Long Way

di Angel666
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Dave:

Le urla dagli spalti erano sempre più assordanti e riuscivano a penetrare attraverso il casco, rimbombando nelle orecchie. Aveva anche iniziato a piovere: l’erba era brillante e scivolosa, rendendo il gioco ancora più complicato.
Dave alzò lo sguardo e lo piantò dritto negli occhi della guardia destra avversaria; amava il momento prima del fischio d’inizio: l’adrenalina entrava in circolo e tutto assumeva contorni perfettamente nitidi. Avrebbe voluto che anche la sua vita fosse così chiara a volte,che le cose si muovessero a rallentatore per poter prevenire le mosse altrui.
Finn afferrò la palla e la lanciò dietro, dove Puck la prese al volo.
Senza neppure pensarci Dave si buttò avanti, avido di un contatto fisico che non tardò ad arrivare. La guardia avversaria era il doppio di lui, il che era tutto dire.
Il colpo lo centrò alla spalla, espandendo il dolore nella cassa toracica.
A Dave piaceva il dolore, gli ricordava di essere vivo.
Aveva smesso di preoccuparsi delle regole del gioco da molto tempo ormai; quello che cercava era puro movimento.
Gli altri giocatori si passavano la palla in fretta e con precisione: Adams, Stevens, Hudson.
Erano in vantaggio di soli 4 punti e non potevano permettersi di farli recuperare.
Stavolta non era stato necessario fare balletti: le Cheerios erano tornate al loro posto. Peccato, pensò David, in fondo si era divertito ed avevano pure vinto, conquistando il rispetto della scuola. Williams aveva fatto punto. Lasciò vagare lo sguardo sugli spalti mezzi vuoti del McKinley e lo vide.
Sapeva perfettamente dove era seduto da prima che iniziasse la partita, ma si era imposto di non rivolgergli nemmeno uno sguardo. Aveva resistito fino al secondo tempo.
Subito sentì lo stomaco rivoltarsi.
Che cos’era? Senso di colpa, rimorso, paura o semplice eccitazione? Non lo sapeva nemmeno lui. Sapeva solo che da più di tre mesi non aspettava altro che le partite di football per vedere Hummel che veniva a fare il tifo al fratello. Ogni volta resisteva sempre qualche minuto in di più a non guardarlo; eppure nel momento in cui i suoi occhi si posavano sul suo viso pallido e sorridente, mentre batteva le mani e chiacchierava con quell’idiota del suo amichetto ( ma non aveva altri vestiti che non fossero quella divisa da frocetto?) tutti i dolori dovute alle botte sparivano di colpo, e iniziavano le fitte all’altezza dello stomaco e il tremito alle mani.
“Dave! Che diavolo stai fissando?” la voce di Azimio lo riportò alla realtà.
“Niente.” Mormorò, rimettendosi in riga dietro Hudson.
Per il resto della partita cercò di concentrare la mente su quella stupida palla, ma era come se la voce di Hummel gli perforasse il cervello. Gli piaceva fare finta che quelle urla e quegli incitamenti fossero per lui. Nel retro della sua mente dove nessuno poteva sentirlo, neppure la sua parte razionale, si crogiolava con quelle sciocche fantasie.
Il fischio finale decretò la loro vittoria. Dave ringraziò mentalmente la coach Beastie: era proprio vero che da quando lei era arrivata il vento aveva iniziato a cambiare.
Si avviò verso gli spogliatoi esultando con gli altri compagni. Il rapporto con Hudson era piuttosto migliorato dopo la famosa partita con l’esibizione; doveva ammettere che le prove costanti del Glee, che li obbligavano a stare insieme ogni santo giorno, avevano giovato. Certo, a lui non andava giù il fatto che non avesse ancora chiesto scusa a suo fratello, ma si stava sforzando di accettarlo per il bene della squadra.
Dave stesso si era meravigliato del fatto che Hummel non avesse spifferato tutto ai quattro venti. Se da una parte sarebbe stato più facile, dall’altra la sola idea che gli altri lo venissero a sapere, in particolar modo il suo migliore amico, lo terrorizzava a morte.
Perché poi? Si chiese slacciandosi la divisa, in un momento di lucidità mentale. Essere gay era davvero più terribile che essere un bullo omofobo?
Ripensando a come si era comportato in passato si rendeva conto di essere stato un completo imbecille. Aveva deluso i suoi genitori, aveva spinto i suoi compagni e professori ( e il ragazzo che gli piaceva) a disprezzarlo. E tutto questo per cosa poi? Per la sua stupida reputazione. Per mantenere una facciata con persone che non avrebbe più rivisto da lì a tre anni e di cui non gli importava nulla. Ridicolo. I suoi genitori alla fine lo avrebbero accettato, lo sapeva. Il problema non erano loro, ma lui.
Da quando era stato quasi espulso dalla scuola aveva passato le giornate chiuso in camera sua senza televisione, cellulare, computer e playstation. I primi giorni li aveva passati a sfogare tutta quella rabbia repressa prendendo a pugni il cuscino e facendo finta che fosse la faccia di Hummel; poi aveva passato il tempo a dormire, con la speranza di staccare il cervello da tutti quei pensieri assurdi che lo mandavano fuori di testa, ma finiva sempre con il sognare occhi color oceano e folle di persone senza volto che urlavano “Finocchio!”. Così aveva deciso che la sua ultima opzione era occupare la mente con lo studio.
In quasi tre mesi i suoi voti erano notevolmente migliorati, con una certa sorpresa da parte dei professori, che in lui cominciavano a vedere un cambiamento positivo.
Se i pomeriggi studiava, le notti le passava a pensare, per paura di sognare Hummel. Dopo mesi di negazione e dopo aver toccato il fondo si era reso conto che non poteva fuggire da se stesso.
L’unica cosa da cui voleva fuggire era Lima. Nella sua mente aveva ricreato mille volte la scena in cui avrebbe chiesto scusa ad Hummel: dove lui l’avrebbe capito e perdonato, dove sarebbero andati via insieme, magari a New York o San Francisco o anche a Columbus, dove non li conosceva nessuno e dove avrebbero iniziato una nuova vita.
Assurdo, lo sapeva, eppure non poteva fare a meno di farsi del male in questo modo.
Si era detto che quella era la giusta punizione da pagare per ciò che aveva fatto. Alle volte, durante il giorno, quando meno se lo aspettava, sentiva nitidamente il sapore delle labbra di Kurt sulle sue, e si bloccava.
Non si era mai toccato, neppure una volta, pensando a lui dopo il bacio: pensando alla morbidezza di quelle labbra rosse e umide, al suo sapore unico, alla pelle vellutata della sua guancia e all’odore di lacca biologica che gli inondava le narici. Mai, nemmeno una.
Aveva tirato fuori tutti i giornali porno comprati con Azimio, e aveva passato ore a fissare quelle donne prosperose; ma all’ennesimo paragone col suo ex compagno di scuola le aveva buttate tutte via.
Era quindi arrivato alla conclusione che accettarsi era il primo passo verso la riconciliazione con se stesso e con gli altri, anche se non era stato facile.

L’acqua bollente della doccia stava iniziando a diventare fredda. Non aveva idea di quanto fosse rimasto lì sotto perso nei suoi pensieri; si rese però conto che lo spogliatoio era ormai vuoto. Gli altri ragazzi erano corsi al bar per festeggiare la vittoria, ma lui non aveva proprio voglia di unirsi a loro.
Si controllò allo specchio: i lividi vecchi stavano iniziando a sparire, ma i nuovi della partita erano lì, stampati sul suo corpo. Quello alla spalla aveva un aria proprio brutta. Prese un po’ di ghiaccio sintetico dall’armadietto dei medicinali e se lo schiaffò sull’ematoma.
In quel momento la porta dello spogliatoio si aprì.
Dave pensò fosse Hudson, che tanto per cambiare si era scordato qualcosa di fondamentale, tipo i pantaloni; o Azimio che in un atto di bontà era tornato indietro a prenderlo per trascinarlo al pub con gli altri, ecco perché rimase totalmente di stucco nel trovarsi di fronte Hummel. Era dal suo trasferimento che non si vedevano faccia a faccia e Dave aveva passato tre mesi a fantasticare su come sarebbe stato il loro primo incontro. Mai avrebbe pensato ad uno spogliatoio puzzolente, con lui che aveva addosso solo un asciugamano legato in vita e l’espressione più ebete che ci si potesse immaginare.
Hummel era semplicemente pietrificato dall’orrore.
Era più alto, notò Dave, più magro se possibile, e aveva i capelli bagnati incollati al viso. Stranamente non indossava niente di stravagante: un normale cappotto nero, con pantaloni scuri e stivali. I suoi occhi erano ancora più grandi e azzurri di come ricordasse.
Non seppe dire per quanto tempo rimasero a fissarsi, ma il ghiaccio cominciò a pizzicare sulla spalla, riportandolo alla realtà.
“Che diavolo ci fai qui?” chiese brusco, facendolo sobbalzare.- Bell’inizio, complimenti – Dave si maledì mentalmente.
“Ero venuto a cercare Finn. Abbiamo visto la squadra andare via e sono tre ore che lo stiamo aspettando. Cominciavo a pensare che fosse affogato nella doccia.” Disse sprezzante.
Dave nascose un mezzo sorriso: il suo umorismo tagliente non era cambiato di una virgola.
“ Mi dispiace deluderti, ma se ne sono andati via tutti da un pezzo.” Si voltò e iniziò a rovistare nell’armadietto, come scusa per non guardarlo. Stare mezzo nudo davanti a lui lo metteva davvero a disagio. Non sentendo i passi allontanarsi, dedusse che Hummel era ancora li dietro a fissarlo.
Chiuse di scatto l’armadietto e si voltò, rosso in viso per la rabbia “Si può sapere che accidenti ci fai ancora qui?” lo aveva urlato senza volerlo. Uno dei motivi per cui odiava Hummel era proprio perché in sua presenza non riusciva a controllarsi.
“Sai Karofsky, Finn mi aveva detto che eri cambiato. Dal momento che siamo soli, e nessuno può sentirti, volevo darti la possibilità di dimostrarmelo. Ma evidentemente si sbagliava.” Sputò Kurt. Lo guardò con disgusto e si voltò. Aveva ragione: erano soli, era un’opportunità troppo grande per lasciarla sfuggire; voleva davvero mettere fine a tutto questo, riprendersi la sua vita…ma non sapeva come fare, cosa dire, e Hummel stava per uscire dallo spogliatoio e chissà quando lo avrebbe rivisto.
Senza pensarci si avvicinò e gli afferrò un polso, cercando di metterci meno forza possibile. Aveva le mani che gli tremavano.
La pelle di Kurt era fredda come le sue dita che fino a quel momento erano state a contatto con il ghiaccio, facendolo trasalire, però non si scansò dalla sua presa. Portò timidamente i suoi occhi azzurri in quelli di David restando in attesa.
Il ragazzo aprì la bocca un paio di volte, ma il suono non usciva e la cosa lo faceva sentire particolarmente frustrato. Aveva passato più di tre mesi ad immaginarsi un discorso decente e quello era il risultato?
“Lo so che non è facile.”sussurrò Kurt.
Le dita si strinsero involontariamente sul suo polso. “Tu non sai un bel niente Hummel. Tu non sai come ci si sente a dover fingere ogni secondo con tutte le persone che tengono a te. Tu non sai cosa vuol dire avere una fottuttissima paura di te stesso ogni volta che ti guardi allo specchio; vedere tutto quello che hai programmato sgretolarsi davanti ai tuoi occhi senza che tu possa farci nulla. Tu non sai che cosa vuol dire essere me.”la sua voce era un ringhio basso e tremante “ Te ne vai in giro a testa alta coi tuoi bei vestitini da donna e te ne freghi di tutti e delle loro opinioni, delle spinte, delle granite e degli insulti. Tutto ti scivola addosso. Tu mi ferisci la vista e…”
“Basta!” Kurt aveva le guance rosse per la rabbia. Tolse di scatto la mano dal pungo di Dave “Sono qui per delle scuse, non per farmi insultare ancora. Cosa credi che sia facile essere come noi…si Karofsky come noi, qui a Lima? Ma se mi faccio buttare giù da persone ignoranti come te e scappo a nascondermi, allora come posso sperare di andarmene via, e affrontare tutti i problemi futuri che avrò nella mia vita? Io sono fiero di quello che sono per il semplice fatto che sono nato così, e non ho mai fatto nulla di sbagliato per…”
“Mi dispiace.” Le parole erano venute fuori così, di botto, chiare e forti.
Hummel si bloccò stupito. Improvvisamente Dave si accorse che non aveva bisogno di stare lì a pensare, ma le parole erano dentro di lui e spingevano per uscire.
“Ti chiedo scusa per tutto quello che ti ho fatto, Kurt. Non sono così, quella persona sono arrivato a disprezzarla io stesso. So che questo non basta per recuperare tutte le botte e le minacce, so bene che non hai fatto nulla per tutto questo e che io non merito il tuo perdono; ma voglio che tu sappia che sto vivendo con il rimorso ogni singolo istante della mia vita. Se potessi riportare indietro il tempo non lo rifarei, o forse si, perché mi ha portato ad avere coscienza di quello che sono. Non lo so…ma immagino che essere stato quasi espulso mi abbia aperto gli occhi, ed essere stato privato della mia vita negli ultimi mesi sia servito a qualcosa. Ecco io…avevo paura, facevo a te tutto quello che in realtà volevo fare a me stesso, perché era più facile…dio non so cosa dire, sono patetico lo so, ma tanto il mio orgoglio è già andato a farsi fottere da tempo.” Si allontanò da lui, con lo sguardo a terra e prese un respiro profondo “In ogni caso sapere che il ragazzo che mi piace mi odia con ogni fibra del suo essere, e che non potrò mai averlo è già abbastanza come punizione.” Sussurrò.
Kurt aveva smesso di respirare. Gli piaceva? Lui pensava che quel bacio fosse uno degli ennesimi scherzi da bullo per ferire il suo orgoglio. Quella dichiarazione era stata peggio di una doccia fredda.
Non riusciva a staccare i suoi occhi da Karofsky. Per una volta Kurt Hummel era rimasto senza parole.
In quel momento si aprì la porta dello spogliatoio, ed apparve Blaine sulla soglia. “Kurt stavo iniziando a preoccuparmi, Finn è di la coi tuoi da tre ore ed ha detto che…” si bloccò vedendo la faccia sconvolta di Kurt e poco più in la Karofsky mezzo nudo.
“Tutto a posto?” chiese preoccupato.
“Tranquilla fatina, non gli ho torto un capello.” Fece lui con disprezzo. Il Karofsky di sempre si era rimesso la maschera. “E adesso fuori dallo spogliatoio dei maschi, che devo cambiarmi.” Si voltò dando le spalle a Kurt, senza degnarlo di un minimo sguardo.
Blaine afferrò l’amico e lo trascinò via.


Kurt:

Il ragazzo che mi piace …queste parole non facevano altro che risuonare nella mente di Kurt mentre tornavano a casa.
Blaine aveva provato a chiedergli che cosa fosse successo nello spogliatoio, ma lui non se la sentiva di dirlo a nessuno per il momento. Il che lo faceva stare peggio, perché in qualche modo gli sembrava di tradire la fiducia del suo migliore amico.
Aspettò che Finn andasse in bagno a preparasi per la notte ed entrò di soppiatto in camera sua. Il suo cellulare era poggiato sul comodino; scorse velocemente la rubrica fino a trovare il numero che stava cercando. Lo copiò senza indugio e andò via in silenzio.
In realtà non sapeva per quale motivo avesse preso il numero di Karofsky, eppure il bisogno improvviso di sentire la sua voce era diventato spasmodico e necessario come respirare. Aveva bisogno di sapere che quella sera era stata reale e che quella conversazione non se l’era sognata.
Guardava il suo I-phone da tre quarti d’ora ormai, senza riuscire a spingere il bottone verde.
Probabilmente era impazzito. Forse era affetto dalla sindrome di Stoccolma. Si doveva essere per forza così. Non c’era verso che lui, Kurt Hummel, potesse provare qualcosa per David Karofsky nemmeno tra dieci vite.
E infatti era così: lui non provava nulla verso il suo ex-bullo se non un’immensa curiosità.
Lui di certo si meritava ragazzi bellissimi e perfetti come Blaine; oppure dolci e popolari come Finn. Insomma, qualcuno opposto a quel Neanderthal di Karofsky.
Sospirò. Eppure nella sua forzata ricerca della perfezione si era lasciato sfuggire molte cose. Nessuno mai, in tutta la sua vita, gli aveva detto di provare qualcosa nei suoi confronti; e questo per quanto si sforzasse di negarlo, influiva parecchio. Era come avere a che fare con una persona completamente diversa.
Ripensò all’espressione disperata di Karofsky, ai suoi occhi velati di lacrime mentre gli diceva che non avrebbe mai potuto averlo, come se lui fosse un tesoro preziosissimo; e che non meritava il suo perdono.
Era vero che Dave gliene aveva fatte di tutti i colori, ma lui non era un persona rancorosa. In fondo aveva perdonato Puck, e si era addirittura innamorato di Finn; forse era giusto dare anche a Karofsky una seconda possibilità…in fondo sembrava cambiato sul serio!
Decise così di premere il tasto verde: il cellulare era staccato.
Un’ondata di frustrazione lo investì in pieno e gettò il telefono sul letto. Doveva assolutamente vedere Karofsky e parlarci, ma non poteva aspettare altre tre settimane per la prossima partita. Solo che non sapeva dove abitava e non poteva certo presentarsi al McKinley, dove lo avrebbe cacciato nei guai.
Sospirò; avrebbe provato a richiamarlo l’indomani.

La mattina dopo Blaine lo aspettava alla caffetteria della Dalton come al solito.
“Dormito bene?” lo apostrofò con un sorriso a trentadue denti, mentre gli porgeva il suo latte macchiato scremato bollente.
“Ho avuto notti migliori.” Disse stancamente Kurt, indicandosi le pesanti occhiaie, mal celate da uno strato di correttore.
“Pensi di dirmi prima o poi quello che è successo ieri nello spogliatoio?”
Il caffè quella mattina sembrava molto più amaro del solito. In fondo a Kurt dispiaceva tenere qualcosa nascosta al suo migliore amico. Blaine gli aveva sempre dato ottimi consigli, magari sarebbe stato d’aiuto anche stavolta. Poi sembrava veramente preoccupato: visti i suoi precedenti con Karofsky, alla fine optò per dirgli la verità.
“Ieri quando sono entrato nello spogliatoio per cercare Finn, ho incontrato Karofsky.”
Blaine annuì, lo aveva visto.
“Inizialmente ho avuto paura, perché era dal mio trasferimento che non lo vedevo, e pensavo che volesse vendicarsi su di me per la quasi - espulsione. Poi però mi sono ricordato di quello che ha detto Finn dopo la partita dove avevano ballato insieme nell’intervallo, ricordi? Quella della coppa. Mi ha detto che Dave era cambiato e che era dispiaciuto. Ti giuro che non volevo crederci, anche se li per li mi era parso impossibile che si mettesse a ballare travestito da zombie davanti a tutta la scuola.. così ho deciso di dargli una possibilità, dal momento che eravamo soli, e vedere se Finn aveva ragione.”
Blaine prese un lungo sorso dal suo cappuccino “Quindi si è scusato?” chiese.
Kurt annuì, “Ha detto che gli piaccio.”
Il suo amico quasi si strozzò con la bevanda e lo fissò incredulo.
Kurt scosse la testa e lo guardò disperato “Blaine non so che cosa fare; quel Neanderthal ha il potere di confondermi! Ogni volta che penso faccia qualcosa invece se ne esce qualcos’altro di completamente insensato!” Kurt era agitato: parlava a voce alta e agitava freneticamente le mani per aria, con le guance rosse e gli occhi sgranati. “Insomma per un anno mi ignora, poi si sveglia e inizia a tormentarmi, dopo di che, quando penso che voglia ammazzarmi mi bacia, poi mi minaccia di morte; ma canta e balla truccato davanti a tutta la scuola e infine mi confessa che gli piaccio. Ti rendi conto?” oramai tutte le persone nella caffetteria si erano voltati a guardarlo, ma Kurt sembrava ignorarle, troppo preso dai suoi problemi personali. “E’ evidentemente pazzo.” Sbuffò, e finì il suo latte macchiato ormai freddo.
“Che intenzioni hai adesso?” chiese Blaine.
Kurt aprì la bocca, per poi richiuderla di colpo. Sembrava frustrato. “David Karofsky è nato per complicarmi la vita.” Sussurrò, guardando fuori dalla finestra.
“Kurt ascolta, so che questa situazione non è facile per te, ma devi ammettere che nemmeno per lui tutto questo è una passeggiata. Voglio dire: se una persona come Karofsky, che ha sempre avuto atteggiamenti omofobi nei tuoi confronti per mascherare la sua omosessualità, tanto da arrivare a minacciarti, arriva a dichiararsi…bè vuol dire che è davvero giunto al limite.”
Kurt alzò le spalle.
“No, dico sul serio Kurt. Dave è una persona estremamente fragile, che in un periodo delicato come l’adolescenza si trova ad affrontare una cosa molto più grande di lui completamente solo!”
“E allora? Non abbiamo forse anche io e te questi problemi? Essere gay in una cittadina dell’Ohio non è facile per nessuno Blaine!”
“No, ma tu hai sempre potuto contare sull’appoggio di persone che ti stanno vicino, come tuo padre, i tuoi amici del Glee…ora anche me.” Kurt gli sorrise.
“Io credo che Dave non abbia nessuno con cui parlare, per questo mi ero offerto all’inizio, come confronto. Insomma, hai visto i suoi amici? Un gruppo di giocatori di football più omofobi e insicuri di lui; la sua famiglia? Non la conosciamo. Chi lo sa come la prenderebbero.”
“Suo padre sembrava una persona a posto.” Kurt ripensò al colloquio nell’ufficio del preside.
“Un padre che si accorge dei cambiamenti del figlio e non prende provvedimenti non è una persona molto presente Kurt.” Disse Blaine amaramente.
“Bè, sarebbe potuto venire a parlarmi, farsi nuovi amici…” stava iniziando a spazientirsi.
Blaine sospirò “Hai mai pensato che Karofsky fosse gay?” chiese di botto.
Kurt sgranò gli occhi “No! Quando mi ha baciato sono rimasto totalmente scioccato.” Il ricordo di quel bacio gli lasciava ancora una strana sensazione all’altezza dello stomaco, e un sapore salato sulle labbra. Scosse la testa con forza, per togliersi il ricordo di mente, cercando di concentrarsi sugli occhi cerulei del compagno di fronte.
“Tu in fondo hai sempre saputo di essere gay vero?” Annuì, non riusciva a capire dove volesse arrivare Blaine.
“Ci sono alcune persone che ne prendono coscienza da subito; c’è chi invece se ne rende conto più tardi. Uomini sposati e con figli, che si accorgono di quello che sono e non possono più negarlo a se stessi…non tutti sono fortunati come te e me. Immagino che Karofsky ne abbia preso realmente coscienza di recente, quindi immaginati che razza di shock può essere stato per lui! Non ha saputo come reagire e la paura lo ha portato a negare ciò che è, e quelli come lui.”
Kurt era sconvolto “Hai mai pensato di fare psicologia?” chiese.
Blaine scoppiò a ridere “No, è solo che quando si tratta di dare consigli agli altri, le cose vanno bene; è su di me che sto ancora lavorando. Che intenzioni hai adesso?” richiese.
Kurt sospirò, giocando col bicchiere vuoto “Non lo so. Vedi, il modo disperato in cui me lo ha detto…non riesco a togliermelo dalla testa. E’ la prima persona che mi dice una cosa del genere, e per quanto io lo odi e mi imponga di ignorarlo, il pensiero riaffiora continuamente. Sono più malato di quanto pensassi.” Fece un sorriso amaro.
“E’ normale essere curiosi.” Concesse Blaine.
“Non capisci…lui è il ragazzo che mi ha reso la vita un inferno, non è ‘normale’ che io pensi a lui in qualche altra maniera.”
L’amico era sovrappensiero “Anche Puck e Finn non scherzavano da quel che mi hai detto, eppure tu li hai perdonati. Nella vita si cambia Kurt.”
“E’ quello che continuo a ripetermi…ma tu da che parte stai?” chiese leggermente stizzito.
Blaine scoppiò a ridere “Dalla tua ovviamente. Ricordati che io so molto bene cosa vuol dire essere vittima di bullismo, e i ragazzi che tormentavano me erano molto diversi da Karofsky. Sto solo cercando di farti capire che David non è un pazzo violento, ma una persona più complessa di quanto credi; e se mai un giorno tu dovessi provare a perdonarlo e cercare di capirlo non saresti assolutamente ne folle ne malato.”
“Ho rubato il suo numero dalla rubrica di Finn ieri sera. Non sapevo nemmeno cosa dirgli, volevo solo sentire la sua voce per rendermi conto di non essermi sognato tutto. Grazie al cielo il telefono era staccato.”
Restarono in silenzio per un po’, fino a che Kurt non si alzò e buttò il bicchiere nel cestino. “Vorrei parlargli, ma da una parte ho paura. L’ultima volta che ci abbiamo provato non è andata esattamente benissimo.”
L’amico si alzò con lui “Potresti organizzare un incontro casuale.”
“Ma io non so che razza di posti frequenta Karofsky, e non ho di certo intenzione di andare al McKinley.”
“No, certo. Sono sicuro che qualcosa ci verrà in mente; ora però dobbiamo sbrigarci, altrimenti faremo tardi a lezione.”
Kurt aveva il viso pallido e preoccupato “Non so proprio come andrà a finire.” Blaine gli posò una mano sulla spalla in modo rassicurante “Neppure io, ma ti prometto che ti starò vicino.”






NdA: Salve a tutti! Questa è la mia prima Kurtofsky, ma alla fine ho ceduto alla tentazione. Ho sentito il bisogno di scrivere questa storia per mettere su carta tutte le cose che penso di questo personaggio a mio parere complesso ma interessante, e forse è per questo che la trama è a stampo molto riflessivo. Ho intenzione di seguire il filo degli episodi, ovviamente cambiandone una parte del contenuto per motivi di trama, e sono arrivata a scrivere fino alla Notte dei Negletti. Ci tengo davvero tanto a questa storia; il fatto è che sono già più di quattro mesi che è scritta sul mio pc in attesa di essere pubblicata e alla fine mi sono decisa. Nei prossimi capitoli ci dovrebbe essere un po’ più di azione, ma ripeto, è molto riflessiva come storia. Voglio precisare una cosa: nella maggior parte delle kurtofsky che ho letto Blaine è il cattivo, il tradito, il bastardo o lo sfigato. Qui è semplicemente il migliore amico di Kurt. A me Blaine piace molto come personaggio ( nonostante non abbia mai scritto ne tradotto una klaine), così come mi piace Dave e come mi piacciono tutti quelli in Glee. Sono al di fuori delle guerre di ship e di altre diatribe inulti su chi sia meglio, perché ragazzi…non esistono veramente, è solo per passare il tempo e divertirsi. Voleva essere solo una precisazione, poi voi siete liberi di amare ed odiare i personaggi che volete. Spero che a qualcuno possano interessare i miei deliri interiori e che mi facciate sapere cosa ne pensate. Sto mettendo molto impegno nello scrivere i personaggi, quindi accetto consigli e critiche costruttive di ogni genere. Non so ancora ogni quanto aggiornerò, ma ogni capitolo sarà diviso da entrambi i punti di vista. A presto e grazie!

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Dave:


Dave era sdraiato sul suo letto e fissava il soffitto bianco. Il giorno dopo sarebbe stato San Valentino. Erano esattamente due settimane che aveva confessato ad Hummel che gli piaceva; ed erano anche due settimane che non lo aveva più ne visto ne sentito.
Sicuramente Kurt era una di quelle persone che adoravano la Festa degli Innamorati; il suo amichetto fighetto gli avrebbe regalato cuori di cioccolato e stupidi pupazzetti parlanti, e sarebbero andati insieme in qualche bel ristorante costoso. Breadstix magari.
Dave già si immaginava Hummel e quell’Hobbitt vestiti tutti eleganti mentre ridevano, si tenevano per mano e si baciavano.
No, quello era troppo: le labbra di Hummel appartenevano solo a lui. Si girò a pancia sotto e affondò la faccia nel cuscino, sperando di soffocare.

Lo svegliarono i colpi di sua madre alla porta “Dave, sbrigati o farai tardi a scuola!”
Aveva dormito tre ore, non aveva voglia di alzarsi; ma considerando che la scuola era la sua unica ‘libera uscita’ della giornata si fece forza.
Entrando in macchina accese lo stereo senza pensarci, come d’abitudine, e subito fu investito dalle note di una melensa canzone d’amore. Spense di botto.
-Cominciamo bene la giornata- pensò.
A scuola la situazione non era certo migliore; ma quando cavolo si erano formate tutte quelle coppie? Tutti camminavano mano nella mano con un sorriso ebete stampato in faccia. Cuoricini e letterine riempivano corridoi, banchi ed armadietti.
“Ti giuro che entro la terza ora vomito.” La voce di Azimio lo raggiunse alle spalle.
“Non me ne parlare, vorrei strappare tutte le lettere che vedo.” Rispose Dave.
Si avviarono insieme verso la classe. “Per quanto tempo ancora i tuoi ti terranno segregato in casa?”
“Non lo so amico, penso fino al diploma.” Brontolò.
“Cavolo che palle. Tutta colpa di quel frocetto di Hummel.” Involontariamente Dave contrasse le spalle, ma Azimio parve non rendersene conto. “Stasera io e gli altri ragazzi andiamo giù a lago a dare fastidio alle coppiette appartate.” Sbottò a ridere sguaiatamente.
Dave lo guardò con disgusto: anche lui un tempo era stato così idiota? Avrebbe voluto urlargli Cresci!, invece si limitò ad annuire e a guardare fuori dalla finestra.
Lo avevano già interrogato in tutte le materie, per cui si concesse il lusso di dormire ad occhi aperti durante le lezioni. Fu alla fine degli allenamenti di football, negli spogliatoi, che qualcosa attirò la sua attenzione per la prima volta quella giornata.
Finn stava parlando con Puckerman e Abrams quando venne fuori il nome di Hummel. Dave continuò a slacciarsi le protezioni, facendo finta di nulla, ma aveva le orecchie ben attente a cogliere ogni minima parola.
Riuscì a capire che tutti quanti quella sera si sarebbero visti per cena da Breadstix, dove Hummel e un gruppo di uccelli si sarebbero esibiti in una performance canora. Alle sette. A quanto pare Kurt ci teneva tantissimo che fossero tutti presenti, e i ragazzi si stavano mettendo d’accordo.
Dave sbatté con forza la porta dell’armadietto e uscì dagli spogliatoi senza degnare gli altri di uno sguardo, che nel frattempo avevano smesso di parlare e lo stavano fissando stupiti.
Per tutto il pomeriggio aveva avuto in testa solo quelle maledette parole: Hummel, da Breadstix, alle sette. Ovviamente non ci sarebbe potuto andare; e per dirgli cosa poi?
Mentre cercava di annegare nel bianco del suo soffitto sentì bussare alla porta. Senza aspettare una risposta sua madre si affacciò all’uscio “Dave, io e tuo padre stasera andiamo a cena fuori. Sai, è San Valentino…” Come se lui non se ne fosse accorto. “Ti abbiamo lasciato dei panini e del latte sul tavolo. Gli avanzi sono in frigo. Spero che tu abbia finito i compiti; se hai bisogno di qualcosa chiamaci, anche se torneremo a casa entro mezzanotte.”
David grugnì, voltandosi verso il muro e dando le spalle alla porta. Sentì sua madre sospirare e chiuderla delicatamente.
Non ce l’aveva coi suoi genitori; insomma se si fosse trovato nella sua situazione probabilmente avrebbe riempito di botte suo figlio. Ma stava iniziando a capire che la violenza non sempre era una soluzione accettabile, serviva solo a semplificare le cose. Era frustrato per la sua condizione: sapeva di meritarsela, ma in fondo era pur sempre un’adolescente, e rimanere segregato in camera sua per mesi stava iniziando a dargli alla testa. Dopo un po’ si alzò e uscì dalla stanza: l’unica cosa positiva era che per poche ore aveva libero accesso alla tv e al telefono. Eppure a San Valentino avrebbero sicuro trasmesso solo film d’amore (l’ultima cosa di cui Dave aveva bisogno), e non sapeva chi chiamare. Azimio era fuori con gli altri, e non aveva altri amici con cui voler parlare.
Andò in cucina e si sedette al tavolo, con lo sguardo fisso sul piatto, senza toccarlo.
Il silenzio in casa era assordante e surreale, interrotto ritmicamente dal ticchettio dell’orologio sul muro della cucina.
18:30.
“Fanculo!” sbottò David. Un’occasione come quella non gli sarebbe ricapitata per altri tre mesi di sicuro. Si alzò di scatto e corse verso la porta dell’ingresso: era chiusa a chiave.
Senza pensare attraversò casa e corse verso la finestra dello studio del padre: dava sul retro, i vicini non lo avrebbero notato. Si calò lentamente, ma scivolò all’ultimo, cadendo a terra. La maglietta si era strappata e i palmi delle mani si erano scorticati per l’attrito, ma era finalmente fuori. Respirò l’ara della sera a pieni polmoni: faceva freddo ed era senza giacca, ma non si era mai sentito così bene. Se i suoi lo avessero scoperto sarebbe stata la fine, ma per Hummel valeva la pena di correre il rischio.
Aveva deciso che si sarebbe appostato fuori dal ristorante e avrebbe assistito all’esibizione nell’ombra, attraverso la vetrina, senza farsi vedere. In fondo non voleva creare dei problemi a Kurt proprio quella sera.
18:57
Se l’era fatta tutta di corsa e stava per venirgli un colpo. Vabbè che Lima non era una città tanto grande, ma poteva di sicuro dire addio alla milza: grazie a dio i costanti allenamenti di football aiutavano, e la corsa gli aveva fatto passare il freddo.
Si appostò dietro la vetrina e attese.
Il locale all’interno era completamente decorato con cuoricini che pendevano dal soffitto e i tavoli erano tutti occupati. David riconobbe molti del Glee Club.
Improvvisamente uscì un gruppo di ragazzi che si posizionò su una pedana. Erano tutti vestiti uguali, con la divisa scolastica; e poi finalmente lo vide. Il suo cuore perse un battito: stava parlando in un microfono rosso e sorrideva. Anche lui indossava la divisa, e quando si mise in posizione con il resto del gruppo fece uno strano effetto a David: Hummel non era abituato a confondersi, ma a spiccare tra la folla. Invece ora si vestiva e si muoveva esattamente come gli altri. Dave fece una smorfia: era felice in quel posto Kurt? Sembrava un pesce fuor d’acqua. Non cantava neppure da solo, ma si limitava a far parte del coro. Per le poche volte che Dave l’aveva visto, in qualche assurda esibizione a scuola, Hummel non aveva paura di mettersi in gioco, anzi! Aveva avuto il coraggio di andare in giro per i corridoi travestito da Lady Gaga, con tanto di tacchi…la sola immagine lo fece scoppiare a ridere. Riconobbe il ragazzo che cantava da solo: la perfetta fatina che svolazzava continuamente intorno ad Hummel. Lo stomaco gli bruciò per la rabbia e strinse i pugni contro il vetro.
In quel momento le porte del ristorante si aprirono per far entrare una coppia, e la dolce melodia che stavano cantando gli giunse alle orecchie: “Silly Love Songs”. Un’armonia di voci si mescolavano insieme per dar vita a qualcosa di unico: erano bravi, dovette ammetterlo.
Vide Kurt avvicinarsi alla Jones e all’altra ragazza nasona con le manie di protagonismo e disegnare un cuore per aria, prima di abbracciarle. Chissà quanto gli mancavano. Il cuore di David sprofondò; che cosa aveva fatto? Perché lo aveva fatto fuggire via? In quel momento si accorse che avrebbe preferito passare la vita a spiarlo nel buio piuttosto che fargli ancora del male. Quel pensiero lo colpì in pieno, stordendolo. Un tempo avrebbe pensato di essersi rammollito, invece ora capiva di essere stato semplicemente uno stupido. Aveva avuto paura, si era fatto trascinare dalle perone sbagliate e ora ne stava pagando il prezzo.
Era talmente intento a fissare Hummel da non accorgersi che il suo amico si era accorto della sua presenza. Alla fine dell’esibizione il moro si avvicinò a Kurt e gli sussurrò qualcosa con discrezione all’orecchio.
Di colpo il ragazzo si voltò verso la vetrina e il loro occhi si incontrarono.
“Cazzo.” Disse Dave indietreggiando. Era stato scoperto. Sarebbe tanto voluto entrare nel ristorante e spaccare il muso a Fancy 2, ma qualcosa gli disse che così avrebbe solo aumentato l’aria sconvolta sul viso di Hummel; così si voltò in fretta e si incamminò verso casa.
“David!”
Quell’urlo gli fece bloccare il sangue nelle vene. Improvvisamente tutto il freddo di Febbraio gli entrò nei polmoni.
Era fermo in mezzo alla strada, ma non aveva il coraggio di voltarsi. Era la prima volta che sentiva Hummel chiamarlo per nome. Sentì i suoi passi avvicinarsi.
“Che cosa ci facevi lì fuori al freddo?” non c’era astio nella sua voce, ma solo curiosità e la cosa lo convinse a girarsi.
Non si trovavano così vicini da quel giorno negli spogliatoi.
La pelle di Kurt era ancora più chiara nel buoi della notte; piccole nuvole di fumo uscivano dalla sua bocca per il freddo.
“Sei senza cappotto e…è sangue quello sulle tue mani?” chiese sconvolto.
“Mi sono calato giù dalla finestra e sono scappato di casa.” Forse dire la prima cosa che gli era venuta in mente non era stata una buona idea.
Kurt alzò un sopracciglio e Dave scrollò le spalle. “Lascia perdere, non volevo spaventarti o… interrompere il vostro spettacolo.” In effetti si rendeva conto che la sua posizione era piuttosto imbarazzante dal punto di vista di Hummel; non voleva sembrare un maniaco.
“Tu sei scappato di casa per venire a vedere me?” chiese Kurt sorpreso.
Dave arrossì di botto, grazie al cielo la strada non era molto illuminata. “Certo che no! Ma che diavolo ti salta in mente? Passavo da queste parti e vi ho visto. Un gruppo di frocetti in divisa che cantano non passano di certo inosservati.”
“Soprattutto se sono chiusi dentro un ristorante.” Riabbatté Hummel con sarcasmo.
David aprì bocca, ma saggiamente decise di richiuderla.
Restarono così al buio a fissarsi per un po’ in silenzio, finché Dave non vide Kurt iniziare a tremare. “Devo andare.”
“Aspetta! Ti…ehm…ti va di entrare?” inclinò la testa di lato.
Dave lo guardò come se fosse impazzito di colpo “ Ma che dici? Non…non penso che ai tuoi amichetti farebbe piacere vedermi.”
“E’ questo il tuo problema: tu non pensi Karofsky.” Disse Hummel, ma senza troppa acidità nella voce.
“I miei non sanno che sono uscito, è meglio che torni a casa.” Aveva paura che i suoi tornassero prima per controllare che fosse tutto a posto e soprattutto che Dave non se la fosse svignata.
Kurt annuì senza dire nulla.
Eppure andare via sembrava difficile adesso.
“Sei felice Kurt?” non seppe da dove quella domanda fosse uscita, ma sentiva davvero il bisogno di fargliela.
Il ragazzo sembrò pensarci un po’ su “Perché me lo chiedi? Da quando ti importa qualsiasi mio stato d’animo che non sia la paura?” aveva messo più veleno di quanto avrebbe voluto in quella frase, ma sembrava confuso, e odiava farsi vedere fragile davanti al suo ex-bullo.
“Perché ti ho fatto andare via; perché hai rinunciato a tanto per colpa mia: ai tuoi amici, alle tue manie di protagonismo…ti ho visto prima lì in mezzo agli altri, quasi ti confondevi con loro…volevo solo sapere se ne era valsa la pena.”
Kurt sospirò, inizialmente era sembrato molto sorpreso, ma ora il suo viso era triste e gli occhi erano velati di lacrime “Sono più tranquillo; ma no, non sono davvero felice.” Aveva optato per la carta sincerità.
Dave si sentì ancora peggio “Mi dispiace; la paura fa fare cose stupide. Io non intendevo minacciarti davvero. Insomma, sei sempre stato così forte con tutto il resto che non immaginavo che una frase avrebbe avuto un simile impatto su di te!” disse sconvolto Karofsky.
“Bè ma che ti aspettavi? Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso! Vivevo nel terrore ed ero stanco di fingere che tutto andava bene. Spero almeno che tu sia felice, ora che hai raggiunto il tuo scopo di non vedermi più in giro.” fece con amarezza.
“No, non mi fa stare meglio. Ho forse l’aria di uno felice? Senti…se mai tu prendessi in considerazione l’idea di tornare al McKinley, voglio che tu sappia che non ti farei nulla. Ho già rischiato troppo; sarebbe come se per me non esistessi.” Disse sinceramente.
Un’ombra di disappunto passò negli occhi di Kurt, ma forse Dave se l’era solo immaginata.
“Oramai è troppo tardi.”
“Certo. Poi ti ritroveresti senza quella sottospecie di Hobbitt del tuo fidanzato.” Ribatté con disgusto.
Kurt strinse i pugni “Non ti permettere di parlare male di Blaine! E non è il mio fidanzato; non che siano affari tuoi ovviamente.” Aggiunse.
Dave non riuscì a reprimere un mezzo sorriso. “Capisco. Bè ci si vede in giro Hummel.”
Detto questo si voltò, lasciando un esterrefatto Kurt in mezzo alla strada.
Per tornare a casa Dave se la prese con comodo: se Hummel non stava con quella fatina e non era felice in quella scuola allora forse riportarlo al McKinley non era un’impresa così difficile.
Ma per farlo aveva bisogno di alleati.



A/N:: In questo capitolo ho riportato solo il punto di vista di Dave, sia per provare a fare un personaggio a capitolo, sia perché quello di Kurt è lunghissimo: 11 pagine word….mischiarli mi sembrava eccessivo. Ditemi voi come preferite, se due a capitolo o solo un punto di vista. Il prossimo è già scritto comunque, lo pubblicherò tra un paio di giorni ed è molto divertente, dal momento che tratterà BIOA e il folle party da Rachel. Spero che questo via sia piaciuto, personalmente SLS è una delle mie puntate preferite della seconda stagione…non lo so se Dave vi sembra OOC, o Kurt…vi copio qui una risposta che ho dato ad una recensione per comodità, e per essere ancora più chiara: “Kurt non prova assolutamente nulla per Dave in questo momento, se non una forte curiosità. diciamo che ho provato ad immedesimarmi un pò in Kurt e quello che ho pensato è: se una persona ti tratta male e ti fa capire che ti odia, per poi confessarsi già ti confonde di suo. se a questo aggiungi che kurt non solo non ha mai avuto un ragazzo, ma una volta è stato rifiutato in malo modo da Finn (ovviamente perchè etero) e a parte Blaine ( di cui è diciamo innamorato quindi non conta ) non conosce nessuno gay....la curiosità aumenta a livelli vertiginosi. quel bisogno spasmodico è semplicemente la conferma alle sue incertezze, non un interesse amoroso. per il momento. almeno questo è come lo interpreto io. dave...: per me lui non è una persona timida, impacciata e che si emoziona facilmente, questo lo farebbe sembrare quasi tenero, e non è quello che voglio che appaia in questa storia. io lo vedo introverso si, ma perchè ha paura ed è confuso, e se non sa come gestire la situazione da una parte, dall'altra è arrivato al limite della sopportazione ed essendosi sputtanato col bacio inconsciamente sta pensando di affidarsi un minimo a kurt. non solo è una confessione, ma una richiesta d'aiuto.”
Questo è quello che penso io, il mio punto di vista, e non deve per forza coincidere con il vostro; anzi fatemi sapere voi che ne pensate! A presto.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Kurt:

La sveglia suonò alle 6:30 precise e il grugnito scocciato di suo fratello precedette il tonfo della malcapitata contro il muro. Ogni mattina era sempre la stessa storia.
Oramai Kurt aveva rinunciato a spiegargli che esisteva il bottone per spegnerla. Si alzò, mormorando un “Buongiorno Finn” alla matassa di coperte aggrovigliate sull’altro letto e fece slalom tra i vestiti sporchi sul pavimento verso il bagno. Il fratellastro dormiva con lui, in attesa che i lavori nella sua nuova camera fossero completi, e non sembrava averne fatto un dramma; probabilmente ancora terrorizzato dalla sgridata di Burt.
Kurt non aveva chiuso occhio quella notte e le sue occhiaie evidenti lo dimostravano: non solo stava ancora smaltendo la serenata forzata al tipo di Blaine (ora che si frequentavano sperava che l’amico gli facesse almeno cambiare pettinatura); ma si era ritrovato di fronte a Karofsky, senza riuscire veramente a parlargli. Sospirò ed iniziò ad applicare il correttore; quando Blaine glielo aveva detto pensava si stesse sbagliando, e invece dietro la vetrina di Breadstix c’era proprio lui. Aveva visto il panico sulla faccia per essere stato scoperto, ma Kurt non poteva lasciarlo andare via senza avergli prima parlato.
Il fatto che la cosa si fosse rivelata del tutto inutile bruciava parecchi a Kurt; era uscito fuori con le migliori intenzioni, e aveva finito con l’arrabbiarsi a morte. Ma in fondo Karofsky era fatto così: era imprevedibile; se ne era uscito con quella domanda sulla felicità e lo aveva mandato nel panico. Quando Blaine gli aveva chiesto come era andata, si era limitato a dirgli che non aveva fatto in tempo a parlargli. Ovviamente l’amico sapeva che stava mentendo, ma Kurt non se la sentiva di riferirgli il discorso sulla scuola: avrebbe dato il via a domande imbarazzanti e dispiaceri da parte sua.
Era logico che ci aveva pensato a tornare al McKinley: tutte le volte che davano un assolo a Blaine, tutte le volte che lanciava uno sguardo al suo favoloso guardaroba ed era costretto a mettere la solita divisa che cadeva male sui fianchi. Per non parlare della amicizie; i ragazzi della Dalton erano simpatici e tranquilli, ma niente in confronto al Glee Club e ai suoi scandali, alla sua adorata Mercedes, o Tina…era arrivato a sentire perfino la mancanza di quella pazza di Rachel Berry! Il bussare alla porta lo risvegliò dai suoi pensieri “Kurt sei vivo? Sono tre ore che stai chiuso lì dentro…io devo andare in bagno.” Finn.
Il ragazzo aprì la porta e si trovò di fronte il fratello ancora mezzo addormentato “ Tutto ok?”
“Certo. E’ tutto tuo il bagno.” Vedendo che Finn continuava a fissarlo, sbuffò esasperato “Che c’è?” “Ieri sera ho visto che parlavi con Karofsky, fuori da Breadstix.”
Kurt si morse il labbro. “E’ venuto per scusarsi.”
“E…”
“E niente, abbiamo parlato molto poco: mi ha chiesto scusa e io l ho perdonato. E’ tutto a posto.”
Un caldo sorriso si aprì sul volto di Finn, che corse ad abbracciare il fratello “ Oh Kurt sono così felice, è proprio vero che le persone cambiano allora…Karofsky alla fine mi sembrava davvero dispiaciuto per questa cosa. Magari adesso i suoi lo faranno anche uscire di casa.” Sbottò a ridere e andò a chiudersi in bagno.
Kurt si sentì malissimo: non gli piaceva mentire alla gente. In realtà lui non aveva mai detto a Karofsky che lo aveva perdonato, ne lui sembrava meritarselo. Se Finn avesse saputo della sua proposta di tornare al McKinley, di certo avrebbe spinto per farlo tornare.
La verità era che Kurt non sapeva cosa fare: non voleva deludere suo padre, e sapeva i sacrifici che stava facendo per mandarlo alla Dalton. Inoltre era un’ottima scuola, che gli avrebbe aperto molte più porte per il college in futuro, e non si trovava male con i compagni e gli insegnanti.
La porta del bagno si riaprì e apparve Finn sulla porta in asciugamano e con lo spazzolino in bocca. “Se con Karofsky è tutto a posto potresti tornare di nuovo al McKinley…”
Il panico salì nella gola di Kurt “Ma che dici? Insomma non c’era mica solo Karofsky lì: era tutta la squadra di football. E i ragazzi dell’Hockey. E se poi Karofsky ci ricasca? Non me la sento Finn; e poi papà ha già pagato tutto il semestre.” Aveva parlato così velocemente, che il fratello lo stava ancora fissando sconvolto, processando le parole. “Ok, era solo un’idea.” Con un’alzata di spalle si richiuse dentro il bagno.
Per evitare altre spiacevoli conversazioni Kurt si precipitò a scuola.

Erano passate un paio di settimane senza che l’argomento ‘Karofsky’ fosse riportato a galla. Quel giorno Blaine e Kurt erano seduti alla caffetteria della Dalton e Blaine aveva un’aria da funerale. A quanto pare l’affare con il tipo di GAP non era andato a buon fine; dopo un paio di appuntamenti si erano mollati. Kurt aveva provato a dirgli che chi ci aveva rimesso era stato quel tizio e i suoi capelli, ma con scarso successo. Era stanco di sentire Blaine lamentarsi su quanto fosse incapace nelle cose romantiche; così decise di distrarlo un po’.
“Stasera Rachel da una festa a casa sua, perché non mi accompagni? Da quel che ho sentito scorreranno fiumi di alcool , magari riesci a dimenticarti Jeremiah per un paio d’ore.” Buttò lì. “Non lo so Kurt, sinceramente non sono dell’umore giusto per una festa. “ si lamentò Blaine. L’amico gli presa la mano e la strinse “Credimi Blaine, una festa è proprio quello che ti ci vuole in questo momento. Sono stanco di vederti così giù di morale.”
Così, anche se di controvoglia, Blaine aveva accettato e si erano ritrovati tutti nel sotterrano degli orrori di casa Berry, ubriachi marci.
Dopo l’esperienza dell’anno prima a scuola, Kurt aveva saggiamente deciso di non bere neanche un goccio, e grazie a dio Finn gli faceva compagnia. Dopo neanche un’ora dall’inizio della festa i ragazzi erano tutti sbronzi: Blaine più di tutti, dal momento che ci aveva provato con suo fratello per dimenticarsi Jeremiah; Kurt era seduto in un angolo e guardava gli altri divertirsi, con aria annoiata.
Poco prima, durante il gioco della bottiglia, Blaine aveva dovuto baciare Rachel e Kurt si era sorpreso di non aver sentito nulla. Ovviamente erano entrambi ubriachi, Rachel poi era una ragazza e la cosa non contava; ma per quanto tempo aveva sognato quelle labbra per sé? Quanto aveva voluto scoprire che sapore avessero? Era stato talmente preso da altro ultimamente, da rendersi conto solo ora che i suoi sentimenti erano cambiati. Quello che provava per Blaine era pura ammirazione e grande affetto. Era stato l’unico ragazzo gay che conosceva, e che lo aveva aiutato a superare un momento difficile; l’unica persona con cui poteva relazionarsi davvero, e si era dimostrato un buon amico. Ma ora, più lucidamente, capiva che ci si era aggrappato per bisogno, non per puro sentimento. Anche quando era stato con Jeremiah aveva avuto paura, ma non era stata gelosia, bensì il timore di perdere il suo migliore amico. In fondo questo era sempre stato Blaine: un amico; non lo aveva mai illuso del contrario. Kurt sospirò: ora che lo vedeva cantare in duetto con Rachel si disse che non era lui la persona che voleva davvero. Un nome riaffiorò nella sua mente, e il respiro gli si bloccò in gola. Aveva bisogno d’aria.
“Vado in bagno.” Disse distrattamente a Finn, certo che gli altri non si sarebbero accorti della sua assenza.
Salì su in casa e si chiuse in camera di Rachel. Oramai aveva fatto quasi l’abitudine a quelle oscene pareti color confetto. Aprì la finestra e respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera. La testa ancora gli pulsava per il casino al piano di sotto. Il suo telefono in tasca pesava come un macigno. Ancora una volta si rese conto di voler sentire la sua voce più di ogni cosa al mondo. In fondo Karofsky non aveva il suo numero, avrebbe potuto riattaccare senza dire nulla. Che codardo. Perché non aveva bevuto neanche un coktel? Adesso sarebbe stato molto più coraggioso.
Accidenti, lui era Kurt Hummel, quello che non si faceva problemi a mettersi i tacchi e andare in giro per i corridoi mezzo truccato, non poteva farsi abbattere da una telefonata!
Pescò il telefono dalla tasca e compose il suo numero: l’ultima volta lo aveva trovato staccato, ma questa non fu altrettanto fortunato.
Karofsky rispose al quarto squillo. “Pronto?”
Kurt non riusciva a muoversi, a dire una parola o a riattaccare. Era fermo, seduto sul letto di Rachel, tra i suoi orsetti di peluche, senza respirare.
“Insomma chi è?” Dave stava iniziando a spazientirsi.
Kurt riattaccò di colpo.
Era veramente un’idiota: che diavolo gli era preso di chiamare Karofsky?
Il telefono prese a vibrare tra le sue mani: Dave lo stava richiamando.
“Coraggio!” la voce di Blaine gli risuonò in testa e decise di accettare la chiamata. Si portò il telefono all’orecchio, rimanendo in silenzio.
“Si può sapere chi diavolo sei?” sbottò spazientito Karofsky. “Non sarai mica un maniaco?” Kurt percepì una lieve nota di panico nella sua voce. La cosa lo fece sorridere.
“Strano come i ruoli si siano improvvisamente invertiti. Hai paura di me Karofsky?”
Un breve silenzio “Kurt?” la sua voce era stridula per la sorpresa “Come hai avuto il mio numero?”
“L’ho preso da Finn.”
“Perché?”
Quella domanda lo colpì in pieno; non lo sapeva bene nemmeno lui. “Non lo so, dopo il nostro incontro negli spogliatoi volevo chiamarti, ma poi non avrei saputo bene cosa dire.”
Dave sbuffò “E stasera?”
“Avevo voglia di sentire la tua voce.” Cazzo. Una frase più sbagliata non poteva venirgli in mente.
Dave era rimasto in silenzio. “La verità è che sono ad una festa a casa di Rachel e sono tutti sbronzi tranne me e mi stavo annoiando a morte, poi la musica mi stava facendo venire mal di testa e così mi sono rinchiuso in camera sua per avere un po’ di pace.” Disse d’un fiato.
“Sei nel covo della Berry?” C’era una nota di disgusto nelle sue parole.
Kurt rise “Sembra un incrocio tra la casa di Holly Hobbit e il camerino di Barbie…tu non sai che orrore, ma almeno qui è tranquillo.”
“E per quale motivo non ti sei sbronzato anche tu Hummel?”
Kurt sbuffò “Dopo aver vomitato sulle scarpe della Pilltsbury durante l’orari scolastico e aver rischiato una sospensione, cominci a rivedere le tue priorità.” Rispose.
Dave rise; era un suono bello, allegro e contagioso. Gli sarebbe piaciuto vederlo, non solo sentirlo. “Quindi ricapitoliamo: sei a casa di quella pazza della Berry, tutti i tuoi amici sfigati del Glee sono ciucchi come zucchine, tu ti chiudi in una camera e decidi di telefonare al tuo ex-bullo perché ti annoi. Scommetto che hai avuto serate migliori, eh Hummel?”
Kurt deglutì pesantemente. “A quanto pare non sono l’unico che fa gesti sconsiderati, o devo ricordarti San Valentino?”
“Touchè.” Concesse David.
“La verità è che ci sono un sacco di cose da dire Karofsky, ma nessuno dei due ha il coraggio di farlo.” Disse Kurt, prendendo a torturare un orrendo coniglietto di peluche sul letto.
“E pensi che al telefono sia una buona idea?” chiese Dave.
Kurt ci pensò su un attimo “Tu ce la faresti a parlare faccia a faccia?” chiese sarcastico.
“In realtà non lo so. Il fatto è che non saperi bene cosa dirti, Hummel. Ti ho chiesto scusa, ti ho detto che sono pentito e sto provando a cambiare se mai volessi tornare a scuola; sai perché l’ho fatto, non pretendo nemmeno il tuo perdono. Ti ho anche confessato che…” si interruppe. “Ora penso tocchi a te parlare.” Concluse con voce brusca.
“Domani. Da Starbucks alle 5. quello vicino alla superstrada, che è poco frequentato.”
“Che cos’è un appuntamento Hummel?” chiese Dave sorpreso.
“No, ma hai ragione tu: certe cose vanno dette faccia a faccia. Non fare tardi.” Detto questo attaccò senza aspettare una risposta, per paura di un rifiuto e per un’imminente attacco di panico. Che cosa aveva fatto?
Con un sospiro decise di scendere per controllare la situazione al piano di sotto.

Era il reggiseno di Brittany quello che pendeva dal lampadario? Della proprietaria non c’era l’ombra da nessuna parte. Buona parte dei ragazzi erano andati via con Finn per il primo giro di passaggi; dei rimanenti alcuni dormivano sul divano, altri per terra. Rachel era sparita chissà dove, ma grazie al cielo Blaine era lì, seduto per terra, intento a far girare la bottiglia da solo.
A Kurt fece tenerezza: non era abituato a vedere l’amico così fuori controllo. Blaine per lui era il ragazzo perfetto, il mentore pronto a sorreggerlo nei momenti difficili; molto spesso finiva per dimenticarsi che era un ragazzino come lui, con il cuore spezzato per giunta.
“Kurtie!” finalmente si era accorto della sua presenza “La bottiglia si è fermata su di te, quindi devo baciarti.”
Kurt arrossì leggermente “Non penso sia una buona idea…e poi puzzi di vodka che lo sento da qua, Blaine.” Ma l’amico non sembrava sentirlo. Gattonò fino a lui e prese a tirargli i pantaloni, per farlo piegare “Kurt! Perché non mi vuoi baciare? Sono davvero così brutto?”
“Ma che dici Blaine?” chiese lui sconvolto.
“Non piaccio mai ai ragazzi: con Jeremiah ho fatto un casino; ti ho spezzato il cuore a San Valentino; non ho mai avuto un ragazzo…sono un disastro!” prima che Kurt se ne rendesse conto, l’amico stava singhiozzando per terra. “E’ colpa della mia altezza, o delle mie sopracciglia, si lo so, è così!” ululò.
Kurt era sconvolto: un attimo prima rideva come un pazzo e ora non riusciva a respirare per i singhiozzi. Nessun’altro sembrava essersene accorto, continuavano a dormire nel loro coma etilico. “Dovrò accontentarmi di Rachel.” Piagnucolò.
Kurt si inginocchiò e asciugò le lacrime dal viso dell’amico. “Blaine, ascoltami bene: tu sei un ragazzo magnifico, dolce, sensibile e nel tuo aspetto non c’è assolutamente nulla che non va, credimi.” Arrossì. “Se Jeremiah questo non l’ha capito, ci ha perso lui.” Hai solo 16 anni, come fai a pensare che non avrai mai un ragazzo?” gli passò una mano tra i ricci morbidi e profumati, liberi dal gel, pensando che quelle parole calzavano a pennello anche per la sua stessa situazione. “Troverai qualcuno in grado di amarti come meriti, e credimi, non sarà necessariamente Rachel Berry…prima che le passerà la cotta per mio fratello avranno legalizzato i matrimoni gay in tutti gli stati d’America!”
Il moro lo guardò speranzoso, aveva smesso di piangere e sorrise sincero.
“Kurt…”si avvicinò pericolosamente al viso del soprano, tanto che Kurt poteva quasi contargli le ciglia “Sei il migliore amico del mondo!” dopo di che collassò definitivamente sul suo petto. Kurt tirò un sospiro di sollievo; era sicuro che Blaine non si sarebbe ricordato nulla il giorno dopo. In quel momento tornò Finn.
“Tempismo perfetto.”disse sarcastico.
“Bè, ho riaccompagnato mezzo Glee Club a casa, provaci tu a gestire un branco di ubriachi in macchina!” poi si accorse della posizione di Kurt “Che ci fa Blaine sdraiato su di te?” aveva una leggera nota di panico nella voce.
“Niente. Non lo vuoi sapere davvero. Dammi una mano piuttosto, dubito che si svegli prima di domani.”
“Lo lasciamo qui?” chiese Finn.
“Ma sei pazzo? Chi ci assicura che Rachel non lo violenti stanotte? Lo portiamo da noi.” Il tono era irremovibile.
“Sai che se Burt lo scopre finiamo nei guai, vero?” sussurrò il fratello terrorizzato.
“Finn, guardalo. Ti sembra pericoloso?” Blaine russava della grossa.
“Ci penso io a mio padre; tu ora levamelo di dosso che se inizia a sbavarmi sulla camicia nuova di Alexander McQueen sarò io a non saper rispondere delle mie azioni.”
“Ok, ma lo mettiamo da te che hai il bagno in camera…non si sa mai. Io dormo sul divano. Non voglio saperne nulla.”
Dopo aver portato il resto del Glee a casa ( non senza difficoltà); Kurt si ritrovò Blaine sdraiato accanto, nel suo letto.
Lo guardava dormire beato nella penombra della sua camera. A Natale avrebbe ucciso per un’occasione come questa: il suo meraviglioso migliore amico, ubriaco, nel suo letto. Avrebbe potuto chinarsi e baciarlo come se niente fosse; scoprire finalmente che sapore avevano le sue labbra. Probabilmente sapevano di vodka.
Il primo vero bacio gli era stato strappato brutalmente da una persona che odiava con ogni fibra del suo essere; aveva senso sprecare il secondo con un amico ubriaco? E poi non voleva tradire la fiducia di Blaine.
In quel momento vibrò il cellulare, accendendo una luce nel buoi. Un messaggio.
- Spero che tu sia sopravvissuto alle follie del Glee Club. Notte –D. –
Kurt fissò lo schermo per cinque minuti buoni senza capire se stesse sognando o no.
David Karofsky gli aveva appena mandato un messaggio della buona notte. Era impossibile da crederci, eppure era lì, tra le sue mani, nero su bianco.
Rispondergli che in quel momento si trovava a letto con un ubriaco Blaine Anderson poteva non essere una buona idea.
- Ho affrontato molto di peggio  Notte anche a te –K – Inviandolo si sentì come più leggero, e non poté fare a meno di sorridere nel buoi. Forse si stava solo scavando la fossa da solo, ma per ora era curioso di vedere dove l’avrebbe portato quella sottospecie di rapporto.
Si voltò verso l’amico addormentato e gli posò un casto bacio sulla fronte. Quello vero avrebbe potuto aspettare.




A/N: Dave si presenterà o no all’incontro con Kurt? Lo scoprirete nel prossimo capitolo! Spero che questo vi sia piaciuto ( recensite! Non siate timidi, vedo molte letture…) io personalmente mi sono molto divertita a scriverlo. Da parte mia mi dispiace per Blaine, dal momento che penso che Darren Criss sia veramente un bel ragazzo…ma mi ha fatto ridere autocommiserarlo. Il rapporto tra i due protagonisti sembra fare piccoli passi avanti, e poi giganteschi all’indietro. Posso dirvi che per rendere la cosa più credibile, non sarà facile. Nel prossimo capitolo verrà approfondito un nuovo personaggio. Chi mi dice qual è? Ho deciso di proseguire un punto di vista a capitolo, spero che la cosa sia più chiara. Vi avverto che ci avviciniamo un po’ all’angst, ma niente di ingestibile. Non ho ricontrollato benissimo questo capitolo, spero non ci siano troppi errori. Alla prossima, e fatemi sapere che ne pensate!

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