Invincibile creatura

di Mizar19
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rapporti simbiotici ***
Capitolo 2: *** Sex and the Sushi ***
Capitolo 3: *** Porte chiuse ***
Capitolo 4: *** Padri suscettibili ***
Capitolo 5: *** Lupi di mare ***
Capitolo 6: *** Canto notturno del sonno perduto ***
Capitolo 7: *** Bonjour, Paris! ***
Capitolo 8: *** L'angelo guerriero ***



Capitolo 1
*** Rapporti simbiotici ***


SPINOFF - E&V 1.

Premetto che so perfettamente che non dovrei essere qua a scrivere questa raccolta, ma non ho potuto resistere! So che è un mese che non aggiorno Fior di pesco e vi chiedo scusa, ma è stato un periodo pesante, scolasticamente parlando. Quindi inizio a farmi perdonare con questo e prometto che entro la prossima settimana aggiornerò.
Per ora godetevi Veronica ed Elena e, come al solito, fatemi sapere cosa ne pensate!


Genere: Romantico
Rating: Giallo 
Avvertimenti: Yuri

RAPPORTI SIMBIOTICI



Sprofondata nella sua poltrona preferita, con una lattina di birra in mano e i piedi sul pouf arancione, incollata alla partita di calcio, Elena non avrebbe potuto desiderare nulla di meglio. Si rilassò, godendosi la solitudina della casa, solitamente affollata e caotica, felice di essersi definitivamente sbarazzata di Sabrina. La loro storia era durata quasi sei mesi: i primi tre erano stati sereni e decisamente intensi, specialmente in camera da letto, poi era iniziato un inarrestabile dérapage che l'aveva portata a non tollerare più i modi infantili di Sabrina e la sua gelosia nei confronti della sua migliore amica.
Il pretesto per rompere definitivamente con lei era stato un suo ricatto - se vuoi stare con me, devi mollare quella! - ed Elena aveva subito colto la palla al balzo, rispondendole che a Veronica non avrebbe potuto rinunciare per nulla al mondo.
Tutto ciò era accaduto una settimana esatta fa, a scuola, durante la pausa pranzo prima del rientro pomeridiano. Nonostante si fosse sentita molto in colpa per come l'aveva trattata, si era detta che, in fondo, avevano solo sedici anni, quasi diciassette, mica si sarebbero dovute sposare!
Aveva poi proceduto ad una progressiva e sistematica eliminazione di tutto ciò che aveva riguardato Sabrina: foto, regali, lettere, persino una maglietta che lei le aveva regalato, non voleva più avere nulla a che fare con quella ricattatrice.

Mandò giù una fresca sorsata di Heineken, sospirando soddisfatta, quando il campanello la riscosse dal suo torpore. Convinta che fosse Sabrina, decise di ignorarla, alzando il volume del televisore e infossandosi ancora di più fra la ruvida stoffa della poltrona.
Il campanello venne suonato con più insistenza, accompagnato anche da due secchi colpi alla porta.
Sbuffando e lamentandosi per essere stata interrotta in quel momento di profonda meditazione e pace interiore, si avvicinò alla porta per poi gettare una rapida occhiata allo spioncino.
Una bella, bellissima ragazza, alta a slanciata, con lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e grandi e, come ebbe modo di constatare, seccati occhi azzurri. Mormorando un "ops" fra sè e sè, aprì la porta, sfoderando rapida un sorriso di scuse.
- Volevi lasciarmi fuori? - brontolò Veronica, varcando la soglia con passo deciso.
Erano amiche dai tempi dell'asilo. Erano sempre state molto legate l'una all'altra, quasi simbiotiche, anche se Elena, scherzando, affermava sempre che era un rapporto parassitario, dove lei era il povero vegetale e Veronica il fastidioso esserino approfittatore. Avevano frequentato la stessa classe alle scuole elementari e alle scuola medie, per poi prendere due strade completamente opposte al liceo: Veronica si era lanciata sugli studi umanistici, mentre Elena sulla matematica e sull'informatica. Ma non per questo il loro rapporto si era affievolito.
- Scusami, pensavo fosse quella - borbottò, richiudendo la porta.
- Ti sta ancora attorno?! Ora vado a spaccarle la faccia -, Veronica era rossa in volto ed era davvero intenzionata a concretizzare la sua affermazione, tant'è che Elena le bloccò la mano sulla maniglia.
- Vero... calmati -, le posò un bacio sulla fronte - E' tutto a posto, la ignoro senza problemi. Prima o poi si stuferà -
- E se non si stufasse? Se non ti, anzi, ci lasciasse in pace?! - protestò Veronica, pestando un piede sul pavimento, come una bambina capricciosa.
- Cosa ti ha fatto? - domandò con tono grave Elena, che non era a conoscenza di ciò.
Veronica arrossì, ma non diede segno di voler rispondere.
- Vero, cosa ti ha detto?! - esclamò Elena, afferandole i polsi e scuotendola.
- Niente di grave... - pigolò, tentando di rimpicciolire di fronte all'amica per sfuggire alle sue domande.
- Un corno! Voglio saperlo ora! -
Veronica cedette, sapendo che Elena non l'avrebbe lasciata andare tanto facilmente dopo la sua affermazione.
- Mi ha telefonato un paio di volte, qualche messaggio... sono solo minacce vuote -
- Le parole esatte, Vero, voglio sapere cosa diamine ti ha detto - scandì Elena, avvicinando il suo viso a quello di Veronica, per osservarle attentamente le iridi color del cielo.
- Non ricordo esattamente, ma erano cose tipo "lascia stare Elena altrimenti sarà peggio per te", oppure "sparisci prima che ti capiti qualcosa" -
Elena le lasciò andare bruscamente i polsi, poi, dopo un attimo di esitazione, la abbracciò, stringendola con forza.
- Perchè non mi hai detto nulla? - sussurrò al suo orecchio.
- Non volevo farti preoccupare inutilmente, ti dava già abbastanza fastidio lei, senza che mi ci mettessi pure io a stressarti -, Veronica si lasciò stringere volentieri, accoccolandosi fra le braccia forti dell'amica.
- Tesoro, qualunque cose ti accada mi riguarda, e non è affatto uno stress prendermi cura di te... -
Veronica arrossì. Quando Elena le sussurrava quelle parole sperava che finalmente le rivelasse il suo amore. Accadeva tutto già prima che Elena si mettesse assieme a Sabrina: Veronica era innamorata di lei da più di un anno e l'ingresso di quella ragazza nella vita di Elena l'aveva completamente distrutta. Ora aveva una nuova speranza, ma l'amica, dopo averle confessato di essere omosessuale, le aveva assicurato che per lei sarebbe stata come una sorella. Inizialmente le chiedeva persino il permesso di abbracciarla o baciarla, ricordandole ogni volta che non era innamorata di lei. Come se a Veronica potesse dispiacere.

- Ti prego, cambiamo discorso, cosa stavi facendo di bello? Partita, suppongo -, riferendosi alle grida da stadio provenienti dal salotto.
- Ecco, a proposito... che ci fai qui? -
- Ero sola, volevo passare da te -, Veronica arrossì di nuovo ed Elena rise.
- Sei la donna della mia vita - le disse scherzando, per poi attirarla a sè cingendole la vita con un braccio, a mò di posa da ballo.
Veronica si sentiva leggera, incorporea, mentre fissava quegli occhi verde bottiglia protagonisti di tanti suoi sogni. Quando Elena avvicinò il viso al suo, automaticamente dischiuse leggermente le labbra. Quando i loro nasi si toccarono, Veronica chiuse gli occhi, per riaprirli all'improvviso quando avvertì una pressione sul collo: Elena l'aveva morsicata!
La allontanò bruscamente da sè, arretrando di qualche passo.
- Dai Vero, scherzavo. Non volevo... avvicinarmi così. Scusami tanto se ti ha dato fastidio -, Elena era sinceramente dispiaciuta, ma lei non riusciva ad aprire bocca, paralizzata dall'idea di poter scoppiare a piangere senza ritegno. Erano stati i secondi più agognati della sua vita: aveva respirato il fiato caldo di Elena, quasi percepito le sue labbra.
- Scusami Vero, davvero. Sono una cretina, però ti prego, parlami -, Elena si mise in ginocchio di fronte a lei, le mani giunte.
Era una scenetta che Veronica aveva già visto e solitamente si concludeva con una risata e un abbraccio, ma questa volta era diverso.
Elena l'aveva toccata nel profondo, per poi riemergere così bruscamente da lasciare un dolore bruciante, che ora le si espandeva nel petto, fino agli occhi, già scintillanti di lacrime.
- Oddio, tesoro, non fare così -, Elena aveva capito che il problema era decisamente più serio di quanto credesse inizialmente. Si rialzò, avvicinandosi cautamente. Quando si rese conto che Veronica non l'avrebbe respinta, la strinse a sè dolcemente.
- Ora andiamo di là  e parliamo - stabilì risoluta, ignorando il suo silenzio. Con un rapido movimento le passò un braccio sotto le gambe, per poi sollevarla. Veronica sussultò, stringendosi automaticamente al collo dell'amica.
Arrivati in salotto, la posò delicatamente sulla poltrona, dove, fino a pochi minuti fa, era sprofondata lei, pronta per una serata all'insegna del godimento più totale. Spense la televisione e si sedette sul pouf, proprio di fronte all'amica.
- Sei sicura che Sabrina ti abbia detto solo quello? Non c'è null'altro? - indagò, incerta sul sentiero da imboccare per condurre l'interrogatorio.
- No, nulla, te lo giuro -
- Perchè piangi? - le domandò direttamente, stringendole le mani.
- Non importa, una sciocchezza... - mormorò, tirando su con il naso.
- Stai piangendo, Vero. Non può essere una sciocchezza. Perchè non vuoi parlarne? E' capitato qualcosa di spiacevole a casa? Ancora i tuoi? - la esortò pacatamente Elena, asciugandole le lacrime con le dita.
- No, i miei pare abbiano chiarito... ma non si sa bene... -
Elena le prese il viso fra le mani per poi asciugarle nuovamente le lacrime con i pollici.
- E' per quello che ho fatto pima? Mi sono...avvicinata troppo? - domandò Elena, con una punta di amarezza nella voce, come delusa dalla reazione dell'amica.
Veronica smise di piangere.
- No! No, no! A me... a me fa piacere che tu mi voglia così bene! - esclamò affannata, timorosa di perdere quel contatto fisico che condivideva con l'amica, unica sua fonte di piacere.
- Posso? - domandò Elena, mimando il gesto di un abbraccio. Osservando quegli acquosi occhi azzurri, qualcosa le si era smosso nello stomaco, un qualcosa che lei aveva messo prontamente a tacere. Se l'era ripromesso più volte: Veronica era la sua migliore amica, eterosessuale. Avrebbe dovuto ormai essere un dato di fatto. Eppure non era così. Quel suo atteggiamento affettuoso, quasi di amore, era dettato dal senso di protezione che l'amica le ispirava e si era quindi accontentata di passare in secondo piano, sicura dell'orientamente sessuale di Veronica, limitandosi a gesti affettuosi piuttosto comuni fra amiche, anche se talvolta potevano apparire ambigui.
Veronica annuì, anzi, si sporse per lasciarsi circondare meglio da Elena, poggiando la testa sulla sua spalla. Elena premette le sue labbra contro il suo orecchio e i suoi capelli, posandovi piccoli baci.
- Ti voglio tanto bene, Vero, e anche se non mi vuoi rivelare il vero motivo del tuo malessere, dato che rispetto la tua scelta, io sono qui accanto a te, anzi, appiccicata a te - scherzò Elena, strappandole un sorrise.
Elena allentò leggermente la stretta per poter guardare Veronica in volto, poi le posò un bacio sulla punta del naso. Questo era uno dei tanti gesti ambigui che le donava, ma, finchè a Veronica stava bene, sarebbe stato perfetto anche per lei.
- Grazie - mormorò Veronica, spostando una mano a carezzarle gli spettinati capelli castani.
- Sei proprio certa che io possa permettermi di... come dire, avvicinarmi così a te? - , Elena voleva la piena conferma di Veronica e solo osservando i suoi bellissimi occhi avrebbe potuto cogliere al volo una sua eventuale bugia.
- Certo Elena... - sospirò, deglutendo, sicura di ciò che stava per dire - Ogni volta che vuoi -

Elena rimase per un momento perplessa, tentando di pesare quell'affermazione. Decise che per ora non avrebbe mutato atteggiamento, anche se avrebbe mantenuto un occhio particolare per l'amica. Le stava infatti germogliando un piccolo sospetto che avrebbe potuto spiegare molte cose.
- Stai meglio? -
- Sì, grazie. E scusami tanto... -, Veronica abbassò gli occhi.
- Non devi chiedere scusa per nulla, piccola, lo sai che io, per te, ci sono sempre -
Proprio per questo Veronica si era sempre sentita una sorta di privilegiata: Elena era una ragazza bella, molto bella, con un carisma eccezionale che faceva presa su chiunque e ciò la rendeva estremamente popolare. Ma lei aveva sempre rifiutato qualsiasi tentativo di approccio troppo intimo e personale, diffidando di quelle persone come la portava a fare la sua indole solitaria. Poche persone le erano state davvero amiche e una sola aveva il privilegio di conoscerla veramente e profondamente.
- Sei tanto tenera quando dici così - rise Veronica, stringendosi al suo collo.
- E' la verità, tesoro. Ora però che ne dici di lasciarmi un po' d'aria? Giusto per sopravvivere - tossicchiò Elena.
Veronica rise ancora, arcuando le sue labbra sottili e rosee, scoprendo due arcate di denti regolari, ottenuti dopo anni di apparecchio.
- Cosa ti va di fare? - le domandò Elena, alzandosi e tirando con sè l'amica.
- Quello che va a te - rispose lei serafica.
- Vedere la partita bevendo birra? -, Elena sollevò un sopracciglio, mentre Veronica annuiva con forza.
- Dai, accendi 'sto apparecchio e vai a prendere da bere anche per me -
Veronica si lasciò cadere sulla poltrona, allungando le gambe sul pouf e rivolgendo un docile sorriso ad Elena, che, stregata dai suoi occhi, non potè fare a meno di obbedire.
- Ora però ti alzi da lì, perchè hai capito proprio male se pensi di occupare bellamente il mio posto senza che io mi ribelli: un conto è servirti birra, un conto è vedere il mio trono usurpato -, Veronica scoppiò a ridere, senza dar alcun segno di volersi alzare.
Elena la sollevò quasi di peso e, mentre lei iniziava a protestare, si riappropriò della sua poltrona. Veronica, in piedi di fronte a lei, la osservava imbronciata.
- Vieni qui, noiosona - Elena le prese una mano, facendole segno di sedersi fra le sue gambe. Veronica esitò, però poi si sistemò comodamente.
Elena le schioccò un bacio sulla guancia, per poi passarle lentamente le dita fra i lunghi capelli dorati. Percepì chiaramente il fremito di Veronica e decise di spingersi leggermente oltre, sicura della sua intuizione.

Continuando a carezzarle i capelli, portò l'altra mano sul ventre dell'amica e sfiorando con gesti lenti e ponderati il sottile cotone della canottiera blu notte. Dopo qualche secondo, durante il quale Veronica posò la lattina di birra sul tavolino, come per paura di lasciarla cadere, iniziò a posare delicati baci dietro al suo orecchio.
L'altra sussultò, inarcando la schiena in un movimento automatico. Elena percepì un calore conosciuto invaderle il basso ventre quando Veronica mugulò dopo che l'ebbe sfiorato l'ombelico con un dito.
- Elena... - la chiamò Veronica, riaprendo gli occhi.
- Dimmi, piccola -
- Ti voglio bene -, ormai entrambe sapevano di essere arrivate ad un punto di non ritorno, una svolta definitiva.
- Anche io, tesoro, tantissimo -
Veronica si voltò verso di lei, per poi sedersi cavalcioni sulle sue gambe e posarle le mani sulle spalle, che non erano novità per Elena, ciò che la stupì fu lo sguardo sensuale, volontario o involontario, che le lanciò Veronica.
- Da quanto tempo sei innamorata di me? -, ormai Elena non aveva più alcun dubbio.
Veronica arrossì, chinando gli occhi, come se se ne vergognasse.
- Io dal momento in cui ti ho vista, nel cortile dell'asilo, con quel grazioso grembiulino rosa e un gatto di peluche in mano - sussurrò Elena, arrossendo a sua volta per quelle parole che per tanto tempo aveva tentato di sprofondare dentro sè.
- Sul serio? - mormorò estasiata Veronica, spalancando gli occhi ricolmi di gioia.
- Sì, tesoro. Perchè credi mi sia fatta tanti scrupoli, dopo averti confessato di essere omosessuale, a mantenere uno stretto contatto fisico con te? -
Veronica sorrise.
Rimasero ad osservarsi vicendevolmente il tempo necessario per abituarsi alla nuova situazione, poi Elena l'avvicinò a sè.
- Sei davvero la donna della mia vita -, le sorrise, stringendole la vita.
- Me lo dai un bacio? - sussurrò Veronica, avvicinandosi ancora alle sue labbra, ma ancora timorosa di un rifiuto, di essersi immaginata tutto.
- Come desideri, tesoro -
Elena annullò la distanza fra loro e, quando il tanto agognato contatto sopraggiunse, entrambe intensificarono il loro abbraccio.

Per Veronica era un territorio nuovo, non in relazione al bacio, ma in relazione al sesso della sua amica. L'anno precedente, dato che il sentimento che provava nei confronti della migliore amica assumeva contorni sempre più nitidi, aveva deciso di dimostrare a se stessa che lei poteva essere diversa, che era solo una sciocca fantasia. Non aveva impiegato troppo tempo a trovare un ragazzo che assecondasse anche i suoi gusti estetici: si chiamava Lorenzo ed era un compagno di classe di Elena. Erano stati assieme forse un mese, nemmeno se lo ricordava più, ma aveva definitivamente capito che un uomo non era ciò che voleva. Si stava quindi facendo coraggio per rivelare ad Elena ogni cosa, quando l'amica l'aveva preceduta e aveva fatto crollare ogni sua aspettativa con quel famoso discorso "solo amiche, come due sorelle". Si era quindi rassegnata e ritirata nell'ombra della nuova vita sentimentale dell'altra, osservando le diverse ragazze che incontrava. Con alcune si limitava a flirtare, con altre si era spinta un po' più in là, ma con nessuna si era impegnata seriamente, finchè aveva conosciuto meglio Sabrina.
Il resto era storia nota.

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Capitolo 2
*** Sex and the Sushi ***


2.

Il secondo episodio: voilà! Ringraziamenti al fondo! (Qui, invece, le solite scuse per l'imperdonabile ritardo).

Genere: Romantico, Erotico (solo nel finale)
Rating: Arancione
Avvertimenti: Yuri

SEX AND THE SUSHI

- Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego... - una lunga litania che durava da ormai parecchi minuti. Elena rideva, mentre Veronica, in ginocchio davanti a lei, la supplicava.
- No, smettila -
- Ti prego, ti prego, per favore, ti prego, ti prego... -
Veronica voleva assolutamente andare a vedere il film di Sex and the City, mentre Elena stava tentando di opporsi con tutte le sue forze.
- Perchè non andiamo a mangiarci una bella pizza? Oppure andiamo al giapponese? Offro io! -, Elena sarebbe stata disposta a tutto pur di sottrarsi alla serata propostale da Veronica.

Decisamente, guardare Sex and the City non era il suo ideale di serata romantica, specialmente se coincideva con un anniversario.
- No, dai, ti prego! Voglio assolutamente vederlo e se non mi ci porti tu andrò con qualcun'altro - sentenziò offesa, alzandosi e allontanandosi alla ricerca del telefono.
- Ferma! Vero, ti prego! - la afferrò per un braccio - Voglio passare la serata con te, amore - le sussurrò, posandole un bacio sulla fronte.
Poi iniziò a carezzarle i fianchi delicatamente, le sue mani scivolavano agilmente sul leggero cotone della camicetta rosa, spostandosi verso il sedere, e, contemporaneamente, le baciava il collo profumato.
- No, carina, questa volta non funziona -, Veronica la allontanò con un sorrisetto.
- Ma è il nostro anniversario! Io non ho intenzione di andare a vedere quella... cosa! - si lamentò Elena.
- Stiamo già insieme da due anni?! Che palle... ma come ho fatto a sopportarti? - Veronica sgranò gli occhi, sbuffando, per provocare l'amica.
- Questa me la paghi - sibilò Elena, per poi slanciarsi contro di lei. La prese al volo, caricandosela su una spalla, sorda alle sue sonore proteste.
- Se mi fai cadere ti picchio! -
- Che violenza, io volevo solo stare con te, ma tu sei una bestiaccia selvatica -, Elena la lasciò cadere sul suo letto, per poi baciarla, intrufolandosi quasi a forza fra le sue labbra.
- Io... non... sono... selvatica - protestò Veronica fra un bacio e l'altro, finchè smise di dimenarsi, abbandonandosi contro il petto dell'altra.
Restarono avvinghiate per una decina di minuti, finchè una chiave che girava nella porta d'ingresso le costrinse a ricomporsi.
- Sono a casa - era Paolo, il fratello di mezzo. Ingegnere informatico, trentun'anni, ufficialmente fidanzato da due e prossimo alle nozze.
- Ehi - fu il caloroso saluto di Elena, che sbucò dalla sua stanza.
- Mamma? - chiese, guardandosi attorno. Anche Veronica uscì dalla stanza, raggiungendo Elena e fermandosi qualche passo dietro di lei, tentando di farsi notare il meno possibile.
Osservando il fratello di Elena, constatò per l'ennesima volta quanto fossero simili, anche se diametralmente opposti: entrambi alti e allampanati, con una massa disordinata di capelli scuri e grandi occhi verdi, carattere impulsivo e tendenzialmente aggressivo, ma le loro opinioni politiche non potevano essere più distanti, così come i loro concetti di moralità.
- E' uscita con papà. Credo siano in pizzeria -
- Ti ha detto qualcosa? Dovevo cenare con loro... -
- No -
Non un fu un dialogo per nulla caloroso e il silenzio era calato gelido nella stanza, come una sottile lamina di ghiaccio. Non bastava un legame di sangue per spingere due persone ad amarsi.
- Scusate il disturbo - borbottò, apparentemente notando la presenza di Veronica solo in quel momento.
Prima che Elena potesse replicare, Paolo se ne andò.
- Deficiente - ringhiò, colpendo l'aria con un repentino scatto della mano.
- Amore... -, Veronica le strinse la vita, poggiando la testa sulla sua spalla, nel tentativo di rassicurarla e tranquillizzarla.
- Stai tranquilla, va tutto bene - Elena le carezzò i capelli, sorridendole.
- Mi porti a vedere Sex and the City? - sdrammatizzò Veronica, scoppiando a ridere.
Elena emise un gemito di dolore.
- Ti prego, amore, ti prego, ti prego... -
Ecco che Veronica ricominciava con la sua inarrestabile e petulante litania. Elena non aveva alcuna intenzione di cedere, non gliel'avrebbe mai data vinta, mai!, piuttosto che vedere quel film, si sarebbe fatta gettare in pasto ai leoni, non sarebbe crollata di fronte agli occhioni blu di Veronica, i suoi bellissimi occhioni... così dolci e luminosi...
- Va bene, va bene! Ma stai zitta! -
Veronica squittì di gioia, schioccandole un bacio sulla guancia. Poi si fiondò in camera da letto per finire di vestirsi.
Elena si lasciò cadere con un gran sospiro nella sua poltrona preferita, la solita vecchia poltrona di stoffa ruvida, un tempo di un vivido blu ceruleo, teatro di importanti momenti e silenziosa spettatrice delle loro conversazioni più segrete. Sfregò una mano contro il bracciolo destro, ripensando alla faccia di suo fratello nel momento in cui aveva visto Veronica e subito le guance le si imporporarono per la rabbia.
Un tonfo proveniente dalla sua camera la mise sul chi vive. - Vero? - chiamò, preoccupata.
- Niente, scusami, mi è caduto l'astuccio con le creme e i trucchi -
Elena sospirò nuovamente. Da un anno a quella parte, la sua dolce ragazza aveva iniziato ad invadere il suo spazio, lasciando a casa sua vestiti, trucchi, creme, spazzole, scarpe, nemmeno fossero già andate a vivere assieme. Non che ad Elena dispiacesse, ma sua madre le faceva un sacco di storie, rinfacciandole continuamente che nulla è per sempre, che l’amore brucia in fretta, per poi lasciarti con una manciata di cenere. Di tutto ciò, ovviamente, Veronica non sapeva nulla, altrimenti avrebbe immediatamente tolto tutte le sue cose dalla stanza di Elena. Quando si sentiva sola, Elena prendeva una sua maglietta e la stringeva, beandosi del suo profumo delicato, oppure restava a lungo a contemplare ciò che Veronica le lasciava, come se tutti quegli oggetti fossero piccole parti di lei e potessero aiutarla nei momenti di solitudine.
- Sei pronta? - la chiamò, stufa di attendere.
- Sì, arrivo! -
Veronica saltellò nel salotto, per poi eseguire una pirouette davanti ad Elena, così da permetterle una vista a tutto tondo della sua mise: una camicetta bianca abbinata ad una gonna morbida al ginocchio, decorata da eccentrici motivi autunnali e caldi, ai piedi un paio di sandali di corda.
- Ti piaccio? - sussurrò arrossendo, sembrando, per un attimo, una timida bimba.
- Tantissimo, cucciola - Elena la strinse a sè.

Elena mise in moto la vecchia Ka rossa, mentre Veronica cercava una stazione radiofonica che non trasmettesse indecenze.
- E' meglio parcheggiare dal teatro o dalla stazione? Qual è il più vicino? - domandò Elena, incerta sulla strada da imboccare.
- Direi il teatro... ma possibile che non si riescano ad ascoltare nemmeno due accordi? - brontolò, continuando a litigare con il piccolo marchingegno.
Elena sorrise fra sè e sè.
Attorno a loro, il sole si stava spegnendo in un’aura rosata, accendendo di un’atmosfera quasi magica il Viale dei Pioppi, che stavano attraversando.

- Dopo il cinema andiamo a mangiare qualcosa? -
- Volentieri, ho voglia di sushi! -
- Allora offro io -
- Nemmeno per sogno, tocca a me! -
Iniziarono a discutere riguardo a chi spettasse pagare il conto e non smisero finchè il motore fu spento.
- Smettila, l'altra sera hai offerto tu! - protestò Veronica.
- Voglio solo essere galante -
- Sei noiosa... - la prese in giro Veronica, mostrandole la lingua.
- Ne riparliamo dopo, che ne pensi? -, con uno scatto le portiere si chiusero e Elena mise un braccio attorno alle spalle di Veronica, per poi avviarsi verso il multisala costruito recentemente, forse da un paio d'anni.
- Penso che tanto offrirò io - sentenziò la bionda, scuotendo i lunghi capelli ondulati.
- Allora permettimi di ripagarti più tardi - cedette Elena, non senza la possibilità di ringraziarla per la sua cortesia.
Veronica avvampò, poi si strinse con più forza alla vita di Elena, mozzandole il respiro.
- Lo sai che sei molto sexy con la camicia? - sussurrò con un mezzo sorriso.
Elena ne indossava una a maniche corte grigio perla, aperta, e sotto una maglietta bianca e grigia.
- Anche tu -

Erano le otto e avevamo mezz'ora di tempo prima che iniziasse il film, quindi, dopo aver acquistato i biglietti, uscirono per fare due passi.
- Amore? - sussurrò Veronica, notando lo sguardo vacuo dell'altra.
- Scusami, ero... sovrappensiero -, Elena scosse la testa con forza.
- Va tutto bene? - domandò Veronica, premurosa, fermandosi all'improvviso e stringendole la mano che non teneva sulle sue spalle.
- Più o meno, tesoro, ma non voglio darti pensieri quindi ora stai brava e continuiamo a festeggiare il nostro anniversario - Elena le posò un bacio su una tempia.
- No, ti prego, parliamone, così poi ti sentirai meglio e potremo divertirci di più -
Elena cedette, annuendo, e iniziarono a cercare una panchina libera in qualche piazzetta. Un'impresa più epica della conquista di Troia.
Tutte, dalla prima all'ultima, ogni panchina delle piazzette limitrofe era occupata. Finirono così per sedersi sui gradini di fronte ad alcuni resti romani, venuti alla luce inseguito a lavori sulle condutture del gas.
- E' per Paolo? - domandò subito Veronica, carezzando il volto dell'altra con la punta delle dita, tracciando invisibili scie sulla sua pelle morbida.
- Sì... hai visto come... come ti ha guardata?! Sembrava avesse visto un gremlins o una bestia puzzolente e ripugnante -
- Non te la prendere, tesoro, lo sai che non devi dargli retta -
- Non ci riesco, mi spiace. La considero come un'offesa nei tuoi confronti e ciò che mi fa più arrabbiare è che prima che ti presentassi come la mia ragazza, tu eri quella radiosa, incantevole, studiosa, posata ed educata fanciulla che conteneva il mio caratteraccio. Ora sei l'essere più viscido di tutti -, qualcosa dentro di lei si contorse dolorosamente.
- Ciò di cui ho bisogno è sapere che tu non mi consideri ripugnante, della loro opinione me ne infischio -
Senza rispondere, Elena la strinse, affondando il volto nei suoi capelli e inspirando forte, per catturare il profumo.
- Torniamo al cinema, altrimenti perdiamo l'inizio del film - balzò su Elena, cogliendo Veronica alla sprovvista, che, appena si fu ripresa dal brusco cambiamento di situazione, le regalò un dolce sorriso, per poi aggrapparsi nuovamente al suo braccio.
- Spero per te che sia bello, altrimenti me la pagherai molto, molto cara... - le sussurrò Elena all'orecchio, facendola arrossire nuovamente.

Quando raggiunsero il multisala, c'era molta più calca di prima.
- Oddio, spero di non incontrare nessuno di sgradito, non è proprio serata... - borbottò Elena, infastidita soprattutto dal caldo.
- Qualcuno che conosci c'è... - le mormorò Veronica all'orecchio, indicandole con gli occhi un gruppetto di ragazzi, suoi compagni di classe.
- Spero non si accorgano di me -, il tempo di terminare la frase che il più alto del gruppo, un ragazzo dinoccolato dai ricci capelli castani, la salutò con un gran sorriso, sventolando una manona.
- Dai, in fondo sono persone che ti stanno simpatiche, pensa avessi incontrato... che so, Sabrina! - ridacchiò Veronica, mentre si avvicinavano ai cinque.
- Ciao Ele! Cosa vai a vedere di bello? - le domandò Giuseppe, che portava uno spesso paio di occhiali sul naso sottile, che lo rendevano simile ad un gufo.
- Sex and the City - sibilò lei in tutta risposta. I ragazzi scoppiarono a ridere.
- Scommetto che è senz'altro un'idea tua - scherzò Andrea, il ragazzo che l'aveva salutata per primo.
- Puoi giurarci - replicò sorridendo. In fondo, la loro compagnia non era così sgradevole: come al solito, Veronica aveva ragione.
- Come mai da sole? - domandò Michele, scostandosi una lunga ciocca di capelli scuri dagli occhi.
- Anniversario - rispose Veronica, intensificando la presa sul braccio di Veronica, mentre il viso le si illuminava.
- Allora auguri! -
Non era un segreto, non lo era quasi mai stato. La loro relazione era stata resa nota pochi mesi dopo essersi messe assieme: Veronica si era rifiutata categoricamente di fare le cose di nascosto, come se fosse un peccato, qualcosa di impuro e vergognoso, mentre l'orientamento sessuale di Elena era già conosciuto, dato che anche le sue precedenti relazioni non erano mai state un mistero. Ovviamente questo aveva comportato degli svantaggi, come la rottura del rapporto con suo padre e con alcune amiche, anche se non potevano essere definite tali, non dopo ciò che le avevano detto.

- Fila elle, posti sei e sette... fila elle posti sei e sette... - ripeteva Elena, scrutando le poltroncine rosso fuoco della sala, alla ricerca del loro ubi consistam.
- Ele! -, Veronica le strattonò un braccio con forza.
- Calmati, cosa c'è? -
- Guarda l'ultima fila - mormorò Veronica, gli occhi ridotti a due fessure.
Elena alzò lo sguardo per incrociare quegli occhi nocciola che l'avevano tanto tormentata: gli occhi di Sabrina.
- Merda - sibilò, stringendo con forza la mano di Veronica.
In classe si sopportavano per amore del quieto vivere, ma ogni incontro fuori dall'aula era un litigio assicurato, perchè Sabrina aveva ancora il dente avvelenato con Elena, ma soprattutto con Veronica, che offendeva in ogni modo e in ogni occasione.
- Mi dispiace - sussurrò mogiamente Veronica, occupando la poltroncina numero sette.
- No, non dire così... -, Elena le posò un bacio sui capelli.
- Sono io che ti costretta a vedere questo stupido film, sono io che ho insistito tanto! E ora quella ci rovinerà la serata, il nostro anniversario! Ne sono certa -
Elena non replicò, ma la strinse a sè.

Dopo un'ora e mezza circa, le luci si riaccesero per l'intervallo. Elena si allungò nel suo sedile, distendendo le membra intorpidite, specialmente la spalla su cui la testa di Veronica aveva trovato un tiepido appoggio.
- Vado solo un attimo in bagno, torno subito -
Prima che Veronica avesse il tempo di replicare, Elena le baciò la punta del naso e si allontanò.
Dopo aver scomodato le cinque persone frapposte fra lei e la scalinata, fece una corsa fino al bagno, davanti al quale aspettavano già due persone, una delle quali particolarmente sgradita.
- Porti in giro la tua piccolina? - la provocò Sabrina, alzando il mento in segno di sfida.
Elena non le rispose nel tentativo di evitare un’imbarazzante scenata, dato che non erano sole. Infatti, la signora sulla quarantina che attendeva fra le due dovette aver intuito che fra loro non corresse buon sangue, quindi fece un passo verso sinistra, in modo da lasciarle l'una di fronte all'altra.
- Insomma, sarà un'occasione speciale - insistette Sabrina, passandosi una mano fra i lunghi capelli scuri, quasi neri.
- Sicuramente non è un tuo problema -
- Che sbadata che sono! Oggi è il vostro anniversario! Auguri - la ragazza non avrebbe potuto usare un tono più amaro e sprezzante.
Quando il bagno si liberò, Sabrina si chiuse dentro a chiave, non prima di aver scoccato un'occhiata di fuoco ad Elena.
- Ci mancava solo lei - borbottò, sospirando.
Era estremamente convinta che Sabrina non covasse tutto quel risentimento solo perchè Elena l'aveva lasciata: il suo astio, per essere così forte, doveva significare che, in fondo, Sabrina provava ancora qualcosa per Elena e la sua era solo gelosia, rabbia per essere stata sostituita. Ad ogni modo, Elena non gliel'avrebbe data vinta: Sabrina non sarebbe riuscita a farle perdere le staffe.
Finalmente, anche l'insopportabile ex liberò la toilette.
Si allontanò di qualche passo, ma, quando udì la serratura del bagno scattare, si voltò.
- Elena, fai un favore a te stessa: molla quella hippie perbenista - il suo tono era amaro, carico di disprezzo.
- Ora ascoltami bene: non ti permetto di parlare così di Veronica, hai capito? - Elena le si avvicinò, le guance iniziavano a diventarle rosse.
Si era ripromessa che non avrebbe ceduto. Si era ripromessa che non le avrebbe dato alcuna soddisfazione. Al diavolo. In quel momento, avrebbe solamente voluto darle un pugno.
- Mamma mia, come diventi rossa - la schernì Sabrina, scoppiando a ridere.
- Non è divertente. La devi smettere, devi uscire dalla nostra vita! E' tempo che tu te ne costruisca una tua -
- La tua vita non potrebbe importarmi di meno, Elena - pronunciò il suo nome come un insulto.
- E allora perchè ci ronzi sempre attorno? -
- Per il gusto di infastidirti, cara mia. Non puoi liberarti di me così facilmente -
Sabrina le si avvicinò di alcuni passi, i suoi tacchi rimbombavano sul pavimento di cotto, per poi posizionarsi di fronte a lei a braccia incrociate, negli occhi una luce folle.

- Io non voglio vederti mai più, Sabrina, io ti detesto. Voglio che tu la smetta - Elena era riuscita a riacquistare il controllo di sè, gettandole in faccia quelle semplici parole con una freddezza di cui lei stessa per prima si meravigliava.
- Sei sempre stata una stronza - ringhiò Sabrina, poi agì più rapidamente di quando i riflessi di Elena riuscissero a percepire. Le diede uno schiaffo che risuonò secco nell'atrio.
Elena si portò una mano al naso, sentendo un gusto ferroso in bocca.
Si voltò, decisa a non reagire, nonostante il desiderio di ricambiarle il favore fosse sempre più forte. Il suo senso del rispetto, però, la tratteneva.
Strappò un lembo di carta igienica, premendoselo contro le narici. Si imbevette subito di sangue.
- Mi hai mollata così, da un giorno all'altro, cosa pretendi? Che io venga a ridere e a scherzare con te? - sibilò Sabrina, raggiungendola nel bagno.
- Nessuno te lo ha chiesto - la voce di Elena era attutita dalla carta, che le copriva anche la bocca.
Si era dimenticata di quanto Sabrina fosse forte.
- Mi pento solo di non essermene accorta prima, di quanto fossi stronza - precisò, sistemandosi nuovamente i capelli.
- Peggio per te -
Elena lanciò la carta nel cestino, facendo canestro. Ormai l'emorragia si era bloccata del tutto.
Proprio mentre si voltava verso il lavandino per sciacquarsi il volto e ripulirsi, Sabrina la afferrò per un braccio, stringendole con forza la maglietta per avvicinarla a lei. Riuscì a strapparle un bacio, prima che Elena iniziasse a tentare di scrollarsela di dosso.
- Sabrina, giuro che me la paghi. Mi sono sempre ripromessa che non avrei mai alzato un dito su una donna, ma sto per cambiare idea -
La presa di Sabrina sulla sua maglietta era d'acciaio.
- Mi è sempre piaciuto baciarti - mormorò, apparentemente incurante delle minacce di Elena.
Portandole una mano dietro la nuca, la spinse contro di sè, per incontrare nuovamente le sue labbra.
Ovviamente è risaputo che se una cosa può andare male, andrà anche peggio.
- Toglile le mani di dosso! - ringhiò Veronica, avventandosi su Sabrina, che mollò la presa, colta alla sprovvista.
Sfruttando l'effetto sorpresa riuscì ad allontanare quella che lei considerava ancora una rivale a tutti gli effetti, afferrandola con forza per i capelli.
Veronica non si era mai sentita così delusa e al tempo stesso furibonda.
Furibonda con Sabrina, che aveva osato baciare Elena, che aveva passato due anni a tormentarla, anzi, a tormentarle, furibonda perchè quella doveva essere la loro serata romantica.
Delusa perchè Elena non reagiva. Si sentiva quasi tradita.
- Mi stavo proprio chiedendo come mai ci mettessi tanto - ironizzò Sabrina, allontanandola con uno spintone.
- Vattene via -
- Ai suoi ordini, carina. E tu, Elena, dovresti tenere al guinzaglio questa figlia dei fiori, insegnarle che non si fa violenza alle altre persone - ironizzò, sfiorandosi con la punta delle dita i graffi che le unghie di Veronica le avevano lasciato sulle braccia.
Furono le sue parole a scatenare quella rabbia incontenibile che la bionda non aveva mai sperimentato, non così opprimente e pressante. Le si avvicinò con due rapide falcate, per poi restituirle con gli interessi il poderoso schiaffo che aveva dato prima ad Elena.
- Cosa succede qui?! - arrivò un uomo, trafelato, con i capelli brizzolati ed un evidente riporto, il custode.
- Una discussione - rispose Elena, stringendo la mano di Veronica.
- Per discutere avete l'intero viale, quindi fuori! -
- Scusi? -
- Hai sentito bene, non fare la tonta. Uscite prima che chiami la sicurezza! -
- Ci scusi, usciamo subito - intervenne Elena, tentando di salvare la situazione: aveva tutte le intenzioni di ritornarci al multisala, non desiderava affatto di esserne bandita per il resto dei suoi giorni.
Uscirono nella tiepida aria di giugno.
- Buon anniversario. Ci si vede -, Sabrina non rinunciava ad infastidirle fino alla fine.
Si allontanò con passi rapidi e misurati, che rimbombavano per il viale.
- Io... giuro... potrei farle davvero del male – ringhiò Veronica, che perdeva tutta la sua solita mansuetudine ad ogni incontro con Sabrina.
- Andiamo a cenare –
Elena era seccata e nervosa. Lei era riuscita nel suo intento le aveva rovinato la serata.
- Non ancora. Ora mi spieghi perché non le hai dato uno schiaffo prima che ti.. baciasse – Veronica era, se possibile, più arrabbiata di prima.
- Lo sai che...  
- Certo, lasciati mettere le mani addosso in questo modo! Cristo, ti ha baciata e tu non hai fatto nulla! –
- Ma per chi mi hai preso?! – si scaldò Elena.
- Perché non l’hai allontanata? –
- Credi che non ci abbia provato?! -, questo era davvero troppo: Veronica non poteva mettere in dubbio la sua fedeltà.
- Evidentemente non abbastanza – sibilò la bionda, incrociando le braccia.
- Veronica... la rabbia non ti lascia ragionare lucidamente. Andiamo a casa, così ti schiarisci le idee e poi ne riparliamo -
- Io sono lucidissima! Sei tu che non sei normale! – urlò Veronica. Elena si guardò rapida attorno, qualche passante si era voltato, fortunatamente il multisala era in una via laterale.
- Stai zitta, Veronica! – la afferrò per un braccio, stringendola a sé.
- Lasciami – le ordinò, divincolandosi energicamente da quell’abbraccio forzato.
- Calmati, Vero, sei isterica – sussurrò Elena, tentando di posarle un bacio su una guancia.
Fu così che ricevette il secondo ceffone della serata.
- Tu sei davvero pazza! – esclamò furibonda per la reazione di Veronica.
- No, sei tu che non hai fatto nulla... – scoppiò in lacrime.
- Allora è questo... ascoltami, lo so che sei una persona perfettamente in grado di ragionare, una persona razionale. Non riuscivo a togliermela di dosso, lo sai che fa arti marziali, è forte... Credi davvero che io abbia potuto lasciarmi baciare da lei? –, Elena provò nuovamente ad abbracciarla, ma l’altra la allontanò.
- Non lo so – singhiozzò Veronica.
Elena tentò di mantenere la calma, anche se la mancanza di fiducia da parte di Veronica la stava davvero facendo imbestialire.
- Dopo tutto quello che ti ha detto, dopo il modo in cui ti ha trattata, in cui ti ha offesa. Come avrei potuto lasciarglielo fare? –
Veronica tirò su con il naso, sfregandosi gli occhi con una mano.
- Amore... -, questa volta Veronica si lasciò stringere.
- Scusa – mormorò fra le lacrime.
- Di nulla... è tutta colpa di Sabrina, quella strega... dovremmo escogitare qualcosa per togliercela dai piedi una volta per tutte... –
- Non volevo darti uno schiaffo –
- Lo so -, le posò entrambe le mani sulle guance per poi baciarla.
 
- Sushi? –
- E sushi sia! –
Attraversarono il Viale dei Tigli mano nella mano, per raggiungere il ristorante giapponese Kazuko’s, gestito da una simpatica signora giapponese di mezza età che ormai le conosceva bene, essendo clienti fisse.
Quella sera il locale non era molto affollato. Le accolse Harumi, la figlia della proprietaria, che aveva all’incirca la loro età e un grande sorriso.
- Ehi, buonasera! Dove vi faccio accomodare? –
- Possibilmente in un angolino – rispose Veronica, sorridendo gentilmente.
- Perfetto, prego – le condusse dalla parte opposta all’ingresso, per poi indicare loro il tavolino più isolato, coperto in parte da un rigoglioso ficus.
- Grazie Haru –
- Chiamatemi quando avrete deciso - la ragazza, che era nipponica solo per metà, essendo suo padre italiano, si allontanò.
- Io vado sul classico, tu? – domandò Elena a Veronica, che aveva aperto il menù.
Classico per Elena significava nigiri sushi e onigiri, ovvero ciò che ordinava più frequentemente.
- Io opto per il ramen – stabilì Veronica, posando il menù accanto al suo braccio.
Elena, facendo scivolare la mano sulla tovaglia candida, trovò quella di Veronica, che strinse con dolcezza.
- Ti senti meglio? – le domandò premurosa.
- Sì, mi dispiace tanto... –, Veronica abbassò gli occhi, sentendosi profondamente colpevole per l’immeritato schiaffo che aveva tirato ad Elena.
- L’ho già scordato –
Veronica le sorrise riconoscente.
- Come mai non siamo andate al Corvo? – mormorò Veronica, sporgendosi sulla tavola per ricevere un bacio da Elena, che la accontentò prontamente.
- Sinceramente io ho voglia di cucina giapponese, ma anche perché non ho voglia di vedere certe persone –
- Tipo Luisa? – ridacchiò Veronica.
- Soprattutto Luisa –
Era una ragazza della scuola per geometri che Elena aveva conosciuto durante un progetto interscolastico. Dato che la conosceva di vista perché era, appunto, una frequentatrice del pub, si era messa in squadra con lei per il progetto che avrebbero dovuto realizzare. Avevano vinto il concorso, peccato che da quel momento Luisa non le desse tregua. Non che fosse antipatica, era solo un po’ troppo esuberante e invadente.
- Haru! – la chiamò Veronica, vedendola passare.
- Eccomi, ditemi pure – tirò rapidamente fuori il blocchetto per le ordinazioni.
- Ramen e una bottiglia d’acqua gasata –
- Per me una porzione media di nigiri sushi e una piccola di onigiri. E una birra media –
- Ci avrei scommesso – sorrise Harumi, per poi sistemarsi la biro sopra l’orecchio destro e avviarsi verso la cucina.
Veronica rise.
- E’ proprio simpatica, Harumi –
- Ehi, le stai guardando il sedere! – la accusò Elena, più per ridere che per farla arrabbiare.
- Non è vero – si inalberò subito Veronica, storcendo il naso, segno che Elena aveva colto nel segno.
- Amore, come sei permalosa questa sera – ridacchiò.
Veronica si limitò ad arrossire, incrociando le braccia.
Rimasero in silenzio ad osservarsi, Elena con il sorriso sulle labbra e Veronica con una maschera di superiorità sul volto. Non poterono fare a meno di notare una scintilla negli occhi l’una dell’altra.
- Devo andare in bagno – disse Veronica alzandosi bruscamente.
La sedia di metallo stridette sul pavimento in ceramica e qualcuno si voltò, incuriosito dal rumore.
- Permettimi di accompagnarti – si offrì Elena, sollevando un sopracciglio, arte non comune a tutti.
Il bagno era accanto alle cucine.
Spinsero la porta su cui era dipinta una donna che vestiva il costume tradizione giapponese, con tanto di ventaglio.
Era spazioso e pulito. Perfetto.
Chiusero a chiave la porta, sperando che non scappasse a nessuno per un po’.
Veronica saltò letteralmente addosso ad Elena, premendo la sua bocca su quella della’altra, che non avrebbe senz’altro opposto resistenza.
Liberò il primo bottone di quella leggera camicetta rosa, poi il secondo, fino ad intravedere il suo seno eburneo, quindi vi insinuò una mano.
Veronica soffocò un gemito, aggrappandosi alla schiena dell’altra.
Le loro labbra si staccarono con uno schiocco umido e riaprirono gli occhi. Senza una parola, ma con un sorriso sulle labbra, Elena liberò altri due bottoni e prese a baciarle e morderle un seno, mentre si scivolava con una mano sotto la sua gonna.
Gemette di dolore, perché Veronica le aveva affondato le unghie nella schiena.
Senza smetterle di baciarle il seno, iniziò ad accarezzarle gli slip già umidi. I suoi gemiti trattenuti la eccitavano, e lei non riuscì a reprimerne uno quando percepì la mano di Veronica carezzarle la patta dei jeans con gesti di studiata lentezza.
- Fai piano – sussurrò Veronica, facendole il verso, dato che, solitamente, accadeva il contrario.
- Ah, la metti così? – fissandola profondamente negli occhi, già pregustando la sua reazione, le scostò rapida le mutandine e la penetrò. Come previsto, l’espressione di godimento dell’amante la lasciò quasi senza fiato. La sua pelle era già ricoperta da un sottile velo di sudore e le sue guance si erano imporporate all'improvviso.
Si muoveva rapida per donarle più piacere possibile e, per evitare che le sfuggisse qualche gemito troppo sonoro, la baciò.
Veronica si era ormai scordata di essere nel bagno di Kumiko’s, appoggiata ad una fredda parete di piastrelle rosate, l’unica cosa di cui era conscia erano le dita di Elena, che si muovevano dentro di lei.
Lentamente, sfilò il bottone metallico dei jeans di Elena dalla sua asola, poi le tirò giù la zip, sentendola fremere.
Dopo un’attesa che ad Elena parve eterna, Veronica iniziò ad accarezzarla con un piacevole movimento circolare della mano.
I gemiti repressi, gli spasmi, i muscoli tesi, il sudore e quell’odore di sesso che impregnava la stanza e che Veronica trovava sempre eccitante, poi baci e ancora baci, carezze, morsi, la loro pelle a contatto, i loro sessi caldi e umidi, e, infine, il piacere assoluto.
Si fermarono, senza fiato, stanche.
- Ti amo - mormorò Elena, poggiando la testa sulla spalla di Veronica, che iniziò a carezzarle i capelli, facendo scorrere le dita fra le corte ciocche castane.
- Anch'io, tanto... e non è vero che questi due anni sono stati una rottura, stavo solo scherzando -
Elena scoppiò a ridere per la sua precisazione.
- Non ne avevo dubbi, piccola -
Veronica si mise in punta di piedi per poter baciare il naso di Elena.
- Da quant'è che siamo via? - domandò appena ritornò alla sua normale altezza.
Elena lanciò un'occhiata al suo elegante orologio nero.
- Solo quattro minuti! -
Entrambe scoppiarono a ridere, piacevolmente sorprese di scoprire quanto lente fosse parso loro lo scorrere del tempo in quel bagno.
- Direi che sarebbe il caso di sciacquarci la faccia e tornare di là, prima che mandino qualcuno a cercarci -
- Non mi sembra una cattiva idea - concordò Veronica, poi richiuse i jeans di Elena, mentre quella le riabbottonava la camicetta.
- Vado bene così? - domandò voltandosi verso Elena e inclinando leggermente il viso verso sinistra, per accertarsi della condizione dei suoi capelli.
- Sei bellissima, hai solo le guance un po'... colorite - la prese in giro Elena, sfiorandogliene una con i polpastrelli.
Veronica si sciacquò nuovamente il viso, mentre Elena, appoggiata al muro dietro di lei, sorrideva sorniona con le braccia incrociate.


Terminata la cena, fu Veronica a pagare il conto.

***

La posta di Mizar:


Apia: questo flash è più farcito, per così dire. Ci stiamo addentrando lentamente nel mondo fin'ora segreto delle due... e Sabrina è una costante di questo mondo, una costante decisamente insopportabile!
Nessie: in questo flash c'è tutto: amore, odio, sangue, sesso... cosa vuoi di più?! (Io direi una patata con gli occhi dolci!)
maria_sharapova: eccoti il seguito! Che bello ritrovarti anche qua, mi fa piacere!
Nobody_sInTheSky: non troppo presto, ma ecco il secondo flash! E' più articolato del primo, più denso, ma, come ho detto all'inizio, non saranno tutti uguali fra loro! E poi, un po' alla volta, si scoprirà tutto di loro due.
caso: grazie mille per i complimenti! Anch'io adoro la coppia Veronica/Elena e avevo sempre voluto scrivere qualcosa che le vedesse come protagoniste e non come semplici personaggi di contorno! (Non so se te ne sei accorta, forse perchè la situazione è ancora prematura, avendo io pubblicato così poco e non avendone trattato molto in Fior di pesco, ma per caratterizzarle mi sono ispirata moltissimo ad Haruka e Michiru!)
piccola peste: wow, grazie mille per i ltuo entusiasmo! So che hai il pc a riparare, ma spero di risentirti presto!
manga_girl: ma grazie! Non mi merito tutta questa bontà per i miei tremendi ritardi, ma mi fa comunque piacere, davvero!
engel_k: mi spiace molto per la tua amicizia finita male, se ti consola, anche la mia è finita così... e scrivere è un modo per sentirsi meglio. Fior di pesco è nata proprio così.
pazzafuriosa92: sì, sono il tuo parassita, problemi?? Scherzi a parte, sono contenta che ti sia piaciuta così tanto (spero ti piaccia anche questo flash!). Sinceramente, dato che descrivere scene di sesso mi imbarazza terribilmente ma è una cosa che qualunque scrittore, prima o poi, deve affrontare, volevo sapere se questa fa schifo, è tremenda, è banale/vuota oppure semi-decente! Danke per il tuo consiglio illuminato, tesoro!

Inoltre, un grazie a chi ha messo la storia fra le preferite:
1 - guguincercadiamore 
2 - Guizza 
3 - manga_girl 
4 - maria_sharapova 
5 - morbidina
6 - Nessie 
7 - pazzafuriosa92 
8 - piccola peste 
9 - Rayne91 
10 - _darkyneesan_

e chi fra le seguite:
1 -
Apia
2 - Asterope 
3 - ieri 
4 - nemu 
5 - Nobody_sInTheSky 
6 - piccola peste 
7 - sasangel 

A presto risentirsi,
Mizar

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Capitolo 3
*** Porte chiuse ***


3. t.s.e. 3.

Senza tanti indugi, eccovi il terzo episodio! Ringraziamenti al fondo!

Genere: Triste, Sentimentale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Yuri

PORTE CHIUSE


Non ne era ancora completamente certa, eppure ci aveva riflettuto a lungo. Aveva supposto che tre mesi sarebbero stati sufficienti, ma si sbagliava. Non aveva idea né del come, né del dove, né, tantomeno, del quando. Soprattutto, era angosciata per le loro reazioni: sarebbe bastata l’amicizia per impedire loro di detestarla? Sperava vivamente di sì, in fondo, conosceva i suoi amici e avevano spesso affrontato l'argomento omosessualità, anche se in termini più generali, nessuno si era mai dimostrato omofobo. Ma fra il dire e il fare...
 
- Vero! – sibilò Giulia, alla sua destra, dandole una gomitata, che la catapultò nuovamente nell’aula in cui era seduta. Era appena entrata la professoressa di italiano. Si affrettò a cercare il libro e ad aprirlo alla pagina giusta.
Alla sua sinistra, Martina ripassava furiosamente la parte teorica sull’Illuminismo. Erano al termine della seconda settimana di scuola, un sabato mattina che portava con sé i residui di un’estate ormai finita, e la professoressa era già pronta per interrogare.
 
Giulia e Martina erano le ragazze con cui Veronica aveva legato maggiormente in quei tre anni ed ora si trovava a temere di dover trascorrere il quarto anno da sola.
Altri suoi amici, ragazzi con cui spesso usciva nei weekend, erano Bianca, l’alternativa del gruppo, Andrea, fervente cattolico la cui reazione temeva maggiormente, Silvana e Marco, ragazzo di Silvana.
Quando aveva iniziato il Liceo Classico, si era ritrovata in una classe di sconosciuti: i suoi compagni delle medie erano capitati tutti nella stessa sezione, lei, chissà come, era finita nell'altra. Inizialmente ne era stata intimorita, tormentata dall'ansia di non essere accettata, dalla paura di non piacere a nessuno. Il suo incubo più frequente era che tutti fossero amici e lei fosse l'unica esclusa e sconosciuta. Poi era iniziata la scuola e si era resa conto di quanto fossero state sciocche le sue ansie: pochi si conoscevano fra loro, la prima settimana fu per tutti uno sbocciare di nuovi germogli d'amicizia. In particolare, lei si era legata ad una riccia brunetta, che rispondeva al nome di Giulia, un'esuberante ragazza dalle complesse turbe psicologiche. Tramite Giulia aveva quindi conosciuto Martina che all'apparenza le era sembrata solare ed estroversa, come Giulia, poi, con il tempo, aveva scoperto quel lato del suo carattere apprensivo e angosciante, pronto a mettere nuovi pulci nell'orecchio e a far nascere sospetti e preoccupazioni, che la rendevano tesa e nervosa. Nonostante questo modo piuttosto angosciante di affrontare i problemi quotidiani erano diventata buone amiche.
Andrea si era unito a loro per una fortuita casualità geografica: era il vicino di banco di Veronica. A forza di stare insieme, i due avevano stretto amicizia, scoprendo una piacevole sintonia nonostante la notevole distanza ideologica.
Aveva poi scoperto la dolcezza di Bianca solo verso la fine dell'anno, precisamente alla festa di compleanno di Giulia, che aveva invitato tutta la classe in quell'immensa villa che era casa sua. Bianca era seduta in un angolo, sola, osservando mogia lo schermo spento di un cellulare. Veronia aveva subito provato una forte empatia: le era sembrata così triste che non aveva potuto fare a meno di avvicinarsi a lei e intavolare una conversazione che, se inizialmente era stata faticosa, si era poi sviluppata senza troppi intoppi, sgorgando spontanea dalle loro labbra.
Infine, Marco era amico di Andrea dalle elementari e un giorno si decise ad invitarlo ad uscire con loro il sabato sera. Così lui, che già all'epoca era fidanzato con Silvana, introdusse anche lei nel gruppo. Veronica non aveva mai avuto troppa stima di Marco, succube delle prepotenze e dei capricci della sua ragazza, volubile e incostante.
 
- Nervosa? – domandò a Martina, che ora si stava rosicchiando l’unghia del pollice, incurante della manicure fresca di estetista, con il volto nascosto dai lunghi capelli color mogano.
- Me lo sento... ora mi chiama – borbottò, senza staccare gli occhi da quelle pagine già stropicciate e consumate, probabilmente rilette fino allo sfinimento.
- Calmati, Marti, o ti verrà una crisi isterica – ridacchiò Giulia, sporgendosi sul banco di Veronica, per chiudere il libro dell’amica, che sobbalzò e poi glielo strappò dalle mani con occhi di gelida ira.
- Qualcuno ha voglia di raccontarmi qualcosa? – la voce acuta della professoressa fece calare il silenzio. Veronica incrociò le dita sotto al banco: contrariamente al solito, non si era preparata poi così bene e non aveva intenzione di inaugurare l’anno con un 6.
- Benissimo, allora scelgo io –
I suoi occhi scorsero l’elenco alcune volte e Veronica aveva l’impressione che indugiasse troppo sulla lettera M. Sospirò, già pronta e fare del suo meglio.
 
- Saltafosso – stabilì, alzando il capo per incrociare gli occhi di una tremante ragazzina nel primo banco.
Bianca si voltò e fece il segno della vittoria, mentre Martina replicava che, solamente perché erano scampati alla prima chiamata, non significava che sarebbero stati salvi per la seconda.
Veronica si rilassò sulla sedia e afferrò la matita, pronta a prendere appunti. Mentre la sua mano era collegate alle parole della professoressa, il suo cervello viaggiava molto più in là, in direzione del Viale dei Gabbiani.
 
Elena, che al sabato non andava a scuola, era sicuramente a casa da sola a giocare alla play station con Michele, imprecando e bevendo coca-cola, per poi sfidarsi ad una orripilante gara di rutti. Aveva assistito ad uno di questi loro incontri e ne era rimasta allibita.
 
- Vediamo se Aimassi ha voglia di aiutare Saltafosso -, Martina si rizzò nel banco, sistemandosi i capelli dietro le orecchie, pronta a sciorinare la lezione studiata alla perfezione, già pregustando il suo 9 tanto faticato.
- E’ una strega... – borbottò Giulia, mentre Veronica sorrideva fra sé e sé, felice di aver scampato la prima interrogazione e ripromettendosi che non si sarebbe più fatta distrarre dalla questione “confessioni” così da potersi preparare per la settimana seguente.
 
Doveva parlargliene oggi, assolutamente. Stabilì quindi che avrebbe rivelato tutto alle ultime due ore, ovvero quelle di educazione fisica: nel marasma della palestra sarebbero stati tutti troppo occupati a giocare a pallavolo per far caso a lei e ai suoi amici. Così poté finalmente concentrarsi sulla lezione di italiano, complimentandosi mentalmente con Martina per la sua superba esposizione, che, ovviamente, le valse il voto sperato.
 
- Sei strana, oggi – sentenziò Bianca avvicinandosi a lei subito dopo la campanella dell’intervallo. Indossava un paio di bermuda color sabbia e un’informe maglietta dei Jethro Tull comprata ad un loro concerto.
- Perché? –
- Sei più stralunata del solito – le sorrise Bianca e Veronica arrossì, facendole una smorfia.
- Smettila di dire sciocchezze, prepariamo gli zaini prima che arrivi la professoressa – la liquidò con un gesto della mano.
Calmati, Vero, respira e controllati.
- Bianca ha ragione – sentenziò Giulia, sedendosi a gambe incrociate su un banco accanto a loro.
- Smettetela, sono solo stanca – non poté impedirsi di arrossire ancora di più, confermando così i sospetti delle amiche.
- Dai, ti conosciamo! Non fare la sostenuta – rincarò Martina, ancora gongolante per il suo voto.
- Okay, devo dirvi una cosa. Ma ne parliamo in palestra –
- Perché?! – si risentì Giulia, balzando improvvisamente in piedi e facendo oscillare i morbidi boccoli ebano davanti al volto.
- Orecchie indiscrete – mormorò, facendo un cenno con il capo al gruppetto di ragazzine spocchiose dietro di loro.
Le altre tre annuirono.
 
- Andiamo, veloci! Non avete ancora finito di prepararvi?! Avete avuto tutto l’intervallo, fagnani*! – sbraitò la professoressa, appena entrata in classe e già arrabbiata per l’indolenza dei suoi allievi, ancora dediti ai piaceri della ricreazione.
Si misero in fila, anzi, in branco, e scesero di corsa le scale di pietra, scagliandosi contro il portone in legno. La scuola era antica, originariamente nata come convento, e non aveva spazio per una palestra, così occupavano quella del liceo scientifico che al sabato, appunto, non andava a scuola.
Mentre cantavano a squarciagola lungo il Viale di Santa Caterina, Veronica udì il trillo del suo telefono. Lo sfilò a fatica dalla tasca, per poi rispondere.
- State andando da noi? – era Elena, che aveva senz’altro udito i cori stonati che dissacravano vecchie canzoni, pilastri della musica italiana.
- Sì... –
- Allora? Gliel’hai detto? – nella voce di Elena si percepiva chiaramente una punta di angoscia.
- Non ancora –
- Aspetti di essere in palestra? – indovinò Elena. Veronica udì chiaramente un rutto attutito e poi le scuse di Michele. Si lasciò sfuggire una risata.
- E’ un maiale – sospirò Elena.
- E tu no? – la schernì Veronica, sempre ridendo.
- Okay, torniamo a parlare di cose serie. Aspetti di essere in palestra? – ripeté.
- Sì, c’è più confusione –
- Elena lo sa? – s’intromise Giulia con tono offeso. Aveva facilmente dedotto l’argomento della conversazione. Giulia aveva sempre provato una sorta di gelosia nei confronti di Elena, sia perché si considerava lei stessa la migliore amica di Veronica e la presenza di quella ragazza così strana la infastidiva, sia perché Veronica sembrava molto più legata a lei che a loro.
- Sì, ma... – non fece in tempo a replicare, che Giulia la interruppe.
- Mi sembrava ovvio, come ho fatto a non pensarci prima? – la rimbeccò Giulia, risentita.
- Dì a Giulia che è un’emerita idiota! – esclamò Elena, arrabbiata. L’antipatia fra le due era reciproca, anche se da parte di Elena era nata solo recentemente, ovvero da quando Giulia aveva iniziato a non fare più nulla per nascondere il fastidio che l’altra le provocava.
- Elena, Giulia, smettetela! – esclamò Veronica.
- Amore... – mormorò Elena, mogia.
- Elena, ci vediamo a casa –
- Va bene, scusa. A dopo -, Veronica staccò il cellulare e lo rimise nella tasca dei jeans.
 
- Ti sembrava necessario?! – Veronica non era solita alzare la voce, ma ora era davvero arrabbiata.
- Sì, assolutamente necessario! –
- Andiamo, ragazze, smettetela – Silvana tentò di calmare le acque.
- No, io non la smetto! Non so voi, ma sono stufa di essere chiamata amica e poi non essere trattata come tale! –
- Giulia, non dire sciocchezze! Io vi reputo amiche e non mi sembra di trattarvi in modo diverso –si scaldò Veronica.
- Certo, Vero! E allora perché Elena sa già ciò che ci dirai in palestra?! –
- Mi sembra un’argomentazioni stupida, davvero assurda! –
- Però Giulia ha ragione: noi veniamo sempre dopo di lei... – mormorò Silvana timidamente.
- Voi siete impazzite, fuori di testa! –
- Io sono d’accordo con Veronica: ragazze, state dicendo sciocchezze – intervenne Bianca.
- Allora spiegaci perché Elena già lo sa – le ordinò Giulia, incrociando le braccia.
- In palestra – sibilò Veronica, furiosa come non lo era mai stata. Le stavano davvero facendo perdere la calma, ce la stavano mettendo tutta, soprattutto Giulia.
 
Nello spogliatoio notò che il gruppetto di smorfiose già spettegolava, ridacchiando giulivamente, della loro litigata e ciò la fece infuriare ancora di più. Si cambiò rapidamente nel suo solito angolo, confortata da Bianca e Martina. Non era più così sicura di volerle mettere a parte del suo segreto.
 
- Iniziate a scaldarvi. Fabio, aiutami a mettere la rete! –
Iniziarono a correre, intorno alla palestra, sbuffando: il riscaldamento era la parte della lezione che più li annoiava. Veronica non disse una parola per tutto il tempo, finché la professoressa li fece dividere in tre squadre per disputare alcune partite, quindi lei, Bianca, Giulia, Martina, Silvana e Marco si sedettero per parlare. Andrea fu costretto ad unirsi ad un altro sestetto, ma Veronica gli promise che ne avrebbero discusso dopo.
 
- Allora, sentiamo un po’ – la sollecitò Giulia.
- Se continui con questo tono, non ti dirò proprio nulla – replicò piccata Veronica.
- Andiamo Giuls, smettila di essere così acida -, Martina posò una mano sulla spalla dell’irritata amica.
- Dicci tutto, Vero – Bianca le mise un braccio attorno alle spalle, tentando di confortarla e rassicurarla. Veronica sospirò. Ormai aveva intuito che con Giulia sarebbe stata una rottura definitiva, ma non aveva intenzione di continuare ad essere amica di una persona del genere.
- Sono gay – sussurrò Veronica, abbassando gli occhi per non dover sostenere i loro sguardi.
- E scommetto che Elena è la tua ragazza. Ecco perché lo sapeva già – constatò Giulia amaramente.
- Giulia, se non ti sta bene puoi anche smettere di essere mia amica! –
- Senz’altro farò così! –
- Giuls, come puoi reagire così?! È sempre lei, è sempre Vero! Cosa ti importa se sta con Elena o con un ragazzo? – Bianca tentò invano di farla ragionare.
- A me importa – con quelle fredde parole, Silvana si alzò e si allontanò, seguita da Giulia.
- Scusami Vero –Marco si alzò, anche se Veronica non era certa se l’avesse fatto semplicemente per raggiungere la sua ragazza oppure perché anche lui non sarebbe più stato suo amico.
 
Veronica non aggiunse nulla, li lasciò andare via, mentre Martina la abbracciava.
- Ehi, a noi non importa. Ti vogliamo bene allo stesso modo -, Bianca annuiva alle parole di Martina e le stringeva le mani.
- Grazie ragazze – mormorò, con la voce rotta. Stava per scoppiare in lacrime.
- Tutti sanno che Elena... beh, che a lei piacciono le ragazze, ma non avrei mai detto che anche a te piacessero – le confidò Bianca.
- Io sono più femminile, forse è per questo... mentre Elena è, come dire... –
- Sì, abbiamo perfettamente chiaro il concetto – annuì Martina.
- Vi voglio bene -, le tre si abbracciarono.
- Mi dispiace per Giulia... –
- A me no -, con quella bugia Veronica chiuse il discorso.
 
Quando fu il loro turno di entrare in campo e giocare, fu un vero disastro: Veronica non era mai stata portata per gli sport con la palla, in più era nervosa, mentre Giulia, che solitamente era discreta, non riusciva nemmeno a mandare la palla nell’altro campo. L’unica che salvasse la situazione era Martina, che era anche la sola che giocava a pallavolo fuori dalla scuola. Persero miseramente contro le smorfiose.
 
Finalmente quelle due ore di supplizio terminarono e, riponendo le sue cose, Veronica si accorse che c’era un messaggio non letto sul suo telefono. Era Elena: sarebbe venuta a prenderla fuori dalla palestra!
Si cambiò ancora più rapidamente di prima: voleva andarsene via subito e piangere fra le braccia della sua ragazza, possibilmente sedute sulla poltrona. Voleva essere consolata, baciata e amata, dimenticare la cattiveria di quella persona che credeva di conoscere profondamente.
 
- Aspetta un attimo, Vero – la trattenne Giulia, afferrandole un braccio.
- Lasciami immediatamente – ringhiò lei di rimando. Tutte le ragazze osservavano la scena incuriosite.
- Se no? –
- Se no un bel niente, lasciami andare e basta! – Veronica tentò di divincolarsi, ma la presa dell’amica, o meglio, di colei che avrebbe dovuto essere sua amica, era saldissima.
-Lasciami indovinare... il tuo amore ti aspetta fuori? –
Veronica non riusciva a credere alle sue orecchie: come poteva comportarsi così? Come poteva essere così perfida? La Giulia a cui si era affezionata tre anni prima non era così. O forse era stata lei a non aver indovinato subito la sua vera natura. Si maledisse per questo suo colossale errore.
- Vero, hai un ragazzo? – domandò Ottavia, che aveva la meritatissima fama di parlare sempre a sproposito e di essere un po’ tocca.
 
Approfittando dell’attimo di distrazione di Giulia, anche lei allibita di fronte a tanta manifestazione di stupidità, si divincolò e corse fuori.
- Mantovani, come mai così di fretta? – le domandò la professoressa.
- Oggi ho molti impegni – mentì con un gran sorriso.
- Brava ragazza – sorrise fra sé la professoressa.
 
Elena era seduta su una panchina verniciata di verde, indossava un paio di jeans scoloriti e una morbida maglietta rossa. Appena vide Veronica uscire trafelata e con gli occhi lucidi, le si avvicinò rapida.
- È andata male? – le sussurrò all’orecchio, quando Veronica si strinse a lei, affondando il viso nella sua maglietta.
- Più o meno... –
- Solo con Giulia? –
- Anche con Silvana. E forse persino Marco – mormorò soffocando un singhiozzo.
- Tesoro, non piangere. Non si meritavano la tua amicizia se è bastato dirgli che stai con me per allontanarli da te – Elena le carezzava con dolcezza i lunghi capelli, stringendola e baciandole le guance.
- Lo so... ma non riesco a spiegarmene la ragione -, Veronica tirò su con il naso.
- Sono solo stupidi –
 
In quel momento uscirono Bianca e Martina, rosse in volto.
- Vero... mi dispiace molto... – iniziò Bianca, affannata.
- Cosa è successo?! –
- C’è stata una discussione quando sei uscita e Giulia... – Bianca esitò, anche se Veronica ormai aveva capito.
- Giulia l’ha detto a tutti – la personalità diretta e pragmatica di Martina la indusse a rivelare subito la verità, senza indorare la pillola.
- Non mi importa, l’avrei fatto io comunque... –
- Però non puoi permetterle di trattarti così – intervenne Elena per la prima volta.
- Cosa dovrei fare? –
- Innanzitutto, dirgliene due – stabilì Bianca ed Elena annuì, esprimendo il suo favore alla proposta dell’altra.
- Non posso – Veronica scrollò il capo, sconsolata.
- Sì, puoi eccome – la incoraggiò Elena, posandole un bacio sulla fronte e costringendo Veronica a lasciare la presa attorno alla sua vita. Proprio in quel momento uscirono Giulia, Silvana, Marco e Andrea. Il quarto era particolarmente arrabbiato.
 
- Ma guarda un po’ – sogghignò Giulia, notando Elena in quel momento.
- Vero, ci tengo a sottolineare che io sono completamente dalla tua parte – sentenziò Andrea, strappandole un sorriso: la rassicurazione più profonda proveniva proprio da colui di cui aveva dubitato maggiormente. Si pentì di ciò che aveva pensato quella mattina.
- Io no. Se vuoi stare con quella, con me hai chiuso –
 
Veronica scoppiò a ridere fragorosamente, finché gli occhi le si inumidirono di lacrime. Era esilarante le faccia tosta con cui Giulia la ricattava.
- Giuls, non credo che tu abbia compreso fino in fondo la situazione. Io amo Elena e se a te, anzi, a voi – con un gesto della mano incluse anche Silvana e Marco – la situazione disturba, con me avete chiuso – disse, riprendendo la minaccia usata da Giulia.
 
Elena, udendo le parole di Veronica, era arrossita: non le aveva ancora detto che l’amava e quella piccola parola la riempì di felicità e gioia. Le mise un braccio attorno alle spalle, per poi posarle un bacio sui capelli.
 
- Perfetto, Veronica, mi sta bene. Ma esprimi il tuo lesbismo lontano dai miei occhi – alla vista di quei gesti d’affetto, la ragazza aveva storto il naso.
- E tu esprimi la tua ignoranza lontano dai nostri, di occhi – replicò Elena, per poi posare un bacio sulle labbra della sua ragazza, incurante della presenza della maggior parte dei compagni di classe di Veronica.
Veronica sentì distintamente Bianca scoppiare a ridere.
 
- E’ un’offesa al pudore –
- Non ti credevo così moralista. Sai, dopo che ti fatta scopare da quello sconosciuto nel bagno della discoteca... -, Veronica si era presa la sua piccola rivincita, sbandierando apertamente il segreto di Giulia che lei sola conosceva. La vide digrignare i denti, come un cane pronto ad attaccare, e avvampare di vergogna.
 
- Non avresti dovuto – ringhiò.
- Perché, tu mi hai chiesto il permesso di raccontarlo a tutti?! –
Veronica tentò di allontanarsi da Elena, pronta a fronteggiare Giulia e la sua rabbia, ma l’altra la trattenne.
- Brava Elena, tienimela lontana, altrimenti le spacco la faccia! –
 
- Nessuno spaccherà un bel niente! Cosa succede qui?! – sbraitò la professoressa, uscita in quel momento.
- Una rissa – ridacchiò Ottavia.
- Una rissa?! –
- No, professoressa, nessuno ha sfiorato nessuno. È stato solo un litigio – s’affrettò ad intervenire Martina, per arginare i danni che le parole di Ottavia avrebbero potuto provocare.
- Sarà meglio che finisca subito! Ora andatevene, tutti! – ordinò, indicando il cancello del cortile.
Con una serie di “arrivederci” appena sussurrati, la classe uscì.
- Non sperare che la questione termini qui – la avvertì Giulia.
- Non sperarlo nemmeno tu –
 
- Dai Vero, andiamo a pranzare –, Elena circondò nuovamente le spalle con un braccio.
- Sì, certo. Venite anche voi? – domandò rivolta ad Andrea, Bianca e Martina, che, dopo essersi consultati con uno sguardo, annuirono. Giulia si allontanò con Silvana e Marco, pericolosamente vicini alle smorfiose, da loro tanto criticate.
 
- Ipocrisia... – canticchiò Veronica, per l’ilarità di Andrea.
- Ragazzi, scusate! Dimenticavo che devo proprio andare: devo iniziare subito a studiare, perché domani sono via tutto il giorno. Mi spiace, ci vediamo questa sera? – si scusò Martina.
- Certo, solita ora, solito posto – annuì Veronica.
- Allora ciao a tutti -, si avvicinò per abbracciare Veronica, per poi sussurrarle all’orecchio un sentito grazie, che l’altra ricambiò con un dolce sorriso.
 
- Venite da me, prendiamo qualcosa in gastronomia. Tanto i miei sono a pranzo da alcuni amici e hanno avanzato un po’ di ravioli e melanzane alla parmigiana – propose Elena, la cui madre gestiva appunto una gastronomia. Gli altri si trovarono d’accordo e quindi si avviarono verso il Viale dei Gabbiani.
 
- Perché Giulia ha reagito così? – domandò Elena a nessuno in particolare e la risposta le venne da Andrea.
- Semplicemente per rabbia e ripicca: sappiamo tutti quanto poco Giulia ti sopporti e la rivelazione di Veronica l’ha mandata in bestia –
- E Silvana? Credevo di conoscere le sue idee politiche – Veronica scosse la testa, delusa.
- E’ facile parlare, ma, una volta a confronto con i fatti, si scopre la verità. Marco è semplicemente un’ameba in balia della sua ragazza: se lei si buttasse giù da un ponte, lui la seguirebbe a ruota – ancora una volta Andrea aveva risposto ai loro dubbi.
 
Camminarono in silenzio per un po’, Veronica stringendo la mano di Elena, che pareva assorta.
 
La gastronomia, ovviamente, era chiusa, quindi entrarono dal retro, della cui porta Elena aveva le chiavi. Le loro narici furono subito stimolate da un piacevole profumo di cibo fresco.
- Salite le scale e aprite la porta a sinistra, entrate tranquillamente, non c’è nessuno. Io prendo da mangiare e arrivo –
 
Veronica esitò, non sapendo se accompagnare gli altri di sopra o restare con Elena, ma, dopo aver ricevuto un bacio a fior di labbra da quest’ultima, seguì gli amici al piano di sopra.
- Venite, posate gli zaini qua – li guidò all’interno dell’appartamento di Elena, fino alla sua stanza, dove posarono le cartelle. Poi si spostarono in cucina e Veronica iniziò a preparare il tavolo.
- Ormai sei di casa – ironizzò bianca, sciogliendosi i capelli scuri ornati da ciocche magenta e verde acido.
- Lo sai che siamo amiche dall’asilo –
- Vero, non devi giustificarti, stavo scherzando – si affrettò a spiegarle Bianca, notando il suo imbarazzo.
 
- Eccomi – Elena entrò in cucina portando una grossa teglia e un vassoio.
- Vuoi una mano? – si offrì Andrea.
- No, sedetevi. Faccio io –
 
I tre presero posto, mentre Elena armeggiava con il forno e le pentole. Veronica iniziò a rimuginare silenziosamente sulla mattinata e su quella che considerava, ovviamente ad eccezione di Elena, la sua migliore amica. Come aveva potuto non rendersi conto prima di che razza di persona fosse veramente? Non le importava minimamente che tutti lo fossero venuti a sapere, perché era proprio il suo scopo, anche se non le sarebbe dispiaciuto raggiungerlo con più calma. Ormai il danno era fatto: la voce si sarebbe sparsa rapidamente. Però voleva essere lei a dirlo ai suoi compagni di canto e musica.
 
Le sembrava così gratuita ed ingiustificata la reazione di Giulia e Silvana, che, ripensandoci, gli occhi le formicolavano per le lacrime trattenute. Di Marco, quella sottospecie di cicisbeo, non le importava: se non aveva la forza di opporsi alla sua ragazza era solamente un codardo. Si sentiva male soprattutto per Giulia, per come l’aveva trattata, per la rabbia di cui erano impregnate le sue parole...
 
- Vero, sei dei nostri? – Elena le aveva posato una mano sul capo. Lei si affrettò ad annuire ed Elena rise.
- Vuoi i ravioli, le melanzane o entrambi? –
- Melanzane – mormorò, porgendole il piatto.
- Stai bene? – le domandò Bianca, stringendole una mano.
- Più o meno... – mormorò Veronica.
Andrea si alzò e la abbracciò, per poi tentare di confortarla – Sappiamo quanto volevi bene a Giulia e se lei è così stupida da non essersene resa conto, allora non merita le tue lacrime. Veronica, tu sei sempre stata gentile e premurosa verso di lei, soprattutto nei momenti del bisogno. E come ti ha ripagata? Trattandoti come un rifiuto umano e allontanandoti da lei. Questa non è amicizia, non so cosa fosse e mi dispiace che tutto sia finito così, mi dispiace specialmente di non essermi accorto prima di chi fosse veramente –
- Puoi star certo che quello non l’aveva capito nessuno – annuì Bianca, riferendosi alla vera indole di Giulia.
- Grazie ragazzi, davvero –, Veronica aveva gli occhi lucidi.
- Ehi, Vero! Loro ti consolano e tu piangi?! – rise Elena, prendendo il posto di Andrea e avvolgendola con dolcezza.
- Scu...scusate – singhiozzò, sfregandosi le guance ormai umide con il dorso di una mano. Elena le scostò i capelli dagli occhi per poi aiutarla a tamponare le lacrime.
 
- Ci credo che stia male! Giulia si è dimostrata una stronza insensibile! Ma gliela farò pagare – promise Bianca, furiosa per le lacrime che l’amica versava a causa di una persona ingiusta e falsa.
- Bi, niente violenza – la redarguì Andrea, che si era appena versato da bere.
- Cucciola, me lo fai un sorriso? – le mormorò Elena all’orecchio, senza smettere di stringerla.
Veronica ci provò, guadagnandosi un bacio sulla fronte.
 
- Direi che possiamo iniziare con le melanzane, l’acqua dovrebbe bollire fra qualche minuto, poi butto i ravioli -, anche Elena prese posto a tavola.
 
Terminato il pranzo, Andrea e Bianca tornarono a casa propria, mentre Veronica si rifugiò sulla poltrona, raggiunta subito dopo da Elena.
- Ti siedi in braccio a me? – le domandò Elena, afferrandole una mano. Veronica annuì, alzandosi, per lasciare posto all’altra. Poi si sedette a cavalcioni.
- E’ colpa mia, Vero? – domandò improvvisamente Elena. L’altra sgranò gli occhi per la sorpresa.
- Di cosa parli? –
- Di Giulia. È colpa mia se ha reagito così? – insistette, posandole le mani  sui fianchi.
- Certo che no! Perché lo pensi? –
- Mi detesta, quindi sapere che sei la mia ragazza la spinge a detestare anche a te –
- Non essere sciocca, amore, non è colpa tua se lei è una bigotta ignorante –
- Veronica... ti amo – osò Elena, causando un improvviso rossore sulle guance dell’altra.
- Elena, anch’io ti amo -, Veronica si chinò per baciarla, le braccia attorno al suo collo e le mani fra i suoi morbidi capelli.
 
Elena si alzò in piedi e, reggendola fra la braccia, raggiunse la sua camera, dove la depositò con grazia sul letto, per poi sdraiarsi accanto a lei. Dopo qualche secondo, si ritrovò Veronica sdraiata sopra di lei, intenta a baciarla e carezzarla. Non riuscì a trattenere una risatina di piacere.
- Che c’è? – domandò Veronica allarmata, sollevando il capo.
- Nulla, amore, mi hai solo presa alla sprovvista –
- Era proprio quella l’intenzione –
 
Rimasero coricate una accanto, talvolta anche sopra, all’altra: stavano assieme da tre mesi, ma ancora non volevano consumare nulla di più di semplici baci e carezze, nonostante fossero ansiose di scoprire più a fondo l’una il corpo dell’altra. Elena percepì chiaramente le unghie di Veronica solleticarle la parte bassa della pancia.
- Vero... se continui non mi trattengo – mugugnò Elena, posando le mani sul sedere di Veronica e premendo il proprio bacino contro il suo.
- Allora la smetto e continuiamo un’altra volta. Non mi va di farlo dopo questa giornataccia – annuì Veronica, ancora tormentata dal malumore.
 
 
 
*Fagnano: piemontesismo ( fagnan), significa scansafatiche, persona a cui piace oziare.

***

La posta di Mizar:

Nessie: Veronica è come, dolce e tenera, però poi scoppia che è una meraviglia! Ma Sabrina ce l'aveva messa davvero tutta per rendersi antipatica, quindi è più che giustificata. Un bacione anche a te e grazie davvero per i complimenti, che mi lusingano sempre!
manga_girl: Sabrina lo fa solo per il gusto di irritare, è una di quelle persone che non sono felici se le persone che non sopportano lo sono. E' semplicemente una ragazza senza personalità. Sono contenta che i flash ti piacciano e spero apprezzerai anche questo!
Asterope: le due sono così in sintonia si aperchè si conoscono da molto tempo, sia perchè si comportano quasi come una coppia sposata (vedrai meglio nei prossimi capitoli). La mia teoria è che siano semplicemente "anime gemelle" e viaggino sulla stessa lunghezza d'onda: sono quei contrari che si completano. Catania mi è piaciuta davvero molto (mi sono strafogata di arancini e cannolli!), soprattutto la cattedrale e l'elefante! Ovviamente, mi è piaciuta anche la città in sè :)
Apia: quando ho letto del tuo paragone Elena-Shane i miei neuroni (quei pochi sopravvissuti) si sono scatenati in una danza scomposta, perchè era proprio quella l'idea che volevo dare di Elena, un misto di Uranus (non so sei hai presente Sailor Moon, ma lasciamo perdere) e di Shane, mentre Veronica per controparte è la sua partner/amante Neptune e si assomigliano anche nei caratteri, ho tratto molta ispirazione da loro. In questo flash niente Sabrina, mi spiace, ma ci pensa Giulia a smuovere le acque!

Grazie a Auri, Babi_3MSC e Chikane cha hanno inserito la storia fra le preferite; grazie a Paola90 che l'ha inserita fra le seguite; grazie a chi semplicemente legge e mi rende felice con il suo passaggio!


A presto,
Mizar



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Capitolo 4
*** Padri suscettibili ***


3. t.s.e. 4.

Ed eccovi il quarto episodio della raccolta: un missing moment a cui si accenna nel XXIII capitolo di Fior di pesco. Ringraziamenti al fondo!

Genere: Erotico
, Triste, Comico (sì, lo so, di tutto e di più)
Rating: Arancione
Avvertimenti: Yuri, Missing moments

PADRI SUSCETTIBILI

-
Via libera - proruppe Veronica, quando Elena rispose al telefono.
- Completamente? -
- Sì, mamma è al lavoro, Mattia e Federica sono da Mari, Claudio ha un corso di recupero e papà... non ne ho idea, ma non c'è - il suo tono era concitato a causa dell'impazienza, che sfogava tamburellando con le unghie sulla superficie di vetro del tavolo da pranzo.
Non erano molte le occasioni diurne per stare liberamente assieme senza rischiare di offendere qualche genitore, o fratello, ipersensibile e bigotto, e loro non se ne facevano sfuggire nessuna, tanto per ricreare l'illusione di vivere una storia normale, come quella di una qualunque coppia eterosessuale ormai sessualmente matura.

Nella famiglia di Elena, i suoi genitori si erano rassegnati, anche se non tolleravano più la presenza di Veronica, prima tanto elogiata e ringraziata perchè teneva a freno l'inarrestabile e prorompente caratteraccio di Elena.
Suo padre, dopo due figli maschi, avrebbe tanto desiderato una femmina, ma ne rimase profondamente deluso; il suo risentimento verso quella figlia che lui non considerava tale aveva inciso molto nel loro rapporto, ormai definitivamente deteriorato.
La madre, invece, aveva notato, già durante l'infanzia, che Elena era tutt'altro che una normale bambina: passava ore e ore a schierare file di soldatini appartenuti ai fratelli, replicando grandi campagne militari accuratamente studiate su un vecchio manuale che aveva ritrovato in soffitta, giocava con le macchinine, a calcio, detestava le bambole e rifiutava ogni cosa che potesse far presupporre il suo essere donna. Crescendo, questo suo atteggiamento si era riflesso in maniera differente, specialmente nell'aspetto esteriore e nell'atteggiamento: nessuno avrebbe faticato molto ad additarla come omosessuale. Nonostante la madre avesse intuito da tempo che non avrebbe mai visto la sua figlioletta fra le braccia di un uomo, non era mai riuscita a rassegnarsi e ancora insisteva e la tormentava, continuando a presentarle avvenenti giovanotti di buona famiglia.
Dal canto loro, i fratelli se ne fregavano altamente, e non solo delle sue preferenze sessuali: non avevano mai prestato troppa attenzione a quella piccola sorella stramba, che più che altro pareva un fratello, considerandola la pietra dello scandalo, la pecora nera della famiglia, a causa della quale in casa aleggiava costantemente un clima di tensione. Raffaele e Paolo erano rispettivamente di tredici e undici anni maggiori di lei e la consideravano un incidente di percorso.
L'unica in quella famiglia ad averla sempre accettata e rispettata era la nonna Lia, la fantastica nonna paterna, con cui sfogava ogni suo dolore e riusciva ad essere sempre e comunque se stessa.

- Arrivo subito, tesoro -
Veronica sorrise fra sè, riponendo il cordless al suo posto e muovendosi a passo di danza verso il bagno sul parquet lucidato da poco.
Dopo pochi minuti udì spegnersi il motore di un'auto che avrebbe potuto riconoscere fra mille. Si era cambiata rapidamente, per indossare una corta camicia da notte di raso rosa, bordata di pizzo nero, aderente al suo fisico asciutto, sottolineato dalle morbide pieghe del tessuto. I capelli erano sciolti, e due ciocche ai lati del viso erano sollevate e tenute ferme da forcine, una per parte, sopra le orecchie. Con la sua pelle lattea pareva la Venere di Botticelli. E non indossava biancheria intima, notevole punto a suo favore.

Elena suonò con impazienza e Veronica fu più che lieta di accoglierla nel suo salotto.

- Mamma mia... -, Elena sgranò gli occhi di fronte alle lunghe gambe dell'altra.
Veronica non perse tempo, dopo aver sbattuto la porta alle spalle di Elena, le saltò in braccio, cingendole la vita con le gambe. L'altra subito barcollò, rischiando di perdere l'equilibrio, ma, una volta stabilizzata, strinse Veronica a sè, baciandola con impazienza.
- Niente mutande? - domandò con un sorriso soddisfatto, sollevando un sopracciglio. Dato che le sue mani poggiavano direttamente sulla pelle fresca di Veronica, si era resa conto che mancava qualcosa, ovvero un sottile strato di cotone.
- No cara, niente mutande - disse Veronica con voce roca per l'eccitazione.
- Vergognati - sussurrò Elena al suo orecchio per poi morderlo e baciarlo.
Veronica si strusciò contro di lei, reagendo con gemiti soddisfatti ai suoi baci e alle sue attenzioni.

- Non offenderti, amore, ma inizi a pesare - le fece notare Elena con un sorriso, dato che quel koala che era Veronica stava ancora
saldamente aggrappata a lei.
Veronica brontolò qualcosa sulle scarse capacità muscolari di Elena, lasciandosi scivolare a terra.
- Dai, non fare l'offesa, anch'io ho un limite di resistenza! E con ciò non voglio dire che tu sia grassa, semplicemente dopo un po' mi si stancano le braccia - si giustificò Elena, afferrandole un'affusolata mano bianca.
Dita da pianista, pensò Elena, mentre se la avvicinava alle labbra, per poi baciarne il dorso. Veronica rise, imbarazzata per quelle attenzioni premurose.

- Dove vuoi che lo facciamo? - le sussurrò maliziosa Elena all'orecchio. Subito le guance di Veronica si spruzzarono di rosso, poi negli occhi le brillò una scintilla di determinazione. Probabilmente già gongolava per l'idea appena avuta, complimentandosi mentalmente con se stessa.
- Seguimi - Veronica le strinse un dito, per poi condurla fino al bagno del piano superiore.
- Sei ingegnosa, piccolina - si complimentò con lei, stringendole la vita da dietro, mentre Veronica si compiaceva di quella stretta.
Spostò i palmi aperti delle mani sul suo seno, iniziando a stringerlo e massaggiarlo, sentendolo inturgidirsi attraverso il raso sottile.
- Apri l'acqua? - mormorò Elena, fermandosi lentamente, fino a smettere del tutto, lasciando Veronica boccheggiante, che si diresse quasi esitando verso la vasca da bagno. Aprì il rubinetto, chiuse il tappo, poi iniziò a cercare il bagnoschiuma ai frutti di bosco, mentre Elena le si avvicinava. Approfittando del suo essere china sulla vasca, Elena si appoggiò a lei, abbracciandola, mentre faceva scivolare entrambe le mani sotto la veste rosa.
- Elena... smettila, altrimenti non resisto - accennò con il capo alla vasca che si stava riempiendo.
L'altra, sorda alle sue proteste, si inginocchiò davanti a lei sollevando la morbida stoffa che la copriva, poi iniziò a baciarle la pancia, indugiando con la lingua attorno all'ombelico e traendo piacere dai gemiti dell'amante, che le carezzava i capelli lentamente, forse sperando in un bacio più intimo. Per quello l'avrebbe fatta attendere ancora un po'.
- Sei tremenda... ti avevo chiesto di... darmi tregua - Veronica faticava persino a sostenere una banale affermazione.
- Allora smetto - Elena si alzò in piedi, gli occhi languidi e le labbra arcuate in un sorriso malizioso.

- Spogliati -
- Agli ordini, tesoro - si afferrò il bordo inferiore della maglietta e fece per sfilarla, quando la mano di Veronica la bloccò.
- Faccio io -
Le sfilò lentamente la t-shirt nera, per poi posare le sua labbra umide e morbide sul petto di Elena, che chiuse istintivamente gli occhi, beandosi della lingua tiepida di Veronica che giocava sul suo seno.
- L'acqua è pronto - stabilì Veronica, staccandosi da lei con uno schiocco umido.
Elena si tolse anche i pantaloni e la biancheria intima, per poi liberare il corpo di Veronica dall'impaccio di quella eccitante camicia da notte.
- Nuda sei uno spettacolo impagabile - le disse Elena, arrossendo, carezzandole il viso con il dorso della mano.
- No, sei molto meglio tu -

Si immersero nell'acqua tiepida con un sospiro, fra bolle profumate e volute di caldo vapore.
Elena si appoggiò alla vasca, i gomito sul bordo, reclinò la testa all'indietro, mentre Veronica si sedeva fra le sua gambe, poggiando la schiena al suo ventre e la testa sulla sua spalla.
- Ti amo... - mormorò Veronica. Nonostante fossero sole, il vizio di tenere la voce bassa non riuscivano proprio a toglierselo.
- Io di più, esserino - Elena sottolineò le sue parole con una serie di baci umidi sul collo di Veronica, mentre tornava a stuzzicarle i capezzoli con le mani.
Veronica arcuò la schiena, ansimando e stringendo il bordo della vasca con più forza. Elena fece scendere lentamente la mano destra lungo il corpo di Veronica, fino a sfiorarla dove lei tanto desiderava.
- Finalmente - ridacchiò Veronica, chiudendo gli occhi.
- Sei proprio impaziente, piccolina... ora stai zitta e buona, ci penso io -
Interruppe il contatto con l'intimità di Veronica, sorda alla proteste di lei. Ricominciò a baciarle il collo e le spalle, mentre le sua mani vagavano indisturbate sul corpo dell'amante, toccando, stringendo, sfregando, e da lei accolte con piacere.

- Sei sicura che non arriverà nessuno? - le domandò nuovamente Elena, a cui sembrava di aver udito il motore di un'auto spegnersi proprio lì fuori.
- Sì, ne sono... certa - mugolò Veronica, posandole un bacio dietro l'orecchio.
- Mi fido -
Veronica si voltò con tutto il corpo verso di lei, sorridendole con il capo reclinato verso sinistra.
- Non mi piace quel sorriso - mormorò Elena, sfiorandole la guancia con un dito e tracciandovi una scia bagnata. Veronica, senza abbandonare la sua espressione, si chinò sul collo dell'altra, affondandovi gentilmente i denti, mentre scivolava verso il basso con la mano destra. Elena si limitò ad abbracciarla, chiudendo gli occhi e abbandonandosi completamente all'amante.
- Ti amo - le mormorò Veronica fra la labbra, prima di baciarla. Elena non riuscì a rispondere, tutto ciò che le venne fuori fu un gemito, causato dalle mani dell'altra, che continuavano ad esplorare, carezzare, toccare, ora con dolcezza, ora con veemenza, incitate da Elena stessa, che la pregava di non smettere. Veronica spostò lentamente le sue labbra e i suoi denti, facendoli scivolare dal collo al seno dell'altra, che le carezzava i capelli, baciandole il capo. - Non... smettere... ora - mormorò Elena a fatica, intensificando la presa sulla schiena di Veronica.
Veronica soffocò il suo gemito liberatorio in un bacio profondo.
- Piccola... - ansimò Elena, stringendola.
- Mm? -
- Ti amo anch'io -
Veronica le sorrise, lasciandosi abbracciare. Aspettò che il respiro di Elena tornasse normale, poi ripartì all'attacco.
- Piano! Ma che hai mangiato oggi? - rise Elena, afferrandole la vita, facendola ridere.
Riprese a baciarla lentamente, carezzandole i fianchi e le cosce, avvertendo la sua soddisfazione quando la sfiorò più intimamente. Percepire il calore emanato dal corpo dell'altra, bastò per fare schizzare nuovamente l'eccitazione di Elena alle stelle. Veronica le strinse le braccia attorno al collo; il suo movimento produsse un ondeggiare improvviso dell'acqua profumata in cui erano immerse.

- Voglio stringerti forte - sussurrò con un sorriso timido. Elena le baciò la punta del naso, per poi soddisfare le sue richieste.
Indugiò un po', tormentandola consapevolmente, prima di penetrarla. Veronica reagì istintivamente muovendo il bacino ed Elena assecondava il suo ritmo, mentre con la mano libera le carezzava il corpo. 
Quando Elena introdusse garbatamente un altro dito, Veronica inarcò la schiena emettendo un sospiro di soddisfazione: non era più lucida, ormai completamente travolta da quel piacere così intenso, che le pareva impensabile tornare indietro. Ciò che più di tutto le trasmetteva quelle forti sensazioni era la solo presenza della sua amante, della quale non si sarebbe mai potuta stancare, della quale non avrebbe mai potuto fare a meno. Era a tal punto coinvolta in quell'unirsi e separarsi di corpi, che quasi non udì le parole di Elena.
- Vero, mi senti? - ridacchiò l'altra, passandole la punta della lingua fra i seni.
- Mm - tornò a mugolare Veronica, che ormai non riusciva ad emettere altro suono.
- Ti spiacerebbe cambiare posizione? Ho le gambe anchilosate -, Veronica esibì un'espressione terribilmente contrariata per l'interruzione, poi acconsentì a scendere.
- Siediti qui - le sussurrò Elena con voce roca, dopo aver spostato alcuni barattoli profumati dalla loro usuale collocazione sul bordo della vasca, in un punto in cui esso si faceva più largo. Le gote di Veronica si tinsero di rosso, mentre assecondava la richiesta dell'altra.
Stringendole con una mano una coscia e con l'altra tornando ad insinuarsi dentro di lei, accompagnò quei gesti con il calore della sua bocca, che esplorava l'inguine di Veronica.
- Ele... -, affondò le lunghe dita fra i corti capelli dell'amante, appoggiandosi alle fredde piastrelle del bagno, che avvertiva ancora più gelide sul suo corpo bollente. Prima che Veronica si stufasse e decidesse di cambiare posizione, dato che il freddo delle piastrelle iniziava ad infastidirla, trascorse a malapena un minuto.

- Vero, mi stanno venendo le branchie a stare qua in acqua, quindi deciditi che voglio concludere in bellezza - scherzò Elena, accogliendola nuovamente fra le sue braccia. Se c'era una cosa che Veronica amava profondamente era lo stretto contatto fisico durante un rapporto, non poteva farne a meno: non che ciò che
Elena le stava facendo prima le dispiacesse, tutt'altro, ma per concludere in bellezza ne avvertiva la necessità.

- Girati - le sussurrò Elena, mordendole il lobo.
- Scusa? -
- Tu fallo - insistette.
Veronica voltò le spalle alla compagna, per poi sedersi piegando le gambe sotto il sedere.
Elena la abbracciò, posando una scia di baci sulla sua spalla, mentre con una mano scendeva lungo la sua colonna vertebrale e con l'altra indugiava sul suo seno. Raggiunse nuovamente la sua intimità, questa volta violandola con meno delicatezza. I gemiti di Veronica le confermarono il successo della sua decisione. La mano che fino a quel momento si era concentrata a massaggiare il seno dell'altra, scese lungo il ventre, fino al clitoride, intensificando il suo piacere. 
Veronica si teneva con una mano alla maniglia della vasca, mentre l'altro braccio era piegato all'indietro, attorno al suo collo.
Elena assecondava il suo ritmo muovendo tutto il corpo per aiutarsi. Non era una posizione troppo comoda, almeno per Elena, ma a Veronica sembrava piacere parecchio. Infatti, poco dopo, avvertì i suoi muscoli iniziare a contrarsi attorno alle sue dita.
- Ci sono... quasi... - l'avvertì come da previsione qualche secondo dopo.

L'emozione troppo intensa, troppo travolgente, le assordò per alcuni fatali secondi.
- Diamine! - la porta del bagno si richiuse sbattendo violentemente.
Entrambe trasalirono, colte di sorpresa. Veronica saltò fuori dalla vasca, imprecando afferrò un telo da bagno e se lo strinse attorno al corpo. Elena la seguì, senza dire una parola. Si asciugò rapidamente, per poter indossare la biancheria intima, quindi si sedette sul bordo della vasca attendendo la reazione dell'altra.
Veronica aprì la porta, per trovare suo padre, braccia conserte e sguardo truce, che la attendeva oltre la soglia.
Trascorsero alcuni secondi di imbarazzante silenzio.

- Veronica... la voglio fuori da casa mia - ringhiò facendo un passo indietro, indicando le scale.
- Papà, smettila - lo pregò lei, tentando di mantenere la calma. Se avesse ascoltato l'istinto animalesco che la animava in quel momento, avrebbe sbattuto la porta in faccia a suo padre, mandandolo a quel paese con nemmeno troppa gentilezza.
- Queste... cose, scordatevi di farle sotto il mio tetto, chiaro?! - sbraitò, gli occhi ridotti a fessure e il volto ormai magenta.
- Mi stai mettendo in imbarazzo con la tua ottusità - replicò fredda Veronica, richiudendo la porta.
Gianni, però, fu più lesto: la bloccò con una mano, per poi spalancarla nuovamente. Afferrò Veronica per un gomito, sordo alle sue proteste.
- Non ti permetto di rispondermi così! -
Elena osservava basita il loro litigio: non osava intromettersi, era imbarazzata, spaventata, ma anche arrabbiata, molto arrabbiata, per come il padre di Veronica la stava trattando. I suoi non si intromettevano più nella sua vita o, perlomeno, non così.
- Tu! -, Elena trasalì. Gianni l'aveva indicata, rivolgendosi a lei con aggressività - Sparisci da casa mia! Non voglio mai più vederti! -
Elena si alzò in piedi: senza scomporsi prese i suoi vestiti. Sarebbe stato meglio assecondarlo.
- Papà, lasciami! Non puoi... non puoi trattarla così! Io la amo e tu devi accettarlo! - urlò Veronica, diventata dello stesso colore del padre.
- No, Vero, lascia stare. Non ha senso tentare di far ragionare certe persone -
- Ragazzina, non ti permetto di usare quel tono con me -
- E' una minaccia? - Elena alzò un sopracciglio.
- Papà, smettila subito! -, Gianni, per zittirla, le diede uno schiaffo. Non lo faceva da più di dieci anni.
Fino a quel momento era rimasta pressochè impassibile, ma quando vide Veronica portarsi la mano alla guancia colpita con gli occhi lucidi, non resistette.
- Lasciala stare! -, si intromise fra padre e figlia, costringendolo a mollare la presa sul suo gomito, ancora ben salda.
- Non provare ad intrometterti, hai capito?! - esclamò furibondo Gianni. Elena aveva sottratto Veronica alla sue grinfie e la stava stringendo a sè, fissando suo padre con aria di sfida.
Poi Gianni fece una cosa che la spiazzò: voltò loro le spalle e se ne andò.
A Veronica sfuggì un singhiozzo.
- Calmati, amore - le sussurrò Elena, carezzandole la schiena. I suoi occhi si posarono sul suo gomito e sul segno rosso lasciatole dal padre. Presto sarebbe diventato nero.
- Elena, vai a casa. Ho paura che faccia qualcosa di stupido -, Elena fece per protestare, ma Veronica la interruppe - Ti prego. Ti raggiungerò io più tardi -
Elena annuì e, dopo averle dato un bacio, si rivestì rapida, imitata da Veronica.
È la cosa più ingiusta che io possa concepire, pensava Elena, chiudendosi i jeans.
Veronica la accompagnò al piano di sotto, fin davanti alla porta di ingresso, dove esitò.
- Ci vediamo dopo - le sussurrò all'orecchio, alzandosi sulle punte per baciarla.
- Ancora qua?! - sbraitò Gianni. Era sbucato in quel momento della cucina, brandendo un mattarello.
- Papà, è ora di farsene una ragione. Lei ed io ci amiamo e tu non puoi farci proprio nulla - rispose pacata Veronica, voltandosi verso suo padre e usando il suo corpo come una sorta di scudo fra l'ira del padre ed Elena.
- Io non ti riconosco più! È tutta colpa di... di... è tutta colpa tua! - Giani fendette l'aria con un colpo di mattarello.
- Non sono stata io a traviare la tua figliola - ribattè piccata Elena, che mal tollerava quel genere di discorsi e di accuse.
 - Chi altro?! Mia figlia era normale! -
- Abbassa quel coso! La normalità di tua figlia non dipende da chi ama! -
- Basta! Papà, posa il mattarello! - esclamò Veronica spazientita e stufa dell'intolleranza di suo padre, che non faceva altro che ostacolarla e offenderla, anzichè supportarla o, perlmeno, ignorarla.
- Posarlo?! Ma io le spacco la testa! - sbraitò Gianni, il volto deformato dalla rabbia.
Si avventò sulla ragazza alle spalle della figlia, che scansò con uno spintone. Elena riuscì ad evitare il suo colpo, che le avrebbe senz'altro rotto il naso. Si scatenò il putiferio: Veronica urlava, Elena tentava di sottrarsi all'ira di Gianni, che continuava a menar colpi con l'attrezzo da cucina.
- Smettila! - Veronica si scagliò contro suo padre, facendogli perdere l'equilibrio.
Elena approfittò di quell'attimo di tregua per precipitarsi nuovamente verso la porta, dalla quale si era scostata per mettersi al riparo. Abbassò rapida la maniglia e l'aria fresca di maggio le solleticò le narici.
- Dove credi di andare?! -, Gianni le si avventò nuovamente contro.
Elena corse fuori e il padre di Veronica le si lanciò dietro, mattarello alzato e smorfia rabbiosa.
- Ti ammazzo se entri ancora una volta in casa mia, hai capito?! - le gridò quando, con un balzo, superò lo steccato bianco. Alcuni passanti si fermarono incuriositi da quell'insolita scenetta: un uomo rosso come un peperone, con indosso un paio di jeans neri e una maglietta decorata da una ben poco elegante macchia di olio sul petto, mulinava un mattarello di legno, sbraitando furioso contro una ragazza affannata, con i capelli umidi e arruffati, che replicava a tono.
- Non puoi farci nulla, sarà inevitabile! - lo sbeffeggiò Elena, che si sentiva più tranquilla oltre la staccionata. Gianni non sarebbe riuscito a scavalcarla così rapidamente.
- Se tocchi ancora una volta mia figlia, Elena, io ti ammazzo! Che sia ben chiaro! -
Alcuni degli spettatori iniziarono a domandarsi se non fosse il caso di fare uno squillo alla polizia, per fortuna nessuno se ne sobbarcò l'onere.
- È lei che mi chiede di toccarla, mica la costringo! - ridacchiò Elena, con aria sbruffona.
- Come osi?! Insolente! Ti farò sparire quel sorriso compiaciuto, non toccherai più mia figlia! Lei non è come te! -
La minaccia di Gianni cadde bellamente nel vuoto. Elena scoppiò a ridere.
- Altrochè se è lesbica! Non la vedrai mai con un uomo e... -
- Chiudi quella bocca! -, Gianni avanzò verso la recinzione che li separava.
- ... credo che tu ne abbia avuto una significativa conferma prima, quando sei entrato in bagno - sogghignò Elena. Non riusciva a capacitarsi dell'odio che Gianni covava nei suoi confronti: perlomeno, suo padre la ignorava, insultandola con la sua indifferenza. Sempre meglio di un mattarello.
- Non...ti...devi...permettere - ringhiò Gianni, per poi slanciarsi verso lo steccato e scavalcarlo come aveva fatto Elena poco prima. La ragazza ricominciò a correre lungo il Viale della Chiocciola ambrata, in direzione di casa sua.
Si faceva largo a spintoni fra le persone sul marciapiede, urlando ogni tanto uno scusa e tentando di evitare di calpestare cani e bambini. Dietro di lei, sentiva le urla di Gianni e delle persone che si scansavano, spaventate dal suo mattarello.
- Elena... non ti permetterò più di avvicinarti a mia figlia, hai capito?! - urlò con il fiato corto, rallentando il ritmo fino a fermarsi del tutto, ansante, appoggiandosi ad un lampione.
Anche Elena rallentò, ma solo per vedere la posizione di colui che la braccava.
- Fai come ti pare, non le impedirai di tornare da me! -, prima di cogliere l'ennesima imprecazioni di Gianni era già ripartita di corsa.
Nonostante la spavalderia con cui aveva risposto al padre di Veronica, sentiva un'enorme tristezza attraversarla, così come lei aveva fatto fino a poco fa con i passanti, sgomitando prepotentemente. Era certa che vedere Veronica non sarebbe stato affatto un problema. Aveva però il timore, non infondato, che suo padre, una volta rientrato in casa, potesse farle del male. Tentò di soffocare quel pensiero e riprese a correre, per raggiungere casa sua il più rapidamente possibile.

- Ele, tutto bene? - le domandò la madre, vedendola entrare trafelata nella rosticceria, sollevando gli occhi scuri dalla bilancia su cui pesava i ravioli per un'anziana signora.
- Sì, tutto bene... ho solo bisogno di un po' d'acqua - sorrise debolmente, poi passò dietro al bancone, per raggiungere la cucina.
- Dove hai lasciato la macchina? - le chiese sua madre ed Elena per poco non si strozzò.
- L'ho... ecco... è ancora davanti casa di Veronica, vado a prenderla dopo -
- Ah -, il freddo commento della madre la irritò. Salì le scale fino al loro appartamento, vuoto.
Recuperato il cellulare, compose il numero di Veronica, che rispose al primo squillo.
- Tutto bene, tesoro? - le domandò preoccupatissima Veronica.
- Sì, io sì... tu, invece? -
- Papà è rientrato inveendo contro di te, ha sbattuto due porte, ma nulla di più. Io non sono ancora uscita dalla mia stanza - sospirò Veronica.
- E tua madre? -
- Rientrerà tardi, ma spero proprio che dica qualcosa a papà! Non può fare così! E se ti avesse fatto del male seriamente?! -
- Amore... - mormorò Elena, sorridendo.
- Sta sera posso venire da te? -
- Mm... sì. Fra l'altro, la mia macchina è ancora sotto casa tua. Tuo padre non me l'ha sfasciata, vero? - ironizzò Elena, non del tutto certa dell'assurdità delle sue parole.
- È ancora intatta, stai tranquilla - rise Veronica.
- Bene, allora vengo a piedi e andiamo via in macchina -
- Va bene! Allora a dopo! Ti amo... -

Veronica aprì silenziosamente la porta della sua stanza, tanto per controllare che tutto fosse tranquillo.
Sua madre era tornata poco prima e aveva origliato un'epica litigata fra i suoi genitori: quando Erica aveva appreso ciò che Gianni aveva avuto il coraggio di fare, era andata su tutte le furie, urlandogli che era stato un emerito imbecille e altre cose poco carine. Federica era rientrata nel bel mezzo della discussione dei suoi e si era beccata una ramanzina immeritata da sua madre per il ritardo. Era avvampata e si era rifugiata in camera sua.
Ora era tornato il silenzio. Il corridoio era deserto, quindi Veronica vi si avventurò cautamente. Elena le aveva scritto un messaggio un'ora prima, dicendole di farsi trovare fuori casa puntuale per le sette e mezza.
Giunta nel salone, che credeva deserto, trovò invece sua madre, seduta su una poltrona, assorta nella lettura di uno spesso manuale.
- Te ne vai di soppiatto? - le domandò, risentita, chiudendo di scatto il libro.
- No, mamma... è che non voglio vedere papà - mormorò Veronica arrossendo, tratto tipico della sua famiglia.
- Ti capisco. Mi dispiace tanto per oggi: porgi le mie scuse ad Elena, per favore - la pregò Erica sottovoce. Veronica annuì con un breve cenno del capo. Salutò sua madre con la mano e uscì rapida nella fresca sera di maggio.
Vide Elena arrivare da lontano. Erano entrambe in anticipo.
Alzò un braccio, sventolandolo per attirare l'attenzione dall'altra, che pareva assorta nei suoi pensieri e concetrata sui suoi passi. Decise di correrle incontro.
- Ehi - sbuffò Elena, quando Veronica le si gettò al collo, mozzandole il respiro.
- Stai bene, vero? - le domandò, ricoprendole il volto di baci. Elena rise della sua dimostrazione di preoccupazione, poi la strinse.
- Ovvio. Dai, sali in macchina prima che esca tuo padre - la esortò, spingendola verso la Ka.
Mise in moto e partì. Voltandosi, Veronica vide suo padre sbattere la porta d'ingresso. Per un pelo, pensò sistemandosi nel sedile.
- Dove andiamo? -
- Prima recuperiamo un po' di gente -
- Cosa?! - esclamò Veronica, voltandosi verso l'altra, il gomito poggiato sul cruscotto.
- Mi ha telefonato tuo cugino.... -, Veronica la interruppe - Io non voglio lui e i suoi amici fra i piedi! -
- Dai, amore, calmati. Ci saranno lui, tuo fratello e Simone. Bianca ci aspetta già là -
- dove? - indagò Veronica, gli occhi ridotti a fessure che avrebbero potuto sparare raggi laser.
- Al Corvo - ridacchiò sardonica.
- No, aspetta... - un risolino le sfuggì dalle labbra serrate.
- Proprio così -
- Ma loro... non lo sanno che andiamo lì? -
- Certo che no -
Entrambe scoppiarono a ridere.

****

La posta di Mizar:

Nessie: ma quanto sei tenera?! Le tue recensioni sono sempe gentilissime (anche se contengono troppi complimenti: mi fanno arrossire!), un giorno o l'altro potrei anche montarmi la testa! Scherzi a parte, spero che questo capitolo ti piaccia tanto quanto gli altri!
Guizza: wow, grazie per i complimenti! Nemmeno io credevo di riuscire a scrivere nulla di meglio del primo capitolo, ma dalle vostre recensioni mi ricredo ampiamente! Spero che anche questo capitolo non deluda le tue aspettative!
caso: rieccomi con il nuovo flash! Diciamo che quest'avventura è per metà di mia invenzione, per metà ispirata da un fatto reale (no, non sono stata io ad essere inseguita da un padre furibondo che brandiva un mattarello!). Ti ringrazio per i complimenti!
pazzafuriosa92: perchè dici "un po' troppo politico"? Non ho afferrato... comunque certo che tu non ti sprechi mai in parole, mamma mia! Scherzo, comunque dai, dimmi che ne pensi di questa perla di goffaggine (per quanto riguarda la prima metà, scrivere scene del genere mi imbarazza infinitamente). E comunque no, Marco non ci ripensa, ma quella è un'altra storia...
manga_girl: sono felice di averti ridato l'ispirazione! Io continuo a ringraziarti per i complimenti, che fanno sempre molto piacere ad una scrittrice in erba! Giulia si è rivelata per quello che è veramente: un'amica a parole, perchè i fatti dimostrano ampiamente il contrario. In fondo, non conosci mai una persona finchè non hai davvero bisogno di lei. Come ho detto prima a pazzafuriosa92, Marco non tornerà indietro, ma è un'altra storia...
piccola peste: Elena e Giulia non smetteranno mai di punzecchiarsi, le ritroverai! Ad ogni modo, Veronica si faceva tanti scrupoli per paura di perdere i suoi amici (anch'io ci ho messo un sacco prima di dirlo ai miei amici e ancora non lo sanno tutti!), anche se in questo modo ha capito che davvero era suo amico. Avrei voluto vederti mentre annuivi e imprecavi in dialetto!
Apia: ho deciso di non sottovalutare le descrizioni (non so se te ne sei accorta dall'ultimo capitolo di Fior di pesco). Comunque, il paragone Shane-Elena calza a pennello, ve ne sono anche altri, ma solo per quanto riguarda l'aspetto fisico. Per quanto riguarda Veronica, è un personaggio a cui sono molto affezionata, mi sta proprio simpatica a pelle e se ti piace tanto vederla arrabbiata... beh, capiterà spesso!
Kabubi: grazie per la recensione disinteressata! Scherzi a parte, grazie mille per i complimenti, sono contenta che ti piaccia il mio stile (anche se non è il mio "marchio di fabbrica", dipende da cosa devo scrivere!). La poltrona è, per così dire, un leit motiv della storia, un punto di incontro e riflessione (anche se in questo flash non compare).

Grazie a Lagunarock che ha inserito la storia fra le preferite, a blackout, depre, lilien, Fantasy Girl, Lost_Soul che l'hanno inserita fra le seguite e grazie a Guizza che mi ha inserita fra gli autori preferiti. E ovviamente grazie anche a chi si limita a leggere!

A presto,
Mizar

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Capitolo 5
*** Lupi di mare ***


5. t.s.e. 5.

Lo so che avevo detto ci risentiamo a settembre, ma sono riuscita a scribacchiare questo capitolo su un blocchetto di carta ecologica fra un bagno in mare e l'altro.
Quindi, ispirata dalla salsedine e dal caldo sole di luglio, è venuta fuori questa cosuccia leggera, spero vi piaccia.

Genere: Generale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Linguaggio colorito (non amo molto le espressioni volgari, ma non le ho messe a random, diciamo che sono coerenti con lo sviluppo della storia), Yuri

LUPI DI MARE

Aspettava nell'abitacolo da ormai quindici lunghissimi e caldissimi minuti. A motore spento, l'auto si stava tramutando in una fornace, raggiungendo temperature da fonderia.
Tamburellava nervosamente con la punta delle dita sul volante e mascherava l'irritazione rivolgendo incoraggianti sorrisi alla sua ragazza, che a momenti alterni si sporgeva da una delle finestre al primo piano, con aria sconsolata. In quei quindici lunghissimi e caldissimi minuti, era stata impegnata nella folle ed affannosa ricerca di un oggetto apparentemente scomparso. Elena non riusciva nemmeno a ricordare quale fosse.
Sarebbero dovuti passare a prendere Martina, Andrea e Bianca, ma erano ormai in irrimediabile ritardo. Persino Michele, che avrebbe dovuto raggiungerle con la sua auto lì, a casa di Veronica, era in ritardo, di ben venti minuti. Per di più non si degnava di rispondere al telefono.
Impaziente, Elena compose il suo numero per l'ennesima volta, pensando di lui cose molto poco carine. Al quinto squillo rispose.
- Sì? -
- , cosa?! Ma dove cazzo sei?! - sbraitò Elena furibonda e sollevata allo stesso tempo, nonostante il primo stato d'animo prevalesse di gran lunga sul secondo.
- Voltati -, chiuse la conversazione.
Proprio in quel momento una Terios nera frenò dietro la Sharan dei suoi genitori, che aveva avuto il permesso di usare per andare al mare.
Elena gli mostrò il dito medio, gesto che lui ricambiò sporgendo il braccio dal finestrino.
- Nervosetta, eh? - ridacchiò Michele avvicinandosi e appoggiandosi al suo finestrino, ovviamente aperto.
- Veronica ha perso qualcosa - ringhiò, mentre il suo telefono squillava per l'ennesima volta. Si scusò con l'amico, poi rispose.
- Non dovreste essere sotto casa mia? -, la voce seccata di Martina era stridula.
- Ti ho detto che Veronica... -
- Ancora?! Sbrigatevi! -, le sbattè la cornetta sul muso.
Tutti se la stavano prendendo con lei e si era ampiamente stufata.
- Ora vado dentro e gliene dico quattro - stabilì aprendo la portiera e scendendo dall'auto. Se possibile, fuori era quasi più caldo che dentro l'abitacolo.
- Ecco, brava, mai farsi trattare così a causa della propria ragazza. Fai valere i tuoi diritti - asserì Michele.
Proprio in quel momento, Veronica uscì dalla casa con occhi bassi e mesti. Tutti i propositi guerriglieri di Elena svanirono di fronte alla sua espressione da cucciolo ferito.
- Amore, che succede? - le domandò abbracciandola.
- Non lo trovo - sospirò.
- Dai, ci arrangeremo. Ora andiamo che ci stanno aspettando.... Martina è un po' su di giri - minimizzò passandole un braccio attorno alle spalle.
Elena la costrinse a salire in macchina, mentre Michele, ridendo, si rimetteva al volante della sua.
- Seguici! - gli urlò Elena sporgendosi dal finestrino, poi mise in moto.

Dopo meno di cinque minuti erano sotto casa di una furente Martina, i cui occhi scintillavano come carboni ardenti, cosa del tutto plausibile tenendo conto del caldo. La sua espressione, però, si raddolcì subito alla vista di Michele.
- Ehi Marti! -, Michele suonò il clacson per attirare la sua attenzione, nonostante non fosse assolutamente necessario.
- Ciao! -, il sorriso di Martina avrebbe potuto illuminare a giorno la notte più tetra.
- Vieni qua, dammi la valigia che la metto nel baule. Lasciamo sole quelle e fammi compagnia! -, Martina non se lo fece ripetere due volte e, incurante dello sguardo indignato che le scoccò Veronica, si sedette di fianco a Michele.
- Spero che si mettano assieme, almeno Michele la smetterà di lamentarsi - ridacchiò Elena, mettendo nuovamente in moto e facendo rotta verso casa di Andrea. Veronica annuì, poi si sporse per posarle un bacio su una guancia.
- Ehi, ehi, stai brava, non mentre guido - la ammonì prima che le venisse in mente qualche balzana idea.
- Sei proprio indisponente! Io volevo solo darti un bacio -
Continuarono a punzecchiarsi fin davanti al cancello del condominio di Andrea. Veronica scese dall'auto per suonare il citofono. Il ragazzo li raggiunse poco dopo tirandosi dietro un trolley nero di medie dimensioni, che sistemò nel capiente baule della Sharan.
- Fai uno squillo a Bianca e dille di scendere, è già abbastanza tardi -
- Lo sto già facendo, non sono così sprovveduta - si risentì Veronica.
- Non ho detto che sei sprovveduta, pensavo solo... -, Veronica scoppiò a ridere.
- Mica devi prendertela per tutto, stavo solo scherzando! -
- Non fai ridere - grugnì Elena, mentre Andrea si univa alle risate di Veronica.
Poco dopo erano di fronte ad un cancello in ferro battuto, che lasciava intravedere un giardino rigoglioso e molto curato, senza dubbio dalla madre di Bianca che amava il giardinaggio. Davanti ad esso attendeva Bianca, ai suoi piedi giaceva un borsone di stoffa verde militare.
- Mi raccomando, con calma - sbuffò, lanciando il suo carico nel baule.
- Prenditela con Veronica, non con me - sibilò Elena, stufa dei rimproveri di tutti quanti.
- Non trovavo il caricabatterie del telefonino - si giustificò Veronica, incrociando le braccia, offesa.
- Muovetevi a ripartire, fa caldo! - urlò Michele dall'altra auto.
Bianca si sedette sul sedile posteriore con Andrea e finalmente si diressero verso l'autostrada che li avrebbe condotti verso una sassosa spiaggia della Liguria.
- Non vedo l'ora di prendere un po' di sole, tutto questo studio mi fa diventare sempre più bianca - sbuffò Veronica, osservando il suo decoltè.
- Sì, sei più pallida di una mozzarellina - la prese in giro Elena, dandole un buffetto su una guancia.

Erano partiti alla volta della Liguria per una settimana di appagante divertimento all'insegna di mare e sole cocente, soprattutto per prendersi una pausa dagli studi universitari.
Erano diretti verso Mondovì, dove avrebbero preso l'autostrada Torino-Savona, non prima di aver raccattato al casello Walter, accompagnato da Simone e Mattia. Veronica avrebbe tanto voluto che anche la sorella si unisse a loro, ma aveva preferito andare qualche giorno in montagna con Maria Cristina, Giorgio, Davide e altri loro amici. Così loro avrebbero approfittato dell'ospitalità di Elena, i cui genitori possedevano un appartamento in una piccola città ligure, peraltro con il vantaggio di essere a pochi minuti di cammino dalla spiaggia.
Veronica appoggiò il capo contro il poggiatesta, nascondendo con la mano un profondo sbadiglio: quella notte, lei ed Elena non avevano dormito molto. Si voltò verso la sua compagna, che fischiettava allegramente il motivetto della canzone rock proposta da Virgin Radio, gli occhi concentrati sulla strada. Indugiò a lungo sulla curva del suo naso. Da lì, il suo sguardo scivolò fino alle sottili labbra rosee, poi giù oltre il mento, lungo il collo che, anche se da quella distanza non lo sentiva, era sicura profumasse. Al solo pensiero un brivido le attraversò la schiena. Il suoi occhi scivolarono ulteriormente, fino al seno, nascosto fra le pieghe della morbida canottiera che indossava. Sospirò, forse un po' troppo sonoramente.
- Tutto bene, chouchou? -
- Sì -, Veronica adorava quando Elena usava con lei quel vezzeggiativo francese. Sua nonna paterna, la fantastica nonna Lia, infatti, aveva genitori francesi, pur essendo nata in Italia.
- Sicura? Hai il faccino spento... -, Elena allungò una mano per carezzarle nuovamente una guancia, preoccupata. Quando Veronica era così pensierosa sicuramente per la testa le frullavano pensieri che la turbavano, oppure non si sentiva bene.
- Siamo arrivati al casello. Ci fermiamo un momento, così puoi fare due passi e respirare un po' d'aria fresca -
- Sì -
Per il resto del tragitto, Elena continuò a lanciarle occhiate a intervalli regolari. Non la preoccupava solamente il fatto che Veronica potesse sentirsi male e sporcarle la macchina, quello era l'ultimo dei suoi problemi, anche perchè era già capitato. Lei era preoccupata per la sua ragazza in generale. Elena si preoccupava spesso per lei, forse troppo.

Al casello, i tre ragazzi li aspettavano appoggiati alla Mazda 2 di Walter. Tutti e tre indossavano bermuda e canottiere colorate.
- Tutto a posto? - domandò Walter, avvicinandosi alla portiera di Elena.
- Sì, solo un po' di ritardo -
- Abbiamo notato - rise lui, passandosi una mano fra i folti capelli castani per spettinarli. Erano l'unica eredità genetica del padre, per il resto era caratterizzato dai tipici lineamenti british, il che includeva la classica pelle che non si abbronza.
Notando che Veronica lottava affannosamente con la cintura di sicurezza, si scusò con il ragazzo, dicendogli che avrebbero dovuto attendere ancora qualche minuti perchè Veronica non si sentiva troppo bene.
- Non riesco... - sbuffò irritata, sull'orlo di una crisi di nervi.
- Arrivo subito -, Elena raggiunse la sua portiera.
- Non funziona -
- Sì, lo so. E' una macchina vecchia e ogni tanto fa i capricci -, si sporse su di lei, sbloccando la cintura di sicurezza al primo colpo. Poi l'aiutò a scendere.
- Facciamo due passi - avvisò i ragazzi che, radunatisi in cerchio, stavano chiacchierando.
La prese per mano e si allontanarono di alcuni metri.
- Mi tieni i capelli? - le domandò improvvisamente Veronica. Elena eseguì, rapida: raccolse con le dita le folte ciocche dorate dell'altra, che, con una mano appoggiata al guardrail, si chinava e rimetteva la colazione.
- Vero? -, Mattia si avvicinò.
- Tranquillo, tua sorella è in gran forma. Dalle solo qualche minuto - sorrise Elena, carezzandole affettuosamente la schiena.
- Non so perchè... non ho digerito - mormorò tirandosi su.
- Dai, stai brava -, Elena le baciò con trasporto una guancia, poi le porse un fazzoletto di carta nel quale Veronica si soffiò il naso.
- Abbiamo inaugurato le vacanze! - proclamò Bianca, vedendoli tornare.
- Ora sto meglio -
- Allora possiamo partire! - stabilì Michele, gli altri annuirono.
- Vengo in macchina con voi, mi rifiuto di stare schiacciato fra le valigie! - sentenziò Mattia, che aveva viaggiato sul sedile posteriore della Mazda, stretto fra i bagagli.
- Vieni pure, tanto c'è spazio -, gli occhi di Bianca diventarono due cuoricini.
Veronica sorrise, lanciando un'occhiata eloquente ad Elena, che colse al volo.
- Ti piace mio fratello? - ridacchiò, sussurrandole all'orecchio.
Bianca rispose con una smorfia colpevole.
Veronica era tornata allegra e sorridente ed Elena ne era felice: il suo umore dipendeva in gran parte da quello della compagna. Forse era sbagliato, quasi morboso, questo attaccamento ossessivo, questo legame psicosomatico che le univa indissolubilmente. Loro non ci avevano mai seriamente riflettuto sopra, nè gli importava farlo.
I tre guidatori si rimisero al volante delle rispettive vetture, per poi imboccare l'autostrada verso il mare.

- Insomma, smettila di lamentarti! Avresti preferito sborsare un sacco di soldi per i parcheggi a pagamento?! -
Michele si stava lamentando dell'eccessiva lontananza dei parcheggi della stazione, nonostante fossero gratis.
In fila indiana sullo stretto marciapiede, zaini in spalla, ognuno trascinava il suo trolley o il suo borsone. Già si respirava l'aria salmastra portata dalla brezza, che però non era sufficiente a dipanare la pesante cappa d'afa. Il caldo, infatti, aveva già imperlato la loro pelle di sudore.
Una volta di fronte al palazzo ci furono alcuni minuti di panico dato che Elena non riusciva a trovare le chiavi dell'appartamento, per poi ricordarsi che le aveva lasciate nella borsa di Veronica.
L'appartamento non era troppo grande, si componeva di quattro stanze e un piccolo ingresso: due camere da letto, un bagno e un ambiente unico per il salotto e per la cucina. I letti senz'altro non mancavano perchè in quella casa la famiglia di Elena era solita ospitare anche altri parenti e amici. Tutte le stanze erano arredate con mobili dal design semplice ed essenziale, le pareti bianche erano decorate da numerose foto e quadri per conferire loro una maggiore vivacità.
Nella camera da letto principale vi era un letto matrimoniale, che Elena reclamò in quanto padrona di casa, e un grande armadio bianco ad ante scorrevoli; nell'altra camera da letto era stati montati due letti a castello di metallo ed erano stati aperti due letti, ripiegabili dietro due finti cassettoni; nel salotto cucina, invece, vi era un divano letto.
Le valigie erano state prima svuotate e poi impilate alcune sull'armadio dell'ingresso e altre sull'armadio della stanza da letto, riempiti del loro contenuto.
I genitori di Elena, che vi erano rimasti fino al giorno prima, avevo lasciato tutto pulito, quindi non si erano nemmeno dovuti preoccupare delle mansioni cenerentolesche.
Bianca e Michele si precipitarono subito nella camera da letto per appropriarsi del secondo piano dei letti a castello. Contemporaneamente, in salotto, i tre moschettieri litigavano su chi avrebbe dovuto dormire separato dagli altri due, giocandosi il divano letto. Martina si affrettò a sistemare le sue cose sul letto sotto quello scelto da Michele, mentre Andrea si accontentava del rimanente.
- Come sto? - domandò Veronica civettuola. Aveva appena indossato il suo nuovo costume bianco a pois colorati, legato dietro al collo. Appena arrivata si era sciacquata la faccia e lavata i denti, poi aveva mangiato due albicocche.
- Sei bellissima - mormorò Elena, catturando le sue labbra in un bacio delicato e attirandola contro di lei con le mani premute sul suo sedere.
- Già a fare porcherie? - ridacchiò Michele, che passava nell'ingresso.
- Fottiti - fu la gentile replica di Elena, mentre Veronica, ridendo, tornava in camera per finire di vestirsi.
Elena si rintanò in bagno. Detestava spogliarsi di fronte a terzi e non sopportava che gli altri la vedessero in intimo. Era anche uno dei motivi per cui non amava il mare.
Non che fosse grassa o avesse qualcosa da nascondere, tutt'altro, il suo corpo era tonico, atletico, costantemente in allenamento, era una sua fissazione mentale, tutta psicologica, tant'è che in spiaggia tendeva a indossare un paio di calzoni e una maglietta.
S'infilò rapida un costume sportivo dell'Arena, blu scuro, un paio di bermuda color cachi e una maglietta bianca, ricordo di un vecchio torneo calcistico.

- Là, là! C'è uno spiazzo! - esclamò Walter, fiondandosi su due metri quadrati di sabbia libera e piantando l'ombrellone manco fosse stato la bandiera americana sulla Luna. Armati di asciugamani e alcune sdraio pieghevoli, si sistemarono sulla sabbia rovente.
- Che caldo - mormorò Veronica, rivolta principalmente a se stessa, sfilandosi la canottiera gialla. Elena era riluttante e temporeggiava, crema solare protezione cinquanta alla mano. Martina si stava facendo spalmare la crema solare sulla schiena da Michele, ben contento del compito assegnatogli; Bianca si impiastricciava da sola; Andrea stava ripiegando con cura maniacale i suoi vestiti; Walter, Simone e Mattia si era spalmati rapidamente la crema ed erano già pronti per il tanto agognato tuffo in mare.
- Al mio tre! One, two... tre! -, si precipitarono di corsa in acqua, schiamazzando e sollevando spruzzi notevoli.
Andrea li seguiva con una verve invidiabile, camminando con nonchalance sui carboni ardenti.
- Mi metti la crema? -, vocina mielosa.
- Certo, amore, siediti qui -, Veronica prese posto fra le gambe di Elena, per poi raccogliersi i capelli. Chiuse gli occhi, abbandonandosi alle mani dell'altra, che ormai conoscevano il suo corpo quasi meglio delle proprie, il cui tocco sicuro e sensuale la mandava in estasi. Elena approfittava di quel rituale per concedere alla sua compagna di una gradita dose extra di coccole, eccedendo in carezze e baci sulle orecchie.
- Ora te la metto io che sei quasi più bianca di me - rise Veronica sfilandole la maglietta, sorda alle proteste dell'altra.
- Avete fatto? - domandò impaziente Bianca, l'unica che fosse rimasta ad aspettarle.
- Vai tranquilla, noi arriviamo -
- Okay, allora mi tuffo! - così dicendo si allontanò di corsa.
- Allora, vieni in acqua? -, Veronica, ora seduta di fronte ad Elena, le strinse le mani.
- Sì... -
- Elena, per favore, togliti i pantaloncini - pregò.
La sua compagna le rivolse uno squadra nel quale si leggeva chiaramente il suo disaccordo.
- Ti prego... -
Sbuffando, cedette.

- Corri, che scotta! - rise Veronica, trascinandola sulla battigia. Appena la ragazza saggiò con la punta del piede la temperatura dell'acqua, Walter, Simone e Mattia le furono addosso: suo cugino la afferrò da dietro, stringendola appena sopra il seno, suo fratello si occupava di tenerle fermo il bacino, mentre Simone le afferrava le caviglie.
Elena scoppiò a ridere, mentre Veronica strillava, attirando l'attenzione dei bagnanti. I tre ragazzi, insensibili ai suoi tentativi di dibattersi, si inoltravano in mare per poi lanciarla dove l'acqua era più profonda.
- Non ci pensare nemmeno -, Elena scoccò un'occhiata di fuoco a Michele, che s'avvicinava con fare circospetto.
Bianca e Martina parlottavano, spruzzandosi di tanto in tanto: probabilmente era un rapido aggiornamento sulle rispettive situazioni amorose. Veronica, invece, era particolarmente impegnata a tentare di affogare Walter, per l'ilarità di Simone.
- Tutto bene? - le domandò improvvisamente Michele.
- Perchè? -
- Ti vedo un po' tesa... -
- Non sono a mio agio, tutto qui -, Elena scrollò le spalle, scavando sott'acqua una piccola buca con la punta del piede.
- E' per il costume vero? -
- Già -
- Ecco perchè sei in acqua fino al collo - rise Michele, sbattendo il palmo della mano aperta sulla superficie d'acqua di fronte a lei, che chiuse gli occhi, per evitare il fastidioso bruciore causato dal sale.
- Tu, invece? Cuore di burro? - lo prese in giro, accennando con la testa alla piccola brunetta.
- E' proprio bella, sì... poi è anche intelligente, anzi, di più. Sai cos'è che mi piace di lei? -
- Cosa? -
- Il suo profumo -
- Anche a me piace il suo profumo -
- Suo di chi? -, Veronica si era presa una tregua dalla lotta con il cugino, che ora si dedicava con zelo a tormentare Mattia.
-  Il tuo, tonta - rise Elena, afferrando per un polso la sua indispettita ragazza. Veronica le saltò in braccio, le braccia strette attorno al suo collo, le gambe avvinghiate alla vita.
- Ecco, così, in acqua, potrei reggerti per ore - ironizzò Elena.
- Antipatica - mormorò Veronica, posandole un bacio sulla spalla.
L'acqua era trasparente e fresca, un vero piacere sguazzarci dentro, tenendo conto dell'afa che assaliva sulla terraferma. Veronica era felice di essere in vacanza con i suoi amici, una settimana lontana dagli studi universitari e dalle preoccupazioni. Soprattutto, era felice che ci fosse anche Elena.

- Esco un attimo - disse ad Elena, sciogliendo la stretta.
- Hai freddo? -
- No, devo fare pipì -, il suo tono di voce si abbassò.
- Falla in mare! - rise Bianca.
- Io non faccio schifo come te - 
- Guarda che la fanno tutti - confermò Walter.
Lei, in tutta risposta uscì dall'acqua. Si asciugò rapidamente con la salvietta per poi dirigersi verso il fondo della spiaggia, dove si trovavano appunto i servizi. Altre due persone erano in coda davanti a lei.
- Ciao -, il ragazzo di fronte a lei la salutò rivolgendole un gran sorriso. Era alto, con il fisico di uno che pratica sport quotidianamente, probabilmente un nuotatore, portava i capelli scuri corti e sulla spalla destra spiccava il tatuaggio di un lupo, più precisamente della sua testa con le fauci spalancate.
- Ciao -
- Vacanza con gli amici? - domandò, attaccando bottone.
- Sì, siamo arrivati questa mattina - rispose lei, cordiale.
- Senza offesa, però si vede -, sorrise ancora, accennando alla sua pelle bianca.
- Troppo studio. Tu sei qui da molto? -
- Una settimana -, poi si scusò ed entrò nel bagno finalmente liberatosi. Quando anche Veronica ne uscì, lui era lì fuori che l'aspettava.
- Comunque, io sono Antonio -, le porse la mano.
- Piacere, Veronica -
- Magari ci vediamo più tardi. Ora torno dai miei amici -, le strizzò l'occhiolino a mo' di saluto.
Non appena rimise piede in acqua, Elena le si avvicinò. Gli occhi ridotti a due fessure.
- Chi era quel tipo? -
- Tranquilla, amore - mormorò sorridendole e schioccandole un bacio su una guancia  per cancellare quell'espressione corrucciata che l'altra aveva messo su.
- Di cosa ti preoccupi? - rise Michele, stupito, rivoltosi ad Elena, che lo schizzò.
Poco dopo, lo stesso ragazzo, con tutti i suoi amici, entrò in acqua. Un altro gruppo schiamazzante affollò il mare già abbastanza popolato.
- Si chiama Antonio - mormorò Veronica, indicandoglielo.
- Lupo? -
- Sì, sulla spalla -
- Mm -
- Non dirmi che sei gelosa - rise di gusto.
- No, però se ci prova con te lo sistemo io -
Michele e Andrea si erano già fatti avanti con le presentazioni, seguiti da Walter e Simone. Mattia, invece, si avvicinava cautamente a Veronica, tentando di attirarne l'attenzione.
- Non mi piace quel tizio - borbottò, scostandosi le ciocche bagnate dagli occhi. Si guadagnò un buffetto da parte di Elena, felice di aver trovato un alleato.
- Insomma, non ti ci mettere anche tu! E' stato molto gentile, punto e basta -
- Ha un secondo fine piuttosto ovvio - ribattè Elena alzando un sopracciglio.
- Fosse per te non dovrei parlare con nessuno! -
- Non per intromettermi, ma non mi sembra il caso di litigare per uno sconosciuto - intervenne Bianca.
- Ecco, ha ragione Bi. Dai, amore -, Veronica abbracciò Elena, stringendole la vita.
Tutti erano impegnati a presentarsi e a chiacchierare con i nuovo arrivati, che parevano molto simpatici: oltre al ragazzo che ormai Elena aveva soprannominato Lupo, c'erano altri due ragazzi e una ragazza.
I due ragazzi erano l'uno esatto il contrario dell'altro: se il primo era alto quasi due metri, l'altro non sfiorava il metro e ottanta; il primo era biondo, capelli tagliati corti, il secondo era bruno e i capelli gli sfioravano le spalle; il primo era robusto, palestrato, con tratti facciali duri e ben definiti, l'altro era più esile, dinoccolato, dai lineamenti quasi androgini. La ragazza portava i folti capelli castani stretti in una treccia, la pelle era abbronzata uniformemente e la sua bocca era troppo grande proporzionata al suo viso, ma questo difetto la rendeva ancora più bella.
- Il bestione è Valerio, loro sono Marcello e Vittoria -, Lupo fece le presentazioni.
- Lei è Elena e questa è Bianca -
Elena fece un sorriso tirato e strinse loro la mano.
- Siete fratelli? - domandò Marcello, indicando Veronica e Mattia.
- Sì, ma è troppo facile, ci assomigliamo moltissimo - rise Mattia, poi aggiunse - Anche voi siete fratelli, vero? -
- Sì, gemelli. Voi? -
- Lei ha due anni più di me -
Ormai Mattia e Marcello si erano fatti prendere la mano dalla conversazione e non stavano più a sentire nessuno.
- Voi siete parenti? - questa volta era Lupo e indicava Elena e Veronica, che scoppiarono a ridere.
- Ma se non ci assomigliamo nemmeno sotto ai piedi - ridacchiò Veronica.
- Era solo per chiedere, perchè il ragazzo con il nome inglese che non ricordo ha detto che è tuo cugino -
- Sì, malauguratamente i nostri padri sono gemelli - spiegò sorridendo. 
- Quindi voi siete amiche? -
Prima che Elena potesse aprire bocca, Veronica confermò.
- Dall'asilo! -
- Fico! Anche noi ci conosciamo da un sacco di tempo -, Antonio indicò i due gemelli.
- Scusate, io esco, ho freddo -, Elena si avviò verso la battigia.
- Aspettami, vengo anch'io! Scusate ragazzi, ci vediamo dopo! -
Rallentata dalla sabbia bollente, corse faticosamente dietro ad Elena, che, a passo rapido, si dirigeva verso i loro asciugamani. Aveva intuito subito che qualcosa non andava, gliel'aveva letto negli occhi.
- Sei arrabbiata? -, Veronica si aggrappò al gomito della ragazza.
- Non mi sembra tu ti sia mai fatta problemi a parlare apertamente della nostra relazione - replicò pungente Elena.
- Voglio solo vedere che intenzioni ha -
- Mi sembrano piuttosto ovvie - sbuffò Elena, sedendosi sull'asciugamano.
Veronica si sistemò subito accanto a lei.
- Prometto che più tardi glielo dico -

In acqua, Vittoria era impegnata in un'animata discussione, probabilmente politica, con Bianca e Andrea; Walter, invece, si intratteneva con Lupo e il biondone, assieme a Simone; Marcello e Mattia sedevano in disparte, sul bagnasciuga; Michele e Martina, per la gioia di Veronica, erano andati a nuotare al largo, da soli.
- Mi pettini i capelli? - mormorò Veronica, porgendole la spazzola di legno.
- Certo, chouchou -, Veronica si sedette fra le gambe dell'altra, che, gentilmente, scioglieva i nodi dai suoi lunghi capelli.
- Secondo te, Marcello è gay? - domandò Veronica, sottovoce, osservando suo fratello e quel ragazzo ridere assieme.
- Ovvio che lo è! Dai, guarda come si tocca i capelli -
- Secondo te loro lo sanno? -
- La sorella suppongo di sì, gli altri non ne sono poi così certa -
Mentre congetturava sull'identità sessuale del ragazzo, furono avvicinate da una mogia Bianca.
- Non ho speranze, vero? - domandò scuotendo la testa.
- Non credo proprio, Bi. Mi dispiace, non potremo essere cognate - ironizzò Veronica.
- Ma non ti eri accorta che Mattia gioca nella nostra squadra? - rise Elena.
- Avevo dei sospetti, ma questa simpaticona non mi ha mai detto nulla -, tono di accusa.
- Lui non vuole che si sappia, noi manteniamo il suo segreto -
- Ma Simone e Walter lo sanno? -
- Sì, certo. Gliel'ha detto lui stesso - spiegò.
- Ah -, Bianca assunse un'espressione catatonica.
- Dai Bi, la vita è bella e il mondo è pieno di ragazzi... e ragazze -, Elena le diede un pugno affettuoso su una spalla.
Improvvisamente Bianca scoppiò a ridere, diventando paonazza.
- Scusate, scusate... - riprese fiato, poi scoccò un'occhiata di superiorità ad Elena, - Invece di fare la spiritosa, fossi in te mi guarderei le spalle: il biondone ti ha puntata -
Elena sgranò gli occhi, disgustata, mentre Veronica fu presa da un incontenibile attacco di risa.
- Dovresti vedere la tua faccia! - rise Bianca, poi continuò a raccontare, - L'ho sentito prima, mentre parlava con Walter: il biondone è attratta da te, perchè corrispondi al suo canone di ragazza ideale... -
- Lesbica? -
- No! E' attratto dalle ragazze alte, atletiche, con gli occhi chiari e un grazioso lato B. Insomma, con un bel pezzo di didietro -
Veronica era ormai incontenibile, mentre Elena si sentiva solo in imbarazzo. Anzi, era orripilata dall'idea che quel ragazzo potesse avvicinarsi a lei.
- Comunque non ho finito. Veronica, insomma, datti il tuo solito contegno. Inoltre, Antonio è sicuro che entro sta sera tu cadrai ai suoi piedi, perchè ha visto, testuali parole, il modo in cui lo guardavi -
- Come, scusa? -
- Ah non lo so. Vallo a chiedere a lui. E anche il biondone è convinto che entro sera riuscirà a conquistarti - ridacchiò Bianca.
- Santi Numi, che schifo! E' una cosa orribile! Ma non ha nessuna sensibilità?! -
- E' un maschio... -
- Ma che cazzo c'entra?! Mi rompete sempre che mi vesto troppo da maschio, che si vede lontano un miglio da che parte sto, eccetera... e ora arriva questo troglodita! -
- Prima eri in costume - obiettò Veronica.
- Ehi rubacuori, che ne dici di provare nuove esperienze? - scherzò Bianca, suscitando l'immediata reazione di Veronica.
- No, quello no! Un conto è fare le stupide, un conto è essere serie - s'ingelosì, per l'ilarità di Elena.
- Tu credi davvero che...? No, aspetta. Qualcuno ha una videocamera? Devo riprendere questo momento! Tu credi davvero che io ti tradirei con un uomo?! - rise Elena - Al massimo con Bianca, o Martina. Ma con un tripode proprio no! -
- Non è divertente - grugnì Veronica. Le sue parole furono quasi coperte dal rumore che fece Walter, tuffandosi sull'asciugamano.
- Questa sabbia è un inferno! - sbottò. Una volta ricomposto, iniziò a frugare nello zaino.
- Sono solo due sbruffoni, vi prego, dategli una lezione - le implorò, senza alzare gli occhi dalla sacca.
- Perchè? Cosa dicono? -
- Antonio è seriamente convinto di averti già in pugno. Le bionde sono le più facili! Ha detto proprio così -
- E voi non avete senz'altro fatto nulla per fargli cambiare idea - rise Elena, immaginandosi i due gongolare alle loro affermazioni spavalde.
- Proprio così. Il più divertente però è Valerio: è proprio convinto! Si vede che è una che ci sta! Dev'essere davvero stupido... -
- Ma non li ha due occhi?! -
- Inizio a dubitarne. Ora torno in acqua: i loro discorsi sono esilaranti! Se vi interessa, Martina e Michele stanno pomiciando nell'acqua alta -, Walter ritornò di corsa dagli altri ragazzi.
- Che razza di matti... - sospirò Bianca, alzandosi in piedi. Si ripulì dalla sabbia che le si era attaccata al costume bagnato, - Io torno da Andrea e Vittoria. Devo dimenticarmi di Mattia -
- Fatti forza, amica - la incoraggiò Elena, prima che anche lei partisse di corsa alla volta dell'acqua.
Elena rimase ad osservare i ragazzi che chiacchieravano, suddivisi in due gruppetti. Nel frattempo, rifletteva.
- Posso baciarti? - domandò alla sua compagna, carezzandole una guancia con il dorse delle dita.
- E se assecondassimo Walter? -
- Cioè? - Elena ritirò la mano. La situazione non la entusiasmava.
- Li sgonfiamo -
- Io sono pronta ad alzarmi e a dirgli anche ora, con tranquillità, che i tripodi non mi garbano per nulla -
- Ma così sarebbe... noioso -
- Scusa, che vorresti fare? - replicò Elena, scettica.
- Ancora non lo so... -

Alla mezza, i nuovi venuti si ritirarono per il pranzo. Loro, intrepidi, si erano preparati i panini, da consumare sotto gli ombrelloni, unico riparo dall'insopportabile caldo.
Dopo una serie di urla disumane e animaleschi slanci, ognuno ebbe almeno un panino in mano.
- Pomodoro e mozzarella - gongolò Veronica, compiaciuta.
- Sì, amore, così mantieni la linea - la prese in giro Elena , baciandole un orecchio.
- Esatto, voglio entrare nei miei costumi di scena quando tornerò dalle vacanze, se permetti -
Continuarono a punzecchiarsi, scambiandosi tenerezze.
- Piano con 'ste mani - mormorò Elena all'orecchio della compagna, bloccandole i polsi, poichè Veronica le stava facendo il solletico, che era una cosa che proprio non sopportava.
- Mi piace toccarti - sussurrò Veronica, allargando il suo sorriso malizioso quando vide l'altra arrossire.
- Vero! Stai brava - la pregò Elena, notando come gli occhi delle sua ragazza si facessero più languidi. In tutta risposta, Veronica si sporse e la baciò, appoggiando una mano sulla sua spalle e, con l'altra, cingendole il collo. Elena non oppose troppa resistenza, la infastidiva leggermente la presenza degli amici: non era una che amava le esibizioni in pubblico, di qualunque genere. Però a Veronica non resisteva.
Cercò con la sua la lingua di Veronica, ben felice di stare al gioco. Amava quella ragazza con ogni fibra del suo essere. Le sembrava assurdo, ma sapeva che non poteva esistere nessun'altra come lei: saltuariamente vanitosa, prevalentemente essenziale, una persona trasparente, sincera, a volte troppo buona, ma non tanto da farsi mettere i piedi in testa, coerente ai suoi principi e
La strinse a sè con forza, come per rivendicarne una sorta di appartenenza.

Erano circa le due. All'ombra, distesi sugli asciugamani, quasi tutti si erano addormentati. Elena era coricata, prona, accanto a Veronica, che era nella stesa posizione, il suo braccio sinistro appoggiato alla sua schiena, il volto sulla sua spalla.
Stava sognando, ne era certa, perchè c'era un grosso cane grigio, simile ad un lupo, che si avvicinava sulla sabbia. Lei lo osservava in silenzio. Poi, all'improvviso, si scatenò un temporale.
Aprì gli occhi di scatto: qualcuno le aveva tirato una secchiata d'acqua. Accanto a lei, Veronica si era messa a sedere, tossendo. Si sfregò rapida gli occhi e vide Lupo, Valerio e Walter scambiarsi un cinque.
- Siete dei... degli imbecilli! - esclamò Veronica furibonda. Elena ridacchiò, scostandosi i capelli bagnati dalla fronte: i tre avevano fatto un passo terribilmente falso, perchè se c'era una cosa che Veronica detestava e che la rendeva intrattabile era l'essere svegliata di soprassalto.
- Dai, Vero, si fa per scherzare - rise Walter, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi in piedi.
- 'Fanculo, Walter! - si rialzò da sola, afferrando il suo asciugamano bagnato.
Bianca e Martina se la ridevano più in là: anche loro avevano sperimentato la Veronica post risveglio brusco ed era stata un'esperienza difficile da scordare.
- Dai, Vero, stai calma. Ora mettiamo il telo al sole e si asciuga -, Walter provò un nuovo e pacifico approccio.
- Non... avvicinarti! - ringhiò lei, scandendo le scandendo ogni sillaba con rabbia.
- Non era nostra intenzione farti arrabbiare - provò a scusarsi Lupo. Elena, dal canto suo, si limitava ad osservare le loro mosse, compiaciuta per la piega presa dalla situazione.
Nemmeno lei amava essere svegliata in quel modo, ma per la sua compagna era qualcosa di patologico e aveva avuto modo di rendersene conto negli anni: il suo tasso di irritabilità era cresciuto proporzionalmente con lei. Nemmeno troppo tempo prima, un telefono le aveva svegliate alle sei del mattino e Veronica, fino all'ora di pranzo, aveva insultato chiunque si trovasse sulla sua strada. Ovviamente, con l'esperienza Elena aveva imparato come impedire alla sua ira di riversarsi anche su di lei e non aveva intenzione di spartire quel segreto con nessuno. Anche perchè non era cosa che avrebbero potuto fare tutti.
- Tu non sei arrabbiata, vero? - le domandò Valerio in tono sommesso.
- No, io no - sorrise Elena, lanciando un'occhiata eloquente in direzione di Veronica, che stava inveendo furiosamente contro suo cugino, appellandolo in ogni modo possibile e immaginabile.
- Hai voglia di fare una nuotata? - le domandò il biondone.
- Veramente... non proprio... -, Elena non era abituata alle avances dei ragazzi.
- Allora andiamo a fare due passi! C'è una bella spiaggetta, un posto riservato, tranquillo. Basta superare il cantiere navale - riprovò lui, caparbio, facendo un passo verso di lei, che reagì indietreggiando.
- Sinceramente, ci stai provando con me? - gli domandò Elena, diretta e concisa. Non era portata per certe cose.
- Mi sembra ovvio, Elena - le rivolse un dolce sorriso, che, riflettè Elena, ad un'altra persona avrebbe potuto sciogliere le ginocchia. A lei di sicuro no.
- Ascolta, mi dispiace molto, ma ti freno subito... -
- Se è perchè non ci conosciamo, stai tranquilla, insomma, non sono uno a cui piace fare le cose in fretta... -, Valerio aveva tutte le più buone intenzioni e aveva perso l'aria da pallone gonfiato che ostentava con gli amici.
- No, non è per questo! Il fatto è... -
- Ah, ho capito. Sei già innamorata di qualcun'altro - la interruppe nuovamente lui.
- Sì, ma non proprio così... e non interrompere! Io sono omosessuale - riuscì finalmente a dirgli.
- Mi stai prendendo in giro? E' solo una scusa per non uscire con me, veo? - s'indispettì Valerio.
- Ma no! Certo che no! Chiedilo a loro! - con una mano indicò i suoi amici, che ancora ridevano per lo spettacolino gentilmente offerto dai due cugini.
- Non sta scherzando, garantisco io - confermò Walter, che evidentemente aveva ascoltato con un orecchio gli insulti di Veronica, con l'altro il nostro discorso.
- Mm... bella garanzia! Non mi fiderei di te nemmeno se fossi l'ultima persona sulla terra! Se la persona più irritante, più infantile, più insopportabile... -, Elena la interruppe. - Hai finito? -
- Veramente, no! -
- Dai, Vero, andiamo a fare il bagno. Ormai siamo già bagnate - ironizzò Elena, prendendole una mano. Il suo gesto fu seguito attentamente da Lupo e Valerio.
- Cretino - sibilò Veronica, mentre passava accanto a suo cugino. Che trattenne a stento una risata. Sapeva benissimo che Veronica non pensava sul serio quelle cose: si divertiva moltissimo a infastidirla e a pungolarla solo per poi essere preso a male parole e farsi due risate con Mattia.
Si avvicinarono all'acqua, subito seguite dai tre ragazzi e da Bianca, Vittoria e Andrea.
- Se qualcuno mi spinge in acqua lo affogo - ringhiò con aria molto minacciosa.
- Certo che sei proprio suscettibile - rise Andrea, stuzzicando il suo animo ancora in fase guerrigliera.
- Io non sono suscettibile! Io odio essere svegliata così! Quindi non lamentatevi se sono intrattabile -, incrociò le braccia. Chiaro segno di rifiuto e opposizione.
- Sì, lo sappiamo, piccola - sussurrò Elena al suo orecchio. Il suo sguardo omicida si raddolcì quel tanto che bastava a rassicurare Elena. Con la coda dell'occhio vide Bianca e Lupo parlare a bassa voce, mentre Martina, accanto a loro, aveva le labbra piegata in una smorfia strana, probabilmente una risata repressa.
- Oggi non è proprio giornata - sbuffò Veronica.
- Perchè? E' iniziata male la vacanza? - le domandò Valerio.
- Non trovavo il caricabatterie, poi ho vomitato dopo un'ora di macchina. E ora questo -
- E' perchè sei talmente ordinata e maniacale, che a volte dimentichi persino dove metti le cose. Sono convinta che tu l'abbia lasciato a casa nostra, in qualche meandro -
- No, sono convinta che sia a casa di mia mamma. Scommettiamo? -, il suo tono era tornato polemico.
- Hai ragione, sarà senz'altro dove dici tu. Vieni un attimo qui, però -, l'allontanò dagli altri, notando lo sguardo attento di Lupo su di lei.
- Che vuoi fare con quei due? A Valerio gliel'ho detto, non ho avuto scelta, ci stava provando con me! Voleva portarmi in non so che spiaggia romantica... - sbuffò Elena, ancora psicologicamente destabilizzata.
- Santo cielo - ridacchiò Veronica, che si era persa la scena, troppo occupata a denigrare le capacità mentali di Walter.
- Allora, che vuoi fare? -
- Voglio stare con te -
Così dicendo le presa una mano, portandola dove l'acqua era più alta, tant'è che Veronica non toccava più il fondo e si teneva a galla aggrappandosi ad Elena, che invece aveva ancora la pianta del piede saldamente poggiata al suolo sabbioso.
Si strinse al suo collo, poggiando la sua guancia contro la sua. Elena non faceva alcuna fatica nel sorreggerla.
- Mi dispiace per 'sta mattina - mormorò.
- Veronica, stai tranquilla - la rassicurò baciandole un orecchio. L'altra sussultò.
- Tutto bene? -
- Brivido - mormorò lei, mugolando, e intensificando la stretta. Elena rise.
- Veronica, sei davvero unica. Ti amo - posò le labbra su quelle della compagna, rese agrodolci dall'acqua di mare.

***

La posta di Mizar:

Nessie: grazie, grazie mille per gli stupendi complimenti (puoi immaginare benissimo la mia reazione!). Diciamo che le scene di sesso sono quelle che mi mettono più in crisi, ho sempre paura di apparire banale o volgare! Però così mi rassicuri. Spero che questo capitolo di piaccia, non è nulla di speciale, ero solo ispirata dal periodo vacanziero!
morbidina: no, non ti chiamerò Miss Ovvio, tranquilla! Sono contenta che ti piaccia e mi ha fatto piacere la tua recensione. Sì, diciamo che il padre di Veronica ha qualche problema a relazionarsi con le figlie (e anche con Mattia).
Kabubi: no, Elena non porta il reggiseno, brava detective! Visto che ho aggiornato in tempo? Diffidente! Questo è un capitolo abbastanza di relax,  però Lupo e Valerio mi piacciono troppo, magari li userò di nuovo... anche se non so ancora come! Sono già una scrittrice fallite, abbi pietà!
pazzafuriosa92: okay, la spiegazione di persona l'hai avuta, ma sai che io mi riservo il meglio per dopo! Se scoprissi subito tutte le carte in tavola, non ci sarebbe più gusto! Che ne dici di questo? E' molto tranquillo, insomma, nulla di epico, però questi quattro che ho creato li farò ritornare in qualche modo! Mi piacciono troppo!
Little Princess Mars: sì, le tue parole mi han fatto molto piacere (e non sei rompiballe!). Okay, non voglio creare dipendenza a nessuno, non rovinarti gli occhi a causa mia, mi raccomando. Comunque le tue parole mi hanno molto colpita, davvero, grazie mille. Almeno so che ciò che scrivo non è totalmente assurdo o stupido.
reby94: grazie, Reby! Bello risentirti dopo tanto tempo!
Guizza: insomma... capolavoro... *tossicchia* così mi metti in imbarazzo! Ad ogni modo sono davvero felice che i miei capitoli ti coinvolgano. Diciamo che in questo non vengono affrontati grandi problemi, è solo un capitolo tranquillo di vacanza (ero ispirata, sulla spiaggia!).
piccola peste: non scusarti, capita! Grazie mille per i complimenti, davvero, non smetterò mai di ringraziarti!! Diciamo che Gianni è un personaggio tragi-comico del racconto, per le sue scelte e per le sue idee, che verranno poi analizzate con più cura e attenzione.
Apia: figurati, è andato tutto bene! Tranquilla, anche se ora non disponi di pc, potrai mettirti poi in pari a settembre, tanto fino ad allora non aggiornerò più (parto domani con i miei). Gianni non è propriamente comprensivo, dici bene. Anche questo ha una sua spiegazione e, come dicevo a pazzafuriosa, mi tengo le carte migliore per il futuro! Nel frattempo spero che questo vi piaccia, anche se è un po' diverso dagli altri. Ho voluto trattare di una situazione più... normale. Buon proseguimento di vacanze.
caso: credo proprio che la parola bussare non figuri nel suo vocabolario (anzi, lo di per certo, dato che sono sua "madre"! ). I genitori di Elena sono dei tipi strani, preferiscono negare l'esistenza della figlia, quindi per loro Veronica scompare assieme a lei. In questo capitolo nulla di "drammatico", volevo qualcosa di rilassato e vacanziero! In fondo, è appena iniziato agosto!

Buon proseguimento di vacanze a tutti quanti! Ci risentiamo a settembre!!
Mizar

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Capitolo 6
*** Canto notturno del sonno perduto ***


6. t.s.e. Non ho niente di particolare da dirvi, solo darvi un po' fastidio con qualche riga. Però una cosa seria da dire ce l'ho: il trentunesimo capitolo di Fior di pesco non dovrebbe tardare ancora molto!
Buona lettura.

p.s. Mi son scordata di avvisarvi che questo episodio si colloca dopo gli avvenimenti di Fior di pesco (nel quale ora siamo alla fine del mese di marzo), precisamente a novembre. Non contiene spoiler, ma accenna a due cose (nulla di troppo evidente, come vi renderete conto).

Genere: Generale (perchè non esiste il genere stupido?)
Rating: Giallo
Avvertimenti: Femslash


***


Capitolo VI
CANTO NOTTURNO DEL SONNO PERDUTO

Veronica si lasciò cadere accanto a lei con un sonoro sospiro.
- Dove scappi? - mugolò Elena, voltandosi verso di lei e afferrandole la vita, per poi premere la bocca contro il suo collo.
- Sono stanca - sussurrò Veronica, chiudendo gli occhi e stringendo l'angolo del cuscino. Elena, aiutandosi con una gamba, si coricò sulla sua schiena, mordicchiandole un'orecchia.
- Ti è piaciuto? - mugugnò, strofinandole il naso fra i capelli. La sensazione del suo seno premuto contro la schiena nuda di Veronica le procurava piacevoli brividi.
- Fai sempre delle domande stupide -, sorrise Veronica, allungando una mano per carezzarle la coscia. La pelle di Elena era calda. Era da almeno una settimana che non facevano l'amore e quella sera aveva compensato il vuoto di entrambe. Si erano rotolate fra le lenzuola, che ora giacevano ammonticchiate e sudate, per ore, baciandosi, toccandosi e stringendosi.
Veronica aveva le guance arrossate, il respiro ancora affannato. Elena la amava, la desiderava: adorava stringersi a lei, assaporare la sua pelle, esplorare ogni piega del suo corpo, affondare i denti e succhiare ogni centimetro di carne morbida. Borbottò qualcosa contro il suo collo, facendola ridere per il solletico.
- Hai ancora forze? Io sono distrutta - gemette Veronica, la cui voce era attutita dal cuscino contro cui aveva appoggiato la faccia.
- Vuoi mettermi alla prova? Guarda che io sono sempre pronta - sussurrò Elena, maliziosa, per poi solleticarla sulla pancia e sui fianchi. Veronica iniziò a contorcersi, ridacchiando e protestando a bassa voce, senza convinzione. Elena si aggrappò al suo corpo, circondandola con braccia e gambe. Ricominciarono a rotolarsi fra le lenzuola sudate, il piumone allontanato a calci giaceva in fondo al letto, per metà riverso sul parquet. Le mani intrecciate, le bocche alla ricerca l'una dell'altra, le lingue che esploravano la pelle sudata e i morbidi seni.
- Sei bella - disse improvvisamente Veronica, sdraiata sulla pancia di Elena, che arrossì.
- Anche tu... -
- Le', ho sonno - mormorò fra le sue labbra.
- Ma sono solo le undici e mezza! - protestò Elena, carezzandole i lunghi capelli dorati.
- Sono tanto stanca...E domani dobbiamo alzarci presto -
Elena sospirò: agli occhioni dolci di Veronica non poteva proprio resistere.
- Come vuoi, chouchou -
Veronica scese da sopra di lei, rotolando nuovamente sul letto, mentre l'altra si alzava per raccogliere le coperte cadute.
- Chouchou... vieni qui -
Seppellite fra coperte e cuscini, ancora nude, si abbracciavano, il capo di Elena poggiato al petto di Veronica, una mano sulla sua spalla, mentre la sua compagna le cingeva le spalle.
- Buonanotte, amore -
- Notte, Le' -

Stava camminando in un prato verde, fiorito. La lussuriosa vegetazione la circondava quasi come un abbraccio e Veronica vi si faceva largo senza sforzo, il corpo carezzato dalle verdi protuberanze dell'assurda flora variopinta.
Era felice, rideva. Tutto pareva così caldo e sicuro in quel luogo, che le trasmetteva una sensazione di primordiale beatitudine. Camminando attraverso quella pacifica selva, giunse improvvisamente in una radura desertica: spirava un vento caldo, soffocante, il terreno era arido e secco, crepato dall'arsura. Veronica sussultò, coprendosi gli occhi: non voleva guardare. Si voltò, pronta a correre via, ma si accorse che attorno a lei quell'esotica flora si era mutata in granelli di sabbia. Rimase impietrita, spaventata in quel paesaggio dai toni ocra e arancioni. Nemmeno un ciuffo d'erba sbucava alla base delle pietre, che, secche e polverose, pareva giacere lì da millenni.
Poi un vagito, lontano.
E' solo uno stupido sogno! Ma perchè non riesco a svegliarmi?! Basta, ora basta!
Tentava disperatamente di risvegliarsi, ma le era impossibile. Il soffio d'aria si fece più soffocante, il lamento più vicino. Scoppiò a piangere, indietreggiando, oppressa da quella sensazione d'infinito che la circondava, da quel vagito che la braccava. Corse, con gli occhi chiusi e umidi, corse alla cieca, finchè inciampò e sbattè il mento sul suolo riarso. Aprì gli occhi tremando per poi voltarsi indietro: era inciampata su un bambolotto di plastica.
Si svegliò di soprassalto, scattando a sedere nel letto. Attorno a lei c'era solo il fitto buio della camera da letto.
Ansimava, aveva il fiato corto. Portandosi una mano alla guancia si accorse che era bagnata.
Incriociò le gambe, posando le mani intrecciate sul piumone e il sogno le riapparve vivido alla mente, reale come la pellicola di un film. Le sorse nuovamente un singhiozzo. Allungò una mano in cerca della sagoma che intravedeva nell'oscurità. Finalmente le sue falangi urtarono una schiena.
- Ele... - mormorò, scuotendola leggermente.
La sagoma brontolò qualcosa, poi si tirò le coperte fino alle orecchie. Veronica singhiozzò più forte.
- Ele, ti prego, svegliati! - la scosse con più energia.

Elena era immersa nel piacevole torpore di un intrigante sogno che la vedeva protagonista assieme ad una grigliata di carne davvero niente male. Appena sentì la voce di Veronica chiamarla fu costretta ad abbandonare quel torpore estatico e fu allora che la percepì: una fitta, una tremenda fitta di dolore le trapassò il cranio, facendole pulsare un occhio.
Emise un gemito soffocato.
- Le'... -
Realizzò solo in quel momento che Veronica era in lacrime.
- Ehi, amore! - si girò di scatto, mentre il mal di testa le trapanava il cervello. Strinse i denti per non gemere ancora. L'abbracciò, stringendola con forza e decisione.
- Un brutto sogno? - le domandò. Capitava sempre più spesso che la sua compagna la svegliasse nel cuore della notte, in lacrime o semplicemente angosciata, per un incubo. Nonostante le circostanze e i protagonisti mutassero, vi era una costante in quei sogni: una bambola che piangeva. Elena conosceva benissimo l'origine di quei sogni e vedere Veronica ridotta in quello stato la faceva sentire colpevole, nonostante razionalmente non vi fosse nulla di cui incolparsi.
- Sì - singhiozzò, premendo il volto contro la spalla dell'altra.
- Ora calmati, ci sono io. Vieni, corichiamoci di nuovo -, Elena la tirò giù con se, senza smettere di stringerla.
- Era sempre... quel sogno? - domandò cautamente, carezzandole i capelli. Veronica tremava.
- Sì - mormorò fra le lacrime.
Una nuova fitta le trapassò la fronte e la colse impreparata.
- Ah...! -
- Stai bene? - domandò preoccupata Veronica, mettendosi subito a sedere e strofinandosi gli occhi con il dorso delle mani.
- Solo un po'... di... ah! Mal di testa - grugnì Elena, premendosi le mani contro la fronte, come per soffocare quell'insistente pulsare all'interno del suo cranio.
- E non mi hai detto che stavi male?! - s'infervorò Veronica.
- Abbassa la voce. Tu piangevi -
- Sei proprio sciocca. Se stai male me lo devi dire sempre, hai capito? -, Veronica si chinò su di lei, posandole un umido bacio sulle labbra.
- Ti ha preso improvvisamente? - le domandò Veronica, afferrando il suo polso. Tastò un po', poi trovò la vena e le contò i battiti.
- Sì... quando mi hai svegliata -
Parlare le costava fatica, ogni parola pronunciata riecheggiava nella sua scatola cranica, rimbalzando furiosamente contro di essa.
Veronica si scostò bruscamente e accese la lampada sul comodino per rischiarare la camera da letto.
- Spegni - protestò debolmente Elena, chiudendo gli occhi.
- Girati - le ordinò Veronica, annuendo. Pareva aver avuto un'intuizione geniale.
- Perchè? -
Veronica non rispose, ma abbassò bruscamente il piumone, scoprendo il corpo nudo della compagna, che gemette sonoramente per quella privazione coatta. Si raggomitolò su un fianco, dandole le spalle.
- Lo sapevo - sogghignò Veronica.
- Dimmi che non è ciò che penso - sospirò l'altra, rassegnata all'evidenza.
- C'è una graziosa macchia di sangue a forma di coniglio sul lenzuolo -
- Coniglio? Ma tu sei malata - ribattè Elena, mettendosi lentamente a sedere. Voleva solo andare in bagno, lavarsi e vestirsi.
- Dove credi di andare da sola?! - l'altra le si strinse alla schiena, ricoprendole le spalle di morbidi baci.
- Non ho bisogno della badante -
- Non fare la brontolona, alza il sedere o macchi ancora il lenzuolo -, Veronica scese dal letto e l'aiutò a mettersi in piedi. Recuperate mutande pulite e un pigiama, l'accompagnò in bagno.
- Ora dovrei anche farcela da sola -
- Io ti preparo la medicina -, Veronica si sporse ed Elena le diede un bacio sulla fronte che produsse un sonoro schiocco.
Veronica si affaccendava nel ripostiglio, il busto nell'armadio dei medicinali: era un mobile stretto e alto, bianco, completamente stipato di scatolette colorate, dalle varie forme e dimensioni, e di tutto ciò che può essere necessario ai fini del primo soccorso.
- Mm... Oki... Aspirina... No, qualcosa di più forte... Eccolo qua! -
Rovesciò in un bicchiere la polvere bianca, poi aggiunse due dita d'acqua: subito il composto iniziò a produrre bollicine. Rapida, rimestò il tutto con un cucchiaino.
Tornata in camera da letto, si accorse che Elena aveva piegato il piumone sul pavimento e stava sostituendo il lenzuolo.
- Hai mal di testa! Devi startene tranquilla, altrimenti lo sai che non ti passa! - s'arrabbiò Veronica, afferrandole le mani.
- Ho sporcato io il lenzuole e quindi... -
- Quindi un corno! Siediti sullo sgabello e prendi l'antidolorifico! - ordinò Veronica, autoritaria. La compagna mogia eseguì le direttive.
Veronica, irritata per l'eccesso di iniziativa di Elena, terminò di rifare il letto.
- Ma tu sei nuda -, Elena parve notarlo solo in quel momento.
Veronica sfoderò un sorriso malizioso, poi si avvicinò lentamente alla sua ragazza, infine le passò le braccia attorno al collo. Elena si rialzò in piedi, leggermente instabile, per ricambiare il suo bacio.
- Vieni a letto, amore, rilssati così ti passa -, Veronica la prese per mano, con quel disarmante sorriso che bloccava le sinapsi di Elena non appena lei lo sfoderava.
- Aspetta, tu coricati, io mi metto qualcosa. Non voglio stare nuda se tu sei vestita -
Elena ridacchiò, nonostante le procurasse un'amplificazione del dolore. Chiuse gli occhi, sistemandosi comodamente e aspettando il ritorno della sua compagna. Si tirò il piumone fino alle orecchie. Fuori faceva freddo, probabilmente nevicava, ma era quel freddo piacevole, per il quale passeresti la giornata sotto alla coperte. Specialmente se in compagnia di Veronica, avvinghiate braccia e gambe, a fare l'amore.
Si era infilata un camicia da notte rosa con un motivo floreale. Sollevò le coperte e si coricò accanto ad Elena, che poggiò di nuovo il capo sul suo petto.
- 'Notte, chouchou -
- Speriamo sia la volta buona - rise Veronica.

Erano le due e un quarto quando un telefonò squillò. Elena aprì gli occhi di scatto, mentre il mal di testa tornava a bussare al suo cranio, martellante e doloroso.
Era ancora abbracciata a Veronica, il capo sul suo petto. Deglutì un paio di volte. Il telefono non smetteva di squillare.
Imprecando fra i denti, lo raggiunse prima che svegliasse la sua compagna, che ora dormiva beata.
Era Gianni.
- Pronto? - domandò con voce roca, uscendo dalla camera da letto e chiudendosi la porta alle spalle.
- Scusate, lo so, è notte fonda. Mi spiace avervi svegliato -
- No, niente. Veronica dorme, te la devo chiamare? - gli chiese Elena, maledicendolo mentalmente. Si sedette sulla poltrona per non perdere l'equilibrio: il dolore le stava segando in due la testa.
- In realtà speravo di parlare con te -, il tono di Gianni era esitante.
- Me? - domandò Elena stupita, sgranando gli occhi.
- Già - 
- Ah... sì, certo. Dimmi pure - si ricompose rapidamente, prima di provocare qualche incidente diplomatico. Non ora che il rapporto fra lei e il padre di Veronica sembrava essersi stabilizzato, nonostante fosse ancora lontano dalla piena concordia.
- Sono preoccupato per mia figlia: ha ancora avuto i suoi incubi? -
- Veramente... sì, ne ha avuto uno poco fa: mi ha svegliata perchè stava male - spiegò Elena.
- Lo sapevo! Me lo sentivo che c'era qualcosa che non andava. Sai, un genitore le percepisce certe cose -
- Oh... beh, ora sta bene. Dorme -
- Meno male. Sicura che non abbia un altro incubo? - domandò Gianni, apprensivo.
- Non credo: quando mi hai svegliata aveva il viso sereno. Ora non saprei, sono in salotto -
Elena allungò i piedi nudi, poggiandoli sul tavolino di fronte a lei, per poi sgranchirsi tutte le dita.
- Meglio così. Sai, sono davvero molto preoccupato. Mi dispiace averti svegliata in piena notte, ma non riuscivo a dormire: avevo bisogno di sapere come stava Veronica -
- Davvero, non fa nulla, ora mi rimetto a letto e dormirò come prima -, Elena era conscia dell'entità della sua bugia: con quel mal di testa non sarebbe mai riuscita a dormire e non era passato abbastanza tempo per poter prendere un altro antidolorifico.
- Tu cosa ne pensi? - le domandò Gianni dopo qualche istante di silenzio.
- Di cosa, esattamente? -
- Di questi incubi... del motivo... Voglio sapere cosa ne pensi tu -
- Io... non ho una risposta certa, non so più quale sia il bene di Veronica... forse non è un discorso che dovrei fare a te... -
- No, ti prego Elena, parliamone un momento - la incoraggiò Gianni. Elena non si era mai sentita tanto in imbarazzo.
- E' piuttosto lampante il fatto che lei voglia diventare madre... una madre biologica, ecco. Non è una cosa che lei vuole ora, ne abbiamo parlato, insomma, abbiamo ventidue anni! Però... lei sa di volerlo in futuro e sa anche che non sarà possibile, non qua, almeno. Io lo so che è una cosa stupida però... certe volte non posso fare a meno di pensare che forse non dovrei stare con lei... - mormorò Elena, gli occhi lucidi. Aveva formulato quel pensiero a voce alta, finalmente. La tormentava da settimane, senza abbandonarla un istante: se lei si fosse tirata indietro, Veronica avrebbe senz'altro potuto realizzare il suo sogno di diventare madre.
- Perchè mai dovrebbe stare meglio senza di te?! -, Gianni pareva scandalizzato.
- Perchè io... io non posso... darle un bambino -
Gianni rimase in silenzio alcuni istanti, poi riprese la conversazione con tono fermo e deciso.
- Elena, tu prova a lasciare mia figlia e sarà l'ultima cosa che farai -
- Scusa? -
- Hai sentito bene: Veronica non ce la farebbe senza di te. Lo so, sono suo padre! Se la abbandoni giuro che ti ammazzo sul serio questa volta -
Elena non potè trattenere un sorriso, udendo il tono usato da Gianni sul finire della frase.
- Non ho intenzione di lasciarla - lo tranquillizzò - Io... io la amo troppo -
- Perfetto, così mi piaci, Cantalupo. Ora vai da mia figlia e se ha ancora gli incubi chiamami. Altrimenti dormi -
- Va bene. Allora spero di rivederti domattina! Buonanotte -
- Buonanotte! -
Elena premette il pulsante rosso, poi lanciò il cordless sul divano e chiuse gli occhi. Doveva trovare la forza, fisica e spirituale, per alzarsi e raggiungere la camera da letto. Barcollò lungo il corridoio, gli occhi socchiusi. Una volta giunta nella stanza da letto procedette a tentoni nell'oscurità, perlomeno gli occhi non le dolevano più.
S'infilò sotto le coperte, avvicinandosi a Veronica: il suo respiro era regolare, il corpo rilassato. Le sfiorò con delicatezza il viso: a quel contatto, Veronica reagì gemendo e avvicinandosi inconsciamente ad Elena, per poi avvinghiarsi a lei. Sì, decisamente dormiva serena.
Elena chiuse gli occhi e tentò di ritrovare il sonno.

Una canzone? Chi è che urla? Che ore sono? Elena si risvegliò bruscamente e il suo fedele mal di testa tornò subito a farle compagnia.
- Porca... - imprecò fra i denti, premendosi le mani contro la fronte.
Era sicura che qualcuno stesse guardando la televisione. Come spiegare altrimenti quel fastidioso rumore di sottofondo composto di musiche e voci?
Veronica pareva non esserne disturbata.
Elena chiuse nuovamente gli occhi e si rigirò per dieci minuti buoni, ma ormai era completamente sveglia. E seccata.
Si mise a sedere e una fitta al ventre la colse impreparata. Era insofferente, stanca, nervosa e irascibile.
Raggiunse il salotto e accese la piantana. Lo sapeva, ne era certa! La signora Altaro, del piano di sopra, di giorno era un'isterica ma quantomeno tollerabile vecchina di estrema destra con problemi di udito, ma in alcune notti (Elena presumeva accadesse in concomitanza con la luna piena o qualche fattore legato alle maree) si trasformava in un'insonne spettatrice televisiva che, a causa dei suoi già citati problemi d'udito, soleva regolare il volume dell'apparecchiò pressocchè al massimo. Udibile, quindi, in diversi appartamenti, fossero essi limitrofi o sottostanti. I sovrastanti ne erano risparmiato per il semplice fatto che la signora abitava all'ultimo piano e il comitato di protesta dei piccioni ancora non era stato istituito.
Elena si guardò attorno alla ricerca del cordless: il numero della signora Altaro era salvato nella rubrica perchè non era certo la prima volta che capitava. Attese il segnale di linea libera e il telefono al piano di sopra iniziò a squillare. Uno squillo, due, tre, quattro...
- Maledizione! - ringhiò Elena, chiudendo la chiamata e riprovando - Quella ascolta la televisione così forte che non sente manco il telefono -
Di nuovo contò una decina di squilli, poi la linea si chiuse automaticamente.
Riprovò altre tre volte, senza ottenere nulla. Più irritata che mai, afferrò una felpa dall'appendiabiti nel piccolo ingresso, si passò una mano fra i capelli e, recuperate le chiavi, uscì sul pianerottolo. Nello stesso momento il ragazzo che divideva il pianerottolo con loro uscì dalla porta, visibilmente assonnato e infastidito.
- Anche tu in missione di protesta? - ironizzò lui, richiudendosi la porta alle spalle. Indossava i pantaloni di un pigiama blu monocromatico e una felpa grigia. Sulla guancia i segni del cuscino.
- Già... non è proprio nottata. Ho un mal di testa tremendo e domani dobbiamo alzarci presto per un matrimonio - sbuffò Elena, mentre imboccavano le scale per raggiungere il pianerottolo superiore.
- Giovanna mi ha minacciato che, se non faccio spegnere la televisione alla vecchia, mi lascia a dormire sulle scale - ridacchiò Eugenio.
- Veronica dorme... beata lei -
Di fronte alla porta della signora Altaro, si lanciarono un'occhiata d'intesa, poi bussarono con forza. Attesero qualche istante: il volume del televisore non pareva essere diminuito di un decibel.
- Mi sta uccidendo - ringhiò Elena, stringendo gli occhi, attaccata da una nuova fitta di emicrania.
- Hai già preso una medicina? -
- Sì, certo, ma devo aspettare otto ore prima di prenderne un'altra - brontolò Elena.
- Senti, ci avventiamo sul campanello? Che ne dici? - suggerì Eugenio. Riempire di pugni la porta non aveva funzionato e il rumoroso campanello della signora Altaro era davvero l'ultima spiaggia.
- Subito -, Eugenio poggiò il pollice sul bottone bianco e immediatamente si liberò un trillo insopportabilmente alto, soprattutto per l'emicrania di Elena, che fu costretta a portarsi le mani alle orecchie.
- Non sente nemmeno questo?! - esclamò furibondo Eugenio. Aveva tolto il dito dal campanello prima di svegliare tutto il condominio.
- Mi stupisco del fatto che solo tu ed io siamo qua fuori - borbottò Elena, appoggiandosi alla parete.
- Evidentemente gli altri hanno il sonno di piombo... -
- Riproviamo -, Elena si avventò con foga sul bottoncino, premendolo ripetutamente.
Finalmente la porta si aprì.
- Si può sapere che diamine volete?! - strillò la signora Altaro, uscita sul pianerottolo in vestaglia e ciabatte pelose rosa.
- Signora, potrebbe cortesemente abbassare la televisione? - domandò Elena moderando il tono di voce, anche se l'avrebbe volentieri mandata al diavolo.
- Cosa?! - strillò nuovamente.
- Cortesemente, potrebbe abbassare il volume? - riformulò Elena, scandendo lentamente le parole.
- Tu sei quella di sotto, vero? - indagò, riducendo gli occhi a fessure, la voce sempre parecchi decibel più alta del normale. Elena si limitò ad annuire, pentendosi di non essere tornata a letto delegando ad Eugenio il compito di trattare con la signora Altaro.
- Quella omosessuale - aggiunse, come se fosse un insulto.
- Senta, signora, è tardi, vorremmo dormire, potrebbe spegnere o quantomeno abbassare il volume del televisore? - insistette Elena.
- Io non capisco cosa tu voglia, io non ho un radiatore. E' la tua razza che rovinerà il mondo! Dove andremo a finire?! -
- La mia... oh Cristo! Senta, signora... - Elena era partita in quarta, furibonda, decisa a spegnere lei stessa il televisore della signora, ma Eugenio la fermò.
- Signora, abbassi il volume - scandì a voce molto alta.
- Il pattume? L'ho buttato via sta mattina! Tu sei quello che studia medicina? Quello del piano di sotto? - indagò ancora, sempre con gli occhi stretti.
- Sì, signora, potrebbe... -
- Tu sei normale, vero? - gli occhi della signora di assottigliarono ancora di più.
- Non è importante, signora, potrebbe abbassare il volume? - Eugenio scandì con più energia.
- Il volume, dici? -
- Sì, sì! - esultò il ragazzo, annuendo con foga.
- Ma è basso! Quasi non lo sento! - protestò.
- Noi vogliamo dormire - le fece notare Elena.
- Vacci tu a morire, tu e la tua razza di depravati! - strillò la signora Altaro, brandendo furibonda un pugno.
- Eugenio, io la ammazzo, quindi, ti prego, falla tacere - ringhiò Elena. In quel momento trovava senz'altro la sua emicrania molto più piacevole di quella vecchia pazza.
- Signora, noi - indicò il palazzo - vogliamo dormire! Sono le tre di notte! -
- Cosa è nella botte? E se volete dormire, dormite! -
Elena scosse la testa sconsolata, affranta: stava per svenire su quel pianerottolo tanto era il male che la tormentava.
- Il suo volume... è troppo forte! - il ragazzo ci stava mettendo l'anima per farsi capire da quella vecchia sorda.
- Sì, sono morte anni fa - annuì la signora Altaro, lui sgranò gli occhi.
- La televisione... è forte... il volume! -
- E non urlare, ragazzino! Non sono mica sorda, io! Comunque bastava dirlo subito, no? -
Eugenio ed Elena rimasero a fissarla sulla soglia, inebetiti, mentre lei entrava e la porta si richiudeva davanti a loro. Dopo qualche istante, il rumore svanì.
- Non ci posso credere - mormorò Elena, voltandosi per tornare al piano di sotto.
- Quella vecchia ci farà ammattire, prima o poi - brontolò Eugenio.
- Almeno non dovrai dormire sulle scale! -
- Tu pensa al tuo mal di testa! Buonanotte e buon matrimonio per domani! -
- Non preoccuparti, comunque grazie! Saluta Giò! -
- Senz'altro, e tu Vero -
- Buonanotte -
Rintanata nel suo appartemento, Elena si appoggiò alla porta, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Nell'oscurità e nel silenzio della notte, udì un cigolio sinistro. Spalancò le palpebre.
La porta del bagno ogni tanto cigolava...
Elena si avventurò in salotto e di nuovo lo udì: era proprio il cigolio della porta del bagno. Magari Veronica si era svegliata.
- Vero, sono qui - disse alle tenebre. Di nuovo il cigolio e nessuna risposta.
Tesa, Elena cercò a tastoni l'interruttore della luce: quando il chiarore della lampada illuminò la stanza e il breve corridoio, si rese conto che non solo Veronia non era in piedi, ma anche che la porta del bagno si stava aprendo e chiudendo... da sola!
Deglutì, nervosa.
Lei non era il tipo che si lasciava spaventare da queste cose, però in quel momento era vulnerabile a causa del forte malessere fisico, che le offuscava i sensi e ritardava i riflessi.
- Vero? - tentò nuovamente, senza ottenere risposta.
Si avventurò lungo il corridoio e i suoi sospetti furono confermati: nulla muoveva la porta, questa, però, continuava ad aprirsi lentamente per poi richiudersi.
Poi percepì un braccio passare attorno alla sua vita e sobbalzò.
- Amore... che cosa c'è? - domandò un'assonnata Veronica, sbadigliando.
- La... la porta -
Veronica alzò gli occhi assonnati verso il punto indicatole da Elena e trasalì, indietreggiando.
- Sarà... è una corrente, sì, una corrente d'aria... gli spifferi, sai... - mormorò nervosa, ridacchiando.
- Certo, certo... cos'altro potrebbe essere? -
Entrambe però sapevano che nella casa talvolta capitavano strane cose: oggetti che cadevano da soli, la televisione che cambiava canale arbitrariamente, i vetri che tremavano inspiegabilmente e ora anche le porte che si aprivano da sole.
- Se è un fantasma, sono profondamente convinta che sia nonna Lia - sentenziò Veronica, stringendosi al braccio di Elena. Entrambe rimasero incantate per alcuni secondi a fissare quella porta che pareva dotata di vita propria. Poi Elena decise di infrangere l'incantesimo: afferrò di scatto la maniglia, per impedirle di richiudersi.
Il legno emise una sorta di gemito, ma la porta si fermò. Elena la lasciò andare lentamente ed essa rimase nella posizione in cui era stata bloccata.
- Facciamo così -, Veronica fece un passo avanti e chiuse per bene la porta, dando anche un giro di chiave.
- Almeno non cigolerà più -
- Ehi, ma tu dov'eri? - domandò improvvisamente Veronica, incrociando le braccia.
- Dalla vecchia sorda: aveva di nuovo la televisione a mille! Eugenio ed io ci abbiam messo almeno cinque minuti per farle capire che volevamo che abbassasse il volume e come al solito ha detto che la nostra razza manderà il mondo in rovina -
Veronica scoppiò a ridere, passando un braccio attorno alla vita dell'altra, la testa sulla sua spalla.
- Andiamo a dormire, amore, che fra i fantasmi, le vecchie e gli inconvenienti mensili non mi sembra che ti sia riposata troppo. Hai ancora mal di testa? -
- Un po', ma ora mi corico e mi passa -
Si infilarono per l'ennesima volta sotto il piumone, abbracciate, per poi augurarsi vicendevolmente la buonanotte.

Veronica fu svegliata da un fastidioso pizzicorio al basso ventre. Provò a cambiare posizione, liberandosi dall'abbraccio della compagna e voltandosi dall'altra parte, ma nulla cambiò. Si mise a sedere, sbuffando: non poteva trattenere oltre la pipì.
Sbirciò la sveglia dal quadrante fluorescente e notò con disappunto che erano solo le quattro del mattino.
Raggiunse lentamente il bagno, strattonando la porta prima di ricordarsi che l'avevano chiusa a chiave. La luce improvvisa la accecò per alcuni istanti, poi raggiunse la tazza. Fu allora che lo vide: un piccolo esserino verde che si arrampicava sull'asse del gabinetto.
Strillò con quanto fiato aveva nei polmoni.

Elena si mise a sedere di scatto, notando con estremo disappunto che non solo il mal di testa non le era passato, ma si era addirittura amplificato. Ci mise alcuni secondi a realizzare cosa l'aveva svegliata: un grido di Veronica. Raggiunse di corsa il bagno, solo per trovarvi Veronica intenta ad urlare a pieni polmoni.
- Ehi, ehi! Calmati! - la scosse energicamente - Che hai visto? -
- C'è una cimice! - strillò indicando con un dito tremante il water.
- Santo cielo... -
Elena si avvicinò al punto indicatole, riflettendo su quanto fosse insensata e ingiustificata la paura per le cimici della sua compaga, quando l'insetto preso il volo e andò a posarsi sul soffitto, accompagnato dalle urla di Veronica.
- Vero, ti prego, non urlare ho mal di testa... - la supplicò Elena.
- Scusa, scusa, mi dispiace! E' che... Ah! Oddio! Vola di nuovo! - strillò Veronica, acquattandosi contro la parete.
- Vero... - biascicò Elena, cercando qualcosa con cui colpire l'insetto.
- Scusa! Però, ti prego, falla uscire! - esclamò isterica, osservando il puntino verde muoversi attorno alla lampada.
- Ma promettimi che taci! -
Veronica annuì, nervosa, mimando con un gesto l'atto di cucirsi le labbra.
Elena individuò una rivista lasciata per terra, la raccolse e l'arrotolò, stringendo gli occhi per mettere meglio a fuoco la cimice svolazzante. Attese  placidamente che abbassasse la traiettoria del suo volo, le labbra serrata per la concentrazione. Gli occhi di Veronica, al contrario, erano dilatati e attendevano con ansia l'esecuzione. Finalmente giunse l'istante propizio: Elena scattò con il giornale, mancandola di poco. La cimice non reagì bene a quel tentato omicidio: accellerò il suo volo irregolare, scatenando un nuovo strillo isterico in Veronica.
- Vero! - esclamò Elena, dandole una botta con il giornale su un braccio, cosa che la fece ammutolire improvvisamente.
- Scusami... ho... -, Veronica non rispose. Uscì dal bagno sbattendo la porta, non prima di aver lanciato uno sguardo nervoso al soffitto, dove, imperterrita, la cimice proseguiva con i suoi voli disordinati.
- Vero, scusami! Non volevo... - la seguì in salotto, dove l'altra si era rifugiata.
- No, scusami tu - borbottò Veronica con una punta di acidità nella voce.
- Ti prego, amore, non litighiamo per una cosa così... stupida -
- Lo sai che ho paura delle cimici - mormorò Veronica, abbassando gli occhi. Sì, Elena lo sapeva piuttosto bene: era stata protagonista di alcuni appostamenti ad insetti che avrebbe difficilmente scordato.
- Sì, tesoro, lo so. Non volevo colpirti, ti chiedo scusa - disse la ragazza, stringendole le mani.
In quel momento qualcuno suonò con insistenza il campanello.
- Chi può essere a quest'ora? - sussurrò Veronica, che era trasalita e ora si trovava stretta al petto della compagna.
Elena separò gentilmente la sua ragazza da lei, poi si avvicinò alla porta. Inserì la chiave e aprì la serratura, poi abbassò la maniglia e tirò verso di sè la porta quel tanto che le fu sufficiente per riconoscere il viso furioso della signora Altaro.
- Prima venite a fare le pulci a me per la televisione e ora sento queste urla insopportabili! - sbraitò la signora dal pianerottolo.
- Ci scusi, signora, un... un inconveniente - si scusò Elena, imbarazzata.
- Spero che abbiate avuto un motivo valido per svegliarmi a quest'ora di notte! O del mattino, dovrei dire, dato che sono quasi le quattro e mezza! -
- Signora, ha ragione, ma abbassi la voce - mormorò Elena, tentando di calmare un'inferocita signora Altaro.
- Io sono sempre stata contraria al vostro trasferimento! Sappiatelo! Tua nonna... quella stramba! Come ha potuto permettere che diventassi così?! E' senz'altro stata colpa di... -
Un rumore alle spalle dell'anziana attirò l'attenzione di Elena, mentre quella continuava a pontificare a voce altissima.
- Che succede?! - era Eugenio, allarmato.
- Santo cielo, ragazzo! Non sbucarmi così furtivamente alle spalle! -
- Mi scusi... - disse lui, poi rivolse uno sguardo interrogativo ad Elena.
- Scusate per il rumore, davvero. E' che... c'era... lasciamo stare, chiediamo scusa - spiegò la ragazza, imbarazzata, mentre Veronica, alle sue spalle, ridacchiava ancora per la reazione della signora Altaro.
- Pervertite! Ma io lo so cosa stavate facendo! Mi sentirete alla prossima riunione di condominio, eccome! - sbraitò, levando un pugno in aria.
Elena arrossì fino alla radice dei capelli, mentre Eugenio scoppiò a ridere e, tentando di soffocare l'ilarità allo stesso tempo, si provocò il singhiozzo.
- Signora, lei... lei sta fraintendendo! -
- No, io in quel posto non lo prendo! Vergognati, dire certe cose! - s'infervorò la signora del piano di sopra.
- Signora, ho detto fraintendendo, fraintendendo! - ripetè Elena a voce molto alta, esasperata. Alle sue spalle, Veronica si teneva le costole.
- Smettile con queste cose disgustose! Vi farò cacciare, sarà l'ultima cosa che faccio! Depravate, sotto al mio tetto! -
- Santi Numi, per un po' di sesso tutte queste storie - borbottò Eugenio, ancora preda di risolini isterici.
- Non stavamo facendo sesso! Accidenti, c'era un cimice e Veronica... ha una paura folle e si è messa a urlare! Ma perchè mi sto giustificando?! -
- Molle?! Sesso con delle molle?! Non voglio sapere nulla... Dio, che cosa orribile! -
- Signora Altaro, non era... c'era una cimice! Un insetto- scandì Elena, sul cui volto si erano succedute le varie tinte del rosso.
- Io ora gradirei dormire. Delle vostre... cose oscene non voglio più saperne nulla, basta che non mi disturbiate più! E tenetevi pure il vostro  corpetto... pervertite - 
Accompagnata dalle risate ormai incontrollabili di Veronica ed Eugenio, la signora salì le scale, diretta al suo appartamento.
- Non... non ci voglio credere... - balbettò Elena, ancora esterrefatta.
- E' stata la scena più epica a cui io abbia mai assistito - sghignazzò Eugenio, ormai dimentico del fatto che fosse stato svegliato con una botta dalla sua compagna, che si lamentava ancora una volta del rumore.
- Ele... la tua faccia è impagabile - rise Veronica, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
- Tu taci. Scusa per il rumore, la prossima volta la imbavaglierò - sdrammatizzò Elena, nonostante fosse ancora visibilmente scossa. Se per quella manciata di imbarazzanti minuti si era scordata del mal di testa, ora quello era ritornato a bussare alle pareti della sua scatola cranica senza pietà.
- Dev'essere proprio sorda per pensare che potessero essere quel genere di urla! Io ormai ho imparato a distinguerle - rise il ragazzo.
- Anche noi, tranquillo. E' una corrispondenza biunivoca - replicò Veronica, sorridendo maliziosa.
- Touchè. Vi auguro una buonanotte! -
- Sperando che sia la volta buona... - grugnì Elena, salutandolo con una mano.
Eugenio rise per richiudersi subito dopo la porta alle spalle.
- Amore, hai la faccia sconvolta - disse Veronica con voce mielosa, stringendosi alla sua vita e poggiando il capo al suo seno.
- Chouchou, ti ricordo che ho un'emicrania tremenda e credo di aver dormito meno di due ore -, Elena le baciò gentilmente la fronte.
- E la cimice? -
- La chiudiamo in bagno e ci pensiamo domani mattina, va bene? Ora mettiamoci a letto -
Mano nella mano, ritornarono nella loro stanza e si infilarono per l'ennesima volta sotto il piumone. Nel momento in cui poggiò la testa sul cuscino, il mal di testa tornò a pulsare insistente e indesiderato; strinse i denti, abbracciandosi alla sua compagna.
- Spero che tu riesca a dormire, amore -
Elena sospirò, chiudendo gli occhi e lasciando che le dolci carezza di Veronica la accompagnassero nella dimensione onirica.

Quando un suono familiare la ridestò, senz'altro non era ancora giorno perchè dalle tapparelle non filtrava un filo di luce. Grugnì, esasperata, ancora stordita dal mal di testa. Non aveva la forza di aprire gli occhi, ma il cellulare della compagna stava squillando.
Si impose di restare sotto le coperte, al caldo, ancora stretta fra le braccia di Veronica, non voleva abbandonare quel giaciglio confortevole per il freddo del pavimento e una telefonata.
Ma il cellulare non demordeva. Finalmente, dopo quasi un minuto, tacque. Elena sorrise compiaciuta, risistemandosi contro al seno di Veronica, che, beata, continuava a dormire profondamente, il petto che si alzava e abbassava regolarmente.
Non passarono nemmeno dieci secondi che la suoneria si riattivò.
Elena, con uno scatto nervoso, allontanò le coperte, facendo sussultare la compagna, che però rimase bellamente addormentata, limitandosi a rigirarsi su un fianco. Si alzò in piedi, la vista appannata e la schiena affaticata. Brancolò alla cieca nell'oscurità, seguendo il suono, finchè recuperò il maledetto cellulare in fondo alla borsa di Veronica. Era Bianca.
- Mm - borbottò rispondendo alla chiamata.
- Vero, scusa, non volevo svegliarti, però è urgentissimo! Io... lui... Mi ha piantata in asso! - singhiozzò la ragazza.
- Ehi, ehi! Frena. Chi, chi ti ha piantata in asso? Cosa è successo? - domandò Elena, lasciandosi cadere sulla poltrona cerulea e allungando nuovamente i piedi sul tavolino. Si era premurata di chiudere la porta della camera da letto per non disturbare il sonno della compagna.
- Ele? -
- Sì, sono io. Veronica dorme -
- Oddio, mi... mi dispiace tanto... però... -
- Tranquilla, ormai sono sveglia. Cosa è successo? -, se non fosse stata una sua cara amica, Elena l'avrebbe mandata volentieri al diavolo.
- Enrico... era venuto a passare la notte da me... abbiamo... beh, insomma, siamo stati assieme e... - un forte singhiozzo la interruppe alcuni istanti - Mi ero svegliata per la sete... e lui non c'era più! Sono... sono andata in cucina e ho trovato... Quello stronzo mi ha lasciato un biglietto... sul tavolo! Te lo leggo... perchè, davvero, è... è esilarante! -, il tono di Bianca tendeva all'isteria.
- Leggimi - la tranquillizzò Elena, pentendosi di aver risposto al telefono. Non che i problemi dell'amica non la sfiorassero, ma quell'emicrania non le dava tregua.
- Ho sbagliato e me ne dispiaccio. Peccato che me ne sia accorto troppo tardi. Non ti dimenticherò, Enrico -
- Che razza di imbecille! - ringhiò Elena. Nonostante la fatica nella comprensione, le sue sinapsi lavoravano ancora.
- E' comodo così: è venuto da me, gli ho preparato una bella cenetta, poi gli è andato bene finchè abbiamo scopato. Dopo basta, si era sbagliato. Stronzo, pezzo di... -
- Bi, piccola, ascoltami, è un idiota, ma tu ora hai bisogno di riposare: sei triste, chissà quanto hai pianto prima di telefonare. Domani mattina devi essere in forma per il matrimonio, quindi non farti abbattere così! Poi, più tardi, prometto che Vero, io e magari anche gli altri andiamo a cercarlo e gli facciamo il culo a strisce, okay? - tentò di sdrammatizzare Elena, riuscendo a farla ridere.
- Grazie tesoro. Non so come, ma con le tue cazzate riesci... riesci a farmi stare meglio. Però mi sento comunque una totale cretina: come ho fatto a cascarci così? Quello voleva solo del sesso, invece a me piaceva sul serio... Bastardo... -
- Bi, soffoca gli istinti omicidi: ti ho promesso che domani ci pensiamo noi, no? -
- Sì... -
- Potrai dargli una lezione, tranquilla. Nessuno tratta così le mie amiche, non glielo permetto, specialmente nei tuoi confronti -, le disse Elena dolcemente.
- Ti amo quando sei così tenera, lo sai? - pigolò Bianca.
- Sono lusingata, ma non farti sentire da Veronica! - rise Elena, che era arrossita. Improvvisamente, udì una voce dalla camera da letto: Veronica stava parlando, probabilmente nel sonno.
- Tranquilla, è un amore platonico! - scherzò l'altra, che aveva ritrovato in parte il buonumore.
- Se lo dici tu, mi fido! Ora, però, devo tornare dal mio amore di là che la sento parlare nel sonno... non vorrei che... insomma, qualche altro incubo... -, Elena si era subito alzata in piedi, proeccupata.
- Certo, scusami, vai! Grazie mille! -
- Di nulla, piccola, a domani! -
Staccò il telefono, poi lo spenso definitivamente. Tutto d'un colpo le era sparito il sonno: tutta quella stanchezza che aveva accumulato era svanita e si sentiva più energica che mai, eccezion fatta per quel mal di testa.
Entrò in punta di piedi nella loro stanza. Constatò che Veronica era in uno stato di dormiveglia confusionale.
- Ele... dove sei? Non... sì, laggiù. Ele? - borbottava parole senza apparente senso logico.
- Chouchou, sono qui - mormorò, cercandola nel buio e incontrando finalmente la sua mano protesa.
- Sì, vieni qui, amore. Mi stringi? - borbottò Veronica, attirandola a sè.
- Certo... vieni - Elena la accolse fra le sue braccia e quella ritornò al suo sonno tranquillo ed evidentemente privo di incubi.
Restava il fatto che Elena non soffrisse più di restare nel letto. D'altro canto, se si fosse alzata era probabile che Veronica tornasse a chiamarla per timore di dormire sola.
Rimase in attesa per circa quindici minuti, poi decise che valeva la pena fare un tentativo. Con molta lentezza, sciolse l'abbraccio e uscì dalle coperte. Altrettanto silenziosamente lasciò la stanza per dirigersi in salotto.
Era nervosa, tremendamente irritata. Mise a scaldare un pentolino d'acqua e preparò una tisana. In compagnia della tazza bollente, recuperò una vecchia radio che si era ripromessa di riparare e poi le era mancato il tempo. Era un vecchio ricordo di nonna Lia, per lei aveva una forte carica affettiva.
- A noi due, ferraglia - borbottò, tisana in una mano e cacciavite nell'altra. Poi si avventò sulla radio. Il quadrante dell'orologio a muro appeso in cucina segnava le cinque e un quarto circa.
Assorta nel suo lavoro, dimentica dell'emicrania che finalmente l'aveva abbandonata, ogni sua forza incentrata nella riparazione, Elena si sentiva finalmente rilassata e appagata. Niente più telefoni, mal di testa, condomini insopportabili e altre rogne di vario genere.
Bevve due tazze di tisana al tiglio in mezz'ora, il tempo necessario a terminare la riparazione.
Soddisfatta, risistemando le ultime viti, un sorriso si disegnò sulle sue labbra.
Lavò la tazza e la rimise nella credenza, riportò al suo posto anche la radio, che in serata avrebbero avuto modo di ascoltare, e poi il sonno tornò a bussarle dietro le palpebre. Gongolando si diresse nuovamente verso la camera da letto.
Quando si infilò sotto le coperte erano quasi le sei del mattino e Veronica emise un borbottio infastidito.
- Elena... non... no. Eh... amore, pensa, l'ho trovato! -
Elena ridacchiò fra sè e sè, poi la strinse e le baciò entrambe le guance. L'altra parve calmarsi.
- Notte, tesoro - sussurrò carezzandole i capelli. Poi, finalmente si addormentò serena.

- Amore, sveglia o facciamo tardi! - Veronica scosse Elena con forza. Quella reagì con un ringhio di protesta, infilando la testa sotto al cuscino.
- Elena, alzati, mi devi aiutare con la preparazione! -
- Perchè? - si lamentò Elena, gemendo.
- Perchè sono già le sei e mezza e alle nove inizia la funzione! -
- Le sei e mezza?! E perchè dovremmo alzarci a quest'ora?! -
- Devi sempre fare la difficile! Dai, pigrona... - Veronica si chinò su di lei, costringendola a riemergere da sotto il cuscino e stampandole un lungo bacio sulle labbra.
- Vai via... - protestò debolmente, voltandosi dall'altra parte. Veronica, senza scomporsi, si infilò assieme a lei sotto le coperte, stringendola e baciandole la nuca e la porzione di spalle lasciata scoperta dal pigiama, mentre con le mani la carezzava dolcemente.
Elena mugolò, sconfitta, arrendendosi all'altra.
- Dai, alzati, mi devi aiutare -
- Arrivo, arrivo... ma sappi che me la pagherai - grugnì Elena, strofinandosi gli occhi.

Quando Elena scoprì che era stata svegliata un'ora e mezza prima del necessario perchè doveva aiutare la sua dolce metà a farsi i boccoli andò su tutte le furie e ruppe un boccetto di profumo nella foga della perorazione. Ciò le costò un colpo di spazzola assestato con notevole forza su un braccio, dato il costo elevato del prezioso contenuto del contenitore di vetro che aveva mandato in frantumi.
La fragranza impregnò il bagno per giorni.
Per tutta la durata del matrimonio, Elena tenne il broncio a Veronica, che invece non era per nulla preoccupata: si sarebbe fatta perdonare in serata.

***

La posta di Mizar:

Nessie: anche questo è un capitolo "leggero", insomma, non succede nulla di epico, è solo il racconto senza pretese di una notte infernale che Elena non vorrebbe sperimentare mai più! I tuoi commenti sono sempre apprezzati e i tuoi complimenti mi fanno sempre arrossire, ricordalo! Baci!!
Guizza: ormai avrai senz'altro capito anche tu queste due sono la mia coppia preferita! Se c'è una cosa che mi piace delle mie storie sono i personaggi e loro senz'altro sono le migliori! Dato che non avevano mai avuto una storia tutta loro, non avevo mai approfondito troppo la loro psicologia, piuttosto mi è "sfuggita di mano". Le altre protagoniste, invece, sono molto più "scorrette", nel senso che sono tremendamente umane (e immature). Non mi piacciono i personaggi perfetti, insomma, ognuno ha i suoi difetti e i suoi limiti. Almeno, io la penso così. Grazie mille per i complimenti!
morbidina: già, povera Bianca! Capitano sempre tutte a lei: in amore è decisamente sfortunata, una scalogna cronica! Anch'io sono intrattabile se vengo svegliata di soprassalto (specialmente se non c'è un motivo), ma anche quando ho sonno: divento davvero odiosa e acida! Spero che questo capitolo ti abbia divertita abbastanza!
reby94: eccomi, ci sono, ho aggiornato tutto, ora sei tranquilla? ;) Ad ogni modo, tranquilla, io mi dimentico persino di aggiornare, fai tu! Diciamo che non ci sarà un vero e proprio seguito del quinto capitolo, però i personaggi ritorneranno (anche se non tutti), quindi non scordarteli!
pazzafuriosa92: io mi ispiro praticamente per tutto alal realtà, casomai non te ne fossi resa conto! Sì, il quinto capitolo è molto meno teso dei precedenti. Anche questo non è nulla di che, proprio senza pretese. Però un capitolo assurdo qua e là ci deve essere! Dimmi se ti ha fatto sorridere almeno una volta :)
Kabubi: tu, sì, proprio tu, puzzi. Ad ogni modo, tu sei volgare e basta, altro che random (lol). Ma siamo seri, davvero. Lupo sì, è un personaggio simpatico e tornerà, tranquilla! Fine spoiler. Ormai sai che pure sono bianca: gli ultimi residui di abbronzatura stanno svanendo e torno del mio verde naturale. Chouchou non vuol dire nulla di preciso, è solo un vezzeggiativo, una cosa tipo honey, o tesorino. Smielosaggini, insomma.
piccola peste: immagino la tua reazione per quanto riguarda Bianca, poveretta! Se ti sei divertita con l'altro, spero che questo non ti deluda: è una situazione ai limiti dell'assurdo, però non potevo rinunciare a scrivere un capitolo del genere! E poi io adoro la signora Altaro, sarà spunto per future vicende!
caso: tranquilla, che Mattia fosse gay non se n'era mai parlato, forse si poteva intuire, ma erano indizi piuttosto deboli. E' stata una mia scelta, di mostrare la cosa solo molto più avanti, anche perchè è coerente con la storia: se nessuno lo sa, tranne i fratelli, il cugino, Elena, Simone e Mari non potevo certo permettere che si vedesse lontano miglia. Già, Elena e Veronica sono meno psicotiche: sarà che sono più grandi, ma è dovuto anche al fatto che la loro psicologia (non essendo mai state protagoniste di nulla) mi è sfuggita di mano e si creata un po' da sola, mentre quella di Mari e Fede è stata pianificata a tavolino (essendo molto più in evidenza sono anche state rese più "negative" come personaggi, non mi piacciono i protagonisti senza macchia ed edulcorati).
Apia: sei sempre dell'idea di sposarti Veronica? La battuta sulle bionde l'ho messa per par condicio: sono la prima a detestarle e a prendermela a morte quando le rivolgono a me, però in quel momento era coerente (e divertente!), serviva ad evidenziare la stupidità di Lupo. Comunque non scordarti i loro nomi, ritorneranno nel seguito di Fior di pesco, e forse anche prima...

Un grazie generale a tutti i miei lettori!
A presto,
Mizar



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Capitolo 7
*** Bonjour, Paris! ***


Chiedo perdono per la lunga assenza da Invincibile creatura, ma oltre a tutto ciò che è successo in questi mesi, ero molto impegnata a terminare Fior di pesco.Cercherò dunque di farmi perdonare con questo settimo capitolo che vede in particolare coinvolta una delle due eroine in un'avventura decisamente poco piacevole!
Buona lettura!

Genere: comico, romantico
Avvertimenti: femslash (che novità!)
Rating: giallo
*
CAPITOLO VII



BONJOUR, PARIS!

 
 
- Sei sicura di potercela fare senza di me? - sorrise Veronica usando un tono consapevolmente malizioso.
- No - piagnucolò Elena, nascondendo il volto contro il seno della compagna e gemendo, stringendosi a lei. Veronica esplose in una risata cristallina. Non capitava tutti i giorni di poter vedere quella dispotica e composta ragazzaccia lamentarsi e pigolare in quel modo indecente.
- Sarà solo per cinque giorni - tentò di tranquillizzarla Veronica, carezzandole i capelli con gesti affettuosi.
- Non è quello che mi preoccupa, lo sai - mormorò Elena, gli occhi serrati con così tanta forza che le facevano quasi male. Ma non si sarebbe spostata da quella piacevole posizione per nulla al mondo: il seno di Veronica era il suo rifugio preferito, assieme al suo ventre, contro cui amava accoccolarsi quando stava male. Momenti dolci e segreti che condivideva solo con lei. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che Elena stesse davvero male: emanava un'aura di sicurezza e stabilità molto intensa e affascinante, troppo per riuscire ad immaginarla rintanata sotto le sottane della compagna.
- Patata, ce la farai - insistette Veronica, grattandole piacevolmente la schiena con le unghie. Elena produsse una via di mezzo fra un miagolio e un gemito disperato.
- Anzitutto, - Elena alzò lo sguardo smeraldino verso quello color cielo della compagna - non chiamarmi patata. Solo io posso chiamarti così, chiaro? In secondo luogo... non ce la farò mai! -, tornò ad affondare il volto in quell'angolo di paradiso privato. Veronica scoppiò nuovamente a ridere, senza smettere di grattarle delicatamente la schiena, la morbida maglietta bianca che si alzava e abbassava lentamente, provocando alla diretta interessata piacevoli brividi.
- Ci sarà Michele a farti compagnia - tentò nuovamente di proporre un'ancora di salvezza.
- Lui non ha un seno morbido come il tuo - piagnucolò ancora, questa volta con tono più impostato e meno spontaneo. Veronica sapeva che stava per fare qualcosa, conosceva quel tono. Chiuse gli occhi e poggiò il capo alla parete alle sue spalle.
Elena posò un bacio sul suo petto, scostando con il mento lo scollo della maglietta colorata, mentre la sua mano destra abbandonava il fianco di Veronica per andarsi a posare sul suo seno.
- Patata, posso? - le domandò ironicamente, lasciandole una scia di umidi baci sul collo.
- No - replicò lei, afferrando saldamente la compagna e costringendola sotto di sé, spiazzandola. Elena la osservò prima sorpresa, poi compiaciuta, sistemandosi meglio il cuscino sotto la nuca.
- Mi piaci quando vuoi stare sopra - mormorò Elena, chiudendo gli occhi con un sospiro causato dall'improvvisa intrusione delle mani di Veronica sotto la sua maglia.
- Perché? - domandò Veronica, sistemandosi fra le sue gambe e coricandosi su di lei, arrivando a lambire con le labbra la morbida cartilagine del lobo, privo di buco per l'orecchino.
- Così almeno non devo sempre faticare io - sogghignò Elena meritandosi un colpo contro il fianco, che la fece sussultare.
- Questa me la paghi... -
Veronica scivolò verso il suo seno, insinuando nuovamente le mani sotto la stoffa per afferrare quella morbida e delicata pelle, mentre con la lingua giocava sorniona nel suo ombelico, divertendosi ad esplorarlo. Elena gemette, un gemito del tutto differente dai precedenti. Allungò una mano fino a sfiorare i capelli dorati della compagna.
- Aspetta - sussurrò Veronica, tirandosi su di scatto e lasciandola con una mano a mezz'aria e un doloroso senso di frustrazione fra le gambe.
- Cosa? -
Veronica non rispose, ma iniziò a frugarsi freneticamente nelle tasche dei pantaloni, finché non ne estrasse entusiasta un elastico nero, con cui si raccolse i lunghi capelli.
- Scusami, patata, mi sistemavo... -
Elena la strinse repentinamente a sé, catturando le sue labbra sottili. Erano calde e morbide, come al solito. Il loro nasi talvolta si scontravano, tal'altra si sfioravano delicatamente, per poi tornare a cozzare, seguendo il ritmo delle lingue all'interno delle loro bocche.
L'intenso bacio le impegnò per alcuni minuti, finché Veronica si divincolò con grazia e una luce maliziosa negli occhi che fece rabbrividire Elena.
Ridiscese verso il ventre della compagna, mordendo e suggendo le porzioni di pelle che più preferiva, per poi indugiare con consapevolezza appena sopra il bottone dei jeans. Elena inarcò la schiena, portandosi una mano al volto, attendendo pazientemente che la vivace lingua di Veronica spingesse oltre la sua curiosità.
La bionda, dal suo canto, si prendeva tutto il tempo necessario: non amava le cose fatte in quattro e quattr'otto, certo che no. Lei era una persona che indugiava, che prolungava il piacere fino al limite della sopportazione, una che desiderava scoprire l'amore un passo alla volta. Anche Elena le era abbastanza simile, nonostante in alcune occasioni (ad esempio nella doccia, che, per chissà quale oscuro motivo, risvegliava i suoi istinti più animaleschi) in cui non riusciva a controllarsi e l'unico suo pensiero era il piacere immediato, suo e della compagna.
Veronica scelse una posizione comoda, poi afferrò una delle gambe di Elena, che gliela posò delicatamente sulla spalla, timorosa di farle male.
- Non sono di porcellana - ridacchiò Veronica, accortasi della premura dell'altra.
- Stai zitta, ti prego - gemette ridendo, coprendosi gli occhi con le mani, ormai in visibilio, la mente completamente annebbiata dal dolore che le provocava il desiderio.
Veronica le carezzò la parte esterna della coscia che teneva su una spalla, posando delicati baci nella parte interna, baci che lentamente si avvicinavano al centro del piacere della compagna, mentre con l'altra mano le carezzava il ventre, tracciando ampie figure circolari.
Quando il suo naso sfiorò la patta dei jeans, le sue dita si chiusero contemporaneamente attorno al bottone, liberandolo della sua sede, per la gioia di Elena.
Abbassò la zip con esasperante lentezza, scoprendo un paio di semplici slip rosso scuro.
- Fa molto chi non tromba a Capodanno, non tromba tutto l'anno - rise Veronica, saggiandone la stoffa con la punta dei polpastrelli. Elena non la stava nemmeno più a sentire, farneticando fra sé insulti misti ad incoraggiamenti, tutti diretti alla sua compagna, ovviamente.
Veronica posò una mano proprio dove sapeva che l'altra ne avvertiva maggiormente la necessità, strofinando le dita lentamente, mentre con le labbra cospargeva di piccoli baci il bordo dello slip, divertendosi ad innervosirla.
Si scostò nuovamente, questa volta però per sfilarle i pantaloni, a causa dei quali l'atto risultava ostico a realizzarsi pienamente e, soprattutto, decentemente.
- Sei troppo vestita - sbuffò Elena, mettendosi a sedere e afferrando Veronica per la maglia. Lei ringhiò qualcosa di incomprensibile in protesta, ma fu bellamente ignorata dall'altra, che la liberò con un solo strattone dalla maglietta e dalla canottiera. Veronica era l'unica persona di sua conoscenza a portare la canottiera fino a maggio.
- Coricati e stai zitta, patatina - ridacchiò, baciandola sulla bocca, sistematasi a quattro zampe sopra di lei, le mani ai lati del capo dell'altra. Elena le circondò il bacino con le gambe, cosa che non faceva spesso, dunque Veronica lo interpretò come un segnale di impazienza e bisogno.
Si sistemò quindi nella posizione che aveva assunto fino a poco prima, solo che, questa volta, al posto della mano, c'erano le sue labbra. Sempre sopra la stoffa, ma era già un passo avanti.
Elena portò una mano all'altezza della compagna, per poi posarla sui suoi capelli, come aveva fatto poco prima.
- Vero... ti prego, toglili... - mugugnò, insofferente a quel sottile strato di stoffa rossa.
- Come desideri - sussurrò Veronica, le labbra a pochi millimetri dal suo intimo, che stava per essere allontanato bruscamente.
Purtroppo per loro, qualcuno bussò alla porta della stanza.
- Elena? Ci sei? -, era suo fratello Paolo, quello di mezzo. Quello arrogante e saccente.
- Che cosa vuoi? - ringhiò lei di rimando, udendo il rumore della maniglia che girava a vuoto e ringraziando mentalmente il momento in cui Veronica, guidata dal suo sesto senso, aveva deciso che sarebbe stato opportuno chiudere a chiave la porta, nonostante casa Cantalupo fosse vuota al momento del suo arrivo.
- La spesa è sul tavolo: quando avrai finito di scoparti quella, potresti anche aiutarmi a metterla a posto. Ora faccio una doccia -
Senza darle il tempo di replicare, si allontanò lungo il corridoio, fischiettando.
- Stronzo. Imbecille! Ora esco e... - ringhiò Elena, furibonda, mettendosi a sedere sul bordo del letto e pronta a rialzarsi. Un caldo abbraccio la trattenne.
- Patata, lascia che le sue parole scivolino via come l'acqua. Hanno un peso? No, sono solo sabbia nel vento - mormorò Veronica, baciandole la schiena e il collo.
- Meno male che ci sei tu, chouchou. Come farei senza la mia patata? - ridacchiò Elena sottovoce, voltandosi per poterla baciare.
- Sai, suona quasi ambigua questa frase... -
- Devi sempre dire la tua cazzata, vero? - la stuzzicò Elena, trascinandola sopra di sè. Veronica emise un suono paragonabile alle fusa dei gatti, sorridendo con dolcezza. Elena desiderava mangiarla di casti baci e, allo stesso tempo, possederla con passione. Quel viso sorridente, quel corpo candido ed esile e quella morbida voce suscitavano sempre in lei quel sentimento ambivalente, di candore e tenerezza da un lato, di prepotente erotismo dall'altro.
- Tuo fratello è nella doccia... - mormorò Veronica, scostandosi dalla fronte alcune ciocche che si erano ribellate all'elastico.
- Ti va di... - mormorò Elena a sua volta, lascando volutamente la frase in sospeso. Nulla meglio dell'aposiopesi era in grado di creare torbide immagini nella mente di due innamorati.

Avevano già sistemato la spesa, senza aspettare che Paolo terminasse di vestirsi. Meno contatti Elena aveva con lui, più era felice. Ora Veronica, seduta per una volta su una sedia, mangiava del budino avanzato preparato dalla madre di Elena il giorno precedente. Alle sue spalle, la compagna le carezzava i capelli e le parlava.
- Prometti che mi telefonerai? - le domandò sottovoce avvicinando le labbra al suo orecchio, mentre lei si limitava ad annuire, la bocca piena di budino.
- Certo! - riuscì a replicare una volta inghiottito il dolce. Rovesciò il capo all'indietro per guardare Elena negli occhi, poggiandolo contro il suo ventre. L'altra sorrise e si chinò per baciarla.
- Un bacio al contrario... - ridacchiò Veronica, prima che le sue parole venissero soffocate dalle labbra di Elena.
- Sì, amore - sussurrò Elena, facendo vibrare le parole nella bocca dell'altra, posandole le mani sulle guance.
Appena udirono i passi nel corridoio si separarono lentamente.

- Oh, hai già fatto – constatò notando che il tavolo era sgombro e le buste di plastica erano sparite.
- Sì, non ho bisogno del controllore per ritirare due cose – replicò freddamente Elena strappando il contenitore vuoto del budino dalle mani della sua ragazza e riponendolo nel lavandino. Lo riempì d’acqua dando loro le spalle: la sola vista del fratello la irritava tremendamente, ogni parola era sibilata con acidità.
- Non ne sono così certo: mamma e papà non ti hanno controllata abbastanza, mi pare evidente – sogghignò lui aprendo il frigorifero ed estraendo una bottiglia già aperta di birra. Veronica osservava rigidamente quello scambio di battute, desiderosa di cambiare aria il prima possibile.
- Mi pare che certe cose piacciano anche a te, Paolo – ringhiò aprendo con rabbia lo sportello sotto al lavandino, dietro al quale si celava il cestino dell’immondizia. Si chinò per buttare via un palla arrotolata di Scottex, sentendo le guance infiammarsi per la rabbia che le bruciava dentro: avrebbe afferrato volentieri una delle pentole riposte ad asciugare accanto al lavandino per romperla sulla testa del fratello.
- Ma io ho un pene, a differenza tua –
- Se l’avessi, non avrei Veronica – replicò lei uscendo dalla cucina trascinandosi dietro per un polso la sua imbarazzata ragazza.
Elena la spinse con poca grazia nella sua stanza, sbattendo con rabbia la porta alle sue spalle per poi chiuderla a chiave. Vi appoggiò la schiena, chiudendo gli occhi e sospirando sconfitta.
- Le’... – mormorò Veronica avvicinandosi con circospezione temendo la reazione della compagna; quella però non rispose ma si lasciò scivolare a terra, sedendosi sul pavimento e prendendosi la testa tra le mani.
- Tesoro – sussurrò dolcemente posando una mano sul suo braccio e sedendosi accanto a lei.
- Abbracciami – disse piano Elena senza aprire gli occhi. La sua compagna la strinse un po’ goffamente con un tenero sorriso dipinto sulle labbra. Le posò un umido bacio sulla guancia.
- Grazie. Grazie che ci sei, grazie – mormorò Elena abbracciandola a sua volta, gli occhi pieni di lacrime represse.
- Ti amo tanto, lo sai, io ci sono sempre – la tranquillizzò Veronica carezzandole i capelli, il capo della compagna posato sul suo seno.
- Mi dispiace per il teatrino di poco fa – si scusò la ragazza sfregandosi gli occhi con il dorso della mano.
- Oh, stai tranquilla. Comunque hai ragione: se tu fossi un uomo non mi avresti, perché io sono follemente innamorata delle tue belle tette – scherzò Veronica sedendosi sulle sue gambe e posandole le mani sul seno. Elena rise incapace di darle una risposta sensata.
- Oh sì, mi piacciono proprio – continuò Veronica palpandola appena e assumendo un’espressione da intenditrice. Elena rise ancora di più per poi afferrarle le braccia e tirarla verso di sé, baciandola.
- Di quali tette parli? Di quella misera seconda? Le tue sono decisamente meglio – rivelò Elena sottovoce restituendo la palpatina alla compagna, facendola squittire.
- Ah, ovviamente mi piace anche tanto farti certe cose... – miagolò Veronica sistemandosi comodamente sul bacino della compagna che sollevò un sopracciglio.
- Mi piace quando lasci intendere le cose sconce –
Subito dopo l’afferrò e coricò sul tappeto, sbottonandole i pantaloni senza tante cerimonie, la bocca che le percorreva vogliosa il collo tiepido: ogni occasione era sempre perfetta, anche se l’aveva fatto appena venti minuti prima.
 
*
 
Erano le quattro del mattino e la città dormiva; qualcuno però si era appena svegliato.
- Sveglia maledetta – bofonchiò Elena interrompendo il fastidioso trillo che l’aveva svegliata provocandole una tachicardia.
- Amore... patata... – sussurrò Elena scuotendo con dolcezza la creatura coricata nel suo letto, nuda sotto il piumone. Tracciò sulla sua spalla una scia di umidi baci, carezzandole la schiena disegnando ampi cerchi sulla sua pelle calda.
- More... sì, là nel vaso... yogurt, Fede – biascicò Veronica prima di aprire gli occhi e rendersi conto di essere sveglia. Sbadigliò sonoramente mentre la sua ragazza le strofinava dolcemente il naso fra i lunghi capelli biondi. 
- Le valigie sono già pronte, dobbiamo solo vestirci – le ricordò quando si mise di scatto a sedere scoprendo il candido seno. Elena restò ad osservarla nella penombra, completamente catturata dalla sua bellezza.
- Fatti dare un bacio – la bloccò, prima che la bionda potesse sgattaiolare fuori dal letto. Veronica automaticamente si voltò per ricevere un bacio sulle labbra, ma Elena si chinò sul petto chiudendo la bocca sul suo seno. Trasalì piacevolmente sorpresa portandole le mani fra i capelli e chiudendo gli occhi.
- Dai, è ora di andare, io ho un appuntamento e tu dovresti dormire – le ricordò Elena staccando le labbra con un umido schiocco, per poi posargliele sulla bocca. La fece alzare in piede tenendola per mano.
Si vestirono nella penombra, Elena si era già preparata i vestiti la sera precedente, di modo da dover solamente lavarsi i denti e mettersi in macchina. Alle quattro e mezza, il pullman che avrebbe portato lei e la sua classe all’aeroporto, dove avrebbero preso un aereo per Parigi, sarebbe partito alle quattro e mezza, segnando l’inizio della loro ultima gita di classe.
Veronica aveva trascorso la notte a casa di Elena per farle compagnia prima della partenza e si era gentilmente offerta di portarla in macchina fino al piazzale dove si erano dati appuntamento, dopodiché sarebbe tornata a casa per completare le sue ore di sonno notturne.
Elena si stava sciacquando la faccia indossando solo un paio di mutande quando sua madre entrò in bagno.
- Ciao ma’, non vi avevo ancora svegliati perché sto finendo di prepararmi – spiegò alla donna assonnata.
- Mi sono svegliata da sola per il rumore dello sciacquone, tranquilla – rispose sua madre osservandola mentre si asciugava il volto.
- Allora ti porta Veronica? Sicura? – le domandò per l’ennesima volta.
- Sì, mamma, ha la macchina e così poi se ne torna a casa sua perché lei domani ha scuola – ripeté Elena afferrando una spazzola e fingendo di pettinarsi i disordinati capelli castani, per poi arruffarli subito dopo con le mani.
- Mi raccomando ringraziala –
- Certo, l’ho già fatto almeno mille volte – la rassicurò la figlia afferrando il deodorante al tè verde e spruzzandolo sotto le ascelle.
- Oh... scusate – mormorò Veronica che era appena entrata in bagno: non si era accorta della presenza della signora Cantalupo.
- Entra, tranquilla – la esortò Elena facendole segno con la mano di avvicinarsi. Veronica si era già vestita, infilandosi un paio di jeans lunghi e una morbida maglietta verde brillante, sopra di essa un golfino grigio aperto le copriva le braccia.
- Mi devo solo sciacquare la faccia – mormorò avvicinandosi al lavandino, evitando di guardare la sua compagna, che non indossava nulla tranne le mutande.
- Grazie per il passaggio, Veronica. Ele, buona gita, mi raccomando, chiama! – la ammonì la madre dandole un bacio sulla guancia.
- Di nulla – sussurrò Veronica, gli occhi chiusi per l’acqua che si stava spruzzando sul volto.
- Sì, mamma, tranquilla. Ti chiamo quando saremo in aeroporto – al solo pensiero Elena rabbrividì ma si astenne dal farlo notare a qualcuno, era troppo orgogliosa.
- Buon viaggio – le augurò ancora la signora Cantalupo baciandola su una guancia, prima di ritirarsi nella sua camera da letto e chiudere la porta.
- Vestiti – sibilò Veronica ad Elena quando fu sicura che la madre fosse tornata nel proprio letto. Elena le si avvicinò con aria maliziosa, abbracciandola da dietro, le braccia attorno alla vita della compagna.
- Okay, vado subito –
Saltellò in punta di piedi nella sua stanza per poi infilarsi i calzini corti rosso scuro, jeans sbiaditi lunghi e morbidi, cintura, maglietta grigia ed una semplice felpa blu.
- Sei sempre così femminile – la prese in giro Veronica aggrappandosi alle sue spalle e costringendola a chinarsi per avere un suo bacio.
- Se speri di vedermi un giorno indossare un corto e aderente vestitino nero con tacco otto ai piedi, sbagli di grosso. Io porto pantaloni – ridacchiò sciogliendole i capelli e infilandosi al polso il suo elastico nero.
- Ah, certo! –
- Sì, me lo tengo io come portafortuna – piagnucolò Elena proteggendosi il polso destra con la mano sinistra, nascondendolo allo sguardo di Veronica, che si rassegnò a sistemare con le dita le spettinate ciocche bionde.
- Hai un’aria molto selvaggio con tutta questa criniera – la prese in giro Elena afferrando con due dita un ciuffo dei suoi capelli appena ondulati.
- Smettila e prendi la tua valigia, non scordarti la fetta di crostata – le ricordò Veronica con tono molto materno. Elena eseguì gli ordini con un sorriso ebete stampato in faccia che si tramutò in una smorfia di muto orrore quando si rese conto che stava davvero per partire, per prendere un aereo. Lo stomaco le si contrasse costringendola a portarsi una mano al ventre.
- Tutto bene? – domandò immediatamente Veronica affiancandola e appoggiando le labbra alla sua spalla.
- Sì, sono solo nervosa... –
Caricata la valigia in macchina, Veronica mise in moto e in meno di dieci minuti erano al piazzale. C’erano già una ventina di ragazzi, fra i quali Elena riconobbe alcuni suoi amici e compagni di classe. Veronica posteggiò l’auto, poi accompagnò Elena verso il piccolo gruppo.
- Buongiorno! – proruppe allegramente rabbrividendo per il freddo improvviso.
- Salve anche a te! E a te – aggiunse Michele, il migliore amico di Elena, che pareva aver visto Veronica solo dopo un attimo.
- Ehilà – mormorò lei incrociando le braccia e strizzando gli occhi assonnati.
- Come mai sei qui? – le domandò Giuseppe, il ragazzo con il grosso paio di occhiali spesso che lo rendevano simile ad un gufo.
- Ho accompagnato Elena in macchina, appena ve ne andate torno a casa a dormire – spiegò la ragazza mentre la sua compagna le passava un braccio attorno alle spalle in segno di riconoscenza.
- È la mia donna – sospirò Elena baciandole i capelli.
- La mia donna è a casa che dorme – borbottò Michele controllando il display del telefono.
- Almeno Nadia è una persona intelligente, non come me che sono qua a patire il freddo e il sonno – scherzò Veronica poggiando il capo sulla spalla della compagna.
Loredana sbuffò, scostandosi dal volto i ricci scuri, per poi annunciare loro che lei e il suo ragazzo, Luca, si erano lasciati esattamente cinque ore prima.
- Mi dispiace, Lori... – dissero in coro i ragazzi.
- Non farti rovinare l’ultima gita da quello lì, okay? – la intimidì Giuseppe puntandole contro un dito.
- Oh no, tranquilli, ho intenzione di dare tutta me stessa – proclamò la riccia sollevando il pugno sinistro al cielo.
- Sante parole – biascicò Veronica intontita dal sonno.
- Ce la fai a tornare a casa intera? – le domandò preoccupata Elena carezzandole una guancia.
- Sì, dammi altri cinque minuti al freddo e mi sveglio del tutto – ridacchiò la sua compagna.
- In effetti fa più freddo del previsto – borbottò Michele stringendosi nella sua giacchetta.
- Ecco Giancarlo! – esclamò Loredana indicando una figura curva che trascinava una valigia scura.
- Freddo... sonno... freddo... valigia... – borbottò il ragazzo avvicinandosi a loro.
- Ti senti bene? –
- Freddo... sonno... freddo... –
- Come darti torto? – sospirò Elena.
Chiacchierarono allegramente per cinque minuti, durante i quali Veronica si riprese e i suoi acquistarono una nuova lucidità, abbandonando la patina appannata di chi è ancora per metà nell’onirica dimora notturna.
- E’ ora di andare – le fece notare Veronica indicando la massa di ragazzi che si era lanciata contro le porte dei pullman con la stessa foga e lo stesso sguardo micidiale di un’orda di Lanzichenecchi durante il sacco di Roma.
- Non voglio – piagnucolò Elena abbracciandola e affondando il volto nell’incavo del suo collo, il naso premuto contro la pelle tiepida caratterizzata dall’intenso profumo che Elena conosceva molto bene.
- Sei adulta e vaccinata, smettila di frignare – la redarguì la bionda rovesciando il capo all’indietro per poter guardare negli occhi la sua compagna.
- Se la smetto cosa mi dai in cambio? – sussurrò Elena chinandosi fino a poggiare le sue labbra sull’orecchio dell’altra.
- Ne riparliamo quando torni, ora vai che c’è Michele che ti sta facendo dei gesti osceni – la informò Veronica. L’altra si voltò in tempo per cogliere Michele in flagrante dietro al finestrino del pullman. Per farsi perdonare le spiegò a gesti che le aveva tenuto il posto accanto a sé.
- Ci sentiamo, chouchou – mormorò Elena dandole un ultimo bacio prima di salire sul pullman.
- Divertiti! – le augurò mentre si allontanava. Attese che la sua compagna si facesse largo fino al posto riservatole, dal quale si appiccicò al finestrino per mandarle un bacio. Soddisfatta, Veronica tornò alla macchina stropicciandosi gli occhi stanchi.
- Era proprio ora che questa gita arrivasse, tutto lo stress scolastico mi stava abbattendo peggio di un rullo compressore sulla schiena – sospirò Michele sprofondando nel sedile.
- Già... – borbottò Elena osservando la schiena della sua ragazza sparire nel parcheggio.
- Forza, innamorata, ti vogliamo con il morale alle stelle! – esclamò Loredana voltandosi: era seduta di fronte a loro accanto ad Angela.
Nella sezione di Elena c’erano solamente sette ragazze, lei inclusa: Angela e Loredana erano migliori amiche fra loro, due persone affabili e semplici con le quali si trovava bene e talvolta ci usciva anche assieme; le altre quattro erano un po’ il cosiddetto Lato Oscuro della classe, sciocche ragazzotte dal temperamento aggressivo e polemico fra le quali spiccava come una punta di diamante la famigerata Sabrina. Dal canto suo, Elena preferiva starsene con Michele.
Erano diventati amici quel lontano settembre di quattro anni prima, giunti contemporaneamente e per primi nella nuova classe che avrebbe ospitato il loro transitorio viaggio attraverso l’agognata scuola superiore. Si erano scrutati con circospezione come due pistoleri in un vecchio western, poi lei si era fatta avanti piena di diplomazia da quattordicenne e gli aveva sporto la mano presentandosi.
- Conosci qualcuno? – le aveva domandato lui accennando ai banchi vuoti che nel giro di qualche minuto si sarebbero riempiti di volti nuovi .
- No, nessuno, la maggior parte dei miei compagni di classe è al linguistico e quelli che sono venuti allo scientifico frequentano un altro corso – spiegò Elena, infatti si ritrovava sola e spaesata in una classe di sconosciuti.
- Nemmeno io, non abito qui ma a San Rocco e i miei compagni si sono sparpagliati anche in altre città –
- Mi sembra un ottimo motivo per diventare vicini di banco –
Così era iniziata la loro amicizia.
- Voglio tornare a dormire da Veronica – biascicò Elena, la fronte appoggiata al freddo vetro e gli occhi persi nell’oscurità della piazza.
- E io voglio una sana scopata, ma qua non c’è trippa per gatti! –
- Sempre raffinato, un gentleman – lo prese in giro Elena.
- No, sul serio, non so per quale motivo ma Nadia è da un po’ che ogni volta ha una scusa diversa: mal di testa, mestruazioni, mal di pancia, lo stress, non ne ha voglia, mal di schiena... inizio a pensare che mi voglia scaricare – sbuffò Michele osservando il soffitto del veicolo.
- Magari non è nulla, solo una serie di sfortunate coincidenze... –
- Veronica ha mai fatto così? – domandò storcendo il naso.
- Ehm, veramente... no – sospirò Elena, per poi affrettarsi ad aggiungere – Ma senz’altro non è nulla, un po’ di paranoia capita quando si è fidanzati! –
- Sì, ma Nadia ed io stiamo insieme da un anno e mezzo, non dovrebbe capitare –
- Mi dispiace molto ma oltre all’ipotesi che tu vada ad affrontarla di petto chiedendole apertamente cosa succede, non vedo vie di fuga –, Elena distolse lo sguardo dall’amico e lo puntò sul motivo geometrico del sedile che aveva di fronte.
- Hai ragione, non ho molta scelta... dopo la gita andrò da lei e le parlerò a quattr’occhi – sentenziò risoluto.
- Mi sembra la decisione più saggia –
 
Sonnecchiarono punzecchiandosi fino all’aeroporto di Malpensa, dove furono scaricati dal frettoloso autista. Una volta recuperati i bagagli, si spostarono in massa verso l’ingresso, i professori che scorrazzavano come cani pastori tirandosi dietro vecchi trolley consunti figli del loro magro stipendio. Si radunarono nell’atrio per essere divisi per classi prima che qualcuno fuggisse dal gruppo e poi vennero forzatamente messi in coda al check in.
- Perché deve fare così caldo qua dentro? – sbuffò Michele aprendosi il giubbotto e sfregandosi la fronte con una mano.
- Guarda che si sta bene. Sarai in andropausa... – ridacchiò Elena dovendosi poi sorbire i suoi grugniti di virile rivendicazione.
- La mia valigia non passerà il controllo, pesa almeno trenta chili! – si lagnò Loredana saltellando da un piede all’altro attorno alla sua valigia, come se quella danza rituale potesse sortire qualche magico effetto sul peso del suo carico.
- Non può pesare trenta chili, è matematicamente impossibile. A meno che tu non l’abbia caricata di lingotti – precisò puntiglioso Giancarlo.
- Dovresti fare il carabiniere! – disse Angela ridendo della rigidità mentale dell’amico.
Elena osservava distrattamente la donna assonnata e dalla faccia sbattuta che passava con poco garbo i biglietti ai ragazzi e ringhiando li invitava a togliersi di mezzo per far posto a chi ancora doveva imbarcare il suo bagaglio. Sospirò pensando a quando sarebbe stata rinchiusa in quella scatola volante con un centinaio di persone ad una spropositata altezza dal suolo. Sperava solo che le assegnassero un posto molto lontano dal finestrino: non voleva nemmeno vedere un batuffolo di nuvola.
- Forza ragazza, non ho tutto il giorno – ringhiò la biondina isterica dell’accettazione. Sbuffando, Elena posò la sua valigia sul nastro trasportatore: i numeri digitali si ricomposero a formare 12.4 kg, poi estrasse il portafoglio e sbatté la carta d’identità di fronte alla tizia nevrastenica, che sobbalzò osservandola in cagnesco.
Una volta ottenuto il suo biglietto si avvicinò a Michele che già era passato fra le grinfie dell’arpia. Insieme osservarono un’agitata Loredana posare la valigia sul nastro e incrociare le dita, pregando qualche divinità pagana di far sì che la sua valigia avesse un peso legale. I numeri digitali lampeggiarono un 18.5 che la fece esultare, mentre la sempre più perplessa e tesa donna le porgeva il suo biglietto con occhi allucinati.
- Sono passata, sono passata! – trillò la riccia avanzando a passo di danza verso di loro.
Attesero Angela, Giancarlo e Giuseppe, poi si precipitarono in un bar a drogarsi di caffeina per risvegliarsi del tutto. Elena, invece, beveva per dimenticare.
- Ti senti bene? – le domandò Angela intingendo un croissant caldo nel suo cappuccino. Mordendolo, il liquidò le scivolò lungo il mento, dove lo raccolse con la lingua.
- Io? Sì, certo! Perché mai? – ridacchiò Elena finendo di bere la terza tazzina di espresso.
- Non hai bevuto troppi caffè? – provò a domandarle Michele.
- Mi processerete per tre caffè?! Non è mica un crimine averne voglia –
- No, va bene, ma sei un po’ nervosa e dunque non mi sembra il caso che tu ne beva altri – la redarguì Loredana. Elena sbuffò però poi si limitò a restare seduta osservando i suoi amici terminare la loro colazione. Il pensiero di dover davvero volare la stava mandando in paranoia e la sua sadica mente si divertiva a propinarle una serie di scenari apocalittici, facendogli scorrere di fronte agli occhi come un macabro film, ma chiudere le palpebre non serviva a nulla.
Bighellonarono all’interno dell’aeroporto dove Michele acquistò un giornaletto di enigmistica in modo da potersi intrattenere con Elena durante il volo, mentre Loredana una rivista di gossip indirizzata ai preadolescenti per poter leggere con Angela le assurde domande di natura sessuale rivolte da tredicenni precoci a frustrate psicologhe.
Giancarlo e Giuseppe discutevano fra loro se fosse meglio interpretare un mezz’elfo bardo o un nano chierico e ogni tanto Loredana s’intrometteva sostenendo che la sua elfa druida evocatrice di panda avrebbe spaccato il culo a tutti loro.
Improvvisamente la tasca di Elena iniziò a vibrare con forza facendola trasalire. Era una chiamata in arrivo da parte di Veronica.
- Che stai facendo? Non dovresti essere a scuola? – la rimproverò bonariamente accettando la chiamata.
- Sì, ma sono in bagno e comunque le lezioni non sono ancora iniziate. Volevo sapere come stavi... –
- Mm, come alle quattro di sta mattina – ridacchiò Elena.
- Forza, ce la puoi fare. Sappi che noi ti pensiamo! – esclamò Veronica allegra.
- Noi, chi? – domandò laconica.
- Noi! Bianca, Andrea e Martina – spiegò a favore della compagna, che non pareva essere completamente in sé.
- Be’, siete molto gentili... –
- Ti voglio tanto bene, ma ora devo andare che è appena suonata! Ti mando un bacio e... be’, fatti sentire quando atterrerai – disse con tono dolce la sua compagna, mentre Elena sospirava attendendo quel momento con ansia.
- Buona lezione, chouchou, un bacio! –
Dopo aver chiuso la chiamata tornò dagli altri che si erano affollati attorno allo scaffale dei fumetti facendo ad alta voce commenti poco carini sulle tendenze sessuali di alcuni storici eroi e delle loro spalle.
- Te lo dico io cosa facevano nella bat-caverna! – stava sbraitando Angela.
Continuarono il loro giro di perlustrazione finché, avvicinatasi l’ora dell’imbarco, superarono gli ultimi controlli e si accasciarono sulle poltroncine nella sala d’attesa.
Poco lontano da loro stavano Sabrina e le sue tre amiche, intente a confrontarsi le tonalità dello smalto.
- I colori complementari! – squittì Morena sventolando le mani.
- Potrei vomitare – borbottò Michele estraendo le parole crociate dallo zaino, Elena gli porse una biro poi iniziarono un’epocale battaglia con un ostico cruciverba.
- 16 orizzontale: la seconda moglie di Atamante! La seconda moglie di... cosa?! – esclamò perplesso Michele scuotendo il capo affranto.
- Ino. Ci sta? –
- Sì! Come facevi a saperlo?! –
- Me l’ha detto Veronica... – si giustificò Elena sottovoce.
- Nei momenti di intimità lei ti snocciola genealogie mitologiche? – ridacchiò Michele.
- E’ troppo occupata ad emettere suoni senza senso, è già tanto se pronuncia il mio nome in maniera comprensibile – lo informò Elena con un tono che trasudava vanto da ogni parola.
- Quanta vanagloria, Cantalupo, abbassa la cresta – la ammonì Michele con un circolare gesto della mano imitando le ragazzine dei telefilm americani. Gli mancavano solo le extensions e l’ombretto glitterato.
- Sfido, trovami qualcuno alla mia altezza – lo provocò Elena sollevando un sopracciglio.
- Io – replicò lui con tono pomposo.
- Siete pietosi – li rimproverò Loredana alzando gli occhi dalla nemmeno troppo puerile rivista che stava sfogliando con Angela.
- Io sono molto meglio, comunque – intervenne non interpellato Giancarlo, il dito indice sollevato.
- Ma se la vedi con il binocolo!  - lo prese in giro Elena dato che era da più di un anno che il loro amico era single.
- Ragazzi, vi prego, sentite questa! – esclamò fra le lacrime Loredana, in preda ad un’isterica ridarella. Angela si premeva le mani sul volto arrossato, tentando di trattenere gli spasmi.
- Okay, okay... – borbottò Loredana asciugandosi le lacrime,osservata obliquamente dalle altre quattro ragazze, poi prese a declamare - Salve dottoressa, ho un dubbio da più di 3 anni: quando si hanno le mestruazioni si hanno perdite di sangue e poi anche delle perdite sempre rosse però molto dense tipo gelatina, sa dirmi cosa sono? C’è chi mi ha detto che sono pezzi di fegato, è vero? Grazie
- Non ci voglio credere – disse Michele sgranando gli occhi all’inverosimile, mentre Angela era piegata in due dal ridere.
- Stai scherzando, spero? – anche Elena pareva sconvolta e allungò una mano per farsi consegnare quel giornaletto. Loredana glielo lanciò addosso, offesa per la sua diffidenza.
Elena si immerse nella lettura, attorniata dai tre ragazzi inebetiti dal raggiungimento di questo nuovo traguardo di stupidità umana.  
- Non possono esistere persone così stupide, ti prego – borbottò Elena ridacchiando, mentre sfogliava distrattamente le pagine con le domande alla psicologa.
- Guarda che faccia ha in questa foto: sembra abbia ingoiato un limone! – rise Giuseppe puntando il suo grosso indice sulla fotografia della dottoressa.
- Ci credo, fa un lavoro di merda: rispondere a quattordicenni ninfomane, gli aborti della società! –
- Ragazzi, in piedi! Venite! – li stava chiamando il professore di un’altra sezione. Si alzarono controvoglia, interrotti sul più bello.
- Comunque noi abbiamo ancora una discussione in sospeso – sussurrò Michele posando le mani sulle spalle di Elena e stringendogliele fastidiosamente. Rinunciò a divincolarsi perché in quel momento le attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno il motivo per cui si trovavano lì in coda: era iniziato l’imbarco!
Fece un profondo respiro mentre il suo cuore iniziava a battere all’impazzata, i muscoli delle gambe tesi al massimo.
- Sei sicura di sentirti bene? – le domandò lui preoccupato sentendola irrigidirsi in quel modo.
- No, non sto bene ma ne parliamo dopo – sibilò Elena costringendolo a mollare la salda presa sulle sue spalle. Sfilò il cellulare dalla tasca e lo spense, per poi gettarlo nello zainetto nero che si portava sulla schiena. Fu imitata immediatamente da Michele che l’aveva scordato.
Una donna decisamente più cordiale dell’impiegata al check in strappò i loro biglietti augurando buon volo a tutti quanti con un gran sorriso. Doveva essersi svegliata con il piede giusto perché non era la solita smorfia di plastica, pareva sinceramente allegra.
- Non allontanarti – ringhiò Elena a Michele, che stava per superarla lungo la passerella d’imbarco.
- Scusa? –
- Per favore – addolcì il tono lei. Michele, spiazzato, rimase al suo fianco fino all’ingresso dell’aereo, dove Elena esitò a procedere.
- Benvenuti a bordo – trillava svogliatamente la hostess, stretta e tirata nel suo fasciante completo blu scuro.
- A bordo, ha detto, forza – Michele fu costretto a spingerla e fu in quel momento che realizzò – Tu, Cantalupo, tu hai paura di volare! –
- Non ridere, cazzo, non fa ridere! Mi sento malissimo, sediamoci in fretta. Soprattutto, non dirlo a nessuno – sibilò Elena cercando i loro posti.
- Qua, Ele –
Michele si sedette accanto al finestrino, Elena al centro e alla sua destra, accanto al corridoio, sedeva una signora sulla quarantina, apparentemente sola.
- Prendi fiato e rilassati - le disse Michele con fare esperto.
- Ci provo – borbottò Elena allacciandosi immediatamente la cintura con mani tremanti.  Aveva i palmi sudaticci e il cuore in gola, soffocata nell’abitacolo e stretta dalla cintura. Per sfogare la tensione, iniziò a ridere istericamente, finché Michele le intimò in modo molto minaccioso di smettere.
- Almeno abbiamo scoperto il tuo punto debole – sogghignò Michele dandole di gomito. Elena grugnì, per nulla felice della cosa. Fissava ostinatamente il sedile di fronte a sé, rifiutandosi di prestare attenzione al macabro teatrino delle hostess.
- Okay, ora spiegami di cosa hai paura –
- Di volare, delle altezze: soffro di vertigini, va bene? Non guarderò in basso se saliremo sulla Tour Eiffel, sia ben chiaro. E sia altrettanto chiaro che ucciderò chiunque mi faccia qualche scherzo! –
- Va bene, scusa, calmati. Che ne dici di fare due parole crociate per stemperare la tensione? – propose il ragazzo estraendo il giornale dallo zaino sistemato sotto al suo sedile.
- Mm, io però non staccherò gli occhi da questo delizioso sedile color sedano, sappilo – lo avvertì Elena, lo sguardo sempre fisso in avanti coerentemente con le sue parole.
- Ciao, cara – disse Sabrina con tono squillante voltandosi: era nel sedile di fronte al loro assieme a Morena e ad un ragazzo di un’altra sezione.
Elena grugnì il suo disappunto per poi incrociare i suoi occhi nocciola: non voleva senz’altro dare a quella serpe la soddisfazione di farle sapere che pativa l’aereo. Strinse i denti tentando di soffocare la nausea che il solo stare seduta lì, ferma, le provocava.
- Ehi –
- Come mai così scontrosa? Passato una notte in bianco? – sghignazzò Sabrina scuotendo la lunga chioma castana, arricciata ad arte.
- No, ho passato la notte a fare l’amore con Veronica. Soddisfatta, ora? Puoi voltarti e continuare a parlare di smalto con quella
- Quella sgualdrina figlia dei fiori può fottersi da sola per quanto mi riguarda – sibilò Sabrina che mal tollerava quest’atteggiamento di Elena, pronta a schiaffarle in faccia la cruda verità senza cedere alle sue provocazioni.
- Un’altra parola su Veronica e te ne pentirai quando scenderemo da questo aereo: mettitelo in testa, Sabrina, è finita. Chiuso. Stop. Fine. Punto e a capo. Fattene una ragione – ringhiò Elena che se fosse un cane stata avrebbe senz’altro avuto un minaccioso rivolo di bava alla bocca.
- Lo so che è finita, cosa credi? Che io sia single ad aspettare te? –
- No che non lo credo, ma devi smetterla di tormentarmi. Ci siamo lasciate, è finita: io amo Veronica, non te, non ti amavo nemmeno prima, va bene?! – le sbatté in faccia quella dura rivelazione, che colpì Sabrina come un ceffone.
- Stai dicendo che era solo... cosa? Sesso? –
- No, ti volevo bene, ma non ti amavo come amo Veronica ed ora smettila, smettila! Non ti sopporto, girati, siediti e... – non fece in tempo a finire la frase che il motore dell’aereo iniziò a rombare.
Strinse convulsamente il bracciolo finché le nocche le sbiancarono.
- Ne riparliamo dopo – sibilò Sabrina mettendosi composta nel suo sedile. Michele toccò la spalla di Elena con due dita.
- Ignorala, ignorala, ignorala... – le ripeté lentamente come un mantra, sperando che le anestetizzasse il cervello surriscaldato dal mal di testa e dalla rabbia.
- Aspetta che usciamo da qui, le metto le mani addosso: sarà la prima volta che alzo le mani su una ragazza ma giuro, com’è vero che la Terra gira intorno al Sole, che le spacco la faccia, gliela riduco ad un budino! –
Elena era furiosa: oltre all’angoscia che le attanagliava lo stomaco, serrandoglielo con bruta forza, causata dalle manovre dell’aereo, sintomo del suo prossimo alzarsi in volo, la testa le esplodeva per il nervoso e i tre caffè. Si maledisse per aver ceduto all’amore per la caffeina.
Appoggiò la testa contro il sedile e chiuse gli occhi, sperando che il mondo attorno a lei sparisse. Immediatamente il volto sorridente di Veronica le guizzò davanti agli occhi.
- Amore, rilassati e andrà tutto bene! Qua la professoressa di italiano sta interrogando Bianca: l’ha colta in flagrante, non aveva nemmeno ripassato e sta facendo una figura un po’ becera! Ricordati di chiamarmi quando atterri! –
La meravigliosa visione svanì quando l’aereo s’immobilizzò sulla pista. I secondi di immobile quieta prima della tempesta. Michele osò sfiorarle una mano e lei gliel’afferrò, stritolandogliela senza pietà.
- Oh mio Dio, Atena, Visnù, Diana, Ramos, vi prego... – borbottò Elena stringendo gli occhi. Il comandante comunicò rapidamente con la torre di controllo che, evidentemente, gli diede il nulla osta perché il motore tornò a ruggire come un leone, per poi iniziare ad accelerare.
- Stai calma, andrà tutto bene... – tentò di calmarla Michele, ma le sue parole erano senz’altro meno efficaci di quelle della dolce Veronica, nonostante fossero sottoforma di allucinazione.
- Sta per decollare, vero? – mormorò sentendolo staccarsi leggermente da terra. Il suo stomaco fece una capriola per il felice sciaguattare dei suoi succhi gastrici.
- Sì, però calmati, non capiterà nulla –
A nulla valsero i tentativi di Michele: quando l’aereo si staccò definitivamente da terra, un’ondata di nausea investì Elena che gemette impercettibilmente, chiudendo gli occhi. Le si erano tappate le orecchie che ora le facevano un male tremendo, gli organi interni schiacciati dentro di lei per la pressione, si sentiva sprofondare in quel sedile.
- Quanto odio l’aereo – ringhiò a denti stretti, la mano di Michele sempre agonizzante nella sua.
La signora accanto a lei pareva assolutamente indifferente a tutto quanto e stava sgranocchiando serenamente dei pistacchi che estraeva già sgusciati da un sacchetto trasparente.
- Durerà ancora tanto? –
- No, si sta stabilizzando, non senti? –
- No! Non voglio sentire né vedere nul... oh santi Numi! – esclamò coprendosi gli occhi: per sbaglio aveva lanciato un’occhiata fuori dal finestrino e tutto quell’azzurro sconfinato l’aveva terrorizzata.
- Ragazza, dovresti prenderla più sul ridere: immagina di essere un angelo su una biga dorata e magica che solca il cielo senza bisogno d’ali e goditi lo spettacolo fuori dal finestrino – disse la signora con i pistacchi sorridendo gentilmente.
- Mi spiace, signora, ma sono bloccata – mormorò Elena il cui stomaco ancora bruciava.
- Allora distraiti con qualcosa – propose lei, per poi immergersi nella lettura di un libro.
- Dai, continuiamo con le nostre parole crociate! – esultò Michele sollevando il giornaletto.
- La biro, dove l’hai messa? –
- Qua in giro, ora la recupero –
Elena sorrise alzando gli occhi: la paura non le era per nulla svanita ma almeno la prospettiva di farsi due risate in compagnia di Michele l’aveva messa di buon umore e lui era finalmente riuscito a mettere in salvo la sua mano destra prima che andasse in cancrena.
- 8 verticale: caduta di vocale o sillaba iniziale di una parola – lesse Michele. Elena sbirciò la serie di caselle corrispondenti al numero delle lettere, poi diede la risposta.
- Aferesi –
- Non sai quanto ti odio quando sai le risposte – grugnì lui riportando la parola.
- Be’, quella dopo non la so –
- 9 verticale: cotechino tradizionale del Friuli-Venezia Giulia – lesse Michele per poi sbuffare sonoramente: riusciva a malapena a collocarlo geografica sulla cartina politica dell’Italia, figurarsi conoscere il suo cotechino.
 
L’atterraggio era stato piuttosto brusco perché su Parigi soffiava un forte vento: Elena aveva rischiato di vomitare la colazione non ancora digerita ed era tornata a ridurre in poltiglia la mano del suo sventurato amico. La discesa rapida e turbolenta, ancora prima, l’aveva fatta raggelare nel suo sedile, contratta e immobile come una statua di marmo d’età classica: nella sua prigione di austero ed imperturbabile marmo erano intrappolate tutte le passione dell’animo umano. In questo caso il terrore e la nausea.
Quando il pilota aveva annunciato di allacciarsi le cinture a causa delle intemperie atmosferiche, Elena aveva temuto di svenire e Michele era stato costretto a rifilarle un ceffone che senz’altro lei gli avrebbe restituito una volta scesi dalla trappola volante.
I vuoti d’aria erano stati terribilmente angoscianti, la sensazioni di precipitare nel vuoto, di sprofondare in quel baratro di cielo e schiantarsi sulla fredda terra sotto di loro. No, cercava di non pensarci ma le riusciva difficile con tutta quella gente che strillava per ogni sobbalzo.
Alla fine, però, esultante era riuscita a scendere dall’aereo e non appena ebbe messo piede a terra, terminata la scaletta metallica, inspirando a fondo l’aria fresca di Parigi, vomitò finalmente quella maledetta colazione accanto alle scarpe di una Morena in preda al panico.
- Bonjour, Paris, siamo arrivati! – esultò Michele dando una pacca sulla spalla di Elena.
 

 

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Capitolo 8
*** L'angelo guerriero ***


Eccomi di ritorno con un nuovo aggiornamento dopo un’estate di silenzio!
Dopo la maturità, tutto sembrava molto più rilassante e appagante: sono stata in Liguria, come ogni anno da diciannove anni a questa parte, per poi concedermi cinque giorni in Sardegna con alcuni amici, sfruttando l’occasione per incontrare nuovamente quella grandissima lagna di Kabubi, che già era stata mia ospite ad inizio agosto, e la sua dolce metà Riotwithdance. Assieme a loro e ai miei quattro scalcinati amici abbiamo celebrato una serata-tacos indimenticabile!
Vi farà piacere sapere che sono ufficialmente una matricola del Politecnico di Torino (con tanto di tesserino e libretto, ora me la tiro) e in questi giorni sono davvero molto impegnata con le pulizie nell’appartamento di mia nonna, dove mi , abbandonando l’amato campagna, tra una settimana assieme ad un mio carissimo amico, compagno di mille sventure, nonché mio finocchio preferito. Sarà una casa molto queer! (Una nostra amica ha già annunciato che ci regalerà un tappetino arcobaleno con su scritto “Born this way”. Sia ben chiaro che nulla del genere entrerà mai in casa mia! Però, forse, le presine arcobaleno...)
 
Infine, per quanto riguarda l’iniziativa di UR Editore “Niente è come prima”, la casa editrice ha deciso di firmare i nostri racconti con i nostri veri nomi; inoltre dovremo rispondere ad alcune domande per una sorta di intervista on-line che sarà pubblicata sulla pagina Facebook di Efp. In sostanza, la mia super-identità segreta andrà a pezzettini. In realtà, ho deciso che alla fine non mi importa più molto: una volta quasi nessuno sapeva della mia omosessualità, ora tutte le persone che mi sono care ne sono a conoscenza, e degli altri non mi importa un fico secco! Riuscirò a superare l’imbarazzo di vedermi collegate le porcherie che scrivo! Quindi, giunti a questo punto, vi devo ringraziare, perché sono cresciuta scrivendo per voi e con voi, grazie di cuore!
 
La smetto di tediarvi con le considerazioni sulla mia misera e trista vita di quasi studentessa universitaria e vi lascio alla lettura del capitolo! Come al solito un grande ringraziamento a tutti quanti, e mi scuso fin da ora se risponderò lentamente alle recensioni: la casa di Torino necessita davvero di essere pulita, quindi trascorrerò su intere giornate!
 
Per questo capitolo si ringraziano in particolare Nessie per la pazienza, Kabubi per il medesimo motivo e Wrath, indovinate un po’ perché! Grazie che mi sopportate nei periodi di calo d’ispirazione!
Il capitolo invece è dedicato alla mia metà dell’anima (in senso platonico e molto, molto figurato), Calypso, che ora se la spassa in un’altra metropoli e sguazza tra matematica ed economia, e mi manca tanto!
 
p.s. Com’è stato il rientro a scuola di quelli tra voi che ancora sono al liceo? (Notare il sadico compiacimento in queste parole!)
 
 
Genere: Romantico, Triste
Avvertimenti: Femslash
Rating: Giallo
 
***
 
Capitolo VIII
 

L’ANGELO GUERRIERO

 
 
«Lo comprendete il senso di tutto questo discorso?»
La tipica frase pronunciata dalla professoressa di filosofia dopo una spiegazione contorta circa il pensiero di uno dei suoi pupilli.
Veronica osservava di sottecchi Bianca che premeva con cautela i tasti di un vecchio Samsung dall’aria consunta sotto al banco, lanciando vigili occhiate all’insegnante che marciava di fronte a loro, come una sentinella che pattuglia il perimetro murario. Martina, invece, ascoltava e prendeva diligentemente appunti senza sollevare il naso dalla pagina di quaderno aperta sotto di esso, la penna stretta con foga e gli occhi stretti.
«Lo sta facendo davvero?», sussurrò Veronica, il movimento delle labbra nascosto con nonchalance da un elegante gesto della mano.
«Dire stupidaggini? È la prof, Vero, te ne stupisci?», replicò scrollando le spalle e tornando a concentrarsi sul telefonino.
«Non parlavo di lei, ma di Marti. Mi fa paura quando prende appunti così. Il caterpillar della filosofia», rabbrividì Veronica osservando i furiosi tratti di inchiostro nero affastellarsi sulle righe della pagina.
«Be’, quando fa così anch’io ne ho timore: le pupille le diventano verticali, come quelle dei serpenti, e non capisce più nulla. Ora, prova a sfiorarla in qualche modo...», suggerì Bianca sghignazzando piano. Veronica allungò lentamente il braccio e sfiorò con la corta unghia dell’indice la guancia dell’amica. Quella trasalì, come terrorizzata, mentre la sua mano subiva uno spasmo che vide come esito una armoniosa rigaccia occupante l’intera pagina. Il ribollire delle viscere di Martina attirò l’attenzione della professoressa.
«Aimassi, qualche problema?», chiese con la sua voce gutturale, decisamente in disarmonia con la tenera boccuccia da cui usciva.
«No, professoressa, solo... Può ripetere l’ultima cosa? Non penso di aver... capito», lanciò un’occhiata di fuoco alle sue ridanciane vicine di banco per poi riprendere a devastare quel povero quaderno con la sua marcata calligrafia.
«A chi scrivi?», domandò Veronica curiosa mentre la professoressa tornava a sproloquiare di volpi al guinzaglio e fortini a palle di neve.
«Uh?», grugnì Bianca senza scostare lo sguardo.
«Testa di cemento, con chi ti messaggi?»
«Ah. Vincenzo», rispose senza sprecare due parole di più. Veronica sorrise sconsolata di fronte all’amica, perennemente innamorata e perennemente piantata in asso. Vincenzo era l’ultimo principe azzurro di una lunga e azzardata serie.
«Guarda che sento il tuo scetticismo come fosse mio: emani più vibrazioni negative di un martello pneumatico», borbottò Bianca posando il telefono sulle cosce e legandosi i capelli colorati con un grosso elastico nero. «Inoltre, cara la mia topa innamorata, pensa alla tua principessa rosa!», ridacchiò.
«Penso che l’epiteto non le si confaccia minimamente, Bi. Soprattutto la componente cromatica!»
«Mm, devo dire che Elena porterebbe divinamente un tubino rosa con tanto di scarpe con tacco intonate», sghignazzò Bianca. Se la rideva alle spalle di Elena Cantalupo, ma nemmeno lei si sarebbe conciata in quella maniera ridicola.
«Smettila di ridere di lei», replicò serissima Veronica, incenerendola con lo sguardo.
«Mamma mia, come sei spinosa oggi! Però ammetto che Elena ha il suo fascino, quando si mette i jeans a vita bassa...», il filo del discorso di Bianca venne interrotto dall’improvviso vibrare del suo cellulare, che produsse un suono ovattato contro i suoi jeans. Vincenzo aveva risposto.
Dimentica di ogni discussione, la ragazza si immerse nella lettura mentre Veronica tornava a fissare le lancette dell’orologio. La loro rapidità era inversamente proporzionale alla spinta vitale che le strillava di fuggire dall’aula, soffocata a stento dalla Veronica razionale e ponderata.
 
«Fa freddo. Non dovrebbe fare così freddo. Ho i brividi...», stava borbottando Angela. Un mantra che andava avanti da parecchi minuti. Nel laboratorio di chimica si stavano congelando le terga a causa del buco nel muro, che li metteva in diretta comunicazione con la strada: gli operai stavano lavorando per ampliare l’ambiente.
«Invece di parlare a vanvera dimmi l’ora, ne ho fisicamente bisogno», la esortò Elena posandole una mano sulla spalla e stringendo leggermente: pallido tentativo di scaldare l’amica, che venne poi prontamente abbracciata da Loredana, soffocata nella sua matassa di ricci scuri.
«Mancano dieci, fottuti minuti», sbuffò Angela sotto quella criniera castana.
«Fate attenzione!», stava strillando il professore di chimica in direzione di alcuni ragazzi che maneggiavano con poca cautela una serie di provette dall’aria sospetta.
«Che cretini», stava borbottando Michele, seduto dietro ad Elena. Fissava con odio e disgusto quel gruppo di caproni pieni di steroidi, aitanti giocatori di calcio e rugby che tendevano ad occupare costantemente il palcoscenico della classe.
«Fregatene, fregatene!», lo scosse con forza la ragazza afferrandolo per il gomito.
«Dimmi qualcosa di bello, fammi dimenticare della loro esistenza», piagnucolò Michele alzando gli occhi al soffitto scrostato.
«Vado a pranzo a casa di Veronica e siamo da sole...», ammiccò Elena gongolando.
«Oh sì, mentre fuori nevica e voi fate le cose sporche sotto al piumone. È una cosa molto carina. Anch’io voglio farlo», si lagnò Michele.
«Tu e Nadia state assieme da appena un mese, non pretendere che te la dia al primo schiocco di dita», lo mise in guardia la ragazza con un sorrisetto.
«Non ho detto questo, maliziosa! Voglio solo abbracciarla...»
«Che tenerone! Diglielo, no?», lo esortò Elena scuotendo il capo con aria di superiorità. Chiacchieravano serenamente perché il professore li aveva lasciati liberi di portare a termine un divertente esperimento e scorrazzava da un gruppo all’altro per controllare che nessuno facesse saltare in aria la scuola.
«Tu avresti accettato?»
«Michele, devo ricordarti che io e Veronica siamo state fin troppe volte coricate assieme sotto al piumone prima di stare assieme? È una situazione diversa, comunque io non direi di no».
«Ah già, voi siete lesbiche», sbuffò Michele, impaziente di udire il trillo del campanello per poter tornare a casa e sentire la sua adorata Nadia.
Elena non replicò e tornò a concentrarsi sul suo tavolo di lavoro, dove Angela e Loredana stavano complottando a bassa voce.
«Che succede?», domandò curiosa sporgendosi verso di loro.
«Sabrina sta sparlando di te e stavamo complottando per rovesciarle dell’acido nel portapenne», rispose Loredana mortalmente seria.
«Oh no, non fate niente, vi prego. Vivi e lascia vivere: se lei sparla di me sono fatti suoi. Non voglio rovinarmi la giornata...», il trillo della campanella coprì le sue ultime parole.
I ragazzi scattarono in piedi, gli zaini già preparati in previsione di una rapida fuga. Si accalcarono contro la porta, sgomitando e spingendo che manco avesse preso fuoco l’edificio. Elena era impaziente di raggiungere il Liceo Classico, verso il quale si diresse a passo di marcia dopo aver salutato rapidamente la sua compagnia di amici. Michele le augurò buona fortuna per la permanenza sottocoperta.
 
«Che strazio, amiche», borbottò Bianca raccogliendo le sue cose dopo il suono della campanella. «Non voglio più sentire tutte queste stupidaggini su gente che non può sedersi a tavola senza prima aver decapitato qualcuno.»
«Troppe, troppe fesserie», concordò Veronica chiudendo il suo zaino e caricandoselo in spalla.
«Be’, non mi pare che vi siate spaccate la schiena...», le rimbeccò pungente Martina, ancora offesa per il gesto di poco prima.
«Su, Tina, non essere così rigida: devi concordare con noi sulla marea di porcherie! Io, infatti, compio un’opera di epurazione e mentre tu scrivi sei pagine di cose inutili, io estrapolo i concetti chiavi e le riduco a due», replicò sorniona la bionda, attendendo che Bianca finisse di raccogliere il contenuto del suo portapenne che si era rovesciato sul pavimento.
«Va bene, ma io mi diverto molto di più studiandole dopo», sogghignò Martina per poi sbraitare contro la ragazza dai capelli colorati, ricordandole quanto fosse goffa e lenta.
Le tre uscirono ridendo e spintonandosi come delle bimbette delle elementari: Martina era felice perché quel pomeriggio avrebbe disputato un torneo pallavolistico, Bianca perché si sarebbe fiondata tra le braccia di Vincenzo e Veronica perché la attendeva un dolce pomeriggio con la sua metà.
La individuò immediatamente ai margini della calca urlante e multicolore, lo sguardo perso tra essa, preoccupata di non vedere la sua Veronica. La bionda agitò un braccio fino ad attirare la sua attenzione: il sorriso di Elena fece allargare immediatamente anche il suo.
«La faccia di Giulia...», si limitò a mormorare Martina sogghignando. Veronica seguì il suo sguardo, fino ad incontrare la smorfia rabbiosa di quella che era stata la sua migliore amica fino a qualche mese prima, ovvero fino al momento in cui la ragazza era stata messa al corrente dell’omosessualità di Veronica e della sua relazione con Elena, che lei detestava cordialmente.
La ragazza deglutì e disse una battutaccia qualsiasi fingendo di ridere: anche se si atteggiava a menefreghista, in realtà l’aver perso Giulia la faceva ancora soffrire moltissimo. Soprattutto perché non riusciva più a capirla, né riconoscerla.
Raggiunse rapidamente la sua dolce metà, sgomitando nella calca di urlanti liceali intenti a combattere fra loro usando le palle di neve come armi improprie. Veronica fu costretta ad abbassarsi due volte per schivare dei proiettili diretti contro di lei. Imprecò fra i denti e quasi scivolò davanti ai piedi di Elena, che la afferrò per i gomiti evitandole uno spiacevole tête-à-tête con il marciapiede ghiacciato.
«Grazie», sussurrò affannata, per poi abbracciarla.
«Ci mancherebbe altro. Cosa fanno quelle due scimmie?», domandò Elena alludendo a Martina e Bianca: la seconda aveva appena fatto scivolare con scaltrezza un mucchietto di neve nello scollo posteriore del maglioncino dell’altra, che si stava dimenando manco avesse avuto il fuoco di sant’Antonio.
«Se fossi Bianca avrei già iniziato a correre: l’ira di Martina è particolarmente funesta oggi, dato che l’abbiamo tormentata un po’ durante le ore di storia e filosofia...», sorrise Veronica sotto i baffi, mentre Elena alzava gli occhi al cielo domandandosi se quello fosse davvero un Liceo Classico.
«Andiamo a casa? Ho una fame terribile: non senti il mio stomaco? Gorgoglia più di un lavandino otturato», brontolò Veronica portandosi una mano guantata all’altezza del ventre.
«Povera chouchou...», mormorò Elena posandole un bacio sulle labbra e una mano su quella che Veronica aveva appoggiato al giubbotto imbottito all’altezza dello stomaco.
Salutarono le due ragazze, troppo impegnate una a correre strepitando dietro all’altra che rideva istericamente tentando di sottrarsi alle sue grinfie, e si avviarono verso il Viale della Chiocciola ambrata.
«Cosa avete fatto di bello oggi?», domandò Veronica stringendo la mano dell’altra, lo sguardo fisso sul marciapiede per evitare le lastre di ghiaccio: aveva nevicato abbondantemente nella notte e l’amministrazione comunale non aveva ancora fatto spargere sabbia e sale grosso sulle strade.
«Niente di speciale... siamo andati in laboratorio e ci siamo congelati il culo...», Elena iniziò ad illustrare all’altra le amenità capitate in quel laboratorio, calcando molto la mano sull’isteria del professore, che aveva passato la maggior parte del tempo zigzagando tra i ragazzi, le mani nei pochi capelli rimasti e gli sgranati come globi lunari. Poi le disse che le era giunta voce che Sabrina continuava a parlar male di lei.
«Dovresti ignorarla, lo sai? Penso che prima o poi si stancherà di darti fastidio: insomma, se ne farà una ragione!»
«Lo so, lo so! Io ti giuro che la ignoro, non le dico nulla... manco la guardo! Lei, invece, continua a macerare bisbigliando insulti e maldicenze. La ignoro, però, perché di litigare con una mantide religiosa come lei non è proprio il caso», sbuffò Elena. Veronica le si aggrappò al braccio, baciandole affettuosamente una guancia, per poi rassicurarla con tenere parole.
 
*
 
«Meno male che l’avevo chiesto senza origano...», borbottò Paola osservando il suo panino pomodoro e mozzarella con cipiglio scuro.
«Ah! Andiamo Pale, due foglioline verdi non hanno mai ucciso nessuno», sorrise bonaria Erica prima di addentare un panino al tonno con lo stesso sguardo famelico di un predatore della savana.
«Rica, solo perché tu mangi qualsiasi cosa si frapponga tra te e la tua fame ancestrale, non significa che anch’io debba ingollare tutto ciò che non puzza di marcio», obiettò Paola guardando con odio l’origano sui suoi pomodori.
«Oh, andiamo, non farmi passare per una fogna a cielo aperto!»
«Non parlare di fogne: il colore dell’origano mi ricorda... liquami. Ecco, mi sta passando la fame» sussurrò Paola posando nel piatto il suo pranzo. Erica scoppiò a ridere, portandosi una mano alla bocca per nascondere ciò che presto sarebbe stato spedito allo stomaco.
«Parlando di liquami, devo giusto chiamare per la fossa biologica...»
«Erica!», sbottò Paola sgranando gli occhi per poi tornare a posarli sul suo panino con aria molto offesa.
«Va bene, Pale, scusa, cambiamo argomento. Sai già se Lilith ha organizzato qualcosa per il compleanno di Walter? Mancano solo due settimane...»
«In realtà no, l’ultima volta che ne abbiamo parlato mi ha solo detto che stava ancora decidendo se prenotare al ristorante o organizzare qualcosa di casalingo», spiegò Paola che si era fatta forza e aveva ripreso in mano il suo pranzo, sospirando.
«A proposito di figli, Mattia e Federica sono a casa tua, vero?», domandò Erica improvvisamente preoccupata. Paola sorrise, rassicurandola che sarebbero stati al sicuro fino a sera.
«Bene, per un istante non ricordavo più se li avessi spediti tutti e tre da mia suocera e temevo che la povera Rosa sarebbe impazzita con quelle tre pesti!»
«Guarda che i tuoi figli sono le persone più civili che conosca! Edoardo è molto arrogante ultimamente, Simone fa sempre chiasso con Walter, le gemelle passano il tempo a tentare di strapparsi i capelli... Cosa dovrei dire?», rise Paola alzando gli occhi al cielo. Però erano i suoi adorati figlioli, li avrebbe amati anche se fossero stati terroristi baschi.
«Ti concedo che Veronica, Mattia e Federica siano intoccabili, però Claudio è un po’ difficile da gestire...»
«Ha solo quattordici anni, è nel pieno della pubertà: la terza media è un anno tremendo per la maggior parte dei ragazzini».
«Sì, ma per i primi tre non è stato così... e lo sai! Ho provato a parlargli, ma è molto chiuso, non vuole ascoltare né me né Gianni, tantomeno i suoi fratelli! Quando ho tentato di suggerirgli di confidarsi con Mattia se aveva qualche problema intimo di cui non voleva parlare con noi, si è messe a strepitare che lui con quello non aveva la minima intenzione di parlarci. È sempre così astioso...», sospirò Erica pulendosi gli angoli della bocca dalla maionese.
«Già... Mi dispiace che lui e Maggie siano gli unici dei ragazzi a non andare d’accordo con il resto del gruppo. Maggie però pare improvvisamente impazzita: fino ad un anno fa lei e sua sorella litigavano normalmente, come due sorelle dovrebbero fare. Ora pare che si siano giurate guerra eterna, e non solo con i miei, anche con Federica!», spiegò Paola perplessa per il repentino cambiamento della figlia, non riusciva a darsi nessuna spiegazione plausibile.
«Lasciamo che se la sbrighino loro ancora per un po’: saranno i soliti magoni della loro età. Se entro qualche mese vediamo che nulla cambia, allora propongo di intervenire», sentenziò Erica ingoiando l’ultimo boccone del panino che aveva divorato interamente, mentre Paola non era nemmeno a metà.
«A proposito... Veronica è a casa da sola? Perché non viene anche lei da me?», domandò Paola dopo aver deglutito un morso troppo grande per il suo esofago.
«No, tranquilla, ha insistito per invitare Elena a pranzare da noi. Penso che studieranno per finta e passeranno il tempo a chiacchierare o guardare video idioti su Youtube!», rise Erica scuotendo il capo.
«Magari per un po’ studieranno davvero, Veronica è molto diligente...»
«Sì, probabilmente sì. Però poi cederebbe: mi ci gioco quello che vuoi che quando torno a casa le trovo addormentate davanti ad un musical!»
«Rica, spesso tua figlia ed Elena mi ricordano noi due da giovani», scoppiò a ridere Paola, coprendosi la bocca con una mano.
«In che senso?», inquisì dubbiosa Erica.
«In tutti i sensi».
«Mm, ammetto sinceramente di averci pensato: Elena sappiamo per certo essere omosessuale, stava con quella Sabrina, della quale Veronica ha sempre parlato con molto astio, allo stesso tempo però so che loro due sembrano sorelle. Non sarebbe... incestuoso?»
«Parli del diavolo...», sussurrò concitata Paola indicando ad Erica due figure visibili attraverso la vetrina del bar. Elena e Veronica stavano passando proprio lì davanti, il braccio della mora sulle spalle dell’altra e chiacchieravano spensieratamente.
«Sbrigati Pale, voglio fare una cosa molto infantile!», ridacchiò Erica alzandosi in piedi e raccattando con una sola manata le sue cose, per poi schiaffare quindici euro sul bancone ed esclamare la classica frase da film «Tenga il resto!», trascinando con sé Paola e il suo mezzo panino.
Si precipitarono all’esterno, indossando rapide i rispettivi cappotti invernali prima che il freddo provocasse loro una sgradita congestione.
«Mi raccomando, la parola chiave è furtività», bisbigliò Erica. Aveva atteso di distanziare le due di almeno una ventina di metri prima di iniziare a pedinarle.
«No, fammi capire: tu stai davvero seguendo tua figlia? Ed io lo sto facendo assieme a te?», domandò Paola perplessa e piuttosto scettica circa l’invasione della privacy altrui.
«Esatto! Andiamo, Pale, abbiamo fatto di peggio ai bei tempi!», ridacchiò Erica. «Se però scopro che stanno assieme le faccio un mazzo tanto: come ha osato non dirmi nulla?! Non l’ho educata io così...»
 
*
 
«Sei sicura?», domandò Elena a Veronica poggiando per alcuni istanti il naso fra i suoi capelli ondulati.
«Assolutamente: Claudio è stato spedito da nonna Rosa e gli altri due sono a casa dei Volpe, siamo sole solette...», pigolò Veronica, infondendo all’ultima parte della frase un tono volutamente malizioso.
«Non avrei dovuto fare l’amore con te», rise Elena, apparentemente molto divertita.
«Perché?», domandò piccata Veronica, spingendo in fuori il labbro inferiore come una bambina capricciosa.
«Perché ora non mi dai tregua», la prese bonariamente in giro la mora.
Si punzecchiarono senza sosta, premendo tutti i tasti dolenti che capitavano loro a tiro, ridendo felici di potersi divertire assieme. Passeggiavano tranquillamente fra i cumuli di neve, sempre strette l’una all’altra.
«Ah, devo davvero dirti cosa ha detto Sabrina di te l’altro giorno! È esilarante quella ragazza», rise di gusto Elena al ricordo, mentre Veronica, curiosa, pendeva dalle sue labbra.
«Ha detto che tu sei lo stereotipo della bionda e avvenente figlia di papà, che sei una manipolatrice senza scrupoli e - senti questa perla! – mi stai già tradendo con qualcun’altra», scoppiò a ridere Elena, che non aveva mai sentito un cumulo di idiozie più alto e fetente di quello uscito dalla boccuccia a cuore di Sabrina.
Veronica, però, non parve divertirsi molto, specialmente riguardo l’ultima cattiveria. Le bruciava lo stomaco al solo pensiero che quella cagna avesse osato accusarla di essere una cornificatrice. Come se lei avesse potuto tradire Elena! Assolutamente ridicolo e folle.
«Te la sei presa, amore?», mormorò Elena cercando di interpretare il suo sguardo.
«Tu lo sai che io non ti tradirei mai, vero?», rispose con una domanda, preoccupata che non fosse abbastanza chiaro. Elena la costrinse a fermarsi e, fissandola intensamente negli occhi, che avevano assunto la tenue sfumatura tendente al grigio del cielo, le giurò che non avrebbe mai potuto pensarlo, né tantomeno farlo lei stessa.
Posando due dita sulla sua guancia, le si avvicinò per baciarla, ma proprio un istante prima di concretizzare le sue intenzioni si fermò.
«Stiamo insieme da... sette mesi, chouchou, però siamo migliori amiche da quindici anni. Con Sabrina ci sono stata insieme sei mesi e non siamo mai state migliori amiche. Vogliamo mettere queste informazioni sui piatti di una bilancia?»
«Okay, okay! Mi arrendo...», sussurrò Veronica chiudendo gli occhi e baciando la sua ragazza, ben felice di poterla stringere a sé.
 
*
 
«Più le pediniamo e più mi sento stupida...», borbottò Paola scivolando silenziosa dietro un’eccitata Erica, manco stessero seguendo il bel culetto di Johnny Depp.
«Sh, Pale!», la rimproverò Erica. «Io, invece, più le seguo e più mi rendo conto che ho ragione. Guarda come Elena abbraccia mia figlia!» gongolava la donna.
«Abbiamo quarantacinque anni, devo ricordartelo per forza? Sembriamo due adolescenti in preda agli ormoni...»
«Sei una disfattista. Andiamo, voglio solo sapere cosa mi nasconde la mia primogenita, ti sembra un delitto?» ribatté Erica accorata.
«No, certo che no... Va bene, mettiamola così: almeno non è un aitante maschione che sprizza virilità e autocompiacimento per le tre ore al giorno che passa in palestra. E non può metterla incinta», si concedette un sorriso la tesa Paola, che ancora era convinta di star facendo una pessima cosa e si sentiva in colpa, manco avesse rubato i soldi ad un mutilato che chiedeva l’elemosina.
«Preferisco sapere che ha perso la verginità con Elena, in effetti, mi rassicura... Almeno non arriva ai trenta con la gigina sigillata nel cellophane!»
«Guarda, Rica, guarda!», bisbigliò concitata Paola afferrando l’amica per la manica del cappotto. Le due ragazze si erano improvvisamente fermate ed Elena teneva due dita sul viso di Veronica.
«Lo sapevo, lo sapevo!», soffiò felice la madre della bionda, stringendo il pugno sinistro in segno di vittoria.
«Ma non si stanno mica baciando...», tentò di smorzarla Paola, facendole cortesemente notare che nulla di concreto era ancora accaduto.
«Concedigli qualche istante... Ecco, me lo sento... Sì! Si sono baciate! Guarda che carine!», esultò Erica che dovette trattenersi a stento dal correrle tra le braccia e stamparle due grossi baci sulle guance.
«Calmati, Erica, è una cosa normale, non capisco il tuo entusiasmo...»
«Pale, io adoro Elena: è una bravissima figliola, è perfetta per la mia bambina. Sono solo felice che sia in buone mani... Avrei esultato come una pazza anche se si fosse messa con tuo figlio, o con un altro ragazzo buono come il pane e che la ami davvero», spiegò Erica. Le due donna si erano fermate: non aveva più senso proseguire con l’operazione di spionaggio dato che avevano la prova provata della loro relazione. Più cristallino di così!
«Direi che sarebbe anche tempo di avviarci a lavoro: la nostra pausa pranzo finisce tra mezz’ora!», si rese improvvisamente conto Erica lanciando una rapida occhiata al quadrante del suo elegante orologio dal cinturino in pelle.
«Non sono stata io a voler perdere tempo dietro a tua figlia», ridacchiò Paola prendendola in giro con affetto. «Però un caffè sarebbe perfetto, che ne dici?»
«Dico che mi sta più che bene», asserì Erica, per poi aggiungere «Pale, tu che faresti se uno dei tuoi figli saltasse su dichiarandosi omosessuale?»
«Io? Niente. Be’, di sicuro non li pedinerei! Sai benissimo che l’importante è che stiano bene con loro stessi, dunque gli direi di farsi coraggio e camminare a testa alta, in barba alle maldicenze e al bigottismo. Mi conosci, Rica, che domande fai?»
«Era per curiosità... In realtà anch’io ho un sospetto su una delle tue figlie...», sghignazzò la donna, immediatamente rimproverata dall’amica.
«Non pedineremo nessuna delle gemelle, chiaro?! Se una di loro vorrà dirmi qualcosa, la aspetto a braccia aperte, ma non sarò io a seguirle come una madre apprensiva e sospettosa!»
«Pale, dicevo per scherzare!»
«Li conosco fin troppo bene i tuoi scherzi, Rica...», sospirò Paola con un sogghigno sul volto in onore dei vecchi tempi.
«Te lo ricordi il furgoncino della Volkswagen?», sghignazzò Erica.
Le due donne sparirono dietro l’angolo di un negozio di arredamento, e il ricordo con loro.
 
*
 
«Non riesco a trovare la chiave», esalò Veronica e le sue parole vennero immediatamente sublimate in nuvolette di vapore, il labbro inferiore che tremava leggermente per il freddo pungente.
«Calma, chouchou, l’avrai messa in qualche tasca dello zaino...»
Iniziarono dunque assieme una spasmodica ricerca che si concluse con un’esclamazione gioiosa di Veronica, che annunciava il ritrovamento del piccolo oggetto, e una sua scivolata all’indietro a causa della foga.
Sbatté con poca grazia il sedere sul marciapiede prima che Elena potesse accorgersene.
«Io... Ahia...», ringhiò Veronica massaggiandosi un polso, con il quale aveva tenta di ammortizzare la caduta.
Elena scoppiò a ridere del suo scarso equilibrio, facendole notare che se avessero dovuto fuggire correndo su una fune tesa sopra la fossa degli alligatori lei sarebbe stata fregata. Veronica ritrovò subito il sorriso, storcendo amabilmente il naso davanti agli occhi innamorati della compagna. La chiave stretta nel pugno che manco Andùril[1], Veronica spalancò il cancello d’ingresso tenendolo aperto con la punta delle dita per concedere ed Elena il privilegio di calpestare per prima il giardino innevato.
Rispetto al pungente freddo che si insinuava sotto al giubbotto e alla sciarpa, il tepore di casa Mantovani parve loro un clima tropicale.
«Porca miseria...», boccheggiò Veronica riponendo sulla gruccia giubbotto e accessori di lana colorata.
«Mm, c’è qualcosa di buono per pranzo? O dovrò cucinare io come al solito?», domandò Elena con aria eloquente ammiccando in direzione del piano cottura.
«No, testona, mia mamma ci ha lasciato l’insalata russa e lo spezzatino da scaldare», la rimbeccò Veronica sollevando il coperchio di una pentola e indicandole il contenuto con un sorrisetto compiaciuto.
«Bene, allora tu cambiati, io accendo il gas. Torna poi per darmi una mano con la tavola», le ordinò con tono da generale Elena afferrandola per le spalle e posandole un bacio sulle labbra.
Veronica zampettò nella sua stanza soddisfatta dei suoi progetti per la giornata. Aprì l’armadio per riporvi i jeans e la dolcevita di lanetta. La temperatura era ideale per dolci coccole sotto al piumone. Avevano fatto l’amore un mese prima sotto quello stesso piumone (che nel frattempo era stata lavato almeno due volte), la tormenta di neve attorno a loro. Quel pomeriggio, però, era decisamente in vena di tenerezze e carezze smielate. Doveva attenuare l’acidità trasmessale dallo sguardo di Giulia e nulla meglio che riposare tra le braccia della sua innamorata poteva rigenerare in lei un armonioso senso di pace.
S’infilò una morbida felpa azzurra e un paio di pantaloni grigi, poi ritornò di corsa in cucina rischiando di scivolare sul tappeto nell’ingresso.
«Tu hai dei seri problemi d’equilibrio», ridacchiò Elena afferrandola per il bavero dell’indumento e poggiando la propria fronte su quella dell’altra ragazza.
«Sono solo affannata...», mormorò Veronica prima di essere baciata con foga. «Uh, aspetta, lo spezzatino!», esclamò Elena per poi schizzare come un fulmine ai fornelli e spegnere in tempo il gas, prima che il cibo iniziasse a bruciare.
 
Consumato il pasto, si trasferirono finalmente nell’agognata meta della giornata: il letto di Veronica. Elena ebbe l’onore di sollevare il piumone color cielo, intonato alla felpa della sua dolce metà, che si raggomitolò in posizione fetale, le spalle al muro.
«Sono stanchissima» sbuffò Elena coricandosi accanto a lei. «Mi canti qualcosa?» sussurrò avvinghiandosi a lei con tutto il corpo, le gambe intrecciate e le mani strette.
«Mm, va bene...»
Elena chiuse gli occhi, abbandonandosi alla voce sensuale di Veronica, così affascinante e piacevole, dalla quale lasciarsi attraversare senza ostacolarla, mentre tutte le sue membra si rilassavano. Appoggiò le labbra sulla fronte della compagna, beandosi nell’udirla.
«Vorrei però qualcosa in cambio...», ridacchiò Veronica quando il suo canto si interruppe. Elena borbottò quanto fosse stanca in quel momento, ma fu bellamente ignorata dalla ragazza, che posò invece un bacio sulle sue labbra dischiuse. Veronica si coricò con un movimento aggraziato sulla compagna, che se ne stava prona, un occhio chiuso ed uno aperto, ad osservarla con aria fintamente contrariata.
 
*
 
Claudio non aveva la minima intenzione di trascorrere il pomeriggio a casa della nonna Rosa. Non che non la sopportasse, ma non capiva perché i suoi fratelli potevano starsene con gli amici mentre lui era costretto in casa. Quando infilò silenziosamente la chiave del cancello nella toppa non si sentì minimamente in colpa, d’altronde viveva in quell’edificio e aveva tutto il diritto di soggiornarci quando lo desiderava.
Gli fu immediatamente chiaro di non essere solo nel momento in cui si sfilò la sciarpa di lana blu. La appese con cautela ad uno dei pomelli di legno. Immediatamente a destra riconobbe il giubbotto della sorella e la sua sciarpa multicolore. Subito accanto notò il giubbotto blu scuro dal taglio maschile che non poteva appartenere a nessun altro, se non ad Elena. E allora quei gemiti?
Aveva quattordici anni ma non era affatto ingenuo.
Procedette con passo felpato lungo il corridoio, rasente al muro e salendo i tre gradini che separavano la zona giorno dalle camere da letto si mosse nel silenzio più totale. S’accostò alla stanza della sorella maggiore. La porta era aperta ma non osava sbirciare per timore d’essere visto.
«Ahia, fai piano...», si lamentava la sorella con voce roca.
«Scusa, amore, è l’enfasi del momento». Claudio ebbe la conferma che il giubbotto blu apparteneva ad Elena. La ragazza aveva appena chiamato sua sorella amore.
Claudio rimase qualche minuto ancora accostato al muro a riflettere. Stavano davvero facendo quelle cose? E mamma e papà lo sapevano? Fu un folgorio istantaneo.
«Chouchou...». Di nuovo la voce di Elena: solo lei parlava francese. Fece immediatamente eco la voce della sorella che implorava l’altra di non smettere.
Si allontanò di alcuni passi, turbato e vagamente in imbarazzo. Non voleva guardare, per nulla al mondo: la prospettiva di ciò che avrebbe potuto scorgere lo raggelava.
Tornato in salotto stabilì che sarebbe stato decisamente meglio togliersi dai piedi. Non essendosi nemmeno tolto il giubbotto, in pochi secondi era fuori casa, un po’ agitato ma con la soddisfazione di possedere un’arma contro la sorella.
 
*
 
«Hai sentito?!», ansimò Veronica mettendosi a sedere repentinamente. Elena sobbalzò allarmata dal suo movimento inaspettato.
«No, non ho... Nulla...».
Veronica la zittì con un gesto della mano, gli occhi stretti e le orecchie tese a carpire il minimo rumore. Le era parso di sentire una porta sbattere.
«Magari era un rumore che veniva da fuori, o l’hai immaginato», mormorò Elena allungando una mano verso il volto della ragazza, impaziente di ricominciare ciò che avevano interrotto.
«No, sono sicura di averlo udito...», protestò debolmente osservando il tappeto ai piedi del letto, come indecisa se sgusciare fuori dal piumone a inseguire l’impressione di un rumore, o restare in quel tepore profumato a fare l’amore. L’indolenza ebbe la meglio sulla paranoia.
Elena la afferrò per le cosce e la costrinse sotto di sé.
«Delizioso», sussurrò Veronica rovesciando il capo e chiudendo gli occhi.
 
Elena liberò un lungo sospiro, affondando la nuca nel morbido cuscino della compagna, che si era appena accoccolata contro il suo fianco. La strinse affettuosamente, cingendola con braccia e gambe.
«È stato tenero», biascicò Veronica, la voce che esprimeva la sua condizione di beato stordimento.
«È stato... meraviglioso», aggiunse Elena baciandole i capelli.
Continuarono ad aggiungere aggettivi sempre più creativi e fantasiosi per definire l’amplesso, finché, stufe, decisero di sistemarsi di fronte al computer – dopo essersi parzialmente rivestite – per navigare in giro per la rete.
Lessero con molto interesse gli ultimi aggiornamenti dal blog di Sabrina, per poi collegarsi su Skype e contattare Bianca, che risultava in linea.
«Salve, tesorucci miei! Cosa vi spinge a disturbarmi?», scherzò Bianca sistemandosi le cuffie sui capelli colorati. Il microfono le sbatté due volte contro il naso prima che lei riuscisse a sistemare l’attrezzatura.
«In realtà non sapevamo cosa fare...», ridacchiò Veronica.
«Dunque avete deciso di chiamare me? Vi sembro un ripiego?!», si finse scandalizzata la ragazza dal volto leggermente sgranato a causa della risoluzione non propriamente eccezionale.
«Certo che no, bimba, volevamo solo sapere come va con Vincenzo. Vi siete sentiti oggi?», inquisì Elena stringendo la vita di Veronica, seduta sulle sue gambe.
«Ah Vin...», Bianca emise un sospiro allo zucchero filato e polvere di stelle.
«Abbiamo capito che sei cotta come una pera! Ora vogliamo i dettagli osceni», la esortò Elena, rimproverata dalla sua ragazza.
«Diciamo che gli ho messo una mano nelle mutande e viceversa...», comunicò loro un’allegra Bianca con tono da sbornia allegra.
«Che angoscia... Ma quindi hai intenzioni serie?», volle sapere Veronica, che sulle vicende amorose della migliore amica si teneva costantemente informata.
«Io assolutamente sì, e spero che per lui sia lo stesso».
Nulla poteva abbattere lo spirito ottimista di Bianca, nemmeno il venire scaricata puntualmente dopo qualche mese di idillio da ogni ragazzo con cui si era impegnata dall’età di quattordici anni.
«Bi... Non voglio essere disfattista, ma...».
«Ele, so cosa stai per dire, però sono certa che con Vincenzo sarà diverso... almeno in qualcosa! Ne sono assolutamente certa!».
Anche le altre volte ne eri certa, Bianca, si trattenne dal dirglielo a voce alta Veronica, limitandosi a tossicchiare imbarazzata.
 
*
 
«Come pensi di comportarti?».
«Riguardo a cosa?», domandò Erica. Era sovrappensiero e le parole di Paola non avevano colpito nessun interruttore dentro di lei.
«Sei così distratta? Tua figlia, Rica...», le ricordò Paola. L’altra donna annuì immediatamente, segno che non l’aveva rimosso come evento traumatico.
«Certo, Veronica. Ed Elena. Mi stai chiedendo cosa, di preciso?», Erica strizzò gli occhi come se non vedesse molto chiaramente una spanna oltre il suo naso.
«Ti senti bene?».
«Sì, scusa, stavo solo... riflettendo». Erica si strofinò gli occhi, poi sospirò. Paola attese paziente che i pensieri le si schiarissero. «Temo la reazione di Gianni. Qualche sera fa ricordo che discutevamo pacificamente di fronte al telegiornale e se n’è uscito chiedendomi se Veronica avesse un ragazzo. Quando gli ho risposto negativamente, ha detto che forse era il caso che iniziasse a guardarsi attorno, anche solo per fare esperienza. Auspicava per lei un elegante matrimonio borghese con il rampollo erede di qualche impero industriale».
«Scusa?!»
«Non scherzo, Pale. Gli ho domandato con molta cortesia cosa stesse dicendo e semplicemente ha espresso quanto grande sarebbe potuta essere la sua gioia nel momento in cui Veronica le avrebbe presentato questo fantomatico ragazzo. Mi sono rifiutata di discutere e me ne sono semplicemente andata. Ora, Pale, immagina come reagirebbe sapendo che la nostra primogenita sta con la figlia di quelli della rosticceria», sospirò Erica.
«Suvvia, pensi che reagirebbe così male?», tentò di stemperare la tensione Paola posando una mano sulla spalla dell’amica.
«Non hai sentito come parlava. Sembrava un’altra persona...Sono fermamente convinta che la prenderebbe molto male».
«Sto per darti un cattivo consiglio: parlane con Veronica, ma non una parola con tuo marito. Non penso che ora siano necessari altri litigi», constatò Paola.
Erica annuì. L’idea di mentire a suo marito non la entusiasmava, ma non desiderava nemmeno forzare Veronica: se sua figlia non aveva detto loro ancora nulla, doveva sicuramente esistere un ottimo motivo.
«Che dici, torniamo a casa?», domandò Paola lanciando uno rapido sguardo al parcheggio semideserto.
«Sì, Pale, andiamo».
Ognuna si avviò alla propria automobile. Capitava, talvolta, che i loro orari coincidessero, dunque ne approfittavano per vedersi nella pausa pranzo e dopo il lavoro.
Erica si sedette al volante della sua utilitaria con un peso sullo stomaco: se da un lato l’essere al corrente della verità circa la figlia maggiore la metteva di buon umore, dall’altro non avrebbe voluto saperlo per non essere costretta a tenere tutto nascosto al marito, anche dopo un’eventuale chiacchierata con Veronica.
Guidò lentamente e con prudenza siccome la sua testa viaggiava molto lontano. Davanti a lei, Paola si muoveva con maggiore disinvoltura nel traffico serale. Scatole di metallo colorate che riportavano i rispettivi proprietari a casa dopo una giornata trascorsa a sudare su qualche scrivania o a spaccarsi la schiena in fabbrica, ne era circondata. Osservava con poca attenzione i volti delle persone al volante. Uomini e donne, adulti e ventenni, tutti concentrati nella guida, oppure ad ascoltare la musica, o ancora a parlare nell’auricolare, spesso quasi invisibile, e allora sembravano dei pazzi visionari poiché parevano rivolgere al nulla i proprio discorsi.
Doveva affrontare direttamente Veronica? Ciao figliola, luce dei miei occhi, sei lesbica?
Forse non era il caso di esordire con quelle esatte parole, ma Erica non era più convinta che parlarne immediatamente con la figlia maggiore fosse una buona idea. Si stava convincendo sempre più che sarebbe stato opportuno che fosse la figlia, nel momento da lei ritenuto più adatto, a confidarsi liberamente con lei. Erica voleva rispettare le scelte di Veronica. Continuava a ripetersi che, se era ancora all’oscuro, un motivo c’era senz’altro, e la figlia sarebbe stata in grado di fornirle delucidazioni a tempo debito.
Attese pazientemente che il cancello automatico in ferro battuto si aprisse completamente, spalancandole la strada verso il vialetto di pietra. Spense i fari e restò immobile ad ascoltare il rumore del suo stesso respiro.
Afferrò la ventiquattrore di pelle, la borsetta da signora e le chiavi di casa, custodite in un piccolo cassetto sotto al sedile, poi spinse la portiera ed uscì dall’automobile. Le luci del salotto erano accese.
Non si preoccupò di chiudere a chiave la macchina essendo il quartiere molto tranquillo. In ogni caso, l’antifurto perimetrale era un marchingegno estremamente efficiente, una difesa micidiale.
Inserì la chiave nella toppa. Le bastò mezzo scatto per aprire del tutto la porta.
In salotto, Elena e Veronica stavano giocando a carte sedute attorno al tavolino di legno. Un bastoncino d’incenso bruciava accanto a loro diffondendo nell’ari a un rilassante profumo.
«Mamma!», esclamò Veronica salutandola con allegria, sventolando le carte da gioco che teneva in mano.
«A cosa giocate?», domandò Erica appendendo il cappotto.
«Ora una banalissima scala quaranta, ma fino a poco fa abbiamo giocato a pinacola. E vincevo sempre io», gongolò Elena.
«Brave ragazze. Avete studiato almeno un po’?», inquisì Erica calandosi nel ruolo del genitore supervisore.
«Certo, mamma!», s’indignò Veronica. Sua madre sorrise compiaciuta.
«Elena, ti andrebbe di fermarti per la cena?», le chiese con apparente noncuranza. In realtà voleva osservare le due ragazze e capire come mai non se n’era accorta prima. Be’, le faceva anche piacere che la ragazza mangiasse assieme a loro. Era una persona educata e piacevole. Forse Gianni avrebbe dimenticato questi lati del suo carattere una volta saputa la verità.
«Mm, sicura che non disturbo?», si preoccupò Elena per il poco preavviso.
«Certo che no, davvero. Vero, tesoro, ascoltami un momento: potresti telefonare a casa dei Volpe e dire ai tuoi fratelli di rientrare per l’ora di cena?». Veronica annuì e s’alzò immediatamente per cercare il telefono cordless.
«Claudio? È in camera sua?», domandò Erica dato che il suo ultimogenito non si era nemmeno degnato di sporgere il collo della stanza dove se ne stava rinchiuso tutto il giorno.
«Sì, Erica, è arrivato meno di mezz’ora fa», la informò Elena.
«Grazie. Ora vado a cambiarmi e mi metto di buona lena con la cena... Ho proprio voglia di combinare qualche pasticcio ai fornelli!», sorrise Erica, apparentemente molto di buon umore.
Nel percorso verso la sua stanza da letto, deviò verso la camera di Claudio. Bussò due volte con il dorso della mano.
«No, ti ho detto che non voglio giocare a carte!», s’inalberò immediatamente la voce del ragazzino. Evidentemente Elena e Veronica avevano tentato di convincerlo a partecipare al loro passatempo.
«Sono mamma, Claudietto, posso entrare?», domandò Erica.
«Oh, scusa... Sì, vieni».
Erica aprì la porta con un sorriso gentile. Suo figlio sedeva alla scrivania, un libro aperto di fronte a lui.
«Com’è andata oggi da nonna?», gli domandò Erica posandogli un bacio sulla fronte. Lui non si ritrasse, ma nemmeno mostrò segni d’affetto.
«Normale... È la nonna, insomma, lo sai meglio di me». Erica annuì.
«Come mai non giochi un po’ a carte con Veronica e la sua amica?»
«Non mi va, mamma, preferisco starmene un po’ a leggere dato che oggi non sono riuscito».
«Va bene, tesoro. La cena sarà pronta verso le otto e mezza, nove meno un quarto, come al solito», lo informò Erica carezzandogli i capelli con fare materno e protettivo. Era molto preoccupata per Claudio.
Il ragazzo annuì distrattamente, poi tornò a fissare gli occhi sulle pagine stampate di fronte a lui.
 
«Ciao, piccola!», esclamò Elena vedendo entrare la sorella minore di Veronica, seguita da Mattia e da Gianni, che si era incaricato di riportare i figli a casa.
«Come mai sei qui?», domandò Federica sorridendo togliendosi il cerchietto di stoffa rossa che le allontanava i capelli mossi dal volto. Li aveva tagliati da poco: fino a dicembre li aveva portati lunghi fin sotto al seno, poi aveva deciso di voler cambiare e aveva optato per un drastico taglio. Ore le ciocche ondulate non le sfioravano le spalle.
«Tua mamma mi ha invitata a restare per cena. Ti sei divertita dai Volpe?», le domandò Elena alzandosi in piedi per abbracciarla. La ragazzina squittì contenta quando venne stretta tra le braccia di Elena, che, dal canto suo, la adorava. La quattordicenne Mantovani era paffuta e graziosa, dal carattere socievole e dolce, i suoi tratti più caratteristici.
«Ti sei divertita da Mari?», le domandò Veronica mentre la sorellina prendeva posto accanto a loro. Elena si premurò di ridistribuire le carte, in modo da coinvolgere anche la nuova venuta. Mattia dopo aver salutato frettolosamente si era barricato nella sua stanza, dicendo che doveva assolutamente collegarsi a Internet.
«Oh sì, molto!», rispose arrossendo e ridacchiando Federica. Veronica sorrise a sua volta scuotendo la testa: chissà cosa avevano combinato quelle due pesti!
Avevano appena terminato di distribuire le carte che Gianni le raggiunse, sedendosi sulla poltrona più vicina a loro.
«Allora, ragazze, come va?», domandò rilassandosi contro i cuscini.
«Tutto bene, grazie...», esitò Elena.
«Bene, papà, bene».
«Veronica, che mi dici del concerto?», le domandò fissando su di lei gli occhi castani.
«Be’, non ho novità particolari... Iniziamo alle nove, il biglietto costa due miseri euro, suoniamo un’oretta circa, daranno qualcosa da bere...», elencò Veronica leggermente imbarazzata. Da meno di un anno aveva messo su con suo fratello, Bianca e Michele una specie di gruppo musicale e, attraverso un passaparola e una serie di contatti azzeccati, erano riusciti ad iscriversi ad un evento musicale organizzato da una società di Montenotte che spesso promuoveva band locali per animare alcune serata interamente dedicate ai ragazzi. Non era nulla di eclatante, semplicemente, per la prima volta, non avrebbero suonato per un muro – o, peggio, per i familiari – ma per dei ragazzi un po’ scettici e un po’ fanatici.
«Suvvia, non sminuire la cosa. Hai talento, Veronica, lo sappiamo». La ragazza avvampò e abbassò lo sguardo. Era brava, ne era conscia, ma aveva difficoltà nel tollerare l’insistenza con la quale il padre si insinuava nel suo mondo, abusando del pronome di prima persona plurale, anziché lasciarle il suo spazio per respirare.
«Sì, lo so... Andrà bene...».
«Suonerete qualche pezzo originale o vi dovrete limitare alle cover?», s’informò Gianni, incrociando le gambe.
«No, per fortuna solo cover: non siamo ancora al punto di poter proporre pezzi originali».
Gianni avrebbe replicato senz’altro con un rimprovero alla solita tendenza della primogenita a svendere miseramente il suo talento, ma Erica lo chiamò dalla cucina, chiedendogli di apparecchiare la tavola.
«Arrivo, arrivo!». Il signor Mantovani si alzò dalla poltrona con uno sbuffo e raggiunse la moglie nell’altra stanza. Veronica non tirò il fiato finché non udì la porta della credenza sbattere.
«Possiamo venire anche noi, vero? Prometto che non daremo fastidio!», esclamò Federica che ancora non aveva avuto il coraggio di chiederlo alla sorella maggiore, temendo un rifiuto: probabilmente non avrebbe voluto la sorellina rompiscatole tra i piedi mentre stava con i suoi amici.
«Con noi intendi tu e Mari?»
«Sì...»
«Eh... Ma sì, va bene... Basta che non diate fastidio e ve ne stiate per conto vostro!», la ammonì Veronica con un mezzo sorriso. La piccola Mantovani ringraziò e accennò un abbraccio, che la sorella rifiutò con garbo sostenendo che non era il caso.
«Sarà molto divertente...», sghignazzò Elena lanciando un’occhiata obliqua alla compagna, che storse il naso con disprezzo.
«Quando spaccheremo i culi non farai più così, ma sarai onorata di avermi come am...ica». La parola amante le stava sgorgando con tremenda naturalezza dalla labbra e si salvò in corner con un rapido scambio vocalico. Federica non si accorse di nulla.
«Amica della migliore chitarrista e cantante della storia», ironizzò Elena, che non aveva faticato molto a cogliere l’esitazione avuta poco prima da Veronica.
«Dai, non siamo così pessimi! Mattia alla batteria fa la sua figura, Bianca è una bassista nata, ha il tipico sguardo truce!, e Michele... be’, lo sai meglio di me che razza di chitarrista, semi-cantante sia!», rise Veronica spintonando con affetto la compagna.
«Avete già una scaletta?», domandò Federica curiosa.
«Ehm... più o meno! Cioè, sappiamo quali canzoni fare, ma non ancora in che ordine. In effetti avrei dovuto parlarne oggi con Bianca ma l’ho completamente scordato!», esclamò Veronica, il cui ricordo le era balzato alla memoria proprio in quel momento.
«E quali canzoni farete?»
«Non ti voglio rovinare l’esibizione, quindi te ne dico solo qualcuna! Mm, vediamo... Be’, faremo Aqualung dei Jethro Tull, Eric’s song di Vienna Teng, Elephant stone degli Stone Roses, Break it up di Patti Smith e... e basta! Ti ho quasi rivelato metà delle canzoni!», s’indignò Veronica per essersi lasciata trasportare.
«E pensa, Fede, che la tua sorellona eseguirà la canzone della Teng tutta da sola!», calcò la mano Elena passando un braccio attorno alle spalle di Veronica.
«Sono stati gli altri ad insistere!», protestò la ragazza incrociando le braccia sul tavolino, dove le carte erano ormai state dimenticate. Si muoveva con naturalezza su un palco, si esibiva senza paura, pareva essere nata per quello, ma guai ad elogiarla dopo: l’imbarazzo la rendeva intrattabile.
«È che voi Mantovani siete degli artisti, Vero, c’è poco da fare!», rise Elena.
«Ah, finché c’è da suonare o disegnare, io sono schierata in prima linea, ma non parliamo di sport perché potrei fare la peggiore figura della mia vita. Ringrazio che non ci siate mentre giochiamo a pallavolo o a basket a scuola...», borbottò Federica storcendo il naso. In effetti, le sorelle Mantovani erano l’antisportività per eccellenza, mentre Mattia riusciva a combinare il talento musicale allo sport giocando da portiere in una squadra di calcio locale, ed era anche decisamente bravo. L’unico che non pareva mostrare interesse per le diverse manifestazioni artistiche era Claudio, che viveva in funzione dell’atletica leggera, mondo sconosciuto ai tre fratelli maggiori.
«Ragazze, la cena! Chiamate i ragazzi, per favore», annunciò Gianni spostandosi in salotto con un strofinaccio da cucina nel quale si stava asciugando le mani.
«Ci penso io!», s’offrì volontaria Federica. Si rialzò aggrappandosi al divano e poi saltellò verso le stanze dei fratelli. Le altre due ragazze si avviarono immediatamente verso la cucina.
Erica aveva servito in tavola due grilletti di insalata di pomodoro, tonno, cipolle, fagioli e mais, assieme a due piatti di carne cruda tagliata a fettine e condita con un filo d’olio ed una spolverata di pepe nero.
«Se poi avete ancora fame, ho degli agnolotti ma preferisco aspettare a buttarli», spiegò Erica. In effetti, sia l’insalata che la carne abbondavano.
«Per me va benissimo così, davvero», annunciò immediatamente Veronica prendendo posto capotavola, dove usava sedersi. Federica e sua mamma, alla sinistra della ragazza, si sarebbero strette per far posto ad Elena.
«Tra l’altro, gli agnolotti sono di tua mamma», sorrise Erica rivolta ad Elena che rispose con la stessa espressione. «Devi assolutamente dirle che, se non ci fosse lei, talvolta saremmo qua a mangiare i ripiani del frigorifero, altroché!». Elena annuì, promettendo che avrebbe riferito.
«Ci siamo», annunciò Mattia sedendosi di fronte ad Elena e Federica. Claudio, senza una parola, tirò indietro la sedia accanto al fratello e vi si sedette chiuso nel suo silenzio.
«Papà dov’è?», domandò Erica. Anche lei si era appena seduta e stava sbirciando oltre la porta della cucina alla ricerca del marito.
«Oh, è andato a cercare una felpa perché ha freddo», rispose Mattia scrollando le spalle.
«Come fa ad avere freddo che i termosifoni sono accesi?».
«Si sono spenti prima, hanno raggiunto la temperatura impostata...», riferì Federica, che aveva controllato lungo il tragitto verso la stanza dei fratelli.
«Scusate, ci sono anch’io», borbottò Gianni accomodandosi capotavola, di fronte alla primogenita.
«Datemi i piatti, vi servo la carne cruda! Elena, tesoro, passami il tuo», le sorrise dolcemente la signora Mantovani. Erica non aveva scordato lo spettacolo che le due avevano offerto a lei e Paolo quel pomeriggio, anzi, stava osservando le due ragazze da quando era entrata in casa. Voleva rendersi conto del motivo per cui era giunta da sola alla conclusione che le due stavano assieme. Una madre non dovrebbe solo intuirle certe cose, dovrebbe esserne certa!, si rimproverava bonariamente con un dolce sorriso sulle labbra.
«Tre fette sono abbastanza?»
«Va benissimo, grazie Erica». Elena afferrò il piatto che le veniva restituito, subito dopo si sporse verso l’insalatiera più vicina per fare scorta del contorno.
«Ehm... tutto bene a scuola, Elena?», le domandò Gianni tentando di iniziare una conversazione. Elena non gli piaceva, non gli era mai andata a genio: fin da bambine, lei era solita traviare Veronica in atteggiamenti che non le si confacevano per nulla. La sua delicata e graziosa bambina non avrebbe mai dovuto arrampicarsi così in alto sugli alberi. Era colpa di quell’altra se sua figlia si era rotta un braccio all’età di sei anni. Elena non era una compagnia adatta alla sua primogenita, di questo era assolutamente certo. Eppure confidava nella figlia, sperando che il suo buonsenso le impedisse di seguire Elena in tutti i suoi folli progetti.
«Sì, grazie, tutto bene...», rispose lei, imbarazzata.
«Buon appetito!», esclamò gioioso Mattia. Doveva aver ricevuto una bella notizia, oppure era semplicemente felice.
«Buon appetito...», borbottò l’ultimogenito Mantovani, la testa china sul piatto.
Veronica occhieggiò i genitori, poi il fratello, poi scrollò le spalle e si tuffò sull’insalata.
I signori Mantovani iniziarono a parlare di questioni ineranti il proprio lavoro allo studio legale. Entrambi parevano piuttosto irritati con una certa Anna.
«Verranno anche gli altri a sentirvi?», domandò Federica, la bocca piena di carne cruda.
«Gli altri, chi?».
«Simo, Walter e poi non so...Martina e Andrea...».
«Sì, be’, Marti e Andre verranno di sicuro, perché aver suonato andiamo nella casa di campagna di Martina e facciamo un po’ di festa tra di noi», rispose Veronica annuendo.
«Gli altri due certamente ci saranno! Devono fare il tifo per me», sorrise Mattia.
«Cla, tu verrai?», chiese con gentilezza al fratellino la maggiore dei Mantovani. Il ragazzo alzò la testa dal piatto e le scoccò un’occhiata terribile.
«Che hai?», gli chiese Mattia. Il suo tono appariva apertamente seccato: tra loro due non correva affatto buon sangue, probabilmente, tra i tre, Claudio detestava maggiormente proprio lui.
«Lasciami stare», ringhiò Claudio, infastidito dalla sua intromissione. Voleva prendersela con la sorella maggiore. Lui avrebbe potuto diventare suo obiettivo in futuro, non c’era fretta.
«Dai, Cla, è solo preoccupato per te...», tentò Veronica.
«Non ho bisogno che vi preoccupiate per me! Piuttosto, tu dovresti preoccuparti per te stessa...».
Veronica aggrottò le sopracciglia: il tono di voce del fratello pareva sottendere una minaccia nemmeno troppo velata. Eppure la ragazza non capiva.
«Claudio, non essere maleducato», intervenne stancamente Erica che davvero non sapeva più come prendere il figlio minore, non riusciva a capirlo per quanto si sforzasse. Vederlo lì seduto, di fronte a lei, con lo sguardo accusatore che ora si era spostato su di lei, la feriva. Spesso s’interrogava su cosa avesse sbagliato con lui, cosa fosse successo per farlo cambiare in quel modo.
«È più maleducato chi vuole farsi i fatti degli altri o chi nasconde le cose?».
In quel momento Elena comprese la provocazione del ragazzino: il rumore che alla sua ragazza era parso di udire acquistò un senso alquanto sinistro. Non poté impedirsi dal trasalire sulla sedia, urtando con il gomito la ragazza alla sua sinistra.
«Claudio, cosa...», provò a interrogarlo il padre in merito alla sua criptica domanda, ma venne interrotto dallo stesso.
«Chiedilo a Veronica cosa significa», replicò con tutta la naturalezza del mondo, per poi tornare a mangiare come se avesse appena informato i suoi genitori circa le previsioni meteorologiche del giorno seguente.
«Non penso sia affatto importante», intervenne su due piedi Erica con tono di rimprovero verso il figlio. Aveva capito di cosa stava parlando Claudio, d’altronde lei stessa l’aveva scoperto quel pomeriggio. Possibile che lui lo sapesse da più tempo? Soprattutto, come faceva a saperlo? Erica non riuscì a trattenersi dall’osservare il volto del marito. Era teso e contratto, in una smorfia d’attesa, impaziente di sapere cosa gli stesse nascondendo la primogenita stando alle parole del figlio minore.
«Io invece penso che lo sia. In questa famiglia non devono esserci segreti», disse Gianni con tono secco. Tutta la situazione non gli faceva presagire nulla di buono.
«Gianni, sii ragionevole...», tentò Erica posandogli una mano sull’avambraccio, dove esercitò una lieve pressione.
«Rica, voglio parlare con mia figlia. O mi state nascondendo tutti qualcosa?».
Veronica all’improvviso si sentì schiacciare ed iniziò a respirare con fatica. Aveva paura, le tremavano le caviglie e il cuore le pulsava violentemente nel corpo: non voleva affrontare suo padre, non ora, non era pronta! Strinse convulsamente il tovagliolo.
Elena le lanciò un’occhiata preoccupata. Era incastrata, come un topo ad un party felino. Non osava incrociare gli occhi di Gianni, l’avrebbe scoraggiata totalmente, nonostante si fosse ripromessa più volte che prima o poi l’avrebbe affrontato. Era una persona adulta, e gli adulti dovrebbero essere ragionevoli. Dovrebbero. Elena venne percorsa da un brivido freddo e viscido, decisamente spiacevole.
«Non essere ridicolo, Gianni, nessuno sta nascondendo nulla!», si scaldò Erica, che aveva tutte le intenzioni di proteggere la figlia.
«Mia sorella e la sua amica, sì», replicò quasi con noncuranza Claudio. Il suo tono indifferente stava mandando in bestia Veronica: la ragazza da una parte era terrorizzata dall’idea dell’imminente confronto con il padre, dall’altra sentiva crescere un odio e uno disgusto verso la superficialità e il menefreghismo del fratello, che non aveva speso nemmeno cinque minuti per riflettere sulle conseguenze delle sue parole.
«Veronica!», esclamò Gianni, rosso di rabbia. Il suo pensiero aveva galoppato in fretta verso la soluzione dell’enigma, le ultime parole del figlio gli avevano solo dato l’input finale.
Elena sobbalzò, serrando gli occhi. Avrebbe voluto svanire in una nuvola di vapore, senza nemmeno un sibilo, indisturbata, ignorata. Purtroppo ora la situazione era esattamene rovesciata. Federica la stava osservando in modo strano, Mattia, che già sapeva, la guardava con compassione, Claudio con disprezzo, Erica con aria di scuse e Gianni con odio. Veronica, invece, fissava il muro alle spalle del padre.
«Cosa vuoi che ti dica?», sussurrò. Si detestava perché stava per piangere: avvertiva il familiare bruciore agli occhi e la spiacevole sensazione di calore srotolarsi lungo le sue guance e il suo naso. Non avrebbe voluto mostrarsi debole di fronte al genitore, non avrebbe nemmeno voluto affrontarlo, in fondo, ma andava fatto e lei lo sapeva. Avrebbe solo voluto essere dannatamente più sicura di se stessa.
«Anzitutto, spiegati. Mi pare assolutamente chiaro», infierì il padre dimostrando per l’ennesima volta la sua proverbiale mancanza di tatto.
«Gianni! Smettila, smettila immediatamente!», si scaldò Erica, indignata dal comportamento del marito. Non aveva alcun diritto di trattare così sua figlia. Eppure lei sapeva che qualcosa dentro di lui era scattato: dubitava che avrebbe continuato a vedere Veronica sotto la stessa luce.
«Erica...», iniziò Gianni, ma venne interrotto dalla figlia.
«Va bene, papà, va bene...», mormorò Veronica, alzando una mano tremante. Elena la osservava in silenzio. Lei aveva già combattuto la battaglia contro i suoi genitori più di un anno prima. Suo padre, Pierre Cantalupo, l’aveva guardata con freddezza e aveva pronunciato gelide e taglienti parole cariche d’amarezza, mentre la madre era scoppiata in lacrime, si sarebbe strappata i capelli se il marito non l’avesse fermata. “Una figlia sola! La nostra figliola...” , aveva piagnucolato miseramente per un buon quarto d’ora Teresa. Raffaele, il maggiore dei fratelli Cantalupo, che allora aveva trent’anni, si era limitato a dire di aver intuito l’omosessualità della sorella fin da quando era bambina, ma non espresso né simpatia né antipatia per la questione, aveva piuttosto eretto un muro di indifferenza. Il ventottenne Paolo, invece, non aveva espresso remore nel mostrarsi decisamente disgustato all’idea che la sorella preferisse correre dietro alle sottane e nel corso dell’anno questo sentimento era stato manifestato più volte attraverso battute acide e subdole allusioni che mandavano in bestia il signor Cantalupo. Le loro reazioni erano state molto diverse, però, dall’aperto odio che stava mostrando il signor Mantovani. Perché non poteva essere altro che odio quello che Elena gli leggeva negli occhi.
«Forza, Veronica. Ti ascolto».
«Sì, è che... non so da che parte iniziare...», mormorò Veronica. Un singhiozzo sfuggitole spezzò la sua voce.
«Magari inizia giustificando i gemiti che ho sentito oggi pomeriggio», s’intromise nuovamente Claudio con quel tono che irritava tanto le due ragazze.
«Tu non dovevi essere dalla nonna?!», alzò il tono Erica. Non gli piaceva il modo in cui si stava comportando il figlio. Non sapeva dove avesse assorbito tanta maleducazione, di sicuro lei non gli aveva insegnato quel genere di intolleranza, anzi.
«Erica, di questo ci occuperemo più tardi», ringhiò Gianni che, dopo l’ultimo sentenza di Claudio, era diventato ancora più rosso, pareva sul punto di esplodere, un’eruzione d’ira sanguinolenta. «Veronica, avanti!», abbaiò sbattendo un pugno sulla tavola, che fece vibrare minacciosamente tutti i bicchieri. Federica osservava suo padre paralizzata per il terrore. Quella stessa sera, più tardi, avrebbe telefonato a Maria Cristina e le avrebbe raccontato l’accaduto in lacrime, sostenendo che era questo il motivo per cui la loro neonata relazione avrebbe dovuto continuare a restare segreta ancora per un bel po’.
«Gianni, smettila! Ti stai comportando come un bambino!», urlò Erica risentita per il suo comportamento. Si alzò in piedi e raggiunse la figlia maggiore seduta a capotavola, proprio di fronte al signor Mantovani. Le poggiò le mani sulle spalle, un gesto che voleva comunicare la sua presenza e il suo supporto in quell’insensata discussione.
«Erica, santa pace! Tua figlia... tua figlia è...». Gianni non riusciva a pronunciare quella parola che ora nella sua mente andava espandendosi. Ma non era nemmeno quello il motivo di tanta rabbia, no. Era Elena. La figlia dei Cantalupo, come la definiva di solito nonostante la conoscesse da quindici anni. Era senz’altro tutta colpa sua, perché Veronica era nata normale, lui lo sapeva: da bambina giocava con le bambole, si innamorava dei maschietti dei telefilm ed era così graziosa e femminile... No, era stata senz’altro Elena!
«Sì, papà sono lesbica! Almeno abbi la forza di dirlo a voce alta!», s’inalberò Veronica che dal supporto materno aveva tratto energia positiva per affrontare il padre, conscio che almeno uno dei suoi genitori era dalla sua parte.
«Non usare quel tono con me, Veronica, è ovvio che non sai quello che dici!»
«Io so benissimo quello che dico. La vedi Elena? Bene, io la amo e tu puoi dire o fare quel che ti pare, ma la situazione non cambierà!»
«Per l’amor d’Iddio! Smettila con queste assurdità! Erica...», tentò invano di trovare un alleato nella moglie, ma la donna gli abbaiò in faccia una notizia che, se possibile, lo infiammò maggiormente.
«Io sapevo già della relazione, perché credi non te ne avessi parlato?!»
Veronica stupita si voltò ad osservare la madre, che scrollò le spalle e sorrise. La figlia sarebbe scoppiata in lacrime per il sollievo: sapeva di poter contare sulla madre, la conosceva troppo bene.
«E non hai fatto nulla?! Ora...».
«Ora è il caso che io vada...», mormorò Elena alzandosi in piedi, le guance imporporate e i pugni serrati. Davanti a lei, il piatto era ancora praticamente pieno.
«È ora che tu sparisca in via definitiva, Elena!»
«Papà!»strillò Veronica, alzandosi in piedi a sua volta. «Se lei se ne va, io la seguirò!»
«Veronica Mantovani, rimettiti immediatamente a sedere!»
Il tono di voce pacato era ormai stato dimenticato e tutti i partecipanti alla discussione si esprimevano urlando la propria rabbia. Mattia e Federica, silenziosi e rossi in volto, osservavano la tovaglia, ed entrambi riflettevano in silenzio.
«No, papà, se mandi via lei, allontani anche me, ricordalo!»
«Gianni, ora basta! Basta!», gridò Erica prima che suo marito potesse aprire bocca. La richiuse con una smorfia rabbiosa, osservando la moglie con aria di profondo rimprovero per quell’eccessivo permissivismo.
«Scusate, io vorrei davvero tornare a casa...», mormorò nuovamente Elena. Non riusciva a tollerare oltre l’atmosfera di quella cucina, che già inizialmente non era delle più leggere: la ragazza sapeva di non andare particolarmente a genio a quello che sarebbe diventato suo suocero, ma ora, se fosse riuscito a metterle le mani addosso... be’, Elena non voleva scoprirlo. E di sicuro non avrebbe mai immaginato che Gianni, un anno e mezzo dopo, avrebbe cercato di romperle la faccia con un mattarello.
«Certo, Elena, non preoccuparti...», tentò di rassicurarla Erica posandole una mano sulla spalla.
«Veronica, tu siediti a tavola, dobbiamo parlare», le ordinò il padre. In tutta risposta, la figlia si allontanò di qualche passo, fissando il genitore con uno sguardo che celava tutto il risentimento e la delusione di una figlia.
«Vero, stai tranquilla, se non vuoi restare non sei obbligata», le sussurrò la madre carezzandole una guancia. La ragazza annuì con le lacrime agli occhi. Sospirò asciugandosi le guance e scostandosi le ciocche che le si erano incollate al volto. Si sentì immediatamente più fresca.
Il signor Mantovani  non sapeva nemmeno cosa dire. Rimase seduto a tavola, paralizzato, costretto ad osservare la figlia che usciva da casa sua assieme alla... la figlia dei Cantalupo. Stava per dirlo, stava per dire la sua ragazza. Fremette di rabbia.
Claudio osservò con aria vittoriosa la sconfitta della sorella maggiore. Il piedistallo sul quale il padre l’aveva elevata si era crepato irreparabilmente, ed era esploso nel momento in cui la porta di casa Mantovani era stata sbattuta e l’ultima ciocca bionda di Veronica era scomparsa nella notte. Finalmente suo padre si era reso conto la sua perfetta figliola non era poi così perfetta.
Mattia e Federica, gli occhi sgranati e le bocche dischiuse, erano come in stato di choc: in una manciata di minuti, l’ordine naturale della loro casa era stato totalmente sovvertito. Ed entrambi tremavano per il segreto che custodivano.
Erica si sedette nuovamente al tavolo e con un secco “mangiamo” esortò la famiglia a terminare la cena. Gianni non le rivolse la parola fino alla mattina seguente.
 
*
 
«Sei stata forte, piccolina», mormorò Elena abbracciandosi alla schiena della compagna e posandole un bacio sulla spalla, nascosta da un pigiama che le aveva prestato, azzurro pallido a righe verticali bianche.
«Mm, avevo paura...», confessò lei, gli occhi gonfi e stanchi a causa del pianto.
Appena entrate a casa Cantalupo, si erano trovate di fronte i genitori di Elena e il fratello di mezzo, Paolo, che in salotto si godevano un film in francese.
«Veronica resta a dormire, va bene?», aveva domandato con molta cautela. Sapeva che i suoi non le avrebbero detto di no, ma era certa che non si sarebbero risparmiati una battuta amara, specialmente suo padre.
«Basta che non vi comportiate da persone strane», aveva concesso il padre. Basta che non facciate l’amore, tradusse mentalmente Elena, senza replicare. Si erano rintanate nella stanza della ragazza, dove Veronica aveva finalmente dato sfogo alle lacrime represse.
«Sei il mio angelo guerriero», mormorò Elena ridacchiando. Il soffio del suo fiato aveva spostato alcune ciocche color miele dei lunghi capelli di Veronica, che ora le coprivano la guancia. Lei li scostò con un dito, riportandoli dietro l’orecchio.
«Guerriero magari sì, angelo non propriamente...», sorrise Veronica.
«Strano, io avrei detto esattamente il contrario!»



[1] Andùril in Sindarin, tradotto Fiamma dell’Ovest, è la spada che fu spezzata e riforgiata de Il signore degli anelli, con la quale Isildur, figlio di Elendin, tagliò il dito di Sauron impossessandosi dell’unico Anello.

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