Tienimi per mano

di miss moonlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Famiglia, rapporti, amici. ***
Capitolo 3: *** Serata al Cat Scratch club ***
Capitolo 4: *** Come un esercizio di matematica ***
Capitolo 5: *** Un passo nel suo mondo ***
Capitolo 6: *** Love is only a feeling ***
Capitolo 7: *** Un'amicizia che sa d'amore ***
Capitolo 8: *** Tutto nelle mie mani ***
Capitolo 9: *** Scintille ***



Capitolo 1
*** L'inizio di tutto ***



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L'amore non si rivela e perciò è luminoso;
l'amore non mena vanto e perciò la gente si fida di lui;
l'amore non è orgoglioso di sé e perciò è governatore tra gli uomini;
poiché l'amore non lotta, nessuno al mondo può lottare contro di lui.


Prologo.

"Ah, ed ecco qui la coppia più bella del mondo!"
Bunny sorride ed evita l'obiettivo che Marta le sta puntando addosso.
"Smettila, Marta!!!" dice ridendo e nascondendosi dietro la mia spalla..
"Uh, sono stanca di vedere sempre telecamere puntate su di me. Oggi tocca a voi!" risponde lei entusiasta per poi prendere un falso tono da giornalista. "Allora Bunny, siamo qui e aspettiamo la mezzanotte per festeggiare il tuo compleanno. Racconta un po' ... Come ti senti?"
Marta fa uno zoom sul suo volto. E' bella, bella, bella.
"Posso dirti che sono la donna più felice del mondo. Ho un marito meraviglioso. Ogni donna vorrebbe un uomo del genere accanto..." mi lancia uno sguardo divertito.
"Nessuna può competere con te, amore!" le dico io sfiorandole la guancia e dandole un bacio sulla fronte.
"...e tra un mesetto la nostra vita coniugale sarà allietata da un bel bambino, o bambina, che non farà altro che tenerci svegli per un bel po' di notti!" conclude entusiasta, sfiorandosi il ventre.
I suoi occhi brillano dall'emozione mentre mi guarda, così la bacio e con un cenno cerco di mandare via Marta dicendole: " Lascia stare mia moglie, vai a torturare qualcun'altro con le tue interviste."
Sembra prendere sul serio la mia richiesta, e dopo averci ripresi per qualche altro secondo, si allontana e l'inquadratura cambia.

Stop.
Fermo il video a questo punto, dove l'immagine felice della mia famiglia riempie lo schermo.
Riguardo spesso questa videocassetta.
Riguardo spesso questi momenti indimenticabili e non ne ho mai abbastanza.
Rimando indietro il nastro ancora una volta, così come i miei ricordi...

La storia che sto per raccontarvi parla di due ragazzi che non avevano niente in comune, ma che presto impararono ad amarsi. Nessuno avrebbe mai scommesso su di loro, eppure molti dovettero arrendersi davanti all'evidenza del loro amore. Un amore nato per caso, ma talmente forte che avrebbe sconfitto qualsiasi ostacolo.
Uno dei protagonisti sono io, Marzio Chiba, e l'altra è la ragazza che amerò per tutta la mia vita.
Tutto iniziò un bel po' di anni fa, il primo giorno di scuola dell'ultimo anno di liceo.





Capitolo 1 : L'incontro, l'inizio

Avevo diciannove anni, frequentavo il quinto anno del liceo linguistico, ed ero il ragazzo più popolare di tutto l'istituto. In quell' edificio pronunciare il nome Marzio Chiba era come pronunciare il nome di un Dio. La mia fama con le ragazze era a dir poco scontata, chiunque guardandomi avrebbe potuto intuirlo. Un giovane ragazzo ribelle, bello, alto, con gli occhi azzurri, spalle larghe e capelli neri non passava di certo in osservato, specialmente se poi era il leader del suo gruppo di amici.
Come tutti i ragazzi della mia età avevo il mio giro di amicizie, formato principalmente da Moran, il mio migliore amico, che stava con Heles, la ragazza più maschilista che avessi mai conosciuto. La loro relazione era un mistero per tutti e anche per me.
Poi c'era Seiya, che aveva un ruolo ben preciso, ovvero rimediarci "sballo e divertimento". Ancora oggi, non so dire se abbia mai avuto una storia che sia durata più di due mesi. Cambiava ragazza in continuazione, le sfruttava e quando non gli servivano più le buttava via.
Yaten e Taiki, che erano suoi cugini, non frequentavano la nostra scuola perché erano più grandi di noi ma di certo non erano più responsabili. Infine c'era Rea magra e dalle forme perfette, bella da far paura. Da anni nutriva una cotta per me, lo sapevo, ma mi limitavo a lasciar intendere che tra di noi ci fosse una classica frequentazione.
Eravamo nella stessa classe da quando iniziammo il liceo, ma quell'anno a causa del nostro "comportamento poco consono " al luogo in cui ci trovavamo, il consiglio didattico aveva deciso di dividerci in varie classi. Per me non era un gran problema, dopo la scuola mi sarei comunque rivisto con i ragazzi, ma l'idea di essere trattato come un bambino non mi andava a genio.
Perciò la mattina del primo giorno di scuola, me ne stavo seduto nervosamente all'ultimo banco della classe osservando dalla finestra gli altri ragazzi all'entrata, elettrizzati di iniziare il nuovo anno scolastico. In lontananza, invece, vedevo i pullman arrivare stracolmi di gente che scendeva alla fermata.
Seccato, distolsi lo sguardo, concentrandomi a scarabocchiare il nuovo quaderno, mentre la classe iniziava a riempirsi. Era questione di giorni e poi l'entusiasmo che tutti avevano si sarebbe trasformato in noia, seccatura e svogliatezza.
A differenza loro, però, io tutto ciò lo provavo dal primo minuto in cui avevo messo piede in quell'istituto.
Una ragazza, dalla voce delicata e lieve quasi come un sussurro, mi distolse da quei pensieri.
-Scusami, posso sedermi qui?- mi chiese.
-Fa pure.- Non mi presi neanche la briga di alzare lo sguardo quando le risposi.
Si sedette, percepii ciò dal rumore della sedia e riuscii a sentire una delicata fragranza…
-Piacere, io sono Bunny! Non hai mai frequentato questa classe, come mai sei qui?- era evidente che fosse curiosa, ma per me era una giornata nera. Se mi ero seduto infondo all'aula un motivo c'era, ed era quello di evitare di conversare e rispondere a domande di questo tipo. Ma alzai lo sguardo e per la prima volta la vidi.
Era una ragazza dai lunghi capelli biondi legati in due insoliti codini, le iridi azzurre e dal viso delicato. La sua pelle chiara faceva risaltare ancora di più il colore dei suoi occhi e le sue labbra sottili e rosa, sul volto aveva un leggerissimo filo di trucco.
-Motivi personali.-
-Capisco...-
Mi guardò per un attimo ancora, poi tornai al mio quaderno impaziente che la lezione iniziasse e che la giornata passasse il più presto possibile.
- Non mi hai detto il tuo nome...- mi fece notare, e sentii il suo sguardo su di me.
- Non lo conosci già come tutti gli altri?- le chiesi voltandomi a guardarla.
-Si, ho sentito parlare tanto di te. Ma credo che ogni tanto sia bello potersi presentare da soli e dare alla gente un'impressione che per una volta non sia condizionata dal giudizio altrui. Di solito quando le persone credono di conoscere qualcuno, anche solo se ne sanno il suo nome, sono convinte di sapere persino come sia fatto e quando ne parlano accompagnano spesso le loro parole con pettegolezzi, facendo così nascere negli altri dei pregiudizi.-
- Questo sarebbe un modo carino per dirmi che sul mio conto si dicono molte cose negative?- cerca di tirare le somme da quella risposta a ruota libera.
- Questo dovresti già saperlo tu... Però io non ci faccio molto caso, comunque...-
- Marzio Chiba.- le dissi porgendole la mano, prima che potesse continuare a parlare di cose di cui non mi importava.
La vidi illuminarsi con un sorriso, poi afferrò la mia mano:
- Piacere mio, Marzio.-
Stava per dirmi qualcos'altro, ma fu interrotta da qualcuno che la chiamò.
- Bunny! Sono contento di rivederti, amica mia! -
- Ubaldo! Sei tornato dalla Spagna, finalmente! -
Quando mi voltai verso la porta di ingresso e vidi Ubaldo, mi portai una mano alla fronte. Peggio di così non poteva andare, pensai.
Ubaldo Gurio era da sempre conosciuto come il ragazzo più sfigato e secchione della scuola. Tutti lo evitavano, comprese le ragazze che non provavano la minima attrazione fisica per lui.
Non avevano tutti i torti, Ubaldo era un ragazzo dalla corporatura esile e dalla pelle chiara. Il suo abbigliamento risaliva agli anni del dopo guerra e  come se non bastasse, portava sul viso un paio gigantesco di occhial tondi con i quali se ne andava a spasso per biblioteche o librerie. Aveva talento per i numeri e una strana passione per i cubi di Rubik. Per molti anni era stato il bersaglio preferito del nostro gruppo e continuava ad esserlo.
- Salve, Ubaldo. - lo salutai, con un tono divertito, quando si avvicinò. Per chissà quale strano motivo, quel giorno indossava una camicia a quadrettoni, rigorosamente infilata nei pantaloni che gli arrivavano fin sopra l'altezza dell'ombelico.
- Marzio? Che ci fai qui? -
- E' una novità per tutti, Marzio sarà un nostro nuovo compagno! - gli spiegò subito Bunny.
- Non sei contento?-  gli chiesi - Io tanto! Saprò a chi chiedere consigli per l'abbigliamento d'ora in poi! Ho notato la tua camicia. Carina! Da quale negozio di antiquariato l'hai tirata fuori?-.  Divertito, notai Bunny guardarmi a bocca aperta, poi lei tornò ad Ubaldo, cambiando argomento.
- Raccontami della Spagna! Hai passato lì le vacanze estive, è stato divertente?-
Ubaldo indugiò ancora per qualche istante, descrivendo brevemente la sua vacanza all'estero e poi chiese a Bunny di passare con lui la pausa, affinché potesse raccontarle meglio tutto. Lei accettò e quando lui si allontanò per tornare al suo posto, si voltò verso di me infuriata.
-Si può sapere perché lo hai fatto? - mi chiese.
- Fatto cosa? --
- Prenderlo in giro in quel modo! Sei stato scortese! -
- Volevo divertirmi un po’...- le dissi insofferente - Non ci trovo nessun problema. -
- Hai ferito i suoi sentimenti! Ubaldo è un ragazzo molto sensibile e...- si fermò perché io scoppiai a ridere. Le sue parole erano assurde.
- Non starai dicendo sul serio, spero! -
- Certo che parlavo sul serio! -
- Sei proprio una testolina buffa... Non ridevo così da chissà quanto! -
Vidi brillare nei suoi occhi una strana scintilla di irritazione, poi mi rivolse le spalle con uno scatto.
La campanella suonò accompagnata da un sospiro generale tra i ragazzi, poco dopo la professoressa Arianna entrò salutando tutti. Prima di iniziare la lezione, si dilungò molto parlando degli esami di stato che in quell'anno avremmo dovuto affrontare, sulle responsabilità che ognuno di noi si sarebbe assunto dopo, decidendo di frequentare l'università o dedicandosi al mondo del lavoro o alla famiglia. Ci fece chiaramente capire che la nostra vita sarebbe cambiata e che stava a noi a decidere come e in che modo.
Annoiato da quei discorsi, guardai i volti dei miei nuovi compagni che sembravano assorti. Inevitabilmente mi soffermai su Bunny.
Aveva gli occhi che le brillavano e il suo viso nascondeva a malapena l'entusiasmo che provava. Immaginai che sicuramente stesse pensando ai suoi sogni, ai suoi progetti.
Io non avevo bisogno di farlo. La mia strada era stata segnata per me già fin dalla nascita. Avrei ereditato l'azienda di mio padre e avrei seguito le sue orme, così come fece lui quando mio nonno gli lasciò il posto.
La professoressa concluse il suo piccolo discorso, augurandoci un buon anno scolastico e diede inizio alla lezione.

Le prime ore passarono in fretta. Trattandosi del primo giorno, le lezioni erano per lo più introduttive sul programma che avemmo trattato durante il corso dell'anno. Di tanto in tanto notavo la mia compagna di banco scrivere su un piccolo quaderno colorato. Non mi aveva più rivolto una parola.
Appena iniziò la pausa, mi precipitai nella mensa, dove trovai Moran già seduto al tavolo con Seiya.
Mi avvicinai e scontrai il pugno destro con entrambi.
-Allora, sei sopravvissuto eh? Seiya mi ha informato, sei nella stessa classe di Ubaldo...-
- E' stato fortunato - intervenne lui - Avrà i compiti già fatti tutte le volte che vorrà!-
- Non credo che mi abbasserò a quei livelli. - Ma ne posso approfittare durante qualche compito in classe. Stanno arrivando Heles e Rea.- dissi notando le ragazze avvicinarsi.
Rea si sedette accanto a me e passammo i minuti seguenti a parlare di svariati argomenti. Ad un certo punto, sentii la mano di Rea spostarsi sulla mia gamba. Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò sensualmente: - Mi sei mancato stanotte. E anche le precedenti. E' quasi una settimana che mi sveglio cercando il tuo corpo accanto a me, sai?...-
Non le risposi, ero abituato a quel genere di atteggiamenti da parte sua.
- Questo pomeriggio ho la casa libera...- continuò -... è tutta per noi.- posò le labbra dietro il mio orecchio.
Mi scostai infastidito, sapeva che non tolleravo certi atteggiamenti in pubblico.
- Sentiamoci dopo, ti chiamo io...-
Non si offese e riprese a parlare con gli altri. Ad un certo punto Seiya, che fino ad allora non aveva fatto altro che intervenire nei discorsi con rutti fuori luogo, mise da parte il suo panino e indicò un punto alle mie spalle.
- Guardate lì! Ubaldo si è fatto la ragazza!-
Moran, che gli sedeva affianco, scoppiò a ridere. -Chi è la tipa? -
- Io la conosco- intervenne Heles - suo padre è l'ispettore di polizia, abita quasi fuori dal paese.-
Seiya fece una faccia indignata: - Figlia di uno sbirro... tanto meglio! Marzio non guardare, se suo padre è chi pensiamo che sia, non dovrebbe aver nulla di interessante.- rise alludendo alle nostre bravate.
Incuriosito mi voltai e rimasi quasi incredulo. Nonostante fosse consapevole che in quel momento era sotto lo sguardo della maggior parte dell'istituto, Bunny non aveva mancato di parola all'amico. Stava passando la pausa insieme ad Ubaldo.
- Che altro sai di lei?- chiesi ad Heles.
- Non molto altro in realtà. Voti nella media e lo scorso anno ha donato una piccola vincita della lotteria alla casa famiglia in cui l'ho vista andare qualche volta. -
Moran la guardò a bocca aperta: - Voi donne sapete più cose di un centinaio di uomini messi insieme! Heles mi fai paura!-
-Spettegolare tra amiche è un'abilità che io e Heles abbiamo fin dalla nascita- intervenne Rea.
Seiya si fece il segno della croce è imitò una suora: - Fratello Marzio, come mai ti interessa la sorte della nostra cara sorella Bunny?-
-Smettila idiota!- gli lanciai il cartoccio del mio panino. Sfortunatamente lo schivò e andò a colpire un ragazzo del primo anno seduto dietro. Quando si voltò infuriato, gli basto mezz'occhiata per fargli capire che era meglio lasciar perdere. - volevo saperne di più dato che è la mia compagna di banco!-
- Mi sono stufato... Vado a divertirmi un po’, state a guardare!!! -
Lo vidi alzarsi con uno scatto, mi passò accanto e si diresse dall'altra parte della mensa dove, seduti a chiacchierare, c'erano Bunny e Ubaldo.
Mi alzai e gli corsi dietro: - Dove vai, stupido? Torna qui! -
Fu troppo tardi, quando lo raggiunsi lo stava già salutando.
- Ubaldo, amico! Come vanno le cose? - gli disse poggiandogli la mano sulla spalla.
- Ciao, Se...- deglutì - ... Seiya. Tutto bene, grazie.-
Afferrai Seiya per il braccio, cercando di convincerlo ad andar via: - Lascia stare, andiamo.-
- E questa signorina, Ubaldo? Non la presenti al tuo amicone? -
Nel momento in cui l'attenzione di Seiya si spostò su Bunny, Ubaldo chinò la testa e diventò rosso dalla vergogna mentre lei restò tranquilla e quando Seiya si sporse verso di lei, lo salutò gentilmente.
- Non si fa così, amico. Avresti dovuto presentarmi la tua ragazza! Non puoi tenere un fiore così bello tutto per te...-
Il solito idiota, pensai.
Lo sfortunato si rianimò a quelle parole. - Bunny non... non è la mia ragazza!-
- Sono solo una sua amica, Seiya.- chiarì lei.
Seccato da quella sceneggiata decisi di intervenire: - Bene, ora che vi siete presentati possiamo anche andare, le lezioni stanno per ricominciare.-
- Un'ultima cosa, Marzio. Ubaldo, sai quanto io tenga a te...- disse ironicamente e con un finto tono dispiaciuto Ma quella camicia è...-
- ...E' meravigliosa! – ridendo, terminai io la sua frase, tirandolo per il braccio e voltandomi per andarmene.
- Perché non la indossi tu, Marzio? -
- Bella battuta, testolina buffa - le risposi.
- Non era una battuta.-
La guardai confuso e lei continuò : - Hai detto che ti piace, indossala fino alla fine delle lezioni. Scambia la tua maglietta con la camicia di Ubaldo.-
Il suo sguardo determinato mi fece chiaramente intuire che non stava scherzando.
- Bunny, hai ragione! Marzio, dovresti indossarla! -
Fulminai Seiya con un’ occhiata.
-Su che ti prende? Non puoi tirarti indietro!-
- Ma sei impazzito anche tu o cosa? - dissi, ma Seiya si rivelò un nemico. Non avrebbe perso l'occasione con la quale avrebbe potuto sfottermi a vita.
- Arrenditi e dirò a tutti che hai rifiutato una sfida da una ragazza... Pensa un po'... Il grande Marzio Chiba che perde contro una ragazza.- rise spudoratamente. Ma se la metteva su questo piano, non potevo tirarmi indietro.
- Alzati, Ubaldo.- gli dissi - Andiamo a cambiarci.-

Tornai in classe pochi minuti dopo. Avevo lasciato la camicia di Ubaldo slacciata e aperta sopra la maglietta nera interna, a maniche corte. Mi sedetti al mio banco e guardai davanti a me, deciso ad ignorare la mia compagna.
- Non fare quel muso. Mi sembra che sia piuttosto piccola, altrimenti ti starebbe benissimo! -
Chissà perché iniziai a irritarmi al suono della sua voce.
- Questa volta te lo chiedo io, testolina buffa. Che motivo c'era per mettere in scena questa pagliacciata? -
Sospirò :- Ubaldo non ha fatto niente di male per meritarsi un tale comportamento da parte vostra. Magari interverrò ogni volta che ne avrò la possibilità.-
- Saresti la nuova paladina della giustizia, quindi? -
Per un attimo riuscì a reggere il mio sguardo irritato, poi scosse la testa e rise.
- Forse...- disse tornando a scrivere sul suo quadernetto colorato e io lasciai cadere l'argomento.
Per tutta la giornata non parlammo più, ma da quel giorno qualcosa cambiò.
Bunny entrò così nella mia vita... come un piccolo uragano, destinato a cambiarla per sempre



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Tornata dopo una stagione, con questo capitolo solo per voi!!! :) ... e una nuova sfida tutta per me! Come avrete notato mi sono distaccata dal mio solito stile e usato il mio adorato Marzio come voce narrante! :)
E dopo lunghe notti insonni a pensare e definire ogni particolare, ecco qui il primo capitolo!
Che effetto vi fa vedere Marzio in questi nuovi panni? Per una volta ho deciso di sconvolgere il suo carattere...
E di questa nuova Bunny studiosa e "strana" ? :)
Si sa, il primo capitolo lascia sempre un pochino spiazzati e spero di aver suscitato in voi un po' di curiosità tanto da invogliarvi a seguirmi nei prossimi capitoli, dove tutto prenderà nuove forme e verranno a galla nuovi aspetti!
Come avrete capito dalla dedica, sono particolarmente legata a questa mia nuova fanfic e per questo spero di dare sempre il meglio e di riuscire a trasmettervi qualcosa.
Mi piacerebbe perciò capire cosa ne pensate, se avete dei suggerimenti e altro.
Miss moonlight è tornata più carica di prima!!! ;)
Grazie a tutti voi che dedicherete il vostro tempo a me!
Un bacio!

p.s : se ne avete voglia, seguitemi anche sulla mia pagina su facebook : http://www.facebook.com/pages/-Il-piccolo-spazio-di-miss-moonlight-/147980305296643

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Capitolo 2
*** Famiglia, rapporti, amici. ***


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Ero cresciuto in una piccola città a pochi chilometri dal mare con graziose caffetterie che si dividevano per le strade centro, negozi indipendenti e modesti locali. I cittadini tra di loro si conoscevano, un caffè preso al bar spesso diventava un ottimo pretesto per ricevere un dettagliato riassunto degli ultimi pettegolezzi che avevano interessato il paese.
Per noi ragazzi nel fiore degli anni tutto ciò era abbastanza fastidioso e per il fine settimana sceglievamo spesso di spostarci in paesi limitrofi, più aperti alla movida e con locali ad hoc per chi cercava un tipo di divertimento un po’ fuori dalle righe.
Abitavo a Charlsetown, una cittadina americana del Rhode Island che contava poco più di settemila e cinquecento anime. La villa di famiglia si trovava appena fuori il paese, dopo le lezioni mi bastavano pochi minuti in auto per raggiungerla.
Si presentava con un grande giardino e un perimetro tracciato da un muretto in pietra arenaria, che si congiungeva con un alto cancello in ferro battuto.
Passando per l’ingresso, cercai di capire se ci fosse qualcuno della mia famiglia. Nel piano inferiore vi era un ampio salotto, uno studio per il lavoro, la cucina nella quale mia madre non aveva tralasciato il minimo elettrodomestico, un bagno di servizio e un salone che veniva usato nelle grandi occasioni, come i pranzi di Natale o le noiosissime cene d'affari che mio padre organizzava invitando altri imprenditori e chiedendomi di partecipare, affinché potessi entrare più a contatto con il dinamico mondo imprenditoriale. Avvertì solo la presenza del personale di servizio sul piano superiore, dove vi erano tutte le camere da letto, il bagno con la Jacuzzi ed una stanza che io e mia sorella avevamo arredato per lo svago, portando il tavolo da biliardo, divanetti e svariate alternative per intrattenerci in compagnia di amici.

Come immaginavo, dovetti pranzare da solo anche quel giorno.
Mio padre era in azienda e dubitavo seriamente che sarebbe tornato presto. La Chiba Technology Service era per lui quasi come una seconda casa. Aveva investito denaro e tempo da quando ereditò il piccolo progetto di mio nonno, riuscendo a trasformarlo e portando l’azienda sul mercato internazionale. Ricordo che da piccolo passavo anch'io delle ore con lui nel suo ufficio, portando con me le macchinine che era solito regalarmi. Stavo sul tappeto e spesso gli chiedevo di giocare con me, ma si limitava ad un sorriso e a chiedermi di aspettare perché era molto occupato a sbrigare alcune faccende. Passarono gli anni, smisi prima di chiederlo e poi di andare da lui.
Non avevo un buon rapporto con mio padre. Non ricordo precisamente da quando, ma ad un certo punto i nostri dialoghi iniziarono a basarsi soprattutto sulle ramanzine che arrivavano ogni volta che era costretto a tirarmi fuori dai guai, oppure, su quanto fosse importante che terminassi gli studi per poi ereditare l'azienda che tanto amava. Iniziò seriamente a temere che non me ne importasse niente soprattutto dopo che riuscii a farmi espellere dall'istituto Mugen, uno rinomato istituto privato che formava esperti in economia e giovani manager.
Mia madre di tanto in tanto lo seguiva nei suoi viaggi d'affari, ma lei con il suo amore e la sua pazienza nella mia vita era il pilastro fondamentale, così come in quella di mia sorella Marta.
La mia svampita e estroversa sorella, il mio lato opposto. E' una famosa modella, aveva accettato un contratto di lavoro che l’aveva portata dall’altra parte del mondo, sulle spiagge americane, a sfilare e pubblicizzare la linea di costumi da bagno di una famosa stilista. Con il passare degli anni eravamo riusciti a instaurare un rapporto meraviglioso, fatto di complicità e affetto fraterno. Rido ancora ripensando a quante volte sono stato io a tirarla fuori dai guai e quante altre, da sorella maggiore e premurosa, ha cercato di farlo lei. In qualsiasi parte del mondo si trovasse, il nostro legame sfidava la distanza, sapevo che avrei potuto sempre contare su mia sorella.
Terminato il pranzo, mi diressi in camera mia e mi abbandonai sul letto. L'impianto stereo era una delle cose buone che mio padre mi aveva regalato. Alzai il volume e mi lasciai coinvolgere dagli assoli di chitarra e dal ritmo incalzante della musica rock. The kids aren't alright del gruppo The Offspring si diffondeva nella mia stanza mentre mi perdevo in una serie di pensieri, la maggior parte rincorrevano quanto era successo quella mattina.
Perché ero stato persuaso così facilmente a cedere a quella stupida scommessa?
Indubbiamente aveva influito Seiya, aveva posto la questione come se fosse una sfida e conosceva benissimo la mia indole, non mi sarei tirato indietro davanti a qualcosa che metteva in evidenza i miei possibili limiti. Io non li accettavo.
Bunny, l’incentivo. La conoscevo da appena poche ore e aveva osato fare quanto nessuno aveva mai osato nella sua stessa situazione. A cosa si era appigliata? Per quale motivo mi aveva scelto come suo obiettivo? Per la prima volta mi ero ritrovato nella situazione inversa, non ero più quello che si divertiva a prendere qualcuno di mira, ero il bersaglio.
Questi e altri interrogativi si susseguivano senza logica nella mia mente, fin quando la porta della mia stanza fu spalancata  senza preavviso, con mia grande irritazione.
Entrò Yaten con entrambe le mani sulle orecchie e la bocca che sbraitava qualcosa che mi era incomprensibile, la sua voce era coperta dal rumore delle chitarre e della batteria. Abbassai il volume.
-Com'è che ancora non ti si sono rotti i timpani con questo chiasso assordante?- disse lasciandosi sprofondare sulla poltrona accanto al letto.
-Ciao anche a te, Yaten. A che devo l'onore di questa visita?-
-Siamo di cattivo umore oggi vedo.-
-Sono solo seccato, tutto qui...-
-Non mi offri neanche da bere? – sbuffò.
Gli indicai il minibar alla sua sinistra : - Serviti pure.- ma aveva già fatto da solo.
Mi passò una birra che accettai senza problemi.
- Seiya ha trovato un bel posto per passare la serata.-
- Quale? - gli chiesi.
- Il Cat Scratch Club, non è molto distante da qui. Organizzano diverse serate a tema e a quanto pare questa sera ci sarà uno spettacolo adatto a noi...-
Lo guardai sorridendo, avevo già capito che aveva in mente.
-... Spogliarelliste ! - esclamammo insieme.
- Sei dei nostri? -
- Certo, vengo con voi. -
- Bene! Anche perché ci servirebbe la tua auto...! -
- La mia auto? Pensavo che ognuno ci sarebbe andato con la propria dopo le ultime volte!- scossì la testa, non avrebbero messo piede sul Suv.
- Andiamo, Marzio. Sei l'unico che può guidare! A Seiya non hanno ancora ridato la patente e io Taiki faremmo meglio a evitare, abbiamo appena pagato la multa per aver superato i limiti di velocità la scorsa settimana. Andando per esclusione…-
-... rimane anche Moran! Non mi fido di voi. – la mia immaginazione corse alla carrozzeria nuova di zecca, la vidi ammaccata, i sedili di pelle color panna prendere sfumature di vino rosso misto ad altro. Non potevo rischiare: - Chiamo Moran e gli dico di passare a prenderci.- senteziai.
Yaten guardo l'orlo della sua bottiglia con espressione assorta, come se vi stesse cercando qualcosa e mi disse: - Marzio, ricordi com'è andata a finire l'ultima volta che eri ubriaco? Quando abbiamo dovuto portarti via dalla discoteca. Durante il tragitto hai vomitato sui suoi sedili. Tu non ricordi niente, ma le sue imprecazioni contro di te sono difficili da dimenticare anche per me che ero sbronzo quasi quanto te.-
- Merda...-
- Vedila così: hai una sorta di debito... ci dai tu il passaggio.- disse ammiccando.
- Ma cosa dici, sarebbe accadere a tutti.-
In quel momento bussarono alla porta.
- Signor Chiba? – chiamò una voce che mi era familiare.
- Si? -
- C' è sua sorella al telefono. Vorrebbe parlarle.-
Entra pure.-
La donna di servizio entrò, mi porse il cordless e uscì discretamente. Mi sembrò quasi che Yaten si fosse spostato leggermente dalla sedia.
- E' tua sorella Marta? - mi chiese.
- Ti risulta che ne abbia altre? - scherzai.
-Idiota...- tornò a finire la sua birra e io mi allontanai di pochi passi per parlare al telefono.
- Sorellona! Come va? - dall'altra parte della cornetta sentii uno strano rumore, come se fosse nelle vicinanze del mare.
- Marzio, non potrebbe andare meglio! - la sua voce era più che entusiasta. - Indovina un po' dove mi trovo? -
- Come faccio a saperlo, Marta? Ti sposti come un ciclone per il mondo. Potresti essere ovunque...- risi.
- Sono in Florida, a Siesta Beach! Ho appena finito di sfilare in una location fantastica! Hanno allestito una passerella sulla spiaggia e per la prima volta ho sfilato senza indossare i tacchi, era tutto così surreale! Ora sono in un albergo con il balcone che si affaccia sul mare. In un certo senso mi sembra quasi di essere a casa, ma qui ci sono alte palme e chioschetti di frutta esotica ovunque. Dovremmo venirci insieme qualche volta...-
- Sono contento che ti piaccia, verrei volentieri anche adesso, lo sai.-
- Già, lo so. Lì sempre la solita musica, eh?-
- Indovinato.-
Le sfuggì un sospiro : - Comunque ti chiamo per darti una buona notizia. Tra una settimana sarò lì da te! Torno a casa. Credo che questa volta resterò da mamma e papà molto di più. Ho girato abbastanza per il mondo, credo che mi accontenterò di restare in zona. Ho bisogno di stare un po' di tempo a casa con voi.-
La notizia mi mise di buon umore, Marta mancava da quasi un anno ormai.
- Significa che ti riavrò presto tra i piedi? Tu e le tue stupide manie come quella di svegliarmi di notte per tenerti compagnia durante i tuoi spuntini notturni? - scherzai.
Yaten corrugò la fronte.
Rise al ricordo di quei momenti divertenti: - Non è bello lasciar mangiare sola una persona. Inizia a riabituarti finché non torno.-
- Va bene, ti aspetto allora! -
- Ora scappo fratellino, ho ordinato il servizio in camera e più tardi esco a fare un giro in barca per la costa. Qui è fantastico, l’ho già detto vero?! Ti richiamo presto, promesso. Salutami mamma e papà! Ciao! -
- Sarà fatto. Divertiti..-
Schioccò un bacio e poi riagganciò.
- Allora, ritornando a noi...- mi rivolsi al mio amico.
- Tua sorella sta tornando qui? -
- Si, forse tra una settimana, è stata poco precisa. Perché? -
Il suo strano interesse mi aveva insospettito. Da quando a Yaten importava di mia sorella?
- Oh, niente. Vorrei solo parlarle... sai c'è una mia amica che vorrebbe fare la modella e allora volevo un po’ informarmi...- disse gesticolando.
- Ok. Comunque chiama gli altri, avvertili che abbiamo la mia auto e che se solo le fate un graffio dovrete vedervela con me e con una mazza da baseball.-
- Sapevo che non mi avresti detto di no, Marzio! -
Guardai l’orologio: - vi aspetto qui per le nove, ora credo che passerò da Rea.-
Si alzò in piedi e si avvicinò alla porta : - Certo, vado. Marzio sta attento a lei…-
Mi accigliai : - Perché? -
- Ascoltando vari pettegolezzi... A quanto pare sembra che sia soggetta a perversioni sessuali ultimamente! - scoppiò a ridere e quando mi avvicinai per cacciarlo via, era già uscito.
- Va’ al diavolo, Yaten! -
- Ci andremo insieme dopo questa sera! - gli sentii dire infine da dietro la porta.

Da anni la famiglia Hino era in buoni rapporti con la mia, rapporti favoriti soprattutto dagli affari.
Il padre di Rea aveva lavorato per diversi anni nella Chiba Technology Service prima come responsabile delle pubbliche relazioni, poi dopo un giusto azzardo in borsa e un colpo di fortuna, ne era diventato anche un azionista minoritario, dopodiché con gli introiti aveva deciso di dar vita ad un’impresa di pubblicazioni di vario genere e da allora era sempre in trattativa qualche grosso affare con mio padre. Rea era l’unica figlia e per questo motivo è sempre cresciuta come in una sfera di cristallo, con persone che la riempivano di attenzioni e cure affinché il piccolo e delicato mondo nel quale viveva non venisse mai infranto. Agli occhi di tutti era la ragazza perfetta, in particolare a quelli dei suoi genitori.
Ottimi voti a scuola, bell'aspetto e altre tante ottime qualità che la caratterizzavano.
Peccato però che poche persone conoscevano veramente Rea Hino e il modo in cui riusciva a far cadere tutti ai suoi piedi e ad aggraziarsi chiunque poteva servirle per raggiungere suoi scopi. Ma il motivo per il quale anch'io le stavo attorno, dopo tutto, non sapevo ancora spiegarmelo. Era una volpe furbetta e dannatamente sexy.
Fu lei ad accogliermi all’entrata di casa sua. Come aveva detto quella mattina, era da sola. Mi baciò con foga e subito mi slacciò i bottoni della camicia, per poi buttarla a terra.
- Aspettavo da giorni di averti ancora tra le mie braccia...- mi sussurrò tra un avido bacio e l'altro, guidandomi verso il salotto dove di lì a poco avremmo passato delle ore.
Forse Yaten aveva ragione, l'assalto riservatomi da Rea preannunciava qualcosa che mi avrebbe divertito e soddisfatto per un bel po'.
Passando per la porta, notai la camicia a terra. Quel giorno non avevo fatto altro che spogliarmi.

***

- A volte mi chiedo perché dopo che abbiamo fatto l'amore, scappi via...-
Rea era ancora distesa sul divano e mi guardava rivestirmi mentre fumavo una sigaretta vicino alla finestra.
- Ti sbagli, non sto scappando questa volta. Siamo da soli, non c'è rischio che i tuoi tornino da un momento all'altro.-
Sospirò. - Non mi riferivo a questo.-
- Esco con i ragazzi questa sera.- Tagliai corto, cercando di cambiare argomento.
- Ah, dici sul serio? Non ne sapevo niente. Heles non mi ha avvisata.- disse mentre iniziava a rivestirsi.
- Solo una serata tra uomini, non siete invitate. Spiacente.-
Mi voltai per vedere la sua reazione, detestava essere lasciata da parte e non essere al centro dell'attenzione.
Tante volte, tutte quelle in cui si era trovata a passare con noi le serate aveva catturato le attenzioni di svariate persone, dai proprietari dei locali che non aspettavano altro che liberarsi di noi, ai giovani e eccitati ragazzi presenti nelle discoteche che l'ammiravano ballare.
Quest'ultime per me erano situazioni le più fastidiose, ero costretto ad intervenire se la situazione iniziava a sfuggire di mano e Rea, ne sono sicuro, assecondava tutto ciò che poteva coinvolgermi e avvicinarmi in qualsiasi modo a lei. Studiava tutti i modi per far si che mi innamorassi di lei.
Me lo fece notare Seiya, un giorno dovette placare la furia di lei quando venne a sapere che trovavo interessante una ragazza di primo, la poveretta avrebbe dovuto occuparsi insieme a me degli addobbi per la festa di fine anno e questo non le dispiaceva. Le rese le giornate a scuola impossibili, piene di spiacevoli imprevisti. Solo Seiya riuscì a farla smettere. Lui capiva Rea meglio di tutti noi altri.
- Chiamo Heles e organizzo qualcosa da me allora, oppure usciamo anche noi. Non mi va di passare la serata da sola.- disse, distogliendomi da quei pensieri.
- Buona idea.- mi spostai verso la parte opposta per prendere dal tavolino le chiavi dell'auto, ma non le trovai. - Hai visto il mio mazzo di chiavi?- le chiesi.
Voltandomi la vidi mentre le faceva penzolare con la mano davanti i suoi occhi.
- Eccole... vieni a prenderle! – le pose delicatamente nel suo reggiseno.
Mi avvicinai un po' seccato, lei però era divertita.
- Devo andare, è già tardi.- dissi riprendendomi ciò che mi apparteneva.
Lei mi afferrò per il polso e mi baciò.

***
Il sole era a metà del suo tramonto quando decisi di fare una passeggiata sulla costa prima di tornare a casa. Eravamo nel mese di settembre e la temperatura a quell'ora era perfetta. Non faceva caldo ma si stava bene all'aperto e il vento leggero che soffiava portava con se quel profumo meraviglioso del mare. Adoravo quell’aria che mi faceva venir subito voglia di ispirarla e trattenerla nei polmoni il più a lungo possibile.
Il mare aveva il potere di rilassarmi.
Le altre erano gli esercizi in palestra e lo jogging.
Il mare... sarei potuto stare intere giornate a guardare quell'ampia distesa d'acqua che si fondeva con il cielo.
Feci bene a concedermi quei pochi minuti per me quel giorno poiché quando tornai a casa mi aspettava qualcosa di ben diverso dal rilassante.
I miei genitori erano rientrati ed entrambi erano seduti in salotto. Sfogliavano un giornale e discutevano i pro e i contro dei nuovi personal computer che erano in vendita.
Ero tentato di ritornare indietro ma pensai che dovevo solo salutarli e poi rinchiudermi in camera a prepararmi per la serata.
- Ciao mamma, ciao papà.- dissi e alzarono la testa al mio richiamo.
- Mamoru, tesoro. Pensavamo che fossi in camera tua. Sei stato fuori tutt'oggi?-
- Sono passato a casa solo per un po' e poi è venuto Yaten e...-
Alzò gli occhi al cielo. - Benedetto ragazzo! Lui non fa parte di quei tuoi amici scapestrati con i quali te ne vai sempre in giro, vero? Spero che almeno tu abbia pranzato! -
Mia madre... sempre presente, ma a volte fin troppo. Sempre preoccupata e in ansia per i suoi due unici figli, la sua ragione di vita. La donna più cara del mondo, ma che non riconosce quando inizia a far diventare soffocanti le sue premure. Non gliene ho mai fatta una colpa però. Ama troppo i suoi bambini per fare volontariamente qualcosa capace di dare a entrambi dei dispiaceri.
- Cara, cosa vuoi che sia mezza giornata a digiuno...- Intervenne lui, con il bicchiere di brandy in mano. - Alla sua età cenavo solamente quando avevo tempo, avevo sempre qualcosa da leggere e imparare. Non come giovani d'oggi, privi di senso del dovere e incapaci di essere responsabili.- concluse continuando a sfogliare il giornale.
Mio padre... e i suoi soliti modi di farmi la lezione, arricchendola con le sue esperienze di vita. Non parlava d'altro con me e io ben presto mi sono ritrovato ad avere quasi quel rapporto padre-figlio, che tanto desideravo, con i padri dei miei amici. Il dialogo con il proprio padre è insostituibile, ma con quegli "estranei" avevo la possibilità di rapportarmi, scherzare e informarmi su tutto ciò che volevo, senza aspettarmi una ramanzina dietro un qualsiasi mio commento.
Mio padre. Freddo e distaccato, che vuole insegnare tanto al proprio figlio, senza riuscirci.
Ad ogni modo, risposi solo a mia madre.
- Si, ho pranzato. Ora vado a prepararmi, esco questa sera.-
- Farai tardi? Domani hai la scuola, non dimenticarlo! -
Già, la scuola. Ciò significava non lasciarsi prendere troppo la mano...
- Sta' tranquilla, torno presto. Usiamo la nostra auto.-
E subito mi pentii di averlo detto, quando vidi che mio padre aveva posato il bicchiere sul tavolo con un po' troppa grinta.
- Non spenderò più un soldo né per multe né per altre cauzioni e non verrò ancora a tirarti fuori da qualche caserma, sia chiaro!- esclamò.
- Chiarissimo...- tagliai corto. - Ah, dimenticavo. Ha chiamato Marta.- dissi ad un passo dalla porta del salotto.
- Lo sappiamo, la mia bambina torna la prossima settimana! - disse entusiasta mia madre.
Non mi restava nient'altro da dire, così andai a prepararmi lasciandoli lì a sfogliare il loro giornale e a godersi la loro intimità.
Circa due ore dopo, ero pronto per la serata al Cat Scratch Club.

 
 
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Riecco qui la vostra autrice con il nuovo capitolo !!! ;)
Il primo capitolo ha avuto un buon esito che mi ha reso davvero contenta e mi ha motivata a scrivere ancora! ( Più di quanto lo ero prima :D )
In questo capitolo, al contrario dell'altro che avevo intenzionalmente scritto in modo da suscitare in voi la curiosità per questa storia, ho pensato di entrare a fondo e scoprire qualcosina in più su Marzio e il mondo che lo circonda.
Devo essere sincera, questo capitolo continuava ancora di molte pagine descrivendo la serata del gruppo, ma all'ultimo secondo ho deciso di fermarmi qui. Questo perchè anche ciò che era scritto dopo aveva una certa importanza e la lettura era diventata pesante persino per me che son l'autrice. Perciò aggiornerò a metà settimana, salvo imprevisti!
Ma ritornando al capitolo, ecco a voi la descrizione della famiglia del protagonista, dei suoi rapporti con essa e qualche piccola abitudine svelata.
Che idea vi state facendo di questo Marzio???
Dovrei prepararmi a scappare per averlo fatto sembrare un ragazzino ricco e viziato? :D
Mi spavento da sola per aver stravolto così il mio idolo *___*
Detto questo, spero che anche questo capitolo vi abbia colpito e non deluso ( data anche l'assenza di Bunny) e vi ringrazio infinitamente per aver letto e avermi dato fiducia!
Non perdete il prossimo capitolo!
Vi aspetto al Cat Scratch Club! :D
Debora

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Capitolo 3
*** Serata al Cat Scratch club ***


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L’appuntamento era per le nove ed io ero pronto e puntuale come un orologio svizzero.
Maglietta blu notte aderente, leggermente scollata, un comodo giubbino nero di pelle e degli altri e tanto comodi jeans color blu scuro erano stati i prescelti per quella serata. Capelli volutamente scompigliati e fissati con un po’ di cera e acqua di colonia, erano gli unici due particolari a cui badavo, per il resto mi basta solo essere in ordine.
I primi ad arrivare furono Yaten e Taiki. Corsi subito ad accoglierli prima che lo facessero i miei genitori, non volevo che vedessero le loro espressioni rassegnate al tipo di amicizie che avevo scelto di frequentare. Papà ci aveva tirato fuori dai guai tante volte... abbastanza per ricordarsi tutti i volti dei miei amici.
- Seiya e Moran stanno arrivando in taxi. Niente ripensamenti spero...-
- Sull’auto, Yaten? Tranquillo... ho sempre una mazza da baseball nel portabagagli - risi.
Taiki si lasciò cadere pesantemente sul divano - Un giorno ne comprerò uno uguale... ci starebbe bene davanti ad un caminetto...- muoveva le mani davanti a sé, mimando la scena. - Le ragazze vanno pazze per queste cose! -
Anche Yaten si accomodò allo stesso modo, con i cigolii di protesta del mio povero pezzo d'arredamento. - A me basterebbe una bella playstation davanti a qualsiasi divano...-
Guardai Taiki e scoppiammo a ridere. - Ecco spiegato perché con le donne sei una schiappa, amico! -
- Nah. Idioti, questi sono solo dettagli!-
Questi momenti tranquilli passati in compagnia erano i miei preferiti. Ero di buon umore e avevo iniziato a cantare un motivetto nell'attesa, mentre Yaten e Taiki si godevano il massaggio preimpostato del divano, quando il campanello suonò ancora.
Avevo lasciato la porta socchiusa per risparmiarmi di allontanarmi nuovamente ed aprire, perciò il primo ad entrare fu Seiya. Ci voltammo ancora sorridenti e rimanemmo per qualche secondo senza parole.
- Eee... Da da!!! - intonò Seiya, girando a braccia larghe su se stesso. - Allora, che ne pensate? -
Indossava un completo, formato da pantaloni e giacca, semi elegante rosso. Portava anche una camicia nera, la quale accentuava una cravatta in tinta con il completo. Sembrava uno di quei agenti segreti che si vedevano nei film d’azione, ma in un colore più appariscente.
Mi voltai verso gli altri due ancora seduti sul divano che nello stesso istante mi guardarono con aria perplessa. Anche loro non sapevano se ridere o lasciare che Seiya si divertisse nei panni di James Bond.
- Seiya!!! Va' al diavolo! Sta sera come minimo devi offrirmi tre giri di birra, visto che sei saltato fuori lasciando il conto del taxi a me!- irruppe Moran, paonazzo in volto, agitando una mano con l'indice puntato verso di lui, che continuava a sistemare l'orlo delle maniche.
A quel punto io, Yaten e Taiki scoppiammo a ridere ancora una volta.
- Forza, andiamo!- dissi con le chiavi in mano. Ci dirigemmo in garage, al piano inferiore. Seiya, che avrebbe dovuto darmi le indicazioni stradali, si sedette accanto al posto di guida, gli altri tre sui sedili posteriori. Attraversai l'ampio giardino e pochi minuti dopo, sulle note di It's my life di Bon Jovi, eravamo sulla strada per il Cat Scratch Club.

***
- Vorrei sapere dove ci stai portando di preciso. Perché sei vestito in quel modo?-
Moran mi appoggiò. - Marzio ha ragione, vorrei saperlo anch'io visto che tu sembri un damerino e noi dei comuni ragazzi. - dallo specchietto retrovisore, riuscii a vedere Moran indicare noi altri e soffermarsi su Yaten con lo sguardo.
- Non guardare me! Mi ha detto spogliarelliste e ho pensato che fosse un night club come tutti gli altri...-
- Tranquilli, non sarete fuori luogo così.- sentenziò Seiya – Stasera voglio cambiare tattica, voglio avere l’aria sofisticata e importante come quella dei grandi uomini che si vedono di tanto in tanto nei club...-
Non basterà un vestito a cambiarti, pensai.
-... ho notato che sono quelli che si beccano più strusciate dalle ballerine!- spiegò.
- Sto guidando da quasi mezz’ora, Seiya...-
- Tranquillo, siamo arrivati. Prendi la prossima uscita. Lo spettacolo dovrebbe iniziare intorno le undici. Abbiamo il tempo di farci qualche birra, di ballare e Taiki potrà portarsi in bagno qualche ragazza...- scherzò.
- Il tipo da sveltine sei tu, io preferisco passare ad atti più impegnativi. Ma ti comprendo... tu non ne sei in grado, sono io che ho ereditato il gene famigliare. - gli rispose con lo stesso tono divertito, ma pungente.
- Non lo provocare, Taiki - mi intromisi anch'io - Sarebbe capace di scommettere su tutto...- ricordai l'episodio della camicia e a giudicare dal suo ghigno, Seiya fece altrettanto. Ma prestò attenzione alla strada e non rispose.
- Rallenta, ci siamo quasi... E' proprio sul confine della città, appena prima di entrare nel centro abitato.-
Grazie alla grande insegna illuminata da varie luci colorate, non ebbi problemi a individuare il posto.
Passai lentamente davanti all’entrata, in cerca di un parcheggio. Alcune ragazze, in abiti attillati, erano radunate sul marciapiede e, appena ci notarono, sorrisero tra di loro lanciandoci sguardi ammiccanti.
Fui costretto a fermarmi per farne attraversare altre quattro.
Un fischio d’approvazione provenne da Taiki – Wow ! -
Seiya sorrideva compiaciuto – Aspettate di vedere che cosa ci aspetta dentro! – disse in tono soddisfatto, poi aggiunse – Anche se credo che mi intratterrò in altri modi questa sera.-
Seccato guardai rapidamente la strada in cerca di un posto dove avrei potuto lasciare il Suv.
- Credo che vi farò scendere qui… è tutto pieno. Vado a parcheggiare più avanti e vi raggiungo dentro.-
- Ottima idea! – esclamò Yaten e scese dall’auto, seguito a ruota dagli altri.
Stavo già ripartendo quando vidi Seiya avvicinarsi al gruppo di ragazze dicendo – Ehi ragazze, vi va un po’ di compagnia? –
Sorrisi rassegnato. Era il solito.
Ed era anche quello più propenso a lasciarsi andare in ogni modo.
Per questo motivo, dalla notte in cui fece ubriacare a pezzi me e Moran per poi farci rompere i vetri dell’edificio scolastico, mantenevo un po’ di distacco con lui.
Ma lui era anche l’unico a far scattare qualcosa in me. Qualcosa simile all’irritazione davanti ad una prova difficile da superare.
Perché con Seiya spesso si rischiava di essere coinvolti in situazioni assurde per puro svago.
Come in quella notte… Mio padre dovette ripagare tutti i danni.
Io e Moran avevamo un carattere simile, ma lui era solo molto più estroverso, e proprio come me, aveva imparato quando perdere il controllo. Lasciai vagare in questo modo la mia mente finché, finalmente, non entrai anch’io nel locale.
L’alto volume della musica inizialmente mi stordì, mentre mi muovevo disorientato tra i tavolini rossi, il bancone del bar e i corpi che ballavano.
Li individuai seduti davanti a quello che sembrava un piccolo palco, in prima fila.
- Allora? Che cosa mi sono perso? – chiesi accomodandomi.
- Niente di importante, ancora. – mi rispose Taiki.
Mi guardai velocemente attorno. – Seiya dov’è? –
- Fuori, con quelle ragazze…- mi spiegò Yaten.
Una cameriera arrivò con un vassoio in mano e servì ognuno di noi.
- Avete già ordinato? – chiesi.
- Si, ho scelto io per te.- Moran mi passò una birra. – Spero vada bene.-
- Va bene, grazie. Ricordati di non esagerare, domani mattina abbiamo la scuola.-
Moran sbuffò, mentre i due fratelli risero.
- Ah, Yaten… Non li invidio per niente! - disse Taiki a suo fratello.
Passammo il tempo successivo a bere, Moran riuscì anche a ballare con una ragazza che aveva rimorchiato vicino al bancone. Mi stavo divertendo, fin quando non tornò Seiya.
- Marzio, mi servono le chiavi della macchina.- mi disse deciso.
- Non se ne parla. Che dovresti farci scusa? –
- Ho lasciato dentro il mio cellulare e mi servirebbe…-
Non ero convinto.
- Andiamo! Non ho intenzione di rubartela, fidati! – insistette.
Non poteva lasciare tutti noi a piedi, non poteva allontanarsi.: - Va bene, tieni. L’ho lasciata due incroci più avanti. E’ una zona isolata, era l’unico posto che ho trovato.-
- Ok, grazie! - afferrò il mazzo e si precipitò fuori.
Yaten lo guardò allontanarsi. - Che senso ha per lui essere qui se poi se ne sta tutto il tempo fuori?-
Risi. – Neanche quello che stiamo facendo noi ha poi tanto senso… Pagare per vedere ragazze spogliarsi…-
- Gli spogliarelli sono roba da far esplodere la testa se la ragazza ci sa fare…-
- Guardate Moran come se la spassa! – intervenne Taiki facendoci notare il nostro amico, ballava corpo a corpo con una sconosciuta – E poi viene a farci la morale sulla fedeltà e stronzate varie.- bevve un sorso del suo cocktail - Se non fosse perché ho paura di Heles, le manderei una foto. Sarebbe capace di fare fuori lui e quella ragazza. E subito dopo me solo per sfogarsi! –
- Dai, smettila. Non è poi così cattiva.- rispose Yaten ridendo insieme a me.
- Lui non la molla perché ha paura e lei non molla lui perché non troverebbe nessun’altro, semplice! –
Guardammo il nostro amico. Forse aveva ragione.
- La vita privata di Moran non ci riguarda, lasciamogli fare quello che gli pare.- sentenziai infine.
Le luci che fino ad allora erano state forti e intense, diventarono soffuse, la musica abbandonò i ritmi sfrenati, assumendone altri più quieti ma intensi.
- Oh oh… ci siamo! Avanti pupe, venite fuori! – Yaten non stava più nella pelle.
Mi guardai velocemente attorno e notai che tutti i tavoli erano pieni di ragazzi e uomini, le coppie invece consumavano qualcosa al bar o sedevano nella zona privè, appena visibile dalla nostra postazione, dove potevano continuare la serata con un programma diverso.
In quei luoghi, il tempo sembrava non scorrere mai… C’era sempre un modo per intrattenersi.
Moran tornò a sedersi accanto a me.
- Che fine ha fatto la ragazza? – chiesi.
- E’ tornata da dove è venuta… Sono un ragazzo serio io, cosa credevate?-
Lo guardammo con aria perplessa.
- Lasciamo stare! – disse voltandosi verso il palco.
Ad una ad una, cinque ragazze si disposero infila, iniziando a ballare in modo seducente.
Erano vestite da gatte. Indossavano una gonna corta, alla quale era attaccata una simpatica codina, ed un top. Il volto era coperto da una maschera in stile cat woman e i capelli di ognuna erano raccolti in una coda.
Accesi una sigaretta.
- Graziose le gatte, eh? – disse Taiki mentre iniziavano a togliersi il top nero, lasciando scoperto il loro intimo superiore.
- Molto…- confermò Moran.
Lo spogliarello continuava e noi continuavamo a perderci con lo sguardo su quelle curve, su quei movimenti e sui quei corpi che si muovevano, travolgendoci in un vortice nel quale il tempo e lo spazio si confondevano. Una gattina bionda salì sul nostro tavolo, premiandoci con un balletto privato e Yaten rimediò anche un bacio e un tipico souvenir: poggiò la gamba sulla sua spalla, lentamente fece scivolare il collant e lo adagiò con sensualità intorno al collo del mio amico ipnotizzato.
Ad esse se ne alternarono altre, la coreografia sensuale lasciò spazio al ritmo incalzante del Can Can, con graziose ballerine che agitavano le loro gonne tra noi spettatori, regalandoci qualche carezza che, tra un bicchiere e l’altro di vodka, era sempre gradita.
Quandosi ritirarono dietro le quinte, Yaten e Taiki erano completamente sbronzi e per noi era giunto il momento di andar via.
Solo a quel punto mi ricordai di un piccolo particolare che avrei dovuto tenere a mente.
Seiya aveva le chiavi della mia auto.
Seiya poteva essere ovunque con la mia auto.
Immediatamente lo chiamai sul cellulare, ma il telefono squillava a vuoto.
- Merda! – quasi gridai, mentre mi alzavo sbattendo la sedia contro il tavolino.
- Che succede, Marzio? –
- Seiya, gli ho dato le chiavi della macchina. Paga il conto e trascina questi due fuori da qui. Aspettami all’uscita.- lasciai una banconota tra i bicchieri vuoti e mi precipitai fuori dal locale.
A passo veloce, cercavo ancora di rintracciare Seiya sul cellulare, ma non servì a nulla.
Tirai un filo di sollievo quando vidi che l’auto era proprio lì dove l’avevo lasciata.
Riuscii a scorgere delle sagome all’interno e perciò accelerai il passo e pochi istanti dopo ero già lì.
Mi resi conto però che il sospiro me lo ero concesso troppo in fretta. Mi bastò un’occhiata all’interno dell’auto per farmi assalire da un brutto presentimento.
Seiya era disteso seminudo sui sedili posteriori e accanto aveva una ragazza con addosso solo l’intimo. Nonostante l’oscurità, riuscì a notare il suo viso. Era pallido.
Aprì con uno scatto la portiera.
- Seiya, idiota alzati! – urlai per svegliarlo. Poi presi il viso della ragazza tra le mani e mi accorsi che qualcosa non andava. – Merda, Seiya! Alzati subito! –
Portandosi una mano alla testa, sembrò darmi retta. – Ehi, che diavolo succede? Perché urli? -
- Che hai combinato idiota? La ragazza sta male! – le diedi qualche schiaffetto sul viso, per farla svegliare, ma fu tutto inutile.
- Ma che dici, sta benissimo…-  si voltò per guardarla e nel tentativo di alzarsi la mosse, facendole così cadere un braccio dal sedile e vedendolo penzolare si spaventò.
- Merda! Aveva detto che era abituata, non pensavo che…- con uno scatto si mise a sedere, mentre io cercavo ancora di farle riprendere conoscenza.
- Che avete fatto? – chiesi infuriato – avete bevuto o…-
- Si, si, si! abbiamo bevuto qualche birra poi… poi abbiamo preso un po’ di roba… credevo che…-
Ero incredulo.
- Alcool e stupefacenti? Ti ha dato di volta il cervello per caso? Che diavolo credevi di fare?-
- Senti, ne parliamo dopo! Adesso risolviamo questo problema e velocemente. Che cosa facciamo?-
Cercai di mantenere la calma e ragionare.
- La portiamo al pronto soccorso. Rivestila, muoviti!-
- No, non puoi! Se vengono a sapere che sono stato io a darle la roba finirò nei guai! Ci chiederanno come mai eravamo con lei e se si mettono a fare i test anche a noi sono fottuto! –
- Intanto la portiamo lì e per strada mi verrà qualcosa in mente! -
Iniziò a rivestirla. Almeno mi stava dando ascolto.
- Gli altri dove sono? Moran, Yaten, Taiki che fine hanno fatto?-
Altro problema. Due erano fuori gioco, che cosa dovevo fare?
- ‘Fanculo, Seiya! Tu e le tue cazzate! – imprecai contro di lui. – Dammi le chiavi, muoviti! Andiamo a prenderli.-
Due attimi dopo ero già al posto di guida e in pochi minuti arrivai davanti all’ uscita del locale dove Moran mi stava aspettando sostenendo Yaten e Taiki come meglio poteva.
Scesi per dargli una mano.
- Che cosa sta succedendo? – mi chiese notando la mia tensione.
- Dobbiamo muoverci. Sali avanti, loro si stringeranno dietro. Abbiamo un problema.-
Guardò all’interno della macchina e vide Seiya con la ragazza tra le braccia.
- Cazzo… muoviamoci!-
Sistemammo i due dietro e poi ripartii diretto all’ospedale più vicino. Intanto Seiya era riuscito a far riprendere la ragazza. Era già qualcosa. Tornai a pensare lucidamente.
- Ascoltate. Io scendo con lei al pronto soccorso, non possiamo lasciarla sola in questo stato.- guardai Seiya dallo specchietto retrovisore. – Non mi importa di quello che dirà, sono affari tuoi! Mi hai già messo abbastanza nei casini! –
Lo vidi alzare le mani in segno di resa. Ripresi a parlare, spiegando ciò che avevo in mente : - Dirò che l’ho trovata svenuta vicino ad un locale, se faranno dei controlli anche a me non ci saranno problemi. Dopodiché ci penserà Moran a portarvi a casa. Io rimarrò lì il tempo necessario, poi prenderò un taxi.-
Ci furono istanti di silenzio generale. Solo Seiya continuava a sussurrare qualcosa alla ragazza, per tenerla sveglia.
- Come si chiama? – domandò Moran.
- Mm… Sally… si… si chiama Sally. – rispose Seiya poi continuò a dirle : - Andrà tutto bene, sta’ tranquilla.- si rivolse a me : - Per fortuna l’abbiamo ripresa in tempo.-
- Per fortuna Marzio è arrivato in tempo.- ribatté Moran.
Io continuavo a guidare, ma dentro di me la rabbia diminuiva, lasciando posto al sollievo.
Arrivai all’ospedale più vicino subito dopo. Fortunatamente la ragazza riuscì a reggersi un po’ in piedi e così la feci appoggiare a me per portarla dentro.
- Aspetta, Mamoru! – mi richiamò Moran. – La sua borsa.- Mi passò la sua borsetta nera e salì al posto del guidatore per poi ripartire. Io entrai nell’ospedale, un’infermiera mi vide e si precipitò ad aiutarmi. Spiegai velocemente la situazione e lei mi disse che se ne sarebbe subito occupata, ma mi chiese di restare nella sala d’aspetto. Non potei fare altro.
Prima di condurre via la ragazza mi avvicinai a lei : - Non ti preoccupare, adesso ti faranno star bene, Sally.-
Cercò di focalizzarmi meglio e debolmente mi disse:- Io mi chiamo Sidia…- poi la portò via.
Rimasi così da solo senza sapere cos’altro fare.
Mi guardai attorno e successivamente individuai la porta che dava alla sala d’aspetto, quindi attraversai l’entrata e superai il bancone per poi ritrovarmi davanti ad una piccola stanza con delle sedie blu accostate ai muri e altre disposte in modo frontale ad esse, creando più file. C’erano solo tre persone, una coppia di anziani e una ragazza che non ebbi difficoltà a riconoscere.
Bunny sedeva infondo la stanza, con il capo chino sul cellulare.
Avanzai verso di lei, che non appena percepì la mia presenza alzò lo sguardo.
- Tu? Che cosa ci fai qui? – era sorpresa quasi quanto me.
- Potrei farti la stessa domanda, testolina buffa. E’ successo qualcosa di grave?- mi accomodai accanto a lei, voltandomi leggermente verso il suo lato. Lei era seduta verso la porta da cui ero appena entrato. Portava le mani sulle gambe ed era appoggiata pesantemente sullo schienale della sedia. Sembrava stanca, doveva essere lì da ore.
- No, per fortuna. Sono qui per una bambina che era con me questo pomeriggio e ha avuto un mancamento. Purtroppo è di salute molto cagionevole…adesso la stanno visitando.- mi rispose chiudendo gli occhi, mentre poggiava meglio la testa al muro.
- E tu? Esci sempre con la borsetta? – scherzò facendomi notare che tra le mani avevo ancora la borsa di Sidia.
- Ah no, questa è di una ragazza che ho soccorso…- spiegai.
- Cos’ha avuto? –
- Qualcuno di noi ha esagerato, questa sera. Alcool e stupefacenti credo. La situazione è sfuggita di mano e…-
Si portò a sedere con uno scatto guardandomi con gli occhi sgranati :- Alcool e stupefacenti? Siete pazzi?-
Mi alzai in piedi. - Senti, all’inizio ero infuriato anch’io. Era solo una serata con i miei amici e mentre io ero in un locale a bere con gli altri, Seiya si è lasciato andare troppo. Che altro potrei fare oltre a rimproverarlo? Voleva divertirsi, ha sbagliato e noi abbiamo sbagliato a lasciarlo da solo sapendo che ha poco autocontrollo. Andiamo Bunny, hai diciannove anni anche tu! -
- Davvero perfette le tue giustificazioni, ci hai lavorato tanto su, eh? Siete degli stupidi incoscienti, in questo caso non si trattava solo di voi. È stata coinvolta anche un’altra persona che ora sta male! Che cosa sarebbe accaduto se per un attimo nessuno di voi avesse fatto la scelta sensata di portarla qui? Ci sono altri modi per divertirsi e il responsabile che ha ridotto quella povera ragazza in uno stato così grave, dovrebbe essere punito!.-
- Riecco l’atteggiamento da paladina della giustizia! – avevo davvero detto ciò che pensavo ad alta voce?
Sospirò. – Che cosa farai se ti chiederanno spiegazioni? Se ti faranno dei test? –
- Se avessi bevuto tanto da star male e mi fossi drogato anch’io non sarei qui. Dirò che l’ho trovata e l’ho soccorsa.-
- Spero per te che tu sia credibile…-
Lo speravo anch’io, ma non lo dissi.
Ritornai a sedermi e ripresi in mano la borsa. Iniziai a cercare qualche documento, qualche numero, qualcosa da poter lasciare alle infermiere affinché potessero rintracciare i suoi familiari.
Trovai il cellulare e dalla rubrica segnai, su un foglietto che trovai lì dentro, un numero memorizzato sotto la voce : Mamma.
C’erano anche dei documenti, tra cui la carta d’identità che scivolò sul pavimento e si aprì. Bunny la raccolse e passandomela si soffermò sulla foto.
- È una bella ragazza…-
Guardai anch’io la foto. Con i lunghi capelli che cadevano sul viso, il sorriso accennato e gli occhi scuri, Sidia era veramente bella.
Si avvicinò un’infermiera e rivolgendosi a me, mi chiese come avevo trovato Sidia e se fossi un suo conoscente. Risposi di no e le diedi i contatti che avevo trovato nella sua borsa, lasciandole anche quella. Mi disse che potevo andare e che avrebbero rintracciato loro qualcuno. Poi si rivolse a Bunny, che era ancora accanto a me.
- Signorina, Ottavia adesso sta meglio. Le abbiamo dato dei tranquillanti e ora sta dormendo. Vorremmo tenerla sotto osservazione per questa notte. Abbiamo già contattato la sua tutrice, verrà a prenderla lei domani mattina.-
- Va bene, la ringrazio di tutto.-
- Si figuri. Farebbe bene a tornare a casa, è tardi. Può stare tranquilla per ogni cosa, Ottavia avrà tutto quello di cui ha bisogno.-
- Ne sono sicura, buona notte.-
L’infermiera si congedò ed io e Bunny ci ritrovammo di nuovo da soli.
- Torni a casa in auto? – le chiesi, sperando quasi in un passaggio.
- No, credo che cercherò di trovare un taxi…- mi disse mentre si dirigeva verso l’uscita. La seguii anch’io.
- Bene, siamo in due allora. Ti darebbe fastidio se lo prendessimo insieme? La direzione è la stessa e sono già le due e mezza, sarà difficile trovarne due.-
- Certo, non è un problema. Anche perché a dire il vero mi preoccupava tornare a casa da sola a quest’ora. Non si sa mai che tipi di persone si possono incontrare… Magari qualcuno come il tuo amico…-
- Ok, testolina buffa! Ho recepito il messaggio! –
Rise. – Certo che io e te apparteniamo a due mondi completamente diversi…-
- Vero, ma del tuo mondo non credo che ci sia niente di adatto a me o che possa interessarmi in qualche modo.-
-Questo solo perché tu del mio mondo, se vogliamo chiamarlo così, non sai niente… Ci sono altre cose per cui vale la pena di sprecare energie, cose di cui non hai la più pallida idea.-
Eravamo appena usciti fuori, la strada circostante era deserta. Guardai Bunny, divertito.
- Che tipo di cose? – chiesi curioso di sapere a cosa si riferisse, anche se all’istante ricordai ciò che mi aveva detto Heles in mensa.
- Parlartene non servirebbe a niente. Sminuirebbe solamente. Dovresti vedere e sperimentare di persona, ne rimarresti colpito.-
Scossi la testa : - Mi dispiace, ho altre priorità. – la guardai mentre si sfregava le braccia infreddolita. Indossava solamente un vestitino leggero rosa e la sua borsa. – Non hai un cappotto? – le domandai.
- No, questo pomeriggio il tempo era perfetto, non credevo ne avessi avuto bisogno.- mi spiegò e immediatamente le porsi la mia giacca di pelle.
- Tieni, metti questo…-
La vidi indugiare, ma alla fine non lo rifiutò. Doveva sentire davvero freddo, in effetti la temperatura era calata di qualche grado.
- Ti ringrazio… Sai, sono convinta che in realtà ci sia qualcosa di buono in te, qualcosa che ti rende diverso … Non lo so, ma questi piccoli gesti non fanno che dimostrarlo.-
- Eh? Che stai dicendo? – Bunny faceva sempre dei discorsi così strani? Era già la seconda volta che lo faceva con me.
- Niente. Lascia stare…- scosse la testa.
- Chiamo un taxi.- dissi allontanandomi di pochi passi con il cellulare in mano.
Sospirai stanco.
Mi aspettava ancora mezz’ora di viaggio con Bunny prima che sulla mia giornata potesse essere scritta la parola fine.
Con il cellulare all’orecchio, mi voltai istintivamente a guardare quella strana ragazza.
Guardava la luna con aria assorta…
Non era Bunny a far parte di un altro mondo, ma era un mondo totalmente a me sconosciuto che faceva parte di lei.




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Ed ecco giunta anche la fine di questo capitolo! :)
E mentre le fan sfegatate di Rea si associano con quelle di Sidia per scovarmi e farmi fuori, io mi dileguo il più lontano possibile!!! xD
Come avrete notato ho inserito un nuovo personaggio, Sidia.
Inizialmente doveva solo essere una comparsa, ma da qualche giorno stavo pensando di darle un ruolo ben preciso nella storia. Vedrò nel corso della stesura che mi verrà in mente! ;) Ho inserito anche Ottavia e lei sarà sicuramente presente nei prossimi capitoli. A piccoli passi entreremo nel mondo di Bunny!
Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto e non vi abbia annoiate!
Mi lasciate i vostri pareri? Vorrei capire che ne pensate! :)
Vi ringrazio per aver letto!
Al prossimo capitolo, un bacio!
Debora.

P.s: Trovate qui nella mia pagina le immagini che più rispecchiano il locale nelle mia fantasia! ;)http://www.facebook.com/pages/-Il-piccolo-spazio-di-miss-moonlight-/147980305296643#!/media/set/?set=a.154871511274189.35288.147980305296643&type=1

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Capitolo 4
*** Come un esercizio di matematica ***


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Capitolo quattro : Come un esercizio di matematica



- Il taxi sarà qui in pochi minuti, ne ho trovato uno in zona. Siamo stati fortunati, non ci tocca neanche aspettare tanto.- dissi ritornando da Bunny.
Annuì. - Tu non mi sopporti, vero Marzio?-
- Perché ma, scusami? –
Perché ti trovo intorno sempre nei momenti meno opportuni, perché la tua aria da “so tutto io” mi dà fastidio, ecco perché. Ma pensai che fosse meglio tenere per me quei pensieri.
Anche se non era così insopportabile alla fin fine…
La vidi sedersi sul marciapiede. - Ti ho messo il bastone tra le ruote a scuola e prima ti stavo rimproverando con l’aria da “so tutto io”. Non credo di averti dato una buona impressione.-  parlava seriamente, ma un lieve sorriso le incorniciava il volto.
Accesi una sigaretta per fumarla prima che il taxi arrivasse. – La seconda l’hai azzeccata testolina buffa, ma non farne un problema personale. Le persone che mi vanno a genio sono poche.-
- Mi chiedo che qualità dovrebbero avere per entrare nelle tue grazie…-
La guardai. – Troppe da elencartele e non da tutti.-
- Tu non ti fidi facilmente del prossimo, eh?-
- Tu invece ti fidi troppo.- ribattei tranquillo.
Arricciando le labbra, sembrò rifletterci su:- Vero! Credo sia anche uno dei miei difetti. A volte rimango delusa, ma il problema è che credo troppo nella bontà dell’animo umano e nella sincerità…- mi rispose guardandomi negli occhi.
Rise : - Mi guardi come se avessi appena parlato di extraterrestri! –
- Tu sei strana… e lo sono anche le tue idee. – conclusi. – Sicura di non crollare esausta prima di arrivare a casa? Sembra quasi che tu faccia fatica a tenere gli occhi aperti.- la notai mentre si passava distratta una mano sul volto.
- Si, ce la faccio. Ho solo avuto una giornata pesante. Credo sia il nostro taxi…-
Anch’io intravidi i fari di un’auto che si avvicinava. Bunny aveva ragione.
Non appena salimmo entrambi sui sedili posteriori, l’autista ci chiese la destinazione. Dissi il paese,poi chiesi a Bunny di specificare prima il suo indirizzo. Poco dopo partimmo e prima di imboccare la superstrada passammo davanti l’entrata principale del locale che poco prima mi aveva ospitato, rimanendo bloccati dalla piccola coda che si era creata davanti ad esso.
Il Cat Scratch Club stava ancora regalando svago a molte persone.
- I vostri amici vi hanno lasciati a piedi, ragazzi? - scherzò l’autista guardandoci dallo specchietto retrovisore. Bunny sorrise e lo feci anch’io cogliendo l’ironia della situazione. Lasciando la mia macchina ai miei compagni mi ero praticamente lasciato a piedi da solo.
-Qualcosa di simile!- risposi.
L’insegna luminosa attirò ancora una volta la mia attenzione, ma senza un particolare motivo.
-Conosco questo locale…-
Le parole di Bunny mi sorpresero.
-Tu? Conosci questo posto? - Bunny al Cat Scratch Club? No, lei non era il tipo di persona che frequentava certi ambienti.
-Si.- Continuò ad annuire assorta.
Inaspettatamente il mio cellulare emise uno squillo, segnalandomi l’arrivo di un messaggio. Era Moran.
 
“Li ho riportati tutti a casa, tu hai risolto la situazione? Passo domani mattina da casa tua.”
 
Risposi al messaggio velocemente, dando al mio amico le informazioni che mi aveva chiesto. -La bambina in ospedale è una tua cugina? O una tua parente?- chiesi voltandomi verso Bunny.
-No. Ottavia è solo una bambina che conosco molto bene. Passo molto tempo con lei… E’ speciale, le sono molto affezionata. -
-Lo devi essere davvero tanto se le sei rimasta accanto per quasi l’intera giornata. Come mai la sua tutrice non era con lei? O i suoi genitori…-
Sospirò mentre guardava assorta fuori dal finestrino. - Non è semplice come sembra in realtà. È complicato da spiegare…-
-Beh, ci vorrà un po’ prima di arrivare in paese…-
Continuavo a guardarla, cercando di capire dalle sue espressioni se fosse un problema per lei parlarne. Invece, tranquillamente iniziò a raccontarmi, cercando il modo più semplice per espormi la questione.
-Ottavia è meravigliosa anche se a primo impatto può sembrare una bambina fredda e distaccata…-
-Perché? Ha problemi a relazionarsi con gli altri bambini?-
- È insicura, timida. Se ti concede di giocare con lei è un gran passo. Purtroppo ciò che ha vissuto l’ha segnata particolarmente, anche se adesso la situazione è molto migliorata.-
-Cosa le è successo?- chiesi per poter capire.
-Il motivo per cui era da sola oggi… Circa un anno fa ha perso i suoi genitori.-
Rimasi in silenzio, senza parole.
-Morirono davanti ai suoi occhi- continuò a raccontare -Andarono tutti insieme in montagna, il padre di Ottavia era un dottore e preferiva prendere i giorni feriali a inizio settembre. Stavano approfittando del viaggio per cercare anche una residenza per il periodo natalizio. Lo stavano facendo proprio per lei, perché Ottavia adora la neve. Erano quasi arrivati in paese quando si consumò la tragedia. Un uomo alla guida di un autocarro andò contromano travolgendo così Ottavia e i suoi genitori. Miracolosamente la piccola ne uscì quasi illesa, ma quando realizzò quello che era appena accaduto e cercò un conforto in sua madre si rese subito conto che era successo l’inevitabile. Provò ancora a chiamare suo padre, ma non ebbe mai risposta. Morirono entrambi sul colpo. Incredibilmente si salvò solo lei. Aveva solo cinque anni…-
Basito, iniziai a comprendere la complicata situazione di quella bambina.
Riprese a spiegarmi: - I suoi zii paterni l’hanno presa in affidamento, anche se il trauma che le è rimasto sarà incancellabile. C’è da dire anche che a volte sono fuori per viaggi di lavoro. Per questo passa molto più tempo alla casa famiglia e, quando loro sono via, Morea si occupa di lei. Non è la sua tutrice in senso letterale, ma era la spiegazione più semplice da dare in ospedale, anche se i suoi parenti sono stati subito informati… Non volevo che si sentisse da sola oggi, non voglio che lo si senta mai. Mi sta davvero a cuore. -
- Capisco. Mi dispiace per la bambina. Succedono delle cose tanto assurde a volte…-
- E tanto crudeli.-
- Perché prendi queste responsabilità? - le chiesi improvvisamente.
- Che vuoi dire?-
Cercai di spiegare il ragionamento che stavo facendo: - Sembri coinvolta in situazioni più grandi di te, più difficili da affrontare di quanto tu stessa riesca ad immaginare. Non lo so… da quando ti ho parlato per la prima volta ho questa sensazione.-
Scosse la testa, chiaro segno che non stava capendo a cosa mi riferissi.
- Ti lasci coinvolgere troppo dagli altri, rischi di far diventare i loro problemi i tuoi. Un esempio? Quando mi sono divertito con Ubaldo ricordo che mi hai detto “Perché hai ferito i suoi sentimenti! Ubaldo è un ragazzo molto sensibile…”  quando ti chiesi per quale motivo ti eri infuriata tanto. Sai, Ubaldo dovrebbe imparare a reagire e a difendersi da solo, non è un tuo problema se viene deriso o altro. Lo stesso discorso vale per Ottavia, capisco che tu le voglia bene, ma non puoi prendere troppo personalmente la sua storia. Crescerà e supererà tutto…-
- Stai dicendo un mucchio di sciocchezze. Non mi sembra un reato difendere un amico e neanche cercare di aiutare una bambina standole accanto.- cercò di giustificarsi, la sua voce era decisa.
- No, ma tante volte bisogna tracciare un limite. E poi… tu sei solo una ragazza che ancora deve compiere diciannove anni. Dovresti pensare a divertirti, a svagarti e a vivere la tua libertà.-
- Non saremo mai d’accordo su questo punto, Marzio. Mai…-
Risi sarcasticamente: - Non ho mai detto di voler esserlo …-
Il viaggio proseguì poi così, con entrambi in silenzio. Bunny era troppo stanca per ribattere e io anche. Ero perso nella contemplazione del buio fuori dal finestrino, dal regolare susseguirsi dei lampioni e delle luci dei paesi in lontananza. Mi succede ancora oggi quando a guidare non sono io. Viaggiare in macchina mi rilassa e anche quella volta mi stavo lasciando cullare dai suoni silenziosi della strada, quando percepii un piccolo peso sulla mia spalla sinistra. Mi voltai e mi accorsi che Bunny aveva involontariamente poggiato la sua testa su di me. Aveva gli occhi chiusi e il suo respiro era lento, leggero, regolare.
Si era addormentata.
Non la scostai da me, in quel momento non volevo assolutamente destarla. Per la seconda volta riuscii a percepire il suo profumo, quello che a scuola avevo riconosciuto come profumo di rosa. Il bagliore delle luci le illuminava il volto ad intermittenza. Quando mi abituavo alla vista del suo viso, la luce spariva e lui con essa. Cercavo di coglierne i particolari, così come si fa con un oggetto bello che si vede per la prima volta da vicino. Si cerca di ricordare ogni cosa…
E poi riappariva. Riappariva lei e il suo volto con un misto di dolcezza, serenità e calma.
Mi fece tenerezza, talmente tanta che avvertii il desiderio di toccarla, accarezzarla.
Le spostai così le piccole ciocche della frangia e avvicinandomi al suo orecchio le sussurrai piano: - Te lo avevo detto che saresti crollata prima di arrivare a casa, testolina buffa…-
 
In paese, fui costretto a svegliarla perché eravamo arrivati davanti alla sua casa. Era imbarazzata per essersi addormentata, mi salutò e ancora insonnolita fece quasi a fatica a capire che non volevo dividere il costo del taxi, che non era un problema di cui doveva occuparsi.
Anch’io poi misi piede finalmente a casa e chiudendo la porta d’ingresso mi sembrò quasi di lasciarmi alle spalle quell’assurda serata. Diedi una veloce occhiata all’orologio prima di lasciarmi andare sul letto. Erano le tre e venti della notte, mi aspettavano poco più di quattro ore di riposo.
 
Svegliarsi poche ore dopo fu facile. Il suono acuto della sveglia riusciva sempre a farmi destare, ma la difficoltà stava nel dover raccogliere tutte le briciole di volontà che mi erano rimaste per alzarmi e affrontare una nuova giornata. Ancora più difficile era dover convincersi di andare al liceo…
Quasi meccanicamente, come un specie di burattino, mi alzai dal letto e svolsi meccanicamente tutto ciò che facevo ogni mattina. Mi lavai, mi vestii ed infine mi pettinai.
Non mi soffermai molto sulla mia immagine che veniva riflessa dallo specchio del bagno, sapevo già che il mio volto era segnato dalle occhiaie e dalla stanchezza.
Quando mi diressi in cucina per la colazione, capii dal profumo del caffè e dalla riconoscibile sigla del notiziario che uno dei miei genitori era sveglio.
Trovai mio padre seduto a tavola davanti ad un caffè e dei biscotti, con lo sguardo rivolto verso il televisore.
-Buongiorno papà…- lo salutai.
- ‘Giorno. –
Presi anch’io una bella tazza di caffè, riempiendola più di quanto ero solito fare. Speravo che la caffeina mi sarebbe stata d’aiuto.
Mi sedetti accanto a lui. – Di che stanno parlando? – chiesi indicando il notiziario.
- Adesso? Di un’azienda che ha dato in beneficenza una modesta somma di denaro ad un’associazione in difesa dei diritti per gli animali…- scosse la testa.
- Che cosa c’è di strano?-
Si alzò e prese dalla sedia accanto la borsa dove teneva il materiale per il lavoro in azienda. – Di strano niente. C’è che è stata solo un’ottima trovata pubblicitaria! Guarda… questa mattina ne parlano in tutti i notiziari e certamente anche nei giornali, ne citano il nome e sarà sicuramente indicata nelle interviste a cui verranno sottoposti i membri più importanti dell’associazione e così via… Tutta pubblicità gratuita e molto più efficace. Avrei dovuto pensare a qualcosa del genere anche per la Chiba Technology and Services.”
L’uomo d’affari che si celava dietro il mio genitore veniva allo scoperto sempre.
- Non mi sembra che l’azienda sia in un periodo di crisi, perché ti stai preoccupando della pubblicità?-
– No, non siamo in crisi, ma la barca che dirigo non naviga neanche in acque molto tranquille. Ci vogliono idee nuove, progetti nuovi, qualcosa che attiri e mantenga vivo l’interesse degli acquirenti. –
- Sbaglio o hai assunto persone qualificate proprio per questo? Per trattare gli aspetti pubblicitari e tutto ciò che riguarda questo campo? –
- Il compito è loro, ma la preoccupazione resta mia comunque. E anche tu dovresti iniziare a preoccupartene, un giorno avrai a che fare anche tu con questi problemi.- detto ciò si diresse verso la porta:- Vado a lavorare, a dopo.-
Lo osservai uscire dalla stanza scuotendo la testa. Era convinto che il mio interesse per l’azienda fosse pari al suo. Non che non me ne importasse nulla, ma io nella mia vita avevo altre priorità e ancora non volevo entrare in quel mondo fatto di affari, statistiche, quote e quant’altro.
Moran arrivò a prendermi prima di quanto avevo immaginato e quando uscì di casa era già in cortile accanto ad aspettarmi vicino al posto del passeggero.
-Rieccoti il tuo gioiellino!- ammiccò lanciandomi le chiavi che afferrai al volo con una sensazione di sollievo.
- Grazie.-
-Non hai affatto una bella cera, amico!- disse mentre mettevo in moto con uno sbadiglio.
- Oh, neanche tu.-
- Immagina quando ci vedranno arrivare insieme con queste facce, penseranno che abbiamo fatto le ore piccole!- scherzando batté le ciglia e mi mandò un finto bacio.
- Per carità, smettila!- lo pregai e percorremmo quel piccolo tragitto ridendo spensieratamente.
Arrivammo a scuola con qualche minuto in anticipo e non eravamo gli unici.
Rea e Heles erano sedute sul piccolo muretto vicino al cancello dell’entrata e le raggiungemmo. Con un bacio Moran salutò la sua ragazza e involontariamente mi parve di notare un certo distacco da parte sua, ma forse mi sbagliai perché fui distratto da Rea che con un gesto cercava di richiamare la mio attenzione poiché si era già accostata a me per salutarmi.
- Scusami, Rea.- mi passai una mano tra i capelli e sul viso.
- Belli addormentati, avete fatto baldoria ieri sera eh?-
-Credo proprio di si, Heles… ma anche noi ci siamo divertite comunque.-
- Siete uscite?- chiese Moran.
-Heles voleva andare a prendere una pizza, ma poi siamo rimasta a casa mia a scaldare surgelati e a guardare la tv. Sai, Moran? Ho provato anche a farle la manicure, ma non c’è stato verso di convincerla.-
Rise – Non ne dubitavo.-
- Odio fare la manicure. – disse lei – Sono già le otto e Seiya non è ancora arrivato.  E guardandovi deduco che la causa è collegata allo stesso motivo delle vostre facce distrutte.-
Ed ecco Heles di prima mattina, con l’intuito che girava sempre a mille.
- Sapete meglio di me com’è Seiya…- mi limitai a dire. – Vogliamo entrare ? –
Stavamo per entrare nell’istituto quando una voce alle mie spalle richiamò la mia attenzione e di conseguenza anche quella dei miei amici.
- Marzio, buongiorno! – mi voltai e fui sorpreso da Bunny che mi salutò con un sorriso.
- Bunny, ciao…-
Quasi mi aspettai il commento di Rea alle mie spalle: - …la tua biondina compagna di banco…-
Bunny però non sembrò sentirlo : - Volevo ridarti questo, scusami. Ieri sera mi sono dimenticata di lasciartelo quando eravamo difronte a casa.- mi passò il mio giubbotto nero, quello che la sera prima le avevo dato perché avevo notato che era infreddolita.
- Figurati, me ne sono dimenticato anch’io. Non preoccuparti, capita. -
Lei annuì – Volevo chiederti se avevi più avuto notizie di Sidia…-
- No.- dissi interrompendola – Non avevo motivo di prendere dei contatti, ma credo stia bene. Io entro, ci vediamo in classe.-
Annuì : - Aspetto ancora due minuti una mia amica ed entro anch’io.- disse allontanandosi da noi.
- Quella lì non mi piace per niente.- disse Rea mentre salivamo le scale
Moran accanto a me non disse una parola riguardo i riferimenti a Sidia che aveva fatto Bunny. Parlarne davanti alle ragazze era una follia. Ma all’acume di Heles non sfuggiva niente!
- Seiya che non c’è…spunta fuori una certa Sidia di cui non si vogliono avere notizie e poi salta fuori che Marzio ha portato a casa questa Bunny. E non abbiamo sentito ancora nulla da parte di Taiki e Yaten…-
Ma il mio migliore amico non poteva trovarsi una ragazza che sapeva tenere per lei i ragionamenti che faceva?
- Perché l’hai accompagnata a casa? Era con voi? Non volevate portarci per questo motivo?-
- Ma che dici, Rea! Smettila di sparare cazzate. Abbiamo preso un taxi insieme, tutto qui.-
- E le hai lasciato il tuo cappotto…-
- Ne aveva bisogno.- risposi infastidito. – Ci vediamo dopo.- salutammo entrambe davanti la loro classe. Poi mi rivolsi a Moran : - Non potresti dire a Heles di farsi gli affari suoi di tanto in tanto?-
- Meglio che non ci provi. E tu dovresti addolcire Rea, non hai visto che occhiate di fuoco a lanciato a Bunny?-
Scossi la testa e me ne andai anch’io in classe.
Seduto al mio banco sentii la campanella annunciare l’inizio delle lezioni, ma la mia compagna di banco ancora non si era presentata.
Arrivò pochi minuti dopo, con il fiatone. Per sua fortuna la professoressa della prima ora non era in classe, altrimenti si sarebbe presa una bella annotazione per il ritardo.
Risi :- Testolina buffa, riprenditi. Se avessi aspettato veramente due minuti, non saresti stata in ritardo.-
- Abbiamo chiacchierato e non mi sono accorta di quanto si fosse fatto tardi.-
- Credevo che non saresti venuta oggi, pensavo fossi rimasta a casa riposare.-
Iniziò a mettere sul banco i libri.
- Anch’io pensavo di non trovarti oggi.-
- Perché mi hai portato questo, allora? – indicai il giubbotto che avevo appeso alla spalliera della sedia.
Mi guardò e ancora una volta fui sorpreso dall’intensità dei suoi occhi: - Perché speravo che venissi, volevo restituirtelo…-
Poi iniziò la prima lezione seguita dalle altre e le ore passarono. Prestare attenzione alle lezioni non fu facile, le palpebre tendevano a chiudersi quasi involontariamente. Quelle che trovavo più difficili da seguire erano quelle di letteratura straniera, mentre quasi mi divertivo durante le ore di matematica o fisica, nel giocare con i numeri, con le formule e con i strani procedimenti aritmetici.
Erano divertenti anche perché erano accompagnate dalle strane esclamazioni di Bunny.
Ridevo ascoltandola discutere con le equazioni e, molto più spesso, con i numeri.
- Ma perché non mi esce il risultato?... Eppure ti ho anche semplificato, stupido quattro…-
Mi azzardai a sbirciare sul suo quaderno e capire il procedimento che stava seguendo fu molto difficile. L’intera facciata della pagina era piena di segni, scarabocchi sopra i passaggi sbagliati, numeri che apparentemente non avevano alcun senso segnati ovunque, formule scritte ai lati della pagina…
Sorridevo alla sua espressione buffa ed esasperata quando, con la matita tra i capelli, guardava il suo esercizio ed infine decideva di arrendersi.
- Prova a fare in questo modo, segui questa formula. Quella che hai usato tu non è quella corretta…- decisi di intervenire. Dopo tutto era la mia compagna di banco ed era naturale aiutarsi a vicenda.
Mi guardò sconsolata: - Ho provato di tutto, il risultato a cui arrivo non è mai quello esatto. Perciò ci rinuncio...-
Testarda.
Sfogliai il mio quaderno con disinvoltura davanti ai suoi occhi, come per farle vedere quante prove avevo svolto nel tempo in cui lei era concentrata nel suo unico esercizio dal risultato sbagliato.
Trovai quello che lei stava svolgendo.
-Oh, eccolo qua… E il risultato è proprio quello che viene riportato sul libro.-
Ma quanto ero bravo!
-Fa’ un po’ vedere?- disse sporgendosi per guardare. Prontamente chiusi il mio quaderno, impedendole di osservare e memorizzare l’esercizio.
- Non penserai che voglia copiarlo, vero?-
Bambina.
Colta con le mani nel sacco, cercava di negare ciò che era evidente.
- No, non lo penso. E proprio per questo motivo se vuoi posso aiutarti nel svolgerlo, ma dovrai ragionarci su da sola. La prima formula da applicare te l’ho già detta, il resto sta a te…-
In questo modo avrebbe certamente imparato.
- Ma ci ho già ragionato abbastanza! – sbuffò annoiata - … e va bene, ci provo solo un’ultima volta!-
E così dicendo mise ancora sé stessa alla prova. Il mio aiuto fu notevole, dovevo intervenire quasi sempre per suggerirle di semplificare alcuni numeri, di stare attenta perché stava tralasciando importanti operazioni, di ricordarle che un numero elevato ad una potenza non andava semplicemente moltiplicato… Mi portai una mano alla fronte quando un tre elevato alla potenza di tre, per Bunny equivaleva a nove. Invece era ventisette.
Ma nonostante ciò, quando arrivò all’ultimo passaggio che precedeva il risultato finale, un sorriso cominciò ad apparire sulle sue labbra.
- Ci sei quasi, testolina buffa…- la incoraggiai.
- Non chiamarmi testolina buffa, mi distrai e mi fai sbagliare!-
Le dava proprio fastidio quel nomignolo, ma a me piaceva.
-Non resta nient’altro da fare e…- guardò il risultato sul libro - … è finito! Ed è tutto esatto!  Devo assolutamente farlo vedere alla professoressa!- quasi saltò sulla sedia nella fretta di alzarsi.          – Professoressa vorrei farle vedere un esercizio che ho appena svolto!- era quasi vicino alla cattedra quando disse queste parole, ma tornò indietro. Credetti che avesse dimenticato qualcosa, invece mi sorprese.
- Grazie, Marzio! Ti devo un favore! – mi ringraziò con quelle poche parole e un occhiolino, prima di allontanarsi ancora.
Sorrisi.
In quel momento paragonai Bunny ad un esercizio di matematica. Apparentemente poteva lasciare confusi, spiazzati, disorientati. Più si cercava di studiare il primo approccio e più questo poteva risultare sbagliato, di conseguenza costringeva a ricominciare tutto da capo.
Ma lei non andava studiata.
Bisognava solamente trovare il giusto metodo per capirla e apprezzarla, e poi tutto nasceva da sé.
E forse fu proprio in quei giorni che io trovai il mio metodo. 





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E anche questo capitolo è finalmente qui per voi che lo attendevano!
Essendo questo un capitolo di transizione spero via sia piaciuto! Volevo far finalmente avvicinare Marzio e Bunny e far nascere tra loro un rapporto che verrà sviluppato nei prossimi capitoli!
Visto che ho tardato un pochino nella pubblicazione di questo benedetto quarto capitolo, vi anticipo chi arriverà nel prossimo, che ne dite? :)
Avevo scritto di Marzio che aveva una sorella un po' stravagante e carismatica... Vi ricordate di Marta che stava per tornare? :)
Inoltre ringrazio Miss Demy per la splendita immagine, ispirata a "Tienimi per mano", che mi ha regalato! Un pensiero meraviglioso e molto bello... :)
Detto questo vi ringrazio ancora per aver letto e se volete farmi sapere il vostro parere con una recensione ve ne sarei grata!
In ogni caso, vi ringrazio per avermi seguita fin qui!
Debora

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Capitolo 5
*** Un passo nel suo mondo ***


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Capitolo cinque: Un passo nel suo mondo


- Questo è un colpo da maestro.- avvisò Taiki prima di colpire la pallina bianca con la sua pedina.
Fortunatamente Moran in difesa ci sapeva fare e riuscì a parare la piccola porta. – Carino, ma devi migliorare la tecnica. Marzio ce la facciamo a portare a casa un punto? –
- Yaten, mi fai segnare? – chiesi divertito al mio amico che difendeva la porta.
Quel pomeriggio eravamo a casa mia, nella stanza “svago” che io e mia sorella Marta avevamo personalizzato. La nostra stanza dei giochi da bambini, la stanza che da grandi usavamo per stare con gli amici.
Io e Moran stavamo giocando a biliardino contro Yaten e Taiki e la partita procedeva alla pari da ormai una decina di minuti. C’era anche Seiya, ma non era interessato al gioco, preferiva leggere le riviste automobilistiche.
Era passata una settimana dalla nostra ultima uscita, ma nessuno di noi aveva più accennato a quella serata.
I ricordi che ci erano rimasti erano stati accantonati, così come quelli di tante altre sere.
Con essi, era stato accantonato anche l’entusiasmo di fine estate, sostituito dalla calma di inizio autunno.
Succedeva sempre così… d’estate eravamo sempre fuori, giornate al mare e picnic in pineta, ma quando le temperature diminuivano con il passare delle stagioni, preferivamo incontrarci a casa di uno di noi e passare il tempo a fumare, a parlare e ad intrattenerci con svariati discorsi. Parlavamo anche di ciò mentre giocavamo.
- È la natura, come gli animali quando vanno in letargo… e in primavera ci svegliamo più…-
-…più arrapati che mai! – esordì Seiya, interrompendo suo cugino – Che diavolo stai dicendo? Da quando ti sei messo a fare… lo scienziato? Come cavolo si chiamano gli idioti che sparano certe cazzate?-
Scoppiammo a ridere, cercando di non perdere la concentrazione. Ma non tutti riuscivano a trattenersi…
Goal. Ottenni un punto sfruttando la distrazione di Yaten. Gli feci l’occhiolino, battendo il cinque a Moran per lo spettacolare assist che mi aveva riservato.
- Grazie alla battuta di Seiya abbiamo ricavato un punto.-
Sorrise fiero: - E con questo vinciamo noi!  Dobbiamo andare Taiki, altrimenti non riusciremo ad arrivare in tempo all’incontro.-
- Che incontro? – chiesi curioso.
- Alcolisti anonimi? – abbozzò Seiya.
Taiki scosse la testa: - Ti ci avrei mandato a calci nel sedere, se fosse stato così. Ho convinto Moran ad iscriversi al corso di informatica avanzata.-
- Mi serve un passaggio, vengo con voi…- disse Seiya alzandosi.
Io risi della leggera irritazione che lessi sul volto di Moran.
Ci dirigemmo tutti alla porta d’ingresso per accompagnarli.
- Ci vediamo ragazzi! – ci salutarono per poi prendere posto nell’auto di Moran.
Io e Yaten li guardammo allontanarsi.
- Sai, Marzio? Secondo me quella degli alcolisti anonimi non è una cattiva idea?-
Lo guardai con un’aria interrogativa.
- Eh? Che stai dicendo… Noi non siamo degli alcolisti! –
Sogghignò: - Noi due no, ma immagina come sarebbe se Se…-
Stava scherzando, ma decisi comunque di interromperlo :- Non è il primo a prendersi una sbronza, lo facciamo anche noi.-
Mi ero appena voltato per rientrare in casa, quando udii il rumore di un’auto all’entrata del vialetto. Che cosa avevano dimenticato a casa mia?
- Marzio, credo che tu abbia delle visite! – mi disse Yaten attirando la mia attenzione.
Tornai indietro sui miei passi e dal porticato cercai di identificare il conducente, ma i finestrini oscurati non mi furono d’aiuto.
Poi lo sportello posteriore si aprì e la prima cosa che vidi fu un brillante fiocco rosso che fasciava una lunga chioma dorata.
- Marta…- il sussurro di Yaten precedette il mio pensiero.
Con un sorriso sul volto, rimasi inchiodato dallo stupore.
Mia sorella era tornata.
La mia adorata sorella aveva finalmente lasciato l’America per tornare da noi. La mancanza per la sua assenza era qualcosa che non riuscivo a definire. Per me lei era un sostegno, qualcosa di speciale.
Il tassista, tirò fuori dal bagagliaio due enormi valige rosa mentre lei ne prese una terza dal posto accanto a cui sedeva.
Marta e la sua teoria del “viaggiare leggeri”.
- La ringrazio, lei non immagina neanche il disagio in aeroporto, nessuno si è degnato di darmi una mano con i bagagli! – disse, sistemandosi il vestito lungo i fianchi.
- Marta!!! – urlai correndo verso di lei.
Sorrise venendomi incontro, la afferrai e, sollevandola leggermente dal terreno, la feci volteggiare.
- Marzio! Smettila, mi fai girare la testa! – disse ridendo. La posai giù e nei suoi occhi, pieni di entusiasmo, rividi anche i miei.
- Perché non mi hai detto che saresti arrivata? Ti aspettavamo tutti tra qualche giorno, avevi detto che non saresti riuscita ad arrivare entro oggi…-
Sistemò il fiocco sui suoi capelli, un gesto abituale. – Lo so, ma volevo farvi una sorpresa!–
L’uomo che aveva accompagnato Marta tossì discretamente, reclamando la nostra attenzione. – Signorina, se non c’è altro…-
- Oh, mi scusi tanto! Ha ragione, le pago il conto così può continuare il suo lavoro.-
Pagò il conto al tassista e mentre esso si allontanava si rivolse a me.
- Loro, mamma e papà, sono a casa? –
Scossi la testa. – Sono in azienda…- risposi mentre cercavo di prendere le sue valigie per entrare in casa. Erano pesantissime!
- Ma ti sei portata l’America appresso? - la stuzzicai – dovrò farmi aiutare… ehi Yaten, vieni a darmi una mano! – chiamai il mio amico che era rimasto sulla soglia, guardando la scena in silenzio.
- Yaten? – ripeté stupita Marta. Non si era accorta della sua presenza.
Si avvicinò. Nel momento in cui incrociò il suo sguardo con quello di mia sorella, vidi lei portarsi una mano sul cuore.
- Come stai, Marta? – le chiese, poi venne a prendere una delle valige - …ti trovo… in forma. Direi che l’America ti ha giovato! –
Lei annuì – Si, avevo proprio bisogno di una vacanza del genere.-
- Vacanza? – le chiesi. La mia voce tradì lo sforzo che mi costavano le sue due valige.- Nove mesi sono più che una vacanza!-
Rise: - Ho anche lavorato, lo sai! –
Quando chiusi la porta alle sue spalle, le sfuggi un sospiro : - Finalmente a casa! –
- Com’è tornare qui dopo tanto tempo? –
- Strano, Yaten… la tranquillità di questo paese, ogni piccola cosa… è come se fossi tornata indietro nel tempo. Come se non me ne fossi mai andata. Eppure molte cose non sono più le stesse di una volta.-
C’era un significato nelle sue parole e un altro in quelle di Yaten. Si riferivano a qualcosa che in quel momento mi sfuggiva, avrei sicuramente chiesto a mia sorella di parlarmene.
All’improvviso mi venne in mente il giorno in cui Marta mi disse che sarebbe partita.
 
Ero in camera sua mentre faceva le valigie.
“ Ho bisogno di allontanarmi per un po’. Lo devo a me stessa, devo concedermi una pausa” diceva muovendosi per la stanza.
“Che sta succedendo, Marta? Mamma e papà hanno creduto all’offerta che ti è stata posta, ma io so che c’è dell’altro. A me puoi dirlo. Perché stai andando via?”
Abbracciandomi, con le lacrime agli occhi, mi disse: “ Ti spiegherò quando io stessa avrò capito. Ti spiegherò tutto un giorno, quando sarò in grado di affrontare i problemi del mio cuore. Ora devo solo andare via…”
“La soluzione non è scappare. Me lo ripeti sempre.”
“Ma non sto scappando. Sto solo evitando di farmi del male ancora…”
 
Dalla serenità che irradiava, sembrava esserci riuscita. Ed io non potevo essere nient’altro che contento. Ad un tratto non mi importavano più i motivi che l’avevano spinta ad andarsene, l’importante era che lei stesse bene.
- Marzio vi lascio tranquilli, vado. Avrete tante cose da raccontarvi, immagino.-
- Ma no, Yaten. Puoi restare, non preoccuparti…- gli dissi.
Lui scosse la testa : - No, davvero. Tanto tra cinque minuti sarei dovuto andare via comunque. E poi immagino che tua sorella sia stanca e voglia riposare. Ripasso domani! – mi rispose avviandosi all’uscita.
- Come vuoi tu…ciao, allora.-
- Ci vediamo, Marzio.-
- Arrivederci, Yaten.- lo salutò mia sorella, lui si fermò un istante a guardarla e rispose al saluto : - Arrivederci, Marta.- e andò via.
Rivolgendomi verso mia sorella, le puntai un dito contro : - Tu mi devi raccontare un bel po’ di cose. Vieni, alle valigie ci penseremo dopo.- andammo in salotto, lei si lasciò sprofondare sul divano e io mi sedetti alla poltrona accanto.
- Che cosa vuoi sapere? – mi chiese divertita.
- Tutto quello che non sei riuscita mai a raccontarmi per telefono.-
Sospirò :- C’è così tanto ! Sicuramente la città che più colpisce è New York, la visiterei sempre. Passavo così tanto tempo a Central Park… Non so neanche da dove iniziare a raccontare! – sorrideva.
- Parti semplicemente dall’inizio, allora…-
Passammo le ore seguenti a chiacchierare del suo viaggio. Lei raccontava, io ascoltavo, annuivo e di tanto in tanto mi portavo una mano alla fronte, una reazione minima rispetto a ciò che mi diceva di aver combinato lontano da casa.
Appena vide sua figlia, mia madre diede libero sfogo alle lacrime, agli abbracci e ai baci. Anche mio padre si commosse e fu strano per me vedere luccicare i suoi occhi. Lui era un uomo che la maggior parte delle volte sapeva controllare le emozioni.
Cenammo tutti insieme quella sera e l’immagine della mia famiglia riunita mi rimase impressa nel cuore.
Mamma che serviva la cena, papà che sorseggiava il vino e Marta che tra un boccone e l’altro raccontava del suo soggiorno nel nuovo continente. Fu costretta ancora una volta a raccontare soprattutto di New York, dell’Empire State Building, su cui conveniva salire per godersi la vista sulla città, Rockefeller Center a 5a Ave, tra la 50a e la 51a Str , delle piccole passeggiate a Broadway per cogliere l’atmosfera magica e poi anche del maestoso Museum of Art, ma tralasciò quegli aneddoti un po’ bizzarri dei quali mi aveva parlato poco prima.
In quell’atmosfera allegra, le ore passarono senza che ce ne rendessimo conto e con molto buonsenso decidemmo di andare a letto e lasciar riposare mia sorella.
Disteso sul letto aspettai che il sonno mi cogliesse ascoltando il mio mp3.
Chiusi gli occhi, iniziando a cantare mentalmente le varie canzoni e pochi istanti dopo mi ritrovai a seguire il corso delle immagini che scorrevano nella mia mente.
Vedevo un parco verde, la statua della libertà, strade affollate e confusionarie…
Una parte di me era cosciente, sapevo che era solo un sogno che la fantasia aveva scatenato reduce dai discorsi della serata.
Un dormiveglia leggero, ecco cos’era. Ne ebbi la certezza quando avvertì dei rumori provenire dalla porta, qualcuno stava entrando nella mia stanza.
Aprii gli occhi e con la mano cercai l’interruttore della lampada che avevo sul comodino.
-Scusami, Marzio. Credevo fossi ancora sveglio…-
Stropicciai con la mano gli occhi accecati dalla luce.
- Avevi bisogno di qualcosa, Marta?-
Sembrò esitare. – Ti va di… ehm… farmi compagnia? –
Sorrisi.
 
Pochi minuti dopo io ero disteso sul divano mentre Marta era seduta su dei morbidi cuscini ai miei piedi, mangiando un gelato.
- Pensavo che mi avresti mandata al diavolo, sai? – disse passandomi un pacco di biscotti al cioccolato. Iniziai a mangiarne qualcuno.
- Non ero più abituato a questi spuntini notturni…- la vidi abbassare lo sguardo sul suo gelato alla vaniglia.
- Non mi hai ancora chiesto il motivo della mia partenza. Ricordo che volevi spiegazioni il giorno in cui ho fatto le valige.-
Era vero. – Sì.- confessai – ero arrabbiato e mi sentivo tradito. Sai bene quali sono i miei rapporti con papà, tu e mamma siete l’unico motivo per il quale sono ancora sotto questo tetto. Vuole fare di me una copia di sé stesso.-
Scosse la testa: - Sai che la penso diversamente. Avete lo stesso carattere, siete testardi e troppo orgogliosi, perciò non riuscite a trovare un punto d’incontro.- disse imboccando un’altra cucchiaiata del suo gelato.
-Non stavamo parlando di questo.- le ricordai. – Voglio sapere il motivo che ti ha spinta ad allontanarti da qui.-
Mi accertai che l’argomento non la turbasse o la rattristasse. Era tranquilla e il suo tono pacato lo dimostrava.
- Tu sai bene come ero fatta, perdevo facilmente la testa per un ragazzo. Mi bastava vedere un fotomodello su un volantino, un cantante in tv, un ragazzo carino per strada ed inevitabilmente me ne prendevo una cotta! – ridemmo insieme della sua frivolezza – Fin quando, un ann fa, non mi resi conto di essermi innamorata veramente.-
Mescolò il suo gelato lentamente ed io non le feci domande.
- Sai Marzio, l’amore non si può prevedere. Non sai né quando quel famoso fulmine ti colpirà e né chi avrà il potere di rapirti il cuore. Ed io… io non ho avuto fortuna.-
- Che intendi dire?-
Sospirò : - Non era il momento giusto per lui, non era pronto ad impegnarsi in una relazione seria. Aveva ancora voglia di divertirsi, di sentirsi libero in ogni circostanza, senza nessun legame o vincolo verso qualcuno. Ci abbiamo provato, abbiamo tentato di vivere una storia ma è durata poco più di qualche settimana. Esigevo troppo, qualcosa che lui non era in grado di donarmi. -
- Perché non me ne hai parlato? Ti avrei aiutata.- in quel momento mi sentii escluso, uno spettatore passivo della vita di mia sorella. Una sensazione spiacevole, rattristante.
Scosse la testa: - Eri proprio tu la persona a cui era più difficile raccontare tutto ciò. – mi guardò negli occhi – cosa avresti fatto se quel ragazzo, che mi stava facendo soffrire, era una delle persone che frequenti, uno dei tuoi amici? – continuò a guardarmi, aspettando che cogliessi un piccolo particolare che mi sfuggiva. Quando ripensai al pomeriggio trascorso, tutto all’improvviso sembrò farsi chiaro.
- Yaten.- dedussi – E’ lui vero? – la vidi annuire, pochi istanti dopo risposi alla sua domanda: - Lo avrei allontanato da te, da me. Ti avrei risparmiato la sua presenza qui, ogni cosa anche lontanamente poteva ricordartelo.-
- Sei sempre stato molto protettivo nei miei confronti.- Lo ero davvero, soprattutto con le persone alle quali volevo più bene. – Ed è per questo che non ti ho mai detto niente. Avresti perso un amico… Ed io avevo bisogno di tempo per riprendermi. Così l’unica soluzione mi è sembrata quella di partire e l’occasione si è presentata con quella proposta di lavoro. Mi sembrava un segno del destino e l’ho colto al volo.- tornò a mangiare il suo gelato.
- Ed ora? Stai bene? – scossi la testa infastidito dalla strana circostanza che si era creata nel pomeriggio – Hai dovuto rincontrarlo non appena hai messo piede qui!-
Sorrise vnendo a sedersi accanto a me ed io le feci più spazio sul divano.
- Certo, ero preparata a tutto ciò! Non devi preoccuparti.-
Le sorrisi. – Ti voglio bene.-
Mi strinse la mano: - Anch’io. –
Io sgranocchiai ancora qualche biscotto, poi Marta mi chiese: -E tu? Non hai nessuna novità da raccontarmi?-
Che cosa potevo dirle di me? La mia vita non era cambiata, non c’era stato nessun viaggio in quel periodo, nessun episodio che valeva la pena di essere ricordato.
- Niente di nuovo, solite cose. – le risposi infine.
- Non posso crederci! Nemmeno un piccolo particolare da rivelare alla tua sorella curiosa? – scherzò, ma guardando l’azzurro dei suoi occhi, me ne vennero in mente altri due simili, solo più intensi nel colore e nella profondità.
Decisi di raccontarle di lei. Dell’unica cosa che negli ultimi giorni mi aveva colpito.
- Veramente c’è qualcosa, anzi qualcuno… una ragazza a dirla tutta.-
Gli occhi di Marta si illuminarono. – Una ragazza? La conosco? – abbracciò le sue gambe e appoggiò la testa sulle ginocchia. – Racconta! –
Sorrisi quando le immagini delle innumerevoli espressioni di Bunny mi tornarono in mente. I primi giorni in cui l’avevo fatta innervosire, il suo volto illuminato sempre dal sorriso, la sua espressione quando si addormentò sulla mia spalla…
Ma cosa potevo dire in realtà di Bunny a mia sorella? Era solo la mia compagna di banco, un’amica non intima, qualcuno che nel corso delle mie giornate era solo di passaggio.
Ma allora perché gliene volevo parlare?
- Non c’è niente in realtà. Non credo che tu la conosca, ma… lei è …- non riuscivo ad esprimere i miei pensieri. Bunny non era diversa dalle altre, era semplicemente particolare. Discutevamo spesso su ogni cosa. Su una battuta cattiva che mi sfuggiva, sulla sua tenera goffaggine, che lei chiamava “distrazione nei movimenti”, sul mio metodo di spiegarle come si può risolvere un esercizio di algebra. A volte si infuriava e mi teneva testa, altre volte lasciava perdere e stando in silenzio, con un sorriso, mi concedeva la vittoria, così come si fa con un bambino.
Non faceva mai quello che mi aspettavo ed era per questo che mi sorprendeva sempre più.
– Bunny è semplicemente Bunny. Unica nel suo genere – sorrisi scuotendo la testa – non ho mai conosciuto una persona bizzarra come lei.- conclusi.
- Quindi non frequenti più quella…come si chiamava… Rea? –
Pensava che io uscivo con Bunny? Marta era fuori strada.
- Si, frequento ancora Rea. Bunny è solo una mia compagna di scuola.- spiegai.
-Capisco…! A proposito, credo che ora sia meglio andare a letto! Non vorrai mica dire alla tua compagna di banco che hai le occhiaie perché sei stato a mangiare biscotti e gelato con tua sorella?! – scherzò, ma io immaginai perfettamente la scena. Bunny avrebbe riso di gusto all’idea di me che furtivamente mi intrufolo in cucina di notte per mangiare.
- No! Non ci tengo proprio! – le risposi ridendo mentre le tiravo un cuscino sul ventre – sogni d’oro, Marta! –
 
Il mattino seguente mi svegliai con un sorriso. Il vociare confuso che proveniva dalla cucina mi piaceva, preannunciava che quella mattina avremmo fatto colazione tutti insieme. Andò esattamente come mi aspettavo e così, all’insegna del buon umore, iniziai la mia giornata.
All’entrata del liceo incontrai Rea che mi venne incontro per salutarmi.
- Ho saputo della novità! Tua sorella è tornata, mi piacerebbe venire a trovarla.- mi disse ed io trattenni un sorriso. Marta ricordava a stento il suo nome, non era mai entrata nelle sue grazie. Rea non era di certo l’amica a cui avrebbe chiesto di accompagnarla per una giornata di shopping!
Un altro sorriso spontaneo mi apparve sul volto quando entrai in classe e notai che il posto accanto al mio era ancora vuoto. Mi sedetti e con estrema calma iniziai a sistemare i libri che mi servivano per la prima lezione, dando delle regolari occhiate all’orologio.
Cinque minuti dopo la professoressa entrò in classe salutandoci cordialmente e i nei minuti che passarono sistemò il registro di classe, pronta per fare l’appello. Riguardai l’ora.
Dieci minuti esatti.
Iniziai a ridacchiare e a pensare di avere delle doti da veggente quando vidi Bunny sulla soglia della porta con il fiatone.
- Eccomi, eccomi! Perdoni il ritardo.- si scusò con la docente.
- Va bene, entra pure. Ma facciamo in modo che la situazione non si ripeta tutti i giorni.-
Impossibile, risposi mentalmente. Bunny arrivava sempre con un minimo di dieci minuti di ritardo.
Venne a sedersi al suo posto e non persi l’occasione per punzecchiarla: - Alla buonora, testolina buffa. Qual è la giustificazione oggi? La sveglia era troppo stanca per suonare?-
- No, hai sbagliato.- mi rispose tranquilla – ho perso tempo per dar da mangiare alla mia gatta-
- Interessante!-
- Siamo allegri, vedo.- notò la mia euforia – Sei reduce da una nuova serata di baldoria?-
La professoressa richiamò la nostra attenzione.
- No, ho fatto qualcosa di meglio. – risposi soddisfatto.
- Sono curiosa.- ammise ed io con un sorriso la attaccai ancora.
- Ti basta sapere che appena sveglio non ho perso il mio tempo a cercare di snodare degli assurdi codini simili ai tuoi.-
Il dolore inaspettato che avvertii al mio piede destro, fu la sua unica risposa. Sobbalzai imprecando a voce bassa, stizzito dalla sua aria indifferente.
- Bene, Chiba. Noto con piacere che oggi sei molto loquace, che ne dici di venire a parlare con me qui alla lavagna?- mi voltai verso la professoressa che, con la testa china sul suo registro, faceva scorrere la penna sui vari nomi. Si fermò sul mio e mise un puntino. Un segnale che avevo imparato a riconoscere nel corso degli anni. Stavo per essere interrogato in inglese.
Presi dal banco il libro e il quaderno e nel momento in cui passai accanto a Bunny, diedi un calcio alla sua sedia.
- Prof , non ho studiato in modo approfondito…- inizia a giustificarmi.
- Oh non importa, Chiba. Inizia pure a fare sulla lavagna uno schema completo dell’età vittoriana e poi inizia ad spiegarmi l’intero periodo.-
Con un sospiro, cercai di fare quello che mi era stato chiesto. Al centro della lavagna scrissi stampatello The Victorian Age. Poi cercai di raccogliere le idee e continuare il mio schema.
Dal fondo dell’aula sentii un risolino divertito.
Odiavo Bunny. La odiavo con tutto me stesso.
 
Alla fine delle lezioni, salii in macchina e scuotendo la testa guardai sul mio libretto quel misero numero che stava ad indicare la mia valutazione. Un’insufficienza non grave,un cinque. Misi nel portaoggetti il libretto e tornai a casa.
 
Nel primo pomeriggio mi offrii volontario per accompagnare Marta nello studio di un famoso fotografo, dovevano preparare un nuovo book fotografico per una nuova campagna pubblicitaria. Il prodotto da pubblicizzare era un profumo, il mio compito era solo quello di aspettare e così, dopo alcune serie di scatti, mi accordai con mia sorella: avrei fatto un giro in macchina, restando nelle vicinanze in caso avesse terminato prima.
Amavo passare un po’ di tempo in riva al mare, così decisi di fare la mia solita passeggiata sulla costa, ma passando per l’incrocio principale del paese, notai una ragazza in difficoltà.
Tra le mani portava un grosso scatolone e appese sulle braccia delle buste. Guardai meglio e riconobbi Bunny. Dove stava andando con tutta quella roba?
Decisi di accostarmi a lei e quando le fui accanto la feci spaventare. Lo scatolone che aveva in mano le limitava anche la visuale.
- Ti serve un passaggio, testolina buffa?–
- Ti prego, fa che non sia lui…- la sentii bisbigliare. Trattenni un sorriso.
- Che cos’hai svaligiato? E soprattutto dove vuoi portare quella roba? Non andrai molto lontano così. A stento riesci a vedere dove metti i piedi.-
Faticosamente poggiò tutto a terra e si passò una mano sulla fronte. Guardò me al volante.
- Si, sei proprio tu! – sembrò pensare un attimo – Ok, ho bisogno di un passaggio oggi. Aiutami a mettere lo scatolone in macchina.-
Scesi per darle una mano – Lascia fare a me… Sali avanti, lo metto dietro.-
Caricai tutto e ritornai al posto del guidatore, lei mi era accanto. - Allora, dove ti devo portare?-
Sembrò incerta nel darmi la risposta: - Alla casa famiglia.- disse infine.
- Porti lì tutta questa roba?- chiesi meravigliato. – Come mai?-
Alzò gli occhi al cielo :- Ovvio, è per i bambini…- aprì le buste che aveva appoggiato sul grembo – Ci sono colori, matite, cartoncini colorati… -
Non volevo distrarmi dalla guida, ma la guardai per pochi istanti ugualmente. Quella prima sera che passammo insieme, in quel taxi, le chiesi il motivo per il quale faceva tutto ciò. Ancora non capivo bene, ma in quel momento ebbi la certezza che ciò in cui si impegnava, la faceva star bene.
Quando arrivammo, accostai semplicemente vicino il cancelletto d’entrata.
- Ma come? Non mi aiuti a portare dentro almeno lo scatolo? – notai un lampo di divertimento nei suoi occhi.
- Non me la racconti giusta… e poi dopo lo scherzetto di oggi non meriteresti nessuna cortesia da parte mia.- le risposi con un tono leggermente irritato.
Rise:- Ma dai, non è stata colpa mia. Impara a non reagire se ti viene pestato un piede e la prossima volta andrà meglio.-
- Sei irritante, non ti sopporto.- le dissi esasperato mentre spegnevo la macchina e scendevo per aiutarla.
- E tu sei troppo orgoglioso! –
- Guarda che posso cambiare ancora idee e lasciare tutto qui per terra.-
Mi fece una linguaccia:- Vieni, ti faccio strada.- mi rispose e così la seguii all’interno dell’edificio e dopo aver attraversato un corridoio, ci ritrovammo davanti ad una stanza. Dall’esterno si percepirono delle voci confuse che si interruppero non appena lei bussò discretamente.
- Ciao, Morea! Contro ogni mia previsione, sono riuscita a fare un salto anche oggi! – salutò con un abbraccio la ragazza che venne ad aprirci.
- Saranno contentissimi di vederti anche oggi, Bunny. –
Tossì con un colpo secco. Si erano dimenticate che io reggevo qualcosa di molto pesante da alcuni minuti?
- Oh, scusami. Morea, lui è Marzio. È stato gentilissimo e mi ha accompagnata!-
- Piacere Marzio, vieni. Entra pure e lascia tutto dove capita, sistemeremo dopo! –
Bene, Morea mi piaceva!
Mi feci avanti e lasciai tutto accanto al muro più vicino. Con sorpresa mi voltai quando numerose e piccole voci esclamarono il nome di Bunny. Vidi un piccolo gruppo di bambini correrle incontro, si lanciavano sulle sue gambe nel tentativo di abbracciarla.
- Che ci hai portato, Bunny? Dei giochi? –
- Bunny, devo raccontarti una cosa bella…-
- Pensavo che oggi non venivi! – disse uno di loro con un piccolo broncio, unendosi al coro degli altri.
Lei sorrideva e cercava di abbracciare e fare una carezza a tutti per accontentarli :- Piano, bambini! Se state un minuto buoni vi mostrerò cosa vi ho portato! – io guardavo la scena divertito, ma non passai inosservato.
- Bunny, chi è lui? –
Una bambina mi indicò con sguardo curioso. La sua voce tradiva la sua timidezza e la sua carnagione pallida risaltava in contrasto con il colore scuro dei suoi capelli.
Intervenne Morea :- Lui è un amico di Bunny, si chiama Marzio.-
- Già, è un mio amico. Su, presentatevi! Ditegli come vi chiamate.-
Tutti mi dissero il loro nome, fu impossibile ricordarli tutti. Me ne rimasero in mente due. Uno della bambina che mi aveva indicato, Ottavia, e l’altro di una piccolina che si era avvicinata a me e tirava un lembo dei miei jeans.
- ChibiChibi! – mi ripeteva. Aveva i tratti orientali e all’incirca tre anni.
Non ci sapevo fare con i bambini e loro poche volte avevano simpatia per dei tipi come me.
- Ci sono dei colori qui! E nello scatolone dei giocattoli! Possiamo portare tutto nella stanza dell’arcobaleno?- chiese Ottavia a Morea e lei con un gesto della testa acconsentì. Bunny si avvicino a me, prese ChibiChibi in braccio, e appoggiando una mano sulla mia spalla mi sussurrò all’orecchio :- Lo porti tu nella stanza dell’arcobaleno, vero? – indicò con un cennò della testa lo scatolo.
Non potevo far altro che rimboccarmi le maniche: - Fammi strada e ringraziami se dopo non ti chiedo la mancia da facchino- scherzai.
La segui, i bambini erano stati più veloci di noi. Mi chiedevo che cosa avesse di tanto speciale quella stanza. La struttura che ci ospitava era più utile che attraente. Le vecchie pareti scrostate erano in tono con il pavimento pieno di buchi e coperte dalla patina del tempo. Feci mente locale sulla storia del nostro paese, la struttura doveva risalire agli anni ’60.
Ancora una volta poggiai lo scatolo a terra e mentre Morea iniziò a distribuire ad ogni bambino i giochi che esso conteneva, io rimasi rapito dallo scherzetto di colori che si diffondeva in quella stanza.
Dei piccoli cristalli traballanti ornavano le finestre catturando i pochi raggi del sole dal lato nord dell’edificio, proiettando degli arcobaleni di rosso, verde e giallo sui piccoli tavoli. Dal soffitto sembravano scendere piccole stelle di carta, sorrete da fili, mentre le pareti erano adornate di tanti disegni e specchi decorati con immagini di animali, draghi, fate.
- Benvenuto nel mio piccolo mondo! – mi disse Bunny con un sorriso.
Forse era solo una mia impressione, ma improvvisamente mi sentii pervaso da un’allegria inaspettata.
- Allora, ti piace? – mi chiese, non avevo ancora detto una parola.
- Sì. Il gioco dei colori è fantastico. Questa stanza è una piccola perla nell’intera struttura!- ammisi.
- E’ tutta opera di Bunny in realtà.- rispose Morea unendosi a noi – Tutto quello che vedi qui lo ha realizzato lei! –
- Complimenti, testolina buffa! Ottimo lavoro! –
- Oh, basta complimenti. Mi farete montare la testa.- scherzò lei e ridemmo insieme di gusto.
In quel momento Marta mi fece uno squillo sul cellulare, segnò che stava per finire il suo servizio fotografico.
- Marzio, giochiamo?- la piccola ChibiChibi ancora una volta tirò il lembo dei mie pantaloni. Reggeva in mano una bambola, dall’abbigliamento sembrava essere una guerriera.
- Senti piccoletta, mi piacerebbe tanto, ma ora devo veramente andar via.-
Mise un piccolo broncio.
Morea prese la piccola: - Marzio verrà un’altra volta a giocare con noi, va bene? – lei annuì – Vieni, andiamo a colorare un po’- si allontanò di pochi passi:- torna quando vuoi, farà piacere a loro.-
- Scusami, dovevi solo accompagnarmi ed invece ti ho trattenuto.-
- Non avevo altro da fare, stai tranquilla. Ci vediamo domani a scuola, testolina buffa.- mi voltai per andarmene quando avvertii qualcosa di morbido colpirmi la testa. Le risate dei bambini scoppiarono sonoramente.
Mi voltai per vedere chi aveva osato lanciarmi un orsacchiotto di peluche, anche se dovevo aspettarmelo.
- Ti ricordo che io ho un nome! –
- Lo so! – risposi, raccogliendo l’orsetto.
- E grazie per tutto! –
- Di niente… testolina buffa! – con un occhiolino glielo rilanciai per poi uscire.
Sorrisi per tutto il tragitto in macchina fino quando arrivai davanti allo studio del fotografo, dove Marta mi stava già aspettando fuori.
- Scusami, ho fatto tardi.-
- Dove sei stato? – mi chiese curiosa. – Ho qualcosa fuori posto? – aggiunse specchiandosi nello specchietto retrovisore – Perché continui a sorridere?- si stava irritando.
- Niente, niente! Sei perfetta. Rido perché… ho visto tanti piccoli arcobaleni.-
La notai guardare fuori dal finestrino: - Ma… non ci sono nubi di pioggia!-
Scoppiai a ridere per la sua elementare deduzione, mentre lei mi guardava con un’espressione strana.
Non ero pazzo.
Avevo capito che quello era il posto in cui piaceva stare a Bunny, quello dove anche un tipo come me poteva sentirsi felice. Avevo fatto un passo nel suo mondo, e se lei riusciva a fare una piccola differenza portando un po’ di colore nella vita di quei bambini, allora valeva la pena di esserci.
 

 




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Nda:
Sì, credete pure ai vostri occhi! Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Mi scuso con tutte voi che aspettavate questo capitolo da tempo, ma meglio tardi che mai! :)
Spero che vi sia piaciuto, se siete sopravvissute a leggerlo tutto!
Sinceramente questo è uno dei miei preferiti, scriverlo è stato veramente piacevole.
Per questo, aspetto le vostre opinioni e i vostri commenti!
Prima di lasciarvi però, ci tengo a dedicare questo capitolo alla mia cara amica Roberta, che con estrema gentilezza, ha realizzato una bella immagine di copertina per la storia (facendomi notare che ha disperatamente cercato le immagini degli artbook),
e soprattutto il trailer!!!
Essendo lei l'unica persona a conoscenza della trama completa e dei prossimi svolgimenti, vi avverto che contiene moltissimi SPOILER!
Se volete guardarlo, eccolo qui: http://www.youtube.com/watch?v=A78R7oDuSRI
Vi ricordo anche la mia pagina su facebook dove potrete seguirmi: http://www.facebook.com/media/albums/?id=201407829874670#!/pages/-Il-piccolo-spazio-di-miss-moonlight-/147980305296643 . Troverete tra le immagini un album in cui ho messo alcuni attori che per me rispecchiano i miei personaggi ;)
Detto questo, vi ringrazio tutti ancora una volta!
Al prossimo capitolo, amati lettori!
Debora

 

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Capitolo 6
*** Love is only a feeling ***




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Capitolo 6 : Love is only a feeling

- Ultimamente Heles è strana…-
-Lo è sempre stata per me, quella ragazza! –
Era pomeriggio inoltrato, io e Moran eravamo in palestra ad allenarci con i miei attrezzi.
- Parlo seriamente, non lo hai notato anche tu?-
 - Dipende da cosa intendi.- dissi con un po’ di sforzo.
- Non te ne sei accorto perché ultimamente non sei molto presente nel gruppo…-
- Non dire cazzate. Mi sembra di non avervi neanche una volta in questa settimana.- goccioline di sudore mi caddero negli occhi. Posai il bilanciere e mi passai velocemente un asciugamano sul viso.
- Non in quel senso. Ci sei, ma non sembri più coinvolto. Rea crede che ci sia qualcun’altra di mezzo…- le allusioni che fece su Bunny furono chiarissime.
Bevvi un sorso d’acqua, recuperando il fiato.
- È troppo possessiva nei tuoi confronti, sarebbe disposta a tutto. Se c’è qualcun'altra metti in chiaro le cose fin da ora - mi guardò divertito – Oppure a te piace il fatto che lei ti muoia dietro?-
-Non è così.- spiegai al mio migliore amico. Con lui potevo parlare liberamente. –Rea mi piace, fisicamente è il massimo, è anche troppo perfetta. Sono i suoi atteggiamenti che mi infastidiscono, il suo modo di porsi, di pensare. Non so dirti cosa manca, ma se solo riuscisse a far scattare qualcosa in più…- lasciai cadere la supposizione, certo che stesse capendo. - A proposito, più tardi usciamo insieme.-
Moran prese il mio posto per allenarsi con il bilanciere.
- Ritornando al discorso della tua ragazza, magari è solo un periodo. Le passerà, vedrai…- aspettai una sua risposta, ma quest’ultima non arrivò. – Non capisco perché non ne parli con lei!-
Ci mise più forza di me nel sollevare l’attrezzo: - Ormai ho dimenticato anche quando è stata l’ultima volta che siamo andati a letto insieme, riesci a capirmi? –
- Niente punti d’incontro, quindi! – Trattenni un sorriso. – Perché non vi unite a me e a Rea questa sera? Andiamo a prendere qualcosa in un discopub, magari pottrebbe essere una buona occasione per parlare.-
- Non mi sembra una cattiva idea. Proviamoci, mal che vada avrò passato una serata in compagnia.-
- Perfetto! Torno subito allora – lo lasciai da solo alle prese con i pesi e mi allontanai per fare qualche telefonata.
 
 
***
Quel sabato sera il locale che avevamo scelto era affollato. Non era molto grande, ma era abbastanza conosciuto, tanto da attirare volentieri l’attenzione di molti ragazzi.
Mi trovavo con Rea all’entrata, aspettavamo i nostri due amici.
- Pensavo di trascorrere una serata da sola con te. C’era proprio quest’urgenza di invitare anche loro? –chiese con un tono d’irritazione la mia accompagnatrice.
- Certo, hanno dei problemi…-
-… che a noi non riguardano! – disse interrompendomi.
- Non ci vedo niente di male nel cercare di aiutare un amico.- le mie stesse parole stuzzicarono la mia memoria.
Da chi le avevo sentite pronunciare?
- Da quando ti sei messo a risolvere le questioni d’amore? – mi guardò perplessa.
- Io non risolvo niente. – risposi – Mi sembra strano che Moran mi abbia parlato di questa situazione e che a te Heles non abbia detto nulla.-
- Non ne so niente. – rispose seccata – Senti entriamo? Ci raggiungeranno dentro.-
Acconsentì e la seguii. Passando per l’ingresso, notai alcuni ragazzi guardarla come se la stessero spogliando con gli occhi.
Non avevano tutti i torti, Rea era uno schianto. La gonna, che le arrivava fin sopra il ginocchio, lasciava scoperte le sue gambe e fasciava il suo fondoschiena, risaltandone la forma tonda e perfetta.
Avanzai per raggiungerla e le circondai la vita con un braccio.
Marcavo il mio territorio.
Un chiaro segno per gli spettatori che ci guardavano.
- È il nostro tavolo…- dissi bloccandola. Ci accomodammo e poco dopo ci venne incontro il cameriere. In attesa dei nostri amici, chiedemmo un drink.
Il dj mise uno dei dischi del momento, attirò sulla pista da ballo molta gente.
- Balliamo? – mi chiese Rea, iniziando a dondolare la testa a ritmo di musica.
- Dopo, ora non ne ho voglia.-
- Oh, Marzio. Ultimamente sei noioso! – scherzò – Dopo ti trascinerò con la forza se dovesse essere necessario.-
- Non ci riusciresti.- risposi tranquillo.
-… nessuno mi lascerebbe seduta ad un tavolo da sola.- lanciò un’occhiata alle mie spalle, dietro le quali vi erano quei ragazzi che avevano mostrato una particolare ammirazione verso di lei.
Credeva di ingelosirmi? In quel caso, sprecava le sue energie. Avevo una concezione tutta mia dei sentimenti.
Ero convinto che la gelosia fosse riservata solamente ad alcune persone, che fosse un’emozione destinata solo a qualcuno che faceva il grande sbaglio di far dipendere il proprio stato d’animo dal comportamento di un altro individuo.
Non era per me. Non era da Marzio Chiba essere geloso.
Il senso di irritazione nasceva dal comune impulso maschile che spingeva noi ragazzi a proteggere qualcosa che era di nostra proprietà.
Stavo per ribattere, ma proprio in quel momento intravidi Heles e Moran, così feci loro un segno per raggiungerci.
- Non è servito a niente, come immaginavo…- mi sussurrò Rea. Come me, aveva notato la tensione tra i due. Ma mi imposi un sorriso e li accolsi normalmente.
- Finalmente, vi stavamo aspettando. – dissi a Moran, dandogli una pacca sulla spalla. – Heles…- la salutai con un cenno.
- Ciao. – rispose indifferentemente, poi scambiò qualche parola con la sua amica. Approfittai per rivolgermi a Moran.
- Allora, che è successo? –
Il cameriere tornò con le nostre ordinazioni e ne prese delle altre. Quando si fu allontanato mi rispose, scuotendo la testa : - Lasciamo stare, sono passato a prenderla e non aveva ancora deciso se venire o meno. Diceva che questa sera preferiva andare a teatro… ribadiva che danno una sinfonia di non so quale noiosissimo musicista… non ricordo…-
- Teatro? – chiesi incredulo – Da quando si interessa al teatro e all’opera? –
Alzò le mani davanti a sé, spalancando gli occhi – Non ne ho la più pallida idea! –
- Glielo chiederò io.- gli risposi e prima che potesse replicare, mi ero già rivolto alla sua compagna : - Heles, perché non ci hai parlato del teatro? Ci potevamo andare insieme…- azzardai ma quando vidi la sua smorfia scettica, non insistetti.
- Voi? – disse rivolgendosi a noi due ragazzi – A teatro? No, credetemi, non reggereste neanche il primo atto.-
- Non capisco che cosa ci sia di tanto interessante. Uno spettacolo? Una di quelle noiosissime rappresentazioni come “Romeo e Giulietta” ?! - intervenne Rea.
Heles scosse la testa e dalla sua borsa, estrasse un piccolo dépliant.
Sulla facciata iniziale vi era una foto del palcoscenico, con le sue tende rosse, e una scritta in celeste, che risaltava agli occhi tanto quanto la graziosa fanciulla che vi era rappresentata: Milena.
- Milena? E chi sarebbe? – Moran diede voce ai nostri pensieri.
Annoiata, rispose : - Ecco perché non ti ci porterei mai a teatro! È una delle più famose violiniste del momento, ho sentito parlare di lei tempo fa. Ho ascoltato dei brani su internet, è molto brava. Sono riuscita a incontrarla anche un paio di volte e…-
- E tu vorresti andare lì per sentirla semplicemente suonare? – se il motivo era solo quello, davvero io e il teatro non avremmo mai avuto a che fare. Al contrario, se sarebbero riusciti a farmi addormentare per recuperare qualche ora di sonno, ci sarei andato volentieri. – Non pensavamo fossi amante della musica classica!- le dissi.
- Ora lo sai, fa una grande differenza? Sempre meglio che passare le serate in questi soliti posti.-
Intrattabile, ecco cos’era. – Beh, sei ancora in tempo per cambiare il tuo programma. – le risposi non curante.
- Ok, basta! – Rea mise fine alla disputa, mentre al mio fianco Moran tamburellava nervoso con le dita sul tavolo. – Marzio, andiamo a ballare? Ascolta, è la canzone del momento! –
- Non ora, non fanno per me questi pezzi. – ripetei.
- Heles, andiamo noi due! Lasciamoli qui a farsi compagnia da soli…- mi lanciò un’occhiata di sfida, prese il secondo drink direttamente dal vassoio del cameriere, che era giunto ancora al nostro tavolo, e tirando la sua amica per la mano, avanzò verso il centro della pista.
Le guardammo allontanarsi e muoversi a ritmo di musica.
- Hai intenzione di startene con la bocca chiusa anche con me? – chiesi al mio amico.
Lui bevve un sorso dal suo bicchiere – Che cosa vuoi che ti dica? –
Guardai Heles mentre ballava – Lo sai che non ho mai capito il motivo per il quale state insieme.-
-Perché ci amiamo? – mi rispose con una domanda, ma non sembrava molto convinto delle sue parole.
Intanto intorno alle ragazze si era formato un mezzo cerchio di persone che le guardavano divertirsi. Loro cantavano e muovevano i loro corpi :
 
(*) One and two and three and four, come on let me know if you want some more!
You know what I like right now get it right.
Boy talk that talk to me all night,
Yeah boy I like it yeah boy I like it.
 
Mi sfuggi un sorriso sarcastico quando vidi Rea muoversi in modo sensuale… stava attirando di proposito l’attenzione.
- A me questo non sembra amore. Non se lei continua a trattarti come un burattino e tu a star zitto e muto come un cane con la coda tra le gambe…- ritornai alla conversazione.
- È testarda, la conosco. Con lei è inutile parlare quando si mette in testa qualcosa. Ma non ho intenzione di continuare con questa situazione, deve rispettarmi. Ma non so cosa fare, come comportarmi.- ammise.
Mi voltai a guardarlo, il suo volto esprimeva tutto il disagio interiore che sicuramente provava. Gli diedi una pacca sulla spalla per confortarlo.
- Grazie, Marzio. Per questa serata ti devo un favore.- ricambiò il mio gesto ed io, per alleggerire l’atmosfera, scherzai : - Me ne devi così tanti che ormai ho perso il conto! –
- Facevo per dire, stupido! –
Scontrammo i pugni, come eravamo soliti fare, e ridemmo.
Quel momento durò poco, subito mi fece notare l’agitazione che si era creata sulla pista.
Un ragazzo, incitato dal suo gruppo di amici, continuava ad avvicinarsi a Rea per ballare. Provava a sfiorarla, toccarla…
Puntualmente arrivava il rifiuto di lei, anche se non troppo deciso.
- Ma che sta facendo quello? – iniziai ad arrabbiarmi quando riconobbi gli stessi tipi di poco prima. Scattai in piedi, decidendo di intervenire.
- Ehi, Marzio!!! – la voce di Moran mi giungeva lontana, sopraffatta dalla musica man mano che avanzavo verso Rea.
 
What you saying now ?
Give it to me baby,
I want it all night.
Give it to me baby !
What you saying now?
Give it to me baby!
Give it to me baby!
Give it to me baby!
 
Quando la raggiunsi, mi frapposi bruscamente tra lei e quel ragazzo, accompagnato da un’imprecazione di lui, ma lo ignorai.
- Oh, finalmente! – mi accolse, cingendomi il collo con le braccia.
– Torniamo al tavolo.- le dissi duramente.
- Ma io voglio divertirmi ancora! Tornaci tu se ti va tanto! – replicò staccandosi da me.
Il ragazzo mi diede un leggero colpo sulla spalla, richiamando la mia attenzione.
-Ehi! – disse – Non hai visto che ci stavo provando io? Tornatene da dove sei arrivato! – mi urlò contro, impettendosi e cercando di sovrastarmi.
Il solito pallone gonfiato che cercava guai. – Si da il caso che sia già impegnata con me, perciò sparisci! Quello di troppo sei tu! – gli ribadii, poi quando fu a pochi centimetri dal mio viso, tanto che potei sentire il suo alito puzzare d’alcool, lo allontanai con una spinta.
Scoppiò il caos.
Con un ringhio, si precipitò verso di me, le mani strette in due pugni. Sferrò il primo pugno contro il mio viso, troppo tardi perché io potessi intercettarlo.
Mi colpì in pieno, un colpo secco sul labbro.
Non rimasi inerme, sapevo incassare, ma anche reagire.
Caricai il braccio destro e lo colpii dritto nello stomaco, con una forza tale da fargli sputare saliva.
Si accasciò in ginocchio a terra, cingendosi il ventre, ma immaginavo che non sarebbe finita con due soli cazzotti.
Infatti, i suoi amici mi furono subito addosso. Tre contro uno.
Codardi.
Per quel che potevo, paravo i colpi che mi sferravano, ma non era facile tener testa da solo. Poi, avverti un dolore alla gamba, persi l’equilibrio e battei forte la testa a terra.
Forse persi i sensi per qualche minuto, ma non riuscii più a percepire niente con chiarezza. Sentivo il cuore pulsare nelle orecchie, così come il sangue pulsava dove ero ferito. Sentivo colpi e subito dopo dolore, su tutto il corpo.
Mi sembrò di essere in una bolla, tutti i suoni mi giungevano ovattati, ombre si accalcavano intorno a me. Avevo bisogno di ossigeno.
Stordito dalla musica, dal sapore nauseante del sangue, cercai di rimettermi in piedi.
- Fermatevi, fermatevi! – sentivo urlare Rea.
Stupida! Era stata lei a scatenare tutto ciò…
C’erano altre voci confuse, che diventavano quasi un tutt’uno con i bassi della musica…
- Moran, sta attento!!! – gridava Heles.
Moran? Perché si era messo in mezzo?
Feci leva sul braccio, cercando di rialzarmi, ma con un calcio, qualcuno mi rispedii a terra.
- Bastardo, lascialo! – sentii Moran.
Riprovai ad alzarmi ancora una volta, e fortunatamente ci riuscii. Vidi allora, che uno di loro aveva bloccato Moran per le braccia, mentre l’altro tirava dei pugni. Mi lanciai contro quello che lo stava attaccando, iniziando a sferrare una serie di colpi.
Cercò di liberarsi con una testata all’indietro, ma la evitai.
Qualcuno poi, mi bloccò dalle spalle. Mi dibattei per liberarmi, cercai di colpirlo con i gomiti.
- Smettila, ragazzo! – i miei colpi andarono a vuoto – Se non la pianti subito, dovrò cacciarti di qui con le manette. Calma ora! –
Manette? Merda! –imprecai. Qualcuno aveva chiamato gli sbirri.
A poco a poco, ritornai a prendere piena coscienza di ciò che stava accadendo e a vedere tutto più chiaramente.
Non c’era più musica, niente luci abbaglianti, niente più confusione.
C’erano solo uomini in divisa, che bloccavano tutti noi coinvolti nella rissa.
Guardai i volti dei miei avversari e non potei che sentirmi un po’ soddisfatto. Almeno ero riuscito anch’io a lasciare qualche bel segno su di loro. Poi vidi il mio amico, aveva una guancia gonfia, ma non sembrava conciato male quanto me. – Stai bene? – gli chiesi e mi pentii di aver parlato, sentivo delle piccole fitte all’addome ogni volta che respiravo e, constatai a quel punto, anche quando pronunciavo qualche parola,.
- Avete documenti? –
Annuii e con la testa indicai il tavolo, dove avevo lasciato il cappotto.
- Bene, prendeteli e seguiteci in caserma.- fece per accompagnarmi ma si arrestò quando qualcuno protestò: - Caserma? Per una scazzottata? –
- Niente obbiezioni! – ribadì con severità l’agente.
Presi tutto ciò che mi apparteneva, Rea mi raggiunse prima che mi accompagnassero dalla porta del locale alla loro auto di servizio.
- Vuoi che venga con te? –
Le lanciai un’occhiataccia : - Chiama qualcun altro e fatti venire a prendere. – le voltai le spalle e la lasciai lì, sperando che un minimo di senso di colpa, per ciò che era successo, la assalisse.
 
Prima di essere portati in caserma, ci sottoposero all’alcooltest. Solo per me e il mio amico, risultò negativo. Infatti, non avevamo bevuto più di due bicchieri.
Durante il tragitto in centrale, scambia qualche parola con lui. Eravamo stati lì altre volte, per altri motivi. Ci aspettavamo quasi un’accoglienza clamorosa, qualcosa simile ad una festa. Il maresciallo, il colonnello, il tenente, il brigadiere… l’uomo più giovane di loro che scriveva i verbali… Li conoscevamo quasi tutti.
Arrivati sul luogo, l’agente ci fece aspettare nel corridoio, prima di entrare nell’ufficio dell’ispettore. Dietro di noi, i nostri rivali si lamentavano a gran voce. Per questo motivo erano stati trattenuti subito dopo l’entrata.
Quando l’ispettore uscì dal suo ufficio e ci vide, scosse la testa.
- Chiba, ti hanno conciato male questa volta, eh? –
Scrollai le spalle e guardai l’uomo davanti a me. I capelli bruni, a tratti grigi, gli occhiali tondi e il viso con la solita espressione seria di chi indossava l’uniforme, erano sempre gli stessi.
- Bisogna anche saper incassare, abbiamo agito per legittima difesa.-
- Beh, io sono intervenuto per difenderlo, ma il principio è sempre quello, no? – intervenne Moran a voce più alta, cercando di sovrastare le urla di chi ancora si lamentava.
- Mi spiegherete tutto tra poco. Vado ad occuparmi di loro, appena avrò finito sarò da voi. Aspettatemi dentro. – disse indicandoci il suo ufficio, mentre ci superava.
- Dovrò chiamare mia sorella per farmi venire a tirare fuori di qui, vedrai…- preannunciai seccato a Moran, mentre aprivo la porta, entrando nell’ufficio.
Dietro la scrivania, l’enorme sedia di pelle era girata verso il muro e qualcuno ci rivolgeva le spalle, dondolandosi lentamente a destra e a sinistra. Quando ci sentì entrare, chiese:
- Che cosa sono tutte quelle urla, papà?- e prima ancora che si voltasse, avevo già riconosciuto la sua voce.
No. Mi rifiutavo di crederci.
Le possibilità di incontrarla quella sera erano una su un milione!
Se davvero esisteva qualcuno che scriveva il corso del destino, prima o poi avrebbe dovuto dirmi perché continuava a mettere Bunny sulla mia strada, proprio nei momenti in cui l’ultima persona che avessi voluto vedere era lei.
-Vuoi entrare si o no? – alle mie spalle, Moran mi incitò.
Alzai gli occhi al cielo ed entrai: - Sono troppo giovane per essere padre, testolina buffa! – avrei dovuto ricordarmi che era la figlia dell’ispettore. Ma la somiglianza con lui mancava. Dedussi che avesse preso tutto dalla madre.
Alla mia risposta, la vidi voltarsi all’improvviso. Sgranò sorpresa gli occhi anche quando vide Moran alle mie spalle.
- Salve! – disse lui cordialmente, prendendo posto ad una delle due sedie davanti la scrivania.
- Ciao…- rispose lei con un filo di voce. Poi aggiunse: - Siete degli stupidi, guardate come vi siete conciati! Vi siete presi a cazzotti, non è così? –
- Se avessi preso io a pugni Marzio, a quest’ora sarebbe direttamente in ospedale! – disse il mio amico con tono ironico.
Avanzai verso di lui ridendo, stavo per rispondere ad entrambi, ma una dolorosa fitta ad una costola mi fece trasalire : - Ahi! – esclamai portandomi una mano alla parte dolorante, mentre con l’altra mi appoggiavo al bracciolo dell’altra sedia.
- Beh, mi pare che ci sia quasi andato vicino! Guarda come è conciato, tu hai solo qualche livido, ma lui…- non terminò la frase, fece il giro della scrivania venendo ad aiutarmi.
- Sto bene. Ci sono già passato un sacco di volte.- mi scansai appena e cercai di sedermi, lei mi portò una mano alla spalla per accettarsi che fosse tutto apposto.
- Ah, lui è Moran. Moran, lei è Bunny.- feci con un gesto veloce le presentazioni. Ma lei era concentrata su di me, mi guardava con intensità e scuoteva la testa.
- Che c’è? – le chiesi.
Non mi rispose, si allontanò di pochi passi, prendendo da un cassetto uno strano flacone bianco e qualche fazzoletto. – Sei pieno di tagli e sangue. Non posso vederti in questo stato…- disse venendomi incontro.
- Che cosa hai in mano? – le chiesi stranito. Sembrava stesse brandendo un’arma pericolosa.
- Disinfettante! – esclamò, ed io mi ritrassi ancora più indietro sulla sedia.
- Ti hanno assunta qui come crocerossina? E che ci fa un disinfettate in una caserma?- chiesi, cercando di sviare il suo proposito.
- A volte anche gli agenti tornano con qualche graffio, sono attrezzati…- spiegò. Ormai era davanti a me.
- Disinfetta lui! – indicai Moran.
- Io vado a fare una telefonata, voglio sapere se Heles è già a casa!-  si affrettò a dire per svignarsela.
- Bravo, scappa! Anzi, aspetta. – gli passai il mio cellulare. – chiama anche Marta, per favore. Dille di non dire niente a mio padre.-
Bunny intanto stava imbevendo di disinfettante uno dei fazzoletti.
Quando Moran uscì, lei mi si avvicinò con uno sguardo eloquente. Ero intrappolato nella mia sedia, il dolore al fianco mi impediva movimenti bruschi, e Bunny non sembrava abbandonare la sua idea.
- Ti fa davvero paura il bruciore del disinfettante? – disse sorridendo.
- No. Più che altro non mi piace l’idea che sia tu a volerlo usare su di me.-
Scosse la testa, poi delicatamente mi sollevo il mento.
- Quindi ti infastidisce il pensiero che io voglia prendermi cura di te?-
Quelle parole, per qualche secondo, mi fecero perdere il filo del discorso. Altre volte era accaduta la stessa cosa, mi sembrava che ciò che Bunny mi diceva avesse più di un significato, che si riferisse a più cose contemporaneamente.
Con estrema semplicità, lei riusciva a fare troppa luce nelle mie insicurezze, quelle di cui ero consapevole e che cercavo di tener nascoste.
Dolcemente mi passò un dito sulla parte inferiore delle labbra. Avvertì un po’ di bruciore quando iniziò a picchiettare il fazzoletto contro la ferita.
- Non sono abituato a questo tipo di attenzioni…- confessai.
La vidi trattenere un sorriso. I suoi occhi, simili a due cristalli, scrutavano il mio volto.
Che cosa cercava veramente in me? Perché tutta quell’ attenzione nei miei riguardi?
- Non ti starai per caso innamorando di me ? – il pensiero uscì tutto ad un fiato.
Staccò le mani dal mio viso per prendere ancora un po’ di disinfettante. Fece tutto con una velocità innaturale e quando portò ancora le sue mani sul mio volto, per medicarmi l’occhio destro, fu meno delicata, ma non se ne accorse: - Non dire sciocchezze, Marzio! –
- Ahi! …Anche se ho due occhi, non significa che tu me ne debba privarne di uno!-
- … E comunque non mi innamorerei mai di qualcuno che si rivolge a me con un nomignolo.- continuò come se non mi avesse sentito.
- Ti riferisci al “testolina buffa” ? – sorrisi. – Lo adoro! Non è brutto e non è nemmeno un insulto. L’ho pensato per te, me lo ha suggerito il tuo modo di legare i capelli. È tutto tuo, personale. –
Mi lanciò un’occhiata torva. - E’ odio-so..- sillabò, mentre ripuliva i tagli sulla guancia.
– Vuoi che te ne trovi un altro più carino? –
- Come uno di quei soprannomi sdolcinati da fidanzatini, vero? Non ci starai provando con me, eh?– questa volta, con aria soddisfatta, fu lei a mettermi alle strette.
Scossi la testa – No. E forse è meglio piantarla qui, il discorso sta prendendo una strana piega…- rise con tranquillità. – Come mai sei qui? – le chiesi mentre ogni mio senso, inconsapevolmente, si stava concentrando sulle gentili carezze delle sue mani,  in quel momento scostavano i capelli dalla mia fronte. Chiusi gli occhi, sospirando…
- Da piccola capitava che papà mi portasse qui con lui. Non mi dispiace venire a trovarlo a lavoro.-
Per brevi istanti, immaginai quelle carezze, quei contatti, in un altro tipo di situazione…
Riaprii gli occhi e la osservai. Osservai come i capelli dorati le incorniciavano il viso, creando il giusto contrasto con la sua pelle chiara, le guance color pesca. Poi incatenai il mio sguardo ai suoi occhi color acquamarina… - Io e te siamo come due poli opposti. È un peccato che non riuscirò mai ad innamorarmi di te, perché sei bella, Bunny – mi sfuggì. Fui tentato di mordermi la lingua, mi stavo concedendo il lusso di dire troppe cavolate. Lei arrossì e mi ringrazio per il complimento, poi aggiunse ridendo: - Hai preso qualche botta in testa, vero? –
Mi portai una mano alla nuca, annuendo: - Perché?-
- Deve essere stata bella forte! – continuò con un sorriso. Mi stava prendendo in giro, come al solito. Applicò un cerotto, poi mi guardò quasi soddisfatta. – Mmm… non è un granché, ma sei leggermente più presentabile ora. –
La ringraziai e poco dopo ritornò Moran. Quando mi vide, scosse la testa: - Ci porteremo i segni sul viso per giorni.-
- Fiero delle mie ferite di guerra! – scherzai.
- Avevi tagli ovunque, il tuo viso tra qualche ora sarà gonfissimo.- Bunny si rivolse a me, poi guardò Moran – Tu te la sei cavata solamente con qualche livido, come mai? –
- Erano interessati a lui, io mi sono solo messo in mezzo per puro spirito d’ amicizia.-
- Tipico di voi maschi.- fu il suo semplice commento.
Quando Moran mi restituì il cellulare, mi ricordai delle telefonate che aveva fatto: - Allora? –
- Marta sta venendo a prenderci, non c’è stato nessun problema. Ha detto che le dispiaceva solamente non vedere la fine del film che stava guardando… e che te la farà pagare.- alzai gli occhi al cielo, si trattava sicuramente di una delle sue soap opera preferite. – Heles invece mi ha detto che Rea ha chiamato Seiya, si sono fermati ancora un po’ a bere qualcosa e poi le ha riaccompagnate a casa.-
- Almeno la loro serata non è andata persa.- dissi con tono sprezzante.
L’ispettore tornò da noi, sembrava tranquillo e aveva la calma tipica di chi aveva chiara la situazione e aveva deciso già cosa fare. Ma i protocolli non potevano essere del tutto ignorati, così interrogò anche noi, ma non scrisse nessun verbale. Anche Bunny ascoltò quello che avevamo da dire, ma non fece nessun commento. Di tanto in tanto si limitava a scuotere la testa.
Marta non tardò ad arrivare e, alla fine, l’ispettore decise di lasciarci andare senza conseguenze.
- Il test dimostra che non avete bevuto oltre i limiti, anche il resto della storia è più che credibile. Una piccola baruffa può sempre capitare. Per i vostri amici di là, invece, dovrò prendere altre misure cautelari. Ma voi potete anche andare… Ricordate che la prossima volta non chiuderò un occhio!- ci sottolineò con tono serio. Con lo sguardo basso, annuimmo. – Vado a chiudere la questione di là, così potremo tornarcene anche noi a casa.- rivolse le ultime parole a sua figlia. Poi andò via.
- Fatti un po’ vedere, fratellino! – mia sorella non mi diede neanche il tempo di dire una parola. C’era una strana luce nei suoi occhi, era quasi divertita…
- Che c’è? Conosco quel tuo sguardo, che cosa ti sta venendo in mente? –
Si morse le labbra guardandosi intorno. – Posso parlare davanti a loro, vero? Moran è tuo amico e lei…-
- Lei è la mia compagna di classe, Bunny.- le spiegai velocemente. Mi guardò con un sorriso, sicuramente si ricordò della nostra conversazione notturna.
- Davvero è lei? – le andò vicino e le porse una mano, che lei afferrò arrossendo lievemente. – Marzio mi ha parlato di te, sai? Io sono Marta, è un piacere conoscerti. – sperai che la lingua le si incollasse al palato e che non rivelasse niente di quello che le avevo confidato. A questo proposito decisi di intervenire: - Allora, dicevi?-
Rise: - Dovrai coprire quei segni, almeno un po’, conosci papà…- non terminò la frase, sapeva che avevo già capito. – Beh, pensavo che ho sempre desiderato avere una sorella da acconciare, vestire, e soprattutto truccare…- lanciò una breve occhiata divertita a Bunny – Prevedo delle sedute mattutine di trucco molto divertenti con te! –
- Cosa? Tu sei pazza! Ma che ti frulla in quel cervello? – esclamai. Bunny e Moran scoppiarono a ridere.
- Se temi che ti possa prendere in giro, sappi che lo farò comunque vedendoti con un occhio viola. Tanto vale lasciar divertire tua sorella, non credi? –
- Bunny ha ragione, lasciami divertire! – Marta aveva trovato un’alleata. Ma io ero stanco, non riuscivo a stare dietro ai loro giochetti: - Scordatevelo. Possiamo tornare a casa ora? –
Grazie al cielo, sembrò ascoltarmi. Salutai Bunny, poi mi avviai verso l’uscita seguito da Moran. Marta ci raggiunse qualche istante dopo, si era fermata a scambiare ancora qualche parola veloce con la mia amica. Le chiesi che cosa le avesse detto.
- Oh niente. Solo che è stato gentile da parte sua medicarti e poi le ho chiesto di venire da noi quando vuole! – esordì con un sorriso. Io ero incredulo.
- Perché? Neanche la conosci! – esclamai, incredulo, alla notizia dell’invito.
Lei scrollò le spalle e mi rispose come se la cosa fosse ovvia:- Bunny mi piace, è simpatica.-
 
Non appena fui a casa, andai a letto stremato. Nel bel mezzo del mio sonno turbolento, fui costretto ad alzarmi. Avevo un mal di testa insopportabile, così decisi di prendere un medicinale per alleviare il dolore. Mentre bevevo la mia soluzione di acqua e aspirina, mi soffermai sul riflesso del mio volto alla finestra, cosparso di tagli, cerotti e qualche livido, che distinguevo appena dallo sfondo scuro del vetro.
Passai una mano sul labbro ormai gonfio, ed al ricordo delle mani di Bunny su di esso, sentì una stretta allo stomaco.
Nel silenzio di quella stanza, le parole, che le dissi qualche ora prima, sembrarono risuonare ancora più forte nella mia mente: Non ti starai per caso innamorando di me ?
Mi chiesi cosa sarebbe potuto accadere in quel caso, se lei avesse iniziato a vedermi in modo diverso. Non riuscì a darmi una risposta, per il semplice fatto che Bunny era così imprevedibile che non faceva mai ciò che mi aspettavo. E poi perché dubitavo che una cosa del genere potesse accadere.
E se invece fosse successo a me? Se fossi stato io ad innamorarmi di lei?
L’amore è solo un sentimento! Ripetei mentalmente.
Un sentimento per me era solamente qualcosa di momentaneo, che durava il poco tempo che trovava… La gioia, il dolore, la tristezza, anche quelli erano sentimenti e, come tali, passeggeri. Un giorno si è felici, un altro ci si sente la persona più scontenta del mondo...
Ed era appena successo anche con Rea. Forse all’inizio provavo amore, ma ora mi ero solo abituato alla sua presenza costante accanto a me. Quella sera ne avevo avuto la conferma che aspettavo.
Feci l’errore di paragonare gli atteggiamenti che sia lei che Bunny avevano avuto nei miei confronti. Rea mi aveva condotto in una situazione dalla quale ne ero uscito malridotto e leso, solamente per soddisfare il suo ego femminile.
Un rapporto di scontri il nostro, dove l’unico compromesso riuscivamo a trovarlo tra le lenzuola di un letto.
Anche con Bunny mi fronteggiavo spesso, ma quei piccoli e bizzarri scontri erano anche i nostri punti d’incontro, ma lasciavano solo un sorriso e un insolito senso di leggerezza. E quella sera lei aveva curato le mie ferite…
L’amore è solo un sentimento! – pensai ancora.
Se mi fossi innamorato di Bunny, sarebbe stato qualcosa di provvisorio, senza importanza né durata.
E la stretta allo stomaco che provavo nel cuore di quella notte, era sicuramente uno dei tanti dolori che sentivo per via dei pugni presi.
Era sicuramente così.







(*) la canzone è Talk that talkt to me di Rihanna

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Bene, eccomi giunta anche alla fine di questo capitolo!
Pensavo di non riuscire ad aggiornare prima dei miei esami, ma meglio così no? :)
Ci tenevo a dedicare questo capitolo a Nene curiosa di leggere il nuovo capitolo. Eccolo qui per te! :)
E per tutti voi che lo aspettavate. Perdonatemi se vi ho fatto attendere. Spero di non avervi deluso!
Che ne pensate degli ultimi pensieri di Marzio? E che cosa accadrà secondo voi nel prossimo capitolo?
Fatemelo sapere, ci tengo!
... Ma in tanto scappo sui libri, il giorno 20 si avvicina e la maturità anche!
Grazie per avermi seguita fino ad oggi!

Debora

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Capitolo 7
*** Un'amicizia che sa d'amore ***


 
Prima di lasciarvi alla lettura, mi scuso con tutti voi per il tempo trascorso dall'ultimo aggiornamento. Questo capitolo l'ho scritto a partire da metà Luglio e presa dalla bellezza dell'estate e la libertà post-maturità non mi sono accorta del tempo che passava. Non ho intenzione di abbandonare la mia piccola "creatura", non temete!
Troverete questo capitolo più lungo rispetto gli altri e spero possa coinvolgervi quanto i precedenti.





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Il luogo in cui mi trovavo brillava d’argento e quel colore bastava a illuminare ciò che mi circondava. La sabbia pungeva appena sotto i miei piedi, sui quali si imbattevano deboli onde.
Il cielo immenso sembrava un tutt’uno con la grande distesa d’acqua, riconoscibile dalle piccole increspature. Nessun orizzonte visibile, solo l’infinito davanti a me e il tempo che sembrava non esistere.
Camminavo lungo la costa, non avevo una destinazione, avanzavo seguendo i raggi che emanava la luna, la mia stella polare in quella notte scura. Ignoravo dove mi avrebbe portato, ma continuavo ad avanzare mentre si faceva strada dentro me la sensazione che vi fosse qualcosa, qualcuno da raggiungere.
Improvvisamente mi arrestai e mi voltai dalla parte opposta, attirato da risate, dalle fiamme arancioni che giocavano con il vento. Riconobbi le scure sagome di Seiya e Rea che contrastavano la luce arancione del fuoco, troppo forte in confronto all’argento del bagliore lunare.
Erano loro che stavo cercando?
Mossi un passo nella direzione opposta rispetto a quella che avevo seguito fino a quel momento, ma un rumore mi fece fermare ancora.
Cos’era stato, un fruscio? Altre onde che si infrangevano.
Non so bene perché, ma la prima volta che la vidi in quel posto le davo le spalle. Sapevo che era dietro di me e la sentì muovere i suoi capelli. Non so come, ma senza vederla avevo già intuito i suoi capelli biondi, i suoi occhi chiari, ed ero certo che appena mi sarei girato avrei visto il suo sorriso.
Mi voltai e guardai il suo corpo leggero, la sua veste bianca mossa dal vento, lo stesso che continuava ad accarezzarle i fili dorati che le incorniciavano il volto.
Riconobbi Lei.
- Vieni con me…- mi disse soavemente, offrendomi una mano.

Allungai la mia verso la sua per afferrarla, preoccupato improvvisamente che potessi perderla ancora in quello spazio senza fine, ma nel momento in cui ero riuscito a sfiorarla, mi sentii trattenere per la spalla, poi per il braccio.
Mi volsi appena per notare che i miei due amici mi avevano raggiunto, la stretta di Rea al mio arto sembrava ferrea, il peso della mano di Seiya mi inchiodava a terra.

- Marzio, vieni.-  e più continuava a chiamare il mio nome, più arretrava svanendo lentamente.

-Marzio…-


Aspetta!
Un grido che rimase muto nella mia gola.
 
 
-Marzio…Marzio! Ancora a dormire? Vuoi svegliarti sì o no? –
Un sogno. Era solo un sogno.
Lo capii non appena la mia camera fu inondata dalla luce del sole.
- Ma guarda un po’, ho chiesto di non farti svegliare questa mattina ma non puoi dormire tutto il giorno…-
Grugnì qualcosa di incomprensibile contro mia sorella.
- Sai che ore sono? Le due del pomeriggio.- dichiarò per cercare di smuovermi dal mio torpore. Volevo che sparisse dalla mia stanza ed invece venne a togliermi il guanciale dal viso con uno strattone.
Mi stropicciai gli occhi, cercando di mettere a fuoco qualcosa.
– Marta… va via.- dissi con la voce impastata dal sonno. Mi pentii di essermi toccato il viso quando sentii del dolore. Dovevano essere i lividi della sera prima.
- Non vorrai passare tutta la giornata a poltrire, vero?-
Le lanciai un’occhiataccia nonostante il suo tono divertito. – Perché non mi hai fatto chiamare? Dovevo andare a scuola oggi…-
Rise : – Sei diventato uno studente modello?-
Non voler perdere ancora un altro anno scolastico, significava diventare uno studente modello?
- Comunque, cambierai idea quando ti guarderai allo specchio. La testa come va? – mi chiese osservandomi.
-Solo un lieve senso di stordimento.- Sbadigliai e sgranchii le ossa con movimenti cauti. Almeno quelle erano apposto.
- Bene, perché devo parlarti! – esclamò decisa sedendosi sul fianco del letto.
- Riguardo a…- la invitai a parlare.
- Riguardo a ieri sera! Qualcuno deve pur farti la predica.- affermò ed io la scrutai incredulo. Non era mai successo prima da allora che Marta volesse rimproverarmi per questo tipo di aneddoti, era sempre stata tollerante. Lei era mia complice e mi aiutava a mantenere segrete certe situazioni ai miei genitori.
- No, ti prego! Tu non puoi farmi questo! – dissi sospettoso alzandomi dal letto dalla parte opposta in cui era seduta. Andai a prendere dall’armadio qualcosa da mettere.
- Sono tua sorella maggiore e devo farlo! - iniziai a fischiettare per non ascoltarla. Continuò come se niente fosse: - La causa scatenante di tutto quel macello ieri è stata solo una. -
Vero. La mia testa calda. – Lo so già, non c’è bisogno che anche tu…-
- Allora perché continui a portarla fuori? Ok, ti piace e a me no, ma non è la prima volta che con i suoi atteggiamenti stupidi ti mette nei pasticci. – non mi lasciò terminare e capii solo dopo le sue parole che stavo ragionando in modo diverso dal suo. Mi voltai a guardarla con i jeans in mano:
- Di cosa stiamo parlando, scusa? –
Portò le mani a sistemare il suo immancabile fiocco rosso tra i capelli: - La domanda esatta è “ di chi stiamo parlando?”- mi osservò aspettando che cogliessi qualcosa. – Mi riferisco a Rea! Stai ancora dormendo, affrontiamo questo discorso più tardi. –
Buttai i jeans sul letto e sbattei l’anta dell’armadio: - No, Marta! Parliamone ora, così ti toglierai questo pensiero anche tu. Anche Moran mi ha detto come la pensa, ora tocca a te! – sbottai furioso – Avanti, dimmi di quanto lei sia possessiva nei miei confronti, di come cerca di attirare in tutti i modi la mia attenzione! – avevo alzato la voce, ma non mi importava – Credi che non lo sappia? E’ il suo modo d’amarmi, ci frequentiamo e…-
- Questa storia va avanti da troppo tempo Marzio, non puoi definirla ancora “fase di frequentazione”. – mi fermò. La sua voce calma contrastava la mia, dura e forte. – Non ne sei innamorato, l’amore non riduce così una persona.- riassunse infine puntando ai segni sul mio volto.
- Tu che ne sai? – le chiesi riprendendo le cose che mi occorrevano per cambiarmi. Non volevo portare avanti quella conversazione a lungo.
- Ti guardo e vedo che tutto ciò non ti fa star bene. Forse potresti incontrare nuove persone, uscire con qualche ragazza diversa, ti posso presentare qualche mia amica… - benissimo, ora cercava anche di combinarmi gli incontri.
Scossi la testa: - Oppure potrei andarmene in America per qualche mese con la speranza di tornare e trovare le cose risolte ed al loro posto, vero? -
In un primo momento, le mie parole la pietrificarono, poi rispose più duramente : - La mia storia non era la stessa cosa.-
- Ma è andata così!- non le diedi neanche il tempo di rispondermi. Uscì dalla stanza furioso, sbattendo la porta e lei non provò a seguirmi.
In bagno rimasi parecchi minuti a contemplare il mio volto davanti allo specchio. L’occhio sinistro era circondato da un livido violaceo, il labbro inferiore era gonfio verso l’estremità sinistra e le escoriazioni su di esso sembravano confluire nel rossore sulla guancia costernata da piccoli graffi… ed erano solo i segni più visibili.
L’immagine riflessa era come quella di un mostro raffigurato spesso nei fumetti e iniziai a sentirmi tale per come mi ero comportato con mia sorella. Le ultime parole che avevo pronunciato, mosso dalla rabbia, l’avevano ferita.
Non lo avevo fatto intenzionalmente, ero solamente frastornato da tutto ciò che era accaduto la sera prima e che aveva messo sotto una luce diversa tante cose. Mi sarei scusato con lei non appena fosse svanito ogni briciolo di rancore.
“L’amore non riduce così”, mi aveva fatto notare, risvegliando le conclusioni a cui ero arrivato la notte precedente. Sentivo di dover dare una svolta alla mia storia con Rea, ero stanco di quella situazione, di quelle abitudini.
Per quanto ne sapevo, l’amore poteva portare a risultati peggiori. Lo avevo visto tante volte con i miei coetanei e anche con persone più adulte.
È statisticamente provato che gli omicidi e i suicidi più frequenti sono quelli scaturiti da motivi passionali. Gelosia, sentimenti non corrisposti, passioni che diventano ossessioni, a volte portano inevitabilmente alla distruzione.
E per quel che mi riguardava, qualche livido non era niente di grave. Ancora una volta mi sarei leccato le ferite da solo poi mi sarei rialzato più forte di prima a testa alta e spalle dritte.
Non sapevo se il nostro fosse amore, ma sapevo di non volerne più. Io volevo stare bene.
Quando mi resi conto che restare in piedi davanti ad uno specchio a contemplare il mio volto tumefatto era utile come osservare un vaso rotto tenuto su con un po’ di scotch, mi decisi a muovermi.
 
***
 
Verso sera ero disteso sul divano, la testa poggiata su uno dei braccioli, sorretta leggermente da un braccio, ciondolava seguendo il ritmo della musica rock che davano sul mio canale tv preferito. Avevo lasciato il cellulare sul basso tavolino in vetro, dopo aver tolto ogni suono, ma a piccoli intervalli continuava ad illuminarsi segnalando l’arrivo di una chiamata o un messaggio.
Rea insisteva a voler mettersi in contatto con me, nonostante le avessi chiaramente scritto che non mi andava di parlare della sera prima e che non avevo voglia di sentire nessuno per il momento, ma lei era sempre insistente.
Dall’altro lato della stanza, vidi passare Marta che andò a sedersi sulla poltrona accanto alla finestra, per sfogliare alcune riviste. Non mi degnò di un solo sguardo.
- Hai intenzione di ignorarmi ancora per molto? –
- Sempre alla moda con i nuovi colori dell’autunno! La camomilla per accentuare il tuo biondo!...- stava leggendo alcuni titoli di proposito e  ad alta voce. Sospirando mi alzai, mi diressi da lei e quando notai che continuava a non considerarmi le strappai la rivista di moda dalle mani. Con le sopracciglia corrugate, mi sgridò.
- Scusami… per prima. Ho capito. - le dissi in un soffio. Incrociò le braccia guardando dalla finestra che dava sul vialetto d’entrata della casa. – Marta, andiamo. Sai che odio litigare con te! –
- Ed io odio il tuo modo di scusarti, credi che basti sussurrarmi una parola? Dovresti supplicarmi.-
- Marta…- cercai ancora di richiamare la sua attenzione e con una mano le scompigliai i capelli – Dai, non esagerare!-
- Oh no, guarda cosa hai combinato! – cercò di riordinare la chioma guardando il suo riflesso alla finestra. – Quando ti ci metti sei proprio seccante!- scatto in piedi e sgattaiolo via dalla stanza.
- Dove vai? –
- Ad aprire la porta! Abbiamo visite! – urlò ormai vicina all’uscio di casa, fui costretto ad inseguirla e la raggiunsi mentre faceva entrare in casa l’ospite.
-Oh sei tu! Che sorpresa, hai fatto benissimo a farci visita! – Marta abbracciò Bunny con naturalezza, come se la conoscesse da anni e non dalla sera prima, incontro tra l’altro fortuito e causato da una spiacevole circostanza. Mi ripromisi di ricordarglielo prima o poi.
- Davvero una sorpresa, Bunny. Come mai sei qui? – chiesi salutandola.
-Beh, oggi in classe non c’eri e volevo sapere come stavi.  Non fraintendermi, stare senza te che mi punzecchi appena ne hai l’opportunità non mi è dispiaciuto, però la tua assenza si è sentita. -
Abbozzai un sorriso mentre la facevo accomodare in casa : - Quindi sei qui perché io ti possa punzecchiare anche oggi? – scherzai.
- In realtà ti ho portato del materiale da studiare per il compito di inglese fissato per la prossima settimana. Non te ne sarai mica dimenticato? – esordì poggiando sul tavolino dinnanzi al divano una piccola torre di quaderni e fotocopie che fino a poco prima erano ben nascoste nella sua borsa.
- Oh, merda.-
- Lo sapevo! Lo avevi scordato.-
Annuì. – Tu a che punto sei?  Tutta questa roba potrebbe essere studiata in sette giorni? – chiesi sfogliando alcuni fogli. – È sulla letteratura…- quasi piagnucolai. – Andrà uno schifo.-
- Marzio, la tua media in inglese non è il massimo. Non puoi permetterti ancora un’insufficienza. Io ho già studiato la metà delle cose in pochi giorni, ce la puoi fare. Fidati di me, è molto più preoccupante il prossimo compito di matematica. –
Alzai gli occhi al cielo al pensiero di Bunny e della sua avversione innata verso i numeri. – Gli esercizi di matematica saranno semplici e poi abbiamo fatto molte esercitazioni in classe.-
- Perché non organizzate dei gruppi di studio? – propose Marta che fino a quel momento era rimasta in disparte – Bunny potrebbe aiutare te in inglese e tu potresti darle una mano in matematica. Ai miei tempo facevamo così- spiegò con naturalezza. In un primo momento l’idea mi convinse, poi riflettei e giunsi alla conclusione che ciò mi avrebbe portato a lunghi e noiosi pomeriggi di studio con testolina buffa . Guardai Bunny e scommisi con me stesso che la sua espressione turbata era mossa dall’idea , per niente invitante per lei, di passare molto tempo, rispetto a quello a cui era abituata, alle prese con i suoi odiati numeri. L’idea quindi stava per essere scartata in modo repentino da entrambi.
-Ricordatevi che tra qualche mese avrete gli esami!- disse Marta ricordandoci la dura realtà che avevamo davanti.
Sospirai :- Ok, ci sto. Per me va bene. – cercai un consenso verso Bunny. Trattenni un sorriso quando accettò, dalla sua espressione mi sembrava che stesse trattenendo una linguaccia.
- Sappi che forse i miei orari disponibili non saranno molto flessibili, passo del tempo quasi tutti i giorni con i bambini, quindi dovrò adattarmi.-
Sapevo benissimo a cosa si riferiva e non avevo dimenticato la mia prima visita alla casa famiglia, a quel posto dove Bunny era riuscita a portare un po’ di colore. Le dissi che non era un problema, che anch’io mi sarei adattato.
Qualche minuto dopo, sentimmo dei rumori alla porta d’ingresso. Riconobbi i passi dei miei genitori che non vedevo dalla mattina del giorno prima e che non avevano idea di ciò che era successo la sera precedentemente. Entrando in salotto, mia madre salutò tutti serenamente, ma quando si accorse dei mie lividi con un tono d’apprensione mi disse - Marzio, ma cosa hai combinato ancora? Guarda come ti sei conciato…-
- Niente di grave, mamma. Sto bene – le risposi. Dietro di lei, mio padre la seguì, indugiò sulla mia figura per qualche minuto, ma non fece alcun commento riguardo le mie parole. Si limitò a salutare l’ospite per cortesia, si presentò, poi abbandonò la stanza. Mi limitai a scuotere la testa.
- Bene… Bunny, che ne diresti di unirti a cena insieme a noi? – cinguettò Marta improvvisamente. La guardai rassegnato. Marta faceva sempre di testa sua.
- Oh, ne sarei lieta. Ma non vorrei dare fastidio. – arrossì lievemente.
- Nessun fastidio, cara. Ci faresti compagnia.- mia madre le sorrise di rimando, poi andò ad occuparsi della cena.
-Bene! Io vado a dare una mano a mamma – mi avvisò Marta – cerca di essere cortese con la mia nuova amica- dicendo le ultime parole, fece un occhiolino a Bunny, poi scomparve anche lei. Le urlai divertito: - Abbiamo fatto pace, vero? – ma non mi rispose. Sapevamo entrambi che era così.
Proposi a Bunny di vedere il resto dell’alloggio, proprio come un bravo padrone di casa. Prima di iniziare il giro turistico, telefonò per avvisare che avrebbe cenato fuori. Mentre faceva ciò, pensai che in realtà era stata messa alle strette, così decisi di chiederle se si sentiva in imbarazzo. Quando glielo domandai aveva già visto quasi tutta la casa, eravamo nella zona notte.
- No, tranquillo. Mi sento a mio agio, non preoccuparti. – rise lievemente – Tua sorella è molto… ehm... – cercava le parole adatte.
- Spontanea! – la anticipai.
- Esatto! E’ simpatica, mi piace.- ammise.
- Credo che diventerete delle ottime amiche, sai? E questo molto probabilmente sarà anche la mia sventura! – la seconda frase la sussurrai più a me stesso che a lei.
- Qui cosa c’è? – mi chiese curiosa arrestandosi nel corridoio. Si fermò davanti ad una porta, la quale sulla maniglia aveva appeso uno di quei cartellini con scritto di non disturbare. Su questo in particolare c’era scritto in rosso “Respira!”.
- La mia stanza.-
- E’ accessibile al pubblico?-
- Sciocca, certo che lo è. Non aspettarti boxer, calzini e strati di polvere ovunque.- la vidi scuotere la testa un po’ disgustata e mentre spingevo in basso la maniglia, aprendo, sperai che la domestica avesse fatto in tempo a ripulire il mio piccolo antro. Ero stato fortunato. Feci avanzare prima lei, io rimasi sulla soglia a grattarmi la testa. Si limitava a osservarsi intorno, la guardavo mentre a piccoli passi curiosava tra le mie cose, di rado spostava un sopramobile strano, sfiorava la copertina di qualche cd.
- Una chitarra elettrica? – notò la mia Gibson sul suo supporto accanto al letto.
- Quando capita la suono.-
- Sei bravo? – sorrise.
La prese tra le sue mani e si dovette sedere sul letto. – Non sembrano così pesanti in tv! – si lamentò e accorsi ad aiutarla.
- Sai che sei la prima ragazza che la sfiora?-
- Oh, che onore! – esagerò – Si suona così vero?- iniziò a strimpellare le corde tutte insieme. Alzai gli occhi al cielo.
– Non dovrebbe fare baccano? –
- Testolina buffa, non è collegata all’amplificatore. E poi non basta suonare tutte le corde a caso. Premi con i polpastrelli sul manico. Ti faccio vedere. – mi sedetti sul letto vicino a lei, le misi un braccio intorno alla spalla e posai la mia mano sulla sua, la strinsi leggermente, guidandola sul manico della chitarra e premendole le dita su di esso. Con l’altra le facevo muovere le corde.
- Ora stai suonando…-  eravamo legati in uno strano abbraccio, improvvisamente si era creata un’insolita atmosfera. Le avevo fatto capire cosa doveva fare, ma le mani di Bunny, avvolte dalle mie, si rivelarono piacevolmente ed inaspettatamente calde. Quel calore sembrò penetrarmi all’interno. Mi venne in mente il sogno che avevo fatto la notte prima e la strana voglia di tenerla per mano e non lasciarla svanire. Intonai il pezzo che stavamo suonando, non mi ero accorto di essermi avvicinato così inconsapevolmente al suo orecchio e fui lieto di vederla sorridere serena, non sussisteva un briciolo di tensione in quell’attimo di intimità. C’era tanta complicità in quel momento tra di noi.
- Non ho mai preso in considerazione l’idea di fare la musicista, sai? Tu che ne pensi, non ho talento? – mi fece un occhiolino.
Continuavo a suonare insieme a lei senza sbagliare una singola nota. – Sei brava solo perché io ti sono accanto, sola saresti persa.- sorridemmo entrambi. Poi provai ad immaginarla con i capelli spettinati, magari un ciuffo rosa qua e la per la testa, le scarpe alte e i vestiti da rock-star. Feci una smorfia di disapprovazione, non le sfuggì e quando mi chiese una spiegazione lasciai cadere l’argomento dicendo che la carriera musicale non le si addiceva per niente.
- Forse hai ragione.- approvò ridacchiando, facendo sorridere anche me.
- Io ho sempre ragione.- sentenziai.
Due colpi di tosse richiamarono la nostra attenzione, ci voltammo a guardare verso la porta. Marta aveva la mano sulla maniglia, ci guardava cercando di capire quello che stava accadendo.
-Ero venuta ad avvisarvi che la cena è pronta. Vi aspettiamo … - disse prima di lanciare un veloce sguardo, che notai solo io, alle nostre mani per poi allontanarsi. Bunny scivolò via da me con delicatezza, lasciandomi lo strumento affinché lo potessi riporre. Lo feci e mentre chiudevo la porta alle nostre spalle mi sfuggì un sospiro.
- Qualcosa non va? – mi chiese Bunny notando la strana tensione che mi stava assalendo.
Scossi la testa e finsi.

 
 
Pesanti. Terribilmente pesanti.
Ecco come mi apparivano quelle pietanze disposte davanti a me. Torturavo quello che avevo messo nel mio piatto, un’insalata mista ed una fettina ben cotta, ma che faticavano a scendere giù per l’esofago anche se accompagnate da un bicchiere di buon vino. Uno, due al massimo per non destare altri sguardi di disappunto da parte di mio padre, seduto dall’altro capo della tavola, di fronte a me. Sulla mia destra aveva preso posto Bunny, accanto a lei Marta, mamma era sulla sinistra di papà, che conversava tranquillamente con la mia amica. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a star tranquillo. Il cuscino di della sedia su cui mi ero accomodato sembrava cosparso di spine pungenti. In altre circostanze, le cene si erano rivelate i momenti ideali per le ramanzine di mio padre, dove poteva mettermi sotto accusa sotto gli occhi della famiglia. Cosa aspettava ora per chiedermi cosa era accaduto al mio volto e ripetermi di quanto siano insensati i miei comportamenti? Ero così preso dai miei pensieri che non mi concentrai nemmeno su ciò di cui stava parlando con Bunny. Provai a seguire quello che lei gli stava dicendo e ad intercettare il filo del discorso.
- … Sì Signor Chiba, sono la figlia dell’ispettore, non si sbaglia.-
- Notavo una certa somiglianza.- rispose lui portandosi un bicchiere alle labbra. – Porgigli i miei saluti.-
Somiglianza? Io la sera prima non avevo trovato nessun lineamento in comune tra i due. Mi sfuggì una risata che cercai di soffocare.
- Potrò farlo io di persona, papà.- pronunciai. Mi scrutò per un attimo, poi si accigliò.
- Tu? Che hai fatto? – stava intendendo male, me lo aspettavo.
Mi schiarii la voce, pronto a dargli una risposta inaspettata per lui: - Beh, io e Bunny abbiamo deciso di vederci qualche pomeriggio per studiare. Sai, quest’anno ci sono gli esami e non voglio essere rimandato come quando ero…-
- … all’istituto Mugen.-  terminò lui la mia frase, poggiandosi allo schienale, evidentemente più rilassato. Sentendo nominare un istituto di tale importanza, Bunny mi guardò meravigliata. 
– Ti spiegherò, è una vecchia storia.- le sussurrai e lei annuì. Poi presi un bel respiro e cercai di mandare giù qualcosa.
Anche mamma fu sorpresa: - E’ una bella novità questa, mi fa piacere sapere che trascorrerai il tuo tempo cercando di crearti una cultura. Bunny, devi piacergli davvero tanto se finalmente Marzio ha deciso di lasciare da parte i suoi amici!-
La forchetta finì inspiegabilmente dalla mia mano sul pavimento accompagnata da un forte rumore metallico. Attirò l’attenzione di tutti su di me, che lottavo per ingoiare il pezzo di carne assassino che aveva deciso di rimanere incastrato nella gola. Mi vennero le lacrime agli occhi, iniziai a darmi dei colpetti sul petto…
- Presto cara, dagli questo! Sta diventando viola!– papà versò dell’acqua in un bicchiere che passò a mia madre. Quando giunse a me lo bevvi tutto, mentre riecheggiava la risata di Bunny nelle mie orecchie.
Marta sviò divertita il discorso mentre io cercavo di riprendermi dal soffocamento: - Bunny tu cosa fai nel tempo libero? Sai, io sono una modella ed ho un sacco di passioni che mi piacerebbe condividere con qualcuno che non abbia così tanto testosterone nel DNA.-
- In realtà mi dedico ai bambini della casa famiglia, ma sarà un piacere per me conoscerti meglio. Sento che abbiamo tante cose in comune.- le sorrise.
Intervenne ancora papà : - Hai già deciso cosa farai dopo il diploma? –
-  Voglio impegnarmi per realizzare qualcosa che sia socialmente utile. Mettere a disposizione la mie capacità al servizio degli altri.- sorrise imbarazzata. Non stava parlando di progetti già definiti e pronti per essere realizzati, ma la speranza che aveva in ciò che le riservava il destino mi sorprese. Forse era ingenuamente convinta dei suoi sogni, forse avrebbe riscosso successo in ogni sua iniziativa. Non poteva saperlo e probabilmente nasceva da qui la sua scommessa con il futuro, con la sua vita. E quasi certamente era la sfida con se stessa che la spingeva ad agire e a prendere in mano le redini della sua esistenza.
- … al servizio degli altri.- ripeté mio padre – Non mi meraviglia che tu sia la figlia dell’ispettore della città.-  fece un mezzo sorrisetto passandosi la mano sul volto, tradendo così la stanchezza che cercava di nascondere. – Marzio, quando sarà il momento, prenderà il mio posto nell’azienda. Dopo il liceo farò in modo che inizi a lavorare, dopo tutto è cresciuto nell’ambiente dell’impresa, non avrà problemi ad imparare come diventare un dirigente.-
Peccato che questo era il suo progetto. Mi aveva messo davanti ad un futuro già prescritto, per il quale io non dovevo far altro che adattarmi. Dov’era la sfida con se stessi? La voglia di mettersi in gioco per riuscire nei proprio obbiettivi io non l’avevo.
Tamburellai impaziente con le dita sul tavolo, pregando che tutti si saziassero in fretta.
- Così ti piacciono i bambini? – Marta ritornò sull’argomento precedente, sapeva quanto odiavo quando nostro padre parlava dei suoi progetti.
- Oh, sì! Sono così adorabili e hanno bisogno di tanto affetto e comprensione, ognuno di loro ha diversi problemi alle spalle. Vorrei che capissero che il mondo ha ancora tante cose belle da offrirgli… Ma anche Marzio è stato lì, ha avuto la gentilezza di accompagnarmi un pomeriggio, non ve ne ha parlato?-
Ancora una volta i miei genitori rimasero increduli, annuì alle parole della mia amica.
- Non mi sembrava importante dirvelo.- spiegai al resto della mia famiglia.
Papà scosse la testa : - Credo che farebbe piacere a tutti se tu, di tanto in tanto, condividessi con noi come trascorri le tue giornate.-
Parlava sul serio? Mi sembrava una frase fatta, detta solo perché c’era un ospite tra noi. – Dimentichi che siete sempre troppo occupati per darmi ascolto.-
- Abbiamo sempre del tempo per te, Marzio.- mamma mi accarezzò una mano. Lei era sempre disponibile, al contrario del suo compagno.
- Tu non fai niente per venirci incontro se non darci puntualmente dei grattacapi!- replicò lui-.
- Abbiamo finito di cenare? – lo guardai sfidandolo – Perché se dobbiamo discutere, vado via.-
Guardai Bunny accanto a me, stava sorseggiando dell’acqua fissando il fondo del suo bicchiere, come se per un attimo avesse voluto sprofondarci. Non era il momento adatto per discutere, lo capì anche papà che strinse i pugni, sospirò e tornò al suo piatto.
La cena si trascinò ancora avanti per qualche minuto, scandita da qualche frivolo discorso tra i componenti della mia famiglia. Sorpresi Bunny a fissarmi, non avevo in mente per quale motivo, ma quando la guardai di rimando, accigliandomi leggermente, lei non distolse lo sguardo.
Che cosa stava cercando in me?
- Hai finito? – le chiesi desideroso di spezzare quel legame di occhiate.
- Sì.- si affrettò a rispondere – Era tutto delizioso, signora. – osservò l’ora sul display del suo cellulare - Inizia a diventare davvero tardi e credo sia il caso che io vada.-
- Ti riaccompagno io a casa.- mi proposi volontariamente. – Abiti dall’altra parte della città, non è il caso che torni da sola.-
Si alzò da tavola:- Va bene, Marzio. Mi piacerebbe davvero rimanere in vostra compagnia, siete stati gentilissimi.-
Quelle parole suscitarono movimento. Papà si alzò a salutarla, dichiarando che si sarebbe ritirato nella sua stanza. Nel frattempo le donne di casa iniziarono a sparecchiare. Pochi minuti dopo, anche Bunny era in mano con piatti e i bicchieri, pronta a dare una mano. Non fummo abbastanza forti da convincerla a lasciare che se ne occupasse mamma. Dato che io in cucina potevo combinare più danni che prodigi, andai ad aspettare Bunny fuori casa.
Mi strinsi nel mio cappotto nero di pelle e nell’attesa accesi una sigaretta. Ogni volta che espiravo, mi sembrava di buttar fuori dal mio corpo il macigno che avevo sopportato per quella serata. Mi rigirai la sigaretta tra le dita e mentalmente schernì coloro che sostenevano “una sigaretta è un minuto in meno di vita”. Quella sigaretta mi stava regalando una strana liberazione, al diavolo il minuto d’esistenza in più.
La spensi per terra, tra la ghiaia, poi mi sedetti sui scalini davanti la porta, in attesa.
Era silenziosa quella sera, solo qualche grillo cantava esaltando l’atmosfera notturna. Fu per questo che inizialmente mi sorprese il rombo di un’motore che si avvicinava, poi rimasi senza parole quando riconobbi la piccola auto bianca di Rea entrare nel vialetto.
In una frazione di secondo, tastai la tasca dei miei jeans e quando avvertì il mio cellulare, mi balzarono in mente probabili numeri indicanti telefonate perse e messaggi non letti. Scossi la testa, lanciando un’occhiata al cielo e trattenendomi dall’esplodere in imprecazioni poco ortodosse.
Mi venne in contro con passo deciso. – Rea, che cosa ci fai qui a quest’ora? –
- Ciao, Marzio. Ero venuta a controllare di persona che stessi bene, visto che telefonate e messaggi non servono a nulla con te. Perché non mi hai risposto? – si arrestò a due passi da me, ancora seduto, passando una mano tra i suoi lunghi capelli scuri, scostandoli dal volto, che nascondevano per metà, rivelandomi il suo sguardo freddo di sempre.
- Eri così preoccupata che ci hai messo un’intera giornata per deciderti e venirmi a trovare, vero? – sputai velenosamente, risvegliando i ricordi irritanti della sera prima.
La vidi chinarsi di fronte a me, sospirando. Le sue mani avvolsero il mio volto, le sue dita accarezzarono i segni che esso esibiva.
- Non sono venuta qui per litigare con te. Volevo chiederti scusa per ciò che è successo, scusa per quello che ti hanno fatto. – mi guardò intensamente con i suoi occhi neri a cui nulla poteva sfuggire.   - Mi dispiace, ti prometto che non accadrà più.-
Quante volte mi aveva ripetuto quest’ultima frase? Sapevo che se le avessi creduto, prima o poi me ne sarei pentito. Perché con Rea, in determinate situazioni, sembrava che le esperienze affrontate insieme non servissero a niente, non servissero ad imparare quando i limiti non potevano essere superati perché chi ci avrebbe rimesso sarebbe stato uno dei due. In questi casi, io.
Alcuni rumori in casa mi ricordarono chi stavo aspettando.
Tolsi piano le mani dal mio viso e mi alzai oltrepassandola, andando verso la sua macchina. Lei si voltò a guardarmi, dando le spalle al resto della casa. Oltre di lei, cercavo di scorgere dalle finestre qualcuno, provando a calcolare quanto tempo mi rimaneva prima che Bunny mi raggiungesse. Perché ero più che certo della sensazione che mi diceva che Rea avrebbe fatto meglio a non sapere che Bunny aveva trascorso la serata da me.
- Ascoltami, Rea. Non ti ho risposto perché non mi andava di parlarne, te l’ho scritto in un messaggio, avevo bisogno di tempo per stare da solo e far sbollire la rabbia.- presi un grande sospiro, poi la misi al corrente della mia decisione: - Ho bisogno di staccare, non ho più voglia di continuare in questo modo.-
Non sembrò sorpresa:- Ti capisco, sei arrabbiato – abbassò lo sguardo – se vuoi stare lontano da me per un po’ te lo concedo, ti conosco. Non vuoi che ti ronzi intorno in questi casi, ti occorre un po’ di tranquillità per perdonarmi.-
Scossi la testa – Mi spiace, non è così.–
- Shh, non dirlo…-  
- Rea.- le aprì lo sportello dell’auto, invitandola ad andarsene. Se non voleva convincersi delle parole con le quali stavo mettendo un punto alla nostra strana relazione, se ne sarebbe accorta nei giorni seguenti.
Alzò un sopracciglio sospettosa: - Mi stai cacciando via? –
Sospirai. – Sì. Non vuoi capire quello che ti sto dicendo…- riuscì ad intravedere delle ombre in movimento dietro le tende della stanza antecedente all’ingresso. – Ma ne possiamo riparlare anche domani… C’è tutta la mia famiglia in casa e sai come sono fatto, non mi andrebbe di dare ulteriori spiegazioni.-
Dai, Rea. Va via!
Quando rilassò le spalle e il volto, capì di averla convinta. – Come vuoi. – mi rispose – L’importante è che tu abbia capito che sono mortificata.- si avvicinò per abbracciarmi – …e fortunatamente stai bene.- si fece sfuggire una lacrima e mi strinse forte. Le mie costole indolenzite protestarono.
Non potevo sperare in una buona sorte che in quel periodo aveva deciso di voltarmi le spalle, lo capii quando la porta d’ingresso si spalanco e la voce di Bunny chiamò il mio nome cercandomi, accompagnata dalla voce allegra di Marta.
- Merda!- mi sfuggì quell’imprecazione tra le braccia di Rea. Vidi le due ragazze bionde fermarsi sulla soglia di casa, Marta fece una smorfia.
Rea scivolò via dalle mie braccia e alla vista di Bunny scosse la testa mordendosi il labbro inferiore nervosamente.
Mi aggredì alzando la voce: - Era per questo che mi stavi mandando via? Il momento non era opportuno perché dovevi passarlo con lei, eh? Va al diavolo, tu e le tue scuse! – mi spinse con forza. - “C’è la mia famiglia in casa”, “non voglio dare spiegazioni” – mi imitò perfettamente – Avevi ragione. Il problema di fondo era il sovraffollamento.- con un cenno della testa indicò Bunny, che accigliata si affretto per spiegarsi.
- Rea, io non voglio creare problemi tra voi due…-
Con uno dei suoi sguardi agghiacciati, le impedì di continuare. Avanzò verso di lei: - Mi prendi in giro? Sono settimane che gli ronzi attorno. Se credi di poter intrometterti nella sua vita, ti stai sbagliando.-
- Rea! – la rimproverai, ma sembrò non ascoltarmi.
- Apri bene le orecchie, biondina, perché non te lo ripeterò una seconda volta. Lui è mio. Attenta a non sfidarmi, perché potresti pentirti di averlo fatto, chiaro? –
Era arrivata alle minacce, non lo sopportavo.
- Ora basta! Diamoci un taglio! – intervenni frapponendomi tra Rea e le ragazze. – Bunny è solo rimasta qui per cena, non mettere su una sceneggiata per una sciocchezza simile.-
Stava per replicare ancora, Marta glielo impedì. – È vero! Ho insistito io affinché restasse. – posò un braccio intorno alla spalla di Bunny – È una mia amica ed ho il diritto di invitare a cena chi mi pare e piace! E spero vivamente che ci siano altre occasioni per stare con lei.- con voce decisa, spense ogni fervore, lasciando Rea senza via di scampo.
- Se le cose stanno così, non ho niente da obbiettare – sospirò allontanandosi per ritornare da me. – Non mi resta che augurarti la buona notte. – con queste parole si avventò sulle mie labbra, baciandomi con foga, come se volesse far capire chiaramente alle nostre due spettatrici che era comunque lei ad avere il primato su di me. Fu un fastidioso bacio, doloroso a causa delle piccole lesioni che se stuzzicate bruciavano.
Rea salutò mia sorella, salì nell’auto e se ne andò così com’era giunta.
- Io proprio non la sopporto.- sbuffò Marta. La ignorai, invitandola a salutare Bunny affinché potessi finalmente riaccompagnarla.
Quando accadde, per metà del tragitto nessuno dei due disse una parola. Io non sapevo come spiegarle di come mi sentivo oppresso sei nei dintorni c’era mio padre a cui dover rendere conto di ogni azione, di come non riuscivo a evitare a Rea di imporsi nella mia vita sentimentale, di come le due cose riuscivano a mettere in crisi il mio cervello. Ma in realtà, aveva veramente bisogno di spiegazioni dopo essere stata testimone diretta di tutto ciò?
- Perdonami. Questa sera ti ho creato un bel po’ di problemi. Non volevo…- la voce era debole come un sospiro.
Si scusava? Proprio lei che non aveva nessuna colpa, che era riuscita a mitigare una giornata che fin dal mattino si era rivelata disastrosa?
- Bunny, non hai creato nessun problema tu. – mi voltai a guardarla, era visibilmente mortificata. – Te lo assicuro. – confermai, lei non sembrò d’accordo.
- Oh, Rea non ne sembrava tanto convinta. E dal suo punto di vista, posso anche capirla, aveva le sue buone ragioni.-
Magnanima. Fin troppo buona.
- E poi ti ho fatto anche discutere con tuo padre. Se non avessi tirato fuori quell’argomento, non avreste discusso.-
Era troppo. Non accettavo l’idea che si ritenesse responsabile di qualcosa che non dipendeva da lei, ma che era uno dei tanti problemi con il quale convivevo fin dall’infanzia. Di ciò non ne avevo mai accennato a nessuno, duramente quasi respingevo chi per casualità riusciva a percepire i miei disagi familiari.
Era poi così assurdo sfogarsi e aprire una parte di me stesso, la più segreta e impenetrabile della mia vita, con l’unica persona che in quel momento mi ispirava sentimenti di fiducia?
Arrestai l’auto, la testa rischiava di esplodermi per i troppi pensieri. Portai una mano alle tempie, massaggiandole.
- Marzio che succede? Non ti senti bene? – Bunny si allarmò.
C’era un solo posto che mi accoglieva quando ero in questo stato. Sentivo la necessità di dover parlarle, così come quella di rifugiarmi nel mio piccolo angolo di paradiso. – Ti dispiace se facciamo una deviazione? – la guardai speranzoso, era accigliata. – Non tarderemo, te lo assicuro.-
Si limitò ad annuire: - Va bene.-
Inserì la marcia, feci inversione e in un lampo ero già fuori dal paese. La strada deserta mi facilitava la guida, il piede spingeva sull’acceleratore facendoci sfrecciare nella notte.
-Stiamo andando verso il mare.- constatò ed aveva ragione. Nell’arco di cinque minuti giungemmo davanti la scogliera, dove spensi il motore. Scesi dall’auto, avanzando verso la distesa d’acqua e aspettando che Bunny mi raggiungesse.
- Odio camminare sugli scogli.- si lamentò e sorrisi, immaginandola dietro di me in equilibrio precario sulle rocce deformi. – …E poi non si vede nulla al buio.- quando arrivò da me, si scontrò con la mia spalla sinistra, come se fosse inciampata. – Scusami.-
-Tranquilla.- scossi la testa.
- Perché siamo qui, Marzio? –
- Vengo qui quando ho bisogno di staccare la spina, riflettere, lasciarmi il mondo alle spalle. Questo è il mio piccolo angolo di paradiso.- dissi le ultime parole in modo da richiamare ai suoi ricordi il giorno in cui mi portò in quella stanza che aveva decorato per i suoi bambini, quel posto per lei era importante tanto quanto lo era per me starmene a guardare l’acqua che si infrangeva sugli scogli, la schiuma bianca che si disperdeva... – Quante novità per te oggi, vero testolina buffa? Prima la mia stanza, ora questo…- mi voltai a guardarla, sorrideva appena anche lei. - Sto scoprendo tutte le mie carte con te, non avevo mai permesso a nessuno di conoscermi così affondo.- continuai a spiegarmi – Qui per esempio. Nessuno immagina che spesso sono in questo posto a contemplare l’oceano. Ora sei l’unica a saperlo.-
Si incupì: - E’ una cosa brutta? –
- No, per niente.- abbassai per un attimo lo sguardo. – Ma per me, con te, è diverso…-
- Non capisco.- ammise.
Come poteva? Dovevo essere più chiaro, ma nel confidarmi, nell’ammettere le mie debolezze non ero stato mai tanto bravo. La aiutai a tornare sul sentiero, passeggiando per la costa forse sarebbe stato più semplice.
- Vedi Bunny, tutti pretendono qualcosa da me. Mia sorella, Rea, mamma e papà, adesso anche Moran. Tutti quanti. Te ne sarai accorta oggi. – fece una smorfia che interpretai come un assenso – Ma tu no. Tu sei stata l’unica che si è limitata a conoscermi senza essere influenzata da quelli che potevano essere i miei precedenti, i pettegolezzi, e addirittura da me stesso e dal mio fare scontroso. –
- Questa sera ho capito perché hai costruito questa dura corazza intorno a te. – ammise. Sembrò ricordarsi di qualcosa – Perché non mi hai mai parlato dell’istituto Mugen? E’ uno dei più costosi e migliori istituiti della nazione, la preparazione che danno è eccellente e…-
- E’ proprio per questo. – la fermai – Era lo stesso istituto che ha frequentato papà, dove ha completato gli studi prima di iniziare la sua brillante carriera.- dissi con una nota di rabbia – Mi mandò lì per iniziare a farmi seguire le sue impronte, ma io non volevo e ancora non voglio diventare come lui, un giorno. Uno stacanovista, così concentrato sulla sua azienda da non accorgersi di un figlio che altro non chiedeva se non un po’ di considerazione. Mi feci cacciare, la combinai talmente grossa che papà dovette assumere un avvocato. Con Seiya e i suoi due cugini, Yaten e Taiki, una notte frantumammo metà delle finestre dell’istituto. –
- Mi pare di capire che il problema principale per te è proprio questo rapporto che hai con lui.- constatò lei.
Alzai le spalle: - Cosa vuoi che ti dica? Ormai ci sono abituato. –  ritornai alla questione iniziale – Ascolta, per me con te è più semplice essere me stesso e questo un po’ mi spaventa. A te ho mostrato le parti più deboli di me, ciò che mi rende vulnerabile, il mio tallone d’Achille. E ciò che più mi fa paura è il fatto che tutto ciò infondo mi fa sentire sollevato. Questo solo perché sento di potermi fidare di te. – sorrisi al ricordo delle prime circostanze in cui mi ero scontrato con lei – Forse non abbiamo iniziato nel modo giusto ma…- presi fiato, pronto a esprimere finalmente quello che pensavo da qualche giorno - …vorrei che mi considerassi un tuo amico. Perché è così che io ti considero.-
Man mano che camminavamo, gli scogli diventavano più radi, lasciando posto a spazi di finissima sabbia, segno che ci stavamo inoltrando verso la spiaggia. Bunny mi superò di pochi passi, per poter parlare con me si voltò, iniziando a camminare all’indietro. Il volto era illuminato da un sorriso.
- Allora, ricominciamo da qui. Senza battibecchi, senza nomignoli…-
- Smettila di camminare verso dietro. Mi metti in ansia!-
- Siamo amici. Mi fido di te, se dietro di me c’è un fosso o qualcosa di simile, dimmi di fermarmi e lo farò. –
- Quando affonderai i piedi sulla sabbia e perderai l’equilibrio non prendertela con me.-
- Tu non lasciarmelo fare. –
Ma intanto continuava a camminare e già pregustavo il momento in cui sarebbe finita con le gambe all’aria, il suo equilibrio era spesso molto precario. Forse avrei dovuto avvisarla, ma un fosso era diverso dalla morbida sabbia, perché privarsi di un piccolo momento di ilarità?
- Io ti ho appena detto che mi fido di te, ma tu invece? Perché ti fidi di me? – le chiesi un po’ per distrarla dai suoi passi, ed in parte perché volevo saperlo veramente.
Sembrò pensarci su: - Perché sei sincero. Per lo meno, con me lo sei sempre stato e poi… come potrei non farlo dopo quello che mi hai appena detto? Sapevo che prima o poi avresti ammesso che non potevi fare a meno di me. – sorrise scherzando ed io scuotendo la testa, ricambiai.
- Una veggente dalla faccia tonda come una luna, ecco chi mi è toccata come amica.-
- Ehi! Avevamo detto niente nomign… Aaah, cado!-
Finì seduta sulla sabbia, fece in tempo a reggersi con le mani per non finire completamente distesa, ma la sua espressione contrariata e infastidita mi fece comunque scoppiare in una fragorosa risata. Mi lanciò uno sguardo fulminante. – Davvero molto maturo da parte tua, Marzio.- non riuscì a risponderle, stavo ancora ridendo. – Potresti almeno aiutarmi a rialzarmi! – si lamentò.
Glielo concessi, mi avvicinai porgendole una mano: - Lo ammetto, non ho resistito alla tentazione di vederti con le gambe per aria.- le sorrisi, lei sospirò e afferrò la mia mano per aiutarsi a rimettersi in posizione eretta. Questo era quello che pensavo, ma bastò una frazione di secondo per accorgermi che anziché appoggiarsi ad essa, la tirò con forza, trascinandomi in avanti mentre lei si spostava di lato, lasciandomi sprofondare nella sabbia, argentata alla luce della luna.
Ebbi l’istinto di sollevare il viso, questo mi impedì di imbrattarmi il volto. Bunny nel frattempo si era rialzata e mi guardava ridendo piegata in due, le mani erano intorno al suo ventre. Mi rialzai, scrollandomi dai vestiti quei granelli, anche se sapevo che non sarebbe servito a niente.
- Occhio per occhio…-
Scossi la testa sorridendo. – Questo proprio non dovevi farlo. Te la sei veramente cercata…- esordì in modo teatrale.
- Che cosa vuoi fare? – Bunny indietreggiò di qualche passo, ridendo ancora. Forse aveva intuito le mie intenzioni e sapeva di essere spacciata! – Marzio, no! – iniziò a scappare da me.
L’avrei afferrata e fatta rotolare tra la sabbia finché i granelli non le si fossero insediati dappertutto, tra i capelli, nelle orecchie, nelle sue scarpe. – … Dente per dente! – terminai il proverbio che aveva iniziato a pronunciare e le corsi dietro inseguendola.
- Ti prego no! – correva veloce, tra l’argento della sabbia, il nero della notte, le piccole luci delle stelle che si riflettevano nell’acqua. La sabbia rallentava la nostra corsa, avrei potuto raggiungerla facilmente, ma le lasciai l’illusione di aver vinto quella gara spontanea tra noi due e a me stesso concessi alle sensazioni di convincermi che stavamo correndo veloci come il vento, che leggero ci accompagnava...
Bunny, cominciò a rallentare, aveva il fiato corto.
- Non mi sfuggi più! – esclamai, poi accelerai il ritmo della corsa, la raggiunsi e da dietro la afferrai per le vita, come se la stessi abbracciando. Non si arrese, provò a sfuggirmi ancora e nei nostri tentativi, il suo di scappare ed il mio di trattenerla, inciampammo sui nostri stessi piedi, finendo ancora una volta per terra. Ridacchiavamo, stranamente non riuscivamo a fare a meno di comportarci come due bambini.
- No, no, no! La sabbia nei capelli, no! – per quanto cercasse di opporsi, ero io il più forte, così mi appoggiai seduto sulle sue gambe e con grosse manciate iniziai a ricoprirla di sabbia, ignorando le sue proteste. Chiuse istintivamente gli occhi per impedire che qualche granello potesse accecarla, nonostante stessi evitando di comprometterle il viso.
- Marzio Chiba! Ti odio. Giuro che me la pagherai!- provando a liberarsi, cercò di colpirmi al petto con dei piccoli pugni.
Ero su di giri, troppo euforico, così mi azzardai ad afferrarla per i polsi, portandoglieli sopra la testa ed inevitabilmente mi ritrovai semidisteso su di lei, il mio volto a pochi centimetri dal suo.
Istintivamente, lei riaprì gli occhi e subito incontrarono i miei.
Le risate lasciarono spazio al rumore dei respiri, irregolari e veloci. Il vento si unì alla brezza del mare, la quale si confuse con il profumo della pelle di Bunny, così vicina da poterla annusare, toccare. Delicatamente le scostai dalla fronte la frangia, una dolce carezza che mi concessi di darle.
La morsa allo stomaco tornò forte e inaspettata, così come quando la notte prima i miei pensieri avevano sfiorato la ragazza che ora mi guardava in silenzio, un po’ confusa e sorpresa così come lo ero io. Il cuore sembrava un tamburo, assordante in tutto quel silenzio.
Lei distolse appena lo sguardo, allora recuperai un pizzico di lucidità. Mi rialzai, lei fece lo stesso.
- Ti accompagno a casa.- le dissi tranquillamente, lei annuì con un sorriso, lo stesso che non la abbandonò per tutto il tragitto di ritorno.

Quando il silenzio diventa emozione, l'amore non ha bisogno di parole, ma solo battiti.
Chissà se lei sentiva il mio cuore mentre mi innamoravo o se come me ignorava il putiferio che scatenava dentro me per la prima volta.




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Volevo aggiornare subito dopo aver messo il punto a questo capitolo, quindi spero che la revisione veloce che ho fatto sia stata sufficente per correggere gli errori che dissemino qua e là.
Come sempre, sapete che i vostri pareri sono ben accetti. Mi rendo conto che il capitolo in una prima parte può essere pesante, ma la dolcezza finale vi ha ripagate di tutta la lettura? :)
Era tempo di smuovere le acque... chissà cosa succederà!
Grazie per il tempo prezioso che mi avete regalato ancora una volta!
Infine vi ricordo la mia pagina su facebook: https://www.facebook.com/pages/-Il-piccolo-spazio-di-miss-moonlight-/147980305296643
Debora
 

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Capitolo 8
*** Tutto nelle mie mani ***


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Tutto nelle mie mani
 
La mia vita prese a trascorrere con un ritmo più veloce, scandito da vari momenti e tempi che iniziarono a succedersi in modo frenetico, tanto che arrivò il mese di dicembre senza che me ne potessi rendere conto. La mattina ero a liceo, la sera la passavo con il mio gruppo di amici. Vedevo Rea in gruppo con gli altri o solo se era lei a cercarmi con insistenza, credetti che la cosa migliore da fare, a causa del suo carattere possessivo, fosse quella di distaccarsi gradualmente, anche perché avevo scoperto di non soffrire particolarmente per la sua assenza. D’altro canto non avevo ancora capito se lei mi stesse assecondando oppure no. Con Bunny passavo un paio di ore quasi tutti pomeriggi, tra noi si era creata una speciale armonia, un rapporto diverso rispetto a quello che avevo intrattenuto con le persone che conoscevo, qualcosa che preferivo ancora tenere riservato per me, che non attirasse l’attenzione della mia compagnia abituale.

Infrangevamo spesso l’unica regola del nostro rapporto d’amicizia, ossia quella di non punzecchiarci come dei bambini. Ero io spesso a dare inizio ad un ironico battibecco, mi bastava una risata stridula di Bunny, un suo capello fuori posto, il suo equilibrio instabile. Lei era come un campo minato nel quale potevi muoverti ignorando dove la bomba era nascosta, sapeva lasciarsi stuzzicare senza batter ciglio, celando la sua irritazione, per poi esplodere inaspettatamente. Spesso mi bastava pronunciare semplicemente “testolina buffa” per scatenare quella divertente reazione e a dare inizio ad un gioco esclusivo tra me e lei.

Il nostro metodo di studio aveva dato i suoi buoni risultati. Avevamo raccolto il suggerimento di Marta con qualche dubbio, ma ci ricredemmo ben presto. Io riuscivo laddove Bunny cedeva: algebra, goniometria, formule matematiche e calcoli. Lei, al contrario, aveva una buona dote nell’uso della lingua inglese e le era sufficiente la metà del tempo che io impiegavo per tradurre e capire uno scritto di letteratura. Eravamo complementari, riuscivamo ad aiutarci a vicenda con il minimo sforzo.
Avevo anche scoperto di provare piacere nel lasciarmi coinvolgere dagli adorati bambini a cui Bunny dedicava il suo tempo, dopo le nostre esercitazioni ero solito accompagnarla a casa, ma spesso e volentieri preferiva deviare e fermarsi alla casa famiglia. E quelli che inizialmente dovevano essere solo ‘cinque minuti’ con loro, giorno dopo giorno, divennero di più. Dieci, trenta, un’ora…
Loro iniziavano ad abituarsi a me, io imparavo a conoscerli ad uno ad uno. Una graziosa bimba mi colpiva particolarmente, ChibiChibi. Un pomeriggio ebbi modo di conoscere anche sua madre, una donna asiatica, e lei mi spiegò che in realtà era un dolce soprannome quello con cui chiamavano sua figlia, dato dall’accostamento del termine “chibi”, ovvero “piccola” nella lingua giapponese.

- Io so anche come si dice il mio nome nella stessa lingua! – canzonò Bunny per farmi invidia, quella stessa sera. Eravamo di ritorno proprio da lì.
Sorrisi: - Sentiamo un po’…-
- Usagi ! – esclamò – Non è carino?-
Annuì pensandoci su, anche se in un primo istante mi era sembrato un po’ strano. Poi provai a mettere insieme quelle poche informazioni che avevo appreso sul linguaggio giapponese: - Chibiusa.- pronunciai incerto, sorridendo, e Bunny rimase perplessa.
Chibiusa.
Piccola Bunny.
- Chibiusa… Chibiusa…- ripeteva scuotendo la testa. – Mi meraviglio per non averci mai pensato, è bellissimo!-
- L’ho pensato io, non poteva essere altrimenti! – la stuzzicai. – Sono sincero, affinché ti si addica quel nome dovresti perdere un po’ di peso. “Chibi” non significa paffutella.-
La notai incupirsi mentre arrestavo l’auto davanti casa sua. – Non prendertela, stavo scherzando! – chiarii quando mise stizzita la mano sulla maniglia. Si voltò, pensai che stesse per salutarmi e lo fece dandomi un forte pizzicotto sulla gamba. – Ahi! – mi lamentai.
- Così impari a darmi della cicciona! –
La suoneria del mio cellulare ci distrasse, immaginavo fosse Rea, capitava che mi cercasse spesso mentre ero con Bunny. Lei pensò la stessa cosa, ma ci sbagliavamo entrambi. Corrugai la fronte mentre leggevo il messaggio che mi era appena arrivato.
- Devi andare.- le sfuggì un sospiro che evitai di interpretare. – Rea ti sta aspettando. – si affrettò a scendere dalla macchina.
- Si, devo andare. Ma non è Rea che mi ha cercato. - le risposi prima che richiudesse lo sportello – È Moran, dice di essere a casa mia e che ha bisogno di vedermi il prima possibile. Mi sembra molto strano…-
Era sorpresa: - Oh, allora dovresti affrettarti. Ci vediamo domani! – chiuse lo sportello dietro di sé dirigendosi verso l’ingresso.
Aprii il finestrino e la richiamai :- Bunny! – si voltò con aria interrogativa - Dimenticavo di augurarti la buona notte. Sogni d’oro…- me ne andai così, lasciandola con un sorriso sul volto.
 
***

A volte nella vita ci sono circostanze inaspettate, mai immaginate, che hanno il potere di sconvolgerti in modo positivo oppure negativo. Nel primo caso, il cambiamento che coinvolge la persona la presenta sotto una luce nuova, più bella e raggiante ed è facile accorgersi di come essa si senta felice. Ma quando avviene il secondo caso, è ancora più semplice riconoscere quanto essa sia distrutta.
Moran mi aspettava in salotto, lo sguardo era vuoto e fisso davanti a sé. Non si accorse di me fin quando non gli fui davanti. Solo allora mise a fuoco il mio volto e mi riconobbe: - Ciao, Marzio. – la sua voce era di un tono differente, i suoi occhi velati da un rossore che non gli avevo mai visto. Mi preoccupai.
- Che succede, Moran? – lo afferrai per le spalle e lo scossi, era come preso da un strano intontimento. – Hai bevuto? Sei ubriaco?-
- No! – esclamò con più grinta, mentre con uno scatto si alzò facendomi indietreggiare – Sono… sconvolto.- scandì l’ultima parola con incredulità. – Ho bisogno di qualcosa di forte da mandare giù per dirti ciò che è appena accaduto.- scosse la tessa stringendo gli occhi come se volesse scacciare via dei pensieri, delle immagini. – E ne avrai bisogno anche tu per credermi, fidati. –
Guardai bene il mio migliore amico, lo conoscevo ormai dall’infanzia, era un libro aperto e nonostante il suo atteggiamento strano, intuivo che ciò che mi aveva proposto era la cosa giusta da fare per il momento. Presi dal mobiletto dei liquori una bottiglia di whiskey e due bicchieri, invitandolo a seguirmi in camera mia, dove avremmo potuto parlare indisturbati. Si versò subito un bicchiere che bevve in un sorso, poi ne riempì uno per me e me lo poggiò accanto, prese una sedia e si sedette davanti a me. Lo invitai a parlare.
- Dovevo dirlo a qualcuno, rischiavo di impazzire. Mi sento così idiota…- iniziò – Quando questa storia si verrà a sapere, diventerò lo zimbello del paese! – tamburellò con le dita sulla scrivania, lo sguardò+o lontano ancora una volta, cercava le parole giuste. Lo lasciai prender tempo. – Sono un bel ragazzo, riscuoto anch’io un discreto successo con le ragazze, eppure da quando ho conosciuto Heles non ho mai guardato nessun’altra… Oggi era il nostro anniversario, ma lo ha ignorato fin da questa mattina…- alzai gli occhi al cielo e sospirai, non era poi così grave il problema. Intercettò i miei pensieri – Non trarre conclusioni affrettate! – mi ammonì – Credevo fosse un suo gioco, che nella serata mi avrebbe fatto una sorpresa o qualcosa di simile, insomma. Ma ho voluto comunque anticiparla, le ho comprato un mazzo di fiori e sono andato a casa sua. Suo padre mi ha detto che fin dal primo pomeriggio era nella loro casa in campagna e che probabilmente si sarebbe fermata lì fino a domani mattina. Ho pensato che avesse organizzato una serata solo per noi due…- si versò un altro bicchiere che mandò giù con la stessa rapidità.
- Non era così? – chiesi, spronandolo affinché potesse continuare. Lo vidi poggiare i gomiti sulle ginocchia e sorreggersi la testa come se stesse per esplodergli: - Sì, ma non per me! Dannazione! – iniziai ad intuire qualcosa – Sono arrivato, c’era la musica alta e non ha sentito suonare alla porta, così sono entrato… guardandomi attorno avevo capito che non era da sola, in cucina la tavola era apparecchiata per due, ma la cena era già stata consumata. Abbandonati sulle due sedie, c’erano degli indumenti. – feci per parlare, ma mi fermò – Mi stava tradendo, solo un fesso non se ne sarebbe accorto dato quel panorama! Ho sbattuto per terra i fiori e sono salito di corsa per le scale seguendo la musica che proveniva da una delle camere da letto. Ho spalancato la porta e… - scossi la testa intuendo il prologo della vicenda – era come mi aspettavo. -
- Spero che tu li abbia presi a calci, altrimenti andiamo subito! Ci pensiamo ora! – scattai in piedi, invitandolo a fare lo stesso, ma lui non si mosse. Rimase nella solita posizione bloccandomi con una sola frase : - Non picchierei mai una donna e non lo faresti neanche tu.-
La frase suonò ambigua alle mie orecchie, ma non ci badai: - A Heles non torceremo un capello, ma non la passerà liscia. Né lei né il suo tipo! –
- La sua tipa…- il suo sguardo cercava il mio – Era quella musicista, ricordi? Ne parlò quando uscimmo insieme. -
Il mondo fece un’inchiodata. – Stai scherzando? –
Nessuna risposta. Chi tace, acconsente!
La scena appena raccontata mi si presentò dinnanzi come un film. Afferrai il mio bicchiere e mandai giù il suo contenuto in pochi secondi, poi ripetei l’operazione ancora una volta.
- Te lo avevo detto.- osservò.
Annuì, poi gli diedi una grossa pacca sulla spalla: - Amico, mi dispiace. Vorrei fare qualcosa, ma non mi è mai capitato di consolare qualcuno per una situazione simile…-

 
La pioggia fredda che improvvisamente ci colse, riportò i miei pensieri al presente.
Non ero sicuro che fosse la soluzione migliore.
- Sei certo che sia una buona idea? – Moran mi fece quella domanda ancora una volta.
Sospirai mentre con un gesto meccanico suonavo al campanello della casa famiglia. L’idea di portare il mio amico in quel posto mi era venuta qualche giorno dopo l’accaduto che lo aveva tanto sconvolto, quando la sua apatia minacciava di imprigionarlo. Lasciargli metabolizzare il trauma, permettere al tempo di fare il suo dovere non era utile se per lui il modo migliore per uscire da quello stato di delusione e sconforto era svuotare dentro di sé intere bottiglie di tequila. Era il mio braccio destro, il complice di una vita e non potevo permettergli di distruggersi. Decisi che lo avrei aiutato in qualche modo e mi convinsi dell’idea che a Moran servisse qualcosa di radicalmente diverso affinché potesse smettere di pensare a ciò che non andava bene nella sua vita. Abitudini diverse, che non portassero guai né per gli altri e né per sé stessi. Dopo tutto, era quello che da poco tempo stava accadendo a me…
Gli misi tra le mani un pacco di caramelle, avevo imparato da Bunny a viziare con dolci quei bambini, e incoraggiandolo gli risposi: - Fidati, io so sempre quello che faccio. -
- Certo. Spero per te che quando ce ne andremo io non sia ricoperto di roba appiccicosa e colorata! Ma non viene ad aprirci nessuno? – pronunciò quelle parole mentre cercava di mettersi il più possibile al riparo sotto il porticato. Aspettai ancora qualche istante, ma quando la pioggia iniziò a diventare più insistente, dischiusi la porta ed entrammo.
Lasciai che Moran si facesse un’idea da sé del luogo, sentivo voci, grida infantili e una gran confusione provenire dall’ultima stanza infondo al corridoio e iniziai a chiedermi se ci fosse qualche adulto nei dintorni, perché se nessuno era venuto ad accoglierci e i bimbi si stavano scatenando, significava che erano stati lasciati da soli.
- Immaginavo diversamente questo posto, sai…- ammise Moran. Mi voltai e lo vidi giocare con il piede con una piastrella del pavimento che si era staccata dal terreno.
«… Sailor Moon è più forte di tutte! Io sono Sailor Moon e ho vinto io! »
« Non è vero! E’ più forte Sailor Mars perché brucia i cattivi con il fuoco! »
« Nooo! Non hai capito niente allora! »
Due bambine sembravano bisticciare a gran voce, dovevo capire che fine aveva fatto Morea, la responsabile.
- Ascoltami un minuto, Moran. – gli misi tra le braccia, oltre alle caramelle che già reggeva, i fogli e i colori che avevo io – Va in quella stanza, calmali e tienili a bada per qualche minuto, vado a vedere se c’è qualcuno qui! –  gli ordinai e corsi per il corridoio, superai la stanza da dove proveniva il baccano e mi diressi verso quello che era l’ufficio di Morea.

Stavo per bussare, ma mi fermai intercettando involontariamente una discussione.
« Credi che per me sia facile? Che non sia stata la prima a cercare un’alternativa? Mi dispiace, ma io non posso far niente. »
« No, no, no! Non dobbiamo arrenderci, una soluzione la troveremo. Questo posto non può chiudere! Che fine faranno loro? Che ne sarà di Ottavia, che finalmente sta riuscendo a fidarsi di noi, dei suoi amici? »  riconobbi la voce di Bunny, aveva assunto un tono che prima d’allora non le avevo mai sentito.
Era arrabbiata e frustrata, non come quando si scontrava con me, ma in un modo che non le era proprio e che ebbe la capacità di immobilizzarmi dallo stupore. Che cosa stava accadendo?
Morea quasi urlò dall’esasperazione: « Prova tu a trovare una soluzione allora, perché io non ho trovato nessuna via d’uscita! Ho fatto qualsiasi tipo di richiesta a enti statali e privati, nessuno vuole occuparsi della questione! »  per qualche istante nessuna delle due parlò, poi fu Morea a rompere il silenzio congedandosi « Scusami, Bunny. Torno di là dai bambini…»
Non volevo farmi trovare ad origliare, così bussai alla porta prima che lei potesse uscire, dando l’impressione di essere appena giunto.
- Ciao, Marzio. – mi salutò Morea con un sorriso abbozzato. Dietro di lei intravidi Bunny, anche lei mi sorrise accennando un saluto.
- Salve, Morea. Sono arrivato qualche minuto fa, ho visto che i bambini erano da soli a far confusione e sono venuto a cercarti, pensavo ci fosse qualche problema…- azzardai sperando che mettessero anche me al corrente del motivo per cui stavano discutendo.
Questo posto non può chiudere aveva detto Bunny, quindi si trattava di qualcosa che riguardava la struttura che ormai frequentavo da tempo e che ormai mi interessava da vicino.
Evitò di rispondere alla mia domanda implicita dicendomi che sarebbe subito andata a controllare che i bambini non stessero combinando qualche guaio ed io non la trattenni. Entrai nel suo ufficio, dove vi era ancora Bunny che si era spostata verso una delle finestre, forse attirata dai suoi pensieri o dal sole che aveva iniziato a tramontare, dipingendo tutto d’arancio, lo stesso colore caldo che si rifletteva sulla sua pelle, che contrastava i suoi occhi azzurri…
- Bunny, non volevo, ma ti ho sentita discutere un attimo fa. Devi dirmi che sta succedendo. Perché questo posto dovrebbe chiudere? –
Sospirò voltandosi a guardarmi, era il ritratto dell’angoscia: - Guardati intorno, capirai. – mi rispose con voce spenta, poi continuò a darmi spiegazioni – L’intero edificio è molto vecchio e le crepe sui muri, il pavimento fatiscente, l’impianto di riscaldamento difettoso, sono i drammi minori. Questo posto ha bisogno di una completa ristrutturazione…- tornò a guardare fuori dalla finestra. – Non ci sono abbastanza fondi statali per finanziare il progetto e nessuna impresa privata vuole investire un capitale tanto alto per un’intera ristrutturazione dalle proporzioni giuste per questo locale. Perciò, se non troviamo una soluzione, chiuderanno questa struttura entro il mese di Gennaio e i bambini saranno divisi e affidati altrove. -
La rivelazione mi lasciò senza parole, ma allo stesso tempo fece scattare qualcosa in me. D’un tratto sentii l’impulso di agire, di dare il mio contributo affinché quella piccola oasi di spensieratezza e allegria, ancora alla quale Bunny, i bambini ed io ci eravamo aggrappati, continuasse ad esistere. L’impulso esplose quando lei, scoraggiata, portò entrambe le mani al volto, nascondendovi il viso e frantumando la mia immobilità. Fu così che pochi attimi dopo la attirai e la strinsi tra le mie braccia, rassicurandola.
- Non ti preoccupare, ci sono io con te.- sussurrai tra i suoi capelli, mentre lei ricambiava il mio gesto cingendomi le spalle. Ancora una volta ci ritrovammo vicini.

Ero riuscito ad accettare che potessi provare del sincero affetto anche verso chi era completamente diverso da me, verso chi cercava di conoscermi oltre l’apparenza, a passare dall’altra parte di quel muro che avevo eretto intorno ai miei sentimenti e ammettere che non sempre le persone lo facevano per un tornaconto personale. Poteva accadere che qualcuno volesse far breccia solo per rendermi più sereno, per farmi sentire bene, per far sparire la mia freddezza e far rievocare alla mia mente quanto fosse coinvolgente il calore di una stretta, quella sensazione inchiodante che mi faceva desiderare di restare tra quelle braccia il più a lungo possibile…
Immediatamente abbandonai quella percezione e mi accontentai del suo “grazie” pronunciato vicino al mio orecchio. – Cosa bisogna fare per tranquillizzarti, testolina buffa? –
- Niente. Se tu mi abbracci così, io non riesco ad arrabbiarmi, reagire o dirti quel che penso.- mi irrigidì appena, sembrava che avesse seguito il filo logico dei miei pensieri e ciò mi lasciò esitante. - Se mi abbracci così, io posso solo star bene. – disse con la voce che le tradiva un sorriso.
La strinsi più forte.

*****

Avevamo raggiunto Morea e Moran nella stanza dell’arcobaleno ormai da un pezzo. Come avevo immaginato, Moran fu subito coinvolto dai giochi e dai buffi modi di fare dei bambini e nel giro di pochi minuti si era ritrovato a intrecciare palloncini colorati per loro, insieme a Bunny e alla sua amica che lo sfidava a creare figure sempre più improbabili e complicate.
Io me ne rimanevo in disparte, sospirando. Sapevo che la soluzione al problema esisteva, doveva esserci, ma sembrava sfuggirmi.
Provenivo da una famiglia molto benestante e con gli anni ero riuscito ad accumulare una quantità non indifferente di denaro, ma il mio personale conto in banca non sarebbe bastato a risolvere la situazione.

Moran fece scoppiare uno dei palloncini, scatenando così uno spavento generale. Sobbalzai anch’io, tanto ero preso nell’inseguire i miei pensieri… - Idiota!- gli sussurrai infastidito.
- Ok, basta palloncini! A chi va di ballare un po’? – Bunny distrasse così le piccole pesti che minacciavano di scoppiare a piangere, si avvicinò alla radio accanto a me per sintonizzarla su una frequenza qualsiasi. Ne trovò una che emetteva una canzone che mi sembrava di conoscere, dal ritmo incalzante, latino-americano...
- Venite tutti qui, balliamo insieme! – riunì attorno a sé i bimbi che, ridendo, iniziarono ad imitare i suoi passi. Riuscì a disporli in piccole coppie, si unirono al ballo anche i nostri due amici. Tra di loro, la bionda ballava la bachata da sola.

When the night has come                                      //                                  (Quando viene la notte)  
And the land is dark                                            //                                     (E la terra è buia)   
And the moon is the only light we'll see       //                                       (E l'unica luce che vedremo sarà la luna) 
 
Sorrisi e la raggiunsi, le afferrai la vita ed una mano, proponendomi come suo cavaliere.
 
No I won't be afraid, no I won't be afraid                     //          (No, non avrò paura, non avrò paura)        
Just as long as you stand, stand by me                       //            (Finché tu sarai con me, sarai con me) 
And darlin', darlin', stand by me, oh now                //              (E cara, cara sta con me, adesso)
Stand by me, stand by me                                          //                (Stai con me, stai con me)
 
- Pensavo che non sapessi ballare …- mi disse ridendo.
- Ho mai detto di non saperlo fare?. - puntualizzai facendole fare un giro su sé stessa.
Moran intercettò il nostro discorso: - Balla benissimo, questo merito glielo devo riconoscere. La nostra infanzia è segnata da un trauma indelebile…- spiegò mentre con un abile passo di danza ci scambiavamo le dame – Le nostre madri anziché iscriverci ad una scuola di calcio con tutti gli altri, ci mandarono a scuola di danza…-

If the sky that we look upon                                                   //              (Se il cielo che noi guardiamo)
Should tumble and fall                                                         //                 (Dovesse rovesciarsi e cadere)
And the mountains should crumble to the sea             //                   (E le montagne dovessero sgretolarsi nel mare)
I won't cry, I won't cry, I won't shed a tear              //                      (Non piangerò, non piangerò, non verserò una lacrima)
Just as long as you stand, stand by me                   //                        (Finché tu sarai con me, stai con me)
 
- E fu così che imparammo la samba, la bachata ed il tango argentino… quando giocavamo a calcio, in compenso, ci spettava il ruolo più noioso. Quello del portiere! - le ragazze scoppiarono a ridere, mentre con un altro giro ritornavano ognuna dal proprio compagno. Ripresi la mano di Bunny tra la mia, mi avvicinai a lei per condurla su nuovi passi.

And darlin', darlin', stand by me, oh stand by me              //                (E cara, cara sta con me, sta con me)            
Stand by me, stand by me, stand by me                             //                  (Sta con me, sta con me, sta con me)

- E tu dove hai imparato a ballare? – smisi di cantare al suo orecchio il ritornello per chiederglielo.
- Oh, questi sono gli unici passi che le mie amiche sono riuscite a insegnarmi. Sai bene che io non sono coordinata…- abbozzai un sorriso alla sue parole, mentre le ultime note della canzone venivano sfumate per lasciar spazio alla voce conduttrice del programma radio.
Era una rivisitazione di “Stand by me” di Ben Edward King, la canzone che abbiamo appena ascoltato…
Bunny scivolò via da me allegra. Era riuscita a scrollarsi da dosso, per un attimo, tutti quei pensieri che la turbavano. Avrei voluto chiederle quale era il segreto per farlo. - Vediamo se troviamo ancora un po’ di buona musica. - si avvicinò un’altra volta alla radio per cambiare frequenza.
Tra pochissimo ritorneremo con le ultime notizie, ma prima vi lasciamo con qualche spot pubblicitario…
L’ultima parola stuzzicò la mia mente: - Shhh, aspettate un minuto…- forse lo pronunciai debolmente, nessuno sembrò ascoltarmi. Sentivo che la soluzione, che mi stavo sforzando di cercare poco prima, era ad un passo da me. Portai le dita alle meningi e strizzai gli occhi cercando di concentrarmi.
Dopo aver accennato un casquè con Morea, anche Moran si lamentò : - … e quando uno inizia a prenderci gusto, gli rifilano quella fastidiosissima pubblicità.-

Pubblicità.
Pubblicità!
In pochi secondi, si delineò nella mia mente un piano che avrebbe risollevato tutti noi e se avesse funzionato, non solo avrebbe garantito l’esistenza della stessa casa famiglia, ma avrebbe incrementato la visibilità sul campo del mercato dell’azienda di mio padre, perché davanti agli occhi mi si era ripresentata una scena vissuta qualche mese prima, dopo la serata movimentata al Cat Scrach Club, una colazione veloce e fredda con mio padre.

-Buongiorno papà…- lo salutai.
- ‘Giorno. –
Presi anch’io una bella tazza di caffè, riempiendola più di quanto ero solito fare. Speravo che la caffeina mi sarebbe stata d’aiuto.
Mi sedetti accanto a lui. – Di che stanno parlando? – chiesi indicando il notiziario.
- Ora? Di un’azienda che ha dato in beneficenza una modesta somma di denaro ad un’associazione in difesa dei diritti per gli animali…- scosse la testa.
- Che cosa c’è di strano?-
Si alzò e prese dalla sedia accanto la borsa dove teneva il materiale per il lavoro in azienda. – Di strano niente. C’è che è stata solo un’ottima trovata pubblicitaria! Guarda… questa mattina ne parlano in tutti i notiziari e certamente anche nei giornali, ne citano il nome e sarà sicuramente indicata nelle interviste a cui verranno sottoposti i membri più importanti dell’associazione e così via… Tutta pubblicità gratuita e molto più efficace. Avrei dovuto pensare a qualcosa del genere anche per la Chiba Technology and Service”


- Ma certo!!! – esclamai iniziando a passeggiare avanti ed indietro, i bambini mi guardavano incuriositi. Uno di loro iniziò ad imitare la mia andatura, gli altri ridacchiarono divertiti. – Dovranno partecipare parecchie persone, un evento di grandi dimensioni! Mi servirà l’aiuto di Marta e…- tastai le mie tasche in cerca del cellullare – Devo fare un paio di telefonate! –
- Marzio, tutto bene? Che succede? – Morea mi richiamò facendomi accorgere che su di me avevo puntati i loro occhi confusi e quelli vispi dei piccoli.
- Ho un piano! Se funzionerà tutti i nostri problemi saranno risolti e la struttura continuerà ad esistere! -
Morea era contrariata: - Aspetta un attimo, come fai a sapere della…- guardò Bunny – Glielo hai detto?! Era un’informazione riservata! – ma lei non le rispose, osservava me e nei suoi occhi lessi la speranza.
Avrei avuto bisogno soprattutto di lei in quest’impresa, il suo appoggio era essenziale e veniva prima di qualsiasi altra cosa : - Vieni, ho bisogno di parlarti. – la afferrai ed ignorando le richieste di spiegazioni dei nostri due amici, la portai fuori in macchina, preoccupato di essere sentito da orecchie indiscrete.

La pioggia continuava a cadere, infrangendosi sull’auto nella quale eravamo rinchiusi. Prima che potessi spiegarmi, mi anticipò: - Marzio, dimmi cosa hai in mente. Ormai posso dire di conoscerti, ma la reazione che hai avuto poco fa mi ha sbalordita e… il tuo volto, i tuoi gesti, emanano positività. – la speranza nei suoi occhi si trasformò in parole.
Annuì e sorridendo iniziai a parlare: - Pubblicità, pubblicità, pubblicità! Abbiamo bisogno di questo! Di rendere più visibile la piccola realtà che domina in questo posto e di raccogliere fondi. Dobbiamo smuovere la gente, indurle ad interessarsi della casa famiglia. Hai visto Moran come era entusiasta? Lui che neanche ci voleva venire. Per non parlare di me, che mai avrei pensato di mettere un piede lì dentro.– indicai la struttura.
Sorrise al ricordo : - Ed invece ora sei sempre qui…-
- Perché tu mi hai dato modo di conoscere tutto ciò. Dobbiamo puntare a questo, Bunny! –
Corrugò la fronte: - Sono d’accordo con te, occorre pubblicità. Ma come possiamo muoverci? Organizziamo delle assemblee nelle scuole, affliggiamo dei volantini…- esponeva poco convinta le idee che le balzavano per la mente.
- No. Niente di tutto questo. – sospirai conscio dell’importanza delle parole che stavo per pronunciare. Divulgare la notizia negli istituti scolastici avrebbe senz’altro contribuito, ma non sarebbe stato sufficiente rivolgersi a giovani adolescenti per raccogliere il denaro di cui avevamo bisogno. Non conoscevo la cifra, potevo solo immaginarla. – Pensavo di organizzare un grande evento benefico, con ospiti illustri, alti dirigenti, a nome della Chiba Technology and Service. –
- La tua azienda? – sgranò gli occhi – Di cosa stai parlando? –
- Qualche anno fa, mio padre era solito organizzare per la sera della vigilia di Natale una grande cena con molti dei suoi soci d’affari. Nell’attesa della mezza notte venivano istituite delle aste, o dei giochi in denaro, quest’ultimo in qualunque caso andava in beneficenza. Voglio ripetere questa tradizione, invitando anche giornalisti e persone di rilievo. Sarà un evento a scopo benefico, dove presenteremo il progetto che elaboreremo per la casa famiglia, per dare ai bimbi la garanzia di un posto in cui continuare a stare. – cercai di trasmetterle tutta la mia buona fede nell’idea che avevo avuto, catturando il suo sguardo - In più avremo dalla nostra parte anche fattori strategici di mercato. Da mesi ormai papà cerca di far incrementare le vendite e promuovere questo progetto, con il marchio dell’azienda, attirerebbe l’attenzione di nuovi azionisti… – sorrisi a me stesso, fino ad allora non avevo mai notato quanto fosse viva in me quella vena per il mondo aziendale. Ancora una volta presi la mano di Bunny, era fredda a causa della temperatura bassa – Mancano ventitré giorni alla Vigilia di Natale e tutto ciò è una follia, lo so. Ma è l’unica possibilità che abbiamo. Potrò fidarmi solo di te…-
- Certo che è una follia. - alzò gli occhi al cielo: - Saremo due folli. – disse facendomi intuire che sarebbe stata dalla mia parte – Ma stai correndo troppo. Dimentichi la cosa più importante: avrai bisogno del consenso di tuo padre. –

Colpito e affondato. Lei conosceva perfettamente quella mia debolezza da quando assistette a quell’insolita cena a casa mia e successivamente, nei giorni in cui iniziò a frequentare la mia casa, cominciò a conoscere anche mio padre, si erano intrattenuti quelle volte in cui io non ero ancora rientrato a casa dopo la scuola. Stando alle parole di Bunny, lui le aveva fatto conoscere la storia della mia famiglia, di come mio nonno avesse creato dal nulla una piccola azienda e del modo in cui lui era riuscito a farla espandere, con il sogno nel cuore di poterla affidare a me in un futuro non molto lontano. Mi disse, inoltre, che non le aveva parlato solo del suo lavoro. Quando ebbe con lei la giusta dose di confidenza, complici anche le piccole lodi che mia sorella regalava alla sua nuova amica, le raccontò di quanto fosse contrariato dal mio modo di rapportarmi, della delusione assidua che gli provocava la telefonata del nostro avvocato per aggiornarlo sulle scomode conseguenze giudiziarie delle mie bravate. Lei era restia a raccontarmi delle sue chiacchierate con papà, credeva che avessi dei pregiudizi nei suoi confronti, che potessi intendere in una chiave sbagliata il succo dei loro discorsi. Ma per quel che mi riguardava, c’era ben poco da fraintendere. Non godevo della sua fiducia e su di me non avrebbe mai scommesso. Immaginai tutto il suo disappunto. Come potevo aspettarmi, quindi, che lui fosse a favore della mia idea?
Potevo evitare di coinvolgerlo. Sarebbe stato ancora più difficile senza la sua influenza e le sue conoscenze raggiungere il nostro scopo, ma ci avrei provato da solo. Scossi la testa e le risposi: - No, posso farne a meno. – distolsi lo sguardo dal suo viso, concentrandomi sulla pioggia che cadeva fitta.
- Ma cosa dici, Marzio! Non puoi sfruttare il nome dell’azienda, i suoi locali ed invitare a partecipare dei suoi soci tenendolo all’oscuro di tutto! – non risposi – Devi ammettere che la sua esperienza potrebbe esserci d’aiuto.- scosse la mia mano con foga – Almeno guardami mentre ti parlo! – lo feci, sospirò e con pazienza cercò di convincermi – Io credo che se tu lo affrontassi con la giusta calma e partendo dal presupposto che ti appoggerà, questo potrebbe rappresentare un punto di incontro per voi, dal quale poter ripartire.-
Sorrisi sarcasticamente: - No. Ci sono troppe incomprensioni tra di noi, lui non mi darebbe mai il suo sostegno ed io non posso affidarmi ad una persona che non crede in me. –
- Allora sii coerente con il tuo ragionamento. Mi hai detto che potrai fidarti solo di me, inizia a farlo. Fidati di quello che penso. – esitò qualche istante e la sua voce quasi tradì una certa emozione quando infine ammise – Io continuo a credere in te fin dal primo giorno in cui ti ho conosciuto. –
 
***
 
La sede della Chiba Technology and Service era situata appena fuori città, un modesto edificio che contava all’incirca trenta impiegati, la maggior parte lavorava per noi fin da quando avevo memoria e mi conoscevano bene, perciò salutai velocemente gli addetti alla portineria e la segretaria di mio padre, andando direttamente nel suo ufficio, senza chiedere se fosse impegnato in eventuali colloqui o altro.
Quel giorno doveva ascoltare solo me. Bussai un paio di volte alla sua porta.
- Avanti. - il suo tono era abitudinario. Indugiai un istante prima di far leva sulla maniglia, non avevo preparato un discorso di base, avevo fatto delle parole di Bunny una fonte di coraggio e, prima che potesse esaurirsi, ero corso via lasciando lei a spiegare ai nostri due amici il piano, certo che avrebbe trovato in loro due collaboratori. Morea avrebbe sfruttato anche questa chance, Moran non aveva nulla da perdere e poteva mettersi in gioco senza vincoli. Tutto dipendeva dal risultato che avrei ottenuto io.

Varcai la soglia dell’ufficio. Papà era seduto su un’ampia poltrona di pelle chiara, teneva lo sguardo basso su un grosso faldone di documenti poggiato sul grande tavolo di vetro a forma angolare. Alla sua destra un’ampia finestra lasciava entrare la luce del sole, che riusciva a raggiungere anche la parte opposta alla sua scrivania, dove vi erano due divanetti rivestiti di bianco e un piccolo tavolo, anche questo in vetro trasparente. Nelle vicinanze vi era una porta che dava accesso diretto alla Sala Riunioni ed un’altissima pianta verde da interno. Chiusi la porta alle mie spalle e lo vidi alzare lo sguardo, incuriosito dal silenzio.
- Marzio…- disse perplesso – credevo fosse la segretaria, le avevo chiesto di portarmi i registri degli ultimi cinque anni. - con piccolo gesto indicò il malloppo di fogli che stava analizzando. Temporeggiai, era evidentemente occupato.
- Ho bisogno di parlarti, papà. È una questione importante. – avanzai deciso verso di lui e mi sedetti su una delle due sedie, guardai velocemente l’oggetto del suo studio e notai i grafici dei bilanci dell’azienda. L’espressione sul suo volto era cambiata, aveva lasciato spazio alla curiosità e… all’apprensione. Cercai di presentarmi rilassato. – Non preoccuparti, non è successo nulla di grave. Vorrei il tuo parere su un mio progetto.-
- Oh, questa è una bella novità per me. Beh, in tal caso…- chiuse il faldone, si alzò per riporlo nel basso mobiletto alle sue spalle. Notai allora che su di esso vi erano dei quattro portafoto in argento, ognuno conteneva una foto della mia famiglia: nella prima vi erano i miei genitori da giovani, abbracciati con una meravigliosa Tour Eiffel che faceva da sfondo; nella seconda mia sorella Marta cingeva mio padre, erano divertiti e raggianti, mentre reggevano un microfono; accennai un sorriso quando riconobbi la terza, risaliva a sei anni prima e papà poggiava una mano sulla mia spalla, indossavamo entrambi lo stesso completo elegante per una serata di gala, lo sguardo illuminato dalla spensieratezza; nell’ultima era presente tutta la mia famiglia in posa, una sera d’estate, su un balcone che si affacciava sulla Costa Smeralda. Doveva tenerci particolarmente a quei ricordi se li aveva con sé. Dentro di me iniziò ad insinuarsi un dubbio, davvero potevo essermi sbagliato su di lui e averlo giudicato troppo duramente?

Quando tornò a sedersi alzò il telefono - … si, solo un’altra richiesta. Continui pure con il lavoro che le ho assegnato, ma me lo porti quando sarò io a chiederlo. Non voglio essere disturbato. - riagganciò e sprofondando nella sua poltrona, mi invitò a parlare con un gesto delle mani. – Come vedi, sono tutt’orecchi. -
Decisi di partire puntando sulla simpatia per la mia amica: - Sono stato alla casa famiglia con Bunny questo pomeriggio. -
- Davvero? Mi fa piacere. Come sta? – chiese sincero. Bingo!
- A dire il vero è preoccupata, mi ha parlato di un problema e mi piacerebbe aiutarla.- corrugò la fronte, aspettando che potessi essere più chiaro. Spiegai allora del rischio che incombeva sulla Casa Famiglia, del dispiacere che avrebbe portato la chiusura della struttura su di noi, delle conseguenze psicologiche sui bambini che ormai si riconoscevano come un bel gruppo, dell’unica alternativa che poteva cambiare la situazione: la ristrutturazione. Ascoltò tutto annuendo, non aveva staccato gli occhi da me neanche per un secondo.
- Se è come dici tu, non credo che ci sia qualcosa che tu possa fare. Mi rammarica sapervi così amareggiati…
- Papà, il progetto di cui voglio parlarti riguarda questo. Vorrei promuovere una completa ristrutturazione a nome della Chiba Spedizioni. Ho in mente anche cosa fare, seppur a grandi linee per ora.-
Il suo sguardo cambiò, la curiosità lasciò spazio all’incredulità: - Aspetta un attimo. Tu stai cercando di parlare con me di affari? L’azienda non è mai stata una tua priorità, me lo ribadisci da tempo, Marzio.-
Scossi la testa:- Non nel tuo senso…-
- Il mio senso? - il tono era irritato.
Sospirai, cercando di mantenere il controllo:- Ne parli come se non avessi altra scelta! Come se a me non potesse essere consentito sperimentare strade diverse da quella che avete fatto tu e il nonno, come se non potessi avere nessun’altra aspirazione!
Si alzò con uno scatto:- Dovrei crederti in base a cosa? L’ho visto dove ti hanno portato le tue aspirazioni! A farti espellere dal miglior istituto dello Stato, a risse da bar, in ospedale con un tasso alcolico ogni volta più alto…- si stava lanciando ancora una volta nell’elenco delle mie bravate, distolsi lo sguardo da lui e strinsi i denti- Solamente Dio sa quante lacrime di tua madre ho asciugato, spaventata di perderti in qualche tunnel da cui non saresti più uscito. Ma cosa credi? Che a me faccia piacere veder mio figlio distruggere le sue doti, le sue possibilità? Io ti ho offerto un’alternativa e tu l’hai sempre rifiutata!-
Scossi la testa:- Alternativa? Hai sempre influito su tutte le mie scelte per far sì che diventassi la tua copia, che ricalcassi i tuoi passi.- lo guardai – Io voglio solo essere libero! Libero di avere le giuste responsabilità per un ragazzo della mia età, di non avere nessuno con cui essere messo a confronto! Soprattutto se devi essere tu. Non ho mai accettato il fatto per te l’azienda venisse prima della nostra famiglia…- dissi, infine, senza ritegno, liberandomi di quell’ultimo pensiero che da anni avevo soffocato. I suoi occhi chiari si velarono per una manciata di secondi.
- Quindi è questo quello che pensi? – non risposi. – Che delusione mi dai, Marzio. Quello che ho costruito qui, l’ho fatto solo per voi, per darvi il meglio. Passo giorni e notti in studio e in questo ufficio cercando di mandare in porto ogni affare, solo perché voi possiate essere orgogliosi del nome che portate… e tu ora quasi lo rinneghi.-
Mi alzai anche io, ma mi diressi verso la direzione da cui ero entrato:- Sai cosa c’è? Oggi ero venuto qui con le migliori intenzioni. Volevo fare qualcosa per l’azienda oltre che per Bunny. Per un attimo ho anche creduto alle sue parole, diceva che poteva essere un punto di collaborazione tra noi. – mi voltai verso di lui ancora una volta – ma finché resterà il desiderio di solo uno tra tutti e due, non potrà mai funzionare nulla.- conclusi aprendo la porta per andare via.

- Aspetta!- mi bloccò. – Ti dimostrerò che ti sei sempre sbagliato. Facciamo un tentativo.- sospirò.
Immediatamente fui attraversato da una sensazione di positività: - Mi stai dicendo che sarai d’accordo? Che appoggerai le mie azioni?-
Mi indicò di chiudere la porta. Aspettai prima la risposta: - Ti sto dicendo che adesso mi spiegherai nei dettagli quello che vorrai fare, che lo valuteremo insieme. - accennai a parlare ma mi precedette – Ti piaccia o no, sono io il Dirigente e funziona in questo modo. Se l’idea mi convince sarai libero di far tutto come meglio credi, altrimenti dovrai abbandonare qualsiasi proposta che coinvolga l’azienda. Sia chiara un’ultima cosa – prese un respiro – se sto decidendo di darti fiducia è perché nell’ultimo periodo ho notato un atteggiamento più responsabile da parte tua. Mesi fa non sarebbe stata la stessa cosa.-
Annuì e richiusi, mi andava più che bene. Tornai a sedermi accennando un sorriso di soddisfazione per il compromesso che avevamo appena raggiunto.
Sapevo che la mia era un’idea vincente e che lo avrebbe sorpreso.



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Cucù!!! Guardate un po' chi si rivede dopo qualche sett.. anzi no! Sono passati ben 4 anni.
Avevo lasciato questa long perchè ero presa dalla maturità e ora... sono laureata e ho iniziato anche la specialistica! 
Direi che mi è sfuggito di mano il tempo, giusto un tantino!
Ma non ho mai perso l'idea di terminare questa long, perciò eccomi qui! Carica di positività e di buone aspettative!
EFP, mi sei mancato tanto. Giuro che non ti lascio più...

Per quanto riguarda questo capitolo,ho accellerato un pochino i tempi di narrazione. Nei capitoli precedenti avevo cercato di presentarvi Marzio e il mondo nel quale girava la sua vita, i personaggi che avevano influito. Adesso, invece, è tempo per lui di rimboccarsi le maniche... Si passa all'azione. E prossimamente ne vedrete delle belle.
Non so dirvi quando arriverà il prossimo aggiornamento, parte del prossimo capitolo è già scritta... e anche la fine della storia, per non perdermi nella narrazione :P
Però non passeranno più 4 anni. Promesso!

Perciò spero che i lettori più affezionati siano ancora qui... e spero di aver fatto breccia anche nei nuovi! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ho il batticuore come se fosse la prima volta :)
Vi ringrazio per aver letto, per avermi dedicato il vostro tempo.
Debora

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Capitolo 9
*** Scintille ***


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Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei fare una precisazione. Nell’indecisione di dove dover ambientare la storia, mi sono accorta di aver tralasciato per molto questo aspetto, creando un buco nella fanfic. Ho cercato di rimediare aggiungendo qualche elemento nei capitoli precedenti, ma se siete qui e non vi va di spulciare indietro (comprensibilissimo!) sappiate che ci troviamo in una piccola cittadina americana, Charlestown nel Rhode Island, circondata dal mare.
Buona lettura!

 
 

 *** *** *** *** *** ***

 
 
Bianco antico, bianco di zinco o bianco floreale.
Rosso fragola, rosso pompeiano oppure rosso veneziano.
Marta aspettava, irremovibile, quella che secondo me doveva essere la combinazione perfetta di quei due tipi di colori
- Fragola e zinco – tagliai corto, con un’occhiata veloce. Le sfumature differenti erano impercettibili, il colore degli inviti per l’evento di Natale era un dettaglio che per me poteva essere tralasciato.
- No! – sbottò – Guarda bene e decidi!– con un colpo secco sul tavolo, poggiò i tre campioncini di colore sul progetto della nuova casa famiglia, impedendomi di controllare quello che mi aveva chiesto l’architetto.
Dall’altra parte del tavolo, Bunny sobbalzò. Guardò la scena, ridacchiando – Io direi rosso veneziano e bianco antico, mi sembra che si accostino bene.- fece un occhiolino a Marta e tornò al suo pc.
- Perfetto! – soddisfatta, raccolse il suo materiale e tornò a compilare le sue schede – Ora devo solo decidere il tipo di carattere…-
Alzai gli occhi al cielo e raggiunsi la mia amica per controllare il suo lavoro. Eravamo a casa mia, nello studio di mio padre. Da quando avevamo ricevuto il via libera, ci eravamo messi subito all’opera.
Bunny stava stilando una lista, suggerita da lui, di tutte le persone che avrebbero dovuto ricevere l’invito per l’evento: banchieri, azionisti, titolari di altre piccole e medie imprese.
– A che punto sei? – mi chinai accanto a lei per dare una veloce occhiata.
- Ho quasi finito – rispose senza staccare gli occhi dal pc. – Perché?-
Le passai un altro foglio: – Potresti aggiungerli? Sono dei miei amici e conoscenti. Devono essere presenti anche loro, dovremo lasciarne una copia a chi accoglierà gli ospiti. Non voglio far intrufolare nessuno…-
Le sue mani si bloccarono: – I miei genitori sono invitati? –
- Certo, Bunny. Aggiungi chi vuoi alla lista. – cercai di scusarmi – Credevo fosse ovvio. -
– Posso invitare anche un mio conoscente? –
La studiai, c’era stato qualcosa di diverso nel tono della sua voce.
- Un mio amico…- continuò
Oh, un amico. – Stai arrossendo, testolina buffa? – ero incredulo, curioso.
Tornò a scrivere veloce alla tastiera: - Va bene, non lo invito! –
Ritornando al mio posto, vidi Marta mordersi il labbro inferiore nel tentativo di nascondere un risolino.
- Puoi invitare chi vuoi.- ripetei tranquillo – Lo conosco già? –
Scosse la testa: – No… è inglese, vive a Londra. -
Oh, perfino inglese.
- Conosciuto in chat? – ad un tratto il progetto architettonico tornò a sembrarmi interessantissimo, iniziai a ricontrollare ogni linea con la riga.
Chiuse il portatile ridacchiando: - Un amico di infanzia, titolare di una casa editrice!-
Addirittura. - Ti piace? –
Sembrò pensarci su: - È molto carino e ha quel fascino inglese che non mi dispiace affatto... Non siamo mai stati fidanzati, ma…- temporeggiò.
Corrugai la fronte, stranito. Sperai di sembrare solamente concentrato su quello che stavo facendo:- Ma…? –
Disse qualcosa tutto in un fiato, velocissima.
Non la capì. – Eh?-
Avvampò: - A lui ho dato il mio primo bacio! –
Oh, il primo bacio. – Ah. –
- Allora? –
Feci spallucce: - Niente. –
- Niente? La so riconoscere una faccia da niente. – si stava stizzendo. Ma ero stato sincero, non avevo idea dell’espressione che avevo appena assunto. Tirai un calcetto alla sedia di Marta per cercare aiutoo, ma si limitò ad ascoltare tutto senza pronunciare una parola. Non ottenni nulla.
- Beh, credevo che non avessi avuto ancora nessuna … ehm… - che cosa potevo inventarmi? - …esperienza, ecco.-
Marta strabuzzò gli occhi, Bunny spalancò la bocca. Il suo viso era diventato dello stesso colore degli inviti:- Sei uno stupido! –
- Cosa ho detto di male?! –
Matite, palle di carta, penne volarono verso di me e una mi colpì: - Ahi! Bunny stai esagerando!-
- Non mi importa!-
- A me si, così distruggi lo studio di papà!-
- Ok, adesso basta! – Marta si alzò in piedi alzando la voce: - Tu fatti gli affaracci tuoi e tieni per te le tue riflessioni! – mi ammonì. – E tu siediti e smettila di lanciargli cose contro, ci serve ancora per questo lavoro. Io vado a far vedere questo a mamma- prese il suo invito facsimile appena terminato - quando torno non voglio trovarvi più a bisticciare. - sentenziò con tutta la sua autorità da sorella maggiore e uscì dallo studio.
Nessuno dei due proferì parola per diversi minuti.
Ero stato indelicato nel lasciar capire le mie convinzioni? Da quando conoscevo Bunny non l’avevo mai vista con un ragazzo, né lei mi aveva parlato di qualcuno in particolare. Ero convinto che non frequentasse nessuno e dato che con me non aveva mai avuto un gesto, una parola o uno sguardo che celasse malizia, avevo sempre pensato a lei come una persona ancora… inesperta, casta. Un pensiero che mi aveva dato inconsciamente una strana sensazione di sollievo.
Ma era possibile anche il caso opposto.
Per un attimo mi sfiorò l’idea di chiedere a Heles se ne sapesse qualcosa, era stata lei a suggerirmi le prime informazioni su Bunny, ma Moran mi avrebbe staccato la testa a morsi se solo ci avessi provato: era ancora molto risentito per quanto gli era accaduto. Forse avrei potuto chiedere a Marta, ormai avevano raggiunto un ottimo livello confidenziale, probabilmente lei sapeva se qualcuno aveva accarezzato il corpo della mia amica.
La osservai istintivamente, mi dava le spalle.
… se qualcuno le aveva massaggiato il collo, se era sceso ad accarezzarle la schiena… Se aveva stretto le mani sulle sue natiche toniche.
Il mio corpo reagì.
Scossi la testa e strizzai gli occhi, ma a cosa stavo pensando? Negli ultimi mesi la parte più lussuriosa della mia vita aveva subito un brusco rallentamento. Ma non era solo questo a farmi mordere la lingua. Il pensiero di un estraneo nelle circostanze immaginate poco prima non mi piacque, era irritante.
Presi un forte respiro, lo sentì anche lei.
- Scusami. Non volevo. – né offenderti, né fantasticare su di te. – Invitalo, prometto che sarò buono.-
Si fece più vicina, aveva il suo lavoro stampato : - Tieni, ho inserito i miei genitori, un paio di amiche e anche lui.-
Presi i fogli, ma le bloccai la mano nella mia: - Non essere arrabbiata, sono onesto. Non me lo aspettavo, tutto qui. Non mi hai mai detto niente.-
- Avrei dovuto? – cercò di liberarsi dalla mia presa – Noi non …-
- Ci frequentiamo? O stiamo insieme? – quasi non mi accorsi di aver usato un tono risentito. Non capivo da cosa nascesse tutto quel trambusto interiore.
- Noi siamo solo amici. – disse confusa.
- Sei la mia migliore amica, sai che ti considero tale. Tu sai tutto di me.-
Della parte più intima di lei, invece, io non sapevo nulla. Notai solo allora quel piccolo squilibrio nel nostro rapporto. Che si trattasse solo di fiducia tradita? Di delusione nell’aver sperato di essere arrivato a lei nello stesso modo in cui lei aveva fatto breccia in me? Oppure c’era dell’altro?
Mi accontentai delle prime due opzioni.
- Forse ti ho lasciato credere che… cioè, siamo solo amici.- riconfermò. La sua mano cercò ancora di fuggire, glielo lasciai fare.
- Promettimi che starai attenta.- decisi di tagliare lì quel discorso.
- Solo questo? Sei preoccupato per me?- un sorriso le comparve sul viso. – Proprio come un buon amico premuroso! – mi arruffò divertita i capelli.
Sbuffai e cercai di allontanarmi, continuavo a non sentirmi completamente a mio agio.
Papà entrò in quel frangente, salutò calorosamente Bunny e non sembrò disturbato nel vedere che ci stuzzicavamo in quel modo. Quando ci raggiunse anche Marta, gli feci vedere tutto quello che fino ad allora eravamo riusciti a fare: dal progetto fino all’intero allestimento dell’evento.
Studiò tutto per alcuni minuti: - Direi che sembra tutto apposto, salvo che un particolare.-
- Cosa? – chiesi con apprensione.
- Nessuno ha pensato a pubblicizzare l’evento? –
- Contatteremo personalmente tutti e invieremo gli inviti – spiegò Bunny, ma mio padre scosse la testa.
Fu Marta a prendere la parola :- Ho capito a cosa ti riferisci. Intendi mediaticamente, vero? Stampa, reti televisive… Chi se ne occupa in azienda, papà? –
- Mauricius Hino. - ripose i suoi occhiali nel taschino della giacca e si rivolse a tutti noi. – Ha un’ottima esperienza nel campo, ma sono sicuro che anche a lui non dispiacerebbe vedere come se la potrebbe cavare sua figlia R…-
- Rea.- lo anticipai.
- Abbiamo sempre lavorato bene con gli Hino, mantengono la parola data.-
Per quanto avessi deciso di limitare i miei contatti con lei, in questa situazione pareva che non ne potessi fare a meno. Era una questione di priorità, dove veniva prima di tutto l’interesse per la Casa Famiglia, il coinvolgimento dell’azienda e poi… le mie questioni personali.
Era quello che faceva un uomo in affari.
- Papà, io e Marzio vorremmo evit…-
- No, papà ha ragione. Abbiamo poco tempo e voglio rivolgermi solo a persone con esperienza e competenza. Rea va bene, Mauricius saprà consigliarla.-
Mio padre si lasciò sfuggire un sospiro pieno di soddisfazione.
 
***
Poco più tardi, telefonai a Rea per darle appuntamento al Crystal, una cioccolateria che avevano inaugurato da pochi giorni, tranquilla e accogliente.
Quando arrivai, la vidi subito senza esser ancora entrato nel locale. Aveva scelto di sedersi davanti ad un tavolino che si trovava proprio dietro la parete di vetro che dava sulla strada. Le gambe avvolte dal nylon nero e scoperte fino al ginocchio, erano accavallate con sensualità, indossava anche una gonna a pieghe scura e un maglioncino bianco aderente con una scollatura a v.
Tipico di Rea, non avrebbe perso l’occasione per farsi rivedere in tutto il suo splendore con me.
Incrociò il mio sguardo e ammiccò, invitandomi ad entrare dentro.
Mentre lo feci, speravo solo di non rialimentare troppo una qualsiasi delle sue speranze e che l’eventuale risentimento che ne sarebbe scaturito, non compromettesse tutto il lavoro.
- Ciao, grazie per essere venuta. – la salutai con un bacio sulla guancia, la sua forte fragranza mi colpì. – Hai messo il solito profumo.-
- Allora lo ricordi ancora…- era compiaciuta – Non mi aspettavo un tuo invito con tanta insistenza, lo sai? In questo posto, così diverso dai nostri.-
Presi il piccolo menù dal tavolo:- Si, ultimamente ho abitudini diverse. Hai già ordinato qualcosa? – feci scorrere il dito sulle immagini dei vari dessert, cioccolate, pasticcini…
- Non amo i dolci, avresti dovuto ricordarlo – mi lanciò un’occhiata giocosa. La colsì, certo che da lì a poco il suo umore avrebbe lasciato meno spazio all’allegria.
- Sono un ragazzaccio, scusami. – con la testa leggermente china sul menù, alzai gli occhi cercando di catturare i suoi. Poi le feci un sorriso sghembo, uno di quelli che più volte aveva apprezzato.
- Pare che tu sia fortunato.- si avvicinò un ragazzo, lei ordinò:- Per me uno yogurt ai frutti rossi, senza cioccolato.-
- Per me un gelato alla nocciola e stracciatella.-
Il cameriere appuntò e si allontanò discretamente.
- Ti va di dirmi perché siamo qui?- mi chiese.
Era arrivato il momento di spiegarle, cercai il modo giusto per descriverle tutto: - Ho bisogno del tuo aiuto.-
- Per? – era cauta.
- Mi sto interessando dell’azienda di famiglia.- decisi di camuffare in qualche modo i motivi principali.
- Quindi questo è un incontro per discutere di affari? –
- Beh, solo in un certo senso.- il mio istinto mi diceva di non lasciare intendere che l’occasione era solo finalizzat alla buona riuscita del progetto, la conoscevo bene ed ero sicuro che avrebbe potuto irritarsi se lo avesse percepito, non lasciandomi ottenere nulla.
Bluffare, ecco cos’altro facevano gli uomini d’affari.
 – Voglio anche scusarmi. Lo so, ho voluto interrompere il nostro rapporto e mi dispiace, ma io non stavo bene. – dovevo anche assicurarmi che certe cose restassero chiare – Non hai nessuna colpa, semplicemente avevo bisogno di altro e forse non ho ancora capito che cosa sto cercando precisamente. Ho iniziato a lavorare con papà e mi è stato utile. Adesso ho voglia di mettermi alla prova.-
Ascoltò tutto attentissima: - Lo accetto, se si tratta di qualcosa che riguarda te stesso. Magari un giorno potresti rivolere tutto quello che avevamo e anche qualcosa in più, sai cosa provo per te.-
Sospirai: - Rea, non puoi aspettarmi in eterno! –
- Non lo farò, infatti. Ma voglio lasciarti del tempo, voglio che tu ci rifletta! – lessi un filo di sfida sul suo volto, mi sorrise serena.
- Combattiva come sempre, eh? –
Annuì: - Non mi basta un no. Nemmeno due, se ci stai pensando! – fissò gli occhi su di me, giocosa, ma c’era una punta di verità nelle sue parole – Sono pronta tutto, non mi arrendo. Tu mi conosci…-
Il cameriere tornò con le nostre ordinazioni. Quando mi servì la coppa di gelato, mi venne spontaneo ridacchiare: era grande, tempestata di granella alla nocciola, ciuffetti di panna e i gusti che avevo scelto erano decorati con del cioccolato fuso. Era il tipo di spettacolo che avrebbe fatto sgranare e illuminare gli occhi a Bunny.
Bunny e le priorità, ricordai a me stesso. Spiegai a Rea che avevo bisogno del suo aiuto per la parte pubblicitaria di un progetto di ristrutturazione. Non volevo una semplice e statica conferenza stampa, aspiravo a delle riprese generali dell’evento che stavo organizzando, che fossero mandate in onda durante i notiziari, magari in un servizio. Volevo dei giornalisti, che avrebbero dovuto redigere articoli per i quotidiani e svariate riviste, qualche addetto che trasmettesse in diretta sui social.
- Lo sai che mancano meno di due settimane, non è vero? È difficile trovare così tante persone disposte a lavorare il giorno della vigilia! Non so se ci riuscirò, è un piano folle.-
Tamburellai con le dita sul tavolo, cercai di scacciare dalla mente il ricordo del giorno in cui aveva preso tutto forma nella mia testa. Mi era già stato dato del folle da un’altra persona… ma poi si era corretta subito: i folli erano subito diventati due. Io e lei.
- Non mi hai detto cosa ti preme ristrutturare. - notò – devo saperlo se vuoi che ti aiuti. -
- Lo farai? – incalzai.
- Non me lo vuoi dire?! –
- La Casa Famiglia. –
Con un gesto disgustato, allontanò il suo yogurt – Si tratta di lei, non è vero? La biondina.-
Scossì la testa: - Non è affatto così. Te l’ho detto, è per l’azienda! –
- Mi stai prendendo in giro? È sempre lì! –
Optai per una mezza verità, non le avrei detto che sulla struttura vi era il rischio di una possibile chiusura e che era nato tutto per non permettere ciò. Focalizzai la sua attenzione su un altro aspetto:
- Me ne ha parlato lei, è coinvolta quanto me, è vero. Ma io lo faccio per altro. L’azienda in questo periodo fatica a mantenere la quota di mercato, non siamo in crisi ma papà cerca continuamente di mantenere il primato. Le alternative sono due, reinvestire nei prodotti e nei nuovi cicli di produzione, oppure attirare l’attenzione su di noi, magari anche con il pretesto di una causa umanitaria! Rifletti, quali potrebbero essere i risultati peggiori? – marcai ancor di più il mio bluff – E poi considera questo… Avresti anche tu l’opportunità di farti notare nel campo delle pubbliche relazioni! –
Mi studiò: - Stavo giusto per chiederti che cosa ne avrei avuto in cambio.-
Cadde il silenzio per qualche minuto, la lasciai pensare.
- Ti aiuterò. – disse infine – ma voglio che tu me lo ridica un’altra volta, Marzio. Lo stai facendo per lei? –
- No. – mentì.
- Lo spero. Perché non te lo perdonerò. So essere anche vendicativa…-
Cos’era, una minaccia?
Serrai la mascella per contenere l’ira. Non sopportavo l’idea che potesse essere pericolosa per Bunny e che potesse arrivare a farle fisicamente del male, mi sembrava troppo anche per lei. Quello che Rea avrebbe potuto fare, sarebbe stato allontanarla da me, così come era accaduto in precedenza con altre ragazze. In ogni caso, fin tanto che ci fossi stato io accanto a Bunny, non le avrei permesso di torcerle un capello.
- Ti preoccupi di cose che non esistono.- rimarcai.
Il nostro incontro si trascinò ancora per diversi minuti, con un tono più alleggerito. Mi accennò alcuni nomi di persone a cui si sarebbe rivolta.
La accompagnai alla sua auto, mi salutò un po’ più pensierosa rispetto a quanto avesse fatto prima.
- Sarà il mio regalo per Natale…- disse mentre guardava una coppia di anziani uscire da un negozio di giocattoli, con delle buste piene di regali.
Sorrisi rilassato: - Lo spirito giusto, vedi? –
- Sentiamoci in questi giorni. Ciao, Marzio. – mise in moto e si allontanò.
Era andata meglio di quanto avessi immaginato.
Feci fare alla sciarpa un doppio giro al collo, mi strinsi nel mio cappotto nero di pelle e tornai verso il mio Suv.
Ero soddisfatto, fino a quel momento nulla era andato storto. In più, iniziavo a provare eccitazione per quello che stavo facendo, per come ero riuscito a venirne a capo.
Il mondo degli affari non mi sembrava più una giostra lenta e noiosa, si era rivelato dinamico, a tratti rischioso ma anche stimolante.
Mi fermai davanti la vetrina di un negozio di antiquariato e mi specchiai per un attimo.
Alto, spalle larghe, i capelli neri spettinati e gli occhi blu che risaltavano sul viso, coperto in parte dalla sciarpa.
Non sembravo un imprenditore in carriera, ma era una dote che avevo scoperto di avere nel sangue e che non volevo più rifiutare.
Bravo Marzio! Scherzai con il mio riflesso, poi scossi la testa e risi di me stesso.
Fu in quel momento che il mio sguardo cadde per caso sul più particolare degli oggetti esposti.
Non ci pensai due volte, feci leva sulla maniglia ed entrai annunciato da un grazioso campanellino.
- Buonasera, posso chiederle qualche informazione in più su uno di quei pezzi? –
 
***

Veloce come mai era accaduto, arrivò l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie. La professoressa aveva assegnato diverse letture, lasciandocele iniziare e continuare fino alla fine dell’ora.
Il primo testo era tratto un colosso della letteratura inglese: "Wuthering Heights".
- Che significa…? –
- Cime Tempestose! – tradusse subito la mia compagna di banco. – Come fai a non conoscerlo? Si intrecciano le storie tormentate, passate e presenti, di due generazioni. –
Sorrisi facendo delle mie braccia un cuscino sul banco e poggiandoci su la testa. – Bene, me ne farai tu un riassunto. Sono esausto! – chiusi gli occhi.
Si avvicinò al mio orecchio, bisbigliando :- Marta mi ha raccontato che passi le notti sveglio davanti al frigo.-
- Vi piacerebbe.-
Ridacchiò: - Hai lavorato molto? –
Annuì:- Con papà abbiamo controllato tutti i preventivi, in più mi ha spiegato la nuova politica dei prodotti che lanceremo…-
- In cosa consiste? –
Restai vago, incuriosendola : - Lo scoprirai domani, sarà il pezzo forte della serata…-
Sentì il verso di una linguaccia.
Feci un lungo respiro, quanto avrei voluto addormentarmi e riposare. Il giorno dopo sarebbe stato molto impegnativo.
- Stiamo dimenticando qualcosa, me lo sento.-
- Abbiamo fatto tutto.- riconfermai – non farti prendere dal panico.-
- Starò tutto il tempo dietro di te a far finta di capire i vostri discorsi…- come non detto.
- Non è una riunione del consiglio di amministrazione, non ci sarà nulla da capire. Dovrai solo sorridere e scambiare qualche parola. –
Ripeté le mie parole imitando il tono di voce.
- Non posso mettere ancora la mano sul fuoco… Ma raggiungeremo il nostro obiettivo, avremo la nostra bella cifra!-
- Farò una figuraccia, mi hai inserita come la collaboratrice principale e…-
- Temi questo? Di non essere all’altezza? – aprì gli occhi e sorrisi intenerito. Sottolineava distratta il suo libro – Bunny, sappiamo tutti che la Casa Famiglia è importante per te ed hai fatto quello che potevi. Se non fosse stato per te, io non avrei mai messo piede lì, non ne avrei saputo nulla. Ti rendi conto di ciò, vero? -
Nessuno di noi aveva le aveva mai chiesto più di quanto lei potesse realmente fare. In quei giorni aveva cercato di occuparsi di quante più cose poteva: aveva preparato i bambini alla notizia, ci aveva aiutati nelle operazioni più fastidiose, ricontrollato inviti, messo ordine tra i documenti, si era affrettata per farmi avere tutto ciò di cui necessitavo. Era stata il mio braccio destro, non poteva ignorarlo.
La professoressa ci intimò di far silenzio, così lasciai cadere l’argomento, sperando che la determinazione che avevo visto in lei fino a pochi giorni prima non l’avesse abbandonata.


 
****
 
- Marzio, posso entrare? – riconobbi mia sorella dall’altro lato della porta.
- Vieni pure, ho quasi finito.- sbuffai – Ho bisogno del tuo aiuto con questo! – le mostrai il papillon che penzolava sulla camicia.
- Che eleganza! Stai veramente bene con lo smoking. – sorrise attraversando la mia camera. Prima che chiudesse la porta alle sue spalle, sentì voci e del leggero trambusto provenire dal piano inferiore.
- Sono già arrivati gli ospiti? – chiesi mentre metteva le mani intorno al mio collo, modellando senza problemi quel piccolo pezzo di stoffa che aveva rischiato di portarmi all’esasperazione.
- Non ancora, sono i camerieri che stanno preparando l’aperitivo. Mamma mi ha detto che è arrivato solo qualche amico e parente, ma gli altri non tarderanno.-
- Che ore sono? –
- Sei perfetto! -sistemò il colletto - Conosci Bunny, è più probabile che arrivi con un leggero ritardo anziché essere puntuale.-
Marta sembrò leggermi nel pensiero, oppure interpretò semplicemente il nervosismo che mi portava a fare gesti meccanici, come sistemarmi l’orlo delle maniche ogni manciata di secondo, guardare il piccolo orologio nel taschino interno della giacca, dove tenevo qualcosa di più speciale. – Forse è meglio scendere, così potrò essere preparato per accogliere i nostri ospiti!-
La seguì giù per le scale, facendo effettivamente caso per la prima volta a quante decorazioni abbellivano la mia casa. Delicati nastri rossi erano avvolti lungo la ringhiera, i mobili erano impreziositi da decorazioni natalizie o composizioni floreali e il bianco delle tende era stato cambiato con l’oro e l’amaranto. Non avevo ancora visto il salone che avrebbe ospitato tutti gli invitati, avevano iniziato ad allestire la sala in mattinata e non volevo creare disagio durante i lavori. I camerieri si muovevano avanti e indietro tra la cucina e il resto della casa, mia madre era occupata a dare le ultime disposizioni, mentre papà, che era seduto sulla sua poltrona in soggiorno, non appena mi vide con Marta ci venne incontro, si complimentò per la nostra eleganza e poi desiderò parlare solo con me.
Finalmente accettai rilassato di avere un confronto con lui. Mi aveva dato fiducia, aveva scommesso sulla mia idea e sapevo che il compromesso che avevamo raggiunto era merito di entrambi. Io mi ero mostrato più disponibile verso di lui e il lavoro della sua vita che voleva affidarmi, lui aveva creduto in me. L’atmosfera natalizia faceva perfettamente da sfondo, anche se centrava poco la credenza popolare “ A Natale si è tutti più buoni”. Quel calore nel cuore, quella complicità speciale doveva essere semplicemente riscoperta tra di noi ogni giorno.
- Purtroppo abbiamo solo pochi minuti, figliolo, tra poco non ci lasceranno respirare e dovrai prepararti perché ti presenterò un bel po’ di gente di importanza rilevante e ti assicuro che se la tua idea li colpirà, riceverai un ottimo contributo per la tua raccolta di fondi. – annuì, lo avevo già immaginato ed ero preparato. Per anni avevo osservato il comportamento di mio padre in situazioni analoghe e sapevo che dovevo essere convincente. - Quello di cui mi preme informarti è che io non ho intenzione di fare la presentazione ufficiale del progetto. Dovrai farlo tu. Ovviamente insieme alla tua amica, voglio che siate voi a prendervi il merito per la vostra idea.
Stava scherzando? Scossi la testa, mostrandomi contrariato:- Allora salteremo la presentazione.-
- Come? Vuoi chiedere soldi a tutta questa gente senza spiegargli il motivo? -
- E’ una questione troppo importante. Non ho uno straccio di discorso pronto! Se ne è sempre occupato il nonno, poi tu e…-
- E adesso toccherà a te, figlio mio.-
Sospirò avvicinandosi a me. Posò le sue mani sulle mie spalle e con i suoi occhi chiari, velati dall’esperienza, cercò di infondermi coraggio: - Marzio, non ti sto passando le redini dell’intera azienda ora. Non è questo il momento… Ma pensa a tutto ciò che hai fatto. Dai un peso a tutto il tempo che avete dedicato a questo ed in particolare il tuo nuovo modo di fare la cose, la brillantezza con cui hai innovato la strategia di mercato rendendola utile per risolvere un problema a quei bambini a cui ti sei affezionato.-
Alzai gli occhi al cielo e scossi ancora la testa, non del tutto convinto dalle sue parole: - Lo faresti meglio di me, ne sono sicuro.-
Annuì : - Ho aspettato anni per vedere ciò che sei diventato oggi, credevo che non avresti mai lasciato da parte i tuoi capricci per concentrare le tue energie su qualcosa di significativo per la tua vita, ma è avvenuto. Ed è il momento di apprezzare questa svolta e di riconoscere che sei cambiato, che non sei più il ragazzo scontroso e ribelle che tutti conoscevamo. Sei degno di prenderti e mostrare a tutti il ruolo che ti spetta!- mi parve di sentire una nota di commozione nella sua voce mentre cercava infine un ultimo punto per far breccia - È un giorno speciale per tutti, queste persone non vorranno altro che sentire parole sincere. Siete in due, ascolta il tuo istinto e il tuo cuore. Non sbaglierai.-
Lessi la sincerità nei suoi occhi e non mi occorse nient’altro : - Grazie, papà! –
Mi abbracciò e dopo anni riscoprii il calore delle sue braccia che mi stringevano. – Sono fiero di te, ragazzo mio!-
Io, invece, ero orgoglioso di essere suo figlio.
Arrivò in quell’istante mia madre e non poté non dimostrare di essere soddisfatta della riconciliazione dei suoi due uomini, era raggiante.
- Caro, volevo invitarti a spostarti verso l’ingresso, stanno per arrivare i giornalisti e sai tu cosa devi fare con loro.- lo vidi annuire. – Marzio, tesoro, mi fa piacere che tu sia qui, ti stavo cercando! Bunny è appena arrivata.- mi annunciò con semplicità, eppure dentro di me si mise in moto qualcosa che immediatamente mi provocò un leggero e strano batticuore. – Ti aspetta nel salone! – mi informò, ma dovette alzare la voce perché ero già uscito.
Quando varcai la soglia dell’immensa sala non mi lasciai distrarre né dagli addobbi né dalla disposizione dei tavoli, tanto meno dalla musica natalizia che gli altoparlanti diffondevano.
Cercai solamente lei, con lo sguardo perlustrai l’intera stanza, ma non la trovai.
Nel mezzo della sala, si imponeva un grandissimo albero di Natale, costernato da fiocchi rossi e sfere bianche, luci calde, arricchito da una luminosa stella in cima. Una figura era ai suoi piedi, dandomi le spalle, sfiorava delicatamente con un dito i preziosi angioletti che ornavano quel simbolo natalizio… I chiari capelli erano raccolti in una coda leggera, che lasciava cadere mosse ciocche bionde e solo allora mi resi conto che inconsciamente stavo cercando due codini lunghi, così come ero abituato a vederla. Ma se avesse cambiato pettinatura?
- Bunny? – la chiamai quando le fui ormai vicino e lei si voltò. Lasciammo scorrere i nostri sguardi su di noi per qualche istante, poi ci sorridemmo. – Sei meravigliosa. – ammisi. Qualche ciuffo sfuggiva dalla sua semplice acconciatura che le lasciava il collo scoperto. Indossava un abito rosa, che si sposava perfettamente con il colore della sua pelle, a tratti illuminato da piccoli brillantini, tenuto su dallo stesso corpetto che le avvolgeva il busto per poi cadere dolcemente fino alle ginocchia. – Porti anche i tacchi, sono sbalordito! –
Imbarazzata, portò uno di quei ciuffi dietro l’orecchio: - E tu hai messo lo smoking! Chi lo avrebbe mai detto…-
- Già! – ammisi, poi le risistemai la ciocca dov’era stata pochi secondi prima. Probabilmente indugiai con la mano vicino al suo volto più del dovuto, le guance le si infiammarono e quando avvertì il calore della sua pelle sul palmo capì che era il momento giusto per farle avere il mio regalo.
– Bunny, io volevo darti una cosa.- presi la scatola dal taschino e gliela misi tra le mani – E’ una sciocchezza, l’ho visto e ho pensato a te, spero ti piaccia.-
Era meravigliata: - Oh, Marzio! Ti ringrazio, ma non dovevi… Non immaginavo che…- sospirò - … adesso mi sento in imbarazzo per non averti fatto un regalo! -
Alzai gli occhi al cielo e non appena aprì la bocca per replicare, mi anticipò: - Ok, ok! Lo apro subito!–
Le sue mani furono decise nello scartare l’involucro, ma esitarono appena qualche istante mentre sollevava il coperchio della scatola bianca. Gli occhi le brillarono quando scoprì quello che custodiva. Io sorrisi compiaciuto.
- E’ un ciondolo bellissimo…- disse prendendolo delicatamente per la catenina dorata. – Una stella.-
- Non è un semplice ciondolo.- intervenni – Guarda bene al centro.- Le feci notare che non vi era solamente una semplice sporgenza, ma c’era un minuscolo meccanismo di chiusura. – Aprilo.-
Seguì il mio suggerimento, sollevò la sporgenza al centro della stella, che immediatamente iniziò a diffondere le note di una melodia lenta e delicata. Nel suo insieme bellissima. Il carillon emetteva un tenue bagliore, impotente dinanzi la luce dei suoi occhi.
Inaspettatamente mi prese una mano, la mise tra la sua e il carillon, abbassò lo sguardo: - Marzio io…- esitava, non ne capivo il motivo, ma quel silenzio e i morsetti che riserva alle sue labbra mi fecero provare uno strano brivido. Restai muto, ma il desiderio di incrociarne gli occhi era troppo forte. Portai l’altra mano sotto il suo mento e le sollevai appena il viso… quando vi lessi solo emozione, sentì un impulso dentro di me…
- Io…beh, credo di…-
- Si? – la incoraggiai sereno, accennando un sorriso.
- Ti voglio bene, Marzio…- anche le sue labbra rosee si incurvarono e dentro l’impulso aumentò, scandito da battiti che divennero rapidi e forti. Strinsi di più la sua mano e la attirai più vicino a me, riuscivo a percepire la sua fragranza.
Chinai la fronte… Era così vicina.
La mia mano sotto il suo viso si schiuse ancora una volta, la accarezzai. Non avevo mai avvertito così tanto affetto per me, tutto quello che stavo provando mi faceva sentire speciale, importante per qualcuno.
– Anche io.- le ammisi baciandola sulla fronte.
Furono i rintocchi del grande orologio a pendolo a destarci da quel nostro piccolo momento, ricordandoci che ormai mancava poco all’inizio dell’evento. Bunny chiuse il carillon e lo ripose nella piccola pochette che aveva poggiato su un tavolo poco distante, io mi guardai intorno per studiare la situazione. Marta aveva finito di ricontrollare i centro tavola di ogni singolo tavolo insieme a mia madre e stavano uscendo dalla sala, le vidi raggiungere mio padre che si preparava ad accogliere i primi ospiti davanti la porta. I musicisti, un quintetto d’archi e un pianista, avevano preso posto e ultimavano di accordare gli strumenti, mentre i camerieri avevano già in mano i vassoi con flûte pieni di champagne. Era tutto pronto, dovevo solo avvisare Bunny.
- C’è una cosa che devo dirti, mio padre ci ha dato un compito per questa sera.-
- Ottimo!- cinguettò lei – di che si tratta?- trattenni un sorriso dinanzi al suo buon umore. La afferrai delicatamente per le spalle e la feci voltare su se stessa.
- Vedi quella pedana, quel microfono e il grande pannello alle sue spalle?-
Annuì. – Ok, ci sono!-
- Verrà proiettato il video che Marta ha realizzato per il progetto e… toccherà a noi presentarlo. A me e a te…- aggiunsi davanti al suo silenzio – lì sopra.-
Si voltò con uno scatto, gli occhi sgranati dall’incredulità: - Tu mi stai prendendo in giro! -
– Si. Spiegalo a papà…- risposi sarcastico per sdrammatizzare, lei mi lanciò un’occhiataccia. – Va bene, se non te la senti non importa. Lo farò semplicemente io. –
Sembrò quasi rifletterci su: - No, lo facciamo insieme. Il patto è sempre stato questo…- sorrise – Ma non dovremmo preparare un discorso? Quanto tempo abbiamo per raccogliere le idee? –
Mi grattai la nuca - Non abbiamo tempo. Credo che siano i tuoi genitori e le persone che hai invitato in particolare…- seguì il mio sguardo, dalla finestra si intravedevano delle figure eleganti. Uno di loro aveva i capelli color platino, si guardava intorno curioso. - Andiamo ad accoglierli. -
Conoscevo bene il padre di Bunny solo dietro la sua divisa e non avevo idea di cosa pensasse circa la mia amicizia con sua figlia, fino a quel momento quel pensiero non mi era mai passato per la testa. Sua moglie lo teneva sotto braccio ed era un passo davanti a lui, che stizzosamente passava l’indice nel colletto della camicia, sembrando quasi a disagio in abiti così formali. La signora era radiosa, esteticamente era il ritratto speculare della figlia e mi fu presentata proprio da lei. I miei genitori e Marta scambiarono poche parole con loro prima di indicargli il salone per farli accomodare e fu allora che l’ospite speciale di Bunny si intrattenne.
- Eccoti, finalmente! Mi sei mancata! – esclamò con il suo accento inglese, abbracciandola.
Lei rise: - Sono contenta di rivederti Diamond, per me è importante averti qui. Ci tenevo tanto! –
- Ah, si? Fantastico.- pensai, tossì un colpo cercando di farmi notare. Ci riuscii.
- Lui è Marzio! Suo padre è il proprietario della Chiba Spedizioni, ti ho raccontato come è nato tutto questo…-
Inspiegabilmente, colsi l’occasione per pavoneggiarmi un po’. In un’altra circostanza avrei detto “per fare una buona impressione”:- Esattamente, benvenuto a casa mia. Ho fatto tutto ciò che potevo, sicuramente potrai notare l’ottimo lavoro svolto.-
Bunnì strabuzzò gli occhi: - Abbiamo.- sottolineò.
- Certamente, anche tu hai i tuoi meriti…- le dissi con un sorrisetto sfacciato, poi tornai dall’ospite. – Lei mi diceva che sei di Londra, esatto? –
- Yes, of course! – ammiccò – quando ho ricevuto l’email di Bunny non ci ho pensato due volte, così tante ore di volo non mi hanno spaventato né il jet lag. Ho rimediato riposando in albergo appena sono arrivato. Quale occasione migliore per essere d’aiuto e poter rivedere la mia graziosa amica? –
- Inglesi. Non sai mai cosa aspettarti da loro! – ridacchiò lei.
Le parole sembrarono sfuggirmi senza un freno, la mente le elaborava e la bocca le pronunciava:- Mi aspetto un sostanzioso aiuto. Inoltre credo che sia il modo perfetto per omaggiare la tua amica dopo così tanto tempo, non credi anche tu? – con la coda dell’occhio vidi lei fissarmi quasi stizzita.
- Non me ne andrò senza aver dato il mio contributo, siatene certi. Ogni cosa a tempo debito. Parlando francamente, ho altro con cui onorare Bunny, ma abbiamo ancora un po’ di giorni da passare insieme e spero ne sarà lieta.- pronunciò le ultime parole facendole quello che doveva essere il suo miglior sorriso. – Raggiungiamo la tua famiglia, che ne dici? – le offrì il braccio per accompagnarlo, lei acconsentì e si allontanarono, ma la vidi rivolgermi uno sguardo contrariato.
Rimasi a guardarli, studiando le loro figure.
Afferrai un piccolo bicchiere di champagne da un cameriere che stava passando svelto e mi inumidì la gola in un sorso.
Cercai di spegnere quelle piccole scintille che minacciavano di infuocare il mio animo, di arginarle in modo da tenere lontana la minaccia che potessero innescare quelle reazioni involontarie che da mesi sentivo non appartenermi più.
Allentai il papillon e mi preparai ad affrontare la serata.
 



 

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Cucù!
Incredibile ma vero, eccomi qui! Ve lo avevo detto che non avrei abbandonato più questa longfic e anche se (purtroppo) a rilento, continuerà a proseguire. Prendiamocela con la specialistica che ho iniziato, che mi ha dato poca tregua! Barcollando e non mollando, però, ho continuato ad aprire il file word ed eccoci qui!
Quanto al capitolo, ho deciso di fermarmi qui per non appesantire la lettura dal momento che ho inserito tanti piccoli elementi che saranno la base dei prossimi sviluppi… chissà se li avete notati! Nulla è per caso, neanche il titolo del capitolo... e qui signori miei, prepariamoci perché presto ci sarà così tanto caldo che vi sembrerà di avere un “Fuoco” dentro.
Io, invece preparo la valigia perché qualche lettrice mi ha estorto qualche spoiler di troppo e adesso sento già lo scricchiolio delle sue dita.
Ah, ma mi pare di sentire anche le voci di quelle che… “ma il bacio quando arriva?”. Deve arrivare? Chi lo ha detto? Intanto è arrivato un inglesino niente male, garbato e con charme e guardate cosa ha portato!
Ma…abbiamo anche i risolini di qualche altra lettrice che avrà ritrovato tante delle idee discusse in chat: Mauricius, eroe delle nostre risate, doveva esserci in qualche modo.

Detto questo, aggiungo solo un po’ di scuse per avervi fatto fare un salto dal caldo afoso di fine luglio all’atmosfera magica del Natale, ma proprio non potevo rimandare oltre.
La trama centrale del prossimo capitolo è scritta, mi serve solo preparare il contorno per presentarvela al meglio, dal momento che ci sarà qualcosa di molto “forte” e per questo ci tengo particolarmente.
Vi ho già detto che farà caldo, vero?
 
Grazie per le recensioni, le meravigliose parole che mi avete riservato, per avermi reso il ritorno su efp più emozionante di quanto avessi immaginato.
Siete speciali, uno ad uno.

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