Free Fallin'

di _Frah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 | she's a good girl ***
Capitolo 2: *** #2 | I'm a bad boy ***
Capitolo 3: *** #3 | because you can ***
Capitolo 4: *** #4 | rock your soul ***
Capitolo 5: *** #5 | teenage dream ***
Capitolo 6: *** #6 | you just don't know it ***
Capitolo 7: *** #7 | the music you choose ***
Capitolo 8: *** #8 | together we cry ***
Capitolo 9: *** #9 | smile? ***
Capitolo 10: *** #10 | if not now, then when? ***
Capitolo 11: *** #11 | I won't go home without you ***
Capitolo 12: *** #12 | baby it's not too late ***
Capitolo 13: *** #13 | i'm with you ***
Capitolo 14: *** #14 | falling in love with you ***
Capitolo 15: *** #15 | let me die smiling ***
Capitolo 16: *** #16 | go find yourself ***
Capitolo 17: *** #17 | just a feeling ***
Capitolo 18: *** #18 | a beautiful disaster ***
Capitolo 19: *** #19 | forbidden. ***
Capitolo 20: *** #20 | someone like you ***
Capitolo 21: *** #21 | he calls me... ***
Capitolo 22: *** #22 | girl, i'm just in love with you. ***



Capitolo 1
*** #1 | she's a good girl ***






 

«Felicity!»

non feci in tempo a chiudermi lo sportello della macchina alle spalle che la mia migliore amica mi saltò addosso facendomi cadere tutti i libri per terra e riuscire ad attirare l’attenzione di tutti gli studenti presenti in quel momento.
«Sophie. Così mi uccidi! Poi voglio vedere quanto sei diventata figa»
scosse le testa ridendo e si allontanò da me quanto bastò per riuscire a fare un giro su se stessa
«Perfetta. Meglio di come ti ho lasciato due mesi fa»
presi la mia borsa dalla macchina e lei intanto raccolse i libri da terra
«Appunto. Due mesi»
mi guardò mettendo il broncio
«Devi dirmi quanti te ne sei portati a letto, signorina Felicity»
scoppiai a ridere di gusto. Sophie, la mia migliore amica da anni. Conosciute in vacanza. Lei di New York. Io di Miami. Entrambe di diciannove anni e per la scelta del college una pazzia. Los Angeles. Una città completamente apposta alle nostre.
«Ok. Dopo devi dirmi tutti i dettagli a casa e non accetto un no come risposta. Ah! Il nostro appartamento è.uno.schianto
la guardai mentre mordicchiava la cannuccia del suo frappuccino
«E ci credo. Ci costa una cifra e per pagarlo io dovrei trovarmi un lavoro, credo»
mi sorrise e alzò le spalle. Scossi la testa sorridendo e inforcai i miei rayban azzurri. Di tanto  in tanto si sentivano qualche fischio di ammirazione verso le gambe scoperte di Sophie, visto che indossava degli shorts quasi invisibili all’occhio umano ma, conoscendola, non poteva fargli che piacere.
«Quindi ora stiamo andando...»
«All’università. Devi prendere gli orari delle lezioni no? Poi che corso hai scelto? Informatica?»
«Informatica si. Perché?»
si fermò e deglutii
«Che c’è? A me piace -»
mi fermò
«Non è per questo. Mio fratello mi ha detto che c’è un tipo che frequenta il corso avanzato e beh... dicono che abbia ucciso un paio di persone »
la guardai in silenzio per qualche secondo e subito dopo mi tolsi gli occhiali esasperata.
«Dimmi... ti sei rimbambita? Sul serio credi a queste cose? Se avesse sul serio ucciso non frequenterebbe di certo un collage!»
mi guardò sorridente
«E che ne so, a me ha detto così»
mi passò davanti buttando il bicchiere nel cassonetto vicino ed entrò nella biblioteca. bah. La raggiunsi a passo svelto e ci sedemmo a un tavolino
«Aspettiamo mio fratello. Ha detto che ti vuole salutare»
annui appoggiando rumorosamente la mia borsa sul tavolo e una signora sulla sessantina mi fulminò con lo sguardo. perfetto, come inizio. Sophie scosse la testa cercando di non iniziare a ridere come al suo solito. Sospirai rilassandomi su quella piccola e spoglia sedia si legno. Non so come ma mi misi a pensare a quello che poco prima Sophie mi aveva confessato. Sul serio la gente si inventa cose simili? Solo per rovinare la vita sociale di un ragazzo?
«Eccomi qui ragazze»
sobbalzai spaventandomi e mi ritrovai davanti al mio viso un sorriso simile a quello di Sophie, Will. Ci salutammo e si mise a sedere affianco a me posando il suo cellulare sul tavolo. Mi chiese del viaggio e di come erano andati gli ultimi mesi a Miami. Mi parlò un po’ del collage, dei professori e delle feste che ogni tanto si organizzavano.
«Ah! non ci crede»
Will guardò Sophie non capendo
«All’assassino. Si, quel ragazzo di cui mi hai parlato»
Will spostò il suo sguardo su di me, serio, troppo serio
«E’ pericoloso, sul serio. Felicity, ti conosco. Non fissarti sul sapere cose non dovresti sapere»
«Vorrei proprio vederlo questo serial killer spietato»
dissi scherzando e, non capendo l’ironia, Will me lo indicò con un cenno di capo. Mi girai e lo guardai curiosa. Leggeva un libro ascoltando la musica come un normalissimo ragazzo. Il suo sguardo era pallido, perso, quasi angosciato e il suo vestire era completamente... nero. Mi alzai sorridente
«Come si chiama?»
chiesi a Will
«Joseph e no. Felicity non ci pensare nemmeno»
presi la borsa e mi avviai spedita verso di lui. Sentii sbuffare Will pesantemente ma niente. Ormai ero decisa, volevo conoscerlo e cercare di capire di quelle assurde voci su di lui. Mi misi a sedere sulla sedia opposta alla sua e sorridendo appoggiai la borsa ai piedi del tavolo. Misi i gomiti sul tavolo guardandolo, alzò il capo e per qualche secondo i suoi occhi color nocciola incontrarono i miei color ghiaccio, per poi riposarsi sul libro.






Ed eccoci qui, primo capitolo.
Non mi sarei mai aspettata di scrivere (oddio, scrivere. io non scrivo! storpio la lingua italiana çwç) una fanfiction con dei capitoli. Diciamo che ho quasi sempre scritto os. Perché? Ho una costante paura di non saper andare più avanti, di non saper più che scrivere. Quindi, aspettatevi il peggio :'3 LOL! Comunque spero che quello che avete letto vi sia piaciuto :3 Quindi... beh si... al prossimo capitolo *sviene
Frah.


 
- i Jonas Brothers non mi appartengono, né voglio dare rappresentazione veritiera dei loro caratteri originali. Tra l’atro, la storia non è scritta a fini di lucro ;3 -

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Capitolo 2
*** #2 | I'm a bad boy ***


«Mi chiamo Felicity»
sentii parlare in sottofondo alla musica che stavo ascoltando e alzai la testa. Una ragazza castana mi sventolava la mano davanti agli occhi. Sbuffando mi levai una cuffia
«Che vuoi?»
gli chiesi arrogante. Mi fissò quasi incantata, come se mi stesse spiando all’interno, ma dopo qualche secondo scosse la testa
«Niente, voglio solo conoscerti»
alzai il sopracciglio sorpreso. Nessuno mi si avvicinava da anni e lei voleva addirittura... conoscermi?
«Io no. Ora puoi andare»
ripresi il libro da dove l’avevo lasciato e non feci in tempo a rimettermi la cuffia nell’orecchio che lei si mise a ridere. Ok, lo devo ammettere. Aveva un sorriso meraviglioso, quasi contagioso.
«Ovvio che no! Che leggi?»
si avvicinò con la sedia alla mia e prese il mio libro tra le mani. Non aveva paura di me. Se ne fregava delle cose che diceva la gente sul mio conto. Era diversa.
«Strano libro. Non ne ho mai sentito parlare»
posò il suo sguardo su di me
«Si, lo so. Infatti l’ho trovato su una panchina al parco»
mi ripresi il libro, mi alzai e mi incamminai nervoso verso l’aula magna. Non potevo. Non potevo far entrare gente sconosciuta nella mia vita. Mi guardai alla mia destra ed eccola, che camminava affianco a me. Roteai gli occhi, la presi per un polso e la trascinai in un’aula vuota.
«Beh. Almeno accendi la luce»
trovai l’interruttore e la luce gialla si riscaldò lentamente
«Lo sai che potrei ucciderti?»
nessun cenno di paura. urlo. niente
«Così mi hanno detto»
si sedette su un banco e appoggiò la schiena al muro, mi guardò con i suoi occhi grigi chiaro con un contorno nero corvino, che faceva risaltare il grigio. Non potevo far a meno di fissarli, erano splendidi, come lei, infondo.
«Se te lo stai chiedendo. No, non ho paura di te»
mi avvicinai a lei velocemente e la bloccai al muro prendendola dai polsi
«Senti. La mia pazienza ha un limite molto limitato. Anzi, forse un limite nemmeno c’è l’ha quindi non scocciarmi»
«Non ho paura di te»
ripeté tranquilla
«Ok.  Facciamola finita a modo mio»
la lasciai e presi il mio coltellino dalla tasca
«Carino, piccolo, pratico. Ma lo sai che se ti beccano ti mettono dentro?»
disse ridendo. La fulminai e  si mise in silenzio. Le alzai la maglietta piano e con la punta del coltellino gli sfiorai tutto il fianco sinistro
«Credo che potrei prima non so... violentarti?»
mi morsi il labbro immaginandomi la scena
«Certo. Fai pure»
chiuse gli occhi sorridendo mentre io continuavo la mia esplorazione sotto la sua maglietta estiva.
«Lo so che sei  buono. Credo che fare amicizia con me ti faccia bene sai? Voglio dire, sono una scocciatura e credo che tu l’abbia capito da solo. Mi dispiace che stai da solo... tutto qui»
la guardai. I nostri visi erano davvero troppo vicini tanto che sentivo il suo respiro tranquillo sul mio collo. Pesca. Lei, la sua pelle sapeva di pesca in quel momento. Morbida, liscia, leggera. Avvolte le donne fanno delle cose che potresti rimanerci secco. Potresti passare un’intera vita a capire, a cercare di fare come loro. Ma son sarai mai capace di avere quella leggerezza che hanno solo loro. Rimisi il coltellino nella sua fodera e lo feci cadere nella tasca del jeans, ormai consumato. Gli sistemai la maglietta, notai due o tre smagliature e una scritta tatuata sul fianco destro, ma non riuscì a leggere. Poco importa .
«Non sono solo»
riaprì gli occhi, mi erano mancati in un certo senso. Quel grigio su di me, che non mi faceva sentire invisibile o un peso.
«Ne sei sicuro... Joseph?»
sbuffai riprendendomi la borsa ed uscii veloce. Aveva ragione.  Maledettamente ragione. Ero solo. Frequentavo solo gente che non volevo frequentare e il mio ultimo appuntamento con una vera ragazza risaliva a più di un anno e mezzo prima. Solo qualche sera mi concedevo a una sveltina con qualche sconosciuta recuperata in qualche pub o consigliata da Marcus. Entrai in aula e mi misi al solito posto, ultima fila, ultimo banco. Presi i libri e li sbattei sul banco e mi abbandonai sulla sedia.
«Ti è piaciuto il giro turistico sotto la mia maglietta?»
si era seduta affianco a me e guardava gli altri studenti entrare
«Spiegami perché tieni tanto a me»
chiesi sbuffando e appoggiai i piedi sulla sedia davanti
«Come? Vuoi uscire con me? Certo!»
si alzò eccitata e iniziò a scrivere qualcosa sul mio libro
«Che? Io non ho detto questo»
posò la penna e mi diede un delicato bacio sulla guancia. Non riuscì a dire più una parola. Ero paralizzato
«Quello è il mio indirizzo. Ti aspetto alle otto e mezza. Sii puntuale»
neanche il tempo di contraddirla che lei era già volata fuori. Sprofondai nella sedia. Tanto non ci vado, credo. 





Salve donneH :3
Spero che questo secondo capitolo sia stato mooolto meglio del primo. Sul serio... ditemi tutto quello che pensate. Io accetto tutto tutto tutto, anche se mi dite che sono una ciccia di strada io l'accetto -w- Ringrazio tutte quelle che hanno aggiunto già la storia nei preferiti e nelle seguite. grazie grazie grazie <3
Risponderò alle recensioni, se ce ne saranno, molto volentieri :3
Un bacio,

 

Frah

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Capitolo 3
*** #3 | because you can ***


Mi buttai di peso sul divano con un tè fumante tra le mani. Pesca. Amavo la pesca. Il suo profumo. Mi ricordava tanto quando mio padre me la portava vicino al naso e sentivo la peluria farmi il solletico
«Sicura che non si faccia vivo?»
mi girai verso la cucina
«Tranquilla. Non mi ha invitato sul serio ad uscire»
annui convinta ripensando alla mattina
«Esci?»
chiesi mentre presi il telecomando sul tavolino in mezzo al salotto. Ancora spoglio
«Si. Mio fratello mi vuole far conoscere la sua fidanzata barra oca»
risi accendendo la tv, ma niente di interessante. Come al solito
«Dai, non partire già con il piede sbagliato. Forse è simpatica»
la guardai mentre si sedeva affianco a me e appoggiava la testa sulla mia spalla
«Non voglio che soffra»
sorrisi e bevvi un sorso del mio tè
«Sophie, ha ventidue anni. Credo che abbia imparato a evitare certe persone»
sospirò e annuì
«Forse hai ragione»
si alzò e mi rubò un biscotto al cacao
«Vado a cambiarmi»
e sparì nella sua camera, tutta rosa, ovviamente. Diedi uno sguardo veloce all’orologio, le ventitre.
«Sophie? Ma dormi a casa di tuo fratello?»
chiesi alludendo all’orario.
«Si. Tornerei troppo tardi sennò. Ti dispiace?»
Beh, il discorso filava
«No no tranquilla»
mi alzai e portai la tazza vuota in cucina. La lavai e la lasciai nel lavandino. In quel momento entrò Sophie intenta ad infilarsi le scarpe, mi incantai a guardarla. Era una ragazza davvero bellissima. Bionda, bel corpo, occhi azzurri, vispi ma sopratutto grandi. Così tanto che si riusciva a percepire ogni sfumatura di quel colore che passava dall’azzurro chiaro al blu notte. La moda, i ragazzi e i film d’amore erano le sue passioni.
«Fely? Felicity?» «Ehm si?»
Ok, ero in un mondo tutto mio
«Ci sei? Quel ragazzo ti ha fatto qualcosa?»
la guardai e alzai il sopracciglio non capendo
«Lascialo perdere Felicity. Non so fino a che punto credere alle parole di mio fratello ma non mi ispira molto»
«Solo perché gira con un coltellino nella tasca non vuol -»
«Gira con un coltellino?»
forse dovevo evitare questo dettaglio
«E’ qualcosa di microscopico»
Mi guardò con uno sguardo serio, che purtroppo, conoscevo bene
«Lascio perdere ok?»
sorrise soddisfatta e prese la sua borsa abbandonata vicino al divano
«Ci spero Fely»
annuì prendendo il computer dal tavolo e accendendolo
«Io vado. William mi ha fatto uno squillo. A domani»
mi baciò la guancia
«Ti voglio bene»
annuì sorridendo
«Anche io»
chiuse la porta e sentì i suoi tacchi scendere velocemente per le scale. Non ero sul serio decisa e lasciar perdere tutto. Ormai ero troppo presa, davvero troppo. Aprì un motore di ricerca e digitai “Joseph Los Angeles Omicidi” niente. Il mondo era davvero all’oscuro di lui. Riprovai con “Omicidi Los Angeles” e mi ritrovai davanti almeno cinquanta articoli inerenti agli ultimi tre mesi. Persone con multiproprietà, industrie e giri d’affari intorno a loro di non so quanti dollari. Ma di certo non potevo collegarli a Joseph, niente mi faceva pensare a lui. Lo scoccare della mezzanotte del solito orologio in salotto mi deconcentrò e decisi di smetterla con quelle letture poco leggere. Spensi tutto e mi trascinai in camera mia e sistemare le ultime cose tolte dai cartoni. Mi ero portata tutte quelle foto per non sentire la mancanza di quelle poche anime che mi volevano bene. Mi spaventai sentendo sbattere qualcosa simile a una finestra. Decisi di controllarle tutte e infatti ne trovai una aperta. La porta finestra che portava al grande terrazzo tanto desiderato da Sophie Potremo organizzare party grandiosi così mi disse quando mi fece vedere le fotografie dell’appartamento. La chiusi per bene e sistemai le tende color crema. Una strana sensazione di essere osservata mi invase e mi girai lentamente per controllare, niente. Feci per ritornare in camera ma due braccia forti mi spinsero contro un corpo freddo. Mi mise una mano sulla bocca e un braccio intorno alla vita che stranamente mi impediva di muovermi. I respiri si fecero affannosi e sentii cadere qualcosa dietro di noi, un libro. Lo riconobbi. Copertina nera e usata, pagine spaiate. Joseph. Il suo respiro caldo si posò sul mio collo e deglutii
«Non dovresti lasciare il tuo indirizzo agli assassini. Non credi?»
annuì e cercai di liberarmi dalla sua presa. Riuscii a mordergli la mano che mi tappava la bocca
«Lasciami. Subito»
lo sentii ridere. Si stava divertendo.
«Joseph. Ti prego»
presi fiato. La sua stretta sulla mia vita mi impediva di respirare regolarmente. Mi lasciò cadere sul divano e lo guardai preoccupata. Era davvero diverso rispetto alla mattina. Nel suo sguardo c’era qualcosa che non avevo visto quella mattina. Vendetta. Eccitazione. Il vero Joseph era davanti ai miei occhi
«Ora hai paura di me»
disse. Era questo che voleva. Voleva vedere la mia paura nei suoi confronti. Ero furiosa
«Sei uno stupido. Uno stupido arrogante»
dissi continuando a tenere il mio sguardo fisso su di lui.
«Vedi a come mi parli ragazzina»
«Io ti parlo come voglio»
risposi secca. Cacciò dalla manica lo stesso coltellino che aveva usato la mattina. Furioso mi taglio il braccio di lungo. La lama che entrò nella mia pelle chiara bruciava. Avevo il cuore in gola dalla paura che mi impedì di urlare. Tremando portai la mano sulla ferita e premetti. Lo guardai
«Sai solo usare la violenza come uno stupido bambino che non sa difendersi con le parole. Vuoi cambiare, vuoi ricominciare da zero ma non hai un minimo di coraggio nel farlo. Sei forte solo con qualcosa di pericoloso tra le mani e credimi, non è una bella cosa. E’ da codardi. Ora, se non ti dispiace, vattene»
mi alzai e con una spallata mi feci spazio per passare tra lui e il divano. Corsi in bagno a medicarmi con le lacrime che chiedevano di uscire disperatamente. Sentii dei passi verso il corridoio, poi una corsa e infine lo sbattere della finestra del terrazzo. Vigliacco. Dopo essermi disinfettata mi guardai allo specchio. Una garza mi copriva quasi completamente il braccio. I miei occhi erano rossi dallo sforzo di non cercare di scoppiare a piangere. Stupida debolezza. Piangere per ogni cosa non serviva a niente. Lo avevo capito solo da pochi anni. Piangere non serviva a nulla. Solo tempo perso. Dovevo cambiarlo. Quel ragazzo voleva una mano ad alzarsi. Quella mano sarebbe stata la mia.





Eeeeh *-* Siamo già al terzo capito? ù.u
Così pare :3 Allora. Cominciamo dal fatto che io non mi aspettavo così tante recensioni ç_ç IO.VI.AMO 
Però devo anche ammettere che mi sono divertita a rispondervi care donnine *---* come siete belle <3
In questa settimana posterò venerdì e domenica molto probabilmente, visto che sono ancora in vacanza.
Quando inizierà la scuola vi farò sapere. Un bacio e ancora grazie, sul serio :*
PS. 
 silviking controlla se non ci sono errori ahahaha xD -w-

La vostra Frah*

 

Ah. comunque mi trovate su Twitter -w-
sono
Francyx_
<3

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Capitolo 4
*** #4 | rock your soul ***


 

Una bacheca piena fino ai bordi di foto grandi, piccole, rubate. Si vedevano a malapena perché in quella stanza c’era sempre più ombra che luce e l’unica finestra che bucava il muro destro era perennemente chiusa. Tapparelle serrate e serrande abbassate. Quella stanza doveva rimanere estranea al mondo. In quella stanza veniva deciso il destino di troppe persone. Joseph conosceva bene quelle foto e odiava che la maggior parte dei volti erano sorridenti. Quei sorrisi, lui, li avrebbe spenti. Tutti. E si trattava di pochi mesi e sarebbero morti tutti. Ma lui non uccideva. Anche volendo non avrebbe fatto male nemmeno a una mosca. In un certo senso, lui, accompagnava tutte quelle persone alla morte. Studiava come incontrarli per settimane e faceva succedere il tutto con spontaneità. Poi li frequentava, conosceva la famiglia e in poche settimane conquistava la fiducia di tutti. Ma lui fingeva, faceva solo il suo lavoro, il suo sporco lavoro. Per lui ricevere la fiducia di qualcuno significava aver terminato il suo lavoro perché poco dopo, dei suoi colleghi, li avrebbero fatti fuori. Serviva solo per spiare meglio la vittima. Fingere. Il suo verbo preferito. Con quel faccino dolce, Joseph, sarebbe andato lontano. Così gli ripeteva insistentemente il capo dopo aver svolto il suo lavoro nei migliori dei modi.
«Qualche idea?»
Non ebbi nemmeno il bisogno di girarmi, conoscevo quella voce.
«No. Marcus»
Si definiva il mio migliore amico. Ma non aveva niente di amico, tantomeno di migliore. Solo grazie a lui avevo questo lavoro. Certe volte mi pentivo di essere entrato in quel bar sperduto nelle vie di Los Angeles. Mi aveva offerto da bere e iniziammo a parlare e poi finì che entrai a far parte dell’associazione del padre. Gli associati erano perseguitati da un ossessione in comune. Uccidere. Privare la vita per loro era un modo di cui vantarsi. Un modo stupido, pensai, visto che fuori dalla villa Evans non erano nessuno. Tornavano a casa e giocavano con i figli, li toccavano con le stesse mani con cui avevano tolto la possibilità a qualcuno di vivere, desiderare, sognare. Si coricavano nel letto con la propria moglie o fidanzata e avevano atteggiamenti e modi diversi usati con il loro giocattolini. Violentate, abusate e alla fine uccise.
«Mio padre vuole terminare almeno cinque incarichi entro la fine del mese quindi cerca di avere idee decenti»
Eccolo. Il solito stronzo. Marcus Evans era definito un puttaniere. Ogni sera ospitava nel suo letto un minimo di due ragazze. Ovviamente belle. Era abile con le donne e aveva i suoi metodi per averle in poco tempo e sapeva come sbarazzarsene ogni mattina, con una scusa diversa. Quando conobbi il padre mi ero sorpreso di quanto si assomigliassero caratterialmente. Uccidere per loro era un hobby e conoscendoli avrebbero fatto fuori anche la loro madre solo per il gusto di divertirsi. Sicuramente sadici e spietati erano i loro aggettivi.
«Vedo quello che riesco a fare. Non gli prometto niente»
Questa era la mia frase usate negli ultimi mesi. Non avevo più voglia di fare quel lavoro da un po’ ma ovviamente non potevo lasciarlo così, quando volevo io. Ero dentro, completamente e lasciare tutto mi sarebbe costato tanto. Forse la morte.
«Joseph. Che ti prende? E’ da troppo tempo che non lavori seriamente»
Mi girai a guardarlo e appoggiai la mano destra sulla scrivania
«Lo so Marcus. Ma ho la mente da un’altra parte in questo momento»
Scosse la testa e frugò nella sua tasca e ne caccio l’accendino e una sigaretta mal ridotta
«Non ti sarai innamorato?»
Sorrisi amaramente. Cos’è l’amore? Sicuramente una parola, corta e formata solamente da cinque lettere. Però racchiudeva un significato troppo grande da comprendere. Molte persone, forse davvero troppe, lo definivano dannoso, inutile, una perdita di tempo. Nessuna donna fino ad all’ora mi aveva reso schiavo del suo cuore, nessuna mi aveva rubato l’anima.
«Stronzate»
Sorrise accendendosi la sigaretta e creando una nuvola di fumo
«Bravo. Che l’amore non serve a niente. Nella vita basta solo il sesso»
Eppure non ero d’accorto ma iniziarne a discuterne con lui era davvero inutile, testardo com’era. Secondo me il cuore batteva per qualcos’altro oltre al vivere. Batteva per darti una spinta. Batteva per farti sentire che lui era con te e che non ti avrebbe lasciato per una stronzata. Batteva per te e basta.
«Credo di essere innamorato solo del mio cuore»
Sussurai, quasi vergognandomi di quel momento di debolezza
«Come?»
Mi guardò e buttò la cenere per terra.
«Credo di aver avuto un’idea»
Ok. Cazzata del secolo. Mi si avvicinò e fissò per qualche secondo le foto
«Joseph? Illuminami»





Capitolo noioso e corto? Eh lo so çwç
Ma dovevo scriverlo per far capire meglio Joseph ù\\\\\ù
Vi ringrazio ancora per le recensioni e per aver inserito la storia nelle vostre preferito o/e seguite :'3
Ma ragazze, non sono così brava come dite voi çwç 
Buona Befana in ritardo di un giorno *\\\\\*
Love U All :3

 

with love, Frah*

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Capitolo 5
*** #5 | teenage dream ***


Felicity camminava sorridente attraverso il corridoio del college con una borsa a tracolla appoggiata sulla spalla e un quaderno stretto tra le braccia. Si era truccata poco quella mattina ma di solito non eccedeva mai. Voleva essere e non apparire. A differenza dell’amica non vestiva alla moda, non le interessava. Infatti quella mattina indossava degli shorts chiari, una maglia lunga con sopra stampata la bandiera americana e un cardigan color panna. Ah! dimenticavo le sue amate converse nere. Era passato un mese esatto da quando era arrivata a Los Angeles e non si era ancora abituata del tutto. Non conosceva alcune strade e si perdeva spesso e volentieri. Guardò l’orologio e sorrise. Era in anticipo di cinque minuti rispetto all’inizio della lezione ed entrò con calma nell’aula. Posò la borsa ai piedi della sedia facendo attenzione al suo compagno di banco di quell’ora e si sedette appoggiando le gambe sulla sedia davanti. 

«Non porti più la benda?»
Lo guardai e scossi la testa
«Non serve più, Joseph. E’ passato un mese, le ferite si rimarginano»
Annuì sorridendo
«Meglio così. Non ti donava»
Sorrisi guardandomi e aggiustandomi la maglia
«Scusami»
Sussurò. Dal suo tono di voce, anche se basso, si capiva che era dannatamente sincero.
«Non farlo più, mi sono spaventata. Sul serio»
Lo guardai sorridendo e non rispose, ma mi andò bene così. Rimanemmo un po’ in silenzio e guardai fuori dalla grande vetrata che dava sul giardino. Sospirai
«Sai Joseph. Ho tantissimi sogni che vorrei realizzare. E so, con malincuore, che non riuscirò a realizzarli tutti»
Mi girai a guardalo
«Ma non per questo non ci provo»
Mi fissò anche lui. Era così dannatamente bello. Con quegli occhiali un po’ grandi, neri che gli cadevano sul naso.
«Perché mi dici questo?»
Domanda ovvia, pensai
«Sinceramente non lo so»
Risposta stupida, ripensai.
«Posso fare una cosa che sicuramente non ti piacerà?»
Mi domandò.
«Basta che non mi tiri fuori un coltello o ti abbassi i pantaloni»
Risposi ridendo ma, neanche il tempo di fermarmi che mi si avvinghiò alla guancia, lasciandomi un bacio. Se prima riuscivo a formulare una frase di senso compiuto ora il mio cervello era andato direttamente a puttane. Si allontanò dal mio viso lentamente e si sistemò comodamente nella sua sedia. Continuavo a guardarlo
«C.Che ti-»
«Sai di pesca»
Sorrisi. Quella frase mi ricordava tanto mio padre.
«Grazie»
Risposi sorridendo e in quel momento entrarono gli altri. Lezione.

 

***

 

Sembrava un ragazzina dopo il suo primo appuntamento con il ragazzo che le piace. L’appartamento era vivo grazie alla musica ad alto volume. Teenage Dream, Katy Perry. Mi pare. E lei ballava e cantava come una pazza girando in mutande per casa. Lei, Pesca. Indossava delle mutandine bianche con sopra dei pallini di diverse dimensioni e colori poi, un reggiseno color rosa chiaro. Infine, un paio di calze a strisce bianche e rosse scese lungo le gambe. Se ve lo state chiedendo non la stavo fissando. La stavo praticamente mangiando con gli occhi. Miauuu ~. Un gatto enorme e arancione mi fissava con i suoi occhi verde smeraldo. Miauuu ~ continuò a miagolare. Cercai di scacciarlo con le mani ma niente.
«Shiò. Vai via palla di ciccia»
E ovviamente si mise seduto e si iniziò a laccare la zampa.
«Non chiamarlo palla di ciccia. E’ solo diversamente magro»
Dallo spavento caddi all’indietro e diedi una testata contro il muro. Sentii Felicity ridere con il micio tra le braccia. Si era coperta con una maglia lunga che le arrivava sopra le ginocchia. Mi alzai e mi ripulii
«Sono riuscita a spaventarti»
Sorrise e non potei fare a meno di ricambiare. Entrò in casa accompagnata dal miagolio del suo nuovo gatto. Entrai anche io e chiusi la finestra.
«Come lo chiamiamo?»
Mi domandò mentre si avvicinava
«Non lo so. Ammetto che non sono mai stato bravo con i nomi»
Ed era vero. Ad un pesce rosso quando ero piccolo gli diedi un nome come “Ugo”. Ma come si fa?
«E’ maschio. Ti piace George? Secondo me ha un muso da George»
Ma anche lei non scherzava. Annuii
«Per me va bene»
Dissi appoggiando una mano sul suo fianco e lei mi guardo mordendosi il labbro. Premetti leggermente la mano per avvicinarla a me e lei non si tirò indietro
«Ti ho portato il quaderno. L’hai dimenticato la settimana scorsa a lezione»
Annui sorridendo
«Ti ringrazio»
«Può sembrare stupido ma ho pensato che l’avessi fatto apposta»
Continuò a sorridere
«Sei in ritardo. Ti aspettavo il giorno dopo»
Felicity. Così dannatamente bella. Miauuu ~ scoppiammo a ridere e George si trascinò fino in corridoio alla ricerca di un posto tranquillo dove appisolarsi. La trasportai contro il muro. Non dovevo, lo so. Ma lo stavo facendo. Misi una mano dietro la sua coscia destra e l’alzai verso il mio fianco. Lei, quasi subito, si diede la spinta con l’altra gamba e impugnai tutte e due le cosce. La guardai e infilai il naso tra la sua spalla e il collo. Pesca. Quel profumo mi faceva impazzire.
«Belle calze»
Mi diede uno schiaffo leggero sulla spalla
«Lasciale stare. Sono carine»
Gli diedi un morso leggero e lei rise continuando ad accarezzarmi le punte dei capelli
«Per questo ho detto che sono belle. Ma non come le mutande»
«Che ti devo dire. Grazie?»
Si strinse a me e le diedi qualche bacio sulla spalla.
«Joseph?»
Mi chiamò e dalla mia bocca uscì solo un mugolio.
«Fatti una sega e passa tutto»
Restò qualche secondo in silenzio per poi scoppiare a ridere. La guardai e mi limitai sorridere. Sentimmo che qualcuno inseriva la chiave nella serratura e mi guardò seria
«Vai via. Subito»
Scese e mi trascino verso la finestra del terrazzo
«Vado vado»
Recuperai la tracolla e uscì cercando di non cadere
«Hey. Vieni qui un attimo»
Mi avvicinai e mi prese la mano. La guardai e si alzò sulle punte. Mi baciò la guancia. In quel momento mi accorsi che lei rendeva la mia risata un po’ più forte, il mio sorriso un po’ più lucente e la mia vita un po’ migliore. Infondo si chiamava Felicity. Cosa poteva darti se non la felicità?





Cioè ù_u GIA' AL QUINTO CAPITOLO? D:
Come fate a leggere queste cose io. io non lo so çwç
Chi vi ha pagato? Chi vi ha costrette a subire tutto questo? 
Ragazze. DENUNCIATE QUESTA GENTE E MANDATEMI IN GALERA çwç
... buon rientro a scuola xD

alla prossima,
Frah*

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Capitolo 6
*** #6 | you just don't know it ***


Primo esame da studentessa universitaria. Ero tesa, sopratutto perché non avevo seguito molte lezioni e grazie a una ragazza del mio stesso corso riuscii ad avere delle fotocopie. E più sfogliavo libri e più capivo che avevo fatto una scelta sbagliata. Studiavo da giorni ormai, rinchiusa in camera con Sophie che si lamentava sempre che non uscivamo mai. Quel giorno non c’era, shopping sfrenato con la fidanzata del fratello. Stranamente le piaceva e casualmente aveva qualche passione in comune con lei. Lo shopping, per fare un esempio. Naturalmente contro il mio esame c’era anche Joseph che aveva preso residenza nella mia testa. Non facevo altro che pensare a lui e a quello che era successo qualche giorno prima. Lui. I suoi occhioni color cioccolato che appena accennava un sorriso diventavano più chiari, quasi nocciola. Con un movimento di testa cercai di mandare via quei pensieri inutili in quel momento e ripresi la matita tra le mani ma, non appena appoggiai la punta sulla carta, suonò il citofono. Mi alzai controvoglia e, accompagnata da George, andai fino alla porta. La apri e mi ritrovai davanti Will.
«Will. Che ci fai qui?»
Chiesi mentre chiudeva il suo ombrello blu ed entrò in casa togliendosi il suo impermeabile bagnato.
«Beh. Sono solo, visto che mia sorella si è rubata la mia fidanzata. Ma come vedo, lo sei anche tu»
Mi squadrò dalla testa ai piedi. Indossavo semplicemente un paio di jeans e una canotta nera che, sopratutto sulla schiena, non copriva perfettamente il mio reggiseno azzurrino.
«Beh, in realtà starei studiando»
Chiusi il portone appoggiandomi e lui si girò.
«Oh beh. Allora me ne vado»
Era... deluso?
«No dai. Una pausa mi farà bene»
Mi sorrise e andammo in cucina dove lui si sedette su una sedia. 
«Che ti offro?»
Chiesi mentre aprii il frigo. 
«Niente. Sul serio»
Annuii e mi sedetti sul bancone facendo dondolare i miei piedi scalzi. 
«Felicity. Ti ricordi quando eri cotta di me?»
Arrossii di botto. Ben due anni prima ero stata per la prima volta invitata a casa di Sophie per una settimana di svago a New York dove, purtroppo, mi ero presa una sbandata per lui.
«Cotta. Sbandata è il termine giusto»
Lo guardai sperando che non si accorgesse delle mie guance in fiamme. 
«Poi tranquillo, è passata»
Continuai. Alzò le spalle e appoggiò il cellulare sul tavolo, spegnendolo. Gesto che, all’inizio, non capii.
«Come va con la nuova fidanzata? Dovresti farmela conoscere»
Decisi di cambiare argomento, era la cosa migliore. Non rispose e mi guardò, fissandomi per qualche secondo. Odiavo quando mi fissavano, era qualcosa che non sopportavo e per questo  che iniziarono a sudarmi le mani.
«Si beh. E’ un tipo»
Alzai il sopracciglio.
«Sai dirmi solo questo sulla tua fidanzata. E’ un tipo?»
Suonava come una critica, lo so. Mi alzai e mettendomi sulle punte dei piedi presi un bicchiere dandogli le spalle. Quando mi rigirai me lo trovai difronte e lentamente appoggiò le mani sui miei fianchi. Alzai le testa per guardarlo. Sinceramente, non capivo cosa gli prendeva. 
«Will che stai facendo?»
«Niente. Cosa vuoi che faccia?»
Lo guardai per pochi secondi e annuii, per poi divincolarmi per andare verso il frigo a prendere una bottiglia d’acqua. Mi sentivo ansiosa e non capivo se era per l’esame o per lo strano comportamento di William. Presi un respiro profondo e appoggiai il bicchiere sul tavolo riempiendolo d’acqua. Mi girai per chiedere se voleva anche lui un sorso d’acqua ma mi riprese per i fianchi facendomi sedere sul tavolo. Prepotente si fece spazio tra le mie gambe mentre con le sue labbra sfiorava il mio collo. E io ero paralizzata. La mia mente mi diceva Fermalo. Bloccalo. Reagisci. Niente, il mio corpo non rispondeva.
«W.Will no. Ti prego no»
Sussurai chiudendo gli occhi e poggiando una mano sul cuore cercando invana di rallentare i battiti. 
«Sssh. Stai calma»
Mi sorrise guardandomi mentre con il dito mi sfiorava le labbra. Si avvicinò al mio viso prendendomelo tra le mani. Sentivo il suo respiro sulle mie labbra ed era così dannatamente bello. Tutto d’un tratto era sparito tutto. La pioggia che batteva sulle finestre, Joseph e l’esame. Mi baciò ed io non potei far altro che ricambiare. Ed era così sbagliato ma anche così bello. Mi staccai quando mi prese in braccio e mi trasportò in camera mia. 
«Will. No, sarebbe troppo»
Lo guardai mentre mi sfilava la canotta e mi diede un bacio veloce. 
«Felicity. Basta non dirlo a nessuno»
«Non è così semplice. Io ci vivo con tua sorella»
Mi guardò alzando il sopracciglio e si sfilò la maglietta. Testone, come la sorella dopotutto.
«Dai, non mi va e poi non voglio che-»
Mi bloccò baciandomi bruscamente e in poco tempo mi sfilo le poche che avevo addosso. Entrò dentro di me con una spinta che mi fece sussultare e appoggiai le testa sulla sua spalla fissando la pioggia che sbatteva sulla finestra e assaporavo il sapore delle mie lacrime che scorrevano silenziose sulla mia guancia mentre lui continuava indisturbato. La mia mano destra gli accarezzava le punte dei capelli mentre l’altra scaricava tutto il nervosismo sulla sua schiena nuda. Non si poteva chiamare amore, perché non lo era. affatto. Era un soddisfare piaceri per lui e un annegare dispiaceri per me. I nostri gemiti si facevano più forti rispetto ai suoi movimenti dentro di me, le mie mani rosse stringevano troppo forte quelle lenzuola bianche e George grattava sempre più forte sulla porta per poter entrare. Tremavo all’idea che Sophie potesse rientrare da un momento all’altro e con lei la fidanzata di quel tipo che era sopra di me. Quando raggiungemmo il piacere massimo, sfinito, si appoggiò affianco a me e io mi coprì con il lenzuolo dandogli le spalle e ispirai più aria possibile in quei polmoni. Mi toccò la schiena e io mi scansai. Teneremente  mi raggomitolai in me stessa cercando quel calore che nessuno sapeva darmi. 
«Quindi... Grazie»
Quel grazie mi risuonava squallido persino nella mia testa. Grazie di cosa? Grazie di essere stata così disposta ed essere usata? Grazie di avermi regalato una sveltina nel tuo squallido letto?
«Vestiti e vattene. Subito»
«Fely io-»
«E non fiatare. Ah! Non chiamarmi più Fely. Così possono chiamarmi solo i miei amici e tu non lo sei»
Recuperai l’intimo sul letto e me l’infilai sotto le coperte. Lui si rivestì subito gettando qualche occhiata su di me. 
«Senti Felicity... potresti non parlarne con Sophie?»
«William esci da questa stanza»
Sentivo le lacrime risalire. Volevo urlare. Volevo liberarmi. Prese tutta la sua roba e, uscendo dalla camera, lasciò la porta aperta così da far entrare George che un miagolio dolce salì sul letto e mi scoprì la faccia coperto dal lenzuolo. William uscì sbattendo il portone. Sospirai e la zampetta di quel gatto arancione mi tocco la guancia. I suoi occhi verdi mi fissarono. 
«George»
Sorrisi e appoggiandosi al mio petto delicatamente, miagolò. 
«Hai una padrona che dimostra diciassette fottutissimi anni. Ho un nome e una faccia e questo dovrebbe bastarmi per ottenere quello che voglio. Ma non capisco perché ho questa paura di urlare il mio nome e di far vedere la mia faccia»
Gli accarezzai il dorso. 
«Comunque, la tua padrona ha un’arma che nessuno potrà togliergli. Il sorriso»
E come risposta ebbi uno sbadiglio. George. In quei pochi giorni che era diventato il mio gatto ero sempre più convinta che fosse una reincarnazione di qualche poeta. Lo guardai. 
«Ho bisogno di uno psichiatra»
Dissi ridendo mettendomi le mani sul viso. Si ride per non piangere. Non fu mai così dannatemente vero.




E' stata dura anche per me scrivere questo capitolo, ma doveva succede çwç
Cioè, loro due  sajhdfsaòsfj >< Vabbè dai, è passato tuuuutto *w*
Spero di aggiornare presto anche perché la scrittura del settimo capitolo sta diventando difficile D:
Non mi convince ùu Comunque grazie ancora a tutte per le recensioni, per le visite e per aver aggiunto la storia nelle preferite o/e seguite. Grazie <3
Ah! Se volete potete farmi qualche domanda qui - http://www.formspring.me/Fraaaah
Sarei molto felice di rispondervi :3

 

with love
Frah.

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Capitolo 7
*** #7 | the music you choose ***


Biblioteca pubblica di Los Angeles. O meglio, il mio rifugio preferito. Proprio così, quando non avevo niente da fare e volevo entrare nel mio mondo mi rifugiavo nella biblioteca. Sopratutto nell’unico giorno della settimana che rimaneva aperta anche di notte, il mercoledì; prendevo una decina di libri e mi sedevo per terra a sfogliarli avvolto dal silenzio. Varcai la soglia e il silenzio mi invase l’anima. Anche se ero molto insicuro di possederne una comunque percorsi in silenzio le scrivanie mezze vuote e decisi di salire al piano di sopra. Mangiai quelle scale a due a due ed entrai in un nuovo reparto, storia della musica. Sfiorai tutte quelle copertine di diverso tessuto e spessore e chiusi gli occhi. C’era qualcosa di magico in quella biblioteca, quasi surreale. Solo li dentro mi sentivo sereno e non avevo bisogno di premere le cuffie dell’ipod fino a far sanguinare le orecchie, di sbattere la porta per create anche un minimo di rumore in quella casa vuota. Non vivevo più con la mia famiglia ormai da più di due anni e, a dirla tutta, non avevo notizie di loro da quando decisi di vivere a Los Angeles. Qualunque cosa facevo e per quando potevo sforzami le persone che amavo erano quelle che ci rimettevano quindi, a malincuore, decisi di allontanarmi. Qualcosa di liscio sotto i polpastrelli mi fece aprire gli occhi. “Bambini prodigio della musica classica”. Ed effetti quel titolo mi rattristava un po’. I bambini sono speciali in quanto bambini e non mi sembrava giusto valutarli allo stesso livello degli adulti. Sfogliai qualche pagina ma il capitolo sul duemiladue mi colpii immediatamente. Io avevo solo dodici anni e avevo appena scoperto la musica con i miei fratelli e invece questi ragazzini erano già dei piccoli mostri della musica. Leggevo nomi e sfogliavo foto e rimasi scioccato dalla bellezza di una ragazzina con i capelli lunghi bruni con dei grandi boccoli che le cadevano sulle spalle e un sorriso perfetto che le illuminava il viso. Felicity Evans il suo nome.
«Felicity Evans. Pianoforte. Passione nata grazie al padre, appassionato di musica classica»
Mi girai e la versione cresciuta della foto era accanto a me che fissava sorridente la pagina aperta.
«Hai scoperto il mio segreto»
Continuò appoggiandosi sulla mia spalla. 
«Suoni il piano?»
«Suonavo»
Una punta di amarezza si sentì attraverso il suo tono pacato. 
«Ho smesso da quanto mio padre è andato via»
«Oh. Condoglianze»
«E’ vivo. Cioè, spero. E’ andato via di casa»
Prese il libro tra le sue mani e lo richiuse, mettendolo al suo posto. La guardai.
«Mi. Mi dispiace»
«Già. Anche a me»
Riprese la sua borsa che aveva lasciato a terra e mi sorrise.
«Quindi...»
Misi una mano dietro la nuca e la guardai. 
«Che ci fai qui?»
Alzò il sopracciglio. 
«Sono venuta a riportare un libro»
Annuii.
«Leggi?»
«Beh si. Ho imparato alle elementari»
Scossi la testa ridendo
«Ci vediamo Joseph. Al college»
Disse dandomi una pacca leggera sul braccio. 
«Certo e, comunque, anche io ho un segreto. Che riguarda la musica»
Alzò lo sguardo. 
«Sul serio?»
Annui sorridendo. 
«Lo scoprirò»
Disse soddisfatta ripercorrendo tutto il corridoio e sparendo attraverso gli scaffali. Ripresi il libro e strappai la pagina che parlava di lei facendo attenzione a non fare rumore. Era un mezzo reato ma dovevate vederla. Era così bella.

 

***

 

Avevo letto su un manifesto appeso al bar del college di un mercatino dell’usato e con le precise indicazioni del barista stavo cercando di arrivarci. Non so perché amavo andare a questi tipi di mercatini, semplicemente volevo dare una seconda possibilità a quella roba usata e buttata.  In effetti era quello che volevo io, una seconda possibilità. Sapevo che valevo qualcosa, un minimo almeno. Sapevo che volevo dare e potevo dare tanto ma non capivo perché nessuno voleva apprezzarmi. Perché si sa, la felicità va semplicemente apprezzata. Vagavo stringendo e rileggendo gli appunti che avevo preso mentre cercava di spiegarmi il più semplice possibile e alzai la testa appena sentii della musica jazz provenire da un giradischi in lontananza. Appena vidii tutte quelle bancarelle piene zeppe di roba un sorriso di allargò sul mio viso. Buttai gli appunti nella borsa e iniziai a passeggiare tranquillamente fermandomi qualche volta a da un’occhiata mentre la musica continuava ad addolcire l’atmosfera. Qualcuno si mise a ballare e altri invece si limitavano a muovere leggermente la testa. Trovai un collarino per George, con tanto di medaglietta a forma di lisca di pesce. Dopo venti minuti arrivai alla fonte di quella musica, una bancarella con migliaia di 33 e 45 giri e qualche scatolone di cd. Mi buttai a vederli uno ad uno. Copertine sbiadite, vestiti e acconciature di qualche tempo prima che mi fecero sorridere. Una copertina sul rosso con tre ragazzi in primo piano, il primo ragazzino a destra si capiva che era il più piccolo, quello al centro era leggermente più alto dell’ultimo ragazzo a sinistra. Notai subito la capigliatura riccioluta del primo ragazzo poi spostai lo sguardo sul titolo: Jonas Brothers It’s About Time.
«J.Jonas?»
Esclamai stupita richiamando l’attenzione del proprietario. Apri velocemente il cofanetto rompendo il sigillo. 
«Hey»
«Lo compro, non si preoccupi»
Risposi mentre cercavo qualcosa che mi riportasse a lui. Ed ecco che una foto all’interno del libretto mi schiarii tutte le idee. Quel viso da bambino se lo portava ancora adesso.

 

With Love, Kevin Paul, Nicholas Jerry and Joseph Adam Jonas. God Bless You.


«Ho. Ho scoperto il suo segreto»
Dissi squillante verso il signore che sicuramente non capì niente. 
«Oddio. Cioè lui, i suoi fratelli. Un Cd!»
Presi quasi tremando dei soldi dal portafogli e glieli lasciai sul tavolo portandomi via il cd. 11 Tracce che mi parlavano di loro, di lui e già sapevo che avrei consumato quel cd fino a farlo spaccare in due. Ti prego sii mia lessi l’ultima traccia e sorrisi.
«Dipende da com’è la tua voce, caro Joe»
Scossi la testa ridendo della mia stessa battuta e soddisfatta dei miei acquisti ritornai a casa. Perdendomi una volta durante il ritorno, dettagli.




Hey hey hey ma mi state abbandonando? çwç
"Solo" cinque recensioni allo scorso capitolo? çwç
Vabbeh dai uu vi perdono perché vi adoro troppo <3
Dal prossimo capitolo spero che cambi tutto uwu aaah curiose eh?
Basta. Non so che dire xD
Il solito grazie no? ovvio <3
Un bacio,

Frah.

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Capitolo 8
*** #8 | together we cry ***


«Sono a casa»
Esclamai chiudendo il portone e lasciai la borsa vicino al divano. 
«Sophie?»
Chiesi entrano in cucina. Ero sicura che fosse in casa perché ci eravamo lasciate poco prima perché io dovevo andare a ritirare un libro.
«Sono in camera tua»
Sentii la sua voce provenire dal corridoio e andai da lei. Si era seduta sul mio letto fissando non so cosa. Io, mi appoggiai alla porta incrociando le braccia al petto.
«Qualcosa che non va?»
Dissi poco dopo rompendo quel silenzio diventato insopportabile. Si girò verso di me
«Si. In realtà»
«Allora dimmi»
Dissi togliendomi le scarpe e inforcando le mie amate pantofole.
«Sei andata a letto con William»
Mi girai verso di lei.
«Chi te l’ha detto?»
Si alzò dal mio letto
«William»
Perfetto. In quel momento capii tutto. Mi aveva fatto passare dalla parte del torto.
«Sophie è stato tutto un enorme sbaglio»
«Oh certo. Dicendo così non risolverai niente. Felicity cazzo, l’hai trascinato in camera»
«Cosa? E tu gli credi anche?»
«Fino a prova contraria tu non mi hai parlato di questa cosa e si, gli credo»
«Ti ha riempito di stronzate. Io non l’ho strascinato da nessuna parte e poi lui mi ha costretto. Credi sul serio che io volessi andare a letto con tuo fratello?»
«Si. Ti è sempre piaciuto»
La guardai e inizia a ridere per il nervosismo.
«Quella di tre anni fa è stata una sbandata e, credimi. E’ passata»
«Felicity tu sai quanto voglio bene a mio fratello e sai anche che non voglio che nessuno lo ferisca»
«Io non ci credo. Tu dai ragione a tuo fratello e poi cazzo. Sai che ti dico? Se non andavi in giro con la tua nuova amichetta non sarebbe successo niente»
«Ora stai dando la colpa a me?»
«No. Voglio solo farti capire che oramai la nostra amicizia sta andando a farsi fottere perché uno stai davvero pensando che io sia una puttana e due penso che oramai mi hai trovato un rimpiazzo quindi per te sono solo un peso»
Sinceramente non so se le urlai contro oppure il mio tono abbastanza pacato ebbe la meglio. In ogni caso mi liberai. In parte, ma mi liberai.
«Perfetto. Ora che hai fatto la tua grande sparata puoi anche andartene. Non credi? Sei un peso no?»
Mi scivolarono le mani sui fianchi notando la valigia dietro di lei.
«Mi stai cacciando di casa?»
Dissi guardandola negli occhi.
«In valigia ti ho messo tutto quello che potrebbe servirti per massimo una settimana poi, verrai a prenderti tutto»
«No. Tu non puoi cacciarmi da casa nostra. Perché cara mia, io qui pago mezzo affitto»
Scosse la testa sorridendo.
«La tua parte di affitto la riavrai e poi devi portarti via quel gatto. Subito»
Incrociò le braccia al petto e con un spallata la scansai per prendere la valigia che mi aveva preparato poi, mi girai verso di lei.
«Sinceramente penso che ti manchi la tua vita da ragazza ricca di New York. I portieri, gli autisti e tutta la bella compagnia pagata da tuo padre»
«E anche se fosse? Mi hai trascinato tu qui»
Mi rimisi le scarpe e mi infilai una felpa.
«Sophie...»
Si rigirò verso di me con la stessa posizione di prima. 
«Dimmi»
Lei, la mia migliore amica che mi stava cacciando dalla sua vita per un solo errore che avevo commesso, dopo tutto quello che avevo fatto per lei. Ma alla fine potresti fare anche centro cose fatte bene e una male. Le persone ricorderanno solo la cosa riuscita male.
«Vaffanculo»
Presi George e lo infilai in borsa trascinandomi la valigia verso il portone. Scovai le chiavi nella tasca della giacca e le lasciai cadere a terra. Uscii di casa con nemmeno una minima idea di dove andare. Misi tutto in macchina e guidai fino al collage sperando che qualche camera fosse libera anche per poco. Ma ovviamente, essendo sfigata fino all’osso, trovai tutto occupato. Mi trascinai fino al bar del campus per bere un caffè al volo e subito dopo andai in segreteria a farmi dare l’indirizzo dell’unica persona che conoscevo oltre a Sophie e a William. Ringraziai la signora e ritornai in macchina stringendo quel fogliettino tra le mani. Sospirai mettendo in moto e guidando verso quel quartiere sconosciuto. Ci arrivai in mezz’ora ed era anche già buio, anche se erano solo le sette di pomeriggio. George si era appisolato sul sedile posteriore e non do fastidio. Presi coraggio e uscii dalla macchina, aprii il cancelletto in ferro battuto e camminai fino alla porta. Avevo il cuore in gola dalla paura di ricevere un ennesimo no come risposta. Pigiai sul campanello che ovviamente non funzionò così bussai sulla porta abbastanza forte. Mi morsi il labbro e mi misi sulle punte per sbirciare dal vetro. Aspettai ben due minuti prima che mi aprisse. 
«Si?»
Mi guardò sorpreso.
«Per prima cosa: Ciao. Seconda cosa potresti ospitarmi per qualche giorno? Cioè. Sono stata cacciata di casa quindi in questo momento sono in mezzo a una strada con un gatto che mi dorme in macchina e fra due giorni abbiamo l’esame e io mi sono scordata completamente tutto»
Iniziò a ridere e si appoggiò alla porta guardandomi.
«Che hai fatto per essere cacciata di casa?»
Sospirai. Stavo dicendo cose senza senso e lui si era fermato alla seconda frase.
«Ora non ti interessa. Comunque scusami, sono ridicola. Non dovevo venire fino a qui»
Sventolai velocemente la mano come per salutarlo e mi girai verso la macchina.
«Ho una camera libera. Sempre se ti interessa»
Sorrisi e mi rigirai verso Joseph. Annuii.
«Vado a. Vado a prendere la valigia»
«Ti aiuto»
Appannò la porta e mi sorpasso. Mi portò la valigia fino in camera e io liberai George per il salotto.
«Fame?»
Joseph spuntò dietro di me facendomi prendere un colpo.
«Perfetto. Mi hai fatto perdere almeno dieci anni di vita»
Sorrisi sistemandomi il mio scaldacuore
«Comunque un po’ si»
Continuai
«Pizza?»
Alzai il sopracciglio
«Amo la pizza. Ma ho dato uno sguardo in cucina e sembra che tu stia mangiando pizza e roba comprata da millenni»
Scoppiò a ridere
«Si. In realtà si»
Sorrisi. Quel ragazzo mi aveva mostrato due dei suoi tanti lati ma il suo sorriso era qualcosa che ti scaldava il cuore
«Allora andiamo a fare una spesa decente»
Dissi prendendo la borsa e mettendomi il mio cappellino di lana.
«Cucini?»
«Perché no?»
«Dimmi che mi fai la pasta»
Annuii ridendo e uscimmo di casa. Parlò per tutto il tragitto di Los Angeles e mi accorsi che la conoscevo davvero poco.
«Un giorno di porterò in un posto»
Mi disse e io non feci altro che annuire aspettando quel giorno.




Ok. QUESTO CAPITOLO E' ORRIBILE.
Però questa volta sono perdonata uu Mia madre ha avuto la febbre e, ovviamente, mi ha trasmesso tutto a me çwç
Sul serio. E', è orripilante ò-ò
Quindi pregate per me che il mal di testa mi abbandoni uu 
Ringrazio tutte per le dieci recensioni, vi giuro io.vi.amo çwç
Alla prossima (questa volta non vi mando il bacio perché sennò vi ammalate anche voi uu),

Frah, la malata <3

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Capitolo 9
*** #9 | smile? ***


Il lenzuolo mi solleticava la pancia scoperta mentre mi osservavo intorno. Mi ero appena svegliata e mi ero abbandonata ad osservare quella stanza leggermente vuota. Il bianco panna delle pareti illuminava la stanza facendo risaltare i pochi componenti d’arrendo che tendevano al blu. Una poltrona, un’armadio a tre ante, un comodino, un letto singolo leggermente più grande del normale e un piccolo tappeto riempivano la stanza. Appoggiai la schiena allo schienale del letto. Il sole sbucava attraverso la tenda semitrasparente che copriva il paesaggio della città in lontananza. Era strano come quartiere, ma anche estremamente calmo. Non c’erano tante macchine e si riusciva a percepire il fruscio delle foglie sugli alberi e le urla dei bambini dal parco vicino. Mi alzai a fatica, mi infilai la solita felpa lunga che mi copriva fino alle ginocchia e per comodità, prendendo l’elastico dal comodino, mi feci una coda. Uscii dalla camera e scesi lentamente le scale per poi arrivare fino in cucina. Sull’isola al centro alla stanza trovai una tazza di latte e caffè ormai tiepida e, sotto di essa, un bigliettino. 

 

❝ Sono sul tetto. Passa per camera mia ❞

 

Scossi la testa sorridendo e diedi un sorso alla tazza. Risalii le scale e percorsi il corridoio fino alla stanza difronte alla mia. Diedi un colpo alla porta incerta e si aprii lentamente.
«Joe?»
Lo chiamai notando il letto matrimoniale vuoto e le migliaia di polaroid sopra di esso.
«Sono qui»
Tutto d’un tratto vidi il suo viso sorridente sbucare dalla finestra. Da perfetto ragazzo barra casalingo portava addosso solo i pantaloni del pigiama e i suoi capelli erano, ovviamente, sconvolti. Mi avvicinai alla finestra e mi prese le tazza dalle mani aiutandomi a salire.
«Buongiorno. Dormito bene?»
Chiese ridandomi la tazza una volta tutte e due sul tetto, sorrise e si rimise a sedere appoggiandosi al muro.
«Lo sai che la tua scrittura fa schifo?»
Mi sedetti affianco a lui e sorseggiai il mio caffè latte e scosse la testa ridendo.
«Grazie per il complimento»
Gli feci l’occhiolino e continuai a bere.
«No. Sul serio hai dormito bene?»
Appoggiai la tazza sul davanzale e lo guardai.
«Certo»
Sorrisi.
«Meglio così. La finestra di quella camera è un po’ rotta»
«Sono al sicuro. Super George mi protegge»
Dissi stendendo le gambe.
«Come mai tutte quelle polaroid?»
Chiesi portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Mi piace fotografare e ho un amore per le polaroid. Tu scatti e puf. Hai la foto»
Annuii sorridendo.
«Grazie per il caffè»
Alzò le spalle e continuai a vedere George giocare in giardino con qualcosa simile a una palla.
«Perché la tua amica ti ha cacciato di casa?»
«Giri sempre a petto nudo in casa?»
«Felicity»
Si fece serio e sospirai mentre mi alzai.
«Sono andata a letto con William, il fratello»
Iniziai a camminare avanti e indietro in quello spazio limitato.
«E lei ha creduto a lui e non a te. Giusto?»
Lo guardai incrociando le braccia al petto. Aveva fastidiosamente ragione ogni volta.
«Ripeto. Giri sempre a petto nudo in casa?»
«E tu stai sempre con le gambe scoperte in casa d’altri?»
«Ti da fastidio?»
«No. E a te?»
«No»
«Perfetto»
«Perfetto»
Scossi la testa sorridendo.
«Il fatto è che mi dispiace. Mi dispiace di essere così davvero troppo sbagliata. Sono consapevole che in me ci sono tanti e davvero troppi difetti. Mi dispiace di non essere come le persone a cui voglio bene vogliono che io sia. Mi dispiace e basta»
Ripresi la tazza dal davanzale e sorrisi a Joseph che continuò a fissarmi
«Buona giornata, Joe»
E detto questo, rientrai in casa.

 

***

 

«E se una prospettiva diversa potrebbe semplificare le cose?»
Appoggiai i gomiti sul tavolino e Joe mi guardò. 
«In che senso?»
«Siamo seri. Lo scopo della vita è godersi ogni momento e invece noi che facciamo? Ce la complichiamo»
«Quindi cosa dovremmo... fare?»
Mi chiese facendo roteare il suo muffin al cioccolato che io prontamente afferrai.
«Sorridere, credo»
E diedi un morso al dolce. Scosse le testa ridendo.
«Ti giuro che ti caccio anche io di casa se continui a rubarmi i dolci dalle mani»
Ingoiai il boccone e lo guardai.
«Joseph. Moriresti senza i miei spaghetti al tonno»
«Hey! Ho imparato a»
«A bruciare persino l’acqua»
Continuai ridendo.
«Imparerò»
Disse soddisfatto alzandosi ed andando a pagare. Mi alzai e lo aspettai all’entrata del bar del campus stranamente strapieno. Dopo pochi minuti mi raggiunse. 
«Casa?»
Annuii e percorremmo il viale per arrivare al parcheggio.
«Ciao Fé»
Mi sentii chiamare e mi girai. Quel mezzo sorriso che avevo sulla faccia si spense guardando quel ragazzo stravaccato  sulla panchina insieme a due amici. Mi avvicinai.
«Joseph guarda! Il mio amicone Will»
Ovviamente era tutta pura ironia e lentamente mi misi difronte a lui.
«Allora? Come va?»
«Và che tua sorella mi ha cacciato di casa perché ha un fratello bugiardo, infame e che non sa tenerselo nelle mutande»
I suoi amici iniziarono a ridere e si alzò.
«Oh. Mi dispiace»
Strinsi i pugni e mi allontanai di qualche passo per poi dargli un pugno dritto dritto sul naso
«Si. Anche a me»
Ritornai da Joseph visibilmente scioccato e mi portai la mano al petto.
«Fa sempre così male?»
Dissi alludendo alla mia mano dolorante.
«Se ci metti tutta quella forza... Si»
Scoppiò a ridere e scossi la testa sorridendo. Non avrei mai pensato di riuscire a dare un pugno, ma come si dice? Mai dire mai no?




Taaadan -w-
Sono K.O ragazze xD febbre e gola in fiamme uu
Quindi sul serio, scusatemi se ci sono errori o non vi piace çwç
Con questo vi lascio e io vado a bere il mio tè caldo -w-.
Ah! Ancor grazie grazie grazie :3 non so cosa farei senza di voi <3

Un abbraccio :3
Frah *w*

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Capitolo 10
*** #10 | if not now, then when? ***


Dopo aver passato la mattinata al college per sostenere il famoso esame ero ritornata a casa verso l’ora di pranzo e, stranamente, Joseph ancora non era tornato. Mi cucinai qualcosa di veloce a causa della poca fame avendo ancora addosso l’ansia. Mi appoggiai pesantemente alla spalliera della sedia del tavolo e dondolai su due piedi. Mi guardai intorno ed effettivamente quella casa era un disastro. C’era un parquet che richiedeva di essere cerato, tende bucate, per non parlare del divano, le pareti erano di un simpatico color crema andata a male. Mi alzai decisa a sistemare tutto iniziando a sistemare le tende prendendo ago e filo. Effettivamente passai il pomeriggio a lavare finestre e cerare il parquet per tutta casa. Buttai il divano e ne comprai uno su ebay a un prezzo ragionevole. Sistemai la libreria e catalogai i libri per colori, così, per dare un po’ di fantasia alla stanza. Mi ritrovai anche in soffitta a sfogliare vecchi album della famiglia Jonas. L’allegria era palpabile ancora a distanza di anni e quei sorrisi reciprochi su quei visi sereni erano era la prova che era una famiglia splendida, rara. Decisi di portarlo di sotto e di trovargli un posticino nella libreria in salotto per cui mi alzai e, un passo per volta, cercai di arrivare alla porta da cui filtrava un minimo di luce ma, ovviamente, andai a sbattere contro qualcosa che provocò un rumore simile a delle corte di chitarra. Curiosa di sapere cosa fosse decisi di dare un’occhiata e vedere se non avevo ammaccato niente. Aprii lentamente la zip e con la mano portai la polvere che si stava alzando lontano dalla mia bocca. Da quella fodera ne uscì fuori una splendida chitarra sui colori scuri. Sopratutto la parte frontale che dai bordi neri man mano che si arrivava al centro sfumava in un marrone chiaro e mancavano due corte. Presi anche quella e mi portai dietro anche la fodera. Chiusi la porta della soffitta con una fiancata e portai tutto in cucina per dargli una ripulita da quell’odiosa polvere. Trovai un posto per l’album vicino ai dizionari e dopo aver lavato per bene la chitarra la portai in camera di Joseph e l’appoggiai affianco al letto. Ci tenevo davvero che si riavvicinasse alla musica perché in effetti lui era musica, faceva parte di lui da sempre. Si notava, si capiva. Si capiva quando era distratto e teneva il tempo con le dita su qualsiasi superficie si trovava vicino. Si capiva quando lo si sentiva cantare sotto la doccia. Si capiva anche quando fissava i musicisti di strada con uno strano sorriso. Un sorriso tra il felice e il malinconico.
«Che ci fai qui?»
Sobbalzai sul posto sgranando gli occhi dallo spavento. Mi girai e mi trovai Joseph davanti con ancora il giubbino e il casco della moto in mano.
«Ecco io»
Iniziai a balbettare non sapendo cosa inventarmi al momento. Spostò lo sguardo dietro di me e incontrò la chitarra con gli occhi. 
«appunto»
Mi lasciai scappare dopo un leggero sospiro.
«Ho trovato il tuo, ovvero il vostro cd in un mercatino. It’s About Time giusto? L’ho ascoltato ed è davvero magnifico. Joseph, la tua voce è è non ho aggettivi per descriverla ok? Però ti prego, ricomincia a suonare perché si vede che vuoi ma non capisco cosa ti blocca. Sei nato per suonare, cantare e scatenarti. Fammi, cioè io vorrere vedere il vero Joseph ok?»
Gli sorrisi e uscii dalla stanza con la speranza di aver detto quello che effettivamente volevo dire da tanto.
«Promettimi che inizierai anche tu, con me»
Mi girai di scatto verso di lui che mi era venuto dietro portandosi dietro il suo sorriso.
«Certo» sorrisi incerta pensando a quello che avevo appena detto. Non sapevo se ero pronta a rimettermi davanti a un pianoforte, a provare di nuovo quelle sensazioni. In realtà ancora non sapevo se ero pronta a ricordare.
«E poi devi spiegarmi che fine ha fatto il divano e perché in questa casa c’è così tanta luce pur essendoci le luci spente»
Scossi le testa ridendo.
«Si chiamano pulizie Joseph e, ogni tanto, si fanno. sai?» 

 

***

Scesi dalla macchina infilandomi la mia giacca sportiva, mi avviai verso il vialetto ed entrai in casa attraverso la grande porta finestra del salotto.
«Joe?»
Esclamai entrando e magicamente una ragazza mi apparì davanti. Abbastanza alta, castana e naturalmente con un bel culo.
«La smetti di fissarmi il culo e sposti il tuo grazioso sguardo sulla mia faccia e mi dici chi sei?»
Appoggiò la mano sul suo fianco facendomi notare i suoi jeans stretti che facevano risaltare le sue forme così fottutamente perfette.
«Ho un libro mano che potrebbe arrivati sulla faccia. Mi dici chi sei?»
«Marcus e tu sei così fastidiosamente figa»
Alzò il sopracciglio. 
«Sei amico di Joseph?»
«Si e tu sei?»
«Coinquilina. Convivo con lui, per ora»
«Potresti convivere con me nel mio letto? Non sarebbe affatto male»
Dissi continuando ad osservarla e portandomi il dito sotto il labbro.
«Marcus. Giusto?»
Annuii.
«Quante ne hai rimorchiate così? Per curiosità?»
«Tante. Non t’immagini nemmeno»
Sorrise. 
«Sono contenta per te»
Sparì in cucina lasciando una scia di profumo. Pesca? la raggiunsi.
«No dai sul serio, sono stato un pochetto stronzo»
«Stronzo credo sia il tuo secondo nome sai?»
«Scusa?»
Sospirò.
«Che vuoi?»
«Joe non c’è?»
«No e non so quando torna»
«E tu che fai?»
«Passo il tempo?»
«Come?»
«Scocciandomi?»
«E se stasera ti vengo a prendere e usciamo tu che mi rispondi?»
«Si. Cioè No. No No No»
Mi guardò e scoppiai a ridere.
«Vale la prima risposta mi dispiace»
«No sul serio. No»
«Non vedo che alternative hai. Stare a casa tutta la sera a rimpilzarti di popcorn davanti a un film strappalacrime? Aspettare Joe come se fossi sua madre? Fare la calza?»
«Basta. Ok esco con te?»
Sorrisi e lei mi ricambiò.
«Non sono così male come sembro»
Alzò le spalle e si appoggiò al bancone della cucina guardandomi.
«Allora ci vediamo alle nove. Fra cinque ore. Non darmi buca ok?»
Scosse la testa ridendo.
«Vai via ora?»
Annuii e uscii da quella casa perfettamente come ero entrato. Era mia.




Mi scuso di non aver postato ieri ma il capitolo non era ancora pronto e. e così io ç_ç
Vabbeh volevo comunicarvi cheee ... non ho più la febbre e oggi sono tornata a scuola dopo una settimana -w-
Ah! Sono euforica perché non abbiamo più la palestra e quindi non si fa educazione fisica ljdfhdlfhdsigf *delira*
Comunque uu Siamo arrivati a dieci capitoli? Ma voi ci credere? *-*
E sopratutto non ho avuto tempo di rispondere alle vostre recensioni e quindi lo farò ora :3
Grazie a tutte per le recensioni e per aver inserito la storia nelle vostre preferite e/o seguita e/o da ricordare.
Davvero, grazie io non mi aspettavo tutto questo çwç
G R 
I E *3*

Vi mando un bacio e alla prossima (spero presto, dannata scuola uu) <3
 

with love,
Frah.

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Capitolo 11
*** #11 | I won't go home without you ***


«Dove vai?»
Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi color cioccolato di Joseph su di me.
«Io? Esco»
Dissi infilandomi gli stivaletti sotto il mio jeans lungo ma sopratutto attillato.
«Con?» 
E ti pareva. Mi infilai la giacca argentata
«Marcus. Il tuo amico»
«Marcus? Io non conosco nessun Marcus»
«Capelli neri tutti fighi, occhi azzurri. Un bel ragazzo insomma»
«Aaah Marcus»
Fece per ritornare di sotto ma dopo pochi secondi era ancora in bagno mentre cercavo di truccarmi leggermente.
«No fammi capire bene. Marcus? Parliamo della persona? Sicura?»
lo guardai con uno sguardo scocciato.
«Allora Joseph. La mia voglia di uscire è già sotto zero cerca di non peggiorare le cose. Ok?»
Sorrisi e mi passai il mascara.
«Cioè alla fine aveva ragione. Non ho niente da fare, uscire non mi farà male»
Continuai guardandomi allo specchio.
«Stai bene, sul serio»
Mi girai verso di lui che si era appoggiato alla porta del bagno e mi guardava, sorrisi e annuii poco convinta. Mi misi un po’ di rossetto color carne e uscii dal bagno tornando in camera .
«Quindi trovi che lui sia un bel ragazzo»
Chiese ri-appoggiandosi sulla porta della stanza. Annuii distratta prendendo la borsa poggiata sul letto.
«Facciamo che non mi aspetti in piedi?»
Dissi avvicinandomi.
«Non avevo intenzione di farlo»
Esclamò serio incrociando le braccia al petto. Sorrisi leggermente e scesi di sotto quando sentii il campanello suonare. In effetti erano le nove e dieci. Prendendo un gran bel respiro aprii la porta; quasi svenni quando il suo sorriso illumino il suo viso perfetto. Non si poteva negarlo, era davvero stupendo.
«Buonasera, il suo coinquilino è d’accordo su questa uscita?»
Chiese prendendomi per mano.
«Non è mica mia madre»
Esclamai ridendo chiudendomi la porta alle spalle.
«Dove mi porti di bello?»
Chiesi una volta entrati in macchina.
«A una festa in spiaggia, l’ha organizzata un amico»
E, ovviamente, questa festa fu davvero dimenticabile. Sul vero senso della parola, non ricordai più niente. Infatti la mattina dopo mi svegliai in camera mia ancora mezza vestita e con un mal di testa terribile. Quando mi girai mi ritrovai davanti una schiena nuda e non capendo niente emisi un urlo tanto forte che Marcus si girò e mi tappò la bocca
«Sei impazzita per caso?» 
Disse sorridendo e continuando a fissarmi, scossi la testa deglutendo.
«Se te lo stai chiedendo non abbiamo fatto niente, purtroppo per me»
Tolse delicatamente la mano  lasciandomi un bacio a stampo.
«E tu. Tu che ci fai qui e perché mi baci»
Dissi in preda al panico coprendomi con il lenzuolo.
«Era tardi e quindi mi hai inviato a dormire con te. Ti bacio perché mi va. Altre domande?»
Disse prendendomi per i fianchi e mi avvicinò a lui. Annuii piano disegnando dei cerchi immaginari sul suo petto.
«Mi baci perché ti va»
Ripetei sorridendo per poi alzare lo sguardo verso di lui.
«Capisco»
Esclamai. Lo baciai lentamente appoggiando le mie mani sul suo collo e sentii le sue mani calde scendere e salire sulla mia schiena; poi, poco dopo, mi staccai.
«Buongiorno»
Sussurrai sorridendo. Scesi dal letto trascinandomi in bagno, avevo bisogno di una doccia fredda, possibilmente. Avevo bisogno di ragionare e non c’è soluzione migliore di una doccia fredda. Sapevate che l’acqua gelida apre i pori della pelle? Bene, funziona anche con il cervello e, pensandoci, tutti hanno bisogno di credere in qualcosa e in quel momento avevo sul serio bisogno di credere e sopratutto capire che diavolo stava succedendo.

 

***

 

Vidi la macchina di Marcus allontanarsi sempre di più da casa sotto sotto i piccoli fiocchi di neve che creavano da un paio di giorni un’atmosfera quasi Natalizia in città. Sospirai appoggiando la testa al vetro freddo e la figura di un ragazzo che camminava a passo svelto sul marciapiede verso il parco mi incuriosì. Pulii il vetro dal vapore venuto a crearsi e capii al volo che si trattava di Joseph. Mi alzai e indossai il giubbotto correndo di sotto. Trovai le chiavi in borsa e chiusi la porta velocemente non spegnendo nemmeno le luci accese in giro per casa, mi girai a controllare se non fosse lontano ma la nebbia era come se l’avesse risucchiato. Camminai prima a passo svelto poi cominciai a correre cercando di raggiungerlo ma niente, arrivai fino al parco ma nessuna ombra di Joe. Feci il giro del parco almeno tre volte e dopo aver sentito tossire lo trovai seduto su una panchina davanti al piccolo laghetto. Mi sedetti affianco a lui e guardai il suo viso rosso dal freddo. La mia mano scivolò tra le sue e di scatto si girò verso di me. Sospirò chiudendo gli occhi e si appoggiò allo schienale. Predi la sua mano e intrecciai le dita
«Mi dici che hai?»
Chiesi poco dopo, sorridendogli. Mi guardò per poco e continuò a guardare il laghetto.
«Ha chiamato mia madre, non la sentivo da due anni»
«E allora?»
Lo invitai a continuare.
«Vuole venire qui, a vedere come sto. Solo lei però, i miei fratelli non vogliono vedermi e mio padre ormai non mi considera nemmeno suo figlio»
I suoi occhi lucidi luccicavano in quel primo pomeriggio di gennaio.
«A volte, che tu sia il deluso o il deludente, si perde coraggio sai? Ma non quel coraggio da quattro soldi che fa tanto “figo”. Si perde quel coraggio che ci aiuta ad amare perché, se ci pensi, amare qualcuno è anche questione di fortuna. Lui o lei ricambierà? Mi ama davvero o finge? Ma Joseph, tua madre dopo due anni e sicuramente contro tutti, lei ti ha chiamato. Lei ha bussato e ti richiede quello che ventuno anni fa era suo. Joseph quando l’amore bussa al coraggio è davvero arrivato il tempo di ricominciare. Amare è bello, amare è dolore, amare è verbo in ARE. Amare è un verbo che ti chiede di essere di nuovo coniugato. Joseph alla fine amare è la cosa più naturale che chiunque possa fare. Puoi amare persino un cane, un gatto e un frigo. E poi sarei proprio contenta di conoscere tua madre sai? Dalle foto sembra proprio una signora bellissima e sono sicura che lo sia davvero»
«Ami Marcus?»
Mi chiese secco. Mi sentii spiazzata ma ovviamente risposi.
«No. Ovvio che no»
«Allora perché vi baciate e lo fate in camera tua come due conigli?»
Ovviamente io coerenza zero. Sono il tipo di persona che predica bene ma razzola male.
«Io. Io... No aspetta. Due conigli?»
Chiesi ridendo e lui annuì deciso.
«Non lo so. Perché non ho niente da fare?»
Scosse la testa ridendo.
«Perché quando la gente non c’ha niente da fare si scopa la gente conosciuta da... una settimana giusto?»
«Joseph...»
«Si scusa. Hai ragione, non sono affari miei»
Scossi la testa sorridendo.
«Hai ragione, perfettamente ragione. Ma faccio cazzate sopra a cazzate sai perché? Può sembrare una risposta senza senso, e forse effettivamente forse lo è. Io so chi voglio diventare ma non so chi diamine sono»
Sorrise e mi accarezzo la guancia asciugandomi l’unica lacrima con il pollice.
«Torna a casa, sei gelida e potresti prenderti qualcosa» scossi la testa decisa.
«Non andrò a casa senza di te»
E fu così,  che il coraggio aprì le porte all’amore.





Buona domenica belle donneH *3*
Perché si uu siete tutte delle belle fighe (come direbbe Marcus xD) Lo sapete che qui nevica? *-*
Cioè, nevica. Diciamo che è quella neve da presepe inesistente xD però è bellina da vedere *3*
Ah! Ieri con la mia amica ho fatto i Pancakes *3* dai, al prossimo capitolo vi posto la foto *ç*
Mi scuso di non aver ancora risposto alle recensioni ma vi assicuro che dopo pranzo vi rispondo :3 (eh si. devo ancora mangiare xD al sud è così uu)
Vi lascio belle, le lasagne (di mamma annamaria uu) i aspettano :3 
Ancora un grazie per tutte le recensioni, le visualizzazioni e l'inserimento della fan fiction nelle vostre preferite, da ricordare e seguite. <3
Un bacio,
Frah*

 

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Capitolo 12
*** #12 | baby it's not too late ***


«Quindi Joseph non c’è»
Esclamò contento appoggiandosi al tavolo della cucina. Mi girai verso di lui sorridendo.
«No Marcus. Sò a cosa stai pensando ma... No»
Dissi ridendo continuando a mettere in ordine i piatti appena lavati. Sentii toccarmi i fianchi, poi un bacio sulla guancia e infine, dolcemente, mi abbracciò da dietro appoggiando il mento sulla mia spalla. Sfiorai le mani che mi premevano leggermente sulla pancia e sorrisi.
«Ti adoro»
Mi sussurrò all’orecchio; avvampai mordendomi il labbro e mi girai contro di lui.
«Che facciamo?» alzò il sopracciglio sorridendo e scossi la testa ridendo. Gli accarezzai la guancia completamente liscia e profumata di schiuma da barba alla menta. Quegli occhi color cielo sembravano quasi finti in controluce e i suoi capelli neri sbarazzini splendevano grazie ai raggi di luce che entravano dal salone. Era un ragazzo angelo barra diavolo. Angelo, i suoi occhi, il suo sorriso, una parte del suo carattere. Diavolo, i suoi misteri, le sue occhiate verso Joseph, una parte di lui mi era sconosciuta. Dopo avermi dato un bacio al volo mi prese sulle spalle e mi strascinò di sopra.
«Marcus lasciami. No. Ti ho detto di no!»
Cominciai a dare dei pugni leggeri contro la sua schiena, come se potessi fargli qualcosa. Entrò in camera di Joseph mi fece distendere sul letto.
«Perché qui? Se Joe ci scopre ci»
«Sssh. Lui non c’è, il suo letto è matrimoniale e il tuo no e sopratutto lui non c’è»
«L’hai già detto»
Gli feci notare sorridendo.
«Lo so. Le cose importanti vanno ripetute no?»
Annuii mordendomi il labbro.
«Sei l’unico...»
Presi un bel respiro e chiusi gli occhi.
«Sei l’unico che è rimasto»
Dissi quasi sussurrando, quasi per paura.
«In che senso?»
Un sorriso si dipinse sul suo volto e io gli sfiorai le labbra.
«Sei rimasto. Non mi hai lasciata su un letto alla ricerca del mio cuore. Sai, ha il vizio di perdersi sotto le coperte»
Mi diede un bacio sulla guancia poi uno leggero sulla spalla scoperta.
«La miglior forma per incontrare se stessi è perdersi nella vita di qualcun’altro. Lo sai no?
»
Disse lasciandosi cadere affianco a me.
«Perché proprio nella mia?»
Alzò le spalle senza una risposta. Notai tre nei piccoli nei sul polso.
«Formano un angolo equilatero»
Esclamai guardandolo.
«Proprio come i miei»
Dissi scoprendomi il polso velocemente e mettendoli a confronto. Erano totalmente uguali. Tre piccoli nei neri sul polso destro che formavano un triangolo equilatero perfetto.
«Io pensavo fosse una caratteristica della famiglia di mio padre, infatti anche lui li aveva. Sei il primo che incontro che li ha identici»
Mi guardò sorpreso dal mio stupore.
«Sono solo nei infondo»
Lo guardai e sorrisi.
«Hai ragione»
E iniziò a baciarmi con la sua solita magia. Non so come diavolo facesse ma da quei baci non riuscivi a staccarti, erano come miele. Dolce, zuccherato, appiccicoso. Ovviamente non ci volle molto a passare al levarci totalmente i vestiti e rimanere nudi, nel letto di Joseph. I fiati corti, le labbra torturate, i capelli scompigliati, il mio seno contro il suo petto e, ovviamente, il tossire sarcastico di Joseph appoggiato come al suo solito alla porta. Mi avvinghiai a Marcus pensando di coprirmi ma peggiorai il tutto.  Marcus dopo un attimo di pausa ricominciò a spingere.
«Ma sei idiota? Fermati»
Sbuffò spostandosi da sopra di me e mi coprii con il lenzuolo leggero.
«Sempre nei momenti migliori, eh Jonas?»
«Sempre»
Rispose secco. L’aria era tesa e il mio cuore non si era ancora fermato del tutto così portai le gambe al petto speranzosa di calmarmi. Marcus si rivestì, m diedi un bacio sulla guancia e se ne andò portandosi via solo le sue colpe. Joseph spostò il suo sguardo su di me ed entrò in camera raccogliendomi i miei vestiti da terra e appoggiandoli ai piedi del letto.
«Joseph...»
Mi guardò mentre si cambiava la maglietta nel suo armadio.
«Dimmi»
Sospirai prendendo il cuscino candido tra le braccia.
«Scusami, sul serio io. Non riesco nemmeno ad immaginare come ti senti schifato e sono una stupida. Lo so io, io non so come faccio ad essere così. Solo... Scusa»
Disegnavo cerchi invisibili sul quel cuscino bianco, come per sfogarmi. Si mise seduto affianco a me e mi appoggiai alla sua spalla. Sentii le sue labbra sfiorarmi i capelli e chiusi gli occhi
«Non so quanto ti possa interessare in questo momento ma voglio solo dirti che Marcus è uno stronzo. Però se sei felice con lui va bene, voglio solo che non ti ferisca. Non è facile da dire perché è da tanto che ecco, che non dico questa cosa a una persona e tu beh... sei la prima a cui lo dico sul serio, a cui non mento, vorrei la tua fiducia. In poche parole Felicity... ti voglio bene»
Sorrisi e alzai il capo per incontrare i suoi occhi ancora una volta, per sentire le farfalle nello stomaco come se fosse la prima volta, per sentire la voglia di baciarlo fin nei capelli.
«Ti voglio bene anche io»
Risposi con il sorriso che si allungava da un orecchio all’altro. Lo abbracciai con foga tenendo ben stretto il lenzuolo a me. Joseph Adam Jonas mi stava regalando la felicità che non provavo da anni e non sapevo come ringraziarlo.
«Grazie»
Dicemmo all’unisono poi, ci guardammo e scoppiammo a ridere. La sua barba che cominciava a spuntare mi pizzicava la guancia e i suoi occhiali da nerd erano caduti sul lenzuolo a causa della mia troppa euforia. Mi staccai leggermente e inforcai i suoi occhiali.
«Ma quanti gradi sono? Ma sei una talpa»
Dissi strizzando gli occhi
«Felicity. Sono da riposo»
Lo guardai sorridendo e alzai le spalle.
«Che ne dici di una bella doccia e poi con calma mi cambi le lenzuola? Perché io qui dentro non ci dormo»
Mi alzai togliendo completamente il lenzuolo dal letto.
«Esagerato»
Dissi rimettendogli gli occhiali.
«Aspettati di trovarmi con una ragazza nel tuo letto»
«Non ci provare nemmeno»
«Appunto»
Gli feci la linguaccia e gli scoccai un bacio sulla guancia.
«Ti voglio bene»
Ripetei con lo stesso sorriso per poi dedicarmi alla mia doccia questa volta calda.





Ammetto che questo capitolo è stato un vero e proprio
p a r t o xD 
Però dai, spero che vi sia piaciuto :D diciamo che "
It's Not Too Late" della Devonne mi ha aiutato molto, sopratutto nell'ultima parte e nel titolo (ma vaaa O:)
Ringrazio, come sempre ormai, tutte voi per le tutto
çwç davvero senza di voi io non non *muore*
Un
bacio e come promesso la foto dei pancakes (con  = con amore) xD
http://i56.tinypic.com/1y506a.jpg *
ç*
 

alla prossima,
Frah!

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Capitolo 13
*** #13 | i'm with you ***


 

Domenica mattina. Per essere precisi una domenica mattina di fine gennaio. Non erano nemmeno le nove ed ero già sveglio e, non sapendo che fare, mi misi guardare fuori dalla finestra i pochi bambini che correvano verso il parco vicino. Non era bellissimo quando si credeva in tutto? Alle favole, a Babbo Natale, ai desideri. Sentii dei passi avvicinarsi e mi sporsi verso la porta; pochi secondi dopo mi ritrovai una ragazza a saltare sul mio letto come una psicopatica.
«Vuoi proprio rompermi il letto eh? Ieri con Marcus e oggi da sola»
Esclamai sorridendogli.
«Che simpatico»
Disse ironicamente per poi buttarsi sul letto come un peso morto. La sua canotta bianca le faceva risaltare gli occhi grigi, i capelli legati in una lunga coda lasciavano scoperto il collo e la collanina d’argento che non toglieva mai.
«Sei carino. Posso stare qui a guardarti sorridere?»
Mi chiese infilandosi sotto le coperte affianco a me.
«Perché dovrei sorridere?»
Chiesi levandole un ciuffo davanti al viso sfiorandole la guancia rosea.
«Perché sai farlo»
Mi rispose abbracciandomi. Sentivo il suo sorriso sulla spalla, la sua mano accarezzarmi la schiena, la sua felicità invadermi l’anima.
«Mi mancava la tua stupida faccia»
Mi sussurrò dopo aver sciolto l’abbraccio.
«In realtà mi mancavi tu, però»
Sorrise alzando leggermente le spalle.
«Ti mancavo io...» «Il mio migliore amico» 
Esclamò appoggiandosi al mio petto. Annuii non totalmente convinto, comunque. Istintivamente le sciolsi la coda ed incominciai ad accarezzargli i lunghi capelli castani, in qualche punto tendenti al rosso.
«A cosa pensi quando esco e ti lascio sola a casa?»
Avevo questa domanda che mi frullava in testa da giorni, instancabilmente.
«Penso a quando tornerai» mi rispose dopo poco alzandosi un’altra volta in piedi sul letto. Osservò le polaroid appese sopra al letto per qualche minuto poi ne prese una e la guardò da più vicino.
«Piccola peste»
Sussurrò sorridendo continuando a guardare quella foto di me da piccolo. Si girò verso di me.
«Hai uno smoking?»
Mi chiese sedendosi in mezzo al letto a gambe incrociate
«Perché?»
«Ti piace Miami? Bene. Io e te domani mattina prendiamo un aereo e puf. Miami!»
«C’è qualcosa che non so ma che dovrei sapere?»
Sospirò buttandosi all’indietro sbattendo contro il materasso.
«Mia madre si risposa fra due giorni e ho dannatamente bisogno di te»

 

***
 

Entrai nell'aeroporto correndo trascinandomi dietro il mio trolley azzurro.
«Felicity. Felicity aspettami»
Joseph mi chiamava da quando l’avevo lasciato nel parcheggio ma testarda continuai a camminare a passo svelto verso lo Starbucks. Appena entrai mi fiondai sul bancone.
«Un Frappuccino gigantesco con doppio cioccolato e giusto un po’ di panna. Poca eh»
Il barista mi guardò scettico vedendomi scivolare sul pavimento sfinita.
«Tutto questo per un frappuccino?»
Mi chiese Joe guardandomi da sopra con il suo solito sorriso da collasso. Ora ero praticamente stesa sul pavimento.
«Doppio cioccolato. Capisci Joe? Capisci a dove sono arrivata?»
Scosse la testa ridendo e mi aiutò a rialzarmi.
«Un lato positivo c’è. Almeno non ti ubriachi per cercare di dimenticare dove noi stiamo andando»
Alzai le spalle mentre mi godevo il mio doppio cioccolato seduta nella sala d’aspetto.
«Hai detto noi»
Concentrato a guardare le partenze degli aerei si girò di scatto verso di me che avevo abbandonato per poco il mio bicchierone.
«Si?»
«Noi. Mi fa pensare a una coppia. Io e te, beh si, ecco»
Mi pentii subito di aver notato una cosa così stupida perché in effetti mi resi stupida, molto più di quanto già lo ero. Rubò un sorso del mio frappuccino e continuò a guardare fuori.
«Credi nelle anime gemelle?»
Ruppi il silenzio che si era creato tra di noi. Si rigirò con la stessa calma di prima, mi guardò per pochi secondi interminabili.
«Credo in te»
Esordì in fine. Sorrisi prendendogli la mano e intrecciando le dita alle sue. Non sapevo se quello era l’amore, ma non avrei voluto essere in nessun altro posto. Si avvicinò al mio viso e più si faceva avanti e più il cuore sembrava che mi stesse per uscire dal petto.
«Il volo LA315 delle undici e mezza, imbarco immediato»
Chiusi si gli occhi sospirando. Le sue labbra mi sfiorarono la guancia soffermandosi per qualche secondo.
«Joseph io...»
«Sssh»
«Ma io...»
«Felicity, andiamo»
Annuii d’accordo. Si alzò prendendo il suo borsone e io il mio trolley e ci avviammo con passo svelto verso l’uscita giusta. Joseph mi bloccò per il polso e mi girai di scatto non capendo. La sua mano scivolò nella mia stringendola delicatamente. Sorrisi guardandolo avvicinarsi e dandomi un bacio sulla fronte. Cominciai a correre trascinandomelo dietro. Ero pazza, ero completamente pazza di lui.

 

Dopo circa cinque ore di volo passate a mangiare dolci e guardare film squallidi eccoci, Miami.

 

«Taxi?»
Mi girai verso Joseph scuotendo la testa ridendo.
«Come no?»
Mi chiese uscendo dall'aeroporto. Mi guardai intorno e Jake mi venne incontro indossando il suo immancabile smoking.
«Bentornata signorina. Fatto buon viaggio?»
Mi chiese prendendosi il trolley tra le mani. 
«Jake. Lo sai che quando non c’è mia madre devi, perché ti obbligo, chiamarsi semplicemente Felicity?»
Chiarii per l’ennesima volta.
«Mi scusi» «Jake...» «Scusa»
Gli sorrisi per poi regalargli un abbraccio.
«Lui è Joseph, Joe. Joe lui è Jake, il mio autista barra padre»
Scettico gli strinse la mano poi posò il suo sguardo su di me.
«Ma che? Autista?»
Scoppiai a ridere vedendo Jake chiamarci per andare in macchina.
«Andiamo. Capirai tutto al suo tempo»
Lo trascinai fino in macchina dove diedi il consenso a Jake di partire.
«Mamma? Come vanno i preparativi?»
«Tutto perfettamente. Praticamente per molti sarà il matrimonio dell’anno»
Sospirai scuotendo la testa.
«Fino a quando ti trattieni?»
Guardai Joseph intento a guardare fuori dal finestrino.
«Fra tre giorni ripartiamo. Sono convinta che da domani in poi la vita in quella casa non sarà più la stessa»
Mi appoggiai a Joseph prendendogli la mano, poi mi abbandonai a un lungo sospiro.
«Arrivati»
Esclamò Jake premendo il telecomando del cancello automatico. Dopo aver attraversato il lungo viale alberato finalmente casa.
«Perché non mi hai mai detto niente?»
Mi chiese Joseph alzandomi il mento verso il lui
«Di cosa?»
«Di tuuutto questo»
«Cosa avrei dovuto dirti? Sono una stupida, viziata borghese?»
Alzò le spalle sorridendo. Dopo che Jake parcheggiò davanti la scalinata che portava al portone uscii dalla macchina stiracchiandomi. Era un pomeriggio soleggiato accompagnato da un venticello quasi primaverile e l’immancabile dolce suono delle onde. I giardini erano colmi di persone che montavano strani gazebo e in lontananza si riuscivano a scorgere delle persone indaffarate anche sulla spiaggia poco distante.
«Vostra madre non è in casa in questo momento signorina Felicity»
Mi girai e mi ritrovai accanto un signora bassina con un lungo grembiule avanti.
«Ok. Grazie»
Mi limitai a ringraziarla. Joseph mi spuntò da dietro appoggiando il suo mento sulla mia spalla. 
«Quindi questo è il tuo mondo»
«Niente affatto. Questo è il mio anti mondo. E’ tutto quello che non voglio diventare»
«Domani io sarò con te. Se sverrai ti alzerò le gambe per farti riprendere conoscenza. Se scoppierai a piangere potrai sporcarmi la camicia con il tuo mascara e se inizierai ad urlare non potrò che non appoggiarti su ogni minima cosa che dirai. Cerca solo di non essere triste e sorridi, perché è più semplice che spiegare perché sei triste»
Mi girai e gli cinsi la vita con le braccia alzando lo sguardo.
«Sono venuta a questo matrimonio solo per vederti in smoking e sperare che tu mi chieda di ballare»
Diciamo che era una mezza verità, ma sono dettagli.
«C’è un problema»
«Quale?»
«Io non so ballare»
Scoppiai a ridere tuffando la faccia nel suo petto. Quando mi calmai lo guardai.
«No, perché sul serio credi che io lo sappia fare?»





*saluta tutte*
Bellezze come va? :D Spero tutto bene vero? Vero? VERO? V E R O
Mi scuso per il solito ritardo ma tra scuola, compiti e l'aspirazione che non mi vuole violentare la voglia di scrivere certe volte mi abbandona çwç
Ma continuo a ringraziarvi per tutto, sul serio ragazze io non mi aspettavo tutto questo *u* e per questo devo ringraziare solo ed esclusivamente voi <3
Ah! Vi avviso che il tre febbraio è il compleanno (+16) faccio vecchia ahahahah ç_ç *ridepernonpiangere*
Ora risponderò alle vostre dolci recensioni e mi emozionerò come sempre :3
G R A Z I E G R A Z I E G R A Z I E <3

Alle prossima (presto, spero)
la vostra abbracciosa,

Frah!

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Capitolo 14
*** #14 | falling in love with you ***


Miami era coperta da un leggero strato di stelle quella sera. Mi era mancato riuscirle a vedere della finestra della mia stanza. Avevo lasciato Joseph nella sua camera qualche ora prima e ne approfittai per sciogliermi in una rilassante doccia calda. Mi cambiai i vestiti indossando un semplice vestitino bianco con uno scollo a V, un cardigan grigio perlato e un paio di ballerine. Chiusi facendo il minor rumore possibile la porta della mia camera e mi inoltrai nel corridoio. Scesi la lunga scalinata ritrovandomi in salotto dove la porta scorrevole che dava sul giardino era semiaperta. Uscii raggomitolandomi nel cardigan e camminando lungo il vialetto che portava alla tettoia. Sorrisi scorgendo il profilo di Joe appoggiato alla ringhiera in ferro battuto. Non si accorse di me se non dopo che gli cinsi la vita abbracciandolo da dietro. Gli lasciai un bacio leggero sulla schiena coperta da una leggera maglietta estiva.
«E’ una bella serata»
Disse dopo poco cacciando dalla sua bocca una nuvola di fumo. Non fumava spesso, era la seconda volta che lo vedevo fumare.
«Perché fumi?»
Chiesi mentre mi appoggiai alla ringhiera, affianco a lui.
«Mi aiutano a pensare»
«Stronzate»
Risposi secca. Buttò la sigaretta nel secchio vicino e ritornò da me mettendosi difronte.
«Sul serio. Mi liberano la mente»
«In realtà riempiono i tuoi sani e bei polmoni di sostanze che non sto qui a elencarti»
«Stai bene così»
«Cambiamo discorso eh?»
Sorrise guardando dietro di me. Con le gambe gli cinsi la vita e lo avvicinai a me ritrovandomi faccia a faccia con il sorriso che mi faceva impazzire da più di un mese. Era a pochi centimetri da me, il suo profumo di vaniglia mischiato all’odore acre della sigaretta mi invadeva le narici.  Era così fottutamente perfetto.
«Questa mattina volevi sul serio baciarmi?»
Gli chiesi mentre gli sfioravo il labbro inferiore. Iniziai a mordermi il labbro sentendo le sue mani accarezzarmi le cosce sotto il vestitino.
«Se vogliamo essere sinceri si. Avevo una fottuta voglia di baciarti»
«Avevi?»
«Ho una fottuta voglia di baciarti»
Sorrisi appoggiando il mento sulla sua spalla e socchiusi gli occhi quando mi strinse a lui. Sentivo il suo battito cardiaco rimbombare nel mio petto e darmi finalmente qualcosa per cui vivere  davvero. Leggere le barzellette del quotidiano ogni mattina sul tetto bevendo caffè tiepido. Andare a fare la spesa per comperare poche cose e ritrovarsi il cestino pieno di cioccolate, patatine e bibite gassate. Ritrovarsi a giocare con il cibo in cucina dopo il mio inutile sforzo di far capire qualcosa di cucina a Joe. Ritornare bambini correndo al parco cercando di accaparrarsi per primi l’altalena. Avevo sorriso più nell’ultimo mese e mezzo che in tutta la mia vita. La vita borghese non faceva per me. Di feste private e vestiti costosi ne facevo volentieri a meno.
«Mezzanotte e mezzo. Che ne dici di andare a dormire?»
Mi chiese facendomi cadere dalle nuvole. Annuii scendendo della ringhiera e ritornando in casa, salimmo le scale e ci ritrovammo davanti le nostre stanze. Era come ogni sera, quando ci davamo la buonanotte imbarazzati. Stessa circostanza, casa leggermente più grande.
«Allora... Buonanotte?»
Esclamò accarezzandosi la nuca come sempre. Non ci pensai su nemmeno tre secondi in più e, forse, sbagliai anche. Lo afferrai dalla maglietta e lo trascinai in camera mia chiudendo la porta sbattendoci sopra Joseph.
«Ho bisogno di te. Un grande bisogno di te. Rimani con me questa notte?»
Mi osservò per secondi interminabili. La camera era illuminata solamente dalla lampada soffusa nell’angolo e dalla poca luce che proveniva da fuori attraverso le finestre. Mi avvicinò a lui prendendomi per il  bordo del vestito come avevo fatto esattamente prima con lui per poi sfilarmelo lentamente. Scossi la testa sorridendo prendendolo per mano e, camminando all’indietro, ci ritrovammo sul letto. Non staccavo lo sguardo dai suoi occhi color cioccolato e dal suo sorriso così luminoso. Gli sfiorai i fianchi alzandogli la maglietta fino a toglierla e gli cinsi la vita con le gambe scoperte. La mie guance erano ubriache dei baci appena accennati di Joseph.
«Dovremmo urlare al miracolo. Hai l’intimo coordinato»
Scoppiai a ridere mordendogli la guancia. Mi alzai liberandomi dalla sua presa per prendergli un cuscino nell’armadio per poi lanciarglielo contro.
«Free Fallin?»
Notò la mia scritta tatuata sul fianco quando ritornai sul letto affianco a lui. Annuii sorridendo.
«Sono in una costante caduta libera»
«E tu, in questa caduta, stai cercando di trascinare anche me?»
Lo guardai alzando lo sguardo, appoggiai un braccio sul suo petto e mi avvicinai a lui.
«Ammetto che innamorarmi di te non faceva parte del mio piano»
Sorrisi appoggiando la testa sul suo petto.
«Buonanotte Joseph»
Gli diedi le spalle e mi infilai sotto le coperte. Sentivo il cuore scoppiarmi nel petto e il rimorso iniziarmi a mangiarmi lentamente. Glielo avevo detto. In pochi secondi gli avevo sbattuto in faccia quello che effettivamente provavo per lui. Sospirai chiudendo gli occhi e mi raggomitolai in me stessa. Si alzò dal letto per togliersi i jeans e si infilò sotto le coperte. Dopo qualche minuto sentii il suo braccio avvolgermi la vita e trascinandomi contro il suo petto. Mi posò un bacio sul collo e portai la mia mano alla sua, stringendola.

 

La mattina dopo

 

Fissavo quel vestito appeso all’anta dell’armadio semiaperto. Era stupendo, non potevo negarlo. Il respiro di Joseph sul collo mi faceva compagnia in quella stanza illuminata dal sole mattutino. Mi girai lentamente per non svegliarlo e appoggiai la testa sul suo cuscino. Gli accarezzai le ciocche di capelli ribelli e gli sfiorai la guancia. Era perfetto, era la cosa più bella che mi potesse capitare, era semplicemente Joseph. Il matrimonio era previsto per le undici ed erano già le nove. Mi allontanai da lui con calma e mi alzai. 
«Fe.Felicity»
La voce impastata di Joseph spezzo il silenzio della stanza e mi girai verso di lui.
«Sono qui»
Mi sedetti sul bordo del letto.
«Volevo solamente dirti che mi sei piaciuta da primo giorno che ti ho vista. Qualunque sia stato»
Sorrisi passandogli il cappuccino che la cameriera ci aveva portato in camera
«Tre dicembre»
«Come?»
«La prima volta che siamo visti è stato il tre dicembre»





Eccoci qui :]
Per scrivere questo capitolo (corto. mi scuso çç) ho dovuto ascoltare una canzone ben 9O volte. Ringrazio con tutto il cuore Sam Tsui & Kurt 
Schneider per la bellissima cover di Britney :3 Ma sopratutto volevo dedicare questo capitolo alla mia mariii <3 [mordimi tutta LOL] che mi ha fatto compagnia tuuutto il pomeriggio *u* LOVEU!
Ringrazio T U T T E barra T U T T I per le recensioni. Ben tredici nell'ultimo capitolo çCç io sono commossa, sul serio. Grazie <3
Spero che ce ne siano così tante anche in questo :] 
Alla prossima,

la vostra
Frah!

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Capitolo 15
*** #15 | let me die smiling ***


Mi guardai allo specchio per più di dieci minuti, con le braccia lungo i fianchi e le mani che sfioravano la seta del vestito. Mi andava a pennello, non c’era una piega, nessun difetto. Anche la lunghezza, leggermente più sopra del ginocchio, era la mia preferita. Mia madre, lei mi conosceva fin troppo bene, perfino le mie misure le sapeva a memoria. Christina Baker, era una delle più brave stiliste degli ultimi anni. Mia madre aveva questa passione da quando non aveva nemmeno sedici anni. Con la sua forza e la sua determinazione era arrivata al successo in pochi anni.
«Ti piace?»
Mi girai di scatto e vidi mia madre avvicinarsi a me. Sorrisi vedendola così felice, serena. Si meritava un mix di positività, dopo tutto che aveva passato. Essere abbandonata dall’uomo che ami e che credevi ti amasse non dov’essere proprio una passeggiata.
«Ti sei superata»
Esclamai rigirandomi verso lo specchio.
«Forse ho esagerato con lo spacco sulla schiena»
Ammise. In effetti il risvolto del tessuto mi arrivava poco più su sulle cosiddette fossette di Venere. Ma mi limitai ad alzare le spalle.
«Chi è il ragazzo?»
Vidi le mie guance colorarsi di un grazioso rosa pesca.
«Joseph. Si chiama Joseph»
«Ed è il...»
«Amico. E’ il mio migliore amico»
Mi guardò per qualche secondo attraverso lo specchio per poi annuire. Speravo sul serio che la cameriera non gli avesse detto niente riguardo Joseph nel mio letto, mezzo nudo. Ma sembrò di no.
«Vado a finirmi di preparare»
Esclamò allontanandosi di qualche centimetro da me.
«Voglio solo dirti che sono felice per te, mamma»
Mi diede un bacio sulla guancia e uscii da camera mia con la stessa tranquillità di come entrò. Presi un bel respiro e cercai di mandare via l’ansia che mi stava assalendo da quando Joe era andato via a prepararsi. Ero in ansia per mia madre? Ero preoccupata di rivedere tutta quella gente superficiale? O semplicemente... mi mancava lui? Non presi nemmeno la borsa ed uscii dalla camera, scesi le scale e camminai a passo svelto verso la porta. Il rumore dei tacchi sul parquet cerato mi dava sui nervi. Mi ritrovai davanti alla scalinata piena di gente, per la maggior parte sconosciuta. Mi divincolavo tra la gente spaesata, senza una e vera propria meta. Quando qualcuno mi riconosceva e cercava di salutarmi accennavo un sorriso. Troppa gente e poca aria. Sentii afferrarmi la mano e prontamente mi girai, ritrovandomi davanti l’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento.
«Joseph... come diavolo hai fatto a trovarmi?»
«Dovresti saperlo. In un posto affollato i miei occhi cercheranno sempre te»
Lo guardai perdendomi nel suo sorriso e l’ansia sparì non appena le sue labbra sfiorarono la mia guancia. Dipendevo da lui, detto così può sembrare leggermente squallido. Ma era così, senza di lui mi mancava un pezzo di me stessa.
«Una foto alla coppia»
Un fotografo indaffarato e senza una minima voglia di sentire le risposte degli invitati si intromise tra di noi scattandoci una foto. Lo guardai andare via disturbando senza volere altri invitati e scossi la testa ridendo.
«E’ inutile che mi guardi con quel sorriso. Joseph Adam Jonas»
Lo guardai sorridendo prendendogli le mani e lui, senza nemmeno pensarci troppo, intrecciò le sue dita alle mie.
«Mi rendi felice, nel caso non te ne fossi accorto»



 

Affianco a me avevo la più bella ragazza che avevo mai visto. Era bellissima, solo un idiota avrebbe detto il contrario. Fissava il gazebo sotto il quale si stava celebrando il matrimonio appoggiata alla mia spalla. I suoi boccoli cadevano sulla mia giacca grigio scuro e la sua mano giocava con la mia. Felicity Evans era perfetta. Era perfetta quando correva per casa con le calze a righe, con il suo trucco sbavato, con il suo smalto saltato. Era perfetta così com’era. Era la mia felicità. Io il battito, lei il ritmo.
«Ho bisogno di te»
Pensai a voce alta, perfetto. Qualcuno si girò verso di noi. 
«Come?»
Sentii il suo sguardo su di me e mi girai a guardarla. Volevo baciarla in quel preciso momento, senza molte spiegazioni.
«Ho bisogno di te per essere...»
«Essere cosa?»
«Per non essere triste. Ho bisogno di te per sentirmi vivo»
E in quel preciso momento i due neo sposi si scambiarono il bacio che annunciava la fine della celebrazione. Felicity continuò a guardarmi con un sorriso leggero sulle labbra. Mi abbracciò infilando la testa tra la mia spalla e il mio collo, il suo respiro mi faceva il solletico. La strinsi a me appoggiando una mano sulla sua schiena nuda avvicinandola. Non c’era sensazione più bella che averla tra le braccia, la felicità. Sciolse l’abbraccio dopo troppo poco e mi sorrise prendendomi per mano.
«Vieni con me»
Disse alzandosi. La seguii mentre camminava tranquilla tra la gente, guardandomi di tanto in tanto. E non potevo esserne più certo di allora, si incontrano migliaia di persone. Poi un giorno ne incontri una che ti cambia la vita.
«Sul serio. Smettila»
Esclamò sorridendo sventolando le sue scarpe col tacco. Spiaggia.
«Smetterla di fare cosa?»
Chiesi togliendomi le scarpe e le calze lasciandole sul bagnasciuga.
«Di essere così dannatamente dolce?»
Sorrisi mettendomi le mani nelle tasche.
«Cioè prima di stavo svenendo tra le braccia»
Continuò avviandosi verso la riva. Scossi la testa ridendo seguendola a passo lento
«E sai che ti dico? Che adoro anche il fatto che tu mi segua. Sempre»
Disse girandosi per qualche secondo e continuando la sua quasi corsa verso la riva.
«E Ti ringrazio. Sai per cosa? Ti avermi salvata. Di aver perso il tuo tempo con me»
Era come impazzita. Si fermò definitivamente quando i suoi piedi sprofondarono nella sabbia bagnata mentre io rimasi a qualche metro da lei. Era perfetta anche con le sue indecisioni, con le sue paure. Si girò verso di me e mi guardò. 
«Sono tua Joseph. Sono completamente, dannatamente e fottutamente tua»
Come riusciva a trasmettere le sue sensazioni, perfetto. Mi avvicinai a lei liberando le mani dalla tasche. Camminavo a passo svelto e quando arrivai difronte a lei la baciai. Senza spiegazioni, senza chiedere. Le sue labbra tanto desiderate erano li, vicino alle mie. Si sporse in avanti a me allungando quel bacio.
«Fai di me ciò che vuoi»
Mi sussurrò stancandosi per pochi secondi. Scossi la testa sorridendo.
«Non c’è cosa più bella di te. E’ come se mi stessi chiedendo di migliorare la ricetta della nutella»
Scoppiò a ridere avvolgendomi la vita con le braccia. Alzò il suo sguardo su di me
«Sono innamorata di un idiota. Un idiota perfetto»
«Sei davvero mia?»
«Tua»




Il mio capitolo da sedicenne *-* ahahaha no. questa è pessima uu"
Come va belle donnineh? *w* tutto bene? spero davvero di si <3
Per prima cosa mi scuso di non aver risposto alle vostre bellissime recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo ma non ho avuto tempo çCç
Risponderò il prima possibile, promesso :3 Oddio non so che dddire u\\\\u sono timida sapere quindi io bla bla bla o.o"
'mmmazza ma mi sniffo qualcosa a mia insaputa?

grazie mille, davvero. per tutto. recensioni, visualizzazioni, note su facebook. sapere che leggete e che vi garba questa storia mi riempie il cuore di felicity (LOL)
alla prossima :3 mooolto presto *-*

un bacio,
Frah!

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Capitolo 16
*** #16 | go find yourself ***


Avete presente quando vi svegliate con il sorriso? Quando, appena toccate il pavimento con i piedi nudi, realizzate che quella giornata sarà indimenticabile, per qualsiasi motivo? Bene, quella mattina fu proprio così. Mi alzai dal letto indossando una delle mie solite maglie lunghe e lasciai i capelli sciolti. Uscii dalla mia stanza ed entrai in quella difronte subito dopo chiudendomi la porta alle spalle lentamente. Dormiva a pancia in giù con il cuscino tra le braccia e la stanza era semi buia a causa delle tende ancora chiuse. Salii sul letto stringendo le maniche della maglia tra le mani e mi misi a cavalcioni sulla sua schiena appoggiando le mani sui suoi fianchi. Ero consapevole che effettivamente era troppo presto per essermene innamorata, alla fine conoscevo così poche cose su di lui. Ma non riuscivo a vedere nient’altro che Joe, aveva il controllo su di me. Era come se non fossi io. Appoggiai la testa sulla sua spalla lasciandogli un bacio sulla guancia. Un sorriso si allungò sul suo viso riposato poco dopo.
«Buongiorno»
Esclamai avvicinandomi al suo viso sorridendo, con il suo respiro sul mento. Le dita sfioravano le sue guance rosee e i suoi occhi mi corrodevano l’anima.
«Mi sono mancati i tuoi piedi freddi»
Scossi la testa ridendo.
«E’ un modo per dire che- »
«Che mi sei mancata»
Rispose prontamente. Scivolai affianco a lui appoggiando la testa al petto.
«Come faccio a sognare?»
Mi guardò curioso mentre giocavo con una sua ciocca di capelli spuntata dal nulla.
«Come facevi prima no?»
«Ah beh. Grazie»
Sorrisi guardandolo mentre mi avvicinavo a lui.
«Che rumore fa l’amore?»
Esclamai subito dopo. Alzò il sopracciglio guardandomi nascosta dal mio sorriso. Ci pensò su qualche minuto.
«Credo sia blurblublurblur»
Lo guardai seria per qualche secondo per poi, ovviamente, scoppiargli a ridere in faccia.
«Eddai. Che diavolo ne so io?»
Si scusò accompagnando le mie risate con le sue.
«Vuol dire che lo scopriremo insieme»
«Insieme?»
Chiese infilando il suo naso tra i miei capelli. Sorrisi annuendo.
«Non è che ho tutta questa voglia di perderti»
Esclamai mentre mi lasciava un delicato bacio sulla fronte, accarezzandomi la guancia con la mano destra. Alzai lo sguardo verso di lui mordendomi il labbro. Mi ero svegliata con il desiderio di baciarlo.
«Che c’è?»
«Baciami stupido»
Cominciai a ridere. Oh meglio... ricominciai a ridere notando la sua espressione stupita. Scosse la testa sorridendo avvicinando il suo viso al mio e incominciando a baciarmi. Era pazzo, semplicemente pazzo. E io con lui. Pazza di lui. Gli morsi il labbro allontanandomi leggermente.
«Voglio farmi un giro in città»
«Ma-»
«Niente ma. Vestiti, andiamo in moto»
Dissi dandogli un ultimo bacio prima di alzami.
«Dai che abbiamo solo mezz’ora»
Gli presi la mano e cercai di trascinarlo fuori dal letto ma mi catapultò letteralmente sopra di lui.
«Lo sai che piacerebbe anche a me cazzeggiare allegramente nel letto ma davvero, non vengo a Miami da mesi e vorrei vederla. Almeno di sfuggita... insieme a te»
Mi guardò sorridendomi per poi lasciarmi libera dalla sua presa. Un quarto d’ora più tardi ci ritrovammo in garage a cercare il casco più sicuro per me che, tra un morso alla fetta biscottata e un bacio a stampo di Joseph, provavo.
«Questo è perfetto»
Disse allacciandomelo per bene.
«E’ pesante»
Esclamai alzando la visiera trasparente.
«E’ normale»
Disse mentre indossava il suo.
«Mi prometti che vai piano?»
Chiesi mentre accese la moto appartenente a mio padre qualche anno prima.
«Tranquilla»
Si mise sopra aiutandomi a salire.
«Dove vuoi andare?»
«Non ne ho la minima idea»
Risposi allacciando le braccia alla sua vita, stringendomi a lui. Non curante della mia risposta, partii. Andò piano, stranamente ma la cosa più curiosa che notai era che sapeva perfettamente dove stava andando. Prendeva scorciatoie per evitare il traffico causato dai turisti, sorpassava macchine appena ne aveva l’occasione e prendeva una sola direzione. Miami Beach. Parcheggiò la moto proprio all’inizio del cosiddetto lungomare.
«Non credi che quegli shorts siano troppo corti?» 
Chiese quando mi liberai dal casco e mi guardai le gambe scoperte.
«Siamo a Miami. Niente è troppo corto»
Esclamai scendendo dalla moto e scossi i capelli leggermente schiacciati per poi indossare i miei occhiali da sole. Infilò un dito nella tasca davanti dei miei shorts e mi trascinò contro di lui. La storia era sempre quella quando vedevo il suo sorriso. Il mondo si fermava, i battiti acceleravano, le parole cessarono.
«Felicity? Sei proprio tu?»
Mi girai di scatto e mi ritrovai davanti l’ultima delle mie preoccupazioni.
«Oh. Ciao Chris»
Feci aria con la mano cercando di imitare un saluto.
«Sei tornata?»
«No. Sono passata solo per il matrimonio di mia madre»
Annuii mettendosi la mano nel taschino del costume. Non era cambiato, almeno fisicamente, dall’ultima volta che l’avevo visto prima di partire per il college.
«Com’è Los Angeles?»
«Pazza, caotica, rumorosa»
«La tua città in poche parole»
Annuii sorridendo togliendomi gli occhiali. Chris era stato il mio migliore amico del liceo. Gli dicevo tutto e qualche volta me lo trascinavo nei negozi nei momenti di shopping compulsivo. Una mattina però ci ritrovammo nello stesso letto vestiti di sole timidezze . Gi avevo regalato la cosa più preziosa che una sedicenne potesse avere. «E’ stato bello rivederti» esclamai sincera. Mi salutò con un bacio sulla guancia.
«Continua a sorridere»
Mi sussurrò all’orecchio. Chris, il solito scemo.
«Non spezzare troppi cuori innamorati»
Gli urlai contro mentre continuava la sua passeggiata. Mi girai verso Joseph visibilmente curioso.
«Chi era?»
Chiese prendendomi per i fianchi.
«La mia prima volta»
Risposi poggiando le mani sul suo petto. 


 

«Joseph c o r r i!»
Gli urlai quando ci fermammo al semaforo. Mancavano solo cinque minuti al volo e noi ci trovavamo all’altro lato della città. Appena scatto il verde sentì risucchiarmi all’indietro ma mi strinsi forte alla vita di Joseph. Appena arrivammo parcheggiammo la moto al primo posto libero, lasciammo i caschi al punto informazioni a nome mio e corremmo con il cuore in gola fino al check in.
«L’abbiamo perso»
Esclamò Joseph fissando il tabellone. Mi appoggiai a lui riprendendo fiato.
«Ricordami di non dirti mai più corri quando siamo in moto»
Scoppio a ridere scuotendo la testa e andandosi a sedere. Due ore al prossimo volo.

 

 

Ore 21.00 - Los Angeles

 

«Che sta succedendo?»
Esclamò Joseph  guardando dietro di me, verso l’uscita, mentre scendevamo con le scale mobili. Mi girai curiosa e notai polizia entrare e uscire da ogni porta. Alzai le spalle guardando Joseph e ci avvicinammo.
«Cos’è successo?»
Sentii chiedere a un agente della polizia.
«E’ stata trovata una bomba inesplosa nell’aereo Miami Los Angeles. Ve l'abbiamo già detto»
Rispose seccato. Mi girai curiosa.
«Quello appena atterrato?»
Chiesi avvicinandomi facendomi spazio tra i curiosi.
«No. Il precedente»
Joseph mi prese per mano e uscimmo dalla massa di gente ferma ad osservare. Era il nostro aereo prima di perderlo. Guardai Joe chiamare un taxi con il suo borsone tra le mani, era nervoso.
«Non penserai mica che la bomba fosse rivolta a noi»
Mi guardò e non mi diede alcuna risposta. 




'seeera :3 ho un paio di scuse da fare ùwù

1) non sono riuscita a rispondere alle vostre recensioni çwç
scusatemi >\\\< ora mi metterò bella bella e risponderò a t u t t e <3
2) scusate il ritardo ma ho avuto davvero poco tempo per scrivere questo capitolo çwç
scuola, tavole da consegnare, compiti in classe, mamma che rompe .-. solite cose insomma xD

Questo capitolo non mi convince e non so il perché '-' ci saranno errori grammaticali (ne sono più che sicura) quindi scusatemi se non sono riuscita a notarli ><
poi poi poi.. e poi ci sono i ringraziamenti come al solito *www*

G R A Z I E
a tutte/i :'3 davvero non mi aspettavo tutto questo e non posso essere più che felice che piaccia a così tante di voi :3

ps. non vedo l'ora che sia domenica :3

with love,

Frah!

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Capitolo 17
*** #17 | just a feeling ***


«Joseph dannazione! Vuoi rispondermi?»
Sbatté i pugni sul tavolo della cucina dopo la mia ennesima scena muta. Continuava a chiedermi cosa stesse succedendo e del perché io fossi così nervoso ma io non le davo retta. Ero concentrato a cercare il telefonino disperso tra i vestiti nel borsone appoggiato sul tavolo. Respiravo a tratti irregolari cercando di fare il prima possibile. Dovevo andare da lui, subito. Sentii scuotermi le braccia e mi ritrovai davanti lei, la mia felicità. Mi teneva stretto la parte superiore del braccio, quasi per paura che potessi scappare. I suoi occhi erano diventati scuri dalla paura, pronti a cedere da un momento all’altro in un pianto liberatorio.
«Non so che dirti Felicity. Ora come ora non so che diavolo dirti»
Mi liberai dalla sua presa e finalmente trovai il cellulare. Cercai frettolosamente il suo nome in rubrica. Lei rimase li, impassibile, a fissare il vuoto emettendo grossi respiri. Non volevo vederla così, come se il mondo le stesse cadendo addosso. Alla fine le mie erano solo supposizioni, avevo solo notato delle cose strane. Troppo strane. Naturalmente non le dissi niente, ma era come se avesse percepito tutto.
«Devo parlarti. Tra dieci minuti in centrale e se non ci sei giuro che ti trovo. Anche se dovessi girare tutta la città Marcus»
Chiusi la telefonata e lasciai scivolare il telefono nella tasca posteriore del jeans. Due braccia mi avvolsero la vita stringendomela, togliendomi quasi il respiro. Il suo viso sprofondò nel mio petto bagnandomi la maglietta. Lacrime calde, lacrime trattenute per troppo tempo in un corpo troppo debole spacciato per forte e senza paure. I singhiozzi le spezzavano il respiro facendola sussultare. Presi il suo viso tra le mani e feci in modo che il suo sguardo si incontrasse con il mio. Le guance rosse rigate dalle lacrime, gli occhi lucidi e il trucco sbavato sotto di essi.
«Non preoccuparti ok? Non ti succederà niente. Promesso»
Si asciugò il viso bagnato con il dorso della mano e tirò su con il naso.
«Io voglio che non succeda niente a te, Joseph»
Esclamò con voce impastata, rotta dal pianto. Un sorriso si allungò sul mio viso.
«Tranquilla. Non succederà niente di niente. Tu e io staremo bene, questo lo sai vero?»
Mi guardò dritta negli occhi cercando di percepire se le stessi mentendo. Ed era vero, volevo stare bene. Io volevo stare con lei. Lei, la prima persona a credere in me così tanto da far cambiare idea anche a me stesso, facendomi rendere conto che alla fine non ero davvero un nullafacente che perdeva il suo tempo tra ragazze facili e lavori squallidi. Dovevo essere me stesso per continuare ad andare avanti; perché si sa, la maschera prima o poi cade e lei c’era riuscita. Mi aveva sfilato la maschera così facilmente da non accorgermene. Lei. Semplicemente Felicity.


 

Dieci minuti di ritardo. E più passava il tempo e più la mia voglia di prenderlo a pugni saliva. Odioso, viziato e stronzo figlio di papà. Aspettavo ansioso appoggiato al piano bar rigorosamente strapieno di alcolici. Poi, tutto d’un tratto, nel semi buio della stanza uno spiraglio di luce provenne dalla porta e ne entrò lui, accompagnato dalla sua solita faccia da schiaffi.
«Amico!» esclamò alzando le braccia ridendo. Non ci vidi più, lo presi per il colletto della camicia e lo portai violentemente contro il muro.
«Hey hey hey calma amico»
Disse continuando a ridere, visibilmente brillo.
«Punto uno tu ed io non siamo amici. Punto due mi vuoi spiegare cosa cazzo è successo questa sera in aeroporto? Perché stranamente ho riconosciuto l’agente della polizia che ti para il culo ogni volta»
Si liberò dalla mia presa scansandomi, si trascinò fino al piano bar afferrando una bottiglia.
«Sai, questo weekend ho scoperto una cosa strana»
Disse prendendo un bicchierino dalla credenza sopra di lui e versandosi un po’ di vodka. Scosse ridendo la testa bevendone un sorso.
«Felicity è mia sorella»
Sgranai gli occhi non credendoci. E’ così ubriaco da pensare una cosa del genere, pensai.
«Ci pensi? Mi sono scopato mia sorella»
Si accasciò sul bancone ridendo. Mi avvicinai a passo svelto a lui.
«Marcus non dire stronzate»
Esclamai nervoso sbattendo il pugno sul bancone. Alzò la testa e smise di ridere.
«Non ti sei mai chiesto perché io e la tua amichetta portiamo lo stesso cognome?»
Finì la vodka in un sorso per poi sbattere il bicchierino sul legno massello del bancone. Come diavolo l’avrei detto a Felicity? Come le avrei detto che suo padre era un criminale? Come diavolo le avrei detto che Marcus era il suo fratellastro?
«Ora passiamo alla vostra quasi morte»
Si buttò sul divanetto abbracciato alla sua carissima bottiglia di vodka.
«Ho pensato. Se lei viene a sapere che suo padre è anche mio padre lei mi fotterà mezza eredità»
Strinsi i pugni, dovevo rimanere calmo oppure non mi avrebbe riferito più niente.
«Quindi ho pensato di farla fuori. Tranquillo, non la farò soffrire molto»
Mi fece l’occhiolino sorridendo beffardo. Gli presi la bottiglia dalle mani scaraventandola contro il muro, la mia pazienza andò a farsi benedire.
«Prova solo a sfiorarla o a torcerle un capello e ti faccio fuori»
«Ti sei innamorato, Joseph?»
Non gli risposi. Non potevo dargli quella soddisfazione di ridermi in faccia.
«E’ una lurida puttana Joseph. Come tutte le donne della mia illustrissima famiglia»
Un pugno in pieno volto, veloce e deciso, lo fece accasciare a terra dolorante. Avevo appena firmato la mia condanna a morte, non mi avrebbe mai lasciato andare via come se non fosse successo niente.
«Avevo deciso di risparmiarti ma noto con piacere che non vuoi essere messo da parte»
Si rialzò ancora traballante per la botta mista alla sua poco lucidità. Se fosse stato sobrio mi avrebbe schivato, ma oramai erano rare le volte in cui il suo cervello lavorava da solo senza l’aiuto dell’alcool. Si passo il dorso della mano sul labbro sanguinante e sputò un po’ del liquido ferroso sul pavimento.
«Questo è solo un anteprima di quello che ti farò se la sfiori, Marcus»
Presi la mia giacca e uscii da quella stanza, avevo i polmoni pieni di fumo e alcool. Ora dovevo proteggerla e combattere senza farla cedere. Finalmente avevo trovato la persona che sentivo di dover proteggere.




MASSSSSALVE *^*
State tutti bene vero? :3 spero proprio di si <3 
Alluuur mi scuso per il ritardo ma è un periodo nostop. Progetti, plastici, tavole da consegnare e compiti da fare >< sicuramente anche per voi sarà così quindi spero che mi capiate :3 Punto due, quello di cui mi vergogno mooolto uwu nelle precedenti recensioni molte di voi si sono lamentate per gli errori grammaticali çwç ragazze vi giuro che io ci provo ad individuarli ma non so perché non ci riesco. potrebbe essere che ormai non ci faccio più caso dopo aver riletto per la centesima volta? quindi ve lo chiedo in ginocchio çwç quando li notate me li dite? ve ne sarei grata, sul serio. e vi ringrazio, di essere ancora qui a leggere questa "fanfiction" piena di errori çwç grazie per le recensioni che ogni volta mi scaldano il cuore. semplicemente grazie. vi mando un bacio virtuale :*

alla prossima,
FraH!

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Capitolo 18
*** #18 | a beautiful disaster ***


Mi sveglia nel letto di Joe inconsapevole di come esserci arrivata. Sicuramente dopo averlo aspettato quasi tutta la notte sul divano il sonno avrà preso il sopravvento su di me non accorgendomi del suo arrivo. Gli slip leggermente scesi lungo i fianchi, le spalline del reggiseno appoggiate lungo le braccia e il cardigan grigio sbottonato mi fecero capire che la mia dormita non fu una delle più tranquille, aggiungendo poi che, anche se eravamo solo agli inizi di marzo, il caldo già si faceva sentire. Eravamo a Los Angeles, dopotutto. Ma lui era li, ad armeggiare con fogli e matite spuntate in compagnia della stanchezza, delle sue occhiaie che gli appesantivano il volto e quella ferita sotto la bocca dove i suoi denti avevano continuato a mordicchiare, graffiare e sfregare la pelle fino a creare una piccola piaga color rosso acceso. Promemoria della sua battaglia senza fine contro il mondo che lo circondava. Mi incantavo ogni volta a fissarlo mentre era immerso nel suo mondo invalicabile, recintato da un muro spesso di paure e sofferenze. Poteva apparire timido e asociale per la sua strana paura che l’assaliva quando uno sconosciuto gli rivolgeva parola che, solo dopo un grosso respiro di auto convinzione, riusciva a parlarci tranquillamente. Doveva solo essere conosciuto meglio per riuscire ad avere quello che sapeva darti al meglio. Un suo sorriso riusciva a stravolgerti la giornata, i suoi discorsi alle sei di mattina sul tetto ti risollevavano il morale caduto a terra o semplicemente trovare il caffè caldo la mattina sul comodino ti faceva iniziare la giornata alla grande. Era capace di regalare quei sentimenti sul quale la gente scrive racconti. I miei occhi si posarono lentamente sul suo petto e la sua schiena nuda. I suoi addominali appena accennati, le fossette dei fianchi che scendevano verso il basso ventre, la schiena rovinata da una stupida cicatrice da arma da taglio e qualche livido sbiadito qua e la. Inspiegabilmente mi ritrovai a mordermi il labbro inferiore appoggiata allo schienale del letto fissandolo.
«Ti sei svegliata finalmente»
Sentii le guance andarmi a fuoco appena un sorriso gli illuminò il volto facendomi tranquillizzare sul suo stato pietoso. Annuì cercando di allontanare almeno per il momento i miei pensieri poco casti su di lui e mi coprì il petto con il cardigan.
«Perché sono sul tuo letto?»
Posò la matita sulla scrivania e si girò completamente sulla sedia appoggiando le braccia sullo schienale. Face spallucce.
«Passare la notte insonne senza qualcuno accanto è difficile da superare. Non trovi?»
Gli sorrisi muovendo la testa in senso di consenso.
«Allora... ti va di parlare di quello che è successo ieri?»
Il suo sguardo cambiò in pochi secondi, il sorriso si spense e si passò le mani sul jeans parecchie volte.
«Non è facile da dire ma pensandoci non c’è un modo indolore per dirtelo»
Lo guardai non capendo. Non facile? Indolore? Di che diavolo stava parlando?
«Felicity. Io conosco tuo padre»
Arrivò come uno schiaffo in pieno viso, proprio quando il sangue smette per un attimo di circolare per poi impazzire nelle vene. Strinsi il lenzuolo tra le dita iniziando a respirare con affanno.
«Tu. Come lo conosci? Dove a.abita? Con. Con chi sta?»
Si alzò dalla sedia e si sedette difronte a me prendendomi delicatamente le mani.
«Ecco io. Io non voglio che tu stia stare male e non so minimamente come dirtelo con più tatto possibile»
«No. Non voglio stupidi giri di parole. Dritto al punto»
Ero terrorizzata all’idea di sapere che si era fatto una famiglia per conto suo. Mi diceva sempre di amarmi come nessuno, forse molto di più di mia madre e invece quel giorno ci abbandonò. Mi lasciò dicendomi che mi sarebbe venuto a prendere per girare il mondo con lui però, pian piano, questa speranza si spense con il passare degli anni fin a quando non capii che era solo una scusa per non vedermi piangere davanti a lui.
«E’ il mio capo»
Il mio sguardo si spostò sul suo di colpo. I suoi occhi fissi sui miei mi fecero capire che purtroppo non scherzava affatto. Mio padre era un criminale. In poche parole toglieva la vita alle persone a suo piacimento, per capriccio. Mi alzai dal letto coprendomi la bocca per non trasformare il mio dolore in urla. La voglia di di urlare il mio odio verso quell’uomo mi saliva velocemente su per la gola ma io, testarda, ingoiavo così da tenermi tutto dentro.
«Quindi. Quindi Marcus è mio fratello?»
Chiesi sussurrando, sperando di non avere mai una risposta. O almeno, non positiva. Continuava a mordersi la ferita senza controllo e quel jeans sbiadito stava prendendo quasi  fuoco per tutte le volte che si asciugava le mani dal sudore. Scivolai tra sue braccia stringendolo e appoggiai la testa sulla sua spalla. Sentii due braccia stringermi in vita e, dopo un sospiro, annuii.
«Marcus vuole ucciderti per un motivo stupido ma non ti toccherà fino a quando io e te staremo vicini. Capito Felicity? Non preoccuparti. Ci sono io con te»
Sorrisi accarezzandogli i capelli corti sul collo. Non piangevo, non volevo cacciare nemmeno una lacrima per gente che non meritava assolutamente la mia tristezza.
«Non sarà facile»
Esclamai staccandomi leggermente da lui.
«Non sto dicendo che sarà facile. Ti sto dicendo che ne vale la pena perché Felicity, tu sei uno di quei motivi per qui vale veramente la pena lottare»
In quel preciso momento capii che l’avevo trovato. Finalmente avevo trovato il mio sole personale, il quale mi illuminava la vita in quei momenti dove tutto andava male. Ma come dice Newton? Per ogni azione c’è un equa o uguale reazione. Quindi dopo la tristezza ci sarebbe stata la felicità. Dopo le lacrime ci sarebbero stati i sorrisi. Dopo quel periodo di tempo avrei avuto Joseph tutto per me.

 

*****

Sfogliavo velocemente sotto i miei polpastrelli copertine di cd cercando di non pensare alla cosa che avevo appena fatto. Uscire di casa senza il consenso di Joe era come buttarsi a braccia aperte verso il nemico ma ne avevo bisogno. Avevo bisogno di uscire da quella casa, girare senza meta, prendere un caffè, avere i capelli scombinati dal caldo venticello pomeridiano, volevo semplicemente respirare aria che non sapesse di chiuso. Purtroppo la libertà che avevo deciso di regalarmi quel pomeriggio finì non appena sentii quella strana sensazione di essere osservata percorrermi la spina dorsale. C’era qualcuno che mi seguiva, ne ero sicura. Stessa sicurezza però, l’avevo nel sapere che non era Joe il mio persecutore. Feci scivolare la mano lentamente nella borsa alla ricerca del cellulare, presi un bel respiro e mi avviai verso l’uscita del negozio. Ed ecco che rincontrai quegli occhi che mi fecero impazzire per un po’ di tempo, quel blu cielo che mi squarciava l’anima. Marcus camminava lentamente verso di me e io indietreggiavo fino a quando non cominciai una vera e proprio corsa. Uscii dal negozio e iniziai a correre senza una meta precisa. Non nasconderti, corri in posti affollati. Non devi rimanere mai sola. i consigli di Joseph mi rimbombavano in testa. Ma sopratutto chiamami. Mi girai un attimo e mi accorsi che Marcus continuava a seguirmi e per colpa della mia stanchezza mi avrebbe raggiunto presto così ebbi un colpo di genio ed entrai di sfuggita nell’ascensore che si stava per chiudere per salire ai piani superiori. Una volta dentro cercai il numero di Joe nell’elenco delle chiamate recenti e lo pregai di rispondere il prima possibile.
«Felicity dove diavolo sei? Avev»
«Ne parliamo dopo ora vieni a prendermi»
«Dove sei?»
Gli spiegai in fretta tutto il necessario cercando con lo sguardo Marcus attraverso i vetri dell’ascensore. Dovevo attraversare tutto il centro commerciale per uscire dall’entrata principale e arrivare al punto d’incontro dove Joe mi avrebbe aspettata. In linea d’aria il percorso non era lungo ma era pieno zeppo di gente che mi avrebbe ostacolato il passaggio. Marcus continuava ad aspettarmi di sotto alzando lo sguardo alla ricerca del mio. Misi il cellulare in borsa e chiusi bene la zip così da non perdere niente durante la corsa. Dovevo correre il più veloce possibile anche con le gambe che mi cedevano per la paura. Battevo il piede per il nervosismo fissando il piano che il display segnava, stava quasi arrivando il mio turno di uscire. Le porte di spalancarono arrivati al primo piano e iniziai a correre superando Marcus. Salivo sulle panchine, muretti e fontane per recuperare tempo e non perdermi tra la massa di gente ferma davanti alle vetrine. Dopo cinque minuti di corsa sfrenata dove avrò fatto volare almeno una decina di buste dalle mani della gente ero a pochi metri dall’uscita. Un altro sforzo ed è finita. Correvo e basta fino a quando non caddi a terra graffiandomi tutto il braccio. Il dolore lancinante non bastò a farmi smettere così mi rialzai e ricominciai a correre uscendo dalla grande porta scorrevole. Mi guardai intorno cercando la moto di Joe che arrivò proprio in quel momento. Tese la mano per aiutarmi a salire velocemente e mi strinsi a lui. Salva.

 

*****
 

«Brucia?»
Chiese passandomi l’acqua ossigenata con un batuffolo di cotone sul braccio arrossato dai graffi. Scossi la testa fissando a terra. Ero stata una stupida a rischiare così tanto, stavo gettando al vento tutto il duro lavoro di Joseph.
«Sono un disastro»
Dissi sospirando. Sorrise continuando a mettermi la benda intorno al braccio.
«Un bellissimo disastro»
Sbuffai mettendomi la mano libera in faccia. Testardo. Era davvero troppo testardo.
«Come mai sai fare queste splendide medicazioni?»
Scosse la testa ridendo mettendo a posto tutto il materiale che aveva usato.
«Diciamo me ne intendo»
«Parli della cicatrice che hai sulla schiena?»
Mi guardò per qualche secondo per poi annuire. Mi alzai per rimettermi la maglietta e mi appoggiai al tavolo sospirando.
«Scusa per oggi. Non dovevo uscire senza il tuo consenso io. io sono una stupida»
«E’ tutto apposto Felicity»
«No. Non è tutto apposto. Ti immagini solo il casino che sarebbe successo se mi avrebbe preso? Tutto il tuo lavoro buttato al vento»
«Sul serio. E’ tutto apposto»
Mi sorrise baciandomi la guancia e chiusi gli occhi avvicinandolo a me. Si fece spazio tra le mie gambe e mi strinse la vita tra le sue braccia così da poter appoggiar il mento sulla spalla.
«Mi manchi»
Gli sussurrai all’orecchio. Mi mancava terribilmente stare nel letto insieme a parlare del più e del meno, scappare al parco rubando l’altalena ai bambini, mi mancavano le sue labbra.
«Ma sono qui»
«Mi manchi in quel senso»
Si staccò leggermente e appoggiò la sua fronte alla mia. Anche in penombra riuscivo a definire tutte le sfumature del colore dei suoi occhi, la fronte imperlata di sudore e quella piaga leggermente rossa sotto il labbro. Sentii il tocco leggero delle sue labbra sulle mie aumentare sempre di più. Avvolte mi chiedevo se se era pazzo di me come io lo ero lui. 





Purtroppo per voi sono ancora viva éwè 
Sono passati bene quindici giorni dall'ultimo capitolo e mi scuso in ginocchio, davvero çwç
Cioè, ho dovuto fare un plastico enorme (?) in soli due giorni ed ero stra esausta xD odio fare plastici ù_u io e la colla non siamo buoni amici xD
Comunque mi scuso sia per il ritardo, gli errori che ci saranno (se ci saranno ò-o o comunque appena ne vedrò uno lo correggo eh uwu) e per non aver risposto alle recensioni, ma che farò ora :3 Ovviamente vi ringrazio per le recensioni (belle voi ❤) e per il sostegno che mi date ogni volta :'3 grazie grazie grazie *-* alla prossima, sicuramente prima di quindici giorni xD

il mio plastico, se vi interessa *-* (è solo una parte LOL) ➝ http://i52.tinypic.com/2jed2e0.jpg

 

un bacio,

Frah!

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Capitolo 19
*** #19 | forbidden. ***


George stava immobile davanti alla grande vetrata del giardino aspettando ansiosamente che quella pioggia primaverile finisse, così da poter ritornare fuori a scorrazzare felice.
«A che ora arriva tua madre domani?»
Spostai il mio sguardo su di lei, che aveva appena poggiato il libro che stava leggendo sulle gambe e mi guardava, con il suo solito sorriso che l'accompagnava ovunque.
«Domani pomeriggio. Verso le tre, circa»
«Nervoso?»
Sorrisi. L'unica cosa che riuscii a fare in quel momento era sorridere. Ero davvero bravo in quello, nascondere il mio vero stato d'animo con un sorriso. Perché alla fine era così, sorridere era più semplice che spiegare il perché ero triste. Anche se in quel momento non ero triste, ero solo agitato. Avevo immaginato la scena del nostro incontro miliardi di volte, tutte le volte con un finale diverso. Due braccia esili mi strinsero i fianchi e sentii pizzicarmi il collo dai lunghi e morbidi capelli di Felicity.
«E inutile che sorridi, stupido. Non sei calmo»
Era la fine. Mi innamoravo difficilmente, erano situazioni più uniche che rare. Ma quando lo ero era davvero la fine, la fine di tutto. La fine di ragionare da ventiduenne davanti a lei senza perdermi tra i suoi occhi, il suo sorriso e la sua clavicola scoperta dalle sue magliette con il collo a barca.
«Devi essere calmo. E poi ci sono io con te? No?»
Mi morse le guancia ridendo e si alzò dal divano aggiustandosi la maglietta che le scopriva il fianco per poi trascinarsi in cucina. Oltre al pensiero fisso di rivedere mia madre dopo ben due anni, da un paio di giorni la mia mente era occupata da un altro dubbio. Che cosa sarebbe cambiato con mia madre in casa? Non potevamo di certo esporla a un pericolo come... Marcus. Salii di corsa le scale spalancando la porta di camera mia e iniziai a buttare fuori dal vecchio armadio tutte le magliette piegate alla ricerca di quella valigetta. Quella dannata valigetta che non avrei mai voluto aprire e lasciarla li, nascosta sotto i cambi di stagione. Ma dovevo, per il bene di tutti. Per me, ma soprattutto per lei. La trovai in fondo, nell'angolo più buio dellarmadio e la presi dal manico quasi tremando. La buttai sul letto sfatto e guardandola mi infilai le mani nei capelli. Stavo facendo una cosa che andava contro ogni mio pensiero, ogni mia logica, ogni mio buon senso. Odiavo quella forma di violenza, piuttosto preferivo i pugni a mani nude. Non è più gratificante? Non ti libera da tutta la rabbia che hai dentro? Forse. Non avevo mai fatto a botte in vita mia, nemmeno per qualche motivo stupido.  Piuttosto preferivo sfogarmi con la musica; rubare la chitarra a mio fratello e scappare al parco era la mia soluzione a tutto, fino a qualche anno fa. Il mondo che scoprii dopo, per puro caso, mi rovinò dentro e fuori. Mi sembrava fico entrare a far parte di quel clan, infrangere le leggi era qualcosa che mi affascinava. Ovviamente poco dopo mi resi conto che quel mondo non faceva per me, ma ormai era troppo tardi... ero dentro. Aprii la valigetta e mi ritrovai davanti il mio regalo di benvenuto, una pistola semiautomatica con tanto di colpi. L'avrei usata solo per scopi di difesa, ovviamente.
«Che diavolo è?»
I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo di Felicity che si piazzò davanti a me.
«Ecco. E'... è una-»
«So che diavolo è! E una fottuta pistola. Ma che cazzo ci fa qui?»
Chiusi la valigetta e l'infilai sotto  il letto con un calcio.
«Felicity io non ce la faccio più. Non riesco a proteggerti come dovrei, dannazione!»
«Perché a me piace questa situazione? Potrebbero farmi fuori non appena metto un piede fuori da questa casa»
«E questo che non voglio, non devono farti del male»
«Ecco. E per questo che ora andrai in giro con una pistola. Complimenti Joseph, sul serio»
Mi guardò per qualche secondo con gli occhi ormai lucidi, discutere non era il nostro punto di forza. Sospirò e si girò, come per ritornare di sotto.
«Ti immagini solo come mi sentirei senza di te? Mi crollerebbe tutto addosso di nuovo e non voglio. Non voglio perderti per il capriccio di un'idiota»
«Allora dammi un aggeggio come quello anche a me»
Si girò ormai con le lacrime che le solcavano il volto.
«Non ti darò mai una pistola in mano, non dire stupidaggini»
«No! Non sono stupidaggini. Metti il caso che tu sia in pericolo? Io come faccio? Io come faccio a salvarti eh? Dimmelo»
I singhiozzi le spezzavano quelle parole che cercava di urlarmele contro, come per rimproverarmi di non averci pensato prima. Stava crollando davanti a me, davanti i miei occhi.
«Fely ti prego, calmati!»
Le presi la mani e l'avvicinai a me lentamente, assaporandomi quel momento. Era perfetta, non solo fisicamente. Era perfetta in ogni suo gesto... il suo sorriso, la sua risata, il suo profumo. E lei era mia. L'avrò ripetuto migliaia di volte ma era così, era la mia felicità. La baciai delicatamente il collo allargandole man mano la maglietta per scoprirle le spalle. Dopo pochi minuti si fece spazio lei, sfilandosi la maglietta e, prendendomi il viso tra  le mani, mi baciò con più foga. Tutti i pensieri che avevo in testa sparirono completamente. Eravamo io e lei in quel momento, il nostro momento. La guardai mordendomi il labbro nervoso. Nervoso di sbagliare qualcosa con lei, di non essere allaltezza. Era sotto di me, mezza nuda e continuavo a guardarla senza fare nulla, se non ascoltare i nostri respiri irregolari.
«Fai quello che ti senti di fare»
Sussurrò facendo scivolare i suoi capelli lungo la spalla, sorridendo. Era sconvolgente come riuscisse a comprendere i miei stati d'animo semplicemente guardandomi. Perfetta. Fottutamente perfetta. Le sorrisi baciandola per l'ennesima volta sulle labbra e iniziai a scivolare sul suo corpo arrivando fino ai fianchi, dove mi fermai ad osservare il suo tatuaggio. Sorrisi ripensando a quella sera, dove lo vidi per la prima volta. Innamorarmi di te non faceva parte del mio piano. Con la mano arrivai a sfiorare il bordo della biancheria intima e cominciai a sfilarla lentamente per poi farla cadere giù dal letto. La guardai un'ultima volta prima di penetrarla con una certa attenzione. Era la prima volta che facevo l'amore seriamente, visto che le mie uniche volte erano solo per divertimento con ragazze raccattate in qualche pub. Si aggrappò alle mie spalle e sentii il suono del suo respiro, piccoli scoppi daria che le uscivano dalla bocca, mescolarsi ai miei. Volevo che non finisse mai, quel desiderio misto a estasi, sentire il suo corpo sotto il mio. Le sue mani viaggiavano sul mio corpo e si posarono sui miei fianchi, spronandomi a muovermi più velocemente così mi aggrappai al lenzuolo ai lati della sua testa, baciandola. Ancora in preda agli spasmi gli crollai sul crollo, con le braccia premute contro le sue, le dita infondate nella schiena e il mio cuore contro il suo, cercando di inalare più aria possibile in quei polmoni pieni di fumo e amore. Pochi minuti dopo me la ritrovai sopra di me a giocare con le mie mani ancora con il viso ancora leggermente paonazzo. Parlavamo con gli sguardi e i sorrisi, ci bastavano.
«Prima. Te lo giuro... eravamo infiniti»
Lei. Lei era la mia fine.




Hey! Sono viva :3
Speravate il contrario... vero? ùwù Sono sicura di si xD
Sul serio, mi scuso in ginocchi çwç ma lo sapevo fin dall'inizio che, man mano che questa fan fiction andava avanti, la mia fantasia sarebbe andata a farsi fottere.
Quindi vi chiedo un po' di pazienza, forse un po' di più :3  
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto perché era da un paio di settimane che ci pensavo su ma la trovavo difficilissima da scrivere e, so, che non è proprio perfetta.
Mi scuso sempre vero? Lo so... la mia autostima è pari a 0,0003 xD 
Vi adoro ragazze e risponderò presto alle precedenti recensioni, perché sono i vostri commenti che mi fanno andare avanti!
Alla prossima (come sempre spero presto xD)

 

Un bacio,
FraH!

ps: se ci sono errori... prendetevela con il vicino (???) xD

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Capitolo 20
*** #20 | someone like you ***





I suoi capelli castani mischiati a qualche sfumatura rossiccia le arrivavano a metà schiena. Nel silenzio di quel venerdì mattina mi ritrovai a fissarle ogni centimetro del suo corpo, seguivo il suo respiro regolare e mi sorpresi di quanto fosse davvero bella. Mi avvicinai a lei e infilai il naso tra la spalla e il collo inspirando quel profumo di pesca che portava sempre addosso. Con la mano le sfiorai tutto il profilo destro partendo dal fianco e arrivando, lentamente, vicino al seno. Dimenticare i problemi e tutto quello che mi circondava e pensare a lei era diventato il mio hobby preferito da quando, quel tre dicembre, entrò prepotentemente nella mia vita rendendola, pian piano, migliore.

«I find my paradise, when you look me in the eyes...»
Inconsapevolmente mi ritrovai a bisbigliare una strofa di una canzone che scrissi qualche anno prima insieme ai miei fratelli, per un futuro album. Sorrisi per qualche secondo per poi sospirare per l’ansia di rivedere mia madre che ricominciò a farmi compagnia. Più che altro sembrava che il mondo volesse accelerare il tutto anticipando il volo facendo si che mancassero una manciata di ore a quell’incontro. Chiusi gli occhi e mi strinsi e lei, che continuava a dormire serena e lontana dal caos che la mia testa stava creando.
«Joseph...»
Il dolce suono della sua voce impastata riempì la stanza, visibilmente troppo vuota, ma che andava bene così. Mi avvicinai di più e le sfiorai la guancia con il naso.
«Sssh. Sssh... dormi. è ancora presto»
Mugugnò qualcosa e le baciai la guancia. I battiti del suo cuore risuonavano sulla superficie del mio braccio stretto intorno a lei. Portai la testa nell’incavo del suo collo e ci soffiai piano sopra. L’amavo. Dio se l’amavo quella ragazza. Socchiusi gli occhi e sentii qualcosa esplodermi nel petto. Lei era la miglior parte di me. Lei Lei Lei. La mia testa non faceva altro che pensare a lei. Come si chiamava questo? Amore? Non sapevo definire quelle sensazioni non avendole mai provate prima di incontrarla. Dovevo alzarmi, dovevo preparami ed entrare in macchina, anche velocemente se non volevo rimanere fermo nel traffico per ore, e finalmente arrivare in aeroporto. Mi alzai svogliatamente e coprii Fel con il lenzuolo che fino a poco prima condividevo con lei. Raccolsi i vestiti lasciati sul pavimento la sera prima e m’infilai i boxer e i pantaloncini grigi della tuta. Rivolsi il mio sguardo per l’ultima volta su Felicity e la sua schiena nuda, sorrisi e scesi in cucina. Erano ormai dei movimenti ordinari i miei. Mettere il caffè nella macchinetta e aspettare ansiosamente che esca, caldo e fumante. Intanto prendere, dalla mensola vicino alle spezie, la tazza bianca con il manico sbeccato e ormai ingrigita dai troppi lavaggi, sicuramente da cambiare.  Rubare due o tre, o meglio quattro, biscotti al cioccolato dal barattolo di Fel e osservare cosa facesse quel pazzo gatto di George, quel musetto arancione ne combinava sempre una più del diavolo appena sveglio. E poi finalmente sentire il caffè uscire e correre hai fornelli dove cerco ogni volta di non scottarmi versando il liquido bollente in quella tazza strausata. E poi? E poi mi ritrovo a pensare di aver aspettato dieci minuti buoni per qualcosa che ho consumato in meno di quindici secondi.

 

 

Graffiare il bracciolo della sedia sulla quale ero seduto con la chiave della macchina mi stava aiutando a farmi scaricare l’ansia. Stavo tutto stravaccato con l’estremità dell’indice tra i denti e giravo le testa a intervalli di cinque minuti verso la vetrata che dava sullo spiazzale dove atterravano i voli più importanti. Buttai la testa all’indietro lasciandola penzolare e mi abbandonai a uno di quei sospiri che ti libera di tutta l’aria cattiva. Avevo un caldo tremendo anche con l’aria condizionata dell’aeroporto sparata al massimo sulla mia faccia ma, conoscendomi, mi sarei stancato di tenere in mano la giacca di pelle. Mi girai verso destra e chiusi gli occhi. Quanto volevo che Felicity fosse li, in quel momento, affianco a me. Con le sue battute pessime, le sue esclamazioni capaci di attirare l’attenzione di mezzo aeroporto, semplicemente averla affianco con le dita affondate nella sua mano. Ma forse era meglio così, stare solo. Solo ad affrontare quella situazione che solo io sarei riuscito a rendere migliore, in un modo o in un altro. Socchiusi gli occhi e mi ritrovai la solita sedia di ferro, vuota. Scoppiai in una tenera risata e presi il cellulare dalla tasca dove, una foto di George e Felicity con una faccia buffa, riempiva lo sfondo. Feci il numero di quest’ultima e i tuu tuu snervanti iniziarono a riempirmi la testa.
«Hey»
Appena sentii la sua voce dall’altro lato sul mio viso si aprii un sorriso rendendo la mia faccia visibilmente più serena.
«Hey stupida»
Risposi con un tono scherzoso buttando lo sguardo sul tabellone degli arrivi. Ancora niente.
«Senti... stupida ci chiami la tua ragazza»
«Stupida»
Ribattei senza pensarci troppo e mi alzai, lasciando il posto a delle ragazze italiane, presumibilmente. Infilai la mano nella tasca destra del jeans e mi appoggiai a un pilastro.
«Allora Fel... tutto bene?»
Chiesi spezzando quel silenzio venutosi a creare.
«Oh beh. Si... certo. Tua madre?»
«Dovrebbe arrivare a momenti»
«Perché mi hai chiamata?»
La sentii ridere. Il miglior suono mai sentito in vita mia dopo quello del mio nome sussurrato da lei. Dio, stavo diventando troppo sdolcinato per i miei gusti.
«E che... ieri sera»
«Bellissimo. Ѐ stato bellissimo»
Si intromise. Mi morsi il labbro e alzai lo sguardo sorridendo.
«Ora però mi fai il piacere di recuperare tua madre?»
Annuii inconsapevole che potesse vedermi
«Certo. A dopo allora?»
«Ovviamente» Chiamata conclusa. Feci scivolare il telefono in tasca e solo allora notai la scritta “atterrato” vicino al volo Atlantic City - Los Angels. Mi avvicinai velocemente alle rampe delle scale mobili dove tutti quelli che arrivavano in città prendevano almeno una volta. Iniziai a guardare ogni volto femminile cercando di trovare quello impossibile da non riconoscere di mia madre. Ero così agitato che ogni volta che mi asciugavo le mani sfregandole sul jeans queste, ricominciavano a sudare ancora di più. Sbuffai nervoso e m’infilai una mano tra i capelli continuando a fissare le rampe. E poi me la ritrovai con i suoi occhi marroni puntati addosso, che mi osservava mentre scendeva la rampa. Preso dal panico cominciai a correre verso di lei, sbattendo anche contro qualche persona che passava di la, e salii la rampa al contrario ritrovandomela davanti.
«Ti vedo bene, Joseph»
Esclamò sorridendo. Incapace di dire qualsiasi cosa feci l’unica cosa che mi mancava fare da tempo, semplicemente l’abbracciai.
«Mamma...»
Le sussurrai soffiando sulla sua spalla mentre ancora la stringevo tra le braccia. Mi invogliò a continuare facendo un piccolo cenno di testa. 
«Ti voglio bene»



No, non è una visione ahahahaha
Sono tornata, dopo una pausa di mmm... quattro mesi. Non potete nemmeno immaginare quanto mi dispiace per tutto questo tempo che vi ho fatto aspettare e no, non ho una scusa che regga tutto questo xD. Solo che questa storia doveva e deve andare avanti e non potevo lasciarla senza una fine :3 quindi eccomi qua.
*cerca di evitare i pomodori*
Non prendendo di avere lo stesso numero di recensioni che avevo, mi basta che vi piaccia (certo, se recensite è meglio ahahaha). L'immagine sopra il capitolo l'ho fatta prima per smorzare la tensione che avevo di postare. Perché l'ammetto, avevo una paura tremenda xD ahahaha Sono già a lavoro per il capitolo successivo e anche quello è quasi finito. quindi nulla, spero che siate contente di riavermi qui con voi, perché io lo sono :3

un bacio, ƒrah

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Capitolo 21
*** #21 | he calls me... ***


«Allora, qui dice tenere fuoco alto, saltare e girare spesso, facendoli dorare»
Lessi a voce alta tenendo il mestolo con la sinistra puntato verso la padella e il ricettario nella mano destra.
«Non può essere così difficile!»
Esclamai alzando le spalle. Buttai il ricettario sul bancone e presi il manico della padella con tutte e due le mani, alzandola di poco dal fuoco e provai a far saltare i bocconcini di pollo. Non andò proprio male, escludendo quei due o tre pezzi che saltarono dalla padella ricattando di macchiare il mio vestito a fiori. Appoggiai il tutto sul fuoco e continuai a girare con il mestolo. Posso giurare che non stavo cucinando il pollo solo perché era uno dei cibi preferiti di Joseph. Ecco, Joseph. Appena la mia mente iniziò a pensare a lui le mie guance si colorarono di un delizioso rosa acceso. Tanto che ero persa nel mio mondo che non mi accorsi che Robert stava delicatamente bussando al vetro della finestra. Mi girai e gli sorrisi salutandolo con la mano. Già, Robert. Un amico di Joe che quest’ultimo gli chiese il favore di tenermi d’occhio quando lui non poteva stare a casa. Ormai mi stavo abituando all’idea di essere tenuta sempre sotto controllo e poi Rob non dava fastidio. Certo, forse per la sua robustezza poteva incutere non poca paura ma alla fine se lo si conosceva era davvero un uomo simpatico. Diedi un veloce sguardo all’orologio appeso al muro e mi resi conto che sarebbero arrivati a momenti. Abbassai la fiamma portandola al minimo e mi girai verso la tavola apparecchiata per tre, fiera. Fiera perché trovare tre bicchieri uguali in quella casa era davvero una missione impossibile. Cacciai l’acqua dal frigo e la posizionai attentamente al centro dalla tavola, in certi casi ero tremendamente precisa. Girai un po’ la carne e buttai la pasta nell’acqua che ormai bolliva da tempo. Mi appoggiai lentamente al bancone buttando la testa all’indietro massaggiandomi il collo, ero distrutta. Il mio sguardo scese lentamente verso il segno rosso, detto comunemente succhiotto, che troneggiava sul seno. Segno che, Joseph, la sera prima, l’aveva denominato in segno di conquista. Scossi la testa sorridendo e mi sistemai il vestito, coprendo tutto, aggiustando anche il cinturino marrone che avevo legato sotto il seno. Mi ero fatta anche una treccia, una di quelle lunghe che mi arrivavano fino a metà schiena, sia per stare più fresca, visto che il caldo era ufficialmente scoppiato e stava dando il meglio di se, sia per stare più apposto, quella massa di capelli che mi ritrovavo era indomabile in quei giorni. Uno. Due. Tre scatti e sentii sbattere la porta contro la parete. Mi affacciai verso il corridoio appoggiandomi alla porta scorrevole e m’incantai a vedere la donna affianco a Joe. Così sicura e delicata nei suoi movimenti mentre si avvicinava lentamente verso di me, preceduta dalla sua mano, con un sorriso familiare sul volto.
«Ciao, io sono Denise. Tu devi essere»
«Felicity. E lei è davvero bellissima»
Esclamai prendendole la mano e salutandola con due baci informali sulle guance. Scoppiò in una tenera e breve risata e mi prese prontamente tutte e due le mani, voltandosi verso Joseph che aveva portato la valigia in casa e chiuso la porta.
«Si sapeva che le tue descrizioni telefoniche erano poco affidabili ma caro, questa volta ti sei sbagliato di grosso. E’ molto meglio di come mi hai detto»
Gli aveva parlato di me? Al telefono? Durante quelle poche volte che si sentivano? Sentii lentamente le guance andarmi a fuoco e messi a fuoco il sorriso della donna su di me.
«Avete fame? Ho cucinato qualcosa se volete»
Detto questo Joseph si piombò in cucina cadendo quasi dalla sedia.
«Credo proprio che qualcuno abbia fame»
Esclamò Denise raggiungendo Joe a tavola, con meno enfasi del figlio. Portai in tavola la pasta al ragù alla bolognese, comprato a caro prezzo in un negozietto italiano in città.
«Non sono ancora un asso in cucina quindi avete tutto il diritto di non toccare niente e ordinare una pizza»
Dissi sedendomi affianco a Joseph che era già intento ad arrotolare le tagliatelle con la forchetta portandosi il malloppo alla bocca.
«Quindi hai cucinato tu... nulla di surgelato?»
Chiese con la bocca piena e un pezzo di pasta che gli usciva fuori e io annuii divertita. Ovviamente non poteva lasciarci mangiare tranquillamente senza il suo show aiuto sto soffocando con il quale risposi con una smorfia e una gomitata sul fianco di lui.



 

«Se non mi dispiace io vado a riposarmi. Il viaggio mi ha un po’ stancato»
Esclamò con voce pacata e soprattutto stanca Denise, sempre con il sorriso sulle labbra, mentre faceva scivolare all’indietro la sedia.
«Ti accompagno»
La seguii Joe accompagnandola di sopra, sicuramente per farle vedere nel dettaglio tutte le cose che le sarebbero servite. Dopo qualche minuto di riposo massaggiandomi le tempie con un movimento lento dei polpastrelli mi alzai iniziando a sparecchiare. Buttai piatti, posate e bicchieri nel lavandino  iniziando a lavare tutto con estrema lentezza chiudendo persino gli occhi per qualche secondo. Fino a quando non sentii spostarmi la treccia sulla spalla destra e cingermi la vita da due braccia di cui conoscevo bene il proprietario. Una scia di baci appena accennati sul collo mi fecero andare in estasi con cui risposi con un gemito strozzato.
«Che cosa stai facendo?»
Chiese con il suo tono basso e sensuale. Sentii il cuore prendere la corsia di emergenza e strizzai la spugna fino a prosciugarla dall’acqua che aveva assorbito. Diamine Felicity! Riprenditi.
«Massaggio i piatti con la spugna perché sono stressati. Cosa vuoi che faccia?»
Risposi con il mio tono da stronza con un pizzico di acidità. Come non detto, la stanchezza gioca brutti scherzi. Boccheggiai e mi lasciai andare contro il suo petto caldo sospirando.
«Scusami, sono stanca»
Mi asciugai le mani con la pezza appoggiata li vicino e sfiorai il braccio di Joseph. In questi momenti non parlavamo molto, causa l’imbarazzo o no, ma eravamo solo felici di essere vicini.
«Dai, ti aiuto»
Mi lasciò un bacio delicato sulla nuca e si impegnò ad asciugare i piatti che gli passavo e a metterli al proprio posto. Era stanco anche lui ma non voleva darlo a vedere, voleva assicurarsi che il mio sorriso non si spegnesse. Come mi aveva confessato qualche settimana prima al secondo matrimonio di mia madre, lui aveva bisogno di me per non essere triste. Io avevo bisogno di lui non solo per quello, lui c’era quando volevo sfogarmi, piangere, guardare film senza senso mangiando gelato direttamente dalla vaschetta. Semplicemente... lui c’era. Non mi accorsi che lo stavo praticamente fissando da cinque minuti buoni fino a quando non si avvicinò a me prendendomi la mano e intrecciando le sue dita alla mie.
«Che ne dici di andare in camera mia?»
Sussurrò sfiorando con il naso il tragitto collo - orecchio destro. Sorrisi inclinandomi da un lato facilitandogli il lavoro.
«C’è un secondo fine a questo invito?»
Chiesi appoggiandomi con una mano sul bancone della cucina per non perdere l’equilibrio, decisamente troppe emozioni tutte insieme. Sentii il suo sorriso allungarsi lungo la mia spalla e la sua mano salire lungo il fianco. Ovviamente avevo recepito il messaggio e iniziai a camminare lentamente all’indietro verso le scale trascinandomi Joseph, torturandomi il labbro inferiore incatenando il suo sguardo al mio. Mi tirò contro di lui e con una breve risata mi ritrovai su di lui, con le sue braccia strette lungo il bacino e le mie gambe che cingevano i suoi fianchi. Amami, prendimi, stringimi e non lasciarmi mai. Gradino dopo gradino sentivo il suo profumo più dolce, il suo respiro solleticarmi il collo e la mia schiena sbattere contro la porta di camera sua.
«Sei impazzito? Se svegli tua madre puoi definirti morto»
Sussurrai seria schiacciandogli il naso con il dito. Lo volevo più di qualsiasi altra cosa e aspettare la sera mi avrebbe fatto impazzire solo al pensiero di fare il conto alla rovescia di quanto tempo mancava a ritrovarmi dinuovo con lui. Scosse la testa sorridendo e l’aiutai ad abbassare la maniglia. Una volta dentro, dopo aver chiuso la porta con un leggero movimento del piede, sprofondai sul letto portandomi dietro Joe e diminuendo la distanza tra noi. Socchiusi la bocca e sfiorai le sue labbra calde e leggermente rosse a causa del mio vizio di mordergliele. Era a pochi millimetri da me, era li con me, era li per me ed era mio. Faticavo ancora a crederci. Mossi il bacino contro il suo e ansimai lievemente al mio stesso gesto, lui si limitò a sospirare e torturarsi il labbro per trattenersi.
«Che ne dici di chiudere la porta a chiave?»
Gli sussurrai infilando una mano tra i suoi capelli e annui. Si allontanò da me per qualche secondo ma mi sentii senza ossigeno e gli scatti della serratura mi riempirono la testa fino a quando non fu sostituito dal fruscio del mio vestito a fiori scivolato sul pavimento. Me lo ritrovai addosso intento a infuocarmi ogni parte del corpo li dove appoggiasse le labbra. Gli sfilai la maglia di dosso e appoggiai il palpo della mano sul suo torace, era muscoloso ma non troppo e i suoi addominali si percepivano sotto i polpastrelli ed erano lievemente delineati. Non era un tipo da palestra ma si teneva in forma.
«Sei la cosa più bella che mi potesse capitare, Felicity»
Perché quella frase detta in quel modo mi aveva fatto eccitare più della sua mano che si era insinuata dietro la schiena a sganciarmi il reggiseno? Le mie mani scesero a sbottonargli il jeans e percepii un gemito all’altezza dell’orecchio non appena sfiorai con le dita la sue evidente eccitazione. Lo stavo portando al limite e me ne resi conto quando mi sfilò gli slip con tanta violenza che mi chiesi persino se me li avesse strappati. Si mise in ginocchio e, infilandosi una mano tra i capelli, iniziò a fissarmi. Nuda, con il cuore a mille e il respiro irregolare. Ero sicura di avere perfino le gote rosse e i capelli appiccicati al viso ma, insomma, era il momento meno adatto ad imbarazzarsi. Cingendogli un braccio intorno al collo lo riportai contro di me, con il seno contro il suo petto, cuore e anima a sua completa disposizione. Inclinai la schiena non appena le sue labbra iniziarono a baciare il mio seno con dolcezza e avidità.
«ti voglio ti voglio ti voglio»
E non volevo solo il suo corpo, volevo lui dentro fuori e vicino a me. Cercai di non urlando quando un pizzicò di lucidità mi ricordò che a pochi metri c’era sua madre. L’elastico dei boxer scivolo lungo i suoi fianchi ed entrò dentro di me in un’unica spinta che mi tolse il respiro e mi fece aggrappare alle sue spalle con forza.
«Amore non. non resistevo più» Ansimò, muovendo il bacino contro il mio. Con il mento appoggiato sulla sua spalla e la bocca socchiusa che gli sfiorava la guancia mi resi conto di come mi aveva chiamata. Cazzo, mi aveva chiamata Amore.



Non so che dire ahahaha ah si!
Ringrazio le quattro recensioni che mi avete lasciato e le persone che mi hanno aggiunta su twitter per farmi i complimenti (che non me li merito maaa comunque) 
Allora per questo capitolo le canzoni che mi hanno ispirato sono state:
How To Love - Sam Tsui (youtube) | sopratutto per la prima parte del capitolo.
Innocence - Avril Lavigne (youtube) | per la parte finale uu
Insomma... non è che vi interessi molto xD ora risponderò alle vostre recensioni :3 ne aspetto altre eh ùwù
Al prossimo capitolo,
Frah! 

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Capitolo 22
*** #22 | girl, i'm just in love with you. ***


Era circa mezz’ora che fissavo l’orologio scandire il tempo sul comodino. Era uno di quei modelli con le tessere, che cambiavano ad ogni minuto od ora. Erano esattamente le 7:05am e in quel momento regnava la pace più assoluta. Solo i miagolii di George che provenivano dal salotto e il respiro di Joe che dormiva affianco a me spezzavano, in un certo senso, quel silenzio. Mi girai verso sinistra e incontrai il viso mezzo assonnato di quel ragazzo che da ormai quattro mesi mi regalava solo sorrisi, che mi proteggeva più di un padre. Sicuramente se non avesse deciso di passare la notte a sperimentare con la polaroid non si sarebbe ritrovato così, ad abbracciare il cuscino stanco morto. Infilai una mano nei suoi capelli appena tagliati, li aveva solamente rasati leggermente ai lati lasciandoli più lunghi sopra. Appoggiai delicatamente la testa sulla sua spalla e gli diedi un bacio sul collo, con schiocco finale. Il bacio ebbe l’effetto desiderato, riuscivo a percepire la pelle d’oca di lui da sotto i polpastrelli, sfiorando di poco il braccio stretto attorno al mio fianco. Mi alzai, con il sorriso sulle labbra, dopo essermi liberata dalla stretta di Joseph e mi ricordai improvvisamente che indossavo solamente gli slip neri infilati di nascosto durante la notte. Recuperai la camicia di Joe dal pavimento e l’infilai velocemente, percependo già il suo profumo addosso. Il suo profumo. Un misto di uomo e bambino. Un mix di acqua di colonia e gelato al cioccolato. Scesi in cucina in cucina in compagnia degli scricchiolii delle scale in legno e misi a fare il caffè, semplici mosse quotidiane. Mentre mi alzai sulle punte dei piedi per recuperare la mia tazza sulla credenza, una parola indecifrata mi ronzava in testa. Qualcosa di già sentito, qualcosa che mi era stato detto, da poco. Appoggiai la tazza sbeccata sul bancone, con la testa completamente impegnata a ricordare la giornata precedente. Il risveglio senza lui, la sua telefonata, la preparazione del pranzo, l’arrivo di Denise, il momento tutto nostro e... Amore!
«Mi... mi ha chiamata amore»
Dissi boccheggiando ricordandomi il fatidico momento.
«A.Amore? Non posso crederci! Devo aver capito male, malissimo
»
Iniziai a parlare da sola per autoconvincermi di non aver sentito quella parola. Avevo sentito fin troppo bene quella sera, stringendomi a lui. Quella parola mi era entrata non solo dalle orecchie, ma da ogni particella, muscolo, arto, organo che avevo a disposizione. Perché l’amore ti entra dentro, e non te ne accorgi nemmeno quando succede. E una delle sensazioni più forti che ti trasmette è quella dell’appartenenza. Senti tuo qualcuno che effettivamente ancora non lo è; e in certi casi non lo sarà mai.
«Perché sei così spaventata di essere innamorata? E soprattutto di essere ricambiata?»
Una figura femminile mi piombò affianco, rubandomi la tazza dalle mani. La guardai in silenzio, paralizzata da quel sorriso così simile a quello del figlio. E si, anche un po’ imbarazzata. Ero in mutande, con la camicia del figlio addosso. Anyway...
«Siediti, dobbiamo parlare»
Annuii e mi diressi verso il piccolo tavolo che troneggiava al centro della cucina, senza fiatare. Cercai di portare la camicia un po’ più giù nel sedermi, ovviamente con scarsi risultati.
«Signora ecco io...»
«Niente signora, per te sono Denise e non devi vergognarti»
Sorrise chiudendo il barattolo contenente la miscela del caffè
«Lo facevo anche io con mio marito; le sue felpe che portava al college erano molto meglio delle mie»
Si girò verso di me sorridendo. Ricambiai mettendomi più a mio agio dopo quella confidenza, portando le gambe al petto cullandomi dolcemente.
«Lui è preso da te, si vede e si, si sente anche. Sai quando l’ho capito? Subito dopo che mi ha riferito il tuo nome»
Scosse la testa sorridendo mentre, con un delicato movimento del piede, chiuse lo sportello dopo aver cercato una padella piatta, probabilmente per cucinare dei pancakes.
«Mi stai riportando indietro il vero Joseph, Felicity. E non potrò mai ringraziarti abbastanza per questo»
Disse con la commozione che le giocava brutti scherzi. Le sorrisi e allungai le mani verso di lei, incitandola ad avvicinarsi. Me le strinse delicatamente con sorriso sincero sulle labbra, gli occhi lucidi travolti completamente dall’emozione. Avevo la dimostrazione dell’amore di una madre per i propri figli davanti ai miei occhi.
«Io ho. paura...»
Esclamai a un certo punto, alzando lo sguardo verso di lei che, con un cenno di capo, mi incitò a continuare. Sospirai lasciandole le mani.
«Ho paura di distruggermi, dinuovo, per qualcosa di troppo grande. Denise, l’amore... l’amore non fa per me»
«Vedi... noi donne siamo in grado di autodistruggerci si, ma poi di rinascere. Noi donne possiamo essere chi vogliamo, come vogliamo e quando vogliamo»
«Quand’è il momento giusto?»
«Per cosa?»
«Per. Per dire quelle due paroline. Si insomma... Ti amo»
Ne ero sicura, completamente sicura. Sentivo il viso andarmi a fuoco, il respiro venirmi a mancare. Era la prima volta che ammettevo di amare Joseph Adam Jonas. Per di più davanti a sua madre.
«Per esperienza ti consiglierei prima che lo faccia qualcun’altra»
Scoppiò in una breve risata, seguita dal mio sguardo divertito ma attento
«Quando? Quando senti di dipendere da lui. Quando senti scoppiarti il cuore, quando rimani senza lui e ti senti morire. Quando hai paura, paura di perderlo, che qualcuna te lo rubi. Ma sopratutto lo devi capire tu quando dirglielo. Ti uscirà dalla bocca e nemmeno te ne accorgerai» 



 

Lasciai Denise in cucina a finire di preparare la colazione, mi aveva persino ordinato di stare a un raggio di distanza da lei pari a tre metri, così decisi di andarmi a fare una meritata doccia. Aprii e mi richiusi alle spalle la porta del bagno, una nuvola di vapore caldo mi colpì il viso.
«Da quando non chiudi la porta del bagno?»
Chiesi avvicinandomi al lavandino, poggiando la pila del cambio che avevo deciso di mettermi subito dopo la doccia.
Il fruscio dell’acqua terminò venendo sostituita dalla risata di Joe.
«Credimi, vorrei essere davvero fine e sdolcinato, ma ogni frase che il mio cervello sta elaborando in questo momento contiene minimo tre parole inappropriate persino per una come te»
Mi girai verso la doccia alzando il sopracciglio.
«Cosa vuoi dire con persino per una come te?»
Piombai davanti a lui aprendo di scatto le ante in vetro satinato. Mi guardò divertito sicuramente per la mia faccia totalmente tranquilla davanti a lui, completamente nudo e bagnato. Non ebbi nessuna risposta se non quella di essere completamente spiaccicata sulle piastrelle umide.
«Vuoi rompermi?»
Chiesi ridendo sfilandomi di dosso le poche cose che avevo.
«Non ti sei rotta a letto in questi giorni. Credimi, sei indistruttibile»
Esclamò mescolando le sue risate alle mie. Mi fece aderire al muro e, accarezzandomi la coscia, portò prima una e poi l’altra gamba all’altezza del suo bacino.
«Ma queste battute pessime da dove ti escono?»
Sussurrai, dopo aver appoggiato la testa sulla sua spalla e lasciandomi rilassare dall’acqua calda che scivolava lungo la schiena. Sentii le sue labbra calde aprirsi in un sorriso sulla mia guancia, lasciandosi dietro una scia di baci che pian piano scendevano verso il collo. Due cose erano sicure in quel momento. La prima è che non sarei mai più riuscita a fare una doccia senza di lui. La seconda è che aveva un modo perfetto di cambiare argomento.



 

«Hai intenzione di farmi assaggiare oppure no?»
Chiese riferendomi al delizioso muffin che stavo addentando con tutta calma, intenzionata a godermelo fino all’ultima briciola. Mi girai verso di lui con aria di sfida.
«Stai scherzando Joseph? Aspettavo da settimane questo momento»
«Ma è solo un muffin!»
Sbottò appoggiando una mano sulla coscia scoperta dagli shorts, accarezzandola con il movimento del pollice.
«Prima di tutto questo è IL muffin!»
Scoppiò a ridere finendo il suo frappuccino in un sorso; mi morsi il labbro immaginandomi il sapore delle sue labbra in quel momento... cioccolato. Scossi la testa scacciando quei pensieri e diedi un altro morso al dolce.
«Ho trovato un altro modo per gustarmi il tuo muffin»
«Vorrei proprio sa-»
Mi girai di scatto e sentii premere le sue labbra al cioccolato sulle mie. Il tocco delicato delle sue mani appoggiate sul mio collo mi fece venire i brividi tanto da farmi sorridere. Socchiusi la bocca tanto quanto bastò ad approfondire il tutto, ero letteralmente andata in tilt. In quel momento mi si era fermato il cuore, direi anche il mondo, ma non era così. Non c’era nient’altro che noi. Mi appoggiai al vetro della vetrina alle mie spalle e, prendendolo per il bordo della maglia, lo trascinai contro di me. Si staccò poco dopo, con il suo solito ghigno soddisfatto.
«Non mi sembra il caso, Fel»
In quel momento mi sentii una completa idiota, buon Dio! Eravamo in un bar affollato alle undici del mattino. Avvampai e mi compri il viso con la mano, dopo aver appoggiato il gomito sul tavolo.
«Insomma... violentarti su un tavolino di un bar non porterebbe solo tanta tanta soddisfazione ma anche un mandato di arresto per atti osceni in luogo pubblico»
Cercai di trattenermi ma, dopo una battuta del genere, era letteralmente impossibile.
«Sei un cretino autorizzato dallo stato del New Yersey, Joe. Altro che baby sitter»
«Come si dice nei film in questi casi? Ah si... è perché sono innamorato di te» 



taaadan! *coriandoli everywhere*
scusate il ritardo maaa... ho dovuto mettere in ordine per bene tutti i pensieri ammassati in un cassetto per questa ff. 
eeepppoi è iniziata la scuola ç______________ç uh mamma uu" era così figo svergliarsi ( stavo scrivendo sverginarsi MA OK AHAHAHAHA) all'una e fare colazione con la pasta! xD
ma, in generale, mi va tutto bene :3 e a voi? com'è stato il ritorno a scuola?
anyway... non dovrebbe passare molto tempo (ultime parole famose) per il prossimo capitolo, anche perché sono gli ultimi... per vostra fortuna ahahahaha
ma di questo ne parlermo più avanti :3
love yaaa <3
ƒ.


 

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