombussolato. Sveglio.
« Quasi, dieci minuti ed esco!»
Dieci minuti che diventarono venti, poiché dovetti uscire dalla vasca, asciugarmi, vestirmi e truccarmi. Lui mi aspettava a braccia conserte sulla poltrona dell'atrio della suite, tamburellava con il piede sul grande tappeto che copriva gran parte del pavimento, era nervoso, infatti mi lanciò un'occhiataccia appena mi vide arrivare.
Mi avviai verso la porta e la aprii scrollando le spalle. « Beh, non andavi di fretta?»

Tracey Jacobs stava parlando con un altro agente della stessa società quando la raggiungemmo. Fece un cenno con la testa a Johnny, poi si allontanò seguito dallo sguardo vigile della Jacobs.
« Avanti, piccioncini, tenetevi per mano, baciatevi, mostrate un po' d'amore!» Lo sguardo che entrambi le dedicammo fu tutt'altro che amorevole. « Okay, forse non amore... amicizia? Dai, Johnny, sei un attore, recita!» Sfoggiò un sorriso falso e ci fece strada fuori dall'hotel.
Lì ci aspettavano, come avvoltoi, fotografi e giornalisti, tra cui scorsi anche una reporter del Rolling Stone del mio stesso piano. Feci finta di nulla, come se ormai non appartenessi più a quel mondo, senza rendermi conto sul momento delle conseguenze che quella notte avrebbero avuto sulla mia carriera e sulla mia reputazione. Il percorso compiuto fino all'aeroporto fu faticoso poiché non fummo lasciati in pace neanche per un secondo, tuttavia la situazione si calmò una volta al sicuro tra le mura curve dell'aereo. Sprofondai nella comoda poltroncina della prima classe. Otto ore di tranquillità di attendevano, spese molto probabilmente di nuovo tra le braccia calorose di Morfeo.
Invece no, non voleva darmi tregua. Lui, sì, LUI, con i suoi zigomi che sfioravano la perfezione sebbene cercassi di non pensarci. Non sembrava a suo agio appena svegliato, ma non aveva problemi a stare a un paio di centimetri dal mio viso, mentre per me era l'esatto contrario. Probabilmente sarei riuscita a stare davanti a lui nuda, certo, con qualche metro a separarci. Era solo l'insicurezza, il timore di cosa avrei potuto fare standogli troppo vicino a comandarmi, perché, nonostante avessi da sempre pensato che come persona non fosse granché – e lo pensavo tuttora – era solo quest'odio a convincermi che non fosse poi tanto bello, mentre ora che quasi convivevo con lui non potevo negarlo. Almeno non a me stessa, perché con gli altri avrei negato fino alla morte. Okay, forse fino alla tortura.

Trascorsi il viaggio tra questi pensieri, senza bere, osservando le persone che mi circondavano e Tracey e Johnny che bisbigliavano tra di loro. Avrei dovuto scambiare qualche parolina con l'attore prima di tornare a casa. E sottolineo “avrei”, perché mi riaccompagnarono direttamente al mio appartamento le cui luci erano accese.
Johnny guardò per un momento l'appartamento, poi si voltò dal sedile anteriore per parlarmi. « Non pensavo vivessi con qualcuno». Già, neanche io. Scesi dall'auto senza aprire bocca, chiedendomi se fosse Logan in cerca di un calcio nel sedere o semplicemente Claire. Scorgendo una chioma bionda, mi affacciai dal finestrino della macchina. «Johnny, ti dispiacerebbe salire un attimo?» Mi lanciò un'occhiata torva. Aveva ragione, dopotutto i paparazzi erano anche in quella zona. «So come può sembrare, ma c'è una mia amica su che vorrebbe conoscerti.» Lo guardai speranzosa in una risposta positiva, che non tardò ad arrivare.
« Okay, andiamo, al ritorno prenderò un taxi.»

La salita verso il mio appartamento fu una tortura.
Non era la prima volta che lo vedeva – mi aveva costretto il primo giorno a farglielo visitare per poter a mia volta visitare la sua casa –, ma si era accumulata tensione da quella mattina, tanta da non riuscire a salire le scale senza pensare che lui mi stesse perennemente osservando e giudicando; dopotutto non ne avevo alcun motivo visto che lui si era attenuto al patto che avevamo fatto un paio di giorni prima, mi aveva lasciato al mio lavoro, pur senza sforzandosi di parlare, ma non mi aveva più “assalita”. La donna crudele ero io.
« Ricordi la bionda che ti è corsa incontro la scorsa volta?»
« Dubito che riuscirei a dimenticarla.»
« Già.» Infilai la chiave nella serratura e spalancai la porta, pronta ad essere investita da Claire.
Fu proprio come liberare una bestia rinchiusa da troppo tempo. Mi saltò addosso, si aggrappò urlando, « Racconta, bastarda!», forse senza accorgersi dello Johnny terrorizzato sullo stipite della porta. “Caro Johnny, sei un attore famoso, ti credevo più forte!”, pensai posando a terra la mia bionda amica e voltandomi verso di lui.
« Claire, lui è Johnny. Johnny, lei è-»

« … Claire, immagino.» M'interruppe porgendogli la mano.
Lei, tremante, l'afferrò e imitò un sorriso mentre, molto probabilmente, mi malediceva nella mente in turco. Già, potevo percepirlo.
« E'... è... un piacere.» Deglutì ritirando la mano e portandola verso il petto. Ero quasi sicura che non l'avrebbe più lavata.
Dio, avrebbero fatto una così bella coppia!
« Vado a prepararmi qualcosa da mangiare, il jet lag mi ha ucciso. Depp, tu vuoi un po' di carne?» Da quando lo chiamavo per cognome?
« Sì, volentieri.» Urlò mentre veniva praticamente trascinato da Claire a parlare sul divanetto.
« Oddio, devi assolutamente parlarmi del nuovo film con Burton! Sai, quello di cui state scrivendo la sceneggiatura! A proposito, ieri c'era la première del nuovo film, com'è? Fantastico, immagino. Non vedo l'ora di vederlo! Quindi, la sceneggiatura?» Era incredibile come sapesse più lei rispetto a me dell'attore su cui dovevo scrivere l'articolo. Deprimente, in realtà.
Dall'entrata andai in salotto, tirai fuori una padella su cui sparsi dell'olio, quindi la misi sul fuoco e attesi che si riscaldasse un poco. Il cucina ero sempre stata brava nel cucinare le cose basilari, quelle essenziali per vivere – specialmente perché mangiavo spesso fuori casa – tra cui carne, qualche tipo di pesce in padella, pasta che mangiavo comunque una volta all'anno, e alcuni piatti freddi. Eravamo stati in aereo per 8 ore, non mangiavamo da quasi 10, il che avrebbe reso irresistibile anche un pezzo di pane, solo per questo mi ero limitata ad offrirgli una bistecca. Beh, quello e la scarsa voglia di cucinare per un uomo.
Corsi a lavarmi le mani prima di prendere la carne in frigo per metterla a sfrigolare in padella a fuoco basso, intanto le urla isteriche di Claire si fondevano alla risata profonda ma sincera di Johnny, situazione la quale mi fece pensare che in realtà lei sarebbe dovuta essere la sua finta fidanzata. Dopo qualche minuto, quando ebbi apparecchiato la tavola per 2, assicuratami che la bionda non volesse mangiare, arrivarono sorridenti e si sedettero, lei davanti a un bicchiere di cola, lui davanti a un piatto con una bistecca fumante.
Mangiammo in religioso silenzio, con Claire che fissava insistentemente l'attore, lui che di tutta risposta divorava affamato insalata e bistecca e io che all'ultimo minuto mi resi conto di avere il cellulare spento. Appena finii, lasciai il piatto nel lavabo e corsi a prendere in borsa il telefono, sul cui schermo apparve una chiamata da un numero sconosciuto, un'altra da Logan e un messaggio dello stesso.

« Johnny, conosci questo numero?» e glielo dettai quasi gridando.
« E' Tracey!» sbottò di rimando con la bocca quasi piena.
Tracey? E cosa diavolo voleva da me? Di sicuro l'avrei richiamata la mattina seguente, ma avrei rifiutato qualsiasi ulteriore proposta di fidanzamento, dannazione. Il messaggio era di Logan e, quando lessi dell'invito a cena, il quale molto probabilmente era all'inizio preparato per la chiamata, un'espressione confusa era dipinta sul mio volto. Claire dalla stanza di fianco mi scorse e mi raggiunse.
« Tutto okay, è successo qualcosa?»
Mi limitai a porgerle il telefono.
« Oddio, Logan. Ci sei uscita». Claire conosceva in modo perfetto il rapporto instaurato un tempo con il ragazzo, sapeva anche degli sviluppi e della rottura avendoli seguiti dal vivo, inoltre più di una volta mi aveva quasi ordinato di lasciar perdere i suoi messaggi in segreteria.
Dovete sapere che Claire aveva sempre avuto uno strano rapporto con gli uomini. Non distruttivo, sia chiaro, nessun complesso causatole dal padre e dal fratello, tuttavia era stata con molti ragazzi, aveva saputo imparare dai propri errori e aveva imparato molto su quella razza. Sapeva dare consigli, ecco tutto.
« Potrei essere andata a prendere un caffè con lui ieri e lui potrebbe aver accennato al fatto che gli mancassi e io potrei essere scappata via correndo.» Scrollai le spalle imitando l'espressione del gatto con gli stivali di Shrek.
Sentii la sedia di Johnny spostarsi sul pavimento, spostai lo sguardo dal viso accusatorio della mia amica alla figura dell'uomo che lentamente sparecchiava, un po' incerto sul dove poggiare la tovaglia, e che ci raggiungeva stiracchiandosi.
« Per questo hai fatto tardi ieri?»
« Sì, non che debba comunque interessarti»

« Non mi piace il ragazzo se ti fa fare tardi alle première». Se non lo conoscessi da quattro giorni avrei giurato che fosse geloso.
« Alle quali comunque non parteciperò più»
« Quindi non state davvero insieme?» s'intromise Claire.
La fulminai con lo sguardo. « Ti pare?»
Johnny non sembrò apprezzare quel mio commento. « Non ci sarebbe nulla di male.»
« Nulla, a parte che non riusciamo neanche ad avere una conversazione! A proposito...» Lo afferrai per il colletto della camicia e lo trascinai in camera da letto. Claire aveva un grosso punto di domanda dipinto sulla testa. « ...dobbiamo parlare»
« Sì, ho notato» sussurrò interrogativo. Prese a guardarsi intorno, confuso.
« Il patto era una sera di première, non fidanzata fissa. Cos'è questa storia? Fai il George Clooney per una volta!»
« George Clooney?»
« Sì, porta le ragazze come accessorio.» Arricciai le labbra.
« Vorresti che ti portassi come accessorio?»
« Vorrei che io non dovessi fingere di essere la tua ragazza visto che ho una reputazione da difendere!» Strillai in preda alla rabbia che avevo represso per tutto il giorno. Ormai era più forte di me, non sarei riuscita ad andare avanti ancora a lungo, quindi era meglio che avessi tirato fuori ciò che avevo da dire.
« Hai ragione. Avrei dovuto cercare un'altra soluzione ai miei problemi, invece di trascinarci dentro anche te. E' stato un mio sbaglio. Perdonami.»
Con quelle parole uscì dal mio appartamento e, sperai per un attimo, dalla mia vita. Ma subito ricordai che altri venticinque giorni ci attendevano.
Claire, dopo la partenza dell'attore, mi comunicò che aveva litigato con la coinquilina e, in seguito a vari giorni di silenzio, aveva capito di non riuscire a convivere in quel modo. Subito l'invitai a rimanere da me per un po', fin quando non avesse trovato di meglio.
Quella sera andai a dormire felice, e proprio quando chiusi gli occhi il ricordo della famigerata notte m'assalì.

Siamo stesi nella suite ridendo come matti, in mano abbiamo una bottiglia di champagne ciascuno da cui beviamo direttamente, senza uso di bicchieri che in certi momenti ingombrerebbero soltanto. Il braccio del mio attore mi fa da cuscino su un letto troppo morbido per risultare comodo, e per questo gli sono grata.
Dalla festa siamo tornati dritti in hotel e da lì su in camera, da dove abbiamo chiamato il servizio in camera per farci portare qualcosa da bere mentre discutiamo dell'articolo che dovrei scrivere, ma di cui adesso non voglio proprio parlare. Tutti i pregiudizi su di lui sono scivolati via insieme alla mia stabilità mentale per qualche ora, e sono quasi felice che sia successo. In questo modo sì che riusciamo a stare insieme in pace. Lui, nonostante le notizie delle camere distrutte, è tranquillo, si vede, è felice, non deve preoccuparsi di ciò che gli altri pensano, in quelle quattro mura. Può essere se stesso e basta. Fissiamo il soffitto per qualche minuto, poi mi metto in ginocchio sul letto, il vestito tirato su fino alle cosce per evitare che si rovini. Bevo un altro sorso dalla bottiglia, la poggio a terra per evitare di macchiare le lenzuola. Al contrario di questo pomeriggio, riesco a liberarmi del tessuto rosso, rimanendo in intimo, pronta ad andare a letto, ma Johnny non sembra pensarla allo stesso modo. Per un secondo ho il timore che l'alcol gli abbia dato alla testa, che forse pensi che io mi conceda a lui, e forse adesso lo farei, però mi sbaglio. Quello che fa è, dopo essersi sbottonato la camicia, aiutarmi ad indossarla e poi allacciare i bottoni al centro, quelli sull'addome, evitando quelli più in alto. Sorrido alla sua gentilezza, gli sfioro il viso con una mano, lui mi guarda negli occhi, io gli fisso le labbra. Per quanto tempo ho pensato a ciò che queste due azioni in realtà indicano, anche se da lontano appaiono così simili. Due sentimenti, due desideri opposti e così collegati. Ma il suo sguardo ci mette poco a scendere per incontrare la mia bocca. In sincronia ci avviciniamo, ci sfioriamo senza mai realmente toccarci, sento le sue mani che si accostano alla mia schiena, e, senza il bisogno di sentire il suo tocco, mi attira a sé come una calamita ritrovandomi così vicina da sentire il suo respiro. Non riesco a pensare, vorrei solo baciarlo ed essere sua per stanotte, dimenticare poi tutto, ma so che non posso, che non me lo perdonerei mai. Con un sospiro butto fuori la parte di me che mi spinge tra le sue braccia, so che non se ne andrà mai ma la seppellirò ancora a lungo, fin quando non inizierà a divorarmi dall'interno. Le mie labbra sfiorano l'angolo della sua bocca in un bacio che descrive più delle parole la mia indecisione. Lui capisce, comprende, annuisce silenziosamente e, abbracciandomi, fa scivolare entrambi sul letto in un sonno profondo.


___

Perdonate il ritardo, davvero, è colpa della scuola, dei telefilm e di vari giochi di ruolo, ma soprattutto mia.
Continuo a non voler accelerare le cose tra questi due soggetti qui, ma vabeh, non potevo lasciare le cose come stavano e ho dovuto infilarci qualcosa in mezzo.
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo!
A presto ~


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Capitolo 6
*** Day Five ~ Talking, Kissing, Talking ***


Day Five – Talking, Kissing, Talking


La cucina profumava di caffé quella mattina. Capite quindi la mia confusione. Caffé. In casa mia. Alle 8 di mattina. Esattamente.
«Oh, sei sveglia! Finalmente! Ho fatto il caffé e i pancakes! Mangi i pancakes la mattina, vero? C'era il necessario e-»
«Claire! Ssssh!» Quasi le gridai contro per zittirla. Mi ero svegliata per una chiamata di Jack riguardo le notizie che stavo raccogliendo: mi aveva praticamente vietato di attuare il mio piano "conosci Johnny e scappa" usando la carta dell'intervista completa, ergo non potevo semplicemente fargli domande perché tutti conoscevano le risposte, dovevo andare "a fondo". Non avevo idea di cosa significasse, ero troppo arrabbiata per chiedere altro. Trovare poi Claire a distruggere la cucina cercando di cucinare qualcosa per la colazione mentre parlava a raffica era un altro segno della pessima giornata che mi si prospettava.
«Carino!» Rispose lei indicando il mio pigiama a quadri. Okay, non era molto... "adulto", ma era largo e comodo e... oddio! Quello era davvero succo d'arancia?
Mi arresi e, senza prima rifugiarmi in bagno, mi sedetti a tavola sospirando. «Cosa ci fai sveglia a quest'ora?» Claire era stata sempre sostenuta economicamente dal padre, ma da un po' aveva deciso di sostenersi da sola con un misero stipendio da cameriera per sei ore il pomeriggio, quindi non aveva motivo di svegliarsi così presto la mattina.
«Johnny non te l'ha detto?» Oh, lo chiama già per nome?
«Cosa avrebbe dovuto dirmi?»
«Che vengo con te oggi!» E sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi.
Okay... cosa?! Si fidava così tanto a di lei dopo mezz'ora di conversazione da lasciarla curiosare in casa sua?
«Ecco, mi ha chiesto di aiutarlo a provare per una parte di cui non è molto sicuro aggiungendo che tu non avresti mai accettato.» Ripeto: si fidava così tanto?
Mandai giù un morso del pancake e annuii. «Okay, sì, nessun problema. Insomma, se non è un problema per lui non vedo perché dovrebbe essere un problema per me.» Uh-uh...
«Ottimo!» Saltò su dalla sedia battendo le mani eccitata e iniziò a pulire la cucina. Alle 8 di mattina.

Il cancello automatico si aprì appena la mia macchina si fece strada nel viottolo e ci lasciò entrare senza troppe cerimonie. Parcheggiai e vidi che affacciato alla porta c'era già Johnny che ci aspettava sorridente. Non riuscivo proprio a capire questo collegamento istantaneo tra Johnny e Claire. Credeva forse che avrei inserito nell'articolo quel suo atto di immensa generosità? Si sbagliava di grosso. La mia amica si fiondò fuori dalla macchina appena mi fermai, io rimasi dentro un po' di più, forse per osservare meglio la reazione di Johnny alla felicità di Claire. Slacciai la cintura lanciando occhiate ai due che si salutavano con un abbraccio, bevvi un sorso di caffé dal bicchiere thermos mentre Claire entrava e l'attore si fermava un secondo di più sullo stipite della porta per guardarmi, forse per accertarsi che fossi ancora viva, afferrai la borsa e li raggiunsi a passo lento.
La casa non era cambiata affatto dall'ultima volta che ci ero stato. No, davvero, ogni oggetto era nella precedente posizione, il che mi fece domandare se pulissero ogni tanto in giro. Sentii le loro voci ma non li cercai visto che probabilmente lei era stata portata a fare il tour – a me inizialmente negato – della dimora dell'attore. Lanciai come al solito la tracolla sulla poltrona su cui poi mi sedetti in attesa di essere perlomeno salutata dal padrone di casa.
Quella situazione era a dir poco strana e l'ultima cosa che avrei voluto fare era ripensare a quella notte. Sembrava in effetti così distante dalla realtà da farmi credere che fosse stato tutto un sogno, o meglio, cercavo di convincermi che quello fosse tutto un sogno, anche se sapevo che era tutto realmente accaduto. Ma non poteva essere, non potevo davvero avere voglia di baciarlo perché quello avrebbe implicato tante cose che non volevo accettare. D'altra parte mi consolava il fatto che 3/4 della popolazione femminile del mondo voleva baciarlo, e non solo. Però aveva ragione, dovevamo parlare e di sicuro non potevamo farlo di fronte a Claire. Lo so, era la mia migliore amica e avrei dovuto dirle tutto e rivelarle ogni dettaglio, ma non ero pronta ad ammetterlo a me stessa, figuriamoci a lei.
«Davvero, è tutto fantastico, non ho parole! Sembra tutto così irreale. Me, Claire Dawson, nella casa di Johnny Depp!» Quelle parole furono seguite da una risatina che sfiorava l'isteria. Johnny prese tutto quello per un gran complimento e rise subito dopo. «Però, consiglio da amica...» Amica?! «.. dovresti togliere dalla camera quella foto di Vanessa. E' un po' come Helen che mantiene ancora in sala la foto del suo ex!» Beh, in effetti no.
«E' un ricordo, nulla più. Faceva parte della mia vita e non posso cancellarla da un momento all'altro.» Rispose abbassando il tono di voce mentre arrivavano a loro volta in salotto. «Buongiorno, Helen.» Mi salutò senza neanche degnarmi di uno sguardo, passandomi affianco come se fossi un pezzo del mobilio della stanza. Forse ero stata un po' troppo dura con lui la sera prima ma dovevo mettere in chiaro le cose e non potevo certo farlo gentilmente. Dio, sembrava un bambino.
«'Giorno.» Mormorai più acida di lui. Lo sguardo di Claire vagò da me a lui e poi di nuovo da lui a me, poi scrollò le spalle e si sedette sul divanetto di fronte al mio.
«Hai visto come sono carini i bagni? E' tutto così... Ow, è tutto di marmo!»
«No, non ho avuto occasione di vedere i bagni, Claire, data mia posizione non mi è permesso visitare i bagni a eccezione di quello degli ospiti a questo piano.» Dicendolo la mia attenzione si era spostata sulla figura di Johnny che mi stava finalmente osservando. Si poteva sapere cosa diavolo gli fosse preso?
«E' davvero un peccato, credimi. E poi le camere, oh, le camere!» Continuò così per vari minuti, ormai stavo ascoltando a malapena le sue parole mentre l'attore sembrava concentrato su di lei più quanto si fosse mai concentrato sulle domande che gli avevo posto il primo giorno.
Passammo quindi così la mattinata, tra discussioni frivole e domande allo stesso livello, perlomeno frivole rispetto a quelle che avrei dovuto fare io per lavoro. Ma appuntai comunque tutto ciò che lui rivelava alla mia amica così curiosa, perché si sa, la gente ama anche i dettagli più inutili, aiutano a farsi un'idea più precisa della cosa, persona o evento di cui si parla. A pranzo convinsi Claire a lasciare la casa per mangiare fuori e anche lì non facemmo altro che parlare di Johnny, di quanto fosse simpatico e per nulla presuntuoso, di conseguenza ringraziai in silenzio uno di quei dei lassù alla fine del pranzo. Claire doveva andare a lavoro, l'accompagnai a casa a prendere l'uniforme e poi la portai alla tavola calda, tuttavia proprio non me la sentivo di tornare subito da Lui e affrontare l'unico argomento che non avrei voluto affrontare per nulla al mondo. Vagavo per le strade di LA riflettendo a quello che era accaduto in quegli ultimi giorni. Volevo un mondo di bene a Claire, davvero, ma il lavoro era il lavoro e non potevo passare altri venti giorni in quelle condizioni per nulla al mondo, specialmente perché non avrei avuto modo di studiare Johnny come avrei voluto, com'era necessario. Fare battute, scherzare, provare per altri film rimanendo in casa non era ciò di cui avevo bisogno perché a quel punto sarei potuta restare a casa a guardare senza sosta le interviste fino a memorizzare ogni suo movimento, ogni sua parola, il suo modo di fare. Tuttavia l'alternativa era viaggi come quello di due giorni prima, premiére in giro per il mondo in stanze di hotel con letti che profumavano di lui, mentre noi due, stretti l'uno all'altro, vivevamo una favola che sarebbe durata poche ore. Stranamente quell'idea non mi spaventò, ma poche ore mi sarebbero bastate? Non avevo forse desiderato per tutto il giorno che potessimo essere di nuovo solo noi e due bottiglie di champagne, un materasso morbido e un bacio finalmente dato?

Era di spalle e leggeva il copione di un film ancora sconosciuto a noi esseri mortali. Si era dovuto alzare per aprirmi il cancello e quindi aveva lasciato leggermente aperta la porta principale, però subito era tornato sul divano a leggere, lo stesso divano del mio primo sogno. Ebbi un brivido a quel ricordo.
«Cos'avevi stamattina?» Neanche sussultò quando sentì la mia voce, né alzò lo sguardo dalle pagine. Pregai per lui che fosse solo il copione ad essere estremamente interessante da non potermi neanche guardare in faccia mentre mi rispondeva. Non mi sedetti, rimasi in piedi alle sue spalle fingendo di leggere qualcosa di quelle parole scritte al computer talmente piccole da rendermi impossibile anche il pensiero di quell'azione.
«Lo dici come se di solito andessimo d'accordo.» Mormorò dopo qualche secondo.
«Non si tratta di andare d'accordo, si tratta di sopportarci e tu stamattina mi eri totalmente indifferente, come se non potessi ascoltare Claire e darmi retta allo stesso tempo.»
«"... guardarmi allo stesso tempo".» Concluse la frase come avrebbe voluto che fosse in realtà conclusa, o forse come io avrei dovuto concluderla. «E' questo che volevi dire, no?»
Mi schiarii la voce. «Non è ciò che ho detto, però. Non travisare le mie parole. Dobbiamo parlare.»
Finalmente si voltò verso di me e parve incredibilmente stanco. Sospirò, mi scrutò, si voltò di nuovo verso il copione. «Di cosa, di grazia? Avevi ragione tu ieri, non avrei dovuto approfittarne e bla bla bla... Visto? Abbiamo parlato.» Si sforzò di sorridere, gli occhi sempre fissi sulle pagine colorate di nero.
«No, ieri ti sei arrabbiato e sei uno stronzo. Sto solo facendo il mio lavoro, te l'ho ripetuto mille volte, quindi non ti azzardare mai più a ignorarmi come oggi. E cosa diavolo ti è saltato in mente? Invitare Claire? Cos'è, vuoi divertirti con me presente? Non esiste! E non esiste neanche che tu prenda lei come sostituta perché te lo lascerà fare e quando i paparazzi si stancheranno di te e della tua finta vita preoccupante e piena di sbagli la ferirai! Io sono stata talmente stupida da cadere nella tua piccola trappola e qual è il risultato? Mi hai vista nuda!» Gridai mentre lui si alzava dal divano, lo aggirava e mi raggiungeva divertito.
«Oh, quindi adesso ricordi?» Interpretò bene la mia espressione interrogativa. «Una tipa riflessiva come te avrebbe voluto di sicuro parlarne, quindi ho solo ipotizzato che non fosse ancora andato via del tutto l'effetto dell'alcol. E comunque non eri nuda, ma in intimo, e sono stato un gentiluomo.» Non potevo certo negarlo.
«Dettagli! Non avevi nessun diritto di fare lo stronzo oggi!»
«Già l'hai detto.»
«Sì, e continuerò a ripeterlo. Sei solo fortunato che il mio capo non voglia farmi fare l'intervista.» Rivelai sbuffando.
«Ah sì? Mi deve amare davvero tanto.»
«Al contrario di me.» Dissi, e si fece più vicino.
«Baciami.» Sussurrò e rabbrividii
«Cosa?»
«Ho detto... baciami. So che vuoi farlo.» Non aveva idea di quanto avesse ragione, talmente tanta ragione che il mio cervello si scollegò.
«Non voglio.»
«Sì che vuoi. Vuoi perché stamattina hai creduto che avessi dimenticato tutto e ti sei sentita messa al secondo posto, e mi dispiace. Vuoi perché vorresti che ci fossimo baciati quella notte all'hotel ma non è colpa mia se non è successo. Quindi rimedia. Baciami.»
Lo guardai negli occhi, il respiro accelerato e il mio viso impercettibilmente più vicino al suo. «Non...»
«Non puoi? Puoi. Sarà il nostro piccolo segreto. Un bacio e tornerai a odiarmi. Credimi.»
Ormai ero completamente immobilizzata. Sollevo una mano e avvolse con quella un lato del mio collo. Sembrò voler controllare ogni proprio movimento, tanto che li seguì con lo sguardo. La mano libera si spostò di poco dal suo fianco poiché afferrò il mio e fece in modo di avvicinarmi il più possibile al corpo dell'attore. Johnny, con gli occhi bassi, incontrò solo allora i miei e sollevò un angolo della bocca. Sembrava voler dire:"Se non lo fai tu, lo faccio io". E lo fece. Dolcemente si chinò su di me e le sue labbra sfiorarono le mie in un tocco che mi fece impazzire. Era leggero, eppure, per un attimo, sembrò tutto quello di cui avevo bisogno. Non si spinse oltre e lo stesso feci io. Mi trattenni dal mordere le sue labbra come in realtà avrei voluto, mi trattenni dal baciarlo davvero, come doveva essere un bacio, per non dovermi torturare più tardi per quel ricordo. Tutto sembrava essere lasciato a metà, con lui. Persino adesso, quando ero così vicina dal mettere insieme l'ultimo pezzo di un puzzle, rimandai.
«Ti neghi troppe cose.» Il fatto che la sua voce fosse lievemente roca mi fece sorridere.
«Hai proprio ragione.» Dissi sorridendo.
Mi liberò da quell'"abbraccio" mentre mi lasciavo andare a un mugugno di disapprovazione.
«Perché non avete provato tu e Claire?» Domandai all'improvviso.
Lui si allontanò e tornò alla sua "postazione" di prima, sul divano, con il copione in mano. «Doveva lavorare oggi, non avremmo avuto tempo. Comunque proveremo domani, che non deve lavorare.» Annuii silenziosamente, mi sedetti su quella che ormai era diventata la mia poltrona, ginocchia piegate al petto a osservare il mio attore. «Sembri una bambina.» Esordì dopo un po'.
«Vista la situazione non è un bene, no?»
«Decisamente no.» Rimisi a terra le gambe. «Ora va molto meglio.»

Uscii da lì verso le sette, quando era ormai ora di andare a recuperare Claire a lavoro visto che, avendola accompagnata io, non aveva un mezzo per tornare a casa. Non le dissi nulla dell'accaduto, le rinnovai l'invito a casa Depp – accettato con un gridolino – e trascorremmo la serata, finalmente, a parlare di Robert Downey Jr. Di attore in attore.

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Capitolo 7
*** Day Six ~ Dinner and... ***


Day Six – Dinner and....


«Quindi, Claire, che ne pensi?» Le chiesi finendo di applicare il rossetto. Anche quella mattina, con la colazione già pronta sin dalle otto, non ero dell'umore migliore, ma non avevo ancora avuto modo di parlare a Claire delle prove che avrebbero dovuto fare quel pomeriggio lei e Johnny. E poi, prova di cose? Aveva davvero bisogno di esercitare le sue doti di attore, possibilmente rovinando la visione del futuro film alla mia amica? Non era una di quelle cose che vengono automatiche? Cavolo, probabilmente lui cercava solo di essere gentile, e il fatto che fosse gentile con tutti tranne che con me mi faceva innervosire e non poco.
«Riguardo cosa?» Domandò finendo di preparare i tramezzini per il pranzo, perché sì, aveva deciso che avremmo mangiato lì. Come se non ci passassi già abbastanza tempo.
«Sai, il tempo che stai passando con Johnny, credi sia una buona idea?» Non sono una strega cattiva, non cercavo di farle venire dubbi sulle buone intenzioni dell'attore, desideravo unicamente conoscere il suo punto di vista.
«Sì, insomma, non mi faccio illusioni di nessun genere, tranquilla.» Sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi mentre "impacchettava" i tramezzini e li sistemava in borsa.
Annuii poco convinta. Sapevo bene quanto lei lo adorasse e non volevo che ci rimanesse male, anche se nulla mi assicurava che lui l'avrebbe presa in giro, anzi, tutto pareva indicare che gli piacesse la compagnia di Claire. Certo, sarebbe dovuto essere uno stronzo per baciare me e provarci con lei, ma nessuno di noi due lo conosceva davvero bene, sebbene lo non credessi capace di un comportamento del genere.


Il cellulare iniziò a squillare mentre parcheggiavo. Questa volta, vedendo che sul cellulare campeggiava il nome "Logan", Claire rimase con me in macchina ma non me la sentii proprio di rispondere, quindi aspettai che chiuse la chiamata prima di scendere.
«Dovrai parlarci, lo sai, vero?»
«Sì, lo richiamerò più tardi, è di prima mattina che non riuscirei a sopportarlo.»
«Gli hai almeno dato la possibilità di mostrarti-»
«Cosa, che è cambiato? Non sarà mai capace di cambiare, Claire, e non voglio un bambino al mio fianco.» Eravamo a un paio di metri dall'entrata di casa Depp e ringraziai silenziosamente Johnny per aver deciso di rimanere in casa quella mattina a causa dell'aria fredda, visto ciò che lei mi rispose.
«E vorresti un uomo? Come Johnny?» Sussurrò fermandomi per un braccio. Doveva aver interpretato bene l'espressione sul mio viso, perché non aspettò una risposta. «Avanti, Helen, ti conosco più di quanto conosca me stessa, credi davvero di potermi ingannare?».
«Ingannarti? Perché dovrei? Cos'è, "hai visto come lo guardo"?» chiesi ironica.
«Sì, esattamente. Ho visto come lo guardi. E non sei innamorata di lui, ma credo che tu ti stia trattenendo con Logan solo perché vuoi Johnny.» Potevo controbattere? No che non potevo.
«Ho chiesto se ti stessi ingannando perché in realtà ingannavo me stessa...» mormorai più a me che a lei. «Hai ragione, è solo che è successo qualcosa ma non te l'ho detto perché credevo ci saresti male e...»
«So che è successo qualcosa, non so cosa, ma era inevitabile.» Mi colpì leggermente il braccio con il gomito e rise. «Insomma, una notte in hotel con Johnny Depp? E chi potrebbe resistergli?»
Risi con lei e la seguii all'interno, dove trovai Johnny e una figura, più alta di lui, coperta da un lungo cappotto nero. Capelli corti neri, stivali neri... No, non poteva essere lui.
«Oh, è lei la giornalista?» Domandò dopo essersi voltato e avermi indicato con un dito mentre guardava Johnny.
«E' lei.» Replicò lui osservandomi.
Marilyn Manson fece qualche passo verso di me tendendomi una mano, strinse la mia e si avvicinò per sussurrarmi all'orecchio:«Starò attento a non dire nulla di compromettente in tua presenza» commentò serio, tuttavia io non potei trattenere un sorriso. «Johnny, metti via quell'assenzio.» Ridemmo tutti e tre, ma lui si fece più serio. «Dico davvero, mettilo via.» E Johnny trafficò con una bottiglietta su cui era stampato uno dei dipinti di Marilyn per portarla nel salotto più grande e nasconderla dietro alle altre.
«Sarà il nostro piccolo segreto.» Dissi lasciando andare di malavoglia la presa. Avevo seguito passo per passo – anche grazie alla mia posizione all'interno del Rolling Stone – ogni suo piccolo movimento nel campo musicale, diventando pian piano una sua grande fan.
Marilyn si dedicò ora a Claire che per molto tempo aveva cercato di farmi capire il suo punto di vista. A lei piacevano le sue canzoni, ma non riusciva a sopportare il suo modo di fare, era davvero convinta che il suo modo di vestire fosse solo per fare scena, mentre adesso aveva avuto la prova del contrario. Rispose alla stretta di mano e raggiunse Johnny in cucina, io mi sedetti sulla solita poltrona, seguita dal cantante. Mi guardò dall'alto per qualche secondo, quindi si fece vicino al mio volto sorreggendosi con le mani sui braccioli della poltrona. Aggrottai le sopracciglia e lui mi sorrise, un sorriso quasi inquietante.
«Non stregare Johnny, è un caro amico, mi dispiacerebbe dover rinunciare a lui durante i concerti.» Rimase in quella posizione, troppo vicino da farmi sentire a mio agio, eppure c'era qualcosa nel tono che aveva utilizzato che riusciva a... "confortarmi". Restava inquietante, con le lenti a contatto recuperate per quella visita, le quali rendevano un occhio azzurro e l'altro marrone.
L'attore, seguito da Claire, tornò in salotto e a quella scena si schiarì la voce costringendo Marilyn a sollevarsi e ad occupare un posto sul divano. «Stavo giusto dicendo a... Helen, giusto? che ho letto dei suoi articoli e sono rimasto piacevolmente sorpreso. E sì, la vicinanza era necessaria per rendere meglio l'idea. Ma tranquillo, non voglio rubartela.»
«Gentile da parte tua, ma forse una giornalista che ti segua e che non ti permetta di fare ciò che fai di solito ti aiuterebbe.» Affermò Johnny ridendo.
«Scherzi? Se io ho una brutta immagine faccio più spettacolo, sei tu quello da tenere sotto controllo, soprattutto negli hotel.» E non aveva tutti i torti. Io e l'attore ci scambiammo uno sguardo complice, trattenemmo entrambi una risata, poi salutammo Marilyn che stava andando via. Loro due si abbracciarono e parlottarono un paio di minuti in disparte, un'altra stretta di mano a me e a Claire e ci lasciò.


«Helen, il cellulare. Ti sta squillando il cellulare.» Scossi la testa per riprendermi dal sogno ad occhi aperti, che di sogno non aveva nulla visto che stavo semplicemente osservando le linee del parquet mentre ascoltavo distrattamente i due che provavano il copione per un nuovo film di John Carpenter. Come ci aveva già detto, Johnny era indeciso sull'accettare il ruolo e credeva che recitando quella parte, con Claire come aiutante, sarebbe servito a qualcosa. Ma non fu così. Sembrava un dannato, con quel copione in mano, mentre camminava avanti e indietro per la stanza. Ora entrambi erano concentrati su di me, anzi, sul mio telefono che vibrava all'interno della borsa. Nel momento in cui lo presi e lessi "Logan", Johnny disse qualcosa che mi fece preoccupare a dir poco:«Possiamo consolarci con una cena stasera, che ne dite?» Avevamo appena pranzato, quindi forse per quello non ci aveva offerto il pranzo, ma me, Claire e Johnny Depp a cena insieme... decisamente una pessima idea.
Mi alzai dal divano rispondendo al cellulare e mi allontanai ritrovandomi all'entrata. «Logan, ciao, ho visto prima la tua chiamata, ma non ho proprio avuto tempo di richiamarti.» Inutile cercare di giustificarmi per non essermi fatta sentire dopo la chiamata durante il breve viaggio a New York.
«Lo so, stai lavorando, non preoccuparti.» Potei quasi sentire sorriderlo dall'altro lato. «Volevo solo rinnovare l'invito a cena stasera, se sei libera.»
Cos'aveva detto Claire riguardo il dargli un'altra possibilità? Potevo davvero sperare che con l'attore andasse come desideravo? Ma soprattutto, cos'è che desideravo? «Liberissima. Passi a prendermi intorno alle otto?»
«Vada per le otto. Buon lavoro!»
«Grazie, Logan, anche a te.»
Rimasi qualche attimo lì nel vano tentativo di capire perché avevo accettato, e quando tornai in salotto Johnny e Claire stavano ancora discutendo della cena. «Vieni anche tu, Helen?» mi domandò l'attore.
Alzai il telefono, come se quello fornisse una spiegazione plausibile.
«Logan?» fece Claire.
Annuii. «Logan. Gli ho detto di passare alle 8.»
Johnny respirò profondamente per poi lasciarsi andare a un sorriso. «A quanto pare saremo solo io e te, Claire.»
«A quanto pare sì.» Confermò ridendo.


Avrei fatto in tempo a farmi una doccia? Forse sì, se avessi fatto abbastanza in fretta. E poi cos'avrei dovuto indossare? Diamine, non mi aveva neanche detto dove mi avrebbe portata! Claire, al mio fianco, era decisamente più rilassata, forse perché Johnny le aveva detto che l'avrebbe portata in luogo isolato dai paparazzi, se era questo che desiderava, e lei aveva accettato senza remore. Dalla première con Johnny, invece, io avevo iniziato a notare alcune persone fuori dall'appartamento agli orari più assurdi, e foto sui giornali avevano confermato gli appostamenti dei paparazzi. Mi avrebbero seguito anche quella notte? Speravo davvero di no.
Una volta nell'appartamento, iniziai a frugare nell'armadio alla ricerca di qualcosa non troppo elaborato da indossare, e un vestitino nero mi parve l'ideale. Mi gettai sotto la doccia, una volta uscita asciugai i capelli e li lasciai sciolti, poi iniziai a vestirmi. Logan fu puntuale come sempre, scelsi di non farlo salire poiché Johnny era già passato a prendere Claire.
«Sei... bellissima, Helen. Come sempre.»
Neanche lui scherzava, con una maglietta bianca coperta da una giacca dello stesso colore e dei jeans. Né troppo elegante, né troppo semplice. Alla fine non avevo sbagliato. «Grazie.» Mormorai sorridendo.
Il viaggio non fu poi così lungo, ma il silenzio fece pesare quei dieci minuti in macchina un po' troppo. Fortunatamente ci riprendemmo durante la cena, parlammo degli ultimi mesi, di come io avessi ottenuto quell'importante incarico e di come lui si fosse finalmente laureato e avesse iniziato a lavorare davvero. Solo per me, diceva, ma come potevo credergli? Non poteva essere innamorato di me per sempre e glielo dissi quando ormai eravamo giunti al dessert.

«Non smetterò mai di provare a conquistarti. Anche se mi costringerai a competere con lui.» Su, avrebbe potuto gonfiare il petto e battere i piedi per terra per completare l'opera.
«Non voglio cotringerti a fare nulla... e contro chi?»
«Johnny Depp!»
«Ma sei scemo?» Una domanda semplice ma che racchiudeva mille risposte, mh?
«Che c'è? Ho visto le foto della première, di come tu fossi magnifica e stupenda al suo fianco. Ma non ho intenzione di arrendermi.»
«Mi spieghi che senso avrebbe? Non ti amo più da molto tempo ormai e credo di averlo reso piuttosto chiaro.»
«Come fai ad esserne sicura?»
Come facevo ad esserne sicura? Non ne avevo idea. Lo sapevo e basta. La persona che tempo prima era diventata non era la stessa di cui mi ero innamorata inizialmente, ma quando me n'ero resa conto era troppo tardi, l'amore era scomparso e non c'era modo di lasciarlo senza ferirlo. Quando gli dissi "addio" mi promise che ci saremmo reincontrati e che non avrebbe mai smesso di amarmi – insomma, le solite frasi che i giovani dicono credendoci fermamente –, ma lui aveva davvero mantenuto quella promessa.
Scossi la testa riprendendo a mangiare la torta cheesecake di fronte a me. Forse semplicemente non riuscivo ad accettare quella situazione, non riuscivo a mandare giù la sua decisione, sempre che fosse una decisione, cosa alquanto discutibile. Lui mi osservò per qualche secondo, poi distolse lo guardo e bevve un sorso d'acqua. Almeno in quel campo aveva fatto passi avanti, a meno che non stesse solo approfittando della situazione per mostrarsi al suo meglio e per dimostrarmi quanto fosse in realtà cambiato. Probabilmente stavo giudicando troppo in fretta la situazione, ma sarei stata comunque capace di perdonargli tutto ciò che mi aveva fatto passare? Era sempre stato così: faceva qualcosa per farmi arrabbiare e poi s'impegnava con tutto se stesso per rimediare. Da un lato lo trovavo estremamente dolce, dall'altro terribilmente irritante. Mi chiedevo come lui potesse restare così insistente nonostante tutte le volte che l'avevo cacciato via dalla mia vita, tutte le volte che gli avevo detto che l'odiavo, tutte le volte che l'avevo realmente odiato. Tuttavia non chiesi altro, quella sera, e il silenzio continuò fin quando non fu lui a chiedermi se volevo tornare a casa. Annuii in silenzio, lui chiese il conto e pagò lasciando la mancia al cameriere, quindi tornammo in macchina e il ritorno fu silenzioso quanto l'andata.
«Ho passato una bella serata, Logan. Grazie davvero.» Gli dissi una volta arrivati sotto il mio appartamento. Mi sporsi verso di lui e gli lasciai un bacio sulla guancia. Lo sentii irrigidirsi.
«Buonanotte.»
A quel punto scesi dalla macchina, in mano la pochette nera scelta per quella serata, sapendo che probabilmente Logan non si sarebbe più fatto vedere.
«So essere piuttosto insistente, lo sai.» Logan era uscito dalla macchina e aveva girato intorno ad essa. L'aveva fatto in modo così silenzioso da non farmi rendere conto di nulla.
«Logan...» iniziai.
«Ti amo, Helen. Ti amo. Accettalo. Accettami.»
«Non...» Avrei ripetuto le stesse cose che gli avevo ripetuto per tutta la sera, se solo me l'avesse permesso... se solo non mi avesse baciato. Eppure c'erano due metri a separarci, come avevo fatto a non rendermi conto che la distanza si era eliminata in un attimo? E ora potevo sentire le sue mani sui miei fianchi, le sue labbra che si muovevano dolcemente sulle mie.
Casa.
Sapeva di casa. Aveva l'odore familiare e confortevole che ha un luogo in cui hai vissuto per così tanto tempo da non ricordarti nemmeno l'ultima volta che hai dormito in un letto diverso. Ecco, stare lontano da lui era stato come riposare in un altro letto. Ora ero tornata tra le braccia dei miei genitori e mi ero fiondata sul materasso che il mio corpo riconosceva immediatamente. Eppure ricordai quanto fosse malsano restare per troppi anni tra le braccia materne o paterne. Perché in fondo amiamo tanto restare sotto quel tetto perché è più semplice, tutto è facile. E' una sicurezza. Raggiunta la giusta età, dobbiamo allontanarci dal nido se vogliamo crescere. Quello che stavo provando non era amore, ma paura. Paura di non essere mai amata come lui mi amava. E le paure bisogna combatterle. Io lo feci scappando dalle sue braccia, poi nel palazzo, su per le scale, verso l'appartamento. Sapevo di aver fatto un grave errore ricambiando il bacio, ma ringraziavo quello strano flash per avermi "risvegliato". Aspettate un attimo... flash?


Mi stavo struccando in bagno, seduta sul bordo della vasca, quando sentii la porta aprirsi e richiudersi. Claire era tornata e, appena mi vide, parse subito piuttosto agitata.
«Hai acceso il pc?» Mi chiese con un tono di rimprovero.
«No, sono appena tornata, perché?»
«Perché? Mi stai davvero chiedendo perché?»
«Devo preoccuparmi?»
Quello che proruppe dalle sue labbra assomigliava a un grugnito. «Vado a letto, finisci poi vai a vedere "perché". Dannazione, Johnny era così vicino ad andarlo a trovare e prenderlo a pugni...» Sospirò, mi bacio la guancia e andò in salotto.
In realtà ero tornata da un'oretta a casa e tra poco sarebbe stata mezzanotte, quindi il computer era l'ultima cosa che m'interessava al momento. Mi ero svestita e avevo indossato una maglia a maniche corte di due o tre taglie più grandi, visto che il mio adorato pigiama era nella lavatrice. Me l'ero presa con calma, quindi solo dieci minuti dopo l'arrivo di Claire andai in sala per scoprire la causa di tanto nervosismo di Johnny. Erano delle foto. Sullo schermo del portatile campeggiavano dei primi piani di un bacio, quello mio e di Logan. La velocità con cui erano state postate su internet era sorprendente, cosa più sorprendente era il modo in cui Johnny l'aveva scoperto, ma nulla batteva la reazione dell'attore. Arrabbiato per cosa? Tolsi lo schermo intero per visualizzare l'articolo. "La nuova fiamma di Johnny Depp è passata a un nuovo focolare dopo soli due giorni?". Persino il titolo non aveva senso. Rimasi sul divano solo un altro paio di minuti a chiedermi perché mi fossi messa nel bel mezzo di quella situazione prima di andare a letto, ripromettendomi di risolvere tutto la mattina seguente.


Non mi fu permesso.
Sentii bussare insistentemente alla porta e mi alzai sapendo che Claire, con il suo sonno pesante, non si sarebbe svegliata sebbene la sua camera fosse più vicina all'entrata. L'orologio digitale segnava l'ora: 01:34. Spostai le coperte velocemente, più preoccupata che fosse successo qualcosa di grave che innervosita. Poggiai una mano sulla porta. «Chi è?»
«Johnny.» Mi rispose l'attore dall'altro lato. Dalla voce non sembrava ubriaco, il che era un buon segno.
Un attimo di esitazione prima di aprire la porta. «Johnny?»
Entrò e richiuse la porta alle sue spalle. Indossava gli stessi vestiti che aveva per la cena con la mia amica: delle scarpe nere, pantaloni neri, camicia a maniche corte nera. In mano il cappello nero sormontato da una stupidissima piuma.
«Hai bisogno di qualcosa?» Gli chiesi deglutendo mentre abbassavo solo un secondo gli occhi. Li rialzai poi per incontrare i suoi nella penombra della stanza.
Il suo sguardo, da quando avevo aperto la porta, aveva studiato ogni mio piccolo dettaglio: dalle corte calze a righe alla monocromatica maglietta blu, fino ai capelli raccolti in una treccia. «Non ho tempo per i giochi, Helen. Non mi interessano affatto.»
Fu solo un attimo, un attimo per memorizzare quella scena e per rendermi conto di quanto ogni cosa successa negli ultimi sei giorni fosse assurda e fuori dal mondo. Un attimo. Il cappello che teneva in mano cadde a terra silenzioso, Johnny mi attirò a sé per baciarmi come non ero mai stata baciata, con conoscenza e avidità, ma soprattutto l'abilità che solo lui – e di questo ne ero certa – possedeva. Le sue mani raggiunsero la mia schiena per stringermi di più, per non lasciarmi andare, come un segno della possessività che quella sera era venuta a galla. Ero sua. La sua giornalista. La sua Helen. Questa sicurezza mi spiazzò. Indietreggiai guidata dai suoi passi fin quando sentii la schiena contro il muro. Le mie mani erano ormai occupate nei suoi capelli. Stavo prendendo fuoco, e la situazione non miglioro quando sentii il suo tocco freddo a causa del venticello notturno che si faceva strada sotto la maglia. Raggiunse gli slip e continuò a risalire. Intanto le sue labbra avevano abbandonato le mie e avevano iniziato a sfiorare il collo.
La luce della camera di Claire si accese. Forse il suo sonno non era così profondo come credevo. Johnny si fermò sorridendo e mi guardò negli occhi. Un bacio fugace prima di andare via. Mi servì un momento per riprendermi, per rendermi conto di cosa fosse appena accaduto.
«Helen, cosa sta succedendo?» Gridò la mia coinquilina affacciandosi dalla sua camera.
«Nulla, nulla, torna a dormire.»
Mi raggiunse e la guardai lanciare un'occhiata a qualcosa per terra. «Okay, allora vado a letto.» L'ombra di un sorriso apparve sul suo volto.
«Buonanotte!»
Solo quando si fu allontanata mi permisi di cercare ciò che aveva notato prima.
Un cappello.


(Mi sono odiata da sola per un attimo, sì, e mi odio tuttora perché gli ultimi capitoli li sto odiando.
Avrei solo un paio di cosette da dire:
1) l'assenzio di Marilyn Manson esiste davvero. Si chiama Masinthe ed eccovi un'immagine dell'etichetta, su cui appare proprio uno dei suoi dipinti "
When I Get Old I Would Like A Drink " http://www.besportier.com/archives/mansinthe-absinthe-marilyn-manson.jpg ;
2) l'ultima scena è esplicitamente plagiata da una scena del telefilm "Boardwalk Empire". Qui il video, se v'interessa http://www.youtube.com/watch?v=JNTEF3O-2lI ;
3) vi amo.
A presto~
)

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Capitolo 8
*** Day Seven/Eight ~ Do I really need to write this down? ***


Day Seven/Eight – Do I really need to write this down?


« Helen!» Jack mi venne incontro appena entrai nell'ufficio.
Era strano rientrarci dopo una settimana, come se avessi preso per la prima volta le vacanze che mi spettavano da tempo, o peggio, come se fossi stata licenziata. Pensare di dover trascorrere altre tre settimane lontana da lì era angosciante: sapevo che sarebbe stata dura tornare, poi. In più, con la situazione "Johnny che entra in casa per baciarmi", ero più che sicura che il mio articolo sarebbe stato compromesso. Sì, sono una pessima giornalista.
« Ciao, Jack. Come stai?» Lo abbracciai goffamente prima di tornare a guardarmi intorno. Solita tranquilla giornata alla redazione del Rolling Stone, Ruth Peterson – la donna che tanto mi odiava – non c'era; probabilmente era occupata a fotografare altre colleghe in giro con altri attori. Tracey Jacobs ci attendeva in un angolo dell'ufficio del mio capo, le gambe accavallate e un bicchiere di whiskey tra le mani unite. Sembrava che il whiskey piacesse a ogni essere vivente appartenente alla "casta" di Hollywood.
Il liquido faceva movimenti circolari nel bicchiere, cercava di scappare e le pareti di cristallo glielo impedivano. Tracey sembrava voler dare una mano come poteva rigirando il bicchiere tra le mani, ma non era sufficiente.
« Helen.» Mi salutò fredda e distante come sempre.
« Tracey.» Risposi imitandola.
Lo sguardo di Jack scorse da me a lei, per poi soffermarsi sul tavolino degli alcolici.
« Suvvia, ragazze, scioglietevi un po', siamo qui per interessi comuni!»
« Mi dispiace, ma Johnny Depp non è il nostro interesse comune. L'articolo lo è.» Lo interruppi, ipocrita ma professionale. O almeno mi piacque pensare così.
Lui unì le mani dietro la schiena e fece qualche passo nella mia direzione. « Helen... Helen... cosa devo fare con te?» Stupide domande retoriche. Mi versò un bicchiere di bourbon e me lo porse. Lo presi e ne bevvi solo un sorso prima di poggiarlo sulla sua scrivania.
Non mi era mai piaciuto l'alcol. Mai, fin da bambina. Suppongo fosse colpa di mio padre, il quale durante un brutto periodo in famiglia aveva iniziato ad abusare un po' troppo delle scorte di liquori in casa.
« Le foto dicono altro.» La voce acuta della donna mi risvegliò.
Jack rise, ma la sua risata era sempre stata bassa e cupa, e quello, unito all'uso sproporzionato di sigari, implicava una tosse scomposta. « Già, le foto...»
« ... le foto sono quello di cui aveva bisogno, no? Qualche scandalo per distrarre lui e il mondo dalla rottura con la Paradis e dalle scenate pubbliche. Quelle foto, insieme all'articolo, saranno un toccasana per la sua immagine. "Sono un bravo ragazzo, non sono arrabbiato con la mia ex e sono un ottimo ed educato attore. Lavorate con me!"» Avevo rifiutato di sedermi come mi stava proponendo silenziosamente Jack.
Tracey abbassò lo sguardo e sospirò. A quanto pare si pentiva di aver mandato Johnny in pasto agli squali.
« Voglio solo avvertirvi che non ho intenzione di far parte di un reality show.»
Tracey sorrise malinconicamente mentre mi rispondeva. « Per te è un reality show, per lui è la vita reale.»
Non avevo mai capito a fondo il mondo dello spettacolo e forse non l'avrei mai capito, semplicemente perché non m'interessava farne parte. Tutto ciò che desideravo era fare ciò che mi piaceva fare e farlo bene. Non avrei lasciato che un attore qualunque – no, nemmeno Johnny Depp – rovinasse il mio sogno.
Il silenzio si prolungò, l'agente mi scrutava, Jack beveva sovrappensiero.
« Abbiamo deciso che la pubblicazione cambierà.» Borbottò d'un tratto il mio capo.
« In che senso?» Domandai aggrottando le sopracciglia.
« Sarà settimanale, una sorta di rubrica, solo per questo mese. Hai iniziato lunedì a lavorare, quindi ogni martedì appariranno poche pagine dell'articolo, ciò che riesci a raggruppare in quei sette giorni.»
« Martedì? Jack... è domenica. Non puoi dirmi di scrivere pagine dell'articolo di Johnny Depp in un giorno.»
« Sì che può, l'ha appena fatto.» Perché Tracey parlava quando non avrebbe dovuto? Il suo era un insano desiderio di essere odiata?
Sbuffai. Se dovevo scrivere tutto entro lunedì pomeriggio, non sarei potuta passare da Johnny per quei due giorni.
Concordai con me stessa che sarebbe stata la cosa migliore per entrambi – o meglio, per me – passare un po' di tempo lontani per... pensare. Solo pensare. Cavolo, avrei anche dovuto chiamare Logan. « Okay, allora ci vediamo domani.» Mormorai sistemando meglio la tracolla e uscendo dall'ufficio.

Mi resi conto di quanto sarebbero stati difficili quei giorni quando, tornando a casa dopo pranzo, trovai la casa vuota. Non solo non potevo lavorare, ero costretta a restare nel mio appartamento vuoto fino alla sera, quando poi sarebbe tornata Claire. Non credevo di essermi abituata così tanto alla presenza di Johnny. In fondo era passata una settimana, anzi, meno di una settimana, eppure avevo passato giornate intere con lui. Mi sembrava assurdo solo il pensiero che mi potesse mancare.
« Ho bisogno di un gatto.» Constatai lanciando la borsa sul divano e afferrando il portatile dal salotto per portarlo in camera, dove mi sedetti sul letto a gambe incrociate.
Apparvero le foto. Il computer era stato spento la notte precedente, ma, appena avevo riaperto la pagina di Opera, le foto era saltate fuori ancora una volta, insieme a ciò che avevo provato la sera precedente.
Logan era stato un gentiluomo, ed ero sicura che lui mi avrebbe resa davvero felice, ma era lui l'uomo che volevo? Quello che mi faceva tremare le ginocchia come un'adolescente? Quello che, con un bacio, provocava uno sfarfallio costante nel mio stomaco? Oppure era Johnny, quello? Ma Johnny poteva davvero essere l'uomo della mia vita? No che non poteva. Cavolo, aveva divorziato da nemmeno un mese e aveva due figli. Probabilmente amava ancora la moglie e nonostante tutto aveva baciato me, una donna con vent'anni in meno di lui. Non avevo neanche bisogno di continuare a farmi domande per sapere cosa andava fatto. Ovvero, cos'avrei fatto una volta finita quella giornata.

Furono ore di intensa scrittura, quelle. Intensa scrittura che portò al nulla, letteralmente. Quelle che apparivano sulla mia pagina di Word erano due righe. Il titolo.
« Helen, cosa stai facendo esattamente?»
« Fisso lo schermo del pc, non si vede?» Il gomito appoggiato sulla gamba, il mento appoggiato sulla mano, l'unico movimento visibile del mio corpo era quello delle palpebre che si aprivano e si richiudevano.
« Interessante... e perché?»
« Perché devo scrivere.»
« E hai intenzione di scrivere con gli occhi?»
« Posso farlo? I miei occhi avrebbero una maggiore fantasia della mia mente, in questo momento? I miei occhi sarebbero maggiormente capaci di scrivere rispetto alle mie mani?» Sbuffai e mi lasciai ricadere all'indietro, sul divano.
Claire si sedette di fianco a me e mi scrutò. « Cos'è successo?»
Chiusi gli occhi e incrociai le mani sul mio stomaco « Devo consegnare l'articolo entro domani sera.»
« Ma non dovevano essere 30 giorni?» Si stese anche lei e continuò a guardarmi, confusa.
« Sì, li hanno divisi in rate da 7.»
« Capisco. Quindi... oggi hai sentito Johnny?»
« No, avrei dovuto?»
« Beh, dopo ieri sera...»
Cercai il suo sguardo fingendo perplessità, ma dopo averla guardata capii. Lei gli aveva parlato. « Non è successo niente ieri sera.» Mi misi seduta e, come prima cosa, vidi il cappello dell'attore appoggiato sulla poltroncina in un angolo della stanza. Definiamo "nulla".
« Vi ho sentiti, non fingere che non sia successo nulla. Sai che puoi parlarmene, non andrò a dirgli nulla. Prometto.»
« Sono solo confusa, Claire. C'è Logan... e poi c'è Johnny... e ci sono entrambi che mi baciano. Ma conosco Logan, mentre non conosco Johnny. E' uno sconosciuto, per me. Come può piacermi uno sconosciuto?»
« Non si conosce una persona sedendosi e facendogli delle domande. Ti sei mai soffermata a pensare che forse lo conosci più di quanto tu stessa non te ne renda conto?» Cercò la mia mano e la strinse. « Non posso dirti chi scegliere, posso solo confessarti che se ho "fraternizzato" con Johnny è solo perché, dal momento in cui vi ho visti alla première, ho capito che sareste stati perfetti insieme. Non lasciarti condizionare da stupidi preconcetti o pregiudizi. Fa ciò che credi giusto.» Si alzò sorridendo e mi lasciò un bacio tra i capelli prima di uscire dalla camera e chiudere la porta alle sue spalle.
« Ti odio, lo sai?» Le urlai.
« Solo perché sono la voce della verità!» Rispose lei ridendo, e io risi con lei.

La mattina dopo mi svegliai ancora più stanca di quanto lo fossi prima di andare a dormire. Colazione veloce, passeggiata per le strade di Los Angeles e poi ritorno a casa. Avevo recuperato abbastanza ispirazione da potermi sedere sul divano in sala, di fianco a Claire che stava guardando Blow, tanto per torturarmi, e iniziare a scrivere davvero.
« E' orribile con i capelli lunghi e biondi.» Commentai senza alzare lo sguardo dallo schermo del portatile. Le mie mani scorrevano veloci sulla tastiera, ero finalmente giunta alla fine e non potevo rischiare di perdermi per colpa di Johnny Depp, Penélope Cruz e qualche chilo di polvere bianca.
« E' sempre bellissimo... tu più di tutte dovresti capirlo.»
« Io? Cos'ho di diverso?»
« Beh, l'hai tastato.»
« Non l'ho "tastato"... e poi cosa c'entra?»
« Hai potuto studiarlo più da vicino...»
« Ow, taci!»
Il campanello ci zittì. Lanciai un'occhiata più che loquace a Claire, ma lei scosse la testa. Il piccolo simboletto nero mise fine all'articolo e chiusi il pc mentre Claire si alzava e si dirigeva verso la porta.
Era Logan.
Raggiunse di nuovo il divano, spense la televisione e si chiuse in camera. Grazie tante per l'aiuto, carissima amica.
« Hey, speravo di trovarti a casa.»
« Sì, ho avuta una specie di vacanza dalla vacanza, giusto due giorni.»
« Fantastico...»
« Più o meno.» Sorrisi imbarazzata alzandomi.
Lui avanzò verso di me e ben presto ci furono solo pochi centimetri a separarci. Avevo avuto modo di pensare, in quei giorni, avevo avuto modo di capire cosa desideravo davvero.
« Volevo solo parlarti del bacio dell'altra sera. Te ne sei andata così velocemente che-»
Alzandomi sulle punte dei piedi, raggiunsi le sue labbra e gli cinsi il collo con le braccia. Sentii la sua bocca curvarsi in un sorriso prima di ricambiare il bacio. Quelle stesse sensazioni tornarono. Mi sentii al sicuro, sentii di aver fatto la scelta giusta, sentii che lui era l'unico che avrebbe potuto farmi felice.
« Non rovinerò questa occasione, Helen.»
« Lo spero per te.» Risposi nascondendo il viso sul suo petto. Tornare ad abbracciarlo in quel modo era strano, era come se non ci fossimo mai lasciati, era come se fossimo tornati ad essere le matricole dell'università innamorate per la prima volta.
Mi strinse tra le sue braccia e rimanemmo lì, poi ci spostammo in camera, chiacchierammo di cose non discusse la sera della cena, ripensammo alle vecchie avventure con i nostri amici, rivangammo altri ricordi.
D'ora in poi sarebbe stato tutto molto più semplice: io amavo lui, lui amava me... non avevo bisogno di domande... giusto?



(Partiamo dal presupposto che questo è un capitolo strano. Niente Johnny, ergo non molto da dire, ergo capitolo corto. Allora perché non unire quei due giorni in cui Helen sarebbe stata lontana dall'attore? No? No. Il problema principale era che potevo benissimo scrivere due capitoli corti e pubblicarli a breve distanza l'uno dall'altro, ma sapevo benissimo che quella "breve distanza" sarebbe stata come minimo due settimane.
Tra l'altro volevo scusarmi per il continuo rimandare la pubblicazione, ma in queste ultime settimane ho avuto compiti e interrogazioni ogni giorno. E sì, tra due settimane finirà la scuola quindi non avrò scuse ♥
Comunque non odiatemi... ho avuto un'illuminazione prima di addormentarmi, qualche giorno fa, sul futuro della storia, e vi assicuro che potete stare tranquille :3 So che verrò uccisa lo stesso, ma non fa nulla, io intanto mi scuso per l'inconveniente "No-Johnny", poi sta a voi perdonarmi o meno ç_ç Tanto torna presto! Okay, ho finito.
V'amo!
)

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Capitolo 9
*** Day Nine ~ Happiness... I think. ***


9. Day Nine - Happiness... I think.

Day Nine – Happiness... I think


Tra le braccia di Logan ero ancora assopita nonostante la sveglia stesse suonando da qualche secondo. Rotolai sul letto per ritrovarmi a pancia in su e allungai una mano per raggiungerla e interrompere quel rumore fastidioso. In realtà aveva già suonato qualche minuto prima, l'avevo elegantemente ignorata mentre Logan mi aveva sussurrato un:"dimmi che non è già mattina".
« Non è già mattina», gli avevo risposto sorridendo e accoccolandomi sul suo petto.
Ora però era fin troppo tardi, ero costretta ad alzarmi, soprattutto perché avrei dovuto accompagnare Claire a lavoro. Sciolsi l'abbraccio, rubai il lenzuolo e me lo avvolsi intorno prima di correre in bagno per farmi una doccia veloce.
« Sai come la chiamano, quella?» Claire aveva aperto e richiuso la porta.
Ovviamente per andare in bagno ero dovuta passare davanti al salotto, dove lei stava facendo colazione.
« No, come la chiamano?»
«"Camminata della vergogna".»
« Ma stavo correndo, mica camminando!»
« Peggio. Lui è ancora in camera?» Chiese dopo una breve pausa.
« Sì, a letto. Perché?»
Ero di nuovo sola in bagno. Accennai una risata risciacquando i capelli dallo shampoo prima di uscire.
Avevo passato la notte con Logan, diciamo che avevamo bisogno di riconciliarci, e più che mai ero sicura che tornare con lui fosse stata la scelta migliore, quella che mi avrebbe fatto felice, forse per sempre. Ne avevamo parlato prima di addormentarci, sì. Lui mi aveva detto che, se non lo avessi lasciato, lui mi avrebbe chiesto di sposarlo e ci saremmo sposati – lui ne era sicuro – dopo che avessimo lasciato l'università, deciso a fare sul serio sia con me che con lo studio. Lui ora aveva finito l'università, viveva in un bell'appartamento, e stavamo di nuovo insieme... tutto stava tornando al posto giusto.


Avevo pensato la stessa cosa vedendo Johnny mentre entravo nella sua cucina? Assolutamente no. La forchetta reggeva un pezzo di pancake a mezz'aria e la sua bocca semiaperta stava aspettando solo quell'ultimo boccone per svuotare il piatto. Il mio attore era concentrato nella lettura del mio articolo sul numero speciale di Rolling Stone che, essendo un magazine mensile, non sarebbe dovuto uscire prima di altre tre settimane. Era una specie di appendice di una decina di pagine, ma dalle cifre che mi aveva mandato per messaggio Jack quella mattina sembrava aver venduto comunque come un normale numero di inizio mese.
« Buongiorno.» Mi salutò. Aggrottò le sopracciglia e avvicinò il giornale al proprio volto per osservare meglio. Scosse la testa e lo riportò a distanza "normale". « Hai fatto colazione?» Chiese rigirando la forchetta tra le dita.
« No.» No che non avevo fatto colazione, mi ero svegliata alle otto e mezza! Mi avvicinai e mi sporsi sull'isoletta per afferrare con una mano la forchetta e mangiare quell'ultimo pezzo.
« Non avresti dovuto farlo...» Mormorò lui. Sembrava d'un tratto triste.
« Perché?» Domandai dopo aver degludito.
« Perché non ho finito il pancake. Avrò questa strana sensazione per tutto il giorno, quella di aver iniziato il pancake ma di non averlo potuto finire, di non aver assaporato l'ultimo morso...» Quando mi guardò stava sorridendo, e sapevo che si stava riferendo anche ad altro. Soprattutto ad altro.
"Sì, bravo Johnny, fai riferimenti al nostro bacio quando vuoi, non è mica colpa mia se Claire si è svegliata nel momento più inopportuno", ricordo di aver pensato. Avevo cercato di capire se mi dispiaceva non averlo trascinato in camera prima di essere scoperti da Claire, se quella notte mi sarei davvero concessa a lui se non fossimo stati interrotti. Se amavo Logan come tanto cercavo di convinvermi, la risposta doveva essere piuttosto ovvia. Invece non la trovai.
« Ho una cosa per te.» Mi schiarii la voce e andai in salotto per recuperare la borsa. Quando tornai in cucina c'era un piatto di pancake con sciroppo d'acero ad aspettarmi. La forchetta passò in mano mia, l'attore richiuse soddisfatto il giornale e incrociò le braccia sul bancone.
« Cos'hai per me?» Posai sull'isola il cappello nero sormontato dalla piuma miracolosamente intatta. Lui sorrise, lo prese e lo spostò di lato. « Non sapevo fosse caduto da te.»
Sì che lo sapevi, attore antipatico.
« Quella sera eri passato in così tanti appartamenti da avere questo dubbio?» Commentai prima di iniziare a mangiare la mia colazione.
« Sì, e avevo baciato molte altre giornaliste.» Rispose scendendo dallo sgabello.
Tenni lo sguardo fermo sul piatto mentre aggirava l'isola per portare via il cappello. Lo sentii salire le scale, poi riscendere. Riaprii bocca dopo aver finito un pancake, quando ormai Johnny era tornato.
« Sono tornata insieme a Logan...» sussurrai, quasi intimorita
Si schiarì la voce. Era diretto verso il suo sgabello quando deglutì. « Lo so, me l'ha detto Claire ieri.» Ma erano diventati migliori amici tutto d'un tratto?
Forse era stato preso alla sprovvista perché non si aspettava che glielo dicessi. Infatti, perché gliel'avevo detto? "Perché l'hai baciato, idiota."
« Sono felice per voi, o meglio, per lui.» Mi confessò sorridendo. « Vedrò di limitare le visite notturne.» Il sorriso si trasformò in una risata.


« Sai che sei stata fin troppo gentile nel tuo articolo?» Chiese senza aprire gli occhi. Aveva occupato la "mia" poltrona per cercare di comporre qualcosa con la chitarra, la testa poggiata sullo schienale.
« Lo so, non c'è bisogno che me lo fai notare. In più, non ho rivelato molte cose che avrei potuto rivelare.»
« Tipo Marilyn e l'assenzio?»
Annuii silenziosamente sebbene non potesse vedermi. « Tipo Marilyn e l'assenzio.»
Chiusi gli occhi, semisdraiata sul divanetto occupato solitamente da Johnny.
Quasi torturava le corde della chitarra classica, ma in modo piacevole, produceva una melodia dolce, oserei dire delicata. S'interruppe improvvisamente e, quando aprii gli occhi per capire cosa l'avesse interrotto, lo trovai a osservarmi.
« Se venissi lì e ti baciassi?» Sembrava incredibilmente serio, lo sguardo fisso nel mio.
« Ti respingerei.» La sicurezza mi dominava. Finta sicurezza, ma pur sempre sicurezza.
« Perché?»
« Perché dovrei lavorare con te, non dovrei baciarti.»
« Il condizionale mi è sempre piaciuto.»
Qualche attimo di silenzio.
Abbandonai la testa all'indietro, sul bracciolo della poltrona. « Sto con Logan.»
« Lo so, l'hai già detto. Quindi...?»
« Quindi non posso baciarti.» Sembrava che stessimo parlando del nostro colore preferito.
« Questo lo dici tu...» Sussurrò come se non potessi sentirlo prima di riprendere la chitarra e ricominciare a suonare.
« Io e il mio buonsenso.» Dissi sbuffando.
Non mi stavo prendendo gioco di Logan, né tantomeno di Johnny. Mi stavo prendendo gioco di me stessa. Ero sicurissima di stare con l'uomo della mia vita perché ero abituata a pensarla in quel modo. Claire aveva tentato di farmi aprire gli occhi, ma non poteva fare altro. Non poteva dirmi:"Stai facendo uno sbaglio", perché sapeva che non l'avrei ascoltata.
Dentro di me custodivo la risposta, il problema era riuscire a scovarla, il problema era confrontare la risposta con la realtà e capire, nonostante tutto, qualche fosse l'idea migliore. Forse avevo già tirato fuori la risposta, forse avevo già capito quale fosse l'idea migliore, ma solo quella migliore per la mia salute mentale. Logan, ed era quello che mi ripetevo da un po', era un uomo semplice da gestire, era l'uomo facile da amare e che amava facilmente. Il nostro rapporto era facile, semplice, elementare. Veniva da sé, non avevo bisogno di ulteriori ripensamenti.
E poi c'era Johnny.
Lui era stato con Vanessa per più di 10 anni, non avevamo ancora parlato nell'intervista della loro relazione, ma qualsiasi cosa avesse in mente per noi due, di sicuro non aveva un anello pronto in tasca. Voleva divertirsi dopo il divorzio recente, e non gliene facevo una colpa, ma credo che in quel periodo avessi bisogno più sicurezze di un cappello caduto per caso a terra.


Passammo dalle poltrone al letto. Letto, sì. L'attore mi fece il grande onore di farmi salire in camera sua, solo perché non aveva voglia di portare giù il portatile e doveva leggere una mail.
« Qualche novità per un film?» Brava giornalista, appunta tutto.
« No, ma in compenso siamo invitati a cena da Tim.» Fin troppo felice, l'attore, visto che...
« Tim? Tim Burton? Tim Burton che ha abbandonato Hollywood per la più tranquilla Londra? Cena da Tim Burton?» Il mio era panico perché... LONDRA, misto a eccitazione perché... TIM BURTON! Mi misi a sedere sul letto, muovendo le coperte. Poco m'importava, non avrei dovuto dormirci io lì.
« Sì, quale altro Tim conosci che conosco anch'io?»
« Non so... Tim Roth?»
Volteggiò sulla sedia girevole e mi guardò. « Conosci Tim Roth?»
« No... tu lo conosci?» Incrociai le gambe.
« No.» Sospirò e si voltò di nuovo verso il pc. « Tim Burton a Londra ci ha invitati a cena.»
« Non poteva chiamarti?»
« L'ha fatto, ieri sera, questa mail non ha nulla a che fare con la cena.»
Indugiai qualche attimo, durante i quali mi distesi come prima. « Assomigli al Cappellaio Matto, a volte.»
« Non mi piace il the.» Si schiarì la voce.
« Quindi... "noi"? Io cosa c'entro?»
« Sei la giornalista che mi segue ovunque, no?»
« Sì, ma domenica e lunedì dovrei scrivere l'articolo e...» Si voltò solo un attimo per guardarmi, sollevò le sopracciglia. « ... oh, ho capito il tuo gioco.»
« Nessun gioco, per contratto devi venire sabato, poi non è certo colpa se ad arrivare a Londra ci mettiamo 10 ore.»
« "Per contratto" devo stare con te fino alle 9 di sera, poi sono libera di andare. Potrei benissimo prendere a quell'ora l'aereo e tornare qui a LA all'alba.»
« Non lo farai e non parlerai neanche a Logan di questa possibilità. E la mia è una semplice supposizione, non un ordine.» Non si era più girato per osservare la mia espressione, sembrava totalmente indifferente.
« Perché dovresti avere ragione?»
« Oh, lo sai perché.»
Sì che lo sapevo perché. Perché desideravo restare una notte lì con lui tanto quanto lui lo voleva. Ma non potevo. Sapevo che, nel momento in cui fossi salita su quell'aereo, sarei stata perduta.
Quindi lui tornò al suo computer, io al mio quaderno degli appunti su cui ricominciai a disegnare un disastro aereo mentre con la mente cercavo varie soluzioni a quel problema. Era ormai il tramonto, quindi avrei avuto solo tre giorni per capire cosa fare e come evitare di cadere nella perdizione.
Fin troppo pessimista e tragica?
Avrei voluto vedere voi al mio posto.


Infilai la chiave nella serratura e la girai, facendo scattare un sistema all'interno della porta che non conoscevo e che, in quel momento, poco m'interessava conoscere. Richiusi la porta e mi ci appoggiai contro sbuffando sonoramente.
« Toh, guarda un po' chi è tornata...» Logan apparì dal salotto con un mazzo di rose in mano, sorridendomi come se fossi l'ottava meraviglia del mondo. E forse per lui lo ero. « Com'è che riesci ad essere sempre così perfetta?»
Abbozzai una risata. « E' una dote innata.» Gli andai contro e lo baciai dolcemente, per poi stringerlo a me. Sentii l'odore di pulito della maglietta probabilmente appena ritirata dalla lavanderia – si era sempre rifiutato di comprare una lavatrice – e quello di dopobarba. Sapeva di menta.
« Ti porto a cena fuori, ti va?»
« Ho come il sospetto che in tutto questo tempo tu sia migliorato in molte cose tranne la cucina e ho fame, quindi sì.» Mi pungolò su un fianco e mi baciò sulla fronte prima di lasciarmi andare in camera per cambiarmi.
Iniziavo già ad abituarmi all'idea di avere Logan a casa ad aspettarmi, di andare a cena fuori, svegliarmi con lui al mio fianco.
Dopo quelle tre settimane, avrei potuto continuare il mio tranquillo lavoro in redazione.
Dopo quelle tre settimane sarei potuta essere felice.
Ma tra le braccia di chi?




( Rieccoci! Okay... che posso fare oltre assicurarvi che lentamente e con molta calma Helen capirà cosa vuole davvero? Anche perché ogni volta che scrivo un capitolo mi sembra di parlare di una ragazza bipolare o qualcosa del genere, mi spavento da sola °-°
Ma questo è quanto ragazzuole! Logan sta lì, Johnny dillà, Helen sopra e Claire sotto. ç_ç Spero vi sia piaciuto questo capitolo, spero che un po' d'odio in questa settimana si sia... come dire?... "dileguato". Ci vuole solo un po' di calma, io già sto fremendo per scrivere del viaggio a Londra :3 Tra l'altro vi ricordo che anche Helen è di lì... Okay, basta, sto zitta. *
CoffCoff*
Al prossimo lunedì! )

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Capitolo 10
*** Day Ten/Eleven/Twelve ~ Is this really happening? ***


10. Day Ten_Eleven_Twelve - Is this really happening

Day Ten/Eleven/Twelve – Is this really happening?


Gli odori della città, quella mattina, mi erano insopportabili. Tutto sembrava disgustosamente aspro o dolce, senza mezza misure. Persino il profumo delle brioche appena sfornate mi facevano sentire nauseata.
I rumori erano troppo forti, le persone urlavano come mai avevano urlato, mi circondavano e mi sentivo soffocare.
Strinsi i pugni, desiderando di affondare le unghie nella carne per percepire un dolore fisico, per darmi una vera ragione per sentirmi in quel modo.
Raggiunsi l'enorme parco* e, a passo spedito, mi diressi verso una panchina isolata da tutti. Ecco quello di cui avevo bisogno: solitudine. Poggiai i gomiti sulle gambe e rifugiai la testa tra le mani, ricacciando le lacrime di rabbia.
Dannato lui. Dannato Johnny Depp. Dannati gli attori. Dannato il Rolling Stone. Dannata lei. Il giorno precedente era andato tutto bene, Tracey era passata a casa, mi aveva riservato un sorriso e questo era ciò a cui aspiravo di più, avere la benedizione di Tracey Jacobs, la famigerata agente di Johnny Depp, no? Sì, certo, al diavolo anche lei. Avevamo preso qualche accordo per l'edizione della settimana seguente, poi aveva cenato con noi, pacifica come non l'avevo mai vista. E avevano parlato di lei a un certo punto. Seduta su quella panchina ne ero certa, solo che al momento non avevo certo capito l'allusione. No, come avrei potuto? Ma ora vedevo tutto chiaramente. Ora tutto andava al proprio posto, ora tutto sembrava perfetto. Perfetto per lui. Perfetto per lei.
Ripercorsi momento per momento ciò che era successo, solo per torturarmi ancora un po'. Claire aveva cercato di dissuadermi dall'andare a casa dell'attore così presto perché convinta che stesse ancora dormendo. Erano solo le otto e quarto, in fondo, ed ero sempre andata da lui verso le nove o le nove e mezza, se non oltre. Dopo averla convinta che sarei passata nel solito cafè a fare colazione prima di andare da lui, mi aveva lasciata uscire. Ovviamente mi ero fermata lì solo per un caffè da portare via, poi ero andata da Johnny ed ero entrata con la chiave che Tracey mi aveva dato il giorno prima.
Avevo sentito dei passi sulle scale, passi che credevo appartenessero a lui non a lei. Eppure avevo notato qualcosa di strano. Erano leggeri, troppo leggeri per appartenere a un uomo, e non erano accompagnati dal solito tintinnare di anelli e collane che indossava continuamente. Infatti quella che vedi apparire era una donna. Una donna coperta unicamente da una camicia nera, una camicia fin troppo familiare. Una camicia nera con un ricamo rosso sul colletto, lo stesso ricamo che avevo stretto tra le mie dita per attirare a me Johnny la notte in cui mi aveva fatto visita. La stessa camicia che io avevo sfiorato con desiderio, lei la stava indossando.
« Oh, ciao, tu devi essere la giornalista. Johnny si sta vestendo...»
« Jenna, chi è?»
« La giornalista!» Gridò lei voltandosi appena verso il pianerottolo del primo piano.
Io avevo continuato a indietreggiare lentamente, per poi iniziare a correre una volta intravisto il viso confuso di Johnny.
Mi ero fermata solo a un paio d'isolati di distanza.
Brava, mi era detta, hai lasciato la macchina lì. Dopo dovrai tornare a prenderla. Complimenti davvero.
Adesso, sulla panchina, mi sentivo incredibilmente stupida per quella reazione. Non era gelosia, la mia, no. Ma quella camicia... e quel letto... Claire sapeva? Da quando andava avanti quella storia? Da prima del nostro bacio? Da prima della première? Da prima del nostro incontro? Claire sapeva... ecco perché non voleva che andassi lì. Sapeva, ma come faceva a sapere? E chi diavolo era Jenna?
Avevo sentito Johnny rincorrermi, però si era fermato poco prima di uscire dal cancello. Non aveva nulla da spiegare, in fondo... io stavo con Logan, mica con lui. Lui non aveva colpa. Allora perché mi sentivo tradita?

Quando più tardi tornai, a passo più controllato, a casa di Johnny Depp, non vidi la solita macchina con i vetri oscurati. La mia, invece, era dove l'aveva lasciata. Prima che qualcuno mi potesse vedere, salii in macchina e mi diressi verso il mio appartamento. Era il primo pomeriggio.
Avevo dimenticato di aver lasciato il cellulare spento, quando lo riaccesi ero arrivata a casa e trovai tre chiamate da Claire. Sperai che fosse lì, e infatti mi stava aspettando, non fu affatto sorpresa della mia espressione. Probabilmente dovevo sembrare pallida visto che non avevo mangiato nulla dalla sera precedente, ma non avevo fame. La rabbia era passata e non sentivo nulla. No, lei non era sopresa perché sapeva.
« Ti avevo detto di non andare da lui così presto.» Si giustificò lei venendomi incontro.
« Perché non mi hai detto nulla?»
« Perché toccava a lui dirtelo, non a me. Me ne ha parlato un paio di giorni fa, gli ho detto che andava bene visto che doveva solo-» S'interruppe e unì le mani, iniziò a guardarsi le dita che si muovevano una contro l'altra senza tregua.
« Doveva solo...?» La esortii a continuare, sebbene non avesse nessuna intenzione di farlo.
« Voleva solo dimenticarti. Era convinto che quello aiutasse. Insomma, l'hai vista? E' te!»
« Che significa "è me"? Non è me! Io sono qui, lei è lì, nel suo letto, indossa la sua dannatissima camicia, dorme con lui!»
« E' bionda, è una giornalista di Vogue che ha incontrato mesi fa per un'intervista alla moglie, va in giro con jeans e quando l'ha rincontrata, nel locale in cui ha suonato una sera, andava in giro con una borsa a tracolla! E' te, Helen.»
Scossi più volte la testa, deglutii, e andai a sedermi sul divano mentre una lacrima solitaria mi scendeva lungo la guancia. Dannato Johnny Depp. Non avrei pianto per lui. La eliminai dal mio volto con il dorso della mano.
« Lei non aveva idea di chi fossi. Mi ha guardata e ciò che vedeva era solo una giornalista qualunque. Sul momento ho pensato:"Ma come, non sa cos'è successo? Non sa cosa c'è tra me e Johnny?". Poi, più tardi, mentre sbollivo la rabbia tra gli alberi del Pan Pacific Park mi sono resa conto che tra me e Johnny non c'è più nulla. Che io ho reso impossibile un qualsiasi contatto e che non dovrei neanche fare pensieri del genere mentre Logan pensa già al matrimonio.» Quando mi voltai verso la mia amica mi resi contro che non ero riuscita a trattenere più le lacrime. « Mi sento una stupida. Cos'ho fatto, Claire?»
Lei mi raggiunse velocemente e mi abbracciò per confortarmi. Mi sussurrò che tutto si sarebbe sistemato, che lei sarebbe stata lì al mio fianco per sostenermi.
Mi disse che la sera in cui avevo fatto pace con Logan, lei aveva mandato un messaggio a Johnny – « So che non ne avevo alcun diritto, ma mi sembrava giusto» – e lui, che quella sera stava suonando al The Mint, aveva casualmente rincontrato Jenna e la mattina dopo si era risvegliato con lei al proprio fianco. Si era reso conto che non poteva fare finta di nulla, che non poteva approfittarsene così, ma lei sembrava voler essere "la ragazza che va a letto con Johnny Depp" e lui si era limitato ad accontentarla. Tra loro non c'era altro.


Mi risvegliai sdraiata sul divano, coperta da un piumone. Mi misi a sedere. La testa mi girava terribilmente, colpa del pianto della sera prima. Beh, forse contribuiva anche il fatto che non avevo mangiato nulla. Sul tavolino di fronte a me erano poggiati due biglietti per uno spettacolo di quella sera al The Mint insieme a un post-it.


"Di pessimo gusto, lo so, ma ieri sera sono passata da lui per fargli capire che è un idiota e mi ha dato dei biglietti per me, te eLogan. Gli ho detto che così avrebbe solo fatto la figura dell'idiota insensibile, ma non mi ha dato retta.
Sul tavolo ci sono delle omelette.
XO, Claire "


In un angolo era disegnato un piccolo cuore.
Oh, al diavolo, ci sarei andata e mi sarei anche divertita... giusto?
Per il momento pensavo solo alla colazione che mi attendeva, e che non aspettai molto a divorare mentre pensavo al fatto che sarei dovuta passar da lui – a meno che non avessi trovato una giustificazione – e che, nolente o dolente, il giorno seguente sarei dovuta partire con lui per andare a trovare il Tim Burton di Londra.
Finii le omelette accompagnandole con un bicchiere di the freddo, mi feci una doccia e, dopo essermi vestita, uscii e andai in redazione. Avevo bisogno di pace e di un posto tranquillo in cui scrivere, mentre Claire sarebbe potuta tornare in ogni momento a casa. Le mandai un messaggio per chiederle dov'era – ero più che sicura di conoscere la risposta – prima di iniziare a buttare giù qualche idea per l'articolo che avrei dovuto inviare via mail da Londra. Un venerdì come un altro, insomma.

« Claire, sei in casa?»
« Sì, mi sto vestendo!»
Mi ero fermata a prendere del cibo cinese nel ristorante sotto casa, sperando che lei non avesse già mangiato e che Logan fosse già nel mio appartamento. Infatti lui mi venne incontro e mi aiutò con le buste dopo avermi baciato sulla guancia.
« Com'è andata?»
« Oh, bene, sono stata in redazione oggi. Volevo scrivere un po'» ... e volevo evitare Johnny Depp.
Claire s'intromise uscendo dalla camera con un carinissimo vestito bianco decorato con violette. « In redazione? Interessante. Non potevi scrivere a casa di Johnny?» Mi lanciò una lunga occhiata piena di sottintesi.
« No, non potevo scrivere a casa di Johnny perché ho bisogno di calma, e lui se ne sta sempre lì a strimpellare quella chitarra... Comunque ho il cinese.» Sollevai le buste ed entrambi dimenticarono la faccenda, affamati com'erano. Era già tardi, quindi quando finimmo di mangiare erano ormai le 22. E lo show iniziava alle 22 e 15. E non avevamo idea di dove fosse il locale.
Sospirammo, ci adattammo all'idea di fare qualche minuto di ritardo, e io e Claire continuammo a prepararci mentre Logan finiva di guardare un film in salotto.
Quella sera indossai un paio di pantaloni neri, una sottile camicia bianca e un cardigan nero**, che sarebbe stato sicuramente inutile.
Arrivamo al The Mint pochi minuti prima delle undici. Entrando***., sulla destra c'erano il lungo bancone e una vetrina contenente alcuni strumenti, probabilmente autografati da musicisti famosi; dalla parte opposta una serie di tavoli portavano al piccolo palco su cui, signori e signore, si stava esebendo un gruppo a me sconosciuto con Johnny Depp alla chitarra. Ai lati della stanza, al posto dei tavolini, c'erano delle poltrone in pelle, mentre dal lato destro del palco si poteva accedere a una sorta di privé.
Logan ordinò una birra, Claire si fece spazio per arrivare sotto il palco, io rimasi a metà, tra il palco e il bancone, ad osservare la folla. Ero sicura che se Claire fosse rimasta con me, se non avesse attirato l'attenzione di Johnny, allora lui non mi avrebbe cercato tra la folla – tutto senza perdere la concentrazione –, non avrebbe notato il bacio che Logan, per marchiare il territorio, mi aveva dato sulle labbra dopo avermi raggiunto, e sul suo volto non sarebbe apparsa quell'espressione di odio. Ma in un secondo pensai:"Hey, al diavolo", e mi voltai verso il mio fidanzato per ricambiare il bacio con altrettanta passione. Mi sentivo una stronza, sì, ma meglio sentirmi in questo modo che come mi ero sentita il giorno precedente.
Le note della chitarra arrivarono con più violenza alle mie orecchie. Il mio subconscio cercava di farmi notare che Johnny, l'uomo di cui ero tanto gelosa, era a qualche metro di distanza e mi stava osservando ma, quando tornai a guardarlo, il suo sguardo era basso ad osservare le proprie mani che si muovevano veloci. Mi sentii immediatamente in colpa. Mi chiesi se anche lui si era sentito allo stesso modo, quella mattina, e subito dopo mi domandai cosa diavolo gli fosse venuto in mente invitando anche Logan lì, se doveva comportarsi in quel modo. Ma "in quel modo" come?
Finita quella canzone, lasciai un bacio sulla guancia di Logan e mi rifugiai nel privé mostrando il biglietto che, a quanto pareva, valeva anche per quella zona. Sentii dei passi alle mie spalle ma voltandomi non trovai Logan, bensì Johnny. Se ne stava lì, immobile.
« Sei scomparsa.» Mormorò guardandomi negli occhi. Io non ce la facevo a fare lo stesso, il mio sguardo rimaneva basso.
« Non sono scomparsa, vi ho dato un po' di privacy.»
« E io non avevo bisogno di privacy.» Ribatté lui. Jenna la pensava allo stesso modo?
« Non hai bisogno di darmi spiegazioni.»
« Infatti non te ne ho date. Non ancora. Avevo bisogno di riempire un vuoto...»
« E Jenna c'è riuscita?» Conoscevo bene la risposta. "No, non c'è riuscita". Eppure quella domanda uscì dalle mie labbra in tono sprezzante, come se la sola idea che lei potesse farlo al mio posto mi risultasse sgradevole. Ed era così.
« Ci ha provato, ma c'è solo una persona capace di farlo.» Tese una mano verso di me, e sapevo cosa sarebbe successo se l'avessi afferrata. L'avrei stretta davvero, se Logan non fosse entrato ridendo da dietro la tendina di velluto.
L'attore lasciò ricadere la mano lungo il fianco. « Ci vediamo domani alle sette da me.» Disse prima di girare su se stesso e uscire evitando Logan di qualche centimetro.
Logan mi raggiunse lanciano un'occhiata confusa a Johnny Depp che stava uscendo. « Babe, tutto bene?»
Annuii poco convinta, lui sembrò credermi. Claire, invece, scomparve per una decina di minuti, e quando tornò non fece altro che chiedermi come stavo.
Non stavo bene.
Dovevo parlare con Logan, e non stavo bene.
Il giorno dopo sarei dovuta partire per Londra con Johnny, e non stavo bene.



*http://www.laparks.org/dos/reccenter/images/panPacific/panPacificRCphoto.htm
**http://amberheardweb.org/gallery/albums/candids/2012/January%2026thExits%20Urth%20Cafe%20in%20Beverly%20Hills/amberheardweb_282529.jpg
***http://themintla.com/photos.cfm


(Hello, ladies!
Ed eccoci qui, un altro lunedì, puntuale come mai un altro capitolo è stato! Sì, perché c'è gente che fa la lista di buoni propositi a Capodanno, io invece la faccio all'inizio dell'estate, e mi sono ripromessa di pubblicare ogni lunedì, quindi hip-hip-hurra!
Festeggiamenti a parte, ho voluto inserire le immagini dei veri luoghi in cui si svolgono le vicende per dare più realtà a tutto – non avete idea di quanto tempo ci abbia messo per trovare un parco effettivamente vicino alla casa di Johnny, per poi diminuire lo zoom e trovare semplicemente le zone verdi lì intorno.
E poi sì, la bionda nella foto del secondo link è l'adorabile attrice che ho scelto come volto per Helen, tra l'altro è la co-protagonista di Johnny in The Rum Diary, quindi RAWR! Era troppo carina in quella foto, l'ho dovuta vestire in quel modo per la serata al The Mint e ora vi beccate anche la paparazzata!
Tra l'altro devo confessare di aver semi-plagiato l'idea di una mia compagna di classe, Marzia, per le ultime scene. Legge questa ff e l'altro giorno, vedendo le foto di Johnny agli MTV Movie Awards mi ha detto:"Sembra che Johnny qui veda Helen e Logan insieme", e visto che già avevo pensato di far andare Helen a un concerto dell'attorino, qui, ho pensato "ma sì, portiamoci anche Logan!". Quindi... grazie, schatz. Se vuoi, puoi denunciarmi. ç_ç
Comunque... GOITE! Lunedì si va a Londra!
Vi prometto tanta gioia, felicità e amore... in futuro ♥
)

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Capitolo 11
*** Day Thirteen/Fourteen ~ Rain ***


Day Thirteen/Fourteen – Rain

Johnny's POV

Jenna quella mattina mi svegliò mentre si rivestiva. Le avevo chiesto di passare la notte precedente – intorno all'una o alle due, non ricordo con precisione – per spiegarle la situazione e liquidarla, ma non ce l'avevo fatta, come non ero riuscito a dirle di spogliarsi per me come le sere precedenti. Non andavamo a letto insieme da quando lei aveva fatto la conoscenza di Helen, di cui ovviamente non le avevo mai parlato. Claire diceva che Jenna assomigliava incredibilmente ad Helen, io avevo negato e lei mi aveva risposto che quella era una delle cose che non riuscivo ad ammettere a me stesso. Ma la ragazza credeva anche che amassi la mia giornalista, quindi non si poteva fare affidamento su di lei quando si trattava di certe cose.
Forse Jenna pensava che il nostro dormire insieme nonostante tutto indicasse che ero pronto a fare sul serio. Avevo cercato di negare anche questo, ma non sembrava volermi ascoltare.
« Alzati, c'è la macchina di Helen fuori.» Mi spronò, enfatizzando mentre pronunciava 'quel' nome. Certamente riuscì a farmi alzare. Il giorno prima non avevamo avuto il migliore incontro al The Mint, e io non intendevo farmi ritrovare a letto semi-nudo. Erano solo le sei e mezza – il che mi fece pensare che Helen VOLESSE incontrare di nuovo Jenna – quindi avevo tutto il tempo per una doccia veloce. Ma quando uscii di lì Jenna non c'era più e la sentivo conversare al piano inferiore.
Dopo ciò che avevo provato a comunicare ad Helen, mi ero comportato da ipocrita chiamando Jenna. Lei però aveva preferito andare via con Logan, la sua ancora di salvezza a quanto pareva, di conseguenza sul momento non mi ero affatto sentito in colpa.
Dio, però, quant'era bella. Mentre io ero totalmente sobrio nella mia camicia a righe coperta dal panciotto e i soliti jeans(1), lei aveva indossato un lungo vestito bianco di seta(2), totalmente inadatto alla stagione. Ma il sole splendeva a Los Angeles e le previsioni dicevano che a Londra ci sarebbero state ottime temperature, quindi era giustificata. Rimasi sulle scale ad osservarla per qualche istante, convintissimo che avrei potuto farlo per tutto il giorno, senza rendermi conto che a conversare non erano lei e Jenna, ma Logan e Jenna.
Mi schiarii la voce e li raggiunsi sorridendo.
“Ipocrita, sei solo un ipocrita. E' vero che è ancora più bella arrabbiata, ma sembra che tu lo faccia apposta, a volte. Non puoi semplicemente dirle che provi qualcosa per lei e chiederle di lasciare Logan?” mi sussurrò la solita vocina nella mia testa. Sì, a volte credevo di essere pazzo. Un giorno mi ero confidato con Tim a riguardo e lui diceva di parlare spesso con se stesso, a volte anche ad alta voce, e che quindi non dovevo assolutamente preoccuparmi. Vanessa mi aveva detto che proprio perché accadeva a Tim dovevo preoccuparmi. Quella fu una delle ragioni del nostro divorzio.
« Logan mi stava giusto raccontando quanto sei stato bravo ieri sera al locale, peccato che non sono potuta venire!» squittì Jenna afferrandomi un braccio.
Il mio sorrise scomparve per un attimo, ma poi tornò più convinto, all'apparenza.
“Certo che gli è piaciuto lo spettacolo, deve avermi ascoltato benissimo mentre baciava la
mia giornalista” pensai annuendo.
« Sono felice che ti sia piaciuto, mi dispiace solo essere dovuto andare via così presto, sarebbe stato fantastico poter parlare con te, Claire ed Helen. Purtroppo complicazioni sono sopraggiunte, ma superate.»
“Sei davvero un ottimo attore, complimenti, ci mancava solo che ti mettessi a citare Jack”.
Spostai lo sguardo su Helen, che fissava insistentemente Jenna. Sembrava volesse catturare ogni suo difetto da poi rinfacciare una volta sull'aereo. Ovviamente ancora non aveva idea di cosa l'aspettasse.
« Già, davvero un peccato, ma almeno hai potuto salutare Helen.»
Helen guardò un istante Logan, poi i nostri sguardi s'incrociarono.
« Sì, un saluto piuttosto rapido...»
Jenna e Logan sembravano osservare una partita di tennis, prima Helen poi me, poi Helen e poi di nuovo su di me. Distolsi lo sguardo, un ghigno di vittoria apparve sul volto della giornalista del Rolling Stone che chinò il capo per nasconderlo.
Logan non rispose, diede un bacio sulla fronte di Helen – che ancora non aveva aperto bocca – e si allontanò. « Ci vediamo domani mattina, amore. Buon viaggio, Mr. Depp!»
“Caro Johnny, la signorina qui presente ti odierà a morte quando scoprirà cos'hai organizzato” sussurrò furtiva la voce.
“Se non mi odierà, mi amerà. Sono pronto a rischiare” mi risposi.
Jenna mi baciò a stampo prendendo le chiavi della sua borsa. « Vado anche io!» Saltellò via sentendo il clacson di un taxi che l'aspettava al di fuori del cancello. Non assomigliava per niente ad Helen.
« E' davvero... carina.» Mormorò lei in quel momento quando sentì la porta richiudersi.
Questa volta il mio sorriso fu sincero. « E sa anche afferrare una mano quando qualcuno glielo chiede.»
Si voltò, il vestito le svolazzò intorno, si avvicinò a un borsone da cui tirò fuori un coprispalle che indossò.
« Allora, andiamo?»
Indugiai e la raggiunsi. Tornò a guardarmi negli occhi e in quel momento sentii di poterle dire qualsiasi cosa. Era sempre stato così, con lei. Era stato così la sera precedente, quando mi ero offerto di essere il suo nuovo Logan. Continuavo a detestare lui e a chiedermi perché mai lei insistesse su quella relazione quando era ovvio che non lo amava più. « Non abbiamo ancora parlato.»
« Non abbiamo nulla da dirci!»
“Volevo lasciarla, ieri sera. Volevo mettere fine a tutto, ma non l'ho fatto perché sono un codardo. Ma voglio che tu sappia la verità, ovvero che per tutte quelle notti ho sperato che un giorno ci saresti stata tu, al mio fianco, non lei”. Ovviamente queste parole non lasciarono la mia mente. Restarono in una bolla pronta a scoppiare.
« Hai detto tutto nel momento in cui hai trovato un'altra giornalista non legata a te tramite un contratto che vuole stare qui di sua spontanea volontà e non perché costretta. Sono qui per lavorare, non ho bisogno di un altro casino nella mia vita, basto io.» Continuò alzando il tono di voce. Dio, se aveva ragione. La storia con Vanessa mi aveva distrutto. Ma che dico, io stesso mi ero distrutto. Era un ciclo, ogni tot di anni un bottone si premeva l'autodistruzione aveva inizio. Inutile portare anche Helen nel raggio d'azione.
Sentimmo un'auto fuori, lei si caricò in spalla il borsone e uscì per andare incontro a Clive, la guardia del corpo che ci avrebbe accompagnati.
« Clive, lei è Helen. Helen, lui è-» Non mi fece finire la frase, era già entrata in macchina. Già, avevamo proprio detto tutto.

Paparazzi all'aeroporto, come se quella fosse stata una novità. Solitamente non mi piaceva farmi accompagnare da Clive, ma Tracey aveva insistito, e come si poteva dire di no a una persona 'cortese' e 'gentile' come lei?
Helen si guardò intorno spaesata quando, passato il check in, ci dirigemmo verso un gate... “particolare”. Sbucammo in un hangar, poi sulla pista praticamente deserta. Avrei voluto cingerle il fianco per guidarla, mi limitai ad accelerare il passo per superarla e mostrarle in quel modo la strada, visto che Clive era stato fermato poco prima da una guardia per informarlo di alcune novità.
« Dove stiamo andando?» Chiese la giornalista.
« In un luogo appartato, così posso ucciderti.» Lei non sembrava molto divertita.
« Qualsiasi cosa dirai sarà usata contro di te, lo sai, vero?»
Mi fermai improvvisamente. « Quindi se ti dicessi che sei perfetta e che mi piacerebbe essere al posto del tuo ragazzo cosa succederebbe?»
« Ti chiamerei 'maniaco' e ti denuncerei.» Mi superò ridendo.
« Dov'è finito il concetto di 'sincerità'?» Chiesi ricominciando a camminare.
« E' tutto molto oggettivo, specialmente quando dici che ti piacerebbe essere il mio ragazzo.»
« Hai ragione. Potrei dirlo intendendolo in modo positivo, ma tutti sappiamo che sarebbe terribile essere il tuo ragazzo!»
« Oh, e sentiamo, perché mai?»
« Perché fai di tutto per cercare di amarlo e di dimostrarlo soprattutto quando ti riscopri gelosa di me.»
“Ah-ah, non avresti dovuto, idiota”
Clive apparse di lato e saltò giù da una di quelle adorabili macchinine su cui si muovono gli addetti alla manutenzione degli aeroplani.
« Non sono gelosa. Sei liberò di fare ciò che vuoi con chi vuoi, ciò che m'infastidisce e che tu me lo sbatta in faccia come se ti divertissi!» Lasciò la borsa a Clive e salì sul jet solo con la sua solita tracolla.
« Non ero divertito quando ho visto la tua espressione, non mi sono divertito vedendo Logan che ti baciava solo per sottolineare che sei sua e non mia, nonostante le illusioni, perché ero geloso, ma almeno io ho il coraggio di ammetterlo.» La seguii su per le scalette, poi tra i sei sedili, tre da un lato, tre dall'altro, che caratterizzavano il mio jet privato.
« Buon per te che riesci a vivere con la tua bugia!»
« Almeno Jenna sa che non la amo!»
« Se non fossi innamorata di Logan starei con qualcun altro, non credi?»
« Non se hai paura di stare con quel 'qualcun altro'.»
« Paura? Ow... taci!» Sbuffando si sedette all'ultima poltroncina sulla destra, e io andai su quella opposta.

Silenzio per le prime ore di volo. Sembravamo aver esaurito la voce. O meglio, avrei voluto dire tante cose, ma le occhiate infuriate che mi riservava fin troppo spesso Helen erano più che loquaci.
Io, che non avevo ancora fatto colazione, avevo mangiato un cornetto alle 11, mentre la giornalista aveva solo chiesto un succo d'arancia.
Ora picchiettava con la penna sul suo blocco degli appunti, a tratti mordicchiava il tappo e volevo più di ogni altra cosa poterla chiamare 'mia', andare lì e sostituire il tappo con le mie stesse labbra. Le bionde, ne ero convinto, mi avrebbero rovinato la vita. Cos'avrei dovuto fare per farla mia, una volta e per sempre? Avrei fatto di tutto.
Nella testa continuavano a vorticare le frasi che Claire aveva pronunciato la sera al The Mint.
Eravamo entrambi appoggiati di schiena alla parete esterna, rocciosa. Dannatamente scomoda. Aveva assistito, insieme a Logan, alla scena nel privé, ma lei mi aveva poi seguito fuori.
« Ha bisogno di sicurezze...» Mi aveva confidato in quel suo tono premuroso, solito di quando parlava di Helen. Per lei era come una sorella, e sin dal nostro primo incontro mi aveva reso piuttosto chiaro che, se avessi ferito la giornalista, mi avrebbe reso l'attore più infelice di Hollywood. Aveva però acconsentito ad “aiutarmi”. Aveva capito dopo la cena insieme che il mio non era un semplice sfizio, quando avevamo guardato le foto e aveva visto la mia espressione. “Tieni davvero a lei”, aveva commentato. Come se non fosse stato abbastanza ovvio.
« … sicurezze che io non posso darle.» Avevo concluso per lei dopo un po'.
« Sei instabile, Johnny.» Ed era forse la millesima persona che me lo diceva.
« Forse dovrei allontanarmi da lei...»
« Ci hai già provato e non ha funzionato, continua così e ti ritroverai una penna da scrittrice nel bulbo oculare.»
« Sarebbe un passo avanti.»
« Johnny...» Si era spostata di fronte a me, mi aveva preso una mano e mi aveva guardato negli occhi. « Se la ami davvero...»
« Non la amo.» Avevo risposto prontamente. Avevo preparato quella risposta da un po', non sembrava vera neanche alle mie orecchie.
« Se la ami davvero...» Aveva continuato ignorandomi. «... devi dimostrare che puoi darle ciò di cui ha bisogno. Vuole qualcosa d'altro, qualcosa di diverso, qualcosa di più. La passione romantica, forse, oppure una tranquilla conversazione a lume di candela, o magari il non sentirsi relegata sempre in secondo piano.»
« Adesso citi anche Nicholas Sparks?» Avevo domandato riconoscendo quell'ultima frase, forse tratta da Le Pagine Della Nostra Vita.
« Quello che voglio dire è che vuole essere amata. E vuole essere amata da te. Solo che non vuole ammetterlo perché è semplicemente più semplice amare qualcuno che sai che ti amerà sempre e comunque.»
« Logan.» Avevo semplicemente sussurrato.
« Logan.» Aveva confermato.
L'amavo? Si può amare qualcuno che si conosce da meno di due settimane? Ma no, forse la mia era solo un'incontrollata attrazione verso di lei, solo che... c'era qualcosa nel modo in cui rideva o nel modo in cui si ravvivava i capelli, oppure quando scriveva, con quell'aria spensierata, come se fosse la cosa più semplice del mondo, che mi disarmava. Me l'immaginavo spesso sulla mia poltrona ormai diventata sua, a gambe incrociate, con un quadernino di pelle, una penna stilografica, a scrivere opere che avrebbero conquistato il mondo intero. E io al suo fianco che, in silenzio, la osservavo. Non avrei fatto altro. L'avrei osservata per ore. C'era qualcosa in lei che mi faceva pentire di aver chiamato tutte le mie precedenti fidanzate “amore”, c'era qualcosa che mi faceva credere che il mio unico amore fosse lei. E subito dopo mi prendevo per pazzo. Ne avevo parlato con Claire – che ormai era diventata una confidente – e lei mi aveva risposto:« Queste sono le parole di un innamorato.» Ma io ero più che convinto che non fossi pronto a innamorarmi, che non fossi pronto a innamorarmi di
lei. Perché sapevo che, in un modo o nell'altro, ammetterlo mi avrebbe cambiato la vita.

Un attimo di confusione assalì la giornalista quando rientrammo in aeroporto.
« Johnny...» Mi chiamò e la raggiunsi.
« Helen... dimmi.»
Stava immobile davanti a un grande orologio analogico. « Se sono le quattro di pomeriggio, perché è notte fuori?»
« Helen, sono le quattro di mattina, ecco perché è notte fuori.»
Sembrava immensamente confusa. « Ma...»
« Il fuso orario.»
« Quindi
questo è il jet lag.» Mormorò spalancando gli occhi. « Siamo partiti alle dieci, più dieci ore di volo, più otto ore di fuso orario... quindi le quattro di mattina. Mi stai per caso dicendo che abbiamo praticamente viaggiato nel tempo? Che non è sabato ma domenica? Che eravamo a cena da Tim ieri sera?»
« No, l'ho chiamato, gli ho detto che per ieri sera sarebbe stato impossibile, quindi ho rimandato.» Cercai di spiegarle al meglio la situazione. Mi ero dimenticato, quando Tim mi aveva chiamato per invitarmi, che dovevo suonare venerdì sera e che quindi non sarei potuto essere sull'aereo. In più avevo anche fatto male i miei calcoli.
« Quindi... siamo invitati per domenica sera, cioè stasera?» Iniziò a gesticolare.
« Esattamente.» Annuii.
Helen rimase con la bocca socchiusa qualche secondo, sembrava disegnare calcoli in aria con le dita. « Mh... okay. E ora che facciamo?»
« Tu seguimi.»
Clive ci seguì silenziosamente, si guardava intorno. Attraversammo le sale quasi deserte dell'aeroporto, all'uscita incontrammo la solita cerchia di paparazzi ma cercai di non dare loro troppo conto e una volta all'esterno ci rifugiammo nel fuoristrada che ci attendeva.
Era stata dura, all'inizio, abituarsi a tutti quei cambi, al trambusto, ma lentamente quella era diventata la mia vita. Ero più che sicuro che sarei stato infelice se avessi scelto un'altra vita, non perché mi piacesse stare sotto i riflettori, ma perché non mi potevo immaginare a fare un qualsiasi altro lavoro. Mi piaceva recitare, mi piaceva suonare, e a tratti anche scrivere. Non ero bravo a fare altro, quindi avrei accettato tutti i paparazzi, tutti gli articoli e tutti i gossip del mondo se questi non mi avrebbero impedito di fare ciò che amavo fare di più.

« Tracey? E' anche lei qui?» Mi chiese dopo una mezz'oretta di viaggio in auto. Guardava fuori dal finestrino, assorta.
« No, perché?»
Si voltò verso di me scrollando le spalle. « Non so, curiosità.» Abbandonò la testa contro il vetro. « Stiamo andando in un hotel o...»
« Ho una casa a New Forest, nell'Hampshire.» L'avevo comprata qualche anno prima, Lily e Jack sarebbero dovuti andare per un po' di tempo in una scuola privata vicina, ma Vanessa si era rifiutata. Da quel momento erano rimasti in una precisa scuola in Francia, dove vivevano allora con la madre. Ora la casa era semi-abbandonata. Ci andavo quando volevo fare visita a Tim e a Helena, per il resto veniva pulita settimanalmente da un paio di persone assunte da Tracey, la quale negli ultimi mesi aveva preso le redini di gran parte della mia vita.
Dopo un po' presi ad osservare anch'io fuori dalla finestra il sentiero(3) che ci avrebbe portati poi a quell'enorme palazzo acquistato inutilmente. In pochi minuti ci ritrovammo davanti al cancello, da cui già si poteva scorgere la residenza da caccia(4). A quel punto Helen si spostò al centro della macchina e si sporse in avanti, verso Clive, per guardare meglio. Sorrisi. « Devo dedurre che questo finirà nell'articolo?»
« Oh, puoi giurarci. Se avrò il consenso di Tim, tutto quello che accadrà oggi finirà nell'articolo.» Rispose ridendo.
« Suona molto come una minaccia...» Dissi mentre pensavo se avrebbe descritto anche quello che sarebbe accaduto nei giorni seguenti. Perché io avevo organizzato tutto, ma ancora non le avevo detto nulla. E non avevo il coraggio di dirle nulla.
Scendemmo dalla macchina, poi raggiungemmo il grande portone. La giornalista rimase indietro, deliziata dal paesaggio autunnale sebbene il tempo fosse decisamente più freddo di quello che ci eravamo aspettati.
L'interno è come quello di ogni grande casa inglese: scalinata centrale che porta a un corridoio comunicante con tutte le camere da letto e i bagni, a desta dell'atrio si accede allo studio, a sinistra al salotto adiacente alla cucina. Dallo studio si può poi entrare in una stanza più piccola che Vanessa aveva in passato usato come palestra, ma che ora, grazie all'aiuto di Tracey, è diventata una piccola sala di proiezione.
Clive ci abbandonò promettendoci di tornare intorno alle 18 di quella sera, io feci fare il tour della casa a Helen.
« I miei hanno una casa simile a questa.» Mormorò lasciando a terra in una camera da letto il borsone. « Molto più piccola, certo, però ho sempre trovato una somiglianza tra tutte le case qui in Inghilterra.» Si lasciò cadere sul letto, stesa per metà, le gambe a penzoloni. Osservava le mura o il soffitto, mentre io, fermo sullo stipite della porta, osservavo lei.
« Non li vedi da molto?» Chiesi senza curarmi di aggiungere “se posso chiedere...”.
« Un paio d'anni, anche se ci teniamo sempre in contatto.» Rise leggermente. « Mio padre non voleva farmi partire, diceva che avrei dimenticato le mie origini, che avrei dimenticato loro... Il mio accento c'è sempre, esattamente come loro, nel mio cuore. Solo che tra il lavoro e la mancanza di fondi non sono mai riuscita a partire.» Nel suo tono di voce avvertii nostalgia, e mai più di quel momento mi sembrò adatto “svelare le mie carte”. Certo, io avevo già organizzato tutto da giorni, prima di Jenna. Dal curriculum, avevo chiesto a Tracey di ritrovare la famiglia di Helen e di mandarmi il loro numero, così li avevo chiamati e avevo concordato tutto. Avevano continuato per un po' a parlottare tra di loro su un piano per il suo arrivo. Erano felicissimi, sebbene un po' confusi.
« Sai... dovremmo farci un salto domani.»
Il suo sguardo mi fulminò mentre la giornalista si metteva a sedere. « Stai scherzando?»
« Ho la faccia di uno che scherza?»
« Sì.» Risposta che mi aspettavo, devo ammetterlo.
« Beh, non sto scherzando. Davvero, dovremmo passare da loro già che ci siamo.»
Si alzò dal letto e mi saltò letteralmente addosso, facendomi barcollare un paio di passi indietro. « So che sembro un koala e anche un po' Claire, ma grazie.»
Automaticamente, per evitare che cadesse – o almeno è questa la giustificazione che mi sono dato – portai le mani sotto le sue gambe, incrociate intorno al mio busto. Quando lei sollevò il viso dalla mia spalla e i nostri sguardi s'incrociarono, seppi cosa volevo che accadesse. Eravamo solo noi due, lì, e un letto a nostra disposizione. In realtà ce n'erano quattro o cinque di letti a nostra disposizione. La poggiai a terra. « Dovresti riposare, non puoi stare in piedi per 24 ore.» Mormorai uscendo.
Frustrante, ecco cos'era. Desiderare con tutto me stesso qualcosa e sapere di non poterla avere era frustrante. Ma lei era lì, cos'era che non andava in me? Non era una ragazzina, eravamo due adulti, eppure...
“Lo so io cos'è che non va con te” sussurrò la vocina mentre entravo nella doccia
« No che non lo sai.» Risposi ad alta voce, per poi zittirmi immediatamente.
“Sei un attore idiota, ecco cosa. E' ovvio che poi lei si fa la sua vita. Ha ragione Claire. Tu non puoi darle sicurezze. Scappi quando vedi qualcosa che potrebbe farti felice. Dal primo giorno in cui l'hai vista sei scappato, con quel tuo comportamento da Johnny Depp misterioso che avresti dovuto abbandonare nel 1988. Altro che amore a prima vista con Vanessa Paradis. Helen ti odiava, tu la odiavi, e allo stesso tempo pensavi:'Hey, perché non cambio lavoro così non mi odierà più?'. Sei pessimo, Johnny, fattelo dire.”
« E tu sei solo una presuntuosa vocina. Ti porto dallo psicologo, ecco dove ti porto...» Mormorai al nulla.

Mi risvegliai intorno alle 16, dopo circa nove ore di sonno. Alzandomi dal letto, nudo poiché mi ero rifiutato categoricamente di vestirmi dopo la doccia visto che dovevo andare a dormire, iniziai lentamente a vestirmi. Camicia, golfino, jeans(5), la solita collana, i soliti anelli. Quando finì quel lungo processo, andai in camera di Helen. Era completamente avvolta nelle coperte, stesa su un fianco. Ripiegato su un armadio c'era un asciugamano usato da poco, mentre sul borsone ancora chiuso ricadeva il vestito. Sulla piccola scrivania al lato della camera, di fronte alla finestra, c'era il portatile silenzioso aperto su una pagina di Word. Richiusi la porta senza sbirciare l'articolo – non volevo rovinarmi la sorpresa – decidendo che l'avrei svegliata dopo una mezz'oretta.

Alla fine, secondo il parere della giornalista, l'avevo svegliata troppo tardi. Doveva vestirsi e truccarsi, e non avrebbe mai fatto in tempo. Aveva ragione. Facemmo aspettare per un quarto d'ora Clive al piano inferiore, io tamburellai con il piede fuori dalla porta della camera fin quando una chioma bionda uscì di corsa ed Helen in un vestito rosa(6) scendeva velocemente le scale, aiutata da un paio di scarpette basse.
« Andiamo, Clive!» Gridò spalancando la porta ed entrando in macchina. Io avevo osservato tutto dal corridoio al piano superiore, spaventato.
Arrivammo a casa della coppia(7) in leggero ritardo, nulla che non fosse già accaduto, comunque.
Tim ed Helena avevano deciso anni prima di vivere in due case separate: Tim russava oppure non dormiva affatto e passava la notte a guardare tv, mentre Helena cercava fin troppo di comandare la casa. Dividersi era l'unica soluzione, ma rimanevano comunque felici insieme. Avevano comprato due appartamenti affiancati, con una stanza al pian terreno in comune, un salotto. Clive ci seguì fino al vialetto, poi tornò indietro, dicendo che sarebbe stato nel ristorante dell'hotel in cui alloggiava. Suonammo al campanello e rimanemmo in attesa, in trepidante attesa. Cos'avrei raccontato a Tim? Helena avrebbe capito? Lei capiva sempre tutto, ma...
« Johnny!» Tim(8) apparve oltre la soglia, sorridente. Spostò lo sguardo su Helen, e sperai con tutto me stesso che, pur sapendo che lavoro facesse, non trasformasse quella che doveva essere una tranquilla cena tra amici in una cena tra conoscenti.
« Tim, lei è...»
la ragazza di cui ti ho parlato, la mia giornalista, la mia ragazza? «... Helen.»
« Come se non ce ne fossero in abbondanza!» Disse ironico stringendole la mano. Helen sembrava nel pieno di una crisi isterica, gli occhi sbarrati sull'orlo di un pianto. Tim le lasciò la mano mi abbracciò, poi ci fece strada nella sala in comune. Strinsi la mano di Helen nella mia, lei mi ringraziò con un sorriso.
Tim entrò in una porta a sinistra, da lì si accedeva all'appartamento di Helena – lei era quella che cucinava. I bambini giocavano in salotto, Helena era seduta in un angolo, indossava una semplice maglietta grigia e una delle sue solite gonne larghe(9).
« Billy Ray, Nell!» Gridai, e i bimbi alzarono lo sguardo dai giocattoli per corrermi incontro. Lasciando la mano di Helen, che si diresse verso Helena per salutarla, mi chinai sui talloni e abbracciai i due bambini. Per quanto cercassi di non pensare a Jack e a Lily Rose, in quel momento non potei che sperare di riabbracciarli il prima possibile. Ero in Europa, fare un salto in Francia non sarebbe stato così difficile, ma Helen doveva tornare a Los Angeles e non potevo trattenerla con me se non voleva. Certo, avrei sempre potuto lasciarle il jet e farla accompagnare a casa da Clive... « Come state, voi due? Non ci vediamo da un po', non è vero?»
« Stanno bene, hanno pur sempre noi come genitori, no?» Rispose al loro posto Helena che ora avanzava verso di me. Schioccai un bacio sulla guancia di Nell, che rise, per poi sollevarmi e far tornare i bambini a giocare. Strinsi l'attrice in un abbraccio.
« Strega, come stai?» Le sussurrai all'orecchio riferendomi al suo vecchio ruolo nella saga di Harry Potter. Poco prima del divorzio, Jack mi aveva costretto a vedere con lui tutti i film. Non erano del mio genere, ma erano presenti attori sensazionali.
« Io sto fantasticamente... tu, piuttosto?»
« Si va avanti.» Sciolsi l'abbraccio.
« Allora possiamo mangiare?» Domandò Tim.
« Sì, possiamo mangiare.» Rispose la moglie sorridendo.
Ero sempre felice di andarli a trovare. Tim è mio amico da sempre, spesso confidente, e ho conosciuto Helena di persona grazie a lui. Sa essere una stronza, solo perché è terribilmente schietta, ma le vogliamo tutti bene lo stesso.
« I bambini hanno già mangiato?»
« Certo, e tra poco andranno a dormire, vero bambini?»
I due annuirono.
« Appunto.»
Helena di fianco a Tim, io di fianco ad Helen, cenammo tranquillamente. Mi era difficile, soprattutto in quel periodo, fare tutta quella strada per andarli a trovare, ma ero sempre felice di farlo. Helen si sciolse mentre mangiavamo il tacchino, quindi circa a metà della serata, e ne fui felicissimo. Sembrava a suo agio, sembravamo un gruppo di vecchi compagni di scuola.
« Allora, a quando il prossimo film?» Chiese d'un tratto la giornalista. Visto il silenzio, si affrettò ad aggiungere. « Prometto che non lo scriverò nell'articolo!»
« Inizi a non mantenere fede al tuo patto, così.» Le risposi riferendomi alla “minaccia” di quella mattina.
« Oh, taci.» Mormorò ridendo.
« Pensavo di fare un remake dei Puffi. I bambini lo adorano, quello del 2012 non è abbastanza gotico per i miei gusti... Pensavo di aggiungere qualcosa tipo un'associazione segreta comandata da Gargamella. Insomma, sappiamo tutti che Puffetta è in realtà creata da lui, credevo di farle sedurre i puffi e poi ucciderli a sangue freddo. Che ne dite?»
« Credo...» Iniziò Helena. « Che io sarei perfetta per la parte di Puffetta.»
« Sì.» Mi aggiunsi io. « Io farei il Grande Puffo, la barba non mi manca...» Mi sfiorai i baffi.
« Io, invece... credo che mi stiate prendendo in giro.» Disse Helen ridendo.
« E hai pienamente ragione!» Tim la seguì nella risata, come poi Helena e io.
Finita la cena, ci ritrovammo a parlare della scuola dei bambini, e poi arrivò la fatidica domanda da Helena.
« Come va tra te e Vanessa?»
Scrollai le spalla. « Tutto sarebbe stato più facile se non ci fossimo sposati, credo. La settimana prossima c'è la sentenza per il divorzio in Francia, e lei vuole rendere tutto più difficile.»
« E per i bambini?» Chiese Tim.
« Te l'ho detto, i giornali hanno ragione: vuole chiedere l'affidamento esclusivo. E non capisco su che basi, ma il mio avvocato, o meglio, i miei avvocati sono convinti che il giudice non glielo concederà. Dice che, abitando a Los Angeles, non posso vedere i bambini, quando è lei che non me lo permette.» Scossi la testa e unii le mani sul tavolo. « Non c'è altro che possa fare, a parte cercare di non rovinarmi ancora la reputazione distruggendo cose.» Quella che proruppe dalle mie labbra fu una risata che sfiorava l'isteria.
La mano di Helen si allungò sul tavolo e strinse la mia. Questa volta fui io a ringraziarla.
« Sono sicura che andrà tutto bene, Johnny, basta essere pazienti, non farsi prendere dal panico.» Mi rassicurò Helena.
Ci alzammo dal tavolo, io seguii Tim nello studio nel suo appartamento mentre Helen insisteva per dare una mano a Helena in cucina.
« Mi hanno parlato di... Jenna.» Iniziò soffocando una risata. « All'inizio credevo che fosse una spia mandata dalla malvagia Vanessa.»
« Ma perché tutti mi hanno rivelato quanto fosse loro antipatica Vanessa solo dopo la separazione?»
« Perché tu eri così preso da lei, non volevamo certo distruggere i tuoi sogni.»
« Chi ti ha detto di Jenna?» Mi sedetti sulla sedia della scrivania ad angolo, da dove si poteva controllare tutta la stanza, sebbene fosse comunque piccola. Alle pareti erano appese le locandine dei film di Tim: da Beetlejuice a Mars Attack, da Ed Wood a Edward Mani di Forbice, da Alice in Wonderland a Big Fish. Vedere la mia faccia appesa su un grande cartellone mi faceva sempre effetto. Sulla scrivania c'erano tre foto: una dei bambini, una di Helena e Tim e una di me e Tim, presa da un vecchio photoshoot.
« Tracey, ovviamente!» Si accomodò su una poltrona nell'angolo opposto
« Ovviamente.»
« Tra te ed Helen...?»
« Che intendi?»
« Avanti... i sorrisi, il tenersi per mano, gli sguardi...»
« Mi dirai anche tu che si vede palesemente che sono innamorato di lei?»
« Chi te l'ha detto?»
« Claire.»
« Chi è Claire?»
« Ow, lascia stare!»
« Non so se sei innamorato di lei, ma di sicuro l'esca dell'amore ti ha catturato.»
« E non è la stessa cosa?»
« No, un modo di dirlo è più poetico dell'altro.»
« Certo, e tu sei quello che tiene all'essere poetico.»
« Ovviamente!»
« Ovviamente. E' una giornalista.»
« E con questo?» I nostri discorsi continuano a sembrare una partita di tennis, non ci lasciamo neanche il tempo di pensare.
« Con questo, non so quanto possa fare sul serio. Conosci le giornaliste.»
« Le conosci anche tu, e non fare il diffidente, sai bene che di lei ti puoi fidare. Mi fido io e la conosco da due ore!»
« E io da due settimane. Ti pare che si possa stabilire una relazione in due settimane?»
« Avete mai parlato di relazione stabile?»
« Non abbiamo proprio parlato di relazione.»
« Allora di che ti preoccupi?»
Continuammo a parlare ancora un po' di puffi, di giornaliste, e di Tracey Jacobs che si teneva in contatto con tutti, prima di tornare dalle donne. Helen ed Helena erano sedute entrambe sul divano a chiacchierare, ma quando arrivammo sembrarono cambiare improvvisamente discorso visto che Helena aveva tirato fuori il discorso de “Il giardino segreto”, libro che Helen non aveva neanche mai aperto.

Quando uscimmo dagli appartamenti pioveva.
“Ci sarà bel tempo, eh? Bel tempo davvero!” pensai sbuffando. Helen mi tirò per la giacca per farmi voltare. Rideva.
« Smettila di sbuffare e goditi la pioggia!» Come facevo a godermi la pioggia? Non ne avevo idea, ma vedendola ridere non potei che essere felice anch'io.
Clive arrivò subito, Helen in macchina continuò a tenersi stretta al mio braccio, come se fosse l'unico appiglio durante una tempesta. Per quell'ora e mezza di viaggio non smise di sorridere. Clive ci guardava sospirando neanche fossimo una coppia in viaggio di nozze.
Coppia. Scossi la testa
« Bobby, lasciaci qui!» Quasi gridò Helen.
« E' Clive.» La corressi io.
« No, abbiamo parlato prima, è Bobby solo per me, vero Bobby?»
« Verissimo, signorina.»
« Ow, chiamami Lesley!» Saltò giù dalla macchina trascinandomi con sé sotto la pioggia. Batteva forte, bagnandoci i vestiti. La mia mano stretta nella sua, Helen continuava a volteggiare correndo verso la grande casa attraversando il giardino antistante. Volteggiava come se stesse danzando con il mio minimo aiuto. Chiuse la porta alle mie spalle quando entrai dietro di lei, poi mi lasciò la mano e salì le scale.
« Vado a farmi una doccia!»
Come potevo non notare che a causa della pioggia il vestito le aderiva perfettamente al corpo, lasciando intravedere ogni sua curva? Deglutii e salii anch'io, più lentamente, diretto verso la mia stanza. Dovevo calmarmi.
Seduto sul letto, iniziai a sfilare lentamente gli anelli.
La porta del bagno della stanza affianco si aprì.
Poi la collana.
L'acqua iniziò a scrosciare, quasi cercando di nascondere il rumore che proveniva dall'esterno.
Poi i bracciali.
Un corpo interrompeva a tratti il flusso altrimenti continuo.
Poi sfilai le scarpe.
E l'acqua continuava a scorrere.
Me l'immaginai mentre canticchiava una qualunque canzone, completamente nuda. Ricordai come l'avevo accarezzata quella notte a casa sua, cercai di pensare a cosa sarebbe successo solo se...
Senza neanche rendermene conto ero entrato nella sua stanza, poi nel bagno, infine avevo spostato una delle lastre che formavano il box doccia e l'avevo vista.
Non era minimamente paragonabile a come me l'ero immaginata. Era davvero bellissima. Era perfetta. Senza alcuna esitazione, osai entrare e la baciai con passione. Nemmeno un attimo di esitazione, e lei ricambiò. Affondai una mano tra i capelli bagnati mentre l'altra andava a poggiarsi dietro la sua schiena e attirava il suo corpo contro il mio. Sentii le sue mani sbottonarmi velocemente il golfino, allontanai le mani da lei per permetterle di sfilarlo. La stessa cosa accadde alla camicia. Un brivido mi percorse quando le sue mani si permisero la discesa lungo l'addome per tirare via la cintura e poi sbottonare i jeans, che raggiunsero il pavimento esterno. Si aggrappò a me come quella mattina, abbandonò le mie labbra per baciarmi il collo.
C'era lei e basta. C'eravamo noi che camminavamo nella stanza buia per raggiungere il letto su cui avremmo passato la notte insieme, senza interruzioni, senza fidanzati o fidanzate, senza il passato, senza offese, senza rimorsi.
“Ci vogliamo e ci apparteniamo”, pensai accarezzando il suo corpo senza staccare gli occhi dai suoi. “Questa è la nostra sicurezza”.


( Questo capitolo è enorme. Ad un certo punto ho davvero creduto di stare per svenire, poi però ho scritto “nudo”, ho immaginato la scena e mi sono ripresa. Il fatto è che... boh. Allora, avevo in mente l'ultima scena da quando ho visto The Rum Diary, dovevo inserirla nel momento giusto. E poi ho pensato “Hey, perché non scriviamo un Johnny's POV?” e quindi eccolo qui. Non mi convince molto, ho paura di aver accelerato qualcosa ma, se non avessi accelerato, qualcuno di mia conoscenza mi avrebbe ucciso, di conseguenza...
Vabeh, ce l'ho fatta, è questo l'importante D:
Al prossimo lunedì!
Ah, spero vi sia piaciuto, e domani andiamo dai genitori di Helen! Yeeeey!
*No, eh?*
Okay, a presto! :*
)

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Capitolo 12
*** Day Fifteen ~ Parenting ***


Day Fifteen – Parenting


La luce del sole filtrò dalle spesse tende della finestra e mi costrinse ad aprire gli occhi, ritrovandomi in una stanza che non conoscevo. Ebbi bisogno di qualche secondo di tempo per rendermi conto che in realtà sapevo dove mi trovavo, e soprattutto con chi.
Johnny, la sera prima, mi aveva poggiata sul letto e poi si era steso su di me. Tra i baci e il rotolarsi tra le coperte la linea è decisamente sottile, e fu superata senza alcun indugio. Dopo tanta resistenza, non avrei più potuto rifiutarlo.
Due giorni erano passati da quando avevo visto Logan, due giorni da quando ero più che sicura che sarei rimasta con lui per sempre, che non l'avrei mai lasciato per Johnny, mentre ora non riuscivo a immaginare una vita senza quell'attore da strapazzo. Dannato lui. E dannata Jenna. Lei c'era ancora, era onnipresente, eppure Johnny l'aveva detto, non l'amava. Ma amava me? Cosa mi rendeva differente dall'altra giornalista?
Mi alzai di scatto e spostai le coperte. Me ne stavo lì a discutere mentalmente di Jenna e Johnny senza rendermi conto che c'era una situazione del tutto diversa dall'altro lato, tra me e Logan. Cosa gli avrei detto al mio ritorno? Ma ora un interrogativo più grande occupava la mia mente: dov'era l'attore?
Corsi in bagno per sciacquarmi il viso, recuperai la sua camicia dal pavimento e la indossai prima di affacciarmi fuori dalla porta. Un dolce odore di brioche calde e di caffé mi raggiunse. « Johnny?» Urlai. Nessuna risposta. Feci qualche passo nel corridoio, ma il freddo mi costrinse a rientrare nella camera da letto. Passando davanti alla finestra per raggiungere il borsone, notai la fitta nebbia all'esterno. Stranamente, rendeva tutto più magico e bello. Guardai più attentamente e notai una figura di fronte alla porta secondaria, quella usata in passato dai servitori.
Johnny era immobile, a parte la mano destra che si sollevava di tanto in tanto per raggiungere le labbra. Fumava come al suo solito. Bussai contro la finestra, lui si voltò e alzò la testa. Ci mise un po' per trovarmi. La sigaretta spenta volò via mentre Johnny apriva la porta al piano terra.
L'aereo, l'abbraccio, la promessa, Tim ed Helena e i bambini, la doccia... Quante cose erano successe e quanto era cambiato il mio comportamento nei suoi confronti! Convinta che facendo la ragazzina acida l'avrei allontanato, avevo continuato su quella strada, facendo battutine e rispondendo in modo sarcastico ad ogni cosa lui mi dicesse. Ma dopo la promessa di farmi rivedere i miei genitori dopo due anni, dopo la stretta di mano quando io ero nel più completo panico, dopo la chiacchierata con Helena e ciò che avevo provato quando mi aveva baciata la notte prima, come potevo continuare a sostenere quel muro che avevo costruito, pur sapendo cosa provavo e cosa lui era pronto a svelarmi?
« Sei sveglia, finalmente!» Lo vidi apparire all'improvviso fuori dalla porta, e in un attimo fui tra le sue braccia, le labbra premute contro le sue.
« Ti sei svegliato presto?» Domandai allacciando le mani dietro il suo collo.
« Non mi sono addormentato affatto.» Sussurrò chinandosi sul mio collo per baciarlo ripetutamente. Già, era l'alba quando ci eravamo resi conto del passare del tempo. A quel punto mi ero rannicchiata contro di lui e mi ero addormentata quasi immediatamente.
« Mi offendi, non ti ho sfinito tanto quanto tu hai sfinito me!» Mormorai in risposta.
Alzò lo sguardo per incontrare i miei occhi. Una scrollata di spalle e fu di nuovo sulle mie labbra. « Sono piuttosto resistente...»
« Scommetto che hai ripreso questa caratteristica da Barnabas Collins.» Accennai una risata.
Rise anche lui. « Hai fatto centro.» Le sue mani scesero sui miei fianchi e in poco tempo mi abbandonarono. « Scendi, mia Josette, c'è la colazione.» Disse sfiorandomi la punta del naso con le labbra prima fare un cenno con la testa verso le scale.
« Arrivo subito, devo solo fare un attimo una chiamata.» Sorrisi cercando di nascondere il nervosismo. La telefonata non sarebbe stata affatto facile.
Johnny aggrottò le sopracciglia, ma poi parve capire. « Logan?»
Annuii. Lui si sforzò di sorridere ma si voltò subito dopo e si allontanò. « Ti aspetto sotto!» Gridò scendendo le scale.
Recuperai il telefono dalla borsa e ci giocai per qualche secondo, fin quando non mi decisi a comporre il numero e a premere il malefico tastino verde.
« Claire?»
Mi rispose una voce assonnata. « Chi... Helen! Finalmente! Avevo paura che fossi morta in un incidente aereo o qualche disastro del genere. Ma ti sembra l'ora di chiamare?»
Avevo dimenticato completamente il fuso orario. « Uh... scusa.»
« Tranquilla...» Sentii un frusciare di coperte, probabilmente si stava mettendo a sedere. « Allora, quando torni? Mi ha chiamato oggi pomeriggio Logan, dicendo che non era riuscito a contattarti e che era preoccupatissimo. Insomma, lo conosci.»
« Già, Logan...»
« Non mi piace quel tono. O meglio, mi piace ma, non so perché, mi dispiace per lui. Cos'è successo?»
« E'... una lunga storia.»
« Scommetto che è stata anche una lunga notte!» Rise di gusto dall'altra parte del mondo, per poi tossire e tornare calma. « Scusa. Ormai mi hai svegliata, racconta!»
Le spiegai del viaggio in aereo, della voglia pazza che avevo di schiaffeggiarlo e contemporaneamente di baciarlo, dello stranissimo abbraccio in cui lo avevo sentito vicino a me tanto quanto quella sera contro il muro del mio appartamento, e poi di Helena Bonham Carter e dei suoi discorsi da mamma-chiocciola.

« Tim mi ha detto che Johnny gli ha parlato spesso di te. Mi ha raccontato che lui lo ha chiamato un giorno, a notte fonda – credo fosse esattamente due settimane fa – per parlargli dello stranissimo contratto che ti avevano fatto firmare lui e Tracey – odio quella donna. Detestava il tuo modo di fare, ma, da quello che ha detto dopo, credo detestasse il fatto che tu eri lì solo per lavoro. Ama i suoi fan, ma detesta avere intorno persone che guadagnano dalla sua fama. Io e Tim eravamo sicuri che Vanessa fosse una di quelle persone, anche se Johnny non lo accettava.» Helena si interrompe come se il discorso fosse finito.
"Cos'altro?" vorrei gridarle, ma vedo che si è allontanata solo per mettere a letto i bambini. Le chiedo se vuole essere aiutata, così prendo in braccio la bambina, che si è addormentata sul divano, mentre Helena mi fa strada su per una strana scala chiocciola. Raggiungiamo la camera da letto dei bambini, piena di giocattoli mai visti prima, le pareti ricoperte di disegni. Helena mi sussurra che Billy Ray ha la stessa anima artistica del padre. Mormora, mentre osserva i suoi figli dormire nel letto a castello, che i disegni appesi sono i quelli del bambino, e io non riesco a crederci. "Avrà visto talmente tante volte i film del padre da prendere spunto da lui, da fare sua una parte della mente geniale di Tim Burton", penso, perché la mano che ha disegnato le opere di Tim Burton e quella che ha disegnato questi particolari personaggi, ora immobili su carta, sembra la stessa.
Scendiamo di nuovo in salotto, lei riprende il discorso come se non si fosse mai interrotta. « Vanessa lo ha deluso profondamente. Lo ha reso insopportabile per un lungo periodo di tempo, credimi. Era diventato tanto incontrollabile da rendere necessario un intervento da parte di Tracey, e lei ne ha approfittato. Lei è una di quelle persone che Johnny dovrebbe odiare, soprattutto perché lei ha approfittato del momento peggiore, il momento in cui Johnny era troppo debole per potersi ribellare. Guadagna una percentuale sulla vendita dei tuoi articoli su Johnny, lo sai? Insieme al tuo capo e a te. Johnny riceve davvero poco. Crede che l'articolo lo aiuterà, ma io non sono d'accordo. Quando Johnny si renderà conto di ciò che sta facendo in realtà la sua agente, lo distruggerà. E sai in che modo l'articolo lo aiuterà? Grazie a te. Tu hai scritto l'articolo, ma questo non è importante. Sarai importante perché, quando tutta questa – perdonami se uso questo termine – 'farsa' finirà, tu sarai l'unica che non ne avrà approfittato. Mentre tutti fanno accordi alle sue spalle e lo sfruttano per comprarsi una bella casa alle Hawaii, tu sarai l'unica che avrà semplicemente fatto il suo lavoro ma che, nonostante tutto, lo ha aiutato in questo mese. Lo stai aiutando e neanche te ne rendi conto. Io e Tim possiamo aiutarlo da qui, ed è poca cosa rispetto a ciò che tu puoi fare e che hai fatto inconsapevolmente. Lo hai fatto diventare speranzoso. Non lo vedevo così raggiante da anni, sai? Gli manca la sua famiglia, i suoi figli, ma tu riesci a mantenerlo felice.» Mi rendo conto solo in questo momento che sono stata in silenzio per tutto questo tempo, e ora non so come rimediare.
« Lo amo... questo è ciò che posso continuare a fare.» Mi sento pronunciare queste parole, ma non ho idea della loro provenienza.
« E' abbastanza.» Un sorriso appare sul suo volto. Sentiamo dei passi provenire dall'altro appartamento, e subito lei inizia a borbottare qualcosa sull'importanza del giardino segreto per Mary Lennox.


Avevo il ricordo fisso nella mente mentre le raccontavo brevemente della cena e di ciò che era avvenuto dopo. La pioggia non era certo passata in secondo piano. Claire lanciò un gridolino quando le dissi della mia sorpresa quando avevo sentito la porta del bagno aprirsi, seguita da una delle pareti della doccia.
« Quindi... tu e lui... Tu... stai insieme a Johnny Depp? Intendo... avete chiarito tra di voi?»
« Oh... no. Cioè... no.» Mi sedetti sul letto e raccolsi le ginocchia al petto. « Non credo accadrà presto. Devo ancora chiamare Logan, ma non voglio dirgli tutto via telefono, preferisco farlo di persona.»
« Giusto, non fare la stronza.»
« Già lo sono. Perlomeno, mi ci sento. Avrei dovuto chiarire tutto prima di partire.»
« Ormai è troppo tardi per quello, inutile continuare a rimuginarci sopra. Ascolta, quando hai intenzione di tornare?»
« Non lo so, penso di partire domani... oggi vado a trovare i miei.»
« I tuoi genitori? Davvero?»
« Sì, una delle tante sorprese di Johnny.»
« Che dolce, quell'uomo. Ti direi "chiedigli se ha un gemello", ma so già che non ne ha uno, quindi lascia stare.»
Accennai una risata. « Quando torno ti racconto tutto... nel frattempo, puoi dire domani mattina a Logan di chiamarmi quando può?»
« Certo, cara. A vostra disposizione 24 ore su 24.» Rise e mi mandò un bacio prima di chiudere la chiamata.

In salotto era apparecchiata una colazione per dieci persone. C'era un cesto colmo di frutta, due teiere (una per il the verde e un'altra per il the normale), una caffettiera, toast, brioches, waffles, marmellate e nutella, e poi uova e tutto ciò che occorre per una perfetta colazione all'inglese.
« Stai scherzando?»
« Non sapevo cosa ti piacesse mangiare o bere a colazione, a parte il caffè.» Mi schioccò un bacio sulla fronte prima di avvicinarsi a una sedia e scostarla dal tavolo, facendomi poi un cenno. Mi sedetti e lui riavvicinò la sedia al tavolo, poi si sistemò sulla sedia vicina. « Com'è andata con... Logan?» Era come se facesse fatica a pronunciare quel nome.
« Ho cambiato idea e ho chiamato Claire, le ho chiesto di dirgli di richiamarmi appena può, sono un casino con il fuso orario.»
Annuì afferrando con la forchetta un waffle. Io presi un toast e lo ricoprii di marmellata alla fragola prima di morderlo.
« Sbaglio o quella è la mia camicia?» Chiese indicando il mio unico indumento.
« Non sbagli... non mi andava di vestirmi stamattina.»
Rise, quella risata calda che tanto adoro. « Ho notato... Non ho mai capito questa cosa con le donne e le camicie degli uomini.»
« Solo uomini con cui hanno intimità, sia chiaro. Ma non lo so, non è una cosa che ho fatto spesso. Logan non indossava mai camicie, è sempre stato un bambino...» Mi sorpresi a parlare di lui al passato, come se la nostra relazione fosse finita. « Vanessa non faceva lo stesso?» Parlare di ex non era decisamente la cosa migliore, specialmente non in una situazione "precaria" come la nostra.
« No, siamo stati insieme dopo aver ufficializzato la cosa, e lei...» Indugiò qualche secondo. « Si vergognava. Preferiva tenere le sue camicie da notte.»
Scoppiai a ridere sonoramente. « Dici sul serio?»
Annuì silenziosamente, sul volto l'espressione quasi compassionevole di chi ricorda una vecchia amica completamente pazza.
Mi allungai verso di lui per sfiorare la sua bocca e l'attore ci mise davvero poco a dischiudere le labbra per ricambiare quel bacio leggero. « Povero, povero Johnny.»
Scrollò le spalle.
« Le camicie sono... comode.» Dissi. Mi guidò verso di lui, quindi mi sedetti sulle sue gambe come se fosse un giovane Babbo Natale. « E sono leggere. C'è qualcosa di magico nel sentire il tessuto della camicia contro la pelle.»
Afferrai un waffle e glielo porsi. Morse, masticò per bene, come se stesse riflettendo su qualcosa di immensamente importante, prima di parlare di nuovo. Aprì la bocca, ma la richiuse. Non voleva parlare di qualcosa che gli era passato per la mente. « Dovremmo iniziare a vestirci, Clive dovrebbe arrivare a-»
Lo interruppi saltando giù dalla sedia e urlando. « Bobby!» Salii le scale a due a due. Adoravo quell'uomo, pur avendoci parlato solo per circa 5 minuti il giorni prima.
« E' l'aria dell'Inghilterra che ti rende euforica, o devo preoccuparmi di un altro uomo?» Mi chiese dal piano inferiore con un urlo.
« Non sono mica una sgualdrina! Accontentati di Logan!» Gridai di rimando ridendo.

Avevo indossato velocemente un paio di pantaloni beige, la solita camicia bianca e delle scarpette basse color panna. Dovevo ringraziare Claire per quel cambio extra di vestiti, o meglio, lei e la sua incredibile fobia del tutto.
Prima di scendere accesi il computer, rilessi velocemente le parti più importanti dell'articolo, riscrivendo ciò che andava rivisto, per poi inviare tutto alla redazione.
Johnny mi aspettava giù, coperto da anelli e collane, con addosso un'assurda maglietta nera decorata con rombi rossi, jeans e il cappello con la piuma, quello che indossava la notte che venne nel mio appartamento.
« Un giorno qualcuno ti brucierà quel cappello.» Commentai raggiungendolo. Clive ci guardava dallo stipite della porta. Poggiai una mano sulla sua spalla per cercare di raggiungere in punta di piedi il suo volto. Lo baciai sulla guancia, sorridente, prima di uscire dalla grande magione da caccia.
« Un giorno qualcuno ti ruberà il computer per leggere in anteprima gli articoli che mandi alla redazione del Rolling Stone.» Rispose Johnny seguendomi in macchina e sedendosi di fianco a me.
« Mica c'è bisogno di rubare, basta chiedere. Ho semplicemente scritto che molte più donne dovrebbero fare un provino per un tuo film, in caso nel copione ci fosse una scena sotto la doccia e-» Questa volta fu lui ad interrompermi. Con un bacio.
Clive, che silenzioso come sempre era nel frattempo entrato in macchina, ci fissava dallo specchietto retrovisore, shockato. Nascose una risata con un colpo di tosse e mise in moto la macchina.
Mi sporsi in avanti tra i due sedili anteriori per parlargli. « Bobby?»
« Sì, signorina Leslie?»
« Crede che potrei denunciare il quipresente signor Depp per molestie, Bobby?»
« Se permette, non credo sia intelligente da parte sua. Troppi avvocati, signorina Leslie.»
« Dice, Bobby?»
« Purtroppo sì, signorina Leslie.»
Annuii pensierosa. Johnny osservava lo scambio di battute corrucciato.
« Dovrei quindi approfittare della situazione, Bobby? Dice che potrei farlo e che il signor Depp non avrebbe alcun motivo di riprendermi a riguardo, Bobby?»
« Suppongo che sia così, signorina Leslie.»
« Grazie, Bobby.»
« Al suo servizio, signorina Leslie.»
Mi abbandonai al sedile posteriore accavallando le gambe. « Suppongo, allora, che dovremo ignorare ancora per un po' qualche regola del contratto.»
Lui rise abbandonando la testa all'indietro. « Già, suppongo di sì. Meglio non dirlo a Tracey!»


Trascorremmo così il viaggio, come una coppia di novelli sposi, come se la notte appena passata avesse chiarito tutto, come se avessimo messo le carte in tavola. Non era così, ma andava bene ad entrambi. Quella era una vacanza dai litigi, così l'avevo presa. Una vacanza da Logan, da Jenna e dal mondo reale. Una volta tornati a Los Angeles... lì sarebbe iniziata la vera battaglia.
Chissà come, Clive conosceva benissimo la strada che portava a casa dei miei genitori, neanche l'avesse percorsa decine e decine di volte.
Era una piccola villetta tra le North Downs (1), colline del Surrey, a un paio di ore dalla costa. Quasi la stessa distanza la separava da New Forest, dove si trovava la residenza di Johnny.
Due anni. Due anni che non rivedevo i miei genitori, ed ora li vedevo venirci incontro come se non me ne fossi mai andata. Sfiorai la mano dell'attore che aveva permesso che tutto questo accadesse proprio mentre Clive iniziava a frenare di fianco alla casa, dove mio padre stava indicando. Senza indugiare oltre, scesi dalla macchina e corsi incontro a mia madre, la quale mi aspettava a braccia aperte. Non sembrava invecchiata affatto. Possedevano ettari di campi da coltivare, quella era la loro vita, ma non sembravano provati dal lavoro continuo. Avevo fatto lì il liceo con Logan e Claire. Sapevo che, se non mi fossi trasferita in America, avrei ereditato il loro stesso lavoro. Loro erano felici così, tuttavia sapevo bene che io, come moglie di Logan e come contadina, sarei stata a dir poco miserabile.
« Mi siete mancati così tanto!» Le parole uscivano spezzate dalla mie labbra a causa delle lacrime.
« Ci sei mancata anche tu, piccola!» Rispose mia madre abbracciandomi a sua volta.
In ugual modo fu ringraziato Johnny per l'importante parte che aveva giocato in quella rimpatriata. Fu invitato a pranzo insieme a Clive, e a tavola lo bombardarono di domande. Johnny era seduto di fianco a me, di fronte c'erano mia madre e Clive, mentre a capotavola sedeva mio padre. Il bodyguard tentò di dire che aveva il pranzo prenotato all'hotel, che doveva andare via. Mia madre lo avvertì che aveva origini italiane, quindi si sarebbe profondamente offesa se lui non fosse rimasto almeno fino al the.
« Claire... lei sta bene? So che viene spesso a trovare i genitori qui. Ancora non capiscono cosa le sia saltato in mente, seguendoti in quel covo di pazzi...» Mia madre scosse la testa finendo di pronunciare queste parole. Riempì di nuovo il nostri piatti di carne – « Mary ci ha dato dell'agnello, ieri, sarebbe un peccato buttarlo via.» – prima di sedersi di nuovo a tavola.
Logan e Claire non avevano seguito me, ma il loro sogno di diventare qualcosa di più. L'università in America avrebbe potuto aprire loro strade che qui, nella campagna dispersa nel nulla, sarebbero state loro negate. Inutile cercare di spiegarlo ancora una volta, però.
« Claire sta bene, e anche Logan, grazie per averlo chiesto.»
« Oh, bambina mia, sai che Logan non mi è mai piaciuto... a proposito, state ancora insieme?»
Lanciai un'occhiata di sottecchi a Johnny, cercando di intravedere la sua espressione. Mangiava, sembrava non ascoltare nulla.
« Non proprio.»
« Questa sì che è una buona notizia!» Annuì, soddisfatta della mia risposta, per poi riprendere a mangiare.
« Abbiamo saputo dal signor Depp che stai scrivendo un articolo su di lui, non è così?» Domandò mio padre dopo uno dei suoi soliti silenzi.
« Sì, papà. Probabilmente è l'articolo che aspettavo da anni. E' piuttosto importante per la rivista...» Il mio non era un finto-modesto modo di adularmi, ma mio padre era sempre stato contrario alla mia carriera, credeva che non fosse abbastanza sicura per una donna. "Viviamo in un mondo sessista, figlia" diceva sempre. Cercavo solo di fargli capire che era un articolo importante per me, volevo rassicurarlo.
« Questo lo so bene, io e tua madre odiamo la televisione, quell'aggeggio è insopportabile, ma George dice che il signor Depp è abbastanza famoso.»
« Credo che sia un eufemismo...» Commentai sorridendo.
« E credi che la vostra relazione sia una buona idea?»
Johnny stava chiacchierando con mia madre, Clive che s'intrometteva ogni tanto, ma ora tutti si erano zittiti. Deglutii. Osservai Johnny, che aveva lasciato ricadere le posate nel piatto ed era concentrato in una gara di sguardi con mio padre. Era sempre stato un ottimo osservatore, Logan lo chiamava "il moderno Sherlock", però... però...
« Relazione? Oh, Philil, non essere sciocco!» S'intromise mia madre, affabile.
« Sciocco, sì...» Mio padre riprese ad armeggiare con le posate. Neanche a lui era mai piaciuto Logan.
Dopo il pranzo ci sedemmo in salotto a chiacchierare, mia madre poi mi portò al piano di sopra per farmi vedere cos'aveva cambiato nella camera degli ospiti: l'avevano trasformata in una sala da svago. L'avevo sempre trovata enorme per un solo letto matrimoniale, ma i miei genitori l'avevano sfruttata al meglio trasformando una parete in una grande libreria –l'ideale per mio padre, amante della lettura – mentre l'altro lato era occupato da ferri e da lana per i lavori a maglia di mia madre. Dalla finestra che dava su un lato della casa, potei vedere mio padre, pipa in bocca e mani dietro la schiena, chiacchierare con Johnny tra i campi appena arati.

Ce ne andammo verso le sei di sera, dopo il the. Promisi che sarei tornata più spesso e mi scusai per essere rimasta solo una giornata, ma il giorno seguente saremmo dovuti tornare a Los Angeles. Durante il viaggio riflettei sugli ultimi due anni, sulla frase a tavola di mio padre e su Johnny.
« Dovremmo passare in Francia.» Mormorai a Johnny guardando fuori dal finestrino.
Lui mi attirò a sé con un braccio, sorridente. « Dovremmo.» Concordò.




( Frustatemi. Ripetutamente. Il caldo impedisce alla sottoscritta di scrivere, ergo riesco a farlo solo ora, tra il freddo e la pioggia della Germania. Spero di ricominciare con gli appuntamenti settimanali, trasferimento permettendo. Spero ci siate ancora °-°
A presto!
PS: questo capitolo è molto... bho.
)

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Capitolo 13
*** Day Sixteen ~ Maybe I've just waited for too long ***


Day Sixteen Maybe I've just waited for too long


La proposta della sera precedente era stata accolta senza secondi indugi. Avevamo dormito insieme – « Johnny, non vorrai mica sistemare due stanze invece di una sola, vero?» – e la mattina seguente avevamo fatto la doccia insieme – « Helen, non vorrai mica consumare il doppio dell'acqua, vero?». In parole povere, stavamo ben attenti a non separarci per troppo tempo per non “invadere troppo la casa”.
Logan non si era fatto sentire, ma, dopo la colazione, lo chiamai io stessa.
« Log, spero di non averti svegliato...»
« No, Hel, sono appena rientrato.»
Guardai l'orario. Erano circa le 8, quindi le 24 a Los Angeles. Ricordai che certe volte Logan era costretto a lavorare anche di sera, quindi annuii.
« Perché non mi hai chiamato?»
« Scusa, è che ho avuto da fare...»
« Così tanto da non potermi mandare neanche un messaggio?» Chiesi sorridendo, dubbiosa.
« Beh, in fondo credevo che non t'importasse molto.»
« Che?» Che Claire gli avesse detto qualcosa? No, non poteva essere.
« Helen, sei pronta?» Chiese Johnny entrando in camera. Si zittì appena vide il telefono. « Chi è?» Mimò con le labbra.
« Logan.» Risposi nello stesso modo.
« Nulla. Posso sembrarti stupido, ma non lo sono. Ne parliamo quando torni... Ti amo.»
« Anch'io.» Risposi quando chiuse la chiamata. Ero a dir poco confusa. Chi poteva averglielo detto? Aveva interpretato il mio viaggio di “lavoro” come un'occasione per una vacanza con il mio “amante”? Riflettei un attimo e giunsi alla conclusione che non potevo essere arrabbiata con Logan per i suoi modi bruschi, perché forse tutto quello non era stato organizzato come una fuga romantica, tuttavia ciò che stavo facendo non era esattamente “giusto”. Non era giusto nei confronti di Logan né tantomeno in quelli di Johnny. Avevo paura di cosa sarebbe successo una volta che fossi tornata a LA.
« Tutto bene?» Mi chiese l'attore prendendomi per mano.
Invece di stringere la presa, mi allontanai. « Tutto okay.» Mi sforzai di sorridere mentre afferravo il borsone e la tracolla e mi dirigevo al piano inferiore.

Clive ci aspettava in macchina, ci aiutò a caricare le borse e poi partimmo diretti verso l'aeroporto. Rimanemmo in silenzio per tutto il tragitto, durante il quale Johnny fumò più o meno cinque o sei sigarette. Inutile dirgli quando mi desse fastidio, in quando sembrava che lo stesse facendo unicamente per darmi fastidio. La domanda era: perché?
All'aeroporto trovammo più paparazzi di quanti ce ne aspettassimo. Dal discorso di Helena iniziavo a credere che ci fosse lo zampino di Tracey: solamente lei conosceva anticipatamente i nostri movimenti. Tutti volevano sapere come andassero le cose tra Johnny e Vanessa, e, una volta per tutte, chi fossi io per l'attore.
Camminammo per un po' lungo il corridoio all'entrata, ma a un certo punto mi fermai, trascinando Clive con me.
« Bobby,» sussurrai, « non hai moglie e figli, no?»
« No, signorina Leslie.»
« D'ora in poi puoi chiamarmi Helen.»
In poco tempo fummo accerchiati e sovrastati da domande. Johnny si fermò all'improvviso, rendendosi conto che non lo stavamo seguendo. Fortunatamente, c'era una guardia dell'aeroporto di fianco a lui per proteggerlo da eventuali attacchi da parte di fanatici.
Spostai lo sguardo da lui a un giornalista che avevo di fronte. Avvolsi il braccio di Clive, afferrai il viso della guardia del corpo con l'altra mano per baciarlo e poi mi rivolsi alla strana folla.
« Io e Clive siamo fidanzati, ecco il grande segreto. Johnny è troppo buono, non vuole separarci, quindi ci lascia viaggiare insieme!»
Lo sgomento dei giornalisti ci permise di oltrepassarli e di raggiungere l'attore che ci aspettava impaziente. Aveva l'aria di chi aveva udito e non gradito.
« Ho visto ciò che hai cercato di fare, ma non lo capisco.»
Lo ignorai e, sempre stretta al braccio di Clive, continuai a camminare fino a raggiungere il gate e poi il jet privato.
Solo lì dentro riuscii a respirare davvero. Johnny era infuriato e non ne capivo il motivo. Tirai dritto, oltrepassai i sedili e raggiunsi il bagno. L'attore mi seguì e chiuse la serratura della porta scorrevole.
« Quindi ho ragione quando dico di dover essere geloso anche con Clive in giro?» Era ironico. Era terribilmente incazzato.
« Non devi essere geloso di nessuno, è questo il punto.» Gridai.
« Dici di no?» Alzò a sua volta il tono di voce.
« No! Non siamo fidanzati, ricordi? Nessun obbligo!»
« Non giocare a questo gioco con me, non funziona! Cosa sarei io, il tuo divertimento prima di andare a dormire e appena ti svegli? Poi sono per altre 12 ore “solo l'attore per cui lavori”? E ricordami, qual è il tuo concetto di “fidanzato”? Perché in quest'istante mi sfugge. Pensavo che il tuo ragazzo forse quello che hai chiamato due ore fa, sai, quello che stai tradendo con me.»
« Quindi ora il problema sono io? Ero fidanzata anche due sere fa, quando ti sei infilato nella mia doccia!»
« E non mi pare che a te sia dispiaciuto così tanto, o mi sbaglio?»
« Quindi ora cosa sono? Una facile che se la fa col primo che passa?» Aprii la porta, per incontrare lo sguardo di Clive. « Clive, vuoi entrare? Così ci divertiamo un po'. Avanti, uno più, uno meno, che differenza f-»
Prima che potessi finire la frase, o meglio, prima che la smettessi di urlare, Johnny mi chiuse tra il suo corpo e il ripiano del lavabo. Con una mano richiuse la porta, con l'altra mi bloccò il viso, sebbene cercassi di divincolarmi dalla sua presa. Mi baciò, e fu un bacio duro e passionale, un bacio che mi riscoprii a desiderare più di quanto si possa desiderare una goccia d'acqua nel bel mezzo del deserto.
« Come posso farti capire che sono stanco di nascondermi?» Il suo fu un sussurro. Stonava con il modo in cui ci stavamo urlando contro fino a pochi attimi prima. « Che sono stanco di mentire?» Lentamente, si separò da me e si appoggiò contro la porta. « Sono stufo di recitare anche fuori da un set. Sai quanto ho desiderato stamattina prendere il telefono dalle tue mani e raccontare a Logan tutto quello che è successo in questi giorni?» Continuava a guardare qualcosa sullo specchio alle mie spalle.
« Johnny, io...»
« No, no... lasciami finire. Non volevo farlo per ripicca, ma perché così, una volta arrivati a Los Angeles, non avrei dovuto preoccuparmi di nuovo di tutti, così non avrei dovuto preoccuparmi ancora di perderti.
« E poco fa, appena ho visto tutti quei paparazzi, ho pensato:”E' fatta. La bacio ora, e non ci sarà più nulla da perdere. Dirò a tutti che stiamo insieme e che la amo e tutto andrà alla perfezione.”» Aveva appena detto che mi amava? E l'aveva appena detto in un bagno? « Ma non l'ho fatto. Ho aspettato troppo, tu hai preso Clive e l'hai baciato come se fosse la più semplice delle azioni, e l'hai fatto solo per mettere a tacere le voci, mentre io non voglio che confermarle.»
Il mio cellulare squillò in quell'esatto momento. Lo presi dalla borsa mentre ripensavo a quel “dirò a tutti che la amò” e guardai lo schermo del cellulare. Johnny, scuotendo la testa, uscì dal bagno e mi lasciò sola.
Tasto verde.
« Claire?»
« Helen, tesoro... Logan mi ha mandato un messaggio, io ero uscita, l'ho letto solo ora. Hey, stai bene? Ma... stai piangendo?»
Sì, stavo piangendo. Nel tentativo di aggiustare la situazione, avevo rovinato tutto. Tutto.
« E' successo qualcosa con Joh? Ti ha detto qualcosa? Oddio, vorrei abbracciarti in questo momento... Parlami, cosa c'è?»
Avevo rovinato tutto con Logan, e peggio ancora con Johnny. Davvero non riuscivo ad accontentarmi della felicità?
« No, sto bene, sto bene. Mi hai presa nel momento sbagliato, ecco tutto.»
« Vuoi raccontarmi cos'è successo?»
« Credi che sia possibile amare qualcuno dopo due settimane?»
« Helen, credo che sia possibile amare qualcuno anche dopo un solo giorno.»
« Se sui giornali di domani appariranno foto di me e un certo Clive, non dargli peso. Anzi, credo proprio che appariranno. Purtroppo.»
Tasto rosso.
Uscii dal bagno solo dopo essermi assicurata di aver ripreso il pieno controllo dei miei condotti lacrimali e dopo aver cancellato ogni traccia del passaggio delle lacrime sul mio volto.
« Ted, possiamo andare.» Comunicò Johnny al pilota vedendomi tornare. Mi sedetti sulla prima poltroncina a destra mentre Johnny era sull'ultima a sinistra.
Rimanemmo in silenzio.
Alzandosi per prendere il suo whiskey, mi passò un the caldo. Mi guardò senza davvero vedermi.
Ci vollero solo un paio d'ore di viaggio prima di tornare in un aeroporto più affollato del precedente. Clive su un fuoristrada ci guidò fino all'hotel – ovviamente a 5 stelle – scambiando di tanto in tanto delle battute con Johnny che si era seduto sul sedile anteriore. Avevo occupato lo spazio vuoto al mio fianco piazzandoci il borsone.
Quando tirai fuori il cellulare per controllare i messaggi, l'attore mi lancio un'occhiataccia.
Jack si congratulava con me per l'articolo: era stato pubblicato e le vendite erano aumentate rispetto alla settimana precedente; Logan si scusava per il comportamento di poco prima e chiedeva come fossero andati gli ultimi giorni; Claire si assicurava che tutto andasse bene. Risposi velocemente a tutti e tre prima di arrivare a destinazione: La Bastide de Saint Tropez.
Johnny doveva aver chiamato prima che arrivassimo, perché ad attenderci c'erano due suite separate. Poggiammo le nostre cose e ci scontrammo fuori in corridoio.
« Johnny, il mio era un semplice suggerimento per permetterti di passare un po' di tempo con la tua famiglia, non voglio intromettermi. Posso restare anche qui oggi.» Solo pensare a quanto fossero cambiate le cose dal giorno precedente faceva male.
« Non dire sciocchezze.» Sbottò, e per un attimo recuperai il sorriso. « Devi scrivere il resto dell'articolo, non vorrai mica perderti il primo incontro con Vanessa dalla nostra separazione.»
Mi sforzai di seguirlo in ascensore senza cominciare a prenderlo a schiaffi.

« Papà!» Il piccolo Jack corse tra le braccia del padre non appena lo vide uscire dall'auto. Lily-Rose sbucò fuori dall'entrata principale della villa, sorridente, e staccò il fratellino dal padre per stritolarlo.
« E' lei la giornalista?» Chiese diffidente, scrutandomi attentamente.
« E' lei, Lily.» Rispose il padre. Padre. Difficile iniziare a vederlo in quel modo.
Subito dopo i figli, uscì Lei. Vanessa Paradis. La odiata-da-tutti.
« Merde.» Sussurrò Johnny notando la sua espressione.
« Avresti potuto avvertire!» Una vipera, ecco cos'era. « E ti porti anche le ragazzine appena uscite dal tuo letto?» Chiese acida guardandomi.
Sollevai le sopracciglia. « Piacere, Helen Chester, giornalista che scriverà tutto sulla vita del suo ex-marito.»
« Dovrei essere spaventata? Ed è ancora mio marito, per tua informazione. Scrivi anche questo nel tuo articoletto da paparazzo.»
« Paparazzo? Ma come osi?!»
Johnny ci separò. « Andiamo dentro, Vanessa.» L'attore ci lanciò uno sguardo eloquente mentre si avviava verso l'entrata.
« Sempre più convinta che avrei fatto meglio a restare in hotel.» Confessai a Clive.

Johnny uscì con i figli una mezz'oretta dopo. Andammo a mangiare in un famoso ristorante indiano, e dopo pranzo chiesi a Clive di lasciarmi in hotel. L'attore non me lo impedì.
Mi sentivo male, ero nauseata, non sapevo cosa pensare o cosa fare. Una volta nella camera da letto, chiamai Claire. Era presto a Los Angeles, ma me ne resi conto troppo tardi, quando ormai Claire aveva risposto, e da quel momento in poi non mi lasciò andare se non all'ora di cena. Incontrai Clive nella hall, mentre andavo al ristorante.
« Johnny vuole che tu abbia una copia della carta della stanza, in caso ti serva qualcosa. Lui è giù su.» Mi lanciò un'occhiata che, col senno di poi, avrei dovuto interpretare; ma non feci altre domande e andai a mangiare, nonostante lo scarso appetito.
Venti minuti ed ero di nuovo buttata sul letto. Cosa fare? Mi girai e mi rigirai. Passarono ore senza che riuscii a prendere sonno. E poi seppi cosa fare, il pensiero che mi perseguitava da quella stessa mattina e che io avevo ignorato. Senza riflettere oltre, mi misi a sedere. Indossavo il mio solito pigiama improvvisato, i pantaloni di una tuta e una maglietta leggera nonostante il freddo. Usai la carta che mi aveva dato Clive per entrare nella stanza dell'attore, mi avvicinai al letto e scorsi la sua figura sotto le lenzuola solo quando mi misi accucciata a pochi centimetri dal suo viso.
« Johnny... Johnny...» Aprì gli occhi, confuso. « Johnny...» Sorrisi. « Anch'io ti amo.»
E in quell'istante mi resi conto che non era solo nel letto.



( Odiatemi. Avete il mio permesso di farlo. Il problema è che questo capitolo doveva finire in modo diverso, ma poi me lo sono immaginato così e... e mi sono lasciata trasportare. I've got a thing for drama. Non è colpa mia. Ci vediamo... presto, spero :*
Ah, e grazie a tutte per il supporto, vi stramo!
Cheers~
)

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Capitolo 14
*** Day Seventeen ~ I don't know where I am or where've been ***


Day Seventeen – I don't know where I am or where've been.


Vanessa incombeva su Johnny. Lei e la sua odiosissima camicia da notte. E Johnny mi guardava come un cagnolino che era stato appena bastonato dalla padrona, e la padrona non ero certo io. Ci mise davvero poco ad alzarsi dal letto, coperto unicamente dai boxer. Non capivo nulla in quel momento, ero semplicemente...
« Disgustata. Sono disgustata.» Mormorai indietreggiando. Incontrai la parete e solo a quel punto ripresi a camminare regolarmente.
« Helen...»
« Cosa? Puoi spiegare?» Non mi voltai, non gli avrei permesso di vedermi in quelle condizioni. Non poteva avere tutto quel potere su di me.
« Sì, esatto! Puoi fermarti?»
« No che non posso, perché se mi fermassi ti schiaffeggerei!»
« Fallo! Avanti!» Mi afferrò per un braccio, ma non avrebbe dovuto farlo. Mi voltai. La mia mano si chiuse automaticamente a pugno e si lanciò contro il suo naso perfetto. Non era pomodoro quello sulla sua faccia, ora. Oh, no. Non era un film, non stava recitando, lui non era l'uomo misterioso e io non ero la giovane sedotta e abbandonata.
Vanessa probabilmente stava sorridendo, nella sua dannata camicia da notte, felice di aver portato a termine il suo diabolico piano.
Johnny m'insegui fuori in corridoio. Una coppia di turisti ci guardò, entrambi sembravano sconvolti. Sapevo già dove andare. Bussai più volte alla porta della camera di Clive che aprì in vestaglia e mi fece entrare senza dire nulla. Chiuse la porta in faccia a Johnny. Il suo capo.
« Hai cercato di ucciderlo?»
« Ho lasciato vivere la moglie, è già molto.»
Mi sedetti sul letto e alzai gli occhi sulla guardia del corpo che mi osservava dall'entrata della camera. Lentamente, tutto iniziò ad avere senso. Quel pomeriggio mi ero sentita malissimo, mi ero sentita come se mi stesse sfuggendo qualcosa. La chiave che mi aveva dato Clive non aveva fatto altro che accentuare quella sensazione, e una parte di me aveva capito, la stessa parte che mi aveva guidato fino alla sua camera. E ora lui sapeva. Mi sentivo debole.
« Perché...» Non riuscivo a dire altro.
« Avevi il diritto di sapere.»

« E' già successo altre volte... a Los Angeles?»
« Con la giornalista. Mi ha chiamato un paio di volte a orari assurdi chiedendo di andarla a prendere. La mattina lei andava via con il taxi e tu arrivavi. Ma poi l'hai scoperto, quindi...»
« E ora con Vanessa. Dovrei ringraziarti.»
« Ho fatto solo il mio dovere, signorina Leslie.» Mi sorrise. L'avevo visto sorridere raramente.
« Ma suppongo che anche il suo dovere è quello di trattare in questo modo le persone. Dopotutto, neanche lui sa cosa vuole...» Iniziai a parlare tra me e me. « Clive... potresti portarmi all'aeroporto?»
« Certo.»
« Dico davvero, se non vuoi non fa nulla...»
Lui si avvicinò, mi guardò e continuò a sorridere. « Sarei felice di accompagnarti. Non riuscirei a dormire sapendo di avere alla porta affianco una donzella in difficoltà.»
Prese i vestiti e si chiuse in bagno per cambiarsi. Uscì due minuti dopo, perfetto e impeccabile come sempre.
« Tu esci così?» Domandò indicandomi. E mi resi conto di indossare ancora il pigiama.
Uscimmo dalla sua camera e scoprimmo una folla intorno alla camera di Johnny, forse a causa delle urla sovrumane che uscivano dalla suite.
« Chissà, magari stavolta la stanza la distruggeranno in due.» Sussurrai a Clive, che rise a bassa voce. « Gente, lì dentro c'è Johnny Depp con Vanessa Paradis!» Urlai, e di colpo tutti spinsero più forte cercando di sentire meglio cosa stessero dicendo i due vip. Silenziosamente, m'intrufolai nella mia camera seguita dalla guardia del corpo. Da lì potevo sentire chiaramente le due voci che si sovrapponevano. Quella sera avevano dormito insieme e ora stavano per mangiarsi a vicenda, il che non era molto diverso da ciò che era successo tra me e l'attore il giorno prima.
Faticavo a credere che si fosse infastidito così tanto per la chiamata a Logan o per il bacio a Clive. Come non poteva capire che non significava nulla? Niente significava qualcosa in confronto a ciò che io provavo per lui e a ciò che lui provava per me. E ora non riuscivo credere che tutto potesse essere distrutto in un attimo, non ci riuscivo e non volevo crederlo.
« Come puoi distruggere tutto quello che abbiamo costruito in questi anni?»
« Tu l'hai distrutto lentamente, così come hai distrutto me! E continui a farlo! Lo stai facendo anche ai nostri figli e non te ne rendi conto!»
« Come osi dirmi come crescere i nostri figli? Tu! Tu, che non ci sei mai stato e che non ci sarai mai!»
« Smettila di mentire, Vanessa! Io non c'ero per quattro o cinque mesi di riprese, e poi stavo a casa per altri sei mesi con voi! Io lavoravo! Senza di me come credi che avresti vissuto?»
« E' questo che non capisci! Che io non voglio vivere senza di te! Io ti voglio ora e per sempre!»
In fondo io e Vanessa non eravamo molto diverse.
Andai in camera di corsa, mossa sbagliata visto che la parete della camera era quella in comune con la “loro” suite.
Mi spogliai e mi rivestii il più velocemente possibile, infilando il pigiama e ciò che avevo indossato quel giorno nel borsone.
« Non ti amo più, Vanessa. Come devo fartelo capire?»
« Mi hai amato una volta, puoi amarmi di nuovo.»
« Ero cieco, ora ho iniziato a vedere.»
« Allora perché hai chiesto a quell'energumeno di farmi venire a prendere?»
« Volevo parlare della custodia del bambini, non volevo finire nudo nel letto, nella camera di fianco a quella della donna che mi ha appena detto di...» S'interruppe. « Ho bisogno di bere.» Disse. Sentii una porta sbattere, e me l'immaginai shockato davanti alla folla di gente in vestaglia uscita dalle proprie camere solo per movimentare la propria vita. Me ne immaginai qualcuno con una macchina fotografica in mano. Lo scoop del giorno. Non potei trattenere un sorriso.
« Andiamo, Clive. Lo spettacolo è finito.»

Clive mi scortò fuori dall'atrio dell'hotel già pieno di paparazzi. Un paio di loro ci guardarono con sospetto, ma non fecero domande e ci lasciarono passare. Fuori era buio pesto e mi resi conto troppo tardi che erano circa le due del mattino.
« Clive, senti, non fa nulla, davvero, andrò con un taxi, vai a dormire...»
« Finiscila, Helen. Non ti lascerò prendere un taxi a quest'ora. Siamo in Francia, ricordi? E a quanto ho capito non parli francese.»
« Ma tutti parlano inglese. Dentro mi hanno capito tutti o sbaglio?»
« Sì, perché tutti in quest'hotel sono turisti.»
Mi fece tornare in macchina prendendomi di mano il borsone per infilarlo nel portabagagli. Era protettivo, fatto non troppo ironico visto il suo lavoro.
« Bobby...» Mormorai.
« Leslie?» Rispose mettendo in moto.
« Grazie.»
« Dovere.»
Si voltò e mi fece l'occhiolino prima di girarsi e partire.
Il tragitto durò poco, però ebbi comunque, sfortunatamente, il tempo di pensare.
Forse Tracey si sarebbe infuriata con Johnny, forse lo avrebbe allontanato dalla Francia e dai riflettori. Forse avrebbe annullato il contratto con la redazione. Forse... Forse sarei tornata alla mia solita vita, al mio lavoro d'ufficio. Forse un giorno avrei rincontrato Johnny per un'intervista e avremmo finto che nulla fosse mai accaduto.
Ma ora cos'avrei fatto? Sarei tornata a casa, avrei lasciato Logan, avrei raccontato tutto a Claire e...
Eravamo arrivati all'aeroporto. Clive mi aiutò a scendere dal fuoristrada e insieme ci avviammo verso il caos. C'era un aereo per LA che partiva due ore dopo. Clive aspettò con me. Rimanemmo in silenzio per circa un'ora, quando poi il cellulare di Clive squillò.
« Sì?»
Il volume del telefonino mi permetteva di sentire ogni parola pronunciata dall'altro interlocutore.
« Clive? Sono Johnny.»
« Oh, signor Depp. Mi dica.»
« Dove sei?»
Clive mi guardò e io annuii. « All'aeroporto.»
Ci fu una breve pausa. « Con Helen?»
« … Sì.»
« Bene. Ascolta, io qui sono rinchiuso in camera-»
« La vengo a prendere?»
« No, assolutamente. Prendete il jet, io parto domani mattina. Fa' in modo che non la infastidiscano. Noi ci vediamo domani pomeriggio alle 15, così parliamo.»
« Certo, signor Depp.»
« Clive...» Mormorò l'attore. « Come sta?»
Deglutii, mi alzai e andai verso il bagno senza aspettare di udire la risposta del bodyguard.
Perché gli sarebbe dovuto interessare se stessi bene o meno? Per riuscire a vivere con se stesso? Per avere la coscienza pulita? No. Mi ero stancata dei suoi giochi e dei suoi sbalzi d'umore. Non gli avrei mai più permesso di ferirmi.
Seduta sulla tavoletta abbassata di uno squallido bagno pubblico, asciugandomi le lacrime con un foglio di carta igienica, mi resi conto che forse Vanessa era la sua Logan. Forse anche lui l'aveva baciata così tante volte, aveva dormito con lei così spesso da non riuscire a immaginare una vita senza di lei. Ma non potevo fare altro che pensare che quando io avevo baciato Logan, non era ancora accaduto nulla di serio con Johnny. Non ero stata io ad andare a casa di Johnny per baciarlo la stessa notte in cui avevo baciato Logan. Non avevo avevo avuto le idee chiare fin quando non avevo visto Jenna a casa sua, eppure... il giorno dopo avevo accolto di nuovo Logan tra le mie braccia, fingendo di non aver provato mai nulla per l'attore. E lui, dopo essere andato a letto con l'altra giornalista, aveva fatto quella scenata al The Mint, come se mi fossi potuta fidare di lui. Non avrei mai potuto fidarmi di lui, non quando continuava a distruggere tutto ciò che costruiva giorno dopo giorno.
Uscii dal bagno senza aver concluso nulla. Clive mi stava aspettando e mi seguì verso il check-in, e poi lungo il corridoio per il gate “speciale”.
Otto ore di viaggio mi aspettavano, e per 8 ore dormii senza sognare nulla. Ero esausta. Al mio risveglio, non mi sorpresi di ritrovare il buio che avevamo lasciato. I misteri del jet-leg per me rimanevano tali.
Ero ancora assonnata quando raggiungemmo l'auto che avevamo lasciato sabato.
« Mi dispiace.» Sussurrai mentre ripartivamo.
« Di cosa?»
« Potresti perdere il tuo posto.»
« No, tranquilla. Nulla ci dividerà, ricordi?» Potei vedere il suo sorriso dallo specchietto in alto.
« Magari ti vuole tutto per lui.»
« Probabile. Ma non perderò il mio lavoro e tu non perderai il tuo.»
« Questo sì che è un peccato.» Sbottai.
« So che può essere un bastardo, ma ci tiene a te.»
« Chi sei, il suo migliore amico?»
« Tim mi batte di pochi punti...» Accennò una risata. « E' che passo un sacco di tempo con lui e credimi se ti dico che la storia con Vanessa è finita da anni. Lei insiste, ma lui... sinceramente, non ho idea di cosa gli sia preso stanotte. Forse...»
« … Cercava solo un po' di conforto? Dopo avermi trattato da rifiuto umano per un giorno interno aveva anche bisogno di conforto?»
« Pensa che tu non lascerai mai quel... Logan. Pensa che lui t'interessi solo per...»
« … Il sesso?»
« La finisci d'interrompermi? Crede che dopo questi trenta giorni tu ti dimenticherai di lui.»
« Non si fida proprio delle giornaliste, mh? Beh, dopo stasera dovrei avergli levato ogni dubbio.»
« Già, me l'ha detto.»
« Quando?»
« Al telefono.»
« … Sono un'idiota.»
« Molto probabilmente.»
Mi accompagnò fino al mio appartamento, per poi offrirsi di portarmi il borsone.
« Tornerai domani?» Mi chiese.
« Non credo.»
« Devo dirgli di venire?»
Indugiai qualche attimo, poi scrollai le spalle. « Non m'importa.» Non ero un'attrice e si notava. M'importava eccome, ma non doveva importarmi, non più.
Infilai la chiave nella serratura e invitai silenziosamente Clive ad entrare. Gli chiesi di poggiare il borsone di fianco all'entrata, e all'improvviso uscì dalla propria camera Claire con un pigiama invernale rosa ricoperto di ciambelle e cupcakes colorati.
« Tesoro!» Mi stritolò a lungo. Solo dopo avermi lasciata andare sembrò accorgersi dell'orso di fianco alla porta.
« Ma questo non è...»
« Clive, piacere.» Non sembrava sconvolto, anzi, era piuttosto divertito.
Claire, minuta, sembrava ancora più piccola in confronto a Clive, che sembrava fatto apposta per il suo lavoro.
« Sei tu il tizio del bacio?»
« In persona.»
Lei lo squadrò. « Interessante. E sei tu quello che l'ha salvata?»
Io e Clive ci guardammo con espressioni interrogative.
Claire sembrò sollevata. « Menomale! Perché stasera, prima di andare a dormire, ho letto un articolo assurdo e totalmente falso su Johnny che è andato a letto con Vanessa, di un misterioso pugno sul naso e di un tizio che ti ha accompagnata fuori dall'hotel e...»
« Ah, quello! Sì, è lui.» Cercai di continuare a sorridere.
« Mi stai dicendo che devo andare a uccidere Johnny?»
« Dovresti raggiungerlo in Francia e separarlo dalla moglie.»
Clive si congedò e ci lasciò sole. Passai circa un'ora a raccontare i dettagli dell'accaduto e le mie riflessioni a Claire. Stranamente, dopo il racconto ero di nuovo stanca, quindi tornai a letto.

Al mio risveglio sentii delle risate. Stanca e infastidita, mi voltai dall'altro lato e ripresi a dormire.
Mi sembrò che fossero passati solo pochi minuti quando sentii la mano di Claire scuotermi per una spalla.
« Hey... c'è Johnny.» Dannato Clive.
« Mandalo via.» Mugugnai contro il cuscino.
« Non me ne vado finché non ti decidi a parlarmi.»
Cercai di non mostrare con il corpo la tempesta che infuriava dentro di me solo per averlo sentito parlare.
« In questo caso, ti auguro una buona permanenza.»
Sospirò e sentii Claire alzarsi dal letto. La porta si chiusa e per un istante credetti che se ne fossero andati. Io, prima rannicchiata su un lato, mi voltai a pancia in su e aprii gli occhi solo per incontrare la figura slanciata di Johnny nell'angolo opposto della camera.
« Dopo che siete tornati insieme, dopo aver baciato me, quante volte sei andata a letto con Logan?»
« Il tuo discorso fa acqua da tutte le parti.»
« Non hai capito, non sto cercando di giustificarmi.»
« Cosa stai cercando di fare, allora?»
Il suo sguardo era gelido, spietato. Non riuscivo a capire se fosse arrabbiato con me o con se stesso. « Sapevi cosa provato, e mi hai sbattuto in faccia la tua relazione ad ogni occasione.»
« Ti sbagli, era Logan a...»
Alzò un dito per zittirmi. Mi misi seduta sul letto e incrociai le braccia.
« Non ho giustificazioni per come ti ho trattato ieri. Ero arrabbiato per la storia con Logan, sapevo che non ne avevo alcun diritto, ma ero stanco di aspettare e di sperare che una volta tornati a Los Angeles tu gli avresti detto tutto.
« Vanessa voleva togliermi la custodia di Jack e di Lily-Rose. Non le era piaciuto il fatto che ti avessi portata lì, e i ragazzi sono stati troppo tempo vicini a lei; non riescono a vedere altre persone oltre agli amici della madre e ai ragazzi nella loro scuola privata, ecco perché Lily-Rose ha reagito in quel modo vedendoti. In più, odierebbero sapere che sto vedendo qualcun altro così presto, ecco perché non ho potuto presentarvi come avrei voluto. Ancora, mi sono comportato male, speravo che avresti capito, ma più andava avanti la giornata più tu t'incupivi. Sarei voluto venire da te quella sera per chiarire, ma prima dovevo parlare con Vanessa.
« Clive è andata a prenderla, ma lei aveva altre idee in testa. Abbiamo parlato. Mi ha detto che se fossimo tornati insieme tutto sarebbe tornato a posto. Le ho creduto solo per un attimo. Quando mi ha baciato era sembrato tutto così... sbagliato. Ho cercato di allontanarmi, ma quando l'ho fatto lei si è semplicemente messa a letto, con la camicia da notte con cui era venuta, per dormire. Così l'ho raggiunta. Forse se fossi stato un po' più ubriaco sarebbe andata diversamente.» Si avvicinò e si mise in ginocchio di fronte a me sul letto. « Invece tu, pur non avendo bevuto, quante volte sei andata a letto con Logan pensando a me, a quando ti ho sfiorata e ai nostri baci?»
« Stronzo presuntuoso.»
Poggiò le mani di fianco al mio corpo. « Sì, io sono uno stronzo presuntuoso e tu una stronza bugiarda. “Sto bene con Logan, lo amo!”. Balle! Sono stato con Jenna perché volevo accontentarmi di un pessimo surrogato della donna che amo perdutamente piuttosto che lottare per avere quella vera. Ma questo non cambia nulla.»
« Fottiti. Vai via prima che ti rompa un'altra volta il naso.»
« Mai.» Sentii il suo respiro caldo sul mio collo prima di riuscire a muovere un solo muscolo. Ma le mie mani non andarono dove dovevano, non fecero ciò che avrei dovuto ordinare loro di fare. Si infilarono tra i suoi capelli mentre Johnny incendiava la mia pelle al passaggio della sua bocca. S'infilò tra le mie gambe e mi fece stendere di nuovo raggiungendo le mie labbra. Fortunatamente c'erano le coperte a separarci, ma riuscivo comunque a sentire ogni centimetro della sua pelle a contatto con la mia.
Eliminò le coperte spostandole di lato. Rabbrividii quando mi sfiorò i fianchi sollevando la maglietta.
« Resti uno stronzo presuntuoso che ci sa fare con la bocca.»
« E tu una stronza bugiarda da cui non riesco a separarmi.» Aveva la voce roca, il che non fece altro che accentuare il mio sorriso.
« Ti amo, Johnny Christopher Depp II.»
« Ti amo anch'io, Helen Chester.»
Velocemente i nostri vestiti raggiunsero il pavimento e l'attore sembrò voler tracciare un cammino lungo tutto il mio corpo con i suoi baci, come se volesse marchiare il territorio. Forse le sue parole non avevano sistemato nulla, forse erano solo l'ennesima bugia, ma volli credergli. In quel momento, quella stanza e quel letto ora appartenevano a noi, e nessun Logan avrebbe mai potuto distruggere quello.



( Io bho. Sinceramente... Avevo scritto metà di questo capitolo su un quaderno perché momentaneamente impossibilitata ad accendere il pc, e quando ho iniziato a ricopiare tutto ho pensato:”Il finale non va bene. Insomma, Helen è innamorata, ma potrebbe davvero cedere così facilmente, dopo qualche parola e qualche bacio?” Poi ho aggiunto una parola di scuse in più qui, un sorriso in meno lì, e questo ha preso forma. Forse avrei dovuto tenerli separati un altro po', creare suspance o roba del genere, ma proprio non ce la faccio a vederli separati, questi due!
Spero vi sia piaciuto questo chapter, nonostante tutto.
PS: Amo Clive!
Cheers~
)

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Capitolo 15
*** Day Eighteen/Nineteen/Twenty ~ What is happening? ***


Day Eighteen/ Nineteen/ Twenty – What is happening?



Mi svegliai e percepii che qualcosa non andava.
La prima cosa che vidi quando riaprii gli occhi fu Johnny che si stava vestendo velocemente mentre bisbigliava qualcosa al telefono. Era presto, forse l'alba, avevo ancora sonno, quindi non riuscivo a capire molto.
« Aereo... Cosa migliore... Prenderli... Film... Uscendo...» Per ogni parola perdevo due frasi. A quanto pare era davvero importante per lui non svegliarmi. Quindi chiusi gli occhi, mi girai a pancia in su e finsi di dormire. Sentii le sue labbra poggiarsi sulla mia fronte prima uscire. Uscì dall'appartamento di fretta, come se stesse correndo. Il pensiero di Johnny che correva riportò la mia mente a Jack Sparrow e mi addormentai sorridendo.

Ormai ero sveglia da un po', fissavo i riflessi del sole che incontravano le tende rosse della camera da letto. Avevo fame, dovevo alzarmi, ma avevo sempre quella sensazione che mi attanagliava lo stomaco, che m'incatenava al letto.
Presi il cellulare dal comodino. "Dove sei finito?" scrissi, e inviai all'attore.
Il secondo messaggio partì per Logan qualche minuto dopo, quando mi arresi al fatto che quel giorno non avrei rivisto Johnny. "Ci vediamo oggi?". Logan rispose qualche attimo dopo con un semplice "Sì".
Mi misi a sedere quando sentii la porta dell'appartamento aprirsi. Claire stava chiacchierando con qualcuno, poi l'uomo rise. La stessa risata della mattina precedente, e non apparteneva a Johnny. Aspettai che l'uomo se ne fosse andato prima di uscire in pigiama.
« Chi era?»
« Oh, buongiorno Bella Addormentata, il tuo Cavaliere dov'è?»
« Vorrei proprio saperlo. Allora? Il tizio?»
Lei indugiò un attimo, mi scrutò come se fosse indecisa se dirmi o meno la verità. « Clive.»
Guardai prima lei, poi la scatola della pasticceria che aveva poggiato sul tavolino del salotto. L'aprii rivelando cupcakes e ciambelle. Sorrisi ricordando che la sera in cui era tornata a casa con Clive, Claire indossava un pigiama con dolci stampati sopra. « Carino, Bobby.» Commentai sinceramente stupita. Pensavo che fosse una macchina creata appositamente per proteggere le donzelle in difficoltà, non che avesse anche un lato dolce e romantico.
« Ridi, ridi. Io intanto ora ho qualcosa con cui fare colazione.» Mi strappò la scatola dalle mani e addentò un cupcake alla vaniglia con la glassa rosa. « Allora, ho sentito com'è andata con Johnny – i muri sono davvero troppo sottili – ma non ho ancora capito perché non è qui per le coccole.»
« Ti dico che non lo so. Stamattina all'alba è filato via.»
« Ah, sì, Clive mi ha detto che veniva dall'aeroporto...»
« Aeroporto?»
Lei annuì. Che fosse tornato in Francia? Che la sera precedente per lui non avesse significato nulla? Che avessi sbagliato tutto? Avevo pensato di scacciarlo via, rifiutarlo, fargli capire che le parole non significavano nulla se con i fatti continuava ad allontanarsi, ma come avrei potuto farlo quando tutto ciò che volevo era essere felice con lui? Certo, almeno per un po' avevo avuto la mia felicità. Una notte. Ecco tutto. Poi era svanita nel nulla. Forse aveva scoperto di amare ancora Vanessa. Forse era tutto un test, un esperimento a cui io mi ero offerta volontaria.
Claire sembrò intuire i miei pensieri e mi offrì la scatola. In tutta risposta, presi due ciambelle e mi richiusi in camera.

Logan arrivò nel pomeriggio.
Io avevo avuto tutto il tempo di mangiare tra i dubbi le mie ciambelle, farmi una doccia e sgranocchiare delle patatine fritte dal piatto del pranzo di Claire che, a quanto mi aveva informato, si era licenziata dal bar in cui lavorava. Nonostante la sua libertà, e nonostante mi avesse detto di voler rivedere
La guardia del corpo, uscì qualche minuto dopo l'arrivo del mio "ragazzo".
Sedevamo sul divano bevendo del the, in silenzio, quando a un certo punto lui poggiò la tazza sul tavolino e si voltò per guardarmi.
« Allora, come sono andati gli ultimi giorni con Depp?» Quasi mi strozzai con il the. Abbassai lo sguardo sulla tazza tra le mani, la poggiai di fianco alla sua e poi sorrisi. « Tutto bene...» La doccia, la notte, le coccole la mattina, le parole di Helena, il commento di mio padre, lo sguardo di Clive, la Francia, Vanessa... « Sono anche andata a trovare i miei, sai? Non erano molto distanti dalla casa che ha Johnny lì.» E io, come una stupida, pochi giorni prima pensavo che saremmo passati dai miei genitori ogni volta che saremmo andati in vacanza lì insieme, magari d'estate, quando a Los Angeles è impossibile vivere tra il traffico e il caldo.
« E' un'eternità che non li vedo! Come stanno?» Logan, nonostante le parole che mi aveva detto quando ero lontana, ora sembrava felice, come se nulla fosse mai successo.
« Bene, finalmente mamma ha un posto tutto suo dove lavorare a maglia e non deve accamparsi in salotto ogni volta!»
Lui rise. Mi chiesi se avrebbe riso ancora se gli avessi detto ciò che era accaduto quella stessa notte nella mia stanza. « Hai incontrato Tim, alla fine? Ricordo che ne eri piuttosto innamorata...» Continuava a sorridere.
« Sì, è la persona più incredibile che io abbia mai incontrato, e dovresti vedere il suo appartamento! E, oh, i suoi figli! La bimba è adorabile!»
« Scommetto che i nostri figli sarebbero molto più adorabili...» Si fece improvvisamente serio, sporgendosi verso di me.
Lo tenni lontano poggiando una mano sul suo petto. « Logan, dobbiamo parlare, lo sai...»
« Lo so, ma non m'importa. Non m'importa se l'avete fatto in ogni stanza della sua villa da miliardario, né se ti ha promesso di regalarti un'isola. Perché io ti amo, ed è questo che conta. Non sono stupido, so che vuoi lasciarmi e so anche perché, ma io rimarrò proprio qui fin quando non capirai che io sono quello giusto per te, che io non ti ferirò mai e non ti abbandonerò mai, fin quando non capirai che i soldi non ti renderanno felice.» Aveva preso la mia mano tra le sue e la stava accarezzando con movimenti circolari.
Mi alzai di scatto, le mani ora strette a pugni. Temevo di iniziare a piangere per la rabbia che provavo in quel momento. « Come puoi credere che io voglia stare con lui per i soldi? Cavolo, mi conosci da una vita! Non ho problemi di denaro e sono nata nella campagna inglese, e tu vieni ad accusarmi di voler sfruttare un uomo per viaggi, ville e fama?» Lo guardai negli occhi. A quanto pare la mia era appena diventata una domanda retorica. « Fuori.»
« Come?»
« VAI. FUORI! E non provare a farti vedere in giro, sottospecie di bambino!»
Uscì guardandomi come se fossi impazzita, e forse lo ero davvero. Avrei dovuto lasciarlo prima di partire, eppure ora non riuscivo proprio a sentirmi in colpa. Mi ripetei che lo pensava solo perché mi amava e perché non accettava di dovermi lasciar andare, non perché avevo dato davvero quell'impressione. In fondo non avevo chiesto io di passare trenta giorni con un perfetto sconosciuto, non avevo chiesto io di andare in Inghilterra con lui. Non avevo preteso regali e speravo che non ci vedessero i paparazzi ogni volta che eravamo insieme. No, le sue stupide accuse ero infondate e non avrei lasciato che mi disturbassero più del necessario. Mandai un altro messaggio a Johnny visto che non aveva ancora risposto al primo. Nonostante tutto, dovevo ancora fare il mio dovere di giornalista. Avevo lasciato che i miei sentimenti oscurassero ciò che mi aveva unita all'attore, ovvero il mio lavoro. Il mio lavoro.
Ormai quasi non ricordavo cosa avrei dovuto fare. Sì, trenta giorni. Quattro settimane con lui. E poi? Sì, dovevo chiedere della sua vita, cosa fa nel tempo libero... ma nell'ultimo periodo cos'avevo fatto? Domande? No, mi ero crogiolata tra i suoi baci e le sue carezze. Mi ero torturata pensando a cosa potesse fare, a cosa provasse per me, quando ciò che stavo facendo davvero era mandare al diavolo la mia carriera per un uomo. Non l'avevo fatto prima per Logan, perché avrei dovuto farlo ora con Johnny?
Claire tornò dopo poco tempo, le raccontai la breve conversazione con Logan mentre mangiavamo, quindi guardammo insieme il film e andai a dormire.

Passò un'altra giornata senza attori, senza fidanzati, senza paparazzi. Un venerdì come un altro all'insegna della nullafacenza. Non riuscivo a ricordare cosa facessi prima che tutto quello avesse inizio. E prima non c'era neanche Claire nel mio appartamento. Mi ero svegliata tardi, avevo pranzato e avevo passato il pomeriggio a scrivere il nuovo numero per il Rolling Stone riguardante Johnny e gli hotel. Probabilmente tutti i lettori avevano già letto la notizia del litigio di Johnny in Francia, quindi supponevo che almeno la maggior parte riuscisse a cogliere l'ironia.
Sabato invece, vedendo che Johnny continuava a non rispondere né alle chiamate né ai messaggi, una visita a casa mi sembrò appropriata. Claire cercò di fermarmi, ma con la scusa del lavoro non poté fare altro che lasciarmi andare. Appena uscita, la sentii parlare al telefono e seppi che stava chiamando Johnny.
Feci appena in tempo a mettere in moto la macchina quando un messaggio da Jack mi costrinse a cambiare i miei piani. Dovevo "urgentemente" passare in redazione. Cosa diavolo stava succedendo?
Il tragitto durò poco, presa com'ero dai pensieri. Inchiodai nel parcheggio della redazione nella sezione dei dipendenti, quindi corsi verso l'entrata.
Jack mi aspettava nel suo grande ufficio dalle mura in vetro. La mia postazione era vuota, com'era giusto che fosse, e più che mai in quel momento desiderai non aver mai accettato l'incarico. Spalancai la porta e rimasi lì, indecisa sul da farsi.
Sarei potuta andare via, tornare nell'appartamento e rinchiudermi lì vivendo di cibo cinese da asporto. Invece entrai e chiusi la porta dietro di me. Sapevo bene che da lì lui poteva osservare tutto, e lo stesso potevano fare gli altri da fuori. Il vetro pareva sottile, ma insonorizzava completamente la stanza. Avrebbe potuto iniziare a urlarmi davanti a tutti, ma un giornalista con lo sguardo fisso sul computer non si sarebbe reso conto di nulla. Improvvisamente mi resi conto di ciò che avevo fatto. Jack avrebbe potuto licenziarmi ora e io non avrei potuto fare nulla, non avrei trovato nulla di geniale con cui controbattere. Avevo mandato tutto all'aria... per cosa?
« Siediti.» M'indicò la poltrona vicino alla scrivania. Versò del whiskey in due bicchieri di cristallo e me ne porse uno. Buttai tutto il contenuto giù d'un sorso. Ne avevo bisogno. « Qualcuno si è lamentato, Helen.» Forse si aspettava una risposta, ma visto il mio silenzio continuò. « Mi hanno chiamato mezz'ora fa dicendomi che hai più volte ignorato una clausola del contratto che hai firmato per l'intervista di trenta giorni con Johnny Depp.» Lo sapevo, lo sapevo... ma perché farmi questo? Perché ora? Jack non sapeva che l'uomo da cui proveniva la chiamata aveva "ignorato una clausola del contratto" insieme a me?
Jack si sedette di nuovo e mi scrutò a lungo. Probabilmente si aspettava che mi alzassi in piedi indignata, che gli gridassi contro che si sbagliava. Ma non potevo. Al contrario di "qualcuno", non potevo fingere che nulla fosse mai successo. Immaginai che tutto fosse partito dalla chiamata di Claire, ma non potevo incolparla. Potevo incolpare solo me.
« Sai perché ti ho scelto, Helen?» Scossi la testa. « Ci sono molte persone qui che lavorano. Molte si sono conosciute in ufficio, hanno fatto amicizia, si sono sposate. Una volta una coppia è arrivata a tirarsi computer da una parte all'altra della sala solo perché la moglie aveva "rubato" l'articolo del marito. Altre persone diventano ossessionate da ciò che fanno. Ruth è così assetata di gossip da girare la città la notte in cerca di scoop. Ho scelto te perché pensavo fossi la più adatta. Lavori qui da molto, ti impegni, ma non ti lasci trascinare. E' difficile in questo campo trovare qualcuno come te.» Sorseggiò il whiskey senza staccare gli occhi dai miei. L'avevo sempre visto come un nonno, una specie di Babbo Natale, mai come un capo autoritario. Quella era stata la mia colpa più grande.
« Grazie...» Ero rimasta in silenzio troppo tempo, avevo la gola secca nonostante il whiskey.
« Non ho finito.» Sbottò. « Pensavo che fossi la più adatta. Pensavo che le notizie su di te sui giornali ogni giorno e gli avvistamenti fossero falsi. Lavoro qui da abbastanza tempo da sapere che i paparazzi – e non lo nascondo, anche i fotografi che lavorano per noi – inventerebbero di tutto pur di guadagnare una bella somma di soldi. Ma la chiamata da questa persona mi ha aperto gli occhi.» Trattenni il fiato in attesa delle parole che mi avrebbero prelevata dalla mia favola personale e mi avrebbero riposizionata nel mondo reale. « Il contratto è annullato. Sei stata sollevata dall'incarico...» Abbassai lo sguardo. Non avrei più lavorato per lui né con lui. Non lo avrei più rivisto. La mia unica speranza era che riuscissi almeno a tenere il posto in redazione. « ... ma dovrai comunque scrivere questi ultimi due numeri. Non ti sarà concesso andare a casa di Johnny senza il suo permesso, né chiamarlo... Sarà come se non l'avessi mai incontrato.»
"Come se non l'avessi mai incontrato". Quelle parole continuarono a rimbalzarmi per la testa per molto tempo, troppo tempo.
« Tornerai a lavorare in redazione.»
« Quindi non... non sono licenziata?» Chiesi incredula.
« No. Onestamente, fin quando avessi continuato a scrivere come sempre, non mi sarebbe importato nulla di quello che succedeva tra le tue lenzuola, ma è la persona che ha chiamato che ha insistito affinché ti fosse revocato ogni diritto che il contratto ti ha concesso. Sarà come un semplice articolo, non più un'intervista.»
Quelle parole furono piùdi quanto riuscii a sopportare. « Ha chiesto che fossi allontanata...» Mormorai.
Lui si limitò ad annuire.
« Grazie...» Il mio fu poco più di un sussurro.
Uscii dall'ufficio sbattendo la porta.

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Capitolo 16
*** Day Twenty one/Twenty two/Twenty three ~ I hated you... ***


16. Day Twenty one_Twenty two_Twenty three – I hated you...

Day Twenty one/ Twenty two/ Twenty three – I hated you...


Una domenica come tante altre, come molte che erano già passate. Di certo non mi aspettava una cena a casa Burton, perché quella c'era già stata la settimana passata. Già, solo una settimana.
Le cose possono cambiare piuttosto velocemente, se ci si impegna davvero. Specialmente quando, dopo una domenica passata a revisionare l'articolo che sarebbe stato pubblicato martedì, accendendo il pc in ufficio ci si ritrova con tonnellate di e-mail da persone che ti accusano di essere una sfascia-famiglie. L'immagine che mi apparse nella mente fu quella di Vanessa Paradis che creava decine e decine di indirizzi e-mail fittizzi e sprecava un intero pomeriggio mandandomi e-mail all'indirizzo riservato al lavoro in ufficio. Risi davanti allo schermo del computer perché non potevo fare altro. Continuavo a ignorare i messaggi rassicuranti di Claire che mi assicuravano di aver parlato con Clive, il quale le aveva detto che erano assolutamente falsi gli avvistamenti a LA di Johnny e l'intera famigliola al completo. Proprio quando credevo che ci fosse qualcosa sotto l'"avvertimento" di Jack, iniziai a credere che l'attore fosse un vero stronzo e quindi davvero capace delle azioni di cui Jack lo accusava autore. In due giorni la stampa era impazzita:"Giornalista spazzata via dal rinnovato fascino della Paradis". Dicevano che il "rinnovato fascino" fosse in realtà dovuto a una terza gravidanza. Buon per loro, mi dicevo. Auguri e figli maschi. Logan doveva essersi divertito un mondo leggendo i primi nuovi articoli. Jack in accordo con Tracey voleva dedicare loro la copertina del Rolling Stone del mese seguente. "Le famiglie di Hollywood". Se avessero saputo... Se tutti loro avessero udito le loro parole quella notte in hotel, forse le cose sarebbero andate diversamente. Eppure persino io, che conoscevo l'attore e sapevo ciò che provava in realtà per Vanessa, non riuscivo a credere che potesse mentire così bene, che riuscisse a mentire anche nella vita privata come nei suoi film. Che avesse mentito anche a me? O forse aveva fatto un accordo con Vanessa, del tipo che lui avrebbe potuto vedere i figli se fosse rimasto con la moglie...
Ormai avevo rinunciato a contattarlo, avevo rinunciato a qualsiasi cosa. Clive continuava a sorridermi quando c'incrociavamo nel mio appartamento, come se avesse paura di dirmi qualcosa, il sorriso che un dottore mostra ai propri pazienti in fin di vita fingendo che abbiano mesi e mesi davanti quando la tragedia è dietro l'angolo.
Melodrammatica? Forse.
Non potevo contattarlo? Perfetto, non l'avrei fatto. Avevo passato quasi trent'anni della mia vita senza Johnny, potevo continuare a vivere senza di lui.
Quel lunedì andai a pranzare nel solito café. Un paio di paparazzi mi girarono intorno prima di decidersi a scattare qualche fotografia. A quanto pareva, la mia popolarità guadagnata uscendo per breve tempo con l'attore stava svanendo, e poteva essere solo un bene. Sorridendo, mi alzai dal tavolino esterno del locale, mi strinsi nel cappotto e feci un cenno al "fotografo" più vicino.
« Hey, posso offrirti un caffé?»
Il tizio continuò a indietreggiare un po' prima di fermarsi, incredulo.
« Come, scusa?»
« Un caffé.» Indicai con un cenno il café alle mie spalle.
« Perché?» Quello iniziò ad avvicinarsi, sempre guardingo. L'altro paparazzo si era volatilizzato. Peccato.
« Vuoi una storiella da raccontare invece di foto inutili di una giornalista qualunque?»
Ci sedemmo al tavolo, lui ordinò un espresso e io lo osservai un po', indecisa se potermi fidare o meno. Io stessa ero una giornalista, sapevo che molti nel mio campo gonfiavano storie o riscrivevano quasi completamente una conversazione in base alle risposte ricevute. I paparazzi però vendevano storie. Erano un po' come dei giornalisti free-lance, quindi avevano bisogno di storie sostanziose per poterci guadagnare molto di più.
Gli raccontai dell'hotel, di Vanessa, di Johnny e del litigio. Gli dissi come facevo a sapere tutte quelle cose. Tutti avevano letto sui giornali del litigio, gli raccontai, ma nessuno dei presenti aveva parlato del motivo del litigio. Ciò mi aveva sorpreso, perché chiunque avrebbe potuto guadagnare una discreta somma da una certa notizia.
« Perché?» Chiese alla fine. « Perché fai questo? Cosa vuoi in cambio?»
« Vendetta.» Risposi. « Non voglio denaro né il mio nome in quell'articolo. Voglio essere anonima. Ma questo non significa che io non voglia che tutti conoscano la verità. Ho vissuto in questo ambiente per davvero poco e già ne sono stufa. E' ora che i piccoli segreti delle star vengano a galla. Dovresti chiedere in giro che fine ha fatto l'amante della Paradis.»

Forse non fu una delle mie mosse più intelligenti, perché quando martedì il postino "privato" di Johnny si presentò in redazione, il pacco che mi porse era decisamente più pesante del normale.
« Oggi è passato Marilyn Manson», diceva la lettera, « e gli ho fatto leggere l'edizione speciale del Rolling Stone insieme all'articolo di un giornale scandalistico che mi ha portato Tracey all'alba. Ha detto che sei una dura e ti ha voluto mandare una bottiglia di assenzio come premio.
« Ti direi di passare o passerei io stesso, ma ho dei simpatici amici appostati fuori dal cancello. Stamattina si sono moltiplicati, grazie alle tue rivelazioni. Un sarcastico "grazie" sarebbe d'obbligo, ma è colpa mia. Incontriamoci stasera al The Mint. Forse ti devo qualche spiegazione.»
Clive aveva lasciato cadere sulla mia scrivania il pacco con disinvoltura, poi aveva continuato dritto verso l'ufficio di Jack, che guardò prima l'energumeno, poi me, poi di nuovo l'ospite. Li osservai agitarsi nella stanza, muovevano le labbra ma non mi arrivava nessun suono. Niente di niente. Quando Clive lasciò la stanza, Jack era rosso in viso e mi scrutava come se fossi un nemico e stessi minacciando la sua famiglia. Perché non si affrettava a licenziarmi? Cos'avevo combinato ora? Cosa gli aveva detto Clive?
Saltai giù dalla sedia e rincorsi la guardia del corpo verso il corridoio, poi nell'ascensore. Sotto i suoi occhi sbalorditi, fermai la corsa appena si chiusero le porte dell'ascensore. Eravamo immobili e intrappolati tra quattro mura, e lui avrebbe dovuto rispondermi se sperava di uscire vivo da quella situazione.
Melodrammatica. Di nuovo.
« Cosa significa questo?» Domandai sollevando la lettera. « E perché Jack è così arrabbiato?»
Lui mi scrutò per un lungo momento così intensamente da farmi credere che mi avrebbe strangolata entro pochi istanti. Infine, finalmente, aprì la bocca, ma non emise alcun suono. Sembrava indeciso, come se stesse riordinando i pensieri.
« Johnny ti spiegherà tutto.» Mormorò alla fine.
Gli dedicai uno sguardo pieno d'odio, impegnai tutti i miei muscoli facciali per farmi apparire il più minacciosa possibile, infine feci due passi verso di lui, abbastanza lunghi da costringerlo alle spalle contro una delle pareti d'acciaio.
Alzò le mani in segno di arresa. « Okay, piccola Leslie. Tracey aveva permesso a Jack di tenerti fino alla pubblicazione dell'ultimo articolo su Johnny, però lui l'ha scoperto, quindi mi ha mandato qui a minacciare il caporedattore che, in caso ti avesse licenziata, avrebbe denunciato il giornale per diffamazione visto che il loro attuale accordo sulla "pubblicazione della sua vita" è stato fatto solo oralmente, essendo stato annullato il contratto.»
Aveva parlato in fretta e altrettanto velocemente si era mosso dietro di me per raggiungere il pannello dell'ascensore che avevo lasciato incustodito. L'ascensore riprese la sua discesa e non salutai Clive quando uscì. Tracey, Tracey... Era stata lei ad aver parlato con Jack oppure Johnny si era lamentato e poi aveva lasciato la parte burocratica all'agente? Eppure, se Johnny si era mostrato in disaccorso sul mio licenziamento significava che, molto probabilmente, era in disaccordo anche su altro... forse. Rimaneva oscuro il motivo per cui Tracey mi volesse licenziare. Mi aveva sempre odiata e io odiavo lei, ma questo non giustificava il suo comportamento. In più, se all'attore non importava nulla di me, perché preoccuparsi di aiutarmi a mantenere il posto in redazione? Per tenermi a bada? Sapeva perfettamente che, se Jack avesse ignorato la mia richiesta, la denuncia avrebbe toccato principalmente me, poiché l'articolo veniva pubblicato a nome mio. Avevo decisamente molte domande da porgli.

« Non voglio andare.» Confessai a Claire indossando i miei soliti jeans.
« Dovresti indossare un vestito.» Rispose lei squadrandomi.
« Sì, o una minigonna. Ascoltami!»
« Ti sto ascoltando e non capisco proprio come tu possa pensare di indossare una minigonna con questo tempo.»
« Stavo scherzando! Non voglio andare e non voglio sedurlo e portarmelo a letto stasera.»
« Sbaglio o dicevi la stessa cosa quando ti è venuto a trovare dopo il viaggio?»
« No! E comunque com'è andata a finire?»
Claire sospirò e si lasciò cadere sul mio letto porgendomi un vestito rosa con dei ricami neri.
« Devi andare. Devi sapere. Perché io voglio sapere. Non posso credere che lo zio sia uno stronzo.»
Le presi il vestito dalle mani e lo indossai dopo aver lanciato sulla poltroncina all'angolo i pantaloni.
« Mi ha praticamente bandita da casa sua! I suoi figli e sua moglie vivono con lui! Sono arrivati la mattina dopo il nostro "incontro", quindi immagina da quanto tempo lo aveva organizzato!»
« E' pur sempre venuto da te, no?» Domandò retorica lei, sperando in una risposta che potesse eclissare tutto il resto.
« Cosa sono, la sua amante? Aveva Jenna per quello.»
« Helena, sono uomini. Non hanno più senso dei forma-ghiaccio a forma di... omino di marzapane!»
« Beh, e io non voglio andare.»

Alla fine andai. Anch'io, come Claire, avevo bisogno di risposte. Quella sera al The Mint non suonava Johnny, ma una band sempre sconosciuta. C'era Clive seduto al bancone del bar, mi fece un cenno con la testa verso l'entrata del privé e poi indicò l'orologio sulla testa del barman che indicava le nove e venti. Scrollai le spalle. Aspettare non gli avrebbe fatto male.
Nervosa, mi avviai verso il privé quando sentii una mano dietro la mia schiena e una voce calda alle mie spalle.
« Rilassati.» Disse. Ma rilassarmi era impossibile. Continuai a camminare, entrai nel privé e avanzai fin quando sentii una porta scorrevole chiudersi alle mie spalle. Non ebbi bisogno di voltarmi per sapere chi era l'uomo che mi aveva guidata lì. In contrasto con la voce, i lineamenti di Johnny erano contratti e duri, lo sguardo freddo. Sembrava stanco. Non pareva neanche lo stesso uomo che aveva scritto la lettera quella mattina.
« Pensavo non saresti più venuta.»
« Lo pensavo anch'io.»
Si accomodò su una poltrona e mi fece spazio di fianco a lui. Apparve deluso quando invece mi sedetti sulla poltroncina di fronte. Un tavolino di vetro nero ci separava.
« Il contratto dice che non posso starti troppo vicino.» Mi giustificai così.
« Il contratto è stato annullato.»
« Le parole però non possono essere annullate, specialmente dopo essere stata etichettata dalla metà dei giornali scandalistici americani come una stalker pazza che è arrivata a saltarti addosso contro la tua volontà. Le notizie viaggiano veloci.» Tiravo fuori il veleno da ogni parola, perché la verità era che mi stavo finalmente sfogando.
« Non è stata colpa mia.» Esordì continuando a guardarmi negli occhi.
« Comodo dirlo, non è vero?»
« E' stata Tracey a chiamare. Ha chiamato Jack, ha chiamato la mia famiglia, ha chiamato Vanessa e Tim, e dopo averla licenziata è toccato a me ripulire il suo casino.»
« Divertente che tu abbia messo la tua famiglia e Vanessa in due diverse categorie.»
« Hai sentito ciò che ti ho detto?»
Se avevo sentito? Certo che avevo sentito. Ma perché Tracey avrebbe dovuto farlo?
« Perché continuare la sceneggiata? Perché le hai permesso di arrivare fino a questo punto?»
« Perché ero un casino! Perché non mi rendevo conto della metà delle cose che facevo e lei sembrava l'unica speranza!» Iniziò ad agitarsi, abbandonando la maschera da attore dannato. « E' sempre stato così. Avevo perso tutto e la recitazione era tutto ciò che mi rimaneva. Una volta danneggiata la mia immagine, sarei rimasto solo e immobile nella mia villa in Inghilterra, mentre Tracey era lì e insisteva sul fatto che dovessi riprendere il controllo della mia vita. Naturalmente questo implicava il tuo articolo. Il suo obiettivo però era un altro: riportarmi in alto sfruttando te e poi tornare dalla mia famiglia. Vanessa era d'accordo, ovviamente. Quindi, una volta iniziata a girare la voce del ricongiungimento in Francia con Vanessa, Tracey ne ha approfittato. Ha fatto venire qui Vanessa e i bambini avvertendomi solo "quella" mattina, poi ha detto a Tim che non avrei più potuto fare film con lui perché apparteneva alla mia "epoca buia", infine ci fu la conversazione con Jack, molto elaborata. Aveva prima sfruttato il contratto per tenerci vicini, poi per allontanarci, assicurando il tuo licenziamento e la tua diffamazione per metterti a tacere. Appena Tracey mi ha informato di tutto questo, l'ho licenziata. Il suo castello di carte è crollato stamattina quando ha visto l'articolo che aveva te come fonte affidabile. Vanessa è isterica.
« Tuttavia non sono meno colpevole di loro due. Ho creduto nella favoletta, sai? Quella che prima o poi andrà tutto bene. Ma tutto non può andare bene se la tua vita è governata da un estraneo.
« Prima di venire qui ho accompagnato Vanessa in aeroporto. Appena il mio avvocato ha saputo dell'accordo tra lei e Tracey, ha subito capito che avrei potuto toglierle l'affidamento, quindi i bambini resteranno con me e tu rimarrai al sicuro al Rolling Stone. Forse la mossa di stamattina potrà esserti sembrata azzardata, ma bluffavo: sapevo che Jack avrebbe fatto di tutto per conservare il suo posto come caporedattore, persino tenere una giornalista un po' ribelle. E' un idiota, ma non lasciare il lavoro sperando di trovare in meglio da qualche altra parte, perché non accadrà.» Finito il discorso, Johnny tirò fuori dalla giacca un pacchetto di sigarini, ne prese uno e lo accese.
Io rimasi immobile, gambe accavallate e braccia incrociate.
« Non dovrei neanche essere qui.» Sbottai alzandomi e avviandomi verso l'uscita. Il problema era: dov'era la porta? Era scorrevole e dello stesso colore delle pareti, di conseguenza diveniva praticamente impossibile distinguerla.
« Dovresti, invece. Grazie per essere venuta.» Si piazzò tra me e la parete a cui mi stavo avvicinando. Beh, almeno avevo trovato la porta. « Ma non abbiamo finito.» Portò una mano sul mio viso e lambì le mie labbra. Quel bacio sapeva di cannella, colpa del sigarino aromatizzato ancora stretto tra l'indice e il medio della mano lungo il suo fianco.
Per un attimo cedetti, per scostarmi subito dopo.
« Sì invece. Se ti fosse importato qualcosa di me, di noi, non ti saresti mai lasciato condizionare da Tracey. Hai lasciato che ci allontanasse, che mi umiliasse, lo hai preferito perché altrimenti... dimmi, altrimenti cosa sarebbe successo? Nulla. Saremmo stati felici come lo siamo stati quando siamo andati dai miei genitori. Sereni. Quello è stato l'unico giorno felice per noi due, quando io speravo che ce ne sarebbero stati molti altri. Invece no, torno qui, vengo ignorata da te e il mio capo mi dice che venire a letto con te è "contro le regole". Mi dice che è stato uno sbaglio, che si fidava di me e che pensava fossi una persona equilibrata. All'inizio ti odiavo e ora ti amo. Te l'ho detto mentre eri a letto con tua moglie! Ti avevo perdonato, e poi... poi sei scomparso.» Faccio qualche passo verso Johnny ma, al contrario di Clive, lui rimane immobile. « Il mio sbaglio non è stato venire a letto con te. Il mio sbaglio è stato smettere di odiarti, perché ora è dannatamente difficile ricominciare.»
Dalla sua espressione sembrava che l'avessi schiaffeggiato in pieno volto. Senza dire una parola, si spostò e mi lasciò passare.



( Scusate per l'attesa ç_ç Il capitolo era già pronto da un po' ma era scritto su un adorabile quadernino non avendo il pc a portata di mano, quindi ho potuto rileggere, modificare e copiare solo oggi. Chiedo perdono anche per il contenuto del capitolo, dovrete odiarmi ancora per un po' :3
P.S.: il prossimo capitolo sarà un Johnny's POV
Cheers~
)

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Capitolo 17
*** Day Twenty four/Twenty five ~ It's time to begin ***


Day Twenty four/ Twenty five – It's time to begin

Johnny's POV

Tornai a casa tardi quella notte, erano forse le due o le tre, volevo un letto, ma una volta arrivato in camera il sonno parve svanire. Mi allungai nonostante tutto, sfilai via gli scarponcini e lanciai per terra il cappello. Più mi rigiravo e più mi tornava in mente Helen. Erano giorni che non dormivo e credevo fosse ormai ovvio a tutti, sebbene nessuno azzardava ad accennare alla questione. Nei pochi giorni in cui Vanessa aveva dormito con me, aveva cercato di "riconquistarmi" con mezzucci a dir poco ridicoli. Mi aveva preparato la cena dichiarandosi una bravissima moglie, aveva comprato vestiti su vestiti a Jack e a Lily proclamandosi una fantastica madre. Inutile dire cosa provò a fare per dirsi un'ottima amante. Diceva che c'era qualcosa di sbagliato in me, che ogni uomo avrebbe voluto averla nel proprio letto. Le avevo risposto che se per sentirsi apprezzata doveva passare venti minuti a cavalcare qualcuno, allora le avrei dato la mia benedizione e le avrei consigliato qualche attore libero. Lei aveva lasciato la stanza furiosa mentre io avevo riso per circa dieci minuti senza interruzioni. La verità non era che non volevo lei, la verità era che volevo una sola persona e nell'ultimo periodo avevo fatto di tutto per allontanarla. Ciò che Tracey e Vanessa avevano fatto era disgustoso. Non avevo potuto non dare ragione a Tim quando diceva che Tracey era solo l'ennesima persona che voleva provare un po' del delizioso nettare della fama direttamente dal cuore di John Christopher Depp II, come se fossi un baronetto dal sangue blu o qualche cazzata del genere. Chiunque vorrebbe essere agente di un attore che con il denaro ricavato dopo aver recitato in un film potrebbe comprarsi una casa o due. Ma ciò che aveva fatto Tracey era molto di più. Lei aveva preso me, un attore sull'orlo del baratro. Nessuno era lì a cercare di salvarmi, ma sapeva che l'unica persona su cui facevo ancora affidamento era lei. In fondo lei era quella che mi aveva fatto diventare famoso, quindi toccava a lei riportarmi sotto i riflettori. Aveva preso una casa in rovina, l'aveva rinnovata ed era pronta a rivenderla al triplo del prezzo originale. Sì, Tim mi aveva avvertito e io non gli avevo dato retta.
"Oh, finiscila di piangerti addosso, va' da lei e riprenditela."
"Sono le quattro di mattina..."
"L'amore non ha età, né orario per le visite!"
Avevo provato quella sera a parlarle, a farle capire la situazione. Le avevo spiegato ogni singola cosa eppure, sebbene avesse capito, non voleva accettarlo, non volevo ammettere l'ennesimo sgarro. E forse faceva bene. Forse avevo bisogno di sistemare la mia vita, mentre lei doveva continuare sulla sua strada senza guardarsi indietro. Ancora pochi giorni, e l'unico legame tra di noi si sarebbe rotto per sempre.

Quel giorno aspettai che i bambini si svegliassero, poi li portai al parco. Pranzammo velocemente con un panino e li portai in un negozio di arredamento. Negli ultimi giorni avevano dormito nella stanza degli ospiti insieme, ma quella casa era talmente grande che avrebbero potuto avere anche due stanze a testa. Scegliemmo insieme l'arredamento, e quando uscimmo di lì era già sera. Mangiammo una pizza, tornammo a casa e guardammo un film insieme prima di riuscire a convincerti ad andare a letto. Mi aspettava un'altra notte insonne.
La mattina seguente mi alzai dal letto, stremato, alle 6 e mezza. Mi buttai sotto la doccia mentre ricordi che non volevano abbandonarmi tornavano di soppiatto e rischiavano di rovinarmi la giornata. Perché i ricordi sono così, non avvertono, tornano e basta. Si è indifesi in quei momenti, e tutto ciò che possiamo fare è cercare di farli diventare bei ricordi in qualche modo. Questo a volte può rivelarsi impossibile.
Un paio di jeans, una camicia ed ero pronto ad andare. Ripiegai le maniche fino al gomito scendendo le scale, e una volta in cucina eliminai tutti i pensieri preparando la colazione. Mezz'ora dopo il tavolo era ricoperto di toast, barattoli di marmellata e di cioccolato, piattino con il burro, di fianco pancakes e waffles, uova e brioche. Salii al primo piano e rimasi qualche minuto sullo stipite della porta ad osservare Lily Rose e Jack nei loro letti. Si erano già appropriati della camera, avevano appeso poster e svuotato le valige negli armadi. Per Lily, ormai adolescente, lasciare la Francia era stato un duro colpo, poi però aveva chiamato delle amiche a Los Angeles e le era subito tornato il buonumore. Jack invece era solo felice di stare affianco al "suo pirata". Avevo riso quando me l'aveva detto, e poi l'avevo abbracciato. Ora la loro vita era lì, perché per nulla al mondo avrei lasciato che Vanessa li riprendesse dopo ciò che aveva fatto. Crescerli da solo sarebbe stato difficile, avrebbe cambiato la mia vita, lo sapevo, ma per ora mi godevo solo la loro presenza. Più tardi avrei pensato a cosa avrei fatto quando mi avrebbero offerto la parte in un nuovo film che richiedeva la mia presenza dall'altra parte del mondo, non ora.
« Jack...» Poggiai una mano sulla sua spalla, ma lui non parve accorgersi di nulla. « Yo-ho, yo-ho, a pirate's life for me...»
« We pillage plunder, we rifle and loot. Drink up me 'earties, yo-ho!
(1)» Si risvegliò cantando, e subito sentimmo l'eco di Lily.
« Finitela di cantare, voi due!»
Mi scappò una risata. « E' pronta la colazione, vi aspetto giù.» Sapevo della passione/ossessione di Jack per i pirati, ma era la stessa di molti altri bambini, e almeno così sapevo sempre come prenderlo. Lily invece... lei era completamente diversa ed essere rimasto così lontano da lei durante l'adolescenza non era stata una mossa intelligente. Purtroppo non avevo potuto fare altro dopo il divorzio, quindi ciò che potevo tentare ora era di recuperare il rapporto.

Avevo convinto Clive a prendersi un giorno di riposo, così che potessi manovrare a mio piacimento la macchina. Parcheggiai di fronte alla scuola privata che avevamo scelto insieme il giorno prima, ed entrammo mentre suonava la campanella delle 8. L'ufficio del preside si trovava al secondo piano, e dopo una lunga chiacchierata sulla protezione della privacy lasciai i bambini e uscii per tornare a casa. Avevo un paio di cose da fare, come per esempio trovare un nuovo agente.
Per qualche oscuro motivo, però, mi fu impedito. Tornato a casa trovai qualcosa di estremamente sbagliato. Come tutte le finestre e i battenti chiusi. Infilai la chiave nella serratura della porta e la girai nel modo più silenzioso possibile. So che avrei dovuto chiamare la polizia, ma in un certo senso l'idea di sconosciuti che giravano per la casa alla ricerca di ladri o assassini o maniaci era più detestabile della possibilità che, entrando, potessi incontrare un ladro o un assassino o un maniaco. Dentro regnava il buio. Lasciai la porta aperta, così che potesse entrare un po' di luce. Una torcia era ferma, accesa in salotto. Mi avvicinai in punta di piedi, e ciò che vidi mi fece allo stesso tempo sobbalzare e sospirare. Tim Burton era seduto sulla mia poltrona, con la torcia puntata contro il volto.
« Non potevi essere più ovvio. Certe incursioni si fanno la notte, non in pieno giorno, dovresti saperlo!»
« Cos'avrei dovuto fare, nascondermi in hotel per il resto della giornata?» Si alzò ridendo e mi abbracciò.
Avevo bisogno di lui in quel momento, sebbene odiassi ammetterlo.
« La prossima volta mi rivolgerò a David Koep [regista di Secret Window, n.d.s.] per altri consigli. Come stai?»
« Bene, Tim... sto bene.»
« Sì, le occhiaie parlano per te. Ho saputo... beh, più o meno tutto. Helena si è informata prima di partire.»
« Mi spaventate a volte... a proposito, dov'è la strega?»
« Non lo so, mi ha lasciato qui ed è andata via con la macchina. Dovevo ammazzare il tempo, quindi eccoti la casa pronta per Halloween!»
« Halloween è passato.»
« Per Natale.»
« Un Natale alla Nightmare Before Christmas?»
« Non vorrei sembrare egocentrico, ma sì.»
« O forse potremmo girare qui il sequel horror dei Puffi.»
« Ci ho pensato in questi giorni, sai?»
Sorrisi e lo guidai in cucina.
« Prendi qualcosa da bere?» Chiesi aprendo la bottiglia di whiskey e versandomene un bicchiere.
« Sì, grazie.» Mi rubò il bicchiere dalle mani e lo bevve d'un sorso, poi prese la bottiglia e la rimise al proprio posto. « Tu hai già bevuto abbastanza, si vede fin troppo.»
« Sei venuto qui per vedermi o per farmi la paternale? Ormai con gli anni ti faccio concorrenza, lo sai.» Tornai in salotto dove mi lasciai ricadere sulla poltrona dove prima era seduto Tim, la poltrona di Helen. Lui si sistemò sul divano.
« Ora hai intenzione di dirmi come stai? L'ultima volta che ti ho visto eri piuttosto felice.»
« C'era un fattore che ora non esiste più.»
« Ho sempre odiato la Matematica.»
« Pensavo sapessi tutto. La rivolta "Agente ft. Moglie" ha allontanato Helen. Ieri notte mi sono reso conto che Vanessa aveva messo un blocco al telefono in modo che non ricevessi né messaggi né telefonate dalla giornalista, quindi sono passato per il mostro. E' come se l'avessi ignorata per giorni, senza contare il fatto che Tracey le ha impedito di avvicinarsi a me per altrettanto tempo.»
« Quindi ora ti piangi addosso, non dormi e bevi?»
« La vicinanza con Helena ti ha reso acido. Non riesco a dormire e devo andare avanti con qualcosa, quindi bevo.»
« Che ne dici di cercare di cambiare la situazione? Di fregartene di ciò che pensa lei e farle capire che ciò che è successo è stato un caso e che non accadrà più, dicendole di aver cacciato Tracey e Vanessa dalla tua vita? Dirle che è l'unica per te aiuterebbe.»
« Non siamo in uno dei tuoi film, Tim. Lì le persone uccidono ma alla fine vengono sempre amate da qualcuno!»
« Tu non hai ucciso nessuno. Il tuo unico sbaglio è esserti fidato delle persone sbagliate. Vi ho visti a Londra, e la scusa per l'articolo c'era, ma io ed Helena eravamo convinti che servisse a nascondere altro.»
Ricordavo benissimo cos'era successo quella sera. Tim aveva ragione, Helen era la prima che detestava le attenzioni dei paparazzi, che avrebbe fatto di tutto per renderci una coppia "normale", lontana da quel mondo a cui lei sentiva di non appartenere.
Sapevo che Helen era felice nel mondo in cui aveva vissuto per così tanti anni. Il giorno in cui eravamo andati a trovare i suoi genitori, il padre mi aveva preso in disparte. Mi aveva mostrato il luogo dove lei era nata, dove era cresciuta. Mi aveva anche detto che però lei, ovunque si trovasse, non si era mai trovata a proprio agio. Non aveva ancora trovato un luogo a cui appartenere. Mi aveva detto:« Il giorno in cui troverai quel posto, la renderai la donna più felice del mondo. E io sono sicuro, caro "signor Depp", che lei possa farlo. Quel Logan non mi è mai piaciuto. Era la sua ancora, ma solo perché la rendeva ferma e la tratteneva in basso. Helen deve volare.»
« Era così, Tim... o almeno credevo. Non so se riuscirò a riprendermela stavolta.»
Il suono del mio cellulare interruppe la conversazione. Lo recuperai dalla tasca, studiai lo schermo illuminato e poi guardai Tim. « E' lei.» Premetti il testo verde. « Helen..?»
« Johnny, sono Helena! Mi passi Tim?»
« Ma che diavolo... perché mi stai chiamando dal telefono di Helen?»
« Perché il mio l'ho lasciato a casa sua. Mi passi Tim?»
« Perché eri a casa sua?»
« Volevo salutare una vecchia amica!»
« Vi siete incontrate una volta per 3 ore!»
« Colpo di fulmine!»
Sbuffando passai il telefono a Tim che quando chiuse la conversazione aveva uno strano sorriso dipinto sul volto.
« Si può sapere quante spie avete in giro per l'America?»
« Un paio. Vieni, andiamo a mangiare qualcosa, ho fame.»
Rimasi fermo sulla poltrona. Sapevo cos'avevano in mente lui ed Helena, e non mi piaceva per nulla.
« Che voleva Helena?»
« Nulla, mi ha detto che è andata a prendere Helen al Rolling Stone e che tornando a casa hanno beccato la tua guardia del corpo e la bambolina bionda sul divano. Quindi sono uscite a prendere un caffé lì vicino. Andiamo, su.»
« Tim...»
« Johnny, domani riparto. Vuoi restare qui a discutere su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato o vuoi sistemare le cose?»

Salimmo in macchina e ci fermammo sul lato opposto della strada rispetto al café. Helena ed Helen erano sedute una di fianco all'altra ad un tavolino vicino alla finestra che dava sulla strada, parlavano con i gomiti appoggiati sul tavolo, sorridenti, come se stessero discutendo del tempo. Mi fermai ad osservare Helen. Non mi sorrideva da un po'. In realtà l'ultima volta che l'avevo vista sorridere era durante la notte che avevo trascorso da lei. Ero andato all'appartamento per scusarmi, per spiegarle cosa fosse successo prima che lei entrasse nella stanza d'hotel e mi dicesse quelle parole. Avevo sentito la porta della camera aprirsi ed ero rimasto immobile. Avrei potuto fare qualcosa, ma nulla avrebbe potuto migliorare ciò che era chiaramente visibile. Mi ero andato a scusare e l'avevo trovata a letto, e avevo fatto di tutto per trattenermi dallo stendermi di fianco a lei e abbracciarla, perché sapevo che ci sarebbe stato uno schiaffo ad aspettarmi. Era decisamente più bella mentre sorrideva. Mi chiesi se per poterla osservare sorridente di tanto in tanto dovessi lasciarla andare.
Tim mi tirò per un braccio, attraversammo la strada ed entrammo. Mi chinai per baciare sulla guancia Helena, poi lei si spostò, quindi mi permise di sedermi di fronte ad Helen, mentre Tim prese posto di fianco a lei.
La cameriera arrivò subito. Helen ordinò un pezzo di torta al limone, Helena un tortino ai frutti di bosco e, dopo qualche battuta su Sweeney Todd e i gatti di Los Angeles, Tim riuscì a ordinare un sandwich mentre io presi un semplice the. Helen mi scrutò a lungo, forse cercando di farmi cambiare idea, poi si arrese e prese a mangiare la torta.
« Helen e io stavamo giusto parlando del nuovo numero del giornale. Mi ha detto che ieri mattina l'ha chiamata un agente, che dalla voce sembrava molto affascinante, che le ha chiesto se fosse interessata a scrivere un libro, viste le sue doti. Lei gli ha ovviamente risposto che ha già delle idee in mente e che ci penserà.»
« Voglio lasciare il Rolling Stone dopo aver pubblicato l'ultimo numero.»
« E noi siamo felicissimi per te... vero Johnny?»
Annuii forzatamente. « Felicissimi.» Mormorai guardandola negli occhi. Dovevo essere contento per lei, dovevo dirle che le auguravo di essere felice per sempre, ma non potevo, non senza mentire. Perché sapevo in cosa l'avrebbero fatta diventare. Sarebbe diventata un oggetto nelle mani di agenti e speculatori, ma non potevo dirglielo, non ora che sembrava così felice. Non aveva mai pubblicato un libro, aveva solo scritto in forma di romanzo "Le avventure di Johnny Depp", il che significava che l'avevano scelta solo per il modo in cui scriveva, non per cosa scriveva. Come un cantante scelto per la bella voce e la bella presenza a cui danno un testo e una valigetta piena di soldi.
« Chi era questo tipo? Ti ha dato un nome?»
« No, mi ha detto che mi avrebbe richiamato.»
« Dovresti aspettare...»
Sembrava che Helena e Tim stessero seguendo una partita di tennis.
« Cosa dovrei aspettare?»
« Dovresti prima scrivere un libro, poi cercare di pubblicarlo. Sei brava, non ti serve un agente, e ora ti presserebbero inutilmente, senza contare che, nel momento in cui si faranno un'idea di te, non accetteranno nient'altro.»
« Quindi stai dicendo che dovrei rifiutare e mandare all'aria probabilmente l'unica occasione della mia vita di diventare qualcosa di più di una semplice ragazza inglese di campagna?» Posò la forchettina sul piatto e incrociò le braccia.
« Non sto dicendo questo, sto dicendo che avrai altre occasioni!»
« Il fatto che la tua agente ti abbia "tradito" non significa che tutti ora debbano diventare sospettosi nei confronti delle persone da cui vengono aiutati!» Alzò la voce quel tanto che bastava da spingere la cameriera ad avvicinarsi.
« Va tutto bene?» Chiese mentre sorrideva. Sorriso che a quanto parve sembrò far innervosire ancora di più Helen.
« Benissimo! Helena, grazie mille di tutto, ci sentiremo senz'altro.» Prese la borsa, si alzò e uscì dal locale.
L'attrice mi guardò. Sì, probabilmente avevo appena mandato all'aria l'unica occasione di far pace con la donna che amavo, ma non avevo altre possibilità. Dovevo avvertirla, sebbene sapevo che l'avrebbe presa decisamente male. Mi alzai e la seguii all'esterno.
« Helen!»
Il suo appartamento era poco distante da lì, ed era diretta proprio in quella direzione.
« Finiscila, Johnny! Finiscila d'inseguirmi! Ti credi così bravo, così superiore, quando sei uguale a Logan. Esattamente uguale.»
"No... io non sono la tua ancora, non sono la tua ancora..."
La raggiunsi di corsa, afferrandole un braccio la costrinsi a voltarsi e poi l'abbracciai e la strinsi così forte che per lei fu impossibile allontanarsi.
« Dimmi ciò che vuoi, e ti aiuterò ad ottenerla. Questo è il mio ruolo qui, il mio unico scopo. Renderti felice. Voglio vederti sorridere, ma come posso farlo quando non riesci a guardarmi negli occhi senza ricordare ogni cosa sbagliata che ho detto? Ti amo e continuerò a ripetertelo fin quando non mi dirai di smetterla, fin quando non mi dirai che queste parole ti nauseano. Voglio essere ogni secondo di ogni minuto di ogni ora nella tua vita, ma voglio anche consigliarti e voglio farti capire che se ti dico qualcosa non è solo perché voglio tenerti ferma al mio fianco.» Dissi in un sussurro. Lei, che prima aveva cercato di ribellarsi, ora era inerme. Sciolsi l'abbraccio, la guardai negli occhi e lei ricambiò lo sguardo, sconvolta. « Scrivi. Scrivi di ciò che vuoi, senza limiti, e poi inizia a cercare. Tutto avrà un sapore diverso quando saprai di aver avuto successo per qualcosa che ami e non per uno stupido articolo su un attore che odi.»
Rimase ad osservarmi, in silenzio, poi lentamente mi prese il volto tra le mani e si avvicino. « Io non ti odio. Non riuscirò mai a odiarti.» Mormorò sulle mie labbra prima di baciarmi. Sorrideva.

Avevo lasciato Helen a casa promettendole di tornare presto, poi ero andato a prendere i bambini. In macchina mi raccontarono il loro primo giorno di scuola, di come avessero subito fatto amicizia e di come tutti avessero riconosciuto Lily da alcune foto su internet. Fortunatamente nessuno aveva chiesto foto insieme o autografi da portare a scuola, specialmente perché molti erano figli di celebrità. Una volta arrivati davanti casa, mi voltai verso di loro.
« Dovrei avvertirvi... c'è una persona lì dentro che forse non vi piacerà vedere...»
« E' la giornalista, vero?»
Annuii silenziosamente a Lily.
« A me piaceva.» Esordì Jack d'un tratto. « Sembrava simpatica!»
« Ho letto i suoi articoli su internet.»
« Lily...»
« Sì, lo so, lo so, non dovrei leggere cose su internet che riguardano te o la mamma, però... posso provarci, con lei. Ti avverto: nel momento in cui inizia a chiamarci "bimbi" o mi costringe a chiamarla "matrigna", la caccio di casa.»
« Affare fatto.»
Il primo "incontro-scontro" andò piuttosto bene. Jack si affezionò subito e passò tutta la serata di fianco a Helen, mentre Lily rimaneva un po' più fredda, ma sapevo che con il tempo si sarebbe abituata alla sua presenza. Certo, lo speravo perché questo avrebbe significato avere Helen intorno ancora per un po' di tempo.
« Domani dovete andare a scuola, lo sapete...»
Jack si avvicinò e si posizionò di fronte a Helen. « Ci vediamo domani, giornalista?»
« Certo. A domani, signorino Depp.» Gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia prima che mio figlio facesse il giro del divano e mi abbracciasse. Lily mi baciò sulla guancia e sorrise a Helen prima di seguire il fratello in camera.
« Che dice, miss Chester, andiamo anche noi in camera?»
« Decisamente.»
« Dopo di lei.» Lei salì i primi scalini, ma mi avvicinai e interruppi la sua corsa sul pianerottolo, dove la spinsi lentamente contro il muro e la baciai.
« Con calma, signor Depp!» Sussurrò e indicò con lo sguardo la camera dei bambini poco distante. Mi prese per mano e mi guidò in punta di piedi fino alla stanza più lontana, alla fine del lungo corridoio, dove una vecchia camera conteneva a malapena il necessario per dormire.
A terra c'era un grande materasso, e contro la parete un armadio nero era l'unico verso segno di arredamento. Quando avevo comprato quella villa nel '95 avevo ripulito tutte le stanze per poi comprare lo stretto necessario per arredarle. Quel materasso era ancora protetto dalla plastica. Helen si accucciò sui talloni e la strappò via.
« Hai una coperta?» Chiese sorridendo.
Mi allontanai mentre gettava la plastica di lato. Andai nella mia camera e presi un lenzuolo bianco dal cassettone, quando tornai da lei lo aprii e lo stesi sul materasso.
Helen si sfilò le scarpette basse senza staccarmi gli occhi di dosso, poi si liberò della maglietta e infine dei jeans. Fu solo in quel momento che mi girò intorno e mi circondò il collo con le braccia, facendo aderire il suo corpo contro il mio.
« Rilassati.» Sussurrò, e rise leggermente.

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Capitolo 18
*** Day Twenty six/Twenty seven ~ Weren't you supposed to follow your dreams? ***


18. Day Twenty six_Twenty_seven - Weren't you supposed to be following your dreams

Day Twenty six/Twenty seven – Weren't you supposed to follow your dreams?

Mi misi seduta sul materasso e guardai Johnny per qualche attimo.
Avete presente quando volete vedere solo una scena del vostro film preferito, quindi inserite il dvd e premete quella piccola freccetta che vi permette di avanzare a velocità accelerata fino a raggiungere il pezzo che avete in mente? Tra me e l'attore era stato così.
Era già iniziato il conto alla rovescia, ormai mancavano pochi giorni. Martedì avremmo potuto festeggiare 30 giorni dalla prima volta che ci eravamo conosciuti. In 30 giorni avevamo fatto tutto ciò che normalmente si farebbe in un paio di mesi, visto il mondo in cui ci eravamo scontrati all'inizio. Eppure, nonostante ci fossimo odiati dal primo momento, era come se entrambi avessimo saputo da qualche forza sovrannaturale ciò che ci aspettava. E quindi ci eravamo spinti a vicenda, a volte inciampando, solo per raggiungere quell'obiettivo, quella promessa di felicità. Che fossimo stati dei pazzi a credere a quella sorta di sesto senso era innegabile, ma di certo io non me ne pentivo. Avevamo litigato decine di volte, e il giorno dopo mi ero sempre ritrovata tra le sue braccia.
Un paio di giorni prima a però ero stata davvero convinta che non l'avrei mai più rivisto. Mi ero pentita di ciò che avevo detto nell'attimo esatto in cui avevo pronunciato quelle parole quella sera al The Mint. Vi è mai capitato? Capire quanto una frase sia sbagliata solo mentre la si sente uscire dalla propria bocca è davvero terribile, credetemi. Ero stata male per un giorno intero – la faccenda di Johnny in quei giorni stava riducendo i miei nervi in pessime condizioni – e quando ero tornata in redazione avevo trovato una chiamata non risposta. Mi ero sentita ancora peggio quando avevo sentito ciò che l'agente aveva da offrirmi: un contratto e un libro, senza che dovessi girare per mesi (o per anni) alla ricerca di una casa editrice così pazza da pubblicare il libro di una giornalista con un passato come il mio. Johnny però mi aveva praticamente impedito di farlo, con le sue parole. Ero stata così vicina da salire sul tavolo per prenderlo a schiaffi durante l'incontro con Tim ed Helena...
Helena. Lei era venuta da me subito dopo la chiamata ed era entusiasta sebbene ci fosse qualcosa nella sua espressione che mi aveva fatto capire che non pensava fosse una buona idea. Fortunatamente non ne avevo ancora parlato con Jack. Mi aveva detto che il momento di cui avevamo parlato la sera nel suo salotto era arrivato. Io le avevo raccontato ciò che era successo, e lei mi aveva pregato di non abbandonarlo ora. Tim aveva paura che Johnny si abbandonasse ai “piaceri” dell'alcool, ma Helena lo aveva sempre difeso dicendo che, fin quando ci sarei stata io al suo fianco, lui si sarebbe trattenuto. Lo avrebbe fatto per non allontanarmi. Io ne dubitavo. Comunque non era per questo che avevo ceduto all'attore. Avevo capito che stava onestamente cercando di avvertirmi sul mondo reale mentre mi diceva di lasciar stare l'agente. Si stava preoccupando per me e lo avrebbe fatto per sempre. Ciò che era successo con Vanessa per lui non aveva senso. Io lo amavo e non avrei mai stesso di amarlo. Per questo l'avevo seguito.
Mi aveva fatto incontrare i bambini ed era stata forse la cosa più bella che potesse fare. Nonostante tutto ciò che era successo tra di noi, voleva ancora che facessi parte della sua famiglia. Non avrei mai potuto sostituire Vanessa, non volevo farlo, ma sapere che Lily Rose e Jack non mi disprezzavano come pensavo aveva funzionato da tranquillante con me. Jack adorava i capelli biondi e a un certo punto della serata aveva persino preso la chitarra del padre per dimostrarmi di saper suonare. Era un pirata chitarrista, o almeno tale si proclamava.
Johnny aprì lentamente gli occhi e mi osservò.
« Non guardarmi così, sembri una stalker.»
« Quanto amore di prima mattina...» Mi chinai per sfiorargli le labbra, e lui ne approfittò per afferrarmi per i fianchi e guidarmi su di lui.
Feci scorrere lentamente le dita delle mani dal suo ventre alle spalle e poi lungo le braccia, osservando i tatuaggi e percorrendoli con cura come se fossero quadri. Come se lui, Johnny, fosse una scultura pregiata creata unicamente per essere osservata.
Lui mi osservava curioso. Forse cercava di capire cosa mi passasse per la mente, ma in realtà pensavo solo che avrei desiderato osservare i suoi tatuaggi per tutta la vita, che fosse finita il giorno seguente o dopo cent'anni.
« Scendiamo a fare colazione?» Chiese. Arricciando le labbra annuii e, dopo un altro bacio, mi alzai e recuperai la sua camicia da terra. Johnny si allungo verso di me e mi afferrò il polso.
« Dai, che è tardi...»
« Dovresti pensarci due volte prima di uscire così.» Sollevò le sopracciglia, come a intendere qualcosa che mi sfuggiva.
I bambini.

Preferii scendere e iniziare a preparare la colazione mentre lui svegliava i bambini, invece del contrario. Dopotutto li conoscevo solo da un giorno.
Johnny mi aveva chiesto di preparare tè e caffè, dei toast e dei pancake, per poi mettere tutto sul tavolo. Stavo apparecchiando quando sentii una voce alle mie spalle.
« Ho letto tutto su di te, lo sai?» Spalancai gli occhi e, voltandomi, trovai una Lily Rose in un vestitino viola già pronta per partire. Mi prese dalle mani il contenitore dello zucchero. Per un attimo credetti che volesse tirarmelo addosso.
« O...kay...»
« So che potresti essere la figlia di mio padre.» Ridusse gli occhi a una fessura.
« E tu potresti essere mia figlia.»
« Ma non lo sono!»
« Esatto.»
Sorridendo, recuperai lo zucchero e portai tutto sul tavolo. Di cosa stesse cercando di accusarmi era un mistero, ma non ne avrei parlato con Johnny. In fondo era solo una ragazzina spaventata che potessi prendere il posto di sua madre, cosa che non sarebbe mai successa. A dire il vero, vista l'età di Johnny, ciò che diceva non era sbagliato. Tuttavia non ero sua figlia ed eravamo entrambi adulti, quindi il problema non sussisteva affatto. In un mondo in cui bambine diventano madri a 8-9 anni, l'età diventa sopravvalutata.
Johnny e Jack ci raggiunsero poco dopo e facemmo tutti colazione insieme, per poi uscire. Johnny accompagnò prima i ragazzi, poi me.
« Ci rivediamo domani mattina...» La sua non era una domanda.
« Domani?»
« Sì. Non ti sto nascondendo nulla, ma devo sistemare un paio di cose.» Era diventato di colpo serio, il che mi spaventava. Ogni volta che succedeva, si allontanava irrimediabilmente.
« Sicuro che non sia successo nulla?»
Accennò un sorriso. « Sicurissimo.»
Gli lasciai un casto bacio sulla guancia prima di scendere ed entrare nell'edificio che ospitava la redazione del Rolling Stone. Ero una stupida. Non potevo impazzire solo perché mi aveva detto che non ci saremmo potuti vedere quel giorno. Cavolo, stavo diventato più paranoica di quella Bella Swan.
Appena arrivata in ufficio, Jack mi guardò e, nonostante fosse ancora al telefono, con un gesto della mano mi fece intendere che dovevo raggiungerlo. Ignorai le occhiate dei miei colleghi e camminai per il corridoio tra le varie postazioni prima di raggiungere quella che, in quell'istante, mi sembrava una gabbia di vetro.
« Sì, è appena arrivata... sì, glielo dico.... no, grazie a te per l'opportunità... lo so, lo so, è brava... ciao... sì, ciao.» Mise giù il ricevitore e mantenne lo sguardo basso per un po'.
« Volevi vedermi?»
« Ho appena parlato con Johnny. Mi ha detto dell'accordo che ti hanno proposto.» Indugiò un po', come al suo solito, mentre io lo guardavo sconvolta. Johnny, brutto pezzo di... « Nonostante ciò che abbiano potuto dirti, ti voglio qui.»
« Mi vuoi qui solo perché faccio vendere.»
Alzò un dito in segno di protesta, invece si limitò a precisare. « Se vendi, guadagna la redazione, guadagno io, ma, più di tutti... guadagni tu. Aumento dello stipendio, e potrai lavorare a casa anche sei giorni alla settimana. Continuano ad arrivare email di persone che leggono la rubrica su Johnny e che vogliono che tu faccia lo stesso con altri attori.»
Rimasi in silenzio per un po', scostai una sedia dalla scrivania e mi sedetti lasciando cadere a terra la borsa. « Se ti dicessi che voglio iniziare a scrivere davvero, e non solo come giornalista... cosa diresti?»
« Direi:”Non dovresti seguire i tuoi sogni?". So che è sempre stato questo il tuo obiettivo, quindi il tempo a casa puoi sfruttarlo come vuoi.»
« Sei proprio un furbo figlio-»
« Uh-uh. Fa' la brava giornalista, accetta, firma e torna a lavorare!» Mi riprese scuotendo la testa.
Arricciai il naso in segno di protesta, ma in ogni caso presi la penna e misi un paio di firme sui fogli che mi stava porgendo

Rincontrai davvero Johnny la mattina seguente. Avevo passato la serata a chiacchierare con Claire che aveva fatto l'immenso sacrificio di separarsi da Clive. Mi aveva raccontato di come le cose tra loro due si erano evolute. Aveva cercato di nasconderlo fino al giorno prima, quando li avevo trovati l'uno sull'altra sul divano. A parte lo shock iniziale, ero piuttosto curiosa di conoscere la storia dietro quella coppia così strana. Quindi mi spiegò tutto, e io le raccontai degli ultimi sviluppi dell'idillio Chester-Depp.
Ma Johnny, quella mattina, con un maglioncino, dei jeans e senza le collane e gli anelli che lo caratterizzavano, non sembrava neanche lui. Sorrideva come se non esistesse alcuna pena al mondo. Indossava il
nostro cappello. Passando di fianco alla mia scrivania, ammiccò prima di voltarsi, per poi scomparire lungo il corridoio e riapparire nell'ufficio di Jack. Si salutarono amichevolmente con un abbraccio mentre un terzo uomo seduto sul divanetto all'angolo tirava fuori da un borsone una macchina fotografica professionale e iniziava a scattare qualche foto alla coppia. Erano passati pochi minuti quando vidi il fotografo uscire dall'ufficio e avviarsi nella mia direzione. Mi fece un cenno, si voltò e riprese a camminare aspettandosi che lo seguissi. Ma perché avrei dovuto? Quando non sentì passi dietro di sé, si girò a guardarmi e spalancò gli occhi.
« Allora, ti muovi o no? Ho un altro servizio alle 11.»
Questa volta più obbedente, mi alzai e lo raggiunsi a passetti veloci. Prendemmo l'ascensore e salimmo di un paio di piani, fino ad arrivare all'attico. Non ero mai stata lì specialmente perché era su quel piano che si svolgevano i maggiori servizi fotografici. C'era una stanza con tre muri di vetro da cui si poteva osservare tutta Los Angeles, un'altra invece sommersa nel buio. A volte, in casi speciali, Rolling Stone affittava location esterne per un giorno. Quello non era un caso speciale, era molto di più. Tre grandi pareti di cartone erano state montate all'interno della stanza e su di queste erano spillate frasi stampate, citazioni dai 3 articoli che avevo scritto fino a quel momento.
Vidi Johnny solo quando mi portarono nella zona trucco. Era seduto e mi lanciò uno sguardo veloce e un sorriso prima che una truccatrice gli spostaste il viso dalla parte opposta. Mi squadrò come se volesse giudicare e capire se fossi adatta a Johnny, se fossi abbastanza. Abbastanza brava, abbastanza bella, abbastanza fotogenica da riuscire a stare sotto le telecamere senza impazzire. Dalla sua espressione sembrò pensare che avrebbe preferito vedere se stessa affianco all'attore. E chi poteva biasimarla?
Riuscii a salvarmi da quella tortura, tra trucco e fotografie backstage del ragazzo di prima, solo dopo un'oretta e mezza, quando poi m'infilarono in un vestito bianco da cui avrei giurato di poter schizzare fuori da un secondo all'altro. Mi allungarono di una decina di centimetri con due trampoli neri e ci portarono direttamente in una saletta arredata solo lungo due pareti, dove venivano effettuate le riprese. Sugli scaffali, lì dove solitamente c'erano montagne di vinili, ora erano presenti solo vecchie cassette, film ormai dimenticati, mentre un angolo speciale era dedicato alla carriera di Johnny. In un angolo, dentro scatoloni di plastica, erano raggruppati tutti i dischi che, ne ero sicura, sarebbero tornati al proprio posto una volta che fosse finita quella giornata.
Ci fecero sedere su due divanetti beige su cui erano poggiati cuscini di diverse tonalità di rosso. Un vero colpo all'occhio.
Ancora non capivo cosa ci stessi facendo lì. Provai a chiederlo al cameraman che scosse la testa. Una volta seduti lì, Johnny si sporse verso di me e mi accarezzò una guancia.
« Sembri una bambola di porcellana.» Sussurrò sorridente. Mi sfiorò le labbra mentre io arrossivo.
Mi aveva baciata. Lì, davanti a tutti. Davanti al fotografo che continuava a scattare foto a raffica, come un tornado. Un tornado che stava rubando tutti i miei momenti d'intimità con Johnny per pubblicarli su carta. I nostri momenti.
« Vuoi spiegarmi che diavolo succede?»
« Non succede nulla. Jack voleva un articolo, e io ho intenzione di dargli un articolo. Non voglio più nascondermi...» Mormorò. Mi guardava negli occhi e quando lo faceva in quel modo, sfiorandomi, non riuscivo a ragionare. Ma sospirai, e mi allontanai.
« Siamo in due su questa barca, Johnny. Non puoi decidere tutto d'un tratto di voler portare questa relazione ufficialmente allo scoperto senza chiedermi nulla.»
Parve colpito, tutto d'un tratto dubbioso. « Pensavo ne fossi felice.»
« E lo sono...» Mi affrettai a dire. « Ma avrei preferito parlarne prima. Forse questo non è il modo migliore per farlo vedere al mondo intero.»
« Questa è un'intervista che uscirà insieme all'ultimo numero di martedì, nulla di più. Hanno organizzato tutto questo per te, perché credono che questo sia il futuro del giornalismo al Rolling Stone. Scoprire mondi standoci davvero a contatto. Questo non è per me, io faccio solo parte di un grande ingranaggio. Sei tu che fai girare tutto.»
Mi voltai dalla parte opposta, imbarazzata. « Non mi addolcirai con queste parole...»
Sentii una risata provenire dall'attore. « Posso comunque provare.»
C'interruppe il cameraman, che con uno schiocco di dita c'indicò che stava per accendere la telecamera. Nessun intervistatore. E poi capii.
« Due domande a testa, in dieci minuti dovremmo aver finito. Bionda, inizia tu.»
Lo fulminai con un'occhiata proprio mentre la spia verde indicava che aveva iniziato a riprendere.
Mi voltai verso Johnny, colta all'improvviso da una risatina imbarazzata. Abbassai lo sguardo, poi lo fissai. Ero diventata giornalista dell'intervista che mi aveva promesso quando mi aveva fatto indossare quel vestito, e di cui non avevamo più riparlato.
« Mi detestavi quando questa avventura è iniziata, ma con il tempo non mi hai più ritenuto una minaccia. Cosa ti ha fatto cambiare idea e com'è stato aprire la tua vita al resto del mondo?»
Lui indugiò solo qualche attimo prima di iniziare a rispondere. « Credo che noi attori... noi persone del mondo dello spettacolo... siamo sempre un passo avanti verso le persone che ci seguono. Siamo come tante piccole lune, capisci cosa intendo? Insomma... mostriamo solo un lato della nostra vita privata, poi un altro, e infine un altro ancora, come delle anteprime. Ci dividiamo. Quest'articolo mi ha fatto diventare una luna circondata da soli, solo che tu eri quei soli. E lo dico senza voler sembrare teatrale. Era il momento di portare un po' di verità in un mondo costruito su bugie.» Sorrise, e già immaginavo centinaia di ragazzine con la tachicardia davanti a quell'immagine. Potevo immaginarlo perché era ciò che mi sentivo io in quel momento. Una ragazzina. « Tocca a me! Allora...» Si abbandonò allo schienale della sedia intrecciando le mani sulle proprie gambe. « Perché hai accettato l'incarico?»
« Mi hanno fatto un'offerta che non ho potuto rifiutare.»
« Avanti, fatti illuminare anche tu!»
« Okay... ho pensato che anche se fossi stato uno stronzo egocentrico, tanto valeva provarlo sulla pelle. Purtroppo mi sono sbagliata, o per fortuna. Non so se mi sarebbe piaciuto deludere migliaia di tue fan.» Accennai un sorriso a cui lui rispose senza esitazione.
« Bene, tocca a te.»
« Mmh... Dev'essere una buona domanda... Credi che lascerai mai il mondo dello spettacolo?»
« Difficile saperlo...» Si morse il labbro inferiore, pensieroso. « Credo che inizierò a svanire pian piano...» Sollevò la mano destra e iniziò a muovere le dita come se dovessero formare una piccola onda mentre spostava lentamente la mano di lato. « ... fino a scomparire completamente. Non voglio che ci siano progetti noti a tutti e poi mai completati. Non dico che, compiuti i settant'anni, mi ritirerò completamente, ma inizierò a lavorare dietro le quinte, o almeno questo è ciò che penso ora. Potrei morire domani o oggi stesso, quindi non voglio fare piani. Okay... mh... Qual è stata la prima cosa che hai scritto?»
Ci dovetti pensare un po' prima di trovare una risposta. « In realtà... era un racconto, ciò a cui avevo assistito il giorno prima. A casa ci era arrivato un gattino, e tu hai visto dove abitavo, intorno c'è la desolazione, è tutta campagna... quindi abbiamo dovuto tenerlo per una giornata. Appena arrivato, il gatto aveva iniziato ad agitarsi contro il cane che avevamo ormai da un paio d'anni, un cane da caccia con cui mio padre usciva una volta alla settimana. La sera ci fu un temporale. Il gattino salì le scale fino alla mia stanza e cercò di trovare rifugio sul tappeto, dove c'era già il cane. Ma quello si fece da parte e con la coda tenne al caldo il gatto per tutta la notte.»
« E quale sarà l'ultimo tuo racconto?»
Avrei potuto obiettare dicendo che le domande erano finite, che non poteva barare così, tuttavia scrollai le spalle. « Parlerà di un attore scontroso e di una giornalista in cerca di rifugio.»
La spia verde diventò rossa, annunciando che la registrazione era finita. Colpii Johnny sulla spalla ridendo, riprendendolo per quella sua ultima uscita, ma lui mi cinse la vita con un braccio, mi spinse contro di sé e mi baciò con passione, muovendo lentamente le labbra sulle mie. Mi lasciai andare a quel bacio portando una mano intorno al colletto della camicia.
« Andiamo...» Sussurrò dopo un po'. « Abbiamo delle foto che ci aspettano.»
Finsi di non notare le persone che ci guardavano come se fossimo fuori di testa perché non m'interessava davvero nulla di ciò che pensavano. Ci ritoccarono il trucco e poi ci fecero stare in piedi in pose diverse di fronte ai tre cartelloni ricoperti di scritte. Ridevamo entrambi, perché, nonostante Johnny avesse fatto centinaia di servizi fotografici, quello ci sembrava un gioco, e al fotografo sembrava non importare.
Il ragazzo fu libero per le 10:50, giusto in tempo per impacchettare tutto e raggiungere in macchina – traffico permettendo – il suo prossimo set.
La giornata con Johnny passò velocemente. Scappammo dalla redazione indossando ancora i vestiti dell'intervista, prendemmo una bottiglia di champagne e brindammo a qualcosa che non ricordo esattamente.
Doveva essere stato un pretesto davvero stupido, però.
Quella sera dormii da lui, come la sera seguente, e quella dopo...


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Capitolo 19
*** Day Twenty eight/Twenty nine/Thirty ~ This is everything I've ever dreamed of ***


19. Day Twenty eight_Twenty nine_Thirty -This is everything I've ever dreamed of

Day Twenty eight/Twenty nine/Thirty - This is everything I've ever dreamed of

Qual è la definizione di week-end romantico? Perché di sicuro non è quello che passai io con Johnny, specialmente perché Johnny non lo vidi affatto.
Sabato, dopo il servizio fotografico e il pomeriggio passato sul divano a festeggiare, eravamo andati a prendere i bambini a scuola e avevamo cenato tutti insieme in un ristorante alla periferia di Los Angeles, come se fossimo una famiglia. Alcune persone, vedendoci entrare, borbottarono tra di loro, ma Johnny era amico del proprietario del locale quindi nessuno osò avvicinarsi per chiedere autografi o fare foto. In realtà, fu la cosa più vicina alla normalità di qualsiasi altro evento di quel giorno.
Quella notte, stesa di fianco a Johnny, mi resi conto che la normalità è un concetto piuttosto soggettivo. Tutto dipende dalla vita che una persona ha avuto, dalla vita che una persona si aspetta di avere, dalle abitudini, dagli appuntamenti, dalle persone che frequenta. Ciò che era normale per me non era normale per Johnny e viceversa. Se io il week-end mi prefissavo di non pensare al lavoro, Johnny si prendeva un mese sabbatico senza pensarci due volte. Quello per lui era normale. Una decisione del genere presa da me mi avrebbe fatto perdere il lavoro.
Jack sul contratto aveva inserito come data di inizio del mio nuovo lavoro il lunedì successivo, il che significava che avrebbe potuto sfruttarmi per qualche altro giorno. E lo fece. Domenica mattina mi chiamò alle sei di mattina per informarmi gentilmente che voleva per lunedì mattina l'articolo sulla sua cattedra, quindi dovevo recarmi immediatamente in ufficio per finire di scrivere. Di malavoglia, mi spostai lontana dall'abbraccio dell'attore, mi chiusi in bagno per una doccia veloce e poi uscii diretta verso la solita caffetteria per fare colazione.
Appena entrata, m'immobilizzai. Deglutii. Stava leggendo il giornale mentre sorseggiava un caffè. Non mi aveva vista, quindi avrei potuto far finta di nulla e uscire di fretta. Ma non lo feci. Scivolai sulla sedia e poggiai la borsa a terra.
« Logan...»
Gli occhi che fino a prima scorrevano veloci sulle pagine in bianco e nero si fermarono all'improvviso. Le mani si contrassero come se avessero voluto strappare la carta, però lui mantenne la calma, ripiegò il giornale e mi guardò.
« Helen.»
Mi dedicò uno sguardo veloce prima di concentrarsi sul liquido nella tazza che aveva preso tra le mani.
Ordinai un caffè e una brioche da portare via.
« Come stai?» Chiesi accennando un sorriso. Non parlavamo da un po', e l'ultima volta che ci eravamo visti non ci eravamo salutati in modo... “civile”.
« Sto bene, Helen, sto bene... Tu invece?» Dal modo in cui lo chiese sembrava già conoscere la risposta, quindi mi limitai a scrollare le spalle. « Sì, ho parlato con Claire. Sono... felice per te, suppongo. È questo quello che dicono, no? Mi chiedo solo se tu sia pronta a sopportare ciò che accadrà quando tutto diventerà pubblico.»
Improvvisamente, mi resi conto dell'errore che avevo fatto sedendomi lì. Avrei dovuto ignorarlo e andare via, invece avevo sentito il bisogno di scusarmi per il modo in cui lo avevo trattato. Lui era ancora ferito, era visibile, ma io non potevo più farci nulla. Logan non era più una mia preoccupazione. Non lo era mai stato.
Il cameriere mi portò ciò che avevo ordinato all'interno di un sacchetto di carta, quindi mi alzai.
« Trova qualcun altro da amare, Logan. Magari la prossima volta sarai più fortunato.»
Mentre mi allontanavo, sentii un “in bocca al lupo” appena sussurrato.

Passai tutta la domenica, senza sosta, a scrivere e poi correggere il quarto e finale articolo che sarebbe uscito quel martedì. Avevo già una bozza sul quaderno degli appunti che portavo sempre con me, ma mi vidi costretta a cambiare praticamente tutto. Jack passò circa ogni una o due ore, mentre per il resto del tempo restò nel suo ufficio a fare telefonate e a tenermi d'occhio, oppure a ricevere star varie. Alcune di loro, lo sapevo, sarebbero state le mie prossime “vittime”, o meglio, ben presto avrei dovuto scrivere articoli su di loro. Jack mi aveva rassicurata dicendo che non sarebbero più stati 30 giorni ma solo 7 di “pedinamento”. Al contrario di Johnny, non erano star che dovevano far dimenticare degli scandali recenti, ma semplicemente celebrità che erano state convinte dai propri agenti che un articolo in più poteva solo aumentare la fama e, di conseguenza, contratti per nuovi film o serie tv.
Il mio attore era preoccupato che potessi innamorarmi di loro, ma lo avevo rassicurato dicendo che in una settimana al massimo sarei riuscita ad andare a letto con qualcuno di loro, non altro. La risposta era stata cinque minuti buoni di solletico non-stop. Dopo avevo ritrattato tutto e gli avevo promesso che ci sarebbe stato al limite un bacio.
Ero davvero terrorizzata all'idea di conoscere altre persone di Hollywood. Avevo pensato di parlarne con Jack e confessargli che avevo cambiato idea, che non volevo farlo, ma riflettendo su ciò che mi aveva offerto capivo che non potevo farlo: era una grande opportunità per me – come lo era stato il primo incontro con Johnny – che di sicuro mi avrebbe dato nuovi spunti per il mio libro.
Alle 19 molti iniziarono ad andare via, ma io non avevo ancora finito. Alle 20 ero rimasta l'unica sul piano, e fortunatamente stavo finendo di stampare le venti pagine dell'articolo quando arrivò la donna delle pulizie con l'aspirapolvere. Quel rumore assordante mi fece tornare in mente l'intervista di Johnny all'Inside The Actors Studio e le sue risposte alle domande di rito. Diceva che il suono che detestava di più era quello dell'aspirapolvere, e quello che amava di più era quello della risata di sua figlia. Immaginai come dovevano essere felici in quel periodo, lui e Vanessa, e mi sorse spontanea una domanda che mi rovinò l'intera serata.

Avevo aperto l'ufficio di Jack con la chiave che mi aveva dato lui stesso e avevo poggiato il fascio di fogli sulla sua scrivania. Uscendo, avevo recuperato la mia borsa e avevo corso fino alla macchina sotto la pioggia.
« Claire...» Stavo piangendo. Sapevo che solo lei avrebbe potuto calmarmi e farmi ragionare, ma proprio non si sbrigava, non voleva rispondere al telefono.
Rimasi rannicchiata, con le ginocchia piegate sotto il mento, al posto del guidatore della mia Mustang, impossibilitata a fare altro. La pioggia, violenta contro il parabrezza, sembrava indirizzata contro di me dal vento, voleva raggiungermi. Per un attimo fui quasi tentata dall'idea di aprire il finestrino e lasciare che l'acqua entrasse senza sosta. Ma non lo feci. Rimasi immobile fin quando sentii il cellulare vibrare nella borsa. Lo afferrai in fretta. Segnava le 22:34.
« Sì?»
« Helen? Dove sei? Ti sto aspettando, sto provando a chiamarti dalle nove!»
« Johnny, io...»
« Stai bene?»
Rimasi in silenzio per un po', cercando di non iniziare a singhiozzare. « Ho finito da poco in redazione, sono... sono in macchina.»
« Perché stai piangendo?» Più che preoccupato, ora sembrava arrabbiato. Arrabbiato perché gli stavo nascondendo qualcosa.
« Sono... felice del successo dell'articolo, tutto qui.»
Vidi una figura correre attraverso la pioggia, nella mia direzione, mentre aspettavo una risposta di Johnny. L'unica cosa di cui avevo bisogno erano altri paparazzi invadenti.
La persona fuori armeggiò con la portiera e già mi stavo preparando a colpirlo – la mia unica arma era il cellulare, capitemi... – tuttavia apparve il volto dell'attore, il mio attore. Lo fissai impotente, afferrai la borsa dal sedile del passeggero, ci ficcai dentro il cellulare e la lanciai sul sedile posteriore. Era completamente zuppo, il che mi fece pensare che probabilmente era rimasto ad aspettare fuori dalla redazione che uscissi.
« Che ci fai qui?»
Lui si allungò verso di me e mi accarezzò una guancia. L'intento probabilmente era di cancellare le lacrime, ma finì solo per bagnarmi il volto. Il contatto mi causò un brivido.
« Sei freddo.»
Mi voltai completamente verso di lui, piegando la gamba destra sotto la sinistra, e appoggiai la testa contro il sedile.
La sua mano, prima portata sul mio viso, si fermò al limitare del mio sedile e lui si avvicinò per sfiorare le mie labbra con le sue.
« Cos'è successo?» Sussurrò lui incontrando i miei occhi. Distolsi lo sguardo e tornai a fissare le gocce contro il lunotto.
Scossi la testa un paio di volte, tuttavia Johnny mi fermò il mento con tre dita e mi costrinse a guardarlo.
« Parla.»
Arricciai le labbra, contrariata. Quello era uno dei tanti discorsi che devono essere impacchettati e riposti in un angolo della mente, dimenticati, sperando che non tornino un giorno o nell'altro in uno di quegli attacchi a tradimento. Perché certi discorsi, se ti accoltellano alle spalle un giorno di primavera, mentre magari sei semplicemente in giardino a potare le rose, ti lasciano lì a dissanguare lentamente, costringendoti a strisciare per andare avanti. E poi un cerotto non basta più.
« Se io non fossi arrivata... se Jack non mi avesse chiesto di scrivere questo articolo, o se magari le cose tra di noi fossero andate in modo diverso... credi che adesso con te ci sarebbe stata Vanessa?»
Lui sfoggiò uno dei suoi sorrisi disarmanti,
« Helen... le cose tra me e Vanessa erano finite da tempo. Da molto prima che tu arrivassi. Quello che è successo in Francia, o ciò che è accaduto quando lei è venuta qui a Los Angeles, non significa che io l'ho amata per tutto questo tempo, solo che lei è fin troppo insistente. Se mi stai chiedendo se hai rovinato una famiglia, la risposta è no. Non vorrei crescere i miei figli al fianco di qualcuno che non amo, per questo ora ci sei tu.»
« Quindi... non sono una persona orribile?»
Accennò una risata. « No, non sei una persona orribile.»
Fui io a buttargli le braccia al collo, ad affondare le mani tra i suoi capelli e a dare via a un bacio che si protrasse per diversi minuti.
« Tu... il mio lavoro... sono felice. Questo è tutto ciò che ho sempre sognato...» Sussurrai tra le sue braccia.


Jack mi aveva chiamata, come al solito, con un gesto della mano. Ora era seduto alla scrivania e fissava il foglio, poi me, poi di nuovo il foglio. A tratti alzava un dito per correggermi qualcosa, ma la maggior parte delle volte ci ripensava e continuava la lettura. Aveva aspettato che arrivassi – quel giorno non mi aveva svegliata alle 6 – affinché potessimo correggere l'articolo insieme. Solo che di errori non ce n'erano, visto che avevo passato tutto il pomeriggio precedente a rileggere e a correggere.
« Bene, bene...» Borbottò dopo un po'. « Ti sei davvero impegnata.»
« Come sempre.» Commentai arricciando le labbra. Il fatto che sospettasse che non mi ero impegnata mi aveva fatto leggermente innervosire. Forse perché quella notte non avevo dormito molto, ero molto suscettibile.
« Certo. Come limite ti avevo dato 15 pagine, ma okay, vedremo di chiamare la tipografia, sto giusto portando tutto ora.»
Sulla scrivania, dentro una cartellina aperta, riuscivo a intravedere le foto e l'intervista di sabato.
« Posso...?» Chiesi allungando una mano.
Lui annuì, e io presi in mano la cartellina e sfogliai i tre fogli totali di un'intervista durata 10 minuti.
« Chi ha scritto tutto?»
« Ruth.»
Sospirai profondamente. « Proprio lei?»
« È brava nel suo lavoro, non lasciarti influenzare dal modo in cui si comporta.»
Scrollai le spalle. « Ormai è fatta.»
Lessi qualche riga e notai che non aveva mostrato affatto il suo odio tra le parole, anzi, tutto sembrava molto lusinghiero. Mi chiesi cosa dovesse avergli offerto Jack. Presi tra le mani una delle foto che ci aveva scattato il ragazzo impegnato; dovetti ammettere che ci sapeva fare, e non poco. Sembravamo quasi una coppia qualunque di Hollywood, solo che non era così.
« La vostra intervista è già su Internet... i fan vi adorano.»
« Davvero? Sul sito del Rolling Stone?»
« Sì, vuoi vederla?» Si sporse verso lo schermo del computer e con il mouse iniziò a cercare qualcosa su Internet
« No, no, tranquillo, lo vedrò poi dalla postazione.»
« Okay, allora io scappo. A domani, Helen.»
Lo osservai radunare tutto il necessario per la tipografia, poi lo seguii con lo sguardo mentre lasciava l'ufficio. Pochi attimi dopo, mi alzai e uscii.


Ebbi il resto della giornata per prepararmi a ciò che sarebbe successo il giorno seguente, martedì.
Non fu abbastanza.
Quella mattina, via posta, era arrivata l'edizione speciale del Rolling Stone, e Johnny, dopo averla letta d'un fiato, l'aveva messa sul comodino, in modo che potessi vederla. Il copertina c'era una nostra foto insieme, quella in cui io stavo ridendo appoggiandogli una mano sulla spalla e lui mi guardava sorridente. Durante il servizio non avevo notato quel suo sguardo, quello che più tardi Claire avrebbe definito “simile allo sguardo di una donna che guarda una diamante che le apparterrà per sempre”.
Sapevo che era tardi e che Johnny era già uscito ad accompagnare i bambini, ciò non mi aspettavo era di rincontrarlo in redazione, insieme a tutti gli altri giornalisti e all'editore. L'edificio era grande, e ogni piano si occupava di una sezione diversa del giornale (politica, musica, cinematografia...) eppure quel giorno tutti i pezzi grossi erano lì a congratularsi con me. In realtà erano lì solo perché il loro stipendio presto sarebbe stato aumentato, ma non diedi molta importanza a quel dettaglio.
Ciò che il giornale aveva deciso di fare era modernizzare il modo di intervistare. Molti credevano che fosse impossibile conoscere qualcuno solo in venti minuti, quindi ecco che questa nuova soluzione usciva fuori al momento adatto. Onestamente non credevo che fosse un'idea degna di una festa del genere, ma era troppo tardi per fermarla. Risposi a ogni domanda che mi fu posta, parlai con ogni singola persona nella stanza tra un bicchiere di champagne e l'altro, quindi lasciai l'edificio solo a pomeriggio inoltrato con Johnny.
« Sono passati 30 giorni...» Mormorò lui mentre raggiungevamo la macchina.
« Già. 30 giorni in cui ho imparato come odiare davvero qualcuno.»
« Parli di Logan, vero?»
Accennai una risata. « Logan o te, come preferisci.» Gli lanciai un'occhiata.
« Oh, avanti, non puoi paragonarmi a lui! Io ho un'isola!»
« Sì, Mr. Depp, ma non vantartene!»
« Lo tiro fuori quando può farmi comodo.» Rimase in silenzio per un paio di secondi. « Senza contare che hanno fatto una mia statua di cera!»



(Beh, ma buongiorno!
Non ci sentiamo da un po', è vero, però ora sono qui perché siamo giunti (quasi) alla fine. Tra un paio di giorni (spero) pubblicherò un piccolopiccolopiccolo epilogo, giusto per vedere come se la caveranno Helen e Johnny dopo qualche mese. Visto che il primo capitolo è chiamato ''The beginning of a nightmare'' mi è sembrato più che appropriato chiamare l'epilogo ''The beginning of a dream'', giusto per restare in tema.
Ringrazio tutte coloro che mi hanno seguito sin dall'inizio e quelle che hanno iniziato a leggere solo una settimana fa, quelle che hanno recensito e quelle che sono rimaste in silenzio perché sono 'timide' (vi capisco, anch'io sono pigra, non vi abbattete).
Quindi nulla, grazie grazie grazie! È stata davvero una gioia per me riuscire a portare questa ff su Johnny su EFP, e vi assicuro che a volte ho creduto seriamente di non riuscire a portare a termine ciò che avevo iniziato. Se ce l'ho fatta, è tutto merito vostro.
Adieu, mes amies, e...
Cheers!~
)

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Capitolo 20
*** The beginning of a dream. ***


The beginning of a dream

Peter Dinklage sfila di fianco a me con un bicchiere pieno fino all'orlo in mano. Quando mi nota, si ferma, alza lo sguardo e mi sorride.
« Mi hanno fatto leggere di nascosto il primo capitolo.» Alza il bicchiere verso di me a mò di brindisi.
« Non sono George Martin, ma faccio quel che posso!»
« Beh... se mai decideranno di farne un film, sarò ben lieto di interpretare me stesso. Per te accetterei qualsiasi ruolo all'infuori dell'elfo.»
Sorrido. « Non dirlo a tua moglie, però.»
« No, tranquilla, sei al sicuro ancora per un po'. O no...» Lui si gira e incontra con lo sguardo la moglie che arriva a passi veloci. Gli prende la mano e si china per lasciargli un dolce bacio sulle labbra. Sono la coppia più carina qui dentro. Forse più di Anna Paquin e Alexander Skarsgard che si guardano di continuo seduti sul divanetto all'angolo. Dopo il divorzio tra la Paquin e
Stephen Moyer, i due si sono ritrovati sul set di True Blood.
Al centro della sala che la mia agente, Claire, ha affittato, si trova il bancone di esposizione del libro. Un giorno prima della stampa ho chiamato il fotografo che andava di fretta durante l'intervista che abbiamo fatto io e Johnny prima della pubblicazione dell'ultima parte dell'articolo che mi ha permesso di fare tutto questo. Ho chiamato lui e tutti gli attori le cui interviste sono contenute nel libro e ora sulla copertina fanno bella mostra i primi piani degli attori. Formano una specie di mosaico della lettera 'H'. Egocentrica.
Ci sono
Anna e Alexander. Il loro 'coming out' ha fatto piuttosto scalpore, soprattutto tra i fan, poiché tutti erano piuttosto convinti che i rumor sul divorzio tra lei e il 'tenebroso Bill' fossero appunto solo tali.
C'è
Peter Dinklage con la sua vita come uno dei pochi attori affetto da nanismo preso sul serio. Ricky Gervais teneva occupato Warwick Davis, e in più avevo potuto promettere al ''Folletto'' [n.d.s. ''Folletto'' è il soprannome del personaggio di Peter Dinklage nel Trono di Spade] che, al contrario del suo collega, non l'avrei infilato in un water.
C'è Evan Peters perché uno dei personaggi principali di uno dei migliori telefilm horror del momento, e perché personalmente lo adoro.
Ci sono
Robert Downey Jr e Benedict Cumberbatch, che hanno parlato del loro essere Sherlock Holmes in due Paesi differenti e spesso in contrastro.
C'è un breve cameo di
Nathan Fillion sul suo vecchio personaggio, il capitano Mal, nella serie Firefly.
C'è
Ian Somerhalder, che per una settimana ha messo da parte i vestiti di Damon Salvatore in The Vampire Diaries per indossare quelli del filantropo che ha creato una propria fondazione, trascinandomi da una conferenza all'altra in giro per l'America.
Ci sono
Carrie Brownstein e Fred Armisen, protagonisti dell'assurda quanto innovativa serie Portlandia. Devo dire che scoprire Portland con loro come guide è stata un'esperienza entusiasmante.
Più che un libro sulla situazione degli attori nel mondo della televisione e del cinema, forse sembra più una guida turistica, ma non importa. È il mio lavoro, è qualcosa su cui ho lavorato per mesi e mesi, ed è questo l'importante.
Beh, forse dovrei informarvi un po' sugli avvenimenti recenti. Claire ha trovato la sua vera ispirazione e, dopo corsi su corsi, è diventata ufficialmente la mia agente. In fondo è qualcuno che conosco da sempre e di cui mi posso fidare. Si è sposata con Clive e hanno avuto un bambino, Thomas. È davvero un amore, e Clive con un esserino così piccolo in braccio è davvero uno spettacolo da non perdere.
Per quanto mi riguarda, un mese fa ho smesso di lavorare per il Rolling Stone, nel momento cruciale nella vita di qualsiasi scrittore : la fine del libro. Le pressioni di Jack servivano solo a farmi tornare a casa stanca e nervosa, così un bel giorno ho dato il contratto in mano al mio avvocato – beh, in realtà è uno degli avvocati di Johnny – e ho abbandonato tutto.
Io e Johnny, dite ? Sì, noi siamo felici. Abbiamo deciso di non avere figli, di crescere Lily Rose e Jack, che ormai stanno diventando grandi. Viviamo insieme nella sua villa a Los Angeles e passiamo i pomeriggi in salotto, lui sul divano e io sulla poltrona, lui a suonare e io a scrivere. Dubito che sarei riuscita a inseguire il mio sogno senza di lui. Ormai dubito di riuscire a buttare giù una sola frase senza la sua chitarra in sottofondo. Ci sono certi supereroi nei cartoni che hanno bisogno di un oggetto magico per riuscire a trasformarsi e a fare ciò che fanno meglio. Io ho bisogno delle sue melodie.
Viene nella mia direzione con un sorriso stampato sulle labbra. In lontananza vedo Marilyn Manson salire sul palco. Ha insistito così tanto sul voler suonare alla festa della presentazione del mio libro che non ho saputo dirgli di no. Ora l'osservo e, sentendo il braccio di Johnny intorno ai miei fianchi, mi sembra di vivere un sogno ad occhi aperti, e ho sempre più paura di svegliarmi.
« Non lasciarmi andare.» Sussurro al suo orecchio, senza abbandonare quel finto sorriso che ho imparato ad indossare.
Lui mi scruta qualche attimo nella penombra del locale, sta cercando di capire il significato di quelle parole. Che sia in un futuro immediato o in questo esatto momento non importa, ciò che m'interessa è che non abbia intenzione di farlo.
« Mai.» Risponde. Dal suo sguardo capisco che sta dicendo la verità, che tutto ciò che ho vissuto standogli affianco l'ha vissuto anche lui, come uno specchio.
Mi guardo intorno e incontro gli sguardi di quelle persone, celebrità che in fondo cercano solo di migliorare un mondo in cui, ogni tanto, si ha bisogno di una risata, di uno sfogo o anche solo di smettere di pensare per qualche minuto ai propri problemi per arrivare alla fine della giornata. Celebrità che si sono aperte di fronte a me per creare qualcosa di più grande.
Qualcosa di nuovo.
Qualcosa di importante.

All the world's a stage
And all the men and women merely players
They have their exits and their entrances
[...]
Last scene of all
That ends this strange eventful history
Is second childishness and mere oblivion
Sans teeth, sans eyes, sans taste, sans everything.

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