Ten little things that make me hate (love) you ♥

di Iria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1- Pride [840 parole] ***
Capitolo 2: *** #2- Coldness [745 parole] ***
Capitolo 3: *** #3- Silence [890 parole] ***
Capitolo 4: *** #4- Winter [1415 parole] ***
Capitolo 5: *** #5- Darkness [1010 parole] ***
Capitolo 6: *** #7- Sunrise [910 parole] ***
Capitolo 6: *** #6- Christmas [1250 parole] ***
Capitolo 8: *** #8- Gloom [1330 parole] ***
Capitolo 9: *** #9- Scars [940 parole] ***
Capitolo 10: *** #10- Promises [1125 parole] ***



Capitolo 1
*** #1- Pride [840 parole] ***



Ten little things that make me hate (love) you

#1- Pride [840 parole]

Kei Hiwatari quella mattina aprì gli occhi nell’oscurità con un’unica certezza: undici settembre.
Il loro anniversario.
Si voltò con cautela verso il ragazzo ancora profondamente addormentato al suo fianco e sospirò amaramente.
Forse risultava insensibile e superficiale ricordarlo ma, dieci anni prima (, erano trascorsi dieci anni di torture e combattimenti), mentre al televisore della sala d’attesa della BBA –dove si erano diretti per disdire la loro partecipazione al nuovo torneo- passava la notizia della tragica vicenda che aveva sconvolto il mondo intero e Yurij Ivanov fissava incredulo le immagini trasmesse; lui, il freddo “non osare guardarmi negli occhi” Kei Hiwatari aveva posato un bacio forse un po’ troppo maldestro e ruvido sulle labbra del russo già shockato.
Era stato un impulso che, scaldandogli le vene con febbricitante adrenalina, l’aveva spinto ad osare e, subito dopo, a mollare il giovane dai capelli rossi in quella stanza, col ronzio della televisione ed il panico dei giornalisti a tenergli compagnia…
In verità, non ricordava l’esatto momento in cui avevano “ufficializzato” il loro rapporto.
Semplicemente, qualche tempo dopo –giorni, settimane o mesi non saprebbe dirlo-, mentre era sdraiato pigramente all’ombra di un albero, Yurij gli si era seduto vicino in silenzio posandogli una mano sulla sua.
In quel momento seppe solo di aver sorriso.
Quindi, visto che l’unica data per loro rilevante era stata quell’undici settembre, in un muto accordo la elevarono ad anniversario.
Però bisognerebbe aggiungere che i due mai si erano scambiati un augurio.
Kei era troppo orgoglioso per fare il primo passo e Yurij decisamente troppo testardo per mollare a metà la contesa.
Ma quel giorno, bhé, era diverso; e se persino Hiwatari l’aveva realizzato allora doveva essere così.
D’altra parte, dieci anni non erano sicuramente una manciata di fazzoletti sporchi da buttar via…
Ci impiegò qualche attimo per capire che il suo sguardo totalmente perso in discutibili –per profondità- considerazioni fosse ricambiato con la stessa forza da due attenti occhi azzurri.
Il giapponese si lasciò andare ad un lungo sospiro –solo il secondo della giornata, e pensare che presto ne avrebbe perso il conto..!-, odiandosi profondamente per ciò che le sue labbra erano in procinto di articolare.
Boccheggiò, si morse la lingua un paio di volte, poi impose il suo solito sguardo duro ed impenetrabile.
No, no, no ed ancora no.
Al suo fianco, Yurij non batté ciglio e dalla sua espressione era intuibile che non si aspettasse assolutamente nulla da lui…
Allora si mise a sedere e, accedendo l’abat-jour sul comodino, sollevandosi, si avviò in bagno.
Fu in quel momento che l’adrenalina, sopitasi bellamente dieci anni prima, gli tirò un secondo brutto scherzo lasciandolo nuovamente nella merda.
Che bastarda.
“Buon anniversario.”
Ivanov si bloccò nell’atto di tirar fuori uno dei tanti calzini solitari sperduti nel loro cassetto.
Kei vide ogni singolo muscolo di quella bianca schiena contrarsi e rilassarsi nell’arco di un secondo e questo non fece altro che confermare i profondi timori dell’asiatico: per quanto la sua voce fosse risultata roca e silenziosa, Yurij ne aveva percepito il dannato suono.
Però, con calma e senza lasciar trapelare neanche una singola goccia della grande felicità di cui  fu improvvisamente ebbro, il russo si voltò con un sorriso.
“Anche a te.” Bisbigliò alla stessa maniera, per poi chiudersi la porta del bagno alle spalle.
Non volle rivolgere neanche uno sguardo al proprio riflesso nello specchio, lasciando che l’unica e silenziosa lacrima di felicità che avesse mai versato si asciugasse ed imprimesse in eterno sulla sua guancia…

Dall’altra parte della stanza, Kei si portò una mano alle tempie.
Visto il suo fottuto e -segretamente- odiato orgoglio, probabilmente ci avrebbe impiegato minimo altri dieci anni per invitare Yurij a cena.
Non che avesse grandi speranze di credere che per allora il ragazzo sarebbe stato ancora al suo fianco, ma visto l’andazzo della vita che portava avanti non riusciva ad immaginare null’altro di diverso che non fosse Yurij, nel suo nebuloso futuro.
Non era un pensiero dettato da chissà quale intrinseca dolcezza…
Era solo nascostamente contento del suo presente e la parte più o meno ottimista del lugubre carattere che si ritrovava aveva cominciato a scolpire un piccolo augurio di stabilità.
Ed il primo ostacolo da superare per ottenerla sarebbe stato proprio quello di limitare il suo logorante orgoglio.
Sapeva che toccava a lui iniziare; infatti, era consapevole di risultare completamente odioso ed arrogante a causa di tale fastidioso difetto
Ovviamente, Yurij aveva le sue infinite pecche, ma Kei con una soltanto le surclassava tutte in intrattabilità…
Ah, era davvero sorprendente che stessero ancora insieme..!
Dieci anni di sguardi, di litigi, di silenzi e di poche, tenere parole.
Cazzo, dieci anni di -meraviglioso- sesso sempre con la stessa persona.
E se l’era portato dietro con costanza, quell’orgoglio…
Che fosse finalmente giunto il momento di scrollarsene un po’ di dosso almeno con Yurij..?
Eppure, nel profondo, ricordava che doveva molto anche a quella fottuta stronza della propria boria.
Ahah!
Già, se non fosse stato per lei, probabilmente –no, anzi, sicuramente-, non avrebbe mai trovato neanche il coraggio per amare un altro uomo…

*Owari*

Eccomi qui a presentarvi la contro parte e l’altra faccia della medaglia di “Ten little things that make me love (hate) you ♥”! °O°
In verità, non è necessario leggere l’altra piccola raccolta, ma se vi va di farvi un giro e di lasciarmi un piccolo parere la troverete fra le mie storie! V_V  *fine pubblicità occulta*
Bene, che dirvi?
Mi piaceva l’idea dell’undici settembre come anniversario, il parallelismo fra il panico nella maggior parte del mondo e persone che, tutto sommato, hanno continuato a svolgere le loro attività quotidiane senza consapevolezza alcuna.
Poi, mi stuzzicava anche l’idea che Yurij e Kei stessero insieme da dieci anni.

Un tempo infinitamente lungo, che deve aver reso maturo il loro amore, no..?
Considerando, poi, che oggi giorno un sentimento così duraturo è troppo, troppo raro… la cosa mi ispirava, ecco.
Bhé, mi auguro che questa one-shot vi sia piaciuta! ^^
Ho pronti tutti i capitoli –mi manca solo il decimo, l’ultimo XD-, quindi più o meno l’aggiornamento dovrebbe essere regolare  O.ò…
Ma non fidatevi mai della sottoscritta! V_V’’
Well, that’s all folks!
Spero mi lascerete una vostra opinione! ^^
Baci!
Iria.

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Capitolo 2
*** #2- Coldness [745 parole] ***


Ten little things that make me hate (love) you

#2- Coldness [745 parole]

 

Yurij Ivanov sapeva che sarebbe rimasto solo.
Ogni anno era stato così ed anche quel ventitré dicembre, sicuramente, non avrebbe avuto nulla di diverso dai tanti altri.
Il suo compleanno lo trascorreva sempre alla stessa maniera: comprava una pizza, si accomodava sul piccolo tavolo da due nella
loro –sua e di Kei- cucina, guardava la televisione e poi andava a stendersi nella semi oscurità della camera da letto, concedendosi totalmente alle braccia Morfeo.
Per un po’ attendeva il ritorno di Hiwatari, giusto perché credeva che non fosse carino coricarsi prima del compagno, ma puntualmente la stanchezza della giornata lavorativa gli crollava addosso e davvero non riusciva a resistere al sonno.
E non lo sentiva mai, il bacio che gli sfiorava appena la fronte…
Inoltre quella sera, come aggiunta al suo
tradizionale menù di compleanno, aveva comprato anche un grosso muffin al cioccolato.
L’aveva visto esposto nella vetrina di una pasticceria americana in centro; e poiché era da tempo che non ne mangiava uno -dal suo ultimo viaggio negli USA-, aveva deciso che non sarebbe stato poi così tragico aggiungere un dolce alla sua solitaria cena.
Facendo queste considerazioni, aprì il cartoccio della pizza e, accomodandosi, iniziò a mangiare in tutta calma, fissando -senza davvero vederli- i volti sorridenti e solari di alcuni tizi di una stupida pubblicità per spazzolini da denti.
Di tanto in tanto, fermandosi a
guardare il trancio di pizza che aveva in mano, si mordeva un labbro come a volersi imporre di mangiare, per poi versarsi un po’ della birra scura che avevano in casa.
Infine, quando sentì la porta dell’appartamento aprirsi lentamente, era forse la decima volta che mollava la stessa fetta di pizza nel cartone per servirsi da bere; ed allora intuì anche che doveva essersi fatto piuttosto tardi, visto che ai suoi occhi si presentò un Kei Hiwatari evidentemente confuso.
“Cosa ci fai ancora in piedi?”
Aveva riacquistato il suo self-control nel giro di un picosecondo, ricostruendo perfettamente l’espressione più distaccata che avesse a disposizione nella sua esclusiva collezione monotematica..!
“Buonasera, eh…” Fece seccato Yurij in tutta risposta, mettendo definitivamente da parte la
pizza che, a quanto sembrava, non era di suo gradimento.
Kei lanciò un rapido sguardo alla famosa pietanza italiana praticamente lasciata intatta e si torturò coi denti l’interno della guancia.
Una capricciosa.
Bhé, era la
sua pizza preferita, e non certo quella di Ivanov…
Allora, senza dire una sola parola, si sedette di fianco al giovane prendendone una fetta come se nulla fosse accaduto; come se lui fosse semplicemente arrivato tardi per la cena del venerdì sera.
Yurij, dal canto suo, rinunciò anche al muffin e, dopo solo il primo morso, s’avviò in 
camera da letto non appena Kei ebbe iniziato a mangiare, considerando quanto fosse stato idiota a ricercare la presenza del compagno in un banalissimo piatto straniero…
Coglione, coglione, coglione.
Però, quando giunse in stanza, dando uno sguardo all’orologio, comprese.
Ah, appena le undici.
Bhé, di sicuro non era lui ad essere fuori posto a quell’orario.
Quindi, ritornando sui suoi passi, si affacciò alla porta della cucina dove un solitario Hiwatari carezzava con la punta delle dita una lunga scatolina incartata.
Dopo un breve momento di esitazione, in cui parve che l’asiatico stesse per alzarsi, Yurij lo vide scuotere il capo ed infine rimettersi il pacchetto nell’interno della giacca; ed intuì che anche per quell’anno avrebbe trovato per caso un regalo che sarebbe stato
troppo difficile consegnare personalmente.
Il giovane Ivanov, allora, chinò appena il capo per poi avvicinarsi silenzioso al giapponese e, cingendogli da dietro il collo con le braccia, incrociando le mani sul torace largo del compagno, avvertì il cuore di Kei aumentare di qualche battito sotto quel suo lieve tocco.
Dunque, beandosi della fragranza fresca e muschiata che solo ad Hiwatari poteva appartenere, sussurrò.
“Grazie.”

Yurij Ivanov sapeva che per quella volta non avrebbe sentito un ‘Buon compleanno’ uscire dalle labbra di Kei, ma –nonostante questo gli infondesse una dose assolutamente non trascurabile di sano
fastidio- già la sua sola presenza per nulla casuale -come invece aveva cercato di fargli credere!- era stata un meraviglioso regalo.
Oh, entrambi serbavano un po’
troppa freddezza nel cuore, questo era evidente.
Eppure, probabilmente, era proprio il gelo che sciogliendosi rendeva assai più piacevoli e caldi quei gesti ritenuti consueti ed ovvi da molti; ma con cui loro nutrivano l’amore agrodolce che, paradossalmente, ancora li legava con inaspettata… ma, sì, forse
forza -con ogni probabilità- doveva essere la parola che più addiceva a quei due.


*Owari*

 

Oh, bene!
Finalmente pubblico anche questo secondo capitolo: non ho molto da dire al riguardo.
Ritengo, personalmente, che sia meraviglioso accettare certe sfacciatture del carattere del proprio compagno, anche se queste non sono poi così tanto “digeribili”.
La freddezza è una di queste, a mio dire.
Bhé, mi auguro che anche questa shot possa esservi piaciuta, ringrazio chi ha commentato il prcedente capitolo e a tutti gli altri dico:
“Aspetto le vostre opinioni!” ^^
Fatemi sapere!
Un bacio!
Iria.

 

  

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Capitolo 3
*** #3- Silence [890 parole] ***



Ten little things that make me hate (love) you

#3- Silence [890 parole]

Nel corso della propria vita Kei aveva imparato a riconoscere diversi tipi di silenzio.
C’era quello ronzante del suo ufficio rinfrescato dall’aria condizionata e quello rispettoso dei dipendenti; c’era quello opprimente e sonnacchioso delle sale d’attesa e quello dolce e pigro d’un parco assolato alle prime ore del pomeriggio…
Poi c’era il silenzio di Yurij, l’unico che forse più lo frustrava e rilassava alla medesima maniera.
Già, Hiwatari aveva memorizzato ogni singola sfumatura del mutismo del proprio uomo…
Riusciva a percepirvi l’irritazione o la gioia anche solo ascoltando il ritmo del respiro del russo; ed allora poteva intuire come porsi nei confronti del giovane e se lasciarlo solo o sederglisi di fianco ad aspettare, offrendo come appiglio unicamente la sua presenza.
Sì, neanche Kei era particolarmente loquace, soprattutto se si aggiungeva la questione che, di norma, toccasse a Yurij provare ad articolare un discorso..!
Eppure non sembravano essere stanchi l’uno dell’altro.
Infatti, avrebbero volentieri affermato che ad entrambi -pur preservando certamente la propria privacy- erano ovvi e conosciuti i timori e le sicurezze che li tempestavano, senza bisogno alcuno di farsi reciproche domande.
Però quella sera il silenzio di Yurij risultò completamente asettico alle orecchie di Kei.
Inizialmente, pensò che il giovane non fosse in casa: la televisione ed il riscaldamento non erano accesi e, allo stesso tempo, non riusciva ad avvertire il calore del compagno.
Hiwatari era fermamente convinto che, entrando in un appartamento all’apparenza vuoto, vi fossero delle tracce che lasciassero intendere la presenza o il passaggio di qualcuno.
Erano particolari e difficili da definire, certo, ma esistevano; apparivano palpabili ed il corpo umano le percepiva.
Ma quella volta il silenzio gli piombò addosso come un mostro famelico; ed il giapponese si sorprese non poco quando vide una luce giallognola provenire dalla camera da letto.
Sul serio, credeva d’essere solo.
Ivanov non era mai stato così distante dai suoi sensi.
E s’incupì, perché nel profondo del proprio cuore capì quanto non gli piacesse quell’improvviso confinamento lontano dal familiare tepore di Yurij.

Quando entrò nella stanza, fissò a lungo il compagno.
Questi era seduto sul bordo del letto ed evidentemente stava stringendo da un bel po’ di tempo la lettera che aveva tra le mani, perché era quasi del tutto stropicciata.
Pareva che l’avesse appallottolata più e più volte, per poi recuperarla e rileggerne il contenuto dopo ogni lancio nel cestino…
“Cos’è successo?”
Quella di Kei, in parte, suonò quasi come una perentoria pretesa di spiegazioni.
Però Yurij non vi badò più di tanto, limitandosi semplicemente a sollevare il bel viso, a fissare intensamente Hiwatari e a porgergli il
temibile foglio.
Il giapponese lo prese e, ricambiando lo sguardo, portò la propria attenzione alle parole stampate nero su bianco.
Intravide una tristezza che aveva sperato fosse stata definitivamente cancellata dagli occhi di Yurij.

Alla Cortese att.ne del Sig. Yurij Ivanov

Oggetto: Comunicazione avvenuta scarcerazione del detenuto Vladimir Vorcov.

Egr. Avv. Ivanov,
Con la presente siamo a formalizzare quanto segue.
In data 12/01/2012 alle ore 12:30 il detenuto Vladimir Vorcov è stato rilasciato dal nostro carcere in grazia della sua buona condotta.
L’informazione, come da lei richiesto all’incarcerazione del sopraccitato nel giorno 31/10/2005, verrà inoltrata anche ai Sig.ri Boris Huznestov, Ivan Pavlov e Sergej Petrov.
Ringraziando per la cortese attenzione accordataci, le porgiamo distinti saluti.

Lì, 13/01/2012.

Kei rilesse diverse volte quelle poche e fredde righe; e ad ogni nuova lettura la sua presa sul foglio si fece sempre più rigida.
Ora comprendeva.
Oddio, ormai erano adulti –anche se sarebbe stato più corretto dire che non avevano conosciuto null’altro se non la maturità -, però in qualche modo la figura di Vorcov ancora li inquietava… un po’ come la famigerata ed antica bestia sotto al letto che, per quanto si potesse essere divenuti grandi, non si sarebbe mai riusciti a sconfiggere.
Ecco, per dirla in parole povere, l’uomo nero di Yurij era proprio Vladimir Vorcov…
Hiwatari si accomodò con un sospiro di fianco al compagno, gettando dall’altra parte della stanza quella che a suo illustre parere altro non era che carta straccia neanche tanto utile per pulirsi il sedere.
Però, a quel punto, davvero non seppe più come comportarsi; e lì, accanto ad Ivanov, avvertì solo il suo dubbioso silenzio gridare.
“Ho bisogno che tu mi stringa.”
Le parole del russo giunsero come in risposta ai suoi tormenti, ed allora percepì che per una volta persino per loro due la quiete del muto comunicare non sarebbe stata sufficiente.
Quindi, senza fare alcuna resistenza o porsi esitazioni, Kei lo avvolse completamente in un abbraccio contro il proprio torace.
Cercò di imprimere quanto più calore gli fosse possibile in quel gesto, riuscendo allora a captare nuovamente i sentimenti e le inudibili parole di Yurij.
Il disprezzo, la rabbia, il disgusto ed un qualcosa che arrivava a rassomigliare alla delusione si impressero nelle sensazioni di Hiwatari come tagli sul legno, come lividi sulla pelle; ed in quel momento seppe che non avrebbe più accettato che una simile sofferenza osasse anche solo sfiorare Yurij.
Si ripromise che il silenzio di Ivanov avrebbe continuato a parlargli e che tutto ciò che ne avrebbe compromesso la stabilità sarebbe stato sradicato ed estirpato sul nascere.
Perché era anche grazie alla dolce unicità di quei dialoghi ed alla tremenda crudeltà dei muti rimproveri, se potevano dirsi uniti da quello che, no, non era solo banale e frivolo amore.

*Owari*

Eccomi finalmente giunta col nuovo capitolo e, sorpresa sorpresa, oggi sono quattro, quattro  anni che gironzolo su EFP.
Cavolo, non sono mai stata così costante in qualcosa! 8D
Bhé, che dire? Mi auguro che anche questa shot possa esservi stata gradita, personalmente è una di quelle che preferisco ^^’.
Mi auguro di ricevere delle vostre opinioni, sono sempre bene accette! ^^
Un bacio e grazie per l’attenzione!
Iria.

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Capitolo 4
*** #4- Winter [1415 parole] ***



Ten little things that make me hate (love) you

#4- Winter [1415 parole]

L’inverno era il periodo dell’anno che Yurij forse più odiava; e ciò poteva risultare assai inaspettato, soprattutto considerando le origini slave del ragazzo.
Insomma, il freddo e la neve avrebbero dovuto quantomeno infondere al suo animo ed ai suoi ricordi un’agrodolce nostalgia.
Tra l’altro -fottuto scherzo del destino- persino nel suo beyblade, un tempo, era insito il potere del ghiaccio -ma, bhé, a sua discolpa poteva solo dire di non aver mai partecipato ad un torneo se non per cause di forza maggiore.
Eppure, nonostante ciò, il giovane Ivanov fissava con rancore i candidi fiocchi, desiderando solo che la smettessero d’imbrattare di bianco la sua esistenza.
Pregando che la finissero di perseguitarlo.
Supplicando che rinunciassero a soffocarlo.
Chiudeva tutte le tende alle finestre e, lasciando l’appartamento in una grigia penombra, aspettava semplicemente che la nevicata si dissolvesse e che quel candore si tramutasse in fango sporco.
Respirava il gelo, consentendo all’inverno di depositarsi con cura sulla sua anima e socchiudeva gli occhi.
Intorpidito, non aveva neanche più la forza di muoversi o di accendere il riscaldamento; di star sdraiato o seduto.
Rimanendo lì in piedi ed indifeso si limitava, quindi, a lottare contro le tempestose schegge di ghiaccio dell’inverno in ciò che assumeva sempre più le vaghe, ma spaventose sembianze d’un incubo senza fine.
C’era solo una mano bianca ed avvizzita in quella tormenta che, tendendosi verso di lui nell’angosciante caos, pareva volergli donare un aiuto e porgergli una promessa simile a gelido cristallo.
Lui, accettando in preda alla disperazione, gridava.
L’inverno lo stava divorando.
Il sangue deturpava la neve.

Kei non sapeva spiegarsi il perché, ma appena vi era la nevicata che preannunciava l’arrivo della fredda stagione il compagno, senza alcun apparente motivo, perdeva i sensi.
Negli anni aveva già notato che le uniche occasioni in cui Yurij sembrava avere seriamente bisogno del suo aiuto fossero solo quelle in cui il cielo si tingeva per la prima volta di bianco.
Infine, per il resto dell’inverno, il russo si limitava a rinchiudersi in un persistente e cocciuto malumore che metteva a dura prova i saldi nervi di Kei…
Quel giorno erano entrambi in casa, nella sala da pranzo, quando dei timidi fiocchi di neve iniziarono a macchiare l’asfalto delle strade.
Hiwatari vide subito Ivanov venir meno davanti ai propri occhi e, prima che il giovane battesse la testa, riuscì a passargli una mano intorno alla vita, attutendogli la caduta.
Sentiva il respiro del giovane regolare, certo, e sapeva che non vi era nulla di cui preoccuparsi, eppure
Yurij aveva tirato tutte le tende e la casa era nella penombra; già, in qualche modo pareva che Ivanov avesse tristemente desiderato ripararsi dalla neve.
Oh, Kei non riusciva proprio a comprendere quella situazione e ciò non faceva altro che frustrare ed irritare ancor più il giapponese il quale, rassegnato, con un sospiro dovette solo limitarsi a sedersi sul pavimento e, poggiando il capo di Yurij sulle proprie cosce, a chinare lo sguardo per fissare il volto corrucciato e dormiente del compagno.
“Che diavolo c’è in quella tua testa..?”

Quando Yurij si svegliò, doveva essersi fatto molto tardi.
Lo scoppiettio del camino rideva nelle sue orecchie ed avvertiva che la punta del proprio naso -con molte probabilità- si fosse completamente arrossata.
L’odore della legna ardente gli stuzzicava le narici, così come quello più dolce di qualcosa che vi veniva cotto sopra.
Aprì piano gli occhi, per evitare di restare accecato dalla luce del fuoco.
“Finalmente ti sei svegliato…”
Era sdraiato sul tappeto della sala da pranzo, avvolto in una coperta patchwork.
In quel momento, la sonnolenza ed il dolce tepore che l’avevano accolto parvero ritirarsi d’un tratto e Yurij, che aveva provato a sedersi, dovette necessariamente stendersi di nuovo a causa di un capogiro e del freddo che lo fece rabbrividire.
Appena disorientato per quel brusco cambiamento, il giovane si portò una mano alle tempie scuotendo la testa, quasi a voler scacciare un pensiero malevolo; poi, con fare inquisitorio rivolse lo sguardo a Kei come se pretendesse delle spiegazioni.
E subito.
Ma zittì di colpo la domanda che stava per affiorargli alle labbra, quando vide Hiwatari togliere via dal camino una fetta di pane imburrato fattasi dorata e porgergliela con l’accenno di un sorriso.
“Sei svenuto… ed io non ho potuto fare niente per evitarlo.”
Ivanov, provando ancora a sedersi e riuscendovi, prese ciò che Kei gli tendeva addentandolo affamato.
Nella voce del compagno aveva chiaramente distinto una nota di ostile rammarico e si incupì per questo.
Lui, Yurij, ormai poteva vantare di conoscere abbastanza approfonditamente Hiwatari, tanto da riuscire a distinguere e ad individuare la preoccupazione nella sua voce.
Sapeva di essere la causa di quel turbamento e si sentiva anche piuttosto incazzato con se stesso per tale motivo…
In silenzio, quindi, si era spostato al fianco di Kei che, piombato ovviamente nel proprio mutismo ed osservando il fuoco, di primo impatto non si accorse che la coperta lo avesse teneramente avvolto.
Quando, poi, avvertì il peso della testa di Yurij sulla spalla, si riscosse dai suoi pensieri.
“Puoi dirmi cosa ti prende ogni volta..?” La richiesta parve più rivolta alle fiamme che al giovane accanto a sé.
Distaccato com’era, sarebbe stato quasi comico se non offensivo provare anche solo a pensare che, in quel momento, Kei fosse sinceramente in pensiero.
“Mi fai la stessa domanda tutti gli inverni.”
Yurij si rigirò tra le mani il pane che non aveva ancora finito, anche lui discutendo pacatamente col fuoco che, scoppiettando, risultava assolutamente indifferente alle loro attenzioni.
“Bhé, forse è arrivato il momento di una risposta, non trovi?”
Hiwatari decise che stavolta la domanda andava posta al diretto interessato; quindi, piantandola di corteggiare le fiamme, si voltò a fissare Yurij con insistenza, provando ad eclissare in una remota regione del proprio cervello il pensiero che quell’istante fosse –tutto sommato- davvero bello.
Ivanov si limitò a ricambiare lo sguardo dell’amante, in silenzio.
Bhé, lui da anni sapeva a cosa fosse dovuto quell’annuale mancamento; e di certo non era particolarmente disposto a discuterne i motivi.
I medici le definivano tra di loro “fughe magiche”(*)… o svenimenti da trauma, che dir si voglia.
Tutta quella merda, in pratica, avveniva a livello subconscio: il suo cervello durante un dato evento –la prima nevicata- rievocava le memorie che aveva preferito stipare a forza in un cassetto troppo piccolo della mente, portandolo a perdere coscienza di se stesso.
Nulla di incurabile, per carità!
Aveva solo bisogno di qualche seduta da uno strizzacervelli, cosa che però non gli andava particolarmente a genio…
Quindi, ringraziando il buon Cielo -e Vorcov, naturalmente-, preferiva tenersi stretto le proprie stranezze ed i risvegli traumatici in ufficio/in strada/sul tappeto persiano in casa.
Che testardo.
“Penso che non cambierebbe nulla. Tu lasceresti comunque che sia io a decidere cosa fare; e già conosco le mie intenzioni e ciò che metto in ballo… rischierei solo di perdere le tue cure.”
L’ultima affermazione non era tinta di malizia come ci si sarebbe potuto aspettare; anzi, fu pronunciata appena ed anche con un pizzico di malcelato imbarazzo…
Sì, pure Yurij aveva ancora i suoi bei problemi nell’esternare le proprie emozioni, ma almeno ci provava.
Fallendo miseramente, certo.
Kei, da parte sua, non sapeva davvero cosa dire di rimando; allora, si limitò a fingere di non aver sentito quell’ultima frase, esaudendo persino le vane speranze di un Ivanov in preda ad assurdi scongiuri.
Però non si negò di sorridere né, inconsciamente, di stringere un po’ più a sé l’amato.

Yurij Ivanov non poteva fare a meno di odiare l’inverno.
Gli gelava il cuore, il corpo e la mente e, trascinandolo in un vortice di grotteschi incubi ed ammuffiti ricordi, lo piegava in ginocchio.
Molte volte quella sua irragionevole e sfrenata furia era stata causa di violenti litigi, durante i quali il giovane si era ritrovato spesso a sputare contro il compagno tutto l’odio –fasullo, fasullo, fasullo- che covava nei suoi confronti.
Però quella volta, anziché annegare nell’ira si ritrovò avvolto dal profumo di Kei, a nuotare in esso; e si disse che sarebbe stato bello restare aggrappato ad Hiwatari per tutto lo scorrere della stagione...
Oh, forse il Vecchio Signor Gelo stava iniziando ad affezionarsi anche lui.
Già.
Magari, l’anno seguente, non avrebbe più  torturato con glacialità ciò che restava del suo passato a brandelli.
Lo sperava ardentemente…
Quindi, augurandosi solo di poter tornare ad abbracciare Kei in quella stessa ed intima maniera –ossia anima contro anima-, volle solo sussurrare con gratitudine poche e faticose –soprattutto se rivolte a lui..!- parole.
“Spasiba, Ser Zima… (*)

*Owari*

Eccomi qui, finalmente =).
Anzi tutto, le due noticine.
La prima riguarda le “fughe magiche” che, come detto, sono dei mancamenti che colpiscono le persone in una data situazione che ricorda un trauma o in uno stesso momento traumatico.
L’ultima frase, in russo, significa “Grazie, signor Inverno”, o almeno credo… le mie conoscenze di russo sono assai –molto, troppo- limitate. XD
Bhé, che dire?
Questa shot mi è piaciuto scriverla, anche perché ho inserito un elemento “autobiografico”…
Quando ero piccola, andavo spesso da quella che all’epoca consideravo la mia migliore amica; aveva un camino ed ogni volta la mamma ci scaldava il pane sul fuoco col burro, del formaggio o con dei salumi.
Era bello e rilassante, d’inverno, mangiare e chiacchierare davanti al camino o solo osservare il fuoco.
Bei tempi, sul serio…
Bhé, dopo queste  chiacchiere un po’ inutli e forse noiose, vi saluto! =)
Spero di ricevere delle vostre opinioni, sono più gradite e fanno sempre piacere!
Un bacio!
Iria.

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Capitolo 5
*** #5- Darkness [1010 parole] ***


Ten little things that make me hate (love) you

#5- Darkness [1010 parole]

Per Kei l’oscurità era stata spesso una complice: nascondeva i suoi timori, ingurgitandoli nel silenzio delle notti scandite dai respiri di Yurij.
Hiwatari non era il tipo che lasciava trasparire tanto facilmente i propri problemi… se Ivanov quando era teso tendeva ad irrigidire le espressioni del viso in maniera quasi inquietante, il giapponese si limitava ad attendere il calare delle tenebre.
Sedeva sul proprio lato del letto, concedendosi tutti i secondi, i minuti e le ore che gli servivano per ritrovare la tranquillità.
Alle volte non dormiva, precludendo al sonno qualsiasi possibilità di insinuarsi fra le sue palpebre pesanti e dominarlo.
Allora il buio lo abbracciava e, cullandolo, impediva alla disperazione di piantare perversi semi nel suo cervello.
Già, il giovane Hiwatari non poteva sopportare di star calpestando le orme di suo nonno: quell’uomo aveva rappresentato quanto di più spregevole la vita potesse offrirgli..!
Però, certamente, essere il direttore di una grande azienda era piuttosto soddisfacente dal punto di vista economico.
Bhé, lui in tutta sincerità avrebbe voluto scrivere e fare successo con qualcosa che avesse differito profondamente dalla banale superficialità del beyblade.
Ma il suo spirito razionale e ferreo aveva preferito optare subito per una stabilità ben piantata per sé ed il compagno, senza la presenza di quei troppi punti interrogativi che sarebbero sicuramente spuntati al porsi domande sul successo editoriale di un romanzo…
L’oscurità, quindi, assorbiva tutti i sogni e le perplessità del giovane, nutrendosene con l’ingordigia tipica d’un maiale affamato.
Infatti, in quella maniera il cuore di Kei non rischiava più di vacillare; e tornava la convinzione che le sue scelte fossero state quelle più giuste in assoluto.
Certo che, però, narrando i suoi desideri al vuoto, il buio a poco a poco gli si insinuava sotto la pelle, rendendolo un po’ più apatico…
Non vi era il calore umano di un corpo a stringerlo e a sussurrargli che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che nulla di ciò che aveva intrapreso avrebbe potuto fargli del male.
Kei era troppo orgoglioso –o forse troppo vigliacco..?- per ammettere innanzi a chi davvero aveva importanza per lui di stare, alle volte, decisamente male.
Quindi, si crogiolava nel buio della camera da letto, pregando che i tenui respiri di Yurij restassero regolari e che il compagno non si svegliasse: sarebbe stato intollerabile, per lui, sostenere lo sguardo indagatore del giovane in quegli attimi…
Oh, restavano solo le tenebre che, calategli attorno, lo guardavano con grottesca tenerezza, lasciandolo auto convincersi che tutto, tutto andasse bene.

Yurij odiava profondamente l’oscurità.
Isolandolo, lo allontanava da Kei al pari di un’amante gelosa ed inviperita che per nulla al mondo avrebbe condiviso il proprio uomo; e ciò che più lo infastidiva era la barriera che d’improvviso si ergeva tra loro.
Ivanov sapeva che, spesso, Hiwatari cercava un riparo tra le braccia delle tenebre, cacciandolo via dal suo mondo di preoccupazioni.
Bhé, il russo non era uno stupido ed intuiva i tormenti del compagno: alle volte era rimasto sveglio con lui e, fingendo di dormire, aveva atteso per tutto il tempo di cui Kei necesitasse per ritrovare la serenità.
Però, per quanto rispettasse quel bisogno del giovane di voler affrontare i propri problemi nel buio, non poteva non amareggiarsi sentendosi avvolgere in un involucro di inutilità

Una notte sembrò che Kei impiegasse più tempo per reprimere i propri timori.
Addirittura Yurij fu sicuro che ormai stesse per albeggiare quando si tirò su, pronto ad affrontare definitivamente il problema.
“Kei?”
Lo chiamò una volta, in un bisbiglio soffuso, ma il giovane che sedeva dandogli le spalle parve non sentirlo.
“Kei..?”
Ripeté con più insistenza quel nome e, difatti, allora Hiwatari si voltò verso di lui con un sopracciglio inarcato.
Fu davvero sorpreso, poiché credeva che Yurij stesse dormendo profondamente, e per un attimo si ritrovò smarrito.
L’oscurità scomparve gridando, cacciata via dalla luce dell’abat-jour accesa da Ivanov.
Questi lo fissava con gli occhi un po’ gonfi, chiaro segno della notte passata in bianco.
“Ascoltami.” Cominciò con fare deciso, senza distogliere lo sguardo dal compagno.
“Io non voglio costringerti a confidarti con me o a rivelarmi cosa ogni notte ti impedisca di dormire.”
L’altro strabuzzò appena gli occhi, stupito a quell’affermazione e segretamente grato al ragazzo; già, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era ritrovarsi costretto a dar vera voce a degli stupidi assilli.
“Però, vorrei ricordarti che io ci sono e che potrei esserti ben più utile del buio. Modestia a parte, sono un essere umano... ” Le ultime parole furono pronunciate con un mezzo sorriso, poi il russo si zittì, indeciso se continuare o meno.
Guardò Kei, chinò gli occhi ed infine si allungò per spegnere la luce, dando forfait.
Però il giapponese fu più rapido e gli bloccò il polso.
Allora, restando in silenzio strinse la mano dell’amante, carezzandola appena.
«Scusami…»
Avrebbe voluto dire.
«Ti ringrazio. »
Gli sarebbe piaciuto aggiungere.
Ma si limitò a restare lì, con le dita calde di Yurij intrecciate fra le proprie e gli occhi persi nei suoi.
Poi d’un tratto sciolse la presa, tirando un lungo sospiro.
“Ora sto bene…” Bisbigliò infine, spegnendo personalmente la lampada e lasciando Ivanov fra l’interdetto ed il piacevolmente sorpreso.
“E la prossima volta, se ne sarò in grado, mi confiderò con te.” Aggiunse poco dopo in un borbottio, quando si fu sdraiato al suo fianco.

Quella volta fu Yurij a restare sveglio, imprecando contro l’oscurità.
Non gli importava che tra qualche ora si sarebbe dovuto dirigere in ufficio, tanto meno quali cause avrebbe trovato sulla scrivania.
Voleva solo che il buio assorbisse tutta la sua rabbia e frustrazione.
Tutto l’odio e l’amore che provava…
Perché, ne era convinto, neanche Kei sembrava tanto sicuro delle proprie parole e perché, forse, il giapponese era rimasto segretamente affascinato da quella accondiscendenza con cui l’oscurità accettava i suoi sfoghi.
Sorrise tristemente.
«Mi spiace che tu non mi ritenga in grado di reggere anche i tuoi meschini incubi, Hiwatari…»
Quindi, si limitò ad osservare il sole sorgere stringendosi a Kei con la consapevolezza di potergli donare, allora, solo quel calore di cui l’amato aveva sentito il disperato bisogno.

*Owari*

Eccomi qui =).
Pian, piano si giunge, oh sì.
Bhé, che dire?
Mi è piaciuto scrivere questa flash, in quanto più legata alla psiche di Kei.
È un po’ più ‘cupa’, forse, però credo che nel finale abbia la giusta risoluzione: un abbraccio.
Un abbraccio che non è altro che calore ed amore.
Non so, forse non è ‘dolce’ come le altre, ma penso che riesca ad esprimere meglio quello che è, per me, il legame tra Kei e Yurij.
E, bhé, mi auguro di ricevere le vostre opinioni!
Un bacio!
Iria.

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Capitolo 6
*** #7- Sunrise [910 parole] ***



Ten little things that make me hate (love) you

#7- Sunrise [910 parole] 

L’alba era l’unico momento della giornata che Yurij poteva dire d’apprezzare sinceramente, senza alcuna riserva sulla propria opinione.
Infatti, considerava la notte e le stelle uno spettacolo magnifico, certo, ma di cui molti –e forse in troppi- potevano godere e scaldarsi.
La frescura dei primi raggi rosei del sole, invece, era dedicata solo a quei pochi temerari che riuscivano ad aspettare, sfiniti, la nuova rinascita della stella.
Era in attesa e, seduto sulla fredda sabbia, si scaldava con uno degli asciugamani che lui e Kei avevano portato per quella notte.
I ruvidi granellini gli solleticavano le gambe, l’aria salata dell’oceano gli seccava le labbra ed una fievole sonnolenza aveva inibito i sensi del giovane.
Il cielo invernale si rifletteva timido nello specchio d’acqua; con le sue nuvole pareva disegnare un unico e lungo ghirigoro di grigio inchiostro e dal bagnasciuga si alzava una lieve brezza che, avvinghiandolo con grazia, gli procurava la pelle d’oca.
Yurij fissò incantato il primo fascio di luce affacciarsi all’orizzonte e aggrapparsi alla superficie cristallina del mare; il bagliore si proiettò fra le spirali del cielo, sfumandolo di rosso.
Il tiepido calore del sole lo baciò ed il russo sigillò gli occhi, schiudendo le labbra.
Ad ogni profondo respiro il profumo di salsedine lo cullava e, rilassando ogni suo singolo muscolo, porgeva a Yurij l’opportunità d’essere una creatura qualsiasi di quella terra, e non un sudicio fantoccio di pezza.
Chinava il viso, poggiandolo sulle ginocchia piegate e, lì, rannicchiato, si lasciava investire dal bagliore che esplodeva sul mare all’innalzarsi del sole.
Il cremisi sfumava nell’arancione che, mescolandosi ad un pallido rosa, si perdeva nell’azzurro di un cielo incupito da sottili nubi.
Yurij Ivanov sorrise.
Il cuore batté forte.
Una bocca calda si posò a baciare la bianca spalla nuda del malinconico uomo.

Si poteva dire che Kei, all’albeggiare, provasse un senso di profonda frustrazione nei confronti di Yurij.
Sdraiato sulla sabbia chiara ed avvolto dagli asciugamani, osservava il profilo del compagno nudo ed appena protetto da un telo.
Sulla pelle di Ivanov le piccole pietruzze della spiaggia si erano posate con lascivia, come a voler dichiarare di loro proprietà quel bel luogo.
Hiwatari non riusciva a spiegare il fastidio che l’espressione totalmente rilassata del russo gli provocasse.
Dannazione, sarebbe stato disposto anche a fermare l’incedere del sole con una pistola ad acqua, pur di negargli la facoltà di rendere felice Yurij.
Kei, egoisticamente parlando, voleva essere la sola alba in grado di donare al giovane più di un mezzo sorriso.
Ah, però l’unico problema era proprio l’incapacità del giapponese di dar atto alle sue tanto tronfie pretese.
Così, mentre la luce posava il proprio caldo manto sul corpo del compagno, Kei si alzò a sedere al suo fianco.
Guardò lontano, verso la linea del mare dove il sole ancora galleggiava pigramente e, respirando a pochi centimetri dalla cute della spalla del giovane, la sfiorò appena con labbra cocenti.
Poi, sentì il cuore di Yurij pompare forte il sangue, quando, posandogli una mano calda sui pettorali gelidi, gli avvolse un braccio attorno al torace.
Il freddo della notte si era impresso sul corpo del giovane Ivanov, intorpidendolo, e lui, Kei, così immerso nel tepore, poteva davvero essere l’unico calore di cui il russo avesse bisogno.
Né il sole appena nato, né il potente raggio di mezzodì o la temperata carezza del tramonto potevano dirsi paragonabili ad un abbraccio del caro Hiwatari..!
Così raro.
Così prezioso.

“Facciamo il bagno assieme.”
Al solito, il vecchio Kei preferiva porgere i propri inviti più in qualità di ordini che di tenere domande.
E, forse, era davvero meglio così: d’altra parte, il giapponese non riusciva affatto ad infilarsi le calzamaglie da principe azzurro e, se anche vi fosse riuscito, con ogni probabilità Yurij gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia…
Ivanov, quindi, con un cenno d’assenso aveva lasciato scivolare via l’asciugamano dal proprio corpo e, sfiorando appena le dita di Hiwatari, si era avviato con lui alla riva.
Lentamente, si immersero nell’acqua fredda che, catturando i loro corpi, ne trafisse le pelli.
I due amanti si tennero vicini –per quanto potesse essere ampia la definizione di “vicini” nei canoni di Kei e Yurij, ovviamente!-  al fine di scambiarsi calore per poi, come in unanime decisione, lasciarsi totalmente prendere dai flutti cristallini.
L’oceano andava tingendosi di rosa al sollevarsi del sole e Yurij, allora, fissò il proprio sguardo ceruleo sulla stella ormai fluttuante che ardeva nel firmamento.
“Adoro l’alba…”
Confessò in un mormorio, più a se stesso che all’infinità che lo circondava.
Kei gli si accostò alle spalle, provando davvero a puntare gli occhi nella stessa direzione del compagno, però la luce intensa, illuminando il profilo bagnato del russo, lo spinse a posare le iridi su quel longilineo corpo dai delicati tratti virili.
Fu allora che il giapponese lo strinse in vita, avvicinandolo a sé.
«Ehi, palla di fuoco, ti piace così tanto corteggiare il mio uomo..?»
Eppure, Hiwatari –cocciuto!- proprio non riusciva ad afferrare che il profondo amore di Yurij per l’alba non fosse altro che gratitudine
Oh, sì!
Proprio lì, sotto i tiepidi raggi del neonato sole e bagnati dall’acqua salata dell’oceano, Kei lo baciava con quelle sue labbra screpolatesi per la nottata trascorsa all’aperto.
E cosa poteva esservi di più meraviglioso..?
Di certo, non il mero spettacolo d’una stella ridente che sarebbe sorta per altri miliardi di anni...
Già, loro erano lì in quel solo triste battito di ciglia del mondo, a respirare l’uno sulle labbra dell’altro nell’insignificante albeggiare delle proprie vite.

*Owari*

Salve, salve!
Chi non muore si rivede, e pare che io sia come uno scarafaggio, in verità! owo
Cosa dirvi?
Nello scrivere questo capitolo, ho cercato, ho provato ad infondere nel lettore la voglia di disegnare questa scena e spero, in un modo o in un altro, di esserci riuscita! =)
Mi auguro che la shot vi sia piaciuta, confido in voi, in un vostro commento ed in una vostra opinione, sempre molto ben gradita! ^w^
Un bacio, alla prossima!
Iria.

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Capitolo 6
*** #6- Christmas [1250 parole] ***



Ten little things that make me hate (love) you

#6- Christmas [1250 parole]

Yurij doveva ammettere di apprezzare sinceramente il Natale giapponese.
Era una festività, quella cristiana, che il popolo del Sol Levante aveva inglobato nella propria cultura solo per lo smodato interesse che nutriva verso festival e frivolezze simili; e non aveva nulla di religioso.
Il giovane Ivanov ricordava le ipocrisie della messa della Vigilia: loro, in quanto ospiti di una discarica mascherata da monastero ed orfanotrofio, erano costretti ad assistere alle funzioni sacre, soffocando nell’intenso aroma dell’incenso le bestemmie contro Dio, Vorcov, Mosca, Vorcov, la Russia ed ancora Vorcov… devozione assoluta, insomma..!
Già, Yurij non aveva alcun credo e questo gli andava più che bene.
Non era abbastanza profondo per perdersi in chiacchiere metafisiche e, comunque, non riusciva ad afferrare l’utilità ed il conforto che le suddette avrebbero potuto arrecargli.
D’altra parte, però, il Natale nipponico irritava profondamente Kei Hiwatari; e questa mesta ira oltre che a riflettersi nei suoi atteggiamenti, non nutriva altro che mute discussioni fra i due compagni coronate da cene che, raffreddatesi, restavano intatte e da bronci cocciuti sotto le coperte.
Il Natale in Giappone veniva vissuto come una festa romantica, un secondo San Valentino e Kei non poteva tollerarlo per una questione prettamente personale: per quanto nella nazione nipponica l’omosessualità non venisse considerata un problema durante l’adolescenza, in età da matrimonio il continuare a condividere la propria vita con un altro uomo era ritenuto un insuccesso ed uno stroncamento alla propria realizzazione.
E, in tutta sincerità, lo disgustava non potersi definire –in base ai canoni nazionali- un uomo che aveva raggiunto la vetta.
Dunque, ecco che all’anno si andava ad aggiungere un secondo giorno in cui le coppie standard potevano passeggiarsene mano nella mano in tutta tranquillità e scambiarsi diabetiche effusioni.
Oddio, non che Kei provasse l’impellente desiderio di andarsene in giro per la città stringendo a sé Yurij –decisamente, non era un ruolo che gli calzava granché bene-, però sapere che se anche avesse voluto farlo sarebbe finito col venire etichettato come un fallito, bhé, non ne usciva molto incoraggiato…
Ivanov non badava a quelle stronzate che, d’altra parte, erano solo particolarità di una cultura di per sé alquanto stramba: si era persino abituato alla discreta xenofobia del Paese..!
Però Kei era giapponese e potersi dire soddisfatto, avendo raggiunto il massimo dei propri obiettivi, rappresentava l’estasi della gratificazione.
Quindi, cercava di farsi da parte e di mostrarsi il meno possibile assieme al giovane Hiwatari.
Ne soffriva, certo, ma era un sacrificio sopportabilissimo, considerando che da qualche altra parte avrebbero persino rischiato di finire accoltellati da un fanatico

Quel Natale sembrava un po’ più freddo degli altri.
Yurij, stretto in un maglione, stava accendendo il camino, maledicendo Kei che era decisamente in ritardo.
Okay, non tenevano in particolar modo alle tradizioni o alle feste, però sarebbe stato bello cenare insieme almeno per una sera.
Era già pronto a mandare tutto al diavolo e ad andarsene a letto a digiuno –gli si era stretto lo stomaco dal nervosismo-, quando Hiwatari, entrando senza neanche salutare, gli lanciò contro il cappotto.
“Usciamo.”
Non era ciò che poteva definirsi un invito –anzi, suonava più simile ad un ordine!-, ma Yurij ne rimase comunque sorpreso.
Sbatté un paio di volte le palpebre, fissando prima Kei, poi il cappotto che gli era arrivato tra le mani ed ancora il compagno, senza fiatare.
Era davvero convinto della sua decisione..?
Il russo non voleva che Hiwatari potesse pentirsi delle proprie azioni e, soprattutto, non voleva essere la parte integrante di un eventuale rimorso.
Non lo avrebbe tollerato.
“Ne sei sicuro..?”
La sua domanda fu pronunciata in un soffio, con tono piuttosto duro.
Yurij stava avvisando Kei, tentando di fargli comprendere che non aveva la minima intenzione di soffrire per una cazzata culturale secondo la quale il giovane Hiwatari non sarebbe mai riuscito a rispecchiare il modello perfetto di cittadino giapponese…
Però non ricevette alcuna risposta e, poco dopo, fissando l’amante dritto negli occhi, decise di stare al gioco: si infilò il cappotto, seguendo Kei in strada.

Hiwatari aveva riflettuto a lungo e, alla fine, era arrivato alla conclusione di star sfiorando una genuina idiozia col suo atteggiamento, e voleva troncarla sul nascere.
In strada le decorazioni natalizie brillavano negli occhi dei due giovani ed il vociare delle coppie che passavano lì accanto riempiva le loro orecchie.
Dalle vetrine dei ristoranti fast-food potevano intravedere ragazzi e ragazze che si scambiavano regali o mangiavano, sorridendo, il pollo fritto ordinato.
Insomma, sotto quella pesante cappa di gelo si levava con dolcezza nell’aria il calore di tanti cuori frenetici ed imbevuti nella gioia di poter amare.
Solo Kei e Yurij parevano stonare in quel quadro.
Non si abbracciavano, non sorridevano, non si tenevano per mano, non si porgevano regali né, tanto meno, erano l’uno un uomo e l’altro una donna.
Ivanov stava per aprire bocca, volendo sapere quali fossero le intenzioni del compagno, quando quest’ultimo si fermò.
La porta di un locale lì vicino si aprì e l’aria, per un attimo, si riempì con la musica da karaoke natalizio.
Kei fece una smorfia.
“Odio il Natale…”
Yurij restò in silenzio, intuendo che il giovane avesse altro da aggiungere, ma quando fu evidente che Hiwatari preferisse crogiolarsi nel proprio mutismo anziché parlare; Ivanov fece per voltarsi ed andar via.
Aveva voglia di una cioccolata calda e di mettersi a letto, ‘fanculo tutto.
Però Kei lo bloccò, afferrandolo per l’avambraccio e Yurij sentì tutta la frustrazione del suo amante; tutta la rabbia che provava fusa ad un qualcosa di molto più delicato e simile al calore di un abbraccio...
Hiwatari avvicinò a sé il russo che non smetteva di fissarlo negli occhi con insistenza: tentò di carezzargli una guancia, si ritrasse e distolse lo sguardo.
Il giapponese si stava odiando profondamente, e l’odio che nutriva nei suoi stessi confronti andava a riflettersi anche in quelli di Yurij.
Dannazione.
“Andiamo a casa, Kei… stiamo solo perdendo tempo.”
Il sussurro del russo lo fece rinsavire ed anche il tremore che, per un attimo, attraversò il corpo dell’amato parve scuotere Hiwatari.
Fu allora che lo baciò.
Lo strinse più forte che poté e, donandogli tutto il calore di cui disponeva, provò ad esibire tutto ciò che nutriva con quel semplice gesto.
«Sono un coglione.»
Gli morse il labbro, succhiandolo appena.
«Un povero represso che non vale neanche la metà dell’uomo che sei. »
Lambì con la propria la lingua dell’altro.
«Mi dispiace.»
Lo avvolse in un goffo abbraccio, appropriandosi di tutto il calore della bocca di Yurij.
«E non posso più pensare di essere un fallito.»
Oh, persino con quel bacio non riuscì ad ammettere con chiarezza che tutto ciò di cui aveva bisogno per dirsi realizzato fosse , fra le sue braccia.
Ma Yurij lo comprese in egual modo e solo quello fu importante.
Lasciò a Kei tutto il tempo che occorreva per continuare a parlargli fra i respiri e, quando si separarono accarezzandosi un ultima volta le labbra, il giapponese gli sfiorò le dita di una mano –ah! Prendergliela sarebbe stato un gesto fin troppo intimo..!-, invitandolo a seguirlo in quel locale vicino da cui provenivano canti e risa.

Kei Hiwatari disprezzava il Natale poiché, fuso a melense sdolcinatezze e a ristrettezze culturali, gli impediva di presentare Yurij al proprio mondo, facendolo quasi arrivare all’odio nei confronti dello stesso compagno.
Quella volta, però, il gelo del venticinque dicembre gli inondò il cuore di calore e, senza troppi complimenti, si decise a mostrare un bel dito medio al cielo giapponese.
«Ho raggiunto la vetta da un bel po’, fottuti pezzi di merda.»

*Owari*

*Giunge saltellando con un capellino da Babbo Natale*
Auguri a tutti, gentili lettori! ^O^
C’è da dire che tutte le mie shot a tema natalizio non siano proprio pregne di gioia! :°D
Well, diciamo che non sento il Natale particolarmente mio, ma gli auguri di buonissime vacanze non si negano a nessuno per un semplice e personale cinico particolare! =)
Questa shot è tra le mie preferite, sapete?
Ho cercato di inglobare tutto ciò che so –poco…- sul Natale giapponese e sull’atteggiamento del popolo nipponico nei confronti dell’omosessualità =).
Bhé, mi auguro davvero che possa esservi piaciuta almeno un po’!
Aspetto i vostri pareri sempre ben graditi.
Fatemi sapere! =)
Un bacio, ed ancore buon Natale e buone feste! =)
Iria.

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Capitolo 8
*** #8- Gloom [1330 parole] ***



Ten little things that make me hate (love) you

#8- Gloom [1330 parole]

Per Yurij lo stress alle volte poteva dimostrarsi una bestia pressoché invincibile.
Gli uncinava il cuore e, premendogli con forza le tempie, lo soffocava con lentezza: le sue dita lunghe ed artigliate gli avvolgevano il collo; il gelido alito gli mozzava il respiro rubando ogni singola boccata d’aria ed i denti affilati come rasoi bucavano la candida cute del giovane, succhiandone via ogni energia.
Yurij allora cercava un posto, uno qualsiasi, dove, sedendosi, avrebbe potuto nascondere il viso tra le mani per provare a calmare l’opprimente disagio che gli azzannava l’anima.
Completamente solo in quella trappola mortale, si ritrovava a cadere a corpo libero in un gelido abisso di timori, dove non c’erano né le calde mani di Kei ad intrecciarsi con le sue, né il tepore del corpo del giapponese a rassicurarlo d’esser vivo. Quindi, il male acquistava una forma ben più perversa ed insidiosa che si depositava sulle membra del giovane uomo al pari dell’umido terriccio su di una bara.
Il profilo di Kei si faceva evanescente, e al suo posto si imponeva una piccola scatola di antidepressivi che il russo rigirava tra le mani senza aver davvero la speranza che quelle pillole potessero aiutarlo.
Era sempre stato restio a chiedere un parere medico, soprattutto se ciò avesse riguardato la sua condizione psicologica, però in quegli ultimi tempi aveva finalmente compreso che da quel punto di vista necessitava di un aiuto.
Yurij non era debole, per nulla, ma il nemico più mostruoso che avesse prendeva le semplici sembianze del suo stesso subconscio.
Lo scuoteva, lo rivoltava e lo riduceva a brandelli.
Quando calava le difese, troppo spossato dal lavoro o in seguito ad una violenta lite col compagno, ecco che nell’angolo più recondito e segretamente marcito del suo cuore lo stress iniziava a germogliare coi propri velenosi  frutti.
Rabbia, rancore, frustrazione ed infine depressione.
Lo inasprivano, succhiando via ogni traccia della gioia di vivere che aveva scoperto solo in quella manciata di anni e Yurij si vedeva strappar via anche il piacere di poter ascoltare il respiro di Kei.
Già, le sue sensazioni si ovattavano, restituendogli solo quanto di più doloroso potesse erroneamente captare: la solitudine dei propri tormenti.
Hiwatari, in quei momenti, assumeva le sembianze d’uno spettro e, divenendo assolutamente impalpabile, non poteva; no, anzi, proprio non riusciva ad afferrare la mano di Yurij caduto nelle fauci di un marcescente abisso.
Ed il russo, allora, gridava il suo nome fino a sentire i polmoni bruciare, fino ad avvertire il proprio cuore esplodere…

Kei lanciava silenziose occhiate al compagno che, accomodatosi, scartava le due pilloline di cui, a detta del medico, aveva bisogno.
Nel mutismo dei loro dialoghi, il giapponese da tempo stava soffocando con Ivanov fra le deterioranti catene di quella meschina trappola psichica.
Hiwatari c’era.
Si proclamava presente col suo silenzio e legato con un grumo di carne e sangue –dicesi cuore- al caparbio russo che lo ripeteva, lo faceva sempre…
«Sto bene.»
Ma non ci credeva più neanche lui.
L’unica debolezza di Yurij si era sempre concentrata nell’equilibrio psicologico del ragazzo e Vorcov, a suo tempo, aveva notato tale particolare, per poi tentare di cancellarlo con assurde diavolerie.
Bhé, bisognava dire che per un po’, in effetti, il monaco fosse riuscito nel nobile intento.
Però, il giovane Ivanov aveva ormai liberato da anni la propria mente da simili vincoli ed era tornato a riacquistare e a tenersi stretto quei difetti che lo rendevano umano.
Eppure, non poteva e non doveva continuare a precipitare nell’infinita e meschina trappola tesagli dal suo stesso nero ego…
Kei gli prese una mano e, restando zitto, raccolse tra le dita le due pasticche; poi si inginocchiò di fronte al ragazzo che, seduto a volto chino, non aveva mosso un solo muscolo.
Il giapponese lo percepiva dai suoi respiri, lo intravedeva negli occhi azzurri che azzardavano un’inutile fuga, lo comprendeva grazie alle sue gelide mani: Yurij, con la sua ben nota testardaggine, cercava semplicemente di tenere Kei lontano da quel suo universo di cristallo, rigettando l’idea che anche il giapponese vi rimanesse legato… e, no, si rifiutava di accettare che Hiwatari, con le sue fredde attenzioni fatte di indifferente amore, si fosse già immerso fino al collo ed arrancasse per portare in superficie lui legato al fondo.
Kei conosceva la causa del malessere di Yurij –almeno di questo ne aveva intuito il principio-: il Giappone non era la terra ideale dove vivere, non se fin da bambini non si veniva abituati ai suoi folli ritmi.
L’educazione di Ivanov, di tipo militare, sarebbe potuta calzare a pennello con lo stile di vita del paese del Sol Levante, se solo il giovane avesse continuato ad inibire le proprie sensazioni o a subire gli strambi trattamenti che lo facevano tanto rassomigliare ad una macchina…
Ma Yurij era umano, straniero, ambizioso e certamente non poteva godere di una salute invidiabile per i suoi oscuri trascorsi.
E se un avvocato giapponese impiegava dieci ore per concludere con successo la stesura di un’arringa straordinaria, il russo avrebbe dovuto impiegarne venti per farla apparire quanto meno accettabile alle orecchie dei giudici; ed era già notevole che avesse conquistato una carica tanto importante in un Paese dove i forestieri erano tenuti discretamente alla larga –come anche addirittura certi stessi compatrioti..!
“Yurij, basta che tu lo dica e torneremo in Russia anche solo per una vacanza.”
Quel sussurro fece sorridere Ivanov che finalmente sollevò gli occhi per fissare le iridi scure di Kei ben piantate –con fare neutrale- sulle sue.
“Sei preoccupato?”
D’istinto, prima che Hiwatari potesse fuggire, Yurij gli prese la mano dove l’altro stringeva le medicine e le lasciò cadere a terra.
Alle orecchie del giapponese, il suono sordo delle pillole che rotolarono sul pavimento bianco sembrò assai simile ad un lontano grido di rabbia.
Già, parve quasi che quelle pasticche si stessero ribellando: desideravano e pretendevano di poter piantare nel russo non solo il seme dei lori benefici, ma anche il virus di un’ulteriore e collaterale corrosione.
In cuor suo Kei gioì.
Quello schifo che Ivanov tanto tentennava nell’ingurgitare se ne andava al diavolo.
“Sì.”
Schietto, non aveva distolto per un singolo attimo lo sguardo dagli occhi appena velati del compagno.
Nel loro profondo vedeva vivificare un’inquietudine che, lo ammise, lo turbava ed alla medesima maniera accresceva una sorta di astio nei confronti dello stesso Yurij.
Oh! Perché il suo compagno s’era rassegnato, lasciando che le chimere fameliche della propria fragilità lo tormentassero?
Hiwatari lo chiedeva con ardore, precipitando nell’azzurro cielo del russo…
“Mi dispiace.”
Il bisbiglio di Ivanov fu ancora più rumoroso del lento scivolare delle pillole; gli si insinuò nel petto, scavandovi piano ogni singola sillaba solo per poterne dimostrare la disperata sincerità.
Yurij cercava il suo cuore.
Nient’altro.
Yurij desiderava il suo calore.
Nulla di più.
“Nei miei incubi ti ho visto sparire.” Aggiunse, poi, d’un tratto, in aggiunta alle sue non dovute scuse.
Kei fu decisamente colto di sorpresa a quell’inaspettata rivelazione e si chiese cosa avesse mai potuto spingere Yurij sulla soglia di simili timori. D’altra parte, il giapponese non aveva mai neanche sfiorato la possibilità d’abbondare il russo e, forse, in quel caso sarebbe stato Hiwatari stesso ad impazzire per primo..!
Allora, Kei sospirò e, poggiando la fronte contro quella del compagno, gli concesse di intrecciare più saldamente le loro dita; gli permise di ricercare la sua presenza nella maniera più concreta che potesse.
“Sono qui, anche io ci sono.”
Parlò a voce bassa, timoroso che persino i muri, ascoltandolo, avrebbero potuto ridere a tale sfoggio di altruismo.
Però, questo bastò affinché un sorriso si dipingesse sulle labbra di Yurij, lasciandolo confrontarsi liberamente con gli occhi di Kei.

Non percepiva più i pestilenti respiri dell’ansia sottrargli l’ossigeno: quell’oscena creatura senza volto e dalle fauci nere e marce si era dileguata in un soffocato gemito di dolore…
Ora restava solo Kei che, nutrendolo con la sua presenza, gli si imprimeva sotto pelle, nell’anima, sul cuore ed ovunque quel calore, o meglio quella consapevolezza d’avere una speranza, volesse lambirlo con le proprie incandescenti ed inoffensive fiamme.

*I was alone, staring over the ledge, trying my best not to forget all manners of joy, all manners of glee and our heroic pledge.*

*Owari*

*Ero solo, sporgendomi oltre il davanzale, facendo del mio meglio per non dimenticare la gioia, l’allegria e la nostra eroica promessa*

Come nella raccolta precedente, le ultime tre shot presenteranno una strofa di un testo dei Placebo e questa è la meravigliosa Meds
Ooooh! Ed anche questa arriva dopo secoli… mi perdonate? =D
Se penso che ho pronta solo la prossima shot e la decima è ancora da ideare… argh! Non voglio pensare a quando aggiornerò! XD
E dire che nove su dieci capitoli li avevo pronti e comunque sono una lumaca.
Sigh! T^T
Bhé, spero comunque che anche questa storia possa esservi piaciuta, personalmente ho cercato di impegnarmi il più possibile per rendere verosimile la situazione, da tutti i punti di vista, come ho tentato di fare in ogni shot.
Well, vi saluto, allora, augurandomi di ricevere un vostro parere! =)
Un bacio!
Iria.

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Capitolo 9
*** #9- Scars [940 parole] ***



Ten little things that make me hate (love) you

#9- Scars [940 parole]

Le cicatrici per Kei e Yurij non rappresentavano una caduta o un’idiozia commessa durante l’adolescenza; e tanto meno potevano considerarsi come i risultati di una fantastica acrobazia in bicicletta o sullo skate.
Piuttosto, i due ritenevano –a ragione- quelle tante e candide spaccature sulle loro carni dei sacrifici e, difatti, ogni singolo dolore lì impresso era una reminescenza da curare e sanare con pazienza ed attenzione.
Sembrava che le più profonde, ancora un po’ rossastre, non volessero cancellarsi, pretendendo di restare lì un po’ più a lungo giusto per ricordare quanto male avessero causato e quanto sangue avessero lasciato versare.
Yurij, spesso, quando usciva dalla doccia fissava a lungo il proprio profilo cereo.
Qualche coraggiosa efelide si intravedeva appena sulla linea delle larghe spalle, la muscolatura per niente esagerata gli disegnava l’addome ed una rada peluria lo faceva rassomigliare ancora ad un ragazzino.
Tutto sommato, non disprezzava il proprio aspetto; però, ciò che più lo disturbava nello studiare i tratti del suo giovane riflesso erano le lunghe e sottili striature che un po’ ovunque lo avvolgevano.
Avrebbe potuto affermare in tutta tranquillità che vi fosse quasi una lascivia molesta nelle ombre di quelle morte ferite…
E se si immergeva nel silenzio ronzante del bagno, oltre al frastuono delle gocce d’acqua che scivolavano a terra, il giovane ancora avvertiva l’eco di un terribile sibilo.
Kei, da parte sua, mostrava una sana indifferenza innanzi alle proprie cicatrici e, anzi, spesso dimenticava addirittura di averne.
Quindi, il giapponese restò non poco sorpreso quando Yurij una volta, piuttosto che baciarlo o stringersi a lui, preferì accarezzargli ad uno ad uno ogni singolo sfregio.
Fra le braccia del compagno, infatti, il russo stava percorrendo con le lunghe dita i profili irregolari dei bianchi tagli, come a voler capire in quale momento e, soprattutto, con quanta forza fossero stati inferti; quando d’un tratto Hiwatari, prendendo la mano del giovane nella propria e bloccandola, posò le labbra sulla punta dei polpastrelli appena tremanti.
«Non fanno più male… non c’è bisogno di curarle.»
Kei ricordava decisamente troppo poco della propria infanzia, ma in alcuni dei flash che più avevano eccitato la sua memoria rivedeva perfettamente tanti di quei segni ormai sigillati, aperti e sanguinanti e Yurij che, lì di fianco, ne sfiorava i bordi con tristezza e con la consapevolezza che lui, ferito alla stessa maniera, non avrebbe potuto fare assolutamente nulla.
Che inutile capitano…
Il giovane Ivanov alle parole dell’amante sollevò appena lo sguardo ed un mezzo sorriso  gli tinse il volto.
«Capisco, però a volte io me ne dimentico e sento ancora dolore.»
Sussurrò in risposta nel buio, più rivolto a se stesso che agli occhi scuri di Hiwatari.
Il giapponese restò muto a quell’amara confessione, continuando a fissare Yurij con fare indecifrabile.
In quel momento, Kei avrebbe potuto ammettere in tutta tranquillità di star disprezzando Ivanov con ogni miserabile fibra del proprio essere.
Non poteva sopportare un simile ancoraggio ad un dolore passato e che mai più avrebbe dovuto preoccuparlo.
Non tollerava che Yurij mordesseal pari di un cane randagio- il sentimento che nutriva la loro scintilla di segreta ed intima felicità.
Oh! Il sangue che avevano versato si era raggrumato, lasciando sulle loro pelli solo un alone agrodolce dal sapore metallico.
Kei riusciva ancora ad avvertirlo.
Si era mosso senza pronunciare una sola parola e, respirando a pochi centimetri dalla cute di Yurij, sfiorava con le labbra sigillate i bianchi ghirigori incisi sul compagno.
Il russo chiuse gli occhi a quell’agire, e nel teso silenzio della loro camera cercò di imprimere nella propria memoria ogni singolo brivido che il caldo soffio di Kei gli infuse con inaspettata forza.
Ciò, indubbiamente, lo colse alla sprovvista eppure, senza mai esser violento, quel tepore dall’amaro retrogusto, conquistandolo, tentò di scavare e poi colmare un vuoto ben diverso dalla ferite fisiche…
Poi, d’un tratto, la bocca del giapponese arrestò la sua corsa sull’ultima e più odiata cicatrice. Infatti lì, poco sopra il labbro superiore di Yurij, c’era una sottile e perlacea screziatura visibile solo a chi avesse avuto l’onore di potersi avvicinare al giovane quel tanto che bastasse per distinguerla.
Allora Kei, senza malizia alcuna, posò le proprie labbra sopra quel segno imprimendovi un bacio tanto leggero che, in seguito,  Ivanov credé d’averlo solo sognato.
Però, le parole di Hiwatari che seguirono il gesto furono sicuramente autentiche, poiché il russo le avvertì sin dentro l’anima e le sfiorò col proprio cuore nudo.
«Il dolore ora non ha più motivo d’esistere, Yurij… non fra me e te

Spesso, Kei e Yurij avevano l’impressione che le loro cicatrici dolessero ancora; poi, si ricordavano d’esser felici e di non aver alcun bisogno dei fantasmi del passato.
Dunque, era proprio in quei momenti che sarebbero stati disposti persino a prendere a calci e a pugni quel bastardo senza cuore d’Amore in persona, pur di costringerlo a restituire la serenità che spettava loro di diritto.
In ginocchio sui resti marci delle loro vite, costruivano con fango, sudore, sangue e fatica ogni secondo, ogni minuto, ogni ora ed ogni giorno del proprio rapporto…
E, no, non potevano sopportare d’avere impressi sul corpo dei marchi in grado di lasciar scivolare via tutto ciò che avevano eretto; anche se, in verità, pareva che proprio a causa di questi ultimi fossero stati in grado di legarsi assieme con molta più insistenza.
Oltre al fisico, oltre alla sfera delle sensazioni, Kei e Yurij guardavano l’uno nell’anima dell’altro…
E con un bacio erano in grado di lavar via tutto quel ghiotto putridume che, accompagnando l’amore, aveva tentato di divorarli.
«Ridurrei Eros in pezzi solo per te; solo per potertene cedere un frammento ogni giorno e scaldarti il cuore.»

*Bite the hand that feeds, tap the vein that bleeds… down on my bended knees, I break the back of Love for you.*

*Owari*

*Mordi la mano che ti nutre, tappa la vena che sanguina... qui giù sulle mie ginocchia fasciate, rompo la schiena dell'Amore per te.*
Post Blue, Placebo.

Secoli son passati...

Ma finalmente ecco la penultima shot! XD
Spero possa essere stata di vostro gradimento, personalmente a me piace abbastanza -cosa che accade di raro, quindi, wow, miracolo!
Mi auguro di ricevere le vostre opinioni in merito! :3
Un bacio, alla prossima!
*Che non so quando sarà... la decima shot devo ancora scriverla, urgh .w.||||*
Iria.

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Capitolo 10
*** #10- Promises [1125 parole] ***


Ten little things that make me hate (love) you

#10- Promises

Guardarsi intorno e comprendere d'essere solo fu meno traumatico di quanto si sarebbe aspettato.
Oh, non che il suo cuore di ghiaccio avesse preso il sopravvento sui sentimenti, sulle reazioni chimiche o quel che erano che lo legavano al compagno, ma Yurij si sentì stranamente tranquillo nel rimirare il soffitto della camera da letto in un giaciglio matrimoniale occupato per metà.
23 gennaio 2013.
Undici anni, quattro mesi e dodici giorni: la sua anima sarebbe dovuta andare a pezzi, avrebbe dovuto urlare e squarciare il silenzio con le imprecazioni che gli trabaccovano dal pugno pulsante sangue che aveva nel petto.
Però restava sdraiato.
Le mani in grembo e gli occhi azzurri socchiusi quasi fosse in ascolto, senza la pretesa di somigliare ad un cadavere.

Kei osservava la pioggia e quel giorno non c'era alcuna dolcezza nel ritmo con cui le gocce si infrangevano sull'asfalto e sui tetti delle case.
Rumorose e devastanti, sovrastavano persino il suono dei clacson degli automobilisti impazienti, creando quasi un'aura appena luminiscente tutt'attorno alle superfici colpite ed il rombo del cielo somigliava ad un grido senza fine.
Però quel caos apocalittico non soffocava l'eco delle soffuse parole di Yurij.
"Cosa siamo noi..?"
Hiwatari, tenendo un braccio sollevato a mezz'aria nell'atto di posare il piatto che il compagno gli aveva passato, era rimasto totalmente spiazzato a tale domanda.
Non riusciva ad afferrare le ragioni di quel dubbio e gli sembrava piuttosto stupido dover catalogare il suo rapporto con Yurij; però, in effetti, se gli avessero chiesto cosa il giovane rappresentasse, avrebbe trovato una certa difficoltà nel definirne l'importanza.
Era una base, un fondamento forse instabile, ma non ne avrebbe desiderati altri, perché stava bene.
Incredibile a dirsi e a sentirsi, ma le occasioni in cui abbandonarsi ad una solitudine di ghiaccio perenne s'erano consumate a favore, invece, di una più modesta voglia di restare in disparte solo in momenti particolari della propria vita -quando, ad esempio, la furia lo acceccava o l'amarezza lo inaspriva-, quindi cercò di elaborare con cautela una risposta soddisfacente che non riuscì a trovare.
"Io... non lo so."
Yurij si limitò a sospirare, con un mezzo sorriso tinto di disagio ad ornargli il viso.
"È passato molto tempo... dovremmo saperlo."
Poi, lo fissò per un altro lungo momento, infine mise via le ultime posate e si poggiò al lavabo, osservando le nuvole che si stavano accumulando in cielo attraverso le imposte spalancate del balcone.
Non si voltò a guardare ulteriormente Kei, ben sapendo che il giapponese fosse ancora immobile nel suo attonimento.
"Dovrei pensarci..."
Ivanov riuscì ad udire quella frase pronunciata a bassa voce anche al di sopra del fragore di un tuono lontano, ed il suo significato non lo lasciò interdetto, né deluso o amareggiato: semplicemente, Yurij annuì comprensivo, quasi condividendo tale pensiero che non gli apparteneva, ma che reputeva fondamentale per Kei.
Non per loro due.
Ma solo per quel groviglio di sensazioni sconosciute e fin troppo intricate che stipavano la mente dell'uomo che l'aveva affiancato.
"Già, forse potresti."
Si sollevò con fare sfinito e stavolta posò sulle labbra di Hiwatari un bacio leggero -quasi sognato-  prima di sparire, divorato dall'oscurità del corridoio della casa che si adombrava all'avanzare della tempesta.

Il giapponese rientrò nella cucina buia, chiudendosi alle spalle il balcone.
Fradicio, si accomodò al piccolo tavolo al centro della stanza per poggiarvi i gomiti e massaggiarsi le tempie a due mani, come sfinito.
"Yurij, dannazione."
Il suo cervello non riusciva a fare altro, se non articolare quella sileziosa maledizione; il cuore scalciava infastidito, perché avrebbe voluto che Hiwatari afferasse il giovane Ivanov, lo scuotesse e gli gridasse contro:
"Ha importanza?"
Ma importante lo era per davvero, perché il tempo oltre che conferme nutriva dubbi e paure, ed il timore di sicurezze mai garantite -e pronte a sfumare- attanagliava l'animo del compagno e lo graffiava con artigli sporchi e marcescenti.
Stringere Yurij lo rilassava.
Combatterlo lo faceva sentire vivo.
Sfiorare il suo corpo e nutrirsi di quell'intimo calore lo appagava.
Stargli lontano non era una sofferenza.
Avrebbe voluto baciarlo in ogni istante della giornata, ed allo stesso tempo schiaffeggiarlo e gridargli contro che tutto era sbagliato, che erano andati a sbattere contro un sentimento troppo grande, troppo lontano, troppo estraneo, troppo complicato, troppo profondo per loro.
Loro, così diversi.
Così stupidi ed ottusi ed orgogliosi, che per abbracciarsi aspettavano il momento opportuno, per baciarsi si coglievano di sorpresa, per fare l'amore lottavano come bestie in calore, come animali affamati.
Era triste.
Eppure, diavolo, avevano resistito stringendosi le mani, graffiando via la carne, riducendo all'osso quegli arti le cui polveri, ormai, si erano confuse, giacendo assieme.
Non si erano più separati.
E Kei avrebbe pianto e riso fino a stare male, a tali considerazioni.
Nessuno avrebbe scommesso su di loro.
Senza speranze.
Lontani.
Maledettamente dipendenti l'uno dall'altro.
Hiwatari c'era quasi, aveva capito...

Yurij, alzatosi per versarsi un bicchiere d'acqua, lo trovò seduto in cucina su una sedia, con i capelli umidi ad incorniciargli il volto.
Sospirò, allontanandosi, per poi tornare qualche attimo dopo con un asciugamano, che l'altro prese con un ringraziamento appena bisbigliato.
Ma prima che il compagno potesse anche solo avanzare di un passo, Hiwatari gli afferrò un polso in una presa ferma e decisa, che sapeva appena di gentilezza.
"Promesse."
Yurij si limitò a rimanere in silenzio, osservandolo sospirare, come a voler trovare le parole giuste -quelle più adatte- ad esprimere la confusione e l'astrattezza di ogni singola sensazione che gli vibrava dentro.
"Noi... siamo promesse. Spezzate. Non mantenute. Tu non hai un anello che ti rende mio; non hai acquisito il mio cognome ed io non ho preso il tuo. Sulla carta siamo due estranei con la stessa residenza... però ci sono la tua presenza ed il tuo respiro e la tua voce: tu sei la mia promessa per il futuro e se dovessi sparire... non importa. Sei rimasto con me, incompleto e non realizzato così a lungo che continuerei a sopravvivere. Però ora sto vivendo... e mi piace abbastanza."           
Si era pronunciato senza distogliere gli occhi da quelli azzurri di Yurij, senza allentare la presa sul suo braccio e senza respirare.
Ivanov per un attimo gli rivolse uno sguardo totalmente confuso e spaesato, poi la sua espressione si rilassò lentamente in un sorriso appena visibile; quindi, si avvicinò al volto di Kei e, tenendo gli occhi chiusi, poggiò la fronte contro quella del compagno.
"Va bene così, allora."

Oh, si maledivano ed odiavano.
Gridavano i reciproci nomi e si ricercavano, solo per stringersi fino a soffocare, fino a toccarsi così profondamente da ferirsi e mescolarsi e non andare più via l'uno dall'anima dell'altro.
Distanti da ogni voce, immersi in un'esistenza d'ansia, il loro era un fragile Paradiso per cuori caparbi.
Da soli, per tutto il tempo che ancora restava da condividere.

 

*Carve your name into my arm. Instead of stressed, I lie here, charmed. 
Cuz' there's nothing else to do... every me and every you.*

 


*Owari*

 

*Scava il tuo nome nel mio braccio. Invece d'essere furioso, giaccio qui, incantato. Perché non c'è null'altro da fare... ogni me ed ogni te.*

Alla fine, dopo praticamente un anno, quattro mesi e dodici giorni, concludo questa raccolta che avrebbe dovuto avere tempi molto più brevi, ma che -un po' a causa della mia pigrizia, un po' a causa dell'ispirazione altalenante- ho abbandonato assieme ad altri miei progetti.
Ringrazio infinitamente chi mi ha seguito, chi ha letto e chi ha commentato, e mi auguro di ricevere delle opinioni anche su quest'ultimo capitolo.
Per il momento -che potrebbe essere un solo giorno o anche anni! Sono estremamente lunatica da questo punto di vista, dannazione!-, questa storia sarà la mia ultima KeiYurij.
Ho tanti altri progetti su di loro -molti ancora non conclusi-, ma spero un giorno di finire tutte le storie in sospeso con questi due come protagonisti, perché lo meritano e perché continuerò ad amarli dal più profondo del cuore.
Sono una delle coppie più splendide di Bey; ed avranno sempre un posto immenso nel mio cuore.
Spero di essere riuscita, con quest'ultimo capitolo, a trasmettere un po' della vasta gamma di sentimenti che provo quando penso ad una loro possibile storia, ad una loro possibile vita insieme.
Ah, sono dannatamente malata, già!
Bhé, allora un caloroso arrivederci, cari lettori.
Ed un grazie di cuore.
Sempre vostra,
Iria.

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