Le origini del Clan Shweek

di Tenoch
(/viewuser.php?uid=138344)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Ombra ***
Capitolo 2: *** Le Origini ***
Capitolo 3: *** Le Lame ***
Capitolo 4: *** Vendetta ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'Ombra ***


Un’orda di crudeli uomini-ratto si stagliava davanti a Shweek come un’infinita marea nera; avevano preso la fortezza sotterranea, e ora la stavano difendendo con le unghie e con i denti. Da buon ratto d’assalto, Shweek se ne stava di fianco al suo comandante, Snitz, pronto a difenderlo fino alla morte in caso di pericolo. Erano cresciuti insieme, e tra di loro si era sviluppato un sentimento quasi simile all’amicizia, un lato del sistema emotivo sconosciuto agli skaven; diciamo piuttosto che si rispettavano quel poco che basta ad evitare di pugnalarsi alle spalle. In combattimento davano il meglio di loro anche quando la loro unità era in netta inferiorità numerica, e grazie al loro carisma riuscivano a ridonare coraggio anche agli altri skaven attorno a loro, che di solito in queste situazioni fuggivano terrorizzati. Snitz dunque, era uno dei comandanti dei ratti d’assalto che quel giorno avrebbero dovuto proteggere il Capoclan, un ratto crudele e spietato, che combatteva solo per vedere soffrire gli altri skaven, non importa se alleati o nemici. Non conoscevano nemmeno il suo nome, ma erano costretti a combattere per chiunque li avesse comprati dai loro recinti. Il Capoclan voleva riconquistare una vecchia fortezza nanica, contesa da molti anni da due clan minori; egli era riuscito a prevalere su i due clan e aveva conquistato la fortezza, ma ora i piccoli clan si erano uniti in un grande clan e avevano costretto gli skaven occupanti a fuggire dalla fortezza. Nonostante le grandi perdite, il Capoclan non si era arreso e aveva reclutato i migliori ratti d’assalto dai recinti di Pozzo Infernale, i quali avevano relazioni piuttosto proficue con i clan minori che avevano preso il forte… Ora, il Capoclan aveva speso gran parte del suo patrimonio per comprare tutti i ratti d’assalto di Pozzo Infernale e portarli davanti alla fortezza del nemico; nessuno schiavo, nessuna creatura, nessuna macchina da guerra: come pretendeva di assediare una fortezza servendosi solo di ratti d’assalto? Dalle mura della fortezza, centinaia di perfidi occhietti rossi osservavano scrupolosamente il branco di ratti d’assalto, attendendo una loro mossa. Fuori dalle grandi porte del castello, erano disordinatamente schierati ratti di ogni tipo, incluse mostruose creature del Clan Moulder, contro i quali Shweek e i suoi compagni non avrebbero avuto nessuna possibilità. Il Capoclan si fece avanti dalle retrovie e si mise a strillare verso le mura della fortezza: “Guarda-guarda, piccolo e insignificante clan; questi sono i migliori guerrieri di vostre covate si-si. Avete bisogno di loro si? Ora loro appartenere a me! Io dimostra voi potenza del mio esercito di ombre si-si! Massacrateli!!” Le paure di Shweek non erano infondate: il Capoclan aveva comprato tutti i ratti d’assalto solo per dare una dimostrazione di forza agli altri clan, uccidendoli davanti ai suoi nemici. Con la coda dell’occhio, Shweek vide alcune figure ammantate balzare dietro di loro e subito comprese di essere circondato. “Snitz, ci hanno incastrati, presto-presto, scappiamo!” Fece in tempo a voltarsi che davanti a loro erano apparsi decine e decine di ratti ammantati di nero; brandivano piccoli coltelli impregnati di veleno mortale, e scontrarsi con loro avrebbe significato morte certa. Shweek serrò le zampe sulla sua lancia e cominciò a farla roteare in direzione degli assassini. Combatteva al massimo delle sue capacità, ma gli skaven neri erano troppo veloci; balzavano fulminei da un lato all’altro dei ratti d’assalto e ne mietevano dozzine in pochi istanti. Anche Snitz stava combattendo, e la sua armatura arrugginita era stata colpita più volte dalle lame degli assassini; un vigoroso affondo, e un assassino venne trapassato da parte a parte dalla sua grossa lancia. Snitz e Shweek si misero spalla a spalla e iniziarono a farsi largo tra i nemici e i corpi dei ratti d’assalto, che giacevano straziati ai loro piedi. L’esercito nemico intanto era rientrato nella fortezza, e i loro comandanti osservavano terrorizzati il massacro. Shweek uccise diversi assassini nella fuga, e finalmente lui e Snitz riuscirono ad uscire dalla calca; Snitz si diede un colpo secco sul petto, e la sua corazza cadde a terra. Lasciò anche la lancia e si mise a correre come indemoniato in direzione del suo compagno, che era già lontano e fuori dalla visuale degli assassini, sperando di essere così più agile e veloce. All’improvviso, diverse ombre scure si materializzarono tutte intorno a Snitz, che si bloccò terrorizzato: lanciò un ultimo sguardo a Shweek, prima che diverse lame gli si conficcarono nel corpo. Cadde riverso sul suolo impolverato, gli occhi sbarrati e un rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca. Shweek assistette alla scena da molto lontano, e quando gli assassini si voltarono nella sua direzione, lui era già scomparso. Dopo diverse ore di cammino, Shweek fece ritorno alla sua tana; i suoi denti erano ancora digrignati dalla rabbia, e nei suoi occhi bruciava un fuoco di vendetta che non aveva mai arso così violentemente prima d’ora. I tradimenti da parte degli altri skaven erano all’ordine del giorno, questo lo sapeva, ma il Capoclan non solo li aveva costretti al suo arrogante volere, ma aveva anche giustiziato brutalmente il suo compagno di guerra e tutti i ratti d’assalto con il quale era cresciuto; quello che voleva era distruggere quello skaven, non importa quanto ci avrebbe messo o quanti sarebbero morti. Diede uno sguardo alla sua armatura incrostata di sangue: se la tolse e la gettò in un angolo assieme all’altra sporcizia; poco dopo anche la lancia arrugginita fece la stessa fine: non avrebbe mai sconfitto quel bastardo con dei rottami del genere, doveva trovare qualcosa di meglio. Si stese su un mucchio di sudicia paglia e si addormentò. Dormì profondamente: sognò un’alta montagna scalfita da raffiche di vento che si stagliava in un’oscura pianura ricoperta da ossa di skaven; ai piedi della montagna, diversi tunnel portavano ad un immenso bacino di warpietra, il  tesoro più grande per uno skaven. Si svegliò di soprassalto; conosceva quel luogo, ci era stato quando combatté per un’ingegnere skaven completamente folle, che riteneva di essere vicino ad un posto stracolmo di warpietra. Doveva assolutamente andare a Picco Storpio e trovare della warpietra. Frugò nei mobili bruciacchiati che aveva razziato da una villa dell’Impero, e vi trovò un pendaglio d’argento. Si ricordò di quel pendaglio appena vide la grossa pietra viola; lo aveva preso dal cadavere di un principe elfico ucciso come trofeo, ma lo aveva presto dimenticato da qualche parte nella sua tana. Guardò attentamente la pietra: al suo interno una misteriosa sostanza nera fluttuava come un fantasma nel vuoto; doveva essere una sorta di oggetto magico o simile. Dopo aver fissato intensamente la sostanza nera, si riprese e mise l’amuleto nella sua sacca: avrebbe potuto servirgli. Raccattò le sue poche cose e partì alla volta di Picco Storpio, deciso a trovare un po di warpietra e un buon fabbro.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Le Origini ***


Shweek, come i suoi fratelli, era un ratto nero; la gerarchia militare skaven stabilisce che tutti i ratti nati con il pelo nero devono essere addestrati per diventare ratti d’assalto. Così Shweek, fin dai suoi primi mesi, venne sottoposto a condizioni di vita rigidissime e addestrato nell’uso della lancia e dell’armatura pesante. Tra i suoi compagni d’addestramento, Shweek si fece subito riconoscere per la sua notevole forza e abilità nel combattimento. Nei recinti di Pozzo Infernale conobbe Snitz; diventarono presto compagni di lotta, e quando dovevano duellare tra di loro davano grande spettacolo. Una volta cresciuti, vennero sottoposti come tutti i loro compagni a una serie di prove dettate dal clan Moulder per testare le proprie creazioni; una di queste prove consisteva nell’affrontare in uno scontro all’ultimo sangue uno dei rattogri di Pozzo Infernale: se l’unità di ratti d’assalto fosse riuscita ad uccidere il mostruoso gigante, il suo valore monetario sarebbe cresciuto alle stelle; se invece avesse vinto il rattogre, sarebbe stato aggiunto all’esercito del clan Moulder oppure venduto a qualche ricco capoguerra. Anche l’unità di Shweek e Snitz dovette affrontare un pericoloso rattogre prima di poter essere venduta. Era la bestia più grande che avessero mai visto: un enorme ammasso di muscoli e carne si ergeva davanti a loro come un’altissima torre; avevano già visto altri rattogri prima d’ora, ma quella doveva essere sicuramente una delle migliori creazioni del clan, poiché quel giorno nell’arena erano presenti diversi capi modellatori ad osservare la loro creatura. Shweek era terrorizzato di fronte a quell’enorme bestia, come lo erano i suoi compagni: venti ratti d’assalto alti poco più di un metro e mezzo contro un enorme bestione di tre metri parecchio arrabbiato. Il combattimento ebbe inizio quando i capi muta liberarono il rattogre dalle sue catene; il mostro si issò sulle due zampe posteriori in tutta la sua poderosa stazza ed emise un terrificante ruggito. Aveva diversi cristalli di warpietra impiantati malamente sulla cute, e vistose cicatrici gli solcavano tutto il corpo; aveva un braccio destro grande come tre skaven messi insieme, mentre il braccio sinistro, dal gomito in giù, era stato sostituito con una grossa lama seghettata, cucita alla meglio e rattoppata con delle fasce luride. Quando finalmente si concentrò sui piccoli ratti che stavano d fronte a lui, i suoi occhietti rossi si riempirono di una furia animalesca e le sue labbra si ritrassero per mostrare due file di denti affilati come rasoi. Il rattogre partì alla carica; si muoveva con una velocità esagerata in confronto alla sua massa, e in un lampo fu addosso a Shweek e ai suoi soldati. Snitz balzò di lato e così fece Shweek, appena in tempo per evitare di essere travolti dal rattogre, che in un colpo solo schiacciò quattro skaven sotto i suoi muscoli. Le lance degli uomini-ratto riuscivano solamente a graffiare la spessa pelle del rattogre, il che lo rendeva ancora più furente; un altro colpo dato con la sua lama, e la bestia tranciò di netto tre skaven che stavano di fronte a lui. Shweek e Snitz balzarono alle spalle del rattogre mentre questo concentrava la sua furia omicida suo loro poveri soldati; Sulla schiena del mostro penzolavano due grosse catene, che si attaccavano ad uno spesso collare di ferro attorno al suo collo taurino. Senza esitare, Snitz saltò sulla schiena del rattogre e afferrò una delle due catene, aiutandosi con le zampe inferiori nello scalare la massiccia creatura; anche Shweek fece lo stesso, e i due si arrampicarono fin sulle spalle del rattogre. Il loro peso combinato aveva portato il mostro a divincolarsi violentemente per scrollarsi di dosso i due skaven, con un conseguente massacro tra gli ultimi superstiti dell’unità di ratti d’assalto. Shweek e Snitz, che a fatica riuscirono a tenersi aggrappati alle catene, si scambiarono uno sguardo d’intesa e si issarono sulle spalle del rattogre; un istante dopo, le loro lance penetrarono la carne della bestia, che lanciò un possente ruggito e si accasciò a terra. I due skaven premettero a fondo le lance, e poi con due colpi secchi staccarono la testa del rattogre, che cadde riverso a terra. Shweek e Snitz erano gli unici sopravvissuti, ma la loro vittoria avrebbe portato fruttuose trattative tra i capi dei recinti e i futuri acquirenti. Difatti, pochi giorni dopo, Shweek e Snitz vennero integrati in un nuovo reggimento di guerrieri e venduti ad un capoclan di discreta fama. Circolavano voci sul fatto che avesse eliminato diversi clan minori servendosi solo di un pugno di uomini-ratto, dato che, al contrario della maggior parte dei capi skaven, era un ottimo stratega. Il loro migliore scontro fu proprio contro uno di questi clan minori, che non voleva sottomettersi al loro dominio. Il capoclan nemico aveva infatti investito tutti i suoi risparmi per acquistare dal clan Skryre un enorme cannone a fulmine warp, che avrebbe dovuto difendere il clan da qualsiasi oppressore. Il capoclan di Shweek non la pensava allo stesso modo: egli era intenzionato a catturare il cannone e aggiungerlo alla sua armata; per farlo, avrebbe dovuto usare un po del suo infinito acume, e questo di certo non lo preoccupava. Incontrarono l’esercito nemico fuori dall’Impero Sotterraneo, intento a razziare un piccolo villaggio umano. Il capoclan emise un leggero risolino: i suoi informatori avevano fatto bene il loro lavoro. Dall’altura si vedeva l’esercito intento a razziare le case umane e un piccolo accampamento skaven che portava nell’Impero Sotterraneo attraverso una rete fognaria. Il cannone a fulmine era nei pressi dell’accampamento, e i servienti lo stavano preparando per fare qualche tiro di prova sulle case ormai distrutte. Vi era anche uno stregone ingegnere che stava sistemando alcuni circuiti dentro il cannone. Più indietro, il capoclan con la sua scorta di ratti d’assalto strillava qualcosa ad un gruppo di schiavisti atterriti. Il piano era semplice: l’esercito si sarebbe diviso in due; una parte, composta da schiavi e ratti del clan, avrebbe caricato il grosso dell’esercito nemico e distratto il capoclan, mentre l’altra parte sarebbe strisciata alle spalle del cannone e lo avrebbe catturato, finendo poi gli ultimi nemici sopravvissuti. L’ingegnere skaven accanto a Shweek fremeva dalla voglia di mettere le mani su quel meraviglioso pezzo di artiglieria, e lo dimostrava continuando ad imprecare per il cattivo operato dello stregone nemico: “Buono a nulla tu! Cavo rosso va con cavo blu, no giallo! Come tu è diventato ingegnere?” Finalmente furono tutti in posizione; i capizampa diedero il comando e gli schiavi partirono alla carica, piombando sui nemici paralizzati dalla sorpresa. Il capoclan nemico, anch’egli sorpreso, raggiunse in fretta il cannone a fulmine e ordinò di fare fuoco contro il villaggio. Intanto, Shweek e la sua unità uscirono dal loro nascondiglio e saccheggiarono il campo nemico assieme al resto dell’esercito. Il capoclan nemico, vedendosi circondato, se la diede a gambe levate, lasciando il cannone al suo destino. Snitz colse l’occasione e ordinò alla sua unità di catturare il cannone e i servienti; gli skaven corsero verso il cannone e presero gli schiavi, mentre l’ingegnere nemico venne lasciato scappare; poco dopo però, venne raggiunto da un proiettile di warpietra sparato dallo stregone alleato, che gli si conficcò nella schiena segnando la sua fine. Il capoclan vide il suo rivale fuggire in direzione di un cunicolo e ordinò ai servienti di ruotare il cannone verso di lui. Dopo pochi minuti, lo stregone alleato balzò sulla piattaforma di comando del cannone e fece fuoco. Il nucleo di warpietra si illuminò all’istante e un violento fulmine verde schizzò verso il tunnel dove si era infilato il capo nemico. Un altro bagliore, seguito da una potentissima esplosione e un urlo straziante, e poi il silenzio.
Dopo quella battaglia, il capoclan dovette vendere alcune unità per poter entrare a far parte di un clan ancora più grande, che rifiutava i ratti d’assalto; era il suo più grande sogno pensò, quando si voltò a salutare riluttante i suoi due guerrieri migliori. Shweek e Snitz, che ormai erano diventati famosi per la loro abilità, vennero acquistati dal signore della guerra Ratlak, generale dell’omonimo clan, che bramava un giorno di sedere al gran Consiglio dei Tredici vicino ai membri più importanti della comunità skaven. Shweek capì che il signore della guerra era un invasato totale quando svelò il suo piano di guerra per la gloria assoluta: attaccare e conquistare un grosso castello imperiale nel giro di una notte, per insegnare alle malefiche cose-uomo (e al Consiglio dei Tredici) che Ratlak era un guerriero potentissimo e che non bisognava mettere in dubbio le sue capacità. Shweek si consultarono a lungo durante la marcia attraverso i cunicoli dell’Impero Sotterraneo: “Troppo-troppo rischioso” squittì Snitz, che aveva una paura tremenda dei castelli, soprattutto se pieni di creature non skaven: “Moriremo tutti Shweek, dobbiamo fuggire-fuggire, finché c’è tempo, si-si!” “No Snitz, noi deve esaudire volere di grande generale, anche se folle-folle… Combattiamo, e vediamo cosa accadere”! Snitz fece un cenno con la zampa e non parlò più per il resto della giornata. Shweek rifletté a lungo sulla vicina battaglia… dopotutto, era un piano niente male quello di Ratlak: Usare due polverizzatori warp per aprirsi un varco nel terreno e sbucare direttamente nei giardini del castello; un attacco a sorpresa di questa portata, avrebbe colto del tutto impreparati i deboli umani e il castello sarebbe veramente caduto in una sola notte. Nonostante tutto, una volta nei giardini, non sarebbe stato possibile utilizzare ne macchine da guerra ne tantomeno creature possenti come i rattogri; anche gli altri skaven più piccoli, avrebbero dovuto calpestarsi a vicenda per riuscire a muoversi e combattere in uno spazio più ristretto. Senza contare che, con un esercito di migliaia di uomini-ratto sotto i piedi, gli imperiali si sarebbero subito accorti di un attacco. Venne la sera e Ratlak e i suoi giunsero finalmente nel luogo designato. I polverizzatori vennero avanti e si prepararono per bucare la terra. Questi macchinari necessitavano di due skaven ciascuno per essere trasportati, e comprendevano un motore alimentato a warpietra, e un enorme trapano anch’esso di warpietra, che ruotava ad alta velocità e perforava anche le mura più spesse. I quattro servienti si fecero avanti e si posizionarono sotto al terreno da forare, dopodiché attivarono i trapani. Un rumore assordante eruppe dai macchinari e la trivella si mise a ruotare vorticosamente; a contatto con il terreno roccioso sopra di loro, la trivella affondava come un coltello nel burro, e ben presto anche gli ultimi quintali di terra vennero spazzati via. Le prime unità di schiavi skaven sciamarono nel cortile del castello, seguite man mano dagli altri uomini-ratto; All’esterno, il buio e il silenzio regnavano sovrani: nessun segno di cose-uomo. Quando l’ultima unità di globardieri del vento venefico uscì dal terreno, i bracieri sulle mura si accesero di un innaturale fuoco azzurro, e l’area circostante si illuminò, rivelando centinaia di arcieri elfici pronti a scagliare le loro frecce incantate sugli indifesi skaven. Ratlak si voltò su se stesso con la rapidità di un fulmine e gridò in preda al panico “In trappola!! Presto-presto, tutti nei cunicoli” si fiondò verso il tunnel scavato dai polverizzatori proprio mentre il principe elfico ordinò l’attacco. Per un secondo il cielo si illumino di centinaia di frecce dorate, che caddero come pioggia sugli skaven terrorizzati. Ratlak venne raggiunto da tre frecce elfiche, che gli si conficcarono nel cranio, scaraventandolo giù nel cunicolo. Shweek e Snitz si fecero scudo con gli altri skaven mentre cercavano di fuggire nel tunnel, ma ad ogni freccia che centrava il bersaglio una vampata di fuoco azzurro scaturiva dalla punta di quest’ultima, carbonizzando il malcapitato. Shweek schivò diverse frecce, ma una lo raggiunse e gli strappò un brandello di carne e pelo all’altezza della coscia; fortunatamente non ci furono vampate di fuoco, ma il ratto d’assalto avvertì un profondo dolore in tutta la gamba. Snitz era tornato a recuperare Shweek, che aveva rallentato il passo, e si gettò assieme a lui prima che un’altra salva di frecce mettesse fine alle loro vite. Gli skaven vennero nuovamente inghiottiti dall’oscurità dell’Impero Sotterraneo e, insieme ad altri superstiti, si preparavano alla fuga. Shweek si tirò su e andò velocemente a controllare il corpo di Ratlak, che giaceva in una nicchia: le frecce erano esplose facendogli saltare in aria la testa, e del grande signore della guerra non rimanevano che qualche buffetto di pelo bruciato, accerchiato da pezzi di acciaio dell’armatura distrutta. Shweek provò compassione per quel povero pazzo, ripetendosi che da ora in poi avrebbe dato ascolto solo al suo intuito. Un clangore di armi eruppe dal soffitto del tunnel, dove era ancora visibile il cielo scuro del mondo esterno; stava per arrivare un battaglione di elfi molto arrabbiati, che pensava di inseguire gli skaven attraverso i cunicoli. Pessima scelta, pensò Snitz, che comparve dall’oscurità imbracciando una grossa mitragliatrice a canne rotanti del clan Skryre “Shweek, massacriamo queste inutili cose-elfo!” Shweek corse incontro a Snitz con gli occhi illuminati di gioia, e si mise alla manovella della mitragliatrice assieme al suo compagno. Gli elfi scesero nei tunnel; erano circa una cinquantina, guidati da un comandante altissimo, che brandiva una grossa spada dorata. Quando gli elfi furono tutti nel tunnel, Snitz e Shweek aprirono il fuoco. La mitragliatrice falciò l’intera unità in pochi secondi, facendo crollare il terreno nel cortile del castello e chiudendo il buco per sempre. Shweek lasciò l’arma soddisfatto e si avvicinò al comandante elfico. Indossava un curioso amuleto che lo attirava; era una collana d’argento puro, con un pendaglio d’argento e una grossa pietra viola al centro; Shweek si avvicinò e strappò l’amuleto dal corpo del comandante, dopodiché se lo mise in un borsello e si voltò per scomparire nell’oscurità assieme a Snitz. La spada dorata giaceva sotto il corpo dell’elfo, simbolo che era concesso di portare solo ad un membro di una nobile stirpe, un principe.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Le Lame ***


Era notte fonda quando Shweek arrivò a Picco Storpio, e una pioggia fitta bagnava il giovane skaven, mentre si dirigeva verso l’accampamento ai piedi del monte. Gli skaven che controllavano Picco Storpio avevano deciso di estendere l’insediamento sotterraneo anche ai piedi della montagna, invadendo il piccolo villaggio umano sopra di loro, così da avere accesso diretto alle miniere di warp, impossibili da raggiungere da sottoterra per via della durissima pietra warp che giaceva in quantità nelle profondità del suolo. La montagna era piuttosto alta e minacciosa, con diversi picchi acuminati sovrastati da nuvole nere e cariche di pioggia, che ogni tanto scaricavano qualche fulmine sulla cima del monte. Per il resto, anche dall’esterno si vedeva che Picco Storpio era profondamente corrotto dalla warpietra; difatti, numerose venature verdi correvano lungo gli strapiombi come ruscelli d’acqua, che assieme alla terra giallognola davano alla montagna un aspetto quasi malato. Shweek osservava l’insediamento di Picco Storpio da una collinetta brulla, dalla quale era sbucato fuori. Da quella posizione elevata, si riusciva a distinguere, nonostante il buio e la pioggia, la piccola roccaforte, costruita dentro ad un’insenatura da qualche imperiale e successivamente occupata dagli skaven; la rocca era punteggiata di piccoli fuochi da campo accesi qua e la, e sulle mura si scorgeva perfettamente il grosso stendardo skaven piantato direttamente nelle pietre del muro principale. Un enorme straccio color melma e logoro recante il disegno di un ratto di warpietra si lasciava stancamente trascinare dal vento e dalla pioggia, e ogni tanto si sollevava minaccioso quasi a difendere la rocca. Shweek aguzzò la vista; oltre alle sottili mura si estendeva il villaggio vero e proprio, ormai ridotto dal tempo e dagli skaven ad un mucchio di macerie e campi bruciati. Ma c’era qualcos’altro che non sembrava al suo posto: alcune torce accese avanzavano in direzione del villaggio da un pendio poco più a nord; dapprima i fuochi erano solo qualche decina, ma poi nel giro di pochi minuti Shweek contava centinaia di torce accese che si muovevano rapidamente in direzione del villaggio. Decise di proseguire e di avvicinarsi al villaggio, per vedere cosa stava succedendo e scese dalla collinetta aumentando il passo. Man mano che si avvicinava le sagome si facevano più distinte e nitide, nonostante la pioggia incessante. Giunto ad una piccola fattoria sul lato est del villaggio, Shweek udì un esplosione, e successivamente vide una luce verde ascendere al cielo proprio dove le torce stavano passando. Diverse urla stridule riempirono l’aria cupa, e una piccola figura bruciacchiata atterrò proprio davanti a Shweek, dimenandosi nell’acqua per spegnere il suo corpo incendiato. Shweek estrasse la sua lancia e si avvicinò: la creatura si voltò di scatto verso di lui e un rapido fendente per poco non gli cavò un occhio. Svelto, Shweek affondò la sua lancia nella creatura ancora a terra e la uccise; si avvicinò e capì che il villaggio era stato attaccato. Estrasse la sua lancia dal corpo esanime del goblin e si precipitò verso la rocca, dove un piccolo contingente skaven stava combattendo contro diverse orde di frenetici goblin. Shweek si gettò rapidamente nella mischia e falciò un piccolo goblin lanciere che stava per trafiggere un ratto del clan. Il ratto guardo Shweek stupito e subito dopo tornò a lottare contro un altro paio di goblin. Shweek fece roteare violentemente la propria lancia e stacco la testa di tre goblin spadaccini, dopodiché ne trafisse un altro con la punta della sua arma. Sicuramente i goblin erano in netta superiorità numerica, ma grazie alle difese della rocca gli skaven stavano avendo la meglio. Mentre Shweek combatteva, scorse sulle mura un gruppetto di globardieri skaven, coperti da pesanti maschere antigas, che scagliavano sfere di gas velenoso in direzione del nemico. Alla loro testa vi era un minuto ingegnere stregone, che faceva fuoco con la sua pistola e squittiva ordini agli schiavi sottostanti. Lo stregone vide a sua volta Shweek e lo squadrò perplesso, dopodiché tornò a sparare contro i goblin, che ormai erano in rotta. Da dietro una casa diroccata erano apparsi una ventina di goblin getta lance, e avevano scagliato i loro giavellotti in direzione di Shweek e gli altri ratti d’assalto, che erano rimasti allo scoperto. Un secondo prima che le lance facessero a pezzi gli skaven, un forte vento verdognolo apparse all’improvviso davanti agli uomini-ratto, e le lance vennero deviate verso terra. Dall’alto della cinta muraria l’ingegnere skaven interruppe il suo incantesimo e rivolse un altro sguardo a Shweek, che ricambio con un cenno. Si udì un suono cupo proveniente da fuori il villaggio, e poi un urlo possente, sintomo che era giunta l’ora dei cugini dei goblin, i massicci orchi. La marcia verde avanzò attraverso il villaggio incendiato fin sotto le mura, dove Shweek era asserragliato con gli altri ratti, e si arrestò a circa dieci metri dagli skaven. Gli orchi erano alti circa il doppio degli skaven e portavano delle armature leggere fatte di pelle di cinghiale; la maggior parte di loro brandiva rozze asce da guerra e spade corte, messe insieme con le prima cose taglienti capitate sotto mano, e ora le sollevavano in aria in segno di sfida. Dalla massa verde composta da circa duecento orchi si fece largo una grande figura, che spintonò tutti gli altri orchi fino a giungere in testa. Era un grosso orco con una massiccia corazza di ferro e un elmo cornuto, e brandiva una gigantesca ascia ornata di schegge di metallo aguzze e teste di nano penzolanti qua e la. Il kapo orco portava un ampio mantello di pelliccia con due catene che formavano una grande X, con al centro uno scudo color bronzo incrostato di sangue; sul bordo inferiore del mantello erano cucite tramite rozzi fili d’acciaio, delle piccole teste avvizzite, probabilmente macabri trofei di battaglie vinte. Alla vista del piccolo gruppo di skaven, il suo grottesco volto, sul quale era pitturato un grosso teschio rosso, si contrasse in una smorfia di brutale ironia, dopodiché la sua grande bocca irta di denti aguzzi si spalancò: “Ztupidi ratti! Tezkiorozzo zpacca e mazzacra palle di pelo! Waaagh!!!” Si lanciò alla carica come uno spiritato, seguito dalla mandria di orchi dietro di lui, che prese a correre e a gridare “Waaagh” sempre più forte. Gli skaven schiavi,che erano stati posizionati alla testa del gruppo di difesa, davanti a Shweek, fuggirono terrorizzati, cercando di arrampicarsi sui muri o di nascondersi nelle case, ma vennero travolti dall’orda implacabile di orchi, e schiacciati sotto i loro possenti piedi. Gli skaven globardieri lanciavano contro gli orchi più in fretta che potevano, e riuscirono ad abbatterne un numero considerevole, prima che tutti quanti gli schiavi venissero spazzati via. L’ingegnere stregone stava trafficando in cima al portone del fortino, e quando si rialzò chiamo a se tutti i suoi uomini; Shweek, che era impegnato in combattimento, udì il richiamo e si precipitò assieme agli altri skaven dentro il forte, inseguito dagli orchi infuriati. Una volta che gli skaven furono tutti dentro, lo stregone ingegnere batte violentemente la sua lancia sul suolo, proprio mentre gli orchi sciamavano nel forte attraverso il portone; un’esplosione, un raggio di luce verde e il portone e parte delle mura crollarono, travolgendo gli orchi in una valanga di massi e polvere. Shweek, ancora una volta sbalordito dalla potenza dello stregone, si avvicinò cauto alla montagna di massi sotto il quale giacevano gli sventurati orchi, cercando ogni eventuale sopravvissuto. Dalla nube di polvere sbucò all’improvviso una spada, che, mancato per un pelo Shweek, saettò verso l’ingegnere stregone, conficcandosi nella sua gamba destra; un urlo e lo stregone era in ginocchio. Dalla montagna di sassi esplose un grido di rabbia, e i detriti vennero proiettati ovunque, ferendo diversi skaven. Tezkiorozzo era riemerso quasi incolume dalla valanga, e si era scagliato brandendo due spadoni raccolti da qualche cadavere, sullo skaven più vicino, Shweek. Fortunatamente l’uomo-ratto era già in posizione di allerta, e schivò agilmente l’ammasso di muscoli verdi che per poco non lo travolse; mancato il bersaglio, Tezkiorozzo si voltò di scatto e menò diversi fendenti con le spade, ma ancora una volta sfiorò soltanto lo skaven, che si muoveva molto più agilmente di lui. Shweek gli era balzato dietro e lo aveva colpito ad una gamba, lacerandogli il tendine. Tezkiorozzo non fece una piega, e si voltò per combattere ancora; Shweek, nonostante fosse più agile, faticava a parare i violenti colpi del kapo orco, che piombavano su di lui come un’infinita pioggia di furia cieca. Dopo l’ennesima parata, la lancia di Shweek si ruppe sotto un violentissimo colpo di Tezkiorozzo, e lo skaven rimase scoperto agli attacchi; rapido, si infilò sotto alle gambe dell’orco e sbucò dietro di lui. Con uno scatto felino, Shweek balzò sul dorso dell’orco e gli piantò un pezzo di lancia alla base del collo, dove non c’era la spalliera a proteggerlo; l’orco emise un grugnito e cercò di scrollarsi di dosso lo skaven con una serie di fendenti alla cieca. Shweek schivò ancora una volta i colpi e piantò anche l’altro pezzo di lancia nella spalla di Tezkiorozzo, dopodiché balzo nuovamente a terra e fronteggiò l’orco; nella sua mente si facevano nuovamente vivide le immagini di lui e Snitz che con la stessa tecnica uccisero il rattogre molto tempo addietro. Le profonde ferite al collo resero il grosso pelleverde inerme, inginocchiato a cercare di togliersi le lance dal corpo. Shweek si avvicinò all’orco, afferrò una delle due spade e gliela affondò nell’addome, penetrando la robusta armatura. Altro sangue eruppe da Tezkiorosso, e diluito con la pioggia, si andò a mischiare con il colore rosso dei suoi tatuaggi. Presa anche la seconda spada, Shweek menò un fendente letale verso l’alto, e la testa del kapo orco si staccò di netto e rotolò a terra nella polvere. Gli altri skaven che erano rimasti a guardare erano ancora ammutoliti dall’epilogo della battaglia, e non osavano muoversi; allora Shweek andò a raccogliere la testa di Tezkiorozzo, e quando la levò al cielo gli skaven esplosero in grida di vittoria e di vendetta verso i pelleverde. L’ingegnere stregone, che nel frattempo si era ripreso dal colpo, si avvicinò a Shweek e lo guardo dritto negli occhi; si inginocchiò di fronte a lui e parlò: “O potente generale, accetta me, ingegnere stregone Warling come tuo umile servo, e guida-guida noi verso la vittoria” Anche gli altri skaven si erano prostrati in segno di sottomissione e invocavano il dio degli skaven, il Ratto Cornuto, affinché benedicesse il loro nuovo generale. Shweek, soddisfatto della situazione, disse: “Miei servitori, lunga-lunga è la strada che dobbiamo percorrere, e mi servono degli importanti oggetti, si… Domani, quando farà buio-buio, partiremo”.
Il giorno seguente, il villaggio era di nuovo popolato da orde di roditori che facevano incetta di armi e oggetti interessanti presso i cadaveri di skaven e orchi, e il grande Consiglio dei Tredici aveva inviato una nuova armata per proteggere il villaggio … ovviamente, dopo che la battaglia era stata vinta per un soffio, arrivavano i rinforzi. Shweek emerse dalla sua tana ricavata da un vecchio rudere abbandonato e tornò nella roccaforte per cercare Warling. Lo trovò dentro la rocca, intento a medicarsi la ferita alla gamba, ormai quasi guarita grazie al potere della warpietra. “Warling, mio stregone, mi guiderai verso le miniere di Picco Storpio, si-si, e mi mostrerai il loro ingresso” Warling balzò in piedi: “Si mio potente generale, seguire me-me” squittì Warling, e senza dire altro si diresse verso la piazza della roccaforte. Quando anche Shweek lo raggiunse, Warling aveva già assemblato un gruppetto di ratti d’assalto pronti a seguire e proteggere il suo nuovo generale. Lo stregone fece cenno a Shweek di seguirlo, e iniziò a camminare alla testa del suo gruppo di skaven. Arrivarono alle miniere in un’ora, e una volta li Warling si rivolse nuovamente a Shweek: “Eccoci-eccoci alle miniere, grande generale. Da qua in poi dovete andare solo-solo… Spirito di Picco Storpio non ama gente-gente” Shweek aveva già sentito parlare di questo spirito, ma per lui erano solo frottole; così, lasciò Warling e gli altri, che lo guardavano con ammirazione mista a terrore, e si avventurò nelle miniere. Appena dentro l’aria si fece subito pesante, e l’oscurità prese possesso dell’ambiente circostante. Nonostante ciò, vi erano piccole torce di fuoco magico che indicavano la via, e non fu difficile per Shweek trovare la strada. Continuò a camminare per diverse ore, e ad un certo punto perse anche lui il conto. L’ambiente era lentamente cambiato, e ora si trovava a camminare a ridosso di pareti luccicanti, quasi fluorescenti. Riusciva a vedere il suo obiettivo: sul fondo della miniera vi era della warpietra purissima, di un verde molto brillante, tendente all’azzurro; quelle erano le pietre più rare e preziose di tutte, e se fosse riuscito a procurarsene una avrebbe potuto barattarla per qualche oggetto prezioso. Raggiunse il fondo dopo poche decine di metri; laggiù, la luce delle pietre illuminava la grotta a giorno, e Shweek vedeva perfettamente ciò che lo circondava. Si avvicinò ad una pietra affilata a forma di stalattite che giaceva sul bordo della strada e la estrasse; lo sforzo non era proporzionale al peso, e per poco Shweek non cadde giù tra i cristalli affilati. La pietra che reggeva era grande come lui ma pesava la metà, e sembrava di non avere in mano niente; nonostante la leggerezza, Shweek non avrebbe sopportato di rifare nuovamente il lungo percorso dell’andata. Si guardò attorno e trovo quello che faceva al caso suo: un vecchio montacarichi di legno si ergeva non lontano dal giacimento di warpietra, e si estendeva in altezza fino ad un punto che era impossibile da vedere, data l’oscurità della grotta sopra lo skaven. Shweek si avvicinò e appoggiò il cristallo sulla piattaforma, dopodiché collegò la corda alla ruota dietro al palo del montacarichi e tirò la leva; in un attimo, la piattaforma venne proiettata verso l’alto ad una velocità innaturale, e in men che con si dica, Shweek fu di nuovo al punto di partenza. Uscì dalla grotta e si ricongiunse a Warling e ai suoi, che si erano accampati per aspettarlo. “Bellissima pietra, grande generale! Io conosce un fabbro che può trasformarla in un’arma, si-si. Segui me” Warling era eccitato alla vista di quella preziosissima pietra, con la quale avrebbe potuto potenziare all’infinito le sue tecnologie, ma da buon servitore scortò Shweek fino alla rocca, dove incontrò il fabbro. Egli era un nano del caos, piccolo e tarchiato, con cicatrici ovunque e una barba che gli arrivava fino alle ginocchia. Prese il pezzo di warpietra senza curarsi del suo valore e lo portò nel retrobottega; poi, tornato da Shweek, gli disse di tornare il giorno dopo. Lo skaven frugò nel suo borsello e tirò fuori l’amuleto elfico, porgendolo al nano, che stavolta non era rimasto impassibile. “Non temere ratto, forgerò un arma con cui potrai ammazzare anche il più barbuto dei miei cugini nani”. Shweek accettò disgustato, perché già sapeva che il fabbro nano avrebbe forgiato una stupida ascia nanica, anziché una affilata spada. Poco male, l’avrebbe rivenduta ad un prezzo adeguato. Per il resto della giornata, Shweek sedette assieme a Warling nella sala della rocca e nominò diversi capizampa e capiartiglio tra le unità del suo esercito. Dopo questo noioso compito, Shweek si ritirò nella sua tana provvisoria e vi rimase fino al giorno dopo, pregustando la tanto agognata vendetta contro il traditore.
Il mattino seguente, Shweek si alzò di buon ora e andò a reclamare la sua arma. Arrivato alla forgia del fabbro, trovò tutto chiuso e la porta sbarrata; strano, a quell’ora doveva già aver finito. Fece il giro e provò ad entrare dal retro, ma anche quella porta era sbarrata. Shweek perse la pazienza e si scagliò contro la porta, sfondandola con una potente spallata. Quando la polvere si dissolse, quello che vide lo lasciò piuttosto perplesso. Il nano del caos assieme ai suoi due servi umani era riverso a terra, il corpo carbonizzato come in una violenta esplosione; avvicinatosi, Shweek notò alcune venature viola che percorrevano i corpi esanimi dei fabbri, che saettavano qua e la e pulsavano debolmente. Alzò lo sguardo verso la forgia: la sua arma era li. Due sottilissime lame di pietra warp erano incastonate in una decorata impugnatura con la forma di una testa di ratto, con la bocca spalancata come un leone ruggente. Gli occhi, scavati nel bronzo ardevano di una debole ma perpetua fiamma violastra e di tanto in tanto alcune lingue di fuoco magico guizzavano attorno all’impugnatura per poi svanire poco lontane. Le lame brillavano di un verde intenso, ed erano percorse da scariche viola di un’energia che doveva essere quella del talismano elfico ormai distrutto. Shweek esitò un attimo prima di raccogliere le armi: e se fossero state loro a carbonizzare i fabbri? Ancora un attimo di esitazione e poi si convinse che doveva esserci sotto qualcos’altro, e che sarebbe stato meglio non farsi trovare disarmato. Risolta la questione, Shweek si avvicinò alla forgia ed infilò entrambe le mani nelle impugnature; non appena toccò le armi, delle sottili catene ardenti di fuoco magico apparvero dal nulla e si avvolsero attorno ai suoi polsi su fino a metà degli avambracci, ustionando Shweek in più parti. Lo skaven gridò per l’insopportabile dolore e cercò di togliersi le armi; troppo tardi: le catene presero a bruciare ancora di più, e numerose saette viola pulsanti di energia guizzarono su per le braccia di Shweek, e si dissolsero all’altezza delle spalle. Il ratto cadde a terra urlante di dolore, e la vista gli si annebbiò; riusciva a distinguere solo le catene magiche che si impossessavano delle sue braccia, e sentiva il fuoco ardere insopportabile. D’un tratto, fu buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Vendetta ***


Passarono pochi minuti, ma a Shweek sembrò un’eternità. Si svegliò dolorante e si mise seduto appoggiato ad un vecchio tavolo. Si guardò attorno attonito, prima di vedere in che condizioni erano le sue braccia. Diede uno sguardo rapido, ma la situazione era migliore di quella che si aspettava. Sulle braccia non vi erano che leggerissime cicatrici violastre, quasi invisibili, laddove pochi attimi prima si contorcevano le catene infuocate. Le lame di warp erano ancora avvinghiate ai polsi di Shweek, immobili. Riprese le forze, lo skaven si alzò e mollò la presa dalle due impugnature; le lame caddero fino quasi a sfiorare il suolo, e le catene si materializzarono come prima, sottilissime e ardenti di una fiamma innaturale. Stavolta però il fuoco non bruciava, e Shweek si sentiva come se avesse le braccia lunghe fino a terra. Dopo aver testato la consistenza delle lame e delle catene con qualche movimento, l’uomo-ratto aprì i palmi delle mani, per poi ritrovarsi mezzo secondo dopo con le impugnature ben salde tra le sue dita murine. Fantastico, pensò Shweek; aveva due splendide lame che poteva usare sia come spade che come fruste, allungandone le catene; avrebbe potuto addirittura impugnare quattro armi, se lo avesse voluto, dato che quando le catene si estendevano le sue mani erano libere di muoversi. Colmo di soddisfazione, Shweek uscì dalla porta principale e andò a chiamare i suoi seguaci, che in un attimo furono tutti attorno a lui. Anche Warling era accorso, e ora guardava strabiliato le armi del suo padrone. “Stanotte, partiremo, miei seguaci! Viaggeremo attraverso l’Impero Sotterraneo e prenderemo nuovi schiavi-schiavi da aggiungere alla mia armata! Poi, marceremo-marceremo sul nemico e le sue ombre!” Gli skaven emisero squittii di frenetica gioia, all’idea che finalmente avrebbero potuto dimostrare il proprio valore in battaglia, e innalzarono spade e lance in segno di rispetto verso Shweek. Tra la folla squittente si fecero avanti due piccoli schiavi skaven con un grande mantello di pelliccia tra le zampe; giunti di fronte a Shweek si inchinarono e gli porsero il mantello. Era lo stesso mantello che indossava Tezkiorozzo durante la battaglia, opportunamente sagomato alle dimensioni di skaven; le catene con lo scudo di bronzo erano ancora li e sul bordo inferiore del mantello, i trofei dell’orco erano stati rimossi, e ora l’unica testa penzolante era quella di Tezkiorozzo, assieme a tanto altro spazio per i futuri trofei di battaglia. Shweek indossò il mantello e si sentì pervaso da una nuova forza che lo spronava a combattere con più vigore e violenza. Capì che il mantello doveva essere appartenuto a qualche stregone del caos, che lo aveva incantato affinché lo aiutasse in battaglia, ma che poi evidentemente non gli era servito a granché, dato che era caduto sotto i colpi di Tezkiorozzo. E così Shweek, mosso da un desiderio sempre crescente di vendetta, marciò assieme al suo esercito verso le terre dell’Impero, dove il suo acerrimo nemico aveva fatto sua una grossa cattedrale fortificata umana, e dove ora sedeva sul trono, in attesa della battaglia di cui già conosceva le sorti.
Shweek marciò giorno e notte senza esitare, poiché sapeva che ogni minuto perso significava doversi scontrare con un avversario ancora più potente. Nel suo viaggio verso l’Impero, molti si unirono a lui: schiavi, ratti d’assalto, truppe d’elitè di ogni clan maggiore; persino rattogri e cannoni a fulmine warp si unirono alla sua causa. Tutti sapevano che Shweek era destinato a divenire un potente signore della guerra skaven, ed è per questo che lo seguivano cecamente. Dopo giorni e giorni di cammino, finalmente gli skaven entrarono nel territorio dell’Impero. Ormai l’esercito era talmente grande che alcune unità erano costrette a seguire il resto dell’armata dall’esterno, fuori dai sicuri cunicoli dell’impero Sotterraneo. L’imponente armata si arrestò sotto una vasta pianura verde e si accampò per la notte. Shweek inviò dei ratti neri in avanscoperta per localizzare la fortezza nemica; tornarono dopo poche ore e quello che riferirono fu una modesta sorpresa per Shweek, che in fondo già si aspettava una cosa simile: migliaia e migliaia di skaven avevano preso possesso della fortezza, e ora sciamavano nei territori circostanti distruggendo qualsiasi cosa trovassero sul loro cammino; prigionieri umani lavoravano senza sosta per erigere altissime mura di resistente pietra nanica attorno alla cattedrale. Shweek si sarebbe trovato a fronteggiare un numero infinito di skaven in netta superiorità da tutti i punti di vista; fu una notte insonne per l’uomo-ratto, ma produttiva. Egli pianificò tutte le mosse in ogni minimo dettaglio, e il mattino seguente fu pronto per la grande battaglia.
Erano ormai le prime ore del giorno, quando il pallido sole invernale si alzò in cielo fino a sovrastare le montagne e a illuminare stancamente la cattedrale degli imperiali; Shweek era già pronto, e i suoi uomini aspettavano solamente un segnale per dare la carica. La strategia dell’uomo-ratto era semplice ma efficace: il grosso dell’armata, ovvero la massa di schiavi, le bestie e le macchine da guerra sarebbero rimaste davanti alla cattedrale a combattere direttamente con il nemico per cercare di sfondare le solide mura principali; Shweek invece, assieme ai suoi uomini d’elite e ad alcuni polverizzatori warp si sarebbe arrampicato fino a circa metà montagna, nel punto in cui la roccia sovrastava le mura, e avrebbe scavato un lungo tunnel fino a sbucare direttamente nella fortezza nemica. Il guaio era che il grosso delle truppe nemiche era posizionato lungo tutte le mura e appena fuori alle grandi porte della roccaforte, e i suoi umili schiavi non sarebbero sopravvissuti abbastanza a lungo per permettere a Shweek di finire il tunnel. Warling aveva proposto di restare assieme alla forza principale; sarebbe rimasto al sicuro in cima ad un cannone a fulmine, e i suoi poteri avrebbero contribuito a trattenere il nemico quanto bastava. Certo, se gli assassini nemici fossero sbucati alle loro spalle, non ci sarebbe stato più nulla da fare; consapevole di questo pericolo, Shweek fece minare tutto il campo dietro alle macchine da guerra, e lasciò a difesa di Warling alcuni dei migliori ratti d’assalto.
Il campo che a breve sarebbe stato ricoperto di sangue era l’ideale per le macchine da guerra di Shweek, poiché sparavano da un altezza considerevole, nonostante le mura nemiche fossero ancora più alte; ma Shweek non poteva aspettare che la battaglia arrivasse ad una conclusione. Doveva agire subito, e penetrare nella cattedrale il più in fretta possibile. Pensò a tutto quello che aveva fatto quel maledetto skaven, e pensò al suo unico amico, morto per colpa di quel verme traditore; ribollì di odio e rabbia, mentre avanzava lungo il costone della montagna alla ricerca di un buon punto dove scavare. Trovò della roccia dolce poco più avanti, e ordinò ai suoi ratti neri di correre ad avvisare Warling di dare inizio all’assedio; questi fecero un cenno e scomparvero sotto terra. Shweek si avvicinò ai polverizzatori: “Voglio un lavoro rapido-rapido soldati! Forza-forza, iniziamo!” I servienti fecero un inchino e avviarono i loro macchinari. La grossa pietra brillante prese a ruotare su se stessa, e appena toccò la superficie della montagna grossi pezzi di roccia vennero scagliati in aria, e quasi colpirono gli skaven; poi, i due polverizzatori iniziarono a farsi strada attraverso la roccia.
Warling gridò qualcosa agli schiavi delle macchine da guerra, che subito si mossero per sparare. I cannoni a fulmini, giganteschi cannoni di bronzo alimentati a warpietra che posano su una pericolante struttura di legno si misero a brillare, e violente scosse pervasero la warpietra al loro interno. Man mano che gli ingegneri ruotavano i comandi, le scosse diventavano sempre più violente, fino a convogliarsi tutte nella canna e a fuoriuscire in un accecante lampo verde. I fulmini colpirono con violenza le mura della roccaforte e il terreno davanti a queste, incenerendo tutto ciò che gli sbarrava la strada. Molti skaven nemici morirono tra le fiamme, e alcune grosse pietre caddero dalle mura schiacciando i ratti che stavano sotto. Il segnale era lanciato, l’assedio iniziato. La massa di schiavi prese a correre follemente in una marea disordinata di pelo marrone e corazze arrugginite, e travolse il nemico, nonostante i globi venefici lanciati dagli stregoni nemici esplodevano ovunque. Gli schiavi erano supportati da diversi branchi di ratti giganti, che sciamarono con violenza inaudita sulle unità nemiche, travolgendo e sbranando i ratti del clan in prima fila. Di tanto in tanto, un fulmine atterrava sugli schiavi alleati, e trenta o quaranta skaven venivano carbonizzati; ma erano poca cosa, visto che Shweek aveva comprato centinaia e centinaia di skaven. Dal lato opposto, il nemico poteva contare su parecchi schiavi umani che erano stati mandati al macello prima di chiunque altro, oltre a diversi globardieri e fucilieri skaven, posizionati sulle mura.
Shweek seguiva da vicino gli scavi attraverso la montagna, augurandosi di sbucare vivi dentro la fortezza nemica. Sentì alcuni squittì dietro di se, ma non si preoccupò più di tanto, fino a che qualcuno non gridò. Si voltò di scatto appena in tempo per schivare un fendente mortale di un capo assassino nemico. Erano sbucati dal nulla e avevano massacrato diversi suoi uomini, ma per fortuna erano in netta inferiorità numerica ed erano stati massacrati a loro volta. Anche il capo assassino fece la stessa fine; non si aspettava di mancare Shweek, e si ritrovò tagliato a metà dalle lame warp. I due pezzi dell’assassino caddero a terra e le lame presero a scintillare; era la prima vittima, e Shweek avvertiva una strana sensazione... Come se le lame avessero fame di altre vite. Riprese il controllo e le riportò in posizione, e smisero di brillare.
La battaglia infuriava e le truppe di Warling faticavano ad avanzare tra i cadaveri nemici e alleati. Le macchine da guerra sparavano ancora e Warling era intento a lanciare incantesimi per fulminare gli altri stregoni, che ancora non si erano accorti della sua presenza. Ci fu un rombo seguito da una serie di potenti esplosioni magiche; le trappole erano scattate dietro le macchine da guerra, e avevano sventato un attacco da parte degli assassini nemici, che ora venivano decimati dai ratti d’assalto di Warling. Alcuni si erano ripresi in fretta ed avevano raggiunto uno dei cannoni a fulmini; in pochi rapidi movimenti, i servienti erano morti e l’impalcatura era stata spezzata. Il cannone cadde con violenza a terra ed esplose, investendo gli ingenui assassini che finirono in mille pezzi; Warling maledisse i nemici e tornò all’attacco con rinnovata forza. All’improvviso ci fu un altro rombo, ma stavolta veniva dalla fortezza nemica. Un grido terrificante e il portone esterno cadde in frantumi, calpestato da una creatura così ripugnante che Warling faticava a credere ai suoi occhi. Un Abominio di Pozzo Infernale si fece largo tra le macerie, ed emise un potente ruggito, prima di scagliarsi sugli skaven terrorizzati. Era la creazione più aberrante a cui il Clan Moulder avesse mai dato vita: un ammasso deforme di muscoli, braccia e teste, sorretto da una ruota di spesso legno che gli consentiva di trasportare il suo enorme peso; nessuno aveva mai visto niente di più mostruoso. L’abominio si faceva strada mietendo tutto ciò che trovava davanti a se, con le sue enormi braccia, e raggiunse velocemente le retrovie degli skaven di Warling, dove diverse mute di rattogri stavano facendo scempio degli assassini nemici che sbucavano dappertutto. Alla vista dell’abominio, i rattogri impazzirono e si gettarono sulla mostruosità accecati dall’ira; l’abominio, che intanto sembrava invulnerabile ai colpi che arrivavano dai fucilieri alleati, afferrò due rattogri e li sollevò da terra con estrema facilità. Ne gettò uno contro un cannone a fulmine, che esplose all’istante, mentre strinse l’altro fino a farlo esplodere in un orribile fiume di sangue nero. Con le altre braccia spazzava via i rattogri davanti a se come se fossero ramoscelli. Warling ordinò a tutti i cannoni di puntare sull’abominio; i cannoni fecero fuoco e i fulmini centrarono in pieno la bestia, che gemette di dolore e si accasciò al suolo dopo diversi colpi diretti. La scena seguente lasciò gli skaven impietriti: le carni dell’abominio si squarciarono e dal suo ventre fuoriuscirono centinaia di ratti famelici, che assalirono tutto ciò che stava attorno alla carcassa dell’abominio, divorando vivi i poveri uomini ratto rimasti. Warling si riprese e lanciò un potente incantesimo che fece piovere frammenti di warpietra dal cielo sulla marea di ratti, bruciandoli tutti. Stremato, lo stregone ordinò di continuare a fare fuoco e si sedette su una trave di legno a riposare.
La luce invase il tunnel di pietra quando i polverizzatori sfondarono la solida parete davanti a loro. Shweek rimase momentaneamente abbagliato, ma quando si riprese capì di aver vinto; lui e i suoi uomini erano sbucati esattamente sopra le mura posteriori della fortezza e avevano iniziato l’invasione della roccaforte. Shweek guardò soddisfatto il campo di battaglia soffocato dai fumi delle esplosioni, e vide i suoi uomini in netto vantaggio. Scese dalle mura assieme ai suoi uomini-ratto e ordinò di distruggere le mura principali, così che tutto il suo esercito avrebbe invaso la rocca. I suoi uomini partirono alla carica, e lui approfittò della confusione per entrare nella cattedrale. Arrivò di fronte alle enormi porte di legno; ad aspettarlo c’erano diversi assassini. Nulla lo avrebbe fermato, pensava, mentre si scagliava sui ratti neri massacrandoli. Le lame warp si facevano sempre più brillanti man mano che si faceva strada tra gli assassini per entrare nella cattedrale, e, dopo che l’ennesima testa fu staccata dal corpo di un assassino, violenti fulmini scaturirono dalle lame, incenerendo gli assassini attorno a Shweek; man mano che continuava ad uccidere, Shweek si sentiva sempre più forte, pervaso da una potenza crescente. Le lame si trasformarono infine in energia warp purissima, e appena toccavano un nemico lo friggevano letteralmente. Shweek lasciò cadere le lame e si mise a roteare su se stesso. Le catene unite alle lame formarono un violento turbine di morte, che tranciò tutti gli assassini fino a sfondare le porte della cattedrale. Smise di roteare e si ritrovò all’interno della grande chiesa, mentre alcuni fulmini di energia residua saettavano lungo le lame fino a terra. Ora capiva: le lame erano vive e perennemente affamate; l’unico modo di saziarle, per sprigionare la loro vera energia, era uccidere. Se non avessero ricevuto abbastanza vittime, le lame avrebbero iniziato a divorare Shweek, fino a distruggerlo. Con queste nuove rivelazioni, lo skaven era giunto di fronte all’altare della cattedrale. Dietro all’altare dorato, vi era un trono rosso sangue, sul quale se ne stava appollaiato il suo più grande nemico. Era li di fronte a lui, racchiuso in una magnifica armatura nera, con indosso un sontuoso mantello rosso e giallo, recante il simbolo del conte elettore che una volta era il sovrano della roccaforte. Non si alzò nemmeno quando lo vide, il che significava che non era affatto preoccupato della sua presenza li. Sapeva che la battaglia era ormai persa, ma aveva ancora un asso nella manica. Dalle ombre dietro il trono si materializzò una sagoma confusa di uno skaven; Shweek rimase a guardare fino a che la sagoma non uscì dalle tenebre, e allora rabbrividì. Davanti a lui, il petto nudo ricucito dalle profonde ferite, Snitz fissava Shweek con sguardo assente. Rimase così per pochi secondi, prima di estrarre due lunghi coltelli dorati dai fianchi e puntarli verso il suo migliore amico “Snitz!” balbettò Shweek strabiliato dal vedere il suo amico vivo di fronte a lui. “Sorpreso, piccolo ratto-ratto?” Ghignò il capoclan “Ti piace mio piccolo trucco, si-si?” alzò il braccio corazzato mostrando un piccolo pendaglio nero dai lineamenti elfici “Questo amuleto, apparteneva ad un conte vampiro, ed ora-ora è qui nelle mie mani si! Con il suo potere ho risvegliato il tuo caro amico-amico, e ora obbedisce soltanto a me!” Si alzò dal trono colmo di odio e con un gesto sguinzagliò Snitz, che in un lampo fu addosso a Shweek. Faticava parecchio a parare i suoi colpi, violenti e velocissimi allo stesso tempo, e non riusciva in alcun modo a scalfire Snitz. Combattere in un duello all’ultimo sangue con il suo migliore amico... questo non se lo sarebbe mai aspettato. Era inutile parlare, Snitz era un cadavere sotto il controllo del capoclan, e non si sarebbe fermato fino a che Shweek non fosse caduto ai suoi piedi. Appena le lame di Shweek sfioravano il corpo corrotto di Snitz, la ferita si rigenerava e non ne rimaneva traccia. La chiave per sconfiggerlo era distruggere l’amuleto che il capoclan teneva stretto, mentre osservava lo scontro tra i due. Ma Shweek non poteva combattere contrò due avversari così potenti, era troppo anche per lui. Con un colpo fece schizzare via un coltello dalla mano di Snitz, che con velocità sovrumana estrasse delle lunghe unghie acuminate e graffio il volto di Shweek, che si ritrasse in una smorfia di dolore. Snitz si scagliò con rinnovata foga contro quello che una volta aveva salvato da un grosso rattogre, e che era stato salvato a sua volta, deciso a mettere fine alla sua vita. Shweek parò ancora una volta il colpo e riprese a combattere, nonostante ormai fosse stremato. Dopo alcuni minuti passati a combattere, Shweek crollo esausto, e Snitz sferrò il colpo di grazia tra le risa malefiche del suo manipolatore. Le porte della cattedrale si spalancarono e un proiettile di warpietra fischiò per tutta la navata oscura, prima di conficcarsi con un sonoro schiocco nel cervello di Snitz, che venne proiettato contro l’organo della chiesa dietro al capoclan, che stava ancora ridendo. Warling entrò inciampando sui cadaveri degli assassini e si precipitò ad aiutare il suo padrone, colpendo il capoclan con una pioggia di warpietra, dalla quale anche Shweek dovette ripararsi. Felice di vedere che il suo padrone era ancora vivo, Warling lo sollevò di forza, e con un movimento delle braccia gli ridiede forza attraverso la magia warp. Shweek non perse tempo e si scagliò contro il capoclan, e gli stacco la mano di netto. L’amuleto cadde a terra, e Shweek lo lanciò a Warling, che con un colpo della sua pistola lo ridusse in mille pezzi. Il corpo di Snitz era nuovamente libero, e la magia oscura lo abbandonava mentre si accasciava a terra, nuovamente morto. Il capoclan terrorizzato cercò di fuggire ai piani superiori della cattedrale. Corse sulle scale e aprì una porta di ferro, dopodiché fu su una larga balconata di pietra. Vide il campo di battaglia ricoperto dai corpi dei suoi skaven, e si sporse ancora, per vedere morti e incendi ovunque. Si voltò in preda al panico, e una lama di warpietra penetrò nel suo addome come un coltello nel burro. Il capoclan sbarrò gli occhi e vide Shweek davanti a se, che a sua volta lo osservava compiaciuto “Addio-addio, maledetto traditore! I corvi si prenderanno il tuo corpo, si-si, e io mi prenderò tutto il resto-resto!” La seconda lama stacco di netto la testa del capoclan; ci fu uno scintillio, e poi un violento fulmine spazzò via il capoclan. Il suo corpo esanime cadde dalla balconata, e si unì a tutti gli altri.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Epilogo ***


Le porte della cattedrale si spalancarono di nuovo, e Shweek e Warling emersero dal buio della cattedrale, tra gli squittii e gli urli di vittoria degli skaven. La testa del vecchio nemico veniva sventolata in aria, e gli skaven gridavano ancora più forte, euforici. Avevano vinto, e dovevano tutto a Shweek “Lode al generale Shweek, nostro potente Signore della Guerra!!” Grida di questo genere si protrassero per tutta la notte fino al mattino seguente, quando il nuovo Signore della Guerra seppellì il corpo del suo migliore amico in una grande tomba di marmo sottratta al cimitero della cattedrale. Aveva lasciato la lapide vuota, così nessuno avrebbe disturbato il suo riposo, nemmeno se gli umani avessero mai ripreso possesso della roccaforte. Si inginocchiò in silenzio davanti alla tomba e pensò... non sarebbe qui se Snitz non fosse morto, consentendogli di scappare. Gli doveva nuovamente la vita. Sorrise e se ne andò; Warling lo stava aspettando nella cattedrale, con un dono speciale per il suo padrone: “Grande Signore della Guerra, ho fatto riparare l’armatura del traditore, ed ora è tutta vostra-vostra” Shweek osservò l’armatura davanti a se: nera come la pece, ricoperta di spuntoni, quell’armatura magica offriva un’enorme protezione, unita ad una completa libertà di movimento, peculiarità che il capoclan nemico non aveva evidentemente saputo usare. Shweek indossò l’armatura, e si sentì invincibile. La corazza lo ricopriva dalla testa ai piedi, e persino la coda era dotata di spine acuminate a prova di attacchi alle spalle. Warling si congedò e lasciò il suo signore solo; si domandava cosa avrebbe fatto adesso; avrebbe potuto mirare ad ottenere un posto nel Consiglio dei Tredici, perché no? Oppure avrebbe conquistato terre e ucciso nemici all’infinito? Non poteva saperlo... L’unica cosa di cui era certo, era che non avrebbe mai tradito il suo signore, poiché sotto il suo comando si sentiva al sicuro. E questo fatto era più che sufficiente per essere un fedele servo; avrebbe seguito Shweek ovunque, e avrebbe assistito alla sua ascesa. Un servo lo richiamò alla realtà; c’era molto lavoro da fare, tanto da ricostruire e da preparare, poiché presto le schifose cose-uomo sarebbero tornate per riprendersi la loro cattedrale.
Shweek passeggiava lungo le mura della sua nuova roccaforte, osservando l’ambiente circostante; centinaia di skaven schiavi erano al lavoro per ricostruire le mura e preparare le nuove difese. Decine di bandiere skaven sventolavano sulla cattedrale e ovunque per la roccaforte; erano stracci sgualciti tipici degli skaven, colorati di vermiglio, e sopra ogni stendardo erano raffigurate due lame di warpietra grondanti di sangue nero. Shweek era soddisfatto del suo nuovo stemma, e avrebbe fatto di tutto per vedere quelle bandiere sventolare in più terre possibili. Quello era il piano. Tutti, dagli skaven agli elfi fino alle creature più strane dell’Antico Mondo lo avrebbero ricordato e temuto. Per il resto della sua vita avrebbe combattuto e vinto, perché era ciò che meglio sapeva fare, e avrebbe conquistato sempre più terre in nome del suo nuovo clan, il Clan Shweek.
 
“Distruggerò i vostri villaggi
Brucerò i vostri campi
Ucciderò voi e i vostri sostenitori
E tutti tremeranno al sussurrare del mio nome!”
 
- Signore della Guerra Shweek Il Divoratore -

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=756128