Dono delle Stelle

di Lady Anael
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


PROLOGO Questo pomeriggio il reparto è stranamente calmo e silenzioso, il sole illumina le finestre del mio studio mentre tento di concentrarmi sulle dimissioni dei due pazienti che domani andranno a casa. Sono stanca, la settimana è stata faticosa. Mi stiracchio pigramente allungando le gambe sotto alla scrivania. Shania entra come una furia nello studio facendo sbattere la porta contro il muro. Ha lo sguardo triste. Ancora prima che parli so già che cosa mi vuole dire. Mi precipito verso la stanza trecentoventi dove da due mesi è ricoverata mia nonna. Il cancro ha deciso di farle visita alla veneranda età di ottantacinque anni. Intorno al letto ci sono Henry il mio primario e due infermiere. Mi avvicino in silenzio; ogni parola sarebbe inutile. Mi basta scambiare un'occhiata con Henry e lui capisce, fa cenno a tutti di uscire, mi accarezza lievemente il capo e poi mi lascia sola con il mio dolore e con i resti di ciò che un tempo è stata la donna che mi ha cresciuta. CAPITOLO I Mi guardo intorno come se non riconoscessi più il luogo in cui sono cresciuta. In queste campagne fuori Boston ho trascorso tutta la mia infanzia e parte dell'adolescenza, in queste grandi stanze ho giocato con le mie amiche è ho inventato le mie fiabe, qui mia nonna Mary mi ha raccontato del suo mondo immaginario e con lei ho vissuto i miei momenti più belli. D'improvviso mi sento così sola. Nelle tre settimane trascorse dalla sua morte non sono ancora riuscita a trovare un momento per elaborare l'accaduto ed ora che mi trovo qui tutte le emozioni mi investono insieme. Piango. Per quasi mezzora i singhiozzi scuotono il mio corpo poi mi ricompongo e lentamente cerco di fare un po' di ordine tra gli oggetti appartenuti alla nonna. A giorni verrà un furgone a portare via le cose che ne io ne i miei genitori abbiamo intenzione di tenere. Impacchetto i vecchi abiti e li metto in alcuni scatoloni, ritiro i vecchi libri. Amava così tanto leggere. Una scatola grigia mi capita tra le mani, la osservo attentamente prima di aprirla. Dentro vi trovo una spilla a forma di foglia, verde con bordature d'argento ed un foglietto recante una scritta. Riconosco la calligrafia e gli strani simboli che spesso la nonna utilizzava. Ricordo che ogni domenica indossava quella spilla per venire a pranzo a casa nostra. Diceva che era il regalo di un lontano amore. Probabilmente di un amore mai dimenticato. Me la appunto sulla giacca nera che indosso, infilo nella tasca dei jeans il foglietto e continuo con il mio lavoro. Nonna Mary è sempre stata una donna strana con un'insana passione per gli elfi. Quando ero piccolina mi raccontava bellissime fiabe che narravano delle gesta del re degli elfi e del suo popolo, delle loro battaglie contro il signore delle tenebre e di un anello dai poteri magici. Si era persino inventata una lingua con tanto di grammatica e fonetica e non avendo nessuno con cui parlarla aveva deciso di insegnarla a me. Era diventato il nostro modo per comunicare senza farci capire. Facevamo lunghe chiacchierate nel nostro idioma segreto suscitando la curiosità ed a volte anche il disappunto dei miei genitori. Non ho mai conosciuto mio nonno, nonna Mary era rimasta sola prima che nascesse mia madre e non amava parlare dell'uomo che l'aveva abbandonata a metà della gravidanza. Data la sua mania degli elfi aveva dato a mia madre quello che secondo lei era un nome elfico, Elanor e anche a me era toccata la stessa sorte. Si era battuta strenuamente fino a quando non era riuscita a convincere mia madre a chiamarmi Anael, dono delle stelle. Accarezzo la spilla. In un modo o nell'altro la nonna e le sue passioni continuano a fare parte della mia vita. Trascorro l'intera giornata a riordinare la casa, fuori inizia a fare buio. Quello che è fatto è fatto, il resto attenderà il prossimo week end, lungo la settimana il lavoro in ospedale mi impegna a tal punto da non darmi tempo per dedicarmi ad altro. Ritorno al mio appartamento, mi concedo una lunga doccia e poi inizio a prepararmi la cena. Mangio guardando un DVD, il film è decisamente poco interessante e nel giro di poco sprofondo in un sonno agitato. Sogno mia nonna che balla con un gruppo di elfi poi la scena cambia, ci ritroviamo nel mio ospedale e lei è seduta su di un letto. “Questo è il tuo destino Anael” mi dice “Ennas ad estel (C'è ancora speranza)” io la osservo spaesata “Cosa intendi?” le chiedo “Capirai quando sarà il momento” mi dice e poi si dissolve in una nuvola di fumo. Mi sveglio di soprassalto. Le gambe mi fanno male, ho dormito tutta rannicchiata sul divano e adesso ne pago le conseguenze. Fuori il sole è già alto anche se sono solo le sei. Mi dirigo in bagno, mi sciacquo la faccia poi torno in cucina per accendere la macchina del caffè. Mentre la macchina si scalda cerco di fare un po' di ordine; piego i pantaloni che ho indossato ieri e li rimetto nell'armadio. Dalla tasca scivola a terra un foglietto. Lo raccolgo e lo osservo. È quello che ho trovato insieme alla spilla. “Lasto beth lamen. Utúlie'n aurë, sinome maruvan ar hidinyar tenn'ambar-metta (Ascolta le parole della mia lingua, il giorno è arrivato, qui io dimorerò ed i miei eredi dimoreranno fino alla fine del mondo). Lo leggo dapprima sottovoce, mi sento un po' stupida a pronunciare parole nella lingua immaginaria di mia nonna, poi lo ripeto aumentando il tono. Un po' mi dispiace di non poter più parlare questa strana lingua con qualcuno, forse un giorno la insegnerò ai miei figli... D'improvviso un brivido mi percorre e per un'attimo mi sembra che il sole si faccia più spento. Sospiro. Sto diventando scema. Faccio rapidamente colazione e corro al lavoro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo II

La settimana è trascorsa rapidamente e finalmente è sabato. Indugio un po' di più nel letto rigirandomi sotto il lenzuolo. Dalla finestra aperta entra una lieve brezza fresca. Mi alzo controvoglia ma le cose da fare sono tante, esco sul terrazzo e mi accendo una sigaretta. Il fumo riempie i miei polmoni dandomi stranamente una sensazione sgradevole. Rientro in casa spegnando la sigaretta a metà. Mentre mi accingo a riordinare la cucina la mia attenzione viene attirata da un rumore. Mi si ferma il cuore. C'è qualcuno in casa. Apro il primo cassetto cercando di fare il minor rumore possibile e prendo il coltello da cucina più grande che trovo. Mi tremano le gambe ma mi faccio forza e sporgo la testa per sbirciare nel corridoio. Un'uomo biondo sulla trentina osserva la porta della mia camera da letto dandomi le spalle. Ha un'arco sulle spalle. Resto pietrificata. D'improvviso si volta e mi ritrovo a fissare i suoi occhi. Sono azzurri e strani. Sollevo il coltello e lo punto contro di lui “Cosa... cosa vuoi?” riesco a mormorare. Lui mi osserva per un'attimo e poi tende le braccia mostrandomi i palmi “Uuma dela …...(non preoccuparti...)” Sono paralizzata e terrorizzata, lui si avvicina lentamente continuando a tenere le mani in vista “Lle quena i'lambe tel' eldalie? (parli la nostra lingua?)” Non capisco come sia possibile ma l'uomo che ho di fronte parla la lingua di mia nonna. “Leh... (Si...)” mi trema la voce “Mani naa essa en lle? (Come ti chiami?)” mi chiede “Anael” rispondo incerta “Chi diavolo sei?” gli chiedo in inglese. Lui scuote il capo “Mani?... (Che cosa?)” Non capisce la mia lingua? Com'è possibile? Sono frastornata. Che cavolo di ladro è?

Lo osservo meglio. Indossa una tunica verde scuro broccata sopra quelli che sembrano essere un paio di leggings grigi, stivali marroni fino a metà polpaccio. I capelli biondi sono lunghi fino a metà schiena e le due ciocche ai lati del viso sono legate dietro alla testa in un'elegante treccia. Sotto i capelli si intravvedono le orecchie allungate in una punta. “In quale regno mi trovo” mi chiede continuando a parlare la lingua della nonna “Regno?” lo guardo scoccata “Sei a Boston. Ma cos'hai fumato?” “Ascolta, non voglio farti del male, credimi. Qualche giorno fa si è aperto un portale che era chiuso da anni e sono stato mandato a controllare” “Un portale?” chiedo stupita. “Come fai a conoscere la lingua inventata da mia nonna?” chiedo. Lui mi osserva perplesso. “Non so chi sia tua nonna ma quello che parlo è Quenia, la lingua degli elfi, ed io mi chiamo Legolas” sono sempre più stupita “Sei stata tu ad aprire il portale?” Non riesco a capire a che cosa si riferisca poi mi torna alla mente una delle tante favole nella quale mia nonna apriva un collegamento con un mondo fantastico mediante una formula magica. Scuoto la testa, non può essere possibile. “Lasto beth lamen. Utúlie'n aurë...” inizio a ripetere la frase che ho letto su quel pezzetto di carta “Allora sei stata davvero tu” mi dice sorridendo ed aprendo le braccia “Non volontariamente... Io non pensavo... Non credevo... Ho letto un'appunto di mia nonna...” “Se non siamo nella Terra di Mezzo” incomincia lui “Dove siamo? E come fai a conoscere la mia lingua?” Faccio un respiro profondo, rientro in cucina e deposito il coltello sul top di marmo “Vieni” gli dico facendo strada verso il salotto “Siediti” Legolas mi segue in silenzio “Fin da quando ero bambina ho sentito fiabe sugli elfi ed il loro mondo. Credevo che mia nonna fosse un po' pazza, ma forse mi sbagliavo... La lingua che stiamo parlando me l'ha insegnata lei e credevo fosse la formulazione di una mente alterata...” Mi ascolta senza proferire parola “Lei mi ha spesso parlato di un portale ma non le ho mai creduto. È mancata un mese fa e riordinando le sue cose ho trovato il foglio con quella frase e... questa” estraggo dalla tasca della giacca della tuta che indosso la spilla a foglia. Lui allunga una mano come per volerla prendere poi si ferma “E' una foglia di Lorian, come l'hai avuta?” mi chiede. “Apparteneva anche questa a mia nonna” “Anch'io ne posseggo una, l'ho avuta da dama Galadriel...” lo osservo stupita “Mi ha spesso nominato questa donna nelle sue fiabe... Esiste davvero?” mi trema la voce “Certo! Insieme a Sire Celeborn regna sugli elfi” mi porto le mani alla testa, sono frastornata. Per alcuni minuti restiamo in silenzio, lui osserva l'ambiente spaesato. “Vuoi vedere il mio mondo?” mi chiede d'improvviso. Esito. Non so che fare, non so cosa aspettarmi. Alla fine decido. “Dammi il tempo di cambiarmi” sussurro. Corro in camera, mi infilo un paio di jeans ed una maglietta, mi lego in vita una felpa e torno in salotto. Legolas sta osservando con curiosità la televisione spenta. “Andiamo?” mi chiede non appena mi vede. Annuisco. Si avvicina a me, mi passa un braccio intorno alle spalle. Rabbrividisco a questo strano contatto. Mentre scandisce sottovoce alcune parole che non comprendo mi chiedo che cosa succederà e se quest'uomo non sia un'impostore. Per un momento la vista si fa offuscata e la testa leggera. Chiudo gli occhi. Quando li riapro mi ritrovo in un luogo mai visto prima. Un grande terrazzamento di pietra si apre di fronte a me ricoperto da un manto erboso, in lontananza un'immensa pianura contornata da alte cime montuose. Una leggera brezza scompiglia i miei capelli. Legolas accanto a me sorride. Mi fa segno di seguirlo. Appena mi volto mi trovo di fronte ad un palazzo scolpito nella roccia bianca, di fronte all'ingresso un'albero anch'esso bianco, ricoperto di fiori ondeggia nel vento. “Benvenuta a Minas Tirith” mi dice “Siamo in quella che può essere definita la nostra capitale” Minas Tirith. Mia nonna mi ha nominato questo posto così tante volte che mi sembra di essere già stata qui. “L'albero di Gondor” sussurro. Legolas mi rivolge un'occhiata “Conosci questo posto?” “Nei racconti... Nei racconti di mia nonna...Mi raccontava che sul trono c'era un... un ramingo... o qualcosa di simile” “Esattamente. Sire Aragorn governa saggiamente queste terre” sorrido. Mia nonna non era matta. Tutto quello che mi ha raccontato in tutti questi anni era vero. Lei è stata qui. Lei sapeva davvero. Seguo l'elfo all'interno del palazzo. Un tripudio di statue, arazzi e quadri mi accoglie nell'ampio salone in cui entriamo. Un'uomo ci viene incontro. Ha i capelli brizzolati che ricadono sulle spalle e due occhi azzurri penetranti. Indossa una tunica rossa con lunghe maniche nere, pantaloni e stivali neri. Al fianco porta una spada dall'elsa lucente. Legolas gli poggia una mano sulla spalla e l'uomo fa lo stesso con lui “Mae govannen Legolas” esclama “Mae govannen, lei è Anael, la giovane donna che ha aperto il portale” si volta verso di me “Anael lui è Aragorn” Mi stringe la mano. La sua stretta è decisa ma gentile. I suoi occhi brillano come zaffiri. Nonostante sia il sovrano di questo regno non mi mette per nulla a disagio. Mi sorride. “Saesa omentien lle, Aragorn” “Conosci la lingua degli elfi? Impressionante!” mi dice in inglese perfetto “Sua nonna le ha insegnato la lingua” spiega Legolas per me “Probabilmente è stata qui in tempi passati” Aragorn torna a rivolgere su di me la sua attenzione “Qual'è il suo nome?” “Mary Collins” rispondo. Sul suo viso si apre un sorriso “Sei la nipote di Mary Formenis!!” esclama con un moto di gioia. Lo guardo con aria interrogativa “Perché Formenis, donna del nord?” “E' comparsa a nord la prima volta che è giunta qui dopo aver aperto il portale. Ha vissuto diverso tempo con gli elfi del bosco di Galadriel. L'ho conosciuta bene. E' una donna forte. Come sta?” Abbasso gli occhi “E' morta un mese fa” sussurro. Il sorriso di Aragorn si spegne “Mi dispiace. Era una donna forte. Pregherò per il suo spirito” “Andiamo” esclama d'improvviso Legolas “Se ti va ti porto a fare un'escursione della città! Lasciamo il re ai suoi impegni”. Mi congedo da Aragorn con un sorriso e mi allontano con l'elfo. Mentre scendo lentamente l'ampia scala di pietra che conduce alla città bassa sento gli occhi del re sulla mia schiena mi volto, lui mi osserva e mi saluta ancora con un cenno della mano.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La città di Minas Tirith è affollata ma fredda, gli abitanti mi osservano con interesse e con disappunto. Mi pare di essere stata catapultata in un mondo di fiaba ma non è una bella sensazione; mi sento straniera. Effettivamente è quello che sono. Passeggiamo lentamente lungo gli ampi viali alberati su cui si affacciano alte case di pietra bianca. Mi giungono suoni e profumi finora a me sconosciuti. Dapprima mi sento così a disagio da non essere in grado di proferire parola poi piano piano mi faccio coraggio “Raccontami di questo luogo” dico a Legolas senza però trovare la forza di guardarlo negli occhi. Lo sento sospirare accanto a me “La storia delle genti che popolano questa terra è stata travagliata... Tre anni fa c'è stata una guerra che ha visto coinvolti uomini ed elfi contro l'esercito del signore oscuro di Mordor. E' stata una difficile e sanguinosa battaglia ma ne siamo usciti vincitori; da allora, sotto la guida di Aragorn regna la pace in tutta la Terra di Mezzo” mentre racconta trovo la forza di sollevare gli occhi da terra ed osservarlo. Il suo viso è dolce, i lineamenti regolari, la pelle così liscia da sembrare marmo, i capelli hanno il colore dell'oro e si muovono sinuosi nella brezza leggera. I suoi occhi incontrano i miei e sorride “Fino ad un mese fa la mia vita trascorreva tranquilla a Imaldris o Gran Burrone, nella zona nord della Terra di Mezzo, poi sono stato chiamato qui da Aragorn. Alcuni degli uomini del mio signore Elrond ed alcuni soldati di Gondor sono caduti in un profondo sonno al ritorno da una missione che li ha portati ai confini di quello che un tempo era il regno di Mordor. Aragorn voleva un mio parere ma ne io ne i cerusici di corte sappiamo che cosa fare” lo osservo pensierosa “Se qualcosa di quello che ho detto ti risulta oscuro fammelo sapere!” mi dice. Scuoto il capo “E' tutto chiarissimo! Mi sembra di essere sempre stata qui!” indugio un momento persa nei miei pensieri “Questi soldati... sono stati feriti?” chiedo “No. E' questo il mistero! Non hanno alcun tipo di lesione, hanno la febbre alta ed i loro corpi si sono gonfiati... Deve essere un qualche maleficio...” “Posso vederli?” gli chiedo timidamente “Non è curiosità, è che... nel mio mondo io sono un medico... un guaritore”. Legolas si fa pensieroso “La medicina elfica non è riuscita a fare nulla per loro, Gandalf nemmeno. Puoi tentare, se vuoi” poi torna ad osservarmi. “Prima però, dobbiamo modificare un po' il tuo aspetto. Sei troppo... strana vestita così. Ça gente faticherà ad accettarti” mi dice ridendo. Quando ride i suoi occhi azzurri si fanno ancora più luminosi.

Mi conduce in una bottega a dir poco pittoresca dove vengo accolta da un'infinità di abiti. Li osservo con attenzione. Dopo averne provati diversi ne scelgo uno verde scuro con bordature dorate che si abbina in modo perfetto ai miei capelli rossi. Legolas salda il conto per me. Sono imbarazzata e non ho idea di come sdebitarmi ma lui non sembra curarsene. Mi conduce nuovamente al palazzo del re. Salire le scale non è molto agevole con questo vestito ma almeno nessuno mi osserva più con curiosità a causa del mio abbigliamento. Quando arrivo alla grande terrazza di pietra ho il fiato corto. Maledico il mio continuo rimandare l'iscrizione in palestra. Camminiamo lungo corridoi che sembrano labirinti per un tempo che mi pare infinito. Davanti a noi si apre una piccola stanzetta dai muri affrescati con alcune seggiole ai lati ed una grande porta di legno intersiato nella parete sud, di fronte ad una finestra alta e stretta si trova Aragorn. Quando ci avviciniamo si volta verso di noi, sorride, ma posso leggere la preoccupazione sul suo viso. “Perdona questa improvvisa visita ma Anael mi ha comunicato di essere un cerusico e vorrebbe dare un'occhiata ai soldati malati” sorrido con imbarazzo “Non so se sarò in grado di fare qualcosa ma può darsi che la scienza medica del mio mondo possa aiutarvi” sussurro. Io lavoro in un reparto di cure palliative da diversi anni ma ho fatto esperienze anche in altri settori durante il corso degli studi. Non ho idea di che cosa mi troverò davanti ma sento in coscienza di dover fare almeno un tentativo. Forse può essere un modo per ripagare mia nonna per averla creduta una bugiarda. Aragorn fa pressione sulla porta di fronte a noi che si apre lentamente. La stanza è buia ed odora di chiuso e di morte. Attendo che gli occhi si adeguino alla penombra. Scorgo otto letti, quattro per parte, sui quali sono distesi otto uomini immobili, il loro respiro è rapido ed irregolare. Muovo alcuni passi nella stanza e mi avvicino ad uno dei letti. I lineamenti dell'uomo di fronte a me sono alterati dal gonfiore ma lasciano trasparire quella che una volta era la sua bellezza, i capelli fulvi ricadono arruffati sul cuscino. Il suo petto si muove rapidamente. Gli tasto il polso, ha la frequenza cardiaca elevatissima. Aragorn si avvicina a me “Quest'uomo è Faramir figlio di Denetor, comandante di Gondor. E' in questo stato da una settimana circa. Gli altri sono nelle stesse condizioni” mi sussurra all'orecchio “Avete qualche strumento con cui posso sentire il cuore ed i polmoni a questi uomini?” lui scuote il capo “Dobbiamo chiedere a Gandalf” mi sussurra. Sospiro e lo seguo fuori dalla stanza richiudendomi la porta alle spalle.

Il re ci fa strada fino ad una stanza posta a lato della sala del trono, bussa alla porta ed attende in silenzio. La figura dello stregone bianco mi abbaglia, è ancora più imponente di ciò che mi aveva raccontato nonna Mary. Emana una strana aura di austerità frammista a pace. Mi studia per un lungo istante prima di parlare “Ho già veduto il tuo volto” mi dice indicandomi con il suo bianco bastone “Lei è Anael, nipote di Mary Formenis, Gandalf” esordisce Aragorn “E' giunta a noi tramite un portale. Nel suo mondo è un cerusico e vorrebbe visitare i soldati malati” “Mi chiedevo se...” intervengo io “Se... non avesse qualche strumento che mi permetta di studiarli un po' meglio. Che so, uno stetoscopio...” Il mago mi lancia un'occhiata di disappunto “Vieni, vediamo cosa riusciamo a trovare” mi dice facendomi strada all'interno della polverosa stanza. Rovista per alcuni minuti all'interno di alcuni bauli di metallo poi d'improvviso si ferma e si volta verso di me “E così sei la nipote di Formenis! Sono passati molti anni dall'ultima volta che l'ho vista” “Mi ha parlato molto di questo posto... o meglio mi ha raccontato molte fiabe in proposito ed io sempre creduto che non si trattasse di null'altro... fiabe per l'appunto... ho dovuto ricredermi” “Mai dubitare dei propri cari” mi ammonisce. Vorrei spiegargli che nel mio mondo le cose non funzionano proprio così ma sorvolo. “Sai di portare un nome elfico, non è vero, Anael?” “Così mi hanno detto” sussurro “E sai anche il suo significato?” “Si. Vuol dire dono delle stelle” lui sorride “Sei una donna speciale, destinata a grandi cose...” storco il naso “Non credo proprio...” “Abbi fede giovane elandili e vedrai” mi dice poggiandomi una mano sul capo “Ecco qui” aggiunge “Forse ho trovato qualcosa che può servirti”. Mi mostra due strani oggetti. Uno, un tronco di cono di metallo e pelle, ricorda un rudimentale stetoscopio, l'altro, composto da una serie di cristalli sovrapposti mi è totalmente sconosciuto. Afferro il primo e ringraziando ritorno verso la stanza adibita a piccolo ospedale. Mentre cammino rapida sento gli sguardi dei due uomini che mi hanno attesa seguire il mio corpo lungo il corridoio.

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