Mallak annaru wad hab

di Jay W
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Il sibilo assordante e sconfinato del vento.
 
Era l’unico suono udibile, quando tentò di riaprire gli occhi , un tempo non ben determinato dopo il suo poco morbido e delicato atterraggio.
 
La sabbia aveva attutito l’impatto, è vero: sempre meglio cadere su una duna di sabbia che su una lastra di cemento…
Ma provate voi a fare un volo di seicento piedi in discesa libera, con un mucchio di ferraglia addosso!
 
Si sforzò di tenere aperti gli occhi, ma fu un’impresa difficile, feriti dal sole e dal deserto che sembrava aver deciso di sputargli in faccia tutta la sua sabbia.
Muoversi? No, nemmeno quella fu impresa facile: nell’impatto col suolo, la corazza di ferro che si era fabbricato era andata in pezzi e diverse schegge gli si erano conficcate in una coscia e nelle braccia. Non in profondità, almeno… Non com’era accaduto con le schegge della granata che avevano colpito il suo cuore riducendolo in quello stato. Alcune, le più grandi e superficiali, potè togliersele con le dita. Altre rimasero nella pelle, troppo piccole per essere estratte a mano in quelle condizioni.
 
Un rivolo di sangue, che era scivolato da una ferita accanto alla tempia giù per uno zigomo, si era raggrumato in una striscia nerastra che andava ad aggiungersi a cento piccoli altri graffi, lividi e tagli sul suo volto, sporco e provato dalle settimane di prigionia appena terminate.
Alzò lo sguardo: il sole non si era spostato: non doveva, quindi, essere rimasto svenuto a lungo.
 
Accecato dal sole e con la vista appannata, chiuse gli occhi, abbandonandosi sfinito alla sabbia. Col volto sofferente per le ferite e la stanchezza, gli occhi serrati per proteggersi dal sole che sembrava torturarlo con la sua luce accecante dopo le settimane in cui aveva vissuto di tetra oscurità e le labbra screpolate che imploravano acqua, riprovò a sollevarsi appena, per guardarsi attorno: nient’altro che sabbia…
Ma sì: meglio morire di caldo e sete, ma libero, che prigioniero con una pallottola in testa!
Si riaccasciò, senza trovare nemmeno la forza di ripararsi dal sole con le mani, sprofondando di nuovo in un buio silenzio, privo di sensi.
 
Privo di sensi, sì, ma pieno di sogni…
 
Almeno a quanto gli sembrò. Gli parve di vedere qualcuno o forse qualcosa. Di udire uno strano brontolio animale, monete… Sì, un tintinnare come di monete, insistente, ora che si avvicinava, ora che si allontanava… Gli parve di scorgere un’ombra, poi una figura scura…
“Ecco lady morte che arriva…” pensò “Lo sapevo che sarebbe arrivata presto per me, con passo leggero, quasi in punta di piedi, così come sta facendo ora… Ma non ho mai creduto potesse essere tanto dolce e premurosa, da tentare di offrirti un conforto prima di portarti via… Cos’è, lady morte? Acqua? Non sapevo ti prendessi cura delle persone che stai per strappare a questo mondo… Né che il tuo odore fosse tanto pungente… Né che avessi mani così piccole… Né che i tuoi occhi fossero così grandi e scuri… “
 
Spalancò gli occhi. E la misteriosa piccola figura senza nome e senza volto, ricoperta da capo a piedi da un mantello ed un turbante marrone, balzò indietro con un urlo, raggiungendo il cavallo che se ne stava fermo pochi passi dietro di lei.
Gli ci volle un po’, a Tony, per capire cosa stesse succedendo. Gli bastò leccarsi le labbra e sentirsele realmente umide d’acqua, per intuire. Protese una mano verso di lei, tirandosi a stento a sedere. Si riparò gli occhi accecati dal sole e dal riverbero di esso sulla sabbia, col dorso di una mano.
A discapito del suo aspetto e degli strani rottami che lo circondavano, tutto poteva apparire fuochè una minaccia.
 
Diffidente ma generosa come solo le genti nomadi sanno essere, gli si avvicinò cauta, con plateale circospezione, porgendogli una borraccia di pelle di capra piena d’acqua. Tony bevve avidamente e lei fu costretta a fermarlo prima che terminasse tutta l’acqua di cui disponeva. Dopodiché si allontanò lentamente, senza mai dargli le spalle, tenendo strette le rudimentali briglie del cavallo, che carezzava nervosamente.
Lo aveva visto piovere giù dal cielo ed ora, com’era facilmente comprensibile, ma aveva un sacro timore: aveva visto molti stranieri nel corso della sua giovane vita.
Ma mai li aveva visti scendere giù dal cielo come angeli… E nella sua mente si faceva strada, dunque, la possibilità che l’individuo dallo strano aspetto a cui aveva dato da bere, non fosse uno straniero qualsiasi, ma che provenisse dal cielo da cui era caduto. Molte volte aveva visto cadere le stelle, nelle fredde e lunghe notti del deserto… Si era sempre chiesta cosa fossero… Dove finissero… Forse le stelle cadevano anche di giorno e forse, anzi, probabilmente, quell’uomo era una stella!
Tony si tirò in piedi a fatica, scrollandosi di dosso la sabbia e arruffandosi vigorosamente i capelli per costringersi a tornare lucido. Ma aveva perso molto sangue, non mangiava a sufficienza da settimane ed era terribilmente debole: non rimase in piedi a lungo e cadde, dopo aver barcollato sulla sabbia per qualche passo.
 Solo allora lei realizzò che probabilmente, l’uomo stella, avendo vissuto fino a quel momento in cielo, non poteva certo saper camminare. Gli portò il cavallo e senza dire una parola, si avvolse un suo braccio attorno alle spalle per aiutarlo a rimettersi in piedi. Non si porse molte domande, Tony, quando si ritrovò in groppa all’animale, dopo diversi tentativi. Semplicemente, si abbandonò alla stanchezza, sprofondando col volto nel collo della bestia, aggrappato alla sua criniera per non cadere, con le ultime forze che gli erano rimaste.

Il movimento lento e dolce del cavallo tra le dune, ebbe il potere di cullarlo e riaddormentarlo placidamente.



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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Quando riaprì gli occhi, era già buio da un pezzo.
Il bagliore traballante di un falò ed una piccola lanterna ad olio che oscillava cigolante, mossa dalla lieve brezza che soffiava, erano le uniche fonti luminose nel raggio di diverse miglia.
Era stato messo in una tenda, a coricare su un giaciglio di pelli di capra o di chissà che altro animale, dall’olezzo non proprio piacevole. Ma le sue ferite erano state pulite e ricoperte con un appiccicoso composto dolciastro. All’olfatto sembrava miele, ma dubitò che lo fosse realmente…
Gli era stata lavata la faccia, incrostata di fango e sangue e dall’esterno si sentiva provenire un fitto discutere in arabo di voci maschili.
A vegliare su di lui, seduta su un tappeto in un angolo della tenda, vi era una donna.
Alla fievole luce della lanterna, scoperto, era visibile il suo volto, segnato da profonde rughe che ne testimoniavano l’età avanzata. Indossava un abito coloratissimo, a dir poco sgargiante, composto da diverse stoffe di colori in netto contrasto fra loro.
Dalle mani ed i piedi, fittamente decorati con arabeschi all’henné, oltre che dal vistoso gioiellame di cui era ornata, da quel po’ che ne sapeva, poté supporre che si trattasse della padrona di casa… Certo, se di casa si sarebbe potuto parlare!
Non c’era niente in quella tenda. A parte lui, il giaciglio di pelli, una datata radio portatile arrugginita, che se non ricordava entrambe le guerre mondiali, poco ci mancava, qualche tappeto e… La vecchia, assopita nell’angolo con un curioso aggeggio tra le mani che ricordava un telaio.
Sembrava stesse lì più a far da colorata suppellettile aggiuntiva, che altro.
 
Si alzò dal giaciglio, seppur stentando a rimanere in piedi.
Non ricordava granché, aveva solo brevi flash confusi di come fosse arrivato lì e, forse, confuso lo era ancora.
“Nome…? Tony... Anthony… Ehm… Anthony Edward Stark...”
Oh, almeno questo lo ricordava ancora.
“Figlio di…? Howard… Howard e Maria Stark…”
E sì, lo sapeva bene, meritava di essere chiamato anche figlio di… Beh, è inutile specificare: un figlio di puttana è un figlio di puttana, indipendentemente dalla condotta morale della propria madre, e Tony sapeva di essere, senza colpa alcuna della sua irreprensibile madre, un figlio di puttana!
L’ho detto davvero…? Ops!
In quelle settimane di prigionia aveva avuto tutto il tempo di starsene aulicamente a meditare su tutte le possibili correlazioni tra le espressioni più colorite del gergo comune, quali, per l’appunto, “figlio di puttana”, “bastardo”, “testa di cazzo” e la sua medesima persona.
Era così che l’autocommiserazione era entrata a far parte, ormai stabilmente, della sua vita.
Brusco cambiamento di rotta, per uno abituato ad avere il potere a schiocco di dita!
Dal giorno in cui era stato rapito…
No.
Dal momento in cui si era risvegliato in quel sotterraneo, scoprendosi quell’orrendo affare impiantato nel petto – un risveglio da manuale dell’horror- un affare da cui avrebbe dipeso la sua vita d’ora in avanti, sì, da quel momento aveva cominciato a pensare a sé stesso come al povero figlio di puttana che era in realtà.
Era piombato all’inferno da un paradiso dorato fatto di lusso e lussuria, in cui aveva sguazzato senza pudore per tutta la vita; e aveva ben presto scoperto, a sue spese, di non essere nessuno, in fondo.
Soltanto, appunto, un povero figlio di puttana come tutti quanti gli altri!
In linea di massima, a come la pensava lui, secondo le regole del karma o come diamine le s’intende, avrebbe dovuto essere il primo a fare la fine del sorcio nella trappola.
Invece, inspiegabilmente, il destino continuava a tirarlo fuori dalla merda proprio quando credeva di essere giunto al capolinea.
Prima quel medico che gli salva la pelle…
“Com’è che si chiamava? Maledetta testa del cavolo! Ti fai fottere dalla confusione e dimentichi il nome dell’uomo a cui devi te stesso, Tony Stark???”
Scrollò nervosamente la testa, stanco di sentirsi costantemente intontito.
“Dov’ero rimasto…? Ah, già… Un uomo, milioni di volte più grande di me, ma di cui nessuno ha mai sentito parlare o che solo in pochi hanno conosciuto, mi salva il culo due volte e alla seconda ci rimette la pelle, pur di dare una possibilità di riscatto al figlio di puttana che non sono altro. Non ho idea di come, sopravvivo, praticamente incolume, ad un volo pazzesco di… Non so e preferisco non sapere di quanti piedi e a che velocità…”
Si massaggiò i lombi e le gambe, ancora terribilmente dolenti per lo schianto.
“Mai sentito parlare di esperienze extracorporee e cazzate simili? Beh, non posso essere certo di questo, ma… Credo di aver vissuto qualcosa del genere, in quei frangenti, quando sono atterrato in mezzo al deserto. Mi sono visto dall’alto, come si guarda un pupazzo inerme abbandonato su una spiaggia.
E nelle orecchie… Beh, pensatela come vi pare, ma ho sentito mia madre gridare il mio nome. Sì, lo so, sembra una di quelle stronzate uscite da una puntata di "ai confini della realtà", ma è così: giuro che quando me la sto vedendo brutta, sento la voce di mia madre invocare il mio nome, da dopo l’incidente che si portò via lei e mio padre.
Non credo di averla mai sentita gridare davvero così, nella realtà. Mia madre non alzava mai la voce, non gridava mai, non avevo mai sentito quella straziante paura nella sua voce.
Sapete cosa penso…? Lo so che dopo questo crederete che sono matto, ma non ho saputo spiegarmelo diversamente. Penso che quella che sento, sia davvero  la voce di mia madre.
Deve aver urlato davvero il mio nome in quel modo, rendendosi improvvisamente conto che mi avrebbe lasciato per sempre.
Me che non ero in grado di badare a me stesso.
Me che in fondo avevo ancora bisogno di lei.
Quell’urlo che sento è la voce di mia madre al momento dell’incidente, un attimo prima di lasciare questo schifo di mondo per raggiungere gli angeli come lei.
Nessuno potrà mai dirmi che è vero.
Nessuno potrà mai dirmi che mia madre ha davvero urlato il mio nome prima dello schianto.
Ma da figlio, mi piace pensare che quel grido che sento, sia il suo modo di farmi sapere che lei è lì, accanto a me. Fu grazie a quel grido che riaprii gli occhi, subito dopo…
Dovevo essere morto.
Davvero, la prima cosa che ho pensato quando ho riaperto gli occhi è stata: …com’è possibile che sia ancora vivo? Ho visto la sabbia estendersi sconfinata in tutte le direzioni, fin dove i miei occhi riuscivano a vedere. Giuro che quella vista mi ha inaridito la bocca e la gola e mi è sembrato di soffocare, come se avessi ingoiato una cucchiaiata di sabbia.
Ma forse mi era andata davvero della sabbia in gola, chissà…
Non c’era un bel niente intorno a me. Allora ho capito: era lì, in quel modo, lentamente, che avrei esalato il mio ultimo respiro. Ho sperato che quel momento arrivasse presto…
No, è una menzogna, invece: sono pur sempre un figlio di puttana, ho paura anch’io di morire. Non volevo che finisse così. Non avevo fatto uno straccio di cosa buona nella mia vita, o comunque non ne avevo ricordo. Non ho mai aspirato al Paradiso ma, cazzo, almeno qualche millennio di Purgatorio speravo di riuscire a racimolarlo, in qualche modo!
Avrei voluto tornare indietro e avere un’altra chance. Aprire gli occhi e non fare stronzate… Ma in quel deserto, quale chance avevo? Quale, se non quella di morire e liberare la faccia della terra da un individuo come me?
Invece, quando ho sentito forte la presenza della dama con la falce che veniva a prendermi… Si è rivelato essere un piccolo angelo che, senza dire una parola, mi ha caricato su un… Che diamine era? Un mulo…? Un cavallo…? Bah, ne ho ancora il puzzo addosso! Comunque mi ha raccolto e mi ha portato qui.
Salvato dai tuareg, gente!
Avrei dovuto morire in diverse occasioni e per i motivi più disparati, nel corso delle ultime settimane… - giuro che al prossimo che mi dice che questo è l’anno fortunato degli scorpione, gli infilo un Jericho su per il didietro!- ed eccomi qui, invece, ad ingozzarmi di latte e dolcissimi frutti secchi che credo di non aver mai assaggiato, da un vassoio poggiato a terra, su un tappeto, con le mani e senza prendere fiato, come un animale.”
Strisciando come un verme nella tana, raggiunse l’ingresso della tenda senza far rumore.
Ne scostò delicatamente un lembo, per sbirciare fuori… E la prima cosa che attirò la sua attenzione fu il cielo: non aveva mai visto tante stelle in vita sua, se non all’osservatorio astronomico, da ragazzino. Ci portava le ragazze, per fare colpo su di loro e, nel buio, sotto il romantico panorama delle stelle, rubar loro qualche bacio… O anche qualcosa di più.
E gli tornò in mente la sua prima fidanzatina, a cui aveva rubato il primo bacio proprio all’osservatorio, nella sala del planetario.
Si chiamava Sally Walters, aveva quattordici anni, due più di lui e i capelli rossi, come quelli di Pepper… O forse erano biondi, non ricordava più… Chissà dov’era e cosa faceva, la bella Sally, ora…
Proprio davanti all’ingresso, poté vedere sei sagome avvolte in tuniche scure, forse mantelli, sedute attorno al fuoco di bivacco di cui aveva visto la luce, acceso per illuminare e scaldare le membra intirizzite, nel gelo di quella notte desertica.
Una delle sagome, però, spiccava fra le altre per la sua unicità: era la più piccola e, al contrario delle altre, teneva il capo chino, mentre si stringeva con le sue piccole mani nel mantello di lana cruda color fango che indossava.
E taceva.
Nell’animata discussione che coinvolgeva gli altri componenti del gruppo, paradossalmente, il suo silenzio era la voce che si levava più alta di tutte.
Per un breve istante alzò il viso, coperto completamente tranne che per gli occhi, verso il fuoco… E Tony riconobbe in quei grandi occhi neri e tristi, quelli dell’angelo che lo aveva salvato dal deserto.
Strisciando come s’era avvicinato all’ingresso, se ne tornò al vassoio di cibarie, da cui prese due grossi pugni di frutti dolci che nascose nelle tasche della giacca sbrindellata che indossava.

Dopodiché se ne tornò al giaciglio di pelli, dove un tetro sonno morboso lo avvolse tra le sue spire, fino a quando, voci concitate, non lo risvegliarono, molte ore dopo…





 

Ciao a tutti!^^
Sì, lo so, questo capitolo è strapieno di parolacce ed espressioni colorite. Il che non è decisamente da me, ma, a parer mio, molto da Tony!XD

Il rating giallo è stato messo apposta per la scurrilità di certi passaggi.

A parte questo, spero apprezziate il resto!

Enjoy^^

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Proprio così: voci concitate!
Un litigio, si sarebbe potuto supporre, dal tono in cui quattro uomini e una donna, fuori la tenda, stavano discutendo.

Tony, abbandonato il suo giaciglio, zoppicante, osò ficcare il naso fuori, stropicciandosi gli occhi.
Oggetto della discussione pareva essere proprio il piccolo angelo con gli occhi tristi, dal modo in cui veniva additata e scossa, lì, in mezzo a loro.

Quando si accorsero della presenza di Tony, però, tutti tacquero, perdendosi ad esaminarlo in silenzio. I quattro uomini rimasero a lungo a fissarlo, lì impalato, sulla soglia della tenda in cui aveva trascorso la notte. Quando provò ad accennare un saluto con la mano ed un mezzo sorriso sghembo, la donna che era con loro, si dileguò in fretta in una tenda adiacente, ad un’occhiata di uno degli uomini, trascinando con sé quasi di peso il piccolo angelo.

Parve apparire dal nulla, invece, la vecchia che aveva visto la sera prima, addormentata nella tenda con lui.
Toccò a lei dare il benvenuto allo straniero… E lo accolse nel modo più spiazzante che Tony potesse aspettarsi: come se si stesse ricongiungendo con un proprio figlio, lo accolse con gridolini di gioia, un ampio sorriso sdentato, parole arcane e tenere carezze affettuose sul volto. Poco le importava, parve subito chiaro a Tony, che lui non capisse una parola del fiume di cose che gli stava dicendo. Ma in quei momenti, si sentì trattato da vero imbecille!

Non era affatto sicuro di che razza di lingua fosse, quella che parlavano. Sembrava arabo, ma avrebbe anche potuto non esserlo. Forse era quella strana lingua che aveva sentito nominare, il pashtu… O forse qualche dialetto dell’entroterra Afgano… Ammesso che quello fosse ancora territorio Afgano!

Era stato detto loro delle strane circostanze in cui era stato ritrovato? Forse no… Anche se l’atteggiamento circospetto di quelle persone nei suoi confronti, gli dava molto da pensare.
L’unica nota positiva in quella situazione era che, quella minuscola tribù nomade in cui era praticamente piombato dal cielo, fosse amichevole e ospitale. Perfino gli uomini, sebbene con maggior diffidenza, gli offrirono il loro benvenuto… Ma la vista di alcuni kalashnikov che portavano legati dietro le spalle, lo frenò dallo snocciolare definizioni finali sulla loro apparente pacificità.

I penetranti occhi bistrati del piccolo angelo, nascosta dietro un lembo della tenda in cui era stata cacciata quasi a forza, scrutarono con interesse il caldo benvenuto allo straniero; e con ancor più interesse lo straniero stesso.
Tony si sentì tutto il misterioso peso di quegli occhi addosso e non potè fare a meno di abbozzare loro un sorriso, facendoli ritrarre con spavento nella tenda.

Il benvenuto, dovette ammetterlo, fu dei migliori: fu servito, lautamente, con pietanze di diversa foggia e dubbi sapori, di cui non osò proferir giudizio.
Mangiò, sorridendo e tacendo.
Accettò tutto quello che gli venne offerto: i kalashnikov dietro le spalle di quegli uomini, bastarono e avanzarono come deterrente contro ogni possibilità d’offenderli, anche involontariamente.
E quella volta, Tony, potè dire di aver assaggiato davvero tutto quanto c’è di peggio al mondo…
Ma era cibo e non ne vedeva di così abbondante e nutriente da settimane. Così si vide costretto a far buon viso a cattivo gioco, ringraziando ancora una volta di essere vivo ed essere trattato coi riguardi di un ospite.
In suo onore fu persino accesa la vecchia radio che aveva visto e che cominciò a gracchiare musiche arabe e smielate e lamentose canzoni libanesi a tutto volume.
Non fu lasciato solo, al banchetto preparato in suo onore: attorno al piatto comune, a mangiare con le mani, si unì tutta la tribù, tranne due di quelle che scoprì essere le uniche tre donne del clan: la donna, che aveva sentito discutere coi quattro uomini poco prima, e il piccolo angelo. La vecchia matriarca del clan –o almeno ciò che aveva dedotto potesse essere- era invece libera di prendere parte al banchetto e perfino alle chiacchiere degli uomini.

Giunsero altri a prendere parte al convivio e al loro arrivo, furono accolti e salutati come fratelli dal più anziano di loro.
La presenza di Tony, sebbene dapprima avesse destato la viva attenzione e curiosità di tutti, venne in breve assorbita all’ambiente ed egli divenne, all’effettivo, pur mantenendo i privilegi dell’ospite, esattamente come un membro del clan.

Finito il piatto, fu loro servito un infuso molto forte e amaro e mentre sorseggiava, Tony prese ad ascoltare con attenzione i discorsi degli uomini, che sembravano averlo momentaneamente messo da parte per discutere dei propri affari.
Poco dopo, uno dei più giovani di loro, fu mandato fuori dal più anziano, salvo poi ritornare pochi attimi dopo… Tenendo saldamente per un braccio il piccolo angelo che, recalcitrante, fu costretta a sedersi lì con loro, alla destra dell’anziano.

Fu allora che Tony cominciò realmente a sforzarsi di comprendere cosa stessero dicendo.
Era ormai palese che l’argomento di discussione fosse, sempre, lei!
Le settimane di prigionia avevano abituato il suo orecchio a quell’idioma. Yensin, con infinita pazienza, nel poco tempo che avevano, era riuscito ad insegnargli qualche parola per cogliere il senso degli oscuri dialoghi dei loro sequestratori…
Ma ora, quello sembrava più un pallido dialetto che vero arabo ed erano ben poche le parole che riusciva ad intercettare.
Una di loro era senza ombra di dubbio “maes”: “capra”.
Sorrise fra sé: era piuttosto ovvio, in un luogo dove non ci fosse altro che deserto, capre e qualche asino, che gli argomenti di conversazione vertessero su una delle tre cose…
Ma i toni della discussione cominciarono a farsi accesi e le voci ad alzarsi e sovrapporsi, rendendo ancora più complicato, per Tony, il proposito di comprendere ciò che stessero dicendo.
Gli sguardi erano tutti puntati su di lei.
L’anziano, sedutole accanto, avvolse un braccio attorno alle sue piccole spalle. Non con tenerezza, ma piuttosto con possessività.

La discussione cominciò ad assumere toni sempre più animati e accesi e in quella confusione, Tony captò un’altra parola: “shirah”… “comprare”.
Chiuse gli occhi per un momento e gli parve di essere piombato in una sorta di Wall Street araba.
Tra l’incessante musica di cembali e sitar che gracchiavano dalla radio e la lotta verbale inscenata dal gruppo, a cui la piccola, naturalmente, non prendeva parte, Tony non tardò a comprendere a cosa stesse assistendo: lei stava per essere comprata e la diatriba tra gli uomini non poteva riguardare altro se non il suo prezzo. Espresso in capre, per l’appunto.
Tony incontrò gli occhi neri di lei e quando li vide pieni di muta rassegnazione, vuoti di qualsiasi speranza e grondanti di lacrime, non riuscì più ad udire nulla attorno a sé, nè la radio, né la voce del vecchio, né le proteste del più giovane al suo fianco, le cui offerte sembravano non bastare mai… Nulla!
E gridò con quanto fiato aveva in gola, rabbioso e disgustato “KAFA!!!”: “BASTA!!!”

Fu solo uno il suono che si udì subito dopo: il silenzio.

Nella tenda piombò il più assordante dei silenzi, intriso d’imbarazzo e viva sorpresa: nessuno si aspettava un intervento dello straniero, soprattutto in faccende che non lo riguardavano affatto.
Perfino la radio smise di suonare i suoi lamenti arabi, trasmettendo solo il perplesso sibilo frizzante dell’assenza di segnale radiofonico.
Tutti gli sguardi dei presenti si calamitarono, interrogativi, sulla sua persona… E in quel momento esatto la coscienza di Tony si divise a metà.

-Quando imparerai a stare zitto, razza di idiota?- Pensò –Bravo, genio! Ed ora che avresti intenzione di fare? Fermarli?-
-…Sì.-
-E magari anche comprarla tu al posto di qualcun altro…-
-…Perché no…?-
-Tony, ti sei fottuto il cervello?-
-Può darsi. Meglio con me che con uno di loro, in ogni caso.-
-Allora te le cerchi, bello mio! Lascia che ti ricordi solo una cosa: kalashnikov!-
-Lo so, dannazione, lo so!!!-
-Valutiamo razionalmente la situazione, ti va? Queste sono cose che accadono tutti i giorni da centinaia… Che dico? Migliaia di anni, da queste parti, mi segui? Nemmeno sai chi sia, se c’è una donna, se c’è una bambina o se c’è un mostriciattolo sotto quella stoffa!-
-Ma le devo la vita…-
-Stronzate! E anche se fosse, ripeto la parolina magica che potrebbe aiutarti a capire: kalashnikov. Non ti basta? Bene, allora aggiungi anche grilletto facile, ombrosità, quelle grosse specie di machete affilati come rasoi che sembrano avere tutti e che, date le circostanze, di certo non usano per radersi la mattina! Sono tanti, armati ed ora come ora, anche parecchio incazzati. Quali sono le tue armi, invece…? Ah, già… Sei solo e disarmato!-
-Ma sentimi… Mi sembra di sentir parlare mio padre!-
-Forse perché aveva ragione…-
-No, non aveva ragione! Non sempre…-
-Allora dev’essere colpa del sole, Tony, perché credo ti sia decisamente fuso il cervello!-
-Non dire stronzate, è sempre stato così!-
-Ed è sempre stato una merda, tolto dal contesto professionale, lo sai! Non ne vale la pena, Tony! Non per un esserino di cui non sai niente e che non sa niente!-
-Mi ha salvato: ho un debito con lei!-
-Gran bel modo di pagare un debito: te la compri e ti metti tutto il clan dell’aspirante sposo contro. Ma bravo! Così non solo per lei non cambierà nulla, ma tu finirai spolpato come una carogna in mezzo al deserto. Loro sono tanti beduini armati e incazzati. Tu che cosa sei?-
-Un figlio di puttana qualsiasi, che al momento non capisce un cazzo di quello che fanno e dicono!-
Li vide scambiarsi strane occhiate e parole sommesse.
-Appunto! Non ficcare il naso in questioni che non ti riguardano: sei vivo e vegeto, ti nutrono e ti lasceranno andare non appena lo vorrai. Ringrazia e lascia perdere, o finirà male anche per lei!-
-Ma se la buona sorte mi assiste ancora, andrà bene a me quanto a lei e avrà una chance, sarà libera e potrà avere una vita migliore, via di qui. Che razza di futuro ha qui, venduta come una capra? Solo sabbia e pietre, nient’altro…-
-Tony, che diamine ti prende?!?-
-Non posso stare a guardare!!!-
-Dammi ascolto, stai lontano dai guai!-
-Troppo tardi…-

Si tolse dal polso l’orologio d’oro, l’unica cosa che gli era stato permesso di tenere addosso e che aveva difeso con le unghie e con i denti. Era di suo padre. Nella parte posteriore della cassa, erano ancora leggibili le iniziali incise nell’oro: H. S., Howard Stark. Lo porse al vecchio senza alcuna esitazione, ma l’uomo lo prese con titubanza, sotto gli occhi sgranati del ragazzo accanto a lui.

-Ma che diamine stai facendo…?-
-…Per una volta, la cosa giusta…-

L’intervento di Tony non piacque per niente all’acquirente della fanciulla, che uscì dalla tenda sbraitando stizzito, coi suoi compari.

-Quel ragazzo ti ucciderà, Tony…-
-Vorrà dire che almeno morirò per ciò che ritengo giusto e non da figlio di puttana!- 




Chiedo scusa per l'attesa, ma cercate di capirmi: è periodo d'esami!^^''
Enjoy^^

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Una grassa risata del vecchio e il repentino trasferimento dell’orologio d’oro di Tony, sul suo polso bruciato dal sole, sancì l’avvenuto acquisto.

La ragazzina, in lacrime amare e silenziose, fu quasi scaraventata fra le braccia della vecchia seduta lì, in un angolo. La donna sembrava complimentarsi con lei e, come l’uomo, appariva assai soddisfatta di quel baratto.Dal canto suo, la piccola non smetteva di fissare il proprio compratore, stupita, smarrita, impaurita…
L’uomo-stella l’aveva comprata. Perché?

Era questo che si chiedeva. Cosa ne sarebbe stato di lei? Lui ne avrebbe fatto la sua sposa e sarebbe tornato fra le stelle, portandola con sè? Cosa c’era lassù? Come avrebbero fatto a tornare da dove lui era venuto? Come avrebbe fatto a tornare a casa? Avrebbe mai più rivisto quei luoghi? E lui sarebbe stato buono, con lei?
Non sapeva cosa pensare, sebbene il suo sguardo lasciasse trasparire benevolenza, amicizia, finanche gentilezza.
Lo straniero venuto dal cielo l’aveva voluta per sé; e non capiva se avrebbe dovuto esserne grata, lusingata, contenta o, al contrario, sopraffatta dal terrore!
Cosa ne sarebbe stato di lei, tra le mani di un uomo che nemmeno conosceva? Alla mercé di uomo che l’avrebbe usata a proprio piacimento?

Ed ora che quell’uomo sconosciuto tra le cui mani era caduta, era proprio l’uomo delle stelle, cos’altro avrebbe dovuto temere da lui?
Represse con molta difficoltà le sue lacrime d’angoscia, sentendosi del tutto impotente di fronte a quella che per lei era, a tutti gli effetti, una condanna.
Cercava di pensare che, se Allah le aveva mandato quell’uomo direttamente dal cielo, un motivo doveva pur esserci.
Peccato non ci siano motivazioni che reggano, nella mente di una ragazzina che è stata comprata al di là di ogni suo volere…

Esattamente come si aspettava, quando Tony uscì dalla tenda, ad attenderlo col suo gruppetto di amici, fratelli o chissà chi fossero, trovò il ragazzo beffato dalla sorte, il giovane che aveva tentato di comprare la ragazza.
La fanciulla seguì Tony come un cagnolino ubbidiente e docile avrebbe seguito il suo padrone: lei era sua, non le era stato insegnato altro modo di agire se non quello.
Ma era evidente che la pensasse in modo assai differente il ragazzo, in pashmina e mantello nero, che li attendeva.
Lanciando con spavalderia quelle che dovevano essere pesanti imprecazioni contro Tony, appoggiato e osannato dai suoi, afferrò per un polso la ragazzina, con l’intento di prendersela con la forza, se fosse stato necessario.
A nulla valsero l’intervento di Tony per bloccarlo e le grida e le proteste di lei, che s’impuntò con tutte le sue forze per non seguirlo: il ragazzo, nel vederla tanto recalcitrante a venire via con lui, la colpì con un manrovescio che la fece cadere a terra, con un graffietto al lato di un occhio, che la ragazza si tamponò in fretta, in un lamento dolorante. Non era nulla di grave, appena un graffio… Ma la vista di quella piccola goccia di sangue, ebbe su Tony l’effetto di una bandierina rossa sventolata davanti al muso di un toro.

Il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di avvicinarsi nuovamente a lei che Tony gli si scagliò contro con tutta la sua furia, colpendolo con una rabbiosa scarica di pugni al volto che lo mandarono a tappeto in breve tempo.

Nessuno dei suoi o del clan della ragazzina, osò intervenire e il ragazzo riuscì a svincolarsi dalla ferrea presa di Tony, solo accecando il suo aggressore con un pugno di sabbia.
Tony rotolò di fianco, in un rantolo rabbioso mentre tentava di togliersi la sabbia dagli occhi. Ma si alzò lentamente e con le mani in alto, quando udì l’inequivocabile suono del caricatore di un kalashnikov: il ragazzo, col volto pesto e la giovane barba sporca di sangue, gli aveva puntato l’arma contro.
-Vuoi uccidermi?- gli domandò sarcastico, infischiandosene del fatto che il giovane non capisse una parola di quanto dicesse.

-Non è mica la prima volta che mi capita una situazione simile, sai? Vuoi lei?- lanciò uno sguardo alla ragazza dietro di sè, che se ne stava ancora seduta a terra, attendendo spaventata la fine della contesa fra i due.

-Devi uccidere me, se vuoi lei! Avanti, spara! Non ho nessuna arma con me, sono stanco, mi fa male dappertutto, dopo appena un paio di cazzotti, già sono senza fiato e senza forze. Sono solo un qualsiasi figlio di puttana disarmato, che è arrivato qui senza volerlo e che ha avuto settimane decisamente migliori delle ultime…- assicurò, aprendosi la camicia per mostrargli il reattore che era costretto a tenersi impiantato nel petto per non morire, silenzioso, luminoso testimone delle cronache delle sue settimane di prigionia; e che ebbe sul ragazzo un effetto inaspettato.
Alla sua vista, infatti, così come gli uomini che lo accompagnavano, corse a montare a cavallo con un urlo di sacro terrore, lasciando cadere a terra l’arma per svignarsela al galoppo il più velocemente che potesse.

L’ inaspettata fuga del ragazzo e dei suoi amici, lasciò di sasso Tony.

Ancora! Era successo ancora! Era stato ancora una volta ad un passo dalla morte. E la morte lo aveva gratuitamente ignorato!

Una volta riabbottonatosi quasi con pudore la camicia che celava il reattore, raccolse il kalashnikov abbandonato sulla sabbia dal ragazzo e se ne tornò in tenda, senza dire una parola e col proposito di lasciare immediatamente quel posto d’inferno!

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


S’incamminarono quel giorno stesso, prima del tramonto, appena il sole cominciò ad affievolire timidamente la sua morsa incandescente.
Secondo le indicazioni del vecchio, erano a tre giorni –o forse settimane, maledetto incomprensibile dialetto arabo di una sperduta tribù di beduini- di cammino dal più vicino centro abitato, una città che lui chiamava Lashkar Gah.
L’uomo non potè suggerirgli altra direzione, che proseguire seguendo il tramonto del sole. Eppure non fu affatto facile, per Tony, comprendere quelle semplici istruzioni e in cuor suo, guardando l’apparentemente infinita distesa di dune bianche e dorate che si estendeva a perdita d’occhio davanti a loro, si augurò di aver davvero capito ciò che l’uomo aveva tentato di spiegargli.

L’addio riservato alla fanciulla, apparve piuttosto freddo, agli occhi di Tony.
Solo la vecchia la salutò tradendo la propria emozione: l’abbracciò, la cullò e le sputò in faccia mille raccomandazioni e centinaia di benedizioni, o così almeno parve a Tony.
La piccola, dal canto suo, sembrava sorda a qualsiasi manifestazione d’affetto della vecchia e tutte le sue parole, sembrarono scivolarle addosso.
Non una lacrima di tristezza solcò i loro volti, non un brillio di commozione fece scintillare lo sguardo di qualcuno, nonostante fossero consapevoli che, molto probabilmente, non l’avrebbero mai più rivista. Ma un orologio d’oro era stato il valore di quella ragazzina e a quanto sembrava, aveva asciugato in fretta ogni possibilità di vederli gettare qualche lacrima per la loro figlia e sorella, mandata da sola nell’ignoto in compagnia di uno sconosciuto…
Nessuno appariva dispiaciuto o preoccupato, per quella separazione. Tantomeno lei.
E non che la cosa dispiacesse a Tony: non la stava strappando alla famiglia amata, no. Si convinse solo maggiormente di poterle dare un futuro migliore, lontano da un luogo che non l’amava e da una famiglia che dal punto di vista di Tony, in fondo, forse, non meritava il suo affetto.

Ma tenne a freno le sue considerazioni su quel modo di agire.

La sua compagna di viaggio si rivelò fin dall’inizio come aveva previsto: taciturna e silenziosa. Non aveva la più pallida idea di chi fosse né di che aspetto avesse. Forse era sorda, o muta…? Forse tutte e due le cose? No, poteva escluderlo. Forse non era particolarmente sveglia né intelligente. O forse era semplicemente, terribilmente spaventata, per quanto cercasse di non darlo a vedere. Non poteva dirlo con certezza: dalla distanza alla quale camminava da lui, stando bene attenta a non precederlo mai e restare poco più indietro, era possibile che lo temesse, certo. Ma poteva anche essere semplicemente l’usanza della sua gente, quella di seguire l’uomo.

Chissà dove diamine si trovavano!
Non aveva la più pallida idea di quanto avesse volato con quella ferraglia addosso. Non aveva idea di quante miglia si fosse allontanato ma, per essere atterrato nel cuore del deserto, dove i suoi occhi non vedevano altro che sabbia attorno a sé, da un luogo pieno di montagne, rocce e grotte, beh, di sicuro doveva essersi allontanato un bel po’!
La fisionomia del luogo era così diversa dal posto in cui aveva trascorso le ultime settimane. Ma non v’era nulla di migliore: il paesaggio era sempre arido, aspro, inospitale e malvagio. Tutto, in quella fetta di mondo, fino ad allora, gli era sembrato malvagio.

Tutto tranne quell’esile esserino che gli camminava accanto, chiuso in un ostinato silenzio.
Non aveva visto altro che i suoi occhi. Aveva appena intravisto le sue mani, le sue piccole mani infantili, ricoperti da arabeschi all’hennè un po’ sbavati e imprecisi, a differenza di quelli che aveva notato sulle mani della vecchia.
Taceva, tintinnando le monete del velo che le copriva il capo, ad ogni passo. Sembrava che la sua aura di mistero si facesse beffa di lui… ma non poteva costringerla a mostrargli il suo volto… O sì? Rimase a lungo a riflettere su quel pensiero, quando, stanco di camminare con l’ombra di un fantasma tintinnante alle calcagna, si voltò facendo per toglierle il pashmina dal capo. La piccola, lasciando cadere il suo sacco sulla sabbia, si divincolò indietreggiando in un lamento di protesta, come previsto.
Tony riprovò ad avvicinarsi ma quando lei indietreggiò ancora, intimorita, non insisté oltre.
Alzò le mani in segno di resa e pace, sospirò, si mise in spalla anche il suo sacco e riprese tranquillo il cammino, fischiettando per farsi compagnia.

Lei rimase lì dov’era, smarrita dal suo gesto: non aveva insistito, le stava portando il suo sacco ed ora… Ora fischiava, allegro e spensierato.
No, non aveva raccontato a nessuno di ciò che aveva visto il giorno prima, quando aveva visto lo straniero arrivare. Non aveva detto a nessuno che veniva dal cielo e che non era affatto un uomo, ma una stella. Come a nessuno aveva confidato di essere intimorita da lui e da quel viaggio che aveva dovuto intraprendere per seguirlo, a cui non aveva avuto modo di sottrarsi: apparteneva a lui, ormai, l’uomo stella si era privato di un oggetto molto prezioso per averla con sé.
Riprese a camminare, ma accanto a lui, stavolta.

I piedi sprofondavano nella sabbia, rendendo più faticoso il cammino e più lento il loro avanzare. Fu anche per questo che Tony fu ben felice di rallentare il passo per permetterle di raggiungerlo. Si sorprese quando la vide affrettarsi per raggiungerlo e camminargli accanto.
La sua sorpresa crebbe quando, provando con scarso successo a fischiare, lei anticipò la melodia che lui stava fischiettando. Superato il momento di vivo stupore, scoppiò a ridere.

-Come fai a conoscere i Deep Purple? Sono arrivati anche nella tua tribù?- Nessuna risposta. Del tutto prevedibile.
-Non capisci una parola di quello che dico, vero?- si accertò con un amaro e disilluso sorriso sbilenco.
-Saranno giorni molto, molto lunghi… - considerò fra sé, vedendola non porre nemmeno attenzione a ciò che diceva.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Dopo aver camminato a lungo, Tony non avrebbe saputo dire quanto, si fermò qualche minuto a riposare. Si sedette a terra, asciugandosi il sudore che gli gocciolava dalla fronte con una manica.
Il sole picchiava ancora forte.
Lei gli offrì la borraccia d’acqua, frugando poi nella propria sacca alla ricerca di chissà cosa.
Tony non si fece certo pregare: prese la borraccia e bevve avidamente qualche sorso. L’ultimo lo tenne in bocca più a lungo che poté, per darsi l’illusione di aver bevuto a sazietà.
Non avevano che due borracce, con loro. E avrebbero dovuto bastargli per i prossimi giorni di marcia nel deserto, se non fossero stati così fortunati da trovare un pozzo: una bella sfida, davvero!
Finalmente, la sua compagna di viaggio sembrò trovare ciò che cercava: un foglio spiegazzato che porse timidamente a Tony.
Incuriosito, l’uomo lo aprì: una mappa!
La sua euforia si spense quando, ben presto, si rese conto che i nomi delle località segnate sulla mappa, erano solo in arabo.
Lei però parve capire il suo disappunto quando, con un dito della sua piccola mano arabescata, indicò un punto preciso della cartina. Sulla mappa erano stati disegnati dei cerchietti da mani ignote, una trentina in tutto. Ventinove dei quali erano stati sbarrati e solo uno restava libero da altri segni.
Gli indicò quel punto e, subito dopo, la scritta in arabo più vicina.
Tony cominciò a capire: i cerchietti erano i punti in cui la tribù si era spostata nel deserto negli ultimi tempi. Il cerchio indicato da lei doveva, dunque, essere l’ultimo avamposto della sua tribù, là da dov’erano partiti. La strada per raggiungere quello che sembrava il centro abitato più vicino, non appariva molto lunga, in fondo.
Nonostante, però, Tony si girasse e rigirasse la mappa tra le mani, ancora non riusciva ad identificare la regione in cui si trovava… tantomeno lo stato! Non riusciva nemmeno a capire se si trovava ancora in Afghanistan o era finito in qualche piccolo stato confinante…
Ma più guardava la cartina, più la strada per la civiltà o quel che doveva sembrargli tale, si convinceva fosse più breve di quanto previsto.
I due ripresero il cammino, fischiettando come prima: per il momento, quello sembrava l’unico modo che avessero per comunicare.
Più avanzavano, più Tony notava che il paesaggio si stava tramutando poco alla volta in quello che aveva visto nelle settimane precedenti. Il terreno non era più solo sabbia in cui i piedi sprofondavano, no. Adesso cominciava ad essere fatto di terra arida, spaccata dal sole, e sassi.
Sassi grandi e piccoli che entravano nelle scarpe o quel che rimaneva di esse.
All’orizzonte, quando il sole al tramonto non lo accecava troppo con i suoi ultimi raggi, riusciva ad intravedere una lontana catena di monti dall’aria tristemente familiare…
Ma per miglia, il paesaggio brullo rimaneva sempre lo stesso: polvere, sabbia, sassi e terra arida, basse colline grigiastre e pietrose e poi… Ancora sabbia e sassi!
La cosa più buffa, per Tony, era che ci fosse della gente che vi abitava, in un luogo come quello, dove mancava tutto, dove tutto era morte, dove perfino la natura appariva aspra e nemica e la terra sembrava morta, apparentemente del tutto incapace di dare frutti.
Com’era diverso, quel luogo, dal posto in cui era nato e cresciuto…
Cos’era, dunque, quello che stava compiendo? Una punizione? Un cammino di redenzione? E quella ragazzina che lo accompagnava docile? Un angelo? Uno spirito guida?
Quanto sperò di arrivare alla città più vicina il prima possibile…
Ma il cammino era ancora lungo. Tanto lungo.
Il sole era quasi del tutto sparito all’orizzonte, quando Tony decise che sarebbe stato meglio fermarsi per la notte, riposare e ristorarsi: l’indomani sarebbe stata un’altra lunga giornata di marcia.
E lei, stanca quanto lui, diede segno d’aver apprezzato la sua decisione.
Ma conquistando la vetta di un’altra bassa collina pietrosa… Davanti agli occhi dei due si mostrò uno spettacolo che li fece rabbrividire: un piccolo villaggio, composto da una manciata di casupole di pietra e tetti di legno e paglia, incastonati nella roccia della collina come minerali grezzi… Quasi completamente raso al suolo, non più di qualche ora prima.
La gente che abitava lì, doveva essere fuggita: non vi era alcuna traccia di loro.
Uniche testimoni, ad attestare che quelle ex capanne, ora macerie abbandonate, erano state abitate, un pugno di caprette che si aggiravano smarrite tra i muri crollati e i tetti ancora miracolosamente in piedi di qualche casetta.
Qua e là, qualcosa bruciava ancora.
Solchi nel terreno più o meno profondi e larghi, denunciavano senza alcuna ombra di dubbio, che quel posto era stato distrutto da armi piuttosto potenti.
Tony sapeva benissimo cos’era accaduto: si trovavano davanti al risultato di un test… Quel villaggio era stato distrutto solo per testare delle armi.
Gli si strinse il cuore quando, tra i sassi, scorse un pezzo dell’involucro di una granata.
Sulla superficie del fusto, era ancora perfettamente visibile un marchio per lui terribilmente familiare. E un nome: “Stark Industries”.
Lo coprì di sabbia con un piede, vergognandosi come un ladro: anche quello era colpa sua!
-Nejma…!- la ragazzina lo seguiva smarrita e spaventata, allungando il passo per raggiungerlo tra le macerie. Non capiva cosa fosse accaduto, né perché… e a Tony parve una benedizione.
Alimentò con delle sterpaglie un cumulo di macerie che ancora bruciavano e posò contro il muro ancora in piedi il proprio sacco: era lì che si sarebbero accampati per quella notte.
La ragazzina fece lo stesso, sedendosi a terra accanto al fuoco, smarrita, mentre Tony perlustrava il posto, kalashnikov imbracciato, per assicurarsi che non vi fossero ordigni inesplosi in giro o gente pericolosa nascosta tra le rovine.
Rassicurato, raccolse l’involucro della granata che aveva tentato di nascondere, gettandolo nel fuoco sotto lo sguardo innocente e interrogativo di lei. Fissò la scritta del fusto che si accartocciava e anneriva, fino a sparire per sempre tra le fiamme.

Solo allora parve soddisfatto.

Note:
solo un piccolo chiarimento: "nejma" significa "stella"!XD

Enjoy^^

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Prese posto accanto a lei che, muta come sempre, divise a metà un pezzo di pane estratto dalla propria sacca, offrendolo all’uomo.
Tony accettò con un sorriso, divorandolo affamato, in silenzio, in ascolto di quanto lo circondava: solo lo scoppiettio del fuoco, i campanacci delle caprette che si aggiravano sole tra le macerie e il masticare lento e discreto di lei.
-Puoi toglierlo, se vuoi…- Le indicò il velo –Toglilo, sei libera di farlo!- Tentò di farle capire, mimando il gesto su di sé.
Lei smise di mangiare, fissandolo.
-Siamo soli, non sei più con la tua tribù, può toglierlo, se vuoi…- Provò a ripeterle lentamente, stavolta mimando il gesto su di lei, a poca distanza. La ragazzina non si mosse: sembrava titubante, combattuta…
Nel non vederla indietreggiare, muovendo lentamente le mani, Tony afferrò piano un lembo del suo pashmina. Lei sembrò trattenere il fiato.
-Posso…?- le sussurrò il permesso, attendendo una sua reazione.
Restò completamente immobile, a fissarlo coi suoi occhi penetranti.
-Lo prenderò per un sì!- sorrise l’uomo, cominciando a sfilarglielo lentamente. Lei non si oppose, assecondando i suoi movimenti con estrema cautela, quasi temesse che, con un movimento appena più brusco, avesse potuto morderla come un cane. Il sentimento era reciproco: Tony temeva di spaventarla e non era affatto ciò che voleva, il suo unico desiderio era che imparasse a fidarsi di lui, capisse che non v’era alcun pericolo e che non le avrebbe mai fatto del male, che non aveva bisogno di nascondersi, perché a proteggerla ci sarebbe stato lui.
Fu lei a togliersi con un unico gesto definitivo, il velo che le copriva il volto.
Come appariva diverso, ora, il suo sguardo: era sfuggente, timido e perso come quello di un cucciolo, ora che aveva perso la protezione offerta dal velo. Del tutto diverso dal modo quasi invadente che aveva avuto fino ad allora di guardarlo.
Ed eccola, come apparve sotto lo sguardo spiazzato di Tony: un angioletto dagli occhi grandi e smarriti, dalla pelle d’ebano ed una cascata di riccioli neri sul capo. Non era altro che una bambina o poco più, sul suo viso non si leggevano più di tredici anni, forse ne aveva ancora meno…
Le sorrise, tornando a badare al suo pezzo di pane come nulla fosse: non voleva che si sentisse spiacevolmente troppo osservata.
-Tony!- esclamò ad un tratto, rivolgendolesi. Non sarebbe sopravvissuto a lungo, munito di tutte le proprie facoltà mentali, se non avesse scambiato qualche parola con qualcuno ancora per molto. Ma soprattutto, non si sarebbe dato pace finché non fosse riuscito a farle spiccicare qualche sillaba, finanche in un’altra lingua.
Lei alzò i suoi immensi occhi smarriti su di lui.
-Tony!- ripetè l’uomo, indicandosi con l’indice.
Lei, incerta, dopo lunghi istanti di assoluto silenzio, mormorò in un soffio appena udibile –Sahar…-
Tony scosse il capo, attendendo fiducioso ulteriori spiegazioni, senza aver compreso.
-Kannat Tony… Enna Sahar… -ripetè lentamente, scandendo quell’ultima parola mentre imitava il suo gesto, prima nei suoi, poi nei propri confronti. Dunque quello era il suo nome? Possibile.
-Nejma Tony!- gli sorrise la ragazzina, indicandolo. L’uomo non potè fare a meno di rispondere al sorriso, annuendo, senza capire esattamente cosa intendesse. Almeno, però, sembravano gettate le basi per una comunicazione futura fra i due!
-Manca ancora molto, secondo te?- domandò distrattamente, fissando un punto indefinito innanzi a sé. Naturalmente non ottenne alcuna risposta, né tantomeno se l’aspettò.
-Sahar!- ripetè fra sé e sé lui, ad alta voce, destando l’attenzione di lei.
-Che nome è Sahar?- attizzò il fuoco con un bastone, tirando un morso al pezzo di pane. Poi riprese –Un nome degno di un posto desertico come questo, senza dubbio…- rise e, senza ragione alcuna, a quel riso si unì anche lei, quasi fosse una timida ricerca di comunicazione con lui.
-Almeno mi ascolti…- le sorrise, notando con quanta pazienza lei stesse lì ad ascoltarlo, anche se smarrita dal suo idioma sconosciuto.
-Vous parlez françes…?- provò ancora, senza risultati: era evidente che lei non parlasse altro che la propria lingua.
-Meglio così!- tirò un sospiro di sollievo Tony –Conosco il francese quanto l’arabo, so a stento chiedere se lo si parla!- continuò, come se lei potesse capirlo.
Dal canto suo, la ragazzina continuava ad ascoltarlo con attenzione, senza batter ciglio.
-Vengo da un paese bellissimo, pieno di prati, strade, acqua corrente, aria condizionata, tv, case e cibo vero… Sono americano!- provò a spiegarle –America!- scandì bene, sperando in cuor suo che, almeno il suono di quella parola, le evocasse qualcosa. E per una volta, con sommo stupore di Tony, lei parve capire, ripetendola nel suo strano accento. Tese il braccio, indicando dritto davanti a sé, nel cuore del deserto.
Ma quella volta, Tony dovette ammettere di essere lui a non aver capito.
Con un sospiro ed un sorriso, lei ripeté il gesto, il dito indice che indicava dritto davanti a loro, nella direzione in cui erano diretti.
-America!- ripetè ancora lei, continuando ad indicare. Solo allora, Tony, cominciò a capire.
-Sì!- annuì, sorridendo raggiante –Laggiù! Lontana, lontana…- indicò anche lui, affondando un braccio davanti a sé, perché capisse che intendeva –Tanto lontana…- sussurrò con un filo di malinconia.
-Sai, è lì che andiamo!- riprese.
Lei ammutolì, abbassando il braccio e fissandolo con aria interrogativa.
-Ti porto con me, in America…- continuò lui, cercando poi di spiegarglielo a gesti.
-Io e te.- indicò prima sé stesso, poi lei –In America!- tese di nuovo il braccio verso l’orizzonte.
Lei smise di mangiare, con tutta l’aria d’aver capito… E nei suoi occhi lesse terrore ed eccitazione, per ciò che si prospettava nel suo futuro.
-America…- ripetè allegra, annuendo come soddisfatta, tornando ad addentare il proprio pezzo di pane.
-Sì, America!- confermò sorridente Tony, felice di vederla sorridente, dopo aver visto tanto a lungo i suoi occhi tristi e arrossati dal pianto.
Il solo pensare che quella piccolina stava per essere venduta a quel ragazzo e che, a quell’ora, chissà in quale triste momento avrebbe dovuto trovarsi con lui, gli strinse il cuore in una morsa di cupa angoscia.
Era vero, aveva sottratto lei a quel infelice destino… Ma quante erano, erano state e sarebbero state in futuro dalla parte di Sahar, senza nessun Tony Stark pronto a portarle via?
Si rallegrò del fatto che fosse lì con lui, a mangiare sorridente e allegra, con l’America già negli occhi.
Poi si guardò attorno…
Vide le mura crollate di quel piccolo villaggio abbandonato, distrutto dalle sue stesse armi… Dalle sue stesse mani…
Pensò al cammino che stavano affrontando e a quel deserto infido davanti a loro, in cui chissà cosa sarebbe potuto capitargli, così grande, sconfinato e ingannevole com’era… E per un momento, gli balenò un serio dubbio: aveva davvero fatto la cosa giusta? Era davvero l’America, il meglio? Era quella la vita migliore che aveva da offrirle…?
La vide accoccolarsi nel proprio mantello, la testa poggiata sulla sua sacca e negli occhi tutta la stanchezza di quella lunga giornata appena trascorsa.
-Leilasaida, nejma…- sussurrò all’uomo.
–Leilasaida, piccola! Leilasaida, America…- sorrise Tony, bisbigliando tra sé, prima d’addormentarsi.

 
 
 
 
 
 

Note: Stasera danno in tv Ironman e non potevo astenermi dal pubblicare un capitolino!XD
Piccolo appunto “leilasaida”, l’avrete intuito, significa “buonanotte”!
Enjoy^^

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Fu il fracasso ben poco familiare di belati e campanacci, a svegliarlo, il mattino dopo.
Quasi balzò, notando il giaciglio vuoto della ragazzina, accanto a sé.
-Maledizione!- Tony si alzò, guardandosi allarmato attorno, alla sua ricerca: se ne sentiva responsabile, come aveva potuto perderla d’occhio?
Le loro cose erano tutte rimaste lì, ma il riverbero del sole dell’alba contro le pietre bianche, gli rendeva difficile tenere gli occhi aperti a lungo, oltretutto ancora intorpiditi dal sonno.
Riparandosi con le mani, cominciò a chiamarla a gran voce.
-Piccola!!! Ehi, piccola!!!-
Nessuna risposta, solo il campanaccio delle capre e il loro belato. Finché ad un tratto…
-Nejma!- si levò alta la voce allegra della ragazzina.
Stava correndo verso di lui, stringendo gelosamente qualcosa tra le mani.
Quel qualcosa si rivelò essere un pentolino di latta, che la piccola aveva riempito con del latte di capra che aveva munto ella stessa. Dai baffetti bianchi che le contornavano le labbra, Tony non ci mise molto a capire che doveva aver già fatto colazione.
Con un sorriso, la piccola gli porse la marmitta, facendogli cenno di bere.
-Grazie…- Non ebbe nemmeno il tempo di finire di dire Tony, che Sahar era già sgattaiolata via, dietro gli scheletri di quelle baracche distrutte.
Cosa c’era, lì dietro, ad attrarre così tanto l’attenzione della ragazzina?
Vuotò in fretta il pentolino di latte, riponendolo nella propria sacca.
Quando la raggiunse, dopo aver raccolto le loro cose, pronto a rimettersi in cammino, la trovò inginocchiata ai piedi di un curioso palo, conficcato nel terreno: un vecchio arbusto secco, fissato alla base da un cumulo di grosse pietre, ai cui rami sventolavano, vivi e lugubri, stracci e pezzi di stoffa di ogni colore, foggia e dimensione.
Sahar stessa aveva strappato dal suo pashmina un pezzo di stoffa e si era messa a pregare per qualche minuto a terra, dopo averlo legato ad uno dei rami.
Tony era rimasto tutto il tempo lì impalato a fissare la scena… E i pezzi di stoffa che sventolavano, come incantato.
Sapeva cos’era, ne aveva sentito parlare: era una tomba commemorativa.
Tutti i carovanieri, i pastori o semplicemente i viandanti che passavano di lì, erano tenuti a lasciare quella piccola offerta in segno di pietà, e pregare per i martiri e i morti del deserto… E Tony poteva dire di averne conosciuto uno.
Dopo che Sahar si fu alzata, pronta a rimettersi la sacca in spalla e riprendere il cammino, senza dire una parola, Tony strappò un pezzo della propria camicia, assicurandolo poi ad uno dei rami.
S’inginocchiò a terra, osservando il suo tributo, il suo atto di pietà e devozione che sembrava sventolare più forte e vibrante di tutti.
Mentre lo fissava, ebbe la sensazione di avere la testa leggera, libera da qualsiasi peso.
Forse era il momento giusto per spendere qualche parola in memoria del suo amico Jensin, a cui doveva la vita.
Se qualche parola gli sarebbe parso troppo, beh… Almeno un pensiero avrebbe dovuto formularlo.
Ma non vi riuscì.
… Si ritrovò semplicemente lì, a piangere come un bambino. E le sue lacrime valsero più di molti discorsi che avrebbe potuto mai formulare.
In quelle lacrime, Tony affogò tutto: la paura, il dolore, il rancore. Diede voce a ciò che non era mai riuscito ad esprimere, semplicemente standosene lì, a piangere rivolto al cielo.
La piccola Sahar osservava la scena a poca distanza, in silenzio, triste per lui. L’unica cosa che riusciva a capire e pensava d’aver intuito, era che Tony avesse nostalgia del cielo, a cui volgeva i suoi occhi pieni di lacrime.
Aveva nostalgia di casa!
Voleva tornare senza alcun dubbio a casa, tra le stelle: cos’altro poteva mai essere?
Si rammaricò di non poter fare nulla per lui…
Quando l’uomo si fu calmato, svuotato d’ogni emozione e con gli occhi gonfi di pianto, trovò Sahar accanto a sé: aveva caricato le loro cose su un asino, rimasto tra le macerie, e adesso era lì, con gli occhi pieni di stupore e dispiacere per averlo visto piangere tanto amaramente.
Non aveva mai visto un uomo piangere. Ma lui, in fondo, non era un uomo qualsiasi: era una stella!
Tony non sprecò una parola su quanto accaduto: le fece cenno di seguirlo, afferrò la briglia dell’asino e s’incamminò, cupo e silenzioso.
Sahar lo raggiunse, prendendolo per mano, fissandolo con occhioni che lo pregavano di smettere d’essere triste e un sorriso che avrebbe contagiato chiunque.
Quel gesto lo stupì moltissimo e gli balenarono in mente le ultime parole di Jensin: “non sprecare la tua vita!”
No, non l’avrebbe sprecata, questo era certo!
Sorrise, stringendo affettuosamente a sé la testa della ragazzina mentre camminavano.
Andava tutto bene e tutto sarebbe andato sempre per il meglio, ne erano certi entrambi.
Non si voltarono indietro a guardare le macerie del villaggio devastato, né lo sventolio delle stoffe tra i rami dell’albero secco, che sembravano salutarli e benedire il loro cammino.

Note: Volevo ringraziare le mie "fan" per la pazienza che stanno dimostrando d'avere!XD

Grazie mille a tutte, a presto (spero!).

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Diario della fuga di Anthony Edward Stark.
Giorno di marcia nel deserto: terzo.
Data: sconosciuta.
Località: dannatamente sconosciuta.
Orario: fottutamente sconosciuto.
Temperatura esterna: non ne ho idea, ma cazzo se si gela!
Temperatura interna: …credo di essere sui 38°: mi sento uno straccio e mi scoppia la testa. Ci mancava solo l’insolazione, porca puttana!
E come se non bastasse, il reattore comincia già a stare sulle palle: saranno state già otto o nove volte che sono riuscito a prendere sonno e che quell’aggeggio m’ha svegliato di soprassalto.
Scosse elettriche? Momentanei malfunzionamenti? Afflussi d’energia improvvisi? Cali di tensione? O è il mio cuore a ribellarsi…?
Qualunque cosa sia, la prima cosa da fare quando torno a casa, sarà cambiarmi questo fottuto aggeggio! No… no, non sarà la prima cosa che farò, ho già troppe prime cose da fare… In questi giorni, le << prima cosa da fare quando torno a casa >>, cambiano più o meno ogni cinque minuti.
Una doccia; una rasatura; un cheeseburger; una scopata; un giro in auto; una dormita di quindici ore di fila; rimpinzarmi di biscotti al caramello e cioccolato e magari scolarmi anche una bottiglia di whisky. Non necessariamente in quest’ordine.
Ma forse, nell’elenco, dovrei metterci prima qualcosa di più importante… Molto più importante…
Ed eccomi qui, cari lettori, a scrivere il diario della mia fuga in piena notte: di dormire non se ne parla, tanto vale approfittare del tempo e buttare giù qualcosa, sul retro della cartina della piccola, in previsione del mio ritorno a casa.
Magari questo diario lo pubblico e Tony Stark passerà da << genio, miliardario, playboy, filantropo >> a << scrittore, genio, miliardario, playboy, filantropo >>.
Cazzo, se suona bene!
Forse sarà meglio darmi una regolata con le parolacce e le espressioni colorite: il bestseller che senza alcun dubbio ricaverò da questo diario, potrebbe finire nelle mani di un bambino…
Primo incontro con la civiltà dopo tre giorni di assoluta solitudine: una carovana di pastori.
Ho barattato un pugno di datteri con un po’ di carne secca di origine del tutto sconosciuta. Tiro ad indovinare? Scommetto che doveva essere di capra! Ho vinto? Lo sapevo!
Carne che è stato un piacere vedere mangiare alla piccola, stasera, quando ci siamo accampati qui, in mezzo al… Nulla!
Su di lei potrei scrivere un romanzo!
Sembra che non le interessi affatto che io capisca o meno ciò che dice: l’unica cosa che conta è parlarmi. Allora io le parlo nella mia lingua, lei mi risponde nella sua… E la cosa la fa sganasciare dalle risate!
Per fortuna, non durerà per molto: per tutto il tragitto, ieri, ho tentato di cominciare ad insegnarle i rudimenti dell’inglese: se verrà con me in Florida, tanto vale cominciare dalle basi e prendere, il più in fretta possibile, dimestichezza con la nuova lingua.
Ha imparato l’alfabeto ripetendolo con me. Credo che abbia capito anche la logica dei numeri. E a sera, accanto al fuoco, le ho mostrato come scrivere le lettere con un bastoncino sulla sabbia.
Cosa che non mi sarei mai immaginato: è capacissima di leggere e scrivere! Nella sua lingua, naturalmente…
Impara in fretta, per mia immensa fortuna. Le piace cantare, ridere… E le stelle. Resta a fissarle con aria indecifrabile da quando compaiono a quando s’addormenta. Ogni tanto distoglie lo sguardo dal cielo solo per guardare me, per attimi infiniti, come se volesse dirmi qualcosa ma non avesse le parole per esprimerlo. Mi sorride. E torna a guardare la volta celeste…
Che strano…
Oggi, mentre camminavamo, si è fermata all’improvviso: mi fissava da ore e doveva aver notato il mio passo confuso dal sole. Il tenermi stretto all’asino per non cadere, deve aver fatto il resto.
Ha fermato la bestia e si è messa cercare come una furia nella sua sacca, sul dorso del ciuco. Ne ha tirato fuori una boccetta e un pennellino sporco. Mi ha fatto sedere a terra, all’ombra del nostro ragliante amico peloso, e con fare meticoloso, ha preso a truccarmi gli occhi con quella robaccia.
A nulla sono valsi i miei dinieghi: ero troppo debole e confuso, non avrei potuto in ogni caso oppormi con abbastanza energia a quel trattamento.
Maledizione, quanto cazzo può dar fastidio quella robaccia nera sugli occhi!
Fortunatamente ci si abitua in fretta, e non posso dire che la mossa della piccola non sia stata vincente: finalmente riuscivo a tenere gli occhi più aperti, il nero del kajal mi schermava dal riverbero del sole sulla sabbia e sulle pietre. In fin dei conti, forse, questi beduini sanno quello che fanno.
Non contenta, mi ha fatto bere, mi ha fasciato la fronte con uno straccio bagnato ed è tornata a cercare qualcos’altro nella sua sacca.
È tornata ad inginocchiarsi davanti a me, con un grosso pezzo di tela bianca che, con le sue piccole mani meticolose e delicate, ha cominciato ad avvolgere ed annodare a mo’ di pashmina attorno alla mia testa.
Avrei preferito un berretto dei Bulls, ma… Meglio di niente!
Non so di preciso quanto sia durata quella sosta, forse cinque o dieci minuti.
Dieci minuti in cui mi sono sentito un perfetto imbecille impedito: la piccola mi ha accudito senza batter ciglio, senza che nessuno glielo chiedesse, mentre io me ne stavo lì, quasi immobile, stordito e incapace di reagire.
Non ricordavo più cosa si provasse ad avere qualcuno che si prenda realmente cura di te: l’ultima volta che sono stato accudito in modo tanto amorevole, è stato da ragazzino, quando presi la scarlattina.
Ricordo che mia madre mi rimase accanto giorno e notte: mi preparava il latte caldo, mi comprava i fumetti, mi misurava la temperatura, m’imboccava con lo sciroppo e le minestrine. In effetti, dopo di lei, solo Pepper si è presa cura di me… Ma quanto? A ben pensarci, mai e poi mai, Pepper, mi avrebbe imboccato. In fondo è solo la mia assistente, non posso pretendere cose al di fuori della sua competenza! No, lei piuttosto mi avrebbe caricato in macchina e portato al più vicino ospedale. Una volta lì, qualche infermiere mi avrebbe attaccato alla flebo, rimpinzato di antibiotici e dopo due settimane, sarei stato rispedito a casa con tanti saluti. Altro che minestrine e fumetti!
Ma… Con la piccola è stato diverso: mi sono sentito come quando c’era mia madre, ad accudirmi. E l’ho provato –io, uomo vissuto- con una ragazzina conosciuta tre giorni fa!
Adesso sapete perché mi sono sentito un imbecille!
Ehi voi, psicologi del cazzo, so già cosa state facendo: tenete per voi tutte le brillanti deduzioni e le teorie edipiche e peterpanesche che state per sputare sul mio conto, d’accordo? No, non ho un infantile bisogno di essere accudito, ok? Piace a tutti sentirsi curati, di tanto in tanto… E no, non cerco mia madre da nessuna parte, tantomeno in quella ragazzina!
Che ora dorme, qui accanto a me.
Quanto invidio il suo sonno sereno: sta viaggiando nel deserto da sola, con un estraneo adulto che non parla la sua lingua… Eppure è serena, come se sapesse esattamente cosa stiamo facendo, dove stiamo andando e che andrà tutto bene.
Se alla sua età mi avessero lasciato nel deserto, solo, con un estraneo dalla cultura completamente differente dalla mia, sarei stato così angosciato e terrorizzato che non avrei chiuso occhio.
Sarei fuggito, sarei tornato dalla mia famiglia… Lei invece si fida di me!
Piccola Sahar, mio angioletto coraggioso!
Ecco, sarà meglio anche eliminare quest’ultima parte, odio le cose melense: che non si dica che Tony Stark sia un sentimentale!
Domani sarà un altro lungo giorno di marcia. Siamo solo al terzo e già sento di non farcela più. Comincio a temere davvero che il vecchio non intendesse tre giorni di cammino… Ma tre settimane! Maledizione!
…Yensin, se da lassù puoi ascoltarmi, non dimenticarti di me, amico mio: se puoi, guardarci le spalle!



Cos’avevo detto, riguardo il contenermi con le parolacce…?

Mmmh… Aggiungiamo alla lista anche << ripulire il diario della fuga >>!






Note: chiedo ancora scusa per la lunga attesa, ma non dipende da me!^^'''

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Mai vissuto una cosa simile: un attimo prima sto uno schifo, ok, ma non abbastanza da impedirmi di diventare quasi cieco per scrivere un paio di cazzate alla luce di un fuocherello. E un attimo dopo… non sono mai stato così male!
Ho cominciato a tremare e a battere i denti da far paura.
Dovevo essere così agitato, che ho svegliato la piccola.
La febbre doveva aver superato limiti ragionevoli, la mia bocca articolava fonemi inesistenti, non c’era un muscolo o un osso che non mi dolesse, non riuscivo a muovermi, ma ero perfettamente cosciente. Ed era la cosa peggiore!
Tuttavia non ho visto nemmeno per un attimo panico o preoccupazione, sul volto della piccola. Come se lei sapesse esattamente cosa e come fare. Ed era vero!
Mi ha dato da bere e asciugato il sudore con pazienza, come se lo avesse fatto mille e mille volte, e nel farlo mi ha aperto la camicia… Non ho potuto evitarlo…
Ecco… Solo allora ho visto i suoi grandi occhi riempirsi d’inquieta meraviglia, mentre nelle sue iridi scure si rifletteva la luce azzurrastra del reattore.
Ha alzato gli occhi al cielo, fissando le stelle per un po’, a bocca aperta.
-Nejma!- ha sussurrato fra sé. Ha sorriso. Un sorrisetto furbo, da bambina, e senza batter ciglio ha riabbottonato subito la camicia. L’ho interpretato come un gesto rispettoso.
Dopo quest’episodio non ricordo molto altro. Solo il buio. Fino alla mattina.
Non ho idea di come avesse fatto, ma era come se il sorgere del sole avesse preso con sé tutto il mio malessere… O quasi!
Certo non ero in forma, ma avevo abbastanza forze per alzarmi. Inappetente, questo sì, ma deciso a riprendere il cammino ed uscire da quel dannato deserto!
Peccato che la piccola fosse, in parte, di diverso avviso.
Al mio rifiuto della colazione, mi ha imboccato di forza qualche dattero, complice la mia ben poca voglia e forza di non cedere. Solo allora ha consentito a seguirmi, docile e tranquilla come sempre. Forse aveva ragione: non sarei andato lontano, digiuno com’ero…
Quanta saggezza in un essere tanto giovane!
Ed io che già sogno per lei un futuro da medico, in Florida! Già: neanche fossi suo padre…
Ma nonostante tutto, nemmeno tutti i datteri del mondo avrebbero potuto sostenermi a lungo sotto quel sole. E quel giorno picchiava dannatamente duro!
Quando l’asino si accasciò stremato, ai piedi dell’ennesima duna di sabbia e pietre, le mie gambe cedettero con lui e per un attimo mi ritrovai, per l’ennesima volta, a pensare che sarebbe stata l’ultima, che sarei rimasto lì, che non avrei trovato la forza per rialzarmi e continuare a camminare.
La piccola mi offrì dell’acqua, che rifiutai: volevo dormire, farmi un sonno lungo un paio di giorni, fanculo mangiare e bere, fanculo il sole, fanculo tornare a casa! Volevo solo che il dolore sparisse dal mio corpo.
Accovacciata accanto a me, la piccola sembrava aspettasse che parlassi, che le spiegassi…
Cosa? Che non avevo più la forza nemmeno di temere la morte?
Quando vide che non avevo un bel nulla da dire, si alzò in un lungo sospiro, aiutando anche me a fare lo stesso, in quella che si verificò essere un’impresa più difficile del previsto.
Non è un eufemismo pensare che mi alzai solo per farla contenta!
Tentò di far smuovere anche l’asino, invano.
Un paio di passi, e ruzzolai nuovamente a terra come un manichino.
Fu allora che la piccola cominciò a strattonarmi, ripetendo ad alta voce sempre le stesse parole:
-Nejma!!! Al tarìk el mukarevah! Al tarìk el mukarevah!!!-
Parole che non capivo...
Indicava al di là della duna, scuotendomi con energia. Voleva che mi alzassi e continuassi a camminare, era palese… Ma non ci riuscivo.
Tentò di sollevarmi, trascinarmi, spingermi… Povera piccola!
Ora ne rido, ma… Beh, non sono stati affatto bei momenti, per nessuno dei due.
Fino a pochi giorni prima ero fermamente e presuntuosamente convinto che, se fossi morto, lei non ce l’avrebbe fatta, da sola, senza di me. In quei frangenti, invece, mi accorsi che l’unica cosa a tenermi ancora in vita, era lei. E che con tutta la forza d’animo che aveva, se la sarebbe cavata comunque, con o senza di me, perché è così che va il mondo: devi lottare per sopravvivere. Lei sapeva esattamente cosa significasse. Io ero stanco di farlo e lei stava lottando per tutti e due… E lo trovai profondamente ingiusto!
Raccolsi le ultime forze rimaste per alzarmi: giurai che se fossi ancora caduto, mi sarei rialzato, tranne nel caso in cui fosse giunta davvero la mia ora; che finchè la piccola avesse avuto forza, da qualche parte l’avrei tirata fuori anch’io; che se lei lottava per me, era giusto che io lottassi per lei.
Chi è che ci stava conducendo fuori dal deserto? Sicuri che fossi realmente io? O era lei a tirarci fuori di lì…?
E mi alzai, dolente e stanco, con la mente offuscata dal caldo e dalla febbre, ma deciso ad uscire da quell’inferno in terra, mentre la mia piccola guida nel deserto mi sosteneva, trascinandomi con sé ripetendo ancora e ancora - Al tarìk el mukarevah!-
La seguii. Svogliato e lento, ma la seguii.
Raggiungemmo la vetta di quella duna. Rischiando di cadere diverse volte e scivolare sulle pietre aguzze, ma la raggiungemmo.
E quello che vidi innanzi a me, assieme al sorriso soddisfatto della piccola al mio fianco, ebbero il potere di far svanire di colpo ogni disagio, ogni dolore, ogni sentore di stanchezza: la strada!
Un familiare serpente d’asfalto e un segnale stradale la cui freccia indicava di proseguire alla nostra destra.
Animalisti??? Ho preso a calci l’asino, per convincerlo a venire con noi. Sì, adesso denunciatemi anche per maltrattamento sugli animali, se volete: prendere a calci nel didietro quella bestia, è stata la cosa più sensata da fare, e non me ne pento!
Quando ho visto le prime cose, devo aver riso come il matto. C’è civiltà, in quel posto!
Ma ancora non potevo cantare vittoria: mi serviva un telefono, subito!
A gesti, riuscii a far capire ad un ragazzo di cosa avessi bisogno e lui m’indicò una strada interna della città, da cui proveniva un baccano infernale, sovrastato dal salmodiare degli adhan, dagli altoparlanti del minareto di una moschea poco distante: il mercato.
Sempre meglio del deserto, del silenzio assordante e della solitudine, no?
Mi lanciai nella folla, tirandomi dietro quello stramaledettissimo asino. La piccola, appiccicata a me, nonostante la diffidenza, sembrava insensibile agli odori, ai colori, al caos e al frenetico via vai, al contrario di me.
Ma di telefoni, in quel postaccio, nemmeno l’ombra!
E con la piccola affamata, io stanco morto e senza il becco di un quattrino, quel posto cominciava ad assumere un’aria ancora più ostile del deserto…
-Telefono! Te-le-fo-no! Driiiiiiiiiiiiin!!!- feci il gesto della cornetta all’ennesimo ambulante, col pollice sull’orecchio e il mignolo sulla bocca.
Quello, dopo aver cercato di rifilarmi, in questo preciso ordine, un paio di paioli di rame, la batteria di un’auto fuori produzione da venticinque anni, un tappeto persiano, tre paia di lenzuola di lino color pesca, una radio rotta, dei fiammiferi e un narghilè, tentò allora di convincermi, tirando fuori dal ciarpame della sua bancarella, un pesante telefono a disco, di come non ne ho visti mai nemmeno da bambino, se non in foto.
-No! No comprare telefono! Telefonare!!!- lo respinsi –Voglio solo fare una telefonata, cazzo, è così difficile???- Mi alterai.
Dapprima l’uomo apparve offeso: mise via il telefono ed evitò il mio sguardo come se non esistessi. Lo scossi, stringendo a me la piccola.
-Ehi!!! Te-le-fo-no!!! Non fare lo stronzo con me, figlio di puttana, ho attraversato il deserto per arrivare qui: devo fare una telefonata, adesso!- ripetei il gesto con la mano attaccata alla guancia, cercando di tenere un tono più calmo.
M’indicò svogliatamente più avanti, quasi cacciandomi. Solo allora mi accorsi, voltandomi, del negozio, sulla cui insegna capeggiava il simbolo di un telefono pubblico.
Cazzo! Che ci voleva ad indicarmelo prima?
Lasciai la piccola, con l’asino carico delle nostre cose, fuori la porta del negozio. Il proprietario, annoiato, mi squadrò da dietro il bancone da capo a piedi.  Gli chiesi del telefono, col solito gesto della mano sulla guancia e lui mi fece cenno di seguirlo. Uscimmo dal negozio e mi accompagnò sul retro, entrando dal portone del palazzo accanto. Il telefono era lì, inchiodato al muro di tufo, a sorridermi come faceva la piccola che mi aveva seguito con l’asino.
Mi avvicinai con sollievo all’apparecchio, rendendomi conto di non avere nemmeno un penny in tasca… e di non poter sperare in un prestito dal proprietario di quel telefono, che se ne stava lì, poggiato al muro, a controllare ciò che facevo. Non gli ci volle molto a capire che non avevo un soldo. E il modo viscido in cui sorrideva alla piccola, non mi piacque per niente.
Così come gli feci capire di essere disposto ad un baratto, in cambio di qualche gettone per telefonare, allo stesso modo l’uomo mi fece intuire di essere molto interessato all’idea di uno scambio. E dal modo in cui fissava la piccola, non mi ci volle molto a capire a che genere di baratto fosse interessato.
Ma, cazzo: aveva fatto i conti senza Tony Stark!
Liberai la povera bestia sfiancata che ci seguiva da diverse miglia, del carico dei nostri sacchi, offrendola per la briglia all’uomo.
Un asino in cambio di qualche moneta per una telefonata: un vero affare per chiunque. Ma non per quel lurido porco figlio di puttana!
Rifiutò. Ma non avrebbe avuto altro in cambio: fu questo che comprese quando gli porsi nuovamente la briglia dell’asino, tenendo la piccola stretta saldamente a me.
Giuro che se in quei frangenti, avessi potuto farla sparire, renderla invisibile, mettermela in tasca o nascondermela sotto la maglia come un cucciolo, l’avrei fatto: poche cose erano riuscite ad infastidirmi davvero tanto, nella vita, come gli occhi di quel porco addosso alla mia bambina.
Si prese l’asino con delusione, mi diede in cambio una manciata di merdosissime monete e mi lasciò fare quella cazzo di telefonata.
La voce di Rhodey, all’altro capo del telefono, a rispondere con quel suo tono militaresco da cazzone, fu il suono più bello che avessi mai sentito nelle ultime settimane!







Note: 
Ciaooo!^^ un paio di chiarimenti: " al tarìk el mukarevah " significa " la strada è vicina " e gli " adhan ", per chi non lo sapesse, sono le chiamate alla preghiera dei musulmani!
enjoy^^

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Ciò che avvenne dopo, nella sua testa fu registrato come un guazzabuglio confuso di abbracci, strette fraterne, di “ti voglio bene amico!”, “sapevo che t’avrei ritrovato!” e “basta fare gli eroi del deserto, ora si torna a casa!”, rumore dei potenti motori e delle pale degli elicotteri, le braccia della piccola strette al suo collo, odore di tappezzeria nuova, disinfettante e dopobarba, acqua pulita e vestiti freschi.

Si risvegliò a bordo del velivolo militare di Rhodey. Pulito, pettinato, vestito di tutto rispetto, medicato e con la barba fatta… Ma era affamato al punto di sentirsi in grado di spolpare un bue da solo.

La piccola era lì con lui, seduta a terra: rideva, giocando alla guerra dei pollici con Rodes… Non l’aveva mai visto perdere così il proprio impettito contegno militare in servizio e lasciarsi andare con tanta leggerezza ad un gioco infantile in cui, da bambini, lo aveva battuto migliaia di volte.

-Buongiorno, bell’addormentato! Abbiamo cominciato a sorvolare l’atlantico…- gli sorrise l’amico, vedendolo levarsi in piedi dalla sua cuccetta.
Credeva d’aver dormito per giorni, invece erano trascorse appena poche ore dal decollo.

-E lei non vuole lavarsi né mettersi qualcosa di pulito. Tantomeno mangiare!- lo informò il militare, aspettandosi di sentir consigli dalle labbra dell’amico. Ma Tony scrollò le spalle.
-A casa farà un bagno e metterà quel che le pare, lasciala stare. Non ha mai visto un aereo in vita sua, credo sia normale che non le vada di mangiare, no…? Fidati, avevo un gatto, da ragazzino: quando lo portai a casa si rifiutò di mangiare per tre giorni…-
-Tony…?- parve rimproverarlo il militare. L’uomo sospirò.

-Cos’è che non ha voluto mangiare…?- s’informò interessato, attendendo fiducioso che qualcosa da mangiare arrivasse anche a lui.

Gli venne servito un pranzo come non ne ricordava, dall’antipasto al dolce.

-Cibo vero! Dio benedica l’America!- mormorò a bocca piena, in un gemito di goduria, fra le risa di Rhodey che uscì per lasciarlo mangiare in pace.

Sahar era rimasta nell’angolo opposto, a fissarlo. Che avesse fame, non lo si poteva dubitare. Ma, timorosa, se ne stava lì a fissare le strane e colorate pietanze nel piatto di Tony, diffidente.

L’uomo smise di mangiare, porgendole la mano perché si avvicinasse senza timore.

-Non sei un gatto, non puoi digiunare per tre giorni…- obietta sorridente.

Lei sembrava fissarlo con aria trasognata e attenta, come se quelle vesti e la barba curata lo avessero reso un’altra persona, come se non fosse sicura di avere davanti lo stesso uomo che aveva conosciuto.

Tony si lasciò “analizzare” paziente, fin quando non fu soddisfatta, poi la prese a sedere sulle proprie ginocchia, porgendole un piatto. Ma il sandwich di pane bianco con lattuga, pomodori, cetrioli, prosciutto e maionese, non sembrava affatto dirle nulla di buono.

Tony prese il sandwich, mettendoglielo pazientemente tra le mani, ma la bambina continuava a fissarlo immobile. Lo posò, scuotendo il capo a disagio, per poi gettarsi sul suo petto, quasi a nascondersi da quel posto, quei colori, quegli odori a lei alieni, cercando in affanno, sotto le sue piccole candide dita, la presenza per lei rassicurante del reattore.
Tony ebbe un sussulto, nello stringerle la mano sul petto.

-Va tutto bene! Sono io, piccola, sono qui… Va tutto bene… - provò a rassicurarla in un fil di voce –Ma devi mangiare qualcosa… Assaggialo, è buonissimo!- la incitò ancora, dando un piccolo morso al suo sandwich per spronarla a fare lo stesso.

Quel gesto parve rassicurarla e solo allora la piccola, timidamente, si decise a mordere il panino, sotto lo sguardo soddisfatto di Tony.

Il volo fu lungo, ma all’uomo non pesò: tornare a casa gli parve infinitamente dolce.

E la piccola? Come avrebbe fatto con lei?

Ne aveva parlato a lungo con Rhodey: niente riportarla indietro alla sua famiglia, che l’avrebbe rivenduta, niente istituti, niente affidamenti: era Tony, adesso, la sua famiglia!

Ma introdurre in territorio americano una piccola straniera senza documenti, permesso di soggiorno, vaccinazioni e quant’altro, per adottarla come se fosse stata sempre sua, sarebbe stato maledettamente difficile!

Rhodes aveva ragione e a nulla valsero i tentativi di Tony per ricordargli ogni volte che stavano parlando di una bambina, non di un animaletto esotico importato illegalmente.

Ma, di fatto, agli occhi del governo il paragone calzava a pennello, la piccola era clandestina e, forse, nemmeno il patrimonio di Stark sarebbe bastato a mettere a tacere divieti, ottenere permessi, far saltare cavilli burocratici, corrompere servizi sociali e ignorare leggi e decreti.

Tuttavia, Tony non sembrava affatto preoccupato.

E quando, una volta atterrati su suolo americano, gli fu chiesto di fornire le generalità della bambina, Tony non ebbe alcuna esitazione a pronunciare il suo nome occidentalizzato e registrarla orgogliosamente come

–Sarah. Sarah Stark.-




note dell'autrice: lenta ma inesorabile, continuo!V.V''
enjoy^^

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


-Lata tru koni! Lata tru koni!!! Nejma!!! Lata tru koni!!!-* urlava in lacrime la ragazzina, mentre la portavano in reparto per gli esami di routine e un prelievo del sangue.

Tony se ne stava lì, attaccato al vetro della stanza in cui era stata portata, ripetendole che andava tutto bene e che sarebbe rimasto esattamente dove si trovava.
Non poteva più sentirla gridare e lei non poteva più udire la sua voce… Ma almeno poteva rassicurarla con la propria presenza o, per lo meno, provarci!
Magra consolazione per la piccola che, attaccata al vetro, tra strilli e strepiti disperati, batteva inutilmente le mani contro i palmi aperti di Tony, al di là della lastra di cristallo. Fu così che dovettero tenerla in sei per poterle praticare un prelievo e quando fu libera di tornare fuori, corse tremante e in lacrime di terrore tra le braccia di Tony, non permettendo a nessuno di avvicinarla.

Era sana come un pesce e, spaventata com’era, a Tony non servì sapere di più per portarla immediatamente a casa con sé.
Gli occhi sgranati di Sahar e il suo passo incerto, ponderato e intimidito fin dall’atrio, la diceva lunga sul rapporto che doveva avere con edifici tanto grandi: di certo non doveva averne visti molti in vita sua e quella, piena di, per lei, magiche novità e sorprese tecnologiche, doveva sembrare davvero un castello delle favole o la dimora mitologica di qualche strana divinità…
Qualunque cosa pensasse, non osava toccare nulla… Almeno per il momento.

-Bentornato a casa, signore!-

La piccola balzò alla voce di Jarvis, correndo a nascondersi fra le braccia di Tony. Ma un attimo dopo, corse a tentare di riuscire a vedere chi mai fosse a parlare dietro gli altoparlanti incorporati alle pareti.
Tony, occupato a cestinare la posta elettronica da una delle vetrate delle sue finestre interattive, la lasciò comodamente libera di esplorare, comodamente seduto sul divano a godersi la pace del ritorno a casa, con un bicchiere di whisky fra le mani.
-E’ casa tua, adesso!- le annunciò sorridente. –Ti chiamerai Sarah… Abiterai qui… Forse dovrei iscriverti a scuola… A questo penseremo più tardi, mh?-
Sahar l’ascoltò, non dando però segno d’aver capito e soprattutto, fin troppo attratta dalla pulsantiera accanto ad uno degli altoparlanti.

E Tony potè ampiamente rivedere la sua riflessione su “la pace del ritorno a casa”: accese e spense le luci un centinaio di volte, alzò la temperatura, l’abbassò di colpo, poi la rialzò a suo gusto, impostò la lingua di Jarvis in rumeno prima e in ungherese poi, oscurò le finestre, bloccò e sbloccò le porte, attivò gli allarmi di casa… facendoli allegramente suonare tutti insieme… E quando, premendo uno dei tasti, da quegli stessi altoparlanti cominciò a diffondersi per tutta la casa le note di “At Last”, alla piccola parve pura magia e sorridendo contenta ed eccitata, cominciò ad esplorare senza più alcun timore tutta la casa.

Tutto le sembrava stupendo e magico e Tony, come quasi impassibile spettatore delle sue scoperte, si rese conto di aver portato la bambina in un paese dei balocchi!
Ogni tasto, ogni porta, ogni cassetto, ogni gesto nascondeva un mucchio di sorprese, dalla luce, all’acqua, alla musica, al cibo…
E intrufolatasi nella stanza di Tony, come se sapesse già perfettamente quale fosse e la strada per arrivarci, dall’immensa vetrata della camera a picco sulla scogliera, potè riempirsi gli occhi con la sconosciuta meraviglia dell’oceano.

Tony, che aveva seguito incuriosito la sua esplorazione, quanto allarmato dal vederla puntare spedita come un missile teleguidato la sua stanza, la vide perdersi con lo sguardo all’orizzonte.

-Tu devi essere la grande novità di casa Stark!- esclamò Pepper alla bambina, sorridente, comparendo come una visione sull’uscio della stanza.
La piccola si voltò immediatamente verso di lei… E rispose subito al suo sorriso, con fiducia.

-Non capisce una parola della nostra lingua!- avvertì Tony.

-…Oh! A questo rimedieremo!- assicurò Pepper, tranquilla… E a Tony, l’atteggiamento della ragazza nei propri confronti, parve fin troppo tranquillo!
Si sarebbe aspettato una partaccia, da parte delle fedele assistente… Invece no!

-Perché non andiamo a darci una bella lavata? Sono sicura che ci sia uno stupendo faccino, sotto quella sporcizia! Così dopo cerchiamo anche qualche vestito che ti stia bene…- Propose Pepper con tono affabile e dolce, porgendole teneramente la mano.
Sahar, fiduciosa, fece per porgerle la mano a sua volta, ma la ritirò e prima di accettare di seguirla, cercò lo sguardo di Tony, quasi a cercare un permesso o una rassicurazione.

Tony, per tutta risposta, le fece un occhiolino complice, facendole cenno di seguirla. Soltanto allora, sorridente, la ragazzina si affidò completamente alle mani straordinariamente materne di Pepper.

Straordinariamente materne… Già… Tony non potè fare  a meno di soffermarsi a riflettere su quel particolare.







Note: lo soooo!>.< V'ho fatto aspettare tanto, ma purtroppo non dipende da me! =( Io continuo comunque!
Lata tru koni: Non mi lasciare

Ah, per chi fatalmente non la conoscesse (!!!) “At last” è questa stupenda canzone di Etta James: http://www.youtube.com/watch?v=_1uunRdQ61M
enjoy^^

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


-Rhodey mi aveva accennato ad una sorpresa “che va al di là di ogni possibile pensiero razionale”, ma… Devo ammettere di non aver pensato nemmeno per un secondo a nulla di simile!- ammise Obadiah, quella sera a cena da Tony, quando la bambina comparve sulla soglia indossando una, per lei, enorme camicia dell’uomo.

Pepper l'aveva aiutata a scegliere e cercato pazientemente di farle tenere addosso per più di  un’ora degli abiti adatti a lei… Ma la piccola, superato il primo momento di esplosivo entusiasmo per la novità, se n’era presto sbarazzata, terribilmente infastidita dalla trama sconosciuta dei tessuti e dal loro pungente odore di lavanderia, a lei completamente estraneo.
Come un cagnolino, si era perciò appropriata di una delle camice di Tony, impregnate dell’odore familiare del suo dopobarba e che la ragazzina doveva aver trovato sicuramente più comoda dei jeans e del maglione proposti da Pepper e che a Sahar, abituati ai larghi indumenti del deserto, parvero una vera tortura.

Pulita e coi capelli in ordine, coi suoi occhioni angelici, il sorriso perennemente stampato sulle labbra e la camicia di Tony nella quale sembrava sparire, parve ancora più piccola e tenera di quanto già fosse.
-Obi, lei è Sarah Stark! Piccola, lui è Obi!- fece delle frettolose presentazioni l’uomo, quando la piccola si sedette sul divano, accanto a lui. Non che la bimba capisse, ma…
-Stark??? Sarah Stark…???- l’uomo sollevò le sopracciglia non troppo sicuro di aver bene inteso, posando il sigaro acceso nella ceneriera –L’hai… L’hai davvero adottata?-
-Non legalmente!- ammise con candore disarmante Tony.
-Dove l’hai trovata…?-
-Non l’ho trovata, mi ha trovato lei! Io l’ho solo comprata…-
-L’hai comprata???-
-Ti ricordi l’orologio di papà, il Rolex, quello d’oro con la cassa d’argento, il quadrante coi numeri romani, le sue iniziali incise sul retro, movimento automatico, 78 rubini…?-
-Conosco bene l’orologio di tuo padre, glielo regalai io!-
-Ecco, l’ho comprata con quello!-
-Hai comprato una bambina con l’orologio che ho regalato a tuo padre???-
-Ehi… Non credevo ci tenessi così tanto, era solo un orologio e non era nemmeno un granchè…-
-Tony… Non me ne frega un… Benemerito dell’orologo: hai comprato una bambina!!!-
-Sì, è quello che ti ho appena detto… Un’altra fetta di pizza?- vuotó tranquillo il bicchiere, offrendogli il cartone della pizza che giaceva quasi vuoto sul tavolino innanzi a loro.
La ragazzina si impossessò curiosa del bicchiere vuoto di Tony, annusandone il contenuto.
-Come… Come diavolo ti è saltato in mente???-
-La stava comprando un brutto ceffo: io ho alzato l’offerta e l’ho portata con me!-
Le risposte di Tony erano talmente disarmanti che il povero Obi lo ascoltava incredulo, come si ascolta il delirio di un malato.
Avrebbe dovuto essere abituato al suo modo di fare e invece… Invece, ogni volta, Tony Stark sapeva come spiazzarlo.
-D’accordo, come vuoi…- Si alzò, spegnendo del tutto il sigaro –Voglio solo che tu sappia una cosa, Tony: non contare su di me per coprirti il culo con gli assistenti sociali! Sei fortunato se non ti hanno ancora sbattuto in galera!-
 


 


Sapete qual è la cosa peggiore? Che Obi aveva stramaledettamente ragione: non c’era motivo per cui non mi avessero ancora tolto la bambina e sbattuto al fresco.
Rhodey non mi aveva aiutato, Obi non ne voleva sapere… Allora chi? Grazie a chi, la piccola, non mi era stata strappata via?
Aveva importanza…? Per una volta nella vita, sentivo di avere un ruolo, uno scopo e per quanto quello stesso scopo fosse minacciato… Paradossalmente non me ne fregava un cazzo!
Non me ne fregava se mi avessero sbattuto in galera e non ero per nulla preoccupato all’idea che si prendessero la mia bambina.
Oh-oh, campanello d’allarme: ho detto davvero "la mia bambina"???
Ecco che mi sento di nuovo quell’odioso ronzio nelle orecchie! No, non è acufene, lo sentite anche voi? No??? Volete sapere perché?
Perché il maledetto ronzio siete voi, con la vostra psicanalisi da quattro soldi, ecco perché!!!
"Oh, ecco che dopo una vita da Peter Pan, finalmente è maturato! Ecco i suoi latenti desideri paterni che emergono…"
Beh, avvicinatevi, voglio rilevarvi una cosa in confidenza: NO!
Farei schifo, come padre: lo so io, lo sanno le donne con cui sono stato -che non sono poche-, lo sa Pepper, lo sa Happy, lo sa la gente che mi sta intorno e lo sapete anche voi!
Fine della storia!
Dov’ero rimasto? Ah, già… Al fatto che non me ne frega un cazzo. Perfetto! Chiaro il concetto, no?
Siete amanti dell’happy ending e volete trovare un genitore a questa bambina? Beh, Pepper sarebbe perfetta! Rhodey. Oppure Obi! Visto? C’è solo l’imbarazzo della scelta!
Ma non io!
Care fanciulle, se credete che stia pensando di mettere su famiglia, vi sbagliate. Idem se credete che desideri un figlio.
Una sana scopata? Parliamone!
Un figlio? No!
Ribadisco il concetto perché non ho alcuna intenzione di trovarmi posta indesiderata di fan adoranti e donne vogliose di maternità sulla mia email, su quella delle Stark Industries e nella cassetta della posta di casa mia, che in questi giorni è già piuttosto intasata da spazzatura di tutti i tipi!

Volete sapere di cosa si tratta? Siete curiosi di scoprire chi scrive al grande Tony Stark di ritorno dalla prigionia in terra straniera? Volete frugare in mezzo alla mia posta?

Allora credo proprio che dobbiate continuare a leggere…

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Quando Pepper entrò nella stanza di Tony a dargli la sveglia, portando con sé una tazzina di caffè espresso, il giornale e un mucchio di posta trovata della buca delle lettere… Nell’illuminare la stanza ebbe uno shock: Tony dormiva beatamente e della grossa, in boxer attillati e con la faccia sprofondata nel cuscino.
I vestiti sparsi per la stanza, a terra, sul letto, come quando aveva fretta di toglierseli per godere del contatto pelle a pelle con la donna di turno.

Fin qui nulla di strano, Pepper era abituata a tutto quello.

Ma abbarbicata a lui, invece della solita supermodella/giornalista/attrice/cantante nuda rimorchiata la sera prima, in slip e maglia intima, dormiva placidamente Sahar e a quella vista, il contenuto della tazzina si versò completamente sul tappeto.

Tony, percependo la presenza della sua assistente dal profumo del caffè che era solita portargli e dall’odore di lavanderia dei suoi abiti, si destò subito. Sorrise, aprendo gli occhi, certo di trovarla ai piedi del letto come ogni mattina. E dall’espressione della ragazza, i cui occhi erano fissi su Sahar, in un attimo intuì il momento d’immenso imbarazzo, levandosi a sedere sul letto.

-No! Non è assolutamente come sembra!- quasi urlò, svegliando inevitabilmente anche la ragazzina che, infastidita, si ficcò sotto le lenzuola, rannicchiandosi di più contro di lui.
-Mi ha visto fare cose inenarrabili, ma giuro che stavolta non è davvero come sembra! Ma… Ma come può anche solo pensarlo? Andiamo: è una ragazzina!-

-È sua moglie, Tony!- lo corresse Pepper, con freddezza.

-…Che cosa???-

-L’ha comprata, non è così? Non sa che, nel suo paese, comprarla equivale a prenderla in moglie, che l’acquisto è di per sé un matrimonio e che lei la considera come suo marito? Ho fatto ricerche quando hanno minacciato azioni legali contro di lei…-

-Pepper… Le assicuro che l’unica ragione per la quale ha dormito con me e che non ne vuole sapere di dormire sola nella sua stanza! Le compri un cane!-

-Le… Le compri un… Come sarebbe “Le compri un cane”???-

-Perché? Crede che un gatto sia più adatto? Sono cresciuto coi cani, ho avuto un solo gatto in vita mia: preferiva trascorrere la notte fuori casa e credo che anche per questo non mi sia durato a lungo! Lei dice che un felino sarebbe più indicato? Un cane resterebbe volentieri in camera con lei a farle compagnia, i gatti sono selvatici, freddi, creature algide e calcolatrici, sono come certe donne che ti usano solo per…-

-Tony!- lo interruppe Pepper –Io le parlo di azioni legali contro di lei e… E lei mi viene a dire di comprare cani e gatti?-

-Azioni legali? …Mosse da lei…?- chiese timidamente, cercando di spostare delicatamente la piccola da sé verso il lato libero del suo letto.

-Beh… Da me no, ma…-

-Benissimo! Non importa, allora!-

-…Dai servizi sociali sì!- concluse Pepper.

-…Non ha importanza! Quella lì è la mia posta?-

-Tony… Sì!- sospirò la ragazza, porgendogli le numerose lettere e raccomandate.

-Associazione dei diritti del bambino del Mayne… Centro integrativo bambini stranieri… Amici della famiglia… BBC… CNN… Il mio avvocato… Servizi sociali…- lesse con disinteresse i mittenti sulle buste, sfogliandole pigramente una ad una, per poi restituirle a Pepper –Può buttarle, grazie!-

-Tony… Ignorare la questione non risolverà il problema!-

-Ma è proprio questo il punto, Pepper: non esiste nessun problema! Quello è il mio caffè?-

-L’ho versato!- sbottò Pepper: odiava quando cambiava argomento in quel modo –Ha mezza America contro, l’opinione pubblica vuole farla a fettine e per lei non è un problema??? Se non fa subito qualcosa, le toglieranno la bambina!-

-Non l’hanno ancora fatto, grazie alle mie conoscenze…-

-No, alle mie!- concluse Pepper, rivelando così il proprio intervento –Ma ho solo preso tempo: non lo sprechi!-

La ragazza, sentendo su di sé tutta l’immensa tenerezza e gratitudine che i grandi occhi da cucciolo di quel testone egoista del suo capo erano capaci di esprimere, li fuggì in imbarazzo.

-Si è messo in un gran brutto guaio, portando qui Sarah: perché l’ha fatto?-

-Devo la mia vita, a questa bambina. Donarle una vita nuova… Mi sembrava una cosa carina da fare!-
…E la tenerezza fu cancellata come da un colpo di spugna.

-…”Una cosa carina da fare”??? Tony… Regalare un mazzo di fiori, è “una cosa carina da fare”. Raccogliere un foglio alla sua segretaria, è “una cosa carina da fare”. Fare una donazione ad un orfanotrofio, è “una casa carina da fare”. Aiutare una vecchietta ad attraversare la strada, è “una cosa carina da fare”, non… Non strappare una bambina al proprio mondo e portarla su un pianeta del tutto sconosciuto, no, questa non è affatto “una cosa carina da fare”!-

Tony nemmeno l’aveva ascoltata, preso com’era a leggere la lettera dei servizi sociali.

-Organizzerò una bella festicciola per dare un benvenuto coi fiocchi alla piccola: questa sì, che è “una cosa carina da fare”, stavolta ho ragione! Domani sera? Che ne dice? Sì, domani sera è perfetto! Qui? Sì, meglio qui, in casa, una cosetta informale con pochi amici, ha ragione! Ora posso avere il mio caffè?- notò poi la tazzina vuota fra le mani di Pepper, che lo fissava senza proferir sillaba, oltremodo perplessa.

-Glielo porto subito. C’è altro, mr Stark?- sospirò profondamente.

-No! Anzi, sì…- ammise lui –Dopodomani mattina verrà un assistente sociale a far visita alla casa, vuole parlare con me, sapere perché la piccola è qui e bla, bla, bla… Perciò… Speravo che lei potesse…
-
-No! Non posso!- lo interruppe Pepper –E anche se potessi, qualunque cosa fosse, non la farei! Le dica che Sarah è qui perché… Le sembrava “una cosa carina da fare”!- concluse sarcastica, prima di uscire dalla stanza.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


-…Tony?-

-Mh…-

-Tony?!?-

-Mmmh…?-

Un rantolo sordo proveniente dalle lenzuola fu l’unica risposta che Pepper ottenne.

Aveva trovato la casa ridotta in condizioni pietose… E il padrone di casa, a quanto pareva, la rispecchiava in pieno!

La festa della sera prima era stata un vero successone: non c’era un tg, un quotidiano o una rivista scandalistica che non ne parlasse.

Tony era stato l’animatore della serata… Fino a quando le cose non gli erano decisamente sfuggite di mano: al quinto boccale di birra, Tony Stark aveva definitivamente perso il controllo. Allorchè la festa si era spostata in piscina… Dove la povera Pepper si era vista costretta, quella mattina di buon’ora, a svegliare e congedare con la solita imperturbabile cortesia un gruppetto di ragazze mezze nude, addormentatesi sui lettini e sul prato sintetico attorno alla piscina, tra bottiglie di liquore vuote e palloncini esplosi.

Nell’atrio della villa campeggiava ancora lo striscione viola con la scritta a caratteri cubitali in rosa acceso “BENVENUTA A CASA SARAH”…
Ma era evidente che l’allegra festicciola di benvenuto per la bambina, si era tramutata in un party per turbolenti ragazzini troppo cresciuti, con donne e fiumi di alcol a disposizione.

Aveva avuto un bel daffare, miss Potts, a riordinare alla meglio la villa il prima possibile e quella mattina, come Tony ben sapeva, l’assistente sociale…
-…E’ alla porta e sono le dieci in punto: è in perfetto orario come d’appuntamento. Cosa devo dirle?-

Tony riemerse dalle lenzuola con un gemito di dolore e afflizione, mentre Pepper gli porse il bicchiere in cui aveva preventivamente sciolto un paio di aspirine.

-…La mandi via…- piagnucolò, tornando sotto le lenzuola tra mille lamenti, non prima d’essersi impossessato del bicchiere –E già che si trova mi tagli la testa: è un tormento disumano…-

-Oh, Tony… Non faccia il bambino: sapeva che l’appuntamento era per questa mattina!-

-Come ci sono finito a letto…?-

-Ce l’ha portata Happy!-

-Happy...? La... La supplico, mi giuri che mi ci ha portato... E... E basta!-

-Glielo giuro! Ed ora si alzi!-

-No… Non posso… Oh, mio Dio!- continuò a lamentarsi –La mandi via! Via tutti! Io non credo di essere in grado di… Cestino! Cestino, cestino, cestino!!!- sporse la mano fuori.

Pepper gli porse immediatamente il cestino della cartastraccia, che finì sotto le lenzuola con l’uomo. Arricciò il naso in un sospiro, nel sentirlo rigettare anche l’anima. Tuttavia non potè fare a meno di sorridere, scuotendo il capo: la sagoma di Tony, aggrappato al cestino della cartastraccia sotto le lenzuola, aveva un che di tragicomico, per lei.

-Mi dica che non ha rimesso le aspirine…- sospirò.

Tony, per tutta risposta, tirò fuori la mano col bicchiere ancora pieno.

-Beh, che aspetta? Le prenda e si alzi: ho detto che era sotto la doccia e che l’avrebbe raggiunta in dieci minuti, si sbrighi!-

-Non posso… Pepper… La prego… Le dica che ho il morbillo, la rosolia, i geloni, la peronospora!-

-Tony…- rise fra sè la ragazza –La peronospora è una malattia delle piante!-

-Appunto: sembrerà più grave!-

Pepper trattenne a stento una risata, togliendogli di dosso le lenzuola e sfilandogli il cestino dalle braccia.

-Dov’è la piccola?-

-Non si ricorda? E’ scappata a metà festa, quando ha cercato di farle bere una pinta di birra. Per fortuna Happy l’ha fermata. Poi è cominciato lo streaptease delle sue assistenti di volo, ma la gara di rutti e di chi-beve-di-più l’avevano già abbastanza spaventata!-

-Come… Come sarebbe scappata??? Dov’è ora?-

-Tranquillo: Happy l’ha ritrovata dopo pochi minuti che vagava per la Sunset Boulevard. L’ho portata a casa con me…-

-Abbiamo fatto una gara di rutti…???-

Pepper storse il naso in un sospiro.
–Già!-

-E chi ha vinto?-

-Happy!-

-Ah… Sembra che Happy sia stato il re della serata!-

-Oh sì e ha evitato anche che la polizia la portasse in centrale dopo che… Lasci stare, beva!- gli avvicinò il bicchiere alle labbra, pazientemente –Ora si faccia una bella doccia e venga a parlare con l’assistente sociale!-

-È carina?-

-Tony…!- lo rimproverò la ragazza, mentre l’uomo cercava di alzarsi reggendosi la testa con un lamento.

-Sa, non credo di poter… è sangue questo…?- notò una macchia rossastra sulla manica candida della camicia, cercando inutilmente di mettere a fuoco l’immagine, mentre si spogliava di fronte a lei, stordito.

Pepper non si voltò, anche se non potè fare a meno di arrossire violentemente.

-Ketchup!- assicurò, al contrario aiutandolo a spogliarsi –Ce la farà: sta lottando perché Sarah resti qui, no? A proposito: credo sia un po’ arrabbiata con lei!-

-Con me? Perché…?-

-Scherza?- gli scelse un completo dall’armadio, che poggiò sul letto –Ciò che è accaduto ieri sera l’ha a dir poco terrorizzata!- cercò di accompagnarlo in bagno, mentre Tony tentava di togliersi i calzoni… Cadendo a terra come un burattino.

-Tony! Si è fatto male?-

-…Mi lasci qui!-

-Oh, andiamo! Si alzi: l’assistente sociale aspetta soltanto lei!-

Virginia gli sfilò i pantaloni con poco sforzo, per poi trascinarlo fino alla doccia, senza curarsi che l’uomo avesse indosso ancora boxer e calzini.


L’urlo che seguì l’apertura dell’acqua fredda da parte della ragazza, fece balzare la composta e occhialuta assistente sociale, un’austera donna di mezza età, intenta a gustare un thè preparato dalla fedele assistente Pepper Potts prima di raggiungere Tony in camera.
Pepper la raggiunse subito dopo, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.

-Ci vorrà ancora qualche minuto, temo…-



 
…Ma di minuti ne trascorsero quarantasette, che la donna contò uno ad uno sul quadrante del suo piccolo orologio vecchio modello, con cipiglio severo.
Pepper scosse il capo fra sé, preoccupata più che mai: quello non era certo l’inizio migliore per fare buona impressione sui servizi sociali… E Tony stava rischiando seriamente di perdere la bambina per uno stupido atto d’irresponsabilità!
Cosa poteva fare per aiutarlo?

Ehi, un momento… Chi dice che avrebbe dovuto aiutarlo???
In fondo, lei era soltanto la sua assistente…

No?

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


-Buongiorno, signor Stark!- esclamò seccata mrs Parker, questo era il nome dell’assistente sociale, vedendolo finalmente comparire sulla soglia.

Quando Pepper si voltò a guardarlo, impallidì: si era vestito di tutto punto, ma era fradicio, i capelli erano ancora bagnati e del tutto arruffati, indossava un paio di occhiali scuri e aveva una cera a dir poco pessima. Si manteneva in equilibrio appoggiandosi allo stipite della porta, torturato da un’emicrania atroce, postumi di una sbornia senza precedenti.

-Caffè, signor Stark?- propose Pepper con un sorriso innocente.

Tony scosse il capo, trattenendo un conato.

-Santo cielo… si sente bene?- si preoccupò mrs Parker, osservandolo meglio mentre si aggiustava gli occhiali sulla punta del naso.

L’uomo annuì nervosamente, sforzandosi di sorriderle.

-Bene… Allora vogliamo accomodarci?- propose la donna –Ma… Ma perché non toglie quegli occhiali da sole…?-

-Non può!- intervenne prontamente Pepper, con uno scatto che sorprese tanto Tony quanto sé stessa.

-Perché mai?-

Tony e Pepper si fissarono per un momento.

-Ehm…- la ragazza deglutì –Congiuntivite!-

Tony, dopo un sospiro di sollievo e un nascosto gesto di approvazione con la mano, annuì, avallando la risposta della sua assistente.

-Capisco… Le auguro di guarire presto, so quanto possa essere fastidiosa, ahimè! Spero sia sotto terapia da un medico e che la bambina non rischi un’infezione…-

-Assolutamente: il signor Stark è molto scrupoloso, in questo!-

-Non ne dubito…- scandì lentamente la donna, squadrando da capo a piedi l’uomo, con aria severa.

Mrs Parker, con un plico grigio ed una penna alla mano, prese posto, sedendosi su una poltrona del salotto, mentre Tony si sedette sul divano.
Pepper, certa di aver fatto anche troppo per lui, fece per uscire. Ma l’uomo, afferratala per un polso, la costrinse gentilmente a sedersi accanto a lui.

La ragazza sospirò pazientemente, sedendosi come suo desiderio: che situazione assurda! Gli aveva detto che non l’avrebbe aiutato e invece… Invece eccola lì, tenuta ferma da una forza senza nome che le impediva di agire seguendo la sua personale logica del buon senso.

-Signor Stark…- esordì l’assistente sociale –Grazie alla sua preziosa assistente, ho potuto constatare che alla bambina non manca nulla. Certo la casa non è a misura di bambino, ma è grande e confortevole e questo è già un buon passo verso l’affidamento! Tuttavia non ho potuto fare a meno di notare, nel mio giro d’ispezione, un gran disordine e… Una grande quantità di alcolici…-

Tony, solo a sentirli nominare, impallidì maggiormente.

-Sta bene…?-

-Sono astemio!- mentì spudoratamente l’uomo –Il solo sentirli nominare, mi fa star male…ecco…- si sforzò di sorriderle.

Pepper sgranò gli occhi. Ma tacque, pregando che tutto finisse in fretta.

La donna, dal canto suo, per quanto visibilmente perplessa, non replicò affatto alle parole di Tony, limitandosi a prendere appunti. Dopodichè cominciò un breve discorso su ciò che i servizi sociali rappresentavano e, in tutta franchezza, della sua personale perplessità ad affidare una bambina proprio a lui, scapolo impenitente che godeva di una fama tutt’altro che brillante.

-Certo…- concluse la donna –la sua posizione cambierebbe radicalmente se decidesse, ad esempio, di sposarsi e condurre una vita regolare. In caso contrario, sono molte le possibilità in cui mi veda costretta a portarle via la bambina…-

A quelle parole, che alle orecchie di Tony parvero quasi una minaccia, senza pensarci due volte su, poggiò con fare possessivo una mano sulle gambe elegantemente accavallate della sua assistente, che sussultò con occhi sgranati.

-Che coincidenza, mrs Parker: è esattamente ciò che pensavamo di fare! Io e Pepper ci sposeremo presto… Non è vero, tesoro?- si rivolse con un sorriso eloquente alla ragazza.

Che cosa??? Aveva davvero detto quelle cose mentendo spudoratamente ai servizi sociali? L’aveva chiamata “tesoro”??? No! No, non l’avrebbe coperto anche in quello: passino la festa, il dopo sbronza, la doccia di un’ora, la congiuntivite… Ma millantare che si sarebbero sposati, oh no, quello era troppo!
Per Pepper era giunto il momento di alzarsi, negare e spiegare le cose come stavano realmente, uscire dalla stanza e lasciarlo a fare i conti da solo con le proprie responsabilità!
Dopotutto, fingersi all’occorrenza la sua fidanzata, non faceva affatto parte del suo contratto di lavoro, non era di sua competenza ed erano già troppi i campi di “non sua competenza” di cui la ragazza si prendeva cura, da quando aveva messo piede alle Stark Industries.
Sapeva, quindi, che la cosa giusta da fare era negare categoricamente ogni cosa, ritirarsi da quella farsa e subito!

…Ma la mano di Tony, che poteva avvertire impercettibilmente tremare di nervosismo e ansia sulla sua coscia, in balia della sua conferma o confutazione di ciò che aveva appena detto, ovvero del verdetto che avrebbe potuto assolverlo o condannarlo, non riusciva a farle pensare ad altro.
Sentì i propositi dettati dal suo buon senso distruggersi uno ad uno.
E allora forse…
Per quella volta avrebbe potuto…
Cosa le costava, in fondo…?

-S-sì, è così!- rispose balbettando e annuendo, dopo infiniti attimi di suspance.

L’uomo tirò un immenso sospiro di sollievo, stringendo un po’ di più la presa sulla sua coscia, per poi decidersi finalmente a lasciarla con una carezza.

Nemmeno un tipo come Tony avrebbe potuto immaginare le imprecazioni e le accuse di debolezza che la ragazza si auto rivolse un momento dopo, ben nascoste sul suo viso come da una maschera di cera che sfoggiava un sorriso tranquillo.

-Perché non me l’avete detto subito?- sorrise loro mrs Parker.

Un bacio su una guancia paonazza della ragazza, da parte di Tony, che sperava così di confermare ulteriormente la veridicità di quell’annuncio, scatenò una risata nervosa in Pepper, che gli afferrò una mano stringendola tra le sue, senza osare guardare negli occhi nessuno dei due.

-Lei non ce l’ha chiesto!- obiettò Tony, con la consueta faccia di bronzo, ridendo quasi a voler smorzare anch’egli la tensione.

-In questo caso, le cose sono molto più semplici! Ho solo un’ultima richiesta, prima di andare…- si alzò la donna –Vorrei dare un’occhiata alla bambina, per valutare il suo livello d’integrazione, la sua capacità di comunicare e l’attaccamento a voi, suoi futuri genitori!-

Tony e Pepper si alzarono in piedi di scatto, rispondendo in coro –No!-

L’assistente sociale fu molto sorpresa di quella reazione.

-Sta dormendo!- spiegò Pepper, che incalzò Tony a continuare con un sorriso nervoso.

-Già… Dorme… Ancora…- si rese conto dell’orario –Sa, ieri sera c’è stata la sua festa di benvenuto e… Mandarla a letto un po’ più tardi delle dieci, per una volta sola…- sottolineò il concetto –Qualche volta fa bene, uno strappo alla regola, no…? Si è divertita proprio tanto, non è vero, amore?-
Pepper annuì, senza aggiungere una parola.

-Oh sì, non ne ho dubbi…- annuì anche la donna –Ho potuto vedere benissimo che si è molto divertito anche lei, signor Stark!- estrasse dalla sua borsetta una rivista con le foto del party… Tra donne seminude in atteggiamenti equivoci con lui e un susseguirsi di scatti più o meno compromettenti tra alcol e gesti poco signorili in cui Tony si era fatto, inconsapevolmente, immortalare, fino alle foto che lo ritraevano a fine serata, aggrappato ad Happy che cercava di accompagnarlo in camera, fradicio di birra, whisky, martini e cocktail tanto da non riuscire a reggersi in piedi da solo.

Pepper sospirò, coprendosi imbarazzata il volto con una mano: stavolta non avrebbe potuto tirarlo d’impiccio…

-Non leggo quella robaccia! E non dovrebbe dar retta a quello che scrivono sulle riviste, i giornalisti sono una brutta razza, cercano sempre di…-

-Signor Stark…- esordì severa la donna, interrompendolo –Compito di ogni buon genitore è offrire al proprio figlio, che sia adottato o meno, affetto, buon esempio, disciplina, regole e una figura genitoriale stabile e responsabile su cui poter fare completo affidamento. Nonostante i buoni propositi, a partire dal suo, presunto, matrimonio con la signorina Potts, è con immenso rammarico che le comunico che non vedo in lei i requisiti necessari per essere un buon genitore e garantire serenità alla bambina. La delicata situazione di Sarah, inoltre, con l’occidentalizzazione coatta che ha subito, potrebbe avere gravissime ripercussioni su di lei, a partire da difficoltà integrative e conseguenti instabilità emotive. La bambina sarà confusa, smarrita e infelice. Il mio compito è quello di accertarmi e garantire alla piccola che nella famiglia affidataria, siano presenti i solidi presupposti per la sua serenità e… Purtroppo qui con lei, signor Stark, non vedo affatto quei presupposti. Ritengo dunque che lei non sia la persona più adatta per crescere una bambina. Ne sono profondamente rammaricata…- si tolse gli occhiali, riponendoli nella borsetta con un sospiro, lasciando la rivista sul tavolino del salotto, davanti a loro.

 

 
 

Dunque era quello, il verdetto? Era tutto finito, svanito, trasformato in fumo? Tutta la mia persona, tutto ciò che ero, giudicato in base ad una decina di foto paparazzate alla festa della sera prima? Ero tutto lì, io, per la società…? Un cazzone ubriaco che si rendeva ridicolo ad una festa?
Mi sentii come se fossi tornato al liceo. E quel giornale, lì in bella mostra di sé, mi apparve come la pagella del primo quadrimestre del secondo anno.
La ricordo piuttosto bene… Non vi racconterò quanto facesse schifo, cercate d’immaginarla: quell’anno, al corso di chimica, fisica, matematica, storia, geografia e letteratura, si erano aggiunte le tre più grandi sventole che la scuola ricordi e la mia pagella si era modificata di conseguenza, frutto di un periodo in cui la mia fissa per le ragazze superava di gran lunga qualsiasi altro pensiero!
Era semplicemente una di quelle pagelle che hai paura di mostrare e far firmare a tuo padre, quella che sei costretto a lasciare sotto la sua tazza della colazione il sabato mattina e scappare prima che la veda, quella che ti costa come minimo un mese senza tv e senza uscire se non per andare a scuola!
Come dite? Perché m’interessa tanto questa questione? No, non voglio essere padre, non è questo a interessarmi, cazzo: è una questione di principio!
Non puoi pretendere di conoscere una persona da un paio di foto in cui palpeggia il culo ad una ragazza ubriaca, andiamo! Dovrei essere condannato perché ho dato una festa a casa mia? Perché mi piacciono le donne? Perché mi sono ubriacato? Perché diamine nessuno si ricorda mai di me perché mi sono laureato quando i miei coetanei erano ancora al college? O per le mie invenzioni? O per il ragazzino che ha perso sua madre e suo padre in un colpo solo e si è ritrovato solo al mondo, smarrito e confuso, con un’azienda sulle spalle???
Ma la gente ti giudica per un paio di foto compromettenti… Merda, quello non sono io!
Quello è solo il primo quadrimestre di scuola, ho ancora quattro mesi per dimostrarlo e cazzo, li pretendo! La vecchiaccia doveva starmi a sentire!

 
 

 

-Lei è madre?-

-Questo non ha alcuna importanza, signor Stark…-

-Risponda alla domanda, è semplice: lo è o non lo è?-

La donna sospirò paziente.

-Sì, sono madre di due figli! Ma cosa vuole che…-

-E mi dica, quando è diventata madre, lei sapeva come comportarsi?-

-Signor Stark, non ho alcuna intenzione di discutere con lei su come ho educato e cresciuto i miei figli, la smetta immediatamente di…-

-Non può semplicemente rispondere alle mie domande? Io…- deglutì –Io non sono mai stato padre… Non volevo esserlo, forse non l’ho mai voluto e non sono sicuro di volerlo essere nemmeno adesso, ma se esiste un corso che insegna ai genitori ad essere genitori… Beh, le giuro che lo frequenterò! Se mi dice che per diventare un buon padre dovrò gettarmi in un dirupo, bere stricnina o dormire a testa in già appeso per gli alluci, sono pronto a farlo perchè, padre o non padre…- sospirò a disagio, prendendo un lungo respiro –Io amo quella bambina.-

La donna, alzò gli occhi su di lui, maggiormente disposta, stavolta, ad ascoltarlo.

-Lei mi è… piombata addosso come una stella cadente, un angelo! Mi ha scelto! Ero morto e lei mi ha riportato in vita, mi ha tirato fuori dal deserto, mi ha accudito come fosse mia madre e… accidenti, non ha nemmeno tredici anni! Se non è questo, quello che dicono sui figli, che arrivano e basta, poco importa che tu sia pronto o meno, che ti cambiano la vita che tu lo voglia o no e che li ami così tanto senza poter spiegarti il perchè… Allora credo di non aver capito nulla! Perciò, se mi toglie la piccola, io me ne ritornerò nel deserto e ricomincerò da lì, perché è laggiù che ho lasciato qualcosa che credevo al contrario d’aver trovato… Ma credo che ci morirò, perché questo sarebbe il mio destino senza di lei. A meno che lei non mi dia una possibilità…-

 
 
 

Occhi lucidi.
Avevo detto quelle cose e avevo gli occhi lucidi: davanti ad un simile spettacolo, ti sfido a fare ancora il muso duro con me, vecchiaccia! Non sprecherò una parola di più, mi sono già sputtanato abbastanza! Perfino Pepper mi fissa incredula e commossa.

 
 
 
 

La donna sospirò rumorosamente.

-Tornerò a sorpresa, fra meno di una settimana, per sottoporla ad un altro esame: la smetta con l’alcol, con le feste e con le ore piccole. Mi aspetto di vedere la bambina: lei è l’unica a potermi dire con certezza se sarà il caso di affidarla ad una famiglia stabile… O a lei!-

Tony si gettò ai suoi piedi, abbracciandole sentitamente le ginocchia, con fare quasi beffardo.

-Signor Stark, cosa fa???- apparve scandalizzata –Si alzi immediatamente, non è decoroso! Farò meglio a lasciare subito questa casa, prima che cambi idea!- mise sotto braccio la cartellina, dirigendosi alla porta, rifiutando l’invito di Pepper ad accompagnarla. La donna uscì, portando via con sé la sua scia di fredda austerità.

-Pepper, lei è stata stupenda!!!- esultò Tony, prendendo alla sprovvista la ragazza fra le braccia e facendola volteggiare –Cosa farei senza di lei?-

-Temo che avrebbe molti più problemi di adesso…-

-Devo trovare un modo per ringraziarla e sdebitarmi!-

-…Lasci stare, io ho solo…-

-No, no, no, no, insisto! Oggi… Non era il compleanno di suo padre?-

-Beh… sì!- confermò la ragazza, apparendo vivamente sorpresa dal fatto che l’uomo se ne fosse ricordato –Verrà a prendermi alle sedici, ma questo cosa…-

-Perfetto! Dov’è la piccola?-

-In… In camera sua, sta ancora dormendo: gliel’ho riportata stamattina, nel caso in cui l’assistente sociale avesse…-

…Non potè nemmeno finire la frase che Tony le stampò un bacio sulle labbra senza nemmeno pensarci, precipitandosi poi al piano di sopra e lasciando la ragazza imbambolata e completamente spiazzata.

-Lei mi completa!!!- le assicurò ironico, sparendo su per le scale.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Dopo qualche ora, rimessomi straordinariamente in fretta dalla sbronza che sembrava esser stata clemente e non voler darmi più alcun fastidio, un terribile fracasso di vetri infranti proveniente dal piano di sopra, osó interrompere il mio lavoro sul motore di una delle mie auto, in garage.

Ma non fu davvero il rumore ad allarmarmi, lo confesso, bensì le urla e il pianto della piccola.

 Sí, nonostante la musica pompata a tutto volume.

 Sí, per la miseria, nonostante la mistica concentrazione in cui mi ero immerso per smontare con mano da chirurgo gli iniettori, lo spinterogeno e il carburatore di April, la mia adorata Dodge Viper.
Farmi distrarre mentre "lavoro" non é affatto da me, lo riconosco.
Ho capito che lo riconoscete anche voi, piccoli Freud e che la cosa vi puzza e allora? Avevo promesso di rigare dritto, d'accordo? Era ora di cominciare a dimostrare che potevo essere un buon padre. La mia bambina urlava e piangeva e, dopotutto, io sono suo padre...
Beh, non ancora ma quasi! No...?

Mi pulii al volo le mani con uno straccio e la raggiunsi di sopra salendo i gradini a tre a tre per far prima: il pianto della piccola proveniva dal mio studio privato.

Sahar se ne stava a terra, fra i pezzi di quella che era stata la mia splendida libreria con le mensole a vetri su cui si era arrampicata, verosimilmente per prendere il libro rilegato in cartoncino che adesso, in lacrime, stringeva gelosamente al petto come il più prezioso dei tesori.

Al vedere la ragazzina in mezzo ai vetri rotti, mi saltó il cuore nel petto e lo sentii chiaramente sbattere contro il reattore. Per poco ho temuto che mi schizzasse via come in un cartone animato.
In un altro momento, l'unica cosa a sconvolgermi davvero, sarebbe stato il vedere la mia bella libreria in vetro di Murano con finiture in platino e acciaio temperato, essere andata completamente in pezzi.
Ma... In un altro momento, appunto!
-Gran bel padre, che sono...- mormorai tra me, prendendo fra le braccia la ragazzina per portarla subito fuori dalla stanza a poi giù in laboratorio con me, per sincerarmi che stesse bene e medicarle le ferite: laggiù avevo tutto il necessario.
Ammetto di essermi preoccupato sul serio e di aver tirato un sospiro di sollievo quando, messala a sedere sul banco da lavoro, tentai di esaminarla alla ricerca di graffi e schegge che non aveva.
Miracolosamente, nonostante una scalata di sei mensole per prendere il libro, poste a cinquanta centimetri esatti l'una dall'altra, la piccola non aveva riportato null'altro che un ginocchio sbucciato, che mi indicò lei stessa in lacrime, oltre a un bello spavento. Nulla che non si potesse sistemare con un po' d'acqua ossigenata e qualche carezza: ai piccoli basta poco!
Con un sospiro di sollievo, non potei fare a meno di stringermela al petto.
Sí, avete ragione: mi sentivo terribilmente in colpa per l'accaduto: non ero lì con lei. Sarebbe potuto accaderle di peggio, ero stato fortunato!

Dal canto suo la ragazzina inizialmente non accennava a calmarsi. Ma smise presto di piangere, senza tuttavia separarsi dalle mie braccia, a cui rimaneva saldamente aggrappata, con fare languido e dolce.

 ...Troppo dolce!

E le parole di Pepper tornarono a ronzarmi prepotentemente nel cervello: "l'ha comprata! Non sa che nel suo paese equivale ad un matrimonio e che lei la considera come suo marito?"

Provate ad immaginare come dovevo sentirmi: se avevo difficoltà perfino all'idea di diventarne padre, figuriamoci a quella di esserne marito.

Ma la piccola era così tenera e dolce, era solo una ragazzina, come poteva saltarmi in mente una simile bizzarria? Era semplicemente assurdo.
Mi vergognai d'aver potuto pensare che nei suoi occhi potesse esserci di più che del semplice e puro affetto innocente e scacciai quell'idea, così come mi separai dall'abbraccio fin troppo languido della ragazzina: con fermezza e decisione.
Allorché presi a disinfettarle la sbucciatura con attenzione e cautela, soffiando di tanto in tanto sulla delicata carne viva.
La mia coraggiosa Sahar non versó nemmeno una lacrima per il dolore. Si contentava di fissarmi con quello sguardo languido e amorevole, ancora e ancora e ancora, lasciandomi fare del tutto rapita.

Non era più in collera con me per la festa, sembrava essersi completamente dimenticata di qualsiasi cosa.

-Shokran, mallaki...- mi sussurrò, prima di baciarmi lenta e dolce una guancia, per poi cercare di stringermi nuovamente a sé. Lí per lí glielo permisi: era la mia bambina, no? Non è così che si comporta un padre? Pregai che Jarvis stesse riprendendo la scena: avevo tutte le intenzioni di sbatterla in faccia a mrs Parker, quando la strega avrebbe riportato il suo culo flaccido in casa mia!

-Ed ora diamo un'occhiata al movente del delitto!- esclamai in un sospiro, separandomi di nuovo da lei per dare un'occhiata al libro, cagione della sua disavventura. Perché diamine aveva rischiato di rompersi il collo per un libro?

Poi mi sembró di poter capire il perché...

Non ricordavo nemmeno di averlo ancora! Era uno dei libri di mia madre, forse quello a cui lei teneva di più. Era una presenza fissa della sua camera, sul suo comodino, accanto al letto e ne leggeva qualche pagina ogni sera, aprendolo a caso.

-Da quando t'interessi di spiritualità?- tentai di nascondere la mia emozione, sorridendo beffardo alla piccola.

Ma Sahar, al contrario, appariva assolutamente seria, indicandomi l'unica cosa che l'aveva spinta alla pericolosa rampicata sulla libreria per impadronirsene: l'illustrazione in copertina.

-Cosa c'è, ti piacciono gli angeli?- domandai in principio, ingenuamente, senza guardare davvero la figura con la dovuta attenzione.
Conoscevo molto bene quel disegno... Ma non avevo notato ciò che aveva notato lei: era il disegno di un angelo con le ali e le braccia spalancate. Un angelo come tanti si sono visti ritratti.
Ma con una particolarità unica: dal centro del petto, all'altezza del cuore, fuoriusciva un raggio di luce, qualcosa di simile ad una stella, un sole, un bagliore... Azzurrino...

La piccola mi poggió le mani sul petto e tastando il reattore, con un sorrisetto furbo come di chi ha scoperto un segreto, bisbiglió -Entalluj ta nejman... Kannat mallakan!*-

Turbato, scossi il capo e sospirando pazientemente, le ricordai che non capivo una parola di quanto stesse dicendo.

Ma non feci in tempo nemmeno a chiedere spiegazioni a Jarvis che fui interrotto dal suono del campanello.

Erano già le sedici: doveva essere il padre di Pepper. Anzi, sicuramente era lui: avevo riconosciuto il suono del motore della sua vecchia Pontiac e lo schiacciare degli pneumatici nuovi sul ghiaino dello spiazzo sul retro della villa.

Presi in braccio la piccola e, afferrato il pacco col mio regalo per lui -dopotutto l'avevo promesso a Pepper- li raggiunsi.

La signorina Potts, in sua compagnia nell'atrio, era una visione...

Ok, non mi soffermerò ad elogiare lei, la sua pettinatura, il suo rossetto, il suo delizioso profumo, il filo di trucco che le incorniciava gli occhi, né quanto quel tubino nero mettesse straordinariamente in risalto le sue... Sí, ho detto che non lo faró!

-Buon compleanno, mr Potts! È sempre un piacere vederla, signore!- esordii col migliore dei miei sorrisi.

L'uomo mi strinse la mano e mi ringraziò, aggiungendo che non riusciva a capacitarsi di come potesse essere sempre un piacere vedermi, se quella era la prima volta che c'incontravamo. L'evidente imbarazzo di Pepper fece il resto.

Errore! Ricomincia dal principio, Tony!

Senza scompormi, un istante dopo gli presentai il mio regalo.

Lessi viva sorpresa negli occhi di Pepper: cos'era, buon segno o pessimo segno? Credeva che non avrei mantenuto la promessa?

Sí, è vero, è un po' strano dimenticarsi del compleanno della propria assistente ogni anno, ma ricordare quello di suo padre. Non è per nulla carino, è da matti... Lo so benissimo, ma dovevo pur cominciare da qualche parte! Quindi piantatela, ok???

La piccola era rimasta completamente muta, al mio fianco e fissava con occhioni sgranati il pacco che il padre di Pepper stava scartando.
Alla vista del regalo, però, mi parve di vederla rabbuiarsi.

-Ma questo è un Rolex!- esclamó l'uomo,vivamente sorpreso, scoppiando a ridere, nel mettersi l'orologio sul polso.
La stessa Pepper era rimasta ad occhi sgranati. Suo padre mi strinse calorosamente la mano...

E a quella vista, la mia bambina sgattaioló di sopra, borbottando, vivamente contrariata, qualcosa che non potei capire.






 

note: *Non sei una stella... Sei un angelo!
grazie a tutti coloro i quali continuano a seguire la mia storia!^^

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, senza un perché preciso.

Controllai assonnato l'orologio, l'ultimo rimastomi... Ma quella era un'altra storia: erano le tre e venti.

Nessun incubo, no. Nemmeno nessun sogno da parecchi giorni, a dire il vero e per uno come me era una cosa molto strana...

Bah!

Dicevo, mi svegliai di soprassalto, come se non mi fossi accorto di essermi addormentato e sapessi che dovevo correre a fare qualcosa che avevo dimenticato. Appunto: "come"!
Non c'era nulla che avessi dimenticato, era notte fonda!

Avevo messo a letto la piccola, in salotto avevo messo un disco di jazz -sí, ho detto proprio jazz, non ascolto solo rock e heavy metal, provate voi ad addormentarvi dopo aver sentito "Thunder"!- e bevuto un bicchierino di whisky come ogni sera. Giuro, un solo bicchierino, non di più!
Avevo dato disposizioni a Jarvis sull'irrigazione del giardino, avevo fatto una doccia, mi ero spogliato, mi ero messo a letto, avevo dato una veloce scorsa al libro di mia madre, avevo spento la luce e m'ero addormentato.

Tutto qui!

Solita routine serale... Beh, quasi solita.

Mi rimisi steso, dopo aver fatto mente locale su cosa avessi, cercando subito dopo di rimettermi in fretta a dormire.
Ma non potevo...

Conoscete quella strana sensazione di quando ti svegli con una canzone odiosa o una filastrocca stupida nella mente e, per quanto tu possa sforzarti, non riesci fare a meno di canticchiarla e ripeterla senza sosta per tutto il giorno?

Ecco, mi capitó una cosa simile!

Solo che purtoppo, a farmi sgradita compagnia quella notte, non fu la sigla di Spongebob e, nonostante l'odio abissale che avevo per quel cartoon, avrei preferito di gran lunga quella maledetta canzoncina e invece...

"Problemi integrativi! Occidentalizzazione coatta!"

Quelle quattro dannatissime parole mi stavano facendo diventare matto più di qualsiasi altra stupida sigla di cartone animato demente mi fossi mai trovato mio malgrado ad ascoltare!
Maledissi quella megera dell''assistente sociale che le aveva pronunciate e mi girai e rigirai per non so quanto tempo.

Tutto inutile: il mio sonno era bell'e andato a puttane!

Come mi si poteva accusare di aver "occidentalizzato di prepotenza" una persona?
D'accordo, che l'occidente non sia un granché a tradizioni culturali, è un dato di fatto...
Ok, ok, che l'America non sia un granché a tradizioni culturali, è un dato di fatto! Meglio, ora?
Non è questo il punto!
Diamine, sempre meglio di quella merda di vita nel deserto!

Possibile che per la piccola fosse davvero un male?

Possibile che non le avessi offerto una via di fuga dall'inferno, ma soltanto un inferno diverso...?

Di una sola cosa ero certo, una cosa su cui non avrei avuto il tempo di lavorare e con cui mi sarei giocato la sua custodia: la piccola non era felice. Per niente.
E, cosa affatto trascurabile, per colpa mia aveva le idee molto, molto confuse. Come me...

Porca puttana, perché doveva essere così complicato? Io volevo solo tornare alla mia vita di sempre!
La prigionia mi era bastata, il deserto anche!

Volevo rimettere il culo nel mio garage e continuare a fare quello che avevo fatto per una vita intera e cioè onorare il sacro codice ADAMANTIO:
Auto
Donne
Alcol
Musica
Armi
Narcisismo
Tecnologia
Indolenza
Ozio

Questa era la mia vita, prima di quel maledetto giorno e a quel dannatissimo giorno avrei voluto tornare!

Ma non si esce dal deserto tanto facilmente e per quanto tentassi disperatamente di convincermi del contrario, sapevo perfettamente di avere lasciato qualcosa fra quelle montagne e quelle dune di sabbia.

Lo sapevo dalla rabbia incontrollata che provavo al ricordo del villaggio distrutto che incontrammo io e la piccola, in quella terra martoriata anche da me.

Lo sapevo dalla stretta al cuore che mi dava ricordare la risata di Yensin, la sua voce e le ultime roche e stanche parole che erano scivolate dalle sue labbra, dirette a me e che avevano scavato nel mio petto in maniera ben più devastante delle schegge della granata: "non sprecare la tua vita"...
Peccato che nessuno fosse disposto a puntare su di me un centesimo.
Nessuno tranne la piccola... E tanto mi sarebbe dovuto bastare!

Il tempo delle feste era finito. Era così, per quanto mi affannassi a negarlo e a cercare di continuare per quella vecchia strada.

C'era qualcosa di terribilmente stonato in tutto quello che ero stato, adesso...

La festa di benvenuto alla piccola era stata un successo vecchio stile, sí... Ma non potevo negare nemmeno a me stesso che fosse stata solo una pagliacciata!

No, non credo che lo rifarei. Non più. Non dopo tutto quello che è successo.

Credetemi: quando la tua vita inizia a dipendere unicamente da ciò che hai sul cuore, in senso figurato e non, fare il cazzone non avrà mai più lo stesso sapore di prima!
Non credo ci sia bisogno di dirvi in quali condizioni fosse il mio cuore, no?
 

Dopo un tempo indefinito, ripresi l'orologio e controllai di nuovo l'orario: tre e ventidue.
Il tempo sembrava non passare.
O forse era stata la piccola a fermarlo, nel pomeriggio...

Cosa? Non sapete di cosa parlo? Non vi ho ancora raccontato cos'è accaduto oggi pomeriggio, dopo che Pepper e suo padre se ne sono andati?

Beh, è accaduto qualcosa che avrebbe facilmente mandato in bestia qualsiasi americano medio di discreta estrazione sociale, mediamente acculturato e con un reddito medio alto, il quale avrebbe preso la piccola senza molta cura, l'avrebbe imbarcata sul primo aereo per l'Afghanistan e rispedita a casa sua senza troppe cerimonie né particolari ripensamenti.

Fortuna per la piccola che io non sono affatto un americano medio mediamente acculturato e con un reddito medio alto: sono Tony Stark e sono un genio miliardario, con un self control d'acciaio e che sta imparando a fare il padre in tempi record... Anche se ora come ora, mi sembra alquanto inutile e paradossale.

Ma non perdiamoci in chiacchiere, dunque, da dove potrei iniziare a raccontarvi l'accaduto?
Iniziamo da Jarvis.

Oh, Jarvis...

Iniziai a costruire il suo prototipo agli inizi degli anni novanta, su un progetto che trovai in fondo ad uno dei cassetti della scrivania di mio padre. Non l'avessi mai fatto...
Ma sto divagando e sto partendo da troppo lontano, è decisamente presto per parlare di Jarvis, avete ragione...
 

...Partiamo da oggi pomeriggio!








 

note:
Non ho granchè da dire, capitolo piccolino che vi proietta direttamente verso il prossimo!XD
Ci avviamo lentamente verso la fine della storiella: riusciranno i nostri eroi ad arrivare all'happy end? Chissà...
Grazie a chi recensisce, chi ha inserito la storia tra le preferite, tre la ricordate, tra le seguite e ai lettori di passaggio!
Enjoy^^

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Nella camera di Tony sembrava essere appena passato un uragano: non c'era un'anta d'armadio, un angolo, una cesta, un cassetto, una mensola che non fosse stata frugata e manomessa.
 
Nulla però sembrava essere stato trafugato.
 
Ma, per l'appunto, "sembrava": poggiata sul letto c'era una delle scatole che custodiva la sua invidiabile collezione d'orologi.
 
Tony la prese con cura, per rimetterla al proprio posto, domandandosi il perché di quel blitz nella propria stanza, di sicuro avvenuto per mano della ragazzina.
Ma nell'istante esatto in cui sollevò la scatola... Si pietrificó.
Rabbrividí, nel sentirla inizialmente molto più leggera del solito, dunque la aprì, sgranando gli occhi di fronte alla realizzazione di ciò che aveva temuto pochi istanti prima: la scatola era vuota.
 
Istintivamente la lasciò cadere a terra, avventandosi sul cassetto che conteneva le altre quattro. Le aprì una ad una: vuote.
Tutte inesorabilmente e tristemente vuote.
 
-Rammentandole che si è rifiutato di attivare un allarme sulla manomissione altrui dei preziosi di casa, fatta eccezione esclusiva per lei- cominciò Jarvis senza essere interpellato -Esistono, nei filmati dell'ultima ora, le cause della sparizione degli orologi, signore!-
 
A quelle parole, Tony si precipitò allo schermo della parete.
 
Le immagini scorrevano veloci ed inequivocabili: come aveva immaginato, la ragazzina aveva frugato in ogni cassetto con fare mirato e meticoloso, come una ladra.
Impossessatasi di tutti gli orologi, era infine sgattaiolata via, lasciando il caos che Tony aveva trovato, dietro di sé.
 
Aveva rubato i suoi orologi... Perché?
La sua ragazzina era davvero capace di rubare, come una piccola malvivente? Quel discorsetto sul prendere le cose altrui senza permesso, -così Tony si era costretto a pensarla, non potendo credere che l'intenzione di Sahar fosse stata proprio quella di rubare- era da fare, e subito!
 
Con un profondo sospiro l'uomo si allontanò dallo schermo, dirigendosi quindi tranquillo alla stanza della piccola.
 
Bussò: nessuna risposta.
 
Aprì la porta, senza attendere ulteriormente... E la trovò seduta sul tappeto, l'aria imbronciata e offesa e tutte le intenzioni di ignorare completamente la presenza di Tony.
 
-Piccola, dove sono i miei orologi?- le domandó senza preamboli.
Jarvis, prontamente, tradusse per lei la domanda e la piccola, a braccia conserte, per tutta risposta volse il capo dalla parte opposta.
 
Tony sospirò profondamente e, armatosi di tutta la pazienza che possedeva, continuò pacato -Mi scuso se, in qualche modo che non conosco, ti ho offeso. Ma ci terrei davvero moltissimo a riavere i miei orologi. Se ne vuoi uno, possiamo uscire insieme e potrai scegliere quello che vorrai, ti comprerò l'orologio più bello che...-
 
Tony non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase e Jarvis di tradurre, che la ragazzina scattó in piedi, fissandolo oltremodo irritata per ciò che aveva appena detto.
 
Un istante dopo svanì dietro il letto... Salvo poi ricomparire subito dopo, trascinando ai piedi dell'uomo uno scendiletto.
 
Su di esso i suoi orologi... Completamente distrutti!
 
Fra di loro anche l'arma del delitto: un martello, preso di nascosto dal suo laboratorio.
 
Afferratolo fra le mani, tremante d'ira, Tony dovette fare uno sforzo sovrumano per reprimere la voglia di vendicare i propri orologi e usarlo su di lei, rea di averli fatti a pezzi e che, senza ombra alcuna di pentimento, se ne tornò, offesa e composta, a sedere sul tappeto.
 
Tony si lisció più e più volte il pizzetto, carezzandosi il mento quasi con nervosa violenza nel tentativo di reprimere l'ira.
 
Si sforzò, allora, di pensare che un buon padre non si sarebbe adirato o che comunque avrebbe superato in fretta il momento di rabbia.
Un buon padre si sarebbe seduto accanto a lei, cercando di comprendere fino in fondo il perché di quel gesto.
Perché un buon genitore non punisce, ma cerca di dare ascolto al grido di aiuto e all'evidente ricerca di attenzioni di suo figlio, senza perdere mai il controllo, con dolcezza ma fermezza.
 
Così Tony, pur non sentendosi, in quel frangente, nemmeno minimamente in vena di fare il buon padre, posó il martello, si costrinse a sorridere e si sedette sul tappeto, accanto a lei, pronto ad intraprendere "La via del dialogo": dal manuale "Essere genitori oggi", capitolo II, paragrafo 21, che Tony stava divorando in tempi record.
 
Di certo nessuno mai avrebbe potuto mettere in discussione il fatto che, in fin dei conti, si stesse impegnando o che, almeno, ci stesse provando sul serio.
 
Tu, piccola...- represse la parola che in automatico stava per seguire, mordendosi la lingua -...Piccola!- ribadí tra i denti forzando un sorriso, prima di continuare con ostentata tranquillità e goliardia, quasi fosse sul punto di prendere a ridere per tutta la faccenda di lí a poco -Perché hai distrutto piú di ottantasette milioni e mezzo di dollari...???-
 
Fermò Jarvis nel bel mezzo della traduzione, per riformularle la domanda in modo meno astratto.
 
-Perché hai distrutto i miei...- ma qualcosa che spuntava da sotto il letto della piccola, attirò la sua attenzione costringendolo ad ammutolirsi: si chinò, si infilò sotto il letto... E ne estrasse altri meccanismi, quadranti, lancette: quelli dell''orologio della cucina, di quello a parete del suo studio e di altri che aveva dimenticato perfino di possedere.
Da cosa nasceva quell'ossessione distruttiva verso i suoi orologi?
Un orologio era stato il suo prezzo, è vero, ma adesso cosa...?
 Rabbrividí quando temette di aver capito.
 
Allorché riformuló la domanda per la terza volta, stavolta calmo ma profondamente turbato.
 
-Piccola, perché hai distrutto tutti gli orologi di casa...?- bisbiglió in un fil di voce, tirando fuori altri rottami, mentre li fissava uno ad uno, incredulo della meticolosità con cui la ragazzina aveva aperto gli orologi, li aveva smembrati e successivamente rotto, spaccato, sbriciolato, ammaccato e deformato ogni componente in modo che nessuno di essi potesse essere riparato.
 
Quando Jarvis terminò di tradurle la fatale domanda, la ragazzina scattó nuovamente in piedi, i pugni stretti, le labbra tirate, il volto paonazzo e gli occhi gonfi di lacrime.
Ma resistette poco nel mutismo in cui si era severamente costretta e, naturalmente nella sua lingua, come un fiume in piena, cominciò ad urlare contro Tony quelli che, già solo al tono, avevano tutta l'aria di essere disperate proteste e irritati rimproveri.
 
Sahar battè con rabbia i suoi piccoli pugni chiusi contro il petto di Tony che, invano, cercava di fermarla e calmarla, incassando virilmente ogni colpo come se sapesse, dal profondo del proprio cuore, di meritarselo uno per uno.
Quando ebbe sfogato la propria rabbia, senza che potesse comunque comprenderne appieno le ragioni, la piccola si abbandonò alle lacrime, poggiando la fronte al reattore, fino a quel momento nemmeno sfiorato dai pugni di lei, stringendogli tanto disperatamente la maglia nell'aggrapparsi a lui, che fu sul punto di strappargliela.
 
Ma quando Tony fece per stringerla, la ragazzina si divincoló e lo respinse, riprendendo più forte di prima il suo fiume di violento rimprovero, fra i singhiozzi.
 
Si rannicchió infine sul letto, a piangere convulsamente.
 
Tony rimase lí impalato: credeva d'aver portato a casa una bambina... E si ritrovava ad assistere a quella che sembrava a tutti gli effetti una crisi adolescenziale.
E le crisi adolescenziali non sono facili da gestire nemmeno nella propria lingua.
 
Ma Tony aveva frainteso tutto...
 
-Jarvis, una breve sintesi dei punti salienti di ciò che ha detto...?- domandó in un sussurro, a braccia conserte, scuotendo il capo.
 
Pochi attimi dopo, l'uomo si ritrovò a pentirsi di aver domandato quella traduzione.
 
-La signorina Sarah si esprime spesso con forti inflessioni di un dialetto poco conosciuto, signore!- cominció il computer -Ma da quel che ho captato, rimprovera aspramente le sue intenzioni di prendere altre cinquantaquattro mogli!-
 
-Cinquanta... Cinquantaquattro mogli???-
 
-Proprio così, signore!-
 
Cinquantaquattro mogli? Una per ogni orologio...Dunque era questo ciò che pensava Sahar? Che lui scambiasse orologi in cambio di mogli? Assurdo! Eppure...
 
Jarvis continuò -Non è tutto, signore: la rimprovera anche di aver chiesto in sposa a suo padre, in sua presenza, senza aver atteso nemmeno un mese e senza aver ancora consumato il matrimonio,  la "donnaccia dai capelli rossi": domando scusa, signore, per non aver saputo darle una traduzione più chiara e precisa di quest'ultima espressione!-
 
Ma a Tony, purtoppo, era tutto molto chiaro, e più Jarvis continuava, più il suo turbamento cresceva.
 
-Continua...- gli ordinò in un fil di voce.
 
-Le ricorda che non le dedica abbastanza attenzioni, che il fatto che lei, signore, sia un angelo delle stelle, e anche in questo punto mi auguro che la traduzione sia esatta, non le da diritto di spezzarle il cuore e...-
 
Jarvis non finí nemmeno la frase che Tony lo fermó, pallido: non aveva la forza di sentire altro ed uscì dalla stanza in preda ai rimorsi.
 
-Merda!!!- esclamó.
 
 
 
 

Grazie, voce narrante: da questo momento in poi posso anche continuare da me...

 

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


Dicevo? Ah già... Merda!!!

Gran bel casino!

Casino che, naturalmente, non avevo la più pallida idea di come sistemare.

Ah, Tony, idiota di un cazzone: te l'avevo detto che ti saresti cacciato in un mucchio di guai, con quella ragazzina!
Avresti dovuto tenere bene in conto il fatto che fosse femmina, quando l'hai presa con te: maggiorenni, maggiorate e disinibite sono spassose per una notte.
Per più di una notte diventano una palla al piede e, grandi o piccole che siano, si trasformano in petulanti rogne ambulanti.
Ora cosa cazzo racconterai alla cara mrs Parker?
Che la piccola ti considera suo marito? Che fa la mogliettina gelosa? Le chiederai di chiudere un occhio sul fatto che fra qualche anno potrebbe capitare di portartela accidentalmente a letto, perché lei pretenderà da te i tuoi doveri coniugali???
Non riuscii a far tacere i miei pensieri nemmeno sbattendo la testa contro il muro: quella vocina era sempre lí a parlarmi, a dirmi come stavano i fatti, a ricordarmi che avevo fallito. Ancora una volta.

-Sta' zitto! Basterà spiegarle con calma che...-

-Che cosa, Tony? Che non sei suo marito ma suo padre? Che non vuoi essere affatto un genitore ma ti sei costretto a diventarlo perché la ami tanto da non poter vivere senza di lei, anche se non hai alcuna intenzione di esserne marito e perciò, anche se aborri già la sola prospettiva, tra farle da marito e farle da padre, preferisci la seconda opzione...?-

-...Sí!-

- Spassionatamente: dopo non aspettarti che scatti un bacio alla Titanic...-

-Piantala, è una bambina!!!-

-Che è certa di essere tua moglie!-

-Piantala, ho detto! Non sono suo marito! E non sono nemmeno suo padre!-

-Tony... Se non sai nemmeno tu che cosa sei, come diavolo pretendi di spiegarlo alla ragazzina?-

-...Non lo so...-

-Ti crede un angelo... Un angelo, TU! C'è da sganasciarsi, non trovi?-

-...Ha soltanto visto un disegno, è confusa...-

-...Esattamente come te!-

-...Lo so...-

-Sai perché ora ti trovi nella merda fino al collo...?-

-Ehi, un momento: perché mai dovrebbe essere un problema? Le spiegherò le cose come stanno e...-

-...In ogni caso le spezzerai il cuore e le cose peggioreranno di giorno in giorno!-

-Sapevo dall'inizio che non sarebbe stata una passeggiata...-

-Ma se le cose si complicano, e sai che accadrà, te la toglieranno. In ogni caso la perderai, Tony, e non hai tempo per impedirlo: è una faccenda che è nata in modo sbagliato e in modo sbagliato finirà!-

-...Merda!-

-Tu non saresti comunque in grado di farle da padre, guarda in faccia alla realtà!-

-No, non lo sono...-

-Non è colpa tua: in fondo, tu non hai mai avuto davvero un padre...-

Quella considerazione fece male più di tutto.
Fu più dolorosa della consapevolezza di non essere ciò che si aspettavano da me.
Più dolorosa dell'attesa, perché altro non era, che aprissero la porta e prendessero la piccola per portarla via da me... Perché mi consideravano indegno dell'amore di tanta innocenza...
Non avevo mai detto addio ai miei genitori.
Non avevo mai detto addio a quel padre di cui ricordavo solo i rimproveri e le porte che mi chiudeva in faccia, e col momento dello schianto della loro auto, non avevo ancora saldato tutti i conti...
Ecco perché faceva ancora tanto dannatamente male.

-A causa sua, te la porteranno via e non c'è nulla che tu possa fare!-

-No!-

Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a smettere di pensare che fosse vero... Era colpa sua... Era ancora colpa di mio padre...

-Lui te l'ha data, lui se l'è ripresa...-

L'orologio... Quel maledetto orologio con cui l'avevo comprata, era quello di mio padre... Lui mi aveva offerto la possibilità di prenderla con me, lui mi aveva occluso la possibilità di tenerla...

-Dopotutto ha sempre fatto così, per tutta la vita...-

Fermare quel fiume di velenose considerazioni su mio padre divenne quasi impossibile: non credevo di portargli ancora così tanto rancore dopo più di vent'anni... Invece, ad ogni constatazione, mi si apriva una voragine sempre più grande e cocente nel cuore...
Quel cuore martoriato per troppe volte...
Mi ritrovai a ricordare ciò che non avrei voluto: che aveva sempre rovinato ciò che amavo, che aveva fatto soffrire me, mia madre... Ed ora la piccola... Come una maledizione che mi portavo addosso, poco importava se fosse morto o meno...

-Tony, in fondo dovresti ringraziarlo...-

Perché mai dovrei...? Non vedo nemmeno un motivo...

-Volevi salvarla dal deserto, giusto? Beh... Bravo, ce l'hai fatta!-

-Questo è vero...-

-Il tuo compito è finito! Prendila così! Ora puoi tornare alla vita che amavi tanto: donne...-

-...Sesso vuoto e un letto freddo la mattina-

-Orde di ammiratrici...-

-...Che non vedono l'ora di mettermi le mani nei calzoni, solo per avere un quarto d'ora di notorietà-

-Serate di gala, aste di beneficenza, premiazioni...-

-...Dove vagheró da solo come l'imbecille in cerca della prima che mi capita da rimorchiare-

-Feste indimenticabili...-

-...Così indimenticabili che mi ubriacheró fino a star male e di cui non mi ricorderò un cazzo-

-Le tue innovazioni per le Stark Industries, nuovi fantastici brevetti per ottimizzare le tue armi...-

-...Che serviranno a distruggere villaggi e uccidere innocenti all'altro capo del mondo-

-La tua bella casa tutta per te...-

-...Maledettamente vuota-

-La tua bella vita di prima...-

-...Maledettamente vuota!-

-Oh, andiamo Tony, ma sentiti! Non eri tu quello che voleva tornare a fare esattamente tutto questo? La vita ti sta offrendo generosamente un'altra possibilità e tu la butti nel cesso? È da perfetti coglioni! Allora? Che mi dici?-

-...Che sono un coglione!-

 
Mi alzai dal letto, stavolta senza controllare nuovamente l'orologio: operazione inutile.
Merda! Merda! Merda!!!
Chiedevo tanto? Volevo solo darle una vita migliore ed ora, invece, cosa mi ritrovo?
Una ragazzina che non parlava la mia lingua, confusa, convinta di essere mia moglie e che si sentiva, quindi, tradita perché credeva che, donando un orologio al padre di Pepper, avessi comprato sua figlia. Cioè, gliel'avessi chiesta in sposa!
Mi credeva un angelo... Bell'angelo, che ero!
Giuro: nella prossima vita, se c'è una dopo di questa, non cadró dal cielo con un reattore luminoso nel petto: porta solo guai!
Ero padre da poco più di una settimana e lei era  la prima a non saperlo.
Forse dovrei dare ascolto a tutti, non sono tagliato per questo genere di cose: c'è chi nasce per fare il pilota, chi nasce per fare il medico, chi nasce per fare l'inventore, chi nasce per fare il poeta... Io, certamente, ero nato per molte di quelle cose, ma di certo, non ero nato per fare il padre!
Ero solo un coglione, senza tempo per cambiare le sue carte. O per cambiare le sue stelle, se vi piace l'idea di un Tony Stark poetico.
Ma, come padre o come marito, non importava... Lei mi amava.
E anche se non sapevo bene come, io amavo lei.
Quindi che importava, tutto il resto?
Se lei mi amava e anche io l'amavo davvero, avrei dovuto dimostrarglielo.
E come dimostra d'amare, un padre...?
Ecco il punto.
Non avrei mai immaginato potesse essere tanto doloroso.
In realtà... In realtà, senza volerlo, mio padre mi aveva già insegnato a dimostrarlo: era tutto lì, nel dolore mai consumato dello schianto della sua auto.
Solo che ancora non potevo saperlo...
Di una cosa, però, ero certo: un padre cerca di proteggerti.
La piccola si era già sentita tradita una volta e non avrei commesso lo stesso errore: l'avrei protetta.
Perfino da me.
Ma come...?
 
In laboratorio, mentre i miei pensieri fluttuavano su quell'interrogativo e fra le mie mani cominciava a plasmarsi qualcosa che non possedeva ancora un nome, una forma, nè un'utilità, esattamente come l'amore che provavo per la piccola e quello che rappresentavo per lei, tentai di rifletterci e, l'unica risposta che riuscivo a darmi, era identica all'oggetto metallico che stavo costruendo: non lo sapevo ancora!
 
Le idee cominciarono a schiarirsi solo molto più tardi, quando, colpito dai primi raggi del sole, tra le mani mi trovai un propulsore, alimentato col mio mini reattore arc.
-Jarvis, producili in serie! Dagli un po' di colore... Rosso e oro!- ordinai, mentre lo provavo su una lastra di vetro che finí in frantumi.
In quell'istante la nebbia si diradó: forse potevo usare le mie stesse armi, per proteggere la piccola.
Se avevano seminato paura e morte, avrebbero potuto adesso assicurarle protezione: sarebbe stata un'occasione di redenzione, anche per me...
 
Ma se non fossero state sufficienti...?
 
Mi balenó l'idea che da solo non potessi riuscirci, che avessi bisogno d'aiuto, per proteggerla.
Proteggerla da cosa? Bella domanda!
Dai servizi sociali... Dal mondo in cui l'avevo portata e che forse era sbagliato quanto il suo... Dalle mie paure, credo...
No, tranquilli: per quanto m'arridesse l'idea, non avrei puntato un Jericho contro mrs Parker!
Volevo solo dimostrare che, se dentro di me non ero abbastanza forte per proteggerla, in un arsenale come le Stark Industries sarebbe comunque stata al sicuro.
Tutto ciò che dovevo fare era premere un tasto.
Lo feci.
-Jarvis...?-
-Sí, signore?-
-Proteggi Sarah Stark da qualunque minaccia di pericolo: oggetti, uomini, animali, situazioni, non importa, proteggila e basta, ad ogni costo. Hai libero accesso al controllo delle armi!-
-Sarà fatto, signore!-
 
Sapete una cosa? Mi fa proprio bene parlare con voi, ha un che di... Liberatorio! Grazie, mi sto affezionando alle nostre chiacchierate...
 
 
Ed ora cancellate tutta questa robaccia melensa alla romanzo Harmony e andiamo avanti!
 
Voce narrante...? Forse era meglio se continuavi tu: credo di essermi sputtanato per sempre!
 
 Merda!








  Cari/e Lettori/rici, la storia giunge quasi alla conclusione! Niente paura, cercherò di postare più presto che posso, grazie per la paziente attesa, siete degi angeli (o dei "mallaki" come direbbe Sahar!XD)
Enjoy!^^
 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


Quella mattina, Tony Stark...


 

No, no voce narrante, sta' un po' zitta, ok?

Sí, lo so che sono stato io a dirti che forse era meglio lasciare continuare te e so già che mi pentiró di ciò che sto per fare, ma non posso lasciare raccontare a te questo capitolo, non posso proprio, è... Troppo delicato!

Si tratta di cose troppo intime, voglio essere sincero coi miei lettori e quindi voglio essere io a raccontar loro come sono andate a finire le cose.

Se un giorno, questa sottospecie di diario diventerà un best seller, allora ok: sei libera di prendere la parola quanto vuoi.

Ma l'ultimo capitolo è troppo importante e finché tutto questo resterà una confidenza fra me e loro, lascialo a me: avró pur diritto a porre da me la parola "fine" alla mia storia.

Perché è di questo, che stiamo parlando: della fine, del calo del sipario, della chiusura del libro.

Della fine nel senso più ampio del termine.

Quindi taci e permetti che mi congeda da solo, con dignità.

Vorrei rendere indimenticabile quest'ultimo fondamentale passaggio, ma non sono un bravo cantastorie, perciò vi chiedo scusa, gente, nel caso non dovesse essere affatto il finale che vi aspettavate.

Vi chiedo scusa.

Scusa per avervi preso a parolacce, scusa per avervi trattato male, scusa per essermi comportato da vero coglione.

Scusa anche a te, voce narrante, non volevo mancarti di rispetto con... Come? Dovrei chiedere scusa a qualcun altro? Vi riferite alla piccola, vero...? Ho provato a chiederle scusa, ma credo non basti una vita, a pareggiare i conti con lei...

Quindi eccomi alle prese con quest'ultimo capitolo... E quindi di nuovo nella merda fino al collo e, come sempre, nei guai mi ci sono cacciato da solo: un classico del mio stile! Ci avrete fatto l'abitudine, immagino...

Con cosa mi sono impelagato stavolta? Ma come con cosa? Con questo! Sí, esattamente con questo capitolo: voglio prendere in mano le redini del finale e spronarlo al galoppo fino al traguardo... Ma non so nemmeno da dove cominciare!

Mi suggerite di cominciare da un ricordo?  Ah, già: quasi dimenticavo che siete tutti dei piccoli fottutissimi Freud.

D'accordo... Ma ho ricordi piuttosto confusi di quella mattinata, solo pochi sono davvero nitidi.

Giusto: cominceró da quelli.

Ricordo nitidamente le lacrime di Pepper, il bacio della piccola e il volto sorridente di mia madre.

...Non ci avete capito niente, eh?

Ok, cercherò di riordinare un po' le idee e dare un senso logico alle tre cose che vi ho appena elencato, ma cercate di capire: nelle mie attuali condizioni, non serve a molto, ricordare e se lo faccio è solo per voi.

Dunque...

Tornando al discorso sul resistere o lasciare che i servizi sociali  mi togliessero la bambina, in quei momenti ricordo che sapevo che in qualche modo avrei fatto comunque un tentativo, perché nessuno fotte Tony Stark senza che lui nemmeno se ne renda conto.

Era mio diritto provarci, lottare per dimostrare ciò che non ero riuscito a provare fino ad allora, dar loro prova di essere perfettamente in grado di tenere la piccola con me, dar loro prova del fatto che avessi un cuore, sotto la lega di metallo e palladio che mi avvelenava il sangue, ma che mi consentiva di vivere.

Il reattore era il motore che consentiva biologicamente alla mia vita di non spegnersi; la piccola, forse, era quello per cui aveva ancora un senso non toglierselo dal petto.

Mandata a puttane la voce insopportabile dei miei pensieri, quando vidi la piccola entrare in laboratorio di buon mattino -Pepper aveva già provveduto alla sua colazione come una mamma- repressi negli angoli più remoti della mia mente tutto ciò che era avvenuto il giorno prima... E non era stato poco!

Cancellai l'incidente diplomatico con lei per l'orologio regalato al padre di Pepper; un patrimonio in orologi andato letteralmente in frantumi; avere assicurato all'assistente sociale che io e Pepper ci saremmo sposati, senza avere l'ombra di un piano di riserva per ovviare alla cosa...

Il fatto che, poche ore dopo, secondo la piccola, avessi "comprato" e quindi chiesto in sposa Pepper a suo padre, secondo voi... Voglio dire... Avrebbe dovuto farmi riflettere su qualcosa? Era solo una coincidenza?

No, no, fermi con le baggianate: le ragazze come Pepper, non sposano gli uomini come me!

Non che con questo voglia dire che mi sarebbe piaciuto sposarla, intendiamoci: il matrimonio non ha mai fatto parte dei progetti di Tony Stark!

Andiamo, mi ci avreste veduto davvero a fare il maritino???

Me ne sbat... Va bene, me ne infischio -meglio così?- del vostro coro di sì: Pepper non vivrà con me una storia d'amore alla Cenerentola, la piccola serva non sposerà il bel principe azzurro!

Lo so, lo so, so benissimo che Pepper non è affatto una piccola serva: lo è quanto io sono il principe azzurro.

Solo che la bellissima, preziosissima e serissima assistente personale di un magnate dell'industria delle armi donnaiolo, facile all'alcol e da cui sarebbe mille volte più probabile ricevere più o meno esplicite avances sessuali, che un biglietto d'auguri di compleanno scritto di suo pugno, non sposerebbe mai il suo capo.

Non avrebbe nemmeno ragione d'innamorarsene, a ben pensarci!

Potrebbe provarne pena... Ma non amore.

Lei sa di meritare molto di più, lei sa già di essere una principessa: non le occorre affatto che un eccentrico figlio di puttana travestito da principe glielo ricordi, no...?

Sto divagando, credo!

Che stavo dicendo? Ah, sí... Archiviai l'incidente col regalo al padre di Pepper, gli orologi distrutti, la faccenda delle cinquantaquattro mogli e la spinosa questione del fatto che la piccola mi credesse suo marito.

Nella mia mente, il nulla.

Tabula rasa.

Ripartii da zero.

Il matrimonio sembrava essere il bizzarro leitmotiv di quei giorni, e con esso gli orologi, l'essere genitori...

Cosa diamine erano, segni?

Sì, lo ammetto: la testa mi si riempì di concetti come il senso della vita, il tempo, le priorità e altre stronzate metafisiche!

La piccola, dopo la sfuriata del pomeriggio precedente, sembrava essersi decisamente calmata, anche se non potevo escludere che ce l'avesse ancora con me.

Tuttavia ignorai volutamente quella possibilità : non volevo che influenzasse la mia volontà di recuperare con lei o ricominciare tutto dall'inizio, se necessario.

Ho ricordi confusi e sfuocato, di quella mattina, ve l'ho detto... Ma le parole "mallak annaru war hab" mi risuonano ancora chiaramente nelle orecchie nella precisa intonazione in cui le pronunciava lei...

 
Stavo perfezionando e collaudando i propulsori prodotti in serie da Jarvis nelle ultime ore.

Erano belli e lucenti, di un bel rosso fiammante e le rifiniture dorate li rendevano preziosi e non comuni.

Centravo col raggio del guanto di vibranio le lattine di birra vuote, che avevo posizionato sul bancone di lavoro a uso bersaglio.

Le distrussi una per una.

-Mallak annaru war hab...- mormorò lei, fra sé, vedendomi colpire le lattine col raggio del propulsore rosso e oro.

Fu la prima volta che le sentii pronunciare quelle parole.

Le tesi la mano libera dal guanto perché mi raggiungesse e cercai quindi di spiegarle che non capivo quel che diceva e che avrebbe dovuto sforzarsi di farsi capire nella mia lingua.

-Mallaki! Mallak annariu war hab!-

Vidi nei suoi splendere una viva luce d'orgoglio, quando Jarvis tradusse per me.

-La traduzione letterale è "angelo di fuoco e oro", signore!-

Angelo... Ancora quella storia...

Tentai, credo inutilmente, di farle capire che non doveva chiamarmi angelo, ma papà. Che non avevo ali. Che potevo cadere dal cielo, come mi aveva visto fare, sí... Ma non volare.

A lei non sembrava affatto importare molto: al di là delle sue convinzioni, della sua ingenuità, c'era qualcosa di lei che non riuscivo a cogliere e che ebbi solo il tempo d'immaginare, di sfiorare.

Era qualcosa che leggevo nei suoi occhi languidi e nel suo sorriso sicuro: poco importava che io fossi una stella, un angelo, un marziano o un dinosauro... Non era quello il punto!

Non importava che io lo fossi o no: lei credeva, lei sapeva, lei aveva fede in me.

Ero un angelo di fuoco e oro, ai suoi occhi: stava a me, adattarmi alla sua visione...

Ma non ebbi il tempo di capire.

Fu come se da quell'istante, il tempo cominciasse a sfuggirmi letteralmente di mano senza che io potessi fare nulla per cambiare la cosa.

Basta un attimo e la vita ti si rivolta contro... Io ne sapevo qualcosa.

La verità è che sei costretto a percorrere una strada e la vita, talvolta, t'impedisce di sbagliare ancora percorso.

Questo succede quando non hai più tempo... Allora ti mostra la via e ti dice che è quello il momento di affrontarla. Che non c'è un dopo.

A quel punto non puoi fare altro che ubbidire e seguire il suo copione.

Pepper entrò in laboratorio di lí ad un minuto, pallida e con gli occhi gonfi e rossi di pianto: tra le mani un fax.

Ricordo che mi spiegò brevemente e con voce tremante che, la domanda di un nuovo esame del mio caso formulata da msr Parker, era stata respinta e che, in base ai dati raccolti il giorno prima, i servizi sociali avrebbero mandato, quel pomeriggio stesso, qualcuno a prelevare la bambina.

Tutto qui.

Game over.

Il silenzio di Pepper che seguì parlò per lei che, compostamente, lasciò il laboratorio e me da solo con la bambina, irritata dal non averlo potuto evitare, lo sentivo, e mortificata dal fatto di dover essere stata proprio lei a comunicarmi la condanna.

Non riuscii a direnemmeno una parola.

Conoscete la sensazione che si prova quando si dorme e si sogna di cadere? Amplificate quella sensazione per un tempo indefinito e imbottitela di rabbia.

Il risultato? Mezzo laboratorio distrutto in meno di cinque minuti, sotto lo sguardo disorientato della piccola.

Seguì il silenzio che aveva preceduto il tutto.

Mi tolsi il guanto e lo gettai sul bancone.

Presi in braccio la piccola... E in un primo momento non mi accorsi di ciò che stava accadendo.

-Jarvis, fa pulire questo posto!- ordinai freddamente, avviandomi alla porta con la ragazzina fra le braccia, perché non si ferisse coi vetri rotti sparsi ovunque.

Ciò che mi parve strano fu il non ottenere nessuna risposta da parte di Jarvis...

Ancora più strano fu quando la porta venne bloccata un istante prima che la aprissi.

-Metta a terra Sarah Stark!- mi sentii ordinare.

-Jarvis... Cosa cazzo stai...?-

-Non glielo ripeterò una terza volta, signore!- mi interruppe -Metta a terra Sarah Stark!-

Mi si geló il sangue.

Ubbidii: cos'altro avrei mai potuto fare?

Un attimo dopo, tutti i propulsori del laboratorio, cinquanta dei quali già terminati e perfettamente funzionanti, erano puntati contro di me.

Sí: fu proprio una di quelle situazioni che oserei definire, senza ombra di dubbio, "una situazione di merda"!

E, come al solito, mi ci ero cacciato da solo, con le mie stesse mani!

A nulla valsero i miei tentativi di disattivare Jarvis col comando vocale: non rispondeva più alla mia autorità.

La sua completa attenzione era stata assorbita da ciò che ero stato io ad ordinargli di fare: proteggere l'incolumità della piccola.

Il mio scatto d'ira era stato interpretato come "possibilmente lesivo alla persona di Sarah Stark", il pericolo ero diventato io... Ed era quindi me, che doveva distruggere.

Come da mia personale disposizione, dopotutto.

Porca puttana!

Non domandatemi come avvenne che, la parete alle mie spalle, venne completamente rasa al suolo, mentre io e la piccola ci ritrovammo miracolosamente illesi, rannicchiati e stretti l'uno all'altra, dietro il solido acciaio di uno dei miei banconi da lavoro, perché non ne ho la più pallida idea.

Quando Pepper, tornata di corsa a vedere cosa stesse mai accadendo, fu accolta da Jarvis nel medesimo modo riservato a me, capii che il computer era ormai completamente fuori controllo.

Non ero io, il problema: nessuno poteva avvicinarsi alla piccola!

Non potevo fermarlo.

Non potevo combatterlo.

Fu un momento, un breve, piccolo istante in cui realizzai che se volevo che nessuno si ferisse o peggio, se volevo che la piccola e Pepper uscissero illese da quella situazione, non avevo altra scelta se non quella di percorrere quei due metri che mi separavano dall'interruttore manuale sulla parete e disattivare manualmente Jarvis.

Pepper, fuori, mi fissava in lacrime.

Ma non avevo scelta: avevo commesso un errore e lo avrei scontato.

Quello sarebbe stato un gesto d'amore...?

Sì...

Sarei stato un buon padre, almeno per una volta nella mia vita, e se era destino che fossi separato da lei, lo avrei fatto di proposito, con una ragione valida: l'avrei fatto per amore.

Io non ero mio padre, ero Tony Stark: non avrei portato nella tomba con me chi amavo. Io l'avrei salvata!

E la vita, grazie al cielo, non mi aveva dato modo di scegliere quella via: me l'aveva insegnata e imposta.

Mi voltai verso la piccola... E mi sorpresi di non vederla spaventata. Tutt'altro era consapevole. Ed era orgogliosa di me.

-Ti amo, mallaki!- mi sussurrò.

Ed io non potrò dimenticarlo mai. Non potrò mai dimenticare il modo in cui pronunciò quelle parole: non era una figlia, non era una moglie innamorata... Era qualcosa di più. Era lo stesso folle amore che provavo io e a cui non sapevo dare un nome.

Le baciai le labbra con tutto l'affetto e l'amore del padre che non avevo avuto il tempo di essere.

-Tony?-

Mi voltai... E la vidi: lei era lì, bella come un angelo, in piedi vicino alla parete, a sorridermi giocosa e a rendermi le mani.

Lei era lì...

-Mamma...- mormorai in un sorriso sereno quanto il suo, nel vederla lì per me, nell'abito color panna che adoravo, coi capelli sciolti, i piedi nudi delle nostre passeggiate in spiaggia.

Era venuta a prendermi: cosa avrei potuto temere?

-Vieni qui, tesoro! Vieni da me!- mi incoraggiò sorridente, come quando mi invitava a seguirla in acqua a giocare.

No, non avevo paura, non più!

La piccola era al sicuro, e lo sarei stato anche io, molto presto...

Mi alzai e camminai piegato in avanti fra i due banconi d'acciaio che mi facevano in parte da scudo.

Avanzai verso di lei, lasciando che Jarvis abbattesse il mio corpo senza difese.

Non riuscendo a raggiungere direttamente me, colpiva i banconi, il pavimento, le pareti, distruggendo e facendo esplodere tutto ciò che gli capitava di colpire.

Ma io non sentii nulla.

Non sentii gli spari a raffica, senza tregua.

Non avvertii il dolore dei pezzi di metallo che mi entravano nelle carni, né le schegge che mi penetravano nelle ossa, né il vetro che mi feriva gli occhi.

Non avvertii la vita che mi abbandona sa: tutto era ovattato, come in un sogno, come in un film.

Vedevo solo lei.

Pigiai l'interruttore con le ultime forze rimastemi e quando, vittorioso, mi accasciai vinto ai suoi piedi, nell'improvvisa quiete che era scesa intorno e dentro me, e vidi l'immensa, brillante luce che la circondava, fui finalmente al sicuro e tutto tacque.

-Sono fiera di te, amore mio! Sono molto fiera di te!-

Sentii la sua mano carezzarmi la fronte, mentre mi sorrideva rassicurante: le carezze di mia madre furono l'ultimo meraviglioso dono di quella stupenda avventura.

Chiusi gli occhi, sereno.

E quella luce immensa e brillante più di ogni altra luce mai vista su questa terra, appartenne anche a me.











Note: Mmmmh... Non ho messo la parola "FINE"... chissà come mai! *trollface*

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


La luce si fece man mano più intensa e accecante... Fino a ferirmi fastidiosamente gli occhi, quando li riaprii.
 
Paura, eh?
 
D’accordo, mettiamo subito le cose in chiaro: non sono morto!

Se lo temevate, eccomi qui: un po' acciaccato e dolorante, ma vivo e vegeto.

Se lo speravate... Vaffanculo!

 
-Tony... Tony, può sentirmi?-

-Mamma...- mormorai in un fil di voce.

Un sottile riso femminile seguì il suo delicato bisbiglío.

-Si è svegliato, ma mi sembra un po' confuso! Grazie, dottore: resterò io con lui…- sentii la sua voce divertita. Era sollevata, lo si percepiva dal tono. Una voce familiare che non si rivolgeva direttamente a me.

-Pepper?- esclamai, cercando di mettere a fuoco.
 
-Bentornato, Tony! Ci ha fatto stare molto in pena, in queste settimane, sa?-
 
Ero disteso su un letto, attaccato ad una flebo, con un braccio immobilizzato da una fascia attaccata al collo, la testa bendata e un collare ortopedico che a stento mi consentiva di girare la testa.

-Dove sono...? Che è successo? Stanno tutti bene?-

Pepper sospirò profondamente.

-L'auto blindata su cui viaggiava lei... I soldati che l'accompagnavano... Loro... Pensavo sapesse che...-

-Quale... Auto blindata? La piccola sta bene? Dov'è? Voglio vederla! Non l'hanno portata via, vero? Non possono averla portata via dopo quello che è successo...-

-La... "la piccola"?- mi domandó smarrita Pepper, seduta al mio capezzale -Tony... Lei sta cercando di dirmi che c'era una bambina, lì dov'era prigioniero...?-

-Prigioniero? No… Quando sono tornato, io… Jarvis... È stato disattivato, vero? Avete già fatto una stima dei danni? Ma la piccola... Come sta? Dov'è?-

Tentai di alzarmi, agitato, ma Pepper mi bloccó prontamente.

-Dove crede di andare? Non deve muoversi dal letto: è in ospedale, non c'è nessuna "piccola", Jarvis è a casa, efficiente come al solito e non c'è nessun danno... Al di fuori della precipitazione in borsa delle azioni delle Stark Industries: il suo rapimento è stato un vero smacco, sono calate del venti percento in meno di una settimana, ma sono certa che il suo ritorno ristabilirà le cose... E stia giù, la prego...- mi rimboccó le lenzuola, con occhi lucidi -È appena tornato da un'esperienza orrenda, ha diritto di riposare e non pensare a queste stupidaggini...-

-Appena tornato...?-

-Sí... L'hanno rapita tre settimane fa... In Afghanistan... Un gruppo di terroristi... Quando è riuscito a scappare e Rhodes l'ha ritrovata, lei non era in sé, ha trascorso tre giorni qui, in questo letto, in coma: non si ricorda niente, di quello che è accaduto?-

Impallidii.

No! No, non poteva essere!

Ero davvero appena tornato...

Non c'era stato nessun deserto. Nessuna Sarah Stark.

Un fottutissimo sogno... Un'allucinazione vivida...

Mi ridistesi, pensieroso e con un incolmabile senso di vuoto nel petto. Mi portai una mano al cuore: il reattore non mi era mai parso così freddo, prima di allora...

La piccola non era stata altro che un parto della mia immaginazione, un personaggio dei miei sogni, qualcosa che la mia mente aveva  creato mentre ero in coma, a lottare tra la vita e la morte.

Sahar era tutto ciò di cui avevo paura e bramavo allo stesso tempo. Era anche molto altro...

Non poteva essere stata solo un'allucinazione: era stato tutto così reale...

Sorrisi fra me, guardando distrattamente Pepper: non l'avevo mai vista in quello stato di tale agitazione e sollievo, nel vedermi, non avevo mai visto il suo volto stanco ma felice... E ad un tratto mi parve di vederla per la prima volta.

-Sí, mi ricordo perfettamente...- le risposi, rassicurandola -Ho fatto un sogno...- mormorai.

-Che sogno?- mi domandó curiosa, sorridendo del fatto che evidentemente stessi lentamente tornando in me.

-Un giorno glielo racconterò!- promisi in un sospiro -Credo di dover fare delle cose, appena andremo a casa... Fuoco e oro... Mallak annaru war hab...- mormorai fra me, ripassando in rassegna tutto quello che avevo vissuto... Ovvero creduto di vivere...

-Ha intenzione di avere figli?- le domandai di punto in bianco, dopo un attimo di ponderato silenzio.

Dopo un istante di sorpreso imbarazzo, la ragazza annuí.

-Non sono la mia priorità, ma... Immagino di sì, mi piacerebbe, signor Stark- ammise candidamente -Sì!-

-Sarah?-

-...Come?-

-Le piace? Come nome, intendo...-

-Mia...Mia madre si chiama Sarah e... Sì, mi piace molto, ma perché me lo...-

-Bene!- la interruppi, mentre il mio sguardo si fermò sul suo polso sottile, che sfoggiava un orologio piuttosto misero, ai miei occhi.

-Devo regalarle un orologio... Uno dei miei...- le sorrisi -Immagino dovrò regalarne anche uno a suo padre... E portarla fuori a cena!- conclusi.


Pepper mi guardava del tutto smarrita, ma non osò contraddirmi.

-Se è questo ciò che vuole...- rispose timidamente lei, in un sorriso: credo mi stesse assecondando.

Mi ero appena risvegliato da un incubo durato diverse settimane e non giurerei che badasse seriamente a quelli che dovevano sembrarle i vaneggiamenti di una mente appena ripresasi da un coma.

Ai suoi occhi ero solo confuso.

Ma credo di avere avuto poche volte, nella mia vita, momenti lucidi come quello... E mi ritrovai a fissarla a lungo, con tenerezza.

-Sí,lo voglio!- mormorai in un sorriso consapevole.

Pepper mi guardò interrogativa, ma mi sorrise, come si sorride a un bambino, prima di lasciare la stanza perché potessi riposare tranquillo.

Ma come potevo riposare?

Non potevo smettere di pensare che avessi un mucchio di cose da fare, di cose da sistemare dentro e fuori la mia vita.

Non potevo smettere di pensare alla piccola.

Non potevo smettere di pensare a Pepper.

Non potevo smettere di pensare al dono, alla possibilità che mi era stata offerta... E non potevo smettere di pensare che lo dovevo a mia madre.

Mi aveva mandato un angelo in sogno, a guidarmi, perchè tutta la vita non avevo avuto idea di cosa fare: ora, per la prima volta, mi trovavo ad avere le idee molto chiare.
 



 
Adesso sí che la storia è davvero finita!
 
Anzi, no... Adesso sí che la storia comincia davvero!
 
                          
 
 


 

                                                                            FINE



 











Note: In questo grigio venerdì d'influenza, sono orgogliosa di annunciarvi che ora è davvero finita e che potrebbe essere considerata una sorta di fantaprequel del primo film di Ironman!XD
Grazie davvero di cuore a tutti per essere arrivati fin qui con la lettura! =)
Sono contenta anche se vi ho solo fatto trascorrere un paio di minuti di svago o sorridere un po', in bene o in male non importa!^^
Grazie!^^

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