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di saraviktoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo- morte ***
Capitolo 2: *** capitolo 1-zia, zio, nonno, nonna ***
Capitolo 3: *** capitolo 2-Randee Rathbone ***
Capitolo 4: *** capitolo 3-zio jackson ***
Capitolo 5: *** capitolo 4-dodici?!? ***
Capitolo 6: *** capitolo 5-troppi nomi e tanto hennè ***
Capitolo 7: *** capitolo 6- preschool, elementary, middle and high ***
Capitolo 8: *** capitolo 7-crisi ***
Capitolo 9: *** capitolo 8-preparativi e incidenti ***
Capitolo 10: *** capitolo 9-Taylor ***
Capitolo 11: *** capitolo 10: appuntamento ***
Capitolo 12: *** 11-primo giorno di scuola ***
Capitolo 13: *** capitolo 12: quando ti manca casa tua... ***
Capitolo 14: *** capitolo 13: diciottesimo compleanno ***



Capitolo 1
*** prologo- morte ***


è una storia un po' strana. un po' tanto a dire il vero. non so nemmeno io da dove è venuta fuori, ma andava avanti bene e ho deciso di pubblicarla. mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, se vi va. in ogni caso, ringrazio in anticipo tutti quelli che leggeranno questa storia,
baci
SaraViktoria


Prologo- morte

Ryann Rathbone Scarlett camminava mano nella mano con il marito. Anche dopo tanti anni e tanti figli le cose tra loro non erano cambiate di una virgola. Ryann sapeva di essere fortunata. Lei amava suo marito e sapeva che per lui era lo stesso. Era un sollievo pensarci quando al telegiornale si parlava del crescente numero di divorzi. Solo nell'ultimo anno la loro amata Londra si era classificata al primo posto nella classifica europea delle separazioni.

I coniugi Scarlett avevano avuto parecchie figlie, una diversa dall'altra, tante adorabili bambine. Non se ne pentivano. Guardarle in faccia ogni mattina, vederle sorridere prima di andare a scuola era la ricompensa più grande che Ryann potesse immaginare. Era stata la loro maggiore, appoggiata dalle altre -erano incredibili quando si coalizzavano - a insistere perché qualche volta si prendessero una serata per loro. E così era stato. Era l'anniversario del loro primo fidanzamento, e suo marito se l'era ricordato, prenotando in un bel ristorante. Erano usciti dopo aver ripetuto centinaia di volte le raccomandazione alle piccole.

Una serata fantastica, come Ryann non si concedeva da anni. Passeggiavano lungo le vie del centro, passando proprio davanti all'università, quando udirono un rumore strano, uno stridio acuto da tapparsi le orecchie. Subito dopo una gran confusione, tanto che non capirono nemmeno loro cosa stesse succedendo. Degli spari, delle urla, corpi atterra. Poi più niente. Ryann si sentiva leggera, come se fosse sulla Luna e non avesse peso. Dall'alto - che strano, pensò- si trovò a guardare la scena. Un momento! Lei era laggiù per terra, ma era anche lì, quasi tra le nuvole. Dopo un tempo che le sembrò infinito, si sentirono delle sirene, il commissario della polizia di Londra esaminava la scena, scuotendo la testa. Poi disse qualcosa, qualcosa che Ryann non poteva sentire. E si allontanò una macchina, in direzione della periferia, le sirene spiegate e le altre auto che si spostavano al suo passaggio

 

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Capitolo 2
*** capitolo 1-zia, zio, nonno, nonna ***


primo capitolo! spero che il prologo sia piaciuto a qualcuno...
colgo l'occasione per ringraziare HipHipCosty per la recensione e Gio1992 per averla inserita tra le preferite
buona lettura
baci,
SaraViktoria

Capitolo 1-zio, zia, nonno e nonna

"SMETTETELA!" perché dovevano sempre farla arrabbiare? Era sempre stato così e lei non se lo ricordava, o era una novità? Le mandò in cortile.

Trovarsi a capo della famiglia di punto in bianco non era il massimo. Se fino a qualche giorno prima era convinta che i suoi genitori sarebbero vissuti almeno per altri vent'anni, ora non aveva più certezze. Se n'erano andati, portati via da quel vento che in città chiamavano Confraternita. Un gruppo di persone che volevano ripulire la zona dai criminali, e che invece finivano per uccidere degli innocenti. Non era la prima volta, ma perché a loro? Perché, con tutta la gente che c'era, proprio ai suoi genitori? Perché erano dovuti morire loro, una delle poche sere che erano usciti? Perché avevano voluto uscire, proprio quella sera? Se fossero rimasti a casa tutto questo non sarebbe successo …

Cassandrah si tormentava con queste domande da due giorni, da quando la polizia le aveva notificato la morte dei suoi genitori. Era la più grande, la figlia maggiore, che si era trovata a badare alle sorelle minori, così, da un momento all'altro. Era questo il problema più grande: le sue sorelle, le sue tante sorelle. Sua madre aveva messo al mondo dodici figli, lei compresa. Tutte femmine. Ed erano ben assortite. Dalla maggiore, appena sedicenne, alla più piccola, Celine, che aveva solo un anno e mezzo.

Sorelle disperate per la perdita dei genitori, ma che non mancavano di litigare tra loro. Non c'era nemmeno un uomo in casa, si scervellavano le maggiori, come avrebbero fatto? Nessuna di loro era in grado di lavorare, non ancora perlomeno.  E non avevano parenti prossimi in Inghilterra. Il fratello e le sorelle della madre vivevano in America.  Ma tutte erano sicure di una cosa: non si sarebbero divise, non avrebbero lasciato che il tribunale le mandasse in affido in mezz'Inghilterra.

"se dimostri che sei in grado di badare a noi, potrebbero emanciparti" consigliava Martha, una ragazzina di undici anni, che di legge sapeva quanto un avvocato.

"il commissario di polizia mi ha avvisato che manderà gli assistenti sociali nel pomeriggio. Non posso imparare ad accudire una famiglia in mezza giornata" Cassandrah crollò la testa, impotente. Era mattina e dopo colazione avevano mandato le più piccole a giocare in cortile. Era il loro 'consiglio di famiglia', un'abitudine dei genitori per tenerle al corrente di ciò che succedeva. c'erano tutte le ragazze, dai dieci anni in su.  Meredith, Martha, Laure, Kendra, Mary, Lizzy e Cassandrah sedevano in cerchio, attorno al tavolo di legno scuro, con tazze e piattini ancora davanti a loro. Si torturavano, pur di trovare una soluzione, pur di convincere l'assistente sociale che erano in grado di badare a loro stesse. Il consiglio di Martha si era rivelato il migliore, fin ora. Ma anche il più difficile da realizzare. Affrante, e, forse sperando in una nuova ispirazione, si alzarono, iniziando a sparecchiare. Non avevano bisogno di parole per capirsi. Sapevano tutto l'uno dell'altra e, la poca differenza di età bastava a evitare qualunque gelosia. Erano cresciute insieme, i letti ordinati per età in un'enorme stanza circolare che occupava tutto il terzo piano della casa, con il soffitto occupato da una cupola di vetro. Era stata la madre a volerla così, e ogni anno era stato aggiunto un letto.

Non si sarebbero divise, avrebbero fatto tutto ciò che era in loro potere per evitarlo.

La loro casa sorgeva su una collina, alle spalle dell'affollata Londra, ma loro della città si occupavano poco, ora men che meno.

"chiamatemi Kristal" mormorò Cassandrah. La sorellina aveva solo otto anni, ma era un'esperta di bon ton ,buone maniere, comportamento e quant'altro.

"riordineremo la casa, e ci vestiremo di colori chiari. Apri tutte le finestre, ma il cancelletto e la porta sul retro del cortile devono essere chiuse. Noi giocheremo fuori, magari con la palla, tu e Lizzy vi farete trovare che pulite o preparate la cena. Mettiti una tuta o qualcosa di comodo" sciorinò poco dopo la piccola. Aveva considerato tutto: prima impressione, sicurezza, attenzione e ovviamente un po' di sano divertimento. Cassandrah scriveva tutto su un taccuino, sicura che altrimenti avrebbe dimenticato tutto. Fecero come aveva suggerito Kristal. Dopo pranzo le sorelle minori misero degli abiti colorati

"significano apertura e gioia" come aveva detto la bambina e le due maggiori si diedero da fare per riordinare il salotto e la cucina.

Verso le due -avevano appena finito di risistemare il divano- Anne, che aveva appena compiuto quattro anni,  entrò in casa, saltellando

"Cassie, si è fermata un auto qui fuori"

"grazie, piccola. Adesso però torna a giocare" la bambina trotterellò fuori,e in quel momento qualcuno suonò al citofono

"si?" rispose Lizzy

"sono l'assistente sociale, può aprirmi?"

"Cassandrah!" chiamò, come concordato "c'è l'assistente sociale, vai tu a prenderlo, che ci sono le bambine fuori?" era un'idea di Meredith, far vedere che non aprivano il cancello se c'era qualcuno in cortile. La maggiore, i capelli castani sciolti sulle spalle e gli occhi verde smeraldo che brillavano dall'agitazione, uscì di casa, scendendo per quei tre gradini che separavano la veranda dal prato. Portava un paio di pantaloni di maglina nera e una t-shirt bianca con il colletto nero, e andò ad aprire il cancello.

"buongiorno, dottoressa"

"lei è Cassandrah Scarlett?"

"si, prego, entri pure" la fece accomodare in soggiorno. Era una casa tipicamente inglese, nulla da ridire. Ariosa e ben illuminata, pensò la donna, entrando. Le avevano presentato la situazione solo quella mattina: i genitori delle ragazze erano morti solo qualche giorno prima e  nessuna di loro era ancora maggiorenne. Il suo ingrato compito era quello di affidarle a famiglie diverse, se non avevano qualche parente che potesse prendersi cura di loro. Cosa di cui aveva dubitato dal primo momento. Nonostante dalle carte risultasse che tutte le ragazze erano nate in Inghilterra, la ragazzina che l'aveva accolta aveva un marcato accento texano, forse ereditato dai genitori. l'assistente sociale, la dottoressa Michigan, si sedette sul divano che profumava di lavanda

"posso offrirle qualcosa?" chiese un'altra ragazza, bionda questa volta, con gli occhi nocciola. Non assomigliava per niente all'altra, se non per il tono di voce, delicato come una rosa.

"no, grazie. Dov'è tua sorella?" in quel momento rientrò Cassandrah

"mi scusi, mi hanno trattenuto le mie sorelle" si giustificò, prima di prendere posto di fronte alla dottoressa.

"innanzitutto condoglianze per la vostra perdita" la Michigan non era una che so perdeva troppo in convenevoli "sapete perché sono qui?" le due ragazze, diverse come il giorno dalla notte, annuirono simultaneamente "bene, cominciamo con le domande di routine … avete parenti, nel Regno Unito?"

"no, purtroppo" rispose Cassandrah "nostra madre aveva due sorelle e un fratello che abitano in America con i nostri nonni e nostro padre era figlio unico. I suoi genitori sono morti qualche anno fa"

"capite bene che non posso lasciarvi qui da sole"

"siamo in grado di badare alla nostra famiglia. Al mattino siamo tutte a scuola e io e Lizzy torniamo in tempo per preparare il pranzo alle più grandi. Di pomeriggio possiamo andare a prendere le altre e tenerle qui a casa" spiegò, guardandola dritta negli occhi. Non aveva paura di quella donna. Aveva terrore del sistema che voleva dividerle.

"non può sacrificare la sua vita per le sue sorelle"

"ma io voglio farlo! E lo farò con piacere"

"la legge non lo permette. Non ci sono abbastanza motivi per emanciparla, signorina Scarlett. Tanto per cominciare va ancora a scuola, se non sbaglio sta assolvendo l'obbligo di legge"

"no. Ho compiuto sedici anni lo scorso mese"

"comunque non può e non deve lasciare la scuola, che le porta via molto tempo. Forse non ha pensato allo studio e ai compiti a casa … comunque mi avete detto voi che avete degli zii in America. Dove?"

"il fratello di nostra madre vive a Los Angeles, una delle nostre zie è sposata e abita a New York, mentre la più piccola vive con i nostri nonni, a Midland" rispose Lizzy

"e tu invece sei?"

"Lizzy … ehm, Elisabeth Scarlett "

"sentirò i vostri parenti negli Stati Uniti. Se saranno disposti a prendervi con loro bene, altrimenti sarete affidati a famiglie della zona di Londra " detto questo se ne andò, prima che le ragazze avessero l'opportunità di ribattere

"quindi o ci dividono o dobbiamo fare i bagagli e andare dall'altra parte del mondo?" la piccola Jeanne aveva colto nel segno. Cassandrah aveva deciso di mettere tutte a parte del nuovo problema.

"ma i nonni non ci prenderanno mai con loro ,per quanto ci vogliano bene" Kristal aveva ragione. I genitori della madre erano anziani e non erano certo in grado di badare a dodici nipoti

"oltretutto zia Kelly ci odia"

"non vi odia" Rispose Lizzy a Mary "ma lei ha la sua vita, il suo lavoro da ceramista, e nella sua casa di New York non ci staremo mai … dello zio cosa mi dici, Cassie?"

"non lo so … cioè, so che sono stata l'unica a vederlo, ma avevo due anni, non mi ricordo niente. È un attore e un musicista ,e Wikipedia ha una pagina dedicata a lui … ma non so nient'altro "

"è un uomo e da quello che diceva la mamma non deve avere più di trent'anni. Non credo che voglia avere una dozzina di pesti che girano per casa" la questione rimase aperta, dato che ogni ragazza aveva le sue osservazioni da fare. Fu l'argomento principale della cena. Anzi, l'unico.

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Capitolo 3
*** capitolo 2-Randee Rathbone ***


scusate il ritardo, ma in questo periodo ho avuto parecchio da fare :-(
vorrei ringraziare PattyOnTheRollercoaster e Kikka Hale per le recensioni all'altro capitolo, spero vi piaccia anche questo, anche se è un po' più corto del solito
buona lettura,
Baci,
SaraViktoria

Capitolo 2-Randee Rathbone

La dottoressa Michigan, che di nome faceva Chelsea, prese in mano il telefono non appena tornata in ufficio. Voleva concludere la questione e sistemare le ragazze, poiché non voleva problemi a lungo andare. Se le avessero prese i loro parenti in America sarebbe stato meglio, meno problemi per lei. Non era una donna senza cuore, voleva il meglio possibile per quelle ragazze, ma allo stesso tempo, non le piaceva avere per le mani per troppo tempo la stessa famiglia: non voleva affezionarcisi. Calcolò il fuso orario: se a Londra erano le quattro del pomeriggio, a Midland erano le …. Sette del mattino. Forse correva il rischio che dormissero ancora, ma poco importava. In Texas le persone si svegliavano presto. o, almeno, così aveva sentito dire.

"buongiorno, parlo con Randee Lynn?"

"si. Chi parla?" era la voce di una donna anziana, ma attiva.

"sono la dottoressa Chelsea Michigan, assistenza sociale della città di Londra. Chiamo per le sue nipoti"

"come stanno? Le ho sentite poco dopo la morte di Ryann, se c'è qualcosa che posso fare … "

"in realtà si, signora Lynn"

"Rathbone, la prego. Sono sposata da più di quarant'anni "

"come preferisce. Non possiamo lasciare le sue nipoti da sole, sono ancora tutte minorenni. Volevo sapere se lei se ne potrebbe fare carico"

"lo fare molto volentieri, dottoressa, glielo giuro. Ma non so se sarebbe la cosa migliore per loro. E per le mie nipoti voglio il meglio  "

"non capisco"
"vede, io e mio marito ormai siamo anziani, ritirati nella vita di campagna. Le figlie di Ryann hanno bisogno di qualcuno che possa badare a loro, non di dover badare a qualcuno. Però ho altri tre figli. Faccio qualche chiamata e le faccio sapere"

"certo. Per quando?"

"fra qualche ora, temo. Mio figlio abita a Los Angeles e credo stia ancora dormendo"

"la ringrazio. Buona giornata" era felice che la donna si era impegnata a parlare con i figli, non le andava di ripetere la storia altre tre volte.

A Randee quella donna, la dottoressa di Londra, era stata antipatica fin dal primo momento. Il tono di voce,il modo in cui parlava … proprio insopportabile.

Lei, dal canto suo, sarebbe andata a prendere le nipoti il giorno stesso, ma, come aveva detto all'inglese, non sarebbe stata la cosa migliore per loro. E nemmeno andare da Kelly, a New York. l'unica sarebbe stato Jackson, lui avrebbe potuto dargli tutto ciò di cui avevano bisogno. Ma si sarebbe fatto carico di dodici ragazze, con tutto il lavoro che aveva?

"Jay, tesoro, come stai?" lo chiamò quando fu sicura che era sveglio. Sperava avesse fatto colazione, era sempre più irritabile del normale se non mangiava.

"bene, mamma. Come mai mi chiami? Ci siamo sentiti ieri, è successo qualcos'altro?" la morte di Ryann aveva sconvolto tutti.

"è per le tue nipoti, le figlie di R-Ryann" non riusciva a pronunciare quel nome senza le lacrime agli occhi "non possono rimanere in Inghilterra da sole. Mi ha chiamato un assistente sociale, per sapere se qualcuno di noi potesse occuparsene … ma io e tuo padre siamo troppo vecchi per ricominciare da capo, Jackson … mi chiedevo se tu..."
"lo farei volentieri. È il minimo che potrei fare per Ryann, ma non le conosco. Ho visto solo la più grande, quasi quattordici anni fa, andavo ancora  a scuola. Ma … " ci pensò per qualche minuto. Non poteva lasciare che andassero in affido. Dopotutto, anche se non aveva avuto notizie della sorella per quattordici anni, cosa potevano essere due o tre ragazze per casa? La bambina che aveva visto lui doveva avere sedici anni e le altre - perché la madre aveva parlato di nipoti, plurale- due o tre o quattro che fossero, non potevano essere tanto più piccole. Almeno finché la più grande, di cui non riusciva a ricordare il nome, non fosse diventata maggiorenne. e, se i suoi calcoli erano esatti, non potevano mancare più di due anni.

"va bene, mamma. Dì all'assistente sociale che possono venire da me a Los Angeles" rispose. Randee lo ringraziò più volte prima di riattaccare. Suo figlio aveva un cuore d'oro, e adorava i bambini. Sapeva che Ryann aveva avuto dodici figli, vero? Ma purtroppo l'anziana donna ci pensò solo molto più tardi, dopo pranzo, quando prese il telefono per richiamare Londra. Chiese della dottoressa Michigan e un uomo dall'accento strano le assicurò che gliel'avrebbe passata subito.

"signorina Michigan? Salve, sono la signora Rathbone, ci siamo sentiti stamattina" sapeva che in Inghilterra doveva essere più o meno sera, sperava di non disturbare.

"oh, che piacere sentirla!" mormorò Chelsea, fingendosi felice. Era stanca, voleva andare a casa e si era quasi dimenticata che quella donna doveva richiamarla.

"le mie nipoti possono andare dallo zio, a Los Angeles"

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Capitolo 4
*** capitolo 3-zio jackson ***


grazie a Hiphipcosty e Kikka Hale per aver recensito gli altri capitoli, a Gio1992, Ellytvb95 e Tamakisskiss per aver inserito la mia storia tra le seguite/preferite, e ovviamente grazie a tutti quelli che leggono
buona lettura
baci,
SaraViktoria

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Capitolo 3-zio Jackson

"mi ha chiamato la dottoressa Michigan, quella di ieri" annunciò Cassandrah la mattina seguente a colazione. Chelsea l'aveva svegliata di buon'ora per comunicarle le novità.

"cosa dice?"

"dobbiamo andarcene?"

"ha sentito i nonni?"

"bambine, silenzio!" Lizzy cercò di farsi sentire sopra quel frastuono, perché la sorella potesse continuare a parlare.  Cassandrah prese fiato

"dobbiamo trasferirci a Los Angeles, dallo zio Jackson" si levò un mormorio scontento e di dissenso "non è una domanda, ragazze. Dobbiamo andarci e basta. l'alternativa e l'affidamento " le sorelle scossero la testa anche a questo

"Cassie" mormorò la più piccola, Celine, sputacchiando di qua e di là "io sto con te" le gettò le braccia al collo per farsi prendere in braccio. Non capiva molto di quello che stava succedendo. Aveva visto Lizzy rispondere al telefono, mentre guardavano la televisione, poi avevano iniziato tutte a piangere. Le avevano detto che mamma e papà erano andati ad abitare in cielo. Aveva seguito il carro nero con le bare, ascoltato interessata le parole dei vicini. e, tanto per non essere diversa dalle sorelle, aveva pianto anche lei. Sapeva che non avrebbe più visto i suoi genitori, ma Cassandrah le aveva detto che poteva parlargli, e loro l'avrebbero sentita. E allora perché erano tutte così tristi? Celine non sapeva rispondersi, ma voleva consolare la sua Cassie.

"Celine ha ragione" mormorò Martha "andremo in America " ormai era deciso, la piccola le aveva convinte tutte.

"quanto tempo abbiamo?" chiese Meredith "insomma, quando partiamo?"

"ci danno due giorni per fare le valigie e svuotare la casa. l'assistente sociale ha parlato con lo zio, ha detto che ha una casa grande, ma ci ha chiesto di portare i nostri mobili. La dottoressa Michigan verrà nel pomeriggio per organizzare tutto. " spiegò Cassandrah "come se non si fidasse di noi" aggiunse sottovoce. Quella donna le stava cordialmente antipatica.

Chelsea Michigan suonò al cancello di casa Scarlett alle tre del pomeriggio. La casa era già sottosopra, Cassie e Lizzy avevano incaricato le più grandi di  sovraintendere alla preparazione dei bagagli. Grossi scatoloni occupavano il soggiorno, pezzi smontati dei letti erano accatastati sul pianerottolo e nella camera dei genitori. Le bambine più piccole correvano avanti e indietro per cercare le loro cose.

"ehm, scusa" l'assistente sociale  fermò una bambina vestita di rosso ciliegia, con un borsone vuoto in mano "cerco Cassandrah" 

Kristal, perché di lei si trattava, sorrise

"venga, sto andando a portarle questo" indicò il borsone informe. La donna la seguì su per due rampe di scale, fino alla camera delle ragazze. Anche lì era tutto in disordine, la metà dei letti non c'era più, essendo sparsa per casa, i cassettoni e gli armadi erano aperti, vestiti e teli occupavano il pavimento. Cassandrah e Anne erano in mezzo, in ginocchio vicino a  un mucchio di lenzuola

"Ecco il borsone che volevi … ah, c'è la dottoressa di ieri" Cassandrah fece vedere alle due bambine come piegare le lenzuola dai mille colori, prima di parlare con la Michigan

"si sieda pure su un materasso" la invitò indicando i materassi per terra "mi dica" proseguì quando vide che la dottoressa non si sedeva.

"posso parlarle?"

"certo. Prego " la ragazza stava finendo di smontare il un letto. Chelsea capì che non sarebbe riuscita a parlarle in privato, perciò riordinò subito le idee

"intanto, perché state smontando i letti, quando stanotte dormirete qui?" Cassie sorrise

"ci vuole più di un giorno a imballare dodici letti, altrettanti cassettoni e due armadi di tre metri" spiegò "lasciamo fuori i materassi per dormire. Per una notte possiamo arrangiarci"

"bene, vedi che ci avete pensato" ammise suo malgrado "secondo, crede sia una buona idea far fare i bagagli alle piccole?"

"secondo lei possiamo svuotare una casa così grande in due? E poi le nostre sorelle sono contente di darci una mano. Lei non è qui per darci una mano con l'organizzazione?" la Michigan annuì. Quella ragazzina era troppo organizzata, per i suoi gusti "bene. Sa quando verranno a prendere i mobili?"

"domani pomeriggio, mentre il vostro aereo parte domani sera. Ci vogliono più o meno undici ore, ma ci sono otto ore di fuso orario"

"e per ritirare gli scatoloni come facciamo …?"

"verranno recapitati direttamente alla Monkey House "

"Monkey House?!?" ripeté Cassandrah, stupita

"è il nome che vostro zio e i suoi amici hanno dato alla loro casa" spiegò la donna, stortando il naso. Per lei era un'assurdità. Ma, a quanto pare, lo era anche per la maggiore delle Scarlett.

"bene, se non c'è altro, noi avremmo da fare … " alla sedicenne dava fastidio avere per casa una persona che guardava senza fare niente, cercando di mettere becco in tutto

"veramente, devo rimanere fino a che non avete finito. Potreste farvi male, ci deve essere un adulto"

Cassandrah mandò Kristal a prendere una sedia, la mise nell'unico angolo vuoto della stanza, e invitò la dottoressa a rimanere ferma lì.

"Cassie!" si sentì Kendra chiamare dal piano di sotto

"Anne, vai a vedere cosa le serve" la piccola tornò di sopra poco dopo

"ha detto che sono riuscite a mettere tutte le valigie che abbiamo fatto in cucina, vuole sapere se ti serve una mano"

"Mary! Laure! Theresa!" chiamò la ragazza. Salirono tre ragazzine molto simili "finite qui, che continuo a smontare" gli diede una coperta ciascuna, poi riprese il cacciavite. Alle otto, stanche, scesero per mangiare qualcosa. Chelsea salutò e tornò anche lei a casa.

"finalmente" mormorò Laure "ma deve stare qui a guardare e criticare.. 'le lenzuola non si piegano così' … 'mettetele in questo modo' … 'attente, vi fate male' " strillò, imitando la voce acuta della dottoressa. Risero tutte, ci voleva dopo una giornata così. Si addormentarono subito, i  materassi più vicini di quanto lo erano i letti.

Un raggio di sole dalla finestra- avevano già messo via anche le tende- svegliò Kendra alle sette. Si alzò e andò a svegliare anche le altre. Catherine e Kristal insistettero per preparare la colazione, mentre le altre continuavano a mettere via le cose. Verso le nove tornò l'assistente sociale , prese posto nel suo angolo, non muovendosi fino all'ora di pranzo.

"ragazze, abbiamo finito?" chiese Lizzy. Erano tutte in soggiorno, gli scatoloni impilati in mezzo a loro

"i mobili si" mormorò Cassandrah, stanca "per le valigie ci vorrà ancora qualche ora" ogni bambina aveva un trolley e un borsone, che a fine giornata saranno colmi di vestiti, scarpe e accessori. In più, le due valigie che erano state dei genitori, ospitavano quello che non era entrato negli scatoloni, le foto e qualche giocattolo.

Alle due un camion bianco fu fatto entrare nel cortile di casa Scarlett. Tre uomini con il volto abbronzato e i capelli neri caricarono tutti gli scatoloni, declinando ogni aiuto delle ragazze

"salutate i vostri lettini, piccole. Li rivedrete fra qualche ora" disse uno di loro alla fine, in un pessimo inglese.

Le ragazze Scarlett guardarono il camion allontanarsi, prima di tornare a fare le valigie. Quello rendeva tutto più definitivo, l'inizio del cambiamento che non volevano.

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Capitolo 5
*** capitolo 4-dodici?!? ***


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Capitolo 4- dodici?!?

"stasera arrivano le mie nipoti" annunciò lo 'zio' Jackson alla band. Ben J e Ben G lo guardarono attentamente. Sembrava felice, dopo la depressione di quei giorni,per la morte della sorella

"a che ora?" Larry e Jerad detestavano i bambini piccoli. Non tanto per come erano, anzi, li consideravano adorabili, ma perché, a detta loro 'vomitavano e dormivano'

"non lo so, non le ho sentite. Hanno fatto tutto i servizi sociali, sono le figlie di Ryann "

"quanti anni hanno?" chiese Jerad

"non lo so … la più grande deve avere sui sedici anni. Le altre non le ho mai viste … non vedevo mia sorella da quattordici anni" rispose lui. I ragazzi iniziavano a preoccuparsi. Certo, la casa era grande, lo spazio non mancava di certo e avevano già pensato di dare alle ragazze la mansarda, ma il loro amico non sapeva nulla di loro. Potevano essere sei, come potevano essere due. Nessuno poteva immaginare che la 'scatenata dozzina' al femminile avrebbe invaso la Monkey House di lì a poche ore. I mobili delle nipoti di Jackson vennero consegnati poco prima di cena. Erano decine di scatoloni, che la band portò in mansarda. Non li aprirono, magari si sarebbero potute arrabbiare.

"ma quanta roba si sono portate?" si lamentò Ben J

"beh, gli ho mandato a dire di portare tutto quello di cui potevano avere bisogno, letti compresi. Dopotutto sono ragazze e doversi trasferire subito dopo aver perso i genitori dev'essere piuttosto difficile"

"non oso immaginare quanta roba avessero a casa" borbottò Uncle Larry.

Alle undici e mezzo qualcuno suonò alla porta. La maggior parte della band, Jackson escluso, si era dimenticata delle nipoti, scatoloni e letti annessi. Ben J andò alla porta ad aprire, piuttosto assonnato, e strabuzzò gli occhi di fronte a quello che vide

"Jack, idiota, vieni qui!" urlò, infischiandosene dell'ora.

"sono arrivate?" mormorò, ma troppo piano perché potessero sentirlo al piano di sotto. Scese le scale saltando i gradini, rischiando di ammazzarsi sul tappeto, prima di raggiungere l'amico alla porta.

"oh, cazzo" esclamò, sottovoce. Davanti a lui c'era una ragazza che era la sua esatta fotocopia, una Jackson al femminile. Bellissima, naturalmente. Dietro di lei altre otto … no, undici ragazzine, alcune bionde, altre more , qualcuna con gli occhi scuri, altri verdi come i suoi.

"oh, cazzo? È l'unica cosa che sai dire?" chiese Ben J

"te l'ho detto che non vedevo mia sorella da anni" si giustificò l'attore. Poi guardò le dodici ragazze sulla porta

"ehm … ciao. Io sono Jackson e dovrei essere vostro zio"

"Cassandrah, piacere"

"Elisabeth, ma puoi chiamarmi Lizzy"

"Mary"

"Kendra, con la k"

"Laure"

"Martha"

"Metz"

"Kate"

"Kristal"

"Theresa"

"Anne"

"e io sono Celine" si presentarono una  di fila all'altra, come se l'avessero programmato

"merda! E io come faccio a ricordarmeli tutti?" Jackson era sconvolto. Erano tante, troppe a dire in vero. I suoi amici lo avrebbero ucciso. La più piccola era ancora in braccio a una delle altre, non ricordava il nome.

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Capitolo 6
*** capitolo 5-troppi nomi e tanto hennè ***


un grazie speciale a Kikka Hale per la recensione, a tutti quelli che hanno messo la mia storia fra le seguite/preferite/ricordate e anche a quelli che leggono
buona lettura
baci
SaraViktoria

Capitolo 5-troppi nomi e tanto henné

"ehm, tu … Martha … " la bambina non si girò. Doveva aver sbagliato nome. Erano passati due giorni da quando le dodici -come le chiamavano loro- erano arrivate in quella casa. Erano aperte, solari, davano una mano se serviva. Ma per loro rimanevano comunque troppe. Jackson aveva cercato di farlo presente alla madre

"pensavo che lo sapessi" aveva risposto Randee, innocentemente. Dopotutto aveva ragione, per Jackson. Forse avrebbe dovuto trovare il tempo per sentire la sorella, andare a trovarla in Inghilterra, informarsi sulla sua vita. Sarebbe stato preparato a ci che lo aspettava. Ma avrebbe avuto il cuore di dire di no, anche saputo tutto dall'inizio? No, pensava di no

"ehm.. Scusa … "riprovò. Quella si girò

"dici a me?"

"si … "

"mi chiamo Laure, Martha è bionda" rispose lei, indicandosi i capelli castani. Erano ben assortite, come aspetto fisico, oltre che come età. Quattro o cinque erano identiche a lui, tra cui la più grande, quella con cui stava parlando e due delle più piccole, i cui nomi non riusciva a memorizzare. Le altre erano sulle gradazioni del biondo, dal grano al miele. Ma per lui erano tutte uguali

"ok … Laure, senti sai dov'è tua sorella?" lei sorrise e in quel momento il cantante si accorse di aver detto una cazzata

"quale?" chiese la bambina

"quella più grande, credo. Quella che mi assomiglia" provò

"si, è la più grande, si chiama Cassandrah" gli ricordò Laure.

"lei. Dov'è?"

"di sopra, sta sistemando la nostra cameretta" Jackson prese in braccio Celine. Lo aveva subito conquistato e se la portava sempre dietro, non che lei l'avrebbe lasciato andare facilmente. Era anche la prima di cui aveva imparato il nome, anche perché la piccola gli tirava una posata in testa ogni volta che sbagliava. E faceva male, nonostante fosse tanto piccola

"tio Jay, dove andiamo?" gli chiese. Non si era ancora abituato a essere chiamato zio. Era una strana sensazione, ma bella. Quelle bambine contavano su di lui, in qualche modo gli avrebbe fatto da padre . Si sentiva bene, come se per una volta nella vita avesse fatto qualcosa di veramente utile.

"andiamo da Cassandrah"

"Cassie! Cassie!" batté le mani felice. Si, aveva già sentito questo nome, tante volte. A quanto pare era il punto di riferimento per tutte le bambine che gli giravano per casa. Ma certo, si diede mentalmente dello stupido, era la più grande, ovvio che le altre cercassero lei. Salì le scale fino alla mansarda, e per poco non gli venne un colpo . Quella che fino a qualche giorno prima era un locale intonacato di bianco, spoglio e non arredato, con la luce che entrava a malapena dalla finestra coperta di giornali era diventata un luogo arioso, variopinto, dove dodici lettini facevano bella mostra di sé con i copriletto colorati. Il pavimento di semplice legno era stato ricoperto da un tappeto di lana blu, le pareti dipinte con alberi e uccelli, cielo, nuvole e un bel tramonto. Jackson stentò a riconoscere quella che una volta era la loro mansarda. Una ragazza era in piedi su una sedia, pennello e tavolozza in mano, intenta a finire di dipingere le ciliegie di un albero. Celine si sporse e lui la lasciò scendere. Si schiarì la voce e la ragazza per poco non cadde per terra.

"scusami, Cassandrah, non volevo spaventarti"

"non importa" mormorò lei, scendendo e lasciando il pennello su un tavolino bianco. Jack era sicuro che una volta quello era un vecchio comodino di legno chiaro

"che bella, complimenti!" indicò la stanza, pensando che un complimento le avrebbe fatto piacere. Ma non fu così. Aveva sbagliato, ancora. Cassie riprese i pennelli e tornò sulla sedia, ignorandolo.

Non ce l'aveva con lo zio, anzi gli era riconoscente per averle fatte stare tutte con lui, ma la sua presenza la metteva in agitazione. Forse perché suo padre era sempre stato l'unico uomo per casa, nei sedici anni della sua vita, forse perché il fratello di Ryann era la sua fotocopia, forse perché, anche se era tanto più grande di lei, a volte si comportava come un bambino. Fatto sta che ogni volte che lo vedeva una morsa le stringeva lo stomaco, la voce le mancava. Era in soggezione, una soggezione che non la faceva parlare, che la invitava a concentrarsi su altro tutte le volte che lui era nei paraggi. Si sarebbe abituata, era solo questione di tempo. Ma non ne era più di tanto sicura.

"senti … mi dispiace disturbarti, ma stavo pensando che andate ancora tutte a scuola. E in un modo o nell'altro dovete continuare a studiare anche qui" le tese la mano, mentre Celine era riuscita ad arrampicarsi sul suo lettino e ora stava per addormentarsi

"no, Celine! Non puoi dormire qui, non vedi che la vernice è fresca?" la prese in braccio e cullandola, fece segno a Jackson di seguirla. La adagiò sul divano, due piani più sotto e le si sedette di fianco. l'attore prese posto sulla poltrona di fronte a loro.

"lei non va ancora a scuola" iniziò Cassandrah indicando l'angelo biondo che sonnecchiava sul divano "Anne va all'asilo; Theresa, Kristal e Meredith alle elementari; Martha, Laure e Kendra alle medie. Le altre al liceo"

"ma sei sicura che le scuole siano le stesse che in Inghilterra?"

"no, sono diverse. Ma mi sono informata e queste sono le scuole a cui dovresti iscriverci" ovviamente sua nipote era un passo avanti a lui, doveva immaginarlo

"bene … ma io non mi ricordo tutti i nomi … " pensò ad alta voce "se mi accompagnassi a fare le iscrizioni? Potremo andare oggi pomeriggio" Cassandrah accettò, per quanto stesse cercando di evitare di lasciare le sorelle a casa senza di lei. Si fidava degli amici di Jackson, il problema erano le sue sorelle. E infatti, in quel momento, si sentì qualcuno gridare

"PORCA MISERIA!! CHI è STATO?"

"questo è Ben J" mormorò Jackson. Cassie scattò sul dal divano e si precipitò davanti alla porta del bagno, da cui provenivano le urla. La porta era chiusa, ma si sentiva Ben J imprecare contro tutto e tutti. Jack la raggiunse poco dopo. Era stato preso di sorpresa, o sarebbe arrivato prima della nipote. Ben uscì dal bagno, con un asciugamano avvolto intorno alla vita e i due trattennero a stento una risata: Ben J era color mattone, dalla testa ai piedi, per quello che si poteva vedere

"che cazzo hai combinato, Ben?" chiese Jackson

"perché secondo te sono stato io?!? Qualcuno deve aver sostituito il mio doccia schiuma con  … "

"henné " mormorò Cassandrah, nascondendo il viso tra le mani "mi dispiace"

"è colpa tua?" chiese lui, sempre più arrabbiato.

"beh, in un certo senso si … lo usa Mary per farsi le meches" spiegò, affranta "qualcuna delle piccole deve avere avuto voglia di fare uno scherzo … "

"se prendo chi è stato … " minacciò Ben

"no! Ti prego, lascia fare a me" pregò Cassie.

"dimmi che si toglie" cedette lui

"oh, si va via … ma dopo quindici giorni … " Cassandrah lo lasciò con Jay -che promise di non fargli fare cavolate- e radunò la famiglia

"chi è stato?"

"cosa?" chiese Lizzy

"qualcuno ha sostituito un bagno schiuma con l'henné di Mary e uno degli amici dello zio è diventato marrone" due bambine risero

"Kate! Metz! " le rimproverò Lizzy

"ma siete cretine?" rincarò la maggiore "vi sembrano scherzi da fare? Ci ospitano, ci hanno preso con loro e voi gli fate pure gli scherzi. Vi sembrava il caso?" andò avanti così per un po', prima di mandarle in punizione, nello sgabuzzino che ospitava la lavatrice. Poi andò di nuovo a scusarsi con Ben J

"le ho messe in punizione. Mi dispiace … io … "

"non è cola tua" la consolò lui "piuttosto, posso sapere chi è stato?"
"Catherine e Meredith" rispose lei

"non ho idea di chi siano" ammise lui.

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Capitolo 7
*** capitolo 6- preschool, elementary, middle and high ***


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Capitolo 6- preschool, elementary, middle and high

Cassie provò a scusarsi di nuovo, quando Jackson venne a ricordarle che dovevano andare a scuola.

"l'asilo, che qui si chiama Preschool" iniziò Jack non appena furono in auto "si trova a Fairfax Avenue, a west Hollywood. Non è lontano da qui.  " entrarono alla Abc Little School mentre i bambini erano in cortile. Una bidella gli indicò la segreteria. Salirono qualche piano di scale, prima di bussare a una porta bianca con un fiore colorato

"buongiorno" salutò Jackson

"salve" salutò una donna svogliata da dietro la scrivania "posso aiutarvi?" domandò, masticando una cicca.

"dovremo iscrivere una bambina a questa scuola"

"siete i genitori?" chiese lei, senza darsi la pena di guardarli

"no, io sono lo zio e questa è la sorella"

"mi dispiace, signori, ma possono iscrivere un minore solo i genitori o chi esercita la patria podestà  "

"i genitori sono morti e sono sotto la mia tutela" si affrettò a rispondere lui, vedendo la faccia della nipote: sembrava sul punto di scoppiare a piangere

"come si chiama lei e qual è il nome del minore?" chiese lei, come una tiritera, alzando finalmente gli occhi sui due.

"Monroe Jackson Rathbone V e la bambina si chiama … "

"Anne Caroline Scarlett  Rathbone" proseguì Cassie. Probabilmente la donna non si era nemmeno accorta del cambiamento . Prese nota su un foglio

"quanti anni ha?"
"quattro" rispose Cassandrah. Jackson non lo sapeva. E se anche lo sapeva, non se lo ricordava. La donna gli fece qualche altra domanda di routine, prima di lasciarli andare

"ma avete tutte due nomi e due cognomi?" chiese Jackson, preoccupato, mentre raggiungevano la  Los Angeles Elementary School 

"si, mamma ci teneva che avessimo anche il suo cognome e ognuno dei nostri nomi per lei aveva un significato … dov'è l'altra scuola?"

"la più vicina è a South Hobart Boulevard  a Dockweiler"

"è lontana dall'asilo" osservò lei

"tranquilla. Abbiamo tutti la macchina e tu hai già sedici anni, vero?" Cassie annuì "allora puoi fare la patente anche tu. Noi lavoriamo un po' in tutta Los Angeles, non sarà un problema portarvi a scuola"

"grazie" sussurrò, abbassando la testa.

Alla segreteria della scuola elementare trovarono un uomo molto più gentile e disponibile, fortunatamente.

Quando Theresa Lillian, Kristal Susan, Catherine Alice e Meredith Eveline ebbero un posto in quella scuola, parcheggiarono davanti alla Berendo Middle School

"è qui vicino, basta attraversare un paio di strade" informò Jackson

"buongiorno, vorremmo iscrivere tre ragazze a questa scuola" annunciò l'attore, dopo essere entrato in segreteria. La ragazza - che non poteva avere più di trent'anni - seduta dietro la scrivania, lanciò un urlo

"ma.. l-lei è … "

"Jackson Rathbone?" chiese lui

"SI!!! Me lo farebbe un autografo?" Jack dovette firmare un fazzoletto, e lasciare che la ragazza si riprendesse, prima di poterle spiegare cosa gli serviva

"mi servono i nomi delle ragazze e il grado di parentela con chi le iscrive" mormorò cercando di essere seducente, sbattendo gli occhi . Per Cassandrah era un po' matta, a rispose lo stesso

"io sono la sorella e lui è lo zio" la donna parve accorgersi di lei solo in quel momento, sbatté gli occhi meravigliata, senza smettere di guardarlo "le ragazze si chiamano Martha Kelsi, Lauren Jasmine e Kendra Selene Scarlett Rathbone hanno undici, dodici e tredici anni  " la ragazza prese nota. Poi se ne andarono, con la promessa di tornare presto

"perché faceva così?" chiese Cassie, mentre tornavano all'auto

"non è l'unica, purtroppo. Vedi, interpreto un vampiro in un film per adolescenti e quindi.. "

"oh, si … l'ho letto su internet" mormorò lei, con un gesto della mano. Non ci dava molta importanza. Le importava poco che lo zio giocava a prosciugare umani e fare a pezzi creature immortali.  "e la scuola che frequenteremo noi dov'è?" chiese, un po' più interessata

"la migliore da queste parti è la Loyola High School, nel centro della città" rispose lui, imboccando una superstrada" vedrai, ti piacerà"

"quando iniziano le scuole?" si informò la nipote

"il primo di settembre, penso sia così anche da voi … "

"si" mancava poco più di una settimana.

La Loyola High School sembrava un vecchio castello, rimodernato e adibito a scuola. A Cassandrah piacque subito, le ricordava le fortezze inglesi che vedeva dalla finestra ogni mattina. La signora in segreteria si mostrò gentile, mostrandole la scuola prima di prendere le iscrizione. Alla fine del giro turistico li portò in un ufficio ordinato ma pieno di scartoffie

"come ti chiami, cara?" avrà avuto cinquant'anni, e si vedeva che adorava i ragazzi

"veramente dovrei iscrivere anche le mie due sorelle. Mary  Stephanie che ha quattordici anni, Elisabeth Maureen che ne ha quindici, e io Cassandrah Ryann , ho sedici anni. Di cognome facciamo Scarlett Rathbone "

"bene. Sai già che attività sportive farete?"

"la più piccola pallavolo, l'altra pallacanestro e io ho sempre fatto teatro"

Teatro? Jackson si chiese come una ragazza tanto timida potesse recitare. Ma d'altronde era sua nipote e in quei giorni si era accorto che gli assomigliava in molte cose, quindi, perché no?

"porti il nome di Ryann" osservò Jackson. Cassandrah fece finta di non averlo sentito. Si metteva a piangere solo leggendolo sulla sua carta d'identità, sentire quel nome pronunciato dalla voce dello zio -con la stessa inflessione che usava la madre - la faceva sentire male

"possiamo tornare a casa? Sono in pensiero per le mie sorelle" Cassie faceva bene ad essere preoccupata. Non appena scesero dall'auto sentirono le urla degli altri membri della band di Jay. Ben G e Jerad avevano proposto alle piccole di giocare agli indiani e ora si trovavano legati alle gambe del tavolo mentre Kate e Anne giravano intorno cantando e minacciando di cucinarli. Uncle Larry e Ben J, imbacuccato con una sciarpa nonostante il caldo, avevano cercato  di 'salvare' gli amici, ma erano stati bombardati di biscotti, latte e terra dalle piccole pesti e ora erano nascosti dietro uno dei mobili della cucina. Lizzy e Mary, a debita distanza, urlavano alle sorelle di smetterla, invano; Celine piangeva in un angolo, dimenticata da tutti. Jackson si precipitò a prendere la piccola, mentre Cassandrah strappava di mano le ciotole di latte alle piccole, urlando minacce di punizioni terribili. Qualcuna si mise a piangere e, aiutata da Lizzy, la maggiore le spedì ognuna a fare qualcosa: sistemare il giardino, pulire il mobile, lavare le ciotole, pulire il pavimento, risistemare i mobili

"mi meraviglio di voi!" urlò verso Laure e Martha le più grandi coinvolte "dovreste badare a loro, non aiutarle a distruggere casa!" detto questo le spedì a lavare i vestiti sporchi di terra delle altre.

"mi dispiace, ragazzi" mormorò, slegando i due 'prigionieri' "non sarei dovuta stare via tanto"

"non importa. Devono ambientarsi" le giustificò Jerad, che si stava affezionando alle deliziose canaglie, come le chiamava Larry,anche se a volte, come ora, si chiedeva cosa fosse passato nella mente di Jack quando le aveva portate a LA.

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Capitolo 8
*** capitolo 7-crisi ***


GRAZIE di cuore a tutte le persone che hanno letto i capitoli precedenti! è bellissimo, per una donna (più o meno donna) che cerca di scrivere, vedere che una storia piace agli altri...
e scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma in questo periodo il tempo non mi è amico...
buona lettura
baci,
SaraViktoria

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Capitolo 7-crisi

Avevano appena finito di cenare -il grande tavolo del soggiorno era stato adattato per ospitare tutte quelle persone - quando tutte le bambine, sotto le minacce di Lizzy, avevano chiesto scusa ai 100Monkeys.

"zio" chiamò Mary dall'altra parte del tavolo "dov'è Cassie?"

"non lo so, Kendra" rispose lui. La ragazza non si diede nemmeno la pena di correggerlo, tanto non se lo sarebbe ricordato "magari non aveva fame" azzardò. Lizzy si intromise nella conversazione, anticipando la sorella

"Cassandrah non salterebbe mai un pasto" affermò "ma mi sembrava che stesse bene, fino a qualche ora fa" nessun altro si era accorto dell'assenza della ragazza, tanto erano preoccupati a tenere d'occhio le più piccole, perché non si ripetesse l'episodio degli indiani.

Dopo aver fissato stupito le Scarlett che, dopo cena, avevano messo in piedi una sorta di catena di montaggio umana per lavare, asciugare e riporre piatti e posate, Jackson andò a cercare Cassandrah. Gli stava a cuore quella ragazza , l'unica che aveva conosciuto anni prima e le aveva voluto bene subito. Era anche una delle poche di cui si ricordasse il nome. Riconoscere la più grande e la più piccola non era difficile nemmeno per lui. Tutte le altre lo mandavano in confusione. Guardò in quella che era la camera delle nipoti, nella sua stanza e in quella dei ragazzi, nei bagni, persino in cantina. Non avendola trovata, uscì in veranda per fumare -non gli sembrava carino fumare dove c'erano delle bambine piccole- e la trovò che piangeva, rannicchiata in un angolo. A saperlo prima avrebbe evitato di cercarla per tutta la casa. Gli faceva tenerezza, sembrava una bambina, con le ginocchia al petto e la testa abbassata. Non lo sentì avvicinarsi, e fece un salto indietro quando si sentì toccare la spalla.

"Cassie, cosa c'è?" non l'aveva mai chiamata così e lei se ne accorse.

"niente" mormorò in risposta, asciugandosi le lacrime con la mano. Jackson prese un sigaretta e la accese, prima di porgere il pacchetto alla ragazza "no, grazie" rispose lei

"ti aiuta a rilassarti" disse lui. Sapeva che fumare faceva male, e che era un male iniziare da piccoli. Ma a volte si dimenticava che la nipote aveva solo sedici anni, e, oltretutto, ricordava come era piacevole e rilassante fumare una sigaretta dopo aver litigato con Ashley o con la band o ancora quando le fan non gli lasciavano un attimo di pace. Cassandrah, titubante, prese una sigaretta

"sei capace?"

"si, ogni tanto fumavo, a casa … scusa, in Inghilterra, ma … "

"fa male e sei piccola. Per una sera non ci pensare" concluse per lei. Gliela accese e tirarono insieme una boccata. Jack buttò fuori il fumo bianco, prima di continuare a parlare

"perché piangevi?"

"non credo di farcela. A stare qui, intendo. Già è stato difficile traslocare, e hai visto cos'hanno combinato oggi le mie sorelle. Non voglio che dobbiate occuparvi di noi come bambini, non voglio che dobbiate stare tutto il giorno dietro alle mie sorelle. Forse aveva ragione la dottoressa Michigan, forse sarebbe stato meglio dividerci … loro non accetteranno mai di non essere più in Inghilterra , e nemmeno io. Stamattina ho guardato fuori dalla finestra credendo di vedere la torre di Ockendon …  "

"dov'è?"

"vicino alla foce del Tamigi, nella periferia di Londra. La vedevo tutte le mattine dalla finestra della nostra cameretta. Mentre oggi mi sono trovata davanti solo altri palazzi. Siamo solo un peso per voi, vi abbiamo scombussolato la vita senza chiedere nemmeno … "
"adesso basta" la fermò, agitando il braccio libero dalla sigaretta "voi non siete un peso. Vi ho voluto io qui e non me ne pento. Quanto alle tue sorelle, beh, credo che Jerad abbia ragione: hanno bisogno di tempo. Loro hanno sempre ascoltato solo te e la ragazza bionda, devono abituarsi a noi, così come noi dobbiamo abituarci a voi. È normale e vedrai che con il tempo tutto si sistemerà. Andranno a scuola, si faranno degli amici e poi, non è detto che non dovrete tornare a Londra. Quando compirai diciotto anni potrai portarle dove vuoi, non te lo impedirà nessuno, anche se a me piacerebbe tenervi tutte qui. Siete la cosa più simile che abbia a delle figlie, ho sempre desiderato essere padre, vedere i bambini correre per casa … " si interruppe, lasciando correre l'immaginazione. All'epoca, quando stava con la sua collega Ashley, ne avevano parlato tante volte. Ma le non ne voleva sapere di bambini, rovinano la linea diceva, e lui non era sicuro di volerli con lei. Alla fine, come previsto, si erano lasciati, vuoi per la gelosia possessiva di lei, vuoi perché lui si era accorto di non amarla veramente. Tempo qualche mese e lei si era fidanzata con un cantante, tale Joe. Lui aveva deciso di rimanere da solo, per un po'.

Si voltò a guardare Cassie e vide gli occhi verdi della ragazza, i suoi stessi occhi, che lo fissavano pieni di lacrime. In quel momento capì cosa voleva dire prima sua nipote. Era come guardarsi allo specchio, uno specchio che ti faceva cambiare sesso. Se Jackson fosse stato una donna, sarebbe stato come Cassandrah. Lei era tutto quello che lui cercava di nascondere di se stesso: la timidezza, la sincerità, le lacrime, ma anche quella determinazione che lui aveva a che raramente usava, il coraggio di fare cose diverse dagli altri. Se avesse avuto una figlia, l'avrebbe voluta come lei. In quel momento ebbe la conferma di aver fatto bene a lasciare Ashley. Spensero le sigarette nel portacenere lì vicino

"grazie" mormorò lei.

"grazie a te" rispose lui, senza guardarla. Era sconvolto, era tanto tempo -secoli a ben vedere- che non riusciva a pensare con tutta quella chiarezza. Gli era sembrato di vedere il mondo da altri occhi, in modo più distaccato del solito. Non lo credeva possibile, per questo ne era rimasto sconvolto. Il suo mondo, da qualche anno a quella parte, comprendeva problemi relativamente semplici, cose che si risolvevano con una guardia del corpo e tanto alcool in corpo. Guardando Cassandrah aveva visto che i suoi problemi erano ben più complessi, problemi da cui non potevi fuggire. Lui l'avrebbe fatto, lui non era in grado di badare a se stesso, lei si era presa carico di undici sorelle. Lui evitava di guardare in faccia i problemi, rifiutandosi di affrontarli, lei li prendeva di petto, senza preoccuparsi delle conseguenze. Strano a dirsi, ma era convinto che avrebbe avuto molto da imparare dalle piccole pesti.

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Capitolo 9
*** capitolo 8-preparativi e incidenti ***


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Capitolo 8- preparativi e incidenti

"adesso basta! Ascoltatemi!" stava urlando Cassie. Erano le dieci, la stavano già facendo disperare. Dovevano andare a comprare le divise per la scuola, che sarebbe iniziata tre giorni più tardi. Erano a Los Angeles da una settimana, e in quella settimana ne avevano combinate di tutti i colori.

Theresa e Anne, qualche giorno prima, credevano di dare una mano alle 'scimmie' - come le Scarlett chiamavano la band dello zio - bagnando le piante mentre loro provavano al piano di sopra. Avevano portato dentro tutti i vasi, mettendoli sotto l'acqua con attenzione. Non si erano accorte che, riportandole sulla veranda, stavano lasciando una scia di terra e acqua sporca. Cassie, Lizzy, Ben G e Jack avevano impiegato mezza giornata per far tornare bianco il pavimento della cucina.

Celine, forse capendo che tutti avevano troppo da fare, forse perché voleva farsi vedere all'altezza delle sorelle, aveva cercato di prepararsi il pranzo da sola. Non riuscendo ad aprire i vasetti di vetro degli omogeneizzati, li aveva sbattuti sul tavolo. Lo zio l'aveva trovata poco dopo, impastata di carne macinata, sul tavolo tutto sporco e incrostato, che piangeva perché aveva fame.

Martha e Laure, sentendo Cassandrah lamentarsi che quella casa sembrava un porcile, avevano avuto la brillante idea di lavare i pavimenti da sole. Non potevano sapere che prima andava passata la scopa, non potevano sapere che l'acqua andava cambiata, né che esisteva un detersivo apposta per il pavimento e nemmeno che non dovevano lavare i tappeti. Il risultato era stato una casa che profumava di lavapiatti al limone, tappeti fradici, il marmo del soggiorno incrostato di briciole e una scia nera sul pavimento del corridoio.

In sintesi, una settimana terribile, ma Jackson aveva impedito alla maggiore delle sue nipoti di sgridare le sorelle più di tanto. Sapeva che cercavano di rendersi utili e non poteva biasimarle: la casa faceva davvero pena, e loro raramente trovavano il tempo per dare una pulita.

"ecco, ascoltatela" fecero eco Jerad e Uncle Larry. A loro le bambine non li ascoltavano, i loro tentativi cadevano nel vuoto. Cassie alzò gli occhi al cielo, non ci provavano nemmeno.

"chi mi ascolta bene, altrimenti peggio per voi" esclamò, esasperata. Sembrò sortire l'effetto desiderato, le sorelle si sedettero meglio, guardandola con maggiore attenzione. "grazie dell'attenzione … allora, dobbiamo andare a comprare qualcosa per la scuola. Qui usano dei grembiulini e delle divise leggermente diverse dalle nostre … no, non al liceo,Mary" spiegò. Si era informata, anche grazie a Jackson. La piccola Anne avrebbe dovuto avere un grembiulino bianco con il fiocco colorato. Era sicura che lei l'avrebbe voluto verde. Mentre per le elementari c'erano delle specie di divise per le occasioni importanti. Alla Middle School richiedevano un camice bianco da indossare nei laboratori di disegno e scienze, per evitare di sporcare i vestiti.

La massa di ragazzine si spostò per tutta la mattina di negozio in negozio, guardata a vista dai 100Monkeys, fermati ogni tanto dalle fan. Erano tutte così contente dei loro acquisti che li misero sul letto, minacciando di morte chiunque si azzardasse a toccarli.

"se vi lascio a giocare da sole per una mezz'oretta non distruggete la casa, vero?" chiese Cassie. Ma era tranquilla, le più 'pericolose', Kate e Anne, erano occupate a sfogliare i rispettivi diari, Lizzy e Kendra, aiutavano le altre ad appendere gli acquisti. Lei aveva assolutamente bisogno di una doccia, di stare da sola, di rilassarsi. Prese un cellophane bianco, l'asciugamano e andò in bagno. Si spogliò con calma ed entrò nella doccia.

Jackson stava salendo le scale, quando vide uno spiraglio di luce dalla porta del bagno. Odiava quelle porte scorrevoli, perché se le chiudevi troppo forte non rimanevano ben chiuse e al primo alito di vento si aprivano leggermente. Senza neanche pensarci si avvicinò alla porta. Due centimetri o forse meno lasciavano intravedere l'interno. Se era uno dei suoi amici avrebbe chiamato gli altri per  umiliarlo, se fosse stata una delle Scarlett avrebbe chiuso la porta senza che se ne accorgesse. Si nascose dietro allo stipite per guardare senza essere visto. Cassandrah era uscita dalla doccia un momento prima e ora, con l'asciugamano avvolto stretto intorno al corpo, prendeva qualcosa dalla parete. Jack distolse lo sguardo. Doveva chiudere la porta, ma era come bloccato. Le mani e le gambe si rifiutavano di rispondere ai suoi ordini. Doveva andarsene, ma non ci riusciva. Con un gesto automatico, non ci aveva proprio pensato, si rivoltò verso il bagno. La nipote era vestita, per fortuna. Non si sarebbe mai perdonato, altrimenti. Indossava una gonna plissettata blu appena sopra il ginocchio e una camicetta bianca con uno stemma sulla destra.

Calma piccolo Jackson, si disse, guardando il rigonfiamento dei pantaloni che gli dava fastidio, vediamo di non fare cazzate. Detto questo, chiamando a raccolta tutta la sua forza di volontà, corse in camera sua. Al buio, si distese sul letto, cercando di respirare con calma e rilassarsi. Merda! Era sua nipote, non poteva fargli questo effetto. Trovò in poco tempo una spiegazione assurda ma a cui si convinse di credere: non stava con una ragazza da quando si era lasciato con Ashley, era normale quella reazione davanti alla prima bella ragazza che li girava per casa. 

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Capitolo 10
*** capitolo 9-Taylor ***


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Capitolo 9- Taylor

"zio, ci sei?" sentì la voce di una bambina, non riusciva ancora ad abbinare i nomi ai volti, figurarsi alle voci. Doveva essere passato del tempo, se qualcuno lo aveva mandato a cercare. Grugnì qualcosa in risposta. "c'è un ragazzo che ti cerca. " chi era che rompeva le palle quando voleva solo stare da solo. Ma d'altronde c'era un po' di gente con cui doveva parlare. Dopo la premiere di Twilight, il primo dei quattro o cinque film che lo avrebbero visto nei panni di un bel vampiro dagli occhi dorati, non aveva più sentito quelli del cast. Inoltre, la sua band si sarebbe dovuta esibire in alcuni locali, in quelle settimane, e lui, preso dall'arrivo del suo personale 'ciclone femminile' se ne era dimenticato. Dubitava anche che gli altri se ne fossero ricordati. Controllò che fosse tutto a posto, prima di scendere . Davanti alla porta si trovò una ragazzina con i capelli ricci biondi miele

"grazie Kate" disse deciso. Questa volta era convinto di averci azzeccato

"di niente, ma mi chiamo Meredith. Metz, se preferisci" no, niente da fare, aveva sbagliato un'altra volta. Avrebbe mai imparato?? Probabilmente ci sarebbero voluti secoli.

Sulla porta c'era il diciassettenne Lautner che lo aspettava. Anche se per lui era poco più che un bambino, aveva messo su muscoli dall'ultima volta che lo aveva visto. Sembrava più 'piazzato' di lui. Anzi, lo era, non c'era niente da fare.

"ciao!" si diedero il cinque

"vieni, entra" presero posto sul divano, dove Celine guardava i cartoni animati ridendo e battendo le mani entusiasta.

"in giro si dice che hai ereditato un paio di nipoti" iniziò Taylor, indicando la bambina bionda "e a quanto pare, per una volta, le voci di corridoio hanno ragione"

"un paio?? UN PAIO???!!???" chiese Jackson "sono dodici, la più grande ha sedici anni. E ancora le confondo"

"woooo !!!" esclamò lui "sei sicuro di sapere come si fa il padre?" lo prese in giro

"no, certo che no, ma direi che ventiquattro anni è un età perfetta per cominciare" cercò di sdrammatizzare. l'amico rise

"sono le figlie di una delle tue sorelle?" provò a chiedere, cercando di avere tatto

"Si, Ryann … abitavano in Inghilterra. Lei e suo marito sono stati uccisi da una banda di Londra" si voltò dall'altra parte e fece un respiro profondo "vieni a fare un giro, te le presento tutte … beh, forse è meglio che le faccio presentare da sole. Per me sono troppe" ammise andarono in cucina, dove due bambine sotto la supervisione di una delle maggiori stavano giocando con dei tappi di bottiglia.

"ciao zio. Ciao Jacob" in quella settimana si erano fatte tutte, forse con l'unica eccezione di Cassie, una cultura completa di Twilight e compagnia bella. A Celine era tanto piaciuto il film che aveva costretto tutti a vederlo una ventina di volte.

"si chiama Taylor" precisò Jay "e queste sono … " le ragazze capirono che dovevano continuare loro

"ciao, io mi chiamo Kendra" si presentò la più grande "e queste sono Kate e Theresa" indicò la bambina mora e quella biondo grano di fianco a lei

"piacere di conoscervi, piccole" mormorò Taylor. Adorava i bambini piccoli, si tratteneva dal prenderle in braccio tutte e due solo perché i muscoli messi su per il nuovo film in poco meno di due mesi gli avevano fatto perdere la concezione della sua forza. non voleva fargli male.  Proseguirono il 'giro turistico' salendo le scale, fino alla mansarda delle ragazze. Qui c'erano tutte le altre, occupate nei preparativi per la scuola.

Cassie, Lizzy e Mary correvano febbrili da una parte all'altra della stanza, cercando di aiutare tutte. Jackson notò l'abito che indossava la maggiore appeso sulla maniglia dell'armadio, e divenne tutto rosso. Sperò che nessuno se ne accorgesse.

"ciao" Lizzy gli andò incontro, sperando si scoraggiassero dall'attraversare la stanza. Preferiva evitare incidenti, tra pochi giorni sarebbe cominciata la scuola.  "io sono Lizzy, lei è Cassandrah" indicò la maggiore "e l'altra che corre si chiama Mary. Le piccole per terra sono Laure, Martha, Meredith, Kristal e Anne" non si diede nemmeno la pena di indicarle. Se lo zio non aveva imparato chi erano in una settimana, dubitava che quell'attore l'avrebbe fatto in una manciata di minuti.

"posso conoscere la maggiore?" chiese Taylor, fissando interessato la chioma castana che si muoveva in continuazione. Cassandrah lo sentì e alzandosi dal pavimento, andò incontro allo zio. Indossava solo un prendisole bianco piuttosto trasparente, nessuna di loro era abituata alle temperature di Los Angeles, dopo essere cresciute nella fredda e piovosa Londra.

"Cassie" tese la mano, cercando di non farsi vedere mentre squadrava lo sconosciuto. Non era male, con i denti bianchi che risaltavano sulla pelle scura, i capelli neri e gli occhi castani. In quel momento la ragazza si maledisse per non aver fatto più attenzione al film che quotidianamente Celine insisteva per guardare.

"Taylor" rispose lui, stringendole la mano. Si accorse solo in quel momento che assomigliava in modo impressionante a Jackson, persino nella forma del viso. La trovava molto carina. Se avesse pensato lo stesso di Jack si sarebbe fatto qualche domanda, ma doveva solo ringraziare l'amico per quella somiglianza. Una sorta di scarica elettrica attraversò il corpo di entrambi, senza che qualcuno da fuori si accorgesse di qualcosa."Jay, cavolo, è identica a te!" esclamò lui per non rimanere in quel silenzio imbarazzato. Ma Jackson, a parte qualche rara occasione -momenti che si potevano contare sulle dita di una mano- aveva sempre dimostrato di avere ben poco tatto.

"è per questo che ti piace? " chiese, con una risata, fingendo di fargli gli occhi dolci. Taylor arrossì, la sua pelle diventò un  po' più scura. Lasciò la mano della ragazza, come se fosse stato colpito da un fulmine. Jack, fiutando il pericolo in anticipo, iniziò a correre. Tempo qualche secondo e si rincorrevano per tutta la casa, il bel cantante dagli occhi di smeraldo che scappava dall'indiano. Le più grandi, Lizzy in testa, iniziarono a prenderla in giro

"ooooohh …. Cassie e Tay!" Cassandrah le lanciò la prima cosa che le capitò sotto mano: un cuscino. Ma, almeno a se stessa doveva ammetterlo, non le sarebbe dispiaciuto, per niente. Nemmeno a Taylor sarebbe dispiaciuto, anche se sapeva che, se si fosse messo con sua nipote, Jay gli avrebbe spaccato la faccia. Come minimo. Fu per questo che le chiese di uscire, dopo aver ripreso fiato e tirato un paio di pugni a Jackson

 

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Capitolo 11
*** capitolo 10: appuntamento ***


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Capitolo 10- appuntamento

"non ci vado" asserì Cassie, camminando nervosa da una parte all'altra della stanza. Il fatidico giorno era arrivato. Ma cosa le era venuto in mente di accettare un appuntamento con una star del cinema? Erano le due del pomeriggio, da quella mattina aveva già cambiato idea un centinaio di volte. Lizzy e Kendra la ascoltavano, pazienti. Era la prima volta, per quello che si ricordavano loro, che la sorella aveva bisogno di aiuto. Lei era quella che correva in soccorso delle altre, quella che si faceva in quattro per tutti. Ma ora la bambina era lei, una bambina difficile da convincere.

"ti ci mando io a calci" minacciò Kendra.  Anche se aveva appena tredici anni, era perfettamente in grado di far male alla esile sorella. Cassandrah aveva un fisico filiforme, il seno piccolo ma non troppo, i fianchi appena accennati. E non aveva nemmeno molta forza

"allora ci vado" ritrattò lei, senza fermarsi

"Cassie, mi fai venire il mal di mare! Stai un po' ferma!" si lamentò Elisabeth, seduta sul letto, le gambe allungate. A quel rimprovero la maggiore si sedette per terra a gambe incrociate, iniziando a torturarsi le mani.

Qualche minuto dopo entrò Jackson, dovette trattenersi dal ridere. c'era una ragazza con i capelli di un biondo dorato e gli occhi castani che parlava a raffica, tanto veloce che non riuscì a capire cosa stesse dicendo. Per terra, con l'espressione affranta, stava Cassandrah, che annuiva alla bionda. Un'altra ragazza bionda era sdraiata sul letto, con un cuscino in mano, minacciava la mora. Jack soffocò una risata, prima di parlare

"scusate il disturbo, ma credo che quella più grande di Celine, Kristal se non sbaglio, si sia fatta la pipì addosso. Ora urla e corre piangendo per tutta la sala da pranzo" mormorò, cercando di togliere il ridicolo dalle sue parole. Era strano, lui stesso aveva visto sua sorella Brittney  farsi la pipì addosso, quando era piccola. Ma non si era mai messa a correre come un ossessa per la casa. Jerad aveva suggerito di chiamare un esorcista. Cassie fu bel felice di togliersi da quella situazione, correndo di sotto più veloce della luce. "di cosa parlavate?" chiese Jackson alle due bionde, vedendo Cassandrah scattare in piedi come se ne andasse della sua vita. Fu Kendra a risponderle, ma per lui era solo una delle tante bionde che giravano per casa

"intanto la bambina più grande di Celine si chiama Anne, non Kristal, zio. e, beh … sai che quel bel ragazzo che è venuto ieri ha invitato nostra sorella ad uscire, stasera?" lui annuì, arrabbiato. Aveva minacciato Tay di torturarlo se solo avesse osato toccare sua nipote. Aveva un libro sulla tortura cinese, forse era arrivato il momento di leggerlo. "ecco … lei ci vuole andare, anche se continua a cambiare idea. E noi cerchiamo di convincerla, con le buone o con le cattive" si sfregò le mani, soddisfatta.

"forse è meglio che non ci vada" mormorò lui, pensando ad alta voce.

"e invece no!" intervenne Lizzy, rimasta in silenzio fino a quel momento "a lei lui piace. Non hai visto come si guardavano?"

"per questo non sono d'accordo … ma, in fondo avete ragione voi. Fosse stata qualunque altra ragazza non mi sarei fatto tutti questi problemi" solo perché è mia nipote, si disse scendendo le scale, solo per questo. È normale, qualunque padre sarebbe geloso se la figlia uscisse con un ragazzo. È normale. Se lo ripeté finché non iniziò a crederci anche lui. Qualche ora più tardi scoprì perché la bambina urlava come se fosse posseduta dal demonio: lui gli aveva innocentemente offerto un aiuto, la proposta di cambiarla. Era per quello, non ci aveva pensato

"Anne ha paura degli uomini. Di tutti, non ce l'ha con te. Si faceva toccare solo da papà" spiegò Cassandrah, mentre preparavano la cena. "anche quando veniva qualcuno a farci visita, lei si nascondeva in camera finché non se ne andava. Con te ha fatto un eccezione solo perché le somigli.  "

"devi andare" disse Jackson tutto d'un fiato, la voce parzialmente coperta da un rumore in soggiorno. Celine aveva insistito per rivedere Twilight, coinvolgendo quanti non avevano niente da fare. E ce n'erano tanti in casa.

"cosa?"

"devi andarci. All'appuntamento con Taylor"

"e tu cosa c'entri?"

"beh, è un bravo ragazzo. E poi sono sicuro che andrete d'accordo"

"e cosa sei, suo padre?" rise lei

"no. Tuo zio" ci aveva pensato tanto prima di dirglielo. Non doveva essere tanto geloso. Dopotutto, meglio un ragazzo che conosceva così bene, piuttosto che uno sconosciuto di cui non si poteva fidare.

"io … ci voglio andare" ammise lei, lasciando stare il pane che stava massacrando "ma sono … preoccupata. Insomma, non sono mai uscita da sola con un ragazzo"

"c'è sempre una prima volta. Lascia stare la cena, qui ci penso io. Vai  a prepararti" ancora titubante, Cassandrah tornò in camera e, davanti all'armadio aperto, vagliava con cura tutti i vestiti. Poco dopo, facendola spaventare, Kristal entrò in camera

"mi ha mandato lo zio. Pensava potresti avere bisogno di aiuto"

"ha pensato bene" le mostrò i due completi che aveva scelto. Un paio di Jeans bianchi con una maglietta azzurra e le ballerine nere; degli shorts neri con una t-shirt fucsia e le scarpe da tennis. Kristal fece una smorfia, le sopracciglia sopra gli occhi verdi si incurvarono. Era incredibilmente simile a Cassie quando faceva così. Per il resto, comunque, restavano diverse.

"dici bene! Ma ti servo io per abbinare i vestiti?"

"perché? Che ho fatto?" chiese lei allibita. Le piacevano quei vestiti.

"Jeans bianchi? Non devi andare a un colloquio di lavoro! E gli shorts! È sera, non stai andando a prendere il sole al mare!" gettò con malagrazia gli abiti nell'armadio, scuotendo la testa. Kristal era proprio fissata su queste cose. Cose che Cassandrah non capiva minimamente. La piccola prese una minigonna che la ragazza non ricordava nemmeno di avere e gliela mise davanti

"meno male che non  devo andare al mare! I pantaloncini erano più lunghi" protestò lei. Era una minigonna in jeans grigio con una cintura marrone. Kristal prese anche una maglietta nera aderente.

"le tue ballerine possono andare" ammise, suo malgrado. L'espressione di Cassie era a dir poco allibita.

"io così non ci esco" sembrava decisa. Ma Kristal non si scoraggiò. Gli mise i vestiti proprio sotto il naso

"io dico di si"

Aveva ragione, ci voleva poco a far capitolare Cassandrah. Mezz'ora dopo scendeva le scale, avendo sentito il campanello suonare. Non si sentiva a suo agio, ma perfino Uncle Larry, che da dopo l'incidente degli indiani non le parlava più, aveva ammesso che stava bene. Come se non bastasse, tutte le altre -oltre a Kristal - avevano insistito per dare il loro contributo. Lizzy e Mary l'avevano truccata contro la sua volontà, mentre Laure e Martha le sistemavano i capelli, che per lei andavano bene così. Jackson si fermò con una scivolata davanti alla porta, rimandò le bambine a mangiare, poi aprì. Sulla porta, come aveva immaginato, c'era Taylor, con una maglietta azzurra che metteva in risalto i muscoli, e un paio di jeans.

"mi raccomando, non farlo svenire" disse Jack a sua nipote, lei arrossì, ma non rispose. Credeva di aver perso l'uso della parola. "io e te abbiamo già parlato … " guardò Taylor con fare minaccioso. Lui rise

"certo, signore. Riporterò sua figlia a casa per le undici" lo prese in giro.

Jay li guardò allontanarsi dalla finestra. Gli sembrava strano comportarsi così, fare il padre, in un certo senso. Era lui che bisognava minacciare perché tornasse a casa prima dell'alba. Era lui quello a cui bisognava fare il quarto grado perché non bevesse troppo. Non gli era  mai capitato il contrario, e per fortuna né Cassie né Taylor avevano ancora l'età per bere. Gli importava veramente di quella ragazza. Era solo una settimana che le dodici Scarlett erano da loro, ma già sapeva che non avrebbe potuto fare a meno di loro. E nemmeno gli altri. Erano arrivate come un uragano, sconvolgendo le loro vite, ma migliorandole in un certo senso.  Merito loro se la casa non era più un porcile, se non discutevano più per ogni cavolata, se bevevano più acqua che birra, se avevano imparato a cambiare pannolini e sedare crisi isteriche. In un certo senso, era come se le ragazze  avessero adottato la band e non il contrario. Da quando erano arrivati i documenti del tribunale di Londra, con cui Jackson veniva riconosciuto come il tutore legale delle nipote, qualcosa lo aveva cambiato, una molla era scattata dentro di lui.  'modalità papà' la chiamava Ben G. qualunque cosa fosse, ora stava meglio.

Tay e Cassandrah passeggiavano per le strade di Los Angeles, in silenzio quasi religioso. Di cose da dirsi ne avevano tante, ma mancava il coraggio per farlo. Presero un gelato

"che gusti?" chiese la commessa dietro il bancone, un cappello a forma di granita in testa

"castagna, panna e limone" risposero all'unisono, scoppiando a ridere

"mi hanno sempre preso in giro, per questo abbinamento" commentò lei, tra una risata e l'altra. La gelataia dovette pensare che erano piuttosto strani, e dopo avergli dato i loro coni, sparì nel retro.

"dove vuoi andare?" chiese Taylor, quando ebbero finito il gelato. Ora era diventato più facile parlare, una volta superato l'imbarazzo iniziale
"non lo so, non conosco Los Angeles. Dove mi porti?" si fermò un attimo a pensare, poi le prese la mano e si incamminò a passo spedito verso una zona buia della città. Arrivarono all'Elysian Park dopo aver camminato una decina di minuti. Il dodger stadium era illuminato da decine di luci artificiali, mentre il resto del parco restava al buio. Continuarono a passeggiare fino a quando non iniziò a piovere e dovettero rifugiarsi sotto le tribune dello stadio.

"merda!" esclamò lui "ci mancava la pioggia" Cassie non era abituata a sentire parolacce, solo Jackson le diceva se lo facevano arrabbiare, ma doveva ammettere che le piaceva anche come diceva 'merda'. Era normale? Probabilmente no, ma meglio non farsi troppi problemi.

"speriamo che smetta presto" mormorò lei. Anche un sussurro sembrava turbare quella calma, il tonfo della pioggia attutito dalla tettoia, i loro respiri irregolari per la corsa

"sai … sei bellissima … " Cassie abbassò la testa. Lui le mise una mano sotto il mento, per alzarle il viso e guardarla negli occhi. Quegli occhi verdi che le fan adoravano in Jackson e che lui adorava in quella ragazza. Verdi come i prati del sud, verdi come gli occhi di un gatto, verde come gli smeraldi più belli, verde come gli occhi della Rossella della Mitchell … senza pensarci due volte baciò quelle labbra umide di pioggia, rosse come le fragole mature anche senza il rossetto. Schiuse la bocca e aspettò una sua decisione. Cassandrah non aveva baciato un ragazzo, ma non rimase a pensarci molto. Aprì la bocca per dargli libero accesso, sentendo la sua lingua in bocca, che cercava la sua. Le sue mani sulla schiena e tra i capelli, che l'accarezzavano leggere. Intorno a loro aveva smesso di piovere, ma nessuno dei due era incline a lasciare quel rifugio. Taylor passò una delle mani sulla sua gamba, decisamente poco coperta, infilandola sotto la mini. E Cassie non lo fermò. Si sentiva strana, aveva più caldo del solito, un fuoco innaturale si era acceso nel suo punto più intimo e lei non riusciva a spegnerlo. Il ragazzo lasciò che la sua mano vagasse sopra le mutandine di lei, mentre l'altra le passava sul collo. Scesero anche le labbra, lasciando una scia umida sul collo, fino al bordo della maglietta.

"mi piaci,  Cassie … " mormorò, tra un bacio e l'altro

" … anche tu … " fu l'unica cosa che lei riuscì a rispondere. Taylor la fece salire in braccio, senza interrompere il contatto fra le loro labbra. In quel momento, perché le cose belle devono sempre essere rovinate, squillò un telefono.

"scusa" Taylor prese il cellulare dalla tasca. "pronto?" si sentì una voce isterica dall'altra parte. Era suo padre "sono da Jackson.. Te l'avevo detto … certo, papà, si … arrivo. Saluto Jay e arrivo" riattaccò " scusami, ma devo proprio andare. Ho detto a mio padre che andato da Jack, ma non deve essere molto convinto. Ti accompagno a casa"

"ma no" ribatté lei, che non voleva fargli passare guai "vado da sola, devi tornare a casa"

"meglio di no. E poi, conosco mio padre, fra venti minuti sarà da Jackson a vedere se gli ho detto una balla" corsero alla Monkey House e Cassie fece appena in tempo a prendere in braccio Celine, quando suonarono alla porta. Jackson e Taylor, che si erano sdraiati sul divano appena in tempo, fecero una finta espressione sorpresa. Dopotutto, erano attori. Jared, i capelli scompigliati e un vecchio pigiama addosso, andò ad aprire, seguito da Theresa che, da qualche giorno, era la sua ombra.

Quando Dan  Lautner entrò in quella casa si trovò davanti sei o sette bambine che, sedute in vari punti del corridoio, preparavano zainetti e mettevano le etichette ai pastelli. Jerad lo portò in soggiorno, dove Meredith e Kendra giocavano a Risiko, mentre Cassie cercava di far addormentare Celine, che di dormire non ne voleva sapere. Dopo poco ci rinunciò, prese un foglio A3 dal mobile e un paio di matite. Iniziò a disegnare. Aveva ereditato lo stesso dono della madre Ryann e a Celine piaceva guardarla disegnare. Nessuno faceva caso al signor Lautner, che ora osservava i due Ben, suo figlio e Jackson sui due divani di casa, che fissavano un film alla televisione. Sembrava una commedia, quei film stupidi che piacciono tanto ai ragazzi.

"ehm, buona sera ragazzi" si scossero da quello stato di finto torpore. I padroni di casa si misero in moto

"possiamo offrirle qualcosa?"

"vuole qualcosa da bere?"

"ha fame?" ma lui guardava solo il figlio. Dan Lautner era un uomo severo e austero, che voleva un bene infinito ai suoi figli, Taylor e Makena. Si impegnava perché Taylor non si montasse la testa, e si attribuiva il merito della semplicità del figlio. Quando gli aveva detto che sarebbe andato da un suo amico e collega non aveva avuto dubbi, ma alla fine aveva voluto controllare di persona, tanto per stare più tranquillo.

"arrivo, papà. Stavamo finendo di guardare un film, manca poco … " si scusò Tay

"se vuoi aspetto, così magari finisce di piovere" indicò i vestiti bagnati di tutti i ragazzi. c'era una mezza verità anche per questo

"eravamo fuori a giocare quando ha iniziato a piovere" spiegò Ben J. Le 'scimmie' avevano deciso di fare una partita a football, per lasciare le Scarlett in casa a preparare per la scuola. Le ragazze sapevano essere piuttosto irascibili se qualcuno sta fra i piedi. Dato che anche Taylor era bagnato non c'era stato bisogno di inventare un'altra scusa.

"Jackson" Dan si rivolse al cantante, che si era prontamente messo a sedere composto "come mai la vostra casa è invasa da tutte queste ragazzine uguali?" Jay rise

"sono le mie nipoti, da Londra. Mia sorella è venuta a mancare qualche settimana fa e io ero l'unico che poteva provvedere a loro"

"sono TUTTE figlie di tua sorella?" chiese lui, allibito

"si, sono dodici" era divertente vedere che non era l'unico a essere sconvolto dal numero "dodici femmine" precisò, mentre il signor Lautner le contava.

"bene, buona fortuna, ti servirà. Taylor, possiamo andare?" lui, da bravo bambino, si alzò e seguì il padre

"ci vediamo ragazzi. Ciao, piccole" salutò con la mano Celine, che allungò le manine verso di lui. La prese in braccio e le stampò un bacio sulla fronte

"tao, Taiol " 

"ciao, Celine" la lasciò giù e uscì, dietro al padre.

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Capitolo 12
*** 11-primo giorno di scuola ***


 

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Capitolo 11- primo giorno di scuola

"Cassandrah, mi sembri sull'orlo di una crisi isterica" parlò piano, cauto. Voleva farglielo notare senza che lei gli urlasse contro. Jackson stava imparando ad avere tatto. Nessuno che lo conoscesse bene ci avrebbe creduto, se non l'avesse visto.

"non sembro. Lo sono" esclamò lei, esasperata. Il giorno dopo sarebbe cominciata la scuola e tutte -neanche a dirlo- avevano tirato fuori i loro problemi, tutte insieme.

"posso aiutarti?" provò, mettendole una mano sulla spalla. Aveva notato la nipote in cucina, la testa appoggiata sul bancone, intorno una marea di fogli riempiti da una calligrafia ordinata e curata. Sembrava quella di Ryann, solo un po' più lineare. Doveva aver consumato qualche biro per scrivere quel poema, pensò Jack.

"no, ma grazie lo stesso" rispose lei, cercando di non essere sgarbata

"cos'è successo?"

"allora … Theresa e Kristal credo abbiano intenzione di passare la giornata davanti all'armadio per trovare la mise più adatta al primo giorno di scuola. E ogni volta che sbagliano sembra che debba venir giù il mondo. Meredith, Martha e Anne si sono convinte che andare a scuola con lo zaino sia da sfigate e, tra l'altro, hanno paura di fare qualche figuraccia. Mary, che inizia il liceo, non vuole essere bollata come 'l'inglese', e sta inutilmente cercando di migliorare il suo accento"

"ma avete tutte un perfetto accento texano!" obbiettò lui. Era una delle prime cose che l'avevano colpito delle nipoti, dopo il numero

"diglielo tu, allora! Fanno sempre così, ogni volta che deve ricominciare la scuola. Il fatto di essere in un altro stato, dall'altra parte del mondo, ha leggermente amplificato il tutto … se ci fosse stata la mamma, lei avrebbe saputo cosa fare, cosa dire a ognuna per calmarle, per fargli capire quanto ognuna di noi sia unica e speciale, quanto non ce ne dobbiamo vergognare … " rimise la testa sul tavolo, con un sospiro. Jackson prese fiato, rimandando indietro le lacrime, sentendo nominare la sorella. Tutti facevano del loro meglio per non fare il suo nome, ma d'altronde, con le sue figlie in casa, era inevitabile.

"tu non hai idea di quanto somigli a Ryann e non solo come aspetto. Lei, lo sai meglio di me, era gentile, dolce, metteva sempre gli altri davanti a sé. Aveva sempre una risposta per tutto, e anche tu"

"non è vero" lo interruppe lei "non riesco a tenerle ferme, non riesco a farmi ascoltare, non posso risolvere i loro problemi. La mamma si"

"hai solo sedici anni! È normale, non te ne devi fare una colpa … a proposito, cosa sono tutti questi fogli?" indicò le carte sparse attorno alla ragazza. Lei ne prese qualcuno

"tutto ciò che devono sapere sulle scuole che frequenteranno da domani, indirizzi e numeri di telefono, le copie degli attestati che devono presentare … burocrazia. Ho copiato qualcosa che potrebbe servire" spiegò. Era stanca, si vedeva. Jackson si chiese se quella notte avesse dormito. Si chiese da quanto tempo non dormiva, ma non le disse niente.

"sei stata bravissima, non ti preoccupare. Lascia che le due reginette della moda sequestrino la soffitta, se gli serve. E a quella che ha paura di sembrare troppo inglese … "

"Mary"

"Mary, giusto. Beh, a lei ci penso io. Tu sei pronta per la scuola?"

"io non mi facci tutti questi problemi. Un quaderno e una penna in una borsa bastano. A chi tocca preparare la cena, oggi?"

"Jerad, quindi credo che ordinerà una pizza"

"vado da Celine" si sentiva sempre un po' a disagio quando era da sola con lo zio. Lui era sempre tanto gentile, le trattava come se fossero le sue figlie. Ma per lei c'era qualcosa che non andava. Celine lo adorava e Cassie era sulla buona strada. Per questo avrebbe fatto di tutto per rivedere Taylor il più presto possibile. Perché il ragazzo indiano le piaceva, ed era un ottimo modo per togliersi Jackson dalla testa e, soprattutto dai sogni. La prima volta che si era svegliata di soprassalto vedendo due occhi verdi aveva pensato a sua madre. La seconda volta si era accorta che gli occhi di Ryann avevano una sfumatura diversa, più chiara. Le ci erano voluti diversi giorni per fare il collegamento giusto.

"Cassie!" urlò la bambina, vedendola. Celine la rendeva sempre felice. Era contenta di vederla in qualunque momento, e riusciva a calmarla anche solo sorridendo. Con lei Cassandrah parlava, anche se non sempre la piccola la capiva, si sfogava. La prese in braccio, sedendosi sul divano.

"cosa scè?" chiese Celine, mettendole una mano sul viso

"forse le altre hanno ragione, e se ci trovassimo male ? E se volessero tornare in Inghilterra?" sospirò "d'altronde è un mondo completamente diverso dal nostro, non c'è dubbio. Se ci guardassero male? Se dovessero essere escluse dagli altri solo perché siamo inglesi?"

"tu sei bea "

"grazie, tesoro … ma a me non importa … mi mancano solo sue anni per prendere il diploma, e me ne frego di quello che dice la gente … ma sono preoccupata per le nostre sorelle"

"no … tlanquilla " in quel momento si sentì un urlo dal piano di sopra

"ADESSO BASTA! KRISTAL! THERESA!" urlò Cassandrah, raggiungendo la tromba delle scale. Scese Kristal, visibilmente arrabbiata, quasi in lacrime

"Cassie! Ho appena realizzato che non abbiamo niente di decente da metterci!"

"e ti sembra il caso di piangere? Kris , calmati, ok? Non è il caso di farne una tragedia nazionale, sono sicura che starete bene con qualunque vestito …  "
"fai in fretta tu, con quel corpo da modella che ti ritrovi..."

"Kristal, siete tutte bellissime.. " l'opera di convinzione andò avanti fino all'ora di cena.

Verso le undici, dopo parecchie discussioni, Ben G e Jackson si fecero forze e mandarono le Scarlett a dormire. Celine sonnecchiava tra le braccia di Lizzy, mentre Anne e Theresa sbadigliavano a più non posso. Ma nella stanza delle ragazze ci vollero le urla di Cassie e Lizzy per avere silenzio. Ognuna aveva i suoi timori, cose piuttosto infondate, perlopiù.

Anche Jackson non riusciva a dormire. Chiuso in camera sua, con la sua Annabelle appoggiata al muro, cercava di pensare, con un po' di lucidità. Aveva passato la giornata a rassicurare le nipoti,che non avrebbero incontrato difficoltà, che avrebbero fatto amicizia, che nelle scuole americane si sarebbero trovate bene. Ma poteva davvero prometterglielo? Per lui erano ragazze fantastiche, uniche. Ma sapeva come i ragazzi potevano essere cattivi, ricordava come guardavano male lui solo perché non era nato in America, solo perché si trasferiva continuamente. Aveva sentito Cassandrah e Elisabeth -aveva imparato anche il nome della bionda più grande-  parlare a bassa voce, quel pomeriggio. Si erano messe in lavanderia, fingendo di sistemare qualcosa, per non essere sentite. Condividevano gli stessi timori. Temevano che le loro sorelle si sarebbero sentite isolate, almeno i primi tempi. Mentre a Londra c'era un edificio che includeva tutte le scuole obbligatorie, ora avrebbero frequentato scuole a isolati di distanza. Se fino all'anno scorso si trovavano insieme a pranzo e avevano la possibilità di chiedere aiuto alle sorelle se qualcosa non andava, da ora in poi si sarebbero viste solo la sera.

Avevano organizzato al meglio gli spostamenti. Ben J e Uncle Larry, che andavano quotidianamente  a West Hollywood per incontrare l'agente della band, avrebbero accompagnato Anne all'asilo. Jackson, Ben G e Jerad si sarebbero occupati delle altre undici. Quando Cassie avrebbe preso la patente sarebbe bastato Jack.

La mattina del primo settembre la Monkey House sembrava un grande ufficio pubblico. c'era un brusio dal volume decisamente troppo alto per essere solo le sette, zaini e borse che occupavano tutto il corridoio, tanto che per passare bisognava essere acrobati. Qualcuno correva per casa, asserendo di aver dimenticato qualcosa. Kristal e Kendra avevano fatto vestire le più piccole, con la reginetta della moda che decideva gli abbinamenti.

Anne portava una maglia leggera e un paio di jeans sotto il grembiulino bianco; Theresa un vestitino blu scuro e un paio di ballerine bianche; Kate e Kristal rispettivamente pantaloni bianchi e maglietta arancio e pantaloni arancio e maglia bianca; Meredith un completo verde ; Martha e Laure più serie, in camicia bianca, pantaloni e giacchetta blu, forse troppo serio ; Kendra un paio di jeans scuri e una canotta bianca; Mary e Lizzy due felpe molto simili, azzurre; e, infine, Cassandrah, con la divisa che portava in Inghilterra, abito che Jackson avrebbe preferito non vedere più.

"ma ti facevano andare a scuola vestita così?" le chiese in auto. Si era seduta al posto del passeggero, dietro di loro Lizzy, Mary e Kendra Jay avrebbe accompagnato le più grandi. Sapeva che nel Regno Unito erano più severi riguardo all'abbigliamento e la gonna di Cassie le copriva a malapena metà coscia.

"veramente dovevo andare a scuola vestita così" rispose lei "è la divisa della scuola di Ackworth" indicò lo stemma sul seno. Jay distolse in fretta lo sguardo concentrandosi sulla strada. Lasciò la più piccola delle sue passeggere alla Middle School, prima di parcheggiare davanti alla Loyola. Le ragazze presero le loro borse, prima di avviarsi verso l'entrata.

"grazie"

"ci vediamo alle tre" suonava un po' come una minaccia.

Anne era felice, lei non si faceva molti problemi. Jerad la accompagnò in classe, prese posto vicino a una ragazza dai capelli di fuoco

"ciao, sono Anne"

"piacere, Tanya" sembrava simpatica, chiacchierarono fino a quando non entrò la maestra, che la presentò a tutta la classe

"quest'anno avremo una nuova compagna, arriva da Londra e si chiama Anne Caroline Scarlett Rathbone.. Anne, ti va di presentarti?" lei si alzò e raggiunse la cattedra

"ciao a tutti, mi chiamo Anne e sono in America perché i miei genitori sono morti, adesso abito con mio zio, che si chiama Jackson. E ho delle sorelle" evitò di dire quante.

"grazie, Anne, torna pure al tuo posto" giocarono per tutta la mattina, finché una campanella annunciò il pranzo. La mensa, un posto coloratissimo con due enormi tavoli, rendeva felici, anche se il cibo, come in tutte le mense, lasciava molto a desiderare.

Nel pomeriggio la maestra portò in classe le tempere e un grande lenzuolo e si divertirono a pitturarlo.

Theresa, Kristal, Kate e Metz aspettavano con impazienza il pranzo per ritrovarsi.

"allora, com'è andata?"

"mah … non male" rispose Kristal "ci sono un paio di scemi e ho cercato di inquadrare le ragazze, ma le lezioni non sono male. Voi?"

"non poteva andare meglio!" esclamò Metz, sorridente "c'è un figo nel mio corso di inglese … " si, era andata bene. Avevano incontrato i soliti problemi dei ragazzi che si trasferivano, ma a parte l'indifferenza iniziale, la scuola non era male.

Martha, Laure e Kendra la pensavano diversamente. Alle elementari non c'era quella cattiveria, quell'invidia presenti invece alle medie. Laure era mora, occhi verdi, le altre bionde, ma erano tutte carine. Era questo a dare fastidio alle nuove compagne di classe. Delle inglesi che inglesi non sembravano, e che facevano voltare la maggior parte dei ragazzi.

"bene, buona fortuna, ragazze" Cassie, Mary e Lizzy stavano per entrare nella loro nuova scuola. La segreteria gli aveva dato l'elenco delle lezioni e ben presto dovettero dividersi.

Cassandrah sentì un fischio.

"ehi, belle gambe!" urlò una voce di ragazzo. Lei si girò, sperando che il commento non richiesto non fosse rivolto a lei. Le venne in contro un ragazzo biondo, con gli occhi nocciola "ciao ,bella. Sei nuova?"

"mi chiamo Cassandrah. E a quanto pare si, sono nuova." corresse lei, acida.

"allora, com'è andata?" chiese Jackson, caricando in auto le tre liceali

"male" rispose Lizzy, lasciandosi cadere sul sedile posteriore

"malissimo" rincarò Cassie, lanciando la borsa con malagrazia. Mary stette in silenzio. A lei in liceo non sembrava per niente male. Ma aveva imparato che era meglio non contraddire le sorelle quando erano arrabbiate.

"avanti!" provò Jackson "non può essere andata così male!"

"e invece si!" esclamò Cassie in risposta "non male, peggio. Tu non hai idea di quanto possano essere stupide e ridicole le persone ... "

" ... Né di quanto sia imbarazzante dover parlare dell'Inghilterra a ogni lezione, e sentire tutti che ti fissano. Perché non gli importa niente del Tamigi, vogliono solo vedere se possono chiederti di uscire!"

"va bene, adesso però calmatevi" aprì le mani senza lasciare il volante "e tu? Ehm ... Kendra?"

"Mary" corresse lei in automatico "boh ... Non male" cercò di non sbilanciarsi troppo "anche se spero di aver finito le presentazioni " Jay sospirò, rincuorato. Una su tre non era male, come statistica.

"voi cos'avete fatto?" s'informò Lizzy.

"niente di che ... Stiamo organizzando una serie di serate nei locali della zona ... Per l'estate non faremo altro"

"dimmi che vi esibite di sera" pregò Cassandrah

"certo, non ti preoccupare" la rassicurò lo zio.

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Capitolo 13
*** capitolo 12: quando ti manca casa tua... ***


Capitolo 12- quando ti manca casa tua …

Quella sera si parlò solo di scuola, alla Monkey House. I ragazzi si trovarono a sperare che la novità finisse presto. Si resero anche conto che, nonostante sembravano pensare come una cosa sola, le Scarlett erano molto diverse, in tutto. c'era chi non vedeva l'ora di tornare in classe e chi avrebbe preferito non andarci più.

"compiti? Il primo giorno di scuola?" balbettò Jerad, allibito, sentendo parlare una delle ragazze

"non ci posso fare niente. E non ho intenzione di prendermi una nota" rispose Laure secca, prima di portare il suo piatto nel lavandino e sparire di sopra.

"cos'ho detto?" ma nessuno gli rispose.

I mesi passavano ma niente cambiava. Le Scarlett non sembravano ambientarsi, tanto che qualche insegnante aveva convocato Jackson per chiedergli se non fosse il caso di cambiare scuola. Non che loro non ci provassero, ma ottenevano solo freddezza e indifferenza dai compagni. Nessuno era disposto ad accettare quelle ragazze, che facevano di tutto pur di farsi piacere. l'unica che sembrava trovarsi bene sembrava Anne. Ma, come notarono tutti, l'asilo era ben diverso dal resto delle scuole. A confronto, era una specie di parco giochi.

Le più grandi facevano di tutto per non far pesare alla banda la loro infelicità, ma si nessuna era riuscita a obbiettare a Kristal che, nel bel mezzo della cena, si era lasciata sfuggire un sospiro e una frase di troppo : 'quanto vorrei tornare a casa ...'. Se ne era resa conto subito, scappando al piano di sopra prima che la raggiungessero le urla di Cassandrah. Cassie che aveva ben altri problemi oltre alla scuola. Qualcosa come una molla era scattata dentro di lei, facendole capire che Taylor non era quello giusto per lei, e che non poteva continuare a illuderlo così. Questo aveva portato ad altri strilli. Jackson l'aveva sentita mentre si confidava con Lizzy, e aveva fatto fuoco e fiamme, non appena era arrivato Taylor. Non avevano proprio litigato, ma ora parlavano a monosillabi e una riconciliazione sembrava lontana.

Quando Jackson dovette partire per Vancouver, lasciò la casa in una fase di stallo: le ragazze che facevano finta di niente, i suoi compagni che non facevano domande. Le Scarlett stavano a scuola o sui libri per buona parte della giornata, e tanto bastava a sedare qualunque discussione. Non parlavano più nemmeno a cena, perché alle piccole rimaneva solo l'energia necessaria per infilarsi la forchetta in bocca.

Jay preparava i bagagli da giorni, nervoso, e al momento di partire trovò tutte le nipoti che lo aspettavano davanti alla porta. Le baciò tutte sulla fronte, tenendo in braccio Celine -ormai sapeva anche i loro nomi - poi salì in macchina con Ben J, che lo avrebbe accompagnato in aeroporto.

Quando tornò dal Canada non era cambiato niente. Lui non riusciva a parlare con nessuna delle nipoti, nemmeno con Cassie, senza che queste trovassero una scusa per troncare il discorso a metà, asserendo di avere qualcosa di urgente da fare. Non poteva continuare così,  si disse, ma gli mancò come sempre il coraggio di affrontare la situazione, di chiedere alle ragazze cosa c'era che non andava.

Non ce la fece e  lasciò che le cose andassero per il loro corso.

 

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Capitolo 14
*** capitolo 13: diciottesimo compleanno ***


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Capitolo 13- diciottesimo compleanno

 Senza che nessuno ci facesse caso passarono due anni, e una fresca mattina che annunciava l'arrivo della lunga primavera californiana, Jackson si svegliò con l'impressione di doversi ricordare qualcosa di veramente importante. Era tornato solo due giorni prima dai Vancouver Studios, dove avevano dato vita a Eclipse ma gli bastò un'occhiata al calendario per ricordarsi: era il compleanno di Cassie. Solo la sera prima Uncle Larry gli aveva fatto presente che avevano ordinato una torta in pasticceria. Dolce che sarebbe stato consegnato proprio quella mattina. Cassandrah compiva diciotto anni, si era diplomata solo il mese prima, con una votazione a dir poco eccellente, anche se continuava a frequentare corsi a scuola. A Jackson non venne in mente che ormai la nipote era maggiorenne.

Scese appena in tempo per vedere il fattorino della pasticceria parcheggiare davanti casa. Gli aprì la porta prima che potesse suonare. Mise la delizia di pasticceria sul tavolo -tante volte Randee gli aveva fatto notare che non si mangia una torta del genere a colazione, ma a lui non era mai andata a genio l'idea di dover aspettare il pranzo - e preparò latte caldo, the e caffè. Man mano la casa riprese vita, le Scarlett iniziarono a svegliarsi e a scendere per la colazione, seguiti poco dopo dai membri della band. Cantarono 'tanti auguri a te ' con un bel sorriso sulle labbra e Jerad si trovò a convincere le ragazzine delle medie che la panna al mattino non faceva ingrassare

"perché poi hai tutto il giorno per smaltirla" concluse, sicuro che il suo ragionamento fosse a prova di bomba.  Martha  alzò gli occhi al cielo. Poi lei, Laure e Kendra si alzarono , diedero i loro regali alla sorella e annunciarono che dovevano prepararsi per la scuola, guardando la torta come se le stesse minacciando. Qualcuna più gentilmente disse che al mattino preferiva brioche o cereali, mentre Cassie e Lizzy, per rimediare alla mancanza di tatto delle altre, si diedero da fare per far sparire due generose fette di torta. Vedendole prendere gli zaini e salire sulla macchina di Ben G, la maggiore al volante, Jackson si accorse, dopo tanto tempo, di non conoscerle affatto. E la cosa gli rovinò l'umore per il resto della giornata. Tornò a casa poco dopo pranzo e fu decisamente sorpreso di trovare Cassandrah intenta a lavare per terra

"e tu cosa ci fai a casa?" chiese, squadrandola

"assemblea sindacale, te l'avevo detto ieri" fece notare lei, cercando di non darci peso "più tardi vado a prendere le altre" in quel momento Jay si rese conto di cosa stava facendo la nipote.

"e no! Oggi sei la festeggiata, non puoi metterti a pulire" le tolse lo spazzolone dalle mani per sostituirlo con il regalo che le aveva comprato quella mattina. Sperava di aver azzeccato, si era accorto che oltre a non conoscere le nipoti, non aveva idea di cosa regalare a un'adolescente per il suo compleanno. Lei scartò il pacchetto in fretta, cercando di mantenere il sorriso qualunque cosa avesse trovato. Ne rimase piacevolmente sorpresa: era una bella camicetta azzurra.

Quella sera c'era aria di battaglia: solo qualche ora prima Kate e Celine -che a quasi tre anni era una bella peperina - avevano litigato per una cavolata. A tavola regnava il silenzio, parola di cui molti si erano scordati il significato.

Le Scarlett, come loro abitudine, lavavano e asciugavano i piatti come una catena di montaggio molto funzionale.

"zio?" mormorò titubante Cassandrah. Jackson si girò, tornando in sala da pranzo. Cassie aveva messo subito il suo regalo, ma c'era qualcosa che non andava.

"dimmi"

"senti.. È un po' che te ne volevo parlare … abbiamo deciso di tornare a Londra" disse tutto d'un fiato, tenendo gli occhi bassi. Le sembrava quasi una cattiveria, verso quell'uomo che le aveva accolte e cresciute per due anni, in un certo senso .

"lo immaginavo"

"davvero?"

"sì, si vede che qui non state bene"

"ah … io.. Mi dispiace, davvero … ma … " la fermò con una mano

"non ti devi scusare. La vostra vita è in Inghilterra. E poi, posso sempre venirvi a trovare, no?" le diede una pacca sulla spalla, poi di corsa in camera.

Erano anni che Jackson non piangeva. Ma quella sera versò tante lacrime, tanto da pareggiare il bilancio. Non sapeva nemmeno lui il perché, sapeva che sarebbe successo, se lo aspettava, si era preparato da tanto a quel momento. Ma non ne poteva fare a meno. Perché si era abituato ad avere quelle ragazzine esuberanti e allegre per casa, perché  sapevano farlo ridere dopo una giornata no, con i loro litigi stupidi. Perché, anche con le loro cavolate, i loro capricci, le loro lacrime, l'avevano fatto crescere, ora si sentiva grande, un uomo. Lui, che si era sempre considerato un ragazzino con la testa di un adolescente.  Ed erano le lacrime di un bambino quelle che solcavano il suo volto, quella sera. Lacrime di un bambino che ancora non capiva, che non voleva capire. Che sapeva ma non poteva accettare.

"stupido! Deficiente! " si disse, a bassa voce "davvero credevi che fossero rimaste per sempre con te?" serrò le mani intorno allo schienale della sedia, cercando di riprendere il controllo. Avanti Jay, si disse, non ha senso disperarsi così, tornano in Inghilterra, non vanno mica in guerra.

 

 

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