Invincibile creatura di Mizar19 (/viewuser.php?uid=83718)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rapporti simbiotici ***
Capitolo 2: *** Sex and the Sushi ***
Capitolo 3: *** Porte chiuse ***
Capitolo 4: *** Padri suscettibili ***
Capitolo 5: *** Lupi di mare ***
Capitolo 6: *** Canto notturno del sonno perduto ***
Capitolo 7: *** Bonjour, Paris! ***
Capitolo 8: *** L'angelo guerriero ***
Capitolo 1 *** Rapporti simbiotici ***
SPINOFF - E&V
1.
Premetto che so perfettamente che non dovrei essere qua a scrivere
questa raccolta, ma non ho potuto resistere! So che è un
mese
che non aggiorno Fior
di pesco e
vi chiedo scusa, ma è stato un periodo pesante,
scolasticamente
parlando. Quindi inizio a farmi perdonare con questo e prometto che
entro la prossima settimana aggiornerò.
Per ora godetevi Veronica ed Elena e, come al solito, fatemi sapere
cosa ne pensate!
Genere: Romantico
Rating: Giallo
Avvertimenti: Yuri
RAPPORTI SIMBIOTICI
Sprofondata nella sua poltrona preferita, con una lattina di birra in
mano e i piedi sul pouf arancione, incollata alla partita di calcio,
Elena non avrebbe potuto desiderare nulla di meglio. Si
rilassò,
godendosi la solitudina della casa, solitamente affollata e caotica,
felice di essersi definitivamente sbarazzata di Sabrina. La loro storia
era durata quasi sei mesi: i primi tre erano stati sereni e decisamente
intensi, specialmente in camera da letto, poi era iniziato un
inarrestabile dérapage
che l'aveva portata a non tollerare più i modi infantili di
Sabrina e la sua gelosia nei confronti della sua migliore amica.
Il pretesto per rompere definitivamente con lei era stato un suo
ricatto - se vuoi stare
con me, devi mollare quella! - ed Elena aveva subito
colto la palla al balzo, rispondendole che a Veronica non avrebbe
potuto rinunciare per nulla al mondo.
Tutto ciò era accaduto una settimana esatta fa, a scuola,
durante la pausa pranzo prima del rientro pomeridiano. Nonostante si
fosse sentita molto in colpa per come l'aveva trattata, si era detta
che, in fondo, avevano solo sedici anni, quasi diciassette, mica si
sarebbero dovute
sposare!
Aveva poi proceduto ad una progressiva e sistematica eliminazione di
tutto ciò che aveva riguardato Sabrina: foto, regali,
lettere,
persino una maglietta che lei le aveva regalato, non voleva
più
avere nulla a che fare con quella ricattatrice.
Mandò giù una fresca sorsata di Heineken,
sospirando
soddisfatta, quando il campanello la riscosse dal suo torpore. Convinta
che fosse Sabrina, decise di ignorarla, alzando il volume del
televisore e infossandosi ancora di più fra la ruvida stoffa
della poltrona.
Il campanello venne suonato con più insistenza, accompagnato
anche da due secchi colpi alla porta.
Sbuffando e lamentandosi per essere stata interrotta in quel momento di
profonda meditazione e pace interiore, si avvicinò alla
porta
per poi gettare una rapida occhiata allo spioncino.
Una bella, bellissima ragazza, alta a slanciata, con lunghi capelli
biondi sciolti sulle spalle e grandi e, come ebbe modo di constatare,
seccati occhi azzurri. Mormorando un "ops" fra sè e
sè,
aprì la porta, sfoderando rapida un sorriso di scuse.
- Volevi lasciarmi fuori? - brontolò Veronica, varcando la
soglia con passo deciso.
Erano amiche dai tempi dell'asilo. Erano sempre state molto legate
l'una all'altra, quasi simbiotiche, anche se Elena, scherzando,
affermava sempre che era un rapporto parassitario, dove lei era il
povero vegetale e Veronica il fastidioso esserino approfittatore.
Avevano frequentato la stessa classe alle scuole elementari e alle
scuola medie, per poi prendere due strade completamente opposte al
liceo: Veronica si era lanciata sugli studi umanistici, mentre Elena
sulla matematica e sull'informatica. Ma non per questo il loro rapporto
si era affievolito.
- Scusami, pensavo fosse quella
- borbottò, richiudendo la porta.
- Ti sta ancora attorno?! Ora vado a spaccarle la faccia -, Veronica
era rossa in volto ed era davvero intenzionata a concretizzare la sua
affermazione, tant'è che Elena le bloccò la mano
sulla
maniglia.
- Vero... calmati -, le posò un bacio sulla fronte - E'
tutto a
posto, la ignoro senza problemi. Prima o poi si stuferà -
- E se non si stufasse? Se non ti, anzi, ci lasciasse in
pace?! - protestò Veronica, pestando un piede sul pavimento,
come una bambina capricciosa.
- Cosa ti ha fatto? - domandò con tono grave Elena, che non
era a conoscenza di ciò.
Veronica arrossì, ma non diede segno di voler rispondere.
- Vero, cosa ti ha detto?! - esclamò Elena, afferandole i
polsi e scuotendola.
- Niente di grave... - pigolò, tentando di rimpicciolire di
fronte all'amica per sfuggire alle sue domande.
- Un corno! Voglio saperlo ora! -
Veronica cedette, sapendo che Elena non l'avrebbe lasciata andare tanto
facilmente dopo la sua affermazione.
- Mi ha telefonato un paio di volte, qualche messaggio... sono solo
minacce vuote -
- Le parole esatte, Vero, voglio sapere cosa diamine
ti ha detto - scandì Elena, avvicinando il suo viso a quello
di
Veronica, per osservarle attentamente le iridi color del cielo.
- Non ricordo esattamente, ma erano cose tipo "lascia stare Elena
altrimenti sarà peggio per te", oppure "sparisci prima che
ti
capiti qualcosa" -
Elena le lasciò andare bruscamente i polsi, poi, dopo un
attimo
di esitazione, la abbracciò, stringendola con forza.
- Perchè non mi hai detto nulla? - sussurrò al
suo orecchio.
- Non volevo farti preoccupare inutilmente, ti dava già
abbastanza fastidio lei, senza che mi ci mettessi pure io a stressarti
-, Veronica si lasciò stringere volentieri, accoccolandosi
fra
le braccia forti dell'amica.
- Tesoro, qualunque cose ti accada mi riguarda, e non è
affatto uno stress prendermi cura di te... -
Veronica arrossì. Quando Elena le sussurrava quelle parole
sperava che finalmente le rivelasse il suo amore. Accadeva tutto
già prima che Elena si mettesse assieme a Sabrina: Veronica
era
innamorata di lei da più di un anno e l'ingresso di quella
ragazza nella vita di Elena l'aveva completamente distrutta. Ora aveva
una nuova speranza, ma l'amica, dopo averle confessato di essere
omosessuale, le aveva assicurato che per lei sarebbe stata come una
sorella. Inizialmente le chiedeva persino il permesso di abbracciarla o
baciarla, ricordandole ogni volta che non era innamorata di lei. Come
se a Veronica potesse dispiacere.
- Ti prego, cambiamo discorso, cosa stavi facendo di bello? Partita,
suppongo -, riferendosi alle grida da stadio provenienti dal salotto.
- Ecco, a proposito... che ci fai qui? -
- Ero sola, volevo passare da te -, Veronica arrossì di
nuovo ed Elena rise.
- Sei la donna della mia vita - le disse scherzando, per poi attirarla
a sè cingendole la vita con un braccio, a mò di
posa da
ballo.
Veronica si sentiva leggera, incorporea, mentre fissava quegli occhi
verde bottiglia protagonisti di tanti suoi sogni. Quando Elena
avvicinò il viso al suo, automaticamente dischiuse
leggermente
le labbra. Quando i loro nasi si toccarono, Veronica chiuse gli occhi,
per riaprirli all'improvviso quando avvertì una pressione
sul
collo: Elena l'aveva morsicata!
La allontanò bruscamente da sè, arretrando di
qualche passo.
- Dai Vero, scherzavo. Non volevo... avvicinarmi così.
Scusami
tanto se ti ha dato fastidio -, Elena era sinceramente dispiaciuta, ma
lei non riusciva ad aprire bocca, paralizzata dall'idea di poter
scoppiare a piangere senza ritegno. Erano stati i secondi
più
agognati della sua vita: aveva respirato il fiato caldo di Elena, quasi
percepito le sue labbra.
- Scusami Vero, davvero. Sono una cretina, però ti prego,
parlami -, Elena si mise in ginocchio di fronte a lei, le mani giunte.
Era una scenetta che Veronica aveva già visto e solitamente
si
concludeva con una risata e un abbraccio, ma questa volta era diverso.
Elena l'aveva toccata nel profondo, per poi riemergere così
bruscamente da lasciare un dolore bruciante, che ora le si espandeva
nel petto, fino agli occhi, già scintillanti di lacrime.
- Oddio, tesoro, non fare così -, Elena aveva capito che il
problema era decisamente più serio di quanto credesse
inizialmente. Si rialzò, avvicinandosi cautamente. Quando si
rese conto che Veronica non l'avrebbe respinta, la strinse a
sè
dolcemente.
- Ora andiamo di là e parliamo -
stabilì risoluta,
ignorando il suo silenzio. Con un rapido movimento le passò
un
braccio sotto le gambe, per poi sollevarla. Veronica
sussultò,
stringendosi automaticamente al collo dell'amica.
Arrivati in salotto, la posò delicatamente sulla poltrona,
dove,
fino a pochi minuti fa, era sprofondata lei, pronta per una serata
all'insegna del godimento più totale. Spense la televisione
e si
sedette sul pouf, proprio di fronte all'amica.
- Sei sicura che Sabrina ti abbia detto solo quello? Non c'è
null'altro? - indagò, incerta sul sentiero da imboccare per
condurre l'interrogatorio.
- No, nulla, te lo giuro -
- Perchè piangi? - le domandò direttamente,
stringendole le mani.
- Non importa, una sciocchezza... - mormorò, tirando su con
il naso.
- Stai piangendo, Vero. Non può essere una sciocchezza.
Perchè non vuoi parlarne? E' capitato qualcosa di spiacevole
a
casa? Ancora i tuoi? - la esortò pacatamente Elena,
asciugandole
le lacrime con le dita.
- No, i miei pare abbiano chiarito... ma non si sa bene... -
Elena le prese il viso fra le mani per poi asciugarle nuovamente le
lacrime con i pollici.
- E' per quello che ho fatto pima? Mi sono...avvicinata troppo? -
domandò Elena, con una punta di amarezza nella voce, come
delusa
dalla reazione dell'amica.
Veronica smise di piangere.
- No! No, no! A me... a me fa piacere che tu mi voglia così
bene! - esclamò affannata, timorosa di perdere quel contatto
fisico che condivideva con l'amica, unica sua fonte di piacere.
- Posso? - domandò Elena, mimando il gesto di un abbraccio.
Osservando quegli acquosi occhi azzurri, qualcosa le si era smosso
nello stomaco, un qualcosa che lei aveva messo prontamente a tacere. Se
l'era ripromesso più volte: Veronica era la sua migliore
amica,
eterosessuale. Avrebbe dovuto ormai essere un dato di fatto. Eppure non
era così. Quel suo atteggiamento affettuoso, quasi di amore,
era
dettato dal senso di protezione che l'amica le ispirava e si era quindi
accontentata di passare in secondo piano, sicura dell'orientamente
sessuale di Veronica, limitandosi a gesti affettuosi piuttosto comuni
fra amiche, anche se talvolta potevano apparire ambigui.
Veronica annuì, anzi, si sporse per lasciarsi circondare
meglio
da Elena, poggiando la testa sulla sua spalla. Elena premette le sue
labbra contro il suo orecchio e i suoi capelli, posandovi piccoli baci.
- Ti voglio tanto bene, Vero, e anche se non mi vuoi rivelare il vero
motivo del tuo malessere, dato che rispetto la tua scelta, io sono qui
accanto a te, anzi, appiccicata a te - scherzò Elena,
strappandole un sorrise.
Elena allentò leggermente la stretta per poter guardare
Veronica
in volto, poi le posò un bacio sulla punta del naso. Questo
era
uno dei tanti gesti ambigui che le donava, ma, finchè a
Veronica
stava bene, sarebbe stato perfetto anche per lei.
- Grazie - mormorò Veronica, spostando una mano a carezzarle
gli spettinati capelli castani.
- Sei proprio certa che io possa permettermi di... come dire,
avvicinarmi così a te? - , Elena voleva la piena conferma di
Veronica e solo osservando i suoi bellissimi occhi avrebbe potuto
cogliere al volo una sua eventuale bugia.
- Certo Elena... - sospirò, deglutendo, sicura di
ciò che stava per dire - Ogni volta che vuoi -
Elena rimase per un momento perplessa, tentando di pesare
quell'affermazione. Decise che per ora non avrebbe mutato
atteggiamento, anche se avrebbe mantenuto un occhio particolare per
l'amica. Le stava infatti germogliando un piccolo sospetto che avrebbe
potuto spiegare molte cose.
- Stai meglio? -
- Sì, grazie. E scusami tanto... -, Veronica
abbassò gli occhi.
- Non devi chiedere scusa per nulla, piccola, lo sai che io, per te, ci
sono sempre -
Proprio per questo Veronica si era sempre sentita una sorta di
privilegiata: Elena era una ragazza bella, molto bella, con un carisma
eccezionale che faceva presa su chiunque e ciò la rendeva
estremamente popolare. Ma lei aveva sempre rifiutato qualsiasi
tentativo di approccio troppo intimo e personale, diffidando di quelle
persone come la portava a fare la sua indole solitaria. Poche persone
le erano state davvero amiche e una sola aveva il privilegio di
conoscerla veramente e profondamente.
- Sei tanto tenera quando dici così - rise Veronica,
stringendosi al suo collo.
- E' la verità, tesoro. Ora però che ne dici di
lasciarmi
un po' d'aria? Giusto per sopravvivere - tossicchiò Elena.
Veronica rise ancora, arcuando le sue labbra sottili e rosee, scoprendo
due arcate di denti regolari, ottenuti dopo anni di apparecchio.
- Cosa ti va di fare? - le domandò Elena, alzandosi e
tirando con sè l'amica.
- Quello che va a te - rispose lei serafica.
- Vedere la partita bevendo birra? -, Elena sollevò un
sopracciglio, mentre Veronica annuiva con forza.
- Dai, accendi 'sto apparecchio e vai a prendere da bere anche per me -
Veronica si lasciò cadere sulla poltrona, allungando le
gambe
sul pouf e rivolgendo un docile sorriso ad Elena, che, stregata dai
suoi occhi, non potè fare a meno di obbedire.
- Ora però ti alzi da lì, perchè hai
capito
proprio male se pensi di occupare bellamente il mio posto senza che io
mi ribelli: un conto è servirti birra, un conto è
vedere
il mio trono usurpato -, Veronica scoppiò a ridere, senza
dar
alcun segno di volersi alzare.
Elena la sollevò quasi di peso e, mentre lei iniziava a
protestare, si riappropriò della sua poltrona. Veronica, in
piedi di fronte a lei, la osservava imbronciata.
- Vieni qui, noiosona - Elena le prese una mano, facendole segno di
sedersi fra le sue gambe. Veronica esitò, però
poi si
sistemò comodamente.
Elena le schioccò un bacio sulla guancia, per poi passarle
lentamente le dita fra i lunghi capelli dorati. Percepì
chiaramente il fremito di Veronica e decise di spingersi leggermente
oltre, sicura della sua intuizione.
Continuando a carezzarle i capelli, portò l'altra mano sul
ventre dell'amica e sfiorando con gesti lenti e ponderati il sottile
cotone della canottiera blu notte. Dopo qualche secondo, durante il
quale Veronica posò la lattina di birra sul tavolino, come
per
paura di lasciarla cadere, iniziò a posare delicati baci
dietro
al suo orecchio.
L'altra sussultò, inarcando la schiena in un movimento
automatico. Elena percepì un calore conosciuto invaderle il
basso ventre quando Veronica mugulò dopo che l'ebbe sfiorato
l'ombelico con un dito.
- Elena... - la chiamò Veronica, riaprendo gli occhi.
- Dimmi, piccola -
- Ti voglio bene -, ormai entrambe sapevano di essere arrivate ad un
punto di non ritorno, una svolta definitiva.
- Anche io, tesoro, tantissimo -
Veronica si voltò verso di lei, per poi sedersi cavalcioni
sulle
sue gambe e posarle le mani sulle spalle, che non erano
novità
per Elena, ciò che la stupì fu lo sguardo
sensuale,
volontario o involontario, che le lanciò Veronica.
- Da quanto tempo sei innamorata di me? -, ormai Elena non aveva
più alcun dubbio.
Veronica arrossì, chinando gli occhi, come se se ne
vergognasse.
- Io dal momento in cui ti ho vista, nel cortile dell'asilo, con quel
grazioso grembiulino rosa e un gatto di peluche in mano -
sussurrò Elena, arrossendo a sua volta per quelle parole che
per
tanto tempo aveva tentato di sprofondare dentro sè.
- Sul serio? - mormorò estasiata Veronica, spalancando gli
occhi ricolmi di gioia.
- Sì, tesoro. Perchè credi mi sia fatta tanti
scrupoli,
dopo averti confessato di essere omosessuale, a mantenere uno stretto
contatto fisico con te? -
Veronica sorrise.
Rimasero ad osservarsi vicendevolmente il tempo necessario per
abituarsi alla nuova situazione, poi Elena l'avvicinò a
sè.
- Sei davvero la donna della mia vita -, le sorrise, stringendole la
vita.
- Me lo dai un bacio? - sussurrò Veronica, avvicinandosi
ancora
alle sue labbra, ma ancora timorosa di un rifiuto, di essersi
immaginata tutto.
- Come desideri, tesoro -
Elena annullò la distanza fra loro e, quando il tanto
agognato
contatto sopraggiunse, entrambe intensificarono il loro abbraccio.
Per Veronica era un territorio nuovo, non in relazione al bacio, ma in
relazione al sesso della sua amica. L'anno precedente, dato che il
sentimento che provava nei confronti della migliore amica assumeva
contorni sempre più nitidi, aveva deciso di dimostrare a se
stessa che lei poteva essere diversa, che era solo una sciocca
fantasia. Non aveva impiegato troppo tempo a trovare un ragazzo che
assecondasse anche i suoi gusti estetici: si chiamava Lorenzo ed era un
compagno di classe di Elena. Erano stati assieme forse un mese, nemmeno
se lo ricordava più, ma aveva definitivamente capito che un
uomo
non era ciò che voleva. Si stava quindi facendo coraggio per
rivelare ad Elena ogni cosa, quando l'amica l'aveva preceduta e aveva
fatto crollare ogni sua aspettativa con quel famoso discorso "solo
amiche, come due sorelle". Si era quindi rassegnata e ritirata
nell'ombra della nuova vita sentimentale dell'altra, osservando le
diverse ragazze che incontrava. Con alcune si limitava a flirtare, con
altre si era spinta un po' più in là, ma con
nessuna si
era impegnata seriamente, finchè aveva conosciuto meglio
Sabrina.
Il resto era storia nota.
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Capitolo 2 *** Sex and the Sushi ***
2.
Il secondo episodio: voilà! Ringraziamenti al
fondo! (Qui, invece, le solite scuse per l'imperdonabile ritardo).
Genere: Romantico,
Erotico (solo nel finale)
Rating: Arancione
Avvertimenti: Yuri
SEX AND THE SUSHI
-
Ti prego,
ti prego, ti prego, ti prego... - una lunga litania che durava da ormai
parecchi minuti. Elena rideva, mentre Veronica, in ginocchio davanti a
lei, la
supplicava.
- No, smettila -
- Ti prego, ti prego, per favore, ti prego, ti prego... -
Veronica voleva assolutamente andare a vedere il
film di Sex and the
City, mentre Elena stava tentando di opporsi con tutte le sue
forze.
- Perchè non andiamo a mangiarci una bella pizza? Oppure
andiamo al giapponese?
Offro io! -, Elena sarebbe stata disposta a tutto pur di sottrarsi alla
serata
propostale da Veronica.
Decisamente,
guardare Sex and the City non era
il
suo ideale di serata romantica, specialmente se coincideva con un
anniversario.
- No, dai, ti prego! Voglio assolutamente vederlo e se non mi ci porti
tu andrò
con qualcun'altro - sentenziò offesa, alzandosi e
allontanandosi alla ricerca
del telefono.
- Ferma! Vero, ti prego! - la afferrò per un braccio -
Voglio passare la serata
con te, amore - le sussurrò, posandole un bacio sulla fronte.
Poi iniziò a carezzarle i fianchi delicatamente, le sue mani
scivolavano
agilmente sul leggero cotone della camicetta rosa, spostandosi verso il
sedere,
e, contemporaneamente, le baciava il collo profumato.
- No, carina, questa volta non funziona -, Veronica la
allontanò con un
sorrisetto.
- Ma è il nostro anniversario! Io non ho intenzione di
andare a vedere
quella... cosa! - si lamentò Elena.
- Stiamo già insieme da due anni?! Che palle... ma come ho
fatto a sopportarti?
- Veronica sgranò gli occhi, sbuffando, per provocare
l'amica.
- Questa me la paghi - sibilò Elena, per poi slanciarsi
contro di lei. La prese
al volo, caricandosela su una spalla, sorda alle sue sonore proteste.
- Se mi fai cadere ti picchio! -
- Che violenza, io volevo solo stare con te, ma tu sei una bestiaccia
selvatica
-, Elena la lasciò cadere sul suo letto, per poi baciarla,
intrufolandosi quasi
a forza fra le sue labbra.
- Io... non... sono... selvatica - protestò Veronica fra un
bacio e l'altro,
finchè smise di dimenarsi, abbandonandosi contro il petto
dell'altra.
Restarono avvinghiate per una decina di minuti, finchè una
chiave che girava
nella porta d'ingresso le costrinse a ricomporsi.
- Sono a casa - era Paolo, il fratello di mezzo. Ingegnere
informatico, trentun'anni, ufficialmente fidanzato da due e prossimo
alle nozze.
- Ehi - fu il caloroso saluto di Elena, che sbucò dalla sua
stanza.
- Mamma? - chiese, guardandosi attorno. Anche Veronica uscì
dalla stanza,
raggiungendo Elena e fermandosi qualche passo dietro di lei, tentando
di farsi
notare il meno possibile.
Osservando il fratello di Elena, constatò per l'ennesima
volta quanto fossero
simili, anche se diametralmente opposti: entrambi alti e allampanati,
con una
massa disordinata di capelli scuri e grandi occhi verdi, carattere
impulsivo e
tendenzialmente aggressivo, ma le loro opinioni politiche non potevano
essere
più distanti, così come i loro concetti di
moralità.
- E' uscita con papà. Credo siano in pizzeria -
- Ti ha detto qualcosa? Dovevo cenare con loro... -
- No -
Non un fu un dialogo per nulla caloroso e il silenzio era calato gelido
nella
stanza, come una sottile lamina di ghiaccio. Non bastava un legame di
sangue
per spingere due persone ad amarsi.
- Scusate il disturbo - borbottò, apparentemente notando la
presenza di
Veronica solo in quel momento.
Prima che Elena potesse replicare, Paolo se ne andò.
- Deficiente - ringhiò, colpendo l'aria con un repentino
scatto della mano.
- Amore... -, Veronica le strinse la vita, poggiando la testa sulla sua
spalla,
nel tentativo di rassicurarla e tranquillizzarla.
- Stai tranquilla, va tutto bene - Elena le carezzò i
capelli, sorridendole.
- Mi porti a vedere Sex and the City? -
sdrammatizzò Veronica,
scoppiando a ridere.
Elena emise un gemito di dolore.
- Ti prego, amore, ti prego, ti prego... -
Ecco che Veronica ricominciava con la sua inarrestabile e petulante
litania.
Elena non aveva alcuna intenzione di cedere, non gliel'avrebbe mai data
vinta,
mai!, piuttosto che vedere quel film, si sarebbe fatta gettare in pasto
ai
leoni, non sarebbe crollata di fronte agli occhioni blu di Veronica, i
suoi
bellissimi occhioni... così dolci e luminosi...
- Va bene, va bene! Ma stai zitta! -
Veronica squittì di gioia, schioccandole un bacio sulla
guancia. Poi si fiondò
in camera da letto per finire di vestirsi.
Elena si lasciò cadere con un gran sospiro nella sua
poltrona preferita, la
solita vecchia poltrona di stoffa ruvida, un tempo di un vivido blu
ceruleo,
teatro di importanti momenti e silenziosa spettatrice delle loro
conversazioni
più segrete. Sfregò una mano contro il bracciolo
destro, ripensando alla faccia
di suo fratello nel momento in cui aveva visto Veronica e subito le
guance le
si imporporarono per la rabbia.
Un tonfo proveniente dalla sua camera la mise sul chi vive. - Vero? -
chiamò, preoccupata.
- Niente, scusami, mi è caduto l'astuccio con le creme e i
trucchi -
Elena sospirò nuovamente. Da un anno a quella parte, la sua
dolce ragazza aveva
iniziato ad invadere il suo spazio, lasciando a casa sua vestiti,
trucchi,
creme, spazzole, scarpe, nemmeno fossero già andate a vivere
assieme. Non che
ad Elena dispiacesse, ma sua madre le faceva un sacco di storie,
rinfacciandole
continuamente che nulla è per sempre, che l’amore
brucia in fretta, per poi
lasciarti con una manciata di cenere. Di tutto ciò,
ovviamente, Veronica non
sapeva nulla, altrimenti avrebbe immediatamente tolto tutte le sue cose
dalla
stanza di Elena. Quando si sentiva sola, Elena prendeva una sua
maglietta e la
stringeva, beandosi del suo profumo delicato, oppure restava a lungo a
contemplare ciò che Veronica le lasciava, come se tutti
quegli oggetti fossero
piccole parti di lei e potessero aiutarla nei momenti di solitudine.
- Sei pronta? - la chiamò, stufa di attendere.
- Sì, arrivo! -
Veronica saltellò nel salotto, per poi eseguire una pirouette
davanti ad
Elena, così da permetterle una vista a tutto tondo della sua
mise: una
camicetta bianca abbinata ad una gonna morbida al ginocchio, decorata
da
eccentrici motivi autunnali e caldi, ai piedi un paio di sandali di
corda.
- Ti piaccio? - sussurrò arrossendo, sembrando, per un
attimo, una timida
bimba.
- Tantissimo, cucciola - Elena la strinse a sè.
Elena mise in moto la vecchia Ka rossa, mentre Veronica cercava una
stazione
radiofonica che non trasmettesse indecenze.
- E' meglio parcheggiare dal teatro o dalla stazione? Qual è
il più vicino? -
domandò Elena, incerta sulla strada da imboccare.
- Direi il teatro... ma possibile che non si riescano ad ascoltare
nemmeno due
accordi? - brontolò, continuando a litigare con il piccolo
marchingegno.
Elena sorrise fra sè e sè.
Attorno a loro, il sole si stava spegnendo in un’aura rosata,
accendendo di un’atmosfera
quasi magica il Viale dei Pioppi, che stavano attraversando.
-
Dopo il
cinema andiamo a mangiare qualcosa? -
- Volentieri, ho voglia di sushi! -
- Allora offro io -
- Nemmeno per sogno, tocca a me! -
Iniziarono a discutere riguardo a chi spettasse pagare il
conto e non
smisero finchè il motore fu spento.
- Smettila, l'altra sera hai offerto tu! - protestò Veronica.
- Voglio solo essere galante -
- Sei noiosa... - la prese in giro Veronica, mostrandole la lingua.
- Ne riparliamo dopo, che ne pensi? -, con uno scatto le portiere si
chiusero e
Elena mise un braccio attorno alle spalle di Veronica, per poi avviarsi
verso
il multisala costruito recentemente, forse da un paio d'anni.
- Penso che tanto offrirò io - sentenziò la
bionda, scuotendo i lunghi capelli
ondulati.
- Allora permettimi di ripagarti più tardi - cedette Elena,
non senza la
possibilità di ringraziarla per la sua cortesia.
Veronica avvampò, poi si strinse con più forza
alla vita di Elena, mozzandole
il respiro.
- Lo sai che sei molto sexy con la camicia? - sussurrò con
un mezzo sorriso.
Elena ne indossava una a maniche corte grigio perla, aperta, e sotto
una
maglietta bianca e grigia.
- Anche tu -
Erano le otto e avevamo mezz'ora di tempo prima che iniziasse il film,
quindi,
dopo aver acquistato i biglietti, uscirono per fare due passi.
- Amore? - sussurrò Veronica, notando lo sguardo vacuo
dell'altra.
- Scusami, ero... sovrappensiero -, Elena scosse la testa con forza.
- Va tutto bene? - domandò Veronica, premurosa, fermandosi
all'improvviso e
stringendole la mano che non teneva sulle sue spalle.
- Più o meno, tesoro, ma non voglio darti pensieri quindi
ora stai brava e
continuiamo a festeggiare il nostro anniversario - Elena le
posò un bacio su
una tempia.
- No, ti prego, parliamone, così poi ti sentirai meglio e
potremo divertirci di
più -
Elena cedette, annuendo, e iniziarono a cercare una panchina libera in
qualche
piazzetta. Un'impresa più epica della conquista di Troia.
Tutte, dalla prima all'ultima, ogni panchina delle piazzette limitrofe
era
occupata. Finirono così per sedersi sui gradini di fronte ad
alcuni resti
romani, venuti alla luce inseguito a lavori sulle condutture del gas.
- E' per Paolo? - domandò subito Veronica, carezzando il
volto dell'altra con
la punta delle dita, tracciando invisibili scie sulla sua pelle morbida.
- Sì... hai visto come... come ti ha guardata?! Sembrava
avesse visto un
gremlins o una bestia puzzolente e ripugnante -
- Non te la prendere, tesoro, lo sai che non devi dargli retta -
- Non ci riesco, mi spiace. La considero come un'offesa nei tuoi
confronti e
ciò che mi fa più arrabbiare è che
prima che ti presentassi come la mia
ragazza, tu eri quella radiosa, incantevole, studiosa, posata ed
educata
fanciulla che conteneva il mio caratteraccio. Ora sei l'essere
più viscido di
tutti -, qualcosa dentro di lei si contorse dolorosamente.
- Ciò di cui ho bisogno è sapere che tu
non mi consideri ripugnante,
della loro opinione me ne infischio -
Senza rispondere, Elena la strinse, affondando il volto nei suoi
capelli e inspirando
forte, per catturare il profumo.
- Torniamo al cinema, altrimenti perdiamo l'inizio del film -
balzò su Elena,
cogliendo Veronica alla sprovvista, che, appena si fu ripresa dal
brusco
cambiamento di situazione, le regalò un dolce sorriso, per
poi aggrapparsi nuovamente
al suo braccio.
- Spero per te che sia bello, altrimenti me la pagherai molto, molto
cara...
- le sussurrò Elena all'orecchio, facendola arrossire
nuovamente.
Quando
raggiunsero il multisala, c'era molta più calca di prima.
- Oddio, spero di non incontrare nessuno di sgradito, non è
proprio serata... -
borbottò Elena, infastidita soprattutto dal caldo.
- Qualcuno che conosci c'è... - le mormorò
Veronica all'orecchio, indicandole
con gli occhi un gruppetto di ragazzi, suoi compagni di classe.
- Spero non si accorgano di me -, il tempo di terminare la frase che il
più
alto del gruppo, un ragazzo dinoccolato dai ricci capelli castani, la
salutò
con un gran sorriso, sventolando una manona.
- Dai, in fondo sono persone che ti stanno simpatiche, pensa avessi
incontrato... che so, Sabrina! - ridacchiò Veronica, mentre
si avvicinavano ai
cinque.
- Ciao Ele! Cosa vai a vedere di bello? - le domandò
Giuseppe, che portava uno
spesso paio di occhiali sul naso sottile, che lo rendevano simile ad un
gufo.
- Sex and the City - sibilò lei in tutta
risposta. I ragazzi scoppiarono
a ridere.
- Scommetto che è senz'altro un'idea tua -
scherzò Andrea, il ragazzo che l'aveva
salutata per primo.
- Puoi giurarci - replicò sorridendo. In fondo, la loro
compagnia non era così
sgradevole: come al solito, Veronica aveva ragione.
- Come mai da sole? - domandò Michele, scostandosi una lunga
ciocca di capelli
scuri dagli occhi.
- Anniversario - rispose Veronica, intensificando la presa sul braccio
di
Veronica, mentre il viso le si illuminava.
- Allora auguri! -
Non era un segreto, non lo era quasi mai stato. La loro relazione era
stata
resa nota pochi mesi dopo essersi messe assieme: Veronica si era
rifiutata
categoricamente di fare le cose di nascosto, come se fosse un peccato,
qualcosa
di impuro e vergognoso, mentre l'orientamento sessuale di Elena era
già
conosciuto, dato che anche le sue precedenti relazioni non erano mai
state un
mistero. Ovviamente questo aveva comportato degli svantaggi, come la
rottura
del rapporto con suo padre e con alcune amiche, anche se non potevano
essere
definite tali, non dopo ciò che le avevano detto.
- Fila elle, posti sei e sette... fila elle
posti sei e sette...
- ripeteva Elena, scrutando le poltroncine rosso fuoco della sala, alla
ricerca
del loro ubi consistam.
- Ele! -, Veronica le strattonò un braccio con forza.
- Calmati, cosa c'è? -
- Guarda l'ultima fila - mormorò Veronica, gli occhi ridotti
a due fessure.
Elena alzò lo sguardo per incrociare quegli occhi nocciola
che l'avevano tanto
tormentata: gli occhi di Sabrina.
- Merda - sibilò, stringendo con forza la mano di Veronica.
In classe si sopportavano per amore del quieto vivere, ma ogni incontro
fuori
dall'aula era un litigio assicurato, perchè Sabrina aveva
ancora il dente
avvelenato con Elena, ma soprattutto con Veronica, che offendeva in
ogni modo e
in ogni occasione.
- Mi dispiace - sussurrò mogiamente Veronica, occupando la
poltroncina numero
sette.
- No, non dire così... -, Elena le posò un bacio
sui capelli.
- Sono io che ti costretta a vedere questo stupido film, sono io che ho
insistito tanto! E ora quella ci rovinerà la serata, il
nostro anniversario! Ne
sono certa -
Elena non replicò, ma la strinse a sè.
Dopo un'ora e mezza circa, le luci si riaccesero per l'intervallo.
Elena si
allungò nel suo sedile, distendendo le membra intorpidite,
specialmente la
spalla su cui la testa di Veronica aveva trovato un tiepido appoggio.
- Vado solo un attimo in bagno, torno subito -
Prima che Veronica avesse il tempo di replicare, Elena le
baciò la punta del
naso e si allontanò.
Dopo aver scomodato le cinque persone frapposte fra lei e la scalinata,
fece
una corsa fino al bagno, davanti al quale aspettavano già
due persone, una
delle quali particolarmente sgradita.
- Porti in giro la tua piccolina? - la provocò Sabrina,
alzando il mento in
segno di sfida.
Elena non le rispose nel tentativo di evitare un’imbarazzante
scenata, dato che
non erano sole. Infatti, la signora sulla quarantina che attendeva fra
le due
dovette aver intuito che fra loro non corresse buon sangue, quindi fece
un
passo verso sinistra, in modo da lasciarle l'una di fronte all'altra.
- Insomma, sarà un'occasione speciale - insistette Sabrina,
passandosi una mano
fra i lunghi capelli scuri, quasi neri.
- Sicuramente non è un tuo problema -
- Che sbadata che sono! Oggi è il vostro anniversario!
Auguri - la ragazza non
avrebbe potuto usare un tono più amaro e sprezzante.
Quando il bagno si liberò, Sabrina si chiuse dentro a
chiave, non prima di aver
scoccato un'occhiata di fuoco ad Elena.
- Ci mancava solo lei - borbottò, sospirando.
Era estremamente convinta che Sabrina non covasse tutto quel
risentimento solo
perchè Elena l'aveva lasciata: il suo astio, per essere
così forte, doveva
significare che, in fondo, Sabrina provava ancora qualcosa per Elena e
la sua
era solo gelosia, rabbia per essere stata sostituita. Ad ogni modo,
Elena non
gliel'avrebbe data vinta: Sabrina non sarebbe riuscita a farle perdere
le
staffe.
Finalmente, anche l'insopportabile ex liberò la toilette.
Si allontanò di qualche passo, ma, quando udì la
serratura del bagno scattare,
si voltò.
- Elena, fai un favore a te stessa: molla quella hippie perbenista - il
suo
tono era amaro, carico di disprezzo.
- Ora ascoltami bene: non ti permetto di parlare così di
Veronica, hai capito?
- Elena le si avvicinò, le guance iniziavano a diventarle
rosse.
Si era ripromessa che non avrebbe ceduto. Si era ripromessa che non le
avrebbe
dato alcuna soddisfazione. Al diavolo.
In quel momento, avrebbe solamente voluto darle un pugno.
- Mamma mia, come diventi rossa - la schernì Sabrina,
scoppiando a ridere.
- Non è divertente. La devi smettere, devi uscire dalla
nostra vita! E' tempo
che tu te ne costruisca una tua -
- La tua vita non potrebbe importarmi di meno, Elena -
pronunciò il suo
nome come un insulto.
- E allora perchè ci ronzi sempre attorno? -
- Per il gusto di infastidirti, cara mia. Non puoi liberarti di me
così
facilmente -
Sabrina le si avvicinò di alcuni passi, i suoi tacchi
rimbombavano sul
pavimento di cotto, per poi posizionarsi di fronte a lei a braccia
incrociate,
negli occhi una luce folle.
- Io non voglio vederti mai più, Sabrina, io ti detesto.
Voglio che tu la
smetta - Elena era riuscita a riacquistare il controllo di
sè, gettandole in
faccia quelle semplici parole con una freddezza di cui lei stessa per
prima si
meravigliava.
- Sei sempre stata una stronza - ringhiò Sabrina, poi
agì più rapidamente di
quando i riflessi di Elena riuscissero a percepire. Le diede uno
schiaffo che
risuonò secco nell'atrio.
Elena si portò una mano al naso, sentendo un gusto ferroso
in bocca.
Si voltò, decisa a non reagire, nonostante il desiderio di
ricambiarle il
favore fosse sempre più forte. Il suo senso del rispetto,
però, la tratteneva.
Strappò un lembo di carta igienica, premendoselo contro le
narici. Si imbevette
subito di sangue.
- Mi hai mollata così, da un giorno all'altro, cosa
pretendi? Che io venga a
ridere e a scherzare con te? - sibilò Sabrina,
raggiungendola nel bagno.
- Nessuno te lo ha chiesto - la voce di Elena era attutita dalla carta,
che le
copriva anche la bocca.
Si era dimenticata di quanto Sabrina fosse forte.
- Mi pento
solo di non essermene accorta prima, di quanto fossi stronza -
precisò,
sistemandosi nuovamente i capelli.
- Peggio per te -
Elena lanciò la carta nel cestino, facendo canestro. Ormai
l'emorragia si era
bloccata del tutto.
Proprio mentre si voltava verso il lavandino per sciacquarsi il volto e
ripulirsi, Sabrina la afferrò per un braccio, stringendole
con forza la
maglietta per avvicinarla a lei. Riuscì a strapparle un
bacio, prima che Elena
iniziasse a tentare di scrollarsela di dosso.
- Sabrina, giuro che me la paghi. Mi sono sempre ripromessa che non
avrei mai
alzato un dito su una donna, ma sto per cambiare idea -
La presa di Sabrina sulla sua maglietta era d'acciaio.
- Mi è sempre piaciuto baciarti - mormorò,
apparentemente incurante delle
minacce di Elena.
Portandole una mano dietro la nuca, la spinse contro di sè,
per incontrare
nuovamente le sue labbra.
Ovviamente è risaputo che se una cosa può andare
male, andrà anche peggio.
- Toglile le mani di dosso! - ringhiò Veronica, avventandosi
su Sabrina, che
mollò la presa, colta alla sprovvista.
Sfruttando l'effetto sorpresa riuscì ad allontanare quella
che lei considerava
ancora una rivale a tutti gli effetti, afferrandola con forza per i
capelli.
Veronica non si era mai sentita così delusa e al tempo
stesso furibonda.
Furibonda con Sabrina, che aveva osato baciare Elena, che aveva passato
due
anni a tormentarla, anzi, a tormentarle, furibonda
perchè quella doveva
essere la loro serata romantica.
Delusa perchè Elena non reagiva. Si sentiva quasi tradita.
- Mi stavo proprio chiedendo come mai ci mettessi tanto -
ironizzò Sabrina,
allontanandola con uno spintone.
- Vattene via -
- Ai suoi ordini, carina. E tu, Elena, dovresti tenere al guinzaglio
questa
figlia dei fiori, insegnarle che non si fa violenza alle altre persone
-
ironizzò, sfiorandosi con la punta delle dita i graffi che
le unghie di
Veronica le avevano lasciato sulle braccia.
Furono le sue parole a scatenare quella rabbia incontenibile che la
bionda non
aveva mai sperimentato, non così opprimente e pressante. Le
si avvicinò con due
rapide falcate, per poi restituirle con gli interessi il poderoso
schiaffo che
aveva dato prima ad Elena.
- Cosa succede qui?! - arrivò un uomo, trafelato, con i
capelli brizzolati ed
un evidente riporto, il custode.
- Una discussione - rispose Elena, stringendo la mano di Veronica.
- Per discutere avete l'intero viale, quindi fuori! -
- Scusi? -
- Hai sentito bene, non fare la tonta. Uscite prima che chiami la
sicurezza! -
- Ci scusi, usciamo subito - intervenne Elena, tentando di salvare la
situazione: aveva tutte le intenzioni di ritornarci al multisala, non
desiderava affatto di esserne bandita per il resto dei suoi giorni.
Uscirono
nella tiepida aria di giugno.
- Buon
anniversario. Ci si vede -, Sabrina non rinunciava ad infastidirle fino
alla
fine.
Si allontanò
con passi rapidi e misurati, che rimbombavano per il viale.
- Io...
giuro... potrei farle davvero del
male – ringhiò Veronica, che perdeva tutta la sua
solita mansuetudine ad ogni incontro
con Sabrina.
- Andiamo a
cenare –
Elena era
seccata e nervosa. Lei era
riuscita
nel suo intento le aveva rovinato la serata.
- Non
ancora. Ora mi spieghi perché non le hai dato uno schiaffo
prima che ti.. baciasse –
Veronica era, se possibile,
più arrabbiata di prima.
- Lo sai
che... –
- Certo, lasciati
mettere le mani addosso in questo modo! Cristo,
ti ha baciata e tu non hai fatto nulla! –
- Ma per chi
mi hai preso?! – si scaldò Elena.
- Perché non
l’hai allontanata? –
- Credi che
non ci abbia provato?! -, questo era davvero troppo: Veronica non poteva mettere in dubbio la sua
fedeltà.
-
Evidentemente non abbastanza – sibilò la bionda,
incrociando le braccia.
-
Veronica... la rabbia non ti lascia ragionare lucidamente. Andiamo a
casa, così
ti schiarisci le idee e poi ne riparliamo -
- Io sono
lucidissima! Sei tu che non sei normale! – urlò
Veronica. Elena si guardò
rapida attorno, qualche passante si era voltato, fortunatamente il
multisala
era in una via laterale.
- Stai
zitta, Veronica! – la afferrò per un braccio,
stringendola a sé.
- Lasciami –
le ordinò, divincolandosi energicamente da
quell’abbraccio forzato.
- Calmati,
Vero, sei isterica – sussurrò Elena, tentando di
posarle un bacio su una
guancia.
Fu così che
ricevette il secondo ceffone della serata.
- Tu sei
davvero pazza! – esclamò furibonda per la reazione
di Veronica.
- No, sei tu
che non hai fatto nulla... – scoppiò in lacrime.
- Allora è
questo... ascoltami, lo so che sei una persona perfettamente in grado
di
ragionare, una persona razionale. Non riuscivo a togliermela di dosso,
lo sai
che fa arti marziali, è forte... Credi davvero che io abbia
potuto lasciarmi
baciare da lei? –, Elena
provò
nuovamente ad abbracciarla, ma l’altra la
allontanò.
- Non lo so –
singhiozzò Veronica.
Elena tentò
di mantenere la calma, anche se la mancanza di fiducia da parte di
Veronica la
stava davvero facendo imbestialire.
- Dopo tutto
quello che ti ha detto, dopo il modo in cui ti ha trattata, in cui ti
ha
offesa. Come avrei potuto lasciarglielo fare? –
Veronica
tirò su con il naso, sfregandosi gli occhi con una mano.
- Amore...
-, questa volta Veronica si lasciò stringere.
- Scusa –
mormorò fra le lacrime.
- Di
nulla... è tutta colpa di Sabrina, quella strega...
dovremmo escogitare qualcosa per togliercela dai piedi una volta per
tutte... –
- Non volevo
darti uno schiaffo –
- Lo so -,
le posò entrambe le mani sulle guance per poi baciarla.
- Sushi? –
- E sushi
sia! –
Attraversarono
il Viale dei Tigli mano nella mano, per raggiungere il ristorante
giapponese Kazuko’s, gestito
da una simpatica
signora giapponese di mezza età che ormai le conosceva bene,
essendo clienti
fisse.
Quella sera il
locale non era molto affollato. Le accolse Harumi, la figlia della
proprietaria, che aveva all’incirca la loro età e
un grande sorriso.
- Ehi, buonasera!
Dove vi faccio accomodare? –
-
Possibilmente in un angolino – rispose Veronica, sorridendo
gentilmente.
- Perfetto,
prego – le condusse dalla parte opposta
all’ingresso, per poi indicare loro il
tavolino più isolato, coperto in parte da un rigoglioso
ficus.
- Grazie
Haru –
- Chiamatemi
quando avrete deciso - la ragazza, che era nipponica solo per
metà, essendo suo
padre italiano, si allontanò.
- Io vado
sul classico, tu? – domandò Elena a Veronica, che
aveva aperto il menù.
Classico per Elena significava nigiri sushi e onigiri,
ovvero ciò che ordinava più frequentemente.
- Io opto
per il ramen –
stabilì Veronica,
posando il menù accanto al suo braccio.
Elena,
facendo scivolare la mano sulla tovaglia candida, trovò
quella di Veronica, che
strinse con dolcezza.
- Ti senti
meglio? – le domandò premurosa.
- Sì, mi
dispiace tanto... –, Veronica abbassò gli occhi,
sentendosi profondamente
colpevole per l’immeritato schiaffo che aveva tirato ad
Elena.
- L’ho già
scordato –
Veronica le
sorrise riconoscente.
- Come mai
non siamo andate al Corvo?
– mormorò Veronica,
sporgendosi sulla tavola per ricevere un bacio da Elena, che la
accontentò
prontamente.
- Sinceramente
io ho voglia di cucina giapponese, ma anche perché non ho
voglia di vedere
certe persone –
- Tipo
Luisa? – ridacchiò Veronica.
- Soprattutto Luisa –
Era una
ragazza della scuola per geometri che Elena aveva conosciuto durante un
progetto
interscolastico. Dato che la conosceva di vista perché era,
appunto, una frequentatrice del pub, si era messa in squadra con lei
per il
progetto che avrebbero dovuto realizzare. Avevano vinto il concorso,
peccato
che da quel momento Luisa non le desse tregua. Non che fosse
antipatica, era
solo un po’ troppo
esuberante e
invadente.
- Haru! – la
chiamò Veronica, vedendola passare.
- Eccomi,
ditemi pure – tirò rapidamente fuori il blocchetto
per le ordinazioni.
- Ramen e
una bottiglia d’acqua gasata –
- Per me una
porzione media di nigiri sushi e
una
piccola di onigiri. E una birra
media
–
- Ci avrei
scommesso – sorrise Harumi, per poi sistemarsi la biro sopra
l’orecchio destro e avviarsi
verso la cucina.
Veronica
rise.
- E’ proprio
simpatica, Harumi –
- Ehi, le
stai guardando il sedere! – la accusò Elena,
più per ridere che per farla
arrabbiare.
- Non è vero
– si inalberò subito Veronica, storcendo il naso,
segno che Elena aveva colto
nel segno.
- Amore,
come sei permalosa questa sera – ridacchiò.
Veronica si
limitò ad arrossire, incrociando le braccia.
Rimasero in
silenzio ad osservarsi, Elena con il sorriso sulle labbra e Veronica
con una
maschera di superiorità sul volto. Non poterono fare a meno
di notare una
scintilla negli occhi l’una dell’altra.
- Devo
andare in bagno – disse Veronica alzandosi bruscamente.
La sedia di metallo
stridette sul pavimento in ceramica e qualcuno si voltò,
incuriosito dal
rumore.
- Permettimi
di accompagnarti – si offrì Elena, sollevando un
sopracciglio, arte non comune
a tutti.
Il bagno era
accanto alle cucine.
Spinsero la
porta su cui era dipinta una donna che vestiva il costume tradizione
giapponese, con tanto di ventaglio.
Era spazioso
e pulito. Perfetto.
Chiusero a
chiave la porta, sperando che non scappasse a nessuno per un
po’.
Veronica
saltò letteralmente addosso ad Elena, premendo la sua bocca
su quella della’altra,
che non avrebbe senz’altro opposto resistenza.
Liberò il
primo bottone di quella leggera camicetta rosa, poi il secondo, fino ad
intravedere il suo seno eburneo, quindi vi insinuò una mano.
Veronica
soffocò un gemito, aggrappandosi alla schiena
dell’altra.
Le loro
labbra si staccarono con uno schiocco umido e riaprirono gli occhi.
Senza una
parola, ma con un sorriso sulle labbra, Elena liberò altri
due bottoni e prese
a baciarle e morderle un seno, mentre si scivolava con una mano sotto
la sua
gonna.
Gemette di
dolore, perché Veronica le aveva affondato le unghie nella
schiena.
Senza
smetterle di baciarle il seno, iniziò ad accarezzarle gli
slip già umidi. I
suoi gemiti trattenuti la eccitavano, e lei non riuscì a
reprimerne uno quando
percepì la mano di Veronica carezzarle la patta dei jeans
con gesti di
studiata lentezza.
- Fai piano –
sussurrò Veronica, facendole il verso, dato che,
solitamente, accadeva il
contrario.
- Ah, la
metti così? – fissandola profondamente negli
occhi, già pregustando la sua
reazione, le scostò rapida le mutandine e la
penetrò. Come previsto, l’espressione
di godimento dell’amante la lasciò quasi senza
fiato. La sua pelle era già
ricoperta da un sottile velo di sudore e le sue guance si erano
imporporate all'improvviso.
Si muoveva
rapida per donarle più piacere possibile e, per evitare che
le sfuggisse
qualche gemito troppo sonoro, la baciò.
Veronica si
era ormai scordata di essere nel bagno di Kumiko’s,
appoggiata ad una fredda parete di piastrelle rosate, l’unica
cosa di cui era
conscia erano le dita di Elena, che si muovevano dentro di lei.
Lentamente,
sfilò il bottone metallico dei jeans di Elena dalla sua
asola, poi le tirò giù
la zip, sentendola fremere.
Dopo un’attesa
che ad Elena parve eterna, Veronica iniziò ad accarezzarla
con un piacevole movimento
circolare della mano.
I gemiti
repressi, gli spasmi, i muscoli tesi, il sudore e quell’odore
di sesso che
impregnava la stanza e che Veronica trovava sempre eccitante, poi baci
e ancora
baci, carezze, morsi, la loro pelle a contatto, i loro sessi caldi e
umidi, e,
infine, il piacere assoluto.
Si
fermarono, senza fiato, stanche.
-
Ti amo - mormorò Elena, poggiando la testa sulla spalla di
Veronica,
che iniziò a carezzarle i capelli, facendo scorrere le dita
fra le
corte ciocche castane.
- Anch'io, tanto... e non è vero che questi due anni sono
stati una rottura, stavo solo scherzando -
Elena scoppiò a ridere per la sua precisazione.
- Non ne avevo dubbi, piccola -
Veronica si mise in punta di piedi per poter baciare il naso di Elena.
- Da quant'è che siamo via? - domandò appena
ritornò alla sua normale altezza.
Elena lanciò un'occhiata al suo elegante orologio nero.
- Solo quattro minuti! -
Entrambe
scoppiarono a ridere, piacevolmente sorprese di scoprire quanto lente
fosse parso loro lo scorrere del tempo in quel bagno.
- Direi che sarebbe il caso di sciacquarci la faccia e tornare di
là, prima che mandino qualcuno a cercarci -
-
Non mi sembra una cattiva idea - concordò Veronica, poi
richiuse i
jeans di Elena, mentre quella le riabbottonava la camicetta.
- Vado
bene così? - domandò voltandosi verso Elena e
inclinando leggermente il
viso verso sinistra, per accertarsi della condizione dei suoi capelli.
- Sei bellissima, hai solo le guance un po'... colorite - la prese in
giro Elena, sfiorandogliene una con i polpastrelli.
Veronica
si sciacquò nuovamente il viso, mentre Elena, appoggiata al
muro dietro
di lei, sorrideva sorniona con le braccia incrociate.
Terminata la cena, fu Veronica a pagare il conto.
***
La posta di Mizar:
Apia: questo
flash è più farcito,
per così dire. Ci stiamo addentrando lentamente nel mondo
fin'ora
segreto delle due... e Sabrina è una costante di questo
mondo, una
costante decisamente insopportabile!
Nessie: in
questo flash c'è tutto: amore, odio, sangue, sesso... cosa
vuoi di più?! (Io direi una patata con gli occhi dolci!)
maria_sharapova:
eccoti il seguito! Che bello ritrovarti anche qua, mi fa piacere!
Nobody_sInTheSky:
non troppo presto, ma ecco il secondo flash! E' più
articolato del
primo, più denso, ma, come ho detto all'inizio, non saranno
tutti
uguali fra loro! E poi, un po' alla volta, si scoprirà tutto
di loro
due.
caso: grazie
mille per
i complimenti! Anch'io adoro la coppia Veronica/Elena e avevo sempre
voluto scrivere qualcosa che le vedesse come protagoniste e non come
semplici personaggi di contorno! (Non so se te ne sei accorta, forse
perchè la situazione è ancora prematura, avendo
io pubblicato così poco
e non avendone trattato molto in Fior di pesco, ma per caratterizzarle
mi sono ispirata moltissimo ad Haruka e Michiru!)
piccola peste:
wow, grazie mille per i ltuo entusiasmo! So che hai il pc a riparare,
ma spero di risentirti presto!
manga_girl:
ma grazie! Non mi merito tutta questa bontà per i miei
tremendi ritardi, ma mi fa comunque piacere, davvero!
engel_k:
mi spiace molto per la tua amicizia finita male, se ti consola, anche
la mia è finita così... e scrivere è
un modo per sentirsi meglio. Fior
di pesco è nata proprio così.
pazzafuriosa92:
sì, sono il tuo parassita, problemi?? Scherzi a parte, sono
contenta
che ti sia piaciuta così tanto (spero ti piaccia anche
questo flash!).
Sinceramente, dato che descrivere scene di sesso mi imbarazza
terribilmente ma è una cosa che qualunque scrittore, prima o
poi, deve
affrontare, volevo sapere se questa fa schifo, è tremenda,
è
banale/vuota oppure semi-decente! Danke per il tuo consiglio
illuminato, tesoro!
Inoltre, un grazie a chi ha messo la storia fra le preferite:
1 - guguincercadiamore
2 - Guizza
3 - manga_girl
4 - maria_sharapova
5 - morbidina
6 - Nessie
7 - pazzafuriosa92
8 - piccola
peste
9 - Rayne91
10 - _darkyneesan_
e chi fra le seguite:
1 - Apia
2 - Asterope
3 - ieri
4 - nemu
5 - Nobody_sInTheSky
6 - piccola
peste
7 - sasangel
A presto risentirsi,
Mizar
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Capitolo 3 *** Porte chiuse ***
3. t.s.e.
3.
Senza tanti indugi, eccovi il terzo episodio! Ringraziamenti al fondo!
Genere: Triste,
Sentimentale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Yuri
PORTE
CHIUSE
Non ne era ancora completamente certa, eppure ci aveva
riflettuto a lungo.
Aveva supposto che tre mesi sarebbero stati sufficienti, ma si
sbagliava. Non
aveva idea né del come, né del dove,
né, tantomeno, del quando. Soprattutto,
era angosciata per le loro reazioni: sarebbe bastata
l’amicizia per impedire
loro di detestarla?
Sperava vivamente di sì, in fondo, conosceva i suoi amici e
avevano spesso affrontato l'argomento omosessualità,
anche se in termini più generali, nessuno si era mai
dimostrato omofobo. Ma fra il dire e il fare...
- Vero! – sibilò Giulia, alla sua destra,
dandole una gomitata, che la catapultò nuovamente
nell’aula in cui era seduta.
Era appena entrata la professoressa di italiano. Si affrettò
a cercare il libro
e ad aprirlo alla pagina giusta.
Alla sua sinistra, Martina ripassava
furiosamente la parte teorica sull’Illuminismo. Erano al
termine della seconda
settimana di scuola, un sabato mattina che portava con sé i
residui di
un’estate ormai finita, e la professoressa era già
pronta per interrogare.
Giulia e Martina erano le ragazze con cui
Veronica aveva legato maggiormente in quei tre anni ed ora si trovava a
temere
di dover trascorrere il quarto anno da sola.
Altri suoi amici, ragazzi con cui spesso
usciva nei weekend, erano Bianca, l’alternativa del gruppo,
Andrea, fervente
cattolico la cui reazione temeva maggiormente, Silvana e Marco, ragazzo
di
Silvana.
Quando aveva iniziato il Liceo Classico, si era ritrovata in una classe
di sconosciuti: i suoi compagni delle medie erano capitati tutti nella
stessa sezione, lei, chissà come, era finita nell'altra.
Inizialmente ne era stata intimorita, tormentata dall'ansia di non
essere accettata, dalla paura di non piacere a nessuno. Il suo incubo
più frequente era che tutti fossero amici e lei fosse
l'unica
esclusa e sconosciuta. Poi era iniziata la scuola e si era resa conto
di quanto fossero state sciocche le sue ansie: pochi si conoscevano fra
loro, la prima settimana fu per tutti uno sbocciare di nuovi germogli
d'amicizia. In particolare, lei si era legata ad una riccia brunetta,
che rispondeva al nome di Giulia, un'esuberante ragazza dalle complesse
turbe psicologiche. Tramite Giulia aveva quindi conosciuto Martina che
all'apparenza le era sembrata solare ed estroversa, come Giulia, poi,
con il tempo, aveva scoperto quel lato del suo carattere apprensivo e
angosciante, pronto a mettere nuovi pulci nell'orecchio e a far nascere
sospetti e preoccupazioni, che la rendevano tesa e nervosa. Nonostante
questo modo piuttosto angosciante di affrontare i problemi quotidiani
erano diventata buone amiche.
Andrea si era unito a loro per una fortuita casualità
geografica: era il vicino di banco di Veronica. A forza di stare
insieme, i due avevano stretto amicizia, scoprendo una piacevole
sintonia nonostante la notevole distanza ideologica.
Aveva poi scoperto la dolcezza di Bianca solo verso la fine dell'anno,
precisamente alla festa di compleanno di Giulia, che aveva invitato
tutta la classe in quell'immensa villa che era casa sua. Bianca era
seduta in un angolo, sola, osservando mogia lo schermo spento di un
cellulare. Veronia aveva subito provato una forte empatia: le era
sembrata così triste che non aveva potuto fare a meno di
avvicinarsi a lei e intavolare una conversazione che, se inizialmente
era stata faticosa, si era poi sviluppata senza troppi intoppi,
sgorgando spontanea dalle loro labbra.
Infine, Marco era amico di Andrea dalle elementari e un giorno si
decise ad invitarlo ad uscire con loro il sabato sera. Così
lui,
che già all'epoca era fidanzato con Silvana, introdusse
anche
lei nel gruppo. Veronica non aveva mai avuto troppa stima di Marco,
succube delle prepotenze e dei capricci della sua ragazza, volubile e
incostante.
- Nervosa? – domandò a Martina, che ora si
stava rosicchiando l’unghia del pollice, incurante della
manicure fresca di
estetista, con il volto nascosto dai lunghi capelli color mogano.
- Me lo sento... ora mi chiama – borbottò,
senza staccare gli occhi da quelle pagine già stropicciate e
consumate,
probabilmente rilette fino allo sfinimento.
- Calmati, Marti, o ti verrà una crisi
isterica – ridacchiò Giulia, sporgendosi sul banco
di Veronica, per chiudere il
libro dell’amica, che sobbalzò e poi glielo
strappò dalle mani con occhi di
gelida ira.
- Qualcuno ha voglia di raccontarmi
qualcosa? – la voce acuta della professoressa fece calare il
silenzio. Veronica
incrociò le dita sotto al banco: contrariamente al solito,
non si era preparata
poi così bene e non aveva intenzione di inaugurare
l’anno con un 6.
- Benissimo, allora scelgo io –
I suoi occhi scorsero l’elenco alcune
volte e Veronica aveva l’impressione che indugiasse troppo
sulla lettera M.
Sospirò, già pronta e fare del suo meglio.
- Saltafosso – stabilì, alzando il capo
per incrociare gli occhi di una tremante ragazzina nel primo banco.
Bianca si voltò e fece il segno della
vittoria, mentre Martina replicava che, solamente perché
erano scampati alla
prima chiamata, non significava che sarebbero stati salvi per la seconda.
Veronica si rilassò sulla sedia e afferrò
la matita, pronta a prendere appunti. Mentre la sua mano era collegate
alle
parole della professoressa, il suo cervello viaggiava molto
più in là, in
direzione del Viale dei Gabbiani.
Elena, che al sabato non andava a scuola,
era sicuramente a casa da sola a giocare alla play station con Michele,
imprecando
e bevendo coca-cola, per poi sfidarsi ad una orripilante gara di rutti.
Aveva
assistito ad uno di questi loro incontri e ne era rimasta allibita.
- Vediamo se Aimassi ha voglia di aiutare
Saltafosso -, Martina si rizzò nel banco, sistemandosi i
capelli dietro le
orecchie, pronta a sciorinare la lezione studiata alla perfezione,
già
pregustando il suo 9 tanto faticato.
- E’ una strega... – borbottò Giulia,
mentre Veronica sorrideva fra sé e sé, felice di
aver scampato la prima
interrogazione e ripromettendosi che non si sarebbe più
fatta distrarre dalla
questione “confessioni” così da potersi
preparare per la settimana seguente.
Doveva parlargliene oggi, assolutamente.
Stabilì quindi che avrebbe rivelato tutto alle ultime due
ore, ovvero quelle di
educazione fisica: nel marasma della palestra sarebbero stati tutti
troppo
occupati a giocare a pallavolo per far caso a lei e ai suoi amici.
Così poté
finalmente concentrarsi sulla lezione di italiano, complimentandosi
mentalmente
con Martina per la sua superba esposizione, che, ovviamente, le valse
il voto
sperato.
- Sei strana, oggi – sentenziò Bianca
avvicinandosi a lei subito dopo la campanella
dell’intervallo. Indossava un
paio di bermuda color sabbia e un’informe maglietta dei Jethro Tull comprata
ad un loro concerto.
- Perché? –
- Sei più stralunata del solito – le
sorrise Bianca e Veronica arrossì, facendole una smorfia.
- Smettila di dire sciocchezze, prepariamo
gli zaini prima che arrivi la professoressa – la
liquidò con un gesto della
mano.
Calmati,
Vero, respira e controllati.
- Bianca ha ragione – sentenziò Giulia,
sedendosi a gambe incrociate su un banco accanto a loro.
- Smettetela, sono solo stanca – non poté
impedirsi di arrossire ancora di più, confermando
così i sospetti delle amiche.
- Dai, ti conosciamo! Non fare la
sostenuta – rincarò Martina, ancora gongolante per
il suo voto.
- Okay, devo dirvi una cosa. Ma ne
parliamo in palestra –
- Perché?! – si risentì Giulia,
balzando
improvvisamente in piedi e facendo oscillare i morbidi boccoli ebano
davanti al
volto.
- Orecchie indiscrete – mormorò, facendo
un cenno con il capo al gruppetto di ragazzine spocchiose dietro di
loro.
Le altre tre annuirono.
- Andiamo, veloci! Non avete ancora finito
di prepararvi?! Avete avuto tutto l’intervallo, fagnani*! – sbraitò
la professoressa, appena entrata in classe e
già arrabbiata per l’indolenza dei suoi allievi,
ancora dediti ai piaceri della
ricreazione.
Si misero in fila, anzi, in branco, e
scesero di corsa le scale di pietra, scagliandosi contro il portone in
legno.
La scuola era antica, originariamente nata come convento, e non aveva
spazio
per una palestra, così occupavano quella del liceo
scientifico che al sabato,
appunto, non andava a scuola.
Mentre cantavano a squarciagola lungo il
Viale di Santa Caterina, Veronica udì il trillo del suo
telefono. Lo sfilò a
fatica dalla tasca, per poi rispondere.
- State andando da noi? – era Elena, che
aveva senz’altro udito i cori stonati che dissacravano
vecchie canzoni,
pilastri della musica italiana.
- Sì... –
- Allora? Gliel’hai detto? – nella voce di
Elena si percepiva chiaramente una punta di angoscia.
- Non ancora –
- Aspetti di essere in palestra? –
indovinò Elena. Veronica udì chiaramente un rutto
attutito e poi le scuse di
Michele. Si lasciò sfuggire una risata.
- E’ un maiale – sospirò Elena.
- E tu no? – la schernì Veronica, sempre
ridendo.
- Okay, torniamo a parlare di cose serie.
Aspetti di essere in palestra? – ripeté.
- Sì, c’è più confusione
–
- Elena lo sa? – s’intromise Giulia con
tono offeso. Aveva facilmente dedotto l’argomento della
conversazione. Giulia
aveva sempre provato una sorta di gelosia nei confronti di Elena, sia
perché si
considerava lei stessa la migliore amica di Veronica e la presenza di
quella
ragazza così strana la infastidiva, sia perché
Veronica sembrava molto più
legata a lei che a loro.
- Sì, ma... – non fece in tempo a
replicare, che Giulia la interruppe.
- Mi sembrava ovvio, come ho fatto a non
pensarci prima? – la rimbeccò Giulia, risentita.
- Dì a Giulia che è un’emerita idiota!
–
esclamò Elena, arrabbiata. L’antipatia fra le due
era reciproca, anche se da
parte di Elena era nata solo recentemente, ovvero da quando Giulia
aveva
iniziato a non fare più nulla per nascondere il fastidio che
l’altra le
provocava.
- Elena, Giulia, smettetela! – esclamò
Veronica.
- Amore... – mormorò Elena, mogia.
- Elena, ci vediamo a casa –
- Va bene, scusa. A dopo -, Veronica
staccò il cellulare e lo rimise nella tasca dei jeans.
- Ti sembrava necessario?! – Veronica non
era solita alzare la voce, ma ora era davvero arrabbiata.
- Sì, assolutamente necessario! –
- Andiamo, ragazze, smettetela – Silvana
tentò di calmare le acque.
- No, io non la smetto! Non so voi, ma
sono stufa di essere chiamata amica e poi non essere trattata come
tale! –
- Giulia, non dire sciocchezze! Io vi
reputo amiche e non mi sembra di trattarvi in modo diverso
–si scaldò Veronica.
- Certo, Vero! E allora perché Elena sa
già ciò che ci dirai in palestra?! –
- Mi sembra un’argomentazioni stupida,
davvero assurda! –
- Però Giulia ha ragione: noi veniamo
sempre dopo di lei... – mormorò Silvana
timidamente.
- Voi siete impazzite, fuori di testa! –
- Io sono d’accordo con Veronica: ragazze,
state dicendo sciocchezze – intervenne Bianca.
- Allora spiegaci perché Elena già lo sa
–
le ordinò Giulia, incrociando le braccia.
- In palestra – sibilò Veronica, furiosa
come non lo era mai stata. Le stavano davvero facendo perdere la calma,
ce la
stavano mettendo tutta, soprattutto Giulia.
Nello spogliatoio notò che il gruppetto di
smorfiose già spettegolava, ridacchiando giulivamente, della
loro litigata e
ciò la fece infuriare ancora di più. Si
cambiò rapidamente nel suo solito
angolo, confortata da Bianca e Martina. Non era più
così sicura di volerle
mettere a parte del suo segreto.
- Iniziate a scaldarvi. Fabio, aiutami a
mettere la rete! –
Iniziarono a correre, intorno alla
palestra, sbuffando: il riscaldamento era la parte della lezione che
più li
annoiava. Veronica non disse una parola per tutto il tempo,
finché la
professoressa li fece dividere in tre squadre per disputare alcune
partite,
quindi lei, Bianca, Giulia, Martina, Silvana e Marco si sedettero per
parlare.
Andrea fu costretto ad unirsi ad un altro sestetto, ma Veronica gli
promise che
ne avrebbero discusso dopo.
- Allora, sentiamo un po’ – la sollecitò
Giulia.
- Se continui con questo tono, non ti dirò
proprio nulla – replicò piccata Veronica.
- Andiamo Giuls, smettila di essere così
acida -, Martina posò una mano sulla spalla
dell’irritata amica.
- Dicci tutto, Vero – Bianca le mise un
braccio attorno alle spalle, tentando di confortarla e rassicurarla.
Veronica
sospirò. Ormai aveva intuito che con Giulia sarebbe stata
una rottura
definitiva, ma non aveva intenzione di continuare ad essere amica di
una
persona del genere.
- Sono gay – sussurrò Veronica, abbassando
gli occhi per non dover sostenere i loro sguardi.
- E scommetto che Elena è la tua ragazza.
Ecco perché lo sapeva già –
constatò Giulia amaramente.
- Giulia, se non ti sta bene puoi anche
smettere di essere mia amica! –
- Senz’altro farò così! –
- Giuls, come puoi reagire così?! È sempre
lei, è sempre Vero! Cosa ti importa se sta con Elena o con
un ragazzo? – Bianca
tentò invano di farla ragionare.
- A me importa – con quelle fredde parole,
Silvana si alzò e si allontanò, seguita da
Giulia.
- Scusami Vero –Marco si alzò, anche se
Veronica non era certa se l’avesse fatto semplicemente per
raggiungere la sua
ragazza oppure perché anche lui non sarebbe più
stato suo amico.
Veronica non aggiunse nulla, li lasciò
andare via, mentre Martina la abbracciava.
- Ehi, a noi non importa. Ti vogliamo bene
allo stesso modo -, Bianca annuiva alle parole di Martina e le
stringeva le
mani.
- Grazie ragazze – mormorò, con la voce
rotta. Stava per scoppiare in lacrime.
- Tutti sanno che Elena... beh, che a lei
piacciono le ragazze, ma non avrei mai detto che anche a te piacessero
– le
confidò Bianca.
- Io sono più femminile, forse è per
questo... mentre Elena è, come dire... –
- Sì, abbiamo perfettamente chiaro il
concetto – annuì Martina.
- Vi voglio bene -, le tre si
abbracciarono.
- Mi dispiace per Giulia... –
- A me no -, con quella bugia Veronica
chiuse il discorso.
Quando fu il loro turno di entrare in
campo e giocare, fu un vero disastro: Veronica non era mai stata
portata per
gli sport con la palla, in più era nervosa, mentre Giulia,
che solitamente era
discreta, non riusciva nemmeno a mandare la palla nell’altro
campo. L’unica che
salvasse la situazione era Martina, che era anche la sola che giocava a
pallavolo fuori dalla scuola. Persero miseramente contro le smorfiose.
Finalmente quelle due ore di supplizio
terminarono e, riponendo le sue cose, Veronica si accorse che
c’era un
messaggio non letto sul suo telefono. Era Elena: sarebbe venuta a
prenderla
fuori dalla palestra!
Si cambiò ancora più rapidamente di prima:
voleva andarsene via subito e piangere fra le braccia della sua
ragazza, possibilmente
sedute sulla poltrona. Voleva essere consolata, baciata e amata,
dimenticare la cattiveria di quella persona che credeva di conoscere
profondamente.
- Aspetta un attimo, Vero – la trattenne
Giulia, afferrandole un braccio.
- Lasciami immediatamente – ringhiò lei di
rimando. Tutte le ragazze osservavano la scena incuriosite.
- Se no? –
- Se no un bel niente, lasciami andare e
basta! – Veronica tentò di divincolarsi, ma la
presa dell’amica, o meglio, di
colei che avrebbe dovuto essere sua amica, era saldissima.
-Lasciami indovinare... il tuo amore
ti aspetta fuori? –
Veronica non riusciva a credere alle sue
orecchie: come poteva comportarsi così? Come poteva essere
così perfida? La
Giulia a cui si era affezionata tre anni prima non era così.
O forse era stata
lei a non aver indovinato subito la sua vera natura. Si maledisse per
questo
suo colossale errore.
- Vero, hai un ragazzo? – domandò Ottavia,
che aveva la meritatissima fama di parlare sempre a sproposito e di
essere un
po’ tocca.
Approfittando dell’attimo di distrazione
di Giulia, anche lei allibita di fronte a tanta manifestazione di
stupidità, si
divincolò e corse fuori.
- Mantovani, come mai così di fretta? – le
domandò la professoressa.
- Oggi ho molti impegni – mentì con un
gran sorriso.
- Brava ragazza – sorrise fra sé la
professoressa.
Elena era seduta su una panchina
verniciata di verde, indossava un paio di jeans scoloriti e una morbida
maglietta rossa. Appena vide Veronica uscire trafelata e con gli occhi
lucidi,
le si avvicinò rapida.
- È andata male? – le sussurrò
all’orecchio, quando Veronica si strinse a lei, affondando il
viso nella sua
maglietta.
- Più o meno... –
- Solo con Giulia? –
- Anche con Silvana. E forse persino Marco
– mormorò soffocando un singhiozzo.
- Tesoro, non piangere. Non si meritavano
la tua amicizia se è bastato dirgli che stai con me per
allontanarli da te –
Elena le carezzava con dolcezza i lunghi capelli, stringendola e
baciandole le
guance.
- Lo so... ma non riesco a spiegarmene la
ragione -, Veronica tirò su con il naso.
- Sono solo stupidi –
In quel momento uscirono Bianca e Martina,
rosse in volto.
- Vero... mi dispiace molto... – iniziò
Bianca, affannata.
- Cosa è successo?! –
- C’è stata una discussione quando sei
uscita e Giulia... – Bianca esitò, anche se
Veronica ormai aveva capito.
- Giulia l’ha detto a tutti – la
personalità diretta e pragmatica di Martina la indusse a
rivelare subito la
verità, senza indorare la pillola.
- Non mi importa, l’avrei fatto io
comunque... –
- Però non puoi permetterle di trattarti
così – intervenne Elena per la prima volta.
- Cosa dovrei fare? –
- Innanzitutto, dirgliene due – stabilì
Bianca ed Elena annuì, esprimendo il suo favore alla
proposta dell’altra.
- Non posso – Veronica scrollò il capo,
sconsolata.
- Sì, puoi eccome – la incoraggiò
Elena,
posandole un bacio sulla fronte e costringendo Veronica a lasciare la
presa
attorno alla sua vita. Proprio in quel momento uscirono Giulia,
Silvana, Marco
e Andrea. Il quarto era particolarmente arrabbiato.
- Ma guarda un po’ – sogghignò Giulia,
notando Elena in quel momento.
- Vero, ci tengo a sottolineare che io
sono completamente dalla tua parte – sentenziò
Andrea, strappandole un sorriso:
la rassicurazione più profonda proveniva proprio da colui di
cui aveva dubitato
maggiormente. Si pentì di ciò che aveva pensato
quella mattina.
- Io no. Se vuoi stare con quella,
con me hai chiuso –
Veronica scoppiò a ridere fragorosamente,
finché gli occhi le si inumidirono di lacrime. Era
esilarante le faccia tosta
con cui Giulia la ricattava.
- Giuls, non credo che tu abbia compreso
fino in fondo la situazione. Io amo
Elena e se a te, anzi, a voi – con un gesto della mano
incluse anche Silvana e
Marco – la situazione disturba, con me avete chiuso
– disse, riprendendo la
minaccia usata da Giulia.
Elena, udendo le parole di Veronica, era
arrossita: non le aveva ancora detto che l’amava e quella
piccola parola la
riempì di felicità e gioia. Le mise un braccio
attorno alle spalle, per poi
posarle un bacio sui capelli.
- Perfetto, Veronica, mi sta bene. Ma
esprimi il tuo lesbismo lontano dai miei occhi – alla vista
di quei gesti
d’affetto, la ragazza aveva storto il naso.
- E tu esprimi la tua ignoranza lontano
dai nostri, di occhi – replicò Elena, per poi
posare un bacio sulle labbra
della sua ragazza, incurante della presenza della maggior parte dei
compagni di
classe di Veronica.
Veronica sentì distintamente Bianca
scoppiare a ridere.
- E’ un’offesa al pudore –
- Non ti credevo così moralista. Sai, dopo
che ti fatta scopare da quello sconosciuto nel bagno della discoteca...
-,
Veronica si era presa la sua piccola rivincita, sbandierando
apertamente il
segreto di Giulia che lei sola conosceva. La vide digrignare i denti,
come un
cane pronto ad attaccare, e avvampare di vergogna.
- Non avresti dovuto – ringhiò.
- Perché, tu mi hai chiesto il permesso di
raccontarlo a tutti?! –
Veronica tentò di allontanarsi da Elena,
pronta a fronteggiare Giulia e la sua rabbia, ma l’altra la
trattenne.
- Brava Elena, tienimela lontana,
altrimenti le spacco la faccia! –
- Nessuno spaccherà un bel niente! Cosa
succede qui?! – sbraitò la professoressa, uscita
in quel momento.
- Una rissa – ridacchiò Ottavia.
- Una rissa?! –
- No, professoressa, nessuno ha sfiorato
nessuno. È stato solo un litigio –
s’affrettò ad intervenire Martina, per
arginare i danni che le parole di Ottavia avrebbero potuto provocare.
- Sarà meglio che finisca subito! Ora
andatevene, tutti! – ordinò, indicando il cancello
del cortile.
Con una serie di “arrivederci” appena
sussurrati, la classe uscì.
- Non sperare che la questione termini qui
– la avvertì Giulia.
- Non sperarlo nemmeno tu –
- Dai Vero, andiamo a pranzare –, Elena
circondò nuovamente le spalle con un braccio.
- Sì, certo. Venite anche voi? –
domandò
rivolta ad Andrea, Bianca e Martina, che, dopo essersi consultati con
uno
sguardo, annuirono. Giulia si allontanò con Silvana e Marco,
pericolosamente
vicini alle smorfiose, da loro tanto criticate.
- Ipocrisia... – canticchiò Veronica, per
l’ilarità di Andrea.
- Ragazzi, scusate! Dimenticavo che devo
proprio andare: devo iniziare subito a studiare, perché
domani sono via tutto
il giorno. Mi spiace, ci vediamo questa sera? – si
scusò Martina.
- Certo, solita ora, solito posto – annuì
Veronica.
- Allora ciao a tutti -, si avvicinò per
abbracciare Veronica, per poi sussurrarle all’orecchio un
sentito grazie, che
l’altra ricambiò con un dolce sorriso.
- Venite da me, prendiamo qualcosa in
gastronomia. Tanto i miei sono a pranzo da alcuni amici e hanno
avanzato un po’
di ravioli e melanzane alla parmigiana – propose Elena, la
cui madre gestiva appunto
una gastronomia. Gli altri si trovarono d’accordo e quindi si
avviarono verso
il Viale dei Gabbiani.
- Perché Giulia ha reagito così? –
domandò
Elena a nessuno in particolare e la risposta le venne da Andrea.
- Semplicemente per rabbia e ripicca:
sappiamo tutti quanto poco Giulia ti sopporti e la rivelazione di
Veronica l’ha
mandata in bestia –
- E Silvana? Credevo di conoscere le sue
idee politiche – Veronica scosse la testa, delusa.
- E’ facile parlare, ma, una volta a
confronto con i fatti, si scopre la verità. Marco
è semplicemente un’ameba in
balia della sua ragazza: se lei si buttasse giù da un ponte,
lui la seguirebbe
a ruota – ancora una volta Andrea aveva risposto ai loro
dubbi.
Camminarono in silenzio per un po’,
Veronica stringendo la mano di Elena, che pareva assorta.
La gastronomia, ovviamente, era chiusa,
quindi entrarono dal retro, della cui porta Elena aveva le chiavi. Le
loro
narici furono subito stimolate da un piacevole profumo di cibo fresco.
- Salite le scale e aprite la porta a
sinistra, entrate tranquillamente, non c’è
nessuno. Io prendo da mangiare e
arrivo –
Veronica esitò, non sapendo se
accompagnare gli altri di sopra o restare con Elena, ma, dopo aver
ricevuto un
bacio a fior di labbra da quest’ultima, seguì gli
amici al piano di sopra.
- Venite, posate gli zaini qua – li guidò
all’interno dell’appartamento di Elena, fino alla
sua stanza, dove posarono le
cartelle. Poi si spostarono in cucina e Veronica iniziò a
preparare il tavolo.
- Ormai sei di casa – ironizzò bianca,
sciogliendosi i capelli scuri ornati da ciocche magenta e verde acido.
- Lo sai che siamo amiche dall’asilo –
- Vero, non devi giustificarti, stavo
scherzando – si affrettò a spiegarle Bianca,
notando il suo imbarazzo.
- Eccomi – Elena entrò in cucina portando
una grossa teglia e un vassoio.
- Vuoi una mano? – si offrì Andrea.
- No, sedetevi. Faccio io –
I tre presero posto, mentre Elena
armeggiava con il forno e le pentole. Veronica iniziò a
rimuginare
silenziosamente sulla mattinata e su quella che considerava, ovviamente
ad
eccezione di Elena, la sua migliore amica. Come aveva potuto non
rendersi conto
prima di che razza di persona fosse veramente? Non le importava
minimamente che
tutti lo fossero venuti a sapere, perché era proprio il suo
scopo, anche se non
le sarebbe dispiaciuto raggiungerlo con più calma. Ormai il
danno era fatto: la
voce si sarebbe sparsa rapidamente. Però voleva essere lei a
dirlo ai suoi
compagni di canto e musica.
Le sembrava così gratuita ed
ingiustificata la reazione di Giulia e Silvana, che, ripensandoci, gli
occhi le
formicolavano per le lacrime trattenute. Di Marco, quella sottospecie
di
cicisbeo, non le importava: se non aveva la forza di opporsi alla sua
ragazza
era solamente un codardo. Si sentiva male soprattutto per Giulia, per
come
l’aveva trattata, per la rabbia di cui erano impregnate le
sue parole...
- Vero, sei dei nostri? – Elena le aveva
posato una mano sul capo. Lei si affrettò ad annuire ed
Elena rise.
- Vuoi i ravioli, le melanzane o entrambi?
–
- Melanzane – mormorò, porgendole il
piatto.
- Stai bene? – le domandò Bianca,
stringendole una mano.
- Più o meno... – mormorò Veronica.
Andrea si alzò e la abbracciò, per poi
tentare di confortarla – Sappiamo quanto volevi bene a Giulia
e se lei è così
stupida da non essersene resa conto, allora non merita le tue lacrime.
Veronica, tu sei sempre stata gentile e premurosa verso di lei,
soprattutto nei
momenti del bisogno. E come ti ha ripagata? Trattandoti come un rifiuto
umano e
allontanandoti da lei. Questa non è amicizia, non so cosa
fosse e mi dispiace
che tutto sia finito così, mi dispiace specialmente di non
essermi accorto
prima di chi fosse veramente –
- Puoi star certo che quello non l’aveva
capito nessuno – annuì Bianca, riferendosi alla
vera indole di Giulia.
- Grazie ragazzi, davvero –, Veronica
aveva gli occhi lucidi.
- Ehi, Vero! Loro ti consolano e tu
piangi?! – rise Elena, prendendo il posto di Andrea e
avvolgendola con
dolcezza.
- Scu...scusate – singhiozzò, sfregandosi
le guance ormai umide con il dorso di una mano. Elena le
scostò i capelli dagli
occhi per poi aiutarla a tamponare le lacrime.
- Ci credo che stia male! Giulia si è dimostrata
una stronza insensibile! Ma gliela farò pagare –
promise Bianca, furiosa per le
lacrime che l’amica versava a causa di una persona ingiusta e
falsa.
- Bi, niente violenza – la redarguì
Andrea, che si era appena versato da bere.
- Cucciola, me lo fai un sorriso? – le
mormorò Elena all’orecchio, senza smettere di
stringerla.
Veronica ci provò, guadagnandosi un bacio
sulla fronte.
- Direi che possiamo iniziare con le
melanzane, l’acqua dovrebbe bollire fra qualche minuto, poi
butto i ravioli -,
anche Elena prese posto a tavola.
Terminato il pranzo, Andrea e Bianca
tornarono a casa propria, mentre Veronica si rifugiò sulla
poltrona, raggiunta
subito dopo da Elena.
- Ti siedi in braccio a me? – le domandò
Elena, afferrandole una mano. Veronica annuì, alzandosi, per
lasciare posto
all’altra. Poi si sedette a cavalcioni.
- E’ colpa mia, Vero? – domandò
improvvisamente Elena. L’altra sgranò gli occhi
per la sorpresa.
- Di cosa parli? –
- Di Giulia. È colpa mia se ha reagito
così? – insistette, posandole le mani
sui fianchi.
- Certo che no! Perché lo pensi? –
- Mi detesta, quindi sapere che sei la mia
ragazza la spinge a detestare anche a te –
- Non essere sciocca, amore, non è colpa
tua se lei è una bigotta ignorante –
- Veronica... ti amo – osò Elena, causando
un improvviso rossore sulle guance dell’altra.
- Elena, anch’io ti amo -, Veronica si
chinò per baciarla, le braccia attorno al suo collo e le
mani fra i suoi
morbidi capelli.
Elena si alzò in piedi e, reggendola fra
la braccia, raggiunse la sua camera, dove la depositò con
grazia sul letto, per
poi sdraiarsi accanto a lei. Dopo qualche secondo, si
ritrovò Veronica sdraiata
sopra di lei, intenta a baciarla e carezzarla. Non riuscì a
trattenere una
risatina di piacere.
- Che c’è? – domandò Veronica
allarmata,
sollevando il capo.
- Nulla, amore, mi hai solo presa alla
sprovvista –
- Era proprio quella l’intenzione –
Rimasero coricate una accanto, talvolta
anche sopra, all’altra: stavano assieme da tre mesi, ma
ancora non volevano
consumare nulla di più di semplici baci e carezze,
nonostante fossero ansiose
di scoprire più a fondo l’una il corpo
dell’altra. Elena percepì chiaramente le
unghie di Veronica solleticarle la parte bassa della pancia.
- Vero... se continui non mi trattengo –
mugugnò Elena, posando le mani sul sedere di Veronica e
premendo il proprio
bacino contro il suo.
- Allora la smetto e continuiamo un’altra
volta. Non mi va di farlo dopo questa giornataccia –
annuì Veronica, ancora
tormentata dal malumore.
*Fagnano:
piemontesismo ( fagnan), significa
scansafatiche, persona a cui piace oziare.
***
La
posta di Mizar:
Nessie:
Veronica è come,
dolce e tenera, però poi scoppia che è una
meraviglia! Ma
Sabrina ce l'aveva messa davvero tutta per rendersi antipatica, quindi
è più che giustificata. Un bacione anche a te e
grazie
davvero per i complimenti, che mi lusingano sempre!
manga_girl:
Sabrina lo fa solo
per il gusto di irritare, è una di quelle persone che non
sono
felici se le persone che non sopportano lo sono. E' semplicemente una
ragazza senza personalità. Sono contenta che i flash ti
piacciano e spero apprezzerai anche questo!
Asterope: le
due sono
così in sintonia si aperchè si conoscono da molto
tempo,
sia perchè si comportano quasi come una coppia sposata
(vedrai
meglio nei prossimi capitoli). La mia teoria è che siano
semplicemente "anime gemelle" e viaggino sulla stessa lunghezza d'onda:
sono quei contrari che si completano. Catania mi è piaciuta
davvero molto (mi sono strafogata di arancini e cannolli!), soprattutto
la cattedrale e l'elefante! Ovviamente, mi è piaciuta anche
la
città in sè :)
Apia: quando
ho letto del tuo
paragone Elena-Shane i miei neuroni (quei pochi sopravvissuti) si sono
scatenati in una danza scomposta, perchè era proprio quella
l'idea che volevo dare di Elena, un misto di Uranus (non so sei hai
presente Sailor Moon, ma lasciamo perdere) e di Shane, mentre Veronica
per controparte è la sua partner/amante Neptune e si
assomigliano anche nei caratteri, ho tratto molta ispirazione da loro.
In questo flash niente Sabrina, mi spiace, ma ci pensa Giulia a
smuovere le acque!
Grazie a Auri,
Babi_3MSC e Chikane cha hanno
inserito la storia fra le preferite; grazie a Paola90 che l'ha
inserita fra le seguite; grazie a chi semplicemente legge e mi rende
felice con il suo passaggio!
A presto,
Mizar
|
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Capitolo 4 *** Padri suscettibili ***
3. t.s.e.
4.
Ed eccovi il quarto episodio della raccolta: un missing moment a
cui si accenna nel XXIII
capitolo di Fior di pesco.
Ringraziamenti al fondo!
Genere: Erotico, Triste, Comico
(sì, lo so, di tutto e di più)
Rating: Arancione
Avvertimenti: Yuri,
Missing moments
PADRI SUSCETTIBILI
- Via libera - proruppe Veronica,
quando Elena rispose al telefono.
- Completamente? -
- Sì, mamma è al lavoro, Mattia e Federica sono
da Mari,
Claudio ha un corso di recupero e papà... non ne ho idea, ma
non
c'è - il suo tono era concitato a causa dell'impazienza, che
sfogava tamburellando con le unghie sulla superficie di vetro del
tavolo da pranzo.
Non erano molte le occasioni diurne per stare liberamente assieme senza
rischiare di offendere qualche genitore, o fratello, ipersensibile e
bigotto, e loro non se ne facevano sfuggire nessuna, tanto per ricreare
l'illusione di vivere una storia normale, come quella di una qualunque
coppia eterosessuale ormai sessualmente matura.
Nella famiglia di Elena, i suoi genitori si erano
rassegnati, anche se non tolleravano più la presenza di
Veronica, prima tanto elogiata e ringraziata perchè teneva a
freno l'inarrestabile e prorompente caratteraccio di Elena.
Suo padre,
dopo
due figli maschi, avrebbe tanto desiderato una femmina, ma ne rimase
profondamente deluso; il suo risentimento verso quella figlia che
lui non considerava tale aveva inciso molto nel loro rapporto, ormai
definitivamente deteriorato.
La madre, invece, aveva notato, già
durante l'infanzia, che Elena era tutt'altro che una normale bambina:
passava ore e ore a schierare file di soldatini appartenuti ai
fratelli, replicando grandi campagne militari accuratamente studiate su
un vecchio manuale che aveva ritrovato in soffitta, giocava con le
macchinine, a calcio, detestava le bambole e rifiutava ogni cosa che
potesse far presupporre il suo essere donna. Crescendo, questo suo
atteggiamento si era riflesso in maniera differente, specialmente
nell'aspetto esteriore e nell'atteggiamento: nessuno avrebbe faticato
molto ad additarla
come omosessuale. Nonostante la madre avesse intuito da tempo che non
avrebbe mai visto la sua figlioletta fra le braccia di un uomo, non era
mai riuscita a rassegnarsi e ancora insisteva e la tormentava,
continuando a presentarle avvenenti giovanotti di buona famiglia.
Dal
canto loro, i fratelli se ne fregavano altamente, e non solo delle sue
preferenze sessuali: non avevano mai prestato troppa attenzione a
quella piccola sorella stramba, che più che altro pareva un
fratello, considerandola la pietra
dello scandalo, la pecora
nera
della famiglia, a causa della quale in casa aleggiava costantemente un
clima di tensione. Raffaele e Paolo erano rispettivamente di tredici e
undici anni maggiori di lei e la consideravano un incidente di
percorso.
L'unica in quella famiglia ad averla sempre accettata e rispettata era
la nonna Lia, la fantastica nonna paterna, con cui sfogava ogni suo
dolore e riusciva ad essere sempre e comunque se stessa.
- Arrivo subito, tesoro -
Veronica sorrise fra sè,
riponendo il cordless
al suo posto e muovendosi a passo di danza verso il bagno sul parquet
lucidato da poco.
Dopo pochi minuti udì spegnersi il motore di un'auto che
avrebbe
potuto riconoscere fra mille. Si era cambiata rapidamente, per
indossare
una corta camicia da notte di raso rosa, bordata di pizzo nero,
aderente al
suo fisico asciutto, sottolineato dalle morbide pieghe del tessuto. I
capelli erano sciolti, e due ciocche ai lati del viso erano sollevate e
tenute ferme da forcine, una per parte, sopra le orecchie. Con
la sua pelle lattea
pareva la Venere di Botticelli. E non indossava biancheria intima,
notevole punto a suo favore.
Elena suonò con impazienza e Veronica fu più che
lieta di accoglierla nel suo salotto.
- Mamma mia... -, Elena sgranò gli occhi di fronte alle
lunghe gambe dell'altra.
Veronica non perse tempo, dopo aver sbattuto la porta alle spalle di
Elena, le saltò in braccio, cingendole la vita con le gambe.
L'altra subito barcollò, rischiando di perdere l'equilibrio,
ma,
una volta stabilizzata, strinse Veronica a sè, baciandola
con
impazienza.
- Niente mutande? - domandò con un sorriso soddisfatto,
sollevando un sopracciglio. Dato che le sue mani poggiavano
direttamente sulla pelle fresca di Veronica, si era resa conto che
mancava qualcosa, ovvero un sottile strato di cotone.
- No cara, niente mutande - disse Veronica con voce roca per
l'eccitazione.
- Vergognati - sussurrò Elena al suo orecchio per poi
morderlo e baciarlo.
Veronica si strusciò contro di lei, reagendo con gemiti
soddisfatti ai suoi baci e alle sue attenzioni.
- Non offenderti, amore, ma inizi a pesare - le fece notare Elena con
un sorriso, dato che quel koala che era Veronica stava ancora saldamente
aggrappata a
lei.
Veronica brontolò qualcosa sulle scarse capacità
muscolari di Elena, lasciandosi scivolare a terra.
- Dai, non fare l'offesa, anch'io ho un limite di resistenza! E con
ciò non voglio dire che tu sia grassa, semplicemente dopo un
po'
mi si stancano le braccia - si giustificò Elena,
afferrandole
un'affusolata mano bianca.
Dita da pianista,
pensò
Elena, mentre se la avvicinava alle labbra, per poi baciarne il dorso.
Veronica rise, imbarazzata per quelle attenzioni premurose.
- Dove vuoi che lo facciamo? - le sussurrò maliziosa Elena
all'orecchio. Subito le guance di Veronica si spruzzarono di rosso, poi
negli occhi le brillò una scintilla di determinazione.
Probabilmente già gongolava per l'idea appena avuta,
complimentandosi mentalmente con se stessa.
- Seguimi - Veronica le strinse un dito, per poi condurla fino al bagno
del piano superiore.
- Sei ingegnosa, piccolina - si complimentò con lei,
stringendole la vita da dietro, mentre Veronica si compiaceva di quella
stretta.
Spostò i palmi aperti delle mani sul suo seno, iniziando a
stringerlo e massaggiarlo, sentendolo inturgidirsi attraverso il raso
sottile.
- Apri l'acqua? - mormorò Elena, fermandosi lentamente, fino
a
smettere del tutto, lasciando Veronica boccheggiante, che si diresse
quasi esitando verso la vasca da bagno. Aprì il rubinetto,
chiuse il tappo, poi iniziò a cercare il bagnoschiuma ai
frutti
di bosco, mentre Elena le si avvicinava. Approfittando del suo essere
china sulla vasca, Elena si appoggiò a lei, abbracciandola,
mentre faceva scivolare entrambe le mani sotto la veste rosa.
- Elena... smettila, altrimenti non resisto - accennò con il
capo alla vasca che si stava riempiendo.
L'altra, sorda alle sue proteste, si inginocchiò davanti a
lei
sollevando la morbida stoffa che la copriva, poi iniziò a
baciarle la pancia, indugiando con la lingua attorno all'ombelico e
traendo piacere dai gemiti dell'amante, che le carezzava i capelli
lentamente, forse sperando in un bacio più intimo. Per
quello
l'avrebbe fatta attendere ancora un po'.
- Sei tremenda... ti avevo chiesto di... darmi tregua - Veronica
faticava persino a sostenere una banale affermazione.
- Allora smetto - Elena si alzò in piedi, gli occhi languidi
e le labbra arcuate in un sorriso malizioso.
- Spogliati -
- Agli ordini, tesoro - si afferrò il bordo inferiore della
maglietta e fece per sfilarla, quando la mano di Veronica la
bloccò.
- Faccio io -
Le sfilò lentamente la t-shirt nera, per poi posare le sua
labbra umide e morbide sul petto di Elena, che chiuse istintivamente
gli occhi, beandosi della lingua tiepida di Veronica che giocava sul
suo seno.
- L'acqua è pronto - stabilì Veronica,
staccandosi da lei con uno schiocco umido.
Elena si tolse anche i pantaloni e la biancheria intima, per poi
liberare il corpo di Veronica dall'impaccio di quella eccitante camicia
da notte.
- Nuda sei uno spettacolo impagabile - le disse Elena, arrossendo,
carezzandole il viso con il dorso della mano.
- No, sei molto meglio tu -
Si immersero nell'acqua tiepida con un sospiro, fra bolle profumate e
volute di caldo vapore.
Elena si appoggiò alla vasca, i gomito sul bordo,
reclinò
la testa all'indietro, mentre Veronica si sedeva fra le sua gambe,
poggiando la schiena al suo ventre e la testa sulla sua spalla.
- Ti amo... - mormorò Veronica. Nonostante fossero sole, il
vizio di tenere la voce bassa non riuscivano proprio a toglierselo.
- Io di più, esserino - Elena sottolineò le sue
parole
con una serie di baci umidi sul collo di Veronica, mentre tornava a
stuzzicarle i capezzoli con le mani.
Veronica arcuò la schiena, ansimando e stringendo il bordo
della
vasca con più forza. Elena fece scendere lentamente la mano
destra lungo il corpo di Veronica, fino a sfiorarla dove lei tanto
desiderava.
- Finalmente - ridacchiò Veronica, chiudendo gli occhi.
- Sei proprio impaziente, piccolina... ora stai zitta e buona, ci penso
io -
Interruppe il contatto con l'intimità di Veronica, sorda
alla
proteste di lei. Ricominciò a baciarle il collo e le spalle,
mentre le sua mani vagavano indisturbate sul corpo dell'amante,
toccando, stringendo, sfregando, e da lei accolte con piacere.
- Sei sicura che non arriverà nessuno? - le
domandò
nuovamente Elena, a cui sembrava di aver udito il motore di un'auto
spegnersi proprio lì fuori.
- Sì, ne sono... certa - mugolò Veronica,
posandole un bacio dietro l'orecchio.
- Mi fido -
Veronica si voltò con tutto il corpo verso di lei,
sorridendole con il capo reclinato verso sinistra.
- Non mi piace quel sorriso - mormorò Elena, sfiorandole la
guancia con un dito e tracciandovi una scia bagnata. Veronica, senza
abbandonare la sua espressione, si chinò sul collo
dell'altra,
affondandovi gentilmente i denti, mentre scivolava verso il basso con
la mano destra. Elena si limitò ad abbracciarla, chiudendo
gli
occhi e abbandonandosi completamente all'amante.
- Ti amo - le mormorò Veronica fra la labbra, prima di
baciarla.
Elena non riuscì a rispondere, tutto ciò che le
venne
fuori fu un gemito, causato dalle mani dell'altra, che continuavano ad
esplorare, carezzare, toccare, ora con dolcezza, ora con veemenza,
incitate da Elena stessa, che la pregava di non smettere. Veronica
spostò lentamente le sue labbra e i suoi denti, facendoli
scivolare dal collo al seno dell'altra, che le carezzava i capelli,
baciandole il capo. - Non... smettere... ora - mormorò Elena
a
fatica, intensificando la presa sulla schiena di Veronica.
Veronica soffocò il suo gemito liberatorio in un bacio
profondo.
- Piccola... - ansimò Elena, stringendola.
- Mm? -
- Ti amo anch'io -
Veronica le sorrise, lasciandosi abbracciare. Aspettò che il
respiro di Elena tornasse normale, poi ripartì all'attacco.
- Piano! Ma che hai mangiato oggi? - rise Elena, afferrandole la vita,
facendola ridere.
Riprese a baciarla lentamente, carezzandole i fianchi e le cosce,
avvertendo la sua soddisfazione quando la sfiorò
più
intimamente. Percepire il calore emanato dal corpo dell'altra,
bastò per fare schizzare nuovamente l'eccitazione di Elena
alle
stelle. Veronica le strinse le braccia attorno al collo; il suo
movimento produsse un ondeggiare improvviso dell'acqua profumata in cui
erano immerse.
- Voglio stringerti forte - sussurrò con un sorriso timido.
Elena le baciò la punta del naso, per poi soddisfare le sue
richieste.
Indugiò un po', tormentandola consapevolmente, prima di
penetrarla. Veronica reagì istintivamente muovendo il bacino
ed
Elena assecondava il suo ritmo, mentre con la mano libera le carezzava
il corpo.
Quando Elena introdusse garbatamente un altro dito, Veronica
inarcò la schiena emettendo un sospiro di soddisfazione:
non era più lucida, ormai completamente travolta da quel
piacere
così intenso, che le pareva impensabile tornare indietro.
Ciò che più di tutto le trasmetteva quelle forti
sensazioni era la solo presenza della sua amante, della quale non si
sarebbe mai potuta stancare, della quale non avrebbe mai potuto fare a
meno. Era a tal punto coinvolta in quell'unirsi e separarsi di corpi,
che quasi non udì le parole di Elena.
- Vero, mi senti? - ridacchiò l'altra, passandole la punta
della lingua fra i seni.
- Mm - tornò a mugolare Veronica, che ormai non riusciva ad
emettere altro suono.
- Ti spiacerebbe cambiare posizione? Ho le gambe anchilosate -,
Veronica esibì un'espressione terribilmente contrariata per
l'interruzione, poi acconsentì a scendere.
- Siediti qui - le sussurrò Elena con voce roca, dopo aver
spostato alcuni barattoli profumati dalla loro usuale collocazione sul
bordo della vasca, in un punto in cui esso si faceva più
largo.
Le gote di Veronica si tinsero di rosso, mentre assecondava la
richiesta dell'altra.
Stringendole con una mano una coscia e con l'altra tornando ad
insinuarsi dentro di lei, accompagnò quei gesti con il
calore
della sua bocca, che esplorava l'inguine di Veronica.
- Ele... -, affondò le lunghe dita fra i corti capelli
dell'amante, appoggiandosi alle fredde piastrelle del bagno, che
avvertiva ancora più gelide sul suo corpo bollente. Prima
che
Veronica si stufasse e decidesse di cambiare posizione, dato che il
freddo delle piastrelle iniziava ad infastidirla, trascorse a malapena
un
minuto.
- Vero, mi stanno venendo le branchie a stare qua in acqua, quindi
deciditi che voglio concludere in bellezza - scherzò Elena,
accogliendola nuovamente fra le sue braccia. Se c'era una cosa che
Veronica amava profondamente era lo stretto contatto fisico durante un
rapporto, non poteva farne a meno: non che ciò che Elena
le stava facendo prima le dispiacesse, tutt'altro, ma per concludere in bellezza
ne avvertiva la necessità.
- Girati - le sussurrò Elena, mordendole il lobo.
- Scusa? -
- Tu fallo - insistette.
Veronica voltò le spalle alla compagna, per poi sedersi
piegando le gambe sotto il sedere.
Elena la abbracciò, posando una scia di baci sulla sua
spalla,
mentre con una mano scendeva lungo la sua colonna vertebrale e con
l'altra indugiava sul suo seno. Raggiunse nuovamente la sua
intimità, questa volta violandola con meno delicatezza. I
gemiti
di Veronica le confermarono il successo della sua decisione. La mano
che fino a quel momento si era concentrata a massaggiare il seno
dell'altra, scese lungo il ventre, fino al clitoride, intensificando il
suo piacere.
Veronica si teneva con una mano alla maniglia della vasca, mentre
l'altro braccio era piegato all'indietro, attorno al suo collo.
Elena assecondava il suo ritmo muovendo tutto il corpo per aiutarsi.
Non era una posizione troppo comoda, almeno per Elena, ma a Veronica
sembrava piacere parecchio. Infatti, poco dopo, avvertì i
suoi
muscoli iniziare a contrarsi attorno alle sue dita.
- Ci sono... quasi... - l'avvertì come da previsione qualche
secondo dopo.
L'emozione troppo intensa, troppo travolgente, le assordò
per alcuni fatali secondi.
- Diamine! - la porta del bagno si richiuse sbattendo violentemente.
Entrambe trasalirono, colte di sorpresa. Veronica saltò
fuori
dalla vasca, imprecando afferrò un telo da bagno e se lo
strinse
attorno al corpo. Elena la seguì, senza dire una parola. Si
asciugò rapidamente, per poter indossare la biancheria
intima,
quindi si sedette sul bordo della vasca attendendo la reazione
dell'altra.
Veronica aprì la porta, per trovare suo padre, braccia
conserte e sguardo truce, che la attendeva oltre la soglia.
Trascorsero alcuni secondi di imbarazzante silenzio.
- Veronica... la voglio fuori da casa mia - ringhiò
facendo un passo indietro, indicando le scale.
- Papà, smettila - lo pregò lei, tentando di
mantenere la
calma. Se avesse ascoltato l'istinto animalesco che la animava in quel
momento, avrebbe sbattuto la porta in faccia a suo padre, mandandolo a
quel paese con nemmeno troppa gentilezza.
- Queste... cose,
scordatevi di farle sotto il mio tetto, chiaro?! - sbraitò,
gli occhi ridotti a fessure e il volto ormai magenta.
- Mi stai mettendo in imbarazzo con la tua ottusità -
replicò fredda Veronica, richiudendo la porta.
Gianni, però, fu più lesto: la bloccò
con una
mano, per poi spalancarla nuovamente. Afferrò Veronica per
un
gomito, sordo alle sue proteste.
- Non ti permetto di rispondermi così! -
Elena osservava basita il loro litigio: non osava intromettersi, era
imbarazzata, spaventata, ma anche arrabbiata, molto arrabbiata, per
come il padre di Veronica la stava trattando. I suoi non si
intromettevano più nella sua vita o, perlomeno, non
così.
- Tu! -, Elena trasalì. Gianni l'aveva indicata,
rivolgendosi a
lei con aggressività - Sparisci da casa mia! Non voglio mai
più vederti! -
Elena si alzò in piedi: senza scomporsi prese i suoi
vestiti. Sarebbe stato meglio assecondarlo.
- Papà, lasciami! Non puoi... non puoi trattarla
così! Io
la amo e tu devi accettarlo! - urlò Veronica, diventata
dello
stesso colore del padre.
- No, Vero, lascia stare. Non ha senso tentare di far ragionare certe persone -
- Ragazzina, non ti permetto di usare quel tono con me -
- E' una minaccia? - Elena alzò un sopracciglio.
- Papà, smettila subito! -, Gianni, per zittirla, le diede
uno schiaffo. Non lo faceva da più di dieci anni.
Fino a quel momento era rimasta pressochè impassibile, ma
quando
vide Veronica portarsi la mano alla guancia colpita con gli occhi
lucidi, non resistette.
- Lasciala stare! -, si intromise fra padre e figlia, costringendolo a
mollare la presa sul suo gomito, ancora ben salda.
- Non provare ad intrometterti, hai capito?! - esclamò
furibondo
Gianni. Elena aveva sottratto Veronica alla sue grinfie e la stava
stringendo a sè, fissando suo padre con aria di sfida.
Poi Gianni fece una cosa che la spiazzò: voltò
loro le spalle e se ne andò.
A Veronica sfuggì un singhiozzo.
- Calmati, amore - le sussurrò Elena, carezzandole la
schiena. I
suoi occhi si posarono sul suo gomito e sul segno rosso lasciatole dal
padre. Presto sarebbe diventato nero.
- Elena, vai a casa. Ho paura che faccia qualcosa di stupido
-, Elena fece per protestare, ma Veronica la interruppe - Ti prego. Ti
raggiungerò io più tardi -
Elena annuì e, dopo averle dato un bacio, si
rivestì rapida, imitata da Veronica.
È la cosa
più ingiusta che io possa concepire,
pensava Elena, chiudendosi i jeans.
Veronica la accompagnò al piano di sotto, fin davanti alla
porta di ingresso, dove esitò.
- Ci vediamo dopo - le sussurrò all'orecchio, alzandosi
sulle punte per baciarla.
- Ancora qua?! - sbraitò Gianni. Era sbucato in quel momento
della cucina, brandendo un mattarello.
- Papà, è ora di farsene una ragione. Lei ed io
ci amiamo
e tu non
puoi farci proprio nulla - rispose pacata Veronica, voltandosi
verso suo padre e usando il suo corpo come una sorta di scudo fra l'ira
del padre ed Elena.
- Io non ti riconosco più! È tutta colpa di...
di... è
tutta colpa tua! - Giani fendette l'aria con un colpo di
mattarello.
- Non sono stata io a traviare
la tua figliola - ribattè piccata Elena, che mal tollerava
quel genere di discorsi e di accuse.
- Chi altro?! Mia figlia era normale! -
- Abbassa quel coso!
La normalità di tua figlia non dipende da chi ama! -
- Basta! Papà, posa il mattarello! - esclamò
Veronica
spazientita e stufa dell'intolleranza di suo padre, che non faceva
altro che ostacolarla e offenderla, anzichè supportarla o,
perlmeno, ignorarla.
- Posarlo?! Ma io le spacco
la testa! - sbraitò Gianni, il volto deformato dalla rabbia.
Si avventò sulla ragazza alle spalle della figlia, che
scansò con uno spintone. Elena riuscì ad evitare
il suo
colpo, che le avrebbe senz'altro rotto il naso. Si scatenò
il
putiferio: Veronica urlava, Elena tentava di sottrarsi all'ira di
Gianni, che continuava a menar colpi con l'attrezzo da cucina.
- Smettila! - Veronica si scagliò contro suo padre,
facendogli perdere l'equilibrio.
Elena approfittò di quell'attimo di tregua per precipitarsi
nuovamente verso la porta, dalla quale si era scostata per mettersi al
riparo. Abbassò rapida la maniglia e l'aria fresca di maggio
le
solleticò le narici.
- Dove credi di andare?! -, Gianni le si avventò nuovamente
contro.
Elena corse fuori e il padre di Veronica le si lanciò
dietro, mattarello alzato e smorfia rabbiosa.
- Ti ammazzo se entri ancora una volta in casa mia, hai capito?! - le
gridò quando, con un balzo, superò lo steccato
bianco.
Alcuni passanti si fermarono incuriositi da quell'insolita scenetta: un
uomo rosso come un peperone, con indosso un paio di jeans neri e una
maglietta decorata da una ben poco elegante macchia di olio sul petto,
mulinava un mattarello di legno, sbraitando furioso contro una ragazza
affannata, con i capelli umidi e arruffati, che replicava a tono.
- Non puoi farci nulla, sarà inevitabile! - lo
sbeffeggiò
Elena, che si sentiva più tranquilla oltre la staccionata.
Gianni non sarebbe riuscito a scavalcarla così rapidamente.
- Se tocchi ancora una volta mia figlia, Elena, io ti ammazzo! Che sia
ben chiaro! -
Alcuni degli spettatori iniziarono a domandarsi se non fosse il caso di
fare uno squillo alla polizia, per fortuna nessuno se ne
sobbarcò l'onere.
- È lei che mi chiede di toccarla, mica la costringo! -
ridacchiò Elena, con aria sbruffona.
- Come osi?! Insolente! Ti farò sparire quel sorriso
compiaciuto, non toccherai più mia figlia! Lei non
è come
te! -
La minaccia di Gianni cadde bellamente nel vuoto. Elena
scoppiò a ridere.
- Altrochè se è lesbica! Non la vedrai mai con un uomo
e... -
- Chiudi quella bocca! -, Gianni avanzò verso la recinzione
che li separava.
- ... credo che tu ne abbia avuto una significativa conferma prima,
quando sei entrato in bagno - sogghignò Elena. Non riusciva
a
capacitarsi dell'odio che Gianni covava nei suoi confronti: perlomeno,
suo padre la ignorava, insultandola con la sua indifferenza. Sempre
meglio di un mattarello.
- Non...ti...devi...permettere - ringhiò Gianni, per poi
slanciarsi verso lo steccato e scavalcarlo come aveva fatto Elena poco
prima. La ragazza ricominciò a correre lungo il Viale della
Chiocciola ambrata, in direzione di casa sua.
Si faceva largo a spintoni fra le persone sul marciapiede, urlando ogni
tanto uno scusa
e tentando di evitare di calpestare cani e bambini. Dietro di lei,
sentiva le urla di Gianni e delle persone che si scansavano, spaventate
dal suo mattarello.
- Elena... non ti permetterò più di avvicinarti a
mia
figlia, hai capito?! - urlò con il fiato corto, rallentando
il
ritmo fino a fermarsi del tutto, ansante, appoggiandosi ad un lampione.
Anche Elena rallentò, ma solo per vedere la posizione di
colui che la braccava.
- Fai come ti pare, non le impedirai di tornare da me! -, prima di
cogliere l'ennesima imprecazioni di Gianni era già ripartita
di
corsa.
Nonostante la spavalderia con cui aveva risposto al padre di Veronica,
sentiva un'enorme tristezza attraversarla, così come lei
aveva
fatto fino a poco fa con i passanti, sgomitando prepotentemente. Era
certa che vedere Veronica non
sarebbe stato affatto un problema. Aveva però il timore, non
infondato, che suo padre, una volta rientrato in casa, potesse farle
del male. Tentò di soffocare quel pensiero e riprese a
correre,
per raggiungere casa sua il più rapidamente possibile.
- Ele, tutto bene? - le domandò la madre, vedendola entrare
trafelata nella rosticceria, sollevando gli occhi scuri dalla bilancia
su cui pesava i ravioli per un'anziana signora.
- Sì, tutto bene... ho solo bisogno di un po' d'acqua -
sorrise
debolmente, poi passò dietro al bancone, per raggiungere la
cucina.
- Dove hai lasciato la macchina? - le chiese sua madre ed Elena per
poco non si strozzò.
- L'ho... ecco... è ancora davanti casa di Veronica, vado a
prenderla dopo -
- Ah -, il freddo commento della madre la irritò.
Salì le scale fino al loro appartamento, vuoto.
Recuperato il cellulare, compose il numero di Veronica, che rispose al
primo squillo.
- Tutto bene, tesoro? - le domandò preoccupatissima Veronica.
- Sì, io sì... tu, invece? -
- Papà è rientrato inveendo contro di te, ha
sbattuto due
porte, ma nulla di più. Io non sono ancora uscita dalla mia
stanza - sospirò Veronica.
- E tua madre? -
- Rientrerà tardi, ma spero proprio che dica qualcosa a
papà! Non può fare così! E se ti
avesse fatto del
male seriamente?! -
- Amore... - mormorò Elena, sorridendo.
- Sta sera posso venire da te? -
- Mm... sì. Fra l'altro, la mia macchina è ancora
sotto
casa tua. Tuo padre non me l'ha sfasciata, vero? - ironizzò
Elena, non del tutto certa dell'assurdità delle sue parole.
- È ancora intatta, stai tranquilla - rise Veronica.
- Bene, allora vengo a piedi e andiamo via in macchina -
- Va bene! Allora a dopo! Ti amo... -
Veronica aprì silenziosamente la porta della sua stanza,
tanto per controllare che tutto fosse tranquillo.
Sua madre era tornata poco prima e aveva origliato un'epica litigata
fra i suoi genitori: quando Erica aveva appreso ciò che
Gianni
aveva avuto il coraggio di fare, era andata su tutte le furie,
urlandogli che era stato un emerito imbecille e altre cose poco carine.
Federica era rientrata nel bel mezzo della discussione dei suoi e si
era beccata una ramanzina immeritata da sua madre per il ritardo. Era
avvampata e si era rifugiata in camera sua.
Ora era tornato il silenzio. Il corridoio era deserto, quindi Veronica
vi si avventurò cautamente. Elena le aveva scritto un
messaggio
un'ora prima, dicendole di farsi trovare fuori casa puntuale per le
sette e mezza.
Giunta nel salone, che credeva deserto, trovò invece sua
madre,
seduta su una poltrona, assorta nella lettura di uno spesso manuale.
- Te ne vai di soppiatto? - le domandò, risentita, chiudendo
di scatto il libro.
- No, mamma... è che non voglio vedere papà -
mormorò Veronica arrossendo, tratto tipico della sua
famiglia.
- Ti capisco. Mi dispiace tanto per oggi: porgi le mie scuse ad Elena,
per favore - la pregò Erica sottovoce. Veronica
annuì con
un breve cenno del capo. Salutò sua madre con la mano e
uscì rapida nella fresca sera di maggio.
Vide Elena arrivare da lontano. Erano entrambe in anticipo.
Alzò un braccio, sventolandolo per attirare l'attenzione
dall'altra, che pareva assorta nei suoi pensieri e concetrata sui suoi
passi. Decise di correrle incontro.
- Ehi - sbuffò Elena, quando Veronica le si gettò
al collo, mozzandole il respiro.
- Stai bene, vero? - le domandò, ricoprendole il volto di
baci.
Elena rise della sua dimostrazione di preoccupazione, poi la strinse.
- Ovvio. Dai, sali in macchina prima che esca tuo padre - la
esortò, spingendola verso la Ka.
Mise in moto e partì. Voltandosi, Veronica vide suo padre
sbattere la porta d'ingresso. Per
un pelo, pensò sistemandosi nel sedile.
- Dove andiamo? -
- Prima recuperiamo un po' di gente -
- Cosa?! - esclamò Veronica, voltandosi verso l'altra, il
gomito poggiato sul cruscotto.
- Mi ha telefonato tuo cugino.... -, Veronica la interruppe - Io non
voglio lui e i suoi amici fra i piedi! -
- Dai, amore, calmati. Ci saranno lui, tuo fratello e Simone. Bianca ci
aspetta già là -
- Là
dove? - indagò Veronica, gli occhi ridotti a fessure che
avrebbero potuto sparare raggi laser.
- Al Corvo - ridacchiò sardonica.
- No, aspetta... - un risolino le sfuggì dalle labbra
serrate.
- Proprio così -
- Ma loro... non lo sanno che andiamo lì? -
- Certo che no -
Entrambe scoppiarono a ridere.
****
La
posta di Mizar:
Nessie:
ma quanto sei tenera?! Le tue recensioni sono sempe gentilissime (anche
se contengono troppi complimenti: mi fanno arrossire!), un giorno o
l'altro potrei anche montarmi la testa! Scherzi a parte, spero che
questo capitolo ti piaccia tanto quanto gli altri!
Guizza: wow,
grazie per i complimenti! Nemmeno io credevo di riuscire a scrivere
nulla di meglio del primo capitolo, ma dalle vostre recensioni mi
ricredo ampiamente! Spero che anche questo capitolo non deluda le tue
aspettative!
caso:
rieccomi con il nuovo flash! Diciamo che quest'avventura è
per metà di mia invenzione, per metà ispirata da
un fatto reale (no, non sono stata io ad essere inseguita da un padre
furibondo che brandiva un mattarello!). Ti ringrazio per i complimenti!
pazzafuriosa92:
perchè dici "un po' troppo politico"? Non ho afferrato...
comunque certo che tu non ti sprechi mai in parole, mamma mia! Scherzo,
comunque dai, dimmi che ne pensi di questa perla di goffaggine (per
quanto riguarda la prima metà, scrivere scene del genere mi
imbarazza infinitamente). E comunque no, Marco non ci ripensa, ma
quella è un'altra storia...
manga_girl:
sono felice di averti ridato l'ispirazione! Io continuo a ringraziarti
per i complimenti, che fanno sempre molto piacere ad una scrittrice in
erba! Giulia si è rivelata per quello che è
veramente: un'amica a parole, perchè i fatti dimostrano
ampiamente il contrario. In fondo, non conosci mai una persona
finchè non hai davvero bisogno di lei. Come ho detto prima a
pazzafuriosa92, Marco non tornerà indietro, ma è
un'altra storia...
piccola peste:
Elena e Giulia non smetteranno mai di punzecchiarsi, le ritroverai! Ad
ogni modo, Veronica si faceva tanti scrupoli per paura di perdere i
suoi amici (anch'io ci ho messo un sacco prima di dirlo ai miei amici e
ancora non lo sanno tutti!), anche se in questo modo ha capito che
davvero era suo amico. Avrei voluto vederti mentre annuivi e imprecavi
in dialetto!
Apia: ho
deciso di non sottovalutare le descrizioni (non so se te ne sei accorta
dall'ultimo capitolo di Fior di pesco). Comunque, il paragone
Shane-Elena calza a pennello, ve ne sono anche altri, ma solo per
quanto riguarda l'aspetto fisico. Per quanto riguarda Veronica,
è un personaggio a cui sono molto affezionata, mi sta
proprio simpatica a pelle e se ti piace tanto vederla arrabbiata...
beh, capiterà spesso!
Kabubi:
grazie per la recensione disinteressata! Scherzi a parte, grazie mille
per i complimenti, sono contenta che ti piaccia il mio stile (anche se
non è il mio "marchio di fabbrica", dipende da cosa devo
scrivere!). La poltrona è, per così dire, un leit motiv della
storia, un punto di incontro e riflessione (anche se in questo flash
non compare).
Grazie a Lagunarock
che ha inserito la storia fra le preferite, a blackout, depre, lilien, Fantasy Girl, Lost_Soul che
l'hanno inserita fra le seguite e grazie a Guizza che mi ha
inserita fra gli autori preferiti. E ovviamente grazie anche a chi si
limita a leggere!
A presto,
Mizar
|
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Capitolo 5 *** Lupi di mare ***
5. t.s.e.
5.
Lo so che avevo detto ci
risentiamo a settembre, ma sono riuscita a scribacchiare
questo capitolo su un blocchetto di carta ecologica fra un bagno in
mare e l'altro.
Quindi, ispirata dalla salsedine e dal caldo sole di luglio,
è venuta fuori questa cosuccia
leggera, spero vi piaccia.
Genere: Generale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Linguaggio
colorito (non amo molto le espressioni volgari, ma non le ho messe a
random, diciamo che sono coerenti con lo sviluppo della storia), Yuri
LUPI
DI MARE
Aspettava nell'abitacolo da ormai quindici
lunghissimi e
caldissimi minuti. A motore spento, l'auto si stava tramutando in una
fornace, raggiungendo temperature da fonderia.
Tamburellava nervosamente con la punta delle dita sul volante e
mascherava l'irritazione rivolgendo incoraggianti sorrisi alla sua
ragazza, che a momenti alterni si sporgeva da una delle finestre al
primo piano, con aria sconsolata. In quei quindici lunghissimi e
caldissimi minuti, era stata impegnata nella folle ed affannosa ricerca
di un oggetto apparentemente scomparso. Elena non riusciva nemmeno a
ricordare quale fosse.
Sarebbero dovuti passare a prendere Martina, Andrea e Bianca, ma erano
ormai in irrimediabile ritardo. Persino Michele, che avrebbe dovuto
raggiungerle con la sua auto lì, a casa di Veronica, era in
ritardo, di ben venti minuti. Per di più non si degnava di
rispondere al telefono.
Impaziente, Elena compose il suo numero per l'ennesima volta, pensando
di lui cose molto poco carine. Al quinto squillo rispose.
- Sì? -
- Sì,
cosa?! Ma dove cazzo
sei?! - sbraitò Elena furibonda e sollevata allo stesso
tempo,
nonostante il primo stato d'animo prevalesse di gran lunga sul secondo.
- Voltati -, chiuse la conversazione.
Proprio in quel momento una Terios nera frenò dietro la
Sharan
dei suoi genitori, che aveva avuto il permesso di usare per andare al
mare.
Elena gli mostrò il dito medio, gesto che lui
ricambiò sporgendo il braccio dal finestrino.
- Nervosetta,
eh? - ridacchiò Michele avvicinandosi e appoggiandosi al suo
finestrino, ovviamente aperto.
- Veronica ha perso qualcosa - ringhiò, mentre il suo
telefono
squillava per l'ennesima volta. Si scusò con l'amico, poi
rispose.
- Non dovreste essere sotto casa mia? -, la voce seccata di Martina era
stridula.
- Ti ho detto che Veronica... -
- Ancora?! Sbrigatevi! -, le sbattè la cornetta sul muso.
Tutti se la stavano prendendo con lei e si era ampiamente stufata.
- Ora vado dentro e gliene dico quattro - stabilì aprendo la
portiera e scendendo dall'auto. Se possibile, fuori era quasi
più caldo che dentro l'abitacolo.
- Ecco, brava, mai farsi trattare così a causa della propria
ragazza. Fai valere i tuoi diritti - asserì Michele.
Proprio in quel momento, Veronica uscì dalla casa con occhi
bassi e mesti. Tutti i propositi guerriglieri di Elena svanirono di
fronte alla sua espressione da cucciolo ferito.
- Amore, che succede? - le domandò abbracciandola.
- Non lo trovo - sospirò.
- Dai, ci arrangeremo. Ora andiamo che ci stanno aspettando.... Martina
è un po' su di giri - minimizzò passandole un
braccio
attorno alle spalle.
Elena la costrinse a salire in macchina, mentre Michele, ridendo, si
rimetteva al volante della sua.
- Seguici! - gli urlò Elena sporgendosi dal finestrino, poi
mise in moto.
Dopo meno di cinque minuti erano sotto casa di una furente Martina, i
cui occhi scintillavano come carboni ardenti, cosa del tutto plausibile
tenendo conto del caldo. La sua espressione, però, si
raddolcì subito alla vista di Michele.
- Ehi Marti! -, Michele suonò il clacson per attirare la sua
attenzione, nonostante non fosse assolutamente necessario.
- Ciao! -, il sorriso di Martina avrebbe potuto illuminare a giorno la
notte più tetra.
- Vieni qua, dammi la valigia che la metto nel baule. Lasciamo sole
quelle e
fammi compagnia! -, Martina non se lo fece ripetere due volte
e, incurante dello sguardo indignato che le scoccò Veronica,
si
sedette di fianco a Michele.
- Spero che si mettano assieme, almeno Michele la smetterà
di
lamentarsi - ridacchiò Elena, mettendo nuovamente in moto e
facendo rotta verso casa di Andrea. Veronica annuì, poi si
sporse per posarle un bacio su una guancia.
- Ehi, ehi, stai brava, non mentre guido - la ammonì prima
che le venisse in mente qualche balzana idea.
- Sei proprio indisponente! Io volevo solo darti un bacio -
Continuarono a punzecchiarsi fin davanti al cancello del condominio
di Andrea. Veronica scese dall'auto per suonare il citofono. Il ragazzo
li
raggiunse poco dopo tirandosi dietro un trolley nero di medie
dimensioni, che sistemò nel capiente baule della Sharan.
- Fai uno squillo a Bianca e dille di scendere, è
già abbastanza tardi -
- Lo sto già facendo, non sono così sprovveduta -
si risentì Veronica.
- Non ho detto che sei sprovveduta, pensavo solo... -, Veronica
scoppiò a ridere.
- Mica devi prendertela per tutto, stavo solo scherzando! -
- Non fai ridere - grugnì Elena, mentre Andrea si univa alle
risate di Veronica.
Poco dopo erano di fronte ad un cancello in ferro battuto, che lasciava
intravedere un giardino rigoglioso e molto curato, senza dubbio dalla
madre di Bianca che amava il giardinaggio. Davanti ad esso attendeva
Bianca, ai suoi piedi giaceva un borsone di stoffa verde militare.
- Mi raccomando, con calma - sbuffò, lanciando il suo carico
nel baule.
- Prenditela con Veronica, non con me - sibilò Elena, stufa
dei rimproveri di tutti quanti.
- Non trovavo il caricabatterie del telefonino - si
giustificò Veronica, incrociando le braccia, offesa.
- Muovetevi a ripartire, fa caldo! - urlò Michele dall'altra
auto.
Bianca si sedette sul sedile posteriore con Andrea e finalmente si
diressero verso l'autostrada che li avrebbe condotti verso una sassosa
spiaggia della Liguria.
- Non vedo l'ora di prendere un po' di sole, tutto questo studio mi fa
diventare sempre più bianca - sbuffò Veronica,
osservando
il suo decoltè.
- Sì, sei più pallida di una mozzarellina - la
prese in giro Elena, dandole un buffetto su una guancia.
Erano partiti alla volta della Liguria per una settimana di appagante
divertimento all'insegna di mare e sole cocente, soprattutto per
prendersi una pausa dagli studi universitari.
Erano diretti verso Mondovì, dove avrebbero preso
l'autostrada
Torino-Savona, non prima di aver raccattato al casello Walter,
accompagnato da Simone e Mattia. Veronica avrebbe tanto voluto che
anche la sorella si unisse a loro, ma aveva preferito andare qualche
giorno in montagna con Maria Cristina, Giorgio, Davide e altri loro
amici. Così loro avrebbero approfittato
dell'ospitalità
di Elena, i cui genitori possedevano un appartamento in una piccola
città ligure, peraltro con il vantaggio di essere a pochi
minuti
di cammino dalla spiaggia.
Veronica appoggiò il capo contro il poggiatesta, nascondendo
con
la mano un profondo sbadiglio: quella notte, lei ed Elena non avevano
dormito molto. Si voltò verso la sua compagna, che
fischiettava
allegramente il motivetto della canzone rock proposta da Virgin Radio,
gli occhi concentrati sulla strada. Indugiò a lungo sulla
curva
del suo naso. Da lì, il suo sguardo scivolò fino
alle
sottili labbra rosee, poi giù oltre il mento, lungo il collo
che, anche se da quella distanza non lo sentiva, era sicura profumasse.
Al solo pensiero un brivido le attraversò la schiena. Il
suoi
occhi scivolarono ulteriormente, fino al seno, nascosto fra le pieghe
della morbida canottiera che indossava. Sospirò, forse un
po'
troppo sonoramente.
- Tutto bene, chouchou?
-
- Sì -, Veronica adorava quando Elena usava con lei quel
vezzeggiativo francese. Sua nonna paterna, la fantastica nonna Lia,
infatti, aveva genitori francesi, pur essendo nata in Italia.
- Sicura? Hai il faccino
spento... -, Elena allungò una mano per carezzarle
nuovamente
una guancia, preoccupata. Quando Veronica era così
pensierosa
sicuramente per la testa le frullavano pensieri che la turbavano,
oppure non si sentiva bene.
- Siamo arrivati al casello. Ci fermiamo un momento, così
puoi fare due passi e respirare un po' d'aria fresca -
- Sì -
Per il resto del tragitto, Elena continuò a lanciarle
occhiate a
intervalli regolari. Non la preoccupava solamente il fatto che Veronica
potesse sentirsi male e sporcarle la macchina, quello era l'ultimo dei
suoi problemi, anche perchè era già capitato. Lei
era
preoccupata per la sua ragazza in generale. Elena si preoccupava spesso
per lei, forse troppo.
Al casello, i tre ragazzi li aspettavano appoggiati alla Mazda 2 di
Walter. Tutti e tre indossavano bermuda e canottiere colorate.
- Tutto a posto? - domandò Walter, avvicinandosi alla
portiera di Elena.
- Sì, solo un po' di ritardo -
- Abbiamo notato - rise lui, passandosi una mano fra i folti capelli
castani per spettinarli. Erano l'unica eredità genetica del
padre, per il resto era caratterizzato dai tipici lineamenti british, il che
includeva la classica pelle che non si abbronza.
Notando che Veronica lottava affannosamente con la cintura di
sicurezza, si scusò con il ragazzo, dicendogli che avrebbero
dovuto attendere ancora qualche minuti perchè Veronica non
si
sentiva troppo bene.
- Non riesco... - sbuffò irritata, sull'orlo di una crisi di
nervi.
- Arrivo subito -, Elena raggiunse la sua portiera.
- Non funziona -
- Sì, lo so. E' una macchina vecchia e ogni tanto fa i
capricci
-, si sporse su di lei, sbloccando la cintura di sicurezza al primo
colpo. Poi l'aiutò a scendere.
- Facciamo due passi - avvisò i ragazzi che, radunatisi in
cerchio, stavano chiacchierando.
La prese per mano e si allontanarono di alcuni metri.
- Mi tieni i capelli? - le domandò improvvisamente Veronica.
Elena eseguì, rapida: raccolse con le dita le folte ciocche
dorate dell'altra, che, con una mano appoggiata al guardrail, si
chinava e rimetteva la colazione.
- Vero? -, Mattia si avvicinò.
- Tranquillo, tua sorella è in gran forma. Dalle solo
qualche
minuto - sorrise Elena, carezzandole affettuosamente la schiena.
- Non so perchè... non ho digerito - mormorò
tirandosi su.
- Dai, stai brava -, Elena le baciò con trasporto una
guancia,
poi le porse un fazzoletto di carta nel quale Veronica si
soffiò il naso.
- Abbiamo inaugurato le vacanze! - proclamò Bianca,
vedendoli tornare.
- Ora sto meglio -
- Allora possiamo partire! - stabilì Michele, gli altri
annuirono.
- Vengo in macchina con voi, mi rifiuto di stare schiacciato fra le
valigie! - sentenziò Mattia, che aveva viaggiato sul sedile
posteriore della Mazda, stretto fra i bagagli.
- Vieni pure, tanto c'è spazio -, gli occhi di Bianca
diventarono due cuoricini.
Veronica sorrise, lanciando un'occhiata eloquente ad Elena, che colse
al volo.
- Ti piace mio fratello? - ridacchiò, sussurrandole
all'orecchio.
Bianca rispose con una smorfia colpevole.
Veronica era tornata allegra e sorridente ed Elena ne era felice: il
suo umore dipendeva in gran parte da quello della compagna. Forse era
sbagliato, quasi morboso, questo attaccamento ossessivo, questo legame
psicosomatico che le univa indissolubilmente. Loro non ci avevano
mai seriamente riflettuto sopra, nè gli importava farlo.
I tre guidatori si rimisero al volante delle rispettive vetture, per
poi imboccare l'autostrada verso il mare.
- Insomma, smettila di lamentarti! Avresti preferito sborsare un sacco
di soldi per i parcheggi a pagamento?! -
Michele si stava lamentando dell'eccessiva lontananza dei parcheggi
della stazione, nonostante fossero gratis.
In fila indiana sullo stretto marciapiede, zaini in spalla, ognuno
trascinava il suo trolley o il suo borsone. Già si respirava
l'aria salmastra portata dalla brezza, che però non era
sufficiente a dipanare la pesante cappa d'afa. Il caldo, infatti, aveva
già imperlato la loro pelle di sudore.
Una volta di fronte al palazzo ci furono alcuni minuti di panico dato
che Elena non riusciva a trovare le chiavi dell'appartamento, per poi
ricordarsi che le aveva lasciate nella borsa di Veronica.
L'appartamento non era troppo grande, si componeva di quattro stanze e
un piccolo ingresso: due camere da letto, un bagno e un ambiente unico
per il salotto e per la cucina. I letti senz'altro non mancavano
perchè in quella casa la famiglia di Elena era solita
ospitare
anche altri parenti e amici. Tutte le stanze erano arredate con mobili
dal design semplice ed essenziale, le pareti bianche erano decorate da
numerose foto e quadri per conferire loro una maggiore
vivacità.
Nella camera da letto principale vi era un letto matrimoniale, che
Elena reclamò in quanto padrona di casa, e un grande armadio
bianco ad ante scorrevoli; nell'altra camera da letto era stati montati
due letti a castello di metallo ed erano stati aperti due letti,
ripiegabili dietro due finti cassettoni; nel salotto cucina, invece, vi
era un divano letto.
Le valigie erano state prima svuotate e poi impilate alcune
sull'armadio dell'ingresso e altre sull'armadio della stanza da letto,
riempiti del loro contenuto.
I genitori di Elena, che vi erano rimasti fino al giorno prima, avevo
lasciato tutto pulito, quindi non si erano nemmeno dovuti preoccupare
delle mansioni cenerentolesche.
Bianca e Michele si precipitarono subito nella camera da letto per
appropriarsi del secondo piano dei letti a castello.
Contemporaneamente, in salotto, i tre moschettieri litigavano su chi
avrebbe dovuto dormire separato dagli altri due, giocandosi il divano
letto. Martina si affrettò a sistemare le sue cose sul letto
sotto quello scelto da Michele, mentre Andrea si accontentava del
rimanente.
- Come sto? - domandò Veronica civettuola. Aveva appena
indossato il suo nuovo costume bianco a pois colorati, legato dietro al
collo. Appena arrivata si era sciacquata la faccia e lavata i denti,
poi aveva mangiato due albicocche.
- Sei bellissima - mormorò Elena, catturando le sue labbra
in un
bacio delicato e attirandola contro di lei con le mani premute sul suo
sedere.
- Già a fare porcherie? - ridacchiò Michele, che
passava nell'ingresso.
- Fottiti
- fu la gentile replica di Elena, mentre Veronica, ridendo, tornava in
camera per finire di vestirsi.
Elena si rintanò in bagno. Detestava spogliarsi di fronte a
terzi e non sopportava che gli altri la vedessero in intimo. Era anche
uno dei motivi per cui non amava il mare.
Non che fosse grassa o avesse qualcosa da nascondere, tutt'altro, il
suo corpo era tonico, atletico, costantemente in allenamento, era una
sua fissazione mentale, tutta psicologica, tant'è che in
spiaggia tendeva a indossare un paio di calzoni e una maglietta.
S'infilò rapida un costume sportivo dell'Arena, blu scuro,
un
paio di bermuda color cachi e una maglietta bianca, ricordo di un
vecchio torneo calcistico.
- Là, là! C'è uno spiazzo! -
esclamò
Walter, fiondandosi su due metri quadrati di sabbia libera e piantando
l'ombrellone manco fosse stato la bandiera americana sulla Luna. Armati
di asciugamani e alcune sdraio pieghevoli, si sistemarono sulla sabbia
rovente.
- Che caldo - mormorò Veronica, rivolta principalmente a se
stessa, sfilandosi la canottiera gialla. Elena era riluttante e
temporeggiava, crema solare protezione cinquanta alla mano. Martina si
stava facendo spalmare la crema solare sulla schiena da Michele, ben
contento del compito assegnatogli; Bianca si impiastricciava da sola;
Andrea stava ripiegando con cura maniacale i suoi vestiti; Walter,
Simone e Mattia si era spalmati rapidamente la crema ed erano
già pronti per il tanto agognato tuffo in mare.
- Al mio tre! One,
two... tre!
-, si precipitarono di corsa in acqua, schiamazzando e sollevando
spruzzi notevoli.
Andrea li seguiva con una verve
invidiabile, camminando con nonchalance sui
carboni ardenti.
- Mi metti la crema? -, vocina mielosa.
- Certo, amore, siediti qui -, Veronica prese posto fra le gambe di
Elena, per poi raccogliersi i capelli. Chiuse gli occhi, abbandonandosi
alle mani dell'altra, che ormai conoscevano il suo corpo quasi meglio
delle proprie, il cui tocco sicuro e sensuale la mandava in estasi.
Elena approfittava di quel rituale per concedere alla sua compagna di
una gradita dose extra di coccole, eccedendo in carezze e baci sulle
orecchie.
- Ora te la metto io che sei quasi più bianca di me - rise
Veronica sfilandole la maglietta, sorda alle proteste dell'altra.
- Avete fatto? - domandò impaziente Bianca, l'unica che
fosse rimasta ad aspettarle.
- Vai tranquilla, noi arriviamo -
- Okay, allora mi tuffo! - così dicendo si
allontanò di corsa.
- Allora, vieni in acqua? -, Veronica, ora seduta di fronte ad Elena,
le strinse le mani.
- Sì... -
- Elena, per favore, togliti i pantaloncini - pregò.
La sua compagna le rivolse uno squadra nel quale si leggeva chiaramente
il suo disaccordo.
- Ti prego... -
Sbuffando, cedette.
- Corri, che scotta! - rise Veronica, trascinandola sulla battigia.
Appena la ragazza saggiò con la punta del piede la
temperatura
dell'acqua, Walter, Simone e Mattia le furono addosso: suo cugino la
afferrò da dietro, stringendola appena sopra il seno, suo
fratello si occupava di tenerle fermo il bacino, mentre Simone le
afferrava le caviglie.
Elena scoppiò a ridere, mentre Veronica strillava, attirando
l'attenzione dei bagnanti. I tre ragazzi, insensibili ai suoi tentativi
di dibattersi, si inoltravano in mare per poi lanciarla dove l'acqua
era più profonda.
- Non ci pensare nemmeno -, Elena scoccò un'occhiata di
fuoco a Michele, che s'avvicinava con fare circospetto.
Bianca e Martina parlottavano, spruzzandosi di tanto in tanto:
probabilmente era un rapido aggiornamento sulle rispettive situazioni
amorose. Veronica, invece, era particolarmente impegnata a tentare di
affogare Walter, per l'ilarità di Simone.
- Tutto bene? - le domandò improvvisamente Michele.
- Perchè? -
- Ti vedo un po' tesa... -
- Non sono a mio agio, tutto qui -, Elena scrollò le spalle,
scavando sott'acqua una piccola buca con la punta del piede.
- E' per il costume vero? -
- Già -
- Ecco perchè sei in acqua fino al collo - rise Michele,
sbattendo il palmo della mano aperta sulla superficie d'acqua di fronte
a lei, che chiuse gli occhi, per evitare il fastidioso bruciore causato
dal sale.
- Tu, invece? Cuore di burro? - lo prese in giro, accennando con la
testa alla piccola brunetta.
- E' proprio bella, sì... poi è anche
intelligente, anzi, di più. Sai cos'è che mi
piace di lei? -
- Cosa? -
- Il suo profumo -
- Anche a me piace il suo
profumo -
- Suo di
chi? -, Veronica si era presa una tregua dalla lotta con il cugino, che
ora si dedicava con zelo a tormentare Mattia.
- Il tuo, tonta
- rise Elena, afferrando per un polso la sua
indispettita ragazza. Veronica le saltò in braccio, le
braccia
strette attorno al suo collo, le gambe avvinghiate alla vita.
- Ecco, così, in acqua, potrei reggerti per ore -
ironizzò Elena.
- Antipatica - mormorò Veronica, posandole un bacio sulla
spalla.
L'acqua era trasparente e fresca, un vero piacere sguazzarci dentro,
tenendo conto dell'afa che assaliva sulla terraferma. Veronica era
felice di essere in vacanza con i suoi amici, una settimana lontana
dagli studi universitari e dalle preoccupazioni. Soprattutto, era
felice che ci fosse anche Elena.
- Esco un attimo - disse ad Elena, sciogliendo la stretta.
- Hai freddo? -
- No, devo fare pipì -, il suo tono di voce si
abbassò.
- Falla in mare! - rise Bianca.
- Io non faccio schifo come te -
- Guarda che la fanno tutti - confermò Walter.
Lei, in tutta risposta uscì dall'acqua. Si
asciugò
rapidamente con la salvietta per poi dirigersi verso il fondo della
spiaggia, dove si trovavano appunto i servizi. Altre due persone erano
in coda davanti a lei.
- Ciao -, il ragazzo di fronte a lei la salutò rivolgendole
un
gran sorriso. Era alto, con il fisico di uno che pratica sport
quotidianamente, probabilmente un nuotatore, portava i capelli scuri
corti e sulla spalla destra spiccava il tatuaggio di un lupo,
più precisamente della sua testa con le fauci spalancate.
- Ciao -
- Vacanza con gli amici? - domandò, attaccando bottone.
- Sì, siamo arrivati questa mattina - rispose lei, cordiale.
- Senza offesa, però si vede -, sorrise ancora, accennando
alla sua pelle bianca.
- Troppo studio. Tu sei qui da molto? -
- Una settimana -, poi si scusò ed entrò nel
bagno
finalmente liberatosi. Quando anche Veronica ne uscì, lui
era
lì fuori che l'aspettava.
- Comunque, io sono Antonio -, le porse la mano.
- Piacere, Veronica -
- Magari ci vediamo più tardi. Ora torno dai miei amici -,
le strizzò l'occhiolino a mo' di saluto.
Non appena rimise piede in acqua, Elena le si avvicinò. Gli
occhi ridotti a due fessure.
- Chi era quel tipo? -
- Tranquilla, amore - mormorò sorridendole e schioccandole
un
bacio su una guancia per cancellare quell'espressione
corrucciata
che l'altra aveva messo su.
- Di cosa ti preoccupi? - rise Michele, stupito, rivoltosi ad Elena,
che lo schizzò.
Poco dopo, lo stesso ragazzo, con tutti i suoi amici, entrò
in
acqua. Un altro gruppo schiamazzante affollò il mare
già
abbastanza popolato.
- Si chiama Antonio - mormorò Veronica, indicandoglielo.
- Lupo? -
- Sì, sulla spalla -
- Mm -
- Non dirmi che sei gelosa - rise di gusto.
- No, però se ci prova con te lo sistemo io -
Michele e Andrea si erano già fatti avanti con le
presentazioni,
seguiti da Walter e Simone. Mattia, invece, si avvicinava cautamente a
Veronica, tentando di attirarne l'attenzione.
- Non mi piace quel tizio - borbottò, scostandosi le ciocche
bagnate dagli occhi. Si guadagnò un buffetto da parte di
Elena,
felice di aver trovato un alleato.
- Insomma, non ti ci mettere anche tu! E' stato molto gentile, punto e
basta -
- Ha un secondo fine piuttosto ovvio - ribattè Elena alzando
un sopracciglio.
- Fosse per te non dovrei parlare con nessuno! -
- Non per intromettermi, ma non mi sembra il caso di litigare per uno
sconosciuto - intervenne Bianca.
- Ecco, ha ragione Bi. Dai, amore -, Veronica abbracciò
Elena, stringendole la vita.
Tutti erano impegnati a presentarsi e a chiacchierare con i nuovo
arrivati, che parevano molto simpatici: oltre al ragazzo che ormai
Elena aveva soprannominato Lupo,
c'erano altri due ragazzi e una ragazza.
I due ragazzi erano l'uno esatto il contrario dell'altro: se il primo
era
alto quasi due metri, l'altro non sfiorava il metro e ottanta; il primo
era biondo, capelli tagliati corti, il secondo era bruno e i capelli
gli sfioravano le spalle; il primo era robusto, palestrato, con tratti
facciali duri e ben definiti, l'altro era più esile,
dinoccolato, dai lineamenti quasi androgini. La ragazza portava i folti
capelli castani stretti in una treccia, la pelle era abbronzata
uniformemente e la sua bocca era troppo grande proporzionata al suo
viso, ma questo difetto la rendeva ancora più bella.
- Il bestione è Valerio, loro sono Marcello e Vittoria -,
Lupo fece le presentazioni.
- Lei è Elena e questa è Bianca -
Elena fece un sorriso tirato e strinse loro la mano.
- Siete fratelli? - domandò Marcello, indicando Veronica e
Mattia.
- Sì, ma è troppo facile, ci assomigliamo
moltissimo -
rise Mattia, poi aggiunse - Anche voi siete fratelli, vero? -
- Sì, gemelli. Voi? -
- Lei ha due anni più di me -
Ormai Mattia e Marcello si erano fatti prendere la mano dalla
conversazione e non stavano più a sentire nessuno.
- Voi siete parenti? - questa volta era Lupo e indicava Elena e
Veronica, che scoppiarono a ridere.
- Ma se non ci assomigliamo nemmeno sotto ai piedi -
ridacchiò Veronica.
- Era solo per chiedere, perchè il ragazzo con il nome
inglese che non ricordo ha detto che è tuo cugino -
- Sì, malauguratamente i nostri padri sono gemelli -
spiegò sorridendo.
- Quindi voi siete amiche? -
Prima che Elena potesse aprire bocca, Veronica confermò.
- Dall'asilo! -
- Fico! Anche noi ci conosciamo da un sacco di tempo -, Antonio
indicò i due gemelli.
- Scusate, io esco, ho freddo -, Elena si avviò verso la
battigia.
- Aspettami, vengo anch'io! Scusate ragazzi, ci vediamo dopo! -
Rallentata dalla sabbia bollente, corse faticosamente dietro ad Elena,
che, a passo rapido, si dirigeva verso i loro asciugamani. Aveva
intuito subito che qualcosa non andava, gliel'aveva letto negli occhi.
- Sei arrabbiata? -, Veronica si aggrappò al gomito della
ragazza.
- Non mi sembra tu ti sia mai fatta problemi a parlare apertamente
della nostra relazione - replicò pungente Elena.
- Voglio solo vedere che intenzioni ha -
- Mi sembrano piuttosto ovvie - sbuffò Elena, sedendosi
sull'asciugamano.
Veronica si sistemò subito accanto a lei.
- Prometto che più tardi glielo dico -
In acqua, Vittoria era impegnata in un'animata discussione,
probabilmente politica, con Bianca e Andrea; Walter, invece, si
intratteneva con Lupo e il biondone, assieme a Simone; Marcello e
Mattia sedevano in disparte, sul bagnasciuga; Michele e Martina, per la
gioia di Veronica, erano andati a nuotare al largo, da soli.
- Mi pettini i capelli? - mormorò Veronica, porgendole la
spazzola di legno.
- Certo, chouchou -,
Veronica si sedette fra le gambe dell'altra, che, gentilmente,
scioglieva i nodi dai suoi lunghi capelli.
- Secondo te, Marcello è gay? - domandò Veronica,
sottovoce, osservando suo fratello e quel ragazzo ridere assieme.
- Ovvio che lo è! Dai, guarda come si tocca i capelli -
- Secondo te loro
lo sanno? -
- La sorella suppongo di sì, gli altri non ne sono poi
così certa -
Mentre congetturava sull'identità sessuale del ragazzo,
furono avvicinate da una mogia Bianca.
- Non ho speranze, vero? - domandò scuotendo la testa.
- Non credo proprio, Bi. Mi dispiace, non potremo essere cognate -
ironizzò Veronica.
- Ma non ti eri accorta che Mattia gioca nella nostra squadra? -
rise Elena.
- Avevo dei sospetti, ma questa simpaticona
non mi ha mai detto nulla -, tono di accusa.
- Lui non vuole che si sappia, noi manteniamo il suo segreto -
- Ma Simone e Walter lo sanno? -
- Sì, certo. Gliel'ha detto lui stesso - spiegò.
- Ah -, Bianca assunse un'espressione catatonica.
- Dai Bi, la vita è bella e il mondo è pieno di
ragazzi... e ragazze -, Elena le diede un pugno affettuoso su una
spalla.
Improvvisamente Bianca scoppiò a ridere, diventando paonazza.
- Scusate, scusate... - riprese fiato, poi scoccò
un'occhiata di
superiorità ad Elena, - Invece di fare la spiritosa, fossi
in te
mi guarderei le spalle: il biondone ti ha puntata -
Elena sgranò gli occhi, disgustata, mentre Veronica fu presa
da un incontenibile attacco di risa.
- Dovresti vedere la tua faccia! - rise Bianca, poi continuò
a
raccontare, - L'ho sentito prima, mentre parlava con Walter: il
biondone è attratta da te, perchè corrispondi al
suo
canone di ragazza ideale... -
- Lesbica? -
- No! E' attratto dalle ragazze alte, atletiche, con gli occhi chiari e
un grazioso lato B. Insomma, con un bel pezzo di didietro -
Veronica era ormai incontenibile, mentre Elena si sentiva solo in
imbarazzo. Anzi, era orripilata dall'idea che quel ragazzo
potesse avvicinarsi a lei.
- Comunque non ho finito. Veronica, insomma, datti il tuo solito
contegno. Inoltre, Antonio è sicuro che entro sta sera tu cadrai ai suoi
piedi, perchè ha visto, testuali parole, il modo in cui lo
guardavi -
- Come,
scusa? -
- Ah non lo so. Vallo a chiedere a lui. E anche il biondone
è
convinto che entro sera riuscirà a conquistarti -
ridacchiò Bianca.
- Santi Numi, che schifo! E' una cosa orribile! Ma non ha nessuna
sensibilità?! -
- E' un maschio...
-
- Ma che cazzo
c'entra?! Mi rompete sempre che mi vesto troppo da
maschio, che si vede lontano un miglio da che parte sto, eccetera... e
ora arriva questo troglodita! -
- Prima eri in costume - obiettò Veronica.
- Ehi rubacuori,
che ne dici di provare nuove esperienze? - scherzò Bianca,
suscitando l'immediata reazione di Veronica.
- No, quello no! Un conto è fare le stupide, un conto
è
essere serie - s'ingelosì, per l'ilarità di Elena.
- Tu credi davvero che...? No, aspetta. Qualcuno ha una videocamera?
Devo riprendere questo momento! Tu credi davvero che io ti tradirei con
un uomo?! - rise Elena - Al massimo con Bianca, o Martina. Ma con un tripode proprio no!
-
- Non è divertente - grugnì Veronica. Le sue
parole
furono quasi coperte dal rumore che fece Walter, tuffandosi
sull'asciugamano.
- Questa sabbia è un inferno! - sbottò. Una volta
ricomposto, iniziò a frugare nello zaino.
- Sono solo due sbruffoni, vi prego, dategli una lezione - le
implorò, senza alzare gli occhi dalla sacca.
- Perchè? Cosa dicono? -
- Antonio è seriamente convinto di averti già in
pugno. Le bionde sono
le più facili! Ha detto proprio
così -
- E voi non avete senz'altro fatto nulla per fargli cambiare idea -
rise Elena, immaginandosi i due gongolare alle loro affermazioni
spavalde.
- Proprio così. Il più divertente però
è
Valerio: è proprio convinto! Si vede che è una che
ci sta! Dev'essere davvero stupido... -
- Ma non li ha due occhi?! -
- Inizio a dubitarne. Ora torno in acqua: i loro discorsi sono
esilaranti! Se vi interessa, Martina e Michele stanno pomiciando
nell'acqua alta -, Walter ritornò di corsa dagli altri
ragazzi.
- Che razza di matti... - sospirò Bianca, alzandosi in
piedi. Si
ripulì dalla sabbia che le si era attaccata al costume
bagnato,
- Io torno da Andrea e Vittoria. Devo dimenticarmi di Mattia -
- Fatti forza, amica - la incoraggiò Elena, prima che anche
lei partisse di corsa alla volta dell'acqua.
Elena rimase ad osservare i ragazzi che chiacchieravano, suddivisi in
due gruppetti. Nel frattempo, rifletteva.
- Posso baciarti? - domandò alla sua compagna, carezzandole
una guancia con il dorse delle dita.
- E se assecondassimo Walter? -
- Cioè? - Elena ritirò la mano. La situazione non
la entusiasmava.
- Li sgonfiamo
-
- Io sono pronta ad alzarmi e a dirgli anche ora, con
tranquillità, che i tripodi
non mi garbano per nulla -
- Ma così sarebbe... noioso -
- Scusa, che vorresti fare? - replicò Elena, scettica.
- Ancora non lo so... -
Alla mezza, i nuovi venuti si ritirarono per il pranzo. Loro,
intrepidi, si erano preparati i panini, da consumare sotto gli
ombrelloni, unico riparo dall'insopportabile caldo.
Dopo una serie di urla disumane e animaleschi slanci, ognuno ebbe
almeno un panino in mano.
- Pomodoro e mozzarella - gongolò Veronica, compiaciuta.
- Sì, amore, così mantieni la linea - la prese in
giro Elena , baciandole un orecchio.
- Esatto, voglio entrare nei miei costumi di scena quando
tornerò dalle vacanze, se permetti -
Continuarono a punzecchiarsi, scambiandosi tenerezze.
- Piano con 'ste mani - mormorò Elena all'orecchio della
compagna, bloccandole i polsi, poichè Veronica le stava
facendo
il solletico, che era una cosa che proprio non sopportava.
- Mi piace toccarti - sussurrò Veronica, allargando il suo
sorriso malizioso quando vide l'altra arrossire.
- Vero! Stai brava - la pregò Elena, notando come gli occhi
delle sua ragazza si facessero più languidi. In tutta
risposta,
Veronica si sporse e la baciò, appoggiando una mano sulla
sua
spalle e, con l'altra, cingendole il collo. Elena non oppose troppa
resistenza, la infastidiva leggermente la presenza degli amici: non era
una che amava le esibizioni in pubblico, di qualunque genere.
Però a Veronica non resisteva.
Cercò con la sua la lingua di Veronica, ben felice di stare
al
gioco. Amava quella ragazza con ogni fibra del suo essere. Le sembrava
assurdo, ma sapeva che non poteva esistere nessun'altra come lei:
saltuariamente vanitosa, prevalentemente essenziale, una persona
trasparente, sincera, a volte troppo buona, ma non tanto da farsi
mettere i piedi in testa, coerente ai suoi principi e
La strinse a sè con forza, come per rivendicarne una sorta
di appartenenza.
Erano circa le due. All'ombra, distesi sugli asciugamani, quasi tutti
si erano addormentati. Elena era coricata, prona, accanto a Veronica,
che era nella stesa posizione, il suo braccio sinistro appoggiato alla
sua schiena, il volto sulla sua spalla.
Stava sognando, ne era certa, perchè c'era un grosso cane
grigio, simile ad un lupo, che si avvicinava sulla sabbia. Lei lo
osservava in silenzio. Poi, all'improvviso, si scatenò un
temporale.
Aprì gli occhi di scatto: qualcuno le aveva tirato una
secchiata
d'acqua. Accanto a lei, Veronica si era messa a sedere, tossendo. Si
sfregò rapida gli occhi e vide Lupo, Valerio e
Walter scambiarsi un cinque.
- Siete dei... degli imbecilli! - esclamò Veronica
furibonda.
Elena ridacchiò, scostandosi i capelli bagnati dalla fronte:
i
tre avevano fatto un passo terribilmente falso, perchè se
c'era
una cosa che Veronica detestava e che la rendeva intrattabile era
l'essere svegliata di soprassalto.
- Dai, Vero, si fa per scherzare - rise Walter, porgendole una mano per
aiutarla ad alzarsi in piedi.
- 'Fanculo,
Walter! - si rialzò da sola, afferrando il suo asciugamano
bagnato.
Bianca e Martina se la ridevano più in là: anche
loro
avevano sperimentato la Veronica post risveglio brusco ed era stata
un'esperienza difficile da scordare.
- Dai, Vero, stai calma. Ora mettiamo il telo al sole e si asciuga -,
Walter provò un nuovo e pacifico approccio.
- Non... avvicinarti! - ringhiò lei, scandendo le scandendo
ogni sillaba con rabbia.
- Non era nostra intenzione farti arrabbiare - provò a
scusarsi
Lupo. Elena, dal canto suo, si limitava ad osservare le loro mosse,
compiaciuta per la piega presa dalla situazione.
Nemmeno lei amava essere svegliata in quel modo, ma per la sua compagna
era qualcosa di patologico e aveva avuto modo di rendersene conto negli
anni: il suo tasso di irritabilità era cresciuto
proporzionalmente con lei. Nemmeno troppo tempo prima, un telefono le
aveva svegliate alle sei del mattino e Veronica, fino all'ora di
pranzo, aveva insultato chiunque si trovasse sulla sua strada.
Ovviamente, con l'esperienza Elena aveva imparato come impedire alla
sua ira di riversarsi anche su di lei e non aveva intenzione di
spartire quel segreto con nessuno. Anche perchè non era cosa
che
avrebbero potuto fare tutti.
- Tu non sei arrabbiata, vero? - le domandò Valerio in tono
sommesso.
- No, io no - sorrise Elena, lanciando un'occhiata eloquente in
direzione di Veronica, che stava inveendo furiosamente contro suo
cugino, appellandolo in ogni modo possibile e immaginabile.
- Hai voglia di fare una nuotata? - le domandò il biondone.
- Veramente... non proprio... -, Elena non era abituata alle avances dei ragazzi.
- Allora andiamo a fare due passi! C'è una bella spiaggetta,
un
posto riservato, tranquillo. Basta superare il cantiere navale -
riprovò lui, caparbio, facendo un passo verso di lei, che
reagì indietreggiando.
- Sinceramente, ci stai provando con me? - gli domandò
Elena, diretta e concisa. Non era portata per certe cose.
- Mi sembra ovvio, Elena - le rivolse un dolce sorriso, che,
riflettè Elena, ad un'altra persona avrebbe potuto
sciogliere le
ginocchia. A lei di sicuro no.
- Ascolta, mi dispiace molto, ma ti freno subito... -
- Se è perchè non ci conosciamo, stai tranquilla,
insomma, non sono uno a cui piace fare le cose in fretta... -, Valerio
aveva tutte le più buone intenzioni e aveva perso l'aria da
pallone gonfiato che ostentava con gli amici.
- No, non è per questo! Il fatto è... -
- Ah, ho capito. Sei già innamorata di qualcun'altro - la
interruppe nuovamente lui.
- Sì, ma non proprio così... e non interrompere!
Io sono omosessuale - riuscì finalmente a dirgli.
- Mi stai prendendo in giro? E' solo una scusa per non uscire con me,
veo? - s'indispettì Valerio.
- Ma no! Certo che no! Chiedilo a loro! - con una mano
indicò i
suoi amici, che ancora ridevano per lo spettacolino gentilmente offerto
dai due cugini.
- Non sta scherzando, garantisco io - confermò Walter, che
evidentemente aveva ascoltato con un orecchio gli insulti di Veronica,
con l'altro il nostro discorso.
- Mm... bella garanzia! Non mi fiderei di te nemmeno se fossi l'ultima
persona sulla terra! Se la persona più irritante,
più
infantile, più insopportabile... -, Elena la interruppe. -
Hai
finito? -
- Veramente, no! -
- Dai, Vero, andiamo a fare il bagno. Ormai siamo già
bagnate -
ironizzò Elena, prendendole una mano. Il suo gesto fu
seguito
attentamente da Lupo
e Valerio.
- Cretino
- sibilò
Veronica, mentre passava accanto a suo cugino. Che trattenne a stento
una risata. Sapeva benissimo che Veronica non pensava sul serio quelle
cose: si divertiva moltissimo a infastidirla e a pungolarla solo per
poi essere preso a male parole e farsi due risate con Mattia.
Si avvicinarono all'acqua, subito seguite dai tre ragazzi e da Bianca,
Vittoria e Andrea.
- Se qualcuno mi spinge in acqua lo affogo -
ringhiò con aria molto minacciosa.
- Certo che sei proprio suscettibile - rise Andrea, stuzzicando il suo
animo ancora in fase guerrigliera.
- Io non sono suscettibile! Io odio
essere svegliata così!
Quindi non lamentatevi se sono intrattabile -, incrociò le
braccia. Chiaro segno di rifiuto e opposizione.
- Sì, lo sappiamo, piccola - sussurrò Elena al
suo
orecchio. Il suo sguardo omicida si raddolcì quel tanto che
bastava a rassicurare Elena. Con la coda dell'occhio vide Bianca e Lupo
parlare a bassa voce, mentre Martina, accanto a loro, aveva le labbra
piegata in una smorfia strana, probabilmente una risata repressa.
- Oggi non è proprio giornata - sbuffò Veronica.
- Perchè? E' iniziata male la vacanza? - le
domandò Valerio.
- Non trovavo il caricabatterie, poi ho vomitato dopo un'ora di
macchina. E ora questo
-
- E' perchè sei talmente ordinata e maniacale, che a volte
dimentichi persino dove metti le cose. Sono convinta che tu l'abbia
lasciato a casa nostra, in qualche meandro -
- No, sono convinta che sia a casa di mia mamma. Scommettiamo? -, il
suo tono era tornato polemico.
- Hai ragione, sarà senz'altro dove dici tu. Vieni un attimo
qui, però -, l'allontanò dagli altri, notando lo
sguardo
attento di Lupo
su di lei.
- Che vuoi fare con quei due? A Valerio gliel'ho detto, non ho avuto
scelta, ci stava provando con me! Voleva portarmi in non so che
spiaggia romantica... - sbuffò Elena, ancora
psicologicamente
destabilizzata.
- Santo cielo - ridacchiò Veronica, che si era persa la
scena,
troppo occupata a denigrare le capacità mentali di Walter.
- Allora, che vuoi fare? -
- Voglio stare con te -
Così dicendo le presa una mano, portandola dove l'acqua era
più alta, tant'è che Veronica non toccava
più il
fondo e si teneva a galla aggrappandosi ad Elena, che invece aveva
ancora la pianta del piede saldamente poggiata al suolo sabbioso.
Si strinse al suo collo, poggiando la sua guancia contro la sua. Elena
non faceva alcuna fatica nel sorreggerla.
- Mi dispiace per 'sta mattina - mormorò.
- Veronica, stai tranquilla - la rassicurò baciandole un
orecchio. L'altra sussultò.
- Tutto bene? -
- Brivido - mormorò lei, mugolando, e intensificando la
stretta. Elena rise.
- Veronica, sei davvero unica. Ti
amo - posò le labbra su quelle della compagna,
rese agrodolci dall'acqua di mare.
***
La
posta di Mizar:
Nessie:
grazie, grazie mille per gli stupendi complimenti (puoi immaginare
benissimo la mia reazione!). Diciamo che le scene di sesso sono quelle
che mi mettono più in crisi, ho sempre paura di apparire
banale o volgare! Però così mi rassicuri. Spero
che questo capitolo di piaccia, non è nulla di speciale, ero
solo ispirata dal periodo vacanziero!
morbidina:
no, non ti chiamerò Miss Ovvio, tranquilla! Sono contenta
che ti piaccia e mi ha fatto piacere la tua recensione. Sì,
diciamo che il padre di Veronica ha qualche problema a relazionarsi con
le figlie (e anche con Mattia).
Kabubi: no,
Elena non porta il reggiseno, brava detective! Visto che ho aggiornato
in tempo? Diffidente! Questo è un capitolo abbastanza di
relax, però Lupo e Valerio mi piacciono troppo,
magari li userò di nuovo... anche se non so ancora come!
Sono già una scrittrice fallite, abbi pietà!
pazzafuriosa92:
okay, la spiegazione di persona l'hai avuta, ma sai che io mi riservo
il meglio per dopo! Se scoprissi subito tutte le carte in tavola, non
ci sarebbe più gusto! Che ne dici di questo? E' molto
tranquillo, insomma, nulla di epico, però questi quattro che
ho creato li farò ritornare in qualche modo! Mi piacciono
troppo!
Little Princess Mars:
sì, le tue parole mi han fatto molto piacere (e non sei
rompiballe!). Okay, non voglio creare dipendenza a nessuno, non
rovinarti gli occhi a causa mia, mi raccomando. Comunque le tue parole
mi hanno molto colpita, davvero, grazie mille. Almeno so che
ciò che scrivo non è totalmente assurdo o stupido.
reby94:
grazie, Reby! Bello risentirti dopo tanto tempo!
Guizza:
insomma... capolavoro... *tossicchia* così mi metti in
imbarazzo! Ad ogni modo sono davvero felice che i miei capitoli ti
coinvolgano. Diciamo che in questo non vengono affrontati grandi
problemi, è solo un capitolo tranquillo di vacanza (ero
ispirata, sulla spiaggia!).
piccola peste:
non scusarti, capita! Grazie mille per i complimenti, davvero, non
smetterò mai di ringraziarti!! Diciamo che Gianni
è un personaggio tragi-comico del racconto, per le sue
scelte e per le sue idee, che verranno poi analizzate con
più cura e attenzione.
Apia:
figurati, è andato tutto bene! Tranquilla, anche se ora non
disponi di pc, potrai mettirti poi in pari a settembre, tanto fino ad
allora non aggiornerò più (parto domani con i
miei). Gianni non è propriamente comprensivo, dici bene.
Anche questo ha una sua spiegazione e, come dicevo a pazzafuriosa, mi
tengo le carte migliore per il futuro! Nel frattempo spero che questo
vi piaccia, anche se è un po' diverso dagli altri. Ho voluto
trattare di una situazione più... normale. Buon
proseguimento di vacanze.
caso: credo
proprio che la parola bussare non figuri nel suo vocabolario (anzi, lo
di per certo, dato che sono sua "madre"! ). I genitori di Elena sono
dei tipi strani, preferiscono negare l'esistenza della figlia, quindi
per loro Veronica scompare assieme a lei. In questo capitolo nulla di
"drammatico", volevo qualcosa di rilassato e vacanziero! In fondo,
è appena iniziato agosto!
Buon proseguimento di vacanze a tutti quanti! Ci risentiamo
a settembre!!
Mizar
|
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Capitolo 6 *** Canto notturno del sonno perduto ***
6. t.s.e.
Non ho niente di particolare da dirvi, solo
darvi un po'
fastidio con qualche riga. Però una cosa seria da dire ce
l'ho:
il trentunesimo capitolo di Fior
di pesco non dovrebbe tardare ancora molto!
Buona lettura.
p.s. Mi son scordata di avvisarvi che questo episodio si colloca dopo
gli avvenimenti di Fior
di pesco (nel quale ora siamo alla fine del
mese di marzo), precisamente a novembre. Non contiene spoiler, ma
accenna a due cose (nulla di troppo evidente, come vi renderete conto).
Genere: Generale
(perchè non esiste il genere stupido?)
Rating: Giallo
Avvertimenti: Femslash
***
Capitolo VI
CANTO NOTTURNO DEL SONNO PERDUTO
Veronica si lasciò cadere accanto a lei con un sonoro
sospiro.
- Dove scappi? - mugolò Elena, voltandosi verso di lei e
afferrandole la vita, per poi premere la bocca contro il suo collo.
- Sono stanca - sussurrò Veronica, chiudendo gli occhi e
stringendo l'angolo del cuscino. Elena, aiutandosi con una gamba, si
coricò sulla sua schiena, mordicchiandole un'orecchia.
- Ti è piaciuto? - mugugnò, strofinandole il naso
fra i
capelli. La sensazione del suo seno premuto contro la schiena nuda di
Veronica le procurava piacevoli brividi.
- Fai sempre delle domande stupide -, sorrise Veronica, allungando una
mano per carezzarle la coscia. La pelle di Elena era calda. Era da
almeno una settimana che non facevano l'amore e quella sera aveva
compensato il vuoto di entrambe. Si erano rotolate fra le lenzuola, che
ora giacevano ammonticchiate e sudate, per ore, baciandosi, toccandosi
e stringendosi.
Veronica aveva le guance arrossate, il respiro ancora affannato. Elena
la amava, la desiderava: adorava stringersi a lei, assaporare la sua
pelle, esplorare ogni piega del suo corpo, affondare i denti e
succhiare ogni centimetro di carne morbida. Borbottò
qualcosa contro il suo collo, facendola ridere per il solletico.
- Hai ancora forze? Io sono distrutta - gemette Veronica, la cui voce
era attutita dal cuscino contro cui aveva appoggiato la faccia.
- Vuoi mettermi alla prova? Guarda che io sono sempre pronta -
sussurrò Elena, maliziosa, per poi solleticarla sulla pancia
e
sui fianchi. Veronica iniziò a contorcersi, ridacchiando e
protestando a bassa voce, senza convinzione. Elena si
aggrappò
al suo corpo, circondandola con braccia e gambe. Ricominciarono a
rotolarsi fra le lenzuola sudate, il piumone allontanato a calci
giaceva in fondo al letto, per metà riverso sul parquet. Le
mani
intrecciate, le bocche alla ricerca l'una dell'altra, le lingue che
esploravano la pelle sudata e i morbidi seni.
- Sei bella - disse improvvisamente Veronica, sdraiata sulla pancia di
Elena, che arrossì.
- Anche tu... -
- Le', ho sonno - mormorò fra le sue labbra.
- Ma sono solo le undici e mezza! - protestò Elena,
carezzandole i lunghi capelli dorati.
- Sono tanto stanca...E domani dobbiamo alzarci presto -
Elena sospirò: agli occhioni dolci di Veronica non poteva
proprio resistere.
- Come vuoi, chouchou
-
Veronica scese da sopra di lei, rotolando nuovamente sul letto, mentre
l'altra si alzava per raccogliere le coperte cadute.
- Chouchou...
vieni qui -
Seppellite fra coperte e cuscini, ancora nude, si abbracciavano, il
capo di Elena poggiato al petto di Veronica, una mano sulla sua spalla,
mentre la sua compagna le cingeva le spalle.
- Buonanotte, amore -
- Notte, Le' -
Stava camminando in un prato verde, fiorito. La lussuriosa vegetazione
la circondava quasi come un abbraccio e Veronica vi si faceva largo
senza sforzo, il corpo carezzato dalle verdi protuberanze dell'assurda
flora variopinta.
Era felice, rideva. Tutto pareva così caldo e sicuro in quel
luogo, che le trasmetteva una sensazione di primordiale beatitudine.
Camminando attraverso quella pacifica selva, giunse improvvisamente in
una radura desertica: spirava un vento caldo, soffocante, il terreno
era arido e secco, crepato dall'arsura. Veronica sussultò,
coprendosi gli occhi: non voleva guardare. Si voltò, pronta
a
correre via, ma si accorse che attorno a lei quell'esotica flora si era
mutata in granelli di sabbia. Rimase impietrita, spaventata in quel
paesaggio dai toni ocra e arancioni. Nemmeno un ciuffo d'erba sbucava
alla base delle pietre, che, secche e polverose, pareva giacere
lì da millenni.
Poi un vagito, lontano.
E' solo uno stupido
sogno! Ma perchè non riesco a svegliarmi?! Basta, ora basta!
Tentava disperatamente di risvegliarsi, ma le era
impossibile.
Il soffio d'aria si fece più soffocante, il lamento
più
vicino. Scoppiò a piangere, indietreggiando, oppressa da
quella
sensazione d'infinito che la circondava, da quel vagito che la
braccava. Corse, con gli occhi chiusi e umidi, corse alla cieca,
finchè inciampò e sbattè il mento sul
suolo
riarso. Aprì gli occhi tremando per poi voltarsi indietro:
era
inciampata su un bambolotto di plastica.
Si svegliò di soprassalto, scattando a sedere nel letto.
Attorno a lei c'era solo il fitto buio della camera da letto.
Ansimava, aveva il fiato corto. Portandosi una mano alla guancia si
accorse che era bagnata.
Incriociò le gambe, posando le mani intrecciate sul piumone
e il
sogno le riapparve vivido alla mente, reale come la pellicola di un
film. Le sorse nuovamente un singhiozzo. Allungò una mano in
cerca della sagoma che intravedeva nell'oscurità. Finalmente
le
sue falangi urtarono una schiena.
- Ele... - mormorò, scuotendola leggermente.
La sagoma brontolò qualcosa, poi si tirò le
coperte fino
alle orecchie. Veronica singhiozzò più forte.
- Ele, ti prego, svegliati! - la scosse con più energia.
Elena era immersa nel piacevole torpore di un intrigante sogno che la
vedeva protagonista assieme ad una grigliata di carne davvero niente
male. Appena sentì la voce di Veronica chiamarla fu
costretta ad
abbandonare quel torpore estatico e fu allora che la
percepì:
una fitta, una tremenda fitta di dolore le trapassò il
cranio,
facendole pulsare un occhio.
Emise un gemito soffocato.
- Le'... -
Realizzò solo in quel momento che Veronica era in lacrime.
- Ehi, amore! - si girò di scatto, mentre il mal di testa le
trapanava il cervello. Strinse i denti per non gemere ancora.
L'abbracciò, stringendola con forza e decisione.
- Un brutto sogno? - le domandò. Capitava sempre
più
spesso che la sua compagna la svegliasse nel cuore della notte, in
lacrime o semplicemente angosciata, per un incubo. Nonostante le
circostanze e i protagonisti mutassero, vi era una costante in quei
sogni: una bambola che piangeva. Elena conosceva benissimo l'origine di
quei sogni e vedere Veronica ridotta in quello stato la faceva sentire
colpevole, nonostante razionalmente non vi fosse nulla di cui
incolparsi.
- Sì - singhiozzò, premendo il volto contro la
spalla dell'altra.
- Ora calmati, ci sono io. Vieni, corichiamoci di nuovo -, Elena la
tirò giù con se, senza smettere di stringerla.
- Era sempre... quel
sogno? - domandò cautamente, carezzandole i
capelli. Veronica tremava.
- Sì - mormorò fra le lacrime.
Una nuova fitta le trapassò la fronte e la colse impreparata.
- Ah...! -
- Stai bene? - domandò preoccupata Veronica, mettendosi
subito a
sedere e strofinandosi gli occhi con il dorso delle mani.
- Solo un po'... di... ah! Mal di testa - grugnì Elena,
premendosi le mani contro la fronte, come per soffocare
quell'insistente pulsare all'interno del suo cranio.
- E non mi hai detto che stavi male?! - s'infervorò Veronica.
- Abbassa la voce. Tu piangevi -
- Sei proprio sciocca. Se stai male me lo devi dire sempre, hai capito?
-, Veronica si chinò su di lei, posandole un umido bacio
sulle
labbra.
- Ti ha preso improvvisamente? - le domandò Veronica,
afferrando
il suo polso. Tastò un po', poi trovò la vena e
le
contò i battiti.
- Sì... quando mi hai svegliata -
Parlare le costava fatica, ogni parola pronunciata riecheggiava nella
sua scatola cranica, rimbalzando furiosamente contro di essa.
Veronica si scostò bruscamente e accese la lampada sul
comodino per rischiarare la camera da letto.
- Spegni - protestò debolmente Elena, chiudendo gli occhi.
- Girati - le ordinò Veronica, annuendo. Pareva aver avuto
un'intuizione geniale.
- Perchè? -
Veronica non rispose, ma abbassò bruscamente il piumone,
scoprendo il corpo nudo della compagna, che gemette sonoramente per
quella privazione coatta. Si raggomitolò su un fianco,
dandole
le spalle.
- Lo sapevo - sogghignò Veronica.
- Dimmi che non è ciò che penso -
sospirò l'altra, rassegnata all'evidenza.
- C'è una graziosa macchia di sangue a forma di coniglio sul
lenzuolo -
- Coniglio? Ma tu sei malata - ribattè Elena, mettendosi
lentamente a sedere. Voleva solo andare in bagno, lavarsi e vestirsi.
- Dove credi di andare da sola?! - l'altra le si strinse alla schiena,
ricoprendole le spalle di morbidi baci.
- Non ho bisogno della badante -
- Non fare la brontolona, alza il sedere o macchi ancora il lenzuolo -,
Veronica scese dal letto e l'aiutò a mettersi in piedi.
Recuperate mutande pulite e un pigiama, l'accompagnò in
bagno.
- Ora dovrei anche farcela da sola -
- Io ti preparo la medicina -, Veronica si sporse ed Elena le diede un
bacio sulla fronte che produsse un sonoro schiocco.
Veronica si affaccendava nel ripostiglio, il busto nell'armadio dei
medicinali: era un mobile stretto e alto, bianco, completamente stipato
di scatolette colorate, dalle varie forme e dimensioni, e di tutto
ciò che può essere necessario ai
fini del primo soccorso.
- Mm... Oki... Aspirina... No, qualcosa di più forte...
Eccolo qua! -
Rovesciò in un bicchiere la polvere bianca, poi aggiunse due
dita d'acqua: subito il composto iniziò a produrre
bollicine.
Rapida, rimestò il tutto con un cucchiaino.
Tornata in camera da letto, si accorse che Elena aveva piegato il
piumone sul pavimento e stava sostituendo il lenzuolo.
- Hai mal di testa! Devi startene tranquilla, altrimenti lo sai che non
ti passa! - s'arrabbiò Veronica, afferrandole le mani.
- Ho sporcato io il lenzuole e quindi... -
- Quindi un corno! Siediti sullo sgabello e prendi l'antidolorifico! -
ordinò Veronica, autoritaria. La compagna mogia
eseguì le
direttive.
Veronica, irritata per l'eccesso di iniziativa di Elena,
terminò di rifare il letto.
- Ma tu sei nuda -, Elena parve notarlo solo in quel momento.
Veronica sfoderò un sorriso malizioso, poi si
avvicinò
lentamente alla sua ragazza, infine le passò le braccia
attorno
al collo. Elena si rialzò in piedi, leggermente instabile,
per
ricambiare il suo bacio.
- Vieni a letto, amore, rilssati così ti passa -, Veronica
la
prese per mano, con quel disarmante sorriso che bloccava le sinapsi di
Elena non appena lei lo sfoderava.
- Aspetta, tu coricati, io mi metto qualcosa. Non voglio stare nuda se
tu sei vestita -
Elena ridacchiò, nonostante le procurasse un'amplificazione
del
dolore. Chiuse gli occhi, sistemandosi comodamente e aspettando il
ritorno della sua compagna. Si tirò il piumone fino alle
orecchie. Fuori faceva freddo, probabilmente nevicava, ma era
quel
freddo piacevole, per il quale passeresti la giornata sotto alla
coperte. Specialmente se in compagnia di Veronica, avvinghiate braccia
e gambe, a fare l'amore.
Si era infilata un camicia da notte rosa con un motivo floreale.
Sollevò le coperte e si coricò accanto ad Elena,
che
poggiò di nuovo il capo sul suo petto.
- 'Notte, chouchou
-
- Speriamo sia la volta buona - rise Veronica.
Erano le due e un quarto quando un telefonò
squillò.
Elena aprì gli occhi di scatto, mentre il mal di testa
tornava a
bussare al suo cranio, martellante e doloroso.
Era ancora abbracciata a Veronica, il capo sul suo petto.
Deglutì un paio di volte. Il telefono non smetteva di
squillare.
Imprecando fra i denti, lo raggiunse prima che svegliasse la sua
compagna, che ora dormiva beata.
Era Gianni.
- Pronto? - domandò con voce roca, uscendo dalla camera da
letto e chiudendosi la porta alle spalle.
- Scusate, lo so, è notte fonda. Mi spiace avervi svegliato
-
- No, niente. Veronica dorme, te la devo chiamare? - gli chiese Elena,
maledicendolo mentalmente. Si sedette sulla poltrona per non perdere
l'equilibrio: il dolore le stava segando in due la testa.
- In realtà speravo di parlare con te -, il tono di Gianni
era esitante.
- Me? - domandò Elena stupita, sgranando gli occhi.
- Già -
- Ah... sì, certo. Dimmi pure - si ricompose rapidamente,
prima
di provocare qualche incidente diplomatico. Non ora che il rapporto fra
lei e il
padre di Veronica sembrava essersi stabilizzato, nonostante fosse
ancora lontano dalla piena concordia.
- Sono preoccupato per mia figlia: ha ancora avuto i suoi incubi? -
- Veramente... sì, ne ha avuto uno poco fa: mi ha svegliata
perchè stava male - spiegò Elena.
- Lo sapevo! Me lo sentivo che c'era qualcosa che non andava. Sai, un
genitore le percepisce certe cose -
- Oh... beh, ora sta bene. Dorme -
- Meno male. Sicura che non abbia un altro incubo? - domandò
Gianni, apprensivo.
- Non credo: quando mi hai svegliata aveva il viso sereno. Ora non
saprei, sono in salotto -
Elena allungò i piedi nudi, poggiandoli sul tavolino di
fronte a lei, per poi sgranchirsi tutte le dita.
- Meglio così. Sai, sono davvero molto preoccupato. Mi
dispiace
averti svegliata in piena notte, ma non riuscivo a dormire: avevo
bisogno di sapere come stava Veronica -
- Davvero, non fa nulla, ora mi rimetto a letto e dormirò
come
prima -, Elena era conscia dell'entità della sua bugia: con
quel
mal di testa non sarebbe mai riuscita a dormire e non era passato
abbastanza tempo per poter prendere un altro antidolorifico.
- Tu cosa ne pensi? - le domandò Gianni dopo qualche istante
di silenzio.
- Di cosa, esattamente? -
- Di questi incubi... del motivo... Voglio sapere cosa ne pensi tu -
- Io... non ho una risposta certa, non so più quale sia il
bene
di Veronica... forse non è un discorso che dovrei fare a
te... -
- No, ti prego Elena, parliamone un momento - la incoraggiò
Gianni. Elena non si era mai sentita tanto in imbarazzo.
- E' piuttosto lampante il fatto che lei voglia diventare madre... una
madre biologica, ecco. Non è una cosa che lei vuole ora, ne
abbiamo parlato, insomma, abbiamo ventidue anni! Però... lei
sa
di volerlo in futuro e sa anche che non sarà possibile, non
qua,
almeno. Io lo so che è una cosa stupida però...
certe
volte non posso fare a meno di pensare che forse non dovrei stare con
lei... - mormorò Elena, gli occhi lucidi. Aveva formulato
quel
pensiero a voce alta, finalmente. La tormentava da settimane, senza
abbandonarla un istante: se lei si fosse tirata indietro, Veronica
avrebbe senz'altro potuto realizzare il suo sogno di diventare madre.
- Perchè mai dovrebbe stare meglio senza di te?! -, Gianni
pareva scandalizzato.
- Perchè io... io non posso... darle un bambino -
Gianni rimase in silenzio alcuni istanti, poi riprese la conversazione
con tono fermo e deciso.
- Elena, tu prova a lasciare mia figlia e sarà l'ultima cosa
che farai -
- Scusa? -
- Hai sentito bene: Veronica non ce la farebbe senza di te. Lo so, sono
suo padre! Se la abbandoni giuro che ti ammazzo sul serio questa volta
-
Elena non potè trattenere un sorriso, udendo il tono usato
da Gianni sul finire della frase.
- Non ho intenzione di lasciarla - lo tranquillizzò - Io...
io la amo troppo -
- Perfetto, così mi piaci, Cantalupo. Ora vai da mia figlia
e se ha ancora gli incubi chiamami. Altrimenti dormi -
- Va bene. Allora spero di rivederti domattina! Buonanotte -
- Buonanotte! -
Elena premette il pulsante rosso, poi lanciò il cordless sul
divano e chiuse gli occhi. Doveva trovare la forza, fisica e
spirituale, per alzarsi e raggiungere la camera da letto.
Barcollò lungo il corridoio, gli occhi socchiusi. Una volta
giunta nella stanza da letto procedette a tentoni
nell'oscurità,
perlomeno gli occhi non le dolevano più.
S'infilò sotto le coperte, avvicinandosi a Veronica: il suo
respiro era regolare, il corpo rilassato. Le sfiorò con
delicatezza il viso: a quel contatto, Veronica reagì gemendo
e
avvicinandosi inconsciamente ad Elena, per poi avvinghiarsi a lei.
Sì, decisamente dormiva serena.
Elena chiuse gli occhi e tentò di ritrovare il sonno.
Una canzone? Chi
è che urla? Che ore sono? Elena si
risvegliò bruscamente e il suo fedele mal di testa
tornò subito a farle compagnia.
- Porca... - imprecò fra i denti, premendosi le mani contro
la fronte.
Era sicura che qualcuno stesse guardando la televisione. Come spiegare
altrimenti quel fastidioso rumore di sottofondo composto di musiche e
voci?
Veronica pareva non esserne disturbata.
Elena chiuse nuovamente gli occhi e si rigirò per dieci
minuti buoni, ma ormai era completamente sveglia. E seccata.
Si mise a sedere e una fitta al ventre la colse impreparata. Era
insofferente, stanca, nervosa e irascibile.
Raggiunse il salotto e accese la piantana. Lo
sapeva, ne era certa! La signora Altaro, del piano di sopra, di giorno
era un'isterica ma quantomeno tollerabile vecchina di estrema destra
con problemi di udito, ma in alcune notti (Elena presumeva accadesse in
concomitanza con la luna piena o qualche fattore legato alle maree) si
trasformava in un'insonne spettatrice televisiva che, a causa dei suoi
già citati problemi d'udito, soleva regolare il volume
dell'apparecchiò pressocchè al massimo. Udibile,
quindi,
in diversi appartamenti, fossero essi limitrofi o sottostanti. I
sovrastanti ne erano risparmiato per il semplice fatto che la signora
abitava all'ultimo piano e il comitato di protesta dei piccioni ancora
non era stato istituito.
Elena si guardò attorno alla ricerca del cordless: il numero
della signora Altaro era salvato nella rubrica perchè non
era
certo la prima volta che capitava. Attese il segnale di linea libera e
il telefono al piano di sopra iniziò a squillare. Uno
squillo,
due, tre, quattro...
- Maledizione! - ringhiò Elena, chiudendo la chiamata e
riprovando - Quella ascolta la televisione così forte che
non
sente manco il telefono -
Di nuovo contò una decina di squilli, poi la linea si chiuse
automaticamente.
Riprovò altre tre volte, senza ottenere nulla.
Più
irritata che mai, afferrò una felpa dall'appendiabiti nel
piccolo ingresso, si passò una mano fra i capelli e,
recuperate
le chiavi, uscì sul pianerottolo. Nello stesso momento il
ragazzo che divideva il pianerottolo con loro uscì dalla
porta,
visibilmente assonnato e infastidito.
- Anche tu in missione di protesta? - ironizzò lui,
richiudendosi la porta alle spalle. Indossava i pantaloni di un pigiama
blu monocromatico e una felpa grigia. Sulla guancia i segni del cuscino.
- Già... non è proprio nottata. Ho un mal di
testa
tremendo e domani dobbiamo alzarci presto per un matrimonio -
sbuffò Elena, mentre imboccavano le scale per raggiungere il
pianerottolo superiore.
- Giovanna mi ha minacciato che, se non faccio spegnere la
televisione alla vecchia, mi lascia a dormire sulle scale -
ridacchiò Eugenio.
- Veronica dorme... beata lei -
Di fronte alla porta della signora Altaro, si lanciarono un'occhiata
d'intesa, poi bussarono con forza. Attesero qualche istante: il volume
del televisore non pareva essere diminuito di un decibel.
- Mi sta uccidendo - ringhiò Elena, stringendo gli occhi,
attaccata da una nuova fitta di emicrania.
- Hai già preso una medicina? -
- Sì, certo, ma devo aspettare otto ore prima di prenderne
un'altra - brontolò Elena.
- Senti, ci avventiamo sul campanello? Che ne dici? -
suggerì
Eugenio. Riempire di pugni la porta non aveva funzionato e il rumoroso
campanello della signora Altaro era davvero l'ultima spiaggia.
- Subito -, Eugenio poggiò il pollice sul bottone bianco e
immediatamente si liberò un trillo insopportabilmente alto,
soprattutto per l'emicrania di Elena, che fu costretta a portarsi le
mani alle orecchie.
- Non sente nemmeno questo?! - esclamò furibondo Eugenio.
Aveva
tolto il dito dal campanello prima di svegliare tutto il condominio.
- Mi stupisco del fatto che solo tu ed io siamo qua fuori -
borbottò Elena, appoggiandosi alla parete.
- Evidentemente gli altri hanno il sonno di piombo... -
- Riproviamo -, Elena si avventò con foga sul bottoncino,
premendolo ripetutamente.
Finalmente la porta si aprì.
- Si può sapere che diamine volete?! - strillò la
signora
Altaro, uscita sul pianerottolo in vestaglia e ciabatte pelose rosa.
- Signora, potrebbe cortesemente abbassare la televisione? -
domandò Elena moderando il tono di voce, anche se l'avrebbe
volentieri mandata al diavolo.
- Cosa?! - strillò nuovamente.
- Cortesemente, potrebbe abbassare il volume? - riformulò
Elena, scandendo lentamente le parole.
- Tu sei quella di sotto, vero? - indagò, riducendo gli
occhi a
fessure, la voce sempre parecchi decibel più alta del
normale.
Elena si limitò ad annuire, pentendosi di non essere tornata
a
letto delegando ad Eugenio il compito di trattare con la signora
Altaro.
- Quella omosessuale
- aggiunse, come se fosse un insulto.
- Senta, signora, è tardi, vorremmo dormire, potrebbe
spegnere o
quantomeno abbassare il volume del televisore? - insistette Elena.
- Io non capisco cosa tu voglia, io non ho un radiatore. E' la tua
razza che rovinerà il mondo! Dove andremo a finire?! -
- La mia... oh Cristo!
Senta, signora... - Elena era partita in quarta,
furibonda, decisa a spegnere lei stessa il televisore della signora, ma
Eugenio la fermò.
- Signora, abbassi il volume - scandì a voce molto alta.
- Il pattume? L'ho buttato via sta mattina! Tu sei quello che studia
medicina? Quello del piano di sotto? - indagò ancora, sempre
con
gli occhi stretti.
- Sì, signora, potrebbe... -
- Tu sei normale,
vero? - gli occhi della signora di assottigliarono ancora di
più.
- Non è importante, signora, potrebbe abbassare il volume? -
Eugenio scandì con più energia.
- Il volume, dici? -
- Sì, sì! - esultò il ragazzo,
annuendo con foga.
- Ma è basso! Quasi non lo sento! - protestò.
- Noi vogliamo dormire - le fece notare Elena.
- Vacci tu a morire, tu e la tua razza di depravati! -
strillò la signora Altaro, brandendo furibonda un pugno.
- Eugenio, io la ammazzo, quindi, ti
prego,
falla tacere - ringhiò Elena. In quel momento trovava
senz'altro
la sua emicrania molto più piacevole di quella vecchia pazza.
- Signora, noi - indicò il palazzo - vogliamo dormire! Sono
le tre di notte! -
- Cosa è nella botte? E se volete dormire, dormite! -
Elena scosse la testa sconsolata, affranta: stava per svenire su quel
pianerottolo tanto era il male che la tormentava.
- Il suo volume... è troppo forte! - il ragazzo ci stava
mettendo l'anima per farsi capire da quella vecchia sorda.
- Sì, sono morte anni fa - annuì la signora
Altaro, lui sgranò gli occhi.
- La televisione... è forte... il volume! -
- E non urlare, ragazzino! Non sono mica sorda, io! Comunque bastava
dirlo subito, no? -
Eugenio ed Elena rimasero a fissarla sulla soglia, inebetiti, mentre
lei entrava e la porta si richiudeva davanti a loro. Dopo qualche
istante, il rumore svanì.
- Non ci posso credere - mormorò Elena, voltandosi per
tornare al piano di sotto.
- Quella vecchia ci farà ammattire, prima o poi -
brontolò Eugenio.
- Almeno non dovrai dormire sulle scale! -
- Tu pensa al tuo mal di testa! Buonanotte e buon matrimonio per
domani! -
- Non preoccuparti, comunque grazie! Saluta Giò! -
- Senz'altro, e tu Vero -
- Buonanotte -
Rintanata nel suo appartemento, Elena si appoggiò alla
porta,
chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
Nell'oscurità e
nel silenzio della notte, udì un cigolio sinistro.
Spalancò le palpebre.
La porta del bagno ogni tanto cigolava...
Elena si avventurò in
salotto e di nuovo lo udì: era proprio il cigolio della
porta
del bagno. Magari Veronica si era svegliata.
- Vero, sono qui - disse alle tenebre. Di nuovo il cigolio e nessuna
risposta.
Tesa, Elena cercò a tastoni l'interruttore della luce:
quando il
chiarore della lampada illuminò la stanza e il breve
corridoio,
si rese conto che non solo Veronia non era in piedi, ma anche che la
porta del bagno si stava aprendo e chiudendo... da sola!
Deglutì, nervosa.
Lei non era il tipo che si lasciava spaventare da queste cose,
però in quel momento era vulnerabile a causa del forte
malessere
fisico, che le offuscava i sensi e ritardava i riflessi.
- Vero? - tentò nuovamente, senza ottenere risposta.
Si avventurò lungo il corridoio e i suoi sospetti furono
confermati: nulla muoveva la porta, questa, però, continuava
ad
aprirsi lentamente per poi richiudersi.
Poi percepì un braccio passare attorno alla sua vita e
sobbalzò.
- Amore... che cosa c'è? - domandò un'assonnata
Veronica, sbadigliando.
- La... la porta -
Veronica alzò gli occhi assonnati verso il punto indicatole
da Elena e trasalì, indietreggiando.
- Sarà... è una corrente, sì, una
corrente
d'aria... gli spifferi, sai... - mormorò nervosa,
ridacchiando.
- Certo, certo... cos'altro potrebbe essere? -
Entrambe però sapevano che nella casa talvolta capitavano
strane
cose: oggetti che cadevano da soli, la televisione che cambiava canale
arbitrariamente, i vetri che tremavano inspiegabilmente e ora anche le
porte che si aprivano da sole.
- Se è un fantasma, sono profondamente convinta che sia
nonna
Lia - sentenziò Veronica, stringendosi al braccio di Elena.
Entrambe rimasero incantate per alcuni secondi a fissare quella porta
che pareva dotata di vita propria. Poi Elena decise di infrangere
l'incantesimo: afferrò di scatto la maniglia, per impedirle
di
richiudersi.
Il legno emise una sorta di gemito, ma la porta si fermò.
Elena
la lasciò andare lentamente ed essa rimase nella posizione
in
cui era stata bloccata.
- Facciamo così -, Veronica fece un passo avanti e chiuse
per bene la porta, dando anche un giro di chiave.
- Almeno non cigolerà più -
- Ehi, ma tu dov'eri? - domandò improvvisamente Veronica,
incrociando le braccia.
- Dalla vecchia sorda: aveva di nuovo la televisione a mille! Eugenio
ed io ci abbiam messo almeno cinque minuti per farle capire che
volevamo che abbassasse il volume e come al solito ha detto che la
nostra razza manderà il mondo in rovina -
Veronica scoppiò a ridere, passando un braccio attorno alla
vita dell'altra, la testa sulla sua spalla.
- Andiamo a dormire, amore, che fra i fantasmi, le vecchie e gli
inconvenienti mensili non mi sembra che ti sia riposata troppo. Hai
ancora mal di testa? -
- Un po', ma ora mi corico e mi passa -
Si infilarono per l'ennesima volta sotto il piumone, abbracciate, per
poi augurarsi vicendevolmente la buonanotte.
Veronica fu svegliata da un fastidioso pizzicorio al basso ventre.
Provò a cambiare posizione, liberandosi dall'abbraccio della
compagna e voltandosi dall'altra parte, ma nulla cambiò. Si
mise
a sedere, sbuffando: non poteva trattenere oltre la pipì.
Sbirciò la sveglia dal quadrante fluorescente e
notò con disappunto che erano solo le quattro del mattino.
Raggiunse lentamente il bagno, strattonando la porta prima di
ricordarsi che l'avevano chiusa a chiave. La luce improvvisa la
accecò per alcuni istanti, poi raggiunse la tazza. Fu allora
che
lo vide: un piccolo esserino verde che si arrampicava sull'asse del
gabinetto.
Strillò con quanto fiato aveva nei polmoni.
Elena si mise a sedere di scatto, notando con estremo disappunto che
non solo il mal di testa non le era passato, ma si era addirittura
amplificato. Ci mise alcuni secondi a realizzare cosa l'aveva
svegliata: un grido di Veronica. Raggiunse di corsa il bagno, solo per
trovarvi Veronica intenta ad urlare a pieni polmoni.
- Ehi, ehi! Calmati! - la scosse energicamente - Che hai visto? -
- C'è una cimice! - strillò indicando con un dito
tremante il water.
- Santo cielo... -
Elena si avvicinò al punto indicatole, riflettendo su quanto
fosse insensata e ingiustificata la paura per le cimici della sua
compaga, quando l'insetto preso il volo e andò a posarsi sul
soffitto, accompagnato dalle urla di Veronica.
- Vero, ti prego, non urlare ho mal di testa... - la
supplicò Elena.
- Scusa, scusa, mi dispiace! E' che... Ah! Oddio! Vola di nuovo! -
strillò Veronica, acquattandosi contro la parete.
- Vero... - biascicò Elena, cercando qualcosa con cui
colpire l'insetto.
- Scusa! Però, ti prego, falla uscire! - esclamò
isterica, osservando il puntino verde muoversi attorno alla lampada.
- Ma promettimi che taci! -
Veronica annuì, nervosa, mimando con un gesto l'atto di
cucirsi le labbra.
Elena individuò una rivista lasciata per terra, la raccolse
e
l'arrotolò, stringendo gli occhi per mettere meglio a fuoco
la
cimice svolazzante. Attese placidamente che abbassasse la
traiettoria del suo volo, le labbra serrata per la concentrazione. Gli
occhi di Veronica, al contrario, erano dilatati e attendevano con ansia
l'esecuzione. Finalmente giunse l'istante propizio: Elena
scattò
con il giornale, mancandola di poco. La cimice non reagì
bene a
quel tentato omicidio: accellerò il suo volo irregolare,
scatenando un nuovo strillo isterico in Veronica.
- Vero! - esclamò Elena, dandole una botta con il giornale
su un braccio, cosa che la fece ammutolire improvvisamente.
- Scusami... ho... -, Veronica non rispose. Uscì dal bagno
sbattendo la porta, non prima di aver lanciato uno sguardo nervoso al
soffitto, dove, imperterrita, la cimice proseguiva con i suoi voli
disordinati.
- Vero, scusami! Non volevo... - la seguì in salotto, dove
l'altra si era rifugiata.
- No, scusami tu - borbottò Veronica con una punta di
acidità nella voce.
- Ti prego, amore, non litighiamo per una cosa così...
stupida -
- Lo sai che ho paura delle cimici - mormorò Veronica,
abbassando gli occhi. Sì, Elena lo sapeva piuttosto bene:
era
stata protagonista di alcuni appostamenti ad insetti che
avrebbe
difficilmente scordato.
- Sì, tesoro, lo so. Non volevo colpirti, ti chiedo scusa -
disse la ragazza, stringendole le mani.
In quel momento qualcuno suonò con insistenza il campanello.
- Chi può essere a quest'ora? - sussurrò
Veronica, che
era trasalita e ora si trovava stretta al petto della compagna.
Elena separò gentilmente la sua ragazza da lei, poi si
avvicinò alla porta. Inserì la chiave e
aprì la
serratura, poi abbassò la maniglia e tirò verso
di
sè la porta quel tanto che le fu sufficiente per riconoscere
il
viso furioso della signora Altaro.
- Prima venite a fare le pulci a me per la televisione e ora sento
queste urla insopportabili! - sbraitò la signora dal
pianerottolo.
- Ci scusi, signora, un... un inconveniente - si scusò
Elena, imbarazzata.
- Spero che abbiate avuto un motivo valido per svegliarmi a quest'ora
di notte! O del mattino, dovrei dire, dato che sono quasi le quattro e
mezza! -
- Signora, ha ragione, ma abbassi la voce - mormorò Elena,
tentando di calmare un'inferocita signora Altaro.
- Io sono sempre stata contraria al vostro trasferimento! Sappiatelo!
Tua nonna... quella stramba! Come ha potuto permettere che diventassi
così?! E' senz'altro stata colpa di... -
Un rumore alle spalle dell'anziana attirò l'attenzione di
Elena, mentre quella continuava a pontificare a voce altissima.
- Che succede?! - era Eugenio, allarmato.
- Santo cielo, ragazzo! Non sbucarmi così furtivamente alle
spalle! -
- Mi scusi... - disse lui, poi rivolse uno sguardo interrogativo ad
Elena.
- Scusate per il rumore, davvero. E' che... c'era... lasciamo stare,
chiediamo scusa - spiegò la ragazza, imbarazzata, mentre
Veronica, alle sue spalle, ridacchiava ancora per la reazione della
signora Altaro.
- Pervertite! Ma io lo so cosa stavate facendo! Mi sentirete alla
prossima riunione di condominio, eccome! - sbraitò, levando
un
pugno in aria.
Elena arrossì fino alla radice dei capelli, mentre Eugenio
scoppiò a ridere e, tentando di soffocare
l'ilarità allo
stesso tempo, si provocò il singhiozzo.
- Signora, lei... lei sta fraintendendo! -
- No, io in quel posto non lo prendo! Vergognati, dire certe cose! -
s'infervorò la signora del piano di sopra.
- Signora, ho detto fraintendendo, fraintendendo!
- ripetè Elena a voce molto alta, esasperata. Alle sue
spalle, Veronica si teneva le costole.
- Smettile con queste cose disgustose! Vi farò cacciare,
sarà l'ultima cosa che faccio! Depravate, sotto al mio
tetto! -
- Santi Numi, per un po' di sesso tutte queste storie -
borbottò Eugenio, ancora preda di risolini isterici.
- Non stavamo facendo sesso! Accidenti, c'era un cimice e Veronica...
ha una paura folle e si è messa a urlare! Ma
perchè mi
sto giustificando?! -
- Molle?! Sesso con delle molle?! Non voglio sapere nulla... Dio, che
cosa orribile! -
- Signora Altaro, non era... c'era una cimice! Un insetto-
scandì Elena, sul cui volto si erano succedute le varie
tinte del rosso.
- Io ora gradirei dormire. Delle vostre... cose oscene non voglio
più saperne nulla, basta che non mi disturbiate
più! E tenetevi pure il vostro corpetto...
pervertite -
Accompagnata dalle risate ormai incontrollabili di Veronica ed Eugenio,
la signora salì le scale, diretta al suo appartamento.
- Non... non ci voglio credere... - balbettò Elena, ancora
esterrefatta.
- E' stata la scena più epica a cui io abbia mai assistito -
sghignazzò Eugenio, ormai dimentico del fatto che fosse
stato
svegliato con una botta dalla sua compagna, che si lamentava ancora una
volta del rumore.
- Ele... la tua faccia è impagabile - rise Veronica,
asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
- Tu taci. Scusa per il rumore, la prossima volta la
imbavaglierò - sdrammatizzò Elena, nonostante
fosse
ancora visibilmente scossa. Se per quella manciata di imbarazzanti
minuti si era scordata del mal di testa, ora quello era ritornato a
bussare alle pareti della sua scatola cranica senza pietà.
- Dev'essere proprio sorda per pensare che potessero essere quel genere di
urla! Io ormai ho imparato a distinguerle - rise il ragazzo.
- Anche noi, tranquillo. E' una corrispondenza biunivoca -
replicò Veronica, sorridendo maliziosa.
- Touchè.
Vi auguro una buonanotte! -
- Sperando che sia la volta buona... - grugnì Elena,
salutandolo con una mano.
Eugenio rise per richiudersi subito dopo la porta alle spalle.
- Amore, hai la faccia sconvolta - disse Veronica con voce mielosa,
stringendosi alla sua vita e poggiando il capo al suo seno.
- Chouchou,
ti ricordo che ho un'emicrania tremenda e credo di aver dormito meno di
due ore -, Elena le baciò gentilmente la fronte.
- E la cimice? -
- La chiudiamo in bagno e ci pensiamo domani mattina, va bene? Ora
mettiamoci a letto -
Mano nella mano, ritornarono nella loro stanza e si infilarono per
l'ennesima volta sotto il piumone. Nel momento in cui poggiò
la
testa sul cuscino, il mal di testa tornò a pulsare
insistente e
indesiderato; strinse i denti, abbracciandosi alla sua compagna.
- Spero che tu riesca a dormire, amore -
Elena sospirò, chiudendo gli occhi e lasciando che le dolci
carezza di Veronica la accompagnassero nella dimensione onirica.
Quando un suono familiare la ridestò, senz'altro non era
ancora
giorno perchè dalle tapparelle non filtrava un filo di luce.
Grugnì, esasperata, ancora stordita dal mal di testa. Non
aveva
la forza di aprire gli occhi, ma il cellulare della compagna stava
squillando.
Si impose di restare sotto le coperte, al caldo, ancora stretta fra le
braccia di Veronica, non voleva abbandonare quel giaciglio confortevole
per il freddo del pavimento e una telefonata.
Ma il cellulare non demordeva. Finalmente, dopo quasi un minuto,
tacque. Elena sorrise compiaciuta, risistemandosi contro al seno di
Veronica, che, beata, continuava a dormire profondamente, il petto che
si alzava e abbassava regolarmente.
Non passarono nemmeno dieci secondi che la suoneria si
riattivò.
Elena, con uno scatto nervoso, allontanò le coperte, facendo
sussultare la compagna, che però rimase bellamente
addormentata,
limitandosi a rigirarsi su un fianco. Si alzò in piedi, la
vista
appannata e la schiena affaticata. Brancolò alla cieca
nell'oscurità, seguendo il suono, finchè
recuperò
il maledetto cellulare in fondo alla borsa di Veronica. Era Bianca.
- Mm - borbottò rispondendo alla chiamata.
- Vero, scusa, non volevo svegliarti, però è
urgentissimo! Io... lui... Mi ha piantata in asso! -
singhiozzò
la ragazza.
- Ehi, ehi! Frena. Chi, chi ti ha piantata in asso? Cosa è
successo? - domandò Elena, lasciandosi cadere sulla poltrona
cerulea e allungando nuovamente i piedi sul tavolino. Si era premurata
di chiudere la porta della camera da letto per non disturbare il sonno
della compagna.
- Ele? -
- Sì, sono io. Veronica dorme -
- Oddio, mi... mi dispiace tanto... però... -
- Tranquilla, ormai sono sveglia. Cosa è successo? -, se non
fosse stata una sua cara amica, Elena l'avrebbe mandata volentieri al
diavolo.
- Enrico... era venuto a passare la notte da me... abbiamo... beh,
insomma, siamo stati assieme e... - un forte singhiozzo la interruppe
alcuni istanti - Mi ero svegliata per la sete... e lui non c'era
più! Sono... sono andata in cucina e ho trovato... Quello stronzo
mi ha lasciato un biglietto... sul tavolo! Te lo leggo...
perchè, davvero, è... è esilarante! -,
il tono di
Bianca tendeva all'isteria.
- Leggimi - la tranquillizzò Elena, pentendosi di aver
risposto
al telefono. Non che i problemi dell'amica non la sfiorassero, ma
quell'emicrania non le dava tregua.
- Ho sbagliato e me ne
dispiaccio. Peccato che me ne sia accorto troppo tardi. Non ti
dimenticherò, Enrico -
- Che razza di imbecille! - ringhiò Elena. Nonostante la
fatica nella comprensione, le sue sinapsi lavoravano ancora.
- E' comodo così: è venuto da me, gli ho
preparato una
bella cenetta, poi gli è andato bene finchè
abbiamo
scopato. Dopo basta, si era sbagliato. Stronzo, pezzo
di... -
- Bi, piccola, ascoltami, è un idiota, ma tu ora hai bisogno
di
riposare: sei triste, chissà quanto hai pianto prima di
telefonare. Domani mattina devi essere in forma per il matrimonio,
quindi non farti abbattere così! Poi, più tardi,
prometto
che Vero, io e magari anche gli altri andiamo a cercarlo e gli facciamo
il culo a strisce,
okay? - tentò di sdrammatizzare Elena, riuscendo a farla
ridere.
- Grazie tesoro. Non so come, ma con le tue cazzate
riesci... riesci a farmi stare meglio. Però mi sento
comunque
una totale cretina: come ho fatto a cascarci così? Quello
voleva
solo del sesso, invece a me piaceva sul serio... Bastardo... -
- Bi, soffoca gli istinti omicidi: ti ho promesso che domani ci
pensiamo noi, no? -
- Sì... -
- Potrai dargli una lezione, tranquilla. Nessuno tratta così
le
mie amiche, non glielo permetto, specialmente nei tuoi confronti -, le
disse Elena dolcemente.
- Ti amo quando sei così tenera, lo sai? - pigolò
Bianca.
- Sono lusingata, ma non farti sentire da Veronica! - rise Elena, che
era arrossita. Improvvisamente, udì una voce dalla camera da
letto: Veronica stava parlando, probabilmente nel sonno.
- Tranquilla, è un amore platonico! - scherzò
l'altra, che aveva ritrovato in parte il buonumore.
- Se lo dici tu, mi fido! Ora, però, devo tornare dal mio
amore
di là che la sento parlare nel sonno... non vorrei che...
insomma, qualche altro incubo... -, Elena si era subito alzata in
piedi, proeccupata.
- Certo, scusami, vai! Grazie mille! -
- Di nulla, piccola, a domani! -
Staccò il telefono, poi lo spenso definitivamente. Tutto
d'un
colpo le era sparito il sonno: tutta quella stanchezza che aveva
accumulato era svanita e si sentiva più energica che mai,
eccezion fatta per quel mal di testa.
Entrò in punta di piedi nella loro stanza.
Constatò che Veronica era in uno stato di dormiveglia
confusionale.
- Ele... dove sei? Non... sì, laggiù. Ele? -
borbottava parole senza apparente senso logico.
- Chouchou,
sono qui - mormorò, cercandola nel buio e incontrando
finalmente la sua mano protesa.
- Sì, vieni qui, amore. Mi stringi? - borbottò
Veronica, attirandola a sè.
- Certo... vieni - Elena la accolse fra le sue braccia e quella
ritornò al suo sonno tranquillo ed evidentemente privo di
incubi.
Restava il fatto che Elena non soffrisse più di restare nel
letto. D'altro canto, se si fosse alzata era probabile che Veronica
tornasse a chiamarla per timore di dormire sola.
Rimase in attesa per circa quindici minuti, poi decise che valeva la
pena fare un tentativo. Con molta lentezza, sciolse l'abbraccio e
uscì dalle coperte. Altrettanto silenziosamente
lasciò la
stanza per dirigersi in salotto.
Era nervosa, tremendamente irritata. Mise a scaldare un pentolino
d'acqua e preparò una tisana. In compagnia della tazza
bollente,
recuperò una vecchia radio che si era ripromessa di riparare
e
poi le era mancato il tempo. Era un vecchio ricordo di nonna Lia, per
lei aveva una forte carica affettiva.
- A noi due, ferraglia - borbottò, tisana in una mano e
cacciavite nell'altra. Poi si avventò sulla radio. Il
quadrante
dell'orologio a muro appeso in cucina segnava le cinque e un quarto
circa.
Assorta nel suo lavoro, dimentica dell'emicrania che finalmente l'aveva
abbandonata, ogni sua forza incentrata nella riparazione, Elena si
sentiva finalmente rilassata e appagata. Niente più
telefoni,
mal di testa, condomini insopportabili e altre rogne di vario genere.
Bevve due tazze di tisana al tiglio in mezz'ora, il tempo necessario a
terminare la riparazione.
Soddisfatta, risistemando le ultime viti, un sorriso si
disegnò sulle sue labbra.
Lavò la tazza e la rimise nella credenza, riportò
al suo
posto anche la radio, che in serata avrebbero avuto modo di ascoltare,
e poi il sonno tornò a bussarle dietro le palpebre.
Gongolando
si diresse nuovamente verso la camera da letto.
Quando si infilò sotto le coperte erano quasi le sei del
mattino e Veronica emise un borbottio infastidito.
- Elena... non... no. Eh... amore, pensa, l'ho trovato! -
Elena ridacchiò fra sè e sè, poi la
strinse e le baciò entrambe le guance. L'altra parve
calmarsi.
- Notte, tesoro - sussurrò carezzandole i capelli. Poi,
finalmente si addormentò serena.
- Amore, sveglia o facciamo tardi! - Veronica scosse Elena con forza.
Quella reagì con un ringhio di protesta, infilando la testa
sotto al cuscino.
- Elena, alzati, mi devi aiutare con la preparazione! -
- Perchè? - si lamentò Elena, gemendo.
- Perchè sono già le sei e mezza e alle nove
inizia la funzione! -
- Le sei e mezza?! E perchè dovremmo alzarci a quest'ora?! -
- Devi sempre fare la difficile! Dai, pigrona... - Veronica si
chinò su di lei, costringendola a riemergere da sotto il
cuscino
e stampandole un lungo bacio sulle labbra.
- Vai via... - protestò debolmente, voltandosi dall'altra
parte.
Veronica, senza scomporsi, si infilò assieme a lei sotto le
coperte, stringendola e baciandole la nuca e la porzione di spalle
lasciata scoperta dal pigiama, mentre con le mani la carezzava
dolcemente.
Elena mugolò, sconfitta, arrendendosi all'altra.
- Dai, alzati, mi devi aiutare -
- Arrivo, arrivo... ma sappi che me la pagherai - grugnì
Elena, strofinandosi gli occhi.
Quando Elena scoprì che era stata svegliata un'ora e mezza
prima
del necessario perchè doveva aiutare la sua dolce
metà a
farsi i boccoli andò su tutte le furie e ruppe un boccetto
di
profumo nella foga della perorazione. Ciò le
costò un
colpo di spazzola assestato con notevole forza su un braccio, dato il
costo elevato del prezioso contenuto del contenitore di vetro che aveva
mandato in frantumi.
La fragranza impregnò il bagno per giorni.
Per tutta la durata del matrimonio, Elena tenne il broncio a Veronica,
che invece non era per nulla preoccupata: si sarebbe fatta perdonare in
serata.
***
La
posta di Mizar:
Nessie: anche
questo è un capitolo "leggero", insomma, non succede nulla
di
epico, è solo il racconto senza pretese di una notte
infernale
che Elena non vorrebbe sperimentare mai più! I tuoi commenti
sono sempre apprezzati e i tuoi complimenti mi fanno sempre arrossire,
ricordalo! Baci!!
Guizza: ormai
avrai senz'altro
capito anche tu queste due sono la mia coppia preferita! Se
c'è
una cosa che mi piace delle mie storie sono i personaggi e loro
senz'altro sono le migliori! Dato che non avevano mai avuto una storia
tutta loro, non avevo mai approfondito troppo la loro psicologia,
piuttosto mi è "sfuggita di mano". Le altre protagoniste,
invece, sono molto più "scorrette", nel senso che sono
tremendamente umane (e immature). Non mi piacciono i personaggi
perfetti, insomma, ognuno ha i suoi difetti e i suoi limiti. Almeno, io
la penso così. Grazie mille per i complimenti!
morbidina: già,
povera
Bianca! Capitano sempre tutte a lei: in amore è decisamente
sfortunata, una scalogna cronica! Anch'io sono intrattabile se vengo
svegliata di soprassalto (specialmente se non c'è un
motivo), ma
anche quando ho sonno: divento davvero odiosa e acida! Spero che questo
capitolo ti abbia divertita abbastanza!
reby94: eccomi,
ci sono, ho
aggiornato tutto, ora sei tranquilla? ;) Ad ogni modo, tranquilla, io
mi dimentico persino di aggiornare, fai tu! Diciamo che non ci
sarà un vero e proprio seguito del quinto capitolo,
però
i personaggi ritorneranno (anche se non tutti), quindi non scordarteli!
pazzafuriosa92: io
mi ispiro
praticamente per tutto alal realtà, casomai non te ne fossi
resa
conto! Sì, il quinto capitolo è molto meno teso
dei
precedenti. Anche questo non è nulla di che, proprio senza
pretese. Però un capitolo assurdo qua e là ci deve essere! Dimmi
se ti ha fatto sorridere almeno una volta :)
Kabubi: tu,
sì, proprio
tu, puzzi. Ad ogni modo, tu sei volgare e basta, altro che random
(lol). Ma siamo seri, davvero. Lupo sì, è un
personaggio
simpatico e tornerà, tranquilla! Fine spoiler. Ormai sai che
pure sono bianca: gli ultimi residui di abbronzatura stanno svanendo e
torno del mio verde naturale. Chouchou non vuol dire nulla di preciso,
è solo un vezzeggiativo, una cosa tipo honey, o tesorino. Smielosaggini,
insomma.
piccola peste: immagino
la tua
reazione per quanto riguarda Bianca, poveretta! Se ti sei divertita con
l'altro, spero che questo non ti deluda: è una situazione ai
limiti dell'assurdo, però non potevo rinunciare a scrivere
un
capitolo del genere! E poi io adoro la signora Altaro, sarà
spunto per future vicende!
caso: tranquilla,
che Mattia
fosse gay non se n'era mai parlato, forse si poteva intuire, ma erano
indizi piuttosto deboli. E' stata una mia scelta, di mostrare la cosa
solo molto più avanti, anche perchè è
coerente con
la storia: se nessuno lo sa, tranne i fratelli, il cugino, Elena,
Simone e Mari non potevo certo permettere che si vedesse lontano
miglia. Già, Elena e Veronica sono meno psicotiche:
sarà
che sono più grandi, ma è dovuto anche al fatto
che la
loro psicologia (non essendo mai state protagoniste di nulla) mi
è sfuggita di mano e si creata un po' da sola, mentre quella
di
Mari e Fede è stata pianificata a tavolino (essendo molto
più in evidenza sono anche state rese più
"negative" come
personaggi, non mi piacciono i protagonisti senza macchia ed
edulcorati).
Apia: sei
sempre dell'idea di
sposarti Veronica? La battuta sulle bionde l'ho messa per par condicio:
sono la prima a detestarle e a prendermela a morte quando le rivolgono
a me, però in quel momento era coerente (e divertente!),
serviva
ad evidenziare la stupidità di Lupo. Comunque non scordarti
i
loro nomi, ritorneranno nel seguito di Fior di pesco, e
forse anche prima...
Un grazie generale a tutti i miei lettori!
A presto,
Mizar
|
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Capitolo 7 *** Bonjour, Paris! ***
Chiedo perdono per la lunga assenza da Invincibile creatura, ma
oltre a tutto ciò che è successo in questi mesi,
ero molto impegnata a terminare Fior
di pesco.Cercherò dunque di farmi perdonare con
questo settimo capitolo che vede in particolare coinvolta una delle due
eroine in un'avventura decisamente poco piacevole!
Buona lettura!
Genere: comico,
romantico
Avvertimenti: femslash
(che novità!)
Rating: giallo
*
CAPITOLO
VII
BONJOUR, PARIS!
- Sei
sicura di potercela fare senza
di me? - sorrise Veronica usando un tono consapevolmente malizioso.
- No - piagnucolò Elena, nascondendo il volto contro il seno
della compagna e
gemendo, stringendosi a lei. Veronica esplose in una risata
cristallina. Non
capitava tutti i giorni di poter vedere quella dispotica e composta
ragazzaccia
lamentarsi e pigolare in quel modo indecente.
- Sarà solo per cinque giorni - tentò di
tranquillizzarla Veronica,
carezzandole i capelli con gesti affettuosi.
- Non è quello che mi preoccupa, lo sai - mormorò
Elena, gli occhi serrati con
così tanta forza che le facevano quasi male. Ma non si
sarebbe spostata da
quella piacevole posizione per nulla al mondo: il seno di Veronica era
il suo
rifugio preferito, assieme al suo ventre, contro cui amava accoccolarsi
quando
stava male. Momenti dolci e segreti che condivideva solo con lei.
Nessuno
avrebbe mai potuto pensare che Elena stesse davvero male: emanava
un'aura di
sicurezza e stabilità molto intensa e affascinante, troppo
per riuscire ad
immaginarla rintanata sotto le sottane della compagna.
- Patata, ce la farai - insistette Veronica,
grattandole piacevolmente
la schiena con le unghie. Elena produsse una via di mezzo fra un
miagolio e un
gemito disperato.
- Anzitutto, - Elena alzò lo sguardo smeraldino verso quello
color cielo della
compagna - non chiamarmi patata. Solo io posso
chiamarti così, chiaro?
In secondo luogo... non ce la farò mai! -, tornò
ad affondare il volto in
quell'angolo di paradiso privato. Veronica scoppiò
nuovamente a ridere, senza
smettere di grattarle delicatamente la schiena, la morbida maglietta
bianca che
si alzava e abbassava lentamente, provocando alla diretta interessata
piacevoli
brividi.
- Ci sarà Michele a farti compagnia - tentò
nuovamente di proporre un'ancora di
salvezza.
- Lui non ha un seno morbido come il tuo - piagnucolò
ancora, questa volta con
tono più impostato e meno spontaneo. Veronica sapeva che
stava per fare
qualcosa, conosceva quel tono. Chiuse gli occhi e poggiò il
capo alla parete
alle sue spalle.
Elena posò un bacio sul suo petto, scostando con il mento lo
scollo della
maglietta colorata, mentre la sua mano destra abbandonava il fianco di
Veronica
per andarsi a posare sul suo seno.
- Patata, posso? - le domandò
ironicamente, lasciandole una scia di
umidi baci sul collo.
- No - replicò lei, afferrando saldamente la compagna e
costringendola sotto di
sé, spiazzandola. Elena la osservò prima
sorpresa, poi compiaciuta,
sistemandosi meglio il cuscino sotto la nuca.
- Mi piaci quando vuoi stare sopra - mormorò Elena,
chiudendo gli occhi con un
sospiro causato dall'improvvisa intrusione delle mani di Veronica sotto
la sua
maglia.
- Perché? - domandò Veronica, sistemandosi fra le
sue gambe e coricandosi su di
lei, arrivando a lambire con le labbra la morbida cartilagine del lobo,
privo
di buco per l'orecchino.
- Così almeno non devo sempre faticare io -
sogghignò Elena meritandosi un
colpo contro il fianco, che la fece sussultare.
- Questa me la paghi... -
Veronica scivolò verso il suo seno, insinuando nuovamente le
mani sotto la
stoffa per afferrare quella morbida e delicata pelle, mentre con la
lingua
giocava sorniona nel suo ombelico, divertendosi ad esplorarlo. Elena
gemette,
un gemito del tutto differente dai precedenti. Allungò una
mano fino a sfiorare
i capelli dorati della compagna.
- Aspetta - sussurrò Veronica, tirandosi su di scatto e
lasciandola con una
mano a mezz'aria e un doloroso senso di frustrazione fra le gambe.
- Cosa? -
Veronica non rispose, ma iniziò a frugarsi freneticamente
nelle tasche dei
pantaloni, finché non ne estrasse entusiasta un elastico
nero, con cui si
raccolse i lunghi capelli.
- Scusami, patata, mi sistemavo... -
Elena la strinse repentinamente a sé, catturando le sue
labbra sottili. Erano
calde e morbide, come al solito. Il loro nasi talvolta si scontravano,
tal'altra si sfioravano delicatamente, per poi tornare a cozzare,
seguendo il
ritmo delle lingue all'interno delle loro bocche.
L'intenso bacio le impegnò per alcuni minuti,
finché Veronica si divincolò con
grazia e una luce maliziosa negli occhi che fece rabbrividire Elena.
Ridiscese verso il ventre della compagna, mordendo e suggendo le
porzioni di
pelle che più preferiva, per poi indugiare con
consapevolezza appena sopra il
bottone dei jeans. Elena inarcò la schiena, portandosi una
mano al volto,
attendendo pazientemente che la vivace lingua di Veronica spingesse
oltre la
sua curiosità.
La bionda, dal suo canto, si prendeva tutto il tempo necessario: non
amava le
cose fatte in quattro e quattr'otto, certo che no. Lei era una persona
che
indugiava, che prolungava il piacere fino al limite della
sopportazione, una
che desiderava scoprire l'amore un passo alla volta. Anche Elena le era
abbastanza simile, nonostante in alcune occasioni (ad esempio nella
doccia,
che, per chissà quale oscuro motivo, risvegliava i suoi
istinti più
animaleschi) in cui non riusciva a controllarsi e l'unico suo pensiero
era il
piacere immediato, suo e della compagna.
Veronica scelse una posizione comoda, poi afferrò una delle
gambe di Elena, che
gliela posò delicatamente sulla spalla, timorosa di farle
male.
- Non sono di porcellana - ridacchiò Veronica, accortasi
della premura
dell'altra.
- Stai zitta, ti prego - gemette ridendo, coprendosi gli occhi con le
mani,
ormai in visibilio, la mente completamente annebbiata dal dolore che le
provocava il desiderio.
Veronica le carezzò la parte esterna della coscia che teneva
su una spalla,
posando delicati baci nella parte interna, baci che lentamente si
avvicinavano
al centro del piacere della compagna, mentre con l'altra mano le
carezzava il
ventre, tracciando ampie figure circolari.
Quando il suo naso sfiorò la patta dei jeans, le sue dita si
chiusero
contemporaneamente attorno al bottone, liberandolo della sua sede, per
la gioia
di Elena.
Abbassò la zip con esasperante lentezza, scoprendo un paio
di semplici slip
rosso scuro.
- Fa molto chi non tromba a Capodanno, non tromba tutto l'anno
- rise
Veronica, saggiandone la stoffa con la punta dei polpastrelli. Elena
non la
stava nemmeno più a sentire, farneticando fra sé
insulti misti ad
incoraggiamenti, tutti diretti alla sua compagna, ovviamente.
Veronica posò una mano proprio dove sapeva che l'altra ne
avvertiva
maggiormente la necessità, strofinando le dita lentamente,
mentre con le labbra
cospargeva di piccoli baci il bordo dello slip, divertendosi ad
innervosirla.
Si scostò nuovamente, questa volta però per
sfilarle i pantaloni, a causa dei
quali l'atto risultava ostico a realizzarsi pienamente e, soprattutto,
decentemente.
- Sei troppo vestita - sbuffò Elena, mettendosi a sedere e
afferrando Veronica
per la maglia. Lei ringhiò qualcosa di incomprensibile in
protesta, ma fu
bellamente ignorata dall'altra, che la liberò con un solo
strattone dalla maglietta
e dalla canottiera. Veronica era l'unica persona di sua conoscenza a
portare la
canottiera fino a maggio.
- Coricati e stai zitta, patatina -
ridacchiò, baciandola sulla bocca,
sistematasi a quattro zampe sopra di lei, le mani ai lati del capo
dell'altra.
Elena le circondò il bacino con le gambe, cosa che non
faceva spesso, dunque
Veronica lo interpretò come un segnale di impazienza e
bisogno.
Si sistemò quindi nella posizione che aveva assunto fino a
poco prima, solo
che, questa volta, al posto della mano, c'erano le sue labbra. Sempre
sopra la
stoffa, ma era già un passo avanti.
Elena portò una mano all'altezza della compagna, per poi
posarla sui suoi
capelli, come aveva fatto poco prima.
- Vero... ti prego, toglili... - mugugnò, insofferente a
quel sottile strato di
stoffa rossa.
- Come desideri - sussurrò Veronica, le labbra a pochi
millimetri dal suo
intimo, che stava per essere allontanato bruscamente.
Purtroppo per loro, qualcuno bussò alla porta della stanza.
- Elena? Ci sei? -, era suo fratello Paolo, quello di mezzo. Quello
arrogante e
saccente.
- Che cosa vuoi? - ringhiò lei di rimando, udendo il rumore
della maniglia che
girava a vuoto e ringraziando mentalmente il momento in cui Veronica,
guidata
dal suo sesto senso, aveva deciso che sarebbe stato
opportuno chiudere a
chiave la porta, nonostante casa Cantalupo fosse vuota al momento del
suo
arrivo.
- La spesa è sul tavolo: quando avrai finito di scoparti
quella,
potresti anche aiutarmi a metterla a posto. Ora faccio una doccia -
Senza darle il tempo di replicare, si allontanò lungo il
corridoio,
fischiettando.
- Stronzo. Imbecille! Ora esco e... -
ringhiò Elena, furibonda,
mettendosi a sedere sul bordo del letto e pronta a rialzarsi. Un caldo
abbraccio la trattenne.
- Patata, lascia che le sue parole scivolino via
come l'acqua. Hanno un
peso? No, sono solo sabbia nel vento - mormorò Veronica,
baciandole la schiena
e il collo.
- Meno male che ci sei tu, chouchou. Come farei
senza la mia patata?
- ridacchiò Elena sottovoce, voltandosi per poterla baciare.
- Sai, suona quasi ambigua questa frase... -
- Devi sempre dire la tua cazzata, vero? - la
stuzzicò Elena,
trascinandola sopra di sè. Veronica emise un suono
paragonabile alle fusa dei
gatti, sorridendo con dolcezza. Elena desiderava mangiarla di casti
baci e,
allo stesso tempo, possederla con passione. Quel viso sorridente, quel
corpo
candido ed esile e quella morbida voce suscitavano sempre in lei quel
sentimento ambivalente, di candore e tenerezza da un lato, di
prepotente
erotismo dall'altro.
- Tuo fratello è nella doccia... - mormorò
Veronica, scostandosi dalla fronte
alcune ciocche che si erano ribellate all'elastico.
- Ti va di... - mormorò Elena a sua volta, lascando
volutamente la frase in
sospeso. Nulla meglio dell'aposiopesi era in grado di creare torbide
immagini
nella mente di due innamorati.
Avevano già sistemato la spesa, senza aspettare che Paolo
terminasse di
vestirsi. Meno contatti Elena aveva con lui, più era felice.
Ora Veronica,
seduta per una volta su una sedia, mangiava del budino avanzato
preparato dalla
madre di Elena il giorno precedente. Alle sue spalle, la compagna le
carezzava
i capelli e le parlava.
- Prometti che mi telefonerai? - le domandò sottovoce
avvicinando le labbra al
suo orecchio, mentre lei si limitava ad annuire, la bocca piena di
budino.
- Certo! - riuscì a replicare una volta inghiottito il
dolce. Rovesciò il capo
all'indietro per guardare Elena negli occhi, poggiandolo contro il suo
ventre.
L'altra sorrise e si chinò per baciarla.
- Un bacio al contrario... - ridacchiò Veronica, prima che
le sue parole
venissero soffocate dalle labbra di Elena.
- Sì, amore - sussurrò Elena, facendo vibrare le
parole nella bocca dell'altra,
posandole le mani sulle guance.
Appena udirono i passi nel corridoio si separarono lentamente.
- Oh,
hai già fatto – constatò
notando che il tavolo era sgombro e le buste di plastica erano sparite.
-
Sì, non ho bisogno del controllore
per ritirare due cose – replicò freddamente Elena
strappando il contenitore
vuoto del budino dalle mani della sua ragazza e riponendolo nel
lavandino. Lo
riempì d’acqua dando loro le spalle: la sola vista
del fratello la irritava
tremendamente, ogni parola era sibilata con acidità.
- Non
ne sono così certo: mamma e
papà non ti hanno controllata abbastanza, mi pare evidente
– sogghignò lui
aprendo il frigorifero ed estraendo una bottiglia già aperta
di birra. Veronica
osservava rigidamente quello scambio di battute, desiderosa di cambiare
aria il
prima possibile.
- Mi
pare che certe cose piacciano anche
a te, Paolo –
ringhiò aprendo con
rabbia lo sportello sotto al lavandino, dietro al quale si celava il
cestino
dell’immondizia. Si chinò per buttare via un palla
arrotolata di Scottex,
sentendo le guance infiammarsi per la rabbia che le bruciava dentro:
avrebbe
afferrato volentieri una delle pentole riposte ad asciugare accanto al
lavandino per romperla sulla testa del fratello.
- Ma
io ho un pene, a differenza tua
–
- Se
l’avessi, non avrei Veronica –
replicò lei uscendo dalla cucina trascinandosi dietro per un
polso la sua
imbarazzata ragazza.
Elena
la spinse con poca grazia nella
sua stanza, sbattendo con rabbia la porta alle sue spalle per poi
chiuderla a
chiave. Vi appoggiò la schiena, chiudendo gli occhi e
sospirando sconfitta.
-
Le’... – mormorò Veronica
avvicinandosi con circospezione temendo la reazione della compagna;
quella però
non rispose ma si lasciò scivolare a terra, sedendosi sul
pavimento e
prendendosi la testa tra le mani.
-
Tesoro – sussurrò dolcemente
posando una mano sul suo braccio e sedendosi accanto a lei.
-
Abbracciami – disse piano Elena
senza aprire gli occhi. La sua compagna la strinse un po’
goffamente con un
tenero sorriso dipinto sulle labbra. Le posò un umido bacio
sulla guancia.
-
Grazie. Grazie che ci sei, grazie –
mormorò Elena abbracciandola a sua volta, gli occhi pieni di
lacrime represse.
- Ti
amo tanto, lo sai, io ci sono
sempre – la tranquillizzò Veronica carezzandole i
capelli, il capo della
compagna posato sul suo seno.
- Mi
dispiace per il teatrino di poco
fa – si scusò la ragazza sfregandosi gli occhi con
il dorso della mano.
- Oh,
stai tranquilla. Comunque hai
ragione: se tu fossi un uomo non mi avresti, perché io sono
follemente
innamorata delle tue belle tette – scherzò
Veronica sedendosi sulle sue gambe e
posandole le mani sul seno. Elena rise incapace di darle una risposta
sensata.
- Oh
sì, mi piacciono proprio –
continuò Veronica palpandola appena e assumendo
un’espressione da intenditrice.
Elena rise ancora di più per poi afferrarle le braccia e
tirarla verso di sé,
baciandola.
- Di
quali tette parli? Di quella
misera seconda? Le tue sono decisamente meglio –
rivelò Elena sottovoce
restituendo la palpatina alla compagna, facendola squittire.
- Ah,
ovviamente mi piace anche tanto
farti certe cose... – miagolò Veronica
sistemandosi comodamente sul bacino
della compagna che sollevò un sopracciglio.
- Mi
piace quando lasci intendere le
cose sconce –
Subito
dopo l’afferrò e coricò sul
tappeto, sbottonandole i pantaloni senza tante cerimonie, la bocca che
le
percorreva vogliosa il collo tiepido: ogni occasione era sempre
perfetta, anche
se l’aveva fatto appena venti minuti prima.
*
Erano
le quattro del mattino e la
città dormiva; qualcuno però si era appena
svegliato.
-
Sveglia maledetta – bofonchiò Elena
interrompendo il fastidioso trillo che l’aveva svegliata
provocandole una
tachicardia.
-
Amore... patata... –
sussurrò Elena scuotendo con dolcezza la creatura
coricata nel suo letto, nuda sotto il piumone. Tracciò sulla
sua spalla una
scia di umidi baci, carezzandole la schiena disegnando ampi cerchi
sulla sua
pelle calda.
-
More... sì, là nel vaso... yogurt,
Fede – biascicò Veronica prima di aprire gli occhi
e rendersi conto di essere
sveglia. Sbadigliò sonoramente mentre la sua ragazza le
strofinava dolcemente
il naso fra i lunghi capelli biondi.
- Le
valigie sono già pronte,
dobbiamo solo vestirci – le ricordò quando si mise
di scatto a sedere scoprendo
il candido seno. Elena restò ad osservarla nella penombra,
completamente
catturata dalla sua bellezza.
-
Fatti dare un bacio – la bloccò,
prima che la bionda potesse sgattaiolare fuori dal letto. Veronica
automaticamente si voltò per ricevere un bacio sulle labbra,
ma Elena si chinò
sul petto chiudendo la bocca sul suo seno. Trasalì
piacevolmente sorpresa
portandole le mani fra i capelli e chiudendo gli occhi.
- Dai,
è ora di andare, io ho un
appuntamento e tu dovresti dormire – le ricordò
Elena staccando le labbra con
un umido schiocco, per poi posargliele sulla bocca. La fece alzare in
piede
tenendola per mano.
Si
vestirono nella penombra, Elena si
era già preparata i vestiti la sera precedente, di modo da
dover solamente
lavarsi i denti e mettersi in macchina. Alle quattro e mezza, il
pullman che
avrebbe portato lei e la sua classe all’aeroporto, dove
avrebbero preso un
aereo per Parigi, sarebbe partito alle quattro e mezza, segnando
l’inizio della
loro ultima gita di classe.
Veronica
aveva trascorso la notte a
casa di Elena per farle compagnia prima della partenza e si era
gentilmente
offerta di portarla in macchina fino al piazzale dove si erano dati
appuntamento, dopodiché sarebbe tornata a casa per
completare le sue ore di
sonno notturne.
Elena
si stava sciacquando la faccia
indossando solo un paio di mutande quando sua madre entrò in
bagno.
- Ciao
ma’, non vi avevo ancora
svegliati perché sto finendo di prepararmi –
spiegò alla donna assonnata.
- Mi
sono svegliata da sola per il
rumore dello sciacquone, tranquilla – rispose sua madre
osservandola mentre si
asciugava il volto.
-
Allora ti porta Veronica? Sicura? –
le domandò per l’ennesima volta.
-
Sì, mamma, ha la macchina e così
poi se ne torna a casa sua perché lei domani ha scuola
– ripeté Elena
afferrando una spazzola e fingendo di pettinarsi i disordinati capelli
castani,
per poi arruffarli subito dopo con le mani.
- Mi
raccomando ringraziala –
-
Certo, l’ho già fatto almeno mille
volte – la rassicurò la figlia afferrando il
deodorante al tè verde e
spruzzandolo sotto le ascelle.
-
Oh... scusate – mormorò Veronica
che era appena entrata in bagno: non si era accorta della presenza
della
signora Cantalupo.
-
Entra, tranquilla – la esortò Elena
facendole segno con la mano di avvicinarsi. Veronica si era
già vestita,
infilandosi un paio di jeans lunghi e una morbida maglietta verde
brillante, sopra
di essa un golfino grigio aperto le copriva le braccia.
- Mi
devo solo sciacquare la faccia –
mormorò avvicinandosi al lavandino, evitando di guardare la
sua compagna, che
non indossava nulla tranne le mutande.
-
Grazie per il passaggio, Veronica.
Ele, buona gita, mi raccomando, chiama! – la
ammonì la madre dandole un bacio
sulla guancia.
- Di
nulla – sussurrò Veronica, gli
occhi chiusi per l’acqua che si stava spruzzando sul volto.
-
Sì, mamma, tranquilla. Ti chiamo
quando saremo in aeroporto – al solo pensiero Elena
rabbrividì ma si astenne
dal farlo notare a qualcuno, era troppo orgogliosa.
- Buon
viaggio – le augurò ancora la
signora Cantalupo baciandola su una guancia, prima di ritirarsi nella
sua
camera da letto e chiudere la porta.
-
Vestiti – sibilò Veronica ad Elena
quando fu sicura che la madre fosse tornata nel proprio letto. Elena le
si
avvicinò con aria maliziosa, abbracciandola da dietro, le
braccia attorno alla
vita della compagna.
-
Okay, vado subito –
Saltellò
in punta di piedi nella sua
stanza per poi infilarsi i calzini corti rosso scuro, jeans sbiaditi
lunghi e
morbidi, cintura, maglietta grigia ed una semplice felpa blu.
- Sei
sempre così femminile – la
prese in giro Veronica aggrappandosi alle sue spalle e costringendola a
chinarsi per avere un suo bacio.
- Se
speri di vedermi un giorno
indossare un corto e aderente vestitino nero con tacco otto ai piedi,
sbagli di
grosso. Io porto pantaloni – ridacchiò
sciogliendole i capelli e infilandosi al
polso il suo elastico nero.
- Ah,
certo! –
-
Sì, me lo tengo io come
portafortuna – piagnucolò Elena proteggendosi il
polso destra con la mano
sinistra, nascondendolo allo sguardo di Veronica, che si
rassegnò a sistemare
con le dita le spettinate ciocche bionde.
- Hai
un’aria molto selvaggio con
tutta questa criniera – la prese in giro Elena afferrando con
due dita un
ciuffo dei suoi capelli appena ondulati.
-
Smettila e prendi la tua valigia,
non scordarti la fetta di crostata – le ricordò
Veronica con tono molto
materno. Elena eseguì gli ordini con un sorriso ebete
stampato in faccia che si
tramutò in una smorfia di muto orrore quando si rese conto
che stava davvero
per partire, per prendere un aereo.
Lo stomaco le si contrasse costringendola a portarsi una mano al ventre.
-
Tutto bene? – domandò
immediatamente Veronica affiancandola e appoggiando le labbra alla sua
spalla.
-
Sì, sono solo nervosa... –
Caricata
la valigia in macchina,
Veronica mise in moto e in meno di dieci minuti erano al piazzale.
C’erano già
una ventina di ragazzi, fra i quali Elena riconobbe alcuni suoi amici e
compagni di classe. Veronica posteggiò l’auto, poi
accompagnò Elena verso il
piccolo gruppo.
-
Buongiorno! – proruppe allegramente
rabbrividendo per il freddo improvviso.
-
Salve anche a te! E a te – aggiunse
Michele, il migliore amico di Elena, che pareva aver visto Veronica
solo dopo
un attimo.
-
Ehilà – mormorò lei incrociando le
braccia e strizzando gli occhi assonnati.
- Come
mai sei qui? – le domandò
Giuseppe, il ragazzo con il grosso paio di occhiali spesso che lo
rendevano
simile ad un gufo.
- Ho
accompagnato Elena in macchina,
appena ve ne andate torno a casa a dormire –
spiegò la ragazza mentre la sua
compagna le passava un braccio attorno alle spalle in segno di
riconoscenza.
-
È la mia donna – sospirò Elena
baciandole i capelli.
- La
mia donna è a casa che dorme –
borbottò Michele controllando il display del telefono.
-
Almeno Nadia è una persona
intelligente, non come me che sono qua a patire il freddo e il sonno
– scherzò
Veronica poggiando il capo sulla spalla della compagna.
Loredana
sbuffò, scostandosi dal
volto i ricci scuri, per poi annunciare loro che lei e il suo ragazzo,
Luca, si
erano lasciati esattamente cinque ore prima.
- Mi
dispiace, Lori... – dissero in
coro i ragazzi.
- Non
farti rovinare l’ultima gita da
quello lì, okay? – la intimidì Giuseppe
puntandole contro un dito.
- Oh
no, tranquilli, ho intenzione di
dare tutta me stessa – proclamò la riccia
sollevando il pugno sinistro al
cielo.
-
Sante parole – biascicò Veronica
intontita dal sonno.
- Ce
la fai a tornare a casa intera?
– le domandò preoccupata Elena carezzandole una
guancia.
-
Sì, dammi altri cinque minuti al
freddo e mi sveglio del tutto – ridacchiò la sua
compagna.
- In
effetti fa più freddo del
previsto – borbottò Michele stringendosi nella sua
giacchetta.
- Ecco
Giancarlo! – esclamò Loredana
indicando una figura curva che trascinava una valigia scura.
-
Freddo... sonno... freddo...
valigia... – borbottò il ragazzo avvicinandosi a
loro.
- Ti
senti bene? –
-
Freddo... sonno... freddo... –
- Come
darti torto? – sospirò Elena.
Chiacchierarono
allegramente per
cinque minuti, durante i quali Veronica si riprese e i suoi
acquistarono una
nuova lucidità, abbandonando la patina appannata di chi
è ancora per metà
nell’onirica dimora notturna.
-
E’ ora di andare – le fece notare
Veronica indicando la massa di ragazzi che si era lanciata contro le
porte dei
pullman con la stessa foga e lo stesso sguardo micidiale di
un’orda di
Lanzichenecchi durante il sacco di Roma.
- Non
voglio – piagnucolò Elena
abbracciandola e affondando il volto nell’incavo del suo
collo, il naso premuto
contro la pelle tiepida caratterizzata dall’intenso profumo
che Elena conosceva
molto bene.
- Sei
adulta e vaccinata, smettila di
frignare – la redarguì la bionda rovesciando il
capo all’indietro per poter
guardare negli occhi la sua compagna.
- Se
la smetto cosa mi dai in cambio?
– sussurrò Elena chinandosi fino a poggiare le sue
labbra sull’orecchio
dell’altra.
- Ne
riparliamo quando torni, ora vai
che c’è Michele che ti sta facendo dei gesti
osceni – la informò Veronica.
L’altra si voltò in tempo per cogliere Michele in
flagrante dietro al
finestrino del pullman. Per farsi perdonare le spiegò a
gesti che le aveva
tenuto il posto accanto a sé.
- Ci
sentiamo, chouchou –
mormorò Elena dandole un ultimo bacio prima di salire
sul pullman.
-
Divertiti! – le augurò mentre si
allontanava. Attese che la sua compagna si facesse largo fino al posto
riservatole, dal quale si appiccicò al finestrino per
mandarle un bacio. Soddisfatta,
Veronica tornò alla macchina stropicciandosi gli occhi
stanchi.
- Era
proprio ora che questa gita
arrivasse, tutto lo stress scolastico mi stava abbattendo peggio di un
rullo
compressore sulla schiena – sospirò Michele
sprofondando nel sedile.
-
Già... – borbottò Elena osservando
la schiena della sua ragazza sparire nel parcheggio.
-
Forza, innamorata, ti vogliamo con
il morale alle stelle! – esclamò Loredana
voltandosi: era seduta di fronte a
loro accanto ad Angela.
Nella
sezione di Elena c’erano solamente
sette ragazze, lei inclusa: Angela e Loredana erano migliori amiche fra
loro,
due persone affabili e semplici con le quali si trovava bene e talvolta
ci
usciva anche assieme; le altre quattro erano un po’ il
cosiddetto Lato Oscuro
della classe, sciocche ragazzotte dal temperamento aggressivo e
polemico fra le
quali spiccava come una punta di diamante la famigerata Sabrina. Dal
canto suo,
Elena preferiva starsene con Michele.
Erano
diventati amici quel lontano
settembre di quattro anni prima, giunti contemporaneamente e per primi
nella
nuova classe che avrebbe ospitato il loro transitorio viaggio
attraverso
l’agognata scuola superiore. Si erano scrutati con
circospezione come due
pistoleri in un vecchio western, poi lei si era fatta avanti piena di
diplomazia
da quattordicenne e gli aveva sporto la mano presentandosi.
-
Conosci qualcuno? – le aveva
domandato lui accennando ai banchi vuoti che nel giro di qualche minuto
si
sarebbero riempiti di volti nuovi .
- No,
nessuno, la maggior parte dei
miei compagni di classe è al linguistico e quelli che sono
venuti allo
scientifico frequentano un altro corso – spiegò
Elena, infatti si ritrovava
sola e spaesata in una classe di sconosciuti.
-
Nemmeno io, non abito qui ma a San
Rocco e i miei compagni si sono sparpagliati anche in altre
città –
- Mi
sembra un ottimo motivo per
diventare vicini di banco –
Così
era iniziata la loro amicizia.
-
Voglio tornare a dormire da
Veronica – biascicò Elena, la fronte appoggiata al
freddo vetro e gli occhi
persi nell’oscurità della piazza.
- E io
voglio una sana scopata, ma
qua non c’è trippa per gatti! –
-
Sempre raffinato, un gentleman – lo
prese in giro Elena.
- No,
sul serio, non so per quale
motivo ma Nadia è da un po’ che ogni volta ha una
scusa diversa: mal di testa, mestruazioni,
mal di pancia, lo stress, non ne ha voglia, mal di schiena... inizio a
pensare
che mi voglia scaricare – sbuffò Michele
osservando il soffitto del veicolo.
-
Magari non è nulla, solo una serie
di sfortunate coincidenze... –
-
Veronica ha mai fatto così? –
domandò storcendo il naso.
- Ehm,
veramente... no – sospirò
Elena, per poi affrettarsi ad aggiungere – Ma
senz’altro non è nulla, un po’ di
paranoia capita quando si è fidanzati! –
-
Sì, ma Nadia ed io stiamo insieme
da un anno e mezzo, non dovrebbe capitare –
- Mi
dispiace molto ma oltre
all’ipotesi che tu vada ad affrontarla di petto chiedendole
apertamente cosa
succede, non vedo vie di fuga –, Elena distolse lo sguardo
dall’amico e lo
puntò sul motivo geometrico del sedile che aveva di fronte.
- Hai
ragione, non ho molta scelta...
dopo la gita andrò da lei e le parlerò a
quattr’occhi – sentenziò risoluto.
- Mi
sembra la decisione più saggia –
Sonnecchiarono
punzecchiandosi fino
all’aeroporto di Malpensa, dove furono scaricati dal
frettoloso autista. Una
volta recuperati i bagagli, si spostarono in massa verso
l’ingresso, i
professori che scorrazzavano come cani pastori tirandosi dietro vecchi
trolley
consunti figli del loro magro stipendio. Si radunarono
nell’atrio per essere
divisi per classi prima che qualcuno fuggisse dal gruppo e poi vennero
forzatamente messi in coda al check in.
-
Perché deve fare così caldo qua
dentro? – sbuffò Michele aprendosi il giubbotto e
sfregandosi la fronte con una
mano.
-
Guarda che si sta bene. Sarai in
andropausa... – ridacchiò Elena dovendosi poi
sorbire i suoi grugniti di virile
rivendicazione.
- La
mia valigia non passerà il
controllo, pesa almeno trenta chili! – si lagnò
Loredana saltellando da un
piede all’altro attorno alla sua valigia, come se quella
danza rituale potesse
sortire qualche magico effetto sul peso del suo carico.
- Non
può pesare trenta chili, è
matematicamente impossibile. A meno che tu non l’abbia
caricata di lingotti –
precisò puntiglioso Giancarlo.
-
Dovresti fare il carabiniere! –
disse Angela ridendo della rigidità mentale
dell’amico.
Elena
osservava distrattamente la
donna assonnata e dalla faccia sbattuta che passava con poco garbo i
biglietti
ai ragazzi e ringhiando li invitava a togliersi di mezzo per far posto
a chi
ancora doveva imbarcare il suo bagaglio. Sospirò pensando a
quando sarebbe
stata rinchiusa in quella scatola volante con un centinaio di persone
ad una
spropositata altezza dal suolo. Sperava solo che le assegnassero un
posto molto
lontano dal finestrino: non voleva nemmeno vedere un batuffolo di
nuvola.
-
Forza ragazza, non ho tutto il
giorno – ringhiò la biondina isterica
dell’accettazione. Sbuffando, Elena posò
la sua valigia sul nastro trasportatore: i numeri digitali si
ricomposero a
formare 12.4 kg, poi estrasse il portafoglio e sbatté la
carta d’identità di
fronte alla tizia nevrastenica, che sobbalzò osservandola in
cagnesco.
Una
volta ottenuto il suo biglietto
si avvicinò a Michele che già era passato fra le
grinfie dell’arpia. Insieme
osservarono un’agitata Loredana posare la valigia sul nastro
e incrociare le
dita, pregando qualche divinità pagana di far sì
che la sua valigia avesse un
peso legale. I numeri digitali lampeggiarono un 18.5 che la fece
esultare,
mentre la sempre più perplessa e tesa donna le porgeva il
suo biglietto con
occhi allucinati.
- Sono
passata, sono passata! –
trillò la riccia avanzando a passo di danza verso di loro.
Attesero
Angela, Giancarlo e
Giuseppe, poi si precipitarono in un bar a drogarsi di caffeina per
risvegliarsi del tutto. Elena, invece, beveva per dimenticare.
- Ti
senti bene? – le domandò Angela
intingendo un croissant caldo nel suo cappuccino. Mordendolo, il
liquidò le
scivolò lungo il mento, dove lo raccolse con la lingua.
- Io?
Sì, certo! Perché mai? –
ridacchiò Elena finendo di bere la terza tazzina di espresso.
- Non
hai bevuto troppi caffè? –
provò a domandarle Michele.
- Mi
processerete per tre caffè?! Non
è mica un crimine averne voglia –
- No,
va bene, ma sei un po’ nervosa
e dunque non mi sembra il caso che tu ne beva altri – la
redarguì Loredana. Elena
sbuffò però poi si limitò a restare
seduta osservando i suoi amici terminare la
loro colazione. Il pensiero di dover davvero
volare la stava mandando in paranoia e la sua sadica mente si divertiva
a
propinarle una serie di scenari apocalittici, facendogli scorrere di
fronte
agli occhi come un macabro film, ma chiudere le palpebre non serviva a
nulla.
Bighellonarono
all’interno dell’aeroporto
dove Michele acquistò un giornaletto di enigmistica in modo
da potersi
intrattenere con Elena durante il volo, mentre Loredana una rivista di
gossip indirizzata
ai preadolescenti per poter leggere con Angela le assurde domande di
natura
sessuale rivolte da tredicenni precoci a frustrate psicologhe.
Giancarlo
e Giuseppe discutevano fra
loro se fosse meglio interpretare un mezz’elfo bardo o un
nano chierico e ogni
tanto Loredana s’intrometteva sostenendo che la sua elfa
druida evocatrice di
panda avrebbe spaccato il culo a
tutti loro.
Improvvisamente
la tasca di Elena
iniziò a vibrare con forza facendola trasalire. Era una
chiamata in arrivo da
parte di Veronica.
- Che
stai facendo? Non dovresti
essere a scuola? – la rimproverò bonariamente
accettando la chiamata.
-
Sì, ma sono in bagno e comunque le
lezioni non sono ancora iniziate. Volevo sapere come stavi...
–
- Mm,
come alle quattro di sta
mattina – ridacchiò Elena.
-
Forza, ce la puoi fare. Sappi che
noi ti pensiamo! – esclamò Veronica allegra.
- Noi,
chi? – domandò laconica.
- Noi!
Bianca, Andrea e Martina –
spiegò a favore della compagna, che non pareva essere
completamente in sé.
-
Be’, siete molto gentili... –
- Ti
voglio tanto bene, ma ora devo
andare che è appena suonata! Ti mando un bacio e...
be’, fatti sentire quando
atterrerai – disse con tono dolce la sua compagna, mentre
Elena sospirava
attendendo quel momento con ansia.
-
Buona lezione, chouchou, un bacio!
–
Dopo
aver chiuso la chiamata tornò
dagli altri che si erano affollati attorno allo scaffale dei fumetti
facendo ad
alta voce commenti poco carini sulle tendenze sessuali di alcuni
storici eroi e
delle loro spalle.
- Te
lo dico io cosa facevano nella bat-caverna!
– stava sbraitando Angela.
Continuarono
il loro giro di
perlustrazione finché, avvicinatasi l’ora
dell’imbarco, superarono gli ultimi
controlli e si accasciarono sulle poltroncine nella sala
d’attesa.
Poco
lontano da loro stavano Sabrina
e le sue tre amiche, intente a confrontarsi le tonalità
dello smalto.
- I
colori complementari! – squittì Morena
sventolando le mani.
-
Potrei vomitare – borbottò Michele
estraendo le parole crociate dallo zaino, Elena gli porse una biro poi
iniziarono un’epocale battaglia con un ostico cruciverba.
- 16
orizzontale: la seconda moglie
di Atamante! La seconda moglie di... cosa?!
– esclamò perplesso Michele scuotendo il capo
affranto.
- Ino.
Ci sta? –
-
Sì! Come facevi a saperlo?! –
- Me
l’ha detto Veronica... – si giustificò
Elena sottovoce.
- Nei
momenti di intimità lei ti
snocciola genealogie mitologiche? – ridacchiò
Michele.
-
E’ troppo occupata ad emettere
suoni senza senso, è già tanto se pronuncia il
mio nome in maniera
comprensibile – lo informò Elena con un tono che
trasudava vanto da ogni parola.
-
Quanta vanagloria, Cantalupo,
abbassa la cresta – la ammonì Michele con un
circolare gesto della mano
imitando le ragazzine dei telefilm americani. Gli mancavano solo le extensions e l’ombretto
glitterato.
-
Sfido, trovami qualcuno alla mia
altezza – lo provocò Elena sollevando un
sopracciglio.
- Io
– replicò lui con tono pomposo.
-
Siete pietosi – li rimproverò
Loredana alzando gli occhi dalla nemmeno troppo puerile rivista che
stava
sfogliando con Angela.
- Io
sono molto meglio, comunque –
intervenne non interpellato Giancarlo, il dito indice sollevato.
- Ma
se la vedi con il binocolo! -
lo prese in giro Elena dato che era da più
di un anno che il loro amico era single.
-
Ragazzi, vi prego, sentite questa! –
esclamò fra le lacrime Loredana, in preda ad
un’isterica ridarella. Angela si
premeva le mani sul volto arrossato, tentando di trattenere gli spasmi.
-
Okay, okay... – borbottò Loredana
asciugandosi le lacrime,osservata obliquamente dalle altre quattro
ragazze, poi
prese a declamare - Salve dottoressa, ho
un dubbio da più di 3 anni: quando si hanno le mestruazioni
si hanno perdite di
sangue e poi anche delle perdite sempre rosse però molto
dense tipo gelatina,
sa dirmi cosa sono? C’è chi mi ha detto che sono
pezzi di fegato, è vero? Grazie
–
- Non
ci voglio credere – disse Michele
sgranando gli occhi all’inverosimile, mentre Angela era
piegata in due dal
ridere.
- Stai
scherzando, spero? – anche Elena
pareva sconvolta e allungò una mano per farsi consegnare
quel giornaletto.
Loredana glielo lanciò addosso, offesa per la sua diffidenza.
Elena
si immerse nella lettura,
attorniata dai tre ragazzi inebetiti dal raggiungimento di questo nuovo
traguardo di stupidità umana.
- Non
possono esistere persone così
stupide, ti prego – borbottò Elena ridacchiando,
mentre sfogliava
distrattamente le pagine con le domande alla psicologa.
-
Guarda che faccia ha in questa
foto: sembra abbia ingoiato un limone! – rise Giuseppe
puntando il suo grosso
indice sulla fotografia della dottoressa.
- Ci
credo, fa un lavoro di merda:
rispondere a quattordicenni ninfomane, gli aborti della
società! –
-
Ragazzi, in piedi! Venite! – li stava
chiamando il professore di un’altra sezione. Si alzarono
controvoglia,
interrotti sul più bello.
-
Comunque noi abbiamo ancora una
discussione in sospeso – sussurrò Michele posando
le mani sulle spalle di Elena
e stringendogliele fastidiosamente. Rinunciò a divincolarsi
perché in quel
momento le attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno
il motivo per cui
si trovavano lì in coda: era iniziato l’imbarco!
Fece
un profondo respiro mentre il
suo cuore iniziava a battere all’impazzata, i muscoli delle
gambe tesi al
massimo.
- Sei
sicura di sentirti bene? – le domandò
lui preoccupato sentendola irrigidirsi in quel modo.
- No,
non sto bene ma ne parliamo
dopo – sibilò Elena costringendolo a mollare la
salda presa sulle sue spalle.
Sfilò il cellulare dalla tasca e lo spense, per poi gettarlo
nello zainetto
nero che si portava sulla schiena. Fu imitata immediatamente da Michele
che l’aveva
scordato.
Una
donna decisamente più cordiale
dell’impiegata al check in strappò
i
loro biglietti augurando buon volo a tutti quanti con un gran sorriso.
Doveva
essersi svegliata con il piede giusto perché non era la
solita smorfia di
plastica, pareva sinceramente allegra.
- Non
allontanarti – ringhiò Elena a
Michele, che stava per superarla lungo la passerella
d’imbarco.
-
Scusa? –
- Per
favore – addolcì il tono lei.
Michele, spiazzato, rimase al suo fianco fino all’ingresso
dell’aereo, dove
Elena esitò a procedere.
-
Benvenuti a bordo – trillava svogliatamente
la hostess, stretta e tirata nel suo fasciante completo blu scuro.
- A
bordo, ha detto, forza – Michele fu
costretto a spingerla e fu in quel momento che realizzò
– Tu, Cantalupo, tu hai
paura di volare! –
- Non
ridere, cazzo, non fa ridere! Mi
sento malissimo, sediamoci in fretta. Soprattutto,
non dirlo a nessuno – sibilò Elena cercando i loro
posti.
- Qua,
Ele –
Michele
si sedette accanto al
finestrino, Elena al centro e alla sua destra, accanto al corridoio,
sedeva una
signora sulla quarantina, apparentemente sola.
-
Prendi fiato e rilassati - le disse
Michele con fare esperto.
- Ci
provo – borbottò Elena
allacciandosi immediatamente la cintura con mani tremanti. Aveva i palmi sudaticci e il
cuore in gola,
soffocata nell’abitacolo e stretta dalla cintura. Per sfogare
la tensione,
iniziò a ridere istericamente, finché Michele le
intimò in modo molto
minaccioso di smettere.
-
Almeno abbiamo scoperto il tuo punto
debole – sogghignò Michele dandole di gomito.
Elena grugnì, per nulla felice
della cosa. Fissava ostinatamente il sedile di fronte a sé,
rifiutandosi di
prestare attenzione al macabro teatrino delle hostess.
-
Okay, ora spiegami di cosa hai
paura –
- Di
volare, delle altezze: soffro di
vertigini, va bene? Non guarderò in basso se saliremo sulla
Tour Eiffel, sia
ben chiaro. E sia altrettanto chiaro che ucciderò chiunque
mi faccia qualche
scherzo! –
- Va
bene, scusa, calmati. Che ne
dici di fare due parole crociate per stemperare la tensione?
– propose il
ragazzo estraendo il giornale dallo zaino sistemato sotto al suo sedile.
- Mm,
io però non staccherò gli occhi
da questo delizioso sedile color sedano, sappilo – lo
avvertì Elena, lo sguardo
sempre fisso in avanti coerentemente con le sue parole.
-
Ciao, cara – disse Sabrina con tono
squillante voltandosi: era nel sedile di fronte al loro assieme a
Morena e ad
un ragazzo di un’altra sezione.
Elena
grugnì il suo disappunto per
poi incrociare i suoi occhi nocciola: non voleva senz’altro
dare a quella serpe
la soddisfazione di farle sapere che pativa l’aereo. Strinse
i denti tentando
di soffocare la nausea che il solo stare seduta lì, ferma,
le provocava.
- Ehi
–
- Come
mai così scontrosa? Passato
una notte in bianco? – sghignazzò Sabrina
scuotendo la lunga chioma castana,
arricciata ad arte.
- No,
ho passato la notte a fare l’amore
con Veronica. Soddisfatta, ora? Puoi voltarti e continuare a parlare di
smalto
con quella –
-
Quella sgualdrina figlia dei fiori
può fottersi da sola per
quanto mi
riguarda – sibilò Sabrina che mal tollerava
quest’atteggiamento di Elena,
pronta a schiaffarle in faccia la cruda verità senza cedere
alle sue
provocazioni.
-
Un’altra parola su Veronica e te ne
pentirai quando scenderemo da questo aereo: mettitelo in testa,
Sabrina, è
finita. Chiuso. Stop. Fine. Punto e a capo. Fattene una ragione
– ringhiò Elena
che se fosse un cane stata avrebbe senz’altro avuto un
minaccioso rivolo di
bava alla bocca.
- Lo
so che è finita, cosa credi? Che
io sia single ad aspettare te? –
- No
che non lo credo, ma devi
smetterla di tormentarmi. Ci siamo lasciate, è finita: io
amo Veronica, non te,
non ti amavo nemmeno prima, va bene?! – le sbatté
in faccia quella dura
rivelazione, che colpì Sabrina come un ceffone.
- Stai
dicendo che era solo... cosa?
Sesso? –
- No,
ti volevo bene, ma non ti amavo
come amo Veronica ed ora smettila, smettila! Non ti sopporto, girati,
siediti
e... – non fece in tempo a finire la frase che il motore
dell’aereo iniziò a
rombare.
Strinse
convulsamente il bracciolo
finché le nocche le sbiancarono.
- Ne
riparliamo dopo – sibilò Sabrina
mettendosi composta nel suo sedile. Michele toccò la spalla
di Elena con due
dita.
-
Ignorala, ignorala, ignorala... –
le ripeté lentamente come un mantra, sperando che le
anestetizzasse il cervello
surriscaldato dal mal di testa e dalla rabbia.
-
Aspetta che usciamo da qui, le
metto le mani addosso: sarà la prima volta che alzo le mani
su una ragazza ma
giuro, com’è vero che la Terra gira intorno al
Sole, che le spacco la faccia,
gliela riduco ad un budino! –
Elena
era furiosa: oltre all’angoscia
che le attanagliava lo stomaco, serrandoglielo con bruta forza, causata
dalle
manovre dell’aereo, sintomo del suo prossimo alzarsi in volo,
la testa le
esplodeva per il nervoso e i tre caffè. Si maledisse per
aver ceduto all’amore
per la caffeina.
Appoggiò
la testa contro il sedile e
chiuse gli occhi, sperando che il mondo attorno a lei sparisse.
Immediatamente
il volto sorridente di Veronica le guizzò davanti agli occhi.
-
Amore, rilassati e andrà tutto
bene! Qua la professoressa di italiano sta interrogando Bianca:
l’ha colta in
flagrante, non aveva nemmeno ripassato e sta facendo una figura un
po’ becera!
Ricordati di chiamarmi quando atterri! –
La
meravigliosa visione svanì quando
l’aereo s’immobilizzò sulla pista. I
secondi di immobile quieta prima della
tempesta. Michele osò sfiorarle una mano e lei
gliel’afferrò, stritolandogliela
senza pietà.
- Oh
mio Dio, Atena, Visnù, Diana,
Ramos, vi prego... – borbottò Elena stringendo gli
occhi. Il comandante
comunicò rapidamente con la torre di controllo che,
evidentemente, gli diede il
nulla osta perché il motore tornò a ruggire come
un leone, per poi iniziare ad
accelerare.
- Stai
calma, andrà tutto bene... –
tentò di calmarla Michele, ma le sue parole erano
senz’altro meno efficaci di
quelle della dolce Veronica, nonostante fossero sottoforma di
allucinazione.
- Sta
per decollare, vero? – mormorò sentendolo
staccarsi leggermente da terra. Il suo stomaco fece una capriola per il
felice
sciaguattare dei suoi succhi gastrici.
-
Sì, però calmati, non capiterà
nulla –
A
nulla valsero i tentativi di
Michele: quando l’aereo si staccò definitivamente
da terra, un’ondata di nausea
investì Elena che gemette impercettibilmente, chiudendo gli
occhi. Le si erano
tappate le orecchie che ora le facevano un male tremendo, gli organi
interni
schiacciati dentro di lei per la pressione, si sentiva sprofondare in
quel
sedile.
-
Quanto odio l’aereo – ringhiò a
denti stretti, la mano di Michele sempre agonizzante nella sua.
La
signora accanto a lei pareva
assolutamente indifferente a tutto quanto e stava sgranocchiando
serenamente
dei pistacchi che estraeva già sgusciati da un sacchetto
trasparente.
-
Durerà ancora tanto? –
- No,
si sta stabilizzando, non
senti? –
- No!
Non voglio sentire né vedere nul...
oh santi Numi! – esclamò coprendosi
gli occhi: per sbaglio aveva lanciato un’occhiata fuori dal
finestrino e tutto
quell’azzurro sconfinato l’aveva terrorizzata.
-
Ragazza, dovresti prenderla più sul
ridere: immagina di essere un angelo su una biga dorata e magica che
solca il
cielo senza bisogno d’ali e goditi lo spettacolo fuori dal
finestrino – disse la
signora con i pistacchi sorridendo gentilmente.
- Mi
spiace, signora, ma sono
bloccata – mormorò Elena il cui stomaco ancora
bruciava.
-
Allora distraiti con qualcosa –
propose lei, per poi immergersi nella lettura di un libro.
- Dai,
continuiamo con le nostre
parole crociate! – esultò Michele sollevando il
giornaletto.
- La
biro, dove l’hai messa? –
- Qua
in giro, ora la recupero –
Elena
sorrise alzando gli occhi: la
paura non le era per nulla svanita ma almeno la prospettiva di farsi
due risate
in compagnia di Michele l’aveva messa di buon umore e lui era
finalmente
riuscito a mettere in salvo la sua mano destra prima che andasse in
cancrena.
- 8
verticale: caduta di vocale o
sillaba iniziale di una parola – lesse Michele. Elena
sbirciò la serie di
caselle corrispondenti al numero delle lettere, poi diede la risposta.
-
Aferesi –
- Non
sai quanto ti odio quando sai
le risposte – grugnì lui riportando la parola.
-
Be’, quella dopo non la so –
- 9
verticale: cotechino tradizionale
del Friuli-Venezia Giulia – lesse Michele per poi sbuffare
sonoramente:
riusciva a malapena a collocarlo geografica sulla cartina politica
dell’Italia,
figurarsi conoscere il suo cotechino.
L’atterraggio
era stato piuttosto
brusco perché su Parigi soffiava un forte vento: Elena aveva
rischiato di
vomitare la colazione non ancora digerita ed era tornata a ridurre in
poltiglia
la mano del suo sventurato amico. La discesa rapida e turbolenta,
ancora prima,
l’aveva fatta raggelare nel suo sedile, contratta e immobile
come una statua di
marmo d’età classica: nella sua prigione di
austero ed imperturbabile marmo
erano intrappolate tutte le passione dell’animo umano. In
questo caso il
terrore e la nausea.
Quando
il pilota aveva annunciato di
allacciarsi le cinture a causa delle intemperie atmosferiche, Elena
aveva
temuto di svenire e Michele era stato costretto a rifilarle un ceffone
che senz’altro
lei gli avrebbe restituito una volta scesi dalla trappola volante.
I
vuoti d’aria erano stati
terribilmente angoscianti, la sensazioni di precipitare nel vuoto, di
sprofondare in quel baratro di cielo e schiantarsi sulla fredda terra
sotto di
loro. No, cercava di non pensarci ma le riusciva difficile con tutta
quella
gente che strillava per ogni sobbalzo.
Alla
fine, però, esultante era
riuscita a scendere dall’aereo e non appena ebbe messo piede
a terra, terminata
la scaletta metallica, inspirando a fondo l’aria fresca di
Parigi, vomitò
finalmente quella maledetta colazione accanto alle scarpe di una Morena
in
preda al panico.
- Bonjour,
Paris, siamo arrivati! – esultò Michele
dando una pacca sulla spalla di
Elena.
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Capitolo 8 *** L'angelo guerriero ***
Eccomi di ritorno con un nuovo aggiornamento dopo un’estate di silenzio!
Dopo la maturità, tutto sembrava molto più rilassante e appagante: sono stata in Liguria, come ogni anno da diciannove anni a questa parte, per poi concedermi cinque giorni in Sardegna con alcuni amici, sfruttando l’occasione per incontrare nuovamente quella grandissima lagna di Kabubi, che già era stata mia ospite ad inizio agosto, e la sua dolce metà Riotwithdance. Assieme a loro e ai miei quattro scalcinati amici abbiamo celebrato una serata-tacos indimenticabile!
Vi farà piacere sapere che sono ufficialmente una matricola del Politecnico di Torino (con tanto di tesserino e libretto, ora me la tiro) e in questi giorni sono davvero molto impegnata con le pulizie nell’appartamento di mia nonna, dove mi , abbandonando l’amato campagna, tra una settimana assieme ad un mio carissimo amico, compagno di mille sventure, nonché mio finocchio preferito. Sarà una casa molto queer! (Una nostra amica ha già annunciato che ci regalerà un tappetino arcobaleno con su scritto “Born this way”. Sia ben chiaro che nulla del genere entrerà mai in casa mia! Però, forse, le presine arcobaleno...)
Infine, per quanto riguarda l’iniziativa di UR Editore “Niente è come prima”, la casa editrice ha deciso di firmare i nostri racconti con i nostri veri nomi; inoltre dovremo rispondere ad alcune domande per una sorta di intervista on-line che sarà pubblicata sulla pagina Facebook di Efp. In sostanza, la mia super-identità segreta andrà a pezzettini. In realtà, ho deciso che alla fine non mi importa più molto: una volta quasi nessuno sapeva della mia omosessualità, ora tutte le persone che mi sono care ne sono a conoscenza, e degli altri non mi importa un fico secco! Riuscirò a superare l’imbarazzo di vedermi collegate le porcherie che scrivo! Quindi, giunti a questo punto, vi devo ringraziare, perché sono cresciuta scrivendo per voi e con voi, grazie di cuore!
La smetto di tediarvi con le considerazioni sulla mia misera e trista vita di quasi studentessa universitaria e vi lascio alla lettura del capitolo! Come al solito un grande ringraziamento a tutti quanti, e mi scuso fin da ora se risponderò lentamente alle recensioni: la casa di Torino necessita davvero di essere pulita, quindi trascorrerò su intere giornate!
Per questo capitolo si ringraziano in particolare Nessie per la pazienza, Kabubi per il medesimo motivo e Wrath, indovinate un po’ perché! Grazie che mi sopportate nei periodi di calo d’ispirazione!
Il capitolo invece è dedicato alla mia metà dell’anima (in senso platonico e molto, molto figurato), Calypso, che ora se la spassa in un’altra metropoli e sguazza tra matematica ed economia, e mi manca tanto!
p.s. Com’è stato il rientro a scuola di quelli tra voi che ancora sono al liceo? (Notare il sadico compiacimento in queste parole!)
Genere: Romantico, Triste
Avvertimenti: Femslash
Rating: Giallo
***
Capitolo VIII
L’ANGELO GUERRIERO
«Lo comprendete il senso di tutto questo discorso?»
La tipica frase pronunciata dalla professoressa di filosofia dopo una spiegazione contorta circa il pensiero di uno dei suoi pupilli.
Veronica osservava di sottecchi Bianca che premeva con cautela i tasti di un vecchio Samsung dall’aria consunta sotto al banco, lanciando vigili occhiate all’insegnante che marciava di fronte a loro, come una sentinella che pattuglia il perimetro murario. Martina, invece, ascoltava e prendeva diligentemente appunti senza sollevare il naso dalla pagina di quaderno aperta sotto di esso, la penna stretta con foga e gli occhi stretti.
«Lo sta facendo davvero?», sussurrò Veronica, il movimento delle labbra nascosto con nonchalance da un elegante gesto della mano.
«Dire stupidaggini? È la prof, Vero, te ne stupisci?», replicò scrollando le spalle e tornando a concentrarsi sul telefonino.
«Non parlavo di lei, ma di Marti. Mi fa paura quando prende appunti così. Il caterpillar della filosofia», rabbrividì Veronica osservando i furiosi tratti di inchiostro nero affastellarsi sulle righe della pagina.
«Be’, quando fa così anch’io ne ho timore: le pupille le diventano verticali, come quelle dei serpenti, e non capisce più nulla. Ora, prova a sfiorarla in qualche modo...», suggerì Bianca sghignazzando piano. Veronica allungò lentamente il braccio e sfiorò con la corta unghia dell’indice la guancia dell’amica. Quella trasalì, come terrorizzata, mentre la sua mano subiva uno spasmo che vide come esito una armoniosa rigaccia occupante l’intera pagina. Il ribollire delle viscere di Martina attirò l’attenzione della professoressa.
«Aimassi, qualche problema?», chiese con la sua voce gutturale, decisamente in disarmonia con la tenera boccuccia da cui usciva.
«No, professoressa, solo... Può ripetere l’ultima cosa? Non penso di aver... capito», lanciò un’occhiata di fuoco alle sue ridanciane vicine di banco per poi riprendere a devastare quel povero quaderno con la sua marcata calligrafia.
«A chi scrivi?», domandò Veronica curiosa mentre la professoressa tornava a sproloquiare di volpi al guinzaglio e fortini a palle di neve.
«Uh?», grugnì Bianca senza scostare lo sguardo.
«Testa di cemento, con chi ti messaggi?»
«Ah. Vincenzo», rispose senza sprecare due parole di più. Veronica sorrise sconsolata di fronte all’amica, perennemente innamorata e perennemente piantata in asso. Vincenzo era l’ultimo principe azzurro di una lunga e azzardata serie.
«Guarda che sento il tuo scetticismo come fosse mio: emani più vibrazioni negative di un martello pneumatico», borbottò Bianca posando il telefono sulle cosce e legandosi i capelli colorati con un grosso elastico nero. «Inoltre, cara la mia topa innamorata, pensa alla tua principessa rosa!», ridacchiò.
«Penso che l’epiteto non le si confaccia minimamente, Bi. Soprattutto la componente cromatica!»
«Mm, devo dire che Elena porterebbe divinamente un tubino rosa con tanto di scarpe con tacco intonate», sghignazzò Bianca. Se la rideva alle spalle di Elena Cantalupo, ma nemmeno lei si sarebbe conciata in quella maniera ridicola.
«Smettila di ridere di lei», replicò serissima Veronica, incenerendola con lo sguardo.
«Mamma mia, come sei spinosa oggi! Però ammetto che Elena ha il suo fascino, quando si mette i jeans a vita bassa...», il filo del discorso di Bianca venne interrotto dall’improvviso vibrare del suo cellulare, che produsse un suono ovattato contro i suoi jeans. Vincenzo aveva risposto.
Dimentica di ogni discussione, la ragazza si immerse nella lettura mentre Veronica tornava a fissare le lancette dell’orologio. La loro rapidità era inversamente proporzionale alla spinta vitale che le strillava di fuggire dall’aula, soffocata a stento dalla Veronica razionale e ponderata.
«Fa freddo. Non dovrebbe fare così freddo. Ho i brividi...», stava borbottando Angela. Un mantra che andava avanti da parecchi minuti. Nel laboratorio di chimica si stavano congelando le terga a causa del buco nel muro, che li metteva in diretta comunicazione con la strada: gli operai stavano lavorando per ampliare l’ambiente.
«Invece di parlare a vanvera dimmi l’ora, ne ho fisicamente bisogno», la esortò Elena posandole una mano sulla spalla e stringendo leggermente: pallido tentativo di scaldare l’amica, che venne poi prontamente abbracciata da Loredana, soffocata nella sua matassa di ricci scuri.
«Mancano dieci, fottuti minuti», sbuffò Angela sotto quella criniera castana.
«Fate attenzione!», stava strillando il professore di chimica in direzione di alcuni ragazzi che maneggiavano con poca cautela una serie di provette dall’aria sospetta.
«Che cretini», stava borbottando Michele, seduto dietro ad Elena. Fissava con odio e disgusto quel gruppo di caproni pieni di steroidi, aitanti giocatori di calcio e rugby che tendevano ad occupare costantemente il palcoscenico della classe.
«Fregatene, fregatene!», lo scosse con forza la ragazza afferrandolo per il gomito.
«Dimmi qualcosa di bello, fammi dimenticare della loro esistenza», piagnucolò Michele alzando gli occhi al soffitto scrostato.
«Vado a pranzo a casa di Veronica e siamo da sole...», ammiccò Elena gongolando.
«Oh sì, mentre fuori nevica e voi fate le cose sporche sotto al piumone. È una cosa molto carina. Anch’io voglio farlo», si lagnò Michele.
«Tu e Nadia state assieme da appena un mese, non pretendere che te la dia al primo schiocco di dita», lo mise in guardia la ragazza con un sorrisetto.
«Non ho detto questo, maliziosa! Voglio solo abbracciarla...»
«Che tenerone! Diglielo, no?», lo esortò Elena scuotendo il capo con aria di superiorità. Chiacchieravano serenamente perché il professore li aveva lasciati liberi di portare a termine un divertente esperimento e scorrazzava da un gruppo all’altro per controllare che nessuno facesse saltare in aria la scuola.
«Tu avresti accettato?»
«Michele, devo ricordarti che io e Veronica siamo state fin troppe volte coricate assieme sotto al piumone prima di stare assieme? È una situazione diversa, comunque io non direi di no».
«Ah già, voi siete lesbiche», sbuffò Michele, impaziente di udire il trillo del campanello per poter tornare a casa e sentire la sua adorata Nadia.
Elena non replicò e tornò a concentrarsi sul suo tavolo di lavoro, dove Angela e Loredana stavano complottando a bassa voce.
«Che succede?», domandò curiosa sporgendosi verso di loro.
«Sabrina sta sparlando di te e stavamo complottando per rovesciarle dell’acido nel portapenne», rispose Loredana mortalmente seria.
«Oh no, non fate niente, vi prego. Vivi e lascia vivere: se lei sparla di me sono fatti suoi. Non voglio rovinarmi la giornata...», il trillo della campanella coprì le sue ultime parole.
I ragazzi scattarono in piedi, gli zaini già preparati in previsione di una rapida fuga. Si accalcarono contro la porta, sgomitando e spingendo che manco avesse preso fuoco l’edificio. Elena era impaziente di raggiungere il Liceo Classico, verso il quale si diresse a passo di marcia dopo aver salutato rapidamente la sua compagnia di amici. Michele le augurò buona fortuna per la permanenza sottocoperta.
«Che strazio, amiche», borbottò Bianca raccogliendo le sue cose dopo il suono della campanella. «Non voglio più sentire tutte queste stupidaggini su gente che non può sedersi a tavola senza prima aver decapitato qualcuno.»
«Troppe, troppe fesserie», concordò Veronica chiudendo il suo zaino e caricandoselo in spalla.
«Be’, non mi pare che vi siate spaccate la schiena...», le rimbeccò pungente Martina, ancora offesa per il gesto di poco prima.
«Su, Tina, non essere così rigida: devi concordare con noi sulla marea di porcherie! Io, infatti, compio un’opera di epurazione e mentre tu scrivi sei pagine di cose inutili, io estrapolo i concetti chiavi e le riduco a due», replicò sorniona la bionda, attendendo che Bianca finisse di raccogliere il contenuto del suo portapenne che si era rovesciato sul pavimento.
«Va bene, ma io mi diverto molto di più studiandole dopo», sogghignò Martina per poi sbraitare contro la ragazza dai capelli colorati, ricordandole quanto fosse goffa e lenta.
Le tre uscirono ridendo e spintonandosi come delle bimbette delle elementari: Martina era felice perché quel pomeriggio avrebbe disputato un torneo pallavolistico, Bianca perché si sarebbe fiondata tra le braccia di Vincenzo e Veronica perché la attendeva un dolce pomeriggio con la sua metà.
La individuò immediatamente ai margini della calca urlante e multicolore, lo sguardo perso tra essa, preoccupata di non vedere la sua Veronica. La bionda agitò un braccio fino ad attirare la sua attenzione: il sorriso di Elena fece allargare immediatamente anche il suo.
«La faccia di Giulia...», si limitò a mormorare Martina sogghignando. Veronica seguì il suo sguardo, fino ad incontrare la smorfia rabbiosa di quella che era stata la sua migliore amica fino a qualche mese prima, ovvero fino al momento in cui la ragazza era stata messa al corrente dell’omosessualità di Veronica e della sua relazione con Elena, che lei detestava cordialmente.
La ragazza deglutì e disse una battutaccia qualsiasi fingendo di ridere: anche se si atteggiava a menefreghista, in realtà l’aver perso Giulia la faceva ancora soffrire moltissimo. Soprattutto perché non riusciva più a capirla, né riconoscerla.
Raggiunse rapidamente la sua dolce metà, sgomitando nella calca di urlanti liceali intenti a combattere fra loro usando le palle di neve come armi improprie. Veronica fu costretta ad abbassarsi due volte per schivare dei proiettili diretti contro di lei. Imprecò fra i denti e quasi scivolò davanti ai piedi di Elena, che la afferrò per i gomiti evitandole uno spiacevole tête-à-tête con il marciapiede ghiacciato.
«Grazie», sussurrò affannata, per poi abbracciarla.
«Ci mancherebbe altro. Cosa fanno quelle due scimmie?», domandò Elena alludendo a Martina e Bianca: la seconda aveva appena fatto scivolare con scaltrezza un mucchietto di neve nello scollo posteriore del maglioncino dell’altra, che si stava dimenando manco avesse avuto il fuoco di sant’Antonio.
«Se fossi Bianca avrei già iniziato a correre: l’ira di Martina è particolarmente funesta oggi, dato che l’abbiamo tormentata un po’ durante le ore di storia e filosofia...», sorrise Veronica sotto i baffi, mentre Elena alzava gli occhi al cielo domandandosi se quello fosse davvero un Liceo Classico.
«Andiamo a casa? Ho una fame terribile: non senti il mio stomaco? Gorgoglia più di un lavandino otturato», brontolò Veronica portandosi una mano guantata all’altezza del ventre.
«Povera chouchou...», mormorò Elena posandole un bacio sulle labbra e una mano su quella che Veronica aveva appoggiato al giubbotto imbottito all’altezza dello stomaco.
Salutarono le due ragazze, troppo impegnate una a correre strepitando dietro all’altra che rideva istericamente tentando di sottrarsi alle sue grinfie, e si avviarono verso il Viale della Chiocciola ambrata.
«Cosa avete fatto di bello oggi?», domandò Veronica stringendo la mano dell’altra, lo sguardo fisso sul marciapiede per evitare le lastre di ghiaccio: aveva nevicato abbondantemente nella notte e l’amministrazione comunale non aveva ancora fatto spargere sabbia e sale grosso sulle strade.
«Niente di speciale... siamo andati in laboratorio e ci siamo congelati il culo...», Elena iniziò ad illustrare all’altra le amenità capitate in quel laboratorio, calcando molto la mano sull’isteria del professore, che aveva passato la maggior parte del tempo zigzagando tra i ragazzi, le mani nei pochi capelli rimasti e gli sgranati come globi lunari. Poi le disse che le era giunta voce che Sabrina continuava a parlar male di lei.
«Dovresti ignorarla, lo sai? Penso che prima o poi si stancherà di darti fastidio: insomma, se ne farà una ragione!»
«Lo so, lo so! Io ti giuro che la ignoro, non le dico nulla... manco la guardo! Lei, invece, continua a macerare bisbigliando insulti e maldicenze. La ignoro, però, perché di litigare con una mantide religiosa come lei non è proprio il caso», sbuffò Elena. Veronica le si aggrappò al braccio, baciandole affettuosamente una guancia, per poi rassicurarla con tenere parole.
*
«Meno male che l’avevo chiesto senza origano...», borbottò Paola osservando il suo panino pomodoro e mozzarella con cipiglio scuro.
«Ah! Andiamo Pale, due foglioline verdi non hanno mai ucciso nessuno», sorrise bonaria Erica prima di addentare un panino al tonno con lo stesso sguardo famelico di un predatore della savana.
«Rica, solo perché tu mangi qualsiasi cosa si frapponga tra te e la tua fame ancestrale, non significa che anch’io debba ingollare tutto ciò che non puzza di marcio», obiettò Paola guardando con odio l’origano sui suoi pomodori.
«Oh, andiamo, non farmi passare per una fogna a cielo aperto!»
«Non parlare di fogne: il colore dell’origano mi ricorda... liquami. Ecco, mi sta passando la fame» sussurrò Paola posando nel piatto il suo pranzo. Erica scoppiò a ridere, portandosi una mano alla bocca per nascondere ciò che presto sarebbe stato spedito allo stomaco.
«Parlando di liquami, devo giusto chiamare per la fossa biologica...»
«Erica!», sbottò Paola sgranando gli occhi per poi tornare a posarli sul suo panino con aria molto offesa.
«Va bene, Pale, scusa, cambiamo argomento. Sai già se Lilith ha organizzato qualcosa per il compleanno di Walter? Mancano solo due settimane...»
«In realtà no, l’ultima volta che ne abbiamo parlato mi ha solo detto che stava ancora decidendo se prenotare al ristorante o organizzare qualcosa di casalingo», spiegò Paola che si era fatta forza e aveva ripreso in mano il suo pranzo, sospirando.
«A proposito di figli, Mattia e Federica sono a casa tua, vero?», domandò Erica improvvisamente preoccupata. Paola sorrise, rassicurandola che sarebbero stati al sicuro fino a sera.
«Bene, per un istante non ricordavo più se li avessi spediti tutti e tre da mia suocera e temevo che la povera Rosa sarebbe impazzita con quelle tre pesti!»
«Guarda che i tuoi figli sono le persone più civili che conosca! Edoardo è molto arrogante ultimamente, Simone fa sempre chiasso con Walter, le gemelle passano il tempo a tentare di strapparsi i capelli... Cosa dovrei dire?», rise Paola alzando gli occhi al cielo. Però erano i suoi adorati figlioli, li avrebbe amati anche se fossero stati terroristi baschi.
«Ti concedo che Veronica, Mattia e Federica siano intoccabili, però Claudio è un po’ difficile da gestire...»
«Ha solo quattordici anni, è nel pieno della pubertà: la terza media è un anno tremendo per la maggior parte dei ragazzini».
«Sì, ma per i primi tre non è stato così... e lo sai! Ho provato a parlargli, ma è molto chiuso, non vuole ascoltare né me né Gianni, tantomeno i suoi fratelli! Quando ho tentato di suggerirgli di confidarsi con Mattia se aveva qualche problema intimo di cui non voleva parlare con noi, si è messe a strepitare che lui con quello non aveva la minima intenzione di parlarci. È sempre così astioso...», sospirò Erica pulendosi gli angoli della bocca dalla maionese.
«Già... Mi dispiace che lui e Maggie siano gli unici dei ragazzi a non andare d’accordo con il resto del gruppo. Maggie però pare improvvisamente impazzita: fino ad un anno fa lei e sua sorella litigavano normalmente, come due sorelle dovrebbero fare. Ora pare che si siano giurate guerra eterna, e non solo con i miei, anche con Federica!», spiegò Paola perplessa per il repentino cambiamento della figlia, non riusciva a darsi nessuna spiegazione plausibile.
«Lasciamo che se la sbrighino loro ancora per un po’: saranno i soliti magoni della loro età. Se entro qualche mese vediamo che nulla cambia, allora propongo di intervenire», sentenziò Erica ingoiando l’ultimo boccone del panino che aveva divorato interamente, mentre Paola non era nemmeno a metà.
«A proposito... Veronica è a casa da sola? Perché non viene anche lei da me?», domandò Paola dopo aver deglutito un morso troppo grande per il suo esofago.
«No, tranquilla, ha insistito per invitare Elena a pranzare da noi. Penso che studieranno per finta e passeranno il tempo a chiacchierare o guardare video idioti su Youtube!», rise Erica scuotendo il capo.
«Magari per un po’ studieranno davvero, Veronica è molto diligente...»
«Sì, probabilmente sì. Però poi cederebbe: mi ci gioco quello che vuoi che quando torno a casa le trovo addormentate davanti ad un musical!»
«Rica, spesso tua figlia ed Elena mi ricordano noi due da giovani», scoppiò a ridere Paola, coprendosi la bocca con una mano.
«In che senso?», inquisì dubbiosa Erica.
«In tutti i sensi».
«Mm, ammetto sinceramente di averci pensato: Elena sappiamo per certo essere omosessuale, stava con quella Sabrina, della quale Veronica ha sempre parlato con molto astio, allo stesso tempo però so che loro due sembrano sorelle. Non sarebbe... incestuoso?»
«Parli del diavolo...», sussurrò concitata Paola indicando ad Erica due figure visibili attraverso la vetrina del bar. Elena e Veronica stavano passando proprio lì davanti, il braccio della mora sulle spalle dell’altra e chiacchieravano spensieratamente.
«Sbrigati Pale, voglio fare una cosa molto infantile!», ridacchiò Erica alzandosi in piedi e raccattando con una sola manata le sue cose, per poi schiaffare quindici euro sul bancone ed esclamare la classica frase da film «Tenga il resto!», trascinando con sé Paola e il suo mezzo panino.
Si precipitarono all’esterno, indossando rapide i rispettivi cappotti invernali prima che il freddo provocasse loro una sgradita congestione.
«Mi raccomando, la parola chiave è furtività», bisbigliò Erica. Aveva atteso di distanziare le due di almeno una ventina di metri prima di iniziare a pedinarle.
«No, fammi capire: tu stai davvero seguendo tua figlia? Ed io lo sto facendo assieme a te?», domandò Paola perplessa e piuttosto scettica circa l’invasione della privacy altrui.
«Esatto! Andiamo, Pale, abbiamo fatto di peggio ai bei tempi!», ridacchiò Erica. «Se però scopro che stanno assieme le faccio un mazzo tanto: come ha osato non dirmi nulla?! Non l’ho educata io così...»
*
«Sei sicura?», domandò Elena a Veronica poggiando per alcuni istanti il naso fra i suoi capelli ondulati.
«Assolutamente: Claudio è stato spedito da nonna Rosa e gli altri due sono a casa dei Volpe, siamo sole solette...», pigolò Veronica, infondendo all’ultima parte della frase un tono volutamente malizioso.
«Non avrei dovuto fare l’amore con te», rise Elena, apparentemente molto divertita.
«Perché?», domandò piccata Veronica, spingendo in fuori il labbro inferiore come una bambina capricciosa.
«Perché ora non mi dai tregua», la prese bonariamente in giro la mora.
Si punzecchiarono senza sosta, premendo tutti i tasti dolenti che capitavano loro a tiro, ridendo felici di potersi divertire assieme. Passeggiavano tranquillamente fra i cumuli di neve, sempre strette l’una all’altra.
«Ah, devo davvero dirti cosa ha detto Sabrina di te l’altro giorno! È esilarante quella ragazza», rise di gusto Elena al ricordo, mentre Veronica, curiosa, pendeva dalle sue labbra.
«Ha detto che tu sei lo stereotipo della bionda e avvenente figlia di papà, che sei una manipolatrice senza scrupoli e - senti questa perla! – mi stai già tradendo con qualcun’altra», scoppiò a ridere Elena, che non aveva mai sentito un cumulo di idiozie più alto e fetente di quello uscito dalla boccuccia a cuore di Sabrina.
Veronica, però, non parve divertirsi molto, specialmente riguardo l’ultima cattiveria. Le bruciava lo stomaco al solo pensiero che quella cagna avesse osato accusarla di essere una cornificatrice. Come se lei avesse potuto tradire Elena! Assolutamente ridicolo e folle.
«Te la sei presa, amore?», mormorò Elena cercando di interpretare il suo sguardo.
«Tu lo sai che io non ti tradirei mai, vero?», rispose con una domanda, preoccupata che non fosse abbastanza chiaro. Elena la costrinse a fermarsi e, fissandola intensamente negli occhi, che avevano assunto la tenue sfumatura tendente al grigio del cielo, le giurò che non avrebbe mai potuto pensarlo, né tantomeno farlo lei stessa.
Posando due dita sulla sua guancia, le si avvicinò per baciarla, ma proprio un istante prima di concretizzare le sue intenzioni si fermò.
«Stiamo insieme da... sette mesi, chouchou, però siamo migliori amiche da quindici anni. Con Sabrina ci sono stata insieme sei mesi e non siamo mai state migliori amiche. Vogliamo mettere queste informazioni sui piatti di una bilancia?»
«Okay, okay! Mi arrendo...», sussurrò Veronica chiudendo gli occhi e baciando la sua ragazza, ben felice di poterla stringere a sé.
*
«Più le pediniamo e più mi sento stupida...», borbottò Paola scivolando silenziosa dietro un’eccitata Erica, manco stessero seguendo il bel culetto di Johnny Depp.
«Sh, Pale!», la rimproverò Erica. «Io, invece, più le seguo e più mi rendo conto che ho ragione. Guarda come Elena abbraccia mia figlia!» gongolava la donna.
«Abbiamo quarantacinque anni, devo ricordartelo per forza? Sembriamo due adolescenti in preda agli ormoni...»
«Sei una disfattista. Andiamo, voglio solo sapere cosa mi nasconde la mia primogenita, ti sembra un delitto?» ribatté Erica accorata.
«No, certo che no... Va bene, mettiamola così: almeno non è un aitante maschione che sprizza virilità e autocompiacimento per le tre ore al giorno che passa in palestra. E non può metterla incinta», si concedette un sorriso la tesa Paola, che ancora era convinta di star facendo una pessima cosa e si sentiva in colpa, manco avesse rubato i soldi ad un mutilato che chiedeva l’elemosina.
«Preferisco sapere che ha perso la verginità con Elena, in effetti, mi rassicura... Almeno non arriva ai trenta con la gigina sigillata nel cellophane!»
«Guarda, Rica, guarda!», bisbigliò concitata Paola afferrando l’amica per la manica del cappotto. Le due ragazze si erano improvvisamente fermate ed Elena teneva due dita sul viso di Veronica.
«Lo sapevo, lo sapevo!», soffiò felice la madre della bionda, stringendo il pugno sinistro in segno di vittoria.
«Ma non si stanno mica baciando...», tentò di smorzarla Paola, facendole cortesemente notare che nulla di concreto era ancora accaduto.
«Concedigli qualche istante... Ecco, me lo sento... Sì! Si sono baciate! Guarda che carine!», esultò Erica che dovette trattenersi a stento dal correrle tra le braccia e stamparle due grossi baci sulle guance.
«Calmati, Erica, è una cosa normale, non capisco il tuo entusiasmo...»
«Pale, io adoro Elena: è una bravissima figliola, è perfetta per la mia bambina. Sono solo felice che sia in buone mani... Avrei esultato come una pazza anche se si fosse messa con tuo figlio, o con un altro ragazzo buono come il pane e che la ami davvero», spiegò Erica. Le due donna si erano fermate: non aveva più senso proseguire con l’operazione di spionaggio dato che avevano la prova provata della loro relazione. Più cristallino di così!
«Direi che sarebbe anche tempo di avviarci a lavoro: la nostra pausa pranzo finisce tra mezz’ora!», si rese improvvisamente conto Erica lanciando una rapida occhiata al quadrante del suo elegante orologio dal cinturino in pelle.
«Non sono stata io a voler perdere tempo dietro a tua figlia», ridacchiò Paola prendendola in giro con affetto. «Però un caffè sarebbe perfetto, che ne dici?»
«Dico che mi sta più che bene», asserì Erica, per poi aggiungere «Pale, tu che faresti se uno dei tuoi figli saltasse su dichiarandosi omosessuale?»
«Io? Niente. Be’, di sicuro non li pedinerei! Sai benissimo che l’importante è che stiano bene con loro stessi, dunque gli direi di farsi coraggio e camminare a testa alta, in barba alle maldicenze e al bigottismo. Mi conosci, Rica, che domande fai?»
«Era per curiosità... In realtà anch’io ho un sospetto su una delle tue figlie...», sghignazzò la donna, immediatamente rimproverata dall’amica.
«Non pedineremo nessuna delle gemelle, chiaro?! Se una di loro vorrà dirmi qualcosa, la aspetto a braccia aperte, ma non sarò io a seguirle come una madre apprensiva e sospettosa!»
«Pale, dicevo per scherzare!»
«Li conosco fin troppo bene i tuoi scherzi, Rica...», sospirò Paola con un sogghigno sul volto in onore dei vecchi tempi.
«Te lo ricordi il furgoncino della Volkswagen?», sghignazzò Erica.
Le due donne sparirono dietro l’angolo di un negozio di arredamento, e il ricordo con loro.
*
«Non riesco a trovare la chiave», esalò Veronica e le sue parole vennero immediatamente sublimate in nuvolette di vapore, il labbro inferiore che tremava leggermente per il freddo pungente.
«Calma, chouchou, l’avrai messa in qualche tasca dello zaino...»
Iniziarono dunque assieme una spasmodica ricerca che si concluse con un’esclamazione gioiosa di Veronica, che annunciava il ritrovamento del piccolo oggetto, e una sua scivolata all’indietro a causa della foga.
Sbatté con poca grazia il sedere sul marciapiede prima che Elena potesse accorgersene.
«Io... Ahia...», ringhiò Veronica massaggiandosi un polso, con il quale aveva tenta di ammortizzare la caduta.
Elena scoppiò a ridere del suo scarso equilibrio, facendole notare che se avessero dovuto fuggire correndo su una fune tesa sopra la fossa degli alligatori lei sarebbe stata fregata. Veronica ritrovò subito il sorriso, storcendo amabilmente il naso davanti agli occhi innamorati della compagna. La chiave stretta nel pugno che manco Andùril[1], Veronica spalancò il cancello d’ingresso tenendolo aperto con la punta delle dita per concedere ed Elena il privilegio di calpestare per prima il giardino innevato.
Rispetto al pungente freddo che si insinuava sotto al giubbotto e alla sciarpa, il tepore di casa Mantovani parve loro un clima tropicale.
«Porca miseria...», boccheggiò Veronica riponendo sulla gruccia giubbotto e accessori di lana colorata.
«Mm, c’è qualcosa di buono per pranzo? O dovrò cucinare io come al solito?», domandò Elena con aria eloquente ammiccando in direzione del piano cottura.
«No, testona, mia mamma ci ha lasciato l’insalata russa e lo spezzatino da scaldare», la rimbeccò Veronica sollevando il coperchio di una pentola e indicandole il contenuto con un sorrisetto compiaciuto.
«Bene, allora tu cambiati, io accendo il gas. Torna poi per darmi una mano con la tavola», le ordinò con tono da generale Elena afferrandola per le spalle e posandole un bacio sulle labbra.
Veronica zampettò nella sua stanza soddisfatta dei suoi progetti per la giornata. Aprì l’armadio per riporvi i jeans e la dolcevita di lanetta. La temperatura era ideale per dolci coccole sotto al piumone. Avevano fatto l’amore un mese prima sotto quello stesso piumone (che nel frattempo era stata lavato almeno due volte), la tormenta di neve attorno a loro. Quel pomeriggio, però, era decisamente in vena di tenerezze e carezze smielate. Doveva attenuare l’acidità trasmessale dallo sguardo di Giulia e nulla meglio che riposare tra le braccia della sua innamorata poteva rigenerare in lei un armonioso senso di pace.
S’infilò una morbida felpa azzurra e un paio di pantaloni grigi, poi ritornò di corsa in cucina rischiando di scivolare sul tappeto nell’ingresso.
«Tu hai dei seri problemi d’equilibrio», ridacchiò Elena afferrandola per il bavero dell’indumento e poggiando la propria fronte su quella dell’altra ragazza.
«Sono solo affannata...», mormorò Veronica prima di essere baciata con foga. «Uh, aspetta, lo spezzatino!», esclamò Elena per poi schizzare come un fulmine ai fornelli e spegnere in tempo il gas, prima che il cibo iniziasse a bruciare.
Consumato il pasto, si trasferirono finalmente nell’agognata meta della giornata: il letto di Veronica. Elena ebbe l’onore di sollevare il piumone color cielo, intonato alla felpa della sua dolce metà, che si raggomitolò in posizione fetale, le spalle al muro.
«Sono stanchissima» sbuffò Elena coricandosi accanto a lei. «Mi canti qualcosa?» sussurrò avvinghiandosi a lei con tutto il corpo, le gambe intrecciate e le mani strette.
«Mm, va bene...»
Elena chiuse gli occhi, abbandonandosi alla voce sensuale di Veronica, così affascinante e piacevole, dalla quale lasciarsi attraversare senza ostacolarla, mentre tutte le sue membra si rilassavano. Appoggiò le labbra sulla fronte della compagna, beandosi nell’udirla.
«Vorrei però qualcosa in cambio...», ridacchiò Veronica quando il suo canto si interruppe. Elena borbottò quanto fosse stanca in quel momento, ma fu bellamente ignorata dalla ragazza, che posò invece un bacio sulle sue labbra dischiuse. Veronica si coricò con un movimento aggraziato sulla compagna, che se ne stava prona, un occhio chiuso ed uno aperto, ad osservarla con aria fintamente contrariata.
*
Claudio non aveva la minima intenzione di trascorrere il pomeriggio a casa della nonna Rosa. Non che non la sopportasse, ma non capiva perché i suoi fratelli potevano starsene con gli amici mentre lui era costretto in casa. Quando infilò silenziosamente la chiave del cancello nella toppa non si sentì minimamente in colpa, d’altronde viveva in quell’edificio e aveva tutto il diritto di soggiornarci quando lo desiderava.
Gli fu immediatamente chiaro di non essere solo nel momento in cui si sfilò la sciarpa di lana blu. La appese con cautela ad uno dei pomelli di legno. Immediatamente a destra riconobbe il giubbotto della sorella e la sua sciarpa multicolore. Subito accanto notò il giubbotto blu scuro dal taglio maschile che non poteva appartenere a nessun altro, se non ad Elena. E allora quei gemiti?
Aveva quattordici anni ma non era affatto ingenuo.
Procedette con passo felpato lungo il corridoio, rasente al muro e salendo i tre gradini che separavano la zona giorno dalle camere da letto si mosse nel silenzio più totale. S’accostò alla stanza della sorella maggiore. La porta era aperta ma non osava sbirciare per timore d’essere visto.
«Ahia, fai piano...», si lamentava la sorella con voce roca.
«Scusa, amore, è l’enfasi del momento». Claudio ebbe la conferma che il giubbotto blu apparteneva ad Elena. La ragazza aveva appena chiamato sua sorella amore.
Claudio rimase qualche minuto ancora accostato al muro a riflettere. Stavano davvero facendo quelle cose? E mamma e papà lo sapevano? Fu un folgorio istantaneo.
«Chouchou...». Di nuovo la voce di Elena: solo lei parlava francese. Fece immediatamente eco la voce della sorella che implorava l’altra di non smettere.
Si allontanò di alcuni passi, turbato e vagamente in imbarazzo. Non voleva guardare, per nulla al mondo: la prospettiva di ciò che avrebbe potuto scorgere lo raggelava.
Tornato in salotto stabilì che sarebbe stato decisamente meglio togliersi dai piedi. Non essendosi nemmeno tolto il giubbotto, in pochi secondi era fuori casa, un po’ agitato ma con la soddisfazione di possedere un’arma contro la sorella.
*
«Hai sentito?!», ansimò Veronica mettendosi a sedere repentinamente. Elena sobbalzò allarmata dal suo movimento inaspettato.
«No, non ho... Nulla...».
Veronica la zittì con un gesto della mano, gli occhi stretti e le orecchie tese a carpire il minimo rumore. Le era parso di sentire una porta sbattere.
«Magari era un rumore che veniva da fuori, o l’hai immaginato», mormorò Elena allungando una mano verso il volto della ragazza, impaziente di ricominciare ciò che avevano interrotto.
«No, sono sicura di averlo udito...», protestò debolmente osservando il tappeto ai piedi del letto, come indecisa se sgusciare fuori dal piumone a inseguire l’impressione di un rumore, o restare in quel tepore profumato a fare l’amore. L’indolenza ebbe la meglio sulla paranoia.
Elena la afferrò per le cosce e la costrinse sotto di sé.
«Delizioso», sussurrò Veronica rovesciando il capo e chiudendo gli occhi.
Elena liberò un lungo sospiro, affondando la nuca nel morbido cuscino della compagna, che si era appena accoccolata contro il suo fianco. La strinse affettuosamente, cingendola con braccia e gambe.
«È stato tenero», biascicò Veronica, la voce che esprimeva la sua condizione di beato stordimento.
«È stato... meraviglioso», aggiunse Elena baciandole i capelli.
Continuarono ad aggiungere aggettivi sempre più creativi e fantasiosi per definire l’amplesso, finché, stufe, decisero di sistemarsi di fronte al computer – dopo essersi parzialmente rivestite – per navigare in giro per la rete.
Lessero con molto interesse gli ultimi aggiornamenti dal blog di Sabrina, per poi collegarsi su Skype e contattare Bianca, che risultava in linea.
«Salve, tesorucci miei! Cosa vi spinge a disturbarmi?», scherzò Bianca sistemandosi le cuffie sui capelli colorati. Il microfono le sbatté due volte contro il naso prima che lei riuscisse a sistemare l’attrezzatura.
«In realtà non sapevamo cosa fare...», ridacchiò Veronica.
«Dunque avete deciso di chiamare me? Vi sembro un ripiego?!», si finse scandalizzata la ragazza dal volto leggermente sgranato a causa della risoluzione non propriamente eccezionale.
«Certo che no, bimba, volevamo solo sapere come va con Vincenzo. Vi siete sentiti oggi?», inquisì Elena stringendo la vita di Veronica, seduta sulle sue gambe.
«Ah Vin...», Bianca emise un sospiro allo zucchero filato e polvere di stelle.
«Abbiamo capito che sei cotta come una pera! Ora vogliamo i dettagli osceni», la esortò Elena, rimproverata dalla sua ragazza.
«Diciamo che gli ho messo una mano nelle mutande e viceversa...», comunicò loro un’allegra Bianca con tono da sbornia allegra.
«Che angoscia... Ma quindi hai intenzioni serie?», volle sapere Veronica, che sulle vicende amorose della migliore amica si teneva costantemente informata.
«Io assolutamente sì, e spero che per lui sia lo stesso».
Nulla poteva abbattere lo spirito ottimista di Bianca, nemmeno il venire scaricata puntualmente dopo qualche mese di idillio da ogni ragazzo con cui si era impegnata dall’età di quattordici anni.
«Bi... Non voglio essere disfattista, ma...».
«Ele, so cosa stai per dire, però sono certa che con Vincenzo sarà diverso... almeno in qualcosa! Ne sono assolutamente certa!».
Anche le altre volte ne eri certa, Bianca, si trattenne dal dirglielo a voce alta Veronica, limitandosi a tossicchiare imbarazzata.
*
«Come pensi di comportarti?».
«Riguardo a cosa?», domandò Erica. Era sovrappensiero e le parole di Paola non avevano colpito nessun interruttore dentro di lei.
«Sei così distratta? Tua figlia, Rica...», le ricordò Paola. L’altra donna annuì immediatamente, segno che non l’aveva rimosso come evento traumatico.
«Certo, Veronica. Ed Elena. Mi stai chiedendo cosa, di preciso?», Erica strizzò gli occhi come se non vedesse molto chiaramente una spanna oltre il suo naso.
«Ti senti bene?».
«Sì, scusa, stavo solo... riflettendo». Erica si strofinò gli occhi, poi sospirò. Paola attese paziente che i pensieri le si schiarissero. «Temo la reazione di Gianni. Qualche sera fa ricordo che discutevamo pacificamente di fronte al telegiornale e se n’è uscito chiedendomi se Veronica avesse un ragazzo. Quando gli ho risposto negativamente, ha detto che forse era il caso che iniziasse a guardarsi attorno, anche solo per fare esperienza. Auspicava per lei un elegante matrimonio borghese con il rampollo erede di qualche impero industriale».
«Scusa?!»
«Non scherzo, Pale. Gli ho domandato con molta cortesia cosa stesse dicendo e semplicemente ha espresso quanto grande sarebbe potuta essere la sua gioia nel momento in cui Veronica le avrebbe presentato questo fantomatico ragazzo. Mi sono rifiutata di discutere e me ne sono semplicemente andata. Ora, Pale, immagina come reagirebbe sapendo che la nostra primogenita sta con la figlia di quelli della rosticceria», sospirò Erica.
«Suvvia, pensi che reagirebbe così male?», tentò di stemperare la tensione Paola posando una mano sulla spalla dell’amica.
«Non hai sentito come parlava. Sembrava un’altra persona...Sono fermamente convinta che la prenderebbe molto male».
«Sto per darti un cattivo consiglio: parlane con Veronica, ma non una parola con tuo marito. Non penso che ora siano necessari altri litigi», constatò Paola.
Erica annuì. L’idea di mentire a suo marito non la entusiasmava, ma non desiderava nemmeno forzare Veronica: se sua figlia non aveva detto loro ancora nulla, doveva sicuramente esistere un ottimo motivo.
«Che dici, torniamo a casa?», domandò Paola lanciando uno rapido sguardo al parcheggio semideserto.
«Sì, Pale, andiamo».
Ognuna si avviò alla propria automobile. Capitava, talvolta, che i loro orari coincidessero, dunque ne approfittavano per vedersi nella pausa pranzo e dopo il lavoro.
Erica si sedette al volante della sua utilitaria con un peso sullo stomaco: se da un lato l’essere al corrente della verità circa la figlia maggiore la metteva di buon umore, dall’altro non avrebbe voluto saperlo per non essere costretta a tenere tutto nascosto al marito, anche dopo un’eventuale chiacchierata con Veronica.
Guidò lentamente e con prudenza siccome la sua testa viaggiava molto lontano. Davanti a lei, Paola si muoveva con maggiore disinvoltura nel traffico serale. Scatole di metallo colorate che riportavano i rispettivi proprietari a casa dopo una giornata trascorsa a sudare su qualche scrivania o a spaccarsi la schiena in fabbrica, ne era circondata. Osservava con poca attenzione i volti delle persone al volante. Uomini e donne, adulti e ventenni, tutti concentrati nella guida, oppure ad ascoltare la musica, o ancora a parlare nell’auricolare, spesso quasi invisibile, e allora sembravano dei pazzi visionari poiché parevano rivolgere al nulla i proprio discorsi.
Doveva affrontare direttamente Veronica? Ciao figliola, luce dei miei occhi, sei lesbica?
Forse non era il caso di esordire con quelle esatte parole, ma Erica non era più convinta che parlarne immediatamente con la figlia maggiore fosse una buona idea. Si stava convincendo sempre più che sarebbe stato opportuno che fosse la figlia, nel momento da lei ritenuto più adatto, a confidarsi liberamente con lei. Erica voleva rispettare le scelte di Veronica. Continuava a ripetersi che, se era ancora all’oscuro, un motivo c’era senz’altro, e la figlia sarebbe stata in grado di fornirle delucidazioni a tempo debito.
Attese pazientemente che il cancello automatico in ferro battuto si aprisse completamente, spalancandole la strada verso il vialetto di pietra. Spense i fari e restò immobile ad ascoltare il rumore del suo stesso respiro.
Afferrò la ventiquattrore di pelle, la borsetta da signora e le chiavi di casa, custodite in un piccolo cassetto sotto al sedile, poi spinse la portiera ed uscì dall’automobile. Le luci del salotto erano accese.
Non si preoccupò di chiudere a chiave la macchina essendo il quartiere molto tranquillo. In ogni caso, l’antifurto perimetrale era un marchingegno estremamente efficiente, una difesa micidiale.
Inserì la chiave nella toppa. Le bastò mezzo scatto per aprire del tutto la porta.
In salotto, Elena e Veronica stavano giocando a carte sedute attorno al tavolino di legno. Un bastoncino d’incenso bruciava accanto a loro diffondendo nell’ari a un rilassante profumo.
«Mamma!», esclamò Veronica salutandola con allegria, sventolando le carte da gioco che teneva in mano.
«A cosa giocate?», domandò Erica appendendo il cappotto.
«Ora una banalissima scala quaranta, ma fino a poco fa abbiamo giocato a pinacola. E vincevo sempre io», gongolò Elena.
«Brave ragazze. Avete studiato almeno un po’?», inquisì Erica calandosi nel ruolo del genitore supervisore.
«Certo, mamma!», s’indignò Veronica. Sua madre sorrise compiaciuta.
«Elena, ti andrebbe di fermarti per la cena?», le chiese con apparente noncuranza. In realtà voleva osservare le due ragazze e capire come mai non se n’era accorta prima. Be’, le faceva anche piacere che la ragazza mangiasse assieme a loro. Era una persona educata e piacevole. Forse Gianni avrebbe dimenticato questi lati del suo carattere una volta saputa la verità.
«Mm, sicura che non disturbo?», si preoccupò Elena per il poco preavviso.
«Certo che no, davvero. Vero, tesoro, ascoltami un momento: potresti telefonare a casa dei Volpe e dire ai tuoi fratelli di rientrare per l’ora di cena?». Veronica annuì e s’alzò immediatamente per cercare il telefono cordless.
«Claudio? È in camera sua?», domandò Erica dato che il suo ultimogenito non si era nemmeno degnato di sporgere il collo della stanza dove se ne stava rinchiuso tutto il giorno.
«Sì, Erica, è arrivato meno di mezz’ora fa», la informò Elena.
«Grazie. Ora vado a cambiarmi e mi metto di buona lena con la cena... Ho proprio voglia di combinare qualche pasticcio ai fornelli!», sorrise Erica, apparentemente molto di buon umore.
Nel percorso verso la sua stanza da letto, deviò verso la camera di Claudio. Bussò due volte con il dorso della mano.
«No, ti ho detto che non voglio giocare a carte!», s’inalberò immediatamente la voce del ragazzino. Evidentemente Elena e Veronica avevano tentato di convincerlo a partecipare al loro passatempo.
«Sono mamma, Claudietto, posso entrare?», domandò Erica.
«Oh, scusa... Sì, vieni».
Erica aprì la porta con un sorriso gentile. Suo figlio sedeva alla scrivania, un libro aperto di fronte a lui.
«Com’è andata oggi da nonna?», gli domandò Erica posandogli un bacio sulla fronte. Lui non si ritrasse, ma nemmeno mostrò segni d’affetto.
«Normale... È la nonna, insomma, lo sai meglio di me». Erica annuì.
«Come mai non giochi un po’ a carte con Veronica e la sua amica?»
«Non mi va, mamma, preferisco starmene un po’ a leggere dato che oggi non sono riuscito».
«Va bene, tesoro. La cena sarà pronta verso le otto e mezza, nove meno un quarto, come al solito», lo informò Erica carezzandogli i capelli con fare materno e protettivo. Era molto preoccupata per Claudio.
Il ragazzo annuì distrattamente, poi tornò a fissare gli occhi sulle pagine stampate di fronte a lui.
«Ciao, piccola!», esclamò Elena vedendo entrare la sorella minore di Veronica, seguita da Mattia e da Gianni, che si era incaricato di riportare i figli a casa.
«Come mai sei qui?», domandò Federica sorridendo togliendosi il cerchietto di stoffa rossa che le allontanava i capelli mossi dal volto. Li aveva tagliati da poco: fino a dicembre li aveva portati lunghi fin sotto al seno, poi aveva deciso di voler cambiare e aveva optato per un drastico taglio. Ore le ciocche ondulate non le sfioravano le spalle.
«Tua mamma mi ha invitata a restare per cena. Ti sei divertita dai Volpe?», le domandò Elena alzandosi in piedi per abbracciarla. La ragazzina squittì contenta quando venne stretta tra le braccia di Elena, che, dal canto suo, la adorava. La quattordicenne Mantovani era paffuta e graziosa, dal carattere socievole e dolce, i suoi tratti più caratteristici.
«Ti sei divertita da Mari?», le domandò Veronica mentre la sorellina prendeva posto accanto a loro. Elena si premurò di ridistribuire le carte, in modo da coinvolgere anche la nuova venuta. Mattia dopo aver salutato frettolosamente si era barricato nella sua stanza, dicendo che doveva assolutamente collegarsi a Internet.
«Oh sì, molto!», rispose arrossendo e ridacchiando Federica. Veronica sorrise a sua volta scuotendo la testa: chissà cosa avevano combinato quelle due pesti!
Avevano appena terminato di distribuire le carte che Gianni le raggiunse, sedendosi sulla poltrona più vicina a loro.
«Allora, ragazze, come va?», domandò rilassandosi contro i cuscini.
«Tutto bene, grazie...», esitò Elena.
«Bene, papà, bene».
«Veronica, che mi dici del concerto?», le domandò fissando su di lei gli occhi castani.
«Be’, non ho novità particolari... Iniziamo alle nove, il biglietto costa due miseri euro, suoniamo un’oretta circa, daranno qualcosa da bere...», elencò Veronica leggermente imbarazzata. Da meno di un anno aveva messo su con suo fratello, Bianca e Michele una specie di gruppo musicale e, attraverso un passaparola e una serie di contatti azzeccati, erano riusciti ad iscriversi ad un evento musicale organizzato da una società di Montenotte che spesso promuoveva band locali per animare alcune serata interamente dedicate ai ragazzi. Non era nulla di eclatante, semplicemente, per la prima volta, non avrebbero suonato per un muro – o, peggio, per i familiari – ma per dei ragazzi un po’ scettici e un po’ fanatici.
«Suvvia, non sminuire la cosa. Hai talento, Veronica, lo sappiamo». La ragazza avvampò e abbassò lo sguardo. Era brava, ne era conscia, ma aveva difficoltà nel tollerare l’insistenza con la quale il padre si insinuava nel suo mondo, abusando del pronome di prima persona plurale, anziché lasciarle il suo spazio per respirare.
«Sì, lo so... Andrà bene...».
«Suonerete qualche pezzo originale o vi dovrete limitare alle cover?», s’informò Gianni, incrociando le gambe.
«No, per fortuna solo cover: non siamo ancora al punto di poter proporre pezzi originali».
Gianni avrebbe replicato senz’altro con un rimprovero alla solita tendenza della primogenita a svendere miseramente il suo talento, ma Erica lo chiamò dalla cucina, chiedendogli di apparecchiare la tavola.
«Arrivo, arrivo!». Il signor Mantovani si alzò dalla poltrona con uno sbuffo e raggiunse la moglie nell’altra stanza. Veronica non tirò il fiato finché non udì la porta della credenza sbattere.
«Possiamo venire anche noi, vero? Prometto che non daremo fastidio!», esclamò Federica che ancora non aveva avuto il coraggio di chiederlo alla sorella maggiore, temendo un rifiuto: probabilmente non avrebbe voluto la sorellina rompiscatole tra i piedi mentre stava con i suoi amici.
«Con noi intendi tu e Mari?»
«Sì...»
«Eh... Ma sì, va bene... Basta che non diate fastidio e ve ne stiate per conto vostro!», la ammonì Veronica con un mezzo sorriso. La piccola Mantovani ringraziò e accennò un abbraccio, che la sorella rifiutò con garbo sostenendo che non era il caso.
«Sarà molto divertente...», sghignazzò Elena lanciando un’occhiata obliqua alla compagna, che storse il naso con disprezzo.
«Quando spaccheremo i culi non farai più così, ma sarai onorata di avermi come am...ica». La parola amante le stava sgorgando con tremenda naturalezza dalla labbra e si salvò in corner con un rapido scambio vocalico. Federica non si accorse di nulla.
«Amica della migliore chitarrista e cantante della storia», ironizzò Elena, che non aveva faticato molto a cogliere l’esitazione avuta poco prima da Veronica.
«Dai, non siamo così pessimi! Mattia alla batteria fa la sua figura, Bianca è una bassista nata, ha il tipico sguardo truce!, e Michele... be’, lo sai meglio di me che razza di chitarrista, semi-cantante sia!», rise Veronica spintonando con affetto la compagna.
«Avete già una scaletta?», domandò Federica curiosa.
«Ehm... più o meno! Cioè, sappiamo quali canzoni fare, ma non ancora in che ordine. In effetti avrei dovuto parlarne oggi con Bianca ma l’ho completamente scordato!», esclamò Veronica, il cui ricordo le era balzato alla memoria proprio in quel momento.
«E quali canzoni farete?»
«Non ti voglio rovinare l’esibizione, quindi te ne dico solo qualcuna! Mm, vediamo... Be’, faremo Aqualung dei Jethro Tull, Eric’s song di Vienna Teng, Elephant stone degli Stone Roses, Break it up di Patti Smith e... e basta! Ti ho quasi rivelato metà delle canzoni!», s’indignò Veronica per essersi lasciata trasportare.
«E pensa, Fede, che la tua sorellona eseguirà la canzone della Teng tutta da sola!», calcò la mano Elena passando un braccio attorno alle spalle di Veronica.
«Sono stati gli altri ad insistere!», protestò la ragazza incrociando le braccia sul tavolino, dove le carte erano ormai state dimenticate. Si muoveva con naturalezza su un palco, si esibiva senza paura, pareva essere nata per quello, ma guai ad elogiarla dopo: l’imbarazzo la rendeva intrattabile.
«È che voi Mantovani siete degli artisti, Vero, c’è poco da fare!», rise Elena.
«Ah, finché c’è da suonare o disegnare, io sono schierata in prima linea, ma non parliamo di sport perché potrei fare la peggiore figura della mia vita. Ringrazio che non ci siate mentre giochiamo a pallavolo o a basket a scuola...», borbottò Federica storcendo il naso. In effetti, le sorelle Mantovani erano l’antisportività per eccellenza, mentre Mattia riusciva a combinare il talento musicale allo sport giocando da portiere in una squadra di calcio locale, ed era anche decisamente bravo. L’unico che non pareva mostrare interesse per le diverse manifestazioni artistiche era Claudio, che viveva in funzione dell’atletica leggera, mondo sconosciuto ai tre fratelli maggiori.
«Ragazze, la cena! Chiamate i ragazzi, per favore», annunciò Gianni spostandosi in salotto con un strofinaccio da cucina nel quale si stava asciugando le mani.
«Ci penso io!», s’offrì volontaria Federica. Si rialzò aggrappandosi al divano e poi saltellò verso le stanze dei fratelli. Le altre due ragazze si avviarono immediatamente verso la cucina.
Erica aveva servito in tavola due grilletti di insalata di pomodoro, tonno, cipolle, fagioli e mais, assieme a due piatti di carne cruda tagliata a fettine e condita con un filo d’olio ed una spolverata di pepe nero.
«Se poi avete ancora fame, ho degli agnolotti ma preferisco aspettare a buttarli», spiegò Erica. In effetti, sia l’insalata che la carne abbondavano.
«Per me va benissimo così, davvero», annunciò immediatamente Veronica prendendo posto capotavola, dove usava sedersi. Federica e sua mamma, alla sinistra della ragazza, si sarebbero strette per far posto ad Elena.
«Tra l’altro, gli agnolotti sono di tua mamma», sorrise Erica rivolta ad Elena che rispose con la stessa espressione. «Devi assolutamente dirle che, se non ci fosse lei, talvolta saremmo qua a mangiare i ripiani del frigorifero, altroché!». Elena annuì, promettendo che avrebbe riferito.
«Ci siamo», annunciò Mattia sedendosi di fronte ad Elena e Federica. Claudio, senza una parola, tirò indietro la sedia accanto al fratello e vi si sedette chiuso nel suo silenzio.
«Papà dov’è?», domandò Erica. Anche lei si era appena seduta e stava sbirciando oltre la porta della cucina alla ricerca del marito.
«Oh, è andato a cercare una felpa perché ha freddo», rispose Mattia scrollando le spalle.
«Come fa ad avere freddo che i termosifoni sono accesi?».
«Si sono spenti prima, hanno raggiunto la temperatura impostata...», riferì Federica, che aveva controllato lungo il tragitto verso la stanza dei fratelli.
«Scusate, ci sono anch’io», borbottò Gianni accomodandosi capotavola, di fronte alla primogenita.
«Datemi i piatti, vi servo la carne cruda! Elena, tesoro, passami il tuo», le sorrise dolcemente la signora Mantovani. Erica non aveva scordato lo spettacolo che le due avevano offerto a lei e Paolo quel pomeriggio, anzi, stava osservando le due ragazze da quando era entrata in casa. Voleva rendersi conto del motivo per cui era giunta da sola alla conclusione che le due stavano assieme. Una madre non dovrebbe solo intuirle certe cose, dovrebbe esserne certa!, si rimproverava bonariamente con un dolce sorriso sulle labbra.
«Tre fette sono abbastanza?»
«Va benissimo, grazie Erica». Elena afferrò il piatto che le veniva restituito, subito dopo si sporse verso l’insalatiera più vicina per fare scorta del contorno.
«Ehm... tutto bene a scuola, Elena?», le domandò Gianni tentando di iniziare una conversazione. Elena non gli piaceva, non gli era mai andata a genio: fin da bambine, lei era solita traviare Veronica in atteggiamenti che non le si confacevano per nulla. La sua delicata e graziosa bambina non avrebbe mai dovuto arrampicarsi così in alto sugli alberi. Era colpa di quell’altra se sua figlia si era rotta un braccio all’età di sei anni. Elena non era una compagnia adatta alla sua primogenita, di questo era assolutamente certo. Eppure confidava nella figlia, sperando che il suo buonsenso le impedisse di seguire Elena in tutti i suoi folli progetti.
«Sì, grazie, tutto bene...», rispose lei, imbarazzata.
«Buon appetito!», esclamò gioioso Mattia. Doveva aver ricevuto una bella notizia, oppure era semplicemente felice.
«Buon appetito...», borbottò l’ultimogenito Mantovani, la testa china sul piatto.
Veronica occhieggiò i genitori, poi il fratello, poi scrollò le spalle e si tuffò sull’insalata.
I signori Mantovani iniziarono a parlare di questioni ineranti il proprio lavoro allo studio legale. Entrambi parevano piuttosto irritati con una certa Anna.
«Verranno anche gli altri a sentirvi?», domandò Federica, la bocca piena di carne cruda.
«Gli altri, chi?».
«Simo, Walter e poi non so...Martina e Andrea...».
«Sì, be’, Marti e Andre verranno di sicuro, perché aver suonato andiamo nella casa di campagna di Martina e facciamo un po’ di festa tra di noi», rispose Veronica annuendo.
«Gli altri due certamente ci saranno! Devono fare il tifo per me», sorrise Mattia.
«Cla, tu verrai?», chiese con gentilezza al fratellino la maggiore dei Mantovani. Il ragazzo alzò la testa dal piatto e le scoccò un’occhiata terribile.
«Che hai?», gli chiese Mattia. Il suo tono appariva apertamente seccato: tra loro due non correva affatto buon sangue, probabilmente, tra i tre, Claudio detestava maggiormente proprio lui.
«Lasciami stare», ringhiò Claudio, infastidito dalla sua intromissione. Voleva prendersela con la sorella maggiore. Lui avrebbe potuto diventare suo obiettivo in futuro, non c’era fretta.
«Dai, Cla, è solo preoccupato per te...», tentò Veronica.
«Non ho bisogno che vi preoccupiate per me! Piuttosto, tu dovresti preoccuparti per te stessa...».
Veronica aggrottò le sopracciglia: il tono di voce del fratello pareva sottendere una minaccia nemmeno troppo velata. Eppure la ragazza non capiva.
«Claudio, non essere maleducato», intervenne stancamente Erica che davvero non sapeva più come prendere il figlio minore, non riusciva a capirlo per quanto si sforzasse. Vederlo lì seduto, di fronte a lei, con lo sguardo accusatore che ora si era spostato su di lei, la feriva. Spesso s’interrogava su cosa avesse sbagliato con lui, cosa fosse successo per farlo cambiare in quel modo.
«È più maleducato chi vuole farsi i fatti degli altri o chi nasconde le cose?».
In quel momento Elena comprese la provocazione del ragazzino: il rumore che alla sua ragazza era parso di udire acquistò un senso alquanto sinistro. Non poté impedirsi dal trasalire sulla sedia, urtando con il gomito la ragazza alla sua sinistra.
«Claudio, cosa...», provò a interrogarlo il padre in merito alla sua criptica domanda, ma venne interrotto dallo stesso.
«Chiedilo a Veronica cosa significa», replicò con tutta la naturalezza del mondo, per poi tornare a mangiare come se avesse appena informato i suoi genitori circa le previsioni meteorologiche del giorno seguente.
«Non penso sia affatto importante», intervenne su due piedi Erica con tono di rimprovero verso il figlio. Aveva capito di cosa stava parlando Claudio, d’altronde lei stessa l’aveva scoperto quel pomeriggio. Possibile che lui lo sapesse da più tempo? Soprattutto, come faceva a saperlo? Erica non riuscì a trattenersi dall’osservare il volto del marito. Era teso e contratto, in una smorfia d’attesa, impaziente di sapere cosa gli stesse nascondendo la primogenita stando alle parole del figlio minore.
«Io invece penso che lo sia. In questa famiglia non devono esserci segreti», disse Gianni con tono secco. Tutta la situazione non gli faceva presagire nulla di buono.
«Gianni, sii ragionevole...», tentò Erica posandogli una mano sull’avambraccio, dove esercitò una lieve pressione.
«Rica, voglio parlare con mia figlia. O mi state nascondendo tutti qualcosa?».
Veronica all’improvviso si sentì schiacciare ed iniziò a respirare con fatica. Aveva paura, le tremavano le caviglie e il cuore le pulsava violentemente nel corpo: non voleva affrontare suo padre, non ora, non era pronta! Strinse convulsamente il tovagliolo.
Elena le lanciò un’occhiata preoccupata. Era incastrata, come un topo ad un party felino. Non osava incrociare gli occhi di Gianni, l’avrebbe scoraggiata totalmente, nonostante si fosse ripromessa più volte che prima o poi l’avrebbe affrontato. Era una persona adulta, e gli adulti dovrebbero essere ragionevoli. Dovrebbero. Elena venne percorsa da un brivido freddo e viscido, decisamente spiacevole.
«Non essere ridicolo, Gianni, nessuno sta nascondendo nulla!», si scaldò Erica, che aveva tutte le intenzioni di proteggere la figlia.
«Mia sorella e la sua amica, sì», replicò quasi con noncuranza Claudio. Il suo tono indifferente stava mandando in bestia Veronica: la ragazza da una parte era terrorizzata dall’idea dell’imminente confronto con il padre, dall’altra sentiva crescere un odio e uno disgusto verso la superficialità e il menefreghismo del fratello, che non aveva speso nemmeno cinque minuti per riflettere sulle conseguenze delle sue parole.
«Veronica!», esclamò Gianni, rosso di rabbia. Il suo pensiero aveva galoppato in fretta verso la soluzione dell’enigma, le ultime parole del figlio gli avevano solo dato l’input finale.
Elena sobbalzò, serrando gli occhi. Avrebbe voluto svanire in una nuvola di vapore, senza nemmeno un sibilo, indisturbata, ignorata. Purtroppo ora la situazione era esattamene rovesciata. Federica la stava osservando in modo strano, Mattia, che già sapeva, la guardava con compassione, Claudio con disprezzo, Erica con aria di scuse e Gianni con odio. Veronica, invece, fissava il muro alle spalle del padre.
«Cosa vuoi che ti dica?», sussurrò. Si detestava perché stava per piangere: avvertiva il familiare bruciore agli occhi e la spiacevole sensazione di calore srotolarsi lungo le sue guance e il suo naso. Non avrebbe voluto mostrarsi debole di fronte al genitore, non avrebbe nemmeno voluto affrontarlo, in fondo, ma andava fatto e lei lo sapeva. Avrebbe solo voluto essere dannatamente più sicura di se stessa.
«Anzitutto, spiegati. Mi pare assolutamente chiaro», infierì il padre dimostrando per l’ennesima volta la sua proverbiale mancanza di tatto.
«Gianni! Smettila, smettila immediatamente!», si scaldò Erica, indignata dal comportamento del marito. Non aveva alcun diritto di trattare così sua figlia. Eppure lei sapeva che qualcosa dentro di lui era scattato: dubitava che avrebbe continuato a vedere Veronica sotto la stessa luce.
«Erica...», iniziò Gianni, ma venne interrotto dalla figlia.
«Va bene, papà, va bene...», mormorò Veronica, alzando una mano tremante. Elena la osservava in silenzio. Lei aveva già combattuto la battaglia contro i suoi genitori più di un anno prima. Suo padre, Pierre Cantalupo, l’aveva guardata con freddezza e aveva pronunciato gelide e taglienti parole cariche d’amarezza, mentre la madre era scoppiata in lacrime, si sarebbe strappata i capelli se il marito non l’avesse fermata. “Una figlia sola! La nostra figliola...” , aveva piagnucolato miseramente per un buon quarto d’ora Teresa. Raffaele, il maggiore dei fratelli Cantalupo, che allora aveva trent’anni, si era limitato a dire di aver intuito l’omosessualità della sorella fin da quando era bambina, ma non espresso né simpatia né antipatia per la questione, aveva piuttosto eretto un muro di indifferenza. Il ventottenne Paolo, invece, non aveva espresso remore nel mostrarsi decisamente disgustato all’idea che la sorella preferisse correre dietro alle sottane e nel corso dell’anno questo sentimento era stato manifestato più volte attraverso battute acide e subdole allusioni che mandavano in bestia il signor Cantalupo. Le loro reazioni erano state molto diverse, però, dall’aperto odio che stava mostrando il signor Mantovani. Perché non poteva essere altro che odio quello che Elena gli leggeva negli occhi.
«Forza, Veronica. Ti ascolto».
«Sì, è che... non so da che parte iniziare...», mormorò Veronica. Un singhiozzo sfuggitole spezzò la sua voce.
«Magari inizia giustificando i gemiti che ho sentito oggi pomeriggio», s’intromise nuovamente Claudio con quel tono che irritava tanto le due ragazze.
«Tu non dovevi essere dalla nonna?!», alzò il tono Erica. Non gli piaceva il modo in cui si stava comportando il figlio. Non sapeva dove avesse assorbito tanta maleducazione, di sicuro lei non gli aveva insegnato quel genere di intolleranza, anzi.
«Erica, di questo ci occuperemo più tardi», ringhiò Gianni che, dopo l’ultimo sentenza di Claudio, era diventato ancora più rosso, pareva sul punto di esplodere, un’eruzione d’ira sanguinolenta. «Veronica, avanti!», abbaiò sbattendo un pugno sulla tavola, che fece vibrare minacciosamente tutti i bicchieri. Federica osservava suo padre paralizzata per il terrore. Quella stessa sera, più tardi, avrebbe telefonato a Maria Cristina e le avrebbe raccontato l’accaduto in lacrime, sostenendo che era questo il motivo per cui la loro neonata relazione avrebbe dovuto continuare a restare segreta ancora per un bel po’.
«Gianni, smettila! Ti stai comportando come un bambino!», urlò Erica risentita per il suo comportamento. Si alzò in piedi e raggiunse la figlia maggiore seduta a capotavola, proprio di fronte al signor Mantovani. Le poggiò le mani sulle spalle, un gesto che voleva comunicare la sua presenza e il suo supporto in quell’insensata discussione.
«Erica, santa pace! Tua figlia... tua figlia è...». Gianni non riusciva a pronunciare quella parola che ora nella sua mente andava espandendosi. Ma non era nemmeno quello il motivo di tanta rabbia, no. Era Elena. La figlia dei Cantalupo, come la definiva di solito nonostante la conoscesse da quindici anni. Era senz’altro tutta colpa sua, perché Veronica era nata normale, lui lo sapeva: da bambina giocava con le bambole, si innamorava dei maschietti dei telefilm ed era così graziosa e femminile... No, era stata senz’altro Elena!
«Sì, papà sono lesbica! Almeno abbi la forza di dirlo a voce alta!», s’inalberò Veronica che dal supporto materno aveva tratto energia positiva per affrontare il padre, conscio che almeno uno dei suoi genitori era dalla sua parte.
«Non usare quel tono con me, Veronica, è ovvio che non sai quello che dici!»
«Io so benissimo quello che dico. La vedi Elena? Bene, io la amo e tu puoi dire o fare quel che ti pare, ma la situazione non cambierà!»
«Per l’amor d’Iddio! Smettila con queste assurdità! Erica...», tentò invano di trovare un alleato nella moglie, ma la donna gli abbaiò in faccia una notizia che, se possibile, lo infiammò maggiormente.
«Io sapevo già della relazione, perché credi non te ne avessi parlato?!»
Veronica stupita si voltò ad osservare la madre, che scrollò le spalle e sorrise. La figlia sarebbe scoppiata in lacrime per il sollievo: sapeva di poter contare sulla madre, la conosceva troppo bene.
«E non hai fatto nulla?! Ora...».
«Ora è il caso che io vada...», mormorò Elena alzandosi in piedi, le guance imporporate e i pugni serrati. Davanti a lei, il piatto era ancora praticamente pieno.
«È ora che tu sparisca in via definitiva, Elena!»
«Papà!»strillò Veronica, alzandosi in piedi a sua volta. «Se lei se ne va, io la seguirò!»
«Veronica Mantovani, rimettiti immediatamente a sedere!»
Il tono di voce pacato era ormai stato dimenticato e tutti i partecipanti alla discussione si esprimevano urlando la propria rabbia. Mattia e Federica, silenziosi e rossi in volto, osservavano la tovaglia, ed entrambi riflettevano in silenzio.
«No, papà, se mandi via lei, allontani anche me, ricordalo!»
«Gianni, ora basta! Basta!», gridò Erica prima che suo marito potesse aprire bocca. La richiuse con una smorfia rabbiosa, osservando la moglie con aria di profondo rimprovero per quell’eccessivo permissivismo.
«Scusate, io vorrei davvero tornare a casa...», mormorò nuovamente Elena. Non riusciva a tollerare oltre l’atmosfera di quella cucina, che già inizialmente non era delle più leggere: la ragazza sapeva di non andare particolarmente a genio a quello che sarebbe diventato suo suocero, ma ora, se fosse riuscito a metterle le mani addosso... be’, Elena non voleva scoprirlo. E di sicuro non avrebbe mai immaginato che Gianni, un anno e mezzo dopo, avrebbe cercato di romperle la faccia con un mattarello.
«Certo, Elena, non preoccuparti...», tentò di rassicurarla Erica posandole una mano sulla spalla.
«Veronica, tu siediti a tavola, dobbiamo parlare», le ordinò il padre. In tutta risposta, la figlia si allontanò di qualche passo, fissando il genitore con uno sguardo che celava tutto il risentimento e la delusione di una figlia.
«Vero, stai tranquilla, se non vuoi restare non sei obbligata», le sussurrò la madre carezzandole una guancia. La ragazza annuì con le lacrime agli occhi. Sospirò asciugandosi le guance e scostandosi le ciocche che le si erano incollate al volto. Si sentì immediatamente più fresca.
Il signor Mantovani non sapeva nemmeno cosa dire. Rimase seduto a tavola, paralizzato, costretto ad osservare la figlia che usciva da casa sua assieme alla... la figlia dei Cantalupo. Stava per dirlo, stava per dire la sua ragazza. Fremette di rabbia.
Claudio osservò con aria vittoriosa la sconfitta della sorella maggiore. Il piedistallo sul quale il padre l’aveva elevata si era crepato irreparabilmente, ed era esploso nel momento in cui la porta di casa Mantovani era stata sbattuta e l’ultima ciocca bionda di Veronica era scomparsa nella notte. Finalmente suo padre si era reso conto la sua perfetta figliola non era poi così perfetta.
Mattia e Federica, gli occhi sgranati e le bocche dischiuse, erano come in stato di choc: in una manciata di minuti, l’ordine naturale della loro casa era stato totalmente sovvertito. Ed entrambi tremavano per il segreto che custodivano.
Erica si sedette nuovamente al tavolo e con un secco “mangiamo” esortò la famiglia a terminare la cena. Gianni non le rivolse la parola fino alla mattina seguente.
*
«Sei stata forte, piccolina», mormorò Elena abbracciandosi alla schiena della compagna e posandole un bacio sulla spalla, nascosta da un pigiama che le aveva prestato, azzurro pallido a righe verticali bianche.
«Mm, avevo paura...», confessò lei, gli occhi gonfi e stanchi a causa del pianto.
Appena entrate a casa Cantalupo, si erano trovate di fronte i genitori di Elena e il fratello di mezzo, Paolo, che in salotto si godevano un film in francese.
«Veronica resta a dormire, va bene?», aveva domandato con molta cautela. Sapeva che i suoi non le avrebbero detto di no, ma era certa che non si sarebbero risparmiati una battuta amara, specialmente suo padre.
«Basta che non vi comportiate da persone strane», aveva concesso il padre. Basta che non facciate l’amore, tradusse mentalmente Elena, senza replicare. Si erano rintanate nella stanza della ragazza, dove Veronica aveva finalmente dato sfogo alle lacrime represse.
«Sei il mio angelo guerriero», mormorò Elena ridacchiando. Il soffio del suo fiato aveva spostato alcune ciocche color miele dei lunghi capelli di Veronica, che ora le coprivano la guancia. Lei li scostò con un dito, riportandoli dietro l’orecchio.
«Guerriero magari sì, angelo non propriamente...», sorrise Veronica.
«Strano, io avrei detto esattamente il contrario!»
[1] Andùril in Sindarin, tradotto Fiamma dell’Ovest, è la spada che fu spezzata e riforgiata de Il signore degli anelli, con la quale Isildur, figlio di Elendin, tagliò il dito di Sauron impossessandosi dell’unico Anello.
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