Insanity .
Capitolo 2 .
“Qua ce n’è uno peggio
dell’altro. Va se si può mettere anche me in mezzo a tutti sti
matti. Non sono come loro,lo so di non
esserlo io sto bene.”
-Lo sai benissimo che
sei matto!
“Chi ha parlato? Chi può
sentire i miei pensieri? Chi? Mi osservano. Sono nella mia testa!”
-No.
Sono io Craig, il tuo caro amico. Tu sei pazzo. Sei malato. Sei da rinchiudere
in cella.
“Ancora? Chi è che mi
prende così per idiota?” si guarda intorno,ma non c’è nessuno. L’uomo più
attivo nel mio “reparto” è un vecchio che cammina continuamente in cerchio,
trascinando i piedi scalzi, e continuando in continuazione a balbettare cose
senza alcun senso.
-E’ inutile che ti
guardi in giro. Sono dentro di te io. E lo sai, che posso far farti ogni cosa
che voglio.
“No, tu non puoi.”
-Sì, e lo sai. So convincerti
a trattenere il respiro ogni settimana. Guardati i polsi, le cicatrici. Prendi le
lamette dal bagno degli inservienti. Tanto lo sai che a mezzogiorno sono tutti
in pausa.
Alza di poco la manica
della tuta. Bianche cicatrici solcano il suo polso, alcune rosse,non ancora
rimarginate. Come in coma Craig si dirige verso la porta bianca del bagno degli
inservienti, apre il mobiletto dei medicinali. Gocce di sangue rosso cadono a
terra.
La cartella del
cliente annuncia:
Aggiornamenti: “il paziente Craig
Jhonson, affetto da crisi di doppia personalità e
schizofrenia, ripetutamente mostra segni di autolesionismo. Dice di sentire
delle voci. Si chiede di aumentare il dosaggio dei medicinali . “
“Come previsto. Primo giorno
di scuola da manuale. Cosa mi aspettavo poi? Il sorriso di tutti? No. Mai aspettato.
“
Appena entrata a
scuola mi sono subito trovata un gruppetto urlante di ragazze truccate,e
profumate. Come in una bolla di perfezione, malignità e stupidità. Tutto contemporaneamente.
E,naturalmente, dietro di loro non potevano mancare gli zucconi della squadra
di Football, o qualunque sport fosse.
Tre anni e mezzo per
trovare sta cavolo di segreteria. Un labirinto, non è una scuola. Inutile ripetere
che preferisco farmi internare con la camicia di forza nel manicomio, se lo
ripeterei sembrerei forse monotona. Ups. Ormai.
Ho scoperto che odio
le segretarie con gli occhiali gialli, che fingono cordialità e fanno finta di
volerti bene come se fossi una figlia, sinceramente avrei fatto a meno della
sua voce falsamente dolce.
Sono arrivata in ritardo
a tutte le lezioni, nessuna esclusa. E quindi come “punizione” ho dovuto
presentarmi. Odiosa. Odiosa. Odiosa. Cosa.
In sintesi cosa ho
detto?
“Ciao, sono Sarah. Mia madre mi
ha trascinato dalla California a qui. Avete presente la California? Il caldo,le
spiagge? Ecco. Qui non è come la California. Ho diciassette anni. Ho un
fratello, ma non abita con noi. Ha 23 anni. Si chiama Simon. Mi piace scrivere,
disegno manga e suono la chitarra.”
Occhei,
forse mi sono fatta odiare già dall’inizio, con la frase “Qui non è come la California.”
Mi è scappata . è uscita dalla mia bocca senza che io lo potessi notare, ho la
potessi fermare.
La prima lezione era
letteratura. La professoressa è una tipa simpatica, forse troppo bassa e si
impiccia troppo, mi ha dato un libro che da solo occupava tutta la borsa. Come seconda
lezione chimica avanzata. Poi il pranzo.
Appena entrata nella
mensa mi sono sentita soffocare. C’era un miscuglio di carne indefinito. La cosa
peggiore per una vegetariana. Il pomeriggio ho avuto arte creativa e scienze
naturali.
Pessimo inizio. Amici?
Nemmeno uno, al di fuori di una ragazza della mia classe di arte, un folletto
con i capelli rosso Ferrari e gli occhiali verde fluorescente. Perso che si
chiami Elizabeth, ma mi ha detto di chiamarla Liz. Ha
blaterato tutto il tempo di quanto fosse fica la scuola, cosa che io non ho
notato.
-Dovresti vedere l’high
school in California- ho
ribadito io.
-Sei proprio fissata
allora.-
Non ho più risposto.
Grazie al cielo alle
cinque tutta questa atroce tortura è finita.
Ho perso il pullman.
E ora sono qui a
camminare per 4 isolati fino ad arrivare a quella inospitale casa bianca. E per
di più si è messo a piovere.
Sono grondante, vorrei
proprio vedere Liz cosa direbbe. Vorrei vedere mia
madre se mi vedesse così. Con gli occhi gonfi e rossi di pianto. I capelli
bagnati attaccati alla fronte, e il mascara che cola.
Gli urlerei “Allora?! Vedi
quanto sono felice?!”
Lo ripeterò all’infinito
che qui non è come la California .