Ten little things that make me hate (love) you ♥ di Iria (/viewuser.php?uid=33387)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1- Pride [840 parole] ***
Capitolo 2: *** #2- Coldness [745 parole] ***
Capitolo 3: *** #3- Silence [890 parole] ***
Capitolo 4: *** #4- Winter [1415 parole] ***
Capitolo 5: *** #5- Darkness [1010 parole] ***
Capitolo 6: *** #7- Sunrise [910 parole] ***
Capitolo 6: *** #6- Christmas [1250 parole] ***
Capitolo 8: *** #8- Gloom [1330 parole] ***
Capitolo 9: *** #9- Scars [940 parole] ***
Capitolo 10: *** #10- Promises [1125 parole] ***
Capitolo 1 *** #1- Pride [840 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#1- Pride
[840 parole]
Kei
Hiwatari quella mattina aprì gli occhi
nell’oscurità con un’unica certezza: undici
settembre.
Il loro anniversario.
Si voltò con cautela verso il ragazzo ancora profondamente
addormentato al
suo fianco e sospirò amaramente.
Forse risultava insensibile e superficiale ricordarlo ma, dieci anni
prima (sì, erano trascorsi dieci
anni di torture e combattimenti),
mentre al televisore della sala d’attesa della BBA
–dove si erano diretti per disdire la loro partecipazione al nuovo
torneo-
passava la notizia della tragica vicenda che aveva sconvolto il mondo
intero e
Yurij Ivanov fissava incredulo le immagini trasmesse; lui, il freddo
“non osare
guardarmi negli occhi” Kei Hiwatari aveva posato un bacio forse un po’
troppo
maldestro e ruvido sulle labbra del russo già shockato.
Era stato un impulso che, scaldandogli le vene con febbricitante
adrenalina,
l’aveva spinto ad osare e, subito dopo, a mollare il giovane dai
capelli rossi
in quella stanza, col ronzio della televisione ed il panico dei
giornalisti a tenergli
compagnia…
In verità, non ricordava l’esatto momento in cui avevano
“ufficializzato” il
loro rapporto.
Semplicemente, qualche tempo dopo –giorni, settimane o mesi non
saprebbe
dirlo-, mentre era sdraiato pigramente all’ombra di un albero, Yurij
gli si era
seduto vicino in silenzio posandogli una mano sulla sua.
In quel momento seppe solo di aver sorriso.
Quindi, visto che l’unica data per loro rilevante era stata
quell’undici
settembre, in un muto accordo la elevarono ad anniversario.
Però bisognerebbe aggiungere che i
due mai si erano scambiati un
augurio.
Kei era troppo orgoglioso per fare il primo passo e Yurij decisamente
troppo
testardo per mollare a metà la contesa.
Ma quel giorno, bhé, era diverso; e
se persino Hiwatari l’aveva realizzato allora doveva
essere così.
D’altra parte, dieci anni non erano
sicuramente
una manciata di fazzoletti sporchi da buttar via…
Ci impiegò qualche attimo per capire che il suo sguardo totalmente
perso in
discutibili –per profondità- considerazioni fosse ricambiato con la
stessa forza
da due attenti occhi azzurri.
Il giapponese si lasciò andare ad un lungo sospiro –solo il secondo
della
giornata, e pensare che presto ne avrebbe perso il conto..!-, odiandosi
profondamente per ciò che le sue labbra erano in procinto di articolare.
Boccheggiò, si morse la lingua un paio di volte, poi impose il suo
solito
sguardo duro ed impenetrabile.
No, no, no ed ancora no.
Al suo fianco, Yurij non batté ciglio e dalla sua espressione era
intuibile che
non si aspettasse assolutamente
nulla
da lui…
Allora si mise a sedere e, accedendo l’abat-jour sul comodino,
sollevandosi, si
avviò in bagno.
Fu in quel momento che l’adrenalina, sopitasi bellamente dieci anni
prima, gli
tirò un secondo brutto scherzo lasciandolo nuovamente nella merda.
Che bastarda.
“Buon anniversario.”
Ivanov si bloccò nell’atto di tirar fuori uno dei tanti calzini solitari sperduti nel loro
cassetto.
Kei vide ogni singolo muscolo di quella bianca schiena contrarsi e
rilassarsi
nell’arco di un secondo e questo non fece altro che confermare i
profondi
timori dell’asiatico: per quanto la sua voce fosse risultata roca e
silenziosa,
Yurij ne aveva percepito il dannato
suono.
Però, con calma e senza lasciar trapelare neanche una singola goccia
della
grande felicità di cui fu
improvvisamente ebbro, il russo si voltò con un sorriso.
“Anche a te.” Bisbigliò alla stessa
maniera, per poi chiudersi la porta del bagno alle spalle.
Non volle rivolgere neanche uno sguardo al proprio riflesso nello
specchio,
lasciando che l’unica e silenziosa lacrima di felicità che avesse mai
versato
si asciugasse ed imprimesse in eterno sulla sua guancia…
Dall’altra parte della stanza, Kei si portò una mano alle tempie.
Visto il suo fottuto e -segretamente- odiato orgoglio, probabilmente ci
avrebbe
impiegato minimo altri dieci anni per invitare Yurij a cena.
Non che avesse grandi speranze di credere che per allora il ragazzo
sarebbe
stato ancora al suo fianco, ma visto l’andazzo della vita che portava
avanti
non riusciva ad immaginare null’altro di diverso che non fosse Yurij,
nel suo nebuloso
futuro.
Non era un pensiero dettato da chissà quale intrinseca dolcezza…
Era solo nascostamente contento del suo presente e la parte più o meno ottimista del lugubre carattere che
si ritrovava aveva cominciato a scolpire un piccolo augurio di
stabilità.
Ed il primo ostacolo da superare per ottenerla sarebbe stato proprio
quello di
limitare il suo logorante orgoglio.
Sapeva che toccava a lui iniziare; infatti, era consapevole di
risultare
completamente odioso ed arrogante a causa di tale fastidioso difetto
Ovviamente, Yurij aveva le sue infinite pecche, ma Kei con una soltanto
le
surclassava tutte in intrattabilità…
Ah, era davvero sorprendente che stessero ancora insieme..!
Dieci anni di sguardi, di litigi, di silenzi e di poche, tenere parole.
Cazzo, dieci anni di -meraviglioso-
sesso sempre con la stessa persona.
E se l’era portato dietro con costanza, quell’orgoglio…
Che fosse finalmente giunto il momento di scrollarsene un po’ di dosso
almeno
con Yurij..?
Eppure, nel profondo, ricordava che doveva molto anche a quella fottuta
stronza della propria boria.
Ahah!
Già, se non fosse stato per lei, probabilmente –no, anzi, sicuramente-, non avrebbe mai trovato
neanche il coraggio per amare un altro uomo…
*Owari*
Eccomi qui a
presentarvi la
contro parte e l’altra faccia della medaglia di “Ten little things that
make me
love (hate) you ♥”! °O°
In verità, non è necessario leggere l’altra piccola raccolta, ma se vi
va di
farvi un giro e di lasciarmi un piccolo parere la troverete fra le mie
storie!
V_V *fine
pubblicità occulta*
Bene, che dirvi?
Mi piaceva l’idea dell’undici settembre come anniversario, il
parallelismo fra
il panico nella maggior parte del mondo e persone che, tutto sommato,
hanno
continuato a svolgere le loro attività quotidiane senza consapevolezza
alcuna.
Poi, mi stuzzicava anche l’idea che Yurij e Kei stessero insieme da dieci anni.
Un tempo
infinitamente lungo, che deve aver reso maturo il loro amore, no..?
Considerando,
poi, che oggi giorno un sentimento così duraturo è troppo, troppo raro… la cosa mi
ispirava, ecco.
Bhé, mi auguro
che questa one-shot vi sia piaciuta! ^^
Ho pronti
tutti i capitoli –mi manca solo il decimo, l’ultimo XD-, quindi più o
meno l’aggiornamento dovrebbe essere regolare O.ò…
Ma non
fidatevi mai della sottoscritta! V_V’’
Well, that’s
all folks!
Spero mi
lascerete una vostra opinione!
^^
Baci!
Iria.
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Capitolo 2 *** #2- Coldness [745 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#2- Coldness [745 parole]
Yurij Ivanov
sapeva che sarebbe rimasto solo.
Ogni anno era stato così ed anche quel ventitré dicembre, sicuramente,
non avrebbe avuto nulla di diverso dai tanti altri.
Il suo compleanno lo trascorreva sempre alla stessa maniera: comprava
una pizza, si accomodava sul piccolo tavolo da due nella loro –sua e di Kei-
cucina, guardava la televisione e poi andava a stendersi nella semi
oscurità della camera da letto, concedendosi totalmente alle braccia
Morfeo.
Per un po’ attendeva il ritorno di Hiwatari, giusto perché credeva che
non fosse carino coricarsi prima del compagno, ma puntualmente la
stanchezza della giornata lavorativa gli crollava addosso e davvero non
riusciva a resistere al sonno.
E non
lo sentiva mai, il bacio che gli sfiorava appena la fronte…
Inoltre quella sera, come aggiunta al suo tradizionale menù di
compleanno, aveva comprato anche un grosso muffin al cioccolato.
L’aveva visto esposto nella vetrina di una pasticceria americana in
centro; e poiché era da tempo che non ne mangiava uno -dal suo ultimo
viaggio negli USA-, aveva deciso che non sarebbe stato poi così tragico
aggiungere un dolce alla sua solitaria cena.
Facendo queste considerazioni, aprì il cartoccio della pizza e,
accomodandosi, iniziò a mangiare in tutta calma, fissando -senza
davvero vederli- i volti sorridenti e solari di alcuni tizi di una
stupida pubblicità per spazzolini da denti.
Di tanto in tanto, fermandosi a guardare il
trancio di pizza che aveva in mano, si mordeva un labbro come a volersi
imporre di mangiare, per poi versarsi un po’ della birra scura che avevano
in
casa.
Infine, quando sentì la porta dell’appartamento aprirsi lentamente, era
forse la decima volta che mollava la stessa fetta di pizza nel cartone
per servirsi da bere; ed allora intuì anche che doveva essersi fatto
piuttosto tardi, visto che ai suoi occhi si presentò un Kei Hiwatari
evidentemente confuso.
“Cosa ci fai ancora in piedi?”
Aveva riacquistato il suo self-control nel giro di un picosecondo,
ricostruendo perfettamente l’espressione più distaccata che avesse a
disposizione nella sua esclusiva collezione monotematica..!
“Buonasera, eh…” Fece seccato Yurij in tutta risposta, mettendo
definitivamente da parte la pizza che, a
quanto sembrava, non era di suo gradimento.
Kei lanciò un rapido sguardo alla famosa pietanza italiana praticamente
lasciata intatta e si torturò coi denti l’interno della guancia.
Una capricciosa.
Bhé, era la sua pizza
preferita, e non certo quella di Ivanov…
Allora, senza dire una sola parola, si sedette di fianco al giovane
prendendone una fetta come se nulla fosse accaduto; come se lui fosse
semplicemente arrivato tardi per la cena del venerdì sera.
Yurij, dal canto suo, rinunciò anche al muffin e, dopo solo il primo morso,
s’avviò in camera da letto non appena Kei ebbe iniziato a
mangiare, considerando quanto fosse stato idiota a ricercare la
presenza del compagno in un banalissimo piatto straniero…
Coglione, coglione, coglione.
Però, quando giunse in stanza, dando uno sguardo all’orologio, comprese.
Ah, appena le undici.
Bhé, di sicuro non era lui ad essere fuori posto a
quell’orario.
Quindi,
ritornando sui suoi passi, si affacciò alla porta della cucina dove un
solitario Hiwatari carezzava con la punta delle dita una lunga
scatolina incartata.
Dopo un breve momento di esitazione, in cui parve che l’asiatico stesse
per alzarsi, Yurij lo vide scuotere il capo ed infine rimettersi il
pacchetto nell’interno della giacca; ed intuì che anche per quell’anno
avrebbe trovato per caso un regalo che sarebbe stato troppo difficile
consegnare personalmente.
Il giovane Ivanov, allora, chinò appena il capo per poi avvicinarsi
silenzioso al giapponese e, cingendogli da dietro il collo con le
braccia, incrociando le mani sul torace largo del compagno, avvertì il
cuore di Kei aumentare di qualche battito sotto quel suo lieve tocco.
Dunque, beandosi della fragranza fresca e muschiata che solo ad
Hiwatari poteva appartenere, sussurrò.
“Grazie.”
Yurij Ivanov sapeva che per quella volta non avrebbe sentito un ‘Buon compleanno’
uscire dalle labbra di Kei, ma –nonostante questo gli infondesse una
dose assolutamente non trascurabile di sano fastidio- già la sua
sola presenza per
nulla casuale -come invece aveva cercato di fargli credere!- era
stata un meraviglioso regalo.
Oh, entrambi serbavano un po’ troppa freddezza nel
cuore, questo era evidente.
Eppure, probabilmente, era proprio il gelo che sciogliendosi rendeva
assai più piacevoli e caldi quei gesti ritenuti consueti ed ovvi da
molti; ma con cui loro nutrivano l’amore agrodolce che,
paradossalmente, ancora li legava con inaspettata… ma, sì, forse forza -con ogni
probabilità- doveva essere la parola che più addiceva a quei due.
*Owari*
Oh, bene!
Finalmente pubblico anche questo secondo capitolo: non ho molto da dire
al riguardo.
Ritengo, personalmente, che sia meraviglioso accettare certe
sfacciatture del carattere del proprio compagno, anche se queste non
sono poi così tanto “digeribili”.
La freddezza è una di queste, a mio dire.
Bhé, mi auguro che anche questa shot possa esservi piaciuta, ringrazio
chi ha commentato il prcedente capitolo e a tutti gli altri dico: “Aspetto le vostre opinioni!” ^^
Fatemi sapere!
Un bacio!
Iria.
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Capitolo 3 *** #3- Silence [890 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#3-
Silence [890 parole]
Nel corso della
propria vita Kei aveva imparato a riconoscere diversi
tipi di silenzio.
C’era quello ronzante del suo ufficio rinfrescato dall’aria
condizionata e quello
rispettoso dei dipendenti; c’era quello opprimente e sonnacchioso delle
sale
d’attesa e quello dolce e pigro d’un parco assolato alle prime ore del
pomeriggio…
Poi c’era il silenzio di Yurij, l’unico che forse più lo frustrava e
rilassava
alla medesima maniera.
Già, Hiwatari aveva memorizzato ogni singola sfumatura del mutismo del
proprio uomo…
Riusciva a percepirvi l’irritazione o la gioia anche solo ascoltando il
ritmo
del respiro del russo; ed allora poteva intuire come porsi nei
confronti del
giovane e se lasciarlo solo o sederglisi di fianco ad aspettare,
offrendo come appiglio unicamente la sua presenza.
Sì, neanche Kei era particolarmente loquace, soprattutto se si
aggiungeva la
questione che, di norma, toccasse a Yurij provare ad articolare un
discorso..!
Eppure non sembravano essere stanchi l’uno dell’altro.
Infatti, avrebbero volentieri affermato che ad entrambi -pur
preservando
certamente la propria privacy- erano ovvi e conosciuti i timori e le
sicurezze
che li tempestavano, senza bisogno alcuno di farsi reciproche domande.
Però quella sera il silenzio di Yurij risultò completamente asettico
alle
orecchie di Kei.
Inizialmente, pensò che il giovane non fosse in casa: la televisione ed
il
riscaldamento non erano accesi e, allo stesso tempo, non riusciva ad
avvertire
il calore del compagno.
Hiwatari era fermamente convinto che, entrando in un appartamento
all’apparenza
vuoto, vi fossero delle tracce che
lasciassero intendere la presenza o il passaggio di qualcuno.
Erano particolari e difficili da definire, certo, ma esistevano;
apparivano palpabili ed il corpo umano le percepiva.
Ma quella volta il silenzio gli piombò addosso come un mostro famelico;
ed il
giapponese si sorprese non poco quando vide una luce giallognola
provenire
dalla camera da letto.
Sul serio, credeva d’essere solo.
Ivanov non era mai stato così distante
dai suoi sensi.
E s’incupì, perché nel profondo del proprio cuore capì quanto
non gli
piacesse quell’improvviso confinamento lontano dal familiare tepore di
Yurij.
Quando entrò nella stanza, fissò a lungo il compagno.
Questi era seduto sul bordo del letto ed evidentemente stava stringendo
da un
bel po’ di tempo la lettera che aveva tra le mani, perché era quasi del
tutto
stropicciata.
Pareva che l’avesse appallottolata più e più volte, per poi recuperarla
e
rileggerne il contenuto dopo ogni lancio nel cestino…
“Cos’è successo?”
Quella di Kei, in parte, suonò quasi come una perentoria pretesa di
spiegazioni.
Però Yurij non vi badò più di tanto, limitandosi semplicemente a
sollevare il
bel viso, a fissare intensamente Hiwatari e a porgergli il temibile foglio.
Il giapponese lo prese e, ricambiando lo sguardo, portò la propria
attenzione
alle parole stampate nero su bianco.
Intravide una tristezza che aveva sperato
fosse stata definitivamente cancellata dagli occhi di Yurij.
Alla Cortese att.ne
del Sig. Yurij
Ivanov
Oggetto:
Comunicazione avvenuta
scarcerazione del detenuto Vladimir Vorcov.
Egr. Avv. Ivanov,
Con la presente siamo a
formalizzare quanto segue.
In data 12/01/2012 alle
ore 12:30 il detenuto Vladimir Vorcov è stato
rilasciato dal nostro carcere in grazia della sua buona condotta.
L’informazione, come da
lei richiesto all’incarcerazione del sopraccitato nel
giorno 31/10/2005, verrà inoltrata anche ai Sig.ri Boris Huznestov,
Ivan Pavlov
e Sergej Petrov.
Ringraziando per la
cortese attenzione accordataci, le porgiamo distinti
saluti.
Lì, 13/01/2012.
Kei
rilesse diverse volte quelle poche e fredde righe; e ad ogni nuova
lettura la
sua presa sul foglio si fece sempre più rigida.
Ora comprendeva.
Oddio,
ormai erano adulti –anche se sarebbe stato più corretto dire che non
avevano conosciuto null’altro se non la maturità -, però in qualche
modo la
figura di Vorcov ancora li inquietava… un po’ come la famigerata ed
antica
bestia sotto al letto che, per quanto si potesse essere divenuti
grandi, non si
sarebbe mai riusciti a sconfiggere.
Ecco, per
dirla in parole povere, l’uomo nero di Yurij era proprio Vladimir
Vorcov…
Hiwatari si
accomodò con un sospiro di fianco al compagno, gettando dall’altra
parte della stanza quella che a suo illustre
parere altro non era che carta straccia neanche tanto utile per pulirsi
il
sedere.
Però, a quel
punto, davvero non seppe più come comportarsi; e lì, accanto ad
Ivanov, avvertì solo il suo dubbioso
silenzio
gridare.
“Ho bisogno
che tu mi stringa.”
Le parole del
russo giunsero come in risposta ai suoi tormenti, ed allora percepì
che per una volta persino per loro
due la quiete del muto comunicare non sarebbe stata sufficiente.
Quindi, senza
fare alcuna resistenza o porsi esitazioni, Kei lo avvolse
completamente in un abbraccio contro il proprio torace.
Cercò di
imprimere quanto più calore gli fosse possibile in quel gesto,
riuscendo allora a captare nuovamente i sentimenti e le inudibili
parole di
Yurij.
Il disprezzo,
la rabbia, il disgusto ed un qualcosa che arrivava a
rassomigliare alla delusione si impressero nelle sensazioni di Hiwatari
come
tagli sul legno, come lividi sulla pelle;
ed in quel momento seppe che non avrebbe più accettato che una simile
sofferenza osasse anche solo sfiorare Yurij.
Si ripromise
che il silenzio di Ivanov avrebbe continuato a parlargli e che
tutto ciò che ne avrebbe compromesso la stabilità sarebbe stato
sradicato ed
estirpato sul nascere.
Perché era
anche grazie alla dolce unicità di quei dialoghi ed alla tremenda
crudeltà dei muti rimproveri, se potevano dirsi uniti da quello che,
no, non
era solo banale
e frivolo
amore.
*Owari*
Eccomi
finalmente giunta col nuovo capitolo e, sorpresa sorpresa, oggi sono
quattro, quattro anni che
gironzolo su EFP.
Cavolo, non
sono mai stata così costante in qualcosa! 8D
Bhé, che dire?
Mi auguro che anche questa shot possa esservi stata gradita,
personalmente è una di quelle che preferisco ^^’.
Mi auguro di
ricevere delle vostre opinioni, sono sempre bene accette! ^^
Un bacio e
grazie per l’attenzione!
Iria.
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Capitolo 4 *** #4- Winter [1415 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#4- Winter [1415 parole]
L’inverno era il
periodo dell’anno che Yurij forse più odiava; e ciò poteva risultare
assai
inaspettato, soprattutto considerando le origini slave del ragazzo.
Insomma, il freddo e la neve avrebbero dovuto quantomeno infondere al
suo animo
ed ai suoi ricordi un’agrodolce nostalgia.
Tra l’altro -fottuto scherzo del destino-
persino nel suo beyblade, un tempo, era insito il potere del ghiaccio
-ma, bhé,
a sua discolpa poteva solo dire di non aver mai partecipato ad un
torneo se non per cause di forza maggiore.
Eppure, nonostante ciò, il giovane Ivanov fissava con rancore i candidi
fiocchi,
desiderando solo che la smettessero d’imbrattare di bianco la
sua esistenza.
Pregando che la finissero
di perseguitarlo.
Supplicando che rinunciassero
a soffocarlo.
Chiudeva tutte le tende alle finestre e, lasciando l’appartamento in
una grigia
penombra, aspettava semplicemente che la nevicata si dissolvesse e che
quel
candore si tramutasse in fango sporco.
Respirava il gelo, consentendo all’inverno di depositarsi con cura
sulla sua
anima e socchiudeva gli occhi.
Intorpidito, non aveva neanche più la forza di muoversi o di accendere
il
riscaldamento; di star sdraiato o seduto.
Rimanendo lì in piedi ed indifeso si limitava, quindi, a lottare contro
le
tempestose schegge di ghiaccio dell’inverno in ciò che assumeva sempre
più le
vaghe, ma spaventose sembianze d’un incubo senza fine.
C’era solo una mano bianca ed avvizzita in quella tormenta che,
tendendosi verso
di lui nell’angosciante caos, pareva volergli donare un aiuto e
porgergli una
promessa simile a gelido cristallo.
Lui, accettando in preda alla disperazione, gridava.
L’inverno lo stava divorando.
Il sangue deturpava la neve.
Kei non sapeva spiegarsi il perché, ma appena vi era la
nevicata che
preannunciava l’arrivo della fredda stagione il compagno, senza alcun
apparente
motivo, perdeva i sensi.
Negli anni aveva già notato che le uniche occasioni in cui Yurij
sembrava avere
seriamente bisogno del suo aiuto
fossero solo quelle in cui il cielo si tingeva per la prima volta di
bianco.
Infine, per il resto dell’inverno, il russo si limitava a rinchiudersi
in un
persistente e cocciuto malumore che metteva a dura prova i saldi nervi
di Kei…
Quel giorno erano entrambi in casa, nella sala da pranzo, quando dei
timidi
fiocchi di neve iniziarono a macchiare l’asfalto delle strade.
Hiwatari vide subito Ivanov venir meno davanti ai propri occhi e, prima
che il
giovane battesse la testa, riuscì a passargli una mano intorno alla
vita,
attutendogli la caduta.
Sentiva il respiro del giovane regolare, certo, e sapeva che non vi era
nulla
di cui preoccuparsi, eppure…
Yurij aveva tirato tutte le tende e la casa era nella penombra; già, in
qualche
modo pareva che Ivanov avesse tristemente desiderato ripararsi
dalla neve.
Oh, Kei non riusciva proprio a comprendere quella situazione e ciò non
faceva
altro che frustrare ed irritare ancor più il giapponese il quale,
rassegnato, con
un sospiro dovette solo limitarsi a sedersi sul pavimento e, poggiando
il capo
di Yurij sulle proprie cosce, a chinare lo sguardo per fissare il volto
corrucciato e dormiente del compagno.
“Che diavolo c’è in quella tua testa..?”
Quando Yurij si svegliò, doveva essersi fatto molto tardi.
Lo scoppiettio del camino rideva nelle sue orecchie ed avvertiva che la
punta
del proprio naso -con molte probabilità- si fosse completamente
arrossata.
L’odore della legna ardente gli stuzzicava le narici, così come quello
più
dolce di qualcosa che vi veniva cotto sopra.
Aprì piano gli occhi, per evitare di restare accecato dalla luce del
fuoco.
“Finalmente ti sei svegliato…”
Era sdraiato sul tappeto della sala da pranzo, avvolto in una coperta
patchwork.
In quel momento, la sonnolenza ed il dolce tepore che l’avevano accolto
parvero
ritirarsi d’un tratto e Yurij, che aveva provato a sedersi, dovette
necessariamente stendersi di nuovo a causa di un capogiro e del freddo
che lo
fece rabbrividire.
Appena disorientato per quel brusco cambiamento, il giovane si portò
una mano
alle tempie scuotendo la testa, quasi a voler scacciare un pensiero
malevolo;
poi, con fare inquisitorio rivolse lo sguardo a Kei come se pretendesse
delle
spiegazioni.
E subito.
Ma zittì di colpo la domanda che stava per affiorargli alle labbra,
quando vide
Hiwatari togliere via dal camino una fetta di pane imburrato fattasi
dorata e porgergliela
con l’accenno di un sorriso.
“Sei svenuto… ed io non ho potuto fare niente per evitarlo.”
Ivanov, provando ancora a sedersi e riuscendovi, prese ciò che Kei gli
tendeva
addentandolo affamato.
Nella voce del compagno aveva chiaramente distinto una nota di ostile
rammarico
e si incupì per questo.
Lui, Yurij, ormai poteva vantare di conoscere abbastanza
approfonditamente
Hiwatari, tanto da riuscire a distinguere e ad individuare la
preoccupazione
nella sua voce.
Sapeva di essere la causa di quel turbamento e si sentiva anche
piuttosto
incazzato con se stesso per tale motivo…
In silenzio, quindi, si era spostato al fianco di Kei che, piombato
ovviamente
nel proprio mutismo ed osservando il fuoco, di primo impatto non si
accorse che
la coperta lo avesse teneramente avvolto.
Quando, poi, avvertì il peso della testa di Yurij sulla spalla, si
riscosse dai
suoi pensieri.
“Puoi dirmi cosa ti prende ogni volta..?” La richiesta parve più
rivolta alle
fiamme che al giovane accanto a sé.
Distaccato com’era, sarebbe stato quasi comico se non offensivo provare
anche
solo a pensare che, in quel momento, Kei fosse sinceramente
in pensiero.
“Mi fai la stessa domanda tutti gli inverni.”
Yurij si rigirò tra le mani il pane che non aveva ancora finito, anche
lui discutendo
pacatamente col fuoco che, scoppiettando, risultava assolutamente
indifferente alle loro attenzioni.
“Bhé, forse è arrivato il momento di una risposta, non trovi?”
Hiwatari decise che stavolta la domanda andava posta al diretto
interessato;
quindi, piantandola di corteggiare le fiamme, si voltò a fissare Yurij
con
insistenza, provando ad eclissare in una remota regione del proprio
cervello il
pensiero che quell’istante fosse –tutto
sommato- davvero bello.
Ivanov si limitò a ricambiare lo sguardo dell’amante, in silenzio.
Bhé, lui da anni sapeva a cosa fosse dovuto quell’annuale mancamento; e
di
certo non era particolarmente disposto a discuterne i motivi.
I medici le definivano tra di loro “fughe
magiche”(*)… o svenimenti da trauma, che dir si voglia.
Tutta quella merda, in pratica, avveniva a livello subconscio: il suo
cervello durante
un dato evento –la prima nevicata- rievocava le memorie che aveva
preferito
stipare a forza in un cassetto troppo piccolo della mente, portandolo a
perdere
coscienza di se stesso.
Nulla di incurabile, per carità!
Aveva solo bisogno di qualche seduta da uno strizzacervelli, cosa che
però non
gli andava particolarmente a genio…
Quindi, ringraziando il buon Cielo -e
Vorcov, naturalmente-, preferiva tenersi stretto le proprie stranezze
ed i
risvegli traumatici in ufficio/in strada/sul tappeto persiano in casa.
Che testardo.
“Penso che non cambierebbe nulla. Tu lasceresti comunque che
sia io a decidere
cosa fare; e già conosco le mie intenzioni e ciò che metto in ballo… rischierei solo di perdere le tue cure.”
L’ultima affermazione non era tinta di malizia come ci si sarebbe
potuto
aspettare; anzi, fu pronunciata appena ed anche con un pizzico di
malcelato
imbarazzo…
Sì, pure Yurij aveva ancora i suoi bei problemi nell’esternare le
proprie
emozioni, ma almeno ci provava.
Fallendo miseramente, certo.
Kei, da parte sua, non sapeva davvero cosa dire di rimando; allora, si
limitò a
fingere di non aver sentito quell’ultima frase, esaudendo persino le
vane
speranze di un Ivanov in preda ad assurdi scongiuri.
Però non si negò di sorridere né, inconsciamente, di stringere un po’
più a sé
l’amato.
Yurij Ivanov non poteva fare a meno di odiare l’inverno.
Gli gelava il cuore, il corpo e la mente e, trascinandolo in un vortice
di
grotteschi incubi ed ammuffiti ricordi, lo piegava in ginocchio.
Molte volte quella sua irragionevole e sfrenata furia era stata causa
di
violenti litigi, durante i quali il giovane si era ritrovato spesso a
sputare
contro il compagno tutto l’odio –fasullo,
fasullo, fasullo- che covava nei suoi confronti.
Però quella volta, anziché annegare nell’ira si ritrovò avvolto dal
profumo di
Kei, a nuotare in esso; e si disse che sarebbe stato bello restare
aggrappato
ad Hiwatari per tutto lo scorrere della stagione...
Oh, forse il Vecchio Signor Gelo
stava
iniziando ad affezionarsi anche lui.
Già.
Magari, l’anno seguente, non avrebbe più torturato
con glacialità ciò che restava del
suo passato a brandelli.
Lo sperava ardentemente…
Quindi, augurandosi solo di poter tornare ad abbracciare Kei in quella
stessa
ed intima maniera –ossia anima contro anima-, volle solo
sussurrare con gratitudine poche e faticose
–soprattutto se rivolte a lui..!-
parole.
“Spasiba, Ser Zima… (*)”
*Owari*
Eccomi qui,
finalmente =).
Anzi tutto, le
due noticine.
La prima
riguarda le “fughe magiche” che, come detto, sono dei mancamenti che
colpiscono le persone in una data situazione che ricorda un trauma o in
uno
stesso momento traumatico.
L’ultima
frase, in russo, significa “Grazie, signor Inverno”, o almeno credo…
le mie conoscenze di russo sono assai –molto, troppo- limitate. XD
Bhé, che dire?
Questa shot mi
è piaciuto scriverla, anche perché ho inserito un elemento
“autobiografico”…
Quando ero
piccola, andavo spesso da quella che all’epoca consideravo la mia
migliore amica; aveva un camino ed ogni volta la mamma ci scaldava il
pane sul
fuoco col burro, del formaggio o con dei salumi.
Era bello e
rilassante, d’inverno, mangiare e chiacchierare davanti al camino o
solo osservare il fuoco.
Bei tempi, sul
serio…
Bhé, dopo
queste chiacchiere un po’
inutli e forse noiose, vi saluto! =)
Spero di
ricevere delle vostre opinioni,
sono più gradite e fanno sempre piacere!
Un bacio!
Iria.
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Capitolo 5 *** #5- Darkness [1010 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#5-
Darkness [1010 parole]
Per Kei l’oscurità
era stata spesso una complice:
nascondeva i suoi timori,
ingurgitandoli nel silenzio delle notti scandite dai respiri di Yurij.
Hiwatari non era il tipo che lasciava trasparire tanto facilmente i
propri
problemi… se Ivanov quando era teso tendeva ad irrigidire le
espressioni del
viso in maniera quasi inquietante, il giapponese si limitava ad
attendere il
calare delle tenebre.
Sedeva sul proprio lato del letto, concedendosi tutti i secondi,
i minuti e le ore
che gli servivano per ritrovare la
tranquillità.
Alle volte non dormiva, precludendo al sonno qualsiasi possibilità di
insinuarsi fra le sue palpebre pesanti e dominarlo.
Allora il buio lo abbracciava e, cullandolo, impediva alla disperazione
di
piantare perversi semi nel suo cervello.
Già, il giovane Hiwatari non poteva sopportare di star calpestando le
orme di
suo nonno: quell’uomo aveva rappresentato quanto di più spregevole la
vita
potesse offrirgli..!
Però, certamente, essere il direttore di una grande azienda era
piuttosto
soddisfacente dal punto di vista economico.
Bhé, lui in tutta sincerità avrebbe voluto scrivere
e fare successo con qualcosa che avesse differito profondamente dalla
banale
superficialità del beyblade.
Ma il suo spirito razionale e ferreo aveva preferito optare subito per
una
stabilità ben piantata per sé ed il compagno, senza la presenza di quei
troppi
punti interrogativi che sarebbero sicuramente
spuntati al porsi domande sul successo editoriale di un romanzo…
L’oscurità, quindi, assorbiva tutti i sogni e le perplessità del
giovane,
nutrendosene con l’ingordigia tipica d’un maiale affamato.
Infatti, in quella maniera il cuore di Kei non rischiava più di
vacillare; e
tornava la convinzione che le sue scelte fossero state quelle più
giuste in
assoluto.
Certo che, però, narrando i suoi desideri al vuoto, il buio a poco a
poco gli
si insinuava sotto la pelle, rendendolo un po’ più apatico…
Non vi era il calore umano di un corpo a stringerlo e a sussurrargli
che tutto
sarebbe andato per il verso giusto, che nulla di ciò che aveva
intrapreso
avrebbe potuto fargli del male.
Kei era troppo orgoglioso –o forse troppo vigliacco..?-
per ammettere innanzi a chi davvero aveva importanza per lui di stare,
alle
volte, decisamente male.
Quindi, si crogiolava nel buio della camera da letto, pregando che i
tenui
respiri di Yurij restassero regolari e che il compagno non si
svegliasse: sarebbe
stato intollerabile, per lui, sostenere lo sguardo indagatore del giovane in
quegli
attimi…
Oh, restavano solo le tenebre che, calategli attorno, lo guardavano con
grottesca tenerezza, lasciandolo auto
convincersi che tutto, tutto
andasse bene.
Yurij odiava profondamente l’oscurità.
Isolandolo, lo allontanava da Kei al pari di un’amante gelosa ed
inviperita che
per nulla al mondo avrebbe condiviso il proprio uomo; e ciò che più lo
infastidiva era la barriera che d’improvviso si ergeva tra loro.
Ivanov sapeva che, spesso, Hiwatari cercava un riparo tra le braccia
delle
tenebre, cacciandolo via dal suo mondo di preoccupazioni.
Bhé, il russo non era uno stupido ed intuiva i tormenti del compagno:
alle
volte era rimasto sveglio con lui e, fingendo di dormire, aveva atteso
per tutto
il tempo di cui Kei necesitasse per ritrovare la serenità.
Però, per quanto rispettasse quel bisogno del giovane di voler
affrontare i
propri problemi nel buio, non poteva non amareggiarsi
sentendosi avvolgere in un involucro di inutilità…
Una notte sembrò che Kei impiegasse più tempo per reprimere i propri
timori.
Addirittura Yurij fu sicuro che ormai stesse per albeggiare quando si
tirò su,
pronto ad affrontare definitivamente il problema.
“Kei?”
Lo chiamò una volta, in un bisbiglio soffuso, ma il giovane che sedeva
dandogli
le spalle parve non sentirlo.
“Kei..?”
Ripeté con più insistenza quel nome e, difatti, allora Hiwatari si
voltò verso
di lui con un sopracciglio inarcato.
Fu davvero sorpreso, poiché credeva che Yurij stesse dormendo
profondamente, e
per un attimo si ritrovò smarrito.
L’oscurità scomparve gridando, cacciata via dalla luce dell’abat-jour
accesa da
Ivanov.
Questi lo fissava con gli occhi un po’ gonfi, chiaro segno della notte
passata
in bianco.
“Ascoltami.” Cominciò con fare deciso, senza distogliere lo sguardo dal
compagno.
“Io non voglio costringerti a confidarti con me o a rivelarmi cosa ogni
notte
ti impedisca di dormire.”
L’altro strabuzzò appena gli occhi, stupito a quell’affermazione e
segretamente
grato al ragazzo; già, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era
ritrovarsi
costretto a dar vera voce a degli stupidi assilli.
“Però, vorrei ricordarti che io ci sono e
che potrei esserti ben più utile del buio. Modestia a parte, sono un
essere
umano... ” Le ultime parole furono pronunciate con un mezzo sorriso,
poi il
russo si zittì, indeciso se continuare o meno.
Guardò Kei, chinò gli occhi ed infine si allungò per spegnere la luce,
dando forfait.
Però il giapponese fu più rapido e gli bloccò il polso.
Allora, restando in silenzio strinse la mano dell’amante, carezzandola
appena.
«Scusami…»
Avrebbe
voluto dire.
«Ti ringrazio. »
Gli sarebbe piaciuto aggiungere.
Ma si limitò a restare lì, con le dita calde di Yurij intrecciate fra
le
proprie e gli occhi persi nei suoi.
Poi d’un tratto sciolse la presa, tirando un lungo sospiro.
“Ora sto bene…” Bisbigliò infine, spegnendo personalmente la lampada e
lasciando Ivanov fra l’interdetto ed il piacevolmente
sorpreso.
“E la prossima volta, se ne sarò in grado, mi confiderò con te.”
Aggiunse poco
dopo in un borbottio, quando si fu sdraiato al suo fianco.
Quella volta fu Yurij a restare sveglio, imprecando contro l’oscurità.
Non gli importava che tra qualche ora si sarebbe dovuto dirigere in
ufficio,
tanto meno quali cause avrebbe trovato sulla scrivania.
Voleva solo che il buio assorbisse tutta la sua rabbia e frustrazione.
Tutto l’odio e l’amore che provava…
Perché, ne era convinto, neanche Kei sembrava tanto sicuro delle
proprie parole
e perché, forse, il giapponese era
rimasto segretamente affascinato da
quella accondiscendenza con cui l’oscurità accettava
i suoi sfoghi.
Sorrise tristemente.
«Mi spiace che
tu non mi ritenga in grado di reggere anche i tuoi meschini incubi,
Hiwatari…»
Quindi, si limitò ad osservare il sole sorgere stringendosi a Kei con
la
consapevolezza di potergli donare, allora, solo quel calore di cui
l’amato aveva
sentito il disperato bisogno.
*Owari*
Eccomi qui =).
Pian, piano si
giunge, oh sì.
Bhé, che dire?
Mi è piaciuto
scrivere questa flash, in quanto più legata alla psiche di Kei.
È un po’ più
‘cupa’, forse, però credo che nel finale abbia la giusta
risoluzione: un abbraccio.
Un abbraccio
che non è altro che calore ed amore.
Non so, forse
non è ‘dolce’ come le altre, ma penso che riesca ad esprimere
meglio quello che è, per me, il legame tra Kei e Yurij.
E, bhé, mi
auguro di ricevere le vostre opinioni!
Un bacio!
Iria.
|
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Capitolo 6 *** #7- Sunrise [910 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#7-
Sunrise [910 parole]
L’alba
era l’unico momento della giornata
che Yurij poteva dire d’apprezzare
sinceramente, senza alcuna riserva sulla propria opinione.
Infatti, considerava la notte e le stelle uno spettacolo magnifico,
certo, ma
di cui molti –e forse in troppi- potevano godere e scaldarsi.
La frescura dei primi raggi rosei del sole, invece, era dedicata solo a
quei
pochi temerari che riuscivano ad aspettare, sfiniti, la nuova rinascita della stella.
Era in attesa e, seduto sulla fredda sabbia, si scaldava con uno degli
asciugamani che lui e Kei avevano portato per quella notte.
I ruvidi granellini gli solleticavano le gambe, l’aria salata
dell’oceano gli
seccava le labbra ed una fievole sonnolenza aveva inibito i sensi del
giovane.
Il cielo invernale si rifletteva timido nello specchio d’acqua; con le
sue
nuvole pareva disegnare un unico e lungo ghirigoro di grigio inchiostro
e dal
bagnasciuga si alzava una lieve brezza che, avvinghiandolo con grazia,
gli
procurava la pelle d’oca.
Yurij fissò incantato il primo fascio di luce affacciarsi all’orizzonte
e
aggrapparsi alla superficie cristallina del mare; il bagliore si
proiettò fra
le spirali del cielo, sfumandolo di rosso.
Il tiepido calore del sole lo baciò ed il russo sigillò gli occhi,
schiudendo
le labbra.
Ad ogni profondo respiro il profumo di salsedine lo cullava e,
rilassando ogni
suo singolo muscolo, porgeva a Yurij l’opportunità d’essere una creatura qualsiasi di quella terra, e
non un sudicio fantoccio di pezza.
Chinava il viso, poggiandolo sulle ginocchia piegate e, lì,
rannicchiato, si
lasciava investire dal bagliore che esplodeva sul mare all’innalzarsi
del sole.
Il cremisi sfumava nell’arancione che, mescolandosi ad un pallido rosa,
si
perdeva nell’azzurro di un cielo incupito da sottili nubi.
Yurij Ivanov sorrise.
Il cuore batté forte.
Una bocca calda si posò a baciare la bianca spalla nuda del malinconico
uomo.
Si poteva dire che Kei, all’albeggiare, provasse un senso di profonda
frustrazione nei confronti di Yurij.
Sdraiato sulla sabbia chiara ed avvolto dagli asciugamani, osservava il
profilo del compagno
nudo ed appena protetto da un telo.
Sulla pelle di Ivanov le piccole pietruzze della spiaggia si erano
posate con
lascivia, come a voler dichiarare di loro proprietà quel bel luogo.
Hiwatari non riusciva a spiegare il fastidio che l’espressione
totalmente
rilassata del russo gli provocasse.
Dannazione, sarebbe stato disposto
anche
a fermare l’incedere del sole con
una
pistola ad acqua, pur di negargli la facoltà di rendere felice
Yurij.
Kei, egoisticamente parlando, voleva essere la sola alba
in grado di donare al giovane più
di un mezzo sorriso.
Ah, però l’unico problema era proprio l’incapacità del giapponese di
dar atto
alle sue tanto tronfie pretese.
Così, mentre la luce posava il proprio caldo manto sul corpo del
compagno, Kei
si alzò a sedere al suo fianco.
Guardò lontano, verso la linea del mare dove il sole ancora
galleggiava
pigramente e, respirando a pochi centimetri dalla cute della spalla del
giovane, la sfiorò appena con labbra cocenti.
Poi, sentì il cuore di Yurij pompare forte il sangue, quando,
posandogli una
mano calda sui pettorali gelidi, gli avvolse un braccio attorno al
torace.
Il freddo della notte si era impresso sul corpo del giovane Ivanov,
intorpidendolo, e lui, Kei, così immerso nel tepore, poteva davvero
essere
l’unico calore di cui il russo avesse bisogno.
Né il sole appena nato, né il potente raggio di mezzodì o la temperata
carezza
del tramonto potevano dirsi paragonabili ad un abbraccio del caro
Hiwatari..!
Così raro.
Così prezioso.
“Facciamo il bagno assieme.”
Al solito, il vecchio Kei preferiva porgere i propri inviti più in
qualità di
ordini che di tenere domande.
E, forse, era davvero meglio così: d’altra parte, il giapponese non
riusciva
affatto ad infilarsi le calzamaglie da principe azzurro e, se anche vi fosse riuscito, con ogni
probabilità Yurij gli sarebbe
scoppiato a ridere in faccia…
Ivanov, quindi, con un cenno d’assenso aveva lasciato scivolare via
l’asciugamano dal proprio corpo e, sfiorando
appena le dita di Hiwatari, si era avviato con lui alla riva.
Lentamente, si immersero nell’acqua fredda che, catturando i loro
corpi, ne trafisse
le pelli.
I due amanti si tennero vicini –per quanto
potesse essere ampia la definizione di “vicini”
nei canoni di Kei e Yurij, ovviamente!- al fine di scambiarsi
calore per poi, come in unanime decisione, lasciarsi totalmente
prendere dai
flutti cristallini.
L’oceano andava tingendosi di rosa al sollevarsi del sole e Yurij,
allora,
fissò il proprio sguardo ceruleo sulla stella ormai fluttuante che
ardeva nel
firmamento.
“Adoro l’alba…”
Confessò in un mormorio, più a se stesso che all’infinità che lo
circondava.
Kei gli si accostò alle spalle, provando davvero
a puntare gli occhi nella stessa direzione del compagno, però la luce
intensa,
illuminando il profilo bagnato del russo, lo spinse a posare le iridi
su quel
longilineo corpo dai delicati tratti virili.
Fu allora che il giapponese lo strinse in vita, avvicinandolo a sé.
«Ehi,
palla di fuoco, ti piace così tanto corteggiare il mio uomo..?»
Eppure, Hiwatari –cocciuto!- proprio non riusciva
ad afferrare che il profondo amore
di Yurij
per l’alba non fosse altro che gratitudine…
Oh, sì! Proprio lì, sotto i tiepidi raggi
del neonato
sole e bagnati dall’acqua salata dell’oceano, Kei lo baciava con quelle
sue
labbra screpolatesi per la nottata trascorsa all’aperto.
E cosa poteva
esservi di più
meraviglioso..?
Di certo, non
il mero spettacolo d’una stella ridente che sarebbe sorta per altri
miliardi di anni...
Già, loro erano lì in
quel solo triste
battito di ciglia del mondo, a respirare l’uno sulle labbra dell’altro
nell’insignificante albeggiare delle
proprie
vite.
*Owari*
Salve,
salve!
Chi non muore
si rivede, e pare che io sia come uno scarafaggio, in verità! owo
Cosa dirvi?
Nello scrivere
questo capitolo, ho cercato, ho provato ad infondere nel
lettore la voglia di disegnare questa
scena e spero, in un modo o in un altro, di esserci riuscita! =)
Mi auguro che
la shot vi sia piaciuta, confido
in voi, in un vostro commento ed in una vostra opinione, sempre
molto ben gradita! ^w^
Un bacio, alla
prossima!
Iria.
|
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Capitolo 6 *** #6- Christmas [1250 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#6- Christmas [1250 parole]
Yurij
doveva ammettere di apprezzare
sinceramente il Natale giapponese.
Era una festività, quella cristiana, che il popolo del Sol Levante
aveva inglobato nella propria
cultura solo per
lo smodato interesse che nutriva verso festival e frivolezze simili; e
non
aveva nulla di religioso.
Il giovane Ivanov ricordava le ipocrisie della messa della Vigilia:
loro, in
quanto ospiti di una discarica
mascherata da monastero ed orfanotrofio, erano costretti ad assistere
alle
funzioni sacre, soffocando nell’intenso aroma dell’incenso le bestemmie
contro
Dio, Vorcov, Mosca, Vorcov,
la Russia ed ancora Vorcov…
devozione assoluta, insomma..!
Già, Yurij non aveva alcun credo e questo gli andava più
che bene.
Non era abbastanza profondo per perdersi in chiacchiere metafisiche e,
comunque, non riusciva ad afferrare
l’utilità
ed il conforto che le suddette avrebbero potuto arrecargli.
D’altra parte, però, il Natale nipponico irritava profondamente Kei
Hiwatari; e
questa mesta ira oltre che a riflettersi nei suoi atteggiamenti, non
nutriva altro
che mute discussioni fra i due compagni coronate da cene che,
raffreddatesi,
restavano intatte e da bronci cocciuti sotto le coperte.
Il Natale in Giappone veniva vissuto come una festa romantica, un secondo San Valentino e Kei non
poteva tollerarlo per una questione prettamente personale: per quanto
nella
nazione nipponica l’omosessualità non venisse considerata un problema durante l’adolescenza, in età
da matrimonio il continuare a condividere la propria vita con un altro
uomo era
ritenuto un insuccesso ed uno stroncamento alla propria realizzazione.
E, in tutta sincerità, lo disgustava non potersi definire –in base ai canoni nazionali- un uomo che
aveva raggiunto la vetta.
Dunque, ecco che all’anno si andava ad aggiungere un secondo giorno in
cui le
coppie standard potevano
passeggiarsene mano nella mano in tutta tranquillità e scambiarsi
diabetiche
effusioni.
Oddio, non che Kei provasse l’impellente desiderio di andarsene in giro
per la
città stringendo a sé Yurij –decisamente, non era un ruolo che gli
calzava
granché bene-, però sapere che se
anche avesse voluto farlo sarebbe finito col venire etichettato come un
fallito, bhé, non ne usciva molto
incoraggiato…
Ivanov non badava a quelle stronzate
che, d’altra parte, erano solo particolarità di una cultura di per sé
alquanto
stramba: si era persino abituato alla discreta
xenofobia del Paese..!
Però Kei era giapponese e potersi dire soddisfatto, avendo raggiunto il
massimo
dei propri obiettivi, rappresentava l’estasi della gratificazione.
Quindi, cercava di farsi da parte e di mostrarsi il meno possibile
assieme al
giovane Hiwatari.
Ne soffriva, certo, ma era un sacrificio sopportabilissimo,
considerando che da qualche altra parte avrebbero persino rischiato di
finire
accoltellati da un fanatico…
Quel Natale sembrava un po’ più freddo degli altri.
Yurij, stretto in un maglione, stava accendendo il camino, maledicendo
Kei che
era decisamente in ritardo.
Okay, non tenevano in particolar modo alle tradizioni o alle feste,
però
sarebbe stato bello cenare insieme almeno
per una sera.
Era già pronto a mandare tutto al diavolo e ad andarsene a letto a
digiuno –gli
si era stretto lo stomaco dal nervosismo-, quando Hiwatari, entrando
senza
neanche salutare, gli lanciò contro il cappotto.
“Usciamo.”
Non era ciò che poteva definirsi un invito –anzi, suonava più simile ad
un
ordine!-, ma Yurij ne rimase comunque sorpreso.
Sbatté un paio di volte le palpebre, fissando prima Kei, poi il
cappotto che
gli era arrivato tra le mani ed ancora il compagno, senza fiatare.
Era davvero convinto della sua
decisione..?
Il russo non voleva che Hiwatari potesse pentirsi delle
proprie azioni e,
soprattutto, non voleva essere la parte integrante di un eventuale
rimorso.
Non lo avrebbe tollerato.
“Ne sei sicuro..?”
La sua domanda fu pronunciata in un soffio, con tono piuttosto duro.
Yurij stava avvisando Kei, tentando di fargli comprendere che non aveva
la
minima intenzione di soffrire per
una
cazzata culturale secondo la quale il giovane Hiwatari non sarebbe mai
riuscito
a rispecchiare il modello perfetto di cittadino giapponese…
Però non ricevette alcuna risposta e, poco dopo, fissando l’amante
dritto negli
occhi, decise di stare al gioco: si
infilò il cappotto, seguendo Kei in strada.
Hiwatari aveva riflettuto a lungo e, alla fine, era arrivato alla
conclusione
di star sfiorando una genuina idiozia
col suo atteggiamento, e voleva troncarla sul nascere.
In strada le decorazioni natalizie brillavano negli occhi dei due
giovani ed il
vociare delle coppie che passavano lì accanto riempiva le loro
orecchie.
Dalle vetrine dei ristoranti fast-food potevano intravedere ragazzi e
ragazze
che si scambiavano regali o mangiavano, sorridendo, il pollo fritto
ordinato.
Insomma, sotto quella pesante cappa di gelo si levava con dolcezza
nell’aria il
calore di tanti cuori frenetici ed imbevuti nella gioia di poter amare.
Solo Kei e Yurij parevano stonare in quel quadro.
Non si abbracciavano, non sorridevano,
non si tenevano per mano, non si porgevano regali né, tanto meno, erano
l’uno
un uomo e l’altro una donna.
Ivanov stava per aprire bocca, volendo sapere quali fossero
le intenzioni
del compagno, quando quest’ultimo si fermò.
La porta di un locale lì vicino si aprì e l’aria, per un attimo, si
riempì con
la musica da karaoke natalizio.
Kei fece una smorfia.
“Odio il Natale…”
Yurij restò in silenzio, intuendo che il giovane avesse altro
da aggiungere,
ma quando fu evidente che Hiwatari preferisse crogiolarsi nel proprio
mutismo
anziché parlare; Ivanov fece per voltarsi ed andar via.
Aveva voglia di una cioccolata calda e di mettersi a letto, ‘fanculo tutto.
Però Kei lo bloccò, afferrandolo per l’avambraccio e Yurij sentì tutta
la
frustrazione del suo amante; tutta la rabbia che provava fusa
ad un qualcosa di molto più delicato
e simile al calore di un abbraccio...
Hiwatari avvicinò a sé il russo che non smetteva di fissarlo negli
occhi con
insistenza: tentò di carezzargli una guancia, si ritrasse e distolse lo
sguardo.
Il giapponese si stava odiando profondamente, e l’odio che nutriva nei
suoi
stessi confronti andava a riflettersi anche in quelli di Yurij.
Dannazione.
“Andiamo a casa, Kei… stiamo solo perdendo tempo.”
Il sussurro del russo lo fece rinsavire ed anche il tremore che, per un
attimo,
attraversò il corpo dell’amato parve scuotere Hiwatari.
Fu allora che lo baciò.
Lo strinse più forte che poté e, donandogli tutto il calore di cui
disponeva, provò
ad esibire tutto ciò che nutriva con quel semplice gesto.
«Sono
un coglione.»
Gli morse il labbro,
succhiandolo
appena.
«Un povero
represso che non vale neanche
la metà dell’uomo che sei. »
Lambì
con la propria la lingua dell’altro.
«Mi dispiace.»
Lo
avvolse in un goffo abbraccio, appropriandosi di tutto il calore della
bocca di Yurij.
«E non posso più
pensare di essere un
fallito.»
Oh,
persino con quel bacio non riuscì ad ammettere con chiarezza che tutto ciò di cui
aveva bisogno per dirsi realizzato fosse
lì, fra le sue braccia.
Ma Yurij lo
comprese in egual modo e solo quello fu importante.
Lasciò a Kei
tutto il tempo che occorreva per continuare a parlargli fra i respiri e,
quando si separarono accarezzandosi un
ultima volta le labbra, il giapponese gli sfiorò le dita di una mano
–ah!
Prendergliela sarebbe stato un gesto fin troppo intimo..!-, invitandolo a
seguirlo in quel locale vicino da cui
provenivano canti e risa.
Kei Hiwatari
disprezzava il Natale poiché, fuso a melense sdolcinatezze e a
ristrettezze culturali, gli impediva di presentare
Yurij
al proprio mondo, facendolo quasi arrivare all’odio nei confronti dello
stesso compagno.
Quella volta,
però, il gelo del venticinque dicembre gli inondò il cuore di
calore e, senza troppi complimenti, si decise a mostrare un bel dito medio al
cielo giapponese.
«Ho raggiunto la
vetta da un bel po’, fottuti
pezzi di merda.»
*Owari*
*Giunge
saltellando con un capellino da Babbo Natale*
Auguri a
tutti, gentili lettori! ^O^
C’è da dire
che tutte le mie shot a tema natalizio non siano proprio pregne di
gioia! :°D
Well, diciamo
che non sento il Natale particolarmente mio, ma gli auguri di
buonissime vacanze non si negano a nessuno per un semplice e personale
cinico
particolare! =)
Questa shot è
tra le mie preferite, sapete?
Ho cercato di
inglobare tutto ciò che so –poco…- sul Natale giapponese e
sull’atteggiamento
del popolo nipponico nei confronti dell’omosessualità =).
Bhé, mi auguro
davvero che possa esservi piaciuta almeno un po’!
Aspetto i
vostri pareri
sempre
ben graditi.
Fatemi sapere!
=)
Un bacio, ed
ancore buon Natale e buone feste! =)
Iria.
|
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Capitolo 8 *** #8- Gloom [1330 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#8- Gloom [1330
parole]
Per Yurij lo
stress alle volte poteva
dimostrarsi una bestia pressoché invincibile.
Gli uncinava il cuore e, premendogli con forza le tempie, lo soffocava
con
lentezza: le sue dita lunghe ed artigliate gli avvolgevano il collo; il
gelido
alito gli mozzava il respiro rubando ogni
singola boccata d’aria ed i denti affilati come rasoi bucavano la
candida cute
del giovane, succhiandone via ogni energia.
Yurij allora cercava un posto, uno
qualsiasi, dove, sedendosi, avrebbe potuto nascondere il viso
tra le mani
per provare a calmare l’opprimente disagio che gli azzannava
l’anima.
Completamente solo in quella
trappola
mortale, si ritrovava a cadere a corpo libero in un gelido abisso di
timori,
dove non c’erano né le calde mani di Kei ad intrecciarsi con le sue, né
il
tepore del corpo del giapponese a rassicurarlo
d’esser vivo. Quindi, il male acquistava una forma ben più perversa ed
insidiosa che si depositava sulle membra del giovane uomo al pari
dell’umido
terriccio su di una bara.
Il profilo di Kei si faceva evanescente, e al suo posto si imponeva una
piccola
scatola di antidepressivi che il russo rigirava tra le mani senza aver
davvero
la speranza che quelle pillole potessero aiutarlo.
Era sempre stato restio a chiedere un parere medico, soprattutto se ciò
avesse
riguardato la sua condizione psicologica, però
in quegli ultimi tempi aveva finalmente compreso che da quel punto di
vista
necessitava di un aiuto.
Yurij non era debole, per nulla, ma
il nemico più mostruoso che avesse prendeva le semplici sembianze del
suo
stesso subconscio.
Lo scuoteva, lo rivoltava e lo riduceva a brandelli.
Quando calava le difese, troppo spossato dal lavoro o in seguito ad una
violenta lite col compagno, ecco che nell’angolo più recondito e
segretamente
marcito del suo cuore lo stress iniziava a germogliare coi propri
velenosi frutti.
Rabbia, rancore, frustrazione ed infine depressione.
Lo inasprivano, succhiando via ogni traccia della gioia di vivere che
aveva scoperto
solo in quella manciata di anni e
Yurij si vedeva strappar via anche il piacere di poter ascoltare il respiro di Kei.
Già, le sue sensazioni si ovattavano, restituendogli solo quanto di più
doloroso potesse erroneamente
captare: la solitudine dei propri
tormenti.
Hiwatari, in quei momenti, assumeva le sembianze d’uno spettro e,
divenendo
assolutamente impalpabile, non poteva; no, anzi, proprio non riusciva ad afferrare la mano di Yurij
caduto nelle fauci di un marcescente abisso.
Ed il russo, allora, gridava il suo nome fino a sentire i polmoni
bruciare,
fino ad avvertire il proprio cuore esplodere…
Kei lanciava silenziose occhiate al compagno che, accomodatosi,
scartava le due
pilloline di cui, a detta del medico, aveva bisogno.
Nel mutismo dei loro dialoghi, il giapponese da tempo stava soffocando
con
Ivanov fra le deterioranti catene di quella meschina trappola psichica.
Hiwatari c’era.
Si proclamava presente col suo silenzio e legato con un grumo
di carne e
sangue –dicesi cuore- al caparbio
russo
che lo ripeteva, lo faceva sempre…
«Sto
bene.»
Ma
non ci credeva più neanche lui.
L’unica debolezza di Yurij si era sempre concentrata nell’equilibrio
psicologico del ragazzo e Vorcov, a suo tempo, aveva notato tale
particolare,
per poi tentare di cancellarlo con assurde
diavolerie.
Bhé, bisognava dire che per un po’, in effetti, il monaco fosse
riuscito nel nobile intento.
Però, il giovane Ivanov aveva ormai liberato da anni la propria mente
da simili
vincoli ed era tornato a riacquistare e a tenersi
stretto quei difetti che lo
rendevano
umano.
Eppure, non poteva e non doveva
continuare a precipitare nell’infinita e meschina trappola tesagli dal
suo
stesso nero ego…
Kei gli prese una mano e, restando zitto, raccolse tra le dita le due
pasticche; poi si inginocchiò di fronte al ragazzo che, seduto a volto
chino,
non aveva mosso un solo muscolo.
Il giapponese lo percepiva dai suoi respiri, lo intravedeva negli occhi
azzurri
che azzardavano un’inutile fuga, lo comprendeva grazie alle sue gelide
mani: Yurij,
con la sua ben nota testardaggine,
cercava semplicemente di tenere Kei lontano da quel suo universo di
cristallo,
rigettando l’idea che anche il giapponese vi rimanesse legato… e, no, si rifiutava di accettare che
Hiwatari, con le sue fredde
attenzioni
fatte di indifferente amore, si
fosse
già immerso fino al collo ed arrancasse per portare in superficie lui legato al fondo.
Kei conosceva la causa del malessere di Yurij –almeno
di questo ne aveva intuito il principio-: il Giappone non
era la terra ideale dove vivere, non se fin da bambini non si veniva
abituati
ai suoi folli ritmi.
L’educazione di Ivanov, di tipo militare, sarebbe potuta calzare a
pennello con
lo stile di vita del paese del Sol Levante, se solo il giovane avesse
continuato ad inibire le proprie sensazioni o a subire gli strambi
trattamenti
che lo facevano tanto rassomigliare ad una macchina…
Ma Yurij era umano, straniero,
ambizioso e certamente non poteva godere di una salute invidiabile per
i suoi
oscuri trascorsi.
E se un avvocato giapponese impiegava dieci ore per concludere con
successo la
stesura di un’arringa straordinaria, il russo avrebbe dovuto impiegarne
venti
per farla apparire quanto meno accettabile alle orecchie dei giudici;
ed era
già notevole che avesse conquistato
una carica tanto importante in un Paese dove i forestieri erano tenuti discretamente alla larga –come anche addirittura certi stessi compatrioti..!
“Yurij, basta che tu lo dica e torneremo in Russia anche solo per una
vacanza.”
Quel sussurro fece sorridere Ivanov che finalmente sollevò gli occhi
per
fissare le iridi scure di Kei ben piantate –con
fare neutrale- sulle
sue.
“Sei preoccupato?”
D’istinto, prima che Hiwatari potesse fuggire,
Yurij gli prese la mano dove l’altro stringeva le medicine e le lasciò
cadere a
terra.
Alle orecchie del giapponese, il suono sordo delle pillole che
rotolarono sul
pavimento bianco sembrò assai simile ad un lontano grido di rabbia.
Già, parve quasi che quelle pasticche si stessero ribellando: desideravano e pretendevano
di poter piantare nel russo non solo il seme dei lori
benefici, ma anche il virus di un’ulteriore e collaterale corrosione.
In cuor suo Kei gioì.
Quello schifo
che Ivanov tanto tentennava nell’ingurgitare se ne andava al diavolo.
“Sì.”
Schietto, non aveva distolto per un singolo attimo lo sguardo dagli
occhi
appena velati del compagno.
Nel loro profondo vedeva vivificare un’inquietudine che, lo ammise, lo
turbava
ed alla medesima maniera accresceva una sorta di astio
nei confronti dello stesso Yurij.
Oh! Perché il suo compagno s’era
rassegnato, lasciando che le chimere fameliche della propria fragilità
lo tormentassero?
Hiwatari lo chiedeva con ardore, precipitando nell’azzurro cielo del
russo…
“Mi dispiace.”
Il bisbiglio di Ivanov fu ancora più rumoroso del lento scivolare delle
pillole; gli si insinuò nel petto, scavandovi piano ogni singola
sillaba solo
per poterne dimostrare la disperata
sincerità.
Yurij cercava il suo cuore.
Nient’altro.
Yurij desiderava il suo calore.
Nulla di più.
“Nei miei incubi ti ho visto sparire.” Aggiunse, poi, d’un tratto, in
aggiunta
alle sue non dovute scuse.
Kei fu decisamente colto di sorpresa a quell’inaspettata rivelazione e
si
chiese cosa avesse mai potuto spingere Yurij sulla soglia di simili timori. D’altra parte, il giapponese non
aveva mai neanche sfiorato la possibilità d’abbondare il russo e,
forse, in
quel caso sarebbe stato Hiwatari stesso ad impazzire per primo..!
Allora, Kei sospirò e, poggiando la fronte contro quella del compagno,
gli concesse di intrecciare più
saldamente
le loro dita; gli permise di ricercare la sua presenza nella maniera
più
concreta che potesse.
“Sono qui, anche io ci sono.”
Parlò a voce bassa, timoroso che persino i muri, ascoltandolo,
avrebbero potuto
ridere a tale sfoggio di altruismo.
Però, questo bastò affinché un sorriso si dipingesse sulle labbra di
Yurij,
lasciandolo confrontarsi liberamente con gli occhi di Kei.
Non percepiva più i pestilenti respiri dell’ansia sottrargli
l’ossigeno:
quell’oscena creatura senza volto e dalle fauci nere e marce si era
dileguata
in un soffocato gemito di dolore…
Ora restava solo Kei che, nutrendolo con la sua presenza, gli si imprimeva sotto pelle, nell’anima, sul
cuore ed ovunque quel calore, o meglio quella
consapevolezza d’avere una speranza, volesse lambirlo con le
proprie incandescenti ed inoffensive
fiamme.
*I
was alone,
staring over the ledge, trying my best not to forget all manners of
joy, all
manners of glee and our heroic pledge.*
*Owari*
*Ero
solo, sporgendomi
oltre il davanzale, facendo del mio meglio per non dimenticare la
gioia, l’allegria
e la nostra eroica promessa*
Come nella
raccolta precedente, le ultime tre shot presenteranno una strofa di
un testo dei Placebo e questa è la meravigliosa Meds
Ooooh! Ed
anche questa arriva dopo secoli… mi perdonate? =D
Se penso che
ho pronta solo la prossima shot e la decima è ancora da ideare…
argh! Non voglio pensare a quando aggiornerò! XD
E dire che
nove su dieci capitoli li avevo pronti e comunque sono una lumaca.
Sigh! T^T
Bhé, spero
comunque che anche questa storia possa esservi piaciuta, personalmente
ho cercato di impegnarmi il più possibile per rendere verosimile la
situazione,
da tutti i punti di vista, come ho tentato di fare in ogni shot.
Well, vi
saluto, allora, augurandomi di
ricevere un vostro parere! =)
Un bacio!
Iria.
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Capitolo 9 *** #9- Scars [940 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#9- Scars [940
parole]
Le cicatrici per
Kei e Yurij non
rappresentavano una caduta o un’idiozia commessa durante l’adolescenza;
e tanto
meno potevano considerarsi come i risultati di una fantastica acrobazia
in
bicicletta o sullo skate.
Piuttosto, i due ritenevano –a ragione-
quelle tante e candide spaccature sulle loro carni dei sacrifici
e, difatti, ogni singolo dolore lì impresso era una
reminescenza da curare e sanare con pazienza ed attenzione.
Sembrava che le più profonde, ancora un po’ rossastre, non volessero
cancellarsi, pretendendo di restare lì un po’ più a lungo giusto per
ricordare
quanto male avessero causato e quanto sangue avessero lasciato versare.
Yurij, spesso, quando usciva dalla doccia fissava a lungo il proprio
profilo
cereo.
Qualche coraggiosa efelide si intravedeva appena sulla linea delle
larghe
spalle, la muscolatura per niente esagerata gli disegnava l’addome ed
una rada
peluria lo faceva rassomigliare ancora ad un ragazzino.
Tutto sommato, non disprezzava il proprio aspetto; però, ciò che più lo
disturbava nello studiare i tratti
del
suo giovane riflesso erano le lunghe e sottili striature che un po’
ovunque lo avvolgevano.
Avrebbe potuto affermare in tutta tranquillità che vi fosse quasi una lascivia molesta nelle ombre di quelle
morte ferite…
E se si immergeva nel silenzio ronzante del bagno, oltre al frastuono delle gocce d’acqua che
scivolavano a terra, il giovane ancora avvertiva l’eco di un terribile sibilo.
Kei, da parte sua, mostrava una sana indifferenza innanzi alle proprie
cicatrici e, anzi, spesso dimenticava addirittura di averne.
Quindi, il giapponese restò non poco sorpreso quando Yurij una volta,
piuttosto
che baciarlo o stringersi a lui, preferì accarezzargli ad uno ad uno
ogni singolo
sfregio.
Fra le braccia del compagno, infatti, il russo stava percorrendo con le
lunghe
dita i profili irregolari dei bianchi tagli, come a voler capire in
quale
momento e, soprattutto, con quanta forza fossero stati inferti; quando
d’un tratto
Hiwatari, prendendo la mano del giovane nella propria e bloccandola,
posò le
labbra sulla punta dei polpastrelli appena tremanti.
«Non
fanno più male… non c’è bisogno di curarle.»
Kei ricordava decisamente troppo poco della propria infanzia, ma in
alcuni dei
flash che più avevano eccitato la sua memoria rivedeva perfettamente
tanti di
quei segni ormai sigillati, aperti e sanguinanti e Yurij che, lì di
fianco, ne
sfiorava i bordi con tristezza e con la consapevolezza che lui, ferito
alla
stessa maniera, non avrebbe potuto fare assolutamente
nulla.
Che inutile capitano…
Il giovane Ivanov alle parole dell’amante sollevò appena lo sguardo ed
un mezzo
sorriso gli tinse
il volto.
«Capisco,
però a volte io me ne dimentico e sento ancora dolore.»
Sussurrò
in risposta nel buio, più
rivolto a se stesso che agli occhi scuri di Hiwatari.
Il giapponese restò muto a quell’amara confessione, continuando a
fissare Yurij
con fare indecifrabile.
In quel momento, Kei avrebbe potuto ammettere in tutta tranquillità di
star disprezzando Ivanov con ogni
miserabile
fibra del proprio essere.
Non poteva sopportare un simile ancoraggio
ad un dolore passato e che mai più avrebbe dovuto preoccuparlo.
Non tollerava che Yurij mordesse –al pari di un cane randagio- il
sentimento che nutriva la loro scintilla di segreta ed intima felicità.
Oh! Il sangue che avevano versato si
era raggrumato, lasciando sulle loro pelli solo un alone
agrodolce dal sapore metallico.
Kei riusciva ancora ad avvertirlo.
Si era mosso senza pronunciare una sola parola e, respirando a pochi
centimetri
dalla cute di Yurij, sfiorava con le labbra sigillate i bianchi
ghirigori incisi sul compagno.
Il russo chiuse gli occhi a quell’agire, e nel teso silenzio della loro
camera
cercò di imprimere nella propria memoria ogni singolo brivido che il
caldo soffio
di Kei gli infuse con inaspettata forza.
Ciò, indubbiamente, lo colse alla sprovvista eppure, senza mai esser
violento,
quel tepore dall’amaro retrogusto, conquistandolo, tentò di scavare e
poi colmare un vuoto ben diverso
dalla
ferite fisiche…
Poi, d’un tratto, la bocca del giapponese arrestò la sua corsa
sull’ultima e
più odiata cicatrice. Infatti lì, poco sopra il labbro superiore di
Yurij,
c’era una sottile e perlacea screziatura visibile solo a chi avesse
avuto
l’onore di potersi avvicinare al giovane quel tanto che bastasse per
distinguerla.
Allora Kei, senza malizia alcuna, posò le proprie labbra sopra quel
segno
imprimendovi un bacio tanto leggero che, in seguito, Ivanov
credé d’averlo solo sognato.
Però, le parole di Hiwatari che seguirono il gesto furono sicuramente
autentiche, poiché il russo le avvertì sin dentro l’anima e le sfiorò
col
proprio cuore nudo.
«Il dolore ora non ha più motivo
d’esistere, Yurij… non fra me e te.»
Spesso, Kei e Yurij avevano l’impressione che le loro cicatrici
dolessero
ancora; poi, si ricordavano d’esser felici e di non aver alcun bisogno
dei
fantasmi del passato.
Dunque, era proprio in quei momenti che sarebbero stati disposti
persino a
prendere a calci e a pugni
quel bastardo senza cuore d’Amore
in persona, pur di costringerlo a restituire la
serenità che spettava loro di diritto.
In ginocchio sui resti marci delle loro vite, costruivano con fango,
sudore,
sangue e fatica ogni secondo, ogni minuto, ogni ora ed ogni giorno del
proprio
rapporto…
E, no, non potevano sopportare d’avere impressi sul corpo dei marchi in
grado
di lasciar scivolare via tutto ciò che avevano eretto; anche se, in verità, pareva che proprio a causa di questi ultimi fossero stati in
grado di legarsi assieme con molta più insistenza.
Oltre al fisico, oltre alla sfera delle sensazioni, Kei e Yurij
guardavano
l’uno nell’anima dell’altro…
E con un bacio erano in grado di lavar via tutto quel ghiotto putridume
che,
accompagnando l’amore, aveva tentato di divorarli.
«Ridurrei Eros in pezzi solo per te; solo
per potertene cedere un frammento ogni giorno e scaldarti il cuore.»
*Bite
the hand
that feeds, tap the vein that bleeds… down on my bended knees, I break
the back
of Love for you.*
*Owari*
*Mordi la mano che ti nutre, tappa la vena che sanguina... qui giù sulle mie ginocchia fasciate, rompo la schiena dell'Amore per te.*
Post Blue, Placebo.
Secoli
son passati...
Ma finalmente
ecco la penultima shot! XD
Spero possa
essere stata di vostro gradimento, personalmente a me piace
abbastanza -cosa che accade di raro, quindi, wow, miracolo!
Mi auguro di
ricevere le vostre opinioni in merito! :3
Un bacio, alla
prossima!
*Che non so
quando sarà... la decima shot devo ancora scriverla, urgh .w.||||*
Iria.
|
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Capitolo 10 *** #10- Promises [1125 parole] ***
Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#10- Promises
Guardarsi
intorno e
comprendere d'essere solo fu meno traumatico di quanto si sarebbe
aspettato.
Oh, non che il suo cuore di ghiaccio avesse preso il sopravvento sui
sentimenti, sulle reazioni chimiche
o
quel che erano che lo legavano al compagno, ma Yurij si sentì
stranamente
tranquillo nel rimirare il soffitto della camera da letto in un
giaciglio matrimoniale
occupato per metà.
23 gennaio 2013.
Undici anni, quattro mesi e dodici giorni: la sua anima sarebbe dovuta
andare a
pezzi, avrebbe dovuto urlare e squarciare il silenzio con le
imprecazioni che
gli trabaccovano dal pugno pulsante sangue che aveva nel petto.
Però restava sdraiato.
Le mani in grembo e gli occhi azzurri socchiusi quasi fosse in ascolto,
senza
la pretesa di somigliare ad un cadavere.
Kei osservava la pioggia e quel giorno non c'era alcuna dolcezza nel
ritmo con
cui le gocce si infrangevano sull'asfalto e sui tetti delle case.
Rumorose e devastanti, sovrastavano persino il suono dei clacson degli
automobilisti impazienti, creando quasi un'aura appena luminiscente
tutt'attorno alle superfici colpite ed il rombo del cielo somigliava ad
un
grido senza fine.
Però quel caos apocalittico non soffocava l'eco delle soffuse parole di
Yurij.
"Cosa siamo noi..?"
Hiwatari, tenendo un braccio sollevato a mezz'aria nell'atto
di posare il
piatto che il compagno gli aveva passato, era rimasto totalmente
spiazzato a
tale domanda.
Non riusciva ad afferrare le ragioni di quel dubbio e gli sembrava
piuttosto
stupido dover catalogare il suo
rapporto con Yurij; però, in effetti, se gli avessero chiesto cosa il
giovane rappresentasse,
avrebbe trovato una certa difficoltà nel definirne l'importanza.
Era una base, un fondamento forse instabile, ma non ne avrebbe
desiderati altri,
perché stava bene.
Incredibile a dirsi e a sentirsi, ma le occasioni in cui abbandonarsi
ad una
solitudine di ghiaccio perenne s'erano consumate a favore, invece, di
una più
modesta voglia di restare in disparte solo in momenti particolari della
propria
vita -quando, ad esempio, la furia lo acceccava o l'amarezza lo
inaspriva-, quindi
cercò di elaborare con cautela una risposta soddisfacente che non
riuscì a
trovare.
"Io... non lo so."
Yurij si limitò a sospirare, con un mezzo sorriso tinto di disagio ad
ornargli
il viso.
"È passato molto tempo... dovremmo saperlo."
Poi, lo fissò per un altro lungo momento, infine mise via le ultime
posate e si
poggiò al lavabo, osservando le nuvole che si stavano accumulando in
cielo
attraverso le imposte spalancate del balcone.
Non si voltò a guardare ulteriormente Kei, ben sapendo che il
giapponese fosse
ancora immobile nel suo attonimento.
"Dovrei pensarci..."
Ivanov riuscì ad udire quella frase pronunciata a bassa voce anche al
di sopra
del fragore di un tuono lontano, ed il suo significato non lo lasciò
interdetto, né deluso o amareggiato: semplicemente, Yurij annuì
comprensivo,
quasi condividendo tale pensiero che non
gli apparteneva, ma che reputeva fondamentale per
Kei.
Non per loro due.
Ma solo per quel groviglio di sensazioni sconosciute e fin troppo
intricate che
stipavano la mente dell'uomo che l'aveva affiancato.
"Già, forse potresti."
Si sollevò con fare sfinito e stavolta posò sulle labbra di Hiwatari un
bacio
leggero -quasi sognato- prima di sparire, divorato
dall'oscurità del
corridoio della casa che si adombrava all'avanzare della tempesta.
Il giapponese rientrò nella cucina buia, chiudendosi alle spalle il
balcone.
Fradicio, si accomodò al piccolo tavolo al centro della stanza per
poggiarvi i
gomiti e massaggiarsi le tempie a due mani, come sfinito.
"Yurij, dannazione."
Il suo cervello non riusciva a fare altro, se non articolare quella
sileziosa
maledizione; il cuore scalciava infastidito, perché avrebbe voluto che
Hiwatari
afferasse il giovane Ivanov, lo scuotesse e gli gridasse contro:
"Ha importanza?"
Ma importante lo era per davvero, perché il tempo oltre che conferme
nutriva
dubbi e paure, ed il timore di sicurezze mai garantite -e
pronte a sfumare- attanagliava l'animo del compagno e lo
graffiava con artigli sporchi e marcescenti.
Stringere Yurij lo rilassava.
Combatterlo lo faceva sentire vivo.
Sfiorare il suo corpo e nutrirsi di quell'intimo calore lo appagava.
Stargli lontano non era una sofferenza.
Avrebbe voluto baciarlo in ogni istante della giornata, ed allo stesso
tempo
schiaffeggiarlo e gridargli contro che tutto era sbagliato, che erano
andati a
sbattere contro un sentimento troppo grande, troppo lontano, troppo
estraneo,
troppo complicato, troppo profondo per
loro.
Loro, così diversi.
Così stupidi ed ottusi ed orgogliosi, che per abbracciarsi aspettavano
il
momento opportuno, per baciarsi si coglievano di sorpresa, per fare
l'amore
lottavano come bestie in calore, come animali affamati.
Era triste.
Eppure, diavolo, avevano resistito
stringendosi le mani, graffiando via la carne, riducendo all'osso
quegli arti
le cui polveri, ormai, si erano confuse, giacendo
assieme.
Non si erano più separati.
E Kei avrebbe pianto e riso fino a stare male, a tali considerazioni.
Nessuno avrebbe scommesso su di loro.
Senza speranze.
Lontani.
Maledettamente dipendenti l'uno
dall'altro.
Hiwatari c'era quasi, aveva capito...
Yurij, alzatosi per versarsi un bicchiere d'acqua, lo trovò seduto in
cucina su
una sedia, con i capelli umidi ad incorniciargli il volto.
Sospirò, allontanandosi, per poi tornare qualche attimo dopo con un
asciugamano, che l'altro prese con un ringraziamento appena bisbigliato.
Ma prima che il compagno potesse anche solo avanzare di un passo,
Hiwatari gli
afferrò un polso in una presa ferma e decisa, che sapeva appena di
gentilezza.
"Promesse."
Yurij si limitò a rimanere in silenzio, osservandolo sospirare, come a
voler
trovare le parole giuste -quelle più
adatte- ad esprimere la confusione e l'astrattezza di ogni
singola
sensazione che gli vibrava dentro.
"Noi... siamo promesse.
Spezzate. Non mantenute. Tu non hai un anello che ti rende mio; non hai
acquisito il mio cognome ed io non ho preso il tuo. Sulla carta siamo
due
estranei con la stessa residenza... però ci sono la tua presenza ed il
tuo
respiro e la tua voce: tu sei la mia promessa per il futuro e se
dovessi
sparire... non importa. Sei rimasto
con me, incompleto e non realizzato
così a lungo che continuerei a sopravvivere. Però ora sto vivendo... e mi piace abbastanza."
Si era pronunciato senza distogliere gli occhi da quelli azzurri di
Yurij,
senza allentare la presa sul suo braccio e senza
respirare.
Ivanov per un attimo gli rivolse uno sguardo totalmente confuso e
spaesato, poi
la sua espressione si rilassò lentamente in un sorriso appena visibile;
quindi,
si avvicinò al volto di Kei e, tenendo gli occhi chiusi, poggiò la
fronte
contro quella del compagno.
"Va bene così, allora."
Oh, si maledivano ed odiavano.
Gridavano i reciproci nomi e si ricercavano, solo per stringersi fino a
soffocare, fino a toccarsi così profondamente da ferirsi e mescolarsi e
non
andare più via l'uno dall'anima dell'altro.
Distanti da ogni voce, immersi in un'esistenza d'ansia, il loro era un
fragile
Paradiso per cuori caparbi.
Da soli, per tutto il tempo che ancora restava
da condividere.
*Carve your name
into my arm. Instead of stressed, I lie here, charmed.
Cuz' there's nothing else to do... every me and every you.*
*Owari*
*Scava il tuo nome nel mio
braccio. Invece d'essere
furioso, giaccio qui, incantato. Perché non c'è null'altro da fare...
ogni me
ed ogni te.*
Alla fine,
dopo praticamente un anno,
quattro mesi e dodici giorni,
concludo questa raccolta che avrebbe dovuto avere tempi molto più
brevi, ma che
-un po' a causa della mia pigrizia, un po' a causa dell'ispirazione
altalenante- ho abbandonato assieme ad altri miei progetti.
Ringrazio
infinitamente chi mi ha
seguito, chi ha letto e chi ha commentato, e mi auguro di ricevere
delle
opinioni anche su quest'ultimo capitolo.
Per
il momento -che potrebbe essere un solo giorno o anche anni! Sono
estremamente lunatica da questo punto di vista, dannazione!-, questa
storia sarà la mia ultima KeiYurij.
Ho
tanti altri progetti su di loro -molti ancora non conclusi-, ma spero
un
giorno di finire tutte le storie in sospeso con questi due come
protagonisti,
perché lo meritano e perché continuerò ad amarli dal più profondo del
cuore.
Sono
una delle coppie più splendide di Bey; ed avranno sempre un posto immenso nel mio
cuore.
Spero
di essere riuscita, con quest'ultimo capitolo, a trasmettere un po' della
vasta gamma di sentimenti
che provo quando penso ad una loro possibile storia, ad una loro
possibile vita
insieme.
Ah,
sono dannatamente malata,
già!
Bhé,
allora un caloroso
arrivederci,
cari lettori.
Ed
un grazie di cuore.
Sempre
vostra,
Iria.
|
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