Thirty days of hell. di Sh_NT (/viewuser.php?uid=128092)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning of a nightmare. ***
Capitolo 2: *** Day One ~ I'll show you mine if you'll show me yours ***
Capitolo 3: *** Day Two ~ Interviews? For what? ***
Capitolo 4: *** Day Three ~ Flashes ***
Capitolo 5: *** Day Four ~ Whatever Happened Last Night ***
Capitolo 6: *** Day Five ~ Talking, Kissing, Talking ***
Capitolo 7: *** Day Six ~ Dinner and... ***
Capitolo 8: *** Day Seven/Eight ~ Do I really need to write this down? ***
Capitolo 9: *** Day Nine ~ Happiness... I think. ***
Capitolo 10: *** Day Ten/Eleven/Twelve ~ Is this really happening? ***
Capitolo 11: *** Day Thirteen/Fourteen ~ Rain ***
Capitolo 12: *** Day Fifteen ~ Parenting ***
Capitolo 13: *** Day Sixteen ~ Maybe I've just waited for too long ***
Capitolo 14: *** Day Seventeen ~ I don't know where I am or where've been ***
Capitolo 15: *** Day Eighteen/Nineteen/Twenty ~ What is happening? ***
Capitolo 16: *** Day Twenty one/Twenty two/Twenty three ~ I hated you... ***
Capitolo 17: *** Day Twenty four/Twenty five ~ It's time to begin ***
Capitolo 18: *** Day Twenty six/Twenty seven ~ Weren't you supposed to follow your dreams? ***
Capitolo 19: *** Day Twenty eight/Twenty nine/Thirty ~ This is everything I've ever dreamed of ***
Capitolo 20: *** The beginning of a dream. ***
Capitolo 1 *** The beginning of a nightmare. ***
The beginning of a nightmare
The
beginning of a nightmare.
Ero
una normalissima giornalista di Rolling Stone, forse solo un po'
più
impegnata della norma ma credo che quello dipendesse dal fatto che
non avevo una vita sociale come tutte le altre ragazze della mia
età,
e proprio per questo mi sono ritrovata a fare quel dannato articolo:
perché pensavano che fossi "la più adatta" a quel
tipo di
lavoro. A saperlo non avrei mai lasciato quello sfigato del mio
ex-ragazzo così presto, sarei rimasta con lui a festeggiare
per
sempre la mia giovinezza, tra sigarette e allegre bevute. Invece no,
ho dovuto fare di testa mia, l'ho dovuto lasciare dopo l'ennesimo
"Sposami, amore, così posso baciarti quando mi pare",
frase che continuava a ripetermi da quando avevamo visto insieme
"Tutta colpa dell'amore". Già, in quegli anni continuavo a
fare errori del genere.
Il giorno in cui Tracey Jacobs entrò in
redazione fu un fomento generale, tra persone che riflettevano su chi
potesse essere interessato il caporedattore e a chi sarebbe toccato
quella volta intervistare una nuova star di Hollywood. Già,
perché
ancora non riuscivamo ad abituarci alla vita che avevamo scelto; noi
eravamo comuni esseri umani mentre loro erano sempre un gradino
più
in alto, o perlomeno questo era quello che si pensava. Tracey era
l'impiegata e il massimo esponente della United Talent Agency,
conosciuta in campo giornalistico – compresa me –
per portare
importanti contratti per interviste e grandi rivelazioni da parte
degli attori hollywoodiani, per cui potete capire il perché
di tanta
eccitazione da parte nostra.
La donna indossava il solito tailleur
grigio, tacco basso e un paio di occhiali dalla montatura leggera, e
sono a conoscenza di questi dettagli solo perché sembrava
che avesse
solamente quel completo. Con una valigetta in mano e l'altra immobile
lungo il fianco, sorpassò la folla sembrando la perfetta
imitazione
di Mosè, ed entrò nell'ufficio sotto lo sguardo
entusiasta di Jack
Mayer, caporedattore, che posò un secondo gli occhi su di me
per poi
voltarsi e seguire l'agente.
Già, avevo capito il mio destino e
avrei preferito essere sepolta viva il quel momento. Da mesi mi
assillava per un possibile articolo sulla vita di Johnny Depp, mi
aveva avvertito, mi aveva detto di prepararmi... e io cos'avevo
fatto? Avevo riso. Riso, sì, perché Johnny Depp,
riservato e nemico
delle macchine fotografiche non avrebbe mai accettato un articolo di
QUEL genere. Un mese sotto i riflettori. Dio, nessun
attore/cantante/regista/scrittore/personafamosaconuncervellofunzionante
avrebbe accettato di sottoporsi a tale tortura. Eppure era successo.
Jacobs uscì salutando con una stretta di mano il buon
vecchio Jack,
mi fissò con un sorrisetto malvagio dipinto in volto ed
uscì
apparentemente soddisfatta davanti gli occhi eccitati di decine di
giornalisti. Ovviamente Ruth, la perfida Ruth Peterson, colei che si
occupava dei più famosi, si diresse verso il capo, ma lui
aveva
occhi solo per me; m'indicò e mi fece segno di avvicinarsi.
Andavo
dritta verso l'inferno.
«Sei a conoscenza di ciò che è
successo a Johnny Depp, vero?» mi domandò appena
entrai nel suo
ufficio. Oddio, avrei dovuto? Non ero molto attenta ai giornali di
gossip, ultimamente. Annuii deglutendo a vuoto.
«Beh, dopo la
separazione da Vanessa Paradis si è lasciato un po' andare,
ha
distrutto un'altra suite e ora la sua agente vuole rinnovare la sua
immagine.» Fece una breve pausa, creò la giusta
suspanse e scoppiò
a ridere. «HA ACCETTATO L'ARTICOLO!»
urlò talmente forte che
sentii qualche sedia cadere oltre la porta, o forse era la furia di
Ruth che iniziava a divorarmi con il pensiero e mi rendeva quindi
mentalmente instabile secondo dopo secondo.
Mimai la sua
espressione per rendermi più credibile possibile
«Ma è
fantastico», quindi tornai all'espressione precedente,
impassibile,
sperando che in quel modo me la sarei cavata con poco. «Vado
a
chiamare Ruth».
Ma non feci in tempo a voltarmi che Jack mi
dichiarò finalmente la sua fantastica
notizia. «L'articolo è tuo, Helen»
Un'ora dopo ero diretta
verso il mio appartamento nella periferia di Los Angeles. Ebbene
sì,
Los Angeles. E so benissimo cosa state pensando:"Oh-mio-dio!
Johnny Depp! Quant'è figo! Perché non era felice?
E viveva anche a
due passi da casa sua! Avrei potuto fare io cambio con lei!".
Beh, sappiate che alla fine avevo accettato l'incarico, quindi potete
anche smetterla di fare certi commenti poco consoni. Non
fraintendetemi, anche allora pensavo che Johnny Depp fosse un
bell'uomo, semplicemente non m'interessava. Tutta quell'aria di
mistero, il mandare a quel paese le telecamere... io lo evitavo ogni
volta che andavo al cinema e lui mi odiava. Odiava ciò che
rappresentavo, ovvio. Proprio per questo sapevo che le prossime
settimane sarebbero state un incubo. Nulla in confronto a quello che
avrei passato quella sera, poco ma sicuro. Jack mi aveva lasciato
uscire prima per prepararmi all'incontro che si sarebbe tenuto il
giorno dopo, di conseguenza ebbi tempo di passare nel primo centro
commerciale per comprare i film più conosciuti di Depp
(a.k.a. Film
di cui avevo sentito parlare da Claire): uscii con The Libertine,
Pirati dei Caraibi, Sweeny Todd, Neverland e Secret Window e giuro
–
giuro – che riuscii a vederli tutti quella sera.
La mattina
seguente non ero sveglissima. Forse andrei più vicina alla
situazione dicendo che assomigliavo a uno zombie, ma ero pronta e
preparata dopo aver letto su internet stralci di una biografia
"dell'attore del secolo".
Negli ultimi giorni, avevo
letto, dopo la rivelazione del tradimento di una notte di Vanessa
Paradis con un cantante conosciuto anni prima, Johnny Depp l'aveva
lasciata e aveva distrutto la suite in cui si trovava per la premiere
di un nuovo film; si era chiuso a tutti, alcuni pensavano si fosse
suicidato il che non credo potesse fare bene alla sua immagine,
perciò l'adorabile Tracey Jacobs lo aveva costretto a
firmare il
contratto con... beh, me. Nessuna sorpresa quindi, che mi stesse
squadrando da capo a piedi quando arrivai davanti a casa sua
–
chiamiamola casa – con un caffè in mano e la
tracolla in spalla,
cercando in tutti i modi di non farla scivolare e fare una figura di
merda il primo giorno di, gulp, lavoro.
Avevo
detto di averlo evitato in tutti questi anni? Okay, mentivo. Claire
mi aveva costretto a vedere La Fabbrica di Cioccolato. Ecco, l'ho
ammesso. E in quel momento avevo solo paura che mi facesse affogare
nella vasca di cioccolato che nascondeva nel seminterrato, insieme al
forno gigante, e il suo parlare di continuo all'orecchio della tizia
nel tailleur di sicuro non aiutava.
Presi un profondo respiro
prima di imparare a parlare nuovamente inglese. Già da
quella
distanza riuscivo a distinguere ogni poro sulla sua pelle... senza
parlare del naso che con il tempo avrei imparato a
venerare.
«Buongiorno» mormorai con l'accento britannico
rubato
a mia madre accennando un sorriso, però non mi fecero
terminare:
subito la donna si voltò seguita dall'attore muto, per
entrare a
passetti veloci nella dimora. Rimasi immobile con la bocca aperta.
Oh, avanti, mi avevano sbattuto una porta in faccia, voi cos'avreste
fatto? Tornai in macchina dove abbandonai la tazza di caffé
vuota,
li raggiunsi in casa e li trovai chini su un pacco di fogli, seduti
ad una grande tavolata. Il posto era immenso, roba che avrei potuto
fare un pigiama party in cucina e avere anche lo spazio per il
Twister, anche se non credo che Vanessa l'avesse usata poi
così
tanto.
«Mi hanno mandata qui dalla re-»
«Vieni qui, su,
così firmiamo e puoi iniziare il tuo lavoro di
ficcanaso.» Tra i
premi che aveva vinto non credevo ce ne fosse uno per essere
scorbutico.
«Non ho chiesto io questo lavoro, sai? Non mi piaci
neanche.» Già, forse avrei dovuto rispondere in
modo un po'
diverso, visto che, giusto per farvelo entrare bene in mente, C'AVREI
DOVUTO PASSARE 30 GIORNI INSIEME.
In tutta risposta si voltò
verso di me con un sorriso finto stampato in faccia.
«Qualcosa in
comune, cara»
Non potevo fare altro che sedermi lì e firmare.
Lui non mi piaceva, io non piacevo a lui, ma cosa me ne importava? Un
articolo del genere scritto bene avrebbe significato un salto di
carriera enorme.
Johnny Depp era lavoro. Solo lavoro.
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Capitolo 2 *** Day One ~ I'll show you mine if you'll show me yours ***
Day
One. I'll show you mine if you'll show me yours.
Ormai era
assodato: era antipatico con chiunque non avesse visto i suoi film.
Mi sedetti al tavolo sospirando sonoramente e strappai i fogli
dalle loro mani per iniziare a leggere ciò che era scritto
nel
contratto. Avrei dovuto rispettare tutte quelle clausole? Tracey
Jacobs si alzò e la sentii allontanarsi, mentre Depp rimase
di
fronte a me ad osservarmi con attenzione. Così mi metteva in
difficoltà, dannazione! Cercai di evitare di alzare gli
occhi e
incontrare i suoi altrimenti sarebbe partita una gara di sguardi
infinita, ne ero certa. I primi articoli parlavano del mio lavoro, di
ciò che avrei potuto scrivere e di ciò che avrei
dovuto
assolutamente evitare, come descrizioni dettagliate dei luoghi che
visitava, della casa, commenti crudeli sul suo stile di vita o
informazioni sui film in aveva un ruolo o su persone che incontrava;
cose ragionevoli. Continuai, fin quando mi imbattei in frasi alquanto
interessanti. Schiarii la voce e le lessi al mio unico spettatore.
«Sarà vietato per la già citata Helen
Chester avere momenti di
intimità con il soggetto del suo articolo, l'attore Johnny
Depp.
Subirà inoltre una multa di oltre blah
blah blah
se si avvicinerà a lui più del dovuto in pubblico
blah
blah blah.»
Rimisi in ordine i fogli e incrociai le braccia al petto. «Ma
voi
due fate sul serio o mi state semplicemente prendendo in
giro?»
chiesi mentre tornava Tracey.
«Devo tutelarmi» rispose
semplicemente, sogghignando.
Sbuffai. Dovevo farmi andar bene
quella situazione per forza, non potevo rinunciare ora. "Solo
poche settimane, solo poche settimane" continuavo a ripetermi a
mente, e col tempo quelle parole sarebbero diventate il mio mantra.
Non riuscivo neanche a tenere in mano la penna per il nervosismo. "Ci
vuole professionalità". Già,
professionalità.
«Allora,
posso visitare la casa?» Ormai avevo firmato a fatica il
contratto,
la Jacobs era tornata in ufficio ed ero rimasta sola con Johnny Depp
e il mio taccuino, e quest'ultimo non sembrava molto eloquente.
«Non
hai letto il contratto?» Rispondere a una domanda con una
domanda
non ti avrebbe salvato da questo articolo, John.
«Certo che ho
letto il contratto. Dice che non posso descrivere dettagliatamente le
stanze, non che non posso scrivere quanti bagni ci sono.»
Mi
scrutò minuziosamente e mi si avvicinò.
«Solo se prima mi fai
vedere casa tua.»
E purtroppo non stava scherzando. Mi domandai
se sarebbe arrivato a quel punto ogni volta che non voleva mostrarmi
qualcosa e subito mi tornò in mente un gioco che si faceva
da
bambini e a cui scommetto anche lui una volta aveva ceduto.
«Non
ridere, sono serio!» Capii che non potevo negoziare,
perché quando
mai si era visto Johnny Depp serio? Oh, già, quando aveva a
che fare
con paparazzi e co. Mi dondolai sui talloni, mi girai i pollici e lo
confusi iniziando a vagare per la stanza con lo sguardo, quindi
iniziai una corsa contro di lui per arrivare al piano di sopra.
Sembravamo due bambini, ma a quanto pareva era l'unico modo per avere
qualcosa. Mi fermai però arrivata al pianerottolo, non
perché
l'attore mi avesse raggiunto, ma perché mi ero
improvvisamente resa
conto del silenzio che regnava in quella casa.
«Un momento...»
iniziai, «I bambini dove sono?»
Si fermò anche lui a metà
strada per osservarmi. «E' autunno, hanno scuola»,
e dalla sua
espressione capii che mi stavo perdendo qualcosa. Oh-oh. Doveva
essere qualcosa sulla sua vita, qualcosa che non avevo letto la sera
precedente. Avrei dovuto riflettere, uscire con un'idea geniale, ma
non ne ebbi il tempo.
«Vanno a scuola in Francia, per cui adesso
sono con Vanessa.» Già, credo proprio che avrei
dovuto saperlo.
«Oh, giusto, Francia!» Finsi un'aria disinvolta e
continuai a
salire le scale, ma una mano mi bloccò il braccio. Non
dovevo
stargli lontana?
«Casa tua implica casa mia. Dovresti aver
studiato matematica al liceo»
Così fui costretta a guidare
fino al mio appartamento.
Inutile fingere che l'atto di poco prima
avesse avuto un significato, perché non ne aveva davvero.
Prometto.
Ma forse fu quel primo tocco, fin troppo casto se chiedete a me, che
ebbe scatenato tutto. O forse il problema è che continuai a
rimuginarci sopra per tutto il tragitto fin quando raggiunsi il punto
in cui avrei pensato a qualsiasi cosa ad eccezione di quello.
«Sei
troppo silenziosa per essere una giornalista»
sussurrò guardando
fuori da finestrino mentre teneva una sigaretta in mano sospesa tra
l'indice e il medio, con la bocca semichiusa. Quella dev'essere stata
la prima volta in cui pensai a Johnny Depp in modo tutt'altro che
puro.
«Capisco di più dalle persone osservandole quando
non
parlano.»
«Cerca di non osservarmi mentre guidi,
però» e
accennò a una risata mentre faceva dei piccoli cerchi in
aria con il
fumo. Mh... probabilmente quella fu la seconda, ma è inutile
elencarle tutte, sappiate solo che furono più di quanto
avrei
desiderato ammettere.
C'era troppo silenzio. Troppo.
«Ho
visto sul contratto che potrò venire a casa tua solo entro
orari
prestabiliti.»
«Già, credo sia dalle nove di mattina alle dieci
di sera. In quelle ore puoi seguirmi, dopo dovrai abbandonarmi e
tornare a casa per scrivere ogni singolo dettaglio della mia
vita.»
Mpf, antipatico.
«Potresti evitare di dirlo ogni volta che
parliamo? Sto solo cercando di lavorare; di sicuro non raccolgo
quelle informazioni per il mio blog personale. La prossima volta che
pensi qualcosa tipo, "Oh, sono in una suite e ho voglia di
distruggere quella televisione!" pensaci due volte!»
La
discussione finì più o meno lì, a
parte qualche borbottio
incomprensibile da parte di entrambi. Ancora non riuscivo a capire
perché volesse così tanto vedere il mio
appartamento visto che,
dannazione, non c'era davvero nulla da vedere! Probabilmente voleva
qualche prova del mio segreto amore nei suoi confronti, cosa che non
avrebbe-
«Amore, ciao! Ho trovato la chiave al solito posto
–
possibile che ancora non ti decidi a toglierla da sotto lo zerbino?
–
, sono entrata e ho trovato metà filmografia di quel figo
di-
OMMIODDIO PERCHE' C'E' JOHNNY DEPP NEL TUO APPARTAMENTO?»
Claire.
Adorata Claire. Perché proprio quel giorno dovevi trovarti
lì, sul
mio divano, con The Libertine in mano? Sono questi i dubbi della
vita, le domande senza risposta che una persona continuerà a
farsi
per l'eternità. Aveva appena sentito la porta aprirsi e
aveva già
iniziato a parlare a raffica, come sempre. La mia unica amica, fan
sfegatata di Johnny Depp. Il Grande Demone Celeste mi voleva
morta.
«Johnny Depp, lei è Claire. Claire-»
«Johnny Depp,
lo so!» Sì alzò lentamente e si diresse
verso di lui, poi gli
gettò le braccia al collo sull'orlo delle lacrime. Lo
sniffò per
bene e uscì correndo. Imbarazzante. Okay, è vero,
avrei dovuto
avvertirla prima che avrei dovuto passare un paio di giorni con lui,
ma l'avevo... ehm... dimenticato.
Prima che riuscii a fermarlo,
Johnny s'incamminò verso il tavolino di fronte al divano e
sollevò
la copertina di un dvd. «Quella parrucca era
terribile.» Nessun
vanto sulle sue qualità di attore? Passi avanti.
«Ricerca»,
non ero molto brava nell'inventare scuse sul momento. Anche se non
era una scusa. Ma non potevo dirgli che non sapevo nulla di lui fino
alla sera prima, no? Sì, sto blaterando.
Si guardò intorno e
soffermò qualche secondo lo sguardo su un portafoto di
fianco a
Sweeney Todd: conteneva un'immagine mia e del mio ragazzo a New York
qualche anno prima. Si riprese scuotendo la testa e, mormorando un
«Andiamo», tornammo in macchina.
«Puoi visitare tutto
tranne-»
«I bagni. Ho letto attentamente il contratto. So anche
che non posso curiosare nei cassetti o vagare senza
permesso.»
«Appunto».
La "casa" era enorme, ma
questo l'ho già detto. Aveva più di cinque camere
da letto,
molteplici bagni (me li indicò), una sala da ballo usata per
tenere
strumenti musicali e un'altra stanza solo per intrattenere i bambini.
Presi molti appunti, controllati sempre dall'attore che mi seguiva e
sbirciava ogni tanto dalla mia spalla per assicurarsi che scrivessi
solo il dovuto. Era asfissiante, ma potevo capirlo. Non solo veniva a
sapere del tradimento della sua compagna, doveva anche sopportare una
giornalista che avrebbe dovuto scrivere tutto della sua vita, lui che
aveva cercato di condividere sempre il minimo con i media.
A
pranzo ordinammo una pizza, lui ricevette una telefonata da Tim
Burton in cui lo invitò a cena per il lunedì
successivo e io
continuai a vagare per la casa tutto il pomeriggio, sperando
vivamente che quello fosse l'unico pomeriggio calmo del mese, o che
il martedì era un suo giorno speciale, per cui oziava,
altrimenti mi
sarei tagliata le vene molto volentieri.
Andai via prima di
cena.
Eravamo seduti uno di fianco all'altro sul divano di
velluto nel grande salotto mentre lui nel film entrava nella carrozza
e affiancava Rosamund Pike. Iniziò ad imitare i suoi stessi
movimenti e lentamente infilò la mano sotto la coperta con
cui ci
proteggevamo e la avvicinò al mio corpo; tutto mentre si
fingeva
indifferente continuando ad osservare la scena sul televisore.
Scostò
l'orlo dei miei pantaloni, poi quello degli slip, e scese in
basso.
Probabilmente voleva dimostrare che John Wilmot non era
l'unico fantastico amante nella stanza.
Quel sogno mi disturbò
parecchio e, come potete immaginare, mi fece perdere ogni voglia di
tornare a dormire.
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Capitolo 3 *** Day Two ~ Interviews? For what? ***
Day Two
(In un terribile ritardo)
Day
Two. Interviews? For what?
♪ You
will learn. ♪
Johnny
Depp mi salutò così quella mattina quando entrai
in casa con le
chiavi che mi aveva dato il giorno precedente. "Il contratto
dice alle 9, quindi sei autorizzata a venire a quell'ora. Al massimo
sarai costretta a svegliarmi, fai un po' tu", aveva borbottato
lanciandomene una copia. Quella mattina erano le nove e un quarto
quando arrivai, e lui non stava decisamente dormendo.
Feci un
primo passo sulla scalinata che portava al secondo piano, poi un
altro, fino a raggiungere il pianerottolo.
♪
There's a hole in the world like a great black pit
and the vermin
of the world inhabit it
and its morals aren't worth what a pig can
spit
and it goes by the name of London... ♪
Fantastico,
stava cantando. Per di più, dallo scroscio dell'acqua avrei
giurato
che stesse cantando sotto la doccia. Visto il sogno che avevo fatto
quella notte – e che non voleva proprio abbandonare la mia
mente
per lasciarla libera – non posso dire di essere stata
assolutamente
a mio agio in quel momento. Ripetei a ritroso il movimento che avevo
fatto salendo, il quale mi fece quasi cadere dal terzultimo scalino.
Recuperato l'equilibrio e le facoltà mentali, corsi via come
un'adolescente sui miei stivaletti vellutati.
Mi allontanai
fino a raggiungere la prima caffetteria, quindi, ordinato un
cappuccino, mi sedetti all'esterno e decisi di fare qualche
telefonata.
«Sai che sei una stronza e che ho passato le ultime
ore a razionalizzare ciò che ho fatto ieri a Johnny Depp? HO
ANNUSATO JOHNNY DEPP! Ti rendi conto o no?» esordì
Claire dopo il
primo squillo.
Allontanai il telefono dall'orecchio per
recuperare l'udito, di conseguenza risposi solo dopo un paio di
secondi. «Non ho avuto tempo di avver-»
«TEMPO UN CORNO!»
Sembrava furiosa e non potevo darle tutte i torti. Beh, in effetti
sì, ma...
«Non avevo idea che tu fossi a casa mia, ma
soprattutto non mi aspettavo di dovergli far vedere il mio
appartamento, scema!»
Un minuto di silenzio prima di risentire la
sua voce. «Okay, ma voglio incontrarlo di nuovo.»
Ora suonava più
determinata che mai, la finta rabbia si era dissolta e la voce
emanava gioia al solo pensiero di rivedere il suo attore
preferito.
Accennai una risata. «Promesso!» Dissi prima di
riattaccare.
La chiamata peggiore mi aspettava ancora, però.
Dovevo informare Jack, il mio capo, dei "progressi"
dell'intervista. Non avevo molto, in realtà non avevo nulla,
ma non
potevo scomparire all'improvviso dal radar della redazione come se
niente fosse. Il telefono squillo una, due, tre volte, e lui non
sembrava voler rispondere.
«Avanti...» mormorai come a spingere
un immaginario Jack verso la cornetta del telefono con le parole.
Miracolosamente funzionò.
«Pronto?» Rispose annoiato. In
sottofondo sentivo il rumore di vari fogli spostati, il che mi fece
tornare in mente una serie di ricordi di lui che vagliava distrutto i
conti del giornale, relegando continuamente tutto al notaio. Erano
rarissimi i giorni di congedo che avevo preso, infatti in quel
momento il mio cubicolo, la mia scrivania e le urla dei colleghi mi
mancarono immensamente.
«Jack, sono Helen.»
«Oh-oh! Come
procede l'articolo?» Un estivo Babbo Natale, ecco cos'era.
Mi
limitai abbozzando un sorriso. « Procede. Lui sta facendo un
po' il
duro, ma sono sicura che col tempo...» "... la sua morte
sarà
un mistero perfino per me". Okay, cosa diavolo mi stava
succedendo? Citavo anche a mente i suoi film? «... che con il
tempo
si scioglierà e mi racconterà qualche
segreto.» Conclusi incerta.
«Beh, ma è perfetto!» Sentii una porta
aprirsi e richiudersi,
il rumore di tacchi, Jack salutò a bassa voce la donna.
«Ti devo
lasciare, ma ci sentiamo presto!» e chiuse la conversazione.
Era
tempo di affrontare il mio nemico. Tutto quello che dovevo fare era
eliminare quel sogno insensato dalla mia memoria. Il problema non
erano i sentimenti che provavo per lui perché erano nulli,
ma
l'insicurezza che mi aveva causato quel momento di fronte alla scena
di The Libertine. Insomma, la mia mente mi aveva tradito! Entrai
spavalda in casa, e quella bastarda mi distrusse di nuovo facendomi
inciampare nel minuscolo scalino. Due braccia mi recuperarono e mi
aiutarono a rialzarmi. «E' ricercato da tutto il mondo, non
sei
imbranata tu, non preoccuparti.»
Sul momento non capii. Mi misi
in piedi, controllai eventuali ossa rotte e poi alzai gli occhi verso
il mio salvatore. «Ricercato? Non...» Ah, assassino
ricercato!
«Giusto.» Commentai passandomi una mano tra i
capelli.
Johnny
era vestito di tutto punto: camicia, panciotto, giacca –
cravatta
assente, ovviamente – e jeans. Mi squadrò per
controllare che
fossi tutta intera, prese la matita dal bancone ricoperto di lettere
e chiavi varie, quindi si lanciò sul divanetto di fianco a
una
chitarra classica; la prese, socchiuse gli occhi e iniziò a
suonare
una melodia a me sconosciuta.
Non lo stava facendo per
spettacolo, perché voleva far sapere ai fan quale gran
chitarrista
fosse. Lo stava facendo per se stesso, perchè in qualche
modo era
visibile quanto si sentiva bene mentre suonava. Apparteneva a un suo
mondo incantato, fatto di note e storie impossibili, un mondo irreale
in cui, per un lungo periodo, desiderai poter entrare a far parte.
Mi
trascinai con l'eleganza di un bradipo fino alla poltrona di fianco a
lui. Mentre prendevo il blocco appunti e la penna continuai ad
ascoltare e lui sembrò notare minimamente la mia presenza.
Scrissi
velocemente, e senza rendermene davvero conto, "Dannazione,
perché non lo fanno suonare in un film?", per poi passare a
cose più dettagliare tipo la sua posa – una gamba
a penzoloni e
l'altra appoggiata al bracciolo – e la sua espressione
serena.
Interruppi dopo un paio di minuti quel silenzio. «Non sapevo
suonassi.» Dissi con voce incerta.
«Non sai un sacco di cose, a
quanto vedo.» Rispose con gli occhi chiusi. Portò
l'altra gamba
oltre il bracciolo, poggiò la chitarra a terra e
iniziò a scrivere
ciò che aveva appena composto in una calligrafia scomposta e
disordinata. Già, un mondo tutto suo.
Ignorai il tono scorbutico
che aveva usato e continuai. «Da quando componi?»
Alzò gli
occhi su di me, poi sui fogli che reggevo in mano. Era quasi...
deluso. «Da sempre.»
Ero pronta a fare altre domande per
iniziare davvero l'intervista, ma m'interruppe il telefono.
Dannatissimo telefono. Rimisi tutto in borsa mentre lo prendevo e mi
allontanai. Guardai lo schermo. Era Logan. Sbuffai prima di
rispondere. «Pronto, Logan? Ti ho già detto di
smetterla di
chiamarmi, sto lav-» Perché continuavano ad
interrompermi mentre
parlavo?
«Hey, tranquilla, ti ho solo chiamato per sapere come
stai!» Stava sorridendo, riuscivo a sentirlo dal suo tono di
voce.
«Sto bene, grazie.» Un tono neutro era la migliore
opzione,
altrimenti avrebbe creduto chissà cosa, e l'unica cosa di
cui avevo
bisogno in quel momento era tornare insieme a lui.
«Non sto
tentando di tornare insieme o di assillarti, assolutamente, ma mi
piacerebbe prendere un caffè con te uno di questi
giorni...»
Non
ero crudele o cattiva. Io e Logan ci eravamo conosciuti al liceo ed
eravamo amici. Passati all'università, però,
qualcosa era cambiato.
Iniziai a notare alcune attenzioni che mi riservava e che, nonostante
tutto, non mi davano affatto fastidio. Dopo il primo periodo di
"assestamento", quindi, diventammo il prototipo delle
coppie perfette: litigavamo solo per le cose più stupide ma
subito
riuscivamo a fare pace, ci vedevamo ogni giorno ma passavamo anche
del tempo con amici che non erano comuni... Insomma, eravamo felici.
All'ultimo anno mi resi conto che però le feste di sera
erano
diventate troppo numerose e la mattina a malapena riuscivo ad
assistere alle varie lezioni. Lo amavo davvero, per questo lo lasciai
appena ebbi il lavoro alla redazione di Rolling Stone. Non potevo
sacrificare in quel modo la mia vita, ma lui non sembrava averla
presa molto bene. Tuttavia non ci eravamo lasciati prendere dalle
droghe o cose varie, per cui avevo ancora molti ricordi felici del
mio periodo con lui. «Un caffè dici? E vada per il
caffè.»
«Okay,
perfetto... uhm... domani mattina va bene? Verso le 9, visto che
sicuramente devi lavorare dopo.» In certi momenti era anche
adorabile, lo ammetto.
«Perfetto. Al solito posto.» Visto che
non eravamo mai andati a vivere insieme – almeno non
ufficialmente
– la mattina prima di andare a lezione ci incontravamo in un
piccolo café vicino il mio appartamento, visto che lui era
l'unico
con la macchina.
«Okay, allora... ehm... a domani!» Quasi mi
pentii di aver accettato.
Quando chiuse la conversazione squillò
il telefono di Johnny, ma lui non parlò affatto.
Inizialmente pensai
fosse Vanessa, ma la sua espressione non si scompose più di
tanto e
uscì facendomi un cenno. Lo seguii dopo aver recuperato la
borsa e
vidi che una macchina coi vetri oscurati, con dentro Tracey (la
malefica agente), ci aspettava... o perlomeno aspettava la star Depp.
Mi sedetti di fianco a lui sul sedile posteriore e partimmo verso una
meta sconosciuta.
«Hai, anzi, avete intenzione di dirmi dove
stiamo andando?» Domandai dopo qualche minuto di viaggio.
Johnny
aveva chiesto di accendere l'aria condizionata, quindi io mi
allontanai il più possibile dal centro del sedile, dove
l'aria
arrivava diretta. In questo modo ci trovavamo uno dai lati opposti
della macchina mentre la sua agente occupava il sedile anteriore di
fianco all'autista. Fu lei a rispondere per prima, con un tono
arrogante. «Sei qui per le interviste, sul contratto non
c'è
scritto nulla riguardo farti sapere dove stiamo andando.»
«Smettila
di fare la stronza, Tracey.» Johnny accennò una
risata mormorando
questa frase. «Sta solo facendo il suo lavoro, no?
Lasciaglielo
fare!» Nonostante mi avesse in un certo senso protetto, non
mi degnò
di uno sguardo. Non riusciva a nascondere il disprezzo che provava
verso la mia professione, sebbene quanto insensato e infantile.
«Johnny, Johnny!»
«Johnny, è la tua nuova
ragazza?»
«Hai ancora contatti con Vanessa?»
«E' vero che
ha intenzione di toglierti la custodia dei bambini?»
«Johnny, a
quando la prossima distruzione?»
Queste erano solo alcune delle
cose che si sentivano urlare quando uscimmo dalla macchina dai vetri
oscurati verso la folla di fotografi. I flash ci accecavano, eppure
Johnny ne sembrava immune dietro quei suoi occhiali dalle lenti blu.
Tracey Jacobs mi afferrò per un braccio e ci avviammo verso
l'entrata nello studio di Letterman mentre l'attore veniva fermato
per alcune foto.
Era pazzesco.
C'era gente che correva, altri
camminavano per non far cadere la moltitudine di caffé per
lo staff,
il pubblico aveva già iniziato ad affluire in sala insieme
alla
strana orchestra ai lati del palco. Johnny ci raggiunse subito dopo e
si diresse verso la sala per il trucco, dove gli fecero davvero pochi
ritocchi per farlo apparire perfetto davanti alla telecamera e, odio
dirlo, ma lo era davvero. Ancora non riuscivo a capire come facesse a
sopportare i flash delle fotocamere, le urla, le richieste, eppure
continuare ad essere gentile con i fan. Quella vita era un inferno,
io mi ci ero fiondata a capofitto.
Durante l'intervista
parlarono del più e del meno, dei suoi film che sarebbero
usciti a
breve, dei figli, però un argomento fu accuratamente evitato
dal
presentatore: la moglie o, per meglio dire, ex-moglie. Molto
probabilmente, dall'aria soddisfatta che aveva l'agente alla fine dei
20 minuti di ripresa, era stato chiaramente specificato nel
contratto.
Dannata la Jacobs e i suoi odiosi contratti.
Erano
circa a metà intervista, io stavo osservando dal backstage
uno
schermo su cui veniva trasmesso ciò che stavano registrando,
quando
uscì un argomento a dir poco divertente per me.
«Quindi... ho
saputo che stai facendo una strana intervista con Rolling Stone. E'
vero?» Domandò Letterman.
«Beh, sì, sono trenta giorni della
mia vita.» Sembrò volersi limitare a quello e
girò un attimo lo
sguardo di lato per incrociare gli occhi della sua agente.
«Ti
sembra una bella idea? Insomma, cosa ne pensi?»
Cosa stava per
rispondere? Era un attore, quindi sapeva ben nascondere le sue
emozioni, e in quel momento lo fece perfettamente facendo comparire
sul suo volto un sorriso e sfiorandosi il mento coperto dal pizzetto.
«Non mi piace molto che la mia vita privata sia messa sotto i
riflettori, ma sono un attore, ci sono abituato. Inoltre credo che
sia un'opportunità per le persone per vedere cosa succede
nel mondo
del cinema.» Ti eri salvato in calcio d'angolo, caro Depp.
Non ho
idea di cosa significhi, ma l'avevi fatto.
Tracey sembrò
piuttosto orgogliosa di quella sua risposta, come se fosse suo
figlio. Che gli avesse insegnato lei come aggirare i problemi? Come
cavarsela in questo modo? Che le avesse detto lei di evitare
paparazzi e giornali intrusivi? Che l'avesse condizionato
così
tanto?
Ci riaccompagnarono a casa di Johnny che era ormai
pomeriggio. Dopo Letterman eravamo passati anche da Jimmy Kimmel e
all'uscita ci eravamo fermati per strada, come prima, per gli
autografi. La cosa iniziava a diventare snervante per me, figuriamoci
per lui che doveva viverci ogni giorno. Entrai anche se me ne sarei
andata entro una mezzoretta: dopo quei giri e le interviste,
sicuramente non avrebbe giovato alla sua salute mentale avermi
intorno.
«Hai intenzione di rimanere per molto? Vorrei andare a
dormire.» Già, volevo andarmene, ma se me lo
diceva in questo modo
mi sentivo costretta a rimanere. Mi lanciai sul divano e lo osservai
da lì. Già, la compassione era scomparsa.
Sbuffò.
«Per molto,
finché non mi dirai cosa diavolo ti ho fatto. Ho ventisette
anni e
sto ancora facendo gavetta in un giornale che potrebbe portarmi in
alto. Questo articolo, il tuo, potrebbe essere il lavoro che mi
porterà a quei livello. Sto lavorando, lo capisci? Mi hanno
dato un
foglio in mano dicendomi:"Ecco ciò che devi fare,
và a fare il
tuo dovere. E' un pezzo grosso". Quindi mi ritrovo con un
foglio, una penna e un blocco appunti a segnare ogni particolare di
un attore di cui non sapevo e non m'interessava assolutamente nulla
fino a due giorni fa. Due giorni. Ora sono qui, tra paparazzi e pezzi
di carta per cui ogni tuo fan pagherebbe milioni. Quindi smettila di
imitare lo stereotipo dell'attore hollywoodiano con me,
perché non
attacca e perché mi rendi solo in lavoro più
difficile.» Mi alzai
dal divano, caricai la tracolla sulla spalla e mi avviai verso
l'uscita, ma mi fermai prima di fianco a Johnny. «Smettila di
rendermi il lavoro dannatamente difficile e sono sicura che questi
ventotto giorni passeranno molto più velocemente.»
Uscii sbattendo
la porta.
Lo sguardo che vidi apparire sul suo volto firmò un
tacito accordo tra noi due, l'inizio di tutto.
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Capitolo 4 *** Day Three ~ Flashes ***
4. Day Three - Flashes
Logan si
alzò quando mi vide arrivare, facendomi sentire
più maldestra del solito. Era
seduto all’interno del piccolo cafè, vicino a una
finestra che dava sulla strada
poco affollata. Non lo vedevo da un paio di mesi, ma non era poi
cambiato
molto: rimaneva alto e slanciato, i capelli curati arrivavano appena
alle
spalle. L’unico cambiamento era la barba che, prima
d’ora, non aveva mai
lasciato crescere.
A parte quando beveva –
e anche lì si
scioglieva senza raggiungere ciò che definivo il
“livello di degrado” –
rimaneva un gentiluomo, sicché neanche in quello era
cambiato.
« Buongiorno Helen. Ti trovo…
splendente.»
« Risparmia i complimenti, Logan, non mi riconquisterai
così facilmente»
risposi tagliente. Era sempre stato pronto a fare complimenti, gentile
con le
donne, eppure conservava quell’atteggiamento da eterno
bambino, una sorta di
Peter Pan. Ero convinta che sarebbe rimasto per sempre
all’università, con il
mio fantasma a fargli compagnia. Mi sedetti lasciando scivolare a terra
la
borsa.
« Non voglio riconquistarti.» Indugiò
qualche secondo, in cerca delle parole
più adatte per spiegarsi meglio. « O meglio, se tu
vuoi ho intenzione di
smettere di provarci.» Ecco, ora andava meglio.
Ordinammo entrambi un caffè, chiacchierammo delle ultime
novità, incluso
l’articolo su Johnny, fin quando arrivammo al momento
imbarazzante in cui
nessuno dei due ebbe qualcosa da dire. Iniziai a giocherellare
nervosamente con
un fazzoletto, vizio che avevo sin da bambina. Quei due veli mi
urlavano di
essere divisi! Un secondo prima ero lì a controllare le
macchie leggere del
rossetto, quello dopo la mano di Logan s’intrecciava con la
mia.
« Mi manchi» mi sussurrò.
Il suo tocco era caldo. Non solo perché fuori
c’erano a malapena dieci gradi,
ma perché era confortevole. Non avevo avuto altri ragazzi
dopo di lui, quindi,
avendo passato cinque anni della mia vita in sua compagnia, il suo
tocco
significava “casa”. Era abitudinale, mi
sembrò quasi di non essermi mai
separata dal ragazzo che mi stava di fronte. Per un attimo la
tentazione di
scompigliargli i capelli e baciarlo fu forte, ma tornai subito alla
realtà.
Recuperai la mano, la borsa, il cuore, e uscii nell’aria
fredda di Los Angeles.
Arrivai a
casa di Johnny Depp – lo so, facevo ancora fatica a crederlo
– verso le dieci,
più tardi del solito, ancora agitata per
l’accaduto. Certo, non c’era molto di
cui essere agitati, però… ecco, diciamo solo che
mi aveva spiazzato. Non volevo
tornare con Logan, ero piuttosto sicura di non amarlo più.
Però c’era sempre
quel “piuttosto” che mi spaventava.
Neanche l’attore scherzava. Era irrequieto, vagava per il
salotto con un
portabiti da viaggio in mano.
« Cerchi qualcosa?» Chiesi lanciando sulla poltrona
la borsa a tracolla. Mi
buttai anche io lì, in cerca di conforto tra la pelle nera.
Lui non sembrava avermi ascoltato, ma parve come se l’avessi
risvegliato da una
fase REM quando alzò gli occhi su di me. « Sei in
ritardo» commentò con un pizzico
di disappunto.
« In realtà sul contratto si dice che posso venire
a partire dalle
nove, non
alle nov-»
« Sei in ritardo quando mi servi. Oggi mi servi.»
Mi continuavo a domandare, inutilmente, perché tutti
continuavano a
interrompermi. Dannati attori e le loro manie di onnipotenza.
« Ti servo?»
« Esattamente. Andiamo.» Una macchina
arrivò proprio in quel momento e Johnny
uscì portando il portabiti e degnandomi appena di uno
sguardo. Lo ammetto, il
mio orgoglio femminile era leggermente ferito. Insomma, avrei dovuto
controllarlo grazie all’articolo, mentre era lui che
controllava me. Ripeto:
dannati attori.
Lo seguii comunque fuori dalla villa ed entrai in macchina, senza alcun
reale
motivo. Sarei riuscita a prendere il controllo della situazione, in un
modo o
nell’altro.
« Dove andiamo?» Lo ripresi mettendomi comoda sul
sedile posteriore.
« Mi ha detto Tracey di portarti con me.» Non
capiva le domande o mi stava
prendendo in giro?
« Sì, ma dove?»
Domandai per la seconda
volta, ora spazientita.
« A una première a New
York.»
Los
Angeles - New York = Incubo.
Arrivammo
in una
decina di minuti all’aeroporto e seguii Johnny per tutto il
tragitto come un
cagnolino. Non avevo mai preso un aereo prima d’ora
perché ne ero terrorizzata,
quindi in quel momento pensai che stavo andando incontro alla morte. La
mia.
Lui invece sembrava tranquillo. “Eh grazie,”
continuavo a dirmi, “viaggia da
una parte all’altra del globo all’uscita di ogni
suo film!”. Aveva già i
biglietti in tasca – prima classe, a quanto avevo capito, ma
non mi rassicurava
affatto – quindi andammo dritti verso il check-in.
E’ inutile ripetere che non
avevo una valigia, no? Non parlammo per tutto il tempo, salimmo
sull’aereo e
una hostess m’indico il posto, dietro all’attore.
« Tracey ti ha detto anche perché devo
venire?» Ero ansiosa, avevo bisogno di
parlare, quindi mi sporsi su di lui appoggiando i gomiti sullo
schienale del
suo sedile.
« Sì, ma non voglio dirtelo ancora.» Si
voltò sfoggiando un sorriso crudele. «
Ho paura che potresti scappare a gambe levate se te lo dicessi
ora» disse poi
tornando a guardare dritto di fronte a sé.
Tornai al mio posto sbuffando. Allacciai con l’aiuto della
hostess la cintura
di sicurezza e guardai fuori dal finestrino. Si era fatto un leggero
ritardo
per via della brina sulle ali dell’aereo, per cui non facevo
altro che
ringraziare l’inaspettato freddo per quel lieve ritardo. La
mia fortuna era
nota: infatti, a circa 5 minuti dall’ultimo ringraziamento, i
motori si misero
in funzione. Sentii una lieve vibrazione, una specie di sussurro
dell’aereo, un
avvertimento. Sembrava dirmi di scappare finché ero in
tempo. Le ruote si
mossero, prima lentamente, poi presero velocità e guidarono
il velivolo lungo
la pista. Una volta preso il volo, il carrello rientrò
silenziosamente, e fummo
su Los Angeles.
Dopotutto
volare non è così male, se si evita di pensare
all’atterraggio e al decollo.
Osservare dall’alto dà una sensazione di potere,
proprio ciò di cui avevo
bisogno. Stare tra le nuvole, volteggiare, senza movimenti bruschi, sia
chiaro,
è rilassante oltre ogni misura.
Tra bevande e snack, un cognac ordinato da Johnny e un bicchiere di gin
per me,
le 8 ore di viaggio passarono senza problemi. Ovviamente non poteva
mancare il
messaggio minatorio a Jack:”La prossima volta che mi scegli
come balia per
attori poco eloquenti, avvertimi, gentilmente. Col cuore pieno di
vendetta,
Helen”, e al diavolo la tregua.
Piccoli disguidi a parte, arrivammo sani e salvi a terra. Rimasi a dir
poco
stupefatta dal panorama che avevo osservato dal taxi che ci aveva
portati in
hotel, e non vedevo l’ora di esplorare di più
quella città, anche se non ero
propriamente sicura che avrei potuto farlo.
« Non dovresti andare direttamente alla première?
Non è così che funziona?»
Avevo già notato che non indossava un vestito elegante,
oppure perlomeno adatto
all’evento, ma non era mai stato il tipo da Versace. Inoltre,
lavorando nella
redazione di Rolling Stone, mi erano passati sotto mano vari articoli
sulle
vite di attori del suo calibro, e sapevo che molti attori arrivavano
direttamente dall’aeroporto perché il tappeto
rosso era aperto presto alle
star.
« Sì, ma visto che devi cambiarti ho pensato di
fare uno strappo alla regola.»
« Ahah- Cosa?» Cambiarmi…
sì… certo.
« La cosa che dovevo dirti prima. Tracey vuole che mi
accompagni.»
Non mi diede tempo di rispondere poiché arrivammo in quel
momento all’hotel.
Johnny non perse tempo e si fiondò sull’entrata,
poi verso la reception.
« Mr. Stench»
affermò a un uomo sulla
quarantina dietro il bancone di marmo. Accennò appena un
sorriso mentre lo
diceva, ma ero certa che dentro di sé stesse ridendo di
gusto. Tirai fuori
dalla borsa il taccuino e annotai sopra quei particolari, quindi tornai
ad
osservare la scena.
« Certo, signor Puzzo, ecco la sua chiave e il pacco mandato
dalla signorina
Jacobs.»
Ci avviammo verso l’ascensore in silenzio. In
realtà era molto più silenzioso
dal giorno prima, dopo la mia sfuriata.
« Signor Puzzo?» chiesi senza trattenere una
smorfia dovuta alla risata.
« E’ divertente, prenoto quasi sempre a questo
nome.» Mi guardò un paio di
secondi negli occhi, quindi mi accompagnò in una risata
sonora.
Alzai un dito minaccioso verso il suo naso. «Non credere che
sia tutto a posto
tra di noi. Devi ancora spiegarmi questa faccenda.»
E lo fece appena entrammo nella sua suite. Mi spiegò
l’idea della Jacobs di
farmi passare per la sua nuova fidanzata in modo da distogliere i
giornalisti
dalle recenti “cadute di stile” di Johnny. Non
posso descrivere cosa provai
quando finì di raccontare tutto.
« Come ci siamo conosciuti?»
« Cosa intendi? Tutta l’America sa che stai facendo
un articolo di me, quindi è
tramite quello che mi hai incontrato.»
Indugiai qualche secondo. « E’ così che
funziona quindi? Sono passati solo tre
giorni e già ti desidero?» Non rispose a quella
domanda, si limitò a lanciarmi
un’occhiata sottecchi mentre poggiava il portabiti e la
confezione sul letto
della grande camera che avevamo appena raggiunto. Non mi andava molto
di farlo.
Anzi, non mi andava affatto. Avevo firmato per una lunga intervista e
quella
serata mi sarebbe stata utile per conoscere altri attori, ma poco
m’importava
in quei giorni. Dovevo occuparmi del mio articolo che parlava di Johnny
Depp,
ma finiva lì. Non potevo divagare troppo sulle persone che
lo circondavano o
sarebbe diventato un articolo su Hollywood. Poi quella storia sarebbe
andata
avanti per settimane, quindi non avrei potuto lavorare bene in
quell’ambiente.
Infine, detestavo Tracey Jacobs e quella era l’occasione
unica per farla infuriare.
Johnny non poteva cercare un’attrice – o magari
un’altra cantante – che gli
volesse bene e che volesse davvero stare con lui?
« Non ti pregherò di farlo perché non
è stata un’idea mia, sei libera di
rifiutare» disse con un sussurro osservando la mia
espressione.
Volevo davvero rifiutare, ma c’era qualcosa che mi diceva di
non farlo. « Lo
farò», affermai con sicurezza, « ma a
una condizione: dovrai parlarmi della tua
vita nei dettagli, non come lo stupido riassunto su
Wikipedia.» Ero pronta a
prendere il controllo della situazione, anche con dei
piccoli… ricatti.
« Vuoi mettermi a nudo?» Desiderare…
mettere a nudo… dove sarebbe andata a
finire quella conversazione?
« Voglio metterti a nudo» annuii mantenendomi
seria. « Insomma, non
fisicamente, non voglio spogliarti, ma…
sai…» e poi rovinai l’atmosfera.
Fece qualche passo per la stanza, avanti e dietro, crucciato.
« E sia. Ora
infilati questo vestito così possiamo andare alla maledetta
première.»
Scoperchiò il pacco e mi lasciò intravedere un
vestito rosso che mai avrei
pensato di indossare.
Uscì con il portabiti in spalla verso il salotto, dove
sospettavo si sarebbe
cambiato, lasciandomi con i miei dubbi sull’effettiva
grandezza dell’abito. Mi
spogliai velocemente lasciando cadere a terra la felpa, la camicia, gli
stivaletti e infine i jeans. Afferrai il vestito e mi piazzai di fronte
allo
specchio, cercando un modo di entrare in quel minuscolo pezzo di
stoffa. Tirai
giù la zip e, entrando nel vestito, mi resi conto che era
proprio della mia
taglia. Stavo sospettando un rapimento notturno per la misurazione del
girovita, però la cerniera richiamò la mia
attenzione. Chiamai con un urlo
Johnny. Mi raggiunse continuando ad allacciarsi gli ultimi bottoni
della camicia
e guardò il mio riflesso allo specchio.
« Ti sta davvero bene il rosso» disse con un
sorriso serafico. “Sì, prendi in
giro, fai pure, io avrò la tua vita scritta su un
taccuino”.
« Smettila, vieni qui ad aiutarmi!» Indicai la
cerniera all’attore, che si
mosse lentamente verso di me. L’afferrò poi con
delicatezza e la guidò fino a
chiudere completamente il vestito. Qualcosa accadde dopo, nel momento
in cui si
avvicinò a tal punto da riuscire a sentire il suo respiro
sulla pelle. Fu un
attimo, un secondo, ma non ci fu bisogno di discutere oppure di
rovinare tutto
con le parole. I nostri respiri si sincronizzarono, lui fece un passo
indietro
e tornò in salotto.
L’abito era magnifico, così come le scarpe che
fino a quel momento erano
rimaste nella scatola, il rosso mi stava davvero bene, ma non avevo
notato lo
spacco che dall’orlo arrivava alle cosce.
«
Appena
vedo Tracey la porterò al suicidio.»
« La vedrai tra qualche momento, ma sarai troppo impegnata a
farmi da
accompagnatrice.» Johnny si era rilassato, finalmente, eppure
continuava a non
convincermi il modo in cui parlava. Forse non riuscivo proprio a
sopportare lui
come persona.
« John Christopher Depp II, vedi di non baciarmi in
pubblico.»
« Sono commosso, non credevo che qualcuno potesse ricordare
tutto il mio nome.»
La discesa dalla macchina a vetri oscurati fu traumatizzante. Avevo un
vivido
ricordo di com’era vedere i flash abbaglianti delle macchine
fotografiche dei
paparazzi da lontano, ora era tutt’altra cosa. I fotografi
erano di fronte a
noi, ci circondavano, non sapevo dove girarmi, eppure in qualche modo
riuscii a
mantenere gli occhi aperti e un sorriso sul volto per tutta la durata
delle
foto sul tappeto rosso. Era di nuovo l’orgoglio femminile che
lottava o il
braccio di John Christopher Depp II che mi circondava?
La
camminata fu dura su quei tacchi, e diedi tregua al mio volto solo
quando fummo
“al riparo”, ovvero nella sala di proiezione, dove
era vietato portare le
telecamere. I posti assegnatoci erano in seconda fila, dove ci sarebbe
stato
quasi impossibile vedere il film. L’attore
m’informo velocemente della trama e
degli attori – era diretto da Tim Burton, era venuto
unicamente per questo –
prima di allontanarsi per chiarire qualcosa con il suo vecchio amico.
Rimasi
seduta sulla poltrona di velluto visto che i due erano gli unici in
piedi a
chiacchierare, ma mi guardai intorno in cerca di qualche star con cui
parlare più
tardi. Avevo la sensazione, però, di non poter essere
davvero accettata in quel
mondo: probabilmente tutti avrebbero pensato che stessi agendo da spia
in
borghese, e non avrebbero avuto tutti i torti. Tutto quello sarebbe
stato
meraviglioso per l’articolo, ma non avevo
l’adorabile borsa con me, quindi
avrei dovuto affidarmi alla mia scarsa memoria fotografica.
Johnny tornò ad affiancarmi appena si spensero le luci, ci
godemmo il film in
silenzio. In realtà tutta la sala non aprì bocca
per quell’ora e mezza, infatti
regnava un religioso silenzio. Il cinema era considerato arte da molti,
perciò
chi, più di loro, poteva capire quando rimanere in silenzio
davanti all’opera
di Tim Burton?
Quando le luci si riaccesero mi ritrovai scaraventata nel mondo reale,
disorientata come mi accadeva ogni volta che guardavo un film che
catturava la
mia attenzione. Il mio attore si alzò prima di offrirmi la
mano per aiutarmi:
l’abito non era davvero uno dei più comodi. Non
eravamo ancora usciti
dall’enorme sala che Orlando Bloom sbucò fuori dal
nulla e si fiondò sulle
spalle di Johnny. Lui si voltò un po’ scosso ma si
riprese appena vide chi era
l’attentatore. Si unirono in un abbraccio reso goffo dalla
lontananza, giacché
girava voce che non si vedessero da anni. Mi presentò a
Orlando come aveva
fatto anni addietro con Vanessa, questa volta recitando magistralmente.
Una volta usciti di lì mi guidò verso un locale
vicino per l’after party,
all’Hiro Ballroom del Maritime Hotel.
L’”incidente” accadde appena arrivammo
lì
fuori.
« Salve, potrebbe rispondere ad alcune domande?»
Una intervistatrice era
riuscita a passare oltre il muro di guardie del corpo e ci stava
seguendo. «
Com’è essere la nuova fidanzata di Johnny
Depp?»
Mi fermai e mi voltai per scacciarla, tuttavia rimasi terrorizzata nel
vedere
chi era la stalker: Ruth Peterson. Esattamente,
la giornalista degli attori hollywoodiani che lavorava con me in
redazione.
Cosa ci faceva lì? Non avrebbero dovuto mandare i novellini
per questo genere
di articoli?
Anche lei vedendomi rimase sorpresa, ma non si lasciò
sfuggire quell’occasione.
Si avvicinò fino a sfiorarmi l’orecchio.
« Sai cosa darebbero i giornali per
scoprire come stanno davvero le cose?» sogghignò
maligna. Eravamo stati
perfetti, cosa mi aveva scoperto? Fortunatamente mi raggiunse Johnny
che si
fece prendere sottobraccio salvandomi dalla strega cattiva.
Conobbi molte persone in un paio d’ore, persone che non avrei
dimenticato
neanche dopo dieci anni. Tutti conoscevano la mia professione eppure,
al
contrario di quello che avevo immaginato, non si lasciarono spaventare
e
conversarono amabilmente.
Fu allo scoccare della mezzanotte che il mio cavaliere
dall’armatura
scintillante mi rapì per tornare al castello.
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Capitolo 5 *** Day Four ~ Whatever Happened Last Night ***
Day
Four – Whatever Happened Last Night
La
suoneria del cellulare mi fece da sveglia quella mattina.
Ero
sdraiata di lato, un braccio sul petto di Johnny coperto da una
canottiera nera. Non doveva dormire nell'altra stanza? Confusa,
rotolai sul letto ritrovandomi a pancia in su e, ancora assonnata,
allungai la mano per raggiungere Florence
+ The Machines che,
con No
light, no light,
mi
incitava a rispondere allo sconosciuto.
« Pronto?» mormorai
ancora semi-addormentata. Tentai inutilmente di mettermi a sedere, ma
il mal di testa mi costrinse a tornare sul letto
« Quante volte
devo chiamarti stronza? Sai di essere trend topic su twitter e unico
argomento di discussione nei forum dedicati allo Zio?» mi
chiese
Claire dall'altra parte del telefono.
« Trend Topic? Zio? Ma di
che diavolo stai parlando?» Purtroppo per lei non ero su
Twitter.
Ovviamente aveva cercato di convincermi a iscrivermi all'ennesimo
social network, ma continuavo a rifiutare categoricamente: non mi era
mai piaciuto far conoscere agli altri le mie azioni, per quello
bastava Facebook.
« Su Twitter parlano solo di te e Zio John!»
Lanciò un gridolino come per sottolineare la risposta ovvia.
Giusto,
Zio = Johnny Depp. Mia mancanza.
« Già... a proposito di
quello...»
« Dovevi dirmelo! Perché non l'hai fatto? Devi
raccontarmi tutto! Ero venuta da te per parlarti di una cosa
– a
proposito, non è che posso restare qui per qualche giorno?
–, poi
ho visto che non c'eri, ho acceso il pc e PUFF! Foto tue ovunque! Il
vestito è meraviglioso, te l'ha regalato lui?»
Certo che quando ci
si impegnava sapeva essere logorroica. Ma era pur sempre Claire e
l'adoravo!
Aprii la bocca per rispondere quando bussarono alla
porta della suite, e a quel punto fui costretta a sedermi sul letto
per tornare in piedi. Ero coperta unicamente da una grande camicia
bianca, probabilmente quella che aveva indossato Johnny la sera
prima, e non avevo idea di come fossi arrivata ad indossarla. Forse
la sera precedente avevo bevuto un po' troppo. « Ti chiamo
appena
torno a casa, devo scappare!»
« Ma come, mi lasci cos-» Spensi
il telefono e corsi, dopo aver chiuso dietro di me la porta della
camera da letto, verso il cameriere appena entrato. Trasportava un
carrello ricoperto di quella che sembrava un'abbondante colazione.
«
Oh... buongiorno, chi l'ha ordinata?»
Lui si limitò a scrollare
le spalle. « Mi hanno detto di consegnare anche
questo.» Mi porse
una minuscola busta da lettere prima di uscire sorridendo. Lo
osservai un secondo, poi mi concentrai sul bigliettino:”Il
piano ha
funzionato. Vi aspetto nella hall”. Stronza. Mi lanciai il
bigliettino alle spalle, alzai il coperchio di un vassoio scoprendo
delle uova con pancetta, mentre il resto del carrello era occupato da
frutta fresca e toast. Presi uno di questi e lo addentai voltandomi,
scoprendo un Johnny Depp appena svegliato che mi osservava. Iniziavo
ad apprezzare il suo strano fascino da uomo con il passato bad
boy
che ha sperimentato droghe a 14 anni – è la sua
citazione più
famosa, dannazione, ovvio che la conoscessi anche allora!
Avanzò
qualche passo, si passò una mano tra i capelli senza aprire
bocca.
Per un attimo temetti che stesse per baciarmi, così, senza
motivo,
invece allungò un braccio dietro di me per sollevare il
coperchio
dell'unico vassoio chiuso, come avevo fatto io poco prima.
Arricciò
le labbra per poi allontanarsi di un passo e prendere il bigliettino,
leggerlo, e lasciarlo ricadere a terra.
« Credi che dovremo
parlare?» domandò con la voce ancora assonnata.
« Parlare? Di
cosa?» Quante domande quella mattina...
« Di ieri
notte» Oh, ieri notte. Un momento... cos'era successo quella
notte?
Per quanto mi sforzassi di pensare, non riuscivo a ricordare, forse a
causa dell'alcol della festa, che però non mi era sembrato
eccessivo. Avevamo di sicuro bevuto qualcosa anche lì,
quindi doveva
essere stato quello a farmi perdere il controllo. Lui indossava
ancora la maglietta e i pantaloni con cui era andato alla
première –
ma come faceva? – tuttavia io avevo addosso la sua camicia.
Giusto,
non avrei potuto dormire con quel vestito, sarebbe stato assurdo, il
suo gesto era stato solo di cortesia... o no? Avevo ancora qualche
dubbio, se fosse accaduto di più oppure nulla, ma non
sembrò il
momento per chiedere. Non credevo esistesse un momento giusto per
chiedere una cosa del genere, in realtà.
« Non credo. Meglio...
sai... far finta di nulla.» Annuii cercando di suonare
convincente,
quindi sgattaiolai in camera, dove erano ancora riposti i miei
vestiti, mordicchiando il toast. Lo sentii armeggiare con il carrello
e mangiare qualcosa, nient'altro.
Il bagno
sembrò piuttosto confortevole il quel momento.
Mi ci rinchiusi
dentro per fare una doccia e vestirmi, non sapendo a che ora avessimo
l'aereo e se Tracey La Strega sarebbe dovuta venire con noi fino a
Los Angeles. Strega, sì, perché “La
Stronza” suonava troppo
volgare alle mie orecchie da ricca giornalista fidanzata di Johnny
Depp. Dio, perfino così, sapendo che era una bugia, suonava
male.
Per qualche strana ragione – riflettei immersa nella vasca da
bagno, circondata da schiuma – non mi ero trovata affatto a
disagio
in quelle condizioni davanti all'attore. Quali condizioni, chiedete
voi? La sera della première non avevo tolto il trucco, che
quindi
appariva leggermente sbavato intorno agli occhi per il mio modo molto
composto di dormire, i capelli erano leggermente scompigliati, e,
ultimo ma non meno importante, avevo dormito con la sua camicia.
Inutile chiedersi come la mia mente avesse avuto il coraggio di farmi
avvicinare così tanto a lui da abbracciarlo durante la
notte. Dovevo
ricordare cosa diavolo era successo, a tutti i costi, perché
quel
pensiero mi stava uccidendo.
« Helen, dobbiamo scendere
altrimenti perdiamo l'aereo, hai finito lì
dentro?» Sembrava molto
più calmo rispetto a prima, meno scombussolato. Sveglio.
«
Quasi, dieci minuti ed esco!»
Dieci minuti che diventarono
venti, poiché dovetti uscire dalla vasca, asciugarmi,
vestirmi e
truccarmi. Lui mi aspettava a braccia conserte sulla poltrona
dell'atrio della suite, tamburellava con il piede sul grande tappeto
che copriva gran parte del pavimento, era nervoso, infatti mi
lanciò
un'occhiataccia appena mi vide arrivare.
Mi avviai verso la porta
e la aprii scrollando le spalle. « Beh, non andavi di
fretta?»
Tracey Jacobs
stava parlando con un altro agente della stessa società
quando la
raggiungemmo. Fece un cenno con la testa a Johnny, poi si
allontanò
seguito dallo sguardo vigile della Jacobs.
« Avanti, piccioncini,
tenetevi per mano, baciatevi, mostrate un po' d'amore!» Lo
sguardo
che entrambi le dedicammo fu tutt'altro che amorevole. «
Okay, forse
non amore... amicizia? Dai, Johnny, sei un attore, recita!»
Sfoggiò
un sorriso falso e ci fece strada fuori dall'hotel.
Lì ci
aspettavano, come avvoltoi, fotografi e giornalisti, tra cui scorsi
anche una reporter del Rolling Stone del mio stesso piano. Feci
finta di nulla, come se ormai non appartenessi più a quel
mondo,
senza rendermi conto sul momento delle conseguenze che quella notte
avrebbero avuto sulla mia carriera e sulla mia reputazione. Il
percorso compiuto fino all'aeroporto fu faticoso poiché non
fummo
lasciati in pace neanche per un secondo, tuttavia la situazione si
calmò una volta al sicuro tra le mura curve dell'aereo.
Sprofondai
nella comoda poltroncina della prima classe. Otto ore di
tranquillità
di attendevano, spese molto probabilmente di nuovo tra le braccia
calorose di Morfeo.
Invece no, non voleva darmi tregua. Lui, sì,
LUI, con i suoi zigomi che sfioravano la perfezione sebbene cercassi
di non pensarci. Non sembrava a suo agio appena svegliato, ma non
aveva problemi a stare a un paio di centimetri dal mio viso, mentre
per me era l'esatto contrario. Probabilmente sarei riuscita a stare
davanti a lui nuda, certo, con qualche metro a separarci. Era solo
l'insicurezza, il timore di cosa avrei potuto fare standogli troppo
vicino a comandarmi, perché, nonostante avessi da sempre
pensato che
come persona non fosse granché – e lo pensavo
tuttora – era solo
quest'odio a convincermi che non fosse poi tanto bello, mentre ora
che quasi convivevo con lui non potevo negarlo. Almeno non a me
stessa, perché con gli altri avrei negato fino alla morte.
Okay,
forse fino alla tortura.
Trascorsi il
viaggio tra questi pensieri, senza bere, osservando le persone che mi
circondavano e Tracey e Johnny che bisbigliavano tra di loro. Avrei
dovuto scambiare qualche parolina con l'attore prima di tornare a
casa. E sottolineo “avrei”, perché mi
riaccompagnarono
direttamente al mio appartamento le cui luci erano accese.
Johnny
guardò per un momento l'appartamento, poi si
voltò dal sedile
anteriore per parlarmi. « Non pensavo vivessi con
qualcuno». Già,
neanche io. Scesi dall'auto senza aprire bocca, chiedendomi se fosse
Logan in cerca di un calcio nel sedere o semplicemente Claire.
Scorgendo una chioma bionda, mi affacciai dal finestrino della
macchina. «Johnny, ti dispiacerebbe salire un
attimo?» Mi lanciò
un'occhiata torva. Aveva ragione, dopotutto i paparazzi erano anche
in quella zona. «So come può sembrare, ma
c'è una mia amica su che
vorrebbe conoscerti.» Lo guardai speranzosa in una risposta
positiva, che non tardò ad arrivare.
« Okay, andiamo, al ritorno
prenderò un taxi.»
La salita
verso il mio appartamento fu una tortura.
Non era la prima volta
che lo vedeva – mi aveva costretto il primo giorno a
farglielo
visitare per poter a mia volta visitare la sua casa –, ma si
era
accumulata tensione da quella mattina, tanta da non riuscire a salire
le scale senza pensare che lui mi stesse perennemente osservando e
giudicando; dopotutto non ne avevo alcun motivo visto che lui si era
attenuto al patto che avevamo fatto un paio di giorni prima, mi aveva
lasciato al mio lavoro, pur senza sforzandosi di parlare, ma non mi
aveva più “assalita”. La donna crudele
ero io.
« Ricordi la
bionda che ti è corsa incontro la scorsa volta?»
« Dubito che
riuscirei a dimenticarla.»
« Già.» Infilai la chiave nella
serratura e spalancai la porta, pronta ad essere investita da Claire.
Fu proprio come liberare una bestia rinchiusa da troppo tempo. Mi
saltò addosso, si aggrappò urlando, «
Racconta, bastarda!», forse
senza accorgersi dello Johnny terrorizzato sullo stipite della porta.
“Caro Johnny, sei un attore famoso, ti credevo più
forte!”,
pensai posando a terra la mia bionda amica e voltandomi verso di lui.
« Claire, lui è Johnny. Johnny, lei
è-»
« … Claire,
immagino.» M'interruppe porgendogli la mano.
Lei, tremante,
l'afferrò e imitò un sorriso mentre, molto
probabilmente, mi
malediceva nella mente in turco. Già, potevo percepirlo.
«
E'... è... un piacere.» Deglutì
ritirando la mano e portandola
verso il petto. Ero quasi sicura che non l'avrebbe più
lavata.
Dio,
avrebbero fatto una così bella coppia!
« Vado a prepararmi
qualcosa da mangiare, il jet lag mi ha ucciso. Depp, tu vuoi un po'
di carne?» Da quando lo chiamavo per cognome?
« Sì,
volentieri.» Urlò mentre veniva praticamente
trascinato da Claire a
parlare sul divanetto.
« Oddio, devi assolutamente parlarmi del
nuovo film con Burton! Sai, quello di cui state scrivendo la
sceneggiatura! A proposito, ieri c'era la première del nuovo
film,
com'è? Fantastico, immagino. Non vedo l'ora di vederlo!
Quindi, la
sceneggiatura?» Era incredibile come sapesse più
lei rispetto a me
dell'attore su cui dovevo scrivere l'articolo. Deprimente, in
realtà.
Dall'entrata andai in salotto, tirai fuori una padella su cui
sparsi dell'olio, quindi la misi sul fuoco e attesi che si
riscaldasse un poco. Il cucina ero sempre stata brava nel cucinare le
cose basilari, quelle essenziali per vivere – specialmente
perché
mangiavo spesso fuori casa – tra cui carne, qualche tipo di
pesce
in padella, pasta che mangiavo comunque una volta all'anno, e alcuni
piatti freddi. Eravamo stati in aereo per 8 ore, non mangiavamo da
quasi 10, il che avrebbe reso irresistibile anche un pezzo di pane,
solo per questo mi ero limitata ad offrirgli una bistecca. Beh,
quello e la scarsa voglia di cucinare per un uomo.
Corsi a
lavarmi le mani prima di prendere la carne in frigo per metterla a
sfrigolare in padella a fuoco basso, intanto le urla isteriche di
Claire si fondevano alla risata profonda ma sincera di Johnny,
situazione la quale mi fece pensare che in realtà lei
sarebbe dovuta
essere la sua finta fidanzata. Dopo qualche minuto, quando ebbi
apparecchiato la tavola per 2, assicuratami che la bionda non volesse
mangiare, arrivarono sorridenti e si sedettero, lei davanti a un
bicchiere di cola, lui davanti a un piatto con una bistecca
fumante.
Mangiammo in religioso silenzio, con Claire che fissava
insistentemente l'attore, lui che di tutta risposta divorava affamato
insalata e bistecca e io che all'ultimo minuto mi resi conto di avere
il cellulare spento. Appena finii, lasciai il piatto nel lavabo e
corsi a prendere in borsa il telefono, sul cui schermo apparve una
chiamata da un numero sconosciuto, un'altra da Logan e un messaggio
dello stesso.
« Johnny,
conosci questo numero?» e glielo dettai quasi gridando.
« E'
Tracey!» sbottò di rimando con la bocca quasi
piena.
Tracey? E
cosa diavolo voleva da me? Di sicuro l'avrei richiamata la mattina
seguente, ma avrei rifiutato qualsiasi ulteriore proposta di
fidanzamento, dannazione. Il messaggio era di Logan e, quando lessi
dell'invito a cena, il quale molto probabilmente era all'inizio
preparato per la chiamata, un'espressione confusa era dipinta sul mio
volto. Claire dalla stanza di fianco mi scorse e mi raggiunse.
«
Tutto okay, è successo qualcosa?»
Mi limitai a porgerle il
telefono.
« Oddio, Logan. Ci sei uscita». Claire conosceva in
modo perfetto il rapporto instaurato un tempo con il ragazzo, sapeva
anche degli sviluppi e della rottura avendoli seguiti dal vivo,
inoltre più di una volta mi aveva quasi ordinato di lasciar
perdere
i suoi messaggi in segreteria.
Dovete sapere che Claire aveva
sempre avuto uno strano rapporto con gli uomini. Non distruttivo, sia
chiaro, nessun complesso causatole dal padre e dal fratello, tuttavia
era stata con molti ragazzi, aveva saputo imparare dai propri errori
e aveva imparato molto su quella razza. Sapeva dare consigli, ecco
tutto.
« Potrei essere andata a prendere un caffè con lui
ieri e
lui potrebbe aver accennato al fatto che gli mancassi e io potrei
essere scappata via correndo.» Scrollai le spalle imitando
l'espressione del gatto con gli stivali di Shrek.
Sentii la sedia
di Johnny spostarsi sul pavimento, spostai lo sguardo dal viso
accusatorio della mia amica alla figura dell'uomo che lentamente
sparecchiava, un po' incerto sul dove poggiare la tovaglia, e che ci
raggiungeva stiracchiandosi.
« Per questo hai fatto tardi
ieri?»
« Sì, non che debba comunque
interessarti»
« Non mi
piace il ragazzo se ti fa fare tardi alle
première». Se non lo
conoscessi da quattro giorni avrei giurato che fosse geloso.
«
Alle quali comunque non parteciperò più»
« Quindi non state
davvero insieme?» s'intromise Claire.
La fulminai con lo
sguardo. « Ti pare?»
Johnny non sembrò apprezzare quel mio
commento. « Non ci sarebbe nulla di male.»
« Nulla, a parte che
non riusciamo neanche ad avere una conversazione! A
proposito...» Lo
afferrai per il colletto della camicia e lo trascinai in camera da
letto. Claire aveva un grosso punto di domanda dipinto sulla testa.
«
...dobbiamo parlare»
« Sì, ho notato» sussurrò
interrogativo. Prese a guardarsi intorno, confuso.
« Il patto
era una sera di première, non fidanzata fissa.
Cos'è questa storia?
Fai il George Clooney per una volta!»
« George Clooney?»
«
Sì, porta le ragazze come accessorio.» Arricciai
le labbra.
«
Vorresti che ti portassi come accessorio?»
« Vorrei che io non
dovessi fingere di essere la tua ragazza visto che ho una reputazione
da difendere!» Strillai in preda alla rabbia che avevo
represso per
tutto il giorno. Ormai era più forte di me, non sarei
riuscita ad
andare avanti ancora a lungo, quindi era meglio che avessi tirato
fuori ciò che avevo da dire.
« Hai ragione. Avrei dovuto cercare
un'altra soluzione ai miei problemi, invece di trascinarci dentro
anche te. E' stato un mio sbaglio. Perdonami.»
Con quelle parole
uscì dal mio appartamento e, sperai per un attimo, dalla mia
vita.
Ma subito ricordai che altri venticinque giorni ci
attendevano.
Claire, dopo la partenza dell'attore, mi comunicò
che aveva litigato con la coinquilina e, in seguito a vari giorni di
silenzio, aveva capito di non riuscire a convivere in quel modo.
Subito l'invitai a rimanere da me per un po', fin quando non avesse
trovato di meglio.
Quella sera andai a dormire felice, e proprio
quando chiusi gli occhi il ricordo della famigerata notte
m'assalì.
Siamo
stesi nella suite ridendo come matti, in mano abbiamo una bottiglia
di champagne ciascuno da cui beviamo direttamente, senza uso di
bicchieri che in certi momenti ingombrerebbero soltanto. Il braccio
del mio attore mi fa da cuscino su un letto troppo morbido per
risultare comodo, e per questo gli sono grata.
Dalla festa siamo
tornati dritti in hotel e da lì su in camera, da dove
abbiamo
chiamato il servizio in camera per farci portare qualcosa da bere
mentre discutiamo dell'articolo che dovrei scrivere, ma di cui adesso
non voglio proprio parlare. Tutti i pregiudizi su di lui sono
scivolati via insieme alla mia stabilità mentale per qualche
ora, e
sono quasi felice che sia successo. In questo modo sì che
riusciamo
a stare insieme in pace. Lui, nonostante le notizie delle camere
distrutte, è tranquillo, si vede, è felice, non
deve preoccuparsi
di ciò che gli altri pensano, in quelle quattro mura.
Può essere se
stesso e basta. Fissiamo il soffitto per qualche minuto, poi mi metto
in ginocchio sul letto, il vestito tirato su fino alle cosce per
evitare che si rovini. Bevo un altro sorso dalla bottiglia, la poggio
a terra per evitare di macchiare le lenzuola. Al contrario di questo
pomeriggio, riesco a liberarmi del tessuto rosso, rimanendo in
intimo, pronta ad andare a letto, ma Johnny non sembra pensarla allo
stesso modo. Per un secondo ho il timore che l'alcol gli abbia dato
alla testa, che forse pensi che io mi conceda a lui, e forse adesso
lo farei, però mi sbaglio. Quello che fa è, dopo
essersi sbottonato
la camicia, aiutarmi ad indossarla e poi allacciare i bottoni al
centro, quelli sull'addome, evitando quelli più in alto.
Sorrido
alla sua gentilezza, gli sfioro il viso con una mano, lui mi guarda
negli occhi, io gli fisso le labbra. Per quanto tempo ho pensato a
ciò che queste due azioni in realtà indicano,
anche se da lontano
appaiono così simili. Due sentimenti, due desideri opposti e
così
collegati. Ma il suo sguardo ci mette poco a scendere per incontrare
la mia bocca. In sincronia ci avviciniamo, ci sfioriamo senza mai
realmente toccarci, sento le sue mani che si accostano alla mia
schiena, e, senza il bisogno di sentire il suo tocco, mi attira a
sé
come una calamita ritrovandomi così vicina da sentire il suo
respiro. Non riesco a pensare, vorrei solo baciarlo ed essere sua per
stanotte, dimenticare poi tutto, ma so che non posso, che non me lo
perdonerei mai. Con un sospiro butto fuori la parte di me che mi
spinge tra le sue braccia, so che non se ne andrà mai ma la
seppellirò ancora a lungo, fin quando non
inizierà a divorarmi
dall'interno. Le mie labbra sfiorano l'angolo della sua bocca in un
bacio che descrive più delle parole la mia indecisione. Lui
capisce,
comprende, annuisce silenziosamente e, abbracciandomi, fa scivolare
entrambi sul letto in un sonno profondo.
___
Perdonate
il ritardo, davvero, è colpa della scuola, dei telefilm e di
vari giochi di ruolo, ma soprattutto mia.
Continuo a non voler accelerare le cose tra questi due soggetti qui, ma
vabeh, non potevo lasciare le cose come stavano e ho dovuto infilarci
qualcosa in mezzo.
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo!
A presto ~
|
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Capitolo 6 *** Day Five ~ Talking, Kissing, Talking ***
Day
Five – Talking, Kissing, Talking
La
cucina profumava di caffé quella mattina. Capite quindi la
mia
confusione. Caffé. In casa mia. Alle 8 di mattina.
Esattamente.
«Oh,
sei sveglia! Finalmente! Ho fatto il caffé e i pancakes!
Mangi i
pancakes la mattina, vero? C'era il necessario e-»
«Claire!
Ssssh!» Quasi le gridai contro per zittirla. Mi ero svegliata
per
una chiamata di Jack riguardo le notizie che stavo raccogliendo: mi
aveva praticamente vietato di attuare il mio piano "conosci
Johnny e scappa" usando la carta dell'intervista completa, ergo
non potevo semplicemente fargli domande perché tutti
conoscevano le
risposte, dovevo andare "a fondo". Non avevo idea di cosa
significasse, ero troppo arrabbiata per chiedere altro. Trovare poi
Claire a distruggere la cucina cercando di cucinare qualcosa per la
colazione mentre parlava a raffica era un altro segno della pessima
giornata che mi si prospettava.
«Carino!» Rispose lei indicando
il mio pigiama a quadri. Okay, non era molto... "adulto",
ma era largo e comodo e... oddio! Quello era davvero succo d'arancia?
Mi arresi e, senza prima rifugiarmi in bagno, mi sedetti a tavola
sospirando. «Cosa ci fai sveglia a quest'ora?»
Claire era stata
sempre sostenuta economicamente dal padre, ma da un po' aveva deciso
di sostenersi da sola con un misero stipendio da cameriera per sei
ore il pomeriggio, quindi non aveva motivo di svegliarsi
così presto
la mattina.
«Johnny non te l'ha detto?» Oh, lo chiama
già per
nome?
«Cosa avrebbe dovuto dirmi?»
«Che vengo con te oggi!»
E sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi.
Okay... cosa?! Si
fidava così tanto a di lei dopo mezz'ora di conversazione da
lasciarla curiosare in casa sua?
«Ecco, mi ha chiesto di aiutarlo
a provare per una parte di cui non è molto sicuro
aggiungendo che tu
non avresti mai accettato.» Ripeto: si fidava così
tanto?
Mandai
giù un morso del pancake e annuii. «Okay,
sì, nessun problema.
Insomma, se non è un problema per lui non vedo
perché dovrebbe
essere un problema per me.» Uh-uh...
«Ottimo!» Saltò su dalla
sedia battendo le mani eccitata e iniziò a pulire la cucina.
Alle 8
di mattina.
Il cancello automatico si aprì appena la mia
macchina si fece strada nel viottolo e ci lasciò entrare
senza
troppe cerimonie. Parcheggiai e vidi che affacciato alla porta c'era
già Johnny che ci aspettava sorridente. Non riuscivo proprio
a
capire questo collegamento istantaneo tra Johnny e Claire. Credeva
forse che avrei inserito nell'articolo quel suo atto di immensa
generosità? Si sbagliava di grosso. La mia amica si
fiondò fuori
dalla macchina appena mi fermai, io rimasi dentro un po' di
più,
forse per osservare meglio la reazione di Johnny alla
felicità di
Claire. Slacciai la cintura lanciando occhiate ai due che si
salutavano con un abbraccio, bevvi un sorso di caffé dal
bicchiere
thermos mentre Claire entrava e l'attore si fermava un secondo di
più
sullo stipite della porta per guardarmi, forse per accertarsi che
fossi ancora viva, afferrai la borsa e li raggiunsi a passo lento.
La
casa non era cambiata affatto dall'ultima volta che ci ero stato. No,
davvero, ogni oggetto era nella precedente posizione, il che mi fece
domandare se pulissero ogni tanto in giro. Sentii le loro voci ma non
li cercai visto che probabilmente lei era stata portata a fare il
tour – a me inizialmente negato – della dimora
dell'attore.
Lanciai come al solito la tracolla sulla poltrona su cui poi mi
sedetti in attesa di essere perlomeno salutata dal padrone di casa.
Quella situazione era a dir poco strana e l'ultima cosa che avrei
voluto fare era ripensare a quella notte. Sembrava in effetti
così
distante dalla realtà da farmi credere che fosse stato tutto
un
sogno, o meglio, cercavo di convincermi che quello fosse tutto un
sogno, anche se sapevo che era tutto realmente accaduto. Ma non
poteva essere, non potevo davvero avere voglia di baciarlo
perché
quello avrebbe implicato tante cose che non volevo accettare. D'altra
parte mi consolava il fatto che 3/4 della popolazione femminile del
mondo voleva baciarlo, e non solo. Però aveva ragione,
dovevamo
parlare e di sicuro non potevamo farlo di fronte a Claire. Lo so, era
la mia migliore amica e avrei dovuto dirle tutto e rivelarle ogni
dettaglio, ma non ero pronta ad ammetterlo a me stessa, figuriamoci a
lei.
«Davvero, è tutto fantastico, non ho parole!
Sembra tutto
così irreale. Me, Claire Dawson, nella casa di Johnny
Depp!» Quelle
parole furono seguite da una risatina che sfiorava l'isteria. Johnny
prese tutto quello per un gran complimento e rise subito dopo.
«Però,
consiglio da amica...» Amica?! «.. dovresti
togliere dalla camera
quella foto di Vanessa. E' un po' come Helen che mantiene ancora in
sala la foto del suo ex!» Beh, in effetti no.
«E' un ricordo,
nulla più. Faceva parte della mia vita e non posso
cancellarla da un
momento all'altro.» Rispose abbassando il tono di voce mentre
arrivavano a loro volta in salotto. «Buongiorno,
Helen.» Mi salutò
senza neanche degnarmi di uno sguardo, passandomi affianco come se
fossi un pezzo del mobilio della stanza. Forse ero stata un po'
troppo dura con lui la sera prima ma dovevo mettere in chiaro le cose
e non potevo certo farlo gentilmente. Dio, sembrava un bambino.
«'Giorno.» Mormorai più acida di lui. Lo
sguardo di Claire
vagò da me a lui e poi di nuovo da lui a me, poi
scrollò le spalle
e si sedette sul divanetto di fronte al mio.
«Hai visto come
sono carini i bagni? E' tutto così... Ow, è tutto
di marmo!»
«No,
non ho avuto occasione di vedere i bagni, Claire, data mia posizione
non mi è permesso visitare i bagni a eccezione di quello
degli
ospiti a questo piano.» Dicendolo la mia attenzione si era
spostata
sulla figura di Johnny che mi stava finalmente osservando. Si poteva
sapere cosa diavolo gli fosse preso?
«E' davvero un peccato,
credimi. E poi le camere, oh, le camere!» Continuò
così per vari
minuti, ormai stavo ascoltando a malapena le sue parole mentre
l'attore sembrava concentrato su di lei più quanto si fosse
mai
concentrato sulle domande che gli avevo posto il primo giorno.
Passammo quindi così la mattinata, tra discussioni frivole e
domande allo stesso livello, perlomeno frivole rispetto a quelle che
avrei dovuto fare io per lavoro. Ma appuntai comunque tutto
ciò che
lui rivelava alla mia amica così curiosa, perché
si sa, la gente
ama anche i dettagli più inutili, aiutano a farsi un'idea
più
precisa della cosa, persona o evento di cui si parla. A pranzo
convinsi Claire a lasciare la casa per mangiare fuori e anche
lì non
facemmo altro che parlare di Johnny, di quanto fosse simpatico e per
nulla presuntuoso, di conseguenza ringraziai in silenzio uno di quei
dei lassù alla fine del pranzo. Claire doveva andare a
lavoro,
l'accompagnai a casa a prendere l'uniforme e poi la portai alla
tavola calda, tuttavia proprio non me la sentivo di tornare subito da
Lui e affrontare l'unico argomento che non avrei voluto affrontare
per nulla al mondo. Vagavo per le strade di LA riflettendo a quello
che era accaduto in quegli ultimi giorni. Volevo un mondo di bene a
Claire, davvero, ma il lavoro era il lavoro e non potevo passare
altri venti giorni in quelle condizioni per nulla al mondo,
specialmente perché non avrei avuto modo di studiare Johnny
come
avrei voluto, com'era necessario. Fare battute, scherzare, provare
per altri film rimanendo in casa non era ciò di cui avevo
bisogno
perché a quel punto sarei potuta restare a casa a guardare
senza
sosta le interviste fino a memorizzare ogni suo movimento, ogni sua
parola, il suo modo di fare. Tuttavia l'alternativa era viaggi come
quello di due giorni prima, premiére in giro per il mondo in
stanze
di hotel con letti che profumavano di lui, mentre noi due, stretti
l'uno all'altro, vivevamo una favola che sarebbe durata poche ore.
Stranamente quell'idea non mi spaventò, ma poche ore mi
sarebbero
bastate? Non avevo forse desiderato per tutto il giorno che potessimo
essere di nuovo solo noi e due bottiglie di champagne, un materasso
morbido e un bacio finalmente dato?
Era di spalle e leggeva
il copione di un film ancora sconosciuto a noi esseri mortali. Si era
dovuto alzare per aprirmi il cancello e quindi aveva lasciato
leggermente aperta la porta principale, però subito era
tornato sul
divano a leggere, lo stesso divano del mio primo sogno. Ebbi un
brivido a quel ricordo.
«Cos'avevi stamattina?» Neanche
sussultò quando sentì la mia voce, né
alzò lo sguardo dalle
pagine. Pregai per lui che fosse solo il copione ad essere
estremamente interessante da non potermi neanche guardare in faccia
mentre mi rispondeva. Non mi sedetti, rimasi in piedi alle sue spalle
fingendo di leggere qualcosa di quelle parole scritte al computer
talmente piccole da rendermi impossibile anche il pensiero di
quell'azione.
«Lo dici come se di solito andessimo d'accordo.»
Mormorò dopo qualche secondo.
«Non si tratta di andare
d'accordo, si tratta di sopportarci e tu stamattina mi eri totalmente
indifferente, come se non potessi ascoltare Claire e darmi retta allo
stesso tempo.»
«"... guardarmi allo stesso tempo".»
Concluse la frase come avrebbe voluto che fosse in realtà
conclusa,
o forse come io avrei dovuto concluderla. «E' questo che
volevi
dire, no?»
Mi schiarii la voce. «Non è ciò che ho
detto, però.
Non travisare le mie parole. Dobbiamo parlare.»
Finalmente si
voltò verso di me e parve incredibilmente stanco.
Sospirò, mi
scrutò, si voltò di nuovo verso il copione.
«Di cosa, di grazia?
Avevi ragione tu ieri, non avrei dovuto approfittarne e bla bla
bla... Visto? Abbiamo parlato.» Si sforzò di
sorridere, gli occhi
sempre fissi sulle pagine colorate di nero.
«No, ieri ti sei
arrabbiato e sei uno stronzo. Sto solo facendo il mio lavoro, te l'ho
ripetuto mille volte, quindi non ti azzardare mai più a
ignorarmi
come oggi. E cosa diavolo ti è saltato in mente? Invitare
Claire?
Cos'è, vuoi divertirti con me presente? Non esiste! E non
esiste
neanche che tu prenda lei come sostituta perché te lo
lascerà fare
e quando i paparazzi si stancheranno di te e della tua finta vita
preoccupante e piena di sbagli la ferirai! Io sono stata talmente
stupida da cadere nella tua piccola trappola e qual è il
risultato?
Mi hai vista nuda!» Gridai mentre lui si alzava dal divano,
lo
aggirava e mi raggiungeva divertito.
«Oh, quindi adesso ricordi?»
Interpretò bene la mia espressione interrogativa.
«Una tipa
riflessiva come te avrebbe voluto di sicuro parlarne, quindi ho solo
ipotizzato che non fosse ancora andato via del tutto l'effetto
dell'alcol. E comunque non eri nuda, ma in intimo, e sono stato un
gentiluomo.» Non potevo certo negarlo.
«Dettagli! Non avevi
nessun diritto di fare lo stronzo oggi!»
«Già l'hai
detto.»
«Sì, e continuerò a ripeterlo. Sei solo
fortunato che
il mio capo non voglia farmi fare l'intervista.» Rivelai
sbuffando.
«Ah sì? Mi deve amare davvero tanto.»
«Al
contrario di me.» Dissi, e si fece più vicino.
«Baciami.»
Sussurrò e rabbrividii
«Cosa?»
«Ho detto... baciami. So che
vuoi farlo.» Non aveva idea di quanto avesse ragione,
talmente tanta
ragione che il mio cervello si scollegò.
«Non voglio.»
«Sì
che vuoi. Vuoi perché stamattina hai creduto che avessi
dimenticato
tutto e ti sei sentita messa al secondo posto, e mi dispiace. Vuoi
perché vorresti che ci fossimo baciati quella notte
all'hotel ma non
è colpa mia se non è successo. Quindi rimedia.
Baciami.»
Lo
guardai negli occhi, il respiro accelerato e il mio viso
impercettibilmente più vicino al suo.
«Non...»
«Non puoi?
Puoi. Sarà il nostro piccolo segreto. Un bacio e tornerai a
odiarmi.
Credimi.»
Ormai ero completamente immobilizzata. Sollevo una mano
e avvolse con quella un lato del mio collo. Sembrò voler
controllare
ogni proprio movimento, tanto che li seguì con lo sguardo.
La mano
libera si spostò di poco dal suo fianco poiché
afferrò il mio e
fece in modo di avvicinarmi il più possibile al corpo
dell'attore.
Johnny, con gli occhi bassi, incontrò solo allora i miei e
sollevò
un angolo della bocca. Sembrava voler dire:"Se non lo fai tu, lo
faccio io". E lo fece. Dolcemente si chinò su di me e le sue
labbra sfiorarono le mie in un tocco che mi fece impazzire. Era
leggero, eppure, per un attimo, sembrò tutto quello di cui
avevo
bisogno. Non si spinse oltre e lo stesso feci io. Mi trattenni dal
mordere le sue labbra come in realtà avrei voluto, mi
trattenni dal
baciarlo davvero, come doveva essere un bacio, per non dovermi
torturare più tardi per quel ricordo. Tutto sembrava essere
lasciato
a metà, con lui. Persino adesso, quando ero così
vicina dal mettere
insieme l'ultimo pezzo di un puzzle, rimandai.
«Ti neghi troppe
cose.» Il fatto che la sua voce fosse lievemente roca mi fece
sorridere.
«Hai proprio ragione.» Dissi sorridendo.
Mi liberò
da quell'"abbraccio" mentre mi lasciavo andare a un mugugno
di disapprovazione.
«Perché non avete provato tu e Claire?»
Domandai all'improvviso.
Lui si allontanò e tornò alla sua
"postazione" di prima, sul divano, con il copione in mano.
«Doveva lavorare oggi, non avremmo avuto tempo. Comunque
proveremo
domani, che non deve lavorare.» Annuii silenziosamente, mi
sedetti
su quella che ormai era diventata la mia poltrona, ginocchia piegate
al petto a osservare il mio attore. «Sembri una
bambina.» Esordì
dopo un po'.
«Vista la situazione non è un bene, no?»
«Decisamente no.» Rimisi a terra le gambe.
«Ora va molto
meglio.»
Uscii da lì verso le sette, quando era ormai ora di
andare a recuperare Claire a lavoro visto che, avendola accompagnata
io, non aveva un mezzo per tornare a casa. Non le dissi nulla
dell'accaduto, le rinnovai l'invito a casa Depp – accettato
con un
gridolino – e trascorremmo la serata, finalmente, a parlare
di
Robert Downey Jr. Di attore in attore.
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Capitolo 7 *** Day Six ~ Dinner and... ***
Day
Six – Dinner and....
«Quindi,
Claire, che ne pensi?» Le chiesi finendo di applicare il
rossetto.
Anche quella mattina, con la colazione già pronta sin dalle
otto,
non ero dell'umore migliore, ma non avevo ancora avuto modo di
parlare a Claire delle prove che avrebbero dovuto fare quel
pomeriggio lei e Johnny. E poi, prova di cose? Aveva davvero bisogno
di esercitare le sue doti di attore, possibilmente rovinando la
visione del futuro film alla mia amica? Non era una di quelle cose
che vengono automatiche? Cavolo, probabilmente lui cercava solo di
essere gentile, e il fatto che fosse gentile con tutti tranne che con
me mi faceva innervosire e non poco.
«Riguardo cosa?» Domandò
finendo di preparare i tramezzini per il pranzo, perché
sì, aveva
deciso che avremmo mangiato lì. Come se non ci passassi
già
abbastanza tempo.
«Sai, il tempo che stai passando con Johnny,
credi sia una buona idea?» Non sono una strega cattiva, non
cercavo
di farle venire dubbi sulle buone intenzioni dell'attore, desideravo
unicamente conoscere il suo punto di vista.
«Sì, insomma, non mi
faccio illusioni di nessun genere, tranquilla.»
Sfoggiò uno dei
suoi migliori sorrisi mentre "impacchettava" i tramezzini e
li sistemava in borsa.
Annuii poco convinta. Sapevo bene quanto
lei lo adorasse e non volevo che ci rimanesse male, anche se nulla mi
assicurava che lui l'avrebbe presa in giro, anzi, tutto pareva
indicare che gli piacesse la compagnia di Claire. Certo, sarebbe
dovuto essere uno stronzo per baciare me e provarci con lei, ma
nessuno di noi due lo conosceva davvero bene, sebbene lo non credessi
capace di un comportamento del genere.
Il
cellulare iniziò a squillare mentre parcheggiavo. Questa
volta,
vedendo che sul cellulare campeggiava il nome "Logan",
Claire rimase con me in macchina ma non me la sentii proprio di
rispondere, quindi aspettai che chiuse la chiamata prima di scendere.
«Dovrai
parlarci, lo sai, vero?»
«Sì, lo richiamerò più
tardi, è di
prima mattina che non riuscirei a sopportarlo.»
«Gli hai almeno
dato la possibilità di mostrarti-»
«Cosa, che è cambiato? Non
sarà mai capace di cambiare, Claire, e non voglio un bambino
al mio
fianco.» Eravamo a un paio di metri dall'entrata di casa Depp
e
ringraziai silenziosamente Johnny per aver deciso di rimanere in casa
quella mattina a causa dell'aria fredda, visto ciò che lei
mi
rispose.
«E vorresti un uomo? Come Johnny?»
Sussurrò fermandomi
per un braccio. Doveva aver interpretato bene l'espressione sul mio
viso, perché non aspettò una risposta.
«Avanti, Helen, ti conosco
più di quanto conosca me stessa, credi davvero di potermi
ingannare?».
«Ingannarti? Perché dovrei? Cos'è, "hai
visto come lo guardo"?» chiesi ironica.
«Sì, esattamente.
Ho visto come lo guardi. E non sei innamorata di lui, ma credo che tu
ti stia trattenendo con Logan solo perché vuoi
Johnny.» Potevo
controbattere? No che non potevo.
«Ho chiesto se ti stessi
ingannando perché in realtà ingannavo me
stessa...» mormorai più
a me che a lei. «Hai ragione, è solo che
è successo qualcosa ma
non te l'ho detto perché credevo ci saresti male
e...»
«So che
è successo qualcosa, non so cosa, ma era
inevitabile.» Mi colpì
leggermente il braccio con il gomito e rise. «Insomma, una
notte in
hotel con Johnny Depp? E chi potrebbe resistergli?»
Risi con lei
e la seguii all'interno, dove trovai Johnny e una figura,
più alta
di lui, coperta da un lungo cappotto nero. Capelli corti neri,
stivali neri... No, non poteva essere lui.
«Oh, è lei la
giornalista?» Domandò dopo essersi voltato e
avermi indicato con un
dito mentre guardava Johnny.
«E' lei.» Replicò lui
osservandomi.
Marilyn Manson fece qualche passo verso di me
tendendomi una mano, strinse la mia e si avvicinò per
sussurrarmi
all'orecchio:«Starò attento a non dire nulla di
compromettente in
tua presenza» commentò serio, tuttavia io non
potei trattenere un
sorriso. «Johnny, metti via quell'assenzio.»
Ridemmo tutti e tre,
ma lui si fece più serio. «Dico davvero, mettilo
via.» E Johnny
trafficò con una bottiglietta su cui era stampato uno dei
dipinti di
Marilyn per portarla nel salotto più grande e nasconderla
dietro
alle altre.
«Sarà il nostro piccolo segreto.» Dissi
lasciando
andare di malavoglia la presa. Avevo seguito passo per passo
–
anche grazie alla mia posizione all'interno del Rolling Stone
–
ogni suo piccolo movimento nel campo musicale, diventando pian piano
una sua grande fan.
Marilyn si dedicò ora a Claire che per molto
tempo aveva cercato di farmi capire il suo punto di vista. A lei
piacevano le sue canzoni, ma non riusciva a sopportare il suo modo di
fare, era davvero convinta che il suo modo di vestire fosse solo per
fare scena, mentre adesso aveva avuto la prova del contrario. Rispose
alla stretta di mano e raggiunse Johnny in cucina, io mi sedetti
sulla solita poltrona, seguita dal cantante. Mi guardò
dall'alto per
qualche secondo, quindi si fece vicino al mio volto sorreggendosi con
le mani sui braccioli della poltrona. Aggrottai le sopracciglia e lui
mi sorrise, un sorriso quasi inquietante.
«Non stregare Johnny,
è un caro amico, mi dispiacerebbe dover rinunciare a lui
durante i
concerti.» Rimase in quella posizione, troppo vicino da farmi
sentire a mio agio, eppure c'era qualcosa nel tono che aveva
utilizzato che riusciva a... "confortarmi". Restava
inquietante, con le lenti a contatto recuperate per quella visita, le
quali rendevano un occhio azzurro e l'altro marrone.
L'attore,
seguito da Claire, tornò in salotto e a quella scena si
schiarì la
voce costringendo Marilyn a sollevarsi e ad occupare un posto sul
divano. «Stavo giusto dicendo a... Helen, giusto? che ho
letto dei
suoi articoli e sono rimasto piacevolmente sorpreso. E sì,
la
vicinanza era necessaria per rendere meglio l'idea. Ma tranquillo,
non voglio rubartela.»
«Gentile da parte tua, ma forse una
giornalista che ti segua e che non ti permetta di fare ciò
che fai
di solito ti aiuterebbe.» Affermò Johnny ridendo.
«Scherzi? Se
io ho una brutta immagine faccio più spettacolo, sei tu
quello da
tenere sotto controllo, soprattutto negli hotel.» E non aveva
tutti
i torti. Io e l'attore ci scambiammo uno sguardo complice,
trattenemmo entrambi una risata, poi salutammo Marilyn che stava
andando via. Loro due si abbracciarono e parlottarono un paio di
minuti in disparte, un'altra stretta di mano a me e a Claire e ci
lasciò.
«Helen,
il cellulare. Ti sta squillando il cellulare.» Scossi la
testa per
riprendermi dal sogno ad occhi aperti, che di sogno non aveva nulla
visto che stavo semplicemente osservando le linee del parquet mentre
ascoltavo distrattamente i due che provavano il copione per un nuovo
film di John Carpenter. Come ci aveva già detto, Johnny era
indeciso
sull'accettare il ruolo e credeva che recitando quella parte, con
Claire come aiutante, sarebbe servito a qualcosa. Ma non fu
così.
Sembrava un dannato, con quel copione in mano, mentre camminava
avanti e indietro per la stanza. Ora entrambi erano concentrati su di
me, anzi, sul mio telefono che vibrava all'interno della borsa. Nel
momento in cui lo presi e lessi "Logan", Johnny disse
qualcosa che mi fece preoccupare a dir poco:«Possiamo
consolarci con
una cena stasera, che ne dite?» Avevamo appena pranzato,
quindi
forse per quello non ci aveva offerto il pranzo, ma me, Claire e
Johnny Depp a cena insieme... decisamente una pessima idea.
Mi
alzai dal divano rispondendo al cellulare e mi allontanai
ritrovandomi all'entrata. «Logan, ciao, ho visto prima la tua
chiamata, ma non ho proprio avuto tempo di richiamarti.»
Inutile
cercare di giustificarmi per non essermi fatta sentire dopo la
chiamata durante il breve viaggio a New York.
«Lo so, stai
lavorando, non preoccuparti.» Potei quasi sentire sorriderlo
dall'altro lato. «Volevo solo rinnovare l'invito a cena
stasera, se
sei libera.»
Cos'aveva detto Claire riguardo il dargli un'altra
possibilità? Potevo davvero sperare che con l'attore andasse
come
desideravo? Ma soprattutto, cos'è che desideravo?
«Liberissima.
Passi a prendermi intorno alle otto?»
«Vada per le otto. Buon
lavoro!»
«Grazie, Logan, anche a te.»
Rimasi qualche attimo
lì nel vano tentativo di capire perché avevo
accettato, e quando
tornai in salotto Johnny e Claire stavano ancora discutendo della
cena. «Vieni anche tu, Helen?» mi
domandò l'attore.
Alzai il
telefono, come se quello fornisse una spiegazione plausibile.
«Logan?» fece Claire.
Annuii. «Logan. Gli ho detto di
passare alle 8.»
Johnny respirò profondamente per poi lasciarsi
andare a un sorriso. «A quanto pare saremo solo io e te,
Claire.»
«A
quanto pare sì.» Confermò ridendo.
Avrei
fatto in tempo a farmi una doccia? Forse sì, se avessi fatto
abbastanza in fretta. E poi cos'avrei dovuto indossare? Diamine, non
mi aveva neanche detto dove mi avrebbe portata! Claire, al mio
fianco, era decisamente più rilassata, forse
perché Johnny le aveva
detto che l'avrebbe portata in luogo isolato dai paparazzi, se era
questo che desiderava, e lei aveva accettato senza remore. Dalla
première con Johnny, invece, io avevo iniziato a notare
alcune
persone fuori dall'appartamento agli orari più assurdi, e
foto sui
giornali avevano confermato gli appostamenti dei paparazzi. Mi
avrebbero seguito anche quella notte? Speravo davvero di no.
Una
volta nell'appartamento, iniziai a frugare nell'armadio alla ricerca
di qualcosa non troppo elaborato da indossare, e un vestitino nero mi
parve l'ideale. Mi gettai sotto la doccia, una volta uscita asciugai
i capelli e li lasciai sciolti, poi iniziai a vestirmi. Logan fu
puntuale come sempre, scelsi di non farlo salire poiché
Johnny era
già passato a prendere Claire.
«Sei... bellissima, Helen. Come
sempre.»
Neanche lui scherzava, con una maglietta bianca coperta
da una giacca dello stesso colore e dei jeans. Né troppo
elegante,
né troppo semplice. Alla fine non avevo sbagliato.
«Grazie.»
Mormorai sorridendo.
Il viaggio non fu poi così lungo, ma il
silenzio fece pesare quei dieci minuti in macchina un po' troppo.
Fortunatamente ci riprendemmo durante la cena, parlammo degli ultimi
mesi, di come io avessi ottenuto quell'importante incarico e di come
lui si fosse finalmente laureato e avesse iniziato a lavorare
davvero. Solo per me, diceva, ma come potevo credergli? Non poteva
essere innamorato di me per sempre e glielo dissi quando ormai
eravamo giunti al dessert.
«Non
smetterò mai di provare a conquistarti. Anche se mi
costringerai a
competere con lui.» Su, avrebbe potuto gonfiare il petto e
battere i
piedi per terra per completare l'opera.
«Non voglio cotringerti a
fare nulla... e contro chi?»
«Johnny Depp!»
«Ma sei scemo?»
Una domanda semplice ma che racchiudeva mille risposte, mh?
«Che
c'è? Ho visto le foto della première, di come tu
fossi magnifica e
stupenda al suo fianco. Ma non ho intenzione di arrendermi.»
«Mi
spieghi che senso avrebbe? Non ti amo più da molto tempo
ormai e
credo di averlo reso piuttosto chiaro.»
«Come fai ad esserne
sicura?»
Come facevo ad esserne sicura? Non ne avevo idea. Lo
sapevo e basta. La persona che tempo prima era diventata non era la
stessa di cui mi ero innamorata inizialmente, ma quando me n'ero resa
conto era troppo tardi, l'amore era scomparso e non c'era modo di
lasciarlo senza ferirlo. Quando gli dissi "addio" mi
promise che ci saremmo reincontrati e che non avrebbe mai smesso di
amarmi – insomma, le solite frasi che i giovani dicono
credendoci
fermamente –, ma lui aveva davvero mantenuto quella promessa.
Scossi la testa riprendendo a mangiare la torta cheesecake di
fronte a me. Forse semplicemente non riuscivo ad accettare quella
situazione, non riuscivo a mandare giù la sua decisione,
sempre che
fosse una decisione, cosa alquanto discutibile. Lui mi
osservò per
qualche secondo, poi distolse lo guardo e bevve un sorso d'acqua.
Almeno in quel campo aveva fatto passi avanti, a meno che non stesse
solo approfittando della situazione per mostrarsi al suo meglio e per
dimostrarmi quanto fosse in realtà cambiato. Probabilmente
stavo
giudicando troppo in fretta la situazione, ma sarei stata comunque
capace di perdonargli tutto ciò che mi aveva fatto passare?
Era
sempre stato così: faceva qualcosa per farmi arrabbiare e
poi
s'impegnava con tutto se stesso per rimediare. Da un lato lo trovavo
estremamente dolce, dall'altro terribilmente irritante. Mi chiedevo
come lui potesse restare così insistente nonostante tutte le
volte
che l'avevo cacciato via dalla mia vita, tutte le volte che gli avevo
detto che l'odiavo, tutte le volte che l'avevo realmente odiato.
Tuttavia non chiesi altro, quella sera, e il silenzio
continuò fin
quando non fu lui a chiedermi se volevo tornare a casa. Annuii in
silenzio, lui chiese il conto e pagò lasciando la mancia al
cameriere, quindi tornammo in macchina e il ritorno fu silenzioso
quanto l'andata.
«Ho passato una bella serata, Logan. Grazie
davvero.» Gli dissi una volta arrivati sotto il mio
appartamento. Mi
sporsi verso di lui e gli lasciai un bacio sulla guancia. Lo sentii
irrigidirsi.
«Buonanotte.»
A quel punto scesi dalla macchina,
in mano la pochette nera scelta per quella serata, sapendo che
probabilmente Logan non si sarebbe più fatto vedere.
«So essere
piuttosto insistente, lo sai.» Logan era uscito dalla
macchina e
aveva girato intorno ad essa. L'aveva fatto in modo così
silenzioso
da non farmi rendere conto di nulla.
«Logan...» iniziai.
«Ti
amo, Helen. Ti amo. Accettalo. Accettami.»
«Non...» Avrei
ripetuto le stesse cose che gli avevo ripetuto per tutta la sera, se
solo me l'avesse permesso... se solo non mi avesse baciato. Eppure
c'erano due metri a separarci, come avevo fatto a non rendermi conto
che la distanza si era eliminata in un attimo? E ora potevo sentire
le sue mani sui miei fianchi, le sue labbra che si muovevano
dolcemente sulle mie.
Casa.
Sapeva di casa. Aveva l'odore
familiare e confortevole che ha un luogo in cui hai vissuto per
così
tanto tempo da non ricordarti nemmeno l'ultima volta che hai dormito
in un letto diverso. Ecco, stare lontano da lui era stato come
riposare in un altro letto. Ora ero tornata tra le braccia dei miei
genitori e mi ero fiondata sul materasso che il mio corpo riconosceva
immediatamente. Eppure ricordai quanto fosse malsano restare per
troppi anni tra le braccia materne o paterne. Perché in
fondo amiamo
tanto restare sotto quel tetto perché è
più semplice, tutto è
facile. E' una sicurezza. Raggiunta la giusta età, dobbiamo
allontanarci dal nido se vogliamo crescere. Quello che stavo provando
non era amore, ma paura. Paura di non essere mai amata come lui mi
amava. E le paure bisogna combatterle. Io lo feci scappando dalle sue
braccia, poi nel palazzo, su per le scale, verso l'appartamento.
Sapevo di aver fatto un grave errore ricambiando il bacio, ma
ringraziavo quello strano flash per avermi "risvegliato".
Aspettate un attimo... flash?
Mi
stavo struccando in bagno, seduta sul bordo della vasca, quando
sentii la porta aprirsi e richiudersi. Claire era tornata e, appena
mi vide, parse subito piuttosto agitata.
«Hai acceso il pc?» Mi
chiese con un tono di rimprovero.
«No, sono appena tornata,
perché?»
«Perché? Mi stai davvero chiedendo
perché?»
«Devo
preoccuparmi?»
Quello che proruppe dalle sue labbra assomigliava
a un grugnito. «Vado a letto, finisci poi vai a vedere
"perché".
Dannazione, Johnny era così vicino ad andarlo a trovare e
prenderlo
a pugni...» Sospirò, mi bacio la guancia e
andò in salotto.
In
realtà ero tornata da un'oretta a casa e tra poco sarebbe
stata
mezzanotte, quindi il computer era l'ultima cosa che m'interessava al
momento. Mi ero svestita e avevo indossato una maglia a maniche corte
di due o tre taglie più grandi, visto che il mio adorato
pigiama era
nella lavatrice. Me l'ero presa con calma, quindi solo dieci minuti
dopo l'arrivo di Claire andai in sala per scoprire la causa di tanto
nervosismo di Johnny. Erano delle foto. Sullo schermo del portatile
campeggiavano dei primi piani di un bacio, quello mio e di Logan. La
velocità con cui erano state postate su internet era
sorprendente,
cosa più sorprendente era il modo in cui Johnny l'aveva
scoperto, ma
nulla batteva la reazione dell'attore. Arrabbiato per cosa? Tolsi lo
schermo intero per visualizzare l'articolo. "La nuova fiamma di
Johnny Depp è passata a un nuovo focolare dopo soli due
giorni?".
Persino il titolo non aveva senso. Rimasi sul divano solo un altro
paio di minuti a chiedermi perché mi fossi messa nel bel
mezzo di
quella situazione prima di andare a letto, ripromettendomi di
risolvere tutto la mattina seguente.
Non
mi fu permesso.
Sentii bussare insistentemente alla porta e mi
alzai sapendo che Claire, con il suo sonno pesante, non si sarebbe
svegliata sebbene la sua camera fosse più vicina
all'entrata.
L'orologio digitale segnava l'ora: 01:34. Spostai le coperte
velocemente, più preoccupata che fosse successo qualcosa di
grave
che innervosita. Poggiai una mano sulla porta. «Chi
è?»
«Johnny.»
Mi rispose l'attore dall'altro lato. Dalla voce non sembrava ubriaco,
il che era un buon segno.
Un attimo di esitazione prima di aprire
la porta. «Johnny?»
Entrò e richiuse la porta alle sue spalle.
Indossava gli stessi vestiti che aveva per la cena con la mia amica:
delle scarpe nere, pantaloni neri, camicia a maniche corte nera. In
mano il cappello nero sormontato da una stupidissima piuma.
«Hai
bisogno di qualcosa?» Gli chiesi deglutendo mentre abbassavo
solo un
secondo gli occhi. Li rialzai poi per incontrare i suoi nella
penombra della stanza.
Il suo sguardo, da quando avevo aperto la
porta, aveva studiato ogni mio piccolo dettaglio: dalle corte calze a
righe alla monocromatica maglietta blu, fino ai capelli raccolti in
una treccia. «Non ho tempo per i giochi, Helen. Non mi
interessano
affatto.»
Fu solo un attimo, un attimo per memorizzare quella
scena e per rendermi conto di quanto ogni cosa successa negli ultimi
sei giorni fosse assurda e fuori dal mondo. Un attimo. Il cappello
che teneva in mano cadde a terra silenzioso, Johnny mi
attirò a sé
per baciarmi come non ero mai stata baciata, con conoscenza e
avidità, ma soprattutto l'abilità che solo lui
– e di questo ne
ero certa – possedeva. Le sue mani raggiunsero la mia schiena
per
stringermi di più, per non lasciarmi andare, come un segno
della
possessività che quella sera era venuta a galla. Ero sua. La
sua
giornalista. La sua Helen. Questa sicurezza mi spiazzò.
Indietreggiai guidata dai suoi passi fin quando sentii la schiena
contro il muro. Le mie mani erano ormai occupate nei suoi capelli.
Stavo prendendo fuoco, e la situazione non miglioro quando sentii il
suo tocco freddo a causa del venticello notturno che si faceva strada
sotto la maglia. Raggiunse gli slip e continuò a risalire.
Intanto
le sue labbra avevano abbandonato le mie e avevano iniziato a
sfiorare il collo.
La luce della camera di Claire si accese. Forse
il suo sonno non era così profondo come credevo. Johnny si
fermò
sorridendo e mi guardò negli occhi. Un bacio fugace prima di
andare
via. Mi servì un momento per riprendermi, per rendermi conto
di cosa
fosse appena accaduto.
«Helen, cosa sta succedendo?» Gridò la
mia coinquilina affacciandosi dalla sua camera.
«Nulla, nulla,
torna a dormire.»
Mi raggiunse e la guardai lanciare un'occhiata
a qualcosa per terra. «Okay, allora vado a letto.»
L'ombra di un
sorriso apparve sul suo volto.
«Buonanotte!»
Solo quando si
fu allontanata mi permisi di cercare ciò che aveva notato
prima.
Un
cappello.
(Mi
sono odiata da sola per un attimo, sì, e mi odio tuttora
perché gli
ultimi capitoli li sto odiando.
Avrei solo un paio di cosette da
dire:
1) l'assenzio di Marilyn Manson esiste davvero. Si chiama
Masinthe ed eccovi un'immagine dell'etichetta, su cui appare proprio
uno dei suoi dipinti "When
I Get Old I Would Like A Drink
"
http://www.besportier.com/archives/mansinthe-absinthe-marilyn-manson.jpg
;
2)
l'ultima scena è esplicitamente plagiata da una scena del
telefilm
"Boardwalk Empire". Qui il video, se v'interessa
http://www.youtube.com/watch?v=JNTEF3O-2lI
;
3) vi amo.
A
presto~ )
|
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Capitolo 8 *** Day Seven/Eight ~ Do I really need to write this down? ***
Day
Seven/Eight – Do I really need to write this down?
«
Helen!» Jack mi venne incontro appena entrai nell'ufficio.
Era
strano rientrarci dopo una settimana, come se avessi preso per la
prima volta le vacanze che mi spettavano da tempo, o peggio, come se
fossi stata licenziata. Pensare di dover trascorrere altre tre
settimane lontana da lì era angosciante: sapevo che sarebbe
stata
dura tornare, poi. In più, con la situazione "Johnny che
entra
in casa per baciarmi", ero più che sicura che il mio
articolo
sarebbe stato compromesso. Sì, sono una pessima giornalista.
«
Ciao, Jack. Come stai?» Lo abbracciai goffamente prima di
tornare a
guardarmi intorno. Solita tranquilla giornata alla redazione del
Rolling Stone, Ruth Peterson
– la donna che
tanto mi odiava – non c'era; probabilmente era occupata a
fotografare altre colleghe in giro con altri attori. Tracey Jacobs ci
attendeva in un angolo dell'ufficio del mio capo, le gambe
accavallate e un bicchiere di whiskey tra le mani unite. Sembrava che
il whiskey piacesse a ogni essere vivente appartenente alla "casta"
di Hollywood.
Il liquido faceva movimenti circolari nel bicchiere,
cercava di scappare e le pareti di cristallo glielo impedivano.
Tracey sembrava voler dare una mano come poteva rigirando il
bicchiere tra le mani, ma non era sufficiente.
« Helen.» Mi
salutò fredda e distante come sempre.
« Tracey.» Risposi
imitandola.
Lo sguardo di Jack scorse da me a lei, per poi
soffermarsi sul tavolino degli alcolici.
« Suvvia, ragazze,
scioglietevi un po', siamo qui per interessi comuni!»
« Mi
dispiace, ma Johnny Depp non è il nostro interesse comune.
L'articolo lo è.» Lo interruppi, ipocrita ma
professionale. O
almeno mi piacque pensare così.
Lui unì le mani dietro la
schiena e fece qualche passo nella mia direzione. « Helen...
Helen... cosa devo fare con te?» Stupide domande retoriche.
Mi versò
un bicchiere di bourbon e me lo porse. Lo presi e ne bevvi solo un
sorso prima di poggiarlo sulla sua scrivania.
Non mi era mai
piaciuto l'alcol. Mai, fin da bambina. Suppongo fosse colpa di mio
padre, il quale durante un brutto periodo in famiglia aveva iniziato
ad abusare un po' troppo delle scorte di liquori in casa.
« Le
foto dicono altro.» La voce acuta della donna mi
risvegliò.
Jack
rise, ma la sua risata era sempre stata bassa e cupa, e quello, unito
all'uso sproporzionato di sigari, implicava una tosse scomposta.
«
Già, le foto...»
« ... le foto sono quello di cui aveva
bisogno, no? Qualche scandalo per distrarre lui e il mondo dalla
rottura con la Paradis e dalle scenate pubbliche. Quelle foto,
insieme all'articolo, saranno un toccasana per la sua immagine. "Sono
un bravo ragazzo, non sono arrabbiato con la mia ex e sono un ottimo
ed educato attore. Lavorate con me!"» Avevo rifiutato di
sedermi come mi stava proponendo silenziosamente Jack.
Tracey
abbassò lo sguardo e sospirò. A quanto pare si
pentiva di aver
mandato Johnny in pasto agli squali.
« Voglio solo avvertirvi
che non ho intenzione di far parte di un reality show.»
Tracey
sorrise malinconicamente mentre mi rispondeva. « Per te
è un
reality show, per lui è la vita reale.»
Non avevo mai capito a
fondo il mondo dello spettacolo e forse non l'avrei mai capito,
semplicemente perché non m'interessava farne parte. Tutto
ciò che
desideravo era fare ciò che mi piaceva fare e farlo bene.
Non avrei
lasciato che un attore qualunque – no, nemmeno Johnny Depp
–
rovinasse il mio sogno.
Il silenzio si prolungò, l'agente mi
scrutava, Jack beveva sovrappensiero.
« Abbiamo deciso che la
pubblicazione cambierà.» Borbottò d'un
tratto il mio capo.
«
In che senso?» Domandai aggrottando le sopracciglia.
« Sarà
settimanale, una sorta di rubrica, solo per questo mese. Hai iniziato
lunedì a lavorare, quindi ogni martedì
appariranno poche pagine
dell'articolo, ciò che riesci a raggruppare in quei sette
giorni.»
«
Martedì? Jack... è domenica. Non puoi dirmi di
scrivere pagine
dell'articolo di Johnny Depp in un giorno.»
« Sì che può, l'ha
appena fatto.» Perché Tracey parlava quando non
avrebbe dovuto? Il
suo era un insano desiderio di essere odiata?
Sbuffai. Se dovevo
scrivere tutto entro lunedì pomeriggio, non sarei potuta
passare da
Johnny per quei due giorni.
Concordai con me stessa che sarebbe
stata la cosa migliore per entrambi – o meglio, per me
– passare
un po' di tempo lontani per... pensare. Solo pensare. Cavolo, avrei
anche dovuto chiamare Logan. « Okay, allora ci vediamo
domani.»
Mormorai sistemando meglio la tracolla e uscendo dall'ufficio.
Mi
resi conto di quanto sarebbero stati difficili quei giorni quando,
tornando a casa dopo pranzo, trovai la casa vuota. Non solo non
potevo lavorare, ero costretta a restare nel mio appartamento vuoto
fino alla sera, quando poi sarebbe tornata Claire. Non credevo di
essermi abituata così tanto alla presenza di Johnny. In
fondo era
passata una settimana, anzi, meno di una settimana, eppure avevo
passato giornate intere con lui. Mi sembrava assurdo solo il pensiero
che mi potesse mancare.
« Ho bisogno di un gatto.» Constatai
lanciando la borsa sul divano e afferrando il portatile dal salotto
per portarlo in camera, dove mi sedetti sul letto a gambe incrociate.
Apparvero le foto. Il computer era stato spento la notte
precedente, ma, appena avevo riaperto la pagina di Opera, le foto era
saltate fuori ancora una volta, insieme a ciò che avevo
provato la
sera precedente.
Logan era stato un gentiluomo, ed ero sicura che
lui mi avrebbe resa davvero felice, ma era lui l'uomo che volevo?
Quello che mi faceva tremare le ginocchia come un'adolescente? Quello
che, con un bacio, provocava uno sfarfallio costante nel mio stomaco?
Oppure era Johnny, quello? Ma Johnny poteva davvero essere l'uomo
della mia vita? No che non poteva. Cavolo, aveva divorziato da
nemmeno un mese e aveva due figli. Probabilmente amava ancora la
moglie e nonostante tutto aveva baciato me, una donna con vent'anni
in meno di lui. Non avevo neanche bisogno di continuare a farmi
domande per sapere cosa andava fatto. Ovvero, cos'avrei fatto una
volta finita quella giornata.
Furono ore di intensa scrittura,
quelle. Intensa scrittura che portò al nulla, letteralmente.
Quelle
che apparivano sulla mia pagina di Word erano due righe. Il titolo.
«
Helen, cosa stai facendo esattamente?»
« Fisso lo schermo del
pc, non si vede?» Il gomito appoggiato sulla gamba, il mento
appoggiato sulla mano, l'unico movimento visibile del mio corpo era
quello delle palpebre che si aprivano e si richiudevano.
«
Interessante... e perché?»
« Perché devo scrivere.»
« E
hai intenzione di scrivere con gli occhi?»
« Posso farlo? I miei
occhi avrebbero una maggiore fantasia della mia mente, in questo
momento? I miei occhi sarebbero maggiormente capaci di scrivere
rispetto alle mie mani?» Sbuffai e mi lasciai ricadere
all'indietro,
sul divano.
Claire si sedette di fianco a me e mi scrutò. «
Cos'è successo?»
Chiusi gli occhi e incrociai le mani sul mio
stomaco « Devo consegnare l'articolo entro domani
sera.»
« Ma
non dovevano essere 30 giorni?» Si stese anche lei e
continuò a
guardarmi, confusa.
« Sì, li hanno divisi in rate da 7.»
«
Capisco. Quindi... oggi hai sentito Johnny?»
« No, avrei
dovuto?»
« Beh, dopo ieri sera...»
Cercai il suo sguardo
fingendo perplessità, ma dopo averla guardata capii. Lei gli
aveva
parlato. « Non è successo niente ieri
sera.» Mi misi seduta e,
come prima cosa, vidi il cappello dell'attore appoggiato sulla
poltroncina in un angolo della stanza. Definiamo "nulla".
« Vi ho sentiti, non fingere che non sia successo nulla. Sai
che
puoi parlarmene, non andrò a dirgli nulla.
Prometto.»
« Sono
solo confusa, Claire. C'è Logan... e poi c'è
Johnny... e ci sono
entrambi che mi baciano. Ma conosco Logan, mentre non conosco Johnny.
E' uno sconosciuto, per me. Come può piacermi uno
sconosciuto?»
«
Non si conosce una persona sedendosi e facendogli delle domande. Ti
sei mai soffermata a pensare che forse lo conosci più di
quanto tu
stessa non te ne renda conto?» Cercò la mia mano e
la strinse. «
Non posso dirti chi scegliere, posso solo confessarti che se ho
"fraternizzato" con Johnny è solo perché, dal
momento in
cui vi ho visti alla première, ho capito che sareste stati
perfetti
insieme. Non lasciarti condizionare da stupidi preconcetti o
pregiudizi. Fa ciò che credi giusto.» Si
alzò sorridendo e mi
lasciò un bacio tra i capelli prima di uscire dalla camera e
chiudere la porta alle sue spalle.
« Ti odio, lo sai?» Le
urlai.
« Solo perché sono la voce della
verità!» Rispose lei
ridendo, e io risi con lei.
La
mattina dopo mi svegliai ancora più stanca di quanto lo
fossi prima
di andare a dormire. Colazione veloce, passeggiata per le strade di
Los Angeles e poi ritorno a casa. Avevo recuperato abbastanza
ispirazione da potermi sedere sul divano in sala, di fianco a Claire
che stava guardando Blow, tanto per torturarmi, e iniziare a scrivere
davvero.
« E' orribile con i capelli lunghi e biondi.»
Commentai
senza alzare lo sguardo dallo schermo del portatile. Le mie mani
scorrevano veloci sulla tastiera, ero finalmente giunta alla fine e
non potevo rischiare di perdermi per colpa di Johnny Depp,
Penélope
Cruz e qualche chilo di polvere bianca.
« E' sempre bellissimo...
tu più di tutte dovresti capirlo.»
« Io? Cos'ho di diverso?»
«
Beh, l'hai tastato.»
« Non l'ho "tastato"... e poi
cosa c'entra?»
« Hai potuto studiarlo più da vicino...»
«
Ow, taci!»
Il campanello ci zittì. Lanciai un'occhiata più
che
loquace a Claire, ma lei scosse la testa. Il piccolo simboletto nero
mise fine all'articolo e chiusi il pc mentre Claire si alzava e si
dirigeva verso la porta.
Era Logan.
Raggiunse di nuovo il
divano, spense la televisione e si chiuse in camera. Grazie tante per
l'aiuto, carissima amica.
« Hey, speravo di trovarti a casa.»
«
Sì, ho avuta una specie di vacanza dalla vacanza, giusto due
giorni.»
« Fantastico...»
«
Più o meno.» Sorrisi imbarazzata alzandomi.
Lui avanzò verso di
me e ben presto ci furono solo pochi centimetri a separarci. Avevo
avuto modo di pensare, in quei giorni, avevo avuto modo di capire
cosa desideravo davvero.
« Volevo solo parlarti del bacio
dell'altra sera. Te ne sei andata così velocemente
che-»
Alzandomi
sulle punte dei piedi, raggiunsi le sue labbra e gli cinsi il collo
con le braccia. Sentii la sua bocca curvarsi in un sorriso prima di
ricambiare il bacio. Quelle stesse sensazioni tornarono. Mi sentii al
sicuro, sentii di aver fatto la scelta giusta, sentii che lui era
l'unico che avrebbe potuto farmi felice.
« Non rovinerò questa
occasione, Helen.»
« Lo spero per te.» Risposi nascondendo il
viso sul suo petto. Tornare ad abbracciarlo in quel modo era strano,
era come se non ci fossimo mai lasciati, era come se fossimo tornati
ad essere le matricole dell'università innamorate per la
prima
volta.
Mi strinse tra le sue braccia e rimanemmo lì, poi ci
spostammo in camera, chiacchierammo di cose non discusse la sera
della cena, ripensammo alle vecchie avventure con i nostri amici,
rivangammo altri ricordi.
D'ora in poi sarebbe stato tutto molto
più semplice: io amavo lui, lui amava me... non avevo
bisogno di
domande... giusto?
(Partiamo
dal presupposto che questo è un capitolo strano. Niente
Johnny, ergo
non molto da dire, ergo capitolo corto. Allora perché non
unire quei
due giorni in cui Helen sarebbe stata lontana dall'attore? No? No. Il
problema principale era che potevo benissimo scrivere due capitoli
corti e pubblicarli a breve distanza l'uno dall'altro, ma sapevo
benissimo che quella "breve distanza" sarebbe stata come
minimo due settimane.
Tra l'altro volevo scusarmi per il continuo
rimandare la pubblicazione, ma in queste ultime settimane ho avuto
compiti e interrogazioni ogni giorno. E sì, tra due
settimane finirà
la scuola quindi non avrò scuse ♥
Comunque non odiatemi... ho
avuto un'illuminazione prima di addormentarmi, qualche giorno fa, sul
futuro della storia, e vi assicuro che potete stare tranquille :3 So
che verrò uccisa lo stesso, ma non fa nulla, io intanto mi
scuso per
l'inconveniente "No-Johnny", poi sta a voi perdonarmi o
meno ç_ç Tanto torna presto! Okay, ho finito.
V'amo!)
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Capitolo 9 *** Day Nine ~ Happiness... I think. ***
9. Day Nine - Happiness... I think.
Day
Nine – Happiness... I think
Tra
le braccia di Logan ero ancora assopita nonostante la sveglia stesse
suonando da qualche secondo. Rotolai sul letto per ritrovarmi a
pancia in su e allungai una mano per raggiungerla e interrompere quel
rumore fastidioso. In realtà aveva già suonato
qualche minuto
prima, l'avevo elegantemente ignorata mentre Logan mi aveva
sussurrato un:"dimmi che non è già mattina".
« Non è
già mattina», gli avevo risposto sorridendo e
accoccolandomi sul
suo petto.
Ora però era fin troppo tardi, ero costretta ad
alzarmi, soprattutto perché avrei dovuto accompagnare Claire
a
lavoro. Sciolsi l'abbraccio, rubai il lenzuolo e me lo avvolsi
intorno prima di correre in bagno per farmi una doccia veloce.
«
Sai come la chiamano, quella?» Claire aveva aperto e richiuso
la
porta.
Ovviamente per andare in bagno ero dovuta passare davanti
al salotto, dove lei stava facendo colazione.
« No, come la
chiamano?»
«"Camminata
della vergogna".»
« Ma stavo correndo, mica camminando!»
«
Peggio. Lui è ancora in camera?» Chiese dopo una
breve pausa.
«
Sì, a letto. Perché?»
Ero di nuovo sola in bagno. Accennai una
risata risciacquando i capelli dallo shampoo prima di uscire.
Avevo
passato la notte con Logan, diciamo che avevamo bisogno di
riconciliarci, e più che mai ero sicura che tornare con lui
fosse
stata la scelta migliore, quella che mi avrebbe fatto felice, forse
per sempre. Ne avevamo parlato prima di addormentarci, sì.
Lui mi
aveva detto che, se non lo avessi lasciato, lui mi avrebbe chiesto di
sposarlo e ci saremmo sposati – lui ne era sicuro –
dopo che
avessimo lasciato l'università, deciso a fare sul serio sia
con me
che con lo studio. Lui ora aveva finito l'università, viveva
in un
bell'appartamento, e stavamo di nuovo insieme... tutto stava tornando
al posto giusto.
Avevo pensato la stessa cosa vedendo
Johnny mentre entravo nella sua cucina? Assolutamente no. La
forchetta reggeva un pezzo di pancake a mezz'aria e la sua bocca
semiaperta stava aspettando solo quell'ultimo boccone per svuotare il
piatto. Il mio attore era concentrato nella lettura del mio articolo
sul numero speciale di Rolling Stone che, essendo un magazine
mensile, non sarebbe dovuto uscire prima di altre tre settimane. Era
una specie di appendice di una decina di pagine, ma dalle cifre che
mi aveva mandato per messaggio Jack quella mattina sembrava aver
venduto comunque come un normale numero di inizio mese.
«
Buongiorno.» Mi salutò. Aggrottò le
sopracciglia e avvicinò il
giornale al proprio volto per osservare meglio. Scosse la testa e lo
riportò a distanza "normale". « Hai fatto
colazione?»
Chiese rigirando la forchetta tra le dita.
« No.» No che non
avevo fatto colazione, mi ero svegliata alle otto e mezza! Mi
avvicinai e mi sporsi sull'isoletta per afferrare con una mano la
forchetta e mangiare quell'ultimo pezzo.
« Non avresti dovuto
farlo...» Mormorò lui. Sembrava d'un tratto triste.
« Perché?»
Domandai dopo aver degludito.
« Perché non ho finito il pancake.
Avrò questa strana sensazione per tutto il giorno, quella di
aver
iniziato il pancake ma di non averlo potuto finire, di non aver
assaporato l'ultimo morso...» Quando mi guardò
stava sorridendo, e
sapevo che si stava riferendo anche ad altro. Soprattutto ad altro.
"Sì, bravo Johnny, fai riferimenti al nostro bacio quando
vuoi, non è mica colpa mia se Claire si è
svegliata nel momento più
inopportuno", ricordo di aver pensato. Avevo cercato di capire
se mi dispiaceva non averlo trascinato in camera prima di essere
scoperti da Claire, se quella notte mi sarei davvero concessa a lui
se non fossimo stati interrotti. Se amavo Logan come tanto cercavo di
convinvermi, la risposta doveva essere piuttosto ovvia. Invece non la
trovai.
« Ho una cosa per te.» Mi schiarii la voce e andai
in
salotto per recuperare la borsa. Quando tornai in cucina c'era un
piatto di pancake con sciroppo d'acero ad aspettarmi. La forchetta
passò in mano mia, l'attore richiuse soddisfatto il giornale
e
incrociò le braccia sul bancone.
« Cos'hai per me?» Posai
sull'isola il cappello nero sormontato dalla piuma miracolosamente
intatta. Lui sorrise, lo prese e lo spostò di lato.
« Non sapevo
fosse caduto da te.»
Sì che lo sapevi, attore antipatico.
«
Quella sera eri passato in così tanti appartamenti da avere
questo
dubbio?» Commentai prima di iniziare a mangiare la mia
colazione.
«
Sì, e avevo baciato molte altre giornaliste.»
Rispose scendendo
dallo sgabello.
Tenni lo sguardo fermo sul piatto mentre aggirava
l'isola per portare via il cappello. Lo sentii salire le scale, poi
riscendere. Riaprii bocca dopo aver finito un pancake, quando ormai
Johnny era tornato.
« Sono tornata insieme a Logan...»
sussurrai, quasi intimorita
Si schiarì la voce. Era diretto verso
il suo sgabello quando deglutì. « Lo so, me l'ha
detto Claire
ieri.» Ma erano diventati migliori amici tutto d'un tratto?
Forse
era stato preso alla sprovvista perché non si aspettava che
glielo
dicessi. Infatti, perché gliel'avevo detto?
"Perché l'hai
baciato, idiota."
« Sono felice per voi, o meglio, per lui.»
Mi confessò sorridendo. « Vedrò di
limitare le visite notturne.»
Il sorriso si trasformò in una risata.
« Sai che sei
stata fin troppo gentile nel tuo articolo?» Chiese senza
aprire gli
occhi. Aveva occupato la "mia" poltrona per cercare di
comporre qualcosa con la chitarra, la testa poggiata sullo
schienale.
« Lo so, non c'è bisogno che me lo fai notare. In
più, non ho rivelato molte cose che avrei potuto
rivelare.»
«
Tipo Marilyn e l'assenzio?»
Annuii silenziosamente sebbene non
potesse vedermi. « Tipo Marilyn e l'assenzio.»
Chiusi gli occhi,
semisdraiata sul divanetto occupato solitamente da Johnny.
Quasi
torturava le corde della chitarra classica, ma in modo piacevole,
produceva una melodia dolce, oserei dire delicata. S'interruppe
improvvisamente e, quando aprii gli occhi per capire cosa l'avesse
interrotto, lo trovai a osservarmi.
« Se venissi lì e ti
baciassi?» Sembrava incredibilmente serio, lo sguardo fisso
nel
mio.
« Ti respingerei.» La sicurezza mi dominava. Finta
sicurezza, ma pur sempre sicurezza.
« Perché?»
« Perché
dovrei lavorare con te, non dovrei baciarti.»
« Il condizionale
mi è sempre piaciuto.»
Qualche attimo di silenzio.
Abbandonai
la testa all'indietro, sul bracciolo della poltrona. « Sto
con
Logan.»
« Lo so, l'hai già detto. Quindi...?»
« Quindi non
posso baciarti.» Sembrava che stessimo parlando del nostro
colore
preferito.
« Questo lo dici tu...» Sussurrò come se
non potessi
sentirlo prima di riprendere la chitarra e ricominciare a suonare.
«
Io e il mio buonsenso.» Dissi sbuffando.
Non mi stavo prendendo
gioco di Logan, né tantomeno di Johnny. Mi stavo prendendo
gioco di
me stessa. Ero sicurissima di stare con l'uomo della mia vita
perché
ero abituata a pensarla in quel modo. Claire aveva tentato di farmi
aprire gli occhi, ma non poteva fare altro. Non poteva dirmi:"Stai
facendo uno sbaglio", perché sapeva che non l'avrei
ascoltata.
Dentro di me custodivo la risposta, il problema era
riuscire a scovarla, il problema era confrontare la risposta con la
realtà e capire, nonostante tutto, qualche fosse l'idea
migliore.
Forse avevo già tirato fuori la risposta, forse avevo
già capito
quale fosse l'idea migliore, ma solo quella migliore per la mia
salute mentale. Logan, ed era quello che mi ripetevo da un po', era
un uomo semplice da gestire, era l'uomo facile da amare e che amava
facilmente. Il nostro rapporto era facile, semplice, elementare.
Veniva da sé, non avevo bisogno di ulteriori ripensamenti.
E poi
c'era Johnny.
Lui era stato con Vanessa per più di 10 anni, non
avevamo ancora parlato nell'intervista della loro relazione, ma
qualsiasi cosa avesse in mente per noi due, di sicuro non aveva un
anello pronto in tasca. Voleva divertirsi dopo il divorzio recente, e
non gliene facevo una colpa, ma credo che in quel periodo avessi
bisogno più sicurezze di un cappello caduto per caso a
terra.
Passammo dalle poltrone al letto. Letto, sì.
L'attore mi fece il grande onore di farmi salire in camera sua, solo
perché non aveva voglia di portare giù il
portatile e doveva
leggere una mail.
« Qualche novità per un film?» Brava
giornalista, appunta tutto.
« No, ma in compenso siamo invitati a
cena da Tim.» Fin troppo felice, l'attore, visto che...
« Tim?
Tim Burton? Tim Burton che ha abbandonato Hollywood per la
più
tranquilla Londra? Cena da Tim Burton?» Il mio era panico
perché...
LONDRA, misto a eccitazione perché... TIM BURTON! Mi misi a
sedere
sul letto, muovendo le coperte. Poco m'importava, non avrei dovuto
dormirci io lì.
« Sì, quale altro Tim conosci che conosco
anch'io?»
« Non so... Tim Roth?»
Volteggiò sulla sedia
girevole e mi guardò. « Conosci Tim
Roth?»
« No... tu lo
conosci?» Incrociai le gambe.
« No.» Sospirò e si voltò di
nuovo verso il pc. « Tim Burton a Londra ci ha invitati a
cena.»
«
Non poteva chiamarti?»
« L'ha fatto, ieri sera, questa mail non
ha nulla a che fare con la cena.»
Indugiai qualche attimo,
durante i quali mi distesi come prima. « Assomigli al
Cappellaio
Matto, a volte.»
« Non mi piace il the.» Si schiarì la
voce.
« Quindi... "noi"? Io cosa c'entro?»
« Sei la
giornalista che mi segue ovunque, no?»
« Sì, ma domenica e
lunedì dovrei scrivere l'articolo e...» Si
voltò solo un attimo
per guardarmi, sollevò le sopracciglia. « ... oh,
ho capito il tuo
gioco.»
« Nessun gioco, per contratto devi venire sabato, poi
non è certo colpa se ad arrivare a Londra ci mettiamo 10
ore.»
«
"Per contratto" devo stare con te fino alle 9 di sera, poi
sono libera di andare. Potrei benissimo prendere a quell'ora l'aereo
e tornare qui a LA all'alba.»
« Non lo farai e non parlerai
neanche a Logan di questa possibilità. E la mia è
una semplice
supposizione, non un ordine.» Non si era più
girato per osservare
la mia espressione, sembrava totalmente indifferente.
« Perché
dovresti avere ragione?»
« Oh, lo sai perché.»
Sì che lo
sapevo perché. Perché desideravo restare una
notte lì con lui
tanto quanto lui lo voleva. Ma non potevo. Sapevo che, nel momento in
cui fossi salita su quell'aereo, sarei stata perduta.
Quindi lui
tornò al suo computer, io al mio quaderno degli appunti su
cui
ricominciai a disegnare un disastro aereo mentre con la mente cercavo
varie soluzioni a quel problema. Era ormai il tramonto, quindi avrei
avuto solo tre giorni per capire cosa fare e come evitare di cadere
nella perdizione.
Fin troppo pessimista e tragica?
Avrei
voluto vedere voi al mio posto.
Infilai la chiave nella
serratura e la girai, facendo scattare un sistema all'interno della
porta che non conoscevo e che, in quel momento, poco m'interessava
conoscere. Richiusi la porta e mi ci appoggiai contro sbuffando
sonoramente.
« Toh, guarda un po' chi è tornata...»
Logan
apparì dal salotto con un mazzo di rose in mano,
sorridendomi come
se fossi l'ottava meraviglia del mondo. E forse per lui lo ero.
«
Com'è che riesci ad essere sempre così
perfetta?»
Abbozzai una
risata. « E' una dote innata.» Gli andai contro e
lo baciai
dolcemente, per poi stringerlo a me. Sentii l'odore di pulito della
maglietta probabilmente appena ritirata dalla lavanderia – si
era
sempre rifiutato di comprare una lavatrice – e quello di
dopobarba.
Sapeva di menta.
« Ti porto a cena fuori, ti va?»
« Ho come
il sospetto che in tutto questo tempo tu sia migliorato in molte cose
tranne la cucina e ho fame, quindi sì.» Mi
pungolò su un fianco e
mi baciò sulla fronte prima di lasciarmi andare in camera
per
cambiarmi.
Iniziavo già ad abituarmi all'idea di avere Logan a
casa ad aspettarmi, di andare a cena fuori, svegliarmi con lui al mio
fianco.
Dopo quelle tre settimane, avrei potuto continuare il mio
tranquillo lavoro in redazione.
Dopo quelle tre settimane sarei
potuta essere felice.
Ma tra le braccia di chi?
(
Rieccoci! Okay... che posso fare
oltre
assicurarvi che lentamente e con molta calma Helen capirà
cosa vuole
davvero? Anche perché ogni volta che scrivo un capitolo mi
sembra di
parlare di una ragazza bipolare o qualcosa del genere, mi spavento da
sola °-°
Ma questo è quanto ragazzuole! Logan sta lì,
Johnny
dillà, Helen sopra e Claire sotto. ç_ç
Spero vi sia piaciuto
questo capitolo, spero che un po' d'odio in questa settimana si
sia... come dire?... "dileguato". Ci vuole solo un po' di
calma, io già sto fremendo per scrivere del viaggio a Londra
:3 Tra
l'altro vi ricordo che anche Helen è di lì...
Okay, basta, sto
zitta. *CoffCoff*
Al
prossimo lunedì! )
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Capitolo 10 *** Day Ten/Eleven/Twelve ~ Is this really happening? ***
10. Day Ten_Eleven_Twelve - Is this really happening
Day
Ten/Eleven/Twelve – Is this really happening?
Gli
odori della città, quella mattina, mi erano insopportabili.
Tutto
sembrava disgustosamente aspro o dolce, senza mezza misure. Persino
il profumo delle brioche appena sfornate mi facevano sentire
nauseata.
I rumori erano troppo forti, le persone urlavano come
mai avevano urlato, mi circondavano e mi sentivo soffocare.
Strinsi
i pugni, desiderando di affondare le unghie nella carne per percepire
un dolore fisico, per darmi una vera ragione per sentirmi in quel
modo.
Raggiunsi l'enorme parco* e, a passo spedito, mi diressi
verso una panchina isolata da tutti. Ecco quello di cui avevo
bisogno: solitudine. Poggiai i gomiti sulle gambe e rifugiai la testa
tra le mani, ricacciando le lacrime di rabbia.
Dannato lui.
Dannato Johnny Depp. Dannati gli attori. Dannato il Rolling Stone.
Dannata lei. Il giorno precedente era andato tutto
bene,
Tracey era passata a casa, mi aveva riservato un sorriso e questo era
ciò a cui aspiravo di più, avere la benedizione
di Tracey Jacobs,
la famigerata agente di Johnny Depp, no? Sì, certo, al
diavolo anche
lei. Avevamo preso qualche accordo per l'edizione della settimana
seguente, poi aveva cenato con noi, pacifica come non l'avevo mai
vista. E avevano parlato di lei a un certo punto.
Seduta su
quella panchina ne ero certa, solo che al momento non avevo certo
capito l'allusione. No, come avrei potuto? Ma ora vedevo tutto
chiaramente. Ora tutto andava al proprio posto, ora tutto sembrava
perfetto. Perfetto per lui. Perfetto per lei.
Ripercorsi
momento per momento ciò che era successo, solo per
torturarmi ancora
un po'. Claire aveva cercato di dissuadermi dall'andare a casa
dell'attore così presto perché convinta che
stesse ancora dormendo.
Erano solo le otto e quarto, in fondo, ed ero sempre andata da lui
verso le nove o le nove e mezza, se non oltre. Dopo averla convinta
che sarei passata nel solito cafè a fare colazione prima di
andare
da lui, mi aveva lasciata uscire. Ovviamente mi ero fermata
lì solo
per un caffè da portare via, poi ero andata da Johnny ed ero
entrata
con la chiave che Tracey mi aveva dato il giorno prima.
Avevo
sentito dei passi sulle scale, passi che credevo appartenessero a lui
non a lei. Eppure avevo notato qualcosa
di strano. Erano
leggeri, troppo leggeri per appartenere a un uomo, e non erano
accompagnati dal solito tintinnare di anelli e collane che indossava
continuamente. Infatti quella che vedi apparire era una donna. Una
donna coperta unicamente da una camicia nera, una camicia fin troppo
familiare. Una camicia nera con un ricamo rosso sul colletto, lo
stesso ricamo che avevo stretto tra le mie dita per attirare a me
Johnny la notte in cui mi aveva fatto visita. La stessa camicia che
io avevo sfiorato con desiderio, lei la stava
indossando.
«
Oh, ciao, tu devi essere la giornalista. Johnny si sta
vestendo...»
« Jenna, chi è?»
« La giornalista!» Gridò lei voltandosi
appena verso il pianerottolo del primo piano.
Io avevo continuato
a indietreggiare lentamente, per poi iniziare a correre una volta
intravisto il viso confuso di Johnny.
Mi ero fermata solo a un
paio d'isolati di distanza.
Brava, mi era detta, hai
lasciato la macchina lì. Dopo dovrai tornare a prenderla.
Complimenti davvero.
Adesso, sulla panchina, mi sentivo
incredibilmente stupida per quella reazione. Non era gelosia, la mia,
no. Ma quella camicia... e quel letto... Claire sapeva? Da quando
andava avanti quella storia? Da prima del nostro bacio? Da prima
della première? Da prima del nostro incontro? Claire
sapeva... ecco
perché non voleva che andassi lì. Sapeva, ma come
faceva a sapere?
E chi diavolo era Jenna?
Avevo sentito Johnny rincorrermi, però
si era fermato poco prima di uscire dal cancello. Non aveva nulla da
spiegare, in fondo... io stavo con Logan, mica con lui. Lui non aveva
colpa. Allora perché mi sentivo tradita?
Quando più tardi
tornai, a passo più controllato, a casa di Johnny Depp, non
vidi la
solita macchina con i vetri oscurati. La mia, invece, era dove
l'aveva lasciata. Prima che qualcuno mi potesse vedere, salii in
macchina e mi diressi verso il mio appartamento. Era il primo
pomeriggio.
Avevo dimenticato di aver lasciato il cellulare
spento, quando lo riaccesi ero arrivata a casa e trovai tre chiamate
da Claire. Sperai che fosse lì, e infatti mi stava
aspettando, non
fu affatto sorpresa della mia espressione. Probabilmente dovevo
sembrare pallida visto che non avevo mangiato nulla dalla sera
precedente, ma non avevo fame. La rabbia era passata e non sentivo
nulla. No, lei non era sopresa perché sapeva.
« Ti avevo
detto di non andare da lui così presto.» Si
giustificò lei
venendomi incontro.
« Perché non mi hai detto nulla?»
«
Perché toccava a lui dirtelo, non a me. Me ne ha parlato un
paio di
giorni fa, gli ho detto che andava bene visto che doveva
solo-»
S'interruppe e unì le mani, iniziò a guardarsi le
dita che si
muovevano una contro l'altra senza tregua.
« Doveva solo...?» La
esortii a continuare, sebbene non avesse nessuna intenzione di
farlo.
« Voleva solo dimenticarti. Era convinto che quello
aiutasse. Insomma, l'hai vista? E' te!»
« Che significa "è
me"? Non è me! Io sono qui, lei è lì,
nel suo letto, indossa
la sua dannatissima camicia, dorme con lui!»
« E' bionda, è una
giornalista di Vogue che ha incontrato mesi fa per un'intervista alla
moglie, va in giro con jeans e quando l'ha rincontrata, nel locale in
cui ha suonato una sera, andava in giro con una borsa a tracolla! E'
te, Helen.»
Scossi più volte la testa, deglutii, e andai a
sedermi sul divano mentre una lacrima solitaria mi scendeva lungo la
guancia. Dannato Johnny Depp. Non avrei pianto per lui. La eliminai
dal mio volto con il dorso della mano.
« Lei non aveva idea di
chi fossi. Mi ha guardata e ciò che vedeva era solo una
giornalista
qualunque. Sul momento ho pensato:"Ma come, non sa cos'è
successo? Non sa cosa c'è tra me e Johnny?". Poi,
più tardi,
mentre sbollivo la rabbia tra gli alberi del Pan Pacific Park mi sono
resa conto che tra me e Johnny non c'è più nulla.
Che io ho reso
impossibile un qualsiasi contatto e che non dovrei neanche fare
pensieri del genere mentre Logan pensa già al
matrimonio.» Quando
mi voltai verso la mia amica mi resi contro che non ero riuscita a
trattenere più le lacrime. « Mi sento una stupida.
Cos'ho fatto,
Claire?»
Lei mi raggiunse velocemente e mi abbracciò per
confortarmi. Mi sussurrò che tutto si sarebbe sistemato, che
lei
sarebbe stata lì al mio fianco per sostenermi.
Mi disse che la
sera in cui avevo fatto pace con Logan, lei aveva mandato un
messaggio a Johnny – « So che non ne avevo alcun
diritto, ma mi
sembrava giusto» – e lui, che quella sera stava
suonando al The
Mint, aveva casualmente rincontrato Jenna e la mattina dopo si era
risvegliato con lei al proprio fianco. Si era reso conto che non
poteva fare finta di nulla, che non poteva approfittarsene
così, ma
lei sembrava voler essere "la ragazza che va a letto con Johnny
Depp" e lui si era limitato ad accontentarla. Tra loro non c'era
altro.
Mi risvegliai sdraiata sul divano, coperta da un
piumone. Mi misi a sedere. La testa mi girava terribilmente, colpa
del pianto della sera prima. Beh, forse contribuiva anche il fatto
che non avevo mangiato nulla. Sul tavolino di fronte a me erano
poggiati due biglietti per uno spettacolo di quella sera al The Mint
insieme a un post-it.
"Di
pessimo gusto, lo so, ma ieri sera sono passata da lui per fargli
capire che è un idiota e mi ha dato dei biglietti per me, te
eLogan.
Gli ho detto che così avrebbe solo fatto la figura
dell'idiota
insensibile, ma non mi ha dato retta.
Sul tavolo ci sono delle
omelette.
XO, Claire "
In
un angolo era disegnato un piccolo cuore.
Oh, al diavolo, ci sarei
andata e mi sarei anche divertita... giusto?
Per il momento
pensavo solo alla colazione che mi attendeva, e che non aspettai
molto a divorare mentre pensavo al fatto che sarei dovuta passar da
lui – a meno che non avessi trovato una giustificazione
– e che,
nolente o dolente, il giorno seguente sarei dovuta partire con lui
per andare a trovare il Tim Burton di Londra.
Finii le omelette
accompagnandole con un bicchiere di the freddo, mi feci una doccia e,
dopo essermi vestita, uscii e andai in redazione. Avevo bisogno di
pace e di un posto tranquillo in cui scrivere, mentre Claire sarebbe
potuta tornare in ogni momento a casa. Le mandai un messaggio per
chiederle dov'era – ero più che sicura di
conoscere la risposta –
prima di iniziare a buttare giù qualche idea per l'articolo
che
avrei dovuto inviare via mail da Londra. Un venerdì come un
altro,
insomma.
« Claire, sei in casa?»
« Sì, mi sto
vestendo!»
Mi ero fermata a prendere del cibo cinese nel
ristorante sotto casa, sperando che lei non avesse già
mangiato e
che Logan fosse già nel mio appartamento. Infatti lui mi
venne
incontro e mi aiutò con le buste dopo avermi baciato sulla
guancia.
« Com'è andata?»
« Oh, bene, sono stata in
redazione oggi. Volevo scrivere un po'» ... e volevo evitare
Johnny
Depp.
Claire s'intromise uscendo dalla camera con un carinissimo
vestito bianco decorato con violette. « In redazione?
Interessante.
Non potevi scrivere a casa di Johnny?» Mi lanciò
una lunga occhiata
piena di sottintesi.
« No, non potevo scrivere a casa di Johnny
perché ho bisogno di calma, e lui se ne sta sempre
lì a
strimpellare quella chitarra... Comunque ho il cinese.»
Sollevai le
buste ed entrambi dimenticarono la faccenda, affamati com'erano. Era
già tardi, quindi quando finimmo di mangiare erano ormai le
22. E lo
show iniziava alle 22 e 15. E non avevamo idea di dove fosse il
locale.
Sospirammo, ci adattammo all'idea di fare qualche minuto
di ritardo, e io e Claire continuammo a prepararci mentre Logan
finiva di guardare un film in salotto.
Quella sera indossai un
paio di pantaloni neri, una sottile camicia bianca e un cardigan
nero**, che sarebbe stato sicuramente inutile.
Arrivamo al The
Mint pochi minuti prima delle undici. Entrando***., sulla destra
c'erano il lungo bancone e una vetrina contenente alcuni strumenti,
probabilmente autografati da musicisti famosi; dalla parte opposta
una serie di tavoli portavano al piccolo palco su cui, signori e
signore, si stava esebendo un gruppo a me sconosciuto con Johnny Depp
alla chitarra. Ai lati della stanza, al posto dei tavolini, c'erano
delle poltrone in pelle, mentre dal lato destro del palco si poteva
accedere a una sorta di privé.
Logan ordinò una birra, Claire si
fece spazio per arrivare sotto il palco, io rimasi a metà,
tra il
palco e il bancone, ad osservare la folla. Ero sicura che se Claire
fosse rimasta con me, se non avesse attirato l'attenzione di Johnny,
allora lui non mi avrebbe cercato tra la folla – tutto senza
perdere la concentrazione –, non avrebbe notato il bacio che
Logan,
per marchiare il territorio, mi aveva dato sulle labbra dopo avermi
raggiunto, e sul suo volto non sarebbe apparsa quell'espressione di
odio. Ma in un secondo pensai:"Hey, al diavolo", e mi
voltai verso il mio fidanzato per ricambiare il
bacio con
altrettanta passione. Mi sentivo una stronza, sì, ma meglio
sentirmi
in questo modo che come mi ero sentita il giorno precedente.
Le
note della chitarra arrivarono con più violenza alle mie
orecchie.
Il mio subconscio cercava di farmi notare che Johnny, l'uomo di cui
ero tanto gelosa, era a qualche metro di distanza e mi stava
osservando ma, quando tornai a guardarlo, il suo sguardo era basso ad
osservare le proprie mani che si muovevano veloci. Mi sentii
immediatamente in colpa. Mi chiesi se anche lui si era sentito allo
stesso modo, quella mattina, e subito dopo mi domandai cosa diavolo
gli fosse venuto in mente invitando anche Logan lì, se
doveva
comportarsi in quel modo. Ma "in quel modo" come?
Finita
quella canzone, lasciai un bacio sulla guancia di Logan e mi rifugiai
nel privé mostrando il biglietto che, a quanto pareva,
valeva anche
per quella zona. Sentii dei passi alle mie spalle ma voltandomi non
trovai Logan, bensì Johnny. Se ne stava lì,
immobile.
« Sei
scomparsa.» Mormorò guardandomi negli occhi. Io
non ce la facevo a
fare lo stesso, il mio sguardo rimaneva basso.
« Non sono
scomparsa, vi ho dato un po' di privacy.»
« E io non avevo
bisogno di privacy.» Ribatté lui. Jenna la pensava
allo stesso
modo?
« Non hai bisogno di darmi spiegazioni.»
« Infatti non
te ne ho date. Non ancora. Avevo bisogno di riempire un
vuoto...»
«
E Jenna c'è riuscita?» Conoscevo bene la risposta.
"No, non
c'è riuscita". Eppure quella domanda uscì dalle
mie labbra in
tono sprezzante, come se la sola idea che lei potesse farlo al mio
posto mi risultasse sgradevole. Ed era così.
« Ci ha provato, ma
c'è solo una persona capace di farlo.» Tese una
mano verso di me, e
sapevo cosa sarebbe successo se l'avessi afferrata. L'avrei stretta
davvero, se Logan non fosse entrato ridendo da dietro la tendina di
velluto.
L'attore lasciò ricadere la mano lungo il fianco.
« Ci
vediamo domani alle sette da me.» Disse prima di girare su se
stesso
e uscire evitando Logan di qualche centimetro.
Logan mi raggiunse
lanciano un'occhiata confusa a Johnny Depp che stava uscendo.
«
Babe, tutto bene?»
Annuii poco convinta, lui sembrò credermi.
Claire, invece, scomparve per una decina di minuti, e quando
tornò
non fece altro che chiedermi come stavo.
Non stavo bene.
Dovevo
parlare con Logan, e non stavo bene.
Il giorno dopo sarei dovuta
partire per Londra con Johnny, e non stavo bene.
*http://www.laparks.org/dos/reccenter/images/panPacific/panPacificRCphoto.htm
**http://amberheardweb.org/gallery/albums/candids/2012/January%2026thExits%20Urth%20Cafe%20in%20Beverly%20Hills/amberheardweb_282529.jpg
***http://themintla.com/photos.cfm
(Hello,
ladies!
Ed eccoci qui, un altro lunedì, puntuale come mai un
altro capitolo è stato! Sì, perché
c'è gente che fa la lista di
buoni propositi a Capodanno, io invece la faccio all'inizio
dell'estate, e mi sono ripromessa di pubblicare ogni lunedì,
quindi
hip-hip-hurra!
Festeggiamenti a parte, ho voluto inserire le
immagini dei veri luoghi in cui si svolgono le vicende per dare
più
realtà a tutto – non avete idea di quanto tempo ci
abbia messo per
trovare un parco effettivamente vicino alla casa di Johnny, per poi
diminuire lo zoom e trovare semplicemente le zone verdi lì
intorno.
E poi sì, la bionda nella foto del secondo link è
l'adorabile
attrice che ho scelto come volto per Helen, tra l'altro è la
co-protagonista di Johnny in The Rum Diary, quindi RAWR! Era troppo
carina in quella foto, l'ho dovuta vestire in quel modo per la serata
al The Mint e ora vi beccate anche la paparazzata!
Tra l'altro
devo confessare di aver semi-plagiato l'idea di una mia compagna di
classe, Marzia, per le ultime scene. Legge questa ff e l'altro
giorno, vedendo le foto di Johnny agli MTV Movie Awards mi ha
detto:"Sembra che Johnny qui veda Helen e Logan insieme", e
visto che già avevo pensato di far andare Helen a un
concerto
dell'attorino, qui, ho pensato "ma sì, portiamoci anche
Logan!". Quindi... grazie, schatz. Se vuoi, puoi denunciarmi.
ç_ç
Comunque... GOITE! Lunedì si va a Londra!
Vi prometto
tanta gioia, felicità e amore... in futuro ♥)
|
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Capitolo 11 *** Day Thirteen/Fourteen ~ Rain ***
Day
Thirteen/Fourteen – Rain
Johnny's
POV
Jenna
quella mattina mi svegliò mentre si rivestiva. Le avevo
chiesto di
passare la notte precedente – intorno all'una o alle due, non
ricordo con precisione – per spiegarle la situazione e
liquidarla,
ma non ce l'avevo fatta, come non ero riuscito a dirle di spogliarsi
per me come le sere precedenti. Non andavamo a letto insieme da
quando lei aveva fatto la conoscenza di Helen, di cui ovviamente non
le avevo mai parlato. Claire diceva che Jenna assomigliava
incredibilmente ad Helen, io avevo negato e lei mi aveva risposto che
quella era una delle cose che non riuscivo ad ammettere a me stesso.
Ma la ragazza credeva anche che amassi la mia giornalista, quindi non
si poteva fare affidamento su di lei quando si trattava di certe
cose.
Forse Jenna pensava che il nostro dormire insieme nonostante
tutto indicasse che ero pronto a fare sul serio. Avevo cercato di
negare anche questo, ma non sembrava volermi ascoltare.
« Alzati,
c'è la macchina di Helen fuori.» Mi
spronò, enfatizzando mentre
pronunciava 'quel' nome. Certamente riuscì a farmi alzare.
Il giorno
prima non avevamo avuto il migliore incontro al The Mint, e io non
intendevo farmi ritrovare a letto semi-nudo. Erano solo le sei e
mezza – il che mi fece pensare che Helen VOLESSE incontrare
di
nuovo Jenna – quindi avevo tutto il tempo per una doccia
veloce. Ma
quando uscii di lì Jenna non c'era più e la
sentivo conversare al
piano inferiore.
Dopo ciò che avevo provato a comunicare ad
Helen, mi ero comportato da ipocrita chiamando Jenna. Lei
però aveva
preferito andare via con Logan, la sua ancora di salvezza a quanto
pareva, di conseguenza sul momento non mi ero affatto sentito in
colpa.
Dio, però, quant'era bella. Mentre io ero totalmente
sobrio nella mia camicia a righe coperta dal panciotto e i soliti
jeans(1),
lei aveva indossato un lungo vestito bianco di seta(2),
totalmente inadatto alla stagione. Ma il sole splendeva a Los Angeles
e le previsioni dicevano che a Londra ci sarebbero state ottime
temperature, quindi era giustificata. Rimasi sulle scale ad
osservarla per qualche istante, convintissimo che avrei potuto farlo
per tutto il giorno, senza rendermi conto che a conversare non erano
lei e Jenna, ma Logan e Jenna.
Mi schiarii la voce e li raggiunsi
sorridendo.
“Ipocrita, sei solo un ipocrita. E' vero che è
ancora più bella arrabbiata, ma sembra che tu lo faccia
apposta, a
volte. Non puoi semplicemente dirle che provi qualcosa per lei e
chiederle di lasciare Logan?” mi sussurrò la
solita vocina nella
mia testa. Sì, a volte credevo di essere pazzo. Un giorno mi
ero
confidato con Tim a riguardo e lui diceva di parlare spesso con se
stesso, a volte anche ad alta voce, e che quindi non dovevo
assolutamente preoccuparmi. Vanessa mi aveva detto che proprio
perché
accadeva a Tim dovevo preoccuparmi. Quella fu una delle ragioni del
nostro divorzio.
« Logan mi stava giusto raccontando quanto sei
stato bravo ieri sera al locale, peccato che non sono potuta
venire!»
squittì Jenna afferrandomi un braccio.
Il mio sorrise scomparve
per un attimo, ma poi tornò più convinto,
all'apparenza.
“Certo
che gli è piaciuto lo spettacolo, deve avermi ascoltato
benissimo
mentre baciava la mia
giornalista” pensai annuendo.
« Sono felice che ti sia
piaciuto, mi dispiace solo essere dovuto andare via così
presto,
sarebbe stato fantastico poter parlare con te, Claire ed Helen.
Purtroppo complicazioni sono sopraggiunte, ma superate.»
“Sei
davvero un ottimo attore, complimenti, ci mancava solo che ti
mettessi a citare Jack”.
Spostai lo sguardo su Helen, che
fissava insistentemente Jenna. Sembrava volesse catturare ogni suo
difetto da poi rinfacciare una volta sull'aereo. Ovviamente ancora
non aveva idea di cosa l'aspettasse.
« Già, davvero un peccato,
ma almeno hai potuto salutare Helen.»
Helen guardò un istante
Logan, poi i nostri sguardi s'incrociarono.
« Sì, un saluto
piuttosto rapido...»
Jenna e Logan sembravano osservare una
partita di tennis, prima Helen poi me, poi Helen e poi di nuovo su di
me. Distolsi lo sguardo, un ghigno di vittoria apparve sul volto
della giornalista del Rolling Stone che chinò il capo per
nasconderlo.
Logan non rispose, diede un bacio sulla fronte di
Helen – che ancora non aveva aperto bocca – e si
allontanò. «
Ci vediamo domani mattina, amore. Buon viaggio, Mr. Depp!»
“Caro
Johnny, la signorina qui presente ti odierà a morte quando
scoprirà
cos'hai organizzato” sussurrò furtiva la voce.
“Se non mi
odierà, mi amerà. Sono pronto a
rischiare” mi risposi.
Jenna
mi baciò a stampo prendendo le chiavi della sua borsa.
« Vado anche
io!» Saltellò via sentendo il clacson di un taxi
che l'aspettava al
di fuori del cancello. Non assomigliava per niente ad Helen.
« E'
davvero... carina.» Mormorò lei in quel momento
quando sentì la
porta richiudersi.
Questa volta il mio sorriso fu sincero. « E sa
anche afferrare una mano quando qualcuno glielo chiede.»
Si
voltò, il vestito le svolazzò intorno, si
avvicinò a un borsone da
cui tirò fuori un coprispalle che indossò.
« Allora, andiamo?»
Indugiai e la raggiunsi. Tornò a guardarmi negli occhi e in
quel
momento sentii di poterle dire qualsiasi cosa. Era sempre stato
così,
con lei. Era stato così la sera precedente, quando mi ero
offerto di
essere il suo nuovo Logan. Continuavo a detestare lui e a chiedermi
perché mai lei insistesse su quella relazione quando era
ovvio che
non lo amava più. « Non abbiamo ancora
parlato.»
« Non
abbiamo nulla da dirci!»
“Volevo lasciarla, ieri sera. Volevo
mettere fine a tutto, ma non l'ho fatto perché sono un
codardo. Ma
voglio che tu sappia la verità, ovvero che per tutte quelle
notti ho
sperato che un giorno ci saresti stata tu, al mio fianco, non
lei”.
Ovviamente queste parole non lasciarono la mia mente. Restarono in
una bolla pronta a scoppiare.
« Hai detto tutto nel momento in
cui hai trovato un'altra giornalista non legata a te tramite un
contratto che vuole stare qui di sua spontanea volontà e non
perché
costretta. Sono qui per lavorare, non ho bisogno di un altro casino
nella mia vita, basto io.» Continuò alzando il
tono di voce. Dio,
se aveva ragione. La storia con Vanessa mi aveva distrutto. Ma che
dico, io stesso mi ero distrutto. Era un ciclo, ogni tot di anni un
bottone si premeva l'autodistruzione aveva inizio. Inutile portare
anche Helen nel raggio d'azione.
Sentimmo un'auto fuori, lei si
caricò in spalla il borsone e uscì per andare
incontro a Clive, la
guardia del corpo che ci avrebbe accompagnati.
« Clive, lei è
Helen. Helen, lui è-» Non mi fece finire la frase,
era già entrata
in macchina. Già, avevamo proprio detto tutto.
Paparazzi
all'aeroporto, come se quella fosse stata una novità.
Solitamente
non mi piaceva farmi accompagnare da Clive, ma Tracey aveva
insistito, e come si poteva dire di no a una persona 'cortese' e
'gentile' come lei?
Helen si guardò intorno spaesata quando,
passato il check in, ci dirigemmo verso un gate...
“particolare”.
Sbucammo in un hangar, poi sulla pista praticamente deserta. Avrei
voluto cingerle il fianco per guidarla, mi limitai ad accelerare il
passo per superarla e mostrarle in quel modo la strada, visto che
Clive era stato fermato poco prima da una guardia per informarlo di
alcune novità.
« Dove stiamo andando?» Chiese la
giornalista.
« In un luogo appartato, così posso
ucciderti.»
Lei non sembrava molto divertita.
« Qualsiasi cosa dirai sarà
usata contro di te, lo sai, vero?»
Mi fermai improvvisamente. «
Quindi se ti dicessi che sei perfetta e che mi piacerebbe essere al
posto del tuo ragazzo cosa succederebbe?»
« Ti chiamerei
'maniaco' e ti denuncerei.» Mi superò ridendo.
« Dov'è finito
il concetto di 'sincerità'?» Chiesi ricominciando
a camminare.
«
E' tutto molto oggettivo, specialmente quando dici che ti piacerebbe
essere il mio ragazzo.»
« Hai ragione. Potrei dirlo intendendolo
in modo positivo, ma tutti sappiamo che sarebbe terribile essere il
tuo ragazzo!»
« Oh, e sentiamo, perché mai?»
« Perché fai
di tutto per cercare di amarlo e di dimostrarlo soprattutto quando ti
riscopri gelosa di me.»
“Ah-ah, non avresti dovuto,
idiota”
Clive apparse di lato e saltò giù da una di
quelle
adorabili macchinine su cui si muovono gli addetti alla manutenzione
degli aeroplani.
« Non sono gelosa. Sei liberò di fare
ciò che
vuoi con chi vuoi, ciò che m'infastidisce e che tu me lo
sbatta in
faccia come se ti divertissi!» Lasciò la borsa a
Clive e salì sul
jet solo con la sua solita tracolla.
« Non ero divertito quando
ho visto la tua espressione, non mi sono divertito vedendo Logan che
ti baciava solo per sottolineare che sei sua e non mia, nonostante le
illusioni, perché ero geloso, ma almeno io ho il coraggio di
ammetterlo.» La seguii su per le scalette, poi tra i sei
sedili, tre
da un lato, tre dall'altro, che caratterizzavano il mio jet
privato.
« Buon per te che riesci a vivere con la tua bugia!»
«
Almeno Jenna sa che non la amo!»
« Se non fossi innamorata di
Logan starei con qualcun altro, non credi?»
« Non se hai paura
di stare con quel 'qualcun altro'.»
« Paura? Ow... taci!»
Sbuffando si sedette all'ultima poltroncina sulla destra, e io andai
su quella opposta.
Silenzio per le prime ore di volo.
Sembravamo aver esaurito la voce. O meglio, avrei voluto dire tante
cose, ma le occhiate infuriate che mi riservava fin troppo spesso
Helen erano più che loquaci.
Io, che non avevo ancora fatto
colazione, avevo mangiato un cornetto alle 11, mentre la giornalista
aveva solo chiesto un succo d'arancia.
Ora picchiettava con la
penna sul suo blocco degli appunti, a tratti mordicchiava il tappo e
volevo più di ogni altra cosa poterla chiamare 'mia', andare
lì e
sostituire il tappo con le mie stesse labbra. Le bionde, ne ero
convinto, mi avrebbero rovinato la vita. Cos'avrei dovuto fare per
farla mia, una volta e per sempre? Avrei fatto di tutto.
Nella
testa continuavano a vorticare le frasi che Claire aveva pronunciato
la sera al The Mint.
Eravamo entrambi appoggiati di schiena alla
parete esterna, rocciosa. Dannatamente scomoda. Aveva assistito,
insieme a Logan, alla scena nel privé, ma lei mi aveva poi
seguito
fuori.
« Ha bisogno di sicurezze...» Mi aveva confidato in
quel
suo tono premuroso, solito di quando parlava di Helen. Per lei era
come una sorella, e sin dal nostro primo incontro mi aveva reso
piuttosto chiaro che, se avessi ferito la giornalista, mi avrebbe
reso l'attore più infelice di Hollywood. Aveva
però acconsentito ad
“aiutarmi”. Aveva capito dopo la cena insieme che
il mio non era
un semplice sfizio, quando avevamo guardato le foto e aveva visto la
mia espressione. “Tieni davvero a lei”, aveva
commentato. Come se
non fosse stato abbastanza ovvio.
« … sicurezze che io non
posso darle.» Avevo concluso per lei dopo un po'.
« Sei
instabile, Johnny.» Ed era forse la millesima persona che me
lo
diceva.
« Forse dovrei allontanarmi da lei...»
« Ci hai già
provato e non ha funzionato, continua così e ti ritroverai
una penna
da scrittrice nel bulbo oculare.»
« Sarebbe un passo avanti.»
«
Johnny...» Si era spostata di fronte a me, mi aveva preso una
mano e
mi aveva guardato negli occhi. « Se la ami
davvero...»
« Non la
amo.» Avevo risposto prontamente. Avevo preparato quella
risposta da
un po', non sembrava vera neanche alle mie orecchie.
« Se la ami
davvero...» Aveva continuato ignorandomi. «... devi
dimostrare che
puoi darle ciò di cui ha bisogno. Vuole qualcosa d'altro,
qualcosa
di diverso, qualcosa di più. La passione romantica, forse,
oppure
una tranquilla conversazione a lume di candela, o magari il non
sentirsi relegata sempre in secondo piano.»
« Adesso citi anche
Nicholas Sparks?» Avevo domandato riconoscendo quell'ultima
frase,
forse tratta da Le Pagine Della Nostra Vita.
« Quello che voglio
dire è che vuole essere amata. E vuole essere amata da te.
Solo che
non vuole ammetterlo perché è semplicemente
più semplice amare
qualcuno che sai che ti amerà sempre e comunque.»
« Logan.»
Avevo semplicemente sussurrato.
« Logan.» Aveva
confermato.
L'amavo? Si può amare qualcuno che si conosce da meno
di due settimane? Ma no, forse la mia era solo un'incontrollata
attrazione verso di lei, solo che... c'era qualcosa nel modo in cui
rideva o nel modo in cui si ravvivava i capelli, oppure quando
scriveva, con quell'aria spensierata, come se fosse la cosa
più
semplice del mondo, che mi disarmava. Me l'immaginavo spesso sulla
mia poltrona ormai diventata sua, a gambe incrociate, con un
quadernino di pelle, una penna stilografica, a scrivere opere che
avrebbero conquistato il mondo intero. E io al suo fianco che, in
silenzio, la osservavo. Non avrei fatto altro. L'avrei osservata per
ore. C'era qualcosa in lei che mi faceva pentire di aver chiamato
tutte le mie precedenti fidanzate “amore”, c'era
qualcosa che mi
faceva credere che il mio unico amore fosse lei. E subito dopo mi
prendevo per pazzo. Ne avevo parlato con Claire – che ormai
era
diventata una confidente – e lei mi aveva
risposto:« Queste sono
le parole di un innamorato.» Ma io ero più che
convinto che non
fossi pronto a innamorarmi, che non fossi pronto a innamorarmi di
lei.
Perché
sapevo che, in un modo o nell'altro, ammetterlo mi avrebbe cambiato
la vita.
Un attimo di confusione assalì la giornalista quando
rientrammo in aeroporto.
« Johnny...» Mi chiamò e la
raggiunsi.
« Helen... dimmi.»
Stava immobile davanti a un
grande orologio analogico. « Se sono le quattro di
pomeriggio,
perché è notte fuori?»
« Helen, sono le quattro di mattina,
ecco perché è notte fuori.»
Sembrava immensamente confusa. «
Ma...»
« Il fuso orario.»
« Quindi questo
è
il jet lag.» Mormorò spalancando gli occhi.
« Siamo partiti alle
dieci, più dieci ore di volo, più otto ore di
fuso orario... quindi
le quattro di mattina. Mi stai per caso dicendo che abbiamo
praticamente viaggiato nel tempo? Che non è sabato ma
domenica? Che
eravamo a cena da Tim ieri sera?»
« No, l'ho chiamato, gli ho
detto che per ieri sera sarebbe stato impossibile, quindi ho
rimandato.» Cercai di spiegarle al meglio la situazione. Mi
ero
dimenticato, quando Tim mi aveva chiamato per invitarmi, che dovevo
suonare venerdì sera e che quindi non sarei potuto essere
sull'aereo. In più avevo anche fatto male i miei calcoli.
«
Quindi... siamo invitati per domenica sera, cioè
stasera?» Iniziò
a gesticolare.
« Esattamente.» Annuii.
Helen rimase con la
bocca socchiusa qualche secondo, sembrava disegnare calcoli in aria
con le dita. « Mh... okay. E ora che facciamo?»
« Tu
seguimi.»
Clive ci seguì silenziosamente, si guardava intorno.
Attraversammo le sale quasi deserte dell'aeroporto, all'uscita
incontrammo la solita cerchia di paparazzi ma cercai di non dare loro
troppo conto e una volta all'esterno ci rifugiammo nel fuoristrada
che ci attendeva.
Era stata dura, all'inizio, abituarsi a tutti
quei cambi, al trambusto, ma lentamente quella era diventata la mia
vita. Ero più che sicuro che sarei stato infelice se avessi
scelto
un'altra vita, non perché mi piacesse stare sotto i
riflettori, ma
perché non mi potevo immaginare a fare un qualsiasi altro
lavoro. Mi
piaceva recitare, mi piaceva suonare, e a tratti anche scrivere. Non
ero bravo a fare altro, quindi avrei accettato tutti i paparazzi,
tutti gli articoli e tutti i gossip del mondo se questi non mi
avrebbero impedito di fare ciò che amavo fare di
più.
«
Tracey? E' anche lei qui?» Mi chiese dopo una mezz'oretta di
viaggio
in auto. Guardava fuori dal finestrino, assorta.
« No,
perché?»
Si voltò verso di me scrollando le spalle. « Non
so,
curiosità.» Abbandonò la testa contro
il vetro. « Stiamo andando
in un hotel o...»
« Ho una casa a New Forest, nell'Hampshire.»
L'avevo comprata qualche anno prima, Lily e Jack sarebbero dovuti
andare per un po' di tempo in una scuola privata vicina, ma Vanessa
si era rifiutata. Da quel momento erano rimasti in una precisa scuola
in Francia, dove vivevano allora con la madre. Ora la casa era
semi-abbandonata. Ci andavo quando volevo fare visita a Tim e a
Helena, per il resto veniva pulita settimanalmente da un paio di
persone assunte da Tracey, la quale negli ultimi mesi aveva preso le
redini di gran parte della mia vita.
Dopo un po' presi ad
osservare anch'io fuori dalla finestra il sentiero(3)
che ci avrebbe portati poi a quell'enorme palazzo acquistato
inutilmente. In pochi minuti ci ritrovammo davanti al cancello, da
cui già si poteva scorgere la residenza da caccia(4).
A quel punto Helen si spostò al centro della macchina e si
sporse in
avanti, verso Clive, per guardare meglio. Sorrisi. « Devo
dedurre
che questo finirà nell'articolo?»
« Oh, puoi giurarci. Se avrò
il consenso di Tim, tutto quello che accadrà oggi
finirà
nell'articolo.» Rispose ridendo.
« Suona molto come una
minaccia...» Dissi mentre pensavo se avrebbe descritto anche
quello
che sarebbe accaduto nei giorni seguenti. Perché io avevo
organizzato tutto, ma ancora non le avevo detto nulla. E non avevo il
coraggio di dirle nulla.
Scendemmo dalla macchina, poi
raggiungemmo il grande portone. La giornalista rimase indietro,
deliziata dal paesaggio autunnale sebbene il tempo fosse decisamente
più freddo di quello che ci eravamo aspettati.
L'interno è come
quello di ogni grande casa inglese: scalinata centrale che porta a un
corridoio comunicante con tutte le camere da letto e i bagni, a desta
dell'atrio si accede allo studio, a sinistra al salotto adiacente
alla cucina. Dallo studio si può poi entrare in una stanza
più
piccola che Vanessa aveva in passato usato come palestra, ma che ora,
grazie all'aiuto di Tracey, è diventata una piccola sala di
proiezione.
Clive ci abbandonò promettendoci di tornare intorno
alle 18 di quella sera, io feci fare il tour della casa a Helen.
«
I miei hanno una casa simile a questa.» Mormorò
lasciando a terra
in una camera da letto il borsone. « Molto più
piccola, certo, però
ho sempre trovato una somiglianza tra tutte le case qui in
Inghilterra.» Si lasciò cadere sul letto, stesa
per metà, le gambe
a penzoloni. Osservava le mura o il soffitto, mentre io, fermo sullo
stipite della porta, osservavo lei.
« Non li vedi da molto?»
Chiesi senza curarmi di aggiungere “se posso
chiedere...”.
«
Un paio d'anni, anche se ci teniamo sempre in contatto.» Rise
leggermente. « Mio padre non voleva farmi partire, diceva che
avrei
dimenticato le mie origini, che avrei dimenticato loro... Il mio
accento c'è sempre, esattamente come loro, nel mio cuore.
Solo che
tra il lavoro e la mancanza di fondi non sono mai riuscita a
partire.» Nel suo tono di voce avvertii nostalgia, e mai
più di
quel momento mi sembrò adatto “svelare le mie
carte”. Certo, io
avevo già organizzato tutto da giorni, prima di Jenna. Dal
curriculum, avevo chiesto a Tracey di ritrovare la famiglia di Helen
e di mandarmi il loro numero, così li avevo chiamati e avevo
concordato tutto. Avevano continuato per un po' a parlottare tra di
loro su un piano per il suo arrivo. Erano felicissimi, sebbene un po'
confusi.
« Sai... dovremmo farci un salto domani.»
Il suo
sguardo mi fulminò mentre la giornalista si metteva a
sedere. «
Stai scherzando?»
« Ho la faccia di uno che scherza?»
«
Sì.» Risposta che mi aspettavo, devo ammetterlo.
« Beh, non sto
scherzando. Davvero, dovremmo passare da loro già che ci
siamo.»
Si
alzò dal letto e mi saltò letteralmente addosso,
facendomi
barcollare un paio di passi indietro. « So che sembro un
koala e
anche un po' Claire, ma grazie.»
Automaticamente, per evitare che
cadesse – o almeno è questa la giustificazione che
mi sono dato –
portai le mani sotto le sue gambe, incrociate intorno al mio busto.
Quando lei sollevò il viso dalla mia spalla e i nostri
sguardi
s'incrociarono, seppi cosa volevo che accadesse. Eravamo solo noi
due, lì, e un letto a nostra disposizione. In
realtà ce n'erano
quattro o cinque di letti a nostra disposizione. La poggiai a terra.
« Dovresti riposare, non puoi stare in piedi per 24
ore.» Mormorai
uscendo.
Frustrante, ecco cos'era. Desiderare con tutto me stesso
qualcosa e sapere di non poterla avere era frustrante. Ma lei era
lì,
cos'era che non andava in me? Non era una ragazzina, eravamo due
adulti, eppure...
“Lo so io cos'è che non va con te”
sussurrò
la vocina mentre entravo nella doccia
« No che non lo sai.»
Risposi ad alta voce, per poi zittirmi immediatamente.
“Sei un
attore idiota, ecco cosa. E' ovvio che poi lei si fa la sua vita. Ha
ragione Claire. Tu non puoi darle sicurezze. Scappi quando vedi
qualcosa che potrebbe farti felice. Dal primo giorno in cui l'hai
vista sei scappato, con quel tuo comportamento da Johnny Depp
misterioso che avresti dovuto abbandonare nel 1988. Altro che amore a
prima vista con Vanessa Paradis. Helen ti odiava, tu la odiavi, e
allo stesso tempo pensavi:'Hey, perché non cambio lavoro
così non
mi odierà più?'. Sei pessimo, Johnny, fattelo
dire.”
« E tu
sei solo una presuntuosa vocina. Ti porto dallo psicologo, ecco dove
ti porto...» Mormorai al nulla.
Mi risvegliai intorno alle
16, dopo circa nove ore di sonno. Alzandomi dal letto, nudo
poiché
mi ero rifiutato categoricamente di vestirmi dopo la doccia visto che
dovevo andare a dormire, iniziai lentamente a vestirmi. Camicia,
golfino, jeans(5),
la solita collana, i soliti anelli. Quando finì quel lungo
processo,
andai in camera di Helen. Era completamente avvolta nelle coperte,
stesa su un fianco. Ripiegato su un armadio c'era un asciugamano
usato da poco, mentre sul borsone ancora chiuso ricadeva il vestito.
Sulla piccola scrivania al lato della camera, di fronte alla
finestra, c'era il portatile silenzioso aperto su una pagina di Word.
Richiusi la porta senza sbirciare l'articolo – non volevo
rovinarmi
la sorpresa – decidendo che l'avrei svegliata dopo una
mezz'oretta.
Alla fine, secondo il parere della giornalista,
l'avevo svegliata troppo tardi. Doveva vestirsi e truccarsi, e non
avrebbe mai fatto in tempo. Aveva ragione. Facemmo aspettare per un
quarto d'ora Clive al piano inferiore, io tamburellai con il piede
fuori dalla porta della camera fin quando una chioma bionda
uscì di
corsa ed Helen in un vestito rosa(6)
scendeva velocemente le scale, aiutata da un paio di scarpette basse.
« Andiamo, Clive!» Gridò spalancando la
porta ed entrando in
macchina. Io avevo osservato tutto dal corridoio al piano superiore,
spaventato.
Arrivammo a casa della coppia(7)
in leggero ritardo, nulla che non fosse già accaduto,
comunque.
Tim
ed Helena avevano deciso anni prima di vivere in due case separate:
Tim russava oppure non dormiva affatto e passava la notte a guardare
tv, mentre Helena cercava fin troppo di comandare la casa. Dividersi
era l'unica soluzione, ma rimanevano comunque felici insieme. Avevano
comprato due appartamenti affiancati, con una stanza al pian terreno
in comune, un salotto. Clive ci seguì fino al vialetto, poi
tornò
indietro, dicendo che sarebbe stato nel ristorante dell'hotel in cui
alloggiava. Suonammo al campanello e rimanemmo in attesa, in
trepidante attesa. Cos'avrei raccontato a Tim? Helena avrebbe capito?
Lei capiva sempre tutto, ma...
« Johnny!» Tim(8)
apparve oltre la soglia, sorridente. Spostò lo sguardo su
Helen, e
sperai con tutto me stesso che, pur sapendo che lavoro facesse, non
trasformasse quella che doveva essere una tranquilla cena tra amici
in una cena tra conoscenti.
« Tim, lei è...» la
ragazza di cui ti ho parlato, la mia giornalista, la mia ragazza?
«... Helen.»
« Come se non ce ne fossero in abbondanza!» Disse
ironico stringendole la mano. Helen sembrava nel pieno di una crisi
isterica, gli occhi sbarrati sull'orlo di un pianto. Tim le
lasciò
la mano mi abbracciò, poi ci fece strada nella sala in
comune.
Strinsi la mano di Helen nella mia, lei mi ringraziò con un
sorriso.
Tim entrò in una porta a sinistra, da lì si
accedeva
all'appartamento di Helena – lei era quella che cucinava. I
bambini
giocavano in salotto, Helena era seduta in un angolo, indossava una
semplice maglietta grigia e una delle sue solite gonne larghe(9).
«
Billy Ray, Nell!» Gridai, e i bimbi alzarono lo sguardo dai
giocattoli per corrermi incontro. Lasciando la mano di Helen, che si
diresse verso Helena per salutarla, mi chinai sui talloni e
abbracciai i due bambini. Per quanto cercassi di non pensare a Jack e
a Lily Rose, in quel momento non potei che sperare di riabbracciarli
il prima possibile. Ero in Europa, fare un salto in Francia non
sarebbe stato così difficile, ma Helen doveva tornare a Los
Angeles
e non potevo trattenerla con me se non voleva. Certo, avrei sempre
potuto lasciarle il jet e farla accompagnare a casa da Clive...
«
Come state, voi due? Non ci vediamo da un po', non è
vero?»
«
Stanno bene, hanno pur sempre noi come genitori, no?» Rispose
al
loro posto Helena che ora avanzava verso di me. Schioccai un bacio
sulla guancia di Nell, che rise, per poi sollevarmi e far tornare i
bambini a giocare. Strinsi l'attrice in un abbraccio.
« Strega,
come stai?» Le sussurrai all'orecchio riferendomi al suo
vecchio
ruolo nella saga di Harry Potter. Poco prima del divorzio, Jack mi
aveva costretto a vedere con lui tutti i film. Non erano del mio
genere, ma erano presenti attori sensazionali.
« Io sto
fantasticamente... tu, piuttosto?»
« Si va avanti.» Sciolsi
l'abbraccio.
« Allora possiamo mangiare?» Domandò
Tim.
«
Sì, possiamo mangiare.» Rispose la moglie
sorridendo.
Ero sempre
felice di andarli a trovare. Tim è mio amico da sempre,
spesso
confidente, e ho conosciuto Helena di persona grazie a lui. Sa essere
una stronza, solo perché è terribilmente
schietta, ma le vogliamo
tutti bene lo stesso.
« I bambini hanno già mangiato?»
«
Certo, e tra poco andranno a dormire, vero bambini?»
I due
annuirono.
« Appunto.»
Helena di fianco a Tim, io di fianco
ad Helen, cenammo tranquillamente. Mi era difficile, soprattutto in
quel periodo, fare tutta quella strada per andarli a trovare, ma ero
sempre felice di farlo. Helen si sciolse mentre mangiavamo il
tacchino, quindi circa a metà della serata, e ne fui
felicissimo.
Sembrava a suo agio, sembravamo un gruppo di vecchi compagni di
scuola.
« Allora, a quando il prossimo film?» Chiese d'un
tratto
la giornalista. Visto il silenzio, si affrettò ad
aggiungere. «
Prometto che non lo scriverò nell'articolo!»
« Inizi a non
mantenere fede al tuo patto, così.» Le risposi
riferendomi alla
“minaccia” di quella mattina.
« Oh, taci.» Mormorò
ridendo.
« Pensavo di fare un remake dei Puffi. I bambini lo
adorano, quello del 2012 non è abbastanza gotico per i miei
gusti...
Pensavo di aggiungere qualcosa tipo un'associazione segreta comandata
da Gargamella. Insomma, sappiamo tutti che Puffetta è in
realtà
creata da lui, credevo di farle sedurre i puffi e poi ucciderli a
sangue freddo. Che ne dite?»
« Credo...» Iniziò Helena. «
Che
io sarei perfetta per la parte di Puffetta.»
« Sì.» Mi
aggiunsi io. « Io farei il Grande Puffo, la barba non mi
manca...»
Mi sfiorai i baffi.
« Io, invece... credo che mi stiate
prendendo in giro.» Disse Helen ridendo.
« E hai pienamente
ragione!» Tim la seguì nella risata, come poi
Helena e io.
Finita
la cena, ci ritrovammo a parlare della scuola dei bambini, e poi
arrivò la fatidica domanda da Helena.
« Come va tra te e
Vanessa?»
Scrollai le spalla. « Tutto sarebbe stato più
facile
se non ci fossimo sposati, credo. La settimana prossima c'è
la
sentenza per il divorzio in Francia, e lei vuole rendere tutto
più
difficile.»
« E per i bambini?» Chiese Tim.
« Te l'ho
detto, i giornali hanno ragione: vuole chiedere l'affidamento
esclusivo. E non capisco su che basi, ma il mio avvocato, o meglio, i
miei avvocati sono convinti che il giudice non glielo
concederà.
Dice che, abitando a Los Angeles, non posso vedere i bambini, quando
è lei che non me lo permette.» Scossi la testa e
unii le mani sul
tavolo. « Non c'è altro che possa fare, a parte
cercare di non
rovinarmi ancora la reputazione distruggendo cose.» Quella
che
proruppe dalle mie labbra fu una risata che sfiorava l'isteria.
La
mano di Helen si allungò sul tavolo e strinse la mia. Questa
volta
fui io a ringraziarla.
« Sono sicura che andrà tutto bene,
Johnny, basta essere pazienti, non farsi prendere dal
panico.» Mi
rassicurò Helena.
Ci alzammo dal tavolo, io seguii Tim nello
studio nel suo appartamento mentre Helen insisteva per dare una mano
a Helena in cucina.
« Mi hanno parlato di... Jenna.» Iniziò
soffocando una risata. « All'inizio credevo che fosse una
spia
mandata dalla malvagia Vanessa.»
« Ma perché tutti mi hanno
rivelato quanto fosse loro antipatica Vanessa solo dopo la
separazione?»
« Perché tu eri così preso da lei, non
volevamo
certo distruggere i tuoi sogni.»
« Chi ti ha detto di Jenna?»
Mi sedetti sulla sedia della scrivania ad angolo, da dove si poteva
controllare tutta la stanza, sebbene fosse comunque piccola. Alle
pareti erano appese le locandine dei film di Tim: da Beetlejuice a
Mars Attack, da Ed Wood a Edward Mani di Forbice, da Alice in
Wonderland a Big Fish. Vedere la mia faccia appesa su un grande
cartellone mi faceva sempre effetto. Sulla scrivania c'erano tre
foto: una dei bambini, una di Helena e Tim e una di me e Tim, presa
da un vecchio photoshoot.
« Tracey, ovviamente!» Si accomodò su
una poltrona nell'angolo opposto
« Ovviamente.»
« Tra te ed
Helen...?»
« Che intendi?»
« Avanti... i sorrisi, il
tenersi per mano, gli sguardi...»
« Mi dirai anche tu che si
vede palesemente che sono innamorato di lei?»
« Chi te l'ha
detto?»
« Claire.»
« Chi è Claire?»
« Ow, lascia
stare!»
« Non so se sei innamorato di lei, ma di sicuro l'esca
dell'amore ti ha catturato.»
« E non è la stessa cosa?»
«
No, un modo di dirlo è più poetico
dell'altro.»
« Certo, e tu
sei quello che tiene all'essere poetico.»
« Ovviamente!»
«
Ovviamente. E' una giornalista.»
« E con questo?» I nostri
discorsi continuano a sembrare una partita di tennis, non ci lasciamo
neanche il tempo di pensare.
« Con questo, non so quanto possa
fare sul serio. Conosci le giornaliste.»
« Le conosci anche tu,
e non fare il diffidente, sai bene che di lei ti puoi fidare. Mi fido
io e la conosco da due ore!»
« E io da due settimane. Ti pare
che si possa stabilire una relazione in due settimane?»
« Avete
mai parlato di relazione stabile?»
« Non abbiamo proprio parlato
di relazione.»
« Allora di che ti preoccupi?»
Continuammo a
parlare ancora un po' di puffi, di giornaliste, e di Tracey Jacobs
che si teneva in contatto con tutti, prima di tornare dalle donne.
Helen ed Helena erano sedute entrambe sul divano a chiacchierare, ma
quando arrivammo sembrarono cambiare improvvisamente discorso visto
che Helena aveva tirato fuori il discorso de “Il giardino
segreto”,
libro che Helen non aveva neanche mai aperto.
Quando uscimmo
dagli appartamenti pioveva.
“Ci sarà bel tempo, eh? Bel tempo
davvero!” pensai sbuffando. Helen mi tirò per la
giacca per farmi
voltare. Rideva.
« Smettila di sbuffare e goditi la pioggia!»
Come facevo a godermi la pioggia? Non ne avevo idea, ma vedendola
ridere non potei che essere felice anch'io.
Clive arrivò subito,
Helen in macchina continuò a tenersi stretta al mio braccio,
come se
fosse l'unico appiglio durante una tempesta. Per quell'ora e mezza di
viaggio non smise di sorridere. Clive ci guardava sospirando neanche
fossimo una coppia in viaggio di nozze. Coppia.
Scossi
la testa
« Bobby, lasciaci qui!» Quasi gridò
Helen.
« E'
Clive.» La corressi io.
« No, abbiamo parlato prima, è Bobby
solo per me, vero Bobby?»
« Verissimo, signorina.»
« Ow,
chiamami Lesley!» Saltò giù dalla
macchina trascinandomi con sé
sotto la pioggia. Batteva forte, bagnandoci i vestiti. La mia mano
stretta nella sua, Helen continuava a volteggiare correndo verso la
grande casa attraversando il giardino antistante. Volteggiava come se
stesse danzando con il mio minimo aiuto. Chiuse la porta alle mie
spalle quando entrai dietro di lei, poi mi lasciò la mano e
salì
le scale.
« Vado a farmi una doccia!»
Come potevo non notare
che a causa della pioggia il vestito le aderiva perfettamente al
corpo, lasciando intravedere ogni sua curva? Deglutii e salii
anch'io, più lentamente, diretto verso la mia stanza. Dovevo
calmarmi.
Seduto sul letto, iniziai a sfilare lentamente gli
anelli.
La porta del bagno della stanza affianco si aprì.
Poi
la collana.
L'acqua iniziò a scrosciare, quasi cercando di
nascondere il rumore che proveniva dall'esterno.
Poi i
bracciali.
Un corpo interrompeva a tratti il flusso altrimenti
continuo.
Poi sfilai le scarpe.
E l'acqua continuava a
scorrere.
Me l'immaginai mentre canticchiava una qualunque
canzone, completamente nuda. Ricordai come l'avevo accarezzata quella
notte a casa sua, cercai di pensare a cosa sarebbe successo solo
se...
Senza neanche rendermene conto ero entrato nella sua stanza,
poi nel bagno, infine avevo spostato una delle lastre che formavano
il box doccia e l'avevo vista.
Non era minimamente paragonabile a
come me l'ero immaginata. Era davvero bellissima. Era perfetta. Senza
alcuna esitazione, osai entrare e la baciai con passione. Nemmeno un
attimo di esitazione, e lei ricambiò. Affondai una mano tra
i
capelli bagnati mentre l'altra andava a poggiarsi dietro la sua
schiena e attirava il suo corpo contro il mio. Sentii le sue mani
sbottonarmi velocemente il golfino, allontanai le mani da lei per
permetterle di sfilarlo. La stessa cosa accadde alla camicia. Un
brivido mi percorse quando le sue mani si permisero la discesa lungo
l'addome per tirare via la cintura e poi sbottonare i jeans, che
raggiunsero il pavimento esterno. Si aggrappò a me come
quella
mattina, abbandonò le mie labbra per baciarmi il collo.
C'era
lei e basta. C'eravamo noi che camminavamo nella stanza buia per
raggiungere il letto su cui avremmo passato la notte insieme, senza
interruzioni, senza fidanzati o fidanzate, senza il passato, senza
offese, senza rimorsi.
“Ci vogliamo e ci apparteniamo”,
pensai accarezzando il suo corpo senza staccare gli occhi dai suoi.
“Questa è la nostra sicurezza”.
(
Questo
capitolo è enorme. Ad un certo punto ho davvero creduto di
stare per
svenire, poi però ho scritto “nudo”, ho
immaginato la scena e mi
sono ripresa. Il fatto è che... boh. Allora, avevo in mente
l'ultima
scena da quando ho visto The Rum Diary, dovevo inserirla nel momento
giusto. E poi ho pensato “Hey, perché non
scriviamo un Johnny's
POV?” e quindi eccolo qui. Non mi convince molto, ho paura di
aver
accelerato qualcosa ma, se non avessi accelerato, qualcuno di mia
conoscenza mi avrebbe ucciso, di conseguenza...
Vabeh, ce l'ho
fatta, è questo l'importante D:
Al prossimo lunedì!
Ah, spero
vi sia piaciuto, e domani andiamo dai genitori di Helen! Yeeeey! *No,
eh?*
Okay, a presto! :*
)
|
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Capitolo 12 *** Day Fifteen ~ Parenting ***
Day
Fifteen – Parenting
La
luce del sole filtrò dalle spesse tende della finestra e mi
costrinse ad aprire gli occhi, ritrovandomi in una stanza che non
conoscevo. Ebbi bisogno di qualche secondo di tempo per rendermi
conto che in realtà sapevo dove mi trovavo, e soprattutto
con
chi.
Johnny, la sera prima, mi aveva poggiata sul letto e poi si
era steso su di me. Tra i baci e il rotolarsi tra le coperte la linea
è decisamente sottile, e fu superata senza alcun indugio.
Dopo tanta
resistenza, non avrei più potuto rifiutarlo.
Due giorni erano
passati da quando avevo visto Logan, due giorni da quando ero
più
che sicura che sarei rimasta con lui per sempre, che non l'avrei mai
lasciato per Johnny, mentre ora non riuscivo a immaginare una vita
senza quell'attore da strapazzo. Dannato lui. E dannata Jenna. Lei
c'era ancora, era onnipresente, eppure Johnny l'aveva detto, non
l'amava. Ma amava me? Cosa mi rendeva differente dall'altra
giornalista?
Mi alzai di scatto e spostai le coperte. Me ne stavo
lì a discutere mentalmente di Jenna e Johnny senza rendermi
conto
che c'era una situazione del tutto diversa dall'altro lato, tra me e
Logan. Cosa gli avrei detto al mio ritorno? Ma ora un interrogativo
più grande occupava la mia mente: dov'era l'attore?
Corsi in
bagno per sciacquarmi il viso, recuperai la sua camicia dal pavimento
e la indossai prima di affacciarmi fuori dalla porta. Un dolce odore
di brioche calde e di caffé mi raggiunse. «
Johnny?» Urlai.
Nessuna risposta. Feci qualche passo nel corridoio, ma il freddo mi
costrinse a rientrare nella camera da letto. Passando davanti alla
finestra per raggiungere il borsone, notai la fitta nebbia
all'esterno. Stranamente, rendeva tutto più magico e bello.
Guardai
più attentamente e notai una figura di fronte alla porta
secondaria,
quella usata in passato dai servitori.
Johnny era immobile, a
parte la mano destra che si sollevava di tanto in tanto per
raggiungere le labbra. Fumava come al suo solito. Bussai contro la
finestra, lui si voltò e alzò la testa. Ci mise
un po' per
trovarmi. La sigaretta spenta volò via mentre Johnny apriva
la porta
al piano terra.
L'aereo, l'abbraccio, la promessa, Tim ed Helena
e i bambini, la doccia... Quante cose erano successe e quanto era
cambiato il mio comportamento nei suoi confronti! Convinta che
facendo la ragazzina acida l'avrei allontanato, avevo continuato su
quella strada, facendo battutine e rispondendo in modo sarcastico ad
ogni cosa lui mi dicesse. Ma dopo la promessa di farmi rivedere i
miei genitori dopo due anni, dopo la stretta di mano quando io ero
nel più completo panico, dopo la chiacchierata con Helena e
ciò che
avevo provato quando mi aveva baciata la notte prima, come potevo
continuare a sostenere quel muro che avevo costruito, pur sapendo
cosa provavo e cosa lui era pronto a svelarmi?
« Sei sveglia,
finalmente!» Lo vidi apparire all'improvviso fuori dalla
porta, e in
un attimo fui tra le sue braccia, le labbra premute contro le sue.
«
Ti sei svegliato presto?» Domandai allacciando le mani dietro
il suo
collo.
« Non mi sono addormentato affatto.»
Sussurrò chinandosi
sul mio collo per baciarlo ripetutamente. Già, era l'alba
quando ci
eravamo resi conto del passare del tempo. A quel punto mi ero
rannicchiata contro di lui e mi ero addormentata quasi
immediatamente.
« Mi offendi, non ti ho sfinito tanto quanto tu
hai sfinito me!» Mormorai in risposta.
Alzò lo sguardo per
incontrare i miei occhi. Una scrollata di spalle e fu di nuovo sulle
mie labbra. « Sono piuttosto resistente...»
« Scommetto che hai
ripreso questa caratteristica da Barnabas Collins.» Accennai
una
risata.
Rise anche lui. « Hai fatto centro.» Le sue mani
scesero
sui miei fianchi e in poco tempo mi abbandonarono. « Scendi,
mia
Josette, c'è la colazione.» Disse sfiorandomi la
punta del naso con
le labbra prima fare un cenno con la testa verso le scale.
«
Arrivo subito, devo solo fare un attimo una chiamata.»
Sorrisi
cercando di nascondere il nervosismo. La telefonata non sarebbe stata
affatto facile.
Johnny aggrottò le sopracciglia, ma poi parve
capire. « Logan?»
Annuii. Lui si sforzò di sorridere ma si
voltò subito dopo e si allontanò. « Ti
aspetto sotto!» Gridò
scendendo le scale.
Recuperai il telefono dalla borsa e ci giocai
per qualche secondo, fin quando non mi decisi a comporre il numero e
a premere il malefico tastino verde.
« Claire?»
Mi rispose
una voce assonnata. « Chi... Helen! Finalmente! Avevo paura
che
fossi morta in un incidente aereo o qualche disastro del genere. Ma
ti sembra l'ora di chiamare?»
Avevo dimenticato completamente il
fuso orario. « Uh... scusa.»
« Tranquilla...» Sentii un
frusciare di coperte, probabilmente si stava mettendo a sedere.
«
Allora, quando torni? Mi ha chiamato oggi pomeriggio Logan, dicendo
che non era riuscito a contattarti e che era preoccupatissimo.
Insomma, lo conosci.»
« Già, Logan...»
« Non mi piace
quel tono. O meglio, mi piace ma, non so perché, mi dispiace
per
lui. Cos'è successo?»
« E'... una lunga storia.»
«
Scommetto che è stata anche una lunga notte!» Rise
di gusto
dall'altra parte del mondo, per poi tossire e tornare calma.
«
Scusa. Ormai mi hai svegliata, racconta!»
Le spiegai del viaggio
in aereo, della voglia pazza che avevo di schiaffeggiarlo e
contemporaneamente di baciarlo, dello stranissimo abbraccio in cui lo
avevo sentito vicino a me tanto quanto quella sera contro il muro del
mio appartamento, e poi di Helena Bonham Carter e dei suoi discorsi
da mamma-chiocciola.
« Tim mi ha detto che Johnny gli ha
parlato spesso di te. Mi ha raccontato che lui lo ha chiamato un
giorno, a notte fonda – credo fosse esattamente due settimane
fa –
per parlargli dello stranissimo contratto che ti avevano fatto
firmare lui e Tracey – odio quella donna. Detestava il tuo
modo di
fare, ma, da quello che ha detto dopo, credo detestasse il fatto che
tu eri lì solo per lavoro. Ama i suoi fan, ma detesta avere
intorno
persone che guadagnano dalla sua fama. Io e Tim eravamo sicuri che
Vanessa fosse una di quelle persone, anche se Johnny non lo
accettava.» Helena si interrompe come se il discorso fosse
finito.
"Cos'altro?" vorrei gridarle, ma vedo che si è
allontanata solo per mettere a letto i bambini. Le chiedo se vuole
essere aiutata, così prendo in braccio la bambina, che si
è
addormentata sul divano, mentre Helena mi fa strada su per una strana
scala chiocciola. Raggiungiamo la camera da letto dei bambini, piena
di giocattoli mai visti prima, le pareti ricoperte di disegni. Helena
mi sussurra che Billy Ray ha la stessa anima artistica del padre.
Mormora, mentre osserva i suoi figli dormire nel letto a castello,
che i disegni appesi sono i quelli del bambino, e io non riesco a
crederci. "Avrà visto talmente tante volte i film del padre
da
prendere spunto da lui, da fare sua una parte della mente geniale di
Tim Burton", penso, perché la mano che ha disegnato le opere
di
Tim Burton e quella che ha disegnato questi particolari personaggi,
ora immobili su carta, sembra la stessa.
Scendiamo di nuovo in
salotto, lei riprende il discorso come se non si fosse mai
interrotta. « Vanessa lo ha deluso profondamente. Lo ha reso
insopportabile per un lungo periodo di tempo, credimi. Era diventato
tanto incontrollabile da rendere necessario un intervento da parte di
Tracey, e lei ne ha approfittato. Lei è una di quelle
persone che
Johnny dovrebbe odiare, soprattutto perché lei ha
approfittato del
momento peggiore, il momento in cui Johnny era troppo debole per
potersi ribellare. Guadagna una percentuale sulla vendita dei tuoi
articoli su Johnny, lo sai? Insieme al tuo capo e a te. Johnny riceve
davvero poco. Crede che l'articolo lo aiuterà, ma io non
sono
d'accordo. Quando Johnny si renderà conto di ciò
che sta facendo in
realtà la sua agente, lo distruggerà. E sai in
che modo l'articolo
lo aiuterà? Grazie a te. Tu hai scritto l'articolo, ma
questo non è
importante. Sarai importante perché, quando tutta questa
–
perdonami se uso questo termine – 'farsa' finirà,
tu sarai l'unica
che non ne avrà approfittato. Mentre tutti fanno accordi
alle sue
spalle e lo sfruttano per comprarsi una bella casa alle Hawaii, tu
sarai l'unica che avrà semplicemente fatto il suo lavoro ma
che,
nonostante tutto, lo ha aiutato in questo mese. Lo stai aiutando e
neanche te ne rendi conto. Io e Tim possiamo aiutarlo da qui, ed
è
poca cosa rispetto a ciò che tu puoi fare e che hai fatto
inconsapevolmente. Lo hai fatto diventare speranzoso. Non lo vedevo
così raggiante da anni, sai? Gli manca la sua famiglia, i
suoi
figli, ma tu riesci a mantenerlo felice.» Mi rendo conto solo
in
questo momento che sono stata in silenzio per tutto questo tempo, e
ora non so come rimediare.
« Lo amo... questo è ciò che posso
continuare a fare.» Mi sento pronunciare queste parole, ma
non ho
idea della loro provenienza.
« E' abbastanza.» Un sorriso
appare sul suo volto. Sentiamo dei passi provenire dall'altro
appartamento, e subito lei inizia a borbottare qualcosa
sull'importanza del giardino segreto per Mary Lennox.
Avevo
il ricordo fisso nella mente mentre le raccontavo brevemente della
cena e di ciò che era avvenuto dopo. La pioggia non era
certo
passata in secondo piano. Claire lanciò un gridolino quando
le dissi
della mia sorpresa quando avevo sentito la porta del bagno aprirsi,
seguita da una delle pareti della doccia.
« Quindi... tu e lui...
Tu... stai insieme a Johnny Depp? Intendo... avete chiarito tra di
voi?»
« Oh... no. Cioè... no.» Mi sedetti sul
letto e raccolsi
le ginocchia al petto. « Non credo accadrà presto.
Devo ancora
chiamare Logan, ma non voglio dirgli tutto via telefono, preferisco
farlo di persona.»
« Giusto, non fare la stronza.»
« Già
lo sono. Perlomeno, mi ci sento. Avrei dovuto chiarire tutto prima di
partire.»
« Ormai è troppo tardi per quello, inutile
continuare
a rimuginarci sopra. Ascolta, quando hai intenzione di
tornare?»
«
Non lo so, penso di partire domani... oggi vado a trovare i
miei.»
«
I tuoi genitori? Davvero?»
« Sì, una delle tante sorprese di
Johnny.»
«
Che dolce, quell'uomo. Ti direi "chiedigli se ha un gemello",
ma so già che non ne ha uno, quindi lascia stare.»
Accennai una
risata. « Quando torno ti racconto tutto... nel frattempo,
puoi dire
domani mattina a Logan di chiamarmi quando può?»
« Certo, cara.
A vostra disposizione 24 ore su 24.» Rise e mi
mandò un bacio prima
di chiudere la chiamata.
In salotto era apparecchiata una
colazione per dieci persone. C'era un cesto colmo di frutta, due
teiere (una per il the verde e un'altra per il the normale), una
caffettiera, toast, brioches, waffles, marmellate e nutella, e poi
uova e tutto ciò che occorre per una perfetta colazione
all'inglese.
« Stai scherzando?»
« Non sapevo cosa ti piacesse mangiare
o bere a colazione, a parte il caffè.» Mi
schioccò un bacio sulla
fronte prima di avvicinarsi a una sedia e scostarla dal tavolo,
facendomi poi un cenno. Mi sedetti e lui riavvicinò la sedia
al
tavolo, poi si sistemò sulla sedia vicina. «
Com'è andata con...
Logan?» Era come se facesse fatica a pronunciare quel nome.
« Ho
cambiato idea e ho chiamato Claire, le ho chiesto di dirgli di
richiamarmi appena può, sono un casino con il fuso
orario.»
Annuì
afferrando con la forchetta un waffle. Io presi un toast e lo
ricoprii di marmellata alla fragola prima di morderlo.
« Sbaglio
o quella è la mia camicia?» Chiese indicando il
mio unico
indumento.
« Non sbagli... non mi andava di vestirmi
stamattina.»
Rise, quella risata calda che tanto adoro. « Ho
notato... Non ho mai capito questa cosa con le donne e le camicie
degli uomini.»
« Solo uomini con cui hanno intimità, sia
chiaro. Ma non lo so, non è una cosa che ho fatto spesso.
Logan non
indossava mai camicie, è sempre stato un
bambino...» Mi sorpresi a
parlare di lui al passato, come se la nostra relazione fosse finita.
« Vanessa non faceva lo stesso?» Parlare di ex non
era decisamente
la cosa migliore, specialmente non in una situazione "precaria"
come la nostra.
« No, siamo stati insieme dopo aver
ufficializzato la cosa, e lei...» Indugiò qualche
secondo. « Si
vergognava. Preferiva tenere le sue camicie da notte.»
Scoppiai a
ridere sonoramente. « Dici sul serio?»
Annuì silenziosamente,
sul volto l'espressione quasi compassionevole di chi ricorda una
vecchia amica completamente pazza.
Mi allungai verso di lui per
sfiorare la sua bocca e l'attore ci mise davvero poco a dischiudere
le labbra per ricambiare quel bacio leggero. « Povero, povero
Johnny.»
Scrollò le spalle.
« Le camicie sono... comode.»
Dissi. Mi guidò verso di lui, quindi mi sedetti sulle sue
gambe come
se fosse un giovane Babbo Natale. « E sono leggere.
C'è qualcosa di
magico nel sentire il tessuto della camicia contro la
pelle.»
Afferrai un waffle e glielo porsi. Morse, masticò
per bene, come se stesse riflettendo su qualcosa di immensamente
importante, prima di parlare di nuovo. Aprì la bocca, ma la
richiuse. Non voleva parlare di qualcosa che gli era passato per la
mente. « Dovremmo iniziare a vestirci, Clive dovrebbe
arrivare
a-»
Lo interruppi saltando giù dalla sedia e urlando.
« Bobby!»
Salii le scale a due a due. Adoravo quell'uomo, pur avendoci parlato
solo per circa 5 minuti il giorni prima.
« E' l'aria
dell'Inghilterra che ti rende euforica, o devo preoccuparmi di un
altro uomo?» Mi chiese dal piano inferiore con un urlo.
« Non
sono mica una sgualdrina! Accontentati di Logan!» Gridai di
rimando
ridendo.
Avevo indossato velocemente un paio di pantaloni
beige, la solita camicia bianca e delle scarpette basse color panna.
Dovevo ringraziare Claire per quel cambio extra di vestiti, o meglio,
lei e la sua incredibile fobia del tutto.
Prima di scendere accesi
il computer, rilessi velocemente le parti più importanti
dell'articolo, riscrivendo ciò che andava rivisto, per poi
inviare
tutto alla redazione.
Johnny mi aspettava giù, coperto da anelli
e collane, con addosso un'assurda maglietta nera decorata con rombi
rossi, jeans e il cappello con la piuma, quello che indossava la
notte che venne nel mio appartamento.
« Un giorno qualcuno ti
brucierà quel cappello.» Commentai raggiungendolo.
Clive ci
guardava dallo stipite della porta. Poggiai una mano sulla sua spalla
per cercare di raggiungere in punta di piedi il suo volto. Lo baciai
sulla guancia, sorridente, prima di uscire dalla grande magione da
caccia.
« Un giorno qualcuno ti ruberà il computer per
leggere
in anteprima gli articoli che mandi alla redazione del Rolling
Stone.» Rispose Johnny seguendomi in macchina e sedendosi di
fianco
a me.
« Mica c'è bisogno di rubare, basta chiedere. Ho
semplicemente scritto che molte più donne dovrebbero fare un
provino
per un tuo film, in caso nel copione ci fosse una scena sotto la
doccia e-» Questa volta fu lui ad interrompermi. Con un
bacio.
Clive, che silenzioso come sempre era nel frattempo entrato in
macchina, ci fissava dallo specchietto retrovisore, shockato. Nascose
una risata con un colpo di tosse e mise in moto la macchina.
Mi
sporsi in avanti tra i due sedili anteriori per parlargli. «
Bobby?»
« Sì, signorina Leslie?»
« Crede che potrei
denunciare il quipresente signor Depp per molestie, Bobby?»
« Se
permette, non credo sia intelligente da parte sua. Troppi avvocati,
signorina Leslie.»
« Dice, Bobby?»
« Purtroppo sì,
signorina Leslie.»
Annuii pensierosa. Johnny osservava lo scambio
di battute corrucciato.
« Dovrei quindi approfittare della
situazione, Bobby? Dice che potrei farlo e che il signor Depp non
avrebbe alcun motivo di riprendermi a riguardo, Bobby?»
«
Suppongo che sia così, signorina Leslie.»
« Grazie, Bobby.»
«
Al suo servizio, signorina Leslie.»
Mi abbandonai al sedile
posteriore accavallando le gambe. « Suppongo, allora, che
dovremo
ignorare ancora per un po' qualche regola del contratto.»
Lui
rise abbandonando la testa all'indietro. « Già,
suppongo di sì.
Meglio non dirlo a Tracey!»
Trascorremmo
così il viaggio, come una coppia di novelli sposi, come se
la notte
appena passata avesse chiarito tutto, come se avessimo messo le carte
in tavola. Non era così, ma andava bene ad entrambi. Quella
era una
vacanza dai litigi, così l'avevo presa. Una vacanza da
Logan, da
Jenna e dal mondo reale. Una volta tornati a Los Angeles...
lì
sarebbe iniziata la vera battaglia.
Chissà come, Clive conosceva
benissimo la strada che portava a casa dei miei genitori, neanche
l'avesse percorsa decine e decine di volte.
Era una piccola
villetta tra le North Downs (1),
colline del Surrey, a un paio di ore dalla costa. Quasi la stessa
distanza la separava da New Forest, dove si trovava la residenza di
Johnny.
Due anni. Due anni che non rivedevo i miei genitori, ed
ora li vedevo venirci incontro come se non me ne fossi mai andata.
Sfiorai la mano dell'attore che aveva permesso che tutto questo
accadesse proprio mentre Clive iniziava a frenare di fianco alla
casa, dove mio padre stava indicando. Senza indugiare oltre, scesi
dalla macchina e corsi incontro a mia madre, la quale mi aspettava a
braccia aperte. Non sembrava invecchiata affatto. Possedevano ettari
di campi da coltivare, quella era la loro vita, ma non sembravano
provati dal lavoro continuo. Avevo fatto lì il liceo con
Logan e
Claire. Sapevo che, se non mi fossi trasferita in America, avrei
ereditato il loro stesso lavoro. Loro erano felici così,
tuttavia
sapevo bene che io, come moglie di Logan e come contadina, sarei
stata a dir poco miserabile.
« Mi siete mancati così tanto!» Le
parole uscivano spezzate dalla mie labbra a causa delle lacrime.
«
Ci sei mancata anche tu, piccola!» Rispose mia madre
abbracciandomi
a sua volta.
In ugual modo fu ringraziato Johnny per l'importante
parte che aveva giocato in quella rimpatriata. Fu invitato a pranzo
insieme a Clive, e a tavola lo bombardarono di domande. Johnny era
seduto di fianco a me, di fronte c'erano mia madre e Clive, mentre a
capotavola sedeva mio padre. Il bodyguard tentò di dire che
aveva il
pranzo prenotato all'hotel, che doveva andare via. Mia madre lo
avvertì che aveva origini italiane, quindi si sarebbe
profondamente
offesa se lui non fosse rimasto almeno fino al the.
« Claire...
lei sta bene? So che viene spesso a trovare i genitori qui. Ancora
non capiscono cosa le sia saltato in mente, seguendoti in quel covo
di pazzi...» Mia madre scosse la testa finendo di pronunciare
queste
parole. Riempì di nuovo il nostri piatti di carne
– « Mary ci ha
dato dell'agnello, ieri, sarebbe un peccato buttarlo via.»
– prima
di sedersi di nuovo a tavola.
Logan e Claire non avevano seguito
me, ma il loro sogno di diventare qualcosa di più.
L'università in
America avrebbe potuto aprire loro strade che qui, nella campagna
dispersa nel nulla, sarebbero state loro negate. Inutile cercare di
spiegarlo ancora una volta, però.
« Claire sta bene, e anche
Logan, grazie per averlo chiesto.»
« Oh, bambina mia, sai che
Logan non mi è mai piaciuto... a proposito, state ancora
insieme?»
Lanciai un'occhiata di sottecchi a Johnny, cercando di
intravedere la sua espressione. Mangiava, sembrava non ascoltare
nulla.
« Non proprio.»
« Questa sì che è una buona
notizia!» Annuì, soddisfatta della mia risposta,
per poi riprendere
a mangiare.
« Abbiamo saputo dal signor Depp che stai scrivendo
un articolo su di lui, non è così?»
Domandò mio padre dopo uno
dei suoi soliti silenzi.
« Sì, papà. Probabilmente è
l'articolo che aspettavo da anni. E' piuttosto importante per la
rivista...» Il mio non era un finto-modesto modo di adularmi,
ma mio
padre era sempre stato contrario alla mia carriera, credeva che non
fosse abbastanza sicura per una donna. "Viviamo in un mondo
sessista, figlia" diceva sempre. Cercavo solo di fargli capire
che era un articolo importante per me, volevo rassicurarlo.
«
Questo lo so bene, io e tua madre odiamo la televisione,
quell'aggeggio è insopportabile, ma George dice che il
signor Depp è
abbastanza famoso.»
« Credo che sia un eufemismo...» Commentai
sorridendo.
« E credi che la vostra relazione sia una buona
idea?»
Johnny stava chiacchierando con mia madre, Clive che
s'intrometteva ogni tanto, ma ora tutti si erano zittiti. Deglutii.
Osservai Johnny, che aveva lasciato ricadere le posate nel piatto ed
era concentrato in una gara di sguardi con mio padre. Era sempre
stato un ottimo osservatore, Logan lo chiamava "il moderno
Sherlock", però... però...
« Relazione? Oh, Philil, non
essere sciocco!» S'intromise mia madre, affabile.
« Sciocco,
sì...» Mio padre riprese ad armeggiare con le
posate. Neanche a lui
era mai piaciuto Logan.
Dopo il pranzo ci sedemmo in salotto a
chiacchierare, mia madre poi mi portò al piano di sopra per
farmi
vedere cos'aveva cambiato nella camera degli ospiti: l'avevano
trasformata in una sala da svago. L'avevo sempre trovata enorme per
un solo letto matrimoniale, ma i miei genitori l'avevano sfruttata al
meglio trasformando una parete in una grande libreria
–l'ideale per
mio padre, amante della lettura – mentre l'altro lato era
occupato
da ferri e da lana per i lavori a maglia di mia madre. Dalla finestra
che dava su un lato della casa, potei vedere mio padre, pipa in bocca
e mani dietro la schiena, chiacchierare con Johnny tra i campi appena
arati.
Ce ne andammo verso le sei di sera, dopo il the.
Promisi che sarei tornata più spesso e mi scusai per essere
rimasta
solo una giornata, ma il giorno seguente saremmo dovuti tornare a Los
Angeles. Durante il viaggio riflettei sugli ultimi due anni, sulla
frase a tavola di mio padre e su Johnny.
« Dovremmo passare in
Francia.» Mormorai a Johnny guardando fuori dal finestrino.
Lui
mi attirò a sé con un braccio, sorridente.
« Dovremmo.» Concordò.
(
Frustatemi.
Ripetutamente. Il caldo impedisce alla sottoscritta di scrivere, ergo
riesco a farlo solo ora, tra il freddo e la pioggia della Germania.
Spero di ricominciare con gli appuntamenti settimanali, trasferimento
permettendo. Spero ci siate ancora °-°
A presto!
PS: questo
capitolo è molto... bho.
)
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Capitolo 13 *** Day Sixteen ~ Maybe I've just waited for too long ***
Day
Sixteen –
Maybe I've just waited
for too long
La
proposta della sera precedente era stata accolta senza secondi
indugi. Avevamo dormito insieme – « Johnny, non
vorrai mica
sistemare due stanze invece di una sola, vero?» – e
la mattina
seguente avevamo fatto la doccia insieme – « Helen,
non vorrai
mica consumare il doppio dell'acqua, vero?». In parole
povere,
stavamo ben attenti a non separarci per troppo tempo per non
“invadere troppo la casa”.
Logan non si era fatto sentire,
ma, dopo la colazione, lo chiamai io stessa.
« Log, spero di non
averti svegliato...»
« No, Hel, sono appena rientrato.»
Guardai
l'orario. Erano circa le 8, quindi le 24 a Los Angeles. Ricordai che
certe volte Logan era costretto a lavorare anche di sera, quindi
annuii.
« Perché non mi hai chiamato?»
« Scusa, è che ho
avuto da fare...»
« Così tanto da non potermi mandare neanche
un messaggio?» Chiesi sorridendo, dubbiosa.
« Beh, in fondo
credevo che non t'importasse molto.»
« Che?» Che Claire gli
avesse detto qualcosa? No, non poteva essere.
« Helen, sei
pronta?» Chiese Johnny entrando in camera. Si
zittì appena vide il
telefono. « Chi è?» Mimò con
le labbra.
« Logan.» Risposi
nello stesso modo.
« Nulla. Posso sembrarti stupido, ma non lo
sono. Ne parliamo quando torni... Ti amo.»
« Anch'io.» Risposi
quando chiuse la chiamata. Ero a dir poco confusa. Chi poteva
averglielo detto? Aveva interpretato il mio viaggio di
“lavoro”
come un'occasione per una vacanza con il mio
“amante”? Riflettei
un attimo e giunsi alla conclusione che non potevo essere arrabbiata
con Logan per i suoi modi bruschi, perché forse tutto quello
non era
stato organizzato come una fuga romantica, tuttavia ciò che
stavo
facendo non era esattamente “giusto”. Non era
giusto nei
confronti di Logan né tantomeno in quelli di Johnny. Avevo
paura di
cosa sarebbe successo una volta che fossi tornata a LA.
« Tutto
bene?» Mi chiese l'attore prendendomi per mano.
Invece di
stringere la presa, mi allontanai. « Tutto okay.»
Mi sforzai di
sorridere mentre afferravo il borsone e la tracolla e mi dirigevo al
piano inferiore.
Clive ci aspettava in macchina, ci aiutò a
caricare le borse e poi partimmo diretti verso l'aeroporto. Rimanemmo
in silenzio per tutto il tragitto, durante il quale Johnny
fumò più
o meno cinque o sei sigarette. Inutile dirgli quando mi desse
fastidio, in quando sembrava che lo stesse facendo unicamente per
darmi fastidio. La domanda era: perché?
All'aeroporto trovammo
più paparazzi di quanti ce ne aspettassimo. Dal discorso di
Helena
iniziavo a credere che ci fosse lo zampino di Tracey: solamente lei
conosceva anticipatamente i nostri movimenti. Tutti volevano sapere
come andassero le cose tra Johnny e Vanessa, e, una volta per tutte,
chi fossi io per l'attore.
Camminammo per un po' lungo il
corridoio all'entrata, ma a un certo punto mi fermai, trascinando
Clive con me.
« Bobby,» sussurrai, « non hai moglie e
figli,
no?»
« No, signorina Leslie.»
« D'ora in poi puoi chiamarmi
Helen.»
In poco tempo fummo accerchiati e sovrastati da domande.
Johnny si fermò all'improvviso, rendendosi conto che non lo
stavamo
seguendo. Fortunatamente, c'era una guardia dell'aeroporto di fianco
a lui per proteggerlo da eventuali attacchi da parte di
fanatici.
Spostai lo sguardo da lui a un giornalista che avevo di
fronte. Avvolsi il braccio di Clive, afferrai il viso della guardia
del corpo con l'altra mano per baciarlo e poi mi rivolsi alla strana
folla.
« Io e Clive siamo fidanzati, ecco il grande segreto.
Johnny è troppo buono, non vuole separarci, quindi ci lascia
viaggiare insieme!»
Lo sgomento dei giornalisti ci permise di
oltrepassarli e di raggiungere l'attore che ci aspettava impaziente.
Aveva l'aria di chi aveva udito e non gradito.
« Ho visto ciò
che hai cercato di fare, ma non lo capisco.»
Lo ignorai e, sempre
stretta al braccio di Clive, continuai a camminare fino a raggiungere
il gate e poi il jet privato.
Solo lì dentro riuscii a respirare
davvero. Johnny era infuriato e non ne capivo il motivo. Tirai
dritto, oltrepassai i sedili e raggiunsi il bagno. L'attore mi
seguì
e chiuse la serratura della porta scorrevole.
« Quindi ho ragione
quando dico di dover essere geloso anche con Clive in giro?»
Era
ironico. Era terribilmente incazzato.
« Non devi essere geloso di
nessuno, è questo il punto.» Gridai.
« Dici di no?» Alzò a
sua volta il tono di voce.
« No! Non siamo fidanzati, ricordi?
Nessun obbligo!»
« Non giocare a questo gioco con me, non
funziona! Cosa sarei io, il tuo divertimento prima di andare a
dormire e appena ti svegli? Poi sono per altre 12 ore “solo
l'attore per cui lavori”? E ricordami, qual è il
tuo concetto di
“fidanzato”? Perché in quest'istante mi
sfugge. Pensavo che il
tuo ragazzo forse quello che hai chiamato due ore fa, sai, quello che
stai tradendo con me.»
« Quindi ora il problema sono io? Ero
fidanzata anche due sere fa, quando ti sei infilato nella mia
doccia!»
« E non mi pare che a te sia dispiaciuto così
tanto, o
mi sbaglio?»
« Quindi ora cosa sono? Una facile che se la fa col
primo che passa?» Aprii la porta, per incontrare lo sguardo
di
Clive. « Clive, vuoi entrare? Così ci divertiamo
un po'. Avanti,
uno più, uno meno, che differenza f-»
Prima che potessi finire
la frase, o meglio, prima che la smettessi di urlare, Johnny mi
chiuse tra il suo corpo e il ripiano del lavabo. Con una mano
richiuse la porta, con l'altra mi bloccò il viso, sebbene
cercassi
di divincolarmi dalla sua presa. Mi baciò, e fu un bacio
duro e
passionale, un bacio che mi riscoprii a desiderare più di
quanto si
possa desiderare una goccia d'acqua nel bel mezzo del deserto.
«
Come posso farti capire che sono stanco di nascondermi?» Il
suo fu
un sussurro. Stonava con il modo in cui ci stavamo urlando contro
fino a pochi attimi prima. « Che sono stanco di
mentire?»
Lentamente, si separò da me e si appoggiò contro
la porta. « Sono
stufo di recitare anche fuori da un set. Sai quanto ho desiderato
stamattina prendere il telefono dalle tue mani e raccontare a Logan
tutto quello che è successo in questi giorni?»
Continuava a
guardare qualcosa sullo specchio alle mie spalle.
« Johnny,
io...»
« No, no... lasciami finire. Non volevo farlo per
ripicca, ma perché così, una volta arrivati a Los
Angeles, non
avrei dovuto preoccuparmi di nuovo di tutti, così non avrei
dovuto
preoccuparmi ancora di perderti.
« E poco fa, appena ho visto
tutti quei paparazzi, ho pensato:”E' fatta. La bacio ora, e
non ci
sarà più nulla da perdere. Dirò a
tutti che stiamo insieme e che
la amo e tutto andrà alla perfezione.”»
Aveva appena detto che mi
amava? E l'aveva appena detto in un bagno? « Ma non l'ho
fatto. Ho
aspettato troppo, tu hai preso Clive e l'hai baciato come se fosse la
più semplice delle azioni, e l'hai fatto solo per mettere a
tacere
le voci, mentre io non voglio che confermarle.»
Il mio cellulare
squillò in quell'esatto momento. Lo presi dalla borsa mentre
ripensavo a quel “dirò a tutti che la
amò” e guardai lo schermo
del cellulare. Johnny, scuotendo la testa, uscì dal bagno e
mi
lasciò sola.
Tasto verde.
« Claire?»
« Helen, tesoro...
Logan mi ha mandato un messaggio, io ero uscita, l'ho letto solo ora.
Hey, stai bene? Ma... stai piangendo?»
Sì, stavo piangendo. Nel
tentativo di aggiustare la situazione, avevo rovinato tutto. Tutto.
«
E' successo qualcosa con Joh? Ti ha detto qualcosa? Oddio, vorrei
abbracciarti in questo momento... Parlami, cosa
c'è?»
Avevo
rovinato tutto con Logan, e peggio ancora con Johnny. Davvero non
riuscivo ad accontentarmi della felicità?
« No, sto bene, sto
bene. Mi hai presa nel momento sbagliato, ecco tutto.»
« Vuoi
raccontarmi cos'è successo?»
« Credi che sia possibile amare
qualcuno dopo due settimane?»
« Helen, credo che sia possibile
amare qualcuno anche dopo un solo giorno.»
« Se sui giornali di
domani appariranno foto di me e un certo Clive, non dargli peso.
Anzi, credo proprio che appariranno. Purtroppo.»
Tasto
rosso.
Uscii dal bagno solo dopo essermi assicurata di aver
ripreso il pieno controllo dei miei condotti lacrimali e dopo aver
cancellato ogni traccia del passaggio delle lacrime sul mio volto.
«
Ted, possiamo andare.» Comunicò Johnny al pilota
vedendomi tornare.
Mi sedetti sulla prima poltroncina a destra mentre Johnny era
sull'ultima a sinistra.
Rimanemmo in silenzio.
Alzandosi per
prendere il suo whiskey, mi passò un the caldo. Mi
guardò senza
davvero vedermi.
Ci vollero solo un paio d'ore di viaggio prima
di tornare in un aeroporto più affollato del precedente.
Clive su un
fuoristrada ci guidò fino all'hotel – ovviamente a
5 stelle –
scambiando di tanto in tanto delle battute con Johnny che si era
seduto sul sedile anteriore. Avevo occupato lo spazio vuoto al mio
fianco piazzandoci il borsone.
Quando tirai fuori il cellulare per
controllare i messaggi, l'attore mi lancio un'occhiataccia.
Jack
si congratulava con me per l'articolo: era stato pubblicato e le
vendite erano aumentate rispetto alla settimana precedente; Logan si
scusava per il comportamento di poco prima e chiedeva come fossero
andati gli ultimi giorni; Claire si assicurava che tutto andasse
bene. Risposi velocemente a tutti e tre prima di arrivare a
destinazione: La Bastide de Saint Tropez.
Johnny doveva aver
chiamato prima che arrivassimo, perché ad attenderci c'erano
due
suite separate. Poggiammo le nostre cose e ci scontrammo fuori in
corridoio.
« Johnny, il mio era un semplice suggerimento per
permetterti di passare un po' di tempo con la tua famiglia, non
voglio intromettermi. Posso restare anche qui oggi.» Solo
pensare a
quanto fossero cambiate le cose dal giorno precedente faceva male.
«
Non dire sciocchezze.» Sbottò, e per un attimo
recuperai il
sorriso. « Devi scrivere il resto dell'articolo, non vorrai
mica
perderti il primo incontro con Vanessa dalla nostra
separazione.»
Mi sforzai di seguirlo in ascensore senza cominciare a prenderlo
a schiaffi.
« Papà!» Il piccolo Jack corse tra le
braccia
del padre non appena lo vide uscire dall'auto. Lily-Rose
sbucò fuori
dall'entrata principale della villa, sorridente, e staccò il
fratellino dal padre per stritolarlo.
« E' lei la giornalista?»
Chiese diffidente, scrutandomi attentamente.
« E' lei, Lily.»
Rispose il padre. Padre. Difficile iniziare a
vederlo in quel
modo.
Subito dopo i figli, uscì Lei. Vanessa Paradis. La
odiata-da-tutti.
« Merde.» Sussurrò
Johnny notando la
sua espressione.
« Avresti potuto avvertire!» Una vipera, ecco
cos'era. « E ti porti anche le ragazzine appena uscite dal
tuo
letto?» Chiese acida guardandomi.
Sollevai le sopracciglia. «
Piacere, Helen Chester, giornalista che scriverà tutto sulla
vita
del suo ex-marito.»
« Dovrei essere spaventata? Ed è ancora mio
marito, per tua informazione. Scrivi anche questo nel tuo articoletto
da paparazzo.»
« Paparazzo? Ma come osi?!»
Johnny ci separò.
« Andiamo dentro, Vanessa.» L'attore ci
lanciò uno sguardo
eloquente mentre si avviava verso l'entrata.
« Sempre più
convinta che avrei fatto meglio a restare in hotel.»
Confessai a
Clive.
Johnny uscì con i figli una mezz'oretta dopo. Andammo
a mangiare in un famoso ristorante indiano, e dopo pranzo chiesi a
Clive di lasciarmi in hotel. L'attore non me lo impedì.
Mi
sentivo male, ero nauseata, non sapevo cosa pensare o cosa fare. Una
volta nella camera da letto, chiamai Claire. Era presto a Los
Angeles, ma me ne resi conto troppo tardi, quando ormai Claire aveva
risposto, e da quel momento in poi non mi lasciò andare se
non
all'ora di cena. Incontrai Clive nella hall, mentre andavo al
ristorante.
« Johnny vuole che tu abbia una copia della carta
della stanza, in caso ti serva qualcosa. Lui è
giù su.» Mi lanciò
un'occhiata che, col senno di poi, avrei dovuto interpretare; ma non
feci altre domande e andai a mangiare, nonostante lo scarso
appetito.
Venti minuti ed ero di nuovo buttata sul letto. Cosa
fare? Mi girai e mi rigirai. Passarono ore senza che riuscii a
prendere sonno. E poi seppi cosa fare, il pensiero che mi
perseguitava da quella stessa mattina e che io avevo ignorato. Senza
riflettere oltre, mi misi a sedere. Indossavo il mio solito pigiama
improvvisato, i pantaloni di una tuta e una maglietta leggera
nonostante il freddo. Usai la carta che mi aveva dato Clive per
entrare nella stanza dell'attore, mi avvicinai al letto e scorsi la
sua figura sotto le lenzuola solo quando mi misi accucciata a pochi
centimetri dal suo viso.
« Johnny... Johnny...» Aprì gli
occhi, confuso. « Johnny...» Sorrisi. «
Anch'io ti amo.»
E in
quell'istante mi resi conto che non era solo nel letto.
(
Odiatemi.
Avete il mio permesso di farlo. Il problema è che questo
capitolo
doveva finire in modo diverso, ma poi me lo sono immaginato
così
e... e mi sono lasciata trasportare. I've
got a thing for drama. Non
è colpa mia. Ci vediamo... presto, spero :*
Ah, e grazie a tutte
per il supporto, vi stramo!
Cheers~ )
|
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Capitolo 14 *** Day Seventeen ~ I don't know where I am or where've been ***
Day
Seventeen – I don't know where I am or where've been.
Vanessa
incombeva su Johnny. Lei e la sua odiosissima camicia da notte. E
Johnny mi guardava come un cagnolino che era stato appena bastonato
dalla padrona, e la padrona non ero certo io. Ci mise davvero poco ad
alzarsi dal letto, coperto unicamente dai boxer. Non capivo nulla in
quel momento, ero semplicemente...
« Disgustata. Sono
disgustata.» Mormorai indietreggiando. Incontrai la parete e
solo a
quel punto ripresi a camminare regolarmente.
« Helen...»
«
Cosa? Puoi spiegare?» Non mi voltai, non gli avrei permesso
di
vedermi in quelle condizioni. Non poteva avere tutto quel potere su
di me.
« Sì, esatto! Puoi fermarti?»
« No che non posso,
perché se mi fermassi ti schiaffeggerei!»
« Fallo! Avanti!» Mi
afferrò per un braccio, ma non avrebbe dovuto farlo. Mi
voltai. La
mia mano si chiuse automaticamente a pugno e si lanciò
contro il suo
naso perfetto. Non era pomodoro quello sulla sua faccia, ora. Oh, no.
Non era un film, non stava recitando, lui non era l'uomo misterioso e
io non ero la giovane sedotta e abbandonata.
Vanessa probabilmente
stava sorridendo, nella sua dannata camicia da notte, felice di aver
portato a termine il suo diabolico piano.
Johnny m'insegui fuori
in corridoio. Una coppia di turisti ci guardò, entrambi
sembravano
sconvolti. Sapevo già dove andare. Bussai più
volte alla porta
della camera di Clive che aprì in vestaglia e mi fece
entrare senza
dire nulla. Chiuse la porta in faccia a Johnny. Il suo capo.
«
Hai cercato di ucciderlo?»
« Ho lasciato vivere la moglie, è
già molto.»
Mi sedetti sul letto e alzai gli occhi sulla guardia
del corpo che mi osservava dall'entrata della camera. Lentamente,
tutto iniziò ad avere senso. Quel pomeriggio mi ero sentita
malissimo, mi ero sentita come se mi stesse sfuggendo qualcosa. La
chiave che mi aveva dato Clive non aveva fatto altro che accentuare
quella sensazione, e una parte di me aveva capito, la stessa parte
che mi aveva guidato fino alla sua camera. E ora lui sapeva. Mi
sentivo debole.
« Perché...» Non riuscivo a dire altro.
«
Avevi il diritto di sapere.»
«
E' già successo altre volte... a Los Angeles?»
« Con la
giornalista. Mi ha chiamato un paio di volte a orari assurdi
chiedendo di andarla a prendere. La mattina lei andava via con il
taxi e tu arrivavi. Ma poi l'hai scoperto, quindi...»
« E ora
con Vanessa. Dovrei ringraziarti.»
« Ho fatto solo il mio
dovere, signorina Leslie.» Mi sorrise. L'avevo visto
sorridere
raramente.
« Ma suppongo che anche il suo dovere è quello di
trattare in questo modo le persone. Dopotutto, neanche lui sa cosa
vuole...» Iniziai a parlare tra me e me. « Clive...
potresti
portarmi all'aeroporto?»
« Certo.»
« Dico davvero, se non
vuoi non fa nulla...»
Lui si avvicinò, mi guardò e continuò
a
sorridere. « Sarei felice di accompagnarti. Non riuscirei a
dormire
sapendo di avere alla porta affianco una donzella in
difficoltà.»
Prese i vestiti e si chiuse in bagno per cambiarsi.
Uscì due minuti dopo, perfetto e impeccabile come sempre.
« Tu
esci così?» Domandò indicandomi. E mi
resi conto di indossare
ancora il pigiama.
Uscimmo dalla sua camera e scoprimmo una folla
intorno alla camera di Johnny, forse a causa delle urla sovrumane che
uscivano dalla suite.
« Chissà, magari stavolta la stanza la
distruggeranno in due.» Sussurrai a Clive, che rise a bassa
voce. «
Gente, lì dentro c'è Johnny Depp con Vanessa
Paradis!» Urlai, e di
colpo tutti spinsero più forte cercando di sentire meglio
cosa
stessero dicendo i due vip. Silenziosamente, m'intrufolai nella mia
camera seguita dalla guardia del corpo. Da lì potevo sentire
chiaramente le due voci che si sovrapponevano. Quella sera avevano
dormito insieme e ora stavano per mangiarsi a vicenda, il che non era
molto diverso da ciò che era successo tra me e l'attore il
giorno
prima.
Faticavo a credere che si fosse infastidito così tanto
per la chiamata a Logan o per il bacio a Clive. Come non poteva
capire che non significava nulla? Niente significava qualcosa in
confronto a ciò che io provavo per lui e a ciò
che lui provava per
me. E ora non riuscivo credere che tutto potesse essere distrutto in
un attimo, non ci riuscivo e non volevo crederlo.
« Come puoi
distruggere tutto quello che abbiamo costruito in questi
anni?»
«
Tu l'hai distrutto lentamente, così come hai distrutto me! E
continui a farlo! Lo stai facendo anche ai nostri figli e non te ne
rendi conto!»
« Come osi dirmi come crescere i nostri figli? Tu!
Tu, che non ci sei mai stato e che non ci sarai mai!»
« Smettila
di mentire, Vanessa! Io non c'ero per quattro o cinque mesi di
riprese, e poi stavo a casa per altri sei mesi con voi! Io lavoravo!
Senza di me come credi che avresti vissuto?»
« E' questo che non
capisci! Che io non voglio vivere senza di te! Io ti voglio ora e per
sempre!»
In fondo io e Vanessa non eravamo molto diverse.
Andai
in camera di corsa, mossa sbagliata visto che la parete della camera
era quella in comune con la “loro” suite.
Mi spogliai e mi
rivestii il più velocemente possibile, infilando il pigiama
e ciò
che avevo indossato quel giorno nel borsone.
« Non ti amo più,
Vanessa. Come devo fartelo capire?»
« Mi hai amato una volta,
puoi amarmi di nuovo.»
« Ero cieco, ora ho iniziato a vedere.»
«
Allora perché hai chiesto a quell'energumeno di farmi venire
a
prendere?»
« Volevo parlare della custodia del bambini, non
volevo finire nudo nel letto, nella camera di fianco a quella della
donna che mi ha appena detto di...» S'interruppe. «
Ho bisogno di
bere.» Disse. Sentii una porta sbattere, e me l'immaginai
shockato
davanti alla folla di gente in vestaglia uscita dalle proprie camere
solo per movimentare la propria vita. Me ne immaginai qualcuno con
una macchina fotografica in mano. Lo scoop del giorno. Non potei
trattenere un sorriso.
« Andiamo, Clive. Lo spettacolo è
finito.»
Clive mi scortò fuori dall'atrio dell'hotel già
pieno di paparazzi. Un paio di loro ci guardarono con sospetto, ma
non fecero domande e ci lasciarono passare. Fuori era buio pesto e mi
resi conto troppo tardi che erano circa le due del mattino.
«
Clive, senti, non fa nulla, davvero, andrò con un taxi, vai
a
dormire...»
« Finiscila, Helen. Non ti lascerò prendere un
taxi
a quest'ora. Siamo in Francia, ricordi? E a quanto ho capito non
parli francese.»
« Ma tutti parlano inglese. Dentro mi hanno
capito tutti o sbaglio?»
« Sì, perché tutti in quest'hotel
sono turisti.»
Mi fece tornare in macchina prendendomi di mano
il borsone per infilarlo nel portabagagli. Era protettivo, fatto non
troppo ironico visto il suo lavoro.
« Bobby...» Mormorai.
«
Leslie?» Rispose mettendo in moto.
« Grazie.»
« Dovere.»
Si voltò e mi fece l'occhiolino prima di girarsi e partire.
Il
tragitto durò poco, però ebbi comunque,
sfortunatamente, il tempo
di pensare.
Forse Tracey si sarebbe infuriata con Johnny, forse
lo avrebbe allontanato dalla Francia e dai riflettori. Forse avrebbe
annullato il contratto con la redazione. Forse... Forse sarei tornata
alla mia solita vita, al mio lavoro d'ufficio. Forse un giorno avrei
rincontrato Johnny per un'intervista e avremmo finto che nulla fosse
mai accaduto.
Ma ora cos'avrei fatto? Sarei tornata a casa, avrei
lasciato Logan, avrei raccontato tutto a Claire e...
Eravamo
arrivati all'aeroporto. Clive mi aiutò a scendere dal
fuoristrada e
insieme ci avviammo verso il caos. C'era un aereo per LA che partiva
due ore dopo. Clive aspettò con me. Rimanemmo in silenzio
per circa
un'ora, quando poi il cellulare di Clive squillò.
« Sì?»
Il
volume del telefonino mi permetteva di sentire ogni parola
pronunciata dall'altro interlocutore.
« Clive? Sono Johnny.»
«
Oh, signor Depp. Mi dica.»
« Dove sei?»
Clive mi guardò e
io annuii. « All'aeroporto.»
Ci fu una breve pausa. « Con
Helen?»
« … Sì.»
« Bene. Ascolta, io qui sono rinchiuso
in camera-»
« La vengo a prendere?»
« No, assolutamente.
Prendete il jet, io parto domani mattina. Fa' in modo che non la
infastidiscano. Noi ci vediamo domani pomeriggio alle 15,
così
parliamo.»
« Certo, signor Depp.»
« Clive...» Mormorò
l'attore. « Come sta?»
Deglutii, mi alzai e andai verso il bagno
senza aspettare di udire la risposta del bodyguard.
Perché gli
sarebbe dovuto interessare se stessi bene o meno? Per riuscire a
vivere con se stesso? Per avere la coscienza pulita? No. Mi ero
stancata dei suoi giochi e dei suoi sbalzi d'umore. Non gli avrei mai
più permesso di ferirmi.
Seduta sulla tavoletta abbassata di uno
squallido bagno pubblico, asciugandomi le lacrime con un foglio di
carta igienica, mi resi conto che forse Vanessa era la sua Logan.
Forse anche lui l'aveva baciata così tante volte, aveva
dormito con
lei così spesso da non riuscire a immaginare una vita senza
di lei.
Ma non potevo fare altro che pensare che quando io avevo baciato
Logan, non era ancora accaduto nulla di serio con Johnny. Non ero
stata io ad andare a casa di Johnny per baciarlo la stessa notte in
cui avevo baciato Logan. Non avevo avevo avuto le idee chiare fin
quando non avevo visto Jenna a casa sua, eppure... il giorno dopo
avevo accolto di nuovo Logan tra le mie braccia, fingendo di non aver
provato mai nulla per l'attore. E lui, dopo essere andato a letto con
l'altra giornalista, aveva fatto quella scenata al The Mint, come se
mi fossi potuta fidare di lui. Non avrei mai potuto fidarmi di lui,
non quando continuava a distruggere tutto ciò che costruiva
giorno
dopo giorno.
Uscii dal bagno senza aver concluso nulla. Clive mi
stava aspettando e mi seguì verso il check-in, e poi lungo
il
corridoio per il gate “speciale”.
Otto ore di viaggio mi
aspettavano, e per 8 ore dormii senza sognare nulla. Ero esausta. Al
mio risveglio, non mi sorpresi di ritrovare il buio che avevamo
lasciato. I misteri del jet-leg per me rimanevano tali.
Ero ancora
assonnata quando raggiungemmo l'auto che avevamo lasciato sabato.
«
Mi dispiace.» Sussurrai mentre ripartivamo.
« Di cosa?»
«
Potresti perdere il tuo posto.»
« No, tranquilla. Nulla ci
dividerà, ricordi?» Potei vedere il suo sorriso
dallo specchietto
in alto.
« Magari ti vuole tutto per lui.»
« Probabile. Ma
non perderò il mio lavoro e tu non perderai il
tuo.»
« Questo
sì che è un peccato.» Sbottai.
« So che può essere un
bastardo, ma ci tiene a te.»
« Chi sei, il suo migliore
amico?»
« Tim mi batte di pochi punti...»
Accennò una risata.
« E' che passo un sacco di tempo con lui e credimi se ti dico
che la
storia con Vanessa è finita da anni. Lei insiste, ma lui...
sinceramente, non ho idea di cosa gli sia preso stanotte.
Forse...»
«
… Cercava solo un po' di conforto? Dopo avermi trattato da
rifiuto
umano per un giorno interno aveva anche bisogno di conforto?»
«
Pensa che tu non lascerai mai quel... Logan. Pensa che lui
t'interessi solo per...»
« … Il sesso?»
« La finisci
d'interrompermi? Crede che dopo questi trenta giorni tu ti
dimenticherai di lui.»
« Non si fida proprio delle giornaliste,
mh? Beh, dopo stasera dovrei avergli levato ogni dubbio.»
« Già,
me l'ha detto.»
« Quando?»
« Al telefono.»
« … Sono
un'idiota.»
« Molto probabilmente.»
Mi accompagnò fino al
mio appartamento, per poi offrirsi di portarmi il borsone.
«
Tornerai domani?» Mi chiese.
« Non credo.»
« Devo dirgli di
venire?»
Indugiai qualche attimo, poi scrollai le spalle. « Non
m'importa.» Non ero un'attrice e si notava. M'importava
eccome, ma
non doveva importarmi, non più.
Infilai la chiave nella serratura
e invitai silenziosamente Clive ad entrare. Gli chiesi di poggiare il
borsone di fianco all'entrata, e all'improvviso uscì dalla
propria
camera Claire con un pigiama invernale rosa ricoperto di ciambelle e
cupcakes colorati.
« Tesoro!» Mi stritolò a lungo. Solo
dopo
avermi lasciata andare sembrò accorgersi dell'orso di fianco
alla
porta.
« Ma questo non è...»
« Clive, piacere.» Non
sembrava sconvolto, anzi, era piuttosto divertito.
Claire, minuta,
sembrava ancora più piccola in confronto a Clive, che
sembrava fatto
apposta per il suo lavoro.
« Sei tu il tizio del bacio?»
«
In persona.»
Lei lo squadrò. « Interessante. E sei tu quello
che l'ha salvata?»
Io e Clive ci guardammo con espressioni
interrogative.
Claire sembrò sollevata. « Menomale!
Perché
stasera, prima di andare a dormire, ho letto un articolo assurdo e
totalmente falso su Johnny che è andato a letto con Vanessa,
di un
misterioso pugno sul naso e di un tizio che ti ha accompagnata fuori
dall'hotel e...»
« Ah, quello! Sì, è lui.»
Cercai di
continuare a sorridere.
« Mi stai dicendo che devo andare a
uccidere Johnny?»
« Dovresti raggiungerlo in Francia e separarlo
dalla moglie.»
Clive si congedò e ci lasciò sole. Passai circa
un'ora a raccontare i dettagli dell'accaduto e le mie riflessioni a
Claire. Stranamente, dopo il racconto ero di nuovo stanca, quindi
tornai a letto.
Al mio risveglio sentii delle risate. Stanca e
infastidita, mi voltai dall'altro lato e ripresi a dormire.
Mi
sembrò che fossero passati solo pochi minuti quando sentii
la mano
di Claire scuotermi per una spalla.
« Hey... c'è Johnny.»
Dannato Clive.
« Mandalo via.» Mugugnai contro il cuscino.
«
Non me ne vado finché non ti decidi a parlarmi.»
Cercai di non
mostrare con il corpo la tempesta che infuriava dentro di me solo per
averlo sentito parlare.
« In questo caso, ti auguro una buona
permanenza.»
Sospirò e sentii Claire alzarsi dal letto. La porta
si chiusa e per un istante credetti che se ne fossero andati. Io,
prima rannicchiata su un lato, mi voltai a pancia in su e aprii gli
occhi solo per incontrare la figura slanciata di Johnny nell'angolo
opposto della camera.
« Dopo che siete tornati insieme, dopo aver
baciato me, quante volte sei andata a letto con Logan?»
« Il tuo
discorso fa acqua da tutte le parti.»
«
Non hai capito, non sto cercando di giustificarmi.»
« Cosa stai
cercando di fare, allora?»
Il suo sguardo era gelido, spietato.
Non riuscivo a capire se fosse arrabbiato con me o con se stesso.
«
Sapevi cosa provato, e mi hai sbattuto in faccia la tua relazione ad
ogni occasione.»
« Ti sbagli, era Logan a...»
Alzò un dito
per zittirmi. Mi misi seduta sul letto e incrociai le braccia.
«
Non ho giustificazioni per come ti ho trattato ieri. Ero arrabbiato
per la storia con Logan, sapevo che non ne avevo alcun diritto, ma
ero stanco di aspettare e di sperare che una volta tornati a Los
Angeles tu gli avresti detto tutto.
« Vanessa voleva togliermi
la custodia di Jack e di Lily-Rose. Non le era piaciuto il fatto che
ti avessi portata lì, e i ragazzi sono stati troppo tempo
vicini a
lei; non riescono a vedere altre persone oltre agli amici della madre
e ai ragazzi nella loro scuola privata, ecco perché
Lily-Rose ha
reagito in quel modo vedendoti. In più, odierebbero sapere
che sto
vedendo qualcun altro così presto, ecco perché
non ho potuto
presentarvi come avrei voluto. Ancora, mi sono comportato male,
speravo che avresti capito, ma più andava avanti la giornata
più tu
t'incupivi. Sarei voluto venire da te quella sera per chiarire, ma
prima dovevo parlare con Vanessa.
« Clive è andata a prenderla,
ma lei aveva altre idee in testa. Abbiamo parlato. Mi ha detto che se
fossimo tornati insieme tutto sarebbe tornato a posto. Le ho creduto
solo per un attimo. Quando mi ha baciato era sembrato tutto
così...
sbagliato. Ho cercato di allontanarmi, ma quando l'ho fatto lei si
è
semplicemente messa a letto, con la camicia da notte con cui era
venuta, per dormire. Così l'ho raggiunta. Forse se fossi
stato un
po' più ubriaco sarebbe andata diversamente.» Si
avvicinò e si
mise in ginocchio di fronte a me sul letto. « Invece tu, pur
non
avendo bevuto, quante volte sei andata a letto con Logan pensando a
me, a quando ti ho sfiorata e ai nostri baci?»
« Stronzo
presuntuoso.»
Poggiò le mani di fianco al mio corpo. «
Sì, io
sono uno stronzo presuntuoso e tu una stronza bugiarda. “Sto
bene
con Logan, lo amo!”. Balle! Sono stato con Jenna
perché volevo
accontentarmi di un pessimo surrogato della donna che amo
perdutamente piuttosto che lottare per avere quella vera. Ma questo
non cambia nulla.»
« Fottiti. Vai via prima che ti rompa
un'altra volta il naso.»
« Mai.» Sentii il suo respiro caldo
sul mio collo prima di riuscire a muovere un solo muscolo. Ma le mie
mani non andarono dove dovevano, non fecero ciò che avrei
dovuto
ordinare loro di fare. Si infilarono tra i suoi capelli mentre Johnny
incendiava la mia pelle al passaggio della sua bocca.
S'infilò tra
le mie gambe e mi fece stendere di nuovo raggiungendo le mie labbra.
Fortunatamente c'erano le coperte a separarci, ma riuscivo comunque a
sentire ogni centimetro della sua pelle a contatto con la mia.
Eliminò le coperte spostandole di lato. Rabbrividii quando
mi
sfiorò i fianchi sollevando la maglietta.
« Resti uno stronzo
presuntuoso che ci sa fare con la bocca.»
« E tu una stronza
bugiarda da cui non riesco a separarmi.» Aveva la voce roca,
il che
non fece altro che accentuare il mio sorriso.
« Ti amo, Johnny
Christopher Depp II.»
« Ti amo anch'io, Helen
Chester.»
Velocemente i nostri vestiti raggiunsero il pavimento e
l'attore sembrò voler tracciare un cammino lungo tutto il
mio corpo
con i suoi baci, come se volesse marchiare il territorio. Forse le
sue parole non avevano sistemato nulla, forse erano solo l'ennesima
bugia, ma volli credergli. In quel momento, quella stanza e quel
letto ora appartenevano a noi, e nessun Logan avrebbe mai potuto
distruggere quello.
(
Io
bho. Sinceramente... Avevo scritto metà di questo capitolo
su un
quaderno perché momentaneamente impossibilitata ad accendere
il pc,
e quando ho iniziato a ricopiare tutto ho pensato:”Il finale
non va
bene. Insomma, Helen è innamorata, ma potrebbe davvero
cedere così
facilmente, dopo qualche parola e qualche bacio?” Poi ho
aggiunto
una parola di scuse in più qui, un sorriso in meno
lì, e questo
ha
preso forma. Forse avrei dovuto tenerli separati un altro po', creare
suspance o roba del genere, ma proprio non ce la faccio a vederli
separati, questi due!
Spero vi sia piaciuto questo chapter,
nonostante tutto.
PS: Amo Clive!
Cheers~ )
|
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Capitolo 15 *** Day Eighteen/Nineteen/Twenty ~ What is happening? ***
Day
Eighteen/ Nineteen/ Twenty – What is happening?
Mi
svegliai e percepii che qualcosa non andava.
La prima cosa che
vidi quando riaprii gli occhi fu Johnny che si stava vestendo
velocemente mentre bisbigliava qualcosa al telefono. Era presto,
forse l'alba, avevo ancora sonno, quindi non riuscivo a capire
molto.
« Aereo... Cosa migliore... Prenderli... Film...
Uscendo...» Per ogni parola perdevo due frasi. A quanto pare
era
davvero importante per lui non svegliarmi. Quindi chiusi gli occhi,
mi girai a pancia in su e finsi di dormire. Sentii le sue labbra
poggiarsi sulla mia fronte prima uscire. Uscì
dall'appartamento di
fretta, come se stesse correndo. Il pensiero di Johnny che correva
riportò la mia mente a Jack Sparrow e mi addormentai
sorridendo.
Ormai ero sveglia da un po', fissavo i riflessi del sole che
incontravano le tende rosse della camera da letto. Avevo fame, dovevo
alzarmi, ma avevo sempre quella sensazione che mi attanagliava lo
stomaco, che m'incatenava al letto.
Presi il cellulare dal
comodino. "Dove sei finito?" scrissi, e inviai all'attore.
Il secondo messaggio partì per Logan qualche minuto dopo,
quando
mi arresi al fatto che quel giorno non avrei rivisto Johnny. "Ci
vediamo oggi?". Logan rispose qualche attimo dopo con un
semplice "Sì".
Mi misi a sedere quando sentii la porta
dell'appartamento aprirsi. Claire stava chiacchierando con qualcuno,
poi l'uomo rise. La stessa risata della mattina precedente, e non
apparteneva a Johnny. Aspettai che l'uomo se ne fosse andato prima di
uscire in pigiama.
« Chi era?»
« Oh, buongiorno Bella
Addormentata, il tuo Cavaliere dov'è?»
« Vorrei proprio
saperlo. Allora? Il tizio?»
Lei indugiò un attimo, mi scrutò
come se fosse indecisa se dirmi o meno la verità.
« Clive.»
Guardai prima lei, poi la scatola della pasticceria che aveva
poggiato sul tavolino del salotto. L'aprii rivelando cupcakes e
ciambelle. Sorrisi ricordando che la sera in cui era tornata a casa
con Clive, Claire indossava un pigiama con dolci stampati sopra.
«
Carino, Bobby.» Commentai sinceramente stupita. Pensavo che
fosse
una macchina creata appositamente per proteggere le donzelle in
difficoltà, non che avesse anche un lato dolce e romantico.
«
Ridi, ridi. Io intanto ora ho qualcosa con cui fare
colazione.» Mi
strappò la scatola dalle mani e addentò un
cupcake alla vaniglia
con la glassa rosa. « Allora, ho sentito com'è
andata con Johnny – i muri sono davvero troppo sottili
– ma non
ho ancora capito perché non è qui per le
coccole.»
« Ti dico
che non lo so. Stamattina all'alba è filato via.»
«
Ah, sì, Clive mi ha detto che veniva
dall'aeroporto...»
«
Aeroporto?»
Lei annuì. Che fosse tornato in Francia? Che la sera
precedente per lui non avesse significato nulla? Che avessi sbagliato
tutto? Avevo pensato di scacciarlo via, rifiutarlo, fargli capire che
le parole non significavano nulla se con i fatti continuava ad
allontanarsi, ma come avrei potuto farlo quando tutto ciò
che volevo
era essere felice con lui? Certo, almeno per un po' avevo avuto la
mia felicità. Una notte. Ecco tutto. Poi era svanita nel
nulla.
Forse aveva scoperto di amare ancora Vanessa. Forse era tutto un
test, un esperimento a cui io mi ero offerta volontaria.
Claire
sembrò intuire i miei pensieri e mi offrì la
scatola. In tutta
risposta, presi due ciambelle e mi richiusi in camera.
Logan
arrivò nel pomeriggio.
Io avevo avuto tutto il tempo di mangiare
tra i dubbi le mie ciambelle, farmi una doccia e sgranocchiare delle
patatine fritte dal piatto del pranzo di Claire che, a quanto mi
aveva informato, si era licenziata dal bar in cui lavorava.
Nonostante la sua libertà, e nonostante mi avesse detto di
voler
rivedere La guardia del corpo,
uscì qualche minuto dopo l'arrivo del mio "ragazzo".
Sedevamo
sul divano bevendo del the, in silenzio, quando a un certo punto lui
poggiò la tazza sul tavolino e si voltò per
guardarmi.
«
Allora, come sono andati gli ultimi giorni con Depp?» Quasi
mi
strozzai con il the. Abbassai lo sguardo sulla tazza tra le mani, la
poggiai di fianco alla sua e poi sorrisi. « Tutto
bene...» La
doccia, la notte, le coccole la mattina, le parole di Helena, il
commento di mio padre, lo sguardo di Clive, la Francia, Vanessa...
«
Sono anche andata a trovare i miei, sai? Non erano molto distanti
dalla casa che ha Johnny lì.» E io, come una
stupida, pochi giorni
prima pensavo che saremmo passati dai miei genitori ogni volta che
saremmo andati in vacanza lì insieme, magari d'estate,
quando a Los
Angeles è impossibile vivere tra il traffico e il caldo.
« E'
un'eternità che non li vedo! Come stanno?» Logan,
nonostante le
parole che mi aveva detto quando ero lontana, ora sembrava felice,
come se nulla fosse mai successo.
« Bene, finalmente mamma ha un
posto tutto suo dove lavorare a maglia e non deve accamparsi in
salotto ogni volta!»
Lui rise. Mi chiesi se avrebbe riso ancora
se gli avessi detto ciò che era accaduto quella stessa notte
nella
mia stanza. « Hai incontrato Tim, alla fine? Ricordo che ne
eri
piuttosto innamorata...» Continuava a sorridere.
« Sì, è la
persona più incredibile che io abbia mai incontrato, e
dovresti
vedere il suo appartamento! E, oh, i suoi figli! La bimba è
adorabile!»
« Scommetto che i nostri figli sarebbero molto più
adorabili...» Si fece improvvisamente serio, sporgendosi
verso di
me.
Lo tenni lontano poggiando una mano sul suo petto. « Logan,
dobbiamo parlare, lo sai...»
« Lo so, ma non m'importa. Non
m'importa se l'avete fatto in ogni stanza della sua villa da
miliardario, né se ti ha promesso di regalarti un'isola.
Perché io
ti amo, ed è questo che conta. Non sono stupido, so che vuoi
lasciarmi e so anche perché, ma io rimarrò
proprio qui fin quando
non capirai che io sono quello giusto per te, che io non ti
ferirò
mai e non ti abbandonerò mai, fin quando non capirai che i
soldi non
ti renderanno felice.» Aveva preso la mia mano tra le sue e
la stava
accarezzando con movimenti circolari.
Mi alzai di scatto, le mani
ora strette a pugni. Temevo di iniziare a piangere per la rabbia che
provavo in quel momento. « Come puoi credere che io voglia
stare con
lui per i soldi? Cavolo, mi conosci da una vita! Non ho problemi di
denaro e sono nata nella campagna inglese, e tu vieni ad accusarmi di
voler sfruttare un uomo per viaggi, ville e fama?» Lo guardai
negli
occhi. A quanto pare la mia era appena diventata una domanda
retorica. « Fuori.»
« Come?»
« VAI. FUORI! E non provare a
farti vedere in giro, sottospecie di bambino!»
Uscì guardandomi
come se fossi impazzita, e forse lo ero davvero. Avrei dovuto
lasciarlo prima di partire, eppure ora non riuscivo proprio a
sentirmi in colpa. Mi ripetei che lo pensava solo perché mi
amava e
perché non accettava di dovermi lasciar andare, non
perché avevo
dato davvero quell'impressione. In fondo non avevo chiesto io di
passare trenta giorni con un perfetto sconosciuto, non avevo chiesto
io di andare in Inghilterra con lui. Non avevo preteso regali e
speravo che non ci vedessero i paparazzi ogni volta che eravamo
insieme. No, le sue stupide accuse ero infondate e non avrei lasciato
che mi disturbassero più del necessario. Mandai un altro
messaggio a
Johnny visto che non aveva ancora risposto al primo. Nonostante
tutto, dovevo ancora fare il mio dovere di giornalista. Avevo
lasciato che i miei sentimenti oscurassero ciò che mi aveva
unita
all'attore, ovvero il mio lavoro. Il mio lavoro.
Ormai quasi non
ricordavo cosa avrei dovuto fare. Sì, trenta giorni. Quattro
settimane con lui. E poi? Sì, dovevo chiedere della sua
vita, cosa
fa nel tempo libero... ma nell'ultimo periodo cos'avevo fatto?
Domande? No, mi ero crogiolata tra i suoi baci e le sue carezze. Mi
ero torturata pensando a cosa potesse fare, a cosa provasse per me,
quando ciò che stavo facendo davvero era mandare al diavolo
la mia
carriera per un uomo. Non l'avevo fatto prima per Logan,
perché
avrei dovuto farlo ora con Johnny?
Claire tornò dopo poco tempo,
le raccontai la breve conversazione con Logan mentre mangiavamo,
quindi guardammo insieme il film e andai a dormire.
Passò
un'altra giornata senza attori, senza fidanzati, senza paparazzi. Un
venerdì come un altro all'insegna della nullafacenza. Non
riuscivo a
ricordare cosa facessi prima che tutto quello avesse inizio. E prima
non c'era neanche Claire nel mio appartamento. Mi ero svegliata
tardi, avevo pranzato e avevo passato il pomeriggio a scrivere il
nuovo numero per il Rolling Stone riguardante Johnny e gli hotel.
Probabilmente tutti i lettori avevano già letto la notizia
del
litigio di Johnny in Francia, quindi supponevo che almeno la maggior
parte riuscisse a cogliere l'ironia.
Sabato invece, vedendo che
Johnny continuava a non rispondere né alle chiamate
né ai messaggi,
una visita a casa mi sembrò appropriata. Claire
cercò di fermarmi,
ma con la scusa del lavoro non poté fare altro che lasciarmi
andare.
Appena uscita, la sentii parlare al telefono e seppi che stava
chiamando Johnny.
Feci appena in tempo a mettere in moto la
macchina quando un messaggio da Jack mi costrinse a cambiare i miei
piani. Dovevo "urgentemente" passare in redazione. Cosa
diavolo stava succedendo?
Il tragitto durò poco, presa com'ero
dai pensieri. Inchiodai nel parcheggio della redazione nella sezione
dei dipendenti, quindi corsi verso l'entrata.
Jack mi aspettava
nel suo grande ufficio dalle mura in vetro. La mia postazione era
vuota, com'era giusto che fosse, e più che mai in quel
momento
desiderai non aver mai accettato l'incarico. Spalancai la porta e
rimasi lì, indecisa sul da farsi.
Sarei potuta andare via,
tornare nell'appartamento e rinchiudermi lì vivendo di cibo
cinese
da asporto. Invece entrai e chiusi la porta dietro di me. Sapevo bene
che da lì lui poteva osservare tutto, e lo stesso potevano
fare gli
altri da fuori. Il vetro pareva sottile, ma insonorizzava
completamente la stanza. Avrebbe potuto iniziare a urlarmi davanti a
tutti, ma un giornalista con lo sguardo fisso sul computer non si
sarebbe reso conto di nulla. Improvvisamente mi resi conto di
ciò
che avevo fatto. Jack avrebbe potuto licenziarmi ora e io non avrei
potuto fare nulla, non avrei trovato nulla di geniale con cui
controbattere. Avevo mandato tutto all'aria... per cosa?
«
Siediti.» M'indicò la poltrona vicino alla
scrivania. Versò del
whiskey in due bicchieri di cristallo e me ne porse uno. Buttai tutto
il contenuto giù d'un sorso. Ne avevo bisogno. «
Qualcuno si è
lamentato, Helen.» Forse si aspettava una risposta, ma visto
il mio
silenzio continuò. « Mi hanno chiamato mezz'ora fa
dicendomi che
hai più volte ignorato una clausola del contratto che hai
firmato
per l'intervista di trenta giorni con Johnny Depp.» Lo
sapevo, lo
sapevo... ma perché farmi questo? Perché ora?
Jack non sapeva che
l'uomo da cui proveniva la chiamata aveva "ignorato una clausola
del contratto" insieme a me?
Jack si sedette di nuovo e mi
scrutò a lungo. Probabilmente si aspettava che mi alzassi in
piedi
indignata, che gli gridassi contro che si sbagliava. Ma non potevo.
Al contrario di "qualcuno", non potevo fingere che nulla
fosse mai successo. Immaginai che tutto fosse partito dalla chiamata
di Claire, ma non potevo incolparla. Potevo incolpare solo me.
«
Sai perché ti ho scelto, Helen?» Scossi la testa.
« Ci sono molte
persone qui che lavorano. Molte si sono conosciute in ufficio, hanno
fatto amicizia, si sono sposate. Una volta una coppia è
arrivata a
tirarsi computer da una parte all'altra della sala solo
perché la
moglie aveva "rubato" l'articolo del marito. Altre persone
diventano ossessionate da ciò che fanno. Ruth è
così assetata di
gossip da girare la città la notte in cerca di scoop. Ho
scelto te
perché pensavo fossi la più adatta. Lavori qui da
molto, ti
impegni, ma non ti lasci trascinare. E' difficile in questo campo
trovare qualcuno come te.» Sorseggiò il whiskey
senza staccare gli
occhi dai miei. L'avevo sempre visto come un nonno, una specie di
Babbo Natale, mai come un capo autoritario. Quella era stata la mia
colpa più grande.
« Grazie...» Ero rimasta in silenzio troppo
tempo, avevo la gola secca nonostante il whiskey.
« Non ho
finito.» Sbottò. « Pensavo che fossi la
più adatta. Pensavo che
le notizie su di te sui giornali ogni giorno e gli avvistamenti
fossero falsi. Lavoro qui da abbastanza tempo da sapere che i
paparazzi – e non lo nascondo, anche i fotografi che lavorano
per
noi – inventerebbero di tutto pur di guadagnare una bella
somma di
soldi. Ma la chiamata da questa persona mi ha aperto gli
occhi.»
Trattenni il fiato in attesa delle parole che mi avrebbero prelevata
dalla mia favola personale e mi avrebbero riposizionata nel mondo
reale. « Il contratto è annullato. Sei stata
sollevata
dall'incarico...» Abbassai lo sguardo. Non avrei
più lavorato per
lui né con lui. Non lo avrei più rivisto. La mia
unica speranza era
che riuscissi almeno a tenere il posto in redazione. « ... ma
dovrai
comunque scrivere questi ultimi due numeri. Non ti sarà
concesso
andare a casa di Johnny senza il suo permesso, né
chiamarlo... Sarà
come se non l'avessi mai incontrato.»
"Come se non l'avessi
mai incontrato". Quelle parole continuarono a rimbalzarmi per la
testa per molto tempo, troppo tempo.
« Tornerai a lavorare in
redazione.»
« Quindi non... non sono licenziata?» Chiesi
incredula.
« No. Onestamente, fin quando avessi continuato a
scrivere come sempre, non mi sarebbe importato nulla di quello che
succedeva tra le tue lenzuola, ma è la persona che ha
chiamato che
ha insistito affinché ti fosse revocato ogni diritto che il
contratto ti ha concesso. Sarà come un semplice articolo,
non più
un'intervista.»
Quelle parole furono piùdi quanto riuscii a
sopportare. « Ha chiesto che fossi allontanata...»
Mormorai.
Lui
si limitò ad annuire.
« Grazie...» Il mio fu poco più di un
sussurro.
Uscii dall'ufficio sbattendo la porta.
|
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Capitolo 16 *** Day Twenty one/Twenty two/Twenty three ~ I hated you... ***
16. Day Twenty one_Twenty two_Twenty three – I
hated you...
Day
Twenty one/ Twenty two/ Twenty three – I hated you...
Una
domenica come tante altre, come molte che erano già passate.
Di
certo non mi aspettava una cena a casa Burton, perché quella
c'era
già stata la settimana passata. Già, solo una
settimana.
Le
cose possono cambiare piuttosto velocemente, se ci si impegna
davvero. Specialmente quando, dopo una domenica passata a revisionare
l'articolo che sarebbe stato pubblicato martedì, accendendo
il pc in
ufficio ci si ritrova con tonnellate di e-mail da persone che ti
accusano di essere una sfascia-famiglie. L'immagine che mi apparse
nella mente fu quella di Vanessa Paradis che creava decine e decine
di indirizzi e-mail fittizzi e sprecava un intero pomeriggio
mandandomi e-mail all'indirizzo riservato al lavoro in ufficio. Risi
davanti allo schermo del computer perché non potevo fare
altro.
Continuavo a ignorare i messaggi rassicuranti di Claire che mi
assicuravano di aver parlato con Clive, il quale le aveva detto che
erano assolutamente falsi gli avvistamenti a LA di Johnny e l'intera
famigliola al completo. Proprio quando credevo che ci fosse qualcosa
sotto l'"avvertimento" di Jack, iniziai a credere che
l'attore fosse un vero stronzo e quindi davvero capace delle azioni
di cui Jack lo accusava autore. In due giorni la stampa era
impazzita:"Giornalista spazzata via dal rinnovato fascino della
Paradis". Dicevano che il "rinnovato fascino" fosse in
realtà dovuto a una terza gravidanza. Buon per loro, mi
dicevo.
Auguri e figli maschi. Logan doveva essersi divertito un mondo
leggendo i primi nuovi articoli. Jack in accordo con Tracey voleva
dedicare loro la copertina del Rolling Stone del mese seguente. "Le
famiglie di Hollywood". Se avessero saputo... Se tutti loro
avessero udito le loro parole quella notte in hotel, forse le cose
sarebbero andate diversamente. Eppure persino io, che conoscevo
l'attore e sapevo ciò che provava in realtà per
Vanessa, non
riuscivo a credere che potesse mentire così bene, che
riuscisse a
mentire anche nella vita privata come nei suoi film. Che avesse
mentito anche a me? O forse aveva fatto un accordo con Vanessa, del
tipo che lui avrebbe potuto vedere i figli se fosse rimasto con la
moglie...
Ormai avevo rinunciato a contattarlo, avevo rinunciato a
qualsiasi cosa. Clive continuava a sorridermi quando c'incrociavamo
nel mio appartamento, come se avesse paura di dirmi qualcosa, il
sorriso che un dottore mostra ai propri pazienti in fin di vita
fingendo che abbiano mesi e mesi davanti quando la tragedia
è dietro
l'angolo.
Melodrammatica? Forse.
Non potevo contattarlo?
Perfetto, non l'avrei fatto. Avevo passato quasi trent'anni della mia
vita senza Johnny, potevo continuare a vivere senza di lui.
Quel
lunedì andai a pranzare nel solito café. Un paio
di paparazzi mi
girarono intorno prima di decidersi a scattare qualche fotografia. A
quanto pareva, la mia popolarità guadagnata uscendo per
breve tempo
con l'attore stava svanendo, e poteva essere solo un bene.
Sorridendo, mi alzai dal tavolino esterno del locale, mi strinsi nel
cappotto e feci un cenno al "fotografo" più vicino.
«
Hey, posso offrirti un caffé?»
Il tizio continuò a
indietreggiare un po' prima di fermarsi, incredulo.
« Come,
scusa?»
« Un caffé.» Indicai con un cenno il
café alle mie
spalle.
« Perché?» Quello iniziò ad
avvicinarsi, sempre
guardingo. L'altro paparazzo si era volatilizzato. Peccato.
«
Vuoi una storiella da raccontare invece di foto inutili di una
giornalista qualunque?»
Ci sedemmo al tavolo, lui ordinò un
espresso e io lo osservai un po', indecisa se potermi fidare o meno.
Io stessa ero una giornalista, sapevo che molti nel mio campo
gonfiavano storie o riscrivevano quasi completamente una
conversazione in base alle risposte ricevute. I paparazzi
però
vendevano storie. Erano un po' come dei giornalisti free-lance,
quindi avevano bisogno di storie sostanziose per poterci guadagnare
molto di più.
Gli raccontai dell'hotel, di Vanessa, di Johnny e
del litigio. Gli dissi come facevo a sapere tutte quelle cose. Tutti
avevano letto sui giornali del litigio, gli raccontai, ma nessuno dei
presenti aveva parlato del motivo del litigio. Ciò mi aveva
sorpreso, perché chiunque avrebbe potuto guadagnare una
discreta
somma da una certa notizia.
« Perché?» Chiese alla fine. «
Perché fai questo? Cosa vuoi in cambio?»
« Vendetta.» Risposi.
« Non voglio denaro né il mio nome in
quell'articolo. Voglio essere
anonima. Ma questo non significa che io non voglia che tutti
conoscano la verità. Ho vissuto in questo ambiente per
davvero poco
e già ne sono stufa. E' ora che i piccoli segreti delle star
vengano
a galla. Dovresti chiedere in giro che fine ha fatto l'amante della
Paradis.»
Forse non fu una delle mie mosse più intelligenti,
perché quando martedì il postino "privato" di
Johnny si
presentò in redazione, il pacco che mi porse era decisamente
più
pesante del normale.
« Oggi è passato Marilyn Manson», diceva
la lettera, « e gli ho fatto leggere l'edizione speciale del
Rolling
Stone insieme all'articolo di un giornale scandalistico che mi ha
portato Tracey all'alba. Ha detto che sei una dura e ti ha voluto
mandare una bottiglia di assenzio come premio.
« Ti direi di
passare o passerei io stesso, ma ho dei simpatici amici appostati
fuori dal cancello. Stamattina si sono moltiplicati, grazie alle tue
rivelazioni. Un sarcastico "grazie" sarebbe d'obbligo, ma è
colpa mia. Incontriamoci stasera al The Mint. Forse ti devo qualche
spiegazione.»
Clive aveva lasciato cadere sulla mia scrivania il
pacco con disinvoltura, poi aveva continuato dritto verso l'ufficio
di Jack, che guardò prima l'energumeno, poi me, poi di nuovo
l'ospite. Li osservai agitarsi nella stanza, muovevano le labbra ma
non mi arrivava nessun suono. Niente di niente. Quando Clive
lasciò
la stanza, Jack era rosso in viso e mi scrutava come se fossi un
nemico e stessi minacciando la sua famiglia. Perché non si
affrettava a licenziarmi? Cos'avevo combinato ora? Cosa gli aveva
detto Clive?
Saltai giù dalla sedia e rincorsi la guardia del
corpo verso il corridoio, poi nell'ascensore. Sotto i suoi occhi
sbalorditi, fermai la corsa appena si chiusero le porte
dell'ascensore. Eravamo immobili e intrappolati tra quattro mura, e
lui avrebbe dovuto rispondermi se sperava di uscire vivo da quella
situazione.
Melodrammatica. Di nuovo.
« Cosa significa
questo?» Domandai sollevando la lettera. « E
perché Jack è così
arrabbiato?»
Lui mi scrutò per un lungo momento così
intensamente da farmi credere che mi avrebbe strangolata entro pochi
istanti. Infine, finalmente, aprì la bocca, ma non emise
alcun
suono. Sembrava indeciso, come se stesse riordinando i pensieri.
«
Johnny ti spiegherà tutto.» Mormorò
alla fine.
Gli dedicai uno
sguardo pieno d'odio, impegnai tutti i miei muscoli facciali per
farmi apparire il più minacciosa possibile, infine feci due
passi
verso di lui, abbastanza lunghi da costringerlo alle spalle contro
una delle pareti d'acciaio.
Alzò le mani in segno di arresa. «
Okay, piccola Leslie. Tracey aveva permesso a Jack di tenerti fino
alla pubblicazione dell'ultimo articolo su Johnny, però lui
l'ha
scoperto, quindi mi ha mandato qui a minacciare il caporedattore che,
in caso ti avesse licenziata, avrebbe denunciato il giornale per
diffamazione visto che il loro attuale accordo sulla "pubblicazione
della sua vita" è stato fatto solo oralmente, essendo stato
annullato il contratto.»
Aveva parlato in fretta e altrettanto
velocemente si era mosso dietro di me per raggiungere il pannello
dell'ascensore che avevo lasciato incustodito. L'ascensore riprese la
sua discesa e non salutai Clive quando uscì. Tracey,
Tracey... Era
stata lei ad aver parlato con Jack oppure Johnny si era lamentato e
poi aveva lasciato la parte burocratica all'agente? Eppure, se Johnny
si era mostrato in disaccorso sul mio licenziamento significava che,
molto probabilmente, era in disaccordo anche su altro... forse.
Rimaneva oscuro il motivo per cui Tracey mi volesse licenziare. Mi
aveva sempre odiata e io odiavo lei, ma questo non giustificava il
suo comportamento. In più, se all'attore non importava nulla
di me,
perché preoccuparsi di aiutarmi a mantenere il posto in
redazione?
Per tenermi a bada? Sapeva perfettamente che, se Jack avesse ignorato
la mia richiesta, la denuncia avrebbe toccato principalmente me,
poiché l'articolo veniva pubblicato a nome mio. Avevo
decisamente
molte domande da porgli.
« Non voglio andare.» Confessai a
Claire indossando i miei soliti jeans.
« Dovresti indossare un
vestito.» Rispose lei squadrandomi.
« Sì, o una minigonna.
Ascoltami!»
« Ti sto ascoltando e non capisco proprio come tu
possa pensare di indossare una minigonna con questo tempo.»
«
Stavo scherzando! Non voglio andare e non voglio sedurlo e portarmelo
a letto stasera.»
« Sbaglio o dicevi la stessa cosa quando ti è
venuto a trovare dopo il viaggio?»
« No! E comunque com'è
andata a finire?»
Claire sospirò e si lasciò cadere sul mio
letto porgendomi un vestito rosa con dei ricami neri.
« Devi
andare. Devi sapere. Perché io voglio sapere. Non posso
credere che
lo zio sia uno stronzo.»
Le presi il vestito dalle mani e lo
indossai dopo aver lanciato sulla poltroncina all'angolo i pantaloni.
« Mi ha praticamente bandita da casa sua! I suoi figli e sua
moglie vivono con lui! Sono arrivati la mattina dopo il nostro
"incontro", quindi immagina da quanto tempo lo aveva
organizzato!»
« E' pur sempre venuto da te, no?»
Domandò
retorica lei, sperando in una risposta che potesse eclissare tutto il
resto.
« Cosa sono, la sua amante? Aveva Jenna per quello.»
«
Helena, sono uomini. Non hanno più senso dei forma-ghiaccio
a forma
di... omino di marzapane!»
« Beh, e io non voglio andare.»
Alla
fine andai. Anch'io, come Claire, avevo bisogno di risposte. Quella
sera al The Mint non suonava Johnny, ma una band sempre sconosciuta.
C'era Clive seduto al bancone del bar, mi fece un cenno con la testa
verso l'entrata del privé e poi indicò l'orologio
sulla testa del
barman che indicava le nove e venti. Scrollai le spalle. Aspettare
non gli avrebbe fatto male.
Nervosa, mi avviai verso il privé
quando sentii una mano dietro la mia schiena e una voce calda alle
mie spalle.
« Rilassati.» Disse. Ma rilassarmi era impossibile.
Continuai a camminare, entrai nel privé e avanzai fin quando
sentii
una porta scorrevole chiudersi alle mie spalle. Non ebbi bisogno di
voltarmi per sapere chi era l'uomo che mi aveva guidata lì.
In
contrasto con la voce, i lineamenti di Johnny erano contratti e duri,
lo sguardo freddo. Sembrava stanco. Non pareva neanche lo stesso uomo
che aveva scritto la lettera quella mattina.
« Pensavo non
saresti più venuta.»
« Lo pensavo anch'io.»
Si accomodò su
una poltrona e mi fece spazio di fianco a lui. Apparve deluso quando
invece mi sedetti sulla poltroncina di fronte. Un tavolino di vetro
nero ci separava.
« Il contratto dice che non posso starti troppo
vicino.» Mi giustificai così.
« Il contratto è stato
annullato.»
« Le parole però non possono essere annullate,
specialmente dopo essere stata etichettata dalla metà dei
giornali
scandalistici americani come una stalker pazza che è
arrivata a
saltarti addosso contro la tua volontà. Le notizie viaggiano
veloci.» Tiravo fuori il veleno da ogni parola,
perché la verità
era che mi stavo finalmente sfogando.
« Non è stata colpa mia.»
Esordì continuando a guardarmi negli occhi.
« Comodo dirlo, non
è vero?»
« E' stata Tracey a chiamare. Ha chiamato Jack, ha
chiamato la mia famiglia, ha chiamato Vanessa e Tim, e dopo averla
licenziata è toccato a me ripulire il suo casino.»
« Divertente
che tu abbia messo la tua famiglia e Vanessa in due diverse
categorie.»
« Hai sentito ciò che ti ho detto?»
Se avevo
sentito? Certo che avevo sentito. Ma perché Tracey avrebbe
dovuto
farlo?
« Perché continuare la sceneggiata?
Perché le hai
permesso di arrivare fino a questo punto?»
« Perché ero un
casino! Perché non mi rendevo conto della metà
delle cose che
facevo e lei sembrava l'unica speranza!» Iniziò ad
agitarsi,
abbandonando la maschera da attore dannato. « E' sempre stato
così.
Avevo perso tutto e la recitazione era tutto ciò che mi
rimaneva.
Una volta danneggiata la mia immagine, sarei rimasto solo e immobile
nella mia villa in Inghilterra, mentre Tracey era lì e
insisteva sul
fatto che dovessi riprendere il controllo della mia vita.
Naturalmente questo implicava il tuo articolo. Il suo obiettivo
però
era un altro: riportarmi in alto sfruttando te e poi tornare dalla
mia famiglia. Vanessa era d'accordo, ovviamente. Quindi, una volta
iniziata a girare la voce del ricongiungimento in Francia con
Vanessa, Tracey ne ha approfittato. Ha fatto venire qui Vanessa e i
bambini avvertendomi solo "quella" mattina, poi ha detto a
Tim che non avrei più potuto fare film con lui
perché apparteneva
alla mia "epoca buia", infine ci fu la conversazione con
Jack, molto elaborata. Aveva prima sfruttato il contratto per tenerci
vicini, poi per allontanarci, assicurando il tuo licenziamento e la
tua diffamazione per metterti a tacere. Appena Tracey mi ha informato
di tutto questo, l'ho licenziata. Il suo castello di carte è
crollato stamattina quando ha visto l'articolo che aveva te come
fonte affidabile. Vanessa è isterica.
« Tuttavia non sono meno
colpevole di loro due. Ho creduto nella favoletta, sai? Quella che
prima o poi andrà tutto bene. Ma tutto non può
andare bene se la
tua vita è governata da un estraneo.
« Prima di venire qui ho
accompagnato Vanessa in aeroporto. Appena il mio avvocato ha saputo
dell'accordo tra lei e Tracey, ha subito capito che avrei potuto
toglierle l'affidamento, quindi i bambini resteranno con me e tu
rimarrai al sicuro al Rolling Stone. Forse la mossa di stamattina
potrà esserti sembrata azzardata, ma bluffavo: sapevo che
Jack
avrebbe fatto di tutto per conservare il suo posto come
caporedattore, persino tenere una giornalista un po' ribelle. E' un
idiota, ma non lasciare il lavoro sperando di trovare in meglio da
qualche altra parte, perché non
accadrà.» Finito il discorso,
Johnny tirò fuori dalla giacca un pacchetto di sigarini, ne
prese
uno e lo accese.
Io rimasi immobile, gambe accavallate e braccia
incrociate.
« Non dovrei neanche essere qui.» Sbottai alzandomi
e avviandomi verso l'uscita. Il problema era: dov'era la porta? Era
scorrevole e dello stesso colore delle pareti, di conseguenza
diveniva praticamente impossibile distinguerla.
« Dovresti,
invece. Grazie per essere venuta.» Si piazzò tra
me e la parete a
cui mi stavo avvicinando. Beh, almeno avevo trovato la porta.
« Ma
non abbiamo finito.» Portò una mano sul mio viso e
lambì le mie
labbra. Quel bacio sapeva di cannella, colpa del sigarino
aromatizzato ancora stretto tra l'indice e il medio della mano lungo
il suo fianco.
Per un attimo cedetti, per scostarmi subito dopo.
«
Sì invece. Se ti fosse importato qualcosa di me, di noi, non
ti
saresti mai lasciato condizionare da Tracey. Hai lasciato che ci
allontanasse, che mi umiliasse, lo hai preferito perché
altrimenti... dimmi, altrimenti cosa sarebbe successo? Nulla. Saremmo
stati felici come lo siamo stati quando siamo andati dai miei
genitori. Sereni. Quello è stato l'unico giorno felice per
noi due,
quando io speravo che ce ne sarebbero stati molti altri. Invece no,
torno qui, vengo ignorata da te e il mio capo mi dice che venire a
letto con te è "contro le regole". Mi dice che è
stato
uno sbaglio, che si fidava di me e che pensava fossi una persona
equilibrata. All'inizio ti odiavo e ora ti amo. Te l'ho detto mentre
eri a letto con tua moglie! Ti avevo perdonato, e poi... poi sei
scomparso.» Faccio qualche passo verso Johnny ma, al
contrario di
Clive, lui rimane immobile. « Il mio sbaglio non è
stato venire a
letto con te. Il mio sbaglio è stato smettere di odiarti,
perché
ora è dannatamente difficile ricominciare.»
Dalla sua
espressione sembrava che l'avessi schiaffeggiato in pieno volto.
Senza dire una parola, si spostò e mi lasciò
passare.
(
Scusate
per l'attesa ç_ç Il capitolo era già
pronto da un po' ma era
scritto su un adorabile quadernino non avendo il pc a portata di
mano, quindi ho potuto rileggere, modificare e copiare solo oggi.
Chiedo perdono anche per il contenuto del capitolo, dovrete odiarmi
ancora per un po' :3
P.S.: il prossimo capitolo sarà un Johnny's
POV
Cheers~ )
|
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Capitolo 17 *** Day Twenty four/Twenty five ~ It's time to begin ***
Day
Twenty four/ Twenty five –
It's time to begin
Johnny's
POV
Tornai
a casa tardi quella notte, erano forse le due o le tre, volevo un
letto, ma una volta arrivato in camera il sonno parve svanire. Mi
allungai nonostante tutto, sfilai via gli scarponcini e lanciai per
terra il cappello. Più mi rigiravo e più mi
tornava in mente Helen.
Erano giorni che non dormivo e credevo fosse ormai ovvio a tutti,
sebbene nessuno azzardava ad accennare alla questione. Nei pochi
giorni in cui Vanessa aveva dormito con me, aveva cercato di
"riconquistarmi" con mezzucci a dir poco ridicoli. Mi aveva
preparato la cena dichiarandosi una bravissima moglie, aveva comprato
vestiti su vestiti a Jack e a Lily proclamandosi una fantastica
madre. Inutile dire cosa provò a fare per dirsi un'ottima
amante.
Diceva che c'era qualcosa di sbagliato in me, che ogni uomo avrebbe
voluto averla nel proprio letto. Le avevo risposto che se per
sentirsi apprezzata doveva passare venti minuti a cavalcare qualcuno,
allora le avrei dato la mia benedizione e le avrei consigliato
qualche attore libero. Lei aveva lasciato la stanza furiosa mentre io
avevo riso per circa dieci minuti senza interruzioni. La
verità non
era che non volevo lei, la verità era che volevo una sola
persona e
nell'ultimo periodo avevo fatto di tutto per allontanarla.
Ciò che
Tracey e Vanessa avevano fatto era disgustoso. Non avevo potuto non
dare ragione a Tim quando diceva che Tracey era solo l'ennesima
persona che voleva provare un po' del delizioso nettare della fama
direttamente dal cuore di John Christopher Depp II, come se fossi un
baronetto dal sangue blu o qualche cazzata del genere. Chiunque
vorrebbe essere agente di un attore che con il denaro ricavato dopo
aver recitato in un film potrebbe comprarsi una casa o due. Ma
ciò
che aveva fatto Tracey era molto di più. Lei aveva preso me,
un
attore sull'orlo del baratro. Nessuno era lì a cercare di
salvarmi,
ma sapeva che l'unica persona su cui facevo ancora affidamento era
lei. In fondo lei era quella che mi aveva fatto diventare famoso,
quindi toccava a lei riportarmi sotto i riflettori. Aveva preso una
casa in rovina, l'aveva rinnovata ed era pronta a rivenderla al
triplo del prezzo originale. Sì, Tim mi aveva avvertito e io
non gli
avevo dato retta.
"Oh, finiscila di piangerti addosso, va' da
lei e riprenditela."
"Sono le quattro di
mattina..."
"L'amore non ha età, né orario per le
visite!"
Avevo provato quella sera a parlarle, a farle capire
la situazione. Le avevo spiegato ogni singola cosa eppure, sebbene
avesse capito, non voleva accettarlo, non volevo ammettere l'ennesimo
sgarro. E forse faceva bene. Forse avevo bisogno di sistemare la mia
vita, mentre lei doveva continuare sulla sua strada senza guardarsi
indietro. Ancora pochi giorni, e l'unico legame tra di noi si sarebbe
rotto per sempre.
Quel giorno aspettai che i bambini si
svegliassero, poi li portai al parco. Pranzammo velocemente con un
panino e li portai in un negozio di arredamento. Negli ultimi giorni
avevano dormito nella stanza degli ospiti insieme, ma quella casa era
talmente grande che avrebbero potuto avere anche due stanze a testa.
Scegliemmo insieme l'arredamento, e quando uscimmo di lì era
già
sera. Mangiammo una pizza, tornammo a casa e guardammo un film
insieme prima di riuscire a convincerti ad andare a letto. Mi
aspettava un'altra notte insonne.
La mattina seguente mi alzai
dal letto, stremato, alle 6 e mezza. Mi buttai sotto la doccia mentre
ricordi che non volevano abbandonarmi tornavano di soppiatto e
rischiavano di rovinarmi la giornata. Perché i ricordi sono
così,
non avvertono, tornano e basta. Si è indifesi in quei
momenti, e
tutto ciò che possiamo fare è cercare di farli
diventare bei
ricordi in qualche modo. Questo a volte può rivelarsi
impossibile.
Un paio di jeans, una camicia ed ero pronto ad andare. Ripiegai
le maniche fino al gomito scendendo le scale, e una volta in cucina
eliminai tutti i pensieri preparando la colazione. Mezz'ora dopo il
tavolo era ricoperto di toast, barattoli di marmellata e di
cioccolato, piattino con il burro, di fianco pancakes e waffles, uova
e brioche. Salii al primo piano e rimasi qualche minuto sullo stipite
della porta ad osservare Lily Rose e Jack nei loro letti. Si erano
già appropriati della camera, avevano appeso poster e
svuotato le
valige negli armadi. Per Lily, ormai adolescente, lasciare la Francia
era stato un duro colpo, poi però aveva chiamato delle
amiche a Los
Angeles e le era subito tornato il buonumore. Jack invece era solo
felice di stare affianco al "suo pirata". Avevo riso quando
me l'aveva detto, e poi l'avevo abbracciato. Ora la loro vita era
lì,
perché per nulla al mondo avrei lasciato che Vanessa li
riprendesse
dopo ciò che aveva fatto. Crescerli da solo sarebbe stato
difficile,
avrebbe cambiato la mia vita, lo sapevo, ma per ora mi godevo solo la
loro presenza. Più tardi avrei pensato a cosa avrei fatto
quando mi
avrebbero offerto la parte in un nuovo film che richiedeva la mia
presenza dall'altra parte del mondo, non ora.
« Jack...»
Poggiai una mano sulla sua spalla, ma lui non parve accorgersi di
nulla. « Yo-ho, yo-ho, a pirate's life for me...»
« We pillage
plunder, we rifle and loot. Drink up me 'earties, yo-ho!(1)»
Si risvegliò cantando, e subito sentimmo l'eco di Lily.
«
Finitela di cantare, voi due!»
Mi scappò una risata. « E'
pronta la colazione, vi aspetto giù.» Sapevo della
passione/ossessione di Jack per i pirati, ma era la stessa di molti
altri bambini, e almeno così sapevo sempre come prenderlo.
Lily
invece... lei era completamente diversa ed essere rimasto
così
lontano da lei durante l'adolescenza non era stata una mossa
intelligente. Purtroppo non avevo potuto fare altro dopo il divorzio,
quindi ciò che potevo tentare ora era di recuperare il
rapporto.
Avevo convinto Clive a prendersi un giorno di riposo, così
che potessi manovrare a mio piacimento la macchina. Parcheggiai di
fronte alla scuola privata che avevamo scelto insieme il giorno
prima, ed entrammo mentre suonava la campanella delle 8. L'ufficio
del preside si trovava al secondo piano, e dopo una lunga
chiacchierata sulla protezione della privacy lasciai i bambini e
uscii per tornare a casa. Avevo un paio di cose da fare, come per
esempio trovare un nuovo agente.
Per qualche oscuro motivo, però,
mi fu impedito. Tornato a casa trovai qualcosa di estremamente
sbagliato. Come tutte le finestre e i battenti chiusi. Infilai la
chiave nella serratura della porta e la girai nel modo più
silenzioso possibile. So che avrei dovuto chiamare la polizia, ma in
un certo senso l'idea di sconosciuti che giravano per la casa alla
ricerca di ladri o assassini o maniaci era più detestabile
della
possibilità che, entrando, potessi incontrare un ladro o un
assassino o un maniaco. Dentro regnava il buio. Lasciai la porta
aperta, così che potesse entrare un po' di luce. Una torcia
era
ferma, accesa in salotto. Mi avvicinai in punta di piedi, e
ciò che
vidi mi fece allo stesso tempo sobbalzare e sospirare. Tim Burton era
seduto sulla mia poltrona, con la torcia puntata contro il volto.
«
Non potevi essere più ovvio. Certe incursioni si fanno la
notte, non
in pieno giorno, dovresti saperlo!»
« Cos'avrei dovuto fare,
nascondermi in hotel per il resto della giornata?» Si
alzò ridendo
e mi abbracciò.
Avevo bisogno di lui in quel momento, sebbene
odiassi ammetterlo.
« La prossima volta mi rivolgerò a David
Koep [regista di Secret Window, n.d.s.] per altri consigli. Come
stai?»
« Bene, Tim... sto bene.»
« Sì, le occhiaie
parlano per te. Ho saputo... beh, più o meno tutto. Helena
si è
informata prima di partire.»
« Mi spaventate a volte... a
proposito, dov'è la strega?»
« Non lo so, mi ha lasciato qui ed
è andata via con la macchina. Dovevo ammazzare il tempo,
quindi
eccoti la casa pronta per Halloween!»
« Halloween è passato.»
«
Per Natale.»
« Un Natale alla Nightmare Before Christmas?»
«
Non vorrei sembrare egocentrico, ma sì.»
« O forse potremmo
girare qui il sequel horror dei Puffi.»
« Ci ho pensato in
questi giorni, sai?»
Sorrisi e lo guidai in cucina.
« Prendi
qualcosa da bere?» Chiesi aprendo la bottiglia di whiskey e
versandomene un bicchiere.
« Sì, grazie.» Mi rubò il
bicchiere dalle mani e lo bevve d'un sorso, poi prese la bottiglia e
la rimise al proprio posto. « Tu hai già bevuto
abbastanza, si vede
fin troppo.»
« Sei venuto qui per vedermi o per farmi la
paternale? Ormai con gli anni ti faccio concorrenza, lo sai.»
Tornai
in salotto dove mi lasciai ricadere sulla poltrona dove prima era
seduto Tim, la poltrona di Helen. Lui si sistemò sul divano.
«
Ora hai intenzione di dirmi come stai? L'ultima volta che ti ho visto
eri piuttosto felice.»
« C'era un fattore che ora non esiste
più.»
« Ho sempre odiato la Matematica.»
« Pensavo sapessi
tutto. La rivolta "Agente ft. Moglie" ha allontanato Helen.
Ieri notte mi sono reso conto che Vanessa aveva messo un blocco al
telefono in modo che non ricevessi né messaggi né
telefonate dalla
giornalista, quindi sono passato per il mostro. E' come se l'avessi
ignorata per giorni, senza contare il fatto che Tracey le ha impedito
di avvicinarsi a me per altrettanto tempo.»
« Quindi ora ti
piangi addosso, non dormi e bevi?»
« La vicinanza con Helena ti
ha reso acido. Non riesco a dormire e devo andare avanti con
qualcosa, quindi bevo.»
« Che ne dici di cercare di cambiare la
situazione? Di fregartene di ciò che pensa lei e farle
capire che
ciò che è successo è stato un caso e
che non accadrà più,
dicendole di aver cacciato Tracey e Vanessa dalla tua vita? Dirle che
è l'unica per te aiuterebbe.»
« Non siamo in uno dei tuoi film,
Tim. Lì le persone uccidono ma alla fine vengono sempre
amate da
qualcuno!»
« Tu non hai ucciso nessuno. Il tuo unico sbaglio
è
esserti fidato delle persone sbagliate. Vi ho visti a Londra, e la
scusa per l'articolo c'era, ma io ed Helena eravamo convinti che
servisse a nascondere altro.»
Ricordavo benissimo cos'era
successo quella sera. Tim aveva ragione, Helen era la prima che
detestava le attenzioni dei paparazzi, che avrebbe fatto di tutto per
renderci una coppia "normale", lontana da quel mondo a cui
lei sentiva di non appartenere.
Sapevo che Helen era felice nel
mondo in cui aveva vissuto per così tanti anni. Il giorno in
cui
eravamo andati a trovare i suoi genitori, il padre mi aveva preso in
disparte. Mi aveva mostrato il luogo dove lei era nata, dove era
cresciuta. Mi aveva anche detto che però lei, ovunque si
trovasse,
non si era mai trovata a proprio agio. Non aveva ancora trovato un
luogo a cui appartenere. Mi aveva detto:« Il giorno in cui
troverai
quel posto, la renderai la donna più felice del mondo. E io
sono
sicuro, caro "signor Depp", che lei possa farlo. Quel Logan
non mi è mai piaciuto. Era la sua ancora, ma solo
perché la rendeva
ferma e la tratteneva in basso. Helen deve volare.»
« Era così,
Tim... o almeno credevo. Non so se riuscirò a riprendermela
stavolta.»
Il suono del mio cellulare interruppe la
conversazione. Lo recuperai dalla tasca, studiai lo schermo
illuminato e poi guardai Tim. « E' lei.» Premetti
il testo verde. «
Helen..?»
« Johnny, sono Helena! Mi passi Tim?»
« Ma che
diavolo... perché mi stai chiamando dal telefono di
Helen?»
«
Perché il mio l'ho lasciato a casa sua. Mi passi
Tim?»
« Perché
eri a casa sua?»
« Volevo salutare una vecchia amica!»
« Vi
siete incontrate una volta per 3 ore!»
« Colpo di
fulmine!»
Sbuffando passai il telefono a Tim che quando chiuse la
conversazione aveva uno strano sorriso dipinto sul volto.
« Si
può sapere quante spie avete in giro per
l'America?»
« Un paio.
Vieni, andiamo a mangiare qualcosa, ho fame.»
Rimasi fermo sulla
poltrona. Sapevo cos'avevano in mente lui ed Helena, e non mi piaceva
per nulla.
« Che voleva Helena?»
« Nulla, mi ha detto che è
andata a prendere Helen al Rolling Stone e che tornando a casa hanno
beccato la tua guardia del corpo e la bambolina bionda sul divano.
Quindi sono uscite a prendere un caffé lì vicino.
Andiamo, su.»
«
Tim...»
« Johnny, domani riparto. Vuoi restare qui a discutere
su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato o vuoi sistemare le
cose?»
Salimmo in macchina e ci fermammo sul lato opposto
della strada rispetto al café. Helena ed Helen erano sedute
una di
fianco all'altra ad un tavolino vicino alla finestra che dava sulla
strada, parlavano con i gomiti appoggiati sul tavolo, sorridenti,
come se stessero discutendo del tempo. Mi fermai ad osservare Helen.
Non mi sorrideva da un po'. In realtà l'ultima volta che
l'avevo
vista sorridere era durante la notte che avevo trascorso da lei. Ero
andato all'appartamento per scusarmi, per spiegarle cosa fosse
successo prima che lei entrasse nella stanza d'hotel e mi dicesse
quelle parole. Avevo sentito la porta della camera aprirsi ed ero
rimasto immobile. Avrei potuto fare qualcosa, ma nulla avrebbe potuto
migliorare ciò che era chiaramente visibile. Mi ero andato a
scusare
e l'avevo trovata a letto, e avevo fatto di tutto per trattenermi
dallo stendermi di fianco a lei e abbracciarla, perché
sapevo che ci
sarebbe stato uno schiaffo ad aspettarmi. Era decisamente
più bella
mentre sorrideva. Mi chiesi se per poterla osservare sorridente di
tanto in tanto dovessi lasciarla andare.
Tim mi tirò per un
braccio, attraversammo la strada ed entrammo. Mi chinai per baciare
sulla guancia Helena, poi lei si spostò, quindi mi permise
di
sedermi di fronte ad Helen, mentre Tim prese posto di fianco a lei.
La cameriera arrivò subito. Helen ordinò un pezzo
di torta al
limone, Helena un tortino ai frutti di bosco e, dopo qualche battuta
su Sweeney Todd e i gatti di Los Angeles, Tim riuscì a
ordinare un
sandwich mentre io presi un semplice the. Helen mi scrutò a
lungo,
forse cercando di farmi cambiare idea, poi si arrese e prese a
mangiare la torta.
« Helen e io stavamo giusto parlando del
nuovo numero del giornale. Mi ha detto che ieri mattina l'ha chiamata
un agente, che dalla voce sembrava molto affascinante, che le ha
chiesto se fosse interessata a scrivere un libro, viste le sue doti.
Lei gli ha ovviamente risposto che ha già delle idee in
mente e che
ci penserà.»
« Voglio lasciare il Rolling Stone dopo aver
pubblicato l'ultimo numero.»
« E noi siamo felicissimi per te...
vero Johnny?»
Annuii forzatamente. « Felicissimi.» Mormorai
guardandola negli occhi. Dovevo essere contento per lei, dovevo dirle
che le auguravo di essere felice per sempre, ma non potevo, non senza
mentire. Perché sapevo in cosa l'avrebbero fatta diventare.
Sarebbe
diventata un oggetto nelle mani di agenti e speculatori, ma non
potevo dirglielo, non ora che sembrava così felice. Non
aveva mai
pubblicato un libro, aveva solo scritto in forma di romanzo "Le
avventure di Johnny Depp", il che significava che l'avevano
scelta solo per il modo in cui scriveva, non per cosa scriveva. Come
un cantante scelto per la bella voce e la bella presenza a cui danno
un testo e una valigetta piena di soldi.
« Chi era questo tipo?
Ti ha dato un nome?»
« No, mi ha detto che mi avrebbe
richiamato.»
« Dovresti aspettare...»
Sembrava che Helena e
Tim stessero seguendo una partita di tennis.
« Cosa dovrei
aspettare?»
« Dovresti prima scrivere un libro, poi cercare di
pubblicarlo. Sei brava, non ti serve un agente, e ora ti
presserebbero inutilmente, senza contare che, nel momento in cui si
faranno un'idea di te, non accetteranno nient'altro.»
« Quindi
stai dicendo che dovrei rifiutare e mandare all'aria probabilmente
l'unica occasione della mia vita di diventare qualcosa di
più di una
semplice ragazza inglese di campagna?» Posò la
forchettina sul
piatto e incrociò le braccia.
« Non sto dicendo questo, sto
dicendo che avrai altre occasioni!»
« Il fatto che la tua agente
ti abbia "tradito" non significa che tutti ora debbano
diventare sospettosi nei confronti delle persone da cui vengono
aiutati!» Alzò la voce quel tanto che bastava da
spingere la
cameriera ad avvicinarsi.
« Va tutto bene?» Chiese mentre
sorrideva. Sorriso che a quanto parve sembrò far innervosire
ancora
di più Helen.
« Benissimo! Helena, grazie mille di tutto, ci
sentiremo senz'altro.» Prese la borsa, si alzò e
uscì dal
locale.
L'attrice mi guardò. Sì, probabilmente avevo
appena
mandato all'aria l'unica occasione di far pace con la donna che
amavo, ma non avevo altre possibilità. Dovevo avvertirla,
sebbene
sapevo che l'avrebbe presa decisamente male. Mi alzai e la seguii
all'esterno.
« Helen!»
Il suo appartamento era poco distante
da lì, ed era diretta proprio in quella direzione.
« Finiscila,
Johnny! Finiscila d'inseguirmi! Ti credi così bravo,
così
superiore, quando sei uguale a Logan. Esattamente uguale.»
"No...
io non sono la tua ancora, non sono la tua ancora..."
La
raggiunsi di corsa, afferrandole un braccio la costrinsi a voltarsi e
poi l'abbracciai e la strinsi così forte che per lei fu
impossibile
allontanarsi.
« Dimmi ciò che vuoi, e ti aiuterò ad
ottenerla.
Questo è il mio ruolo qui, il mio unico scopo. Renderti
felice.
Voglio vederti sorridere, ma come posso farlo quando non riesci a
guardarmi negli occhi senza ricordare ogni cosa sbagliata che ho
detto? Ti amo e continuerò a ripetertelo fin quando non mi
dirai di
smetterla, fin quando non mi dirai che queste parole ti nauseano.
Voglio essere ogni secondo di ogni minuto di ogni ora nella tua vita,
ma voglio anche consigliarti e voglio farti capire che se ti dico
qualcosa non è solo perché voglio tenerti ferma
al mio fianco.»
Dissi in un sussurro. Lei, che prima aveva cercato di ribellarsi, ora
era inerme. Sciolsi l'abbraccio, la guardai negli occhi e lei
ricambiò lo sguardo, sconvolta. « Scrivi. Scrivi
di ciò che vuoi,
senza limiti, e poi inizia a cercare. Tutto avrà un sapore
diverso
quando saprai di aver avuto successo per qualcosa che ami e non per
uno stupido articolo su un attore che odi.»
Rimase ad osservarmi,
in silenzio, poi lentamente mi prese il volto tra le mani e si
avvicino. « Io non ti odio. Non riuscirò mai a
odiarti.» Mormorò
sulle mie labbra prima di baciarmi. Sorrideva.
Avevo lasciato
Helen a casa promettendole di tornare presto, poi ero andato a
prendere i bambini. In macchina mi raccontarono il loro primo giorno
di scuola, di come avessero subito fatto amicizia e di come tutti
avessero riconosciuto Lily da alcune foto su internet. Fortunatamente
nessuno aveva chiesto foto insieme o autografi da portare a scuola,
specialmente perché molti erano figli di
celebrità. Una volta
arrivati davanti casa, mi voltai verso di loro.
« Dovrei
avvertirvi... c'è una persona lì dentro che forse
non vi piacerà
vedere...»
« E' la giornalista, vero?»
Annuii
silenziosamente a Lily.
« A me piaceva.» Esordì Jack d'un
tratto. « Sembrava simpatica!»
« Ho letto i suoi articoli su
internet.»
« Lily...»
« Sì, lo so, lo so, non dovrei
leggere cose su internet che riguardano te o la mamma,
però... posso
provarci, con lei. Ti avverto: nel momento in cui inizia a chiamarci
"bimbi" o mi costringe a chiamarla "matrigna", la
caccio di casa.»
« Affare fatto.»
Il primo
"incontro-scontro" andò piuttosto bene. Jack si
affezionò
subito e passò tutta la serata di fianco a Helen, mentre
Lily
rimaneva un po' più fredda, ma sapevo che con il tempo si
sarebbe
abituata alla sua presenza. Certo, lo speravo perché questo
avrebbe
significato avere Helen intorno ancora per un po' di tempo.
«
Domani dovete andare a scuola, lo sapete...»
Jack si avvicinò e
si posizionò di fronte a Helen. « Ci vediamo
domani,
giornalista?»
« Certo. A domani, signorino Depp.» Gli
schioccò
un sonoro bacio sulla guancia prima che mio figlio facesse il giro
del divano e mi abbracciasse. Lily mi baciò sulla guancia e
sorrise
a Helen prima di seguire il fratello in camera.
« Che dice, miss
Chester, andiamo anche noi in camera?»
« Decisamente.»
«
Dopo di lei.» Lei salì i primi scalini, ma mi
avvicinai e
interruppi la sua corsa sul pianerottolo, dove la spinsi lentamente
contro il muro e la baciai.
« Con calma, signor Depp!» Sussurrò
e indicò con lo sguardo la camera dei bambini poco distante.
Mi
prese per mano e mi guidò in punta di piedi fino alla stanza
più
lontana, alla fine del lungo corridoio, dove una vecchia camera
conteneva a malapena il necessario per dormire.
A terra c'era un
grande materasso, e contro la parete un armadio nero era l'unico
verso segno di arredamento. Quando avevo comprato quella villa nel
'95 avevo ripulito tutte le stanze per poi comprare lo stretto
necessario per arredarle. Quel materasso era ancora protetto dalla
plastica. Helen si accucciò sui talloni e la
strappò via.
« Hai
una coperta?» Chiese sorridendo.
Mi allontanai mentre gettava la
plastica di lato. Andai nella mia camera e presi un lenzuolo bianco
dal cassettone, quando tornai da lei lo aprii e lo stesi sul
materasso.
Helen si sfilò le scarpette basse senza staccarmi gli
occhi di dosso, poi si liberò della maglietta e infine dei
jeans. Fu
solo in quel momento che mi girò intorno e mi
circondò il collo con
le braccia, facendo aderire il suo corpo contro il mio.
«
Rilassati.» Sussurrò, e rise leggermente.
|
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Capitolo 18 *** Day Twenty six/Twenty seven ~ Weren't you supposed to follow your dreams? ***
18. Day Twenty six_Twenty_seven - Weren't you supposed
to be following your dreams
Day
Twenty six/Twenty seven – Weren't you supposed to follow your
dreams?
Mi
misi seduta sul materasso e guardai Johnny per qualche attimo.
Avete
presente quando volete vedere solo una scena del vostro film
preferito, quindi inserite il dvd e premete quella piccola freccetta
che vi permette di avanzare a velocità accelerata fino a
raggiungere
il pezzo che avete in mente? Tra me e l'attore era stato
così.
Era
già iniziato il conto alla rovescia, ormai mancavano pochi
giorni.
Martedì avremmo potuto festeggiare 30 giorni dalla prima
volta che
ci eravamo conosciuti. In 30 giorni avevamo fatto tutto ciò
che
normalmente si farebbe in un paio di mesi, visto il mondo in cui ci
eravamo scontrati all'inizio. Eppure, nonostante ci fossimo odiati
dal primo momento, era come se entrambi avessimo saputo da qualche
forza sovrannaturale ciò che ci aspettava. E quindi ci
eravamo
spinti a vicenda, a volte inciampando, solo per raggiungere
quell'obiettivo, quella promessa di felicità. Che fossimo
stati dei
pazzi a credere a quella sorta di sesto senso era innegabile, ma di
certo io non me ne pentivo. Avevamo litigato decine di volte, e il
giorno dopo mi ero sempre ritrovata tra le sue braccia.
Un paio di
giorni prima a però ero stata davvero convinta che non
l'avrei mai
più rivisto. Mi ero pentita di ciò che avevo
detto nell'attimo
esatto in cui avevo pronunciato quelle parole quella sera al The
Mint. Vi è mai capitato? Capire quanto una frase sia
sbagliata solo
mentre la si sente uscire dalla propria bocca è davvero
terribile,
credetemi. Ero stata male per un giorno intero – la faccenda
di
Johnny in quei giorni stava riducendo i miei nervi in pessime
condizioni – e quando ero tornata in redazione avevo trovato
una
chiamata non risposta. Mi ero sentita ancora peggio quando avevo
sentito ciò che l'agente aveva da offrirmi: un contratto e
un libro,
senza che dovessi girare per mesi (o per anni) alla ricerca di una
casa editrice così pazza da pubblicare il libro di una
giornalista
con un passato come il mio. Johnny però mi aveva
praticamente
impedito di farlo, con le sue parole. Ero stata così vicina
da
salire sul tavolo per prenderlo a schiaffi durante l'incontro con Tim
ed Helena...
Helena. Lei era venuta da me subito dopo la chiamata
ed era entusiasta sebbene ci fosse qualcosa nella sua espressione che
mi aveva fatto capire che non pensava fosse una buona idea.
Fortunatamente non ne avevo ancora parlato con Jack. Mi aveva detto
che il momento di cui avevamo parlato la sera nel suo salotto era
arrivato. Io le avevo raccontato ciò che era successo, e lei
mi
aveva pregato di non abbandonarlo ora. Tim aveva paura che Johnny si
abbandonasse ai “piaceri” dell'alcool, ma Helena lo
aveva sempre
difeso dicendo che, fin quando ci sarei stata io al suo fianco, lui
si sarebbe trattenuto. Lo avrebbe fatto per non allontanarmi. Io ne
dubitavo. Comunque non era per questo che avevo ceduto all'attore.
Avevo capito che stava onestamente cercando di avvertirmi sul mondo
reale mentre mi diceva di lasciar stare l'agente. Si stava
preoccupando per me e lo avrebbe fatto per sempre. Ciò che
era
successo con Vanessa per lui non aveva senso. Io lo amavo e non avrei
mai stesso di amarlo. Per questo l'avevo seguito.
Mi aveva fatto
incontrare i bambini ed era stata forse la cosa più bella
che
potesse fare. Nonostante tutto ciò che era successo tra di
noi,
voleva ancora che facessi parte della sua famiglia. Non avrei mai
potuto sostituire Vanessa, non volevo farlo, ma sapere che Lily Rose
e Jack non mi disprezzavano come pensavo aveva funzionato da
tranquillante con me. Jack adorava i capelli biondi e a un certo
punto della serata aveva persino preso la chitarra del padre per
dimostrarmi di saper suonare. Era un pirata chitarrista, o almeno
tale si proclamava.
Johnny aprì lentamente gli occhi e mi
osservò.
« Non guardarmi così, sembri una
stalker.»
«
Quanto amore di prima mattina...» Mi chinai per sfiorargli le
labbra, e lui ne approfittò per afferrarmi per i fianchi e
guidarmi
su di lui.
Feci scorrere lentamente le dita delle mani dal suo
ventre alle spalle e poi lungo le braccia, osservando i tatuaggi e
percorrendoli con cura come se fossero quadri. Come se lui, Johnny,
fosse una scultura pregiata creata unicamente per essere
osservata.
Lui mi osservava curioso. Forse cercava di capire cosa
mi passasse per la mente, ma in realtà pensavo solo che
avrei
desiderato osservare i suoi tatuaggi per tutta la vita, che fosse
finita il giorno seguente o dopo cent'anni.
« Scendiamo a fare
colazione?» Chiese. Arricciando le labbra annuii e, dopo un
altro
bacio, mi alzai e recuperai la sua camicia da terra. Johnny si
allungo verso di me e mi afferrò il polso.
« Dai, che è
tardi...»
« Dovresti pensarci due volte prima di uscire
così.»
Sollevò le sopracciglia, come a intendere qualcosa che mi
sfuggiva.
I bambini.
Preferii scendere e iniziare a preparare la
colazione mentre lui svegliava i bambini, invece del contrario.
Dopotutto li conoscevo solo da un giorno.
Johnny mi aveva chiesto
di preparare tè e caffè, dei toast e dei pancake,
per poi mettere
tutto sul tavolo. Stavo apparecchiando quando sentii una voce alle
mie spalle.
« Ho letto tutto su di te, lo sai?» Spalancai gli
occhi e, voltandomi, trovai una Lily Rose in un vestitino viola
già
pronta per partire. Mi prese dalle mani il contenitore dello
zucchero. Per un attimo credetti che volesse tirarmelo addosso.
«
O...kay...»
« So che potresti essere la figlia di mio padre.»
Ridusse gli occhi a una fessura.
« E tu potresti essere mia
figlia.»
« Ma non lo sono!»
« Esatto.»
Sorridendo,
recuperai lo zucchero e portai tutto sul tavolo. Di cosa stesse
cercando di accusarmi era un mistero, ma non ne avrei parlato con
Johnny. In fondo era solo una ragazzina spaventata che potessi
prendere il posto di sua madre, cosa che non sarebbe mai successa. A
dire il vero, vista l'età di Johnny, ciò che
diceva non era
sbagliato. Tuttavia non ero sua figlia ed eravamo entrambi adulti,
quindi il problema non sussisteva affatto. In un mondo in cui bambine
diventano madri a 8-9 anni, l'età diventa sopravvalutata.
Johnny
e Jack ci raggiunsero poco dopo e facemmo tutti colazione insieme,
per poi uscire. Johnny accompagnò prima i ragazzi, poi me.
« Ci
rivediamo domani mattina...» La sua non era una domanda.
«
Domani?»
« Sì. Non ti sto nascondendo nulla, ma devo
sistemare
un paio di cose.» Era diventato di colpo serio, il che mi
spaventava. Ogni volta che succedeva, si allontanava
irrimediabilmente.
« Sicuro che non sia successo nulla?»
Accennò
un sorriso. « Sicurissimo.»
Gli lasciai un casto bacio sulla
guancia prima di scendere ed entrare nell'edificio che ospitava la
redazione del Rolling Stone. Ero una stupida. Non potevo impazzire
solo perché mi aveva detto che non ci saremmo potuti vedere
quel
giorno. Cavolo, stavo diventato più paranoica di quella
Bella
Swan.
Appena arrivata in ufficio, Jack mi guardò e, nonostante
fosse ancora al telefono, con un gesto della mano mi fece intendere
che dovevo raggiungerlo. Ignorai le occhiate dei miei colleghi e
camminai per il corridoio tra le varie postazioni prima di
raggiungere quella che, in quell'istante, mi sembrava una gabbia di
vetro.
« Sì, è appena arrivata...
sì, glielo dico.... no,
grazie a te per l'opportunità... lo so, lo so, è
brava... ciao...
sì, ciao.» Mise giù il ricevitore e
mantenne lo sguardo basso per
un po'.
« Volevi vedermi?»
« Ho appena parlato con Johnny.
Mi ha detto dell'accordo che ti hanno proposto.»
Indugiò un po',
come al suo solito, mentre io lo guardavo sconvolta. Johnny, brutto
pezzo di... « Nonostante ciò che abbiano potuto
dirti, ti voglio
qui.»
« Mi vuoi qui solo perché faccio
vendere.»
Alzò un
dito in segno di protesta, invece si limitò a precisare.
« Se
vendi, guadagna la redazione, guadagno io, ma, più di
tutti...
guadagni tu. Aumento dello stipendio, e potrai lavorare a casa anche
sei giorni alla settimana. Continuano ad arrivare email di persone
che leggono la rubrica su Johnny e che vogliono che tu faccia lo
stesso con altri attori.»
Rimasi in silenzio per un po', scostai
una sedia dalla scrivania e mi sedetti lasciando cadere a terra la
borsa. « Se ti dicessi che voglio iniziare a scrivere
davvero, e non
solo come giornalista... cosa diresti?»
« Direi:”Non dovresti
seguire i tuoi sogni?". So che è sempre stato questo il tuo
obiettivo, quindi il tempo a casa puoi sfruttarlo come vuoi.»
«
Sei proprio un furbo figlio-»
« Uh-uh. Fa' la brava giornalista,
accetta, firma e torna a lavorare!» Mi riprese scuotendo la
testa.
Arricciai il naso in segno di protesta, ma in ogni caso
presi la penna e misi un paio di firme sui fogli che mi stava
porgendo
Rincontrai davvero Johnny la mattina seguente. Avevo
passato la serata a chiacchierare con Claire che aveva fatto
l'immenso sacrificio di separarsi da Clive. Mi aveva raccontato di
come le cose tra loro due si erano evolute. Aveva cercato di
nasconderlo fino al giorno prima, quando li avevo trovati l'uno
sull'altra sul divano. A parte lo shock iniziale, ero piuttosto
curiosa di conoscere la storia dietro quella coppia così
strana.
Quindi mi spiegò tutto, e io le raccontai degli ultimi
sviluppi
dell'idillio Chester-Depp.
Ma Johnny, quella mattina, con un
maglioncino, dei jeans e senza le collane e gli anelli che lo
caratterizzavano, non sembrava neanche lui. Sorrideva come se non
esistesse alcuna pena al mondo. Indossava il nostro
cappello. Passando di fianco alla mia scrivania, ammiccò
prima di
voltarsi, per poi scomparire lungo il corridoio e riapparire
nell'ufficio di Jack. Si salutarono amichevolmente con un abbraccio
mentre un terzo uomo seduto sul divanetto all'angolo tirava fuori da
un borsone una macchina fotografica professionale e iniziava a
scattare qualche foto alla coppia. Erano passati pochi minuti quando
vidi il fotografo uscire dall'ufficio e avviarsi nella mia direzione.
Mi fece un cenno, si voltò e riprese a camminare
aspettandosi che lo
seguissi. Ma perché avrei dovuto? Quando non
sentì passi dietro di
sé, si girò a guardarmi e spalancò gli
occhi.
« Allora, ti
muovi o no? Ho un altro servizio alle 11.»
Questa volta più
obbedente, mi alzai e lo raggiunsi a passetti veloci. Prendemmo
l'ascensore e salimmo di un paio di piani, fino ad arrivare
all'attico. Non ero mai stata lì specialmente
perché era su quel
piano che si svolgevano i maggiori servizi fotografici. C'era una
stanza con tre muri di vetro da cui si poteva osservare tutta Los
Angeles, un'altra invece sommersa nel buio. A volte, in casi
speciali, Rolling Stone affittava location esterne per un giorno.
Quello non era un caso speciale, era molto di più. Tre
grandi pareti
di cartone erano state montate all'interno della stanza e su di
queste erano spillate frasi stampate, citazioni dai 3 articoli che
avevo scritto fino a quel momento.
Vidi Johnny solo quando mi
portarono nella zona trucco. Era seduto e mi lanciò uno
sguardo
veloce e un sorriso prima che una truccatrice gli spostaste il viso
dalla parte opposta. Mi squadrò come se volesse giudicare e
capire
se fossi adatta a Johnny, se fossi abbastanza. Abbastanza brava,
abbastanza bella, abbastanza fotogenica da riuscire a stare sotto le
telecamere senza impazzire. Dalla sua espressione sembrò
pensare che
avrebbe preferito vedere se stessa affianco all'attore. E chi poteva
biasimarla?
Riuscii a salvarmi da quella tortura, tra trucco e
fotografie backstage del ragazzo di prima, solo dopo un'oretta e
mezza, quando poi m'infilarono in un vestito bianco da cui avrei
giurato di poter schizzare fuori da un secondo all'altro. Mi
allungarono di una decina di centimetri con due trampoli neri e ci
portarono direttamente in una saletta arredata solo lungo due pareti,
dove venivano effettuate le riprese. Sugli scaffali, lì dove
solitamente c'erano montagne di vinili, ora erano presenti solo
vecchie cassette, film ormai dimenticati, mentre un angolo speciale
era dedicato alla carriera di Johnny. In un angolo, dentro scatoloni
di plastica, erano raggruppati tutti i dischi che, ne ero sicura,
sarebbero tornati al proprio posto una volta che fosse finita quella
giornata.
Ci fecero sedere su due divanetti beige su cui erano
poggiati cuscini di diverse tonalità di rosso. Un vero colpo
all'occhio.
Ancora non capivo cosa ci stessi facendo lì. Provai
a chiederlo al cameraman che scosse la testa. Una volta seduti
lì,
Johnny si sporse verso di me e mi accarezzò una guancia.
«
Sembri una bambola di porcellana.» Sussurrò
sorridente. Mi sfiorò
le labbra mentre io arrossivo.
Mi aveva baciata. Lì, davanti a
tutti. Davanti al fotografo che continuava a scattare foto a raffica,
come un tornado. Un tornado che stava rubando tutti i miei momenti
d'intimità con Johnny per pubblicarli su carta. I nostri
momenti.
«
Vuoi spiegarmi che diavolo succede?»
« Non succede nulla. Jack
voleva un articolo, e io ho intenzione di dargli un articolo. Non
voglio più nascondermi...» Mormorò. Mi
guardava negli occhi e
quando lo faceva in quel modo, sfiorandomi, non riuscivo a ragionare.
Ma sospirai, e mi allontanai.
« Siamo in due su questa barca,
Johnny. Non puoi decidere tutto d'un tratto di voler portare questa
relazione ufficialmente allo scoperto senza chiedermi nulla.»
Parve
colpito, tutto d'un tratto dubbioso. « Pensavo ne fossi
felice.»
«
E lo sono...» Mi affrettai a dire. « Ma avrei
preferito parlarne
prima. Forse questo non è il modo migliore per farlo vedere
al mondo
intero.»
« Questa è un'intervista che uscirà
insieme
all'ultimo numero di martedì, nulla di più. Hanno
organizzato tutto
questo per te, perché credono che questo sia il futuro del
giornalismo al Rolling Stone. Scoprire mondi standoci davvero a
contatto. Questo non è per me, io faccio solo parte di un
grande
ingranaggio. Sei tu che fai girare tutto.»
Mi voltai dalla parte
opposta, imbarazzata. « Non mi addolcirai con queste
parole...»
Sentii una risata provenire dall'attore. « Posso
comunque provare.»
C'interruppe il cameraman, che con uno
schiocco di dita c'indicò che stava per accendere la
telecamera.
Nessun intervistatore. E poi capii.
« Due domande a testa, in
dieci minuti dovremmo aver finito. Bionda, inizia tu.»
Lo
fulminai con un'occhiata proprio mentre la spia verde indicava che
aveva iniziato a riprendere.
Mi voltai verso Johnny, colta
all'improvviso da una risatina imbarazzata. Abbassai lo sguardo, poi
lo fissai. Ero diventata giornalista dell'intervista che mi aveva
promesso quando mi aveva fatto indossare quel vestito, e di cui non
avevamo più riparlato.
« Mi detestavi quando questa avventura è
iniziata, ma con il tempo non mi hai più ritenuto una
minaccia. Cosa
ti ha fatto cambiare idea e com'è stato aprire la tua vita
al resto
del mondo?»
Lui indugiò solo qualche attimo prima di iniziare a
rispondere. « Credo che noi attori... noi persone del mondo
dello
spettacolo... siamo sempre un passo avanti verso le persone che ci
seguono. Siamo come tante piccole lune, capisci cosa intendo?
Insomma... mostriamo solo un lato della nostra vita privata, poi un
altro, e infine un altro ancora, come delle anteprime. Ci dividiamo.
Quest'articolo mi ha fatto diventare una luna circondata da soli,
solo che tu eri quei soli. E lo dico senza voler sembrare teatrale.
Era il momento di portare un po' di verità in un mondo
costruito su
bugie.» Sorrise, e già immaginavo centinaia di
ragazzine con la
tachicardia davanti a quell'immagine. Potevo immaginarlo
perché era
ciò che mi sentivo io in quel momento. Una ragazzina.
« Tocca a me!
Allora...» Si abbandonò allo schienale della sedia
intrecciando le
mani sulle proprie gambe. « Perché hai accettato
l'incarico?»
«
Mi hanno fatto un'offerta che non ho potuto rifiutare.»
«
Avanti, fatti illuminare anche tu!»
« Okay... ho pensato che
anche se fossi stato uno stronzo egocentrico, tanto valeva provarlo
sulla pelle. Purtroppo mi sono sbagliata, o per fortuna. Non so se mi
sarebbe piaciuto deludere migliaia di tue fan.» Accennai un
sorriso
a cui lui rispose senza esitazione.
« Bene, tocca a te.»
«
Mmh... Dev'essere una buona domanda... Credi che lascerai mai il
mondo dello spettacolo?»
« Difficile saperlo...» Si morse il
labbro inferiore, pensieroso. « Credo che inizierò
a svanire pian
piano...» Sollevò la mano destra e
iniziò a muovere le dita come
se dovessero formare una piccola onda mentre spostava lentamente la
mano di lato. « ... fino a scomparire completamente. Non
voglio che
ci siano progetti noti a tutti e poi mai completati. Non dico che,
compiuti i settant'anni, mi ritirerò completamente, ma
inizierò a
lavorare dietro le quinte, o almeno questo è ciò
che penso ora.
Potrei morire domani o oggi stesso, quindi non voglio fare piani.
Okay... mh... Qual è stata la prima cosa che hai
scritto?»
Ci
dovetti pensare un po' prima di trovare una risposta. « In
realtà...
era un racconto, ciò a cui avevo assistito il giorno prima.
A casa
ci era arrivato un gattino, e tu hai visto dove abitavo, intorno
c'è
la desolazione, è tutta campagna... quindi abbiamo dovuto
tenerlo
per una giornata. Appena arrivato, il gatto aveva iniziato ad
agitarsi contro il cane che avevamo ormai da un paio d'anni, un cane
da caccia con cui mio padre usciva una volta alla settimana. La sera
ci fu un temporale. Il gattino salì le scale fino alla mia
stanza e
cercò di trovare rifugio sul tappeto, dove c'era
già il cane. Ma
quello si fece da parte e con la coda tenne al caldo il gatto per
tutta la notte.»
« E quale sarà l'ultimo tuo racconto?»
Avrei
potuto obiettare dicendo che le domande erano finite, che non poteva
barare così, tuttavia scrollai le spalle. «
Parlerà di un attore
scontroso e di una giornalista in cerca di rifugio.»
La spia
verde diventò rossa, annunciando che la registrazione era
finita.
Colpii Johnny sulla spalla ridendo, riprendendolo per quella sua
ultima uscita, ma lui mi cinse la vita con un braccio, mi spinse
contro di sé e mi baciò con passione, muovendo
lentamente le labbra
sulle mie. Mi lasciai andare a quel bacio portando una mano intorno
al colletto della camicia.
« Andiamo...» Sussurrò dopo un po'.
« Abbiamo delle foto che ci aspettano.»
Finsi di non notare le
persone che ci guardavano come se fossimo fuori di testa
perché non
m'interessava davvero nulla di ciò che pensavano. Ci
ritoccarono il
trucco e poi ci fecero stare in piedi in pose diverse di fronte ai
tre cartelloni ricoperti di scritte. Ridevamo entrambi,
perché,
nonostante Johnny avesse fatto centinaia di servizi fotografici,
quello ci sembrava un gioco, e al fotografo sembrava non
importare.
Il ragazzo fu libero per le 10:50, giusto in tempo per
impacchettare tutto e raggiungere in macchina – traffico
permettendo – il suo prossimo set.
La giornata con Johnny passò
velocemente. Scappammo dalla redazione indossando ancora i vestiti
dell'intervista, prendemmo una bottiglia di champagne e brindammo a
qualcosa che non ricordo esattamente. Doveva
essere stato un pretesto davvero stupido, però.
Quella
sera dormii da lui, come la sera seguente, e quella dopo...
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Capitolo 19 *** Day Twenty eight/Twenty nine/Thirty ~ This is everything I've ever dreamed of ***
19. Day Twenty eight_Twenty nine_Thirty -This is
everything I've ever dreamed of
Day
Twenty eight/Twenty nine/Thirty - This is everything I've ever
dreamed of
Qual
è la definizione di week-end romantico? Perché di
sicuro non è
quello che passai io con Johnny, specialmente perché Johnny
non lo
vidi affatto.
Sabato, dopo il servizio fotografico e il
pomeriggio passato sul divano a festeggiare, eravamo andati a
prendere i bambini a scuola e avevamo cenato tutti insieme in un
ristorante alla periferia di Los Angeles, come se fossimo una
famiglia. Alcune persone, vedendoci entrare, borbottarono tra di
loro, ma Johnny era amico del proprietario del locale quindi nessuno
osò avvicinarsi per chiedere autografi o fare foto. In
realtà, fu
la cosa più vicina alla normalità di qualsiasi
altro evento di quel
giorno.
Quella notte, stesa di fianco a Johnny, mi resi conto che
la normalità è un concetto piuttosto soggettivo.
Tutto dipende
dalla vita che una persona ha avuto, dalla vita che una persona si
aspetta di avere, dalle abitudini, dagli appuntamenti, dalle persone
che frequenta. Ciò che era normale per me non era normale
per Johnny
e viceversa. Se io il week-end mi prefissavo di non pensare al
lavoro, Johnny si prendeva un mese sabbatico senza pensarci due
volte. Quello per lui era normale. Una decisione del genere presa da
me mi avrebbe fatto perdere il lavoro.
Jack sul contratto aveva
inserito come data di inizio del mio nuovo lavoro il lunedì
successivo, il che significava che avrebbe potuto sfruttarmi per
qualche altro giorno. E lo fece. Domenica mattina mi chiamò
alle sei
di mattina per informarmi gentilmente che voleva per lunedì
mattina
l'articolo sulla sua cattedra, quindi dovevo recarmi immediatamente
in ufficio per finire di scrivere. Di malavoglia, mi spostai lontana
dall'abbraccio dell'attore, mi chiusi in bagno per una doccia veloce
e poi uscii diretta verso la solita caffetteria per fare colazione.
Appena entrata, m'immobilizzai. Deglutii. Stava leggendo il
giornale mentre sorseggiava un caffè. Non mi aveva vista,
quindi
avrei potuto far finta di nulla e uscire di fretta. Ma non lo feci.
Scivolai sulla sedia e poggiai la borsa a terra.
« Logan...»
Gli
occhi che fino a prima scorrevano veloci sulle pagine in bianco e
nero si fermarono all'improvviso. Le mani si contrassero come se
avessero voluto strappare la carta, però lui mantenne la
calma,
ripiegò il giornale e mi guardò.
« Helen.»
Mi dedicò uno
sguardo veloce prima di concentrarsi sul liquido nella tazza che
aveva preso tra le mani.
Ordinai un caffè e una brioche da
portare via.
« Come stai?» Chiesi accennando un sorriso. Non
parlavamo da un po', e l'ultima volta che ci eravamo visti non ci
eravamo salutati in modo... “civile”.
« Sto bene, Helen, sto
bene... Tu invece?» Dal modo in cui lo chiese sembrava
già
conoscere la risposta, quindi mi limitai a scrollare le spalle.
«
Sì, ho parlato con Claire. Sono... felice per te, suppongo.
È
questo quello che dicono, no? Mi chiedo solo se tu sia pronta a
sopportare ciò che accadrà quando tutto
diventerà
pubblico.»
Improvvisamente, mi resi conto dell'errore che avevo
fatto sedendomi lì. Avrei dovuto ignorarlo e andare via,
invece
avevo sentito il bisogno di scusarmi per il modo in cui lo avevo
trattato. Lui era ancora ferito, era visibile, ma io non potevo
più
farci nulla. Logan non era più una mia preoccupazione. Non
lo era
mai stato.
Il cameriere mi portò ciò che avevo ordinato
all'interno di un sacchetto di carta, quindi mi alzai.
« Trova
qualcun altro da amare, Logan. Magari la prossima volta sarai
più
fortunato.»
Mentre mi allontanavo, sentii un “in bocca al lupo”
appena sussurrato.
Passai tutta la domenica, senza sosta, a
scrivere e poi correggere il quarto e finale articolo che sarebbe
uscito quel martedì. Avevo già una bozza sul
quaderno degli appunti
che portavo sempre con me, ma mi vidi costretta a cambiare
praticamente tutto. Jack passò circa ogni una o due ore,
mentre per
il resto del tempo restò nel suo ufficio a fare telefonate e
a
tenermi d'occhio, oppure a ricevere star varie. Alcune di loro, lo
sapevo, sarebbero state le mie prossime “vittime”,
o meglio, ben
presto avrei dovuto scrivere articoli su di loro. Jack mi aveva
rassicurata dicendo che non sarebbero più stati 30 giorni ma
solo 7
di “pedinamento”. Al contrario di Johnny, non erano
star che
dovevano far dimenticare degli scandali recenti, ma semplicemente
celebrità che erano state convinte dai propri agenti che un
articolo
in più poteva solo aumentare la fama e, di conseguenza,
contratti
per nuovi film o serie tv.
Il mio attore era preoccupato che
potessi innamorarmi di loro, ma lo avevo rassicurato dicendo che in
una settimana al massimo sarei riuscita ad andare a letto con
qualcuno di loro, non altro. La risposta era stata cinque minuti
buoni di solletico non-stop. Dopo avevo ritrattato tutto e gli avevo
promesso che ci sarebbe stato al limite un bacio.
Ero davvero
terrorizzata all'idea di conoscere altre persone di Hollywood. Avevo
pensato di parlarne con Jack e confessargli che avevo cambiato idea,
che non volevo farlo, ma riflettendo su ciò che mi aveva
offerto
capivo che non potevo farlo: era una grande opportunità per
me –
come lo era stato il primo incontro con Johnny – che di
sicuro mi
avrebbe dato nuovi spunti per il mio libro.
Alle 19 molti
iniziarono ad andare via, ma io non avevo ancora finito. Alle 20 ero
rimasta l'unica sul piano, e fortunatamente stavo finendo di stampare
le venti pagine dell'articolo quando arrivò la donna delle
pulizie
con l'aspirapolvere. Quel rumore assordante mi fece tornare in mente
l'intervista di Johnny all'Inside The Actors Studio e le sue risposte
alle domande di rito. Diceva che il suono che detestava di
più era
quello dell'aspirapolvere, e quello che amava di più era
quello
della risata di sua figlia. Immaginai come dovevano essere felici in
quel periodo, lui e Vanessa, e mi sorse spontanea una domanda che mi
rovinò l'intera serata.
Avevo aperto l'ufficio di Jack con
la chiave che mi aveva dato lui stesso e avevo poggiato il fascio di
fogli sulla sua scrivania. Uscendo, avevo recuperato la mia borsa e
avevo corso fino alla macchina sotto la pioggia.
« Claire...»
Stavo piangendo. Sapevo che solo lei avrebbe potuto calmarmi e farmi
ragionare, ma proprio non si sbrigava, non voleva rispondere al
telefono.
Rimasi rannicchiata, con le ginocchia piegate sotto il
mento, al posto del guidatore della mia Mustang, impossibilitata a
fare altro. La pioggia, violenta contro il parabrezza, sembrava
indirizzata contro di me dal vento, voleva raggiungermi. Per un
attimo fui quasi tentata dall'idea di aprire il finestrino e lasciare
che l'acqua entrasse senza sosta. Ma non lo feci. Rimasi immobile fin
quando sentii il cellulare vibrare nella borsa. Lo afferrai in
fretta. Segnava le 22:34.
« Sì?»
« Helen? Dove sei? Ti sto
aspettando, sto provando a chiamarti dalle nove!»
« Johnny,
io...»
« Stai bene?»
Rimasi in silenzio per un po', cercando
di non iniziare a singhiozzare. « Ho finito da poco in
redazione,
sono... sono in macchina.»
« Perché stai piangendo?» Più
che
preoccupato, ora sembrava arrabbiato. Arrabbiato perché gli
stavo
nascondendo qualcosa.
« Sono... felice del successo
dell'articolo, tutto qui.»
Vidi una figura correre attraverso la
pioggia, nella mia direzione, mentre aspettavo una risposta di
Johnny. L'unica cosa di cui avevo bisogno erano altri paparazzi
invadenti.
La persona fuori armeggiò con la portiera e già
mi
stavo preparando a colpirlo – la mia unica arma era il
cellulare,
capitemi... – tuttavia apparve il volto dell'attore, il mio
attore.
Lo fissai impotente, afferrai la borsa dal sedile del passeggero, ci
ficcai dentro il cellulare e la lanciai sul sedile posteriore. Era
completamente zuppo, il che mi fece pensare che probabilmente era
rimasto ad aspettare fuori dalla redazione che uscissi.
« Che ci
fai qui?»
Lui si allungò verso di me e mi accarezzò una
guancia. L'intento probabilmente era di cancellare le lacrime, ma
finì solo per bagnarmi il volto. Il contatto mi
causò un brivido.
«
Sei freddo.»
Mi voltai completamente verso di lui, piegando la
gamba destra sotto la sinistra, e appoggiai la testa contro il
sedile.
La sua mano, prima portata sul mio viso, si fermò al
limitare del mio sedile e lui si avvicinò per sfiorare le
mie labbra
con le sue.
« Cos'è successo?» Sussurrò
lui incontrando i miei
occhi. Distolsi lo sguardo e tornai a fissare le gocce contro il
lunotto.
Scossi la testa un paio di volte, tuttavia Johnny mi
fermò il mento con tre dita e mi costrinse a guardarlo.
«
Parla.»
Arricciai le labbra, contrariata. Quello era uno dei
tanti discorsi che devono essere impacchettati e riposti in un angolo
della mente, dimenticati, sperando che non tornino un giorno o
nell'altro in uno di quegli attacchi a tradimento. Perché
certi
discorsi, se ti accoltellano alle spalle un giorno di primavera,
mentre magari sei semplicemente in giardino a potare le rose, ti
lasciano lì a dissanguare lentamente, costringendoti a
strisciare
per andare avanti. E poi un cerotto non basta più.
« Se io non
fossi arrivata... se Jack non mi avesse chiesto di scrivere questo
articolo, o se magari le cose tra di noi fossero andate in modo
diverso... credi che adesso con te ci sarebbe stata Vanessa?»
Lui
sfoggiò uno dei suoi sorrisi disarmanti,
« Helen... le cose tra
me e Vanessa erano finite da tempo. Da molto prima che tu arrivassi.
Quello che è successo in Francia, o ciò che
è accaduto quando lei
è venuta qui a Los Angeles, non significa che io l'ho amata
per
tutto questo tempo, solo che lei è fin troppo insistente. Se
mi stai
chiedendo se hai rovinato una famiglia, la risposta è no.
Non vorrei
crescere i miei figli al fianco di qualcuno che non amo, per questo
ora ci sei tu.»
« Quindi... non sono una persona
orribile?»
Accennò una risata. « No, non sei una persona
orribile.»
Fui io a buttargli le braccia al collo, ad affondare
le mani tra i suoi capelli e a dare via a un bacio che si protrasse
per diversi minuti.
« Tu... il mio lavoro... sono felice. Questo
è tutto ciò che ho sempre sognato...»
Sussurrai tra le sue
braccia.
Jack mi aveva chiamata, come al solito, con un
gesto della mano. Ora era seduto alla scrivania e fissava il foglio,
poi me, poi di nuovo il foglio. A tratti alzava un dito per
correggermi qualcosa, ma la maggior parte delle volte ci ripensava e
continuava la lettura. Aveva aspettato che arrivassi – quel
giorno
non mi aveva svegliata alle 6 – affinché potessimo
correggere
l'articolo insieme. Solo che di errori non ce n'erano, visto che
avevo passato tutto il pomeriggio precedente a rileggere e a
correggere.
« Bene, bene...» Borbottò dopo un po'.
« Ti sei
davvero impegnata.»
« Come sempre.» Commentai arricciando le
labbra. Il fatto che sospettasse che non mi ero impegnata mi aveva
fatto leggermente innervosire. Forse perché quella notte non
avevo
dormito molto, ero molto suscettibile.
« Certo. Come limite ti
avevo dato 15 pagine, ma okay, vedremo di chiamare la tipografia, sto
giusto portando tutto ora.»
Sulla scrivania, dentro una
cartellina aperta, riuscivo a intravedere le foto e l'intervista di
sabato.
« Posso...?» Chiesi allungando una mano.
Lui annuì,
e io presi in mano la cartellina e sfogliai i tre fogli totali di
un'intervista durata 10 minuti.
« Chi ha scritto tutto?»
«
Ruth.»
Sospirai profondamente. « Proprio lei?»
« È brava
nel suo lavoro, non lasciarti influenzare dal modo in cui si
comporta.»
Scrollai le spalle. « Ormai è fatta.»
Lessi
qualche riga e notai che non aveva mostrato affatto il suo odio tra
le parole, anzi, tutto sembrava molto lusinghiero. Mi chiesi cosa
dovesse avergli offerto Jack. Presi tra le mani una delle foto che ci
aveva scattato il ragazzo impegnato; dovetti ammettere che ci sapeva
fare, e non poco. Sembravamo quasi una coppia qualunque di Hollywood,
solo che non era così.
« La vostra intervista è già su
Internet... i fan vi adorano.»
« Davvero? Sul sito del Rolling
Stone?»
« Sì, vuoi vederla?» Si sporse verso lo
schermo del
computer e con il mouse iniziò a cercare qualcosa su Internet
«
No, no, tranquillo, lo vedrò poi dalla postazione.»
« Okay,
allora io scappo. A domani, Helen.»
Lo osservai radunare tutto il
necessario per la tipografia, poi lo seguii con lo sguardo mentre
lasciava l'ufficio. Pochi attimi dopo, mi alzai e uscii.
Ebbi
il resto della giornata per prepararmi a ciò che sarebbe
successo il
giorno seguente, martedì.
Non fu abbastanza.
Quella mattina,
via posta, era arrivata l'edizione speciale del Rolling Stone, e
Johnny, dopo averla letta d'un fiato, l'aveva messa sul comodino, in
modo che potessi vederla. Il copertina c'era una nostra foto insieme,
quella in cui io stavo ridendo appoggiandogli una mano sulla spalla e
lui mi guardava sorridente. Durante il servizio non avevo notato quel
suo sguardo, quello che più tardi Claire avrebbe definito
“simile
allo sguardo di una donna che guarda una diamante che le
apparterrà
per sempre”.
Sapevo che era tardi e che Johnny era già uscito
ad accompagnare i bambini, ciò non mi aspettavo era di
rincontrarlo
in redazione, insieme a tutti gli altri giornalisti e all'editore.
L'edificio era grande, e ogni piano si occupava di una sezione
diversa del giornale (politica, musica, cinematografia...) eppure
quel giorno tutti i pezzi grossi erano lì a congratularsi
con me. In
realtà erano lì solo perché il loro
stipendio presto sarebbe stato
aumentato, ma non diedi molta importanza a quel dettaglio.
Ciò
che il giornale aveva deciso di fare era modernizzare il modo di
intervistare. Molti credevano che fosse impossibile conoscere
qualcuno solo in venti minuti, quindi ecco che questa nuova soluzione
usciva fuori al momento adatto. Onestamente non credevo che fosse
un'idea degna di una festa del genere, ma era troppo tardi per
fermarla. Risposi a ogni domanda che mi fu posta, parlai con ogni
singola persona nella stanza tra un bicchiere di champagne e l'altro,
quindi lasciai l'edificio solo a pomeriggio inoltrato con Johnny.
«
Sono passati 30 giorni...» Mormorò lui mentre
raggiungevamo la
macchina.
« Già. 30 giorni in cui ho imparato come odiare
davvero qualcuno.»
« Parli di Logan, vero?»
Accennai una
risata. « Logan o te, come preferisci.» Gli lanciai
un'occhiata.
«
Oh, avanti, non puoi paragonarmi a lui! Io ho un'isola!»
« Sì,
Mr. Depp, ma non vantartene!»
« Lo tiro fuori quando può farmi
comodo.» Rimase in silenzio per un paio di secondi.
« Senza contare
che hanno fatto una mia statua di cera!»
(Beh,
ma buongiorno!
Non ci sentiamo da un po', è vero, però ora sono
qui perché siamo giunti (quasi) alla fine. Tra un paio di
giorni
(spero) pubblicherò un piccolopiccolopiccolo epilogo, giusto
per
vedere come se la caveranno Helen e Johnny dopo qualche mese. Visto
che il primo capitolo è chiamato ''The beginning of a
nightmare'' mi
è sembrato più che appropriato chiamare l'epilogo
''The beginning
of a dream'', giusto per restare in tema.
Ringrazio tutte coloro
che mi hanno seguito sin dall'inizio e quelle che hanno iniziato a
leggere solo una settimana fa, quelle che hanno recensito e quelle
che sono rimaste in silenzio perché sono 'timide' (vi
capisco,
anch'io sono pigra, non vi abbattete).
Quindi nulla, grazie
grazie grazie! È stata davvero una gioia per me riuscire a
portare
questa ff su Johnny su EFP, e vi assicuro che a volte ho creduto
seriamente di non riuscire a portare a termine ciò che avevo
iniziato. Se ce l'ho fatta, è tutto merito vostro.
Adieu, mes
amies, e...
Cheers!~
)
|
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Capitolo 20 *** The beginning of a dream. ***
The
beginning of a dream
Peter
Dinklage sfila di fianco a me con un bicchiere pieno fino all'orlo in
mano. Quando mi nota, si ferma, alza lo sguardo e mi sorride.
«
Mi hanno fatto leggere di nascosto il primo capitolo.» Alza
il
bicchiere verso di me a mò di brindisi.
« Non sono George
Martin, ma faccio quel che posso!»
« Beh... se mai decideranno
di farne un film, sarò ben lieto di interpretare me stesso.
Per te
accetterei qualsiasi ruolo all'infuori dell'elfo.»
Sorrido. «
Non dirlo a tua moglie, però.»
« No, tranquilla, sei al sicuro
ancora per un po'. O no...» Lui si gira e incontra con lo
sguardo
la moglie che arriva a passi veloci. Gli prende la mano e si china
per lasciargli un dolce bacio sulle labbra. Sono la coppia
più
carina qui dentro. Forse più di Anna Paquin e Alexander
Skarsgard
che si guardano di continuo seduti sul divanetto all'angolo. Dopo il
divorzio tra la Paquin e
Stephen
Moyer,
i due si sono ritrovati sul set di True Blood.
Al centro della
sala che la mia agente, Claire, ha affittato, si trova il bancone di
esposizione del libro. Un giorno prima della stampa ho chiamato il
fotografo che andava di fretta durante l'intervista che abbiamo fatto
io e Johnny prima della pubblicazione dell'ultima parte dell'articolo
che mi ha permesso di fare tutto questo. Ho chiamato lui e tutti gli
attori le cui interviste sono contenute nel libro e ora sulla
copertina fanno bella mostra i primi piani degli attori. Formano una
specie di mosaico della lettera 'H'. Egocentrica.
Ci sono
Anna
e Alexander.
Il loro 'coming out' ha fatto piuttosto scalpore, soprattutto tra i
fan, poiché tutti erano piuttosto convinti che i rumor sul
divorzio
tra lei e il 'tenebroso Bill' fossero appunto solo tali.
C'è
Peter
Dinklage
con la sua vita come uno dei pochi attori affetto da nanismo preso
sul serio. Ricky
Gervais
teneva occupato Warwick
Davis,
e in più avevo potuto promettere al ''Folletto'' [n.d.s.
''Folletto'' è il soprannome del personaggio di Peter
Dinklage nel
Trono
di Spade]
che, al contrario del suo collega, non l'avrei infilato in un
water.
C'è Evan
Peters perché uno dei personaggi principali di uno
dei migliori
telefilm horror del momento, e perché personalmente lo adoro.
Ci
sono Robert
Downey Jr
e Benedict
Cumberbatch,
che hanno parlato del loro essere Sherlock Holmes in due Paesi
differenti e spesso in contrastro.
C'è un breve cameo di
Nathan Fillion
sul suo vecchio personaggio, il capitano Mal, nella serie
Firefly.
C'è
Ian
Somerhalder,
che per una settimana ha messo da parte i vestiti di Damon Salvatore
in The
Vampire Diaries
per indossare quelli del filantropo che ha creato una propria
fondazione, trascinandomi da una conferenza all'altra in giro per
l'America.
Ci sono Carrie
Brownstein
e Fred
Armisen,
protagonisti dell'assurda quanto innovativa serie Portlandia.
Devo dire che scoprire Portland con loro come guide è stata
un'esperienza entusiasmante.
Più che un libro sulla situazione
degli attori nel mondo della televisione e del cinema, forse sembra
più una guida turistica, ma non importa. È il mio
lavoro, è
qualcosa su cui ho lavorato per mesi e mesi, ed è questo
l'importante.
Beh, forse dovrei informarvi un po' sugli
avvenimenti recenti. Claire ha trovato la sua vera ispirazione e,
dopo corsi su corsi, è diventata ufficialmente la mia
agente. In
fondo è qualcuno che conosco da sempre e di cui mi posso
fidare. Si
è sposata con Clive e hanno avuto un bambino, Thomas.
È davvero un
amore, e Clive con un esserino così piccolo in braccio
è davvero
uno spettacolo da non perdere.
Per quanto mi riguarda, un mese fa
ho smesso di lavorare per il Rolling Stone, nel momento cruciale
nella vita di qualsiasi scrittore : la fine del libro. Le
pressioni di Jack servivano solo a farmi tornare a casa stanca e
nervosa, così un bel giorno ho dato il contratto in mano al
mio
avvocato – beh, in realtà è uno degli
avvocati di Johnny – e ho
abbandonato tutto.
Io e Johnny, dite ? Sì, noi siamo felici.
Abbiamo deciso di non avere figli, di crescere Lily Rose e Jack, che
ormai stanno diventando grandi. Viviamo insieme nella sua villa a Los
Angeles e passiamo i pomeriggi in salotto, lui sul divano e io sulla
poltrona, lui a suonare e io a scrivere. Dubito che sarei riuscita a
inseguire il mio sogno senza di lui. Ormai dubito di riuscire a
buttare giù una sola frase senza la sua chitarra in
sottofondo. Ci
sono certi supereroi nei cartoni che hanno bisogno di un oggetto
magico per riuscire a trasformarsi e a fare ciò che fanno
meglio. Io
ho bisogno delle sue melodie.
Viene nella mia direzione con un
sorriso stampato sulle labbra. In lontananza vedo Marilyn Manson
salire sul palco. Ha insistito così tanto sul voler suonare
alla
festa della presentazione del mio libro che non ho saputo dirgli di
no. Ora l'osservo e, sentendo il braccio di Johnny intorno ai miei
fianchi, mi sembra di vivere un sogno ad occhi aperti, e ho sempre
più paura di svegliarmi.
« Non lasciarmi andare.» Sussurro al
suo orecchio, senza abbandonare quel finto sorriso che ho imparato ad
indossare.
Lui mi scruta qualche attimo nella penombra del locale,
sta cercando di capire il significato di quelle parole. Che sia in un
futuro immediato o in questo esatto momento non importa, ciò
che
m'interessa è che non abbia intenzione di farlo.
« Mai.» Risponde. Dal suo sguardo capisco che sta
dicendo la verità, che
tutto ciò che ho vissuto standogli affianco l'ha vissuto
anche lui,
come uno specchio.
Mi guardo intorno e incontro gli sguardi di
quelle persone, celebrità che in fondo cercano solo di
migliorare un
mondo in cui, ogni tanto, si ha bisogno di una risata, di uno sfogo o
anche solo di smettere di pensare per qualche minuto ai propri
problemi per arrivare alla fine della giornata. Celebrità
che si
sono aperte di fronte a me per creare qualcosa di più
grande.
Qualcosa di nuovo.
Qualcosa di importante.
All
the world's a stage
And all the men and women merely players
They
have their exits and their entrances
[...]
Last scene of
all
That ends this strange eventful history
Is second
childishness and mere oblivion
Sans teeth, sans eyes, sans taste,
sans everything.
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