La Gatta Morta

di TigerEyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Tutti al Museo Egizio ***
Capitolo 2: *** II - Un'inquietante presenza in casa Tendo? ***
Capitolo 3: *** III - Un consulto disastroso ***
Capitolo 4: *** IV - Bastet al contrattacco ***
Capitolo 5: *** V - Sono rovinato! ***
Capitolo 6: *** VI - Ad armi pari? ***
Capitolo 7: *** VII - Il collarino di Anubi ***
Capitolo 8: *** VIII - L'ultima speranza? ***
Capitolo 9: *** IX - Tanto va la Gatta al lardo... ***



Capitolo 1
*** I - Tutti al Museo Egizio ***


Avvertenza: La trama mi è stata suggerita a grandi linee da Laila84, autrice della ff su Ranma intitolata Military Man. Grazie Laila!^^




I parte

TUTTI AL MUSEO EGIZIO





A forza di sbadigliare si stava slogando la mascella. Ma Ranma non poteva proprio farne a meno: quella era la gita più anestetizzante cui fosse stato costretto a partecipare, l’ultima brillante trovata della professoressa Hinako. Cosa poteva importagliene a lui, grande artista marziale, di gente morta dall’altra parte del pianeta che si divertiva a… a… cos’è che facevano? Altro sbadiglio da far lacrimare gli occhi.
Akane gli rifilò una vigorosa gomitata in un fianco, costringendolo a riaprire le palpebre. Così, per il tempo record di tre secondi e tredici decimi, il cervello rimase sufficientemente cosciente per osservare l’eminentissimo professor Katzuto Kisuda che con cipiglio severo e voce ipnotica spiegava uno dopo l’altro gli innumerevoli reperti del Museo Egizio di Tokyo.
Perché lui doveva rimanere sveglio ad ascoltare quella nenia ammorbante mentre la professoressa Hinako, dopo aver zompettato allegramente da un teca all’altra, stava ora schiacciando un pisolino dietro una statua colossale?
Che noia! Perché non sono rimasto a casa ad allenarmi? Che mattinata sprecata!
"…E questo che vedete ora è un esemplare del famigerato Libro dei Morti, ritrovato… bla bla… e risalente al Primo Periodo Intermedio… bla bla bla… trattandosi quindi di uno degli esemplari più antichi… bla bla, bla e riblabla…".
Le palpebre minacciavano di chiudersi per non aprirsi più, quella litania era troppo soporifera. Poi, l’illuminazione!
Tecnica Saotome della guardia insonne!
Ranma tolse dalla tasca dei pantaloni lo scotch che si era provvidenzialmente portato da casa e se lo applicò alle palpebre per tenerle aperte.
"…In questo papiro potrete inoltre notare come la rappresentazione dualistico simbolica del sole che sorge in contrapposizione al caos primordiale che fluttua nelle tenebre allegoricamente raffigurate come…".
I pezzetti di scotch cedettero di schianto. Ranma smise di lottare contro il torpore incipiente e lasciò che il sonno avesse la meglio sulle sue scarse attitudini scolastiche…

"Avanti schiavo!", urla il capocantiere facendo schioccare la frusta.
"Maledetto! Potrebbe almeno scendere dal blocco di pietra che sto trascinando, così peserebbe di meno!".
"Fai silenzio Saotome! Sei il solito sfaticato! Avanti, tira la fune!". Nuovo schiocco di frusta.
In quella si ode una voce dall’inconfondibile tono piatto come un encefalogramma.
"Cosa succede qui? Qualcuno osa lamentarsi?", chiede un pancione sudando copiosamente sotto il sole rovente.
"Onnipotente faraone Kisuda!", proferisce il capocantiere inchinandosi.
"Qui chi suda davvero sono io!", ansima Ranma.
"Come osi schiavo pronunciar favella? Ora ti punirò come meriti!", tuona debolmente il faraone agitando gli scettri sacri mentre l’enorme copricapo gli scivola sugli occhi. "Devi sapere che nell’Antico Regno non era usuale ricoprire le piramidi di geroglifici, questa pratica diventa comune solo a partire dalla V dinastia con una complessità fonetico grammaticale sintattica unita al perfezionismo stilistico dialettico che…".
"AAAARRRRGGHHHHH!".

"Ranma? Ranma?! Svegliati!", lo strattonò Akane. Il codinato aprì gli occhi di soprassalto, ansimando.
"Che incubo terrificante!", disse portandosi una mano sul cuore.
"Incubo? Ma sei stavi russando! Se ne sono accorti tutti! Allontaniamoci prima di fare qualche altra figuraccia!".
Akane lo afferrò per la treccia trascinandolo in una saletta appartata.
"Allora, mi spieghi che ti succede?", chiese furibonda.
"Succede che non ho dormito per colpa di quei maledetti gattacci che hanno miagolato tutta la notte!".
"Strano, credevo che in presenza di così tante mummie di gatti saresti stato più che sveglio!", osservò Akane incrociando le braccia e inarcando un sopracciglio.
Ranma si guardò cautamente intorno e iniziò a sudare copiosamente freddo. Il sonno era improvvisamente svanito nel rendersi conto che la sua adorabile fidanzata senza un briciolo di fascino l’aveva portato in una lunga stanza piena di teche di vetro. Sala dei gatti mummificati, recitava il cartello.
"G-g-g-g-g-gaaaaa…", balbettò compiendo istintivamente uno scatto indietro mentre i capelli si rizzavano sulla testa come gli aculei di un porcospino.
"Ranma, attento!", inveì sottovoce Akane allungando una mano.
Troppo tardi. Col suo involontario sussulto Ranma urtò una delle teche, ma i suoi riflessi gli permisero di girarsi e afferrarla prima che s’infrangesse a terra, mentre Akane si gettava verso la colonnina di legno a sostegno del prezioso reperto.
"Appena in tempo!", sbuffò il codinato, mentre un solenne tonfo annunciava che il suddetto reperto era appena caduto sul pavimento e stava rapidamente rotolando sul fondo della lunga saletta. Srotolandosi completamente.
"Oh no, accidenti!", imprecò Akane sperando che nessuno avesse udito il trambusto. "Ranma come fac… Ranma? Ma dove sei? Ranma?!", si chiese guardandosi attorno smarrita.
"S-s-s-s-s-s…".
Cos’è? Una fuga di gas?
"Ranma?!".
"S-s-sono quas-s-sù!".
Akane sollevò gli occhi verso il soffitto e immediatamente si diede una manata in fronte: Ranma s’era avvinghiato ad un condotto d’aerazione come un polipo ad una cozza.
"Razza di stupido, scendi subito!", ordinò Akane con una mano poggiata su un’anca e un indice puntato a terra.
"G-g-g-g-g-gaaaaa…".
Oh no! Sta per andare fuori di senno!
"E va bene, vado a raccogliere quella mummia, però tu cerca di rimanere calmo!", gli intimò per poi correre a raccogliere la bestiola rinsecchita e riavvolgerla nelle bende sfatte e ingiallite.
"Ahi!".
Akane aveva lanciato un gridolino, seguito da un nuovo tonfo. Il cervello di Ranma si riattivò.
"Che succede?", chiese allentando la presa sul condotto.
"No… niente… le unghie di questa mummia mi hanno graffiato un dito…". Ranma saltò agilmente a terra e con circospezione fece per avvicinarsi. "Esce molto sangue, devo andare alla toilette a sciacquarmi, pensa tu alla mummia e sbrigati che i guardiani girano per le sale!", disse allontanandosi a passo svelto.
Il ragazzo sbarrò gli occhi sulla bestiaccia annerita, inchiodato al linoleum. Doveva pensarci lui?! A fare che?!



L’acqua fredda scorreva sul taglio gonfio e rosso, ormai il sangue non fuoriusciva più, però faceva ancora un male cane. Ma come aveva fatto a tagliarsi? Eppure aveva cercato di maneggiare con cura quel maledetto gatto... Akane si asciugò velocemente le mani e tirò fuori un cerotto dalla tasca della divisa scolastica. Ne portava sempre per Ranma, visti i guai in cui era capace di cacciarsi. Bene, ora doveva correre di nuovo da lui, chissà cosa stava combinando con quella mummia. Ma non fece in tempo a voltare l’angolo che rimase pietrificata.
"No! Non è possibile!" si lamentò dandosi un’altra manata sulla fronte. "Andiamo Ranma, non avrai davvero paura anche dei gatti morti!", chiese sbigottita, ma il sudore col quale il suo fidanzato stava facendo il bagno non lasciava dubbi.
"M-m-m-m-ma che s-stai dicendo? P-p-paura io? N-n-non dire sciocchezze!", rispose il ragazzo ridendo istericamente seduto per terra, mentre tremante tentava invano di riavvolgere la povera mummia nelle sue bende spingendola con la punta di un piede come se volesse avvolgere un tappeto.
"Razza di idiota, ma che stai facendo?!", sbraitò Akane avvicinandosi e afferrando il gatto mummificato. "Insomma, sii uomo! Tieni la mummia, vado a prendere l’altra estremità della stoffa!".
Ranma sbiancò all’istante nel ritrovarsi la perfida bestiaccia fra le mani e stava per scagliarla in aria terrorizzato, quando un’idea gli balenò in testa al sopraggiungere di Akane, che teneva l’estremità della chilometrica benda.
"Ferma dove sei!", ordinò mettendo la piccola mummia a terra, verticale al pavimento, e tenendola dritta e ferma col pollice e l’indice sulla testa.
"Ma cosa…".
"Tecnica Saotome del riavvolgimento rapido!".
Con una vigorosa spinta, Ranma tramutò la povera bestia in una velocissima trottola, che riavvolse l’interminabile benda con incredibile rapidità. Finendo per sembrare un cotechino.
"Fatto!", affermò Ranma trionfante, mentre un inusitato gocciolone si formava dietro la testa della fidanzata. Fu allora che i due udirono passi ovattati in avvicinamento.
"Sbrighiamoci, stanno arrivano i guardiani, sono appena entrati nella sala accanto!", si allarmò Akane afferrando la mummia per rimetterla dentro la teca, ma all’ultimo istante si bloccò.
"E adesso che c’è?!", chiese Ranma a denti stretti.
"No, è che… com’era tenuta ferma la stoffa? Non ci ho fatto caso!".
"Nemmeno io…", rispose lui grattandosi la testa. "E ora?".

"Uff… mia moglie vuole a tutti i costi trascorrere un fine settimana a Niihama, eppure lo sa che non possiamo permettercelo!".
"Ma come! È pieno di ryokan a buon mercato, quel posto! Vedrai che qualcosa di economico lo troverete".
"Sì, ma…". Il guardiano si bloccò, inarcando sconcertato un sopracciglio. "E quello… che diamine è?! Sembra… un salsicciotto…", proferì avvicinandosi a una delle teche della sala dei gatti mummificati.
I due compagni di ronda si guardarono sconcertati, per poi tornare lentamente a contemplare orripilati la cosa al di là del vetro.

Ranma e Akane stavano velocemente guadagnando l’uscita del museo, ormai era fatta, erano in salvo.
"Ranma…?".
"Che c’è?", chiese bruscamente lui guardandosi ogni tanto indietro.
"Secondo te abbiamo avvolto bene la mummia?", azzardò dubbiosa Akane.
"Non so, credo di sì… Sicura che fosse combinata in quel modo?", cominciò lui scettico.
"Ma sì, certo! Come osi dubitarne?! L’abbiamo rimessa esattamente com’era!".
"E allora perché me lo chiedi?!", sbuffò irritato il fidanzato.
"No… così…".

"Sì, sono Yamashita, della sicurezza! Presto, dica al professor Kisuda di venire nella sala dei gatti mummificati, è un’emergenza!", tuonò uno dei guardiani al walkie talkie, mentre la faccia si contorceva per il disgusto. La povera mummia era stata buttata a testa in giù in un angolo della sua teca, con le zampette posteriori che sporgevano storte e rinseccolite dalle bende, avvolte intorno al corpo fino a farlo sembrare un alveare e… No, non riusciva nemmeno a guardare! Quel gigantesco, orrido fiocco sul muso era il colpo di grazia, un vero insulto.
"Sai che mi ricorda? Uno di quei prosciutti che si vedono appesi nei supermarket che vendono prodotti italiani, hai presente?", affermò il compagno osservando pensieroso la teca, una mano sulla spalla dell’amico. "Sai che ti dico? Appena stacco vado a farmi un sukiyaki, vieni con me?".






I disegni sono stati realizzati da Kelou, cui va tutta la mia gratitudine.
Il sukiyaki è il tipico piatto giapponese a base di carne cruda.
Bene ragazzi, ditemi sinceramente che ne pensate, il comico non è il mio forte e senza l’aiuto di Riccardo (grazie beta – fratellone!^^), che mi ha suggerito il titolo, alcune battute e alcune sequenze (come quella dello scotch e del sogno), col cavolo che avrei intrapreso la stesura di questa ff. XD
Vorrei inoltre ringraziare Akachan, che ha avuto la pazienza di farmi da seconda beta, e aggiungere che il paesino di Niihama l’ho tratto dalla sua ff It cannot love, incentrata su un ryokan molto particolare… ^_-
Grazie inoltre a Manuelita, Wicca87, ilcantastorie, Black_pill, sailormoon81 e agli stessi Riccardo e Akachan per le incoraggianti recensioni su www.ilsigillo.net!^^
Ah dimenticavo, il Museo Egizio di Tokyo non esiste e il nome del professore Katzudo Kisuda l’ho preso da un piccolo albo-parodia di Ken il Guerriero intitolato Kenshemo il Guerraiolo. XD

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Capitolo 2
*** II - Un'inquietante presenza in casa Tendo? ***


Ringrazio sentitamente il beta Rik per tutti i consigli e le correzioni, senza di lui questo capitolo non sarebbe stato lo stesso, grazie fratellone! *____*



II parte

Un’inquietante presenza in casa Tendo?





Il sabato è bello soprattutto per un motivo. Perché il giorno dopo è domenica, quindi siamo consapevoli di poter poltrire fino a tardi. E Ranma Saotome, campione mondiale di sonno pesante (o di coma leggero, se preferite), ne era consapevole più di chiunque altro. Per questo non si era minimamente accorto della presenza nella sua stanza, inondata già da un pezzo dalla luce del sole, che durante la notte gli si era accoccolata addosso come una tellina a uno scoglio, dormendo avvinghiata a lui. Di conseguenza, non si accorse neppure che quella stessa presenza, alle prime luci dell’alba, si era svegliata, si era stiracchiata e poi si era guardata intorno sconcertata chiedendosi che accidenti ci facesse lì. Si era perciò dileguata il più silenziosamente possibile, confidando nel proverbiale letargo del ragazzo col codino.
Ranma riaprì finalmente le palpebre. Una alla volta però: si erano incollate saldamente fra loro e si rifiutavano di obbedirgli. Sbadigliò sonoramente, lasciò andare il cuscino tenuto in ostaggio durante la notte e si alzò dal futon disfatto, neanche ci fosse passato sopra un branco di bufali inferociti. Si grattò con vigore la nuca tirando su col naso e abbandonò la sua stanza in cerca della colazione al piano di sotto. Scese quindi le scale ancora nel mondo dei sogni ed entrò nella cucina.
“‘Giorno Kasumi…”, salutò con un altro sbadiglio.
“Buongiorno Ranma, ti preparo subito qualcosa!”, cinguettò lei con la consueta gentilezza.
“Grazie, muoio di fame…”.
Lei si voltò a fissarlo un istante.
“Allora forse… non sei stato tu…”.
“Mmm? ‘Osa?", chiese mentre un nuovo sbadiglio gli slogava la mascella.
“Per caso, stanotte, sei sceso a bere del latte?”.
“Io? Yhaw… No di certo, ho dormito come un sasso. Perché me lo chiedi?”.
“Perché questa mattina, quando sono entrata in cucina, ho trovato il frigo aperto, il cartone del latte vuoto e rovesciato sul pavimento e uno dei sottovasi di plastica a poca distanza, con residui di latte dentro. Come se qualcuno vi avesse versato il latte e poi si fosse accucciato per terra per berlo…”.
Ranma la fissò sbigottito, ora perfettamente sveglio. Grandioso, quella domenica aveva già iniziato a prendere un’insolita piega, ma ormai allenato alle bizzarrie della sua vita fino all’assuefazione, decise di infischiarsene. Qualunque demone, mezzodemone, oni, spiritello o divinità avrebbero atteso che lui facesse colazione, ecchediamine.

Genma e Soun stavano giocando a shoji quando Ranma passò loro accanto per andare in palestra, talmente concentrati a fregare e a non farsi fregare, che le loro aure sfavillavano come il sole del mattino.
“‘Giorno pà!”.
Nessuna risposta. Ranma lanciò un’altra occhiata fugace al genitore, accorgendosi che il padre si era addormentato con gli occhi aperti. E anche Soun. Ranma li ignorò e passò oltre. Poi si bloccò. Un inconsueto silenzio regnava nell’aria, cosa mancava all’appello? Vediamo: il padre che russava con la tipica bolla al naso, c’era; il frinire delle cicale, pure; Kasumi che canticchiava mentre stendeva il bucato, anche. Eppure qualcosa non tornava. Si voltò verso il giardino, prestando attenzione al piccolo stagno. Perché la carpa non tentava di suicidarsi come suo solito cercando di saltare fuori dal laghetto? Inarcò un sopracciglio e si avvicinò alle pietre che delimitavano lo stagno.
Una lisca?!
Qualcuno si era mangiato la carpa?!
Un animale normale non avrebbe mai potuto aprire il frigo, né si sarebbe mai versato il latte in un sottovaso… Un momento!
Latte?
Pesci?!
“Ma guarda… sembra sia tornato quel gatto che cercava sempre moglie…”, sospirò annoiata Nabiki mentre sgranocchiava patatine.
Un brivido percorse la schiena di Ranma, mentre i capelli presero immediatamente a rizzarsi sulla testa come aghi su un puntaspilli.
“Arrrgghhhh! Nooooooo! Quel brutto gattaccio schifoso nooooooooo!”, sbraitò diventando cinereo.
“Temo proprio di sì, invece: guarda laggiù!”, indicò con un dito la secondogenita dei Tendo mentre si allontanava.
Lo sguardo catturò allora uno strano monticolo di terra, non troppo distante dal muro di cinta. Sembrava la tana di un talpa o la buca scavata da un cane per seppellire il suo osso, ma con una lieve, fondamentale differenza: mandava un odore inconfondibile. Qualcuno, o qualcosa, aveva fatto i suoi bisognini lì e poi li aveva diligentemente ricoperti…
Ok, non c’erano più dubbi. Quella bestiaccia cicciuta era tornata, ma questa volta gli avrebbe impartito una lezione completa su come tenersi alla larga da Akane Tendo. E dal sottoscritto, naturalmente. Peccato che, al pensiero di doverci avere a che fare, il naso venisse automaticamente aggredito da un attacco di prurito incontrollabile: solo l’idea di tutti i pelacci di quel dannato gatto in giro per casa gli procurava una serie irrefrenabile di starnuti. Fu soltanto perché si accorse di una presenza alle sue spalle che riuscì a trattenersi. Si voltò di scatto, ma con la gamba tesa calciò solo l’aria e qualche foglia che planava dal ciliegio dietro di lui.
Alzò allora cautamente il naso e rimase letteralmente di sasso. La sua adorabile fidanzata, in tenuta da judo, se ne stava appollaiata su ramo basso a fissare insistentemente il nido di un uccellino sulla cima dell’albero. Le mancava solo la coda e avrebbe scommesso la pelliccia di suo padre che se l’avesse avuta avrebbe iniziato a scodinzolare per l’eccitazione.
Ranma passò dallo stato di una roccia granitica a quello catatonico di una persona congelata sul posto da un’improvvisa ondata di freddo siberiano. Ma che stava succedendo?!
“Akane! Ma che stai facendo?!”, le urlò pieno di indignazione. L’idea che in casa Tendo fosse tornato lo Spirito del Sonaglio fu spazzata via da quell’assurda visione, che lo indusse a formulare ben altre, terrificanti deduzioni…
La ragazza si voltò verso di lui e lo fissò per qualche istante, incerta, per poi sbattere le palpebre più volte.
“Ranma! Ma… che ci faccio io quassù?”.
Il ragazzo col codino crollò immediatamente a terra con un sonoro tonfo, gambe all’aria, mentre un tic nervoso gli contraeva un piede. Ma un istante dopo era già in piedi, più sbalordito che mai.
“Sei tu che dovresti dirmelo!”, urlò furioso, cercando di scacciare l’orrida scena che continuava a bussargli in testa per farsi aprire le porte dell’immaginazione. Una scena in cui compariva Akane e un monticolo di terra…
La fidanzata balzò agilmente dal ramo piombando davanti a lui e grattandosi la testa, confusa.
“Ti giuro, non ricordo come e quando sono salita sul quel ramo…”, cominciò lei arrossendo vistosamente.
“Lascia stare, non importa!”, rispose lui scuotendo testa e mani, come se cercasse di tenerla a distanza.
“Ma… che ti prende?”.
“Nulla, nulla! Ecco… sicura di sentirti bene? Ti è successo niente di insolito questa mattina?”.
Lei sgranò gli occhi e inghiottì a vuoto, temendo il peggio. Poi si rese conto che lui era seriamente preoccupato e inarcò un sopracciglio.
“Che c’è, sei in pensiero per me?”, chiese con tono canzonatorio.
“Non sia mai!”, si affrettò a ribattere lui. “È solo che… poco fa ti comportavi in modo strano!”, sbuffò irritato incrociando le braccia al petto e voltandosi di lato a guardare il resto del giardino. Stranamente non udì ripicche da parte sua, così lentamente si voltò a fissarla di sottecchi. Akane appariva pensierosa, come se cercasse di ricordare qualcosa ma proprio non ci riuscisse. Oppure, come se stesse riflettendo su quel che aveva appena detto…
“Insomma, si può sapere cos’hai?”.
“Non sono affari tuoi, lasciami stare!”, reagì improvvisamente lei dandogli le spalle e dirigendosi verso il dojo.
Come poteva dirgli che quella mattina si era risvegliata, nuda, in camera sua? Che puzzava di erba, terra e persino di pesce? Quando era sgattaiolata fuori dalla stanza di Ranma, all’alba, si era subito diretta in bagno a farsi una lunga doccia: doveva lavar via il terriccio cosparso su buona parte del corpo e togliersi di dosso quell’odore orribile di pesce marcio. Ma che accidenti aveva combinato? Si era rotolata nel prato del giardino? Aveva fili d’erba nei capelli e un terribile mal di pancia, come se avesse mangiato qualcosa di avariato. E poi… quella terra sotto le unghie… aveva camminato carponi? A ciò andavano assommati i vuoti di memoria e il dolore pulsante al dito dove si era graffiata. O meglio, dove era stata graffiata…
Fortunatamente, Ranma non sembrava essersi accorto di non aver dormito solo. Se si fosse svegliato nel cuore della notte e l’avesse scoperta lì a dormire, oltretutto nuda, addosso a lui, sarebbe deceduta per un attacco acuto e galoppante di vergogna. D’accordo essere nottambuli, ma qui qualcosa non quadrava, il suo antipatico fidanzato aveva ragione: si stava inconsapevolmente comportando in modo bizzarro…
“Sei arrivata, finalmente…”.
Akane ripiombò di botto sulla terra e alzò lo sguardo: Ranma se ne stava in piedi al centro della palestra con gli occhi incollati su un manga. La ragazza lo fissò torva, sentendo la frustrazione montargli dentro: mai che la prendesse seriamente...
“Oggi mi alleno da sola”, annunciò lapidaria passandogli accanto.
“Come vuoi, tanto per me un allentamento con te non cambia nulla e se tu preferisci rimanere una pippetta sono affari tuoi”.
“Pippetta a chiiii?!”, urlò inviperita Akane tentando di colpire Ranma con un calcio rovesciato, ma il codinato, senza staccare gli occhi dal suo fumetto, evitò con fare annoiato i prevedibili attacchi della fidanzata, saltellando qua e là agile come uno stambecco.
“Vuoi stare fermo?!”.
“Perché? Credi davvero che se mi fermassi riusciresti a colpirmi? Una ragazza lenta e goffa come te?”, sghignazzò lui senza alzare lo sguardo dalle pagine che stava leggendo.
L’aura bluastra di Akane sfavillò con insolita intensità, ma tutto rientrava nel consueto copione: adesso l’avrebbe colpito con forza elefantiaca, facendolo volare nella stratosfera attraverso il tetto del dojo. Ahhh… quella era l’Akane che conosceva, quanto amav… ehmmm… adorava mandarla su tutte le fu…
Un boato troncò i suoi pensieri, la collera di Akane e una parete della palestra. Un istante dopo i collegamenti mentali di Ranma salutarono il loro padrone: qualcosa, o meglio qualcuno, era appena atterrato sulla sua nuca, spalmandolo sul pavimento.
Nihao, tesoruccio!”, salutò giuliva una Shampoo in abiti succinti saltando giù dalla sua bici e avvinghiandosi al collo di un Ranma semisvenuto.
“Accidenti a te! Non puoi entrare dalle porte come una persona normale? E staccati da lui!”, ringhiò Akane, la cui ira aveva ormai superato il livello di guardia.
“Sei gelosa, ragazza violenta? Ranma mi aveva promesso un appuntamento per oggi, quindi adesso uscirà con me!”, sorrise maliziosa la cinesina.
“Non è vero, Akane! Non le ho promesso niente, te lo giuro! E scollati tu, mi stai soffocando!”, tentò di difendersi l’oggetto della contesa, ma la spasimante aumentò ancora la stretta attorno al suo collo, la pressione nei vasi sanguigni schizzò alle stelle e la pelle del ragazzo fece sfoggio di un numero ineguagliabile di preoccupanti sfumature. Ancora un po’ e sarebbe morto asfissiato.
La mano contratta ad artiglio saettò talmente vicino al suo viso, che se Ranma non avesse posseduto l’agilità di cui tanto andava fiero avrebbe certamente perso il naso.
“Akane ma che ti prende? Sei impazzita?!”.
Si divincolò lesto dalla cinesina e si mise in guardia, prestando finalmente attenzione alla fidanzata: Akane aveva assunto un’inconsueta posizione d’attacco e lo fissava truce dietro la frangia scura. La sensazione che qualcosa in lei non quadrasse gli solleticò nuovamente l’istinto, ma forse era solo la sua immaginazio...
Una nuova serie di attacchi, così fulminei e precisi che il ragazzo li evitò solo con la dovuta concentrazione. Bene, dire che qualcosa nella fidanzata non andasse era ormai un banale eufemismo: lo stava aggredendo con autentica famelicità.
Persino Shampoo era rimasta basita, non aspettandosi una violenza e una rapidità simili da parte dell’Akane imbranata che conosceva, ma non per questo un’amazzone del suo rango avrebbe permesso a chicchessia di rovinare il bel viso del suo futuro marito. Tirò fuori letteralmente dal nulla i suoi bombori e partì all’attacco della giovane Tendo, che a sua volta stava inutilmente tentando di colpire Ranma, il quale si limitava a indietreggiare e schivare, in cerca del momento migliore per… Eccolo.
Come se stesse osservando una bobina fotogramma per fotogramma, il ragazzo vide Shampoo piombare su Akane, Akane voltarsi verso di lei, tendere le mani per bloccare i bombori e… scivolare subito dopo all’indietro sul lucido pavimento di legno.
(Goffa è e goffa rimane, non ha proprio speranze)
Fu allora che Ranma, lanciandosi per impedire a Shampoo di colpire la fidanzata, notò qualcosa di assurdo negli occhi sbarrati di Akane: le pupille sembravano due fessure verticali…
(Ma che diam…)
Con un calcio fece saltar via di mano a Shampoo le sue armi parandosi al contempo davanti ad Akane, per poi sollevarla fra le braccia e allontanarsi immediatamente da lì.
“Ranmaaaaaaaa! Torna subito quiiii!”, lo chiamò la cinesina recuperando i suoi bombori e uscendo nel giardino. Si guardò attorno, ma dell’amato nessuna traccia. Sparito. Ma l’avrebbe trovato, costasse quel che costasse! Gli aveva strappato la promessa di un appuntamento in cambio del solito, inefficace intruglio cinese per tornare normale, quindi ora DOVEVA uscire con lei! Serrò le mani attorno ai manici delle sue armi e sparì fra i tetti di Nerima.
Se si fosse invece limitata a voltare l’angolo l’avrebbe scovato subito: Ranma aveva semplicemente fatto il giro di casa Tendo, tenendo sempre saldamente Akane fra le braccia. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e abbassò lo sguardo sulla fidanzata. Per sentire la pelle accapponarsi subito dopo. Le pupille verticali della ragazza erano ancora al loro posto, ma con un’orrida differenza: lo stavano fissando con totale adorazione.
Ranma cacciò un urlo colossale e lanciò Akane in aria, che atterrò col sedere sull’erba ancora umida di rugiada.
“Ranmaaaa! Razza di idiotaaaaaa!”.
L’urlo riecheggiò in tutto il quartiere nel momento stesso in cui una giovane, furiosa oltre misura, scaraventò il proprio fidanzato a orbitare attorno alla Luna con un solo pugno. Con l’altra mano si massaggiava il dolorante fondoschiena.

La testa s’era incastrata davvero bene in profondità, doveva ammetterlo. Akane sapeva sprigionare una tale potenza, quando voleva, che certe volte aveva l’impressione che non avesse del tutto smaltito la soba della forza. Ma come accidenti ci riusciva? E perché solo con lui? Lo detestava fino a questo punto? Eppure aveva il forte sospetto che questa volta i suoi muscoli erculei c’entrassero solo in parte. Prova ne era che se ne stava a testa in giù sprofondato fino al collo nel tetto di una casa, gambe e braccia incrociate come se fosse seduto a meditare, anziché aver semplicemente urtato le tegole. La materia grigia di Ranma Saotome cercò di inserire la spina nella presa giusta per attivare le cellule celebrali e mettere in moto i neuroni.
Ricapitolando:
Qualcuno quella notte si era scolato il latte e aveva banchettato con la carpa salterina.
Qualcuno aveva scavato e poi riempito una buchetta in giardino.
Akane si era arrampicata su un albero attratta in modo morboso dal nido di un uccellino e nemmeno se lo ricordava.
Akane lo aveva attaccato con una velocità impressionante usando una tecnica che avrebbe potuto definire f-f-f-f-f… Ranma fu scosso da un brivido gelido, passando automaticamente al punto successivo.
Gli occhi di Akane. Le pupille erano diventate due fessure verticali. E lo avevano fissato con eccessiva intensità. Un altro brivido partì dalla nuca, gli rizzò il codino e arrivò ai piedi. Non sapeva se essere più orripilato per le pupille che avevano assunto una forma f-f-f-f-f… o per il fatto che prima di essere spedito nella ionosfera quelle stesse pupille lo avessero contemplato con bramosia.
E va bene, era inequivocabile: Akane aveva assunto atteggiamenti f-f-f-f-f-f-f…
Accidenti! Non riesco nemmeno a pensarlo!
Ma da quando si comportava così? Il giorno prima, al museo, era assolutamente normal…

(Che succede?)

(No… niente… le unghie di questa mummia mi hanno graffiato un dito…)

Ranma scattò immediatamente in piedi liberandosi delle tegole: qui gatta stava covando, in quanto a possessioni ormai ne sapeva più di un esorcista.
Si mise a saltare di tetto in tetto, doveva sbrigarsi a raggiungere il museo egizio e parlare col professore che sudava… sudaticcio… sudarello… Dannazione! Non ricordava nemmeno più come accidenti si chiamasse!




Ringraziamenti: più o meno tutti mi avete elogiato per aver scritto una ff degna addirittura del manga, della Divina! Non so davvero come ringraziarvi ma ci voglio almeno provare!
Per VidelB: grazie Videl dei complimenti, felicissima che ti sia piaciuto il I capitolo, spero non ti abbia deluso il II… ^^;;; ancora grazie! ^_-
Per Earine: grazie anche a te, non credevo di riuscire a riproporre la comicità del manga, sono sincera, il mio genere è tutt’altro, prediligo il drammatico! ^____^
Per Moira: grazie carissima, ma il merito della trama va tutto a Laila, è lei che devi elogiare! ^_- Grazie comunque dei complimenti, felice di sapere che il mio stile possa anche far divertire! *____*
Per Ren: grazie anche a te! Ebbene sì, pare che riesca discretamente anche nelle commedie, ma ho ancora molto da imparare, se non fosse per Rik e la sua pazienza chissà che pasticcio avrei combinato! ^^;;; Esatto non è stato facile, ma Rik non è il mio beta per niente! ^_- Per Kuno: carissimo senpai, è un onore ricevere lodi da te! Sapere che apprezzi questa ff non può che farmi un enorme piacere, visto che l’apprezzamento viene da un autore comico del tuo calibro! Grazie di cuore, spero di non deludere le tue aspettative!
Per Duzzina: grazie anche a te! ^_-
Per Tharamil: grazie tesoro mio, grazie infinite di cuore, la tua analisi è stata fantastica, strafelice che ti sia divertito, ancora grazie! *________*
Per Bluemary: grazie anche a te carissima, lieta come una pasqua che anche questa storia ti piaccia e ti abbia divertito, spero che anche il II cap non sia da meno, anche se di transizione… Grazie per tutti i complimenti, sono commossa ç_____ç anche se vorrei ricordare che alcune trovate – come appunto il sogno di Ranma sul prof – sono di Rik, me le ha suggerite lui, io ho solo cercato di renderle al meglio, felice di esserci riuscita! Grazie ancora! *ç*
Per Aleberyl: che ne dici, il graffietto sul dito di Akane ha avuto conseguenze? XDDD Grazie anche a te dei complimenti!
Per Breed: carissima, grazie dei complimenti, mi spiace che i capitoli siano troppo brevi rispetto a quelli di NRSU, ma non mi riesci proprio di farli lunghi, sorry! Vorrà dire che cercherò di aggiornare più di frequente, allora! ^_- Felicissima di averti tanto divertito, non immagini quanto! *____* Grazie ancora!
Per Quistis: grazie tantissimo anche a te, carissima, non sai quanto agognavo un tuo parere! ^_- Lietissima che il I cap ti abbia divertito, vedo che più o meno tutti avete trovato molto divertente il fiocco sul muso del gatto, ci contavo! Spero che anche questo cap di transizione ti sia piaciuto un pochino, grazie ancora! *____*
Per Laila: ma figurati cara prenditi pure tutto il tempo che ti occorre per leggere e commentare! Ero davvero ansiosa di conoscere il tuo parere, visto che la trama me l’hai suggerita proprio tu, strafelice di non aver deluso le tue aspettative, posso tirare un sospiro di sollievo! Grazie di cuore! ^_-

Bene ragazzi, spero di aggiornare più in fretta d’ora in poi, almeno ci proverò, a presto e grazie ancora! ^________^

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Capitolo 3
*** III - Un consulto disastroso ***


LO SO! Lo so che sono in ritardo mostruoso, non aggiorno da quasi un anno, non urlatemi contro, faccio quello che posso! ç____ç Ormai lo sapete che lavoro a tempo pieno, sono presa in modo ossessivo dal mio romanzo (nonché dall’altra ff), ho un ragazzo esigente e una famiglia rompiballs, per cui non lamentatevi: meglio tardi che mai, no? ^_- Bene, passo ai ringraziamenti! Ringrazio anzitutto di cuore il mio beta Rik, senza il quale scriverei solo un mare di cavolate. XDDD Grazie fratellone! ^__^ Poi:
Per Louise89: ehhhh, povero Ranma, vedrai cosa gli toccherà sopportare! XDDD
Per Aleberyl 90: sì, ti confermo che è stata proprio Akane a scavare la buchetta in giardino dove fare i suoi bisognini, proprio come un gravo gattino! XDDDD E lo so, più che comica, questa è una ff dissacrante, sono una bella carogna, eh? XDDD A quanto pare poi il pezzo della carpa ha colpito tutti, eccellente! ^___^
Per Bluemary: grazie carissima per tutti i tuoi complimenti! *_____* Sono strafelice che il II capitolo ti sia piaciuto tanto, che gioia leggere commenti entusiastici come il tuo! Grazie di cuore! ç______ç
Per Fabichan: grazie infinite anche a te, carissima, per tutti i complimenti! *__* Ehhh, che accadrebbe se anche Ranma si gattizzasse? XDDDD Uhuhuhuhuhuhuhuh! Ci avevo già pensato e… non vedo l’ora di descriverlo! Uahahahaahahahah! -> (risata malefica XDDD). Vedo comunque che il pezzo di Ranma che riflette a testa in giù ha colpito un po’ tutti, proprio come quello della carpa suicida! /Cri si sfrega le mani, sghignazzando. XD Grazie un mondo! ^___^
Per Tharamil: grazie anche a te, tesoro mio! Anche tu sei stato determinante per la riuscita di questo capitolo, grazie per i bellissimi complimenti! *ç*
Per Shirley: grazie anche a te, spero che anche il III capitolo ti piaccia! ^__^
Per Videl: un grazie caloroso anche a te per i complimenti! Felice che questa storia ti piaccia tanto! *___*
Per Akane_Tendo: scusa per il ritardo e grazie! XDDDD
Per Laila: grazie mia musa ispiratrice, cosa avrei scritto senza di te? È tutto merito tuo, alla fine, grazie di cuore! *____*
Per Kim93: che farà Ranma? Ehhh, lo scoprirai solo leggendo! ^_-
Per Breed: confesso! Colpevole vostro onore! Ti ho spiato mentre dormivi, grazie per avermi ispirato la scena del risveglio di Ranma! XDDDDD Scherzi a parte, grazie anche te, Carla! ^o^
Per Yaya: Mi piacerebbe molto vedere cosa farebbero se si comportassero tutti e due da gatti, mentre Ranma si gattizza. Chissà, magari farebbero cose che in situazioni normali non farebbero. XDDDDD Firulì, firulàààà… Non dico nienteeee! XDD Grazie anche a te per i complimenti! ^___^
Per Moira: sorellina mia grazieeeee! Sei un mito tu che non fai che complimentarti e sostenermi, grazie di cuore neechan! ç____ç La carpa che tenta di suicidarsi nel laghetto poi è mitica, il tuo spirito di osservazione è pazzesco! Quante volte ci avremo fatto caso a quanto schizzava in alto quel pesce?! Eh già! XDDD Akane 'gattizzata' poi è irresistibile, quasi spero che anche Ranma venga preso da uno dei suoi 'attacchi' per vederli insieme!(Cassetta igienica e cuccia in comune...che romantico!)Immagina che fusa... Uahahhahahhha! Ma che fai anticipi i prossimi capitoli? Così non valeeeee! XDDDDD Grazie un mondo, sorellina! :*
Per Kuno: Sono felicissimo che tu abbia sperimentato il comico, perché dopo questi soli due capitoli sappi che ti ho già collocato tra il top pure si questa categoria! ^____^ Senpaiiiiiii! ç____________ç Detto da un autore comico del tuo calibro questo è il complimento più grande che potevo ricevere, sono onoratissima, grazie immensamente di cuoreeee! T__________T Ma grazie anche per tutti gli altri complimenti disseminati nel commento, non so più che dire, grazie! :*
Per Silvia91: ciao, chi si rivede! ^__^ Visto che l’ho continuata? Anche se ci metto un’eternità ad aggiornare, non lascio mai una storia incompleta! ^_-
Per rompizebedei: lieta che la storia ti sia piaciuta, ecco il III capitolo!
Per muffin alla vaniglia: si vede che non mi conosci! Non lascio mai una storia incompleta! ^_- Ma posso metterci secoli ad aggiornarla, questo sì! XDDD

Bene ora passiamo al riassunto delle puntate precedenti (ma fate prima a leggervi i capitoli, sono solo due!): Ranma e Akane partecipano ad una gita scolastica nell’immaginario museo egizio di Tokyo, dove Akane viene graffiata dalla mummia di una gatta sacra. Da quel momento la giovane Tendo inizia a comportarsi in modo decisamente bizzarro, allarmando non poco Ranma, che decide di tornare al museo per confermare la sua teoria di una possessione demoniaca...
Voglio ricordare che la l’idea di base è di Laila, a lei il mio grazie imperituro! ^__^



III parte



Un consulto disastroso




“È lei il professor Kilaride Lasuda?!”, quasi urlò un trafelato Ranma dopo essere entrato come un uragano nel museo di Egittologia di Tokyo, aver addormentato i guardiani alla maniera Saotome e aver setacciato l’intero edificio alla ricerca dell’unica persona che forse avrebbe potuto aiutarlo. Un tipo che stava correndo verso un bagno con l’aria di non riuscire a trattenerla più si ritrovò così sbattuto violentemente contro una parete del corridoio, sospeso a diversi centimetri da terra.
“N-no! I-io sono solo il suo as-assistente! L-lasciami andare in bagno, non resisto piùùù!”.
Ranma mollò il bavero della camicia del grissino ambulante, che corse come un fulmine verso la toilette. Per restarci un’eternità biblica.
“Ehi tu là dentro! Hai finito?”, gridò il codinato scrocchiando le dita.
“Quasi!”, sì sentì rispondere con autentica beatitudine.
Ranma fece sfavillare la propria aura per l’irritazione, sfondò la porta del bagno e sollevò di nuovo l’assistente da terra.
“Io dico che hai finito! Dimmi subito dov’è il professore!”.
“M-ma è nella stanza accanto, non hai letto il nome sulla targhetta?”.
Silenzio.
“E non potevi dirmelo primaaaaa?!”.
“Tu mica me l'hai chiesto...”.
“Aaaarrrrghhhhh!”.
Un’altra porta venne sfondata con violenza inaudita.
“È lei il professor Kilaride Lasuda?!”.
L’eminentissimo alzò gli occhi dal fragile foglio di papiro che stava decifrando, fissando sconcertato il ragazzo da dietro le spesse lenti da ricercatore.
“Nooooo! Katsuto Kisuda!”, gridò di rimando l’illustre stringendo i pugni e mandando così in frantumi il rotolo che teneva in mano.
“Quello che è! Venga con me!”, intimò Ranma sollevando l’eccelso da terra come una piuma e buttandoselo in spalla come un sacco di patate.
“Va da qualche parte, professore?”, chiese il suo assistente uscendo dal bagno.
“Sì, in gita!”, s’infuriò quello mentre Ranma divorava il linoleum del corridoio. “Chiama la polizia, idiota, sono stato rapito!”.
“Come ha detto?”, chiese nuovamente il sottoposto togliendosi gli auricolari della penna usb dalle orecchie. Andava in gita? In un momento simile? Rinunciava decisamente a capire certi luminari…

“Professore è una questione di vita o di morte, deve ascoltarmi!”, implorò Ranma mentre saltava di tetto in tetto con l’agilità di uno scoiattolo.
“Certo, ragazzo, certo, dì pure…", lo assecondò Kisuda sulle sue spalle, mentre estraeva come nulla fosse il suo cellulare dalla tasca della giacca.
“Ieri io e la mia fidanzata eravamo nel suo museo, nella sala dei ggggggggg dei gggggggggggggggggggg insomma dei cosi mummificati!”.
“Vuoi dire dei gatti?”, chiese l’esimio inarcando un sopracciglio, mentre componeva il numero di telefono della polizia e si apprestava a premere il tasto con la cornetta verde.
“Esatto! Per sbaglio ho urtato una teca, una mummia è caduta e Akane…”.
L’illustre frenò il pollice e sbarrò gli occhi al panorama saltellante.
“ALLORA SEI STATO TU!”, urlò frantumando un timpano a Ranma.
“A-aspetti, lasci che le spieghi!”.
“Non c’è niente da spiegare! Fammi scendere immediatamente, profanatore di antichità!”.
Proprio allora, Ranma atterrò davanti all’ingresso di casa Tendo e permise al professore di toccare finalmente il terreno coi piedi.
“Sei in guai grossi, ragazzo mio!”, sentenziò lapidario il Katsuto studioso portandosi il telefonino all’orecchio.
“Mi stia a sentire! Akane…”.
«Buongiorno, è in linea con la centrale di polizia di Tokyo, come posso aiutarla?».
“…è stata graffiata da quella mummia e ora…”.
Il cervello del professore si inceppò.
«Pronto? È ancora in linea?».
“Buone vacanze a tutti!”, augurò alla poliziotta riagganciando. Dopodichè si voltò con totale e assoluta serenità verso il suo rapitore volante.
“COSA HAI DETTO?!”, sbraitò facendo a Ranma la permanente con la sola forza della voce. “Cos’è accaduto esattamente?! Parla!”. Improvvisamente appariva interessatissimo, peccato che Ranma avesse detto addio anche all’altro timpano.
“La mia fidanzata ha raccolto la mummia appena è caduta a terra e quella cosa rinsecchita l’ha graffiata a un dito e adesso…”.
“Fermo! Non dire altro!”, gli ordinò il professore cancellando il numero di telefono dei piedipiatti per comporre quello del suo disgraziatissimo assistente.
«Pronto? È lei professore?», gracchiò una voce affaticata dall’altra parte del cellulare.
“No, è Tuthmosi III che ti sta parlando dall’aldilà!”.
«Oh potente faraone! Aspetti che chiudo la zip dei pantaloni e mi inchino!».
L’eccelso si diede una manata in fronte.
“Urino Suimuri, sei di nuovo in bagno?!”.
«Ma professore, allora è lei! Solo un secon…».
Il rumore di qualcosa che cadeva sbattendo più volte fino allo splash finale fece cadere le braccia all’egittologo, che si avvicinò allo stipite di legno della porta del vialetto dei Tendo e iniziò a sbatterci la fronte con affranta disperazione.
«Eccomi professore, sono di nuovo in linea! Mi perdoni, ma tenevo il cellulare fra la spalla e l’orecchio e alla fine mi è caduto proprio nell’urinat…».
“Non voglio sapere dove ti è caduto il cellulare, razza di idiota! Corri nel mio studio, invece, e prendi tutta la documentazione relativa ai gatti mummificati! Tutta capito? Non tralasciare nulla!”, insistette l’esimio coi nervi che pulsavano rabbiosamente sulle tempie. Perché a lui? Perché proprio a lui?! Prese un profondo respiro, quindi si voltò, rivolgendosi di nuovo al giovane col codino. “Come ti chiami, ragazzo?”.
“Ranma Saotome, professore”.
“Bene, Ranma. Dammi l’indirizzo di questa casa, chiederò al mio assistente di raggiungerci al più presto. E che Amon Ra ce la mandi buona…”.

Riuniti attorno al tavolo della sala da pranzo, Soun, Genma, Ranma e Kisuda attendevano impazienti l’arrivo di Urino. Ranma aveva brevemente spiegato loro cos’era accaduto il giorno prima al museo e poi il comportamento quanto mai inconsueto di Akane quella mattina, deducendo infine che dovesse esserci un collegamento, data l’imbarazzante percentuale di possessioni demoniache cui erano avvezzi, periodiche come la rottura dello scaldabagno.
Kasumi fece il suo ingresso con del tè bollente e ne porse a tutti una tazza fumante, prendendo poi posto accanto al padre, che a braccia conserte ostentava un’espressione accigliata come si conveniva in una tale occasione. Genma non era da meno, avendo per tutto il tempo annuito alle parole del figlio con pensosa severità. Era fin troppo chiaro a cosa miravano le loro elucubrazioni: alla salvezza del fidanzamento ad ogni costo, se Ranma avesse avuto ragione.
Stranamente, anche Kisuda era sprofondato in chissà quali ponderazioni. Ranma si era aspettato una reazione scettica da parte del professore, anzi, a dirla tutta aveva sperato in una reazione contrariata che avrebbe smontato la sua teoria bislacca. Invece anche l’egittologo era pensoso. E ciò era molto, MOLTO preoccupante. Come avrebbe potuto affrontare un’Akane dal comportamento f-f-f-f-f-f fffffffff …lino? E se fosse gradualmente peggiorata?! No! Non voleva neppure pensarci! Come avrebbe fatto poi a… Ranma affondò le mani nei capelli e li scompigliò, pur di cacciar via quei catastrofici pensieri dalla testa.
Proprio allora il campanello suonò e Kasumi andò ad accogliere l’assistente del professore. Basso e dinoccolato, Urino Suimuri fece il suo ingresso in casa Tendo, per poi prendere posto accanto al suo vate.
“Hai portato tutto, vero Urino?”.
“Certo professore!”, rispose l’umile e fido sottoposto aprendo il suo zaino e rovesciando il contenuto sul basso tavolo della sala: una quantità impressionante di vecchi papiri ammuffiti e tarme agonizzanti si riversò davanti agli occhi degli astanti. “Ora posso andare in bagno?”.

Il rumore distante ma inconfondibile di uno sciacquone risuonò nella sala da pranzo rimbombando fragoroso fra le pareti di carta di riso. Era la seconda volta che l’assistente dell’eminentissimo professore si alzava con lo slancio di un centometrista per raggiungere il gabinetto. Quale disgrazia avere come assistente un ragazzo poco sveglio che era oltretutto già incontinente! L’illustre professore sperò solo che, almeno in quell’occasione, fosse riuscito a centrare il bersaglio: era quello un caso piuttosto particolare in cui era bene che un giovane non dovesse MAI tenere fede al buon nome della propria famiglia. Un pannolone, ecco la soluzione! Se non avesse iniziato a farne uso, lo avrebbe obbligato con una circolare interna del museo, per Osiride e per Api!
“Allora professore, può dirci qualcosa o no?”, sollecitò Ranma tamburellando nervosamente le dita sul tavolo. La sua pazienza era ai minimi storici, Madre Natura era stata piuttosto avara con lui, al riguardo.
“Sto passando in rassegna tutti i papiri trovati accanto alle rispettive mummie, figliolo, per individuare quello relativo al gatto che ha graffiato la tua ragazza”.
“Non è la mia ragazza, è solo la mia fidanzata”, puntualizzò irritato Ranma.
“E qual è la differenza?”, si permise il professore alzando lo sguardo sorpreso. “Da come ti stai preoccupando per lei, è evidente che ci tieni molto, vorresti forse farmi credere che il vostro è un fidanzamento combinato?”.
“Hai sentito amico Tendo?”, singhiozzò Genma abbracciando il padrone di casa.
“Ranma si preoccupa per Akane! Il nostro sogno si sta realizzando!”, rispose Soun con un braccio alzato sugli occhi per parare gli schizzi lacrimali.
“Insomma finitela voi due!”, ruggì il codinato sbattendo violentemente un pugno sul tavolo. “L’unico motivo per cui ho portato qui il professore è che odio i g-g-g-g i ggggggggg insomma sono fffffffffffff-linofobico! E ho scoperto di essere oltretutto allergico al loro pelo! Quindi lei non perda tempo, trovi quel dannato papiro!”, minacciò con l’indice.
L’eccellentissimo mandò un sospiro stanco. Aveva a che fare con una banda di evasi da chissà quale manicomio, non c’erano dubbi. E il ragazzo era quello più instabile, la sua fobia era da vero ricovero. Scosse rassegnato la testa e tornò a decifrare velocemente i segni ieratici vergati sui fogli incartapecoriti.

No, non è questo, per fortuna: la maledizione si riferisce alla mummia che, se risvegliata, scatenerà sul mondo le dieci piaghe d’Egitto…

Il professore scansò il rotolo e passò al successivo.

No, nemmeno questo, si riferisce alla mummia che, se risvegliata, causerà nel malcapitato che la disturberà la caduta o la ricrescita dei capelli, a seconda dei casi. Che razza di maledizione…

Un altro rotolo andò a sommarsi a quelli già scartati.

Che sia questo? No, neanche… si riferisce alla maledizione della mummia mutasesso: se non ricordo male puniva l’uomo che l’avesse risvegliata tramutandolo permanentemente in donna e viceversa… Uff, ma dov’è il papiro che cerco? Ah, eccolo!

Tronfio come un pavone che ha catturato l’attenzione della scialba femmina, il professore esaminò rapidamente lo scritto con espressione sempre più truce, fra le pareti che grondavano silenzio.
“ALLORA?!”, urlò Ranma con le orecchie che fischiavano per l’impazienza.
“Figliolo, controllati!”, intervenne il padre costringendolo a rimaner seduto.
Kisuda alzò solennemente gli occhi e si pulì metodicamente le lenti.
“Potresti andare a chiamare la tua fidanzata, Ranma? Deve ascoltare anche lei ciò che ho da dire”.
“Cos’ha Akane?! Me lo dica!”, saltò su il ragazzo ormai fuori di sé.
“Lo saprete tutti appena sarà qui, valla a chiamare”, insistette inamovibile il professore a braccia conserte.
“Kasumi, sai dirmi dov’è Akane adesso?”, chiese spazientito oltremisura il giovane ormai proiettato verso la porta.
“Sì, è tornata ad allenarsi nel dojo dopo aver fatto a pezzi il manichino di paglia con le tue sembianze, Ranma. I pezzi sono sparsi per tutto il giardino. E credo di averla udita rompere anche numerose assi di legno della palestra, ci saranno molte riparazioni da fare…”.
“Kasumi?”.
“Sì, Ranma?”.
“Potresti andare a chiamarla tu?”.

Dopo essere corsa a cambiarsi, Akane aveva finalmente preso posto al tavolo della sala da pranzo – rigorosamente dalla parte opposta rispetto a Ranma – seguita da orecchie-da-radar-vediamo-se-posso-sfruttare-la-situazione Nabiki.
Ora che aveva davanti la famiglia Tendo al completo, l’illustre professore poté rivolgersi all’attentissima platea raccolta davanti a lui, finalmente pronto per sganciare la sua geniale conclusione. Si aggiustò gli occhiali sul naso, quindi si schiarì teatralmente la voce.
“Signori, devo purtroppo annunciarvi che la situazione è gravissima!”, esordì lo stimatissimo con sguardo accigliato. Non ebbe nemmeno il tempo di formulare col pensiero la frase successiva che avrebbe spiegato tutto.
Kasumi si portò una manina alle labbra lasciandosi sfuggire un soffocato: “Oh!”.
Nabiki inarcò un sopracciglio continuando a sgranocchiare il suo cracker al riso con sguardo di sufficiente interesse.
Soun Tendo lasciò che la pressione dell’acqua a stento trattenuta nei condotti lacrimali esplodesse come un idrante inzuppando i presenti, mentre gridava un 'Bambina miaaaaaaaaa!' assordando la figlia minore.
Un enorme panda, che aveva preso il posto di Genma Saotome dopo la pioggia di lacrime, tentò inutilmente di confortare l’amico di sempre, mentre ripassava mentalmente l’elenco delle potenziali fidanzate del figlio sparse per il paese. Doveva essercene una ancora disponibile, no?
La povera vittima di tutta la disgraziata faccenda, che ormai dall’orecchio sinistro non sentiva più un granché, strinse spasmodicamente il suo adorato porcellino nero finché divenne di una graziosa tonalità verde oliva, poi passò al bianco cencio da buttare e infine svenne.
“DANNAZIONEEEE! Vogliamo smetterla di perdere tempo?! Cos’ha Akane?!”, sbraitò Ranma sbattendo un piede sul basso tavolo e afferrando ancora una volta lo studioso per il bavero della giaccia fin quasi a sollevarlo da terra.
“Lo vuoi proprio sapere, ragazzo, o preferisci malmenarmi? ”, chiese il professore rimanendo perfettamente impassibile.
“Ranma, che accidenti vuoi fare? Mollalo subito! E tu smettila papà!”, intervenne Akane cercando di calmare gli animi. “Avanti, lasciamo che il professore si spieghi!”.
Ranma lasciò andare l’egittologo con uno scatto di rabbia e si rimise a sedere a gambe incrociate e braccia conserte solo per fissare ostinatamente il giardino come se volesse incenerirlo. Quella stupida non si rendeva assolutamente conto in cosa si era andata a cacciare. E il problema era che ne avrebbe certamente fatto le spese anche lui. Soprattutto lui.
“Dunque, stavo dicendo… Akane è stata accidentalmente graffiata dalla mummia di una importantissima gatta sacra che si riteneva fosse l’ultima incarnazione terrena della dea Bastet. Temo che il graffio abbia fatto sì che la divinità – sigillata finora nel corpo della mummia – venisse in contatto diretto con Akane infettandola, per così dire: lo spirito della dea, in pratica, anziché entrare nel corpo di una nuova gatta consacrata come accadeva normalmente nei tempi antichi, ora dimora nel corpo di Akane e, a quanto riferisce questo papiro, prenderà progressivamente il sopravvento su di lei fino ad annullare del tutto la sua coscienza e… assorbire la sua anima…”.
Silenzio. Un cimitero sarebbe parso più rumoroso.
Strano, s’era aspettato reazioni più scioccate, invece…
“LA MIA BAMBINAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!”.
Come non detto.
Il professore osservò con una punta di apprensione lo spessore del proprio cuscino, sperando che il laghetto di lacrime in costante crescita defluisse rapidamente verso il giardino. Ma quando sollevò nuovamente lo sguardo sugli astanti si rese conto che gli unici ad aver avuto una qualche reazione erano stati il padrone di casa, che stava prosciugando la propria riserva d’acqua corporea, la figlia maggiore, che sorrideva felice all’idea di una sorella cui comprare un collarino col campanello e una deliziosa lettiera a forma di pesciolino, nonché la giovane col caschetto, che sorrideva famelica davanti ad una calcolatrice da cui iniziava a fuoriuscire un preoccupante filo di fumo nero… Nabiki Tendo si stava infatti sfregando le mani: se non si fosse trovata al più presto una soluzione, il fidanzamento avrebbe potuto considerarsi inequivocabilmente rotto. Questa notizia l’avrebbe resa più ricca di quello svitato di Kuno Tatewaki.
E Ranma e Akane? Rimasero impietriti a fissare il professore senza osare respirare.
La situazione non era grave. Era grave a livelli catastrofici.
Di tutte le possessioni demoniache, questa era la peggiore concepibile. Perché non un tacchino? O un tricheco? O un rinoceronte? Ranma non si sarebbe nemmeno accorto della differenza. Ma un dannato coso coi baffi! Avrebbe preferito rimanere donna per il resto della sua vita, piuttosto che permettere ad un’Akane posseduta dallo spirito di un essere simile di avvicinarsi a meno di venti metri da lui! Strinse tanto i pugni da sbiancare le nocche, mentre con esasperante lentezza volgeva lo sguardo verso di lei.
Akane era sull’orlo delle lacrime. Fissava il pavimento con lo sguardo paralizzato dalla terribile consapevolezza che gravava inespressa nell’aria come un’esalazione tossica: una divinità del cavolo aveva deciso di tornare sulla terra prendendo in prestito permanente il suo corpo. Il suo corpo! Non poteva assolutamente permetterlo, doveva pur esistere una soluzione! Ranma non avrebbe mai permesso che le accadesse nulla di male! Alzò risoluta lo sguardo verso di lui con un’intensità disperata, ma dal suo fidanzato non ricevette altro che uno sguardo altrettanto sconfortato, anzi, quasi disgustato! Stava pensando anche lui al futuro di quel ridicolo fidanzamento come i loro genitori?! O peggio ancora pensava soltanto alle ripercussioni che una tale situazione avrebbero avuto sulla sua fobia? Non poteva crederci! Non gli importava nulla di quel che sarebbe accaduto a lei?! Dannatissimo idiota! Akane s’infuriò a dismisura, ma non riuscì a trattenere oltre le lacrime. Dilaniò Ranma con uno sguardo omicida per poi dargli con ostinazione le spalle che sussultavano al ritmo dei singhiozzi, mentre continuava a strozzare involontariamente il suo adorato P-chan, entrato ormai in coma.
“Ehi! Cos’hai da fissarmi così? Che colpa ne ho io se non sopporto le bestiacce che miagolano?!”.
“Sei uno stupido, Ranma! Uno stupido insensibile!”, urlò Akane fuori di sé voltandosi di nuovo verso di lui. “Possibile che pensi sempre che l’intero universo ruoti intorno a te?”.
“Ma che stai dicendo?! Ti rendi conto che per colpa di quella divinità potrei gattizzarmi definitivamente?”.
“E tu ti rendi conto che prima che questo avvenga la mia anima verrà annientata da quella stessa divinità?!”.
Finalmente il cervello di Ranma Saotome abbandonò la modalità egoistica per entrare in quella umana, realizzando l’atrocità: Akane, la sua Akane, rischiava di svanire per sempre. Di nuovo. No, non sarebbe accaduto, perché aveva giurato su tutte le divinità esistenti che quel che era avvenuto in Cina non si sarebbe mai ripetuto.
Mai e poi MAI.
“Se avete finito di allagare la stanza e discutere fra di voi, vorrei portare alla vostra attenzione il resto del papiro che finora non avevo tradotto a causa della sua vasta lacunosità. Vi avverto che, in ragione dei pochi frammenti rimasti, la mia traduzione sarà solo parziale e sicuramente poco corretta, ma tenterò ugualmente di dare un’interpretazione di ciò che rimane”.
Il silenzio tornò finalmente a regnare nella sala da pranzo, ora che tutti i presenti guardavano l’egittologo con rinnovata speranza.
“Bene. Se la mia traduzione è corretta, la divinità impiegherà sei giorni a prendere del tutto possesso del corpo e della mente del suo 'veicolo terreno', cioè di Akane, la cui anima verrà assorbita all’alba del settimo giorno. Ma a quanto pare una soluzione per impedire che ciò avvenga esisterebbe e le possibilità sono due: o trovare una gatta da consacrare in cui riversare lo spirito di Bastet tramite un rituale la cui descrizione è andata perduta, oppure scovare un… ecco, questo è un termine che non ha confronti nella lingua egizia, non so come tradurlo, forse 'involucro magico' dovrebbe rendere l’idea. Credo che se troviamo una sorta di 'dimora alternativa' non vivente che sia di gradimento a Bastet, il suo spirito dovrebbe facilmente lasciare il corpo di Akane. Il problema è che il testo si interrompe proprio sulla descrizione dell’involucro, apparentemente qualcosa di tondeggiante, a giudicare dall’ideogramma che lo identifica. Ma come ho già detto manca anche la descrizione del rituale per trasferire lo spirito della divinità da una 'sede' all’altra”, concluse sconfortato il professore.
“In pratica sta dicendo che abbiamo solo sei giorni per trovare allo spirito un’alternativa ad Akane?”, chiese dubbioso Ranma inarcando un sopracciglio.
“Proprio così, ragazzo. Mi spiace”.
Ranma si portò sorridente le mani dietro la nuca.
“Beh, non sarà affatto difficile, allora. 'Come cavolo si chiama' non resisterà due giorni nel corpo di una ragazza così goffa, violenta e irascibile! Appena si accorgerà del gorilla che alberga già in lei, lo spirito scapperà via a zampe levat…”.
Il pesante e antiquato televisore colpì Ranma in piena faccia, scaraventandolo dritto nel laghetto del giardino.
“Vado a prendere dell’acqua calda…”, sospirò Kasumi alzandosi mentre Akane tornava a sedersi come nulla fosse.
“Vorrei sapere una cosa, professore”, iniziò la giovane cercando di dominare la sua indignazione, ma soprattutto la paura che teneva serrate le viscere in una morsa senza pietà. Non doveva pensare all’epilogo di quella terrificante situazione, si sarebbe tutto risolto per il meglio, come sempre. Solo su questo doveva concentrarsi.
“Dimmi pure, Akane”.
“Nei prossimi giorni lo spirito della gatta sacra tornerà a manifestarsi di quando in quando, non è vero?”.
“Temo di sì, ragazza mia. E con sempre maggior frequenza. In principio lo farà soprattutto di notte, perché è di notte che i felini sono più attivi. Presto tuttavia lo farà anche di giorno…”.
“Capisco…”, concluse Akane abbattuta. Il tempo che le restava era quindi anche meno di quello stimato.
“Ti consiglio di stare lontana dalla camomilla e dall’ammoniaca, i gatti stravedono sia per l’odore dell’una che dell’altra, potresti risvegliare accidentalmente lo spirito che per ora se ne sta latente dentro di te”.
Ranma-chan, seduta sul portico, fissò allibita il professore mentre strizzava un lembo della sua casacca per mandar via l’acqua in eccesso. La sua immaginazione stava per galoppare a briglia sciolta.
“Ad esempio potresti trovarti senza volerlo a rotolare impazzita in un prato o su un pavimento appena lavato…”.

(Akane ruzzola felice giù per un pendio fiorito con l’espressione vogliosa di una gatta in calore)

Ranma iniziò istantaneamente a sudare freddo nonostante il bagno involontario appena fatto.
“Sarebbe davvero divertente!”, commentò Nabiki con una matita in bocca e un taccuino in mano. “Se continua a portare sfiga in questo modo accadrà davvero, professore”.
“Nabiki!”, la zittì Akane, per poi volgersi di nuovo verso Kisuda. “Allora cosa mi consiglia? Di rimanere chiusa in casa mentre voi cercate una soluzione?! Non sia mai!”.
“No, Akane, la cosa migliore da fare sarebbe quella di portarti subito al museo e lì tenerti in osservazione. Pensa se iniziassero a comparirti ciuffi di peli sul corpo…”.

(Akane inizia a coprirsi di peluria sempre più lunga e folta, fino a diventare un gigantesco piumino ambulante in cui non si capisce più dove sia il davanti e il didietro)

Ranma premette una mano sulla bocca, mentre la pelle della faccia andava tingendosi di una sfumatura verdastra tendente al marcio.
“Oh no, che orrore! Pensa davvero che mi accadrà una cosa simile?!”.
“Ha ragione Nabiki, la smetta con questi scenari apocalittici, c’è gente che sta ancora cercando di digerire!”, bofonchiò Ranma dietro la mano.
“Non saprei dirti, Akane”, rispose il professore ignorando il codinato. “È possibile tutto e il contrario di tutto, del resto una simile possessione non è mai stata riscontrata nell’antico Egitto. Tuttavia è innegabile che tu abbia bevuto del latte versandolo in un sottovaso, abbia mangiato la carpa del laghetto e ti sia arrampicata su un albero per osservare da vicino un nido…”.

E abbia scavato una buchetta in giardino… Nooooo, che accidenti mi viene in mente?!

Ranma premette vigorosamente sulla bocca anche l’altra mano, strizzando tanto gli occhi da avvertire un dolore acuto alle palpebre. Ormai la sua immaginazione non conosceva più freni inibitori.

(Il piumino gigante e ambulante lecca voracemente i chilometrici peli che ricoprono tutta la casa come un tappetino, per poi vomitarli sotto forma di smisurati botoli maleodoranti…)

Lo stomaco di Ranma era un vulcano in piena attività eruttiva: aveva una gran voglia di rigettare tutta la colazione. Doveva raggiungere il bagno prima che fosse troppo tardi.
“Ranma, ti ho portato l’acqua calda…”, annunciò Kasumi entrando nella sala con una teiera fumante. Solo allora Akane tornò a prestare attenzione verso il suo fidanzato. Ma che stava facendo?!
“Ranmaaaa! Come osi ridere di meeeeeee?!”, urlò inviperita alzandosi in piedi.
Il codinato, al culmine dell’orrore, vide per un attimo Akane con le sembianze del Cugino It… seduta sul bordo di una lettiera!
Cercò immediatamente di indietreggiare sul pavimento con le gambe, mentre continuava disperatamente a tenere premuta una mano sulla bocca e scuoteva l’altra cercando di negare quanto la fidanzata aveva appena affermato. Ma inutilmente. Con l’infallibile intuizione che la contraddistingueva, Akane aveva naturalmente travisato i gesti di Ranma e ora si ergeva con l’aura in fiamme ritta davanti a lui.
“Tu… maledetto idiotaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!”.
Il calcio di Akane spedì Ranma a godersi il panorama della città dall’alto, là dove solo le aquile osavano avventurarsi.
Solo sei giorni. Poi avrebbe detto addio alla sua affettuosa, insostituibile fidanzata. Poteva esistere qualcosa di peggio nell’universo conosciuto?
Ma certo che sì.
Una divinità del mondo miagolante col corpo di Akane che quella mattina lo aveva fissato con famelica bramosia.
Nonostante stesse sorvolando Tokyo con la velocità di un Mig, una repulsione inconcepibile torse senza pietà le viscere di Ranma.

La situazione non era catastrofica.

Era catastrofica a livelli cosmici.





Sì lo so che questo capitolo è un po’ diverso dai precedenti, ma era necessario che fosse statico e descrittivo, purtroppo. Ora però che l’esimio professore ha spiegato ai Tendo la situazione, inizieranno i guai, quelli veri e grossi come un tempio scintoista. XDDDD Prima di salutarvi, avete colto tutte le citazioni disseminate nel capitolo? Nooooo? Ahiahiahi! XDDD Alla prossima e spero di non farvi attendere troppo! ^___^

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Capitolo 4
*** IV - Bastet al contrattacco ***


Lo so che non ci speravate più, invece ecco il seguito della storia, in un raptus di ispirazione, ho scritto ben 7 pagine in appena due giorni. Evidentemente dovevo staccarmi da NRSU per poter riprendere a scrivere questa ff. ^_^ Mi spiace di avervi fatto aspettare tanto e vi chiedo immensamente perdono per il ritardo, ma non vorrei ricevere solo lamentale per questo come mi è capitato col precedente capitolo, altrimenti stavolta mollo la ff! ç__ç è_é
Bene, prima di lasciarvi alla lettura, vorrei ringraziare – in ordine cronologico di commenti – Killkenny, Rik, Moira, Silvia91, elisa90 - nonostante la sua non fosse una recensione, ma una constatazione ironica del mio ritardo - Laila, bluemary, XcoccinellaX – hai visto che alla fine ho realizzato il tuo desiderio? Meglio tardi che mai, no? ^_- darkfrance, Aleberyl90, Elfetta93, Apple92 e Kuno.
Grazie di cuore a ognuno di voi, spero che questo capitolo vi piaccia e che vi piaccia anche il disegno di Kelou, che ringrazio di tutto cuore! ^_^

PS: ringrazio infinitamente la mia beta Moira, che mi ha evitato di postare delle sviste colossali. ^^;; Ho mandato via mail il capitolo anche al fratellone Rik, ma non sapendo se la mail questa volta gli fosse arrivata, ho postato senza il suo beneplacito. Rik, fammi sapere se qualcosa si può migliorare, che provvedo. ^_-



IV parte

Bastet al contrattacco




Ranma aveva fatto ritorno al dojo Tendo a tarda sera con un’inverosimile collezione di dolori articolari, senza contare i lividi, le cui tonalità avrebbero fatto invidia a un arcobaleno. La sua fidanzata, adorabile e premurosa come poteva esserlo un barracuda, lo aveva spedito in un quartiere sconosciuto e aveva faticato non poco a ritrovare la strada di casa. Fu l’unica volta nella sua vita, quella, in cui comprese il senso di smarrimento di Ryoga. Come faceva quel suino cicciuto a convivere con un disorientamento costante? Beh, era facile: era disorientato mentalmente, dopotutto si era innamorato di Akane, come poteva pensare che avesse tutte le rotelle a posto?
Akane…
Ranma si fermò davanti all’ingresso del vialetto dei Tendo. Quella scema rintronata aveva travisato tutto, tanto per cambiare, ma si poteva essere più idioti? Avrebbe fatto prima a insegnare a una scimmia a parlare, piuttosto che spiegare a quella cretina che non stava affatto ridendo di lei. Come faceva a non capire quanto fosse preoccupato? Beh, forse non era proprio l’impressione che aveva dato, ma era chiaro che lo fosse, no? E adesso gli toccava chiederle scusa, il solo modo per quietare gli animi e mettersi a escogitare in santa pace una soluzione, tanto era impensabile che lo facesse lei. La immaginava anzi chiusa nella sua stanza a frignare, accusandolo di essere un egoista, un insensibile e bla, bla, bla davanti a quel maiale svalvolato di Ryoga.
Lo stomaco emise una protesta prolungata quanto dolorosa. A proposito di prosciutti, era ora di cena, doveva sbrigarsi a riempire quella caverna che aveva per stomaco, se non voleva prendere seriamente in considerazione l’idea di infilzare P-chan su un bello spiedo…

“Sono tornato!”, gridò Ranma dall’uscio di casa Tendo togliendosi le scarpe.
“Oh, finalmente!”, lo accolse Kasumi con un sorriso. “Ti ho tenuto la cena in caldo, vai a cambiarti, qualcuno potrebbe pensare che sei uscito da un cassonetto dell’immondizia…”.
Ranma abbassò lo sguardo sui propri vestiti. Strappi pronunciati, macchie di unto dai colori sgargianti, foglie di insalata appiccicate ai pantaloni, bucce di patate che sbucavano dalle maniche della casacca e una lisca (intera) con cui avrebbe potuto pettinarsi i capelli se non fosse rimasta intrappolata nel codino.
“Tu credi?”, le chiese inarcando un sopracciglio, prima di avviarsi su per le scale. Avrebbe buttato i vestiti nella cesta dei panni sporchi, si sarebbe infilato una yukata e sarebbe sceso di corsa a mangiare. Invece arrivò davanti alla camera di Akane e si bloccò: la porta era aperta, la stanza vuota, il letto immacolato.
Forse è nel dojo…
S’infilò la vestaglia da camera e scese in salotto, dove Kasumi gli servì la cena, mentre Nabiki, sdraiata sul tatami con una matita in precario equilibrio fra il naso e il labbro superiore e le gambe che non la smettevano di fare su e giù, sembrava sprofondata in calcoli matematici degni di un astrofisico.
“In palestra? No di certo, Ranma, Akane ha seguito Kisuda al museo: stanotte dormirà lì, così il professore potrà tenerla sotto osservazione e intanto cercare fra i suoi papiri ammuffiti una soluzione a questo nuovo disastro. Devo sbrigarmi a cavarci il maggior guadagno possibile, ho solo cinque giorni per sfruttare la situazione”.
“Cinque giorni?! Ma Lasuda non aveva detto che ne avevamo a disposizione sei?”.
“Qual è il tuo voto in matematica, Ranma? Sveglia! Un giorno è già trascorso, quindi ne restano cinque… Su, non fare quell’espressione sconsolata, anche se questa volta non potrai essere tu a salvare la tua bella, l’importante è che Akane si liberi della sua possessione, no?”.
“Hai un bel coraggio a definire bella quel gorilla…”, grugnì Ranma incrociando le braccia al petto.
“Però non ho sbagliato a definirla tua, vero?”, sorrise ammiccante Nabiki.
“Smettila di dire scemenze, che vuoi che me ne importi di quello che le accade? Ero solo preoccupato per la mia fobia!”, ruggì dandole le spalle e poggiando un gomito sul basso tavolino per reggersi la testa.
“Ceeerto, per questo muori dalla voglia di raggiungerla, vero?”.
“Ma come ti viene in mente?!”, sputò Ranma a denti stretti.
“Perché stai fissando con morbosa insistenza la porta del vialetto, ecco perché. Ti ricordo che se quella divinità artritica prende il sopravvento anche stanotte, non potrai avvicinarti ad Akane a meno di cento metri…”.
Ranma sbatté sul tavolino la mano stretta a pugno su cui si era appoggiato. Era vero, purtroppo, e quella calcolatrice ambulante non faceva che rigirare il suo ditino ossuto e artigliato da strega nella piaga, ricordandoglielo ogni istante. Tutte le volte che quella balena della sua fidanzata si era trovata in pericolo, chi l’aveva salvata? Ma lui, ovviamente, perché solo lui aveva le qualità e le capacità per farlo, in sostanza solo lui era autorizzato a farlo. O almeno, così aveva creduto fino al giorno prima. E adesso si ritrovava improvvisamente a dover aspettare, anziché agire.
Lui doveva aspettare che altri salvassero la su… Akane.
Roba da non credere. Assurdo. Inammissibile. Lui che se ne rimaneva con le mani in mano.
Lui, porca miseria.
Ranma saltò in piedi stringendo i pugni.
“Che vorresti fare?”, chiese Nabiki addentando un cracker di riso e alghe senza distogliere l’attenzione dai suoi diagrammi.
“Vado a dormire!”, sbraitò da bisonte infuriato sul punto di caricare un nemico immaginario. Nabiki lo vide lasciare il salotto a falcate talmente ampie da far tremare il pavimento.
“Comunque non preoccuparti, Akane non è sola, si è portata appresso P-chan…”.
Un urlo riecheggiò dalle scale accompagnando numerosi tonfi fino al pianerottolo. Nabiki sorrise scuotendo la testa e riprese i suoi calcoli.

Dall’altra parte della città, in una stanza blindata del museo egizio dove il professor Kisuda custodiva i reperti egittologici da catalogare, il suddetto P-chan stava per sperimentare sulla propria pelle il detto: “giocare al gatto col topo”. E anche se non assomigliava a un ratto manco di striscio, Ryoga alias “suino cicciuto” stava per fare la stessa fine.
Il suo angelo incarnato, che lo stringeva teneramente a sé nel sonno, si era improvvisamente svegliata, lo aveva annusato e si era leccata le labbra. Quella era stata l’unica volta nella sua vita di insaccato in cui avrebbe voluto fuggire dalle candide braccia di Akane, ma lei l’aveva tenuto talmente stretto a sé per tutto il tragitto fino al museo, che il povero disgraziato non solo non era riuscito a sfuggirle, ma era addirittura svenuto per la seconda volta, risvegliandosi solo quando aveva udito una porta chiudersi. E ora si ritrovava bloccato in una stanza a prova di bomba con una divinità gattesca che già pregustava le sue tenere chiappette.
Alla vista delle zanne e degli artigli di Akane-Bastet, P-chan iniziò a strillare come solo un suino scannato potrebbe fare. Sfuggì per una setola a una zampata e iniziò a saltare per tutta la stanza, seguito a ruota da un’invasata affamata che rovesciò tutto il rovesciabile: statue, sarcofagi, steli funerarie, mobili di tutte le fogge, finché la sua superiore agilità felina permise alla divinità di agguantare la codina riccioluta del suo pasto un po’ troppo attaccato alla vita. Bastet sorrise trionfante e sollevò il maialino nero davanti al viso, che strepitava e si agitava in preda a una crisi isterica. Akane stava per mangiarselo! La sua Akane! Ma Bastet non si lasciò impietosire dal fiume di lacrime: sollevò il porcellino penzoloni fino a portarselo sopra il viso e spalancò la bocca.
“Ma che sta succedendo qui dentro?!”, irruppe il professor Kisuda spalancando la pesante porta d’acciaio in faccia ad Akane-Bastet. La divinità mollò la presa su P-chan, che volò letteralmente nell’aria per atterrare in testa al professore e subito saltare fuori dalla stanza.
“Ma che cosa…?”.
L’esimio non fece in tempo a finire la domanda che qualcosa di ben più pesante atterrò sulla sua calvizie incipiente: Bastet l’aveva appena eletto a trampolino di lancio per inseguire la sua succulenta preda. Il povero luminare cadde così in avanti e rimase seppellito dalle sue preziose quanto voluminose antichità.
Bastet, intanto, girovagava per le immense sale del museo alla ricerca della sua ostinata cena. Nero com’era, alla fine l’aveva perso di vista e ora non riusciva nemmeno a rintracciarne l’odore. Dove si era nascosto? La parte terminale della lunga coda, che emergeva da sotto la gonna di Akane, si agitava frenetica da una parte e dall’altra, inutilmente: il rotondo ammasso di ciccia sembrava svanito nel nulla. A quel punto, perché perdere tempo a cercarlo, quando poteva procurarsi facilmente da mangiare a casa del suo umano preferito? Non vedeva l’ora di strusciarglisi contro e comunicargli la lieta novella: l’aveva appena scelto quale compagno della sua vita terrena.

Preoccupato oltre ogni dire per la sorte di Akane, Ranma russava nel chiaro intento di imitare una motosega, ma non c’era timore che il padre potesse svegliarsi: da bravo panda gigante, gli dava la schiena ronfando persino più forte di lui. Vuoi perché formavano un duetto sfondatimpani, vuoi perché Bastet conservava la silenziosità di una gatta anche nel corpo di un essere umano, nessuno dei due si accorse della sua presenza nella stanza da letto, dandole così modo di osservare in tutta tranquillità il suo nuovo passatempo. Persino quando dormiva, con la coperta gettata lontano dalle lunghe gambe divaricate come le braccia, le ricordava un gatto. Era troppo perfetto, per essere vero.
Bastet si sfilò la giacchina che Akane aveva indossato sopra la maglietta, si avvicinò al futon di Ranma col sorriso famelico di una gatta in calore e con la leggerezza di una piuma si sedette cavalcioni su di lui sollevando la gonna. Un’unghia acuminata lacerò la canottiera di Ranma per tutta la sua lunghezza e ne scostò i lembi, consentendo alla divinità di ammirare il torace muscoloso del ragazzo. Bastet ampliò il sorriso e le pupille verticali si dilatarono ancor di più, diventando quasi rotonde. Fece lentamente aderire il seno di Akane al petto di Ranma, ritrasse le unghie e sfiorò con ambo le mani il viso del ragazzo, che ancora incredibilmente dormiva. Sarebbe stato un piacere svegliarlo: la notte precedente si era limitata a dormirgli accanto assecondando i desideri inconsci del suo involucro umano, ma questa volta era decisa a spingersi ben oltre.
Poggiò i gomiti sul futon ai lati della testa di Ranma e avvicinò le labbra alle sue, finché la lingua iniziò a seguirne i contorni in una carezza impossibile da ignorare.
La reazione non si fece attendere. Un mugolio accompagnò le mani di Ranma, che si sollevarono dal futon come se avessero vita propria per appoggiarsi sulle gambe di Akane-Bastet e risalire lentamente sino ai fianchi. Ranma avvicinò al contempo le sopracciglia in un’espressione dubbiosa e contrariata insieme, sfoggiando la smorfia tipica di chi è stato appena destato da un sogno spettacolare: Akane si era sdraiata su di lui, gli aveva carezzato il viso e poi aveva iniziato a fare interessanti giochini con la…
“…lingua?!”.



Ranma spalancò tanto gli occhi che poco ci mancò li rigettasse dalle orbite. Akane era davvero sdraiata su di lui. E stava sorridendo.
“Prrraauuuu…”.
Il petto di Ranma si gonfiò come un pallone aerostatico. Stava per emettere l’urlo più terrificante di tutta la sua breve esistenza, quando Bastet gli prese il volto fra le mani e questa volta lo baciò, insinuandogli la lingua fra le labbra.
Ranma si accasciò sul futon, graniticamente certo di essere morto d’infarto. Eppure continuava a sentire Akane che non era Akane, bensì quella stramaledetta divinità col corpo formoso di Akane
(Formoso? Ma quando mai?!)
che esplorava la sua bocca meglio di un dentista, che strusciava su di lui il seno prosperoso della sua fidanzata
(E dagli!)
che affondava le mani nei suoi capelli fin quasi a strapparglieli. Ma peggio di qualsiasi cosa, che non smetteva di premere ritmicamente il bacino contro il suo. Altri 10 secondi
(Anche meno…)
e il cervello avrebbe smesso di funzionare per lasciare campo libero al corpo, che già cominciava a non ubbidirgli più. Akane aveva le labbra così incredibilmente carnose e mmmm…
(Ma che sto pensando?!)
Akane
(Bastet, accidenti, è Bastet!)
cinse le gambe attorno alle sue, per poi afferrargli le mani e trascinarle verso…
È vero! Anch’io ho un paio di mani? Ma dov’erano?!
(Sul suo fondoschiena, idiota, ecco dove!)
Con uno scatto degno di un felino, Ranma staccò le proprie dita dalle natiche della fidanzata quasi fossero arroventate e le piazzò sulle spalle della divinità per scaraventarla lontano da sé. Peccato che Bastet si fosse talmente avvinghiata a lui che riuscì soltanto a costringerla seduta su di lui. La divinità piantò a sua volta le unghie sulle spalle del ragazzo e lo ributtò sul futon.
“Non mi sembrava ti dispiacesse, che ti prende?”, sorrise compiaciuta la dea.
“Levati di dosso, bestiaccia, altrimenti…
“Ti gattizzerai? Il culmine della perfezione, a miei occhi. Io saprei come controllare il tuo stato animalesco e portarlo a livelli sublimi. Sei il compagno perfetto per me: forte, agile…”.
“Scor-da-te-lo!”, soffiò Ranma fra i denti. Cercò di issare il busto, scoprendo con orrore che Akane-Bastet possedeva una forza mostruosa: riusciva a tenerlo inchiodato al letto trattenendolo semplicemente per le braccia.
“Perché? Tu desideri questo corpo, il tuo basso ventre non può mentire, quindi qual è il problema?”.
Ranma non sapeva se era peggio sentire Akane esprimersi in quel modo osceno o vederla comportarsi in modo oscenamente disinibito. Ma del resto…
“Non sei in te, ecco qual è il problema!”.
“Ma che dici? Io sono perfettamente padrona di questo corpo, per fortuna tu non puoi dire lo stesso del tuo…”.
Bastet si accomodò meglio sul grembo di Ranma, che si morse un labbro e chiuse gli occhi.
“Ignora quello che succede laggiù! È fuori controllo, non sa quel che fa!”.
Bastet si passò la lingua sulle labbra.
“Secondo me, lo sa eccome. E non vede l’ora…”.
“Affatto! Toglimi quelle zampacce di dosso! Non ho alcuna intenzione di fare alcunché, almeno non con te!”.
“Perché no? Ti sto offrendo l’opportunità di possedere me, una dea, e allo stesso tempo l'involucro terreno che tanto vorresti stringere a te!”.
“Ma io non voglio te, voglio Akane!”.
Ranma sgranò le pupille.
(Ehhhh?! Che ho detto?!)
La divinità inarcò un sopracciglio e reclinò il viso di lato, con un’espressione sorpresa.
“Ohhh, adesso è chiaro: tu ami questa ragazza…”.
“No! Nient’affatto!”.
“…proprio come lei ama te…”.
La penetrante intelligenza di Ranma, nonché la sua proverbiale acutezza mentale, subirono un scossone impercettibile.
“Le… le… lei… m… m… mi…”.
“Vuoi dire che non te n’eri accorto?”, ghignò Bastet passandogli un’unghia lungo una guancia. La luna illuminò gli orribili tagli che erano le sue pupille e il blocco mentale di Ranma si sgretolò.
Con un colpo di reni riuscì a scrollarsi Bastet di dosso, che con un balzo acrobatico atterrò sulle punte dei piedi. Anche Ranma si era prontamente alzato, ma era lontano dal sapere come affrontare la situazione. Forse all’alba Akane sarebbe tornata padrona del proprio corpo, ma l’alba pareva ancora lontana e Bastet si avvicinava con un’unica idea in testa: fargli sperimentare il Nirvana sulla terra. Doveva escogitare un modo per immobilizzarla o almeno tenerla impegnata senza finire a ruzzolare sul pavimento a fare quello.
Era una parola.
Bastet avanzava verso di lui col corpo di Akane, ancheggiando spudoratamente e iniziando a lacerarsi la maglietta. Ranma serrò di nuovo gli occhi, anche se era certo che Akane indossasse il reggiseno. Cosa poteva fare, a parte indietreggiare fino al muro? Chiedere aiuto al padre in coma profondo? E comunque dubitava l’avrebbe aiutato, anzi, sarebbe stato felice di poter avere un nipotino semidivino. Cosa poteva escogitare? Cosa?
(Scappare dalla porta, magari? Altrimenti, c’è sempre la finestra…)
Ah già! La sua via di fuga preferita! Spalancò le iridi deciso a compiere un salto fenomenale.
“Dove pensi di fuggire? Ho sigillato dall’interno la porta e la finestra con un incantesimo, non puoi aprirle, né sfondarle. Sei in trappola…”, sorrise raggiante la divinità.
Ranma si lanciò ugualmente verso la porta, ma anziché buttarla giù con una spallata, si ritrovò semi incastrato nel legno: sembrava diventato di gomma e come gomma lo respinse. Bastet lo afferrò al volo con la lunga coda, tenendolo sospeso in aria a testa in giù.
“Desisti?”.
“Mai!”.
Bastet lo lasciò andare, divertita e pronta a ricominciare l’assalto. Ma Ranma, dopo aver sbattuto la testaccia dura sul tatami, balzò verso i pantaloni gettati in un angolo.
“Trattamento Saotome per i gatti ostinati!”.
Bastet rimase impietrita. Non avrebbe mai immaginato che il ragazzo possedesse un’arma simile: Ranma sfoggiava trionfante una lunghissima piuma che, opportunamente arrotolata, portava sempre con sé per i casi di emergenza. E bastardamente iniziò ad agitarla sul pavimento.
“Qui, micio-micio-micio…”.
“Non… non penserai che io ceda, vero?”, soffiò Bastet iniziando a sudare freddo, mentre seguiva avidamente gli scatti della piuma a destra e a sinistra. Era così lunga e slanciata e morbida e… e… invitante!
Bastet scattò in avanti sfoderando gli artigli e le zanne e Ranma per un istante temette il peggio, ma la dea si accucciò davanti a lui, completamente rapita dal nuovo giocattolo. Ranma si domandò allora quanto avrebbe potuto resistere: la divinità agitava la coda al ritmo della piuma e lui già iniziava a sentire qualcosa solleticargli il naso. Presto l’allergia avrebbe preso il sopravvento, doveva inventarsi qualcos’alt…
“E… E… Etciùùù!”. Ranma si passò un dito sotto il naso e si accorse di aver afferrato la piuma con ambo le mani, spezzandola di netto nell’impeto dello starnuto. A Bastet non parve vero.
Saltò su di lui con rinnovato slancio amoroso, ma Ranma questa volta fu più lesto e con un balzo si aggrappò mani e piedi alle assi del soffitto.
“Vuoi farlo lassù? E sia, anche se un po’ scomodo, ti accontenterò!”.
Bastet saltò a sua volta e grazie ai suoi artigli si aggrappò comodamente alle travi, il corpo che aderiva perfettamente a quello di Ranma, la bocca che non aveva perso tempo ad appiccicarsi al suo collo.
“Staccati, dannazione, staccati!”.
Invece Bastet si avvinghiò a lui lasciando la presa sulle assi. A Ranma non restò che mollare le travi e ricadere a terra per togliersi quella collosa divinità da dosso, ma finì per atterrare su una pelliccia bicolore morbida e folta. Una zampa si grattò il peloso fondoschiena e un cartello fece capolino dietro il voluminoso ventre paterno:

PIANTALA DI FARE IL DIFFICILE


“Ehhh? Che vorresti dire?”, sbraitò Ranma seduto di nuovo sul futon, mentre Bastet lo abbracciava sbaciucchiandogli il collo.

CHE SI TRATTA PUR SEMPRE DI AKANE
QUANDO TI RICAPITA?

“Ma sei scemo, o che? E togliti tu!”.

PENSA AL NOSTRO FUTURO
AKANE O NO, QUESTA QUI EREDITERA’ LA PALESTRA
CEDILE E FATTI ONORE
(ALTROVE MAGARI)


“Cosaaaa?! Non ci penso nemmeno! E tu ti vuoi staccareeee?”, urlò Ranma fuori di sé prendendo la dea per le spalle.
Per tutta risposta, Bastet gli diede una spinta che lo fece aderire al letto. Era di nuovo al punto di partenza e questa volta la divinità gli teneva bloccati i polsi. Accidenti a lei e alla sua forza erculea, non bastava quella di Akane?
“Ma… un momento… lui dov’è finito?”, chiese Bastet inorridita.
“Te l’ho già detto, botolo di peli, tu non mi interessi”, sputò Ranma a denti stretti.
“Ma davvero? Cos’è che ti interessa, allora? Vediamo… forse sapere che la decifrazione del papiro che mi riguarda è errata? Che non ho bisogno di aspettare sei giorni per prendere definitivo possesso di questo corpo, ma posso farlo quando voglio?”.
Il cuore di Ranma mancò un battito.
“Co-Cosa?!”.
“Tutto ciò che Akane sperimenta lo sperimento anch’io, è il contrario che non avviene. Per questo lei non ricorda nulla quando io prendo il sopravvento su di lei, mentre io ricordo ogni cosa di ciò che lei fa, ascolta, odora, mangia. Resto inerte dentro di lei, ma sempre cosciente, quindi so della traduzione e dei vostri puerili tentativi per aiutare la ragazza a liberarsi di me. Se non la smetti di resistermi, annienterò la sua anima seduta stante!”.
“Tu… Tu menti! Se avessi voluto, lo avresti già fatto!”.
“Non l’ho ancora fatto solo per poter assorbire da lei le informazioni che mi servono riguardo al tempo e al luogo in cui mi trovo, non mi piace brancolare nel buio…”.
Maledizione, se era vero ciò che la belva aveva detto, era rischioso irritarla o provocarla, eppure sentiva che stava mentendo: era improbabile che il professore si fosse così grossolanamente sbagliato o che chiunque avesse vergato quel foglio incartapecorito avesse scritto una fesseria così enorme.
“Avanti allora, fallo, che aspetti? E puoi star certa che da me non avrai un bel niente!”.
Le iridi di Bastet si ridussero a due sottili fessure e un’unghia disegnò il contorno di una guancia di Ranma.
“Non tirare la corda, umano. Sei carino, ma non sei l’unico…”.
Altro che gatta in calore, quella avrebbe congelato persino una tempesta di sabbia.
“Perché dovrei assecondarti, se tanto entro pochi giorni annienterai comunque Akane?”.
“Perché se lo farai, potrei decidere di non annientare affatto la sua anima e permetterle di emergere a livello cosciente, di tanto in tanto…”.
Ranma rilassò i muscoli, accasciò la testa sul futon e sospirò. Anche se aveva la sensazione che fosse una bugiarda patentata – proprio come l’altra gattaccia di sua conoscenza – non poteva rischiare l’anima di Akane.
“Bravo, così, rilassati e pensa a lei…”, sussurrò Bastet mentre riprendeva a baciargli il viso.
Ranma era disgustato a livelli cosmici: gli era impossibile tollerare che una qualunque divinità disponesse della su… di Akane come meglio credeva, arrivando a farle fare le peggiori sconcezze. E non l’avrebbe tollerato un secondo di più! Bastet lasciò nuovamente libero uno dei suoi polsi per carezzargli il torace.
Ora!
Con lo scatto di una tigre, Ranma fece saettare due dita verso il collo della dea, ma lei fu lesta a bloccargli la mano. L’impeto di Ranma gli permise però di rovesciarla sulla schiena e di immobilizzarla a sua volta per i polsi. Fu allora che le prime luci dell’alba invasero la stanza.
“Bada, Ranma! Non farmi arrabbiare o sarà lei a pagarne le conseguenze!”.
“Minaccia quanto vuoi, non credo a una sola parola!”.
Bastet divaricò le gambe e le incrociò sul fondoschiena di Ranma.
“Tu sarai mio, che ti piaccia o no…”, sibilò con un sorriso maligno.
“Vuoi capirlo che non mi interessi?!”. Ranma chiuse per un istante gli occhi, fuori di sé dalla rabbia. “È AKANE CHE VOGLIO!”.
“Adesso sì che diventerò ricca da fare schifo…”.
Ranma riaprì le palpebre. Non era la voce di Nabiki, quella che aveva sentito, vero? No, certo che no, altrimenti lui avrebbe cessato di vivere.
Incrociò lo sguardo di Bastet e si accorse che era Akane quella che lo stava fissando a bocca aperta e pupille sgranate. Le bloccava i polsi costringendola sul tatami, steso sopra di lei, fra le sue gambe. Allora si accorse anche che l’insostituibile fidanzata indossava solo il reggiseno, mentre la gonna era completamente sollevata.
“Oddio…”.
Poteva esistere situazione peggiore? Ma ovviamente sì. Il peggio del peggio era che Nabiki Tendo era proprio sulla porta e aveva ripreso tutto con la videocamera, confessione compresa, per la gioia di Soun che dietro di lei piangeva a calde lacrime, di Kasumi che si copriva gli occhietti pudici e di suo padre, naturalmente, che saltellava per la stanza spargendo petali di ciliegio da una cesta di vimini.
“TOGLITI IMMEDIATAMENTE DI DOSSOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”.
Un pugnò scattò contro il suo viso e Ranma si ritrovò a volare contro la finestra. Inutile sperare di rimbalzarvi contro, Bastet se n’era andata, quindi anche i suoi incantesimi. E infatti, Ranma ne frantumò il vetro, superando di parecchio la barriera del suono.
Questa volta avrebbe impiegato molto, molto tempo a tornare a casa.
Sempre che ci fosse riuscito, è chiaro.
Stava volando dritto verso la bocca del Fujiyama.
E non era nemmeno spento.

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Capitolo 5
*** V - Sono rovinato! ***


Ringrazio dal profondo del cuore tutti coloro che hanno entusiasticamente commentato e con i loro fantastici commenti mi hanno commossa: inutile dirvi quanto sia stata felice di sapere che avete apprezzato a tal punto l’ultimo capitolo, che sia i personaggi sia le situazioni vi hanno indotto a pensare a una puntata del manga o dell’anime, un complimento più grande non potevate farmelo, grazie! ç_______ç Grazie Laila, Rakiy, lavs684, Tharamil – amore mio, questa non me l’aspettavo! *ç* – fufy93, moira, laurastella, Kuno – che ringrazio doppiamente perché mi ha fatto anche da beta per il V capitolo – apple92, Riccardo, caia, Robbykiss, Aruna, okkiverdi, Breed e bluemary, cui dedico questo capitolo non solo perché ha scritto uno stupendo papiro di commento XDDD, non solo perché ha pubblicizzato la ff sul forum di EFP con una recensione meravigliosa – al punto che mi sono chiesta: ma l’ho scritta proprio io la La Gatta Morta? XDDD – ma anche perché presumo che grazie a quella recensione la ff è stata notata dal Comitato Consiglio Fanfiction, che l’ha messa fra le Storie Scelte di questo fandom. Almeno, suppongo che sia quello che è accaduto, altrimenti non me lo spiego. XDDDD
Che posso aggiungere? Spero che anche questo capitolo vi piaccia, ammetto di averlo scritto di getto e di non aver avuto molto tempo per revisionarlo, ma spero possiate apprezzarlo comunque: al momento, causa studio concorso, il tempo a disposizione da dedicare alle ff è sempre di meno, purtroppo, quindi spero davvero non rimarrete delusi. ^^;;
Buona lettura e spero vi piaccia il disegno di Kelou, che ringrazio sentitamente! ^_^




V parte

Sono rovinato!






Ranma arrancava lungo le viuzze deserte di Nerima, nella tarda mattinata di un radioso lunedì. Per la seconda volta, ‘vita larga’ l’aveva aiutato ad apprezzare intensamente la vista ‘a volo d’uccello’ di Tokyo e il risultato di quell’ebbrezza era stato un incontro ravvicinato con la bocca del Fujiyama. Per questo ora si trascinava coi piedi scalzi costellati di vesciche, poggiandosi con ambo le mani a un bastone nodoso – neanche avesse l’età di quel dinosauro di Obaba – e con addosso pochi indumenti laceri e bruciacchiati non meno dei capelli e del codino.
Ormai prossimo al dojo Tendo, bramava disperatamente la vasca da bagno e ingozzarsi fino a rotolare per terra, ma sapeva di non potersi semplicemente presentare alla porta di casa, non dopo quello che era accaduto la notte appena trascorsa.
Non è accaduto niente! Un accidente di niente! È stato solo un incubo! Sì, ho fatto un brutto sogno e da bravo sonnambulo mi sono auto-proiettato nello spazio siderale, ecco tutto! Non ho detto quello che ho detto davanti a tutti, nossignore!
(Adesso sì che diventerò ricca da fare schifo…)
“Maledetta sanguisugaaaa!”, imprecò frantumando il bastone fra le dita. Doveva fermare quello sciacallo in pantaloncini prima che fosse troppo tardi, sempre ammesso che non lo fosse già: quella iena ridens stava forse smerciando proprio in quel momento qualche migliaio di copie di quel dannato video, che ovviamente non avrebbe mancato di rivendere a peso d’oro… il suo!
Appena si fosse ripulito e avesse rimpinguato lo stomaco, l’avrebbe scovata ovunque si era andata a cacciare e le avrebbe fatto ingoiare quegli stramaledetti duplicati uno per uno. E magari l’avrebbe pure aiutata, se avesse avuto ancora fame. Sì, per prima cosa si sarebbe occupato di quell’arpia coi capelli a caschetto, poi… poi…
Sospirò stancamente, accasciandosi su se stesso. Come avrebbe fatto questa volta a giustificare il suo comportamento con la cuoca peggiore dell’universo conosciuto e forse anche di quelli paralleli? Ranma si scompigliò freneticamente i capelli con le mani, come una shampista particolarmente accanita con la sua cute. E di colpo spalancò gli occhi. Shampista? Massì, certo, poteva sempre lavare la testa della famiglia Tendo e di suo padre con lo shampoo 110 di Shampoo, sempre che lo avesse ancora… No, no e poi no, ma che andava a pensare? Suo padre non aveva un capello manco a cercarlo col microscopio e lui non conosceva la corretta digitopressione per ottenere l’effetto mirato, se avesse fatto un casino coi ricordi di ognuno? Né poteva chiedere a quella piattola di amazzone di aiutarlo, come minimo avrebbe felicemente ridotto tutti a un branco di smemorati perenni, Akane in testa… Niente da fare, doveva inventarsi qualcos’atro.
Dannatissima divinità gattesca, non poteva aspettare due secondi di più per dileguarsi? Sembrava l’avesse fatto apposta a sparire proprio in quel momento! Un attimo… Poteva essere più imbecille, ma dove aveva il cervello? Poteva sempre inventarsi che lui aveva fatto quella ‘dichiarazione’ solo per indurre Bastet a lasciarlo in pace e impedire così alla bestiaccia di usare il corpo di Akane per i suoi scopi! Sìììì, che idea!
Ranma ritrovò immediatamente il suo sorriso da schiaffi e iniziò a ridere sguaiatamente da perfetto idiota quale sembrava, in mezzo alla stradina spazzata da un vento da far west, con tanto di balle di erba rotolanti. Solo troppo tardi si sarebbe reso conto che la colossale scemenza che aveva partorito sarebbe stata penosamente inutile: in quel momento lo stomaco aveva preso il posto del cervello, per cui funzionavano solo le rotelle di emergenza.
S’impettì, ormai certo di avere in tasca la soluzione per ogni problema e percorse gli ultimi metri che lo separavano da casa Tendo. Riuscì a saltare sino alla finestra della sua camera e a entrare senza far rumore, per poi strisciare di soppiatto fino in bagno. Quando mezz’ora dopo ne uscì, aveva un appetito tale che, se non si fosse sbrigato a mettere qualcosa sotto i denti, avrebbe mangiato il tavolino del salotto. E solo perché la carpa se l’era già mangiata Akane.
Corse in cucina, dove Kasumi stava canticchiando davanti ai fornelli inondando la casa con un aroma da capogiro. Solo allora Ranma si rese conto di non aver avvertito le auree di Akane, Nabiki, di suo padre e del signor Tendo: a parte la primogenita della famiglia, l’abitazione era praticamente deserta.
“Oh, buongiorno Ranma, sei tornato finalmente! Se hai pazienza, il pranzo è quasi pronto!”.
“Grazie, ma dove sono tutti?”, chiese il codinato addentando una fetta di rapa gialla.
“Oh, è vero, nessuno ti ha informato!”, sorrise Kasumi tornando alle sue pentole. “Questa mattina il professor Kisuda si è presentato di nuovo per riportare Akane al museo, invece papà e il signor Genma sono usciti circa un’ora fa per raggiungere Nabiki a scuola”.
Ranma inarcò un sopracciglio. Senza saperne il motivo, un brivido gli fece rizzare il codino dietro la nuca.
“Sono andati… al Furinkan? Coma mai, è accaduto qualcosa?”.
“Ecco, non lo so di preciso, Nabiki ha detto solo che si sarebbe trattenuta dopo le lezioni e ha chiesto ai nostri genitori di raggiungerla nella palestra della scuola verso quest’ora. Sembravano molto contenti, sai? Sprizzavano gioia da tutti i pori. Oggi ti va il riso al curry?”, volle sapere Kasumi voltandosi nuovamente verso di lui.
Peccato che fosse rimasta sola.

Corriiiiiiiiiiiiiii! CorriCorriCorriCorriiiiiiiiiiiiiiii!
Quella faina! Quella vipera cornuta! Non sapeva in che modo, ma era graniticamente certo che stesse per rovinarlo, se non c’era già riuscita! Forse non sarebbe mai arrivato in tempo per impedire l’inevitabile, saltare di tetto in tetto con lo stomaco che reclamava era uno sforzo per lui disumano, ma doveva tentare! Con un ultimo balzo riuscì a portarsi oltre il cancello del Furinkan.
E lì si bloccò.
Nonostante fosse l’ora della pausa pranzo, non un’anima viva si aggirava nel cortile, più deserto della tundra siberiana. Ranma iniziò a sudare freddo, temendo ciò che sapeva di dover temere. Alzò lo sguardo verso l’edificio scolastico, ma nessuno era affacciato alle finestre, né s’intravedeva passeggiare nei corridoi. Un beneamato nulla neppure sulla terrazza.
Inghiottì rumorosamente. Non riusciva a dare forma a un pensiero che era uno, troppo terrorizzato all’idea di ciò che stava probabilmente accadendo nella palestra. Eppure, un passo alla volta, i piedi lo condussero ugualmente là.
Le ante della pesante porta di metallo erano chiuse e nessun rumore sembrava provenire dall’interno. Inghiottì di nuovo e inspirò a fondo per darsi coraggio, quindi afferrò saldamente le maniglie e spalancò di slancio i battenti, inondando di luce l’enorme ambiente, gremito fino all’inverosimile.
«Vuoi capirlo che non mi interessi?! È AKANE CHE VOGLIO!».
Il cuore smise di battere e lui di respirare.
L’urlo, un urlo suo, anche se non proveniva dalla sua gola, aveva appena squarciato come un tuono il silenzio di tomba della palestra, perché lui campeggiava sul maxischermo allestito sulla parete di fondo, sdraiato fra le gambe di un’Akane mezza nuda che lo fissava incredula, mentre la costringeva sul suo futon tenendola per i polsi.
Il filmato si interruppe e lo schermo divenne bianco.
Silenzio, nemmeno una mosca si azzardava a volare.
Era morto. Era molto, molto morto. E se ancora non gli era venuto un infarto, che gli venisse almeno un ictus che lo fulminasse sul posto, rapido e indolore, perché difficilmente sarebbe scampato alla furia omicida che andava addensandosi come una nube rosso sangue sopra la testa dei presenti.
“Te l’avevo detto che sarei diventata ricca da fare schifo…”, sibilò Nabiki posandogli una mano su una spalla. “E pensare che questa volta non è stata nemmeno un’idea mia: io avrei fatto le solite due-trecento copie da rivendere sottobanco, invece i nostri genitori si sono fatti venire il colpo di genio: perché non mostrare il video pubblicamente – a pagamento, s’intende – e spedire gli inviti a chi avesse rischiato di perderselo, così da costringere le altre tue fidanzate e i vari spasimanti di Akane a mettersi l’anima in pace e farsi da parte? Così, ci abbiamo guadagnato tutti”.
“Oh… dio… mio…”.
“Tutti tranne te, è chiaro. Quella cui l’intera scuola ha assistito è una dichiarazione in piena regola, non tentare di far credere che Bastet ti ha mandato in tilt il cervello o roba simile, perché nel video è evidente che per tutto il tempo sei stato nel pieno possesso delle tue facoltà mentali, dall’inizio alla fine. Ora mezza Nerima conosce i tuoi veri sentimenti per mia sorella, quindi non puoi più tirarti indietro: ti sei ufficialmente impegnato con lei. Stavolta sei fregato, mio caro Ranma...”.
Il codinato abbassò finalmente gli occhi, ormai fuori dalle orbite, sulla platea che si era alzata in piedi e si era voltata verso di lui, una massa informe di sguardi infuocati e auree fiammeggianti che aspettava solo una mossa falsa da parte sua per sbranarlo. E in mezzo alla sterminata folla, dove due deficienti di mezz’età ballavano la macarena sulle sue disgrazie, gli spropositati ki di Ukyo, Shampoo, Kodachi e Tatewaki ribollivano come lava in un vulcano pronto all’eruzione. Suo padre e il signor Tendo l’avevano fregato proprio bene. Peccato si fossero dimenticati di pensare alla sua incolumità.
“Ah, dimenticavo: sai che papà ha pensato a un matrimonio da favola per voi due, questa volta? Però i soldi guadagnati oggi potrebbero non essere sufficienti, così…”.
“Che… che altro… hai combinato…?”, chiese affranto mentre iniziava istintivamente ad arretrare. Non voleva saperlo, in realtà: anche se pareva impossibile che la situazione potesse essere peggiore di così, con Nabiki Tendo non si poteva mai dare nulla per scontato.
“Oh, nulla, mi sono solo assicurata che il mondo intero contribuisse alle vostre nozze: ho caricato il video su YouTube. La visione è a pagamento, ovviamente…
“TUCHECOSAAAAAAAA?”, sbraitò voltandosi verso di lei.
“Ranma… SEI MORTOOOOOOOOOOOOO!”, urlò l’autoproclamato Tuono Stinto del Furinkan puntandogli contro il suo bokken.
Fu il segnale, quello. L’intera scuola si scaraventò su di lui capovolgendo le sedie, calpestando chi seguiva pur di raggiungerlo, menando calci e pugni pur di mettergli le mani addosso. L’orda inferocita ruggiva, urlava, imprecava. E su tutti, le sue amorevoli fidanzate, che lungi dal litigare su chi fra loro avesse il diritto di strappargli i gioielli di famiglia, si stavano avventando tutte insieme su di lui, seguite dallo svalvolato numero uno del Furinkan, che brandiva la sua spada di legno sopra la testa.
C’era solo una cosa che gli restava da fare. Usare la pericolosissima ‘tecnica Saotome dell’autoconservazione’. Un solo secondo di ritardo, un solo attimo di esitazione e sarebbe stata la fine. Ranma si mise in posizione, mentre gli assalitori stavano per piombargli addosso come uno spaventoso tsunami. Il codinato concentrò allora al massimo il suo ki e quando la gigantesca onda d’urto si abbatté, sfoggiò la prima e più importante tecnica marziale che il padre gli avesse mai insegnato.
Se la diede a gambe levate.
La valanga umana s’infranse contro il pavimento della palestra, mentre Ranma, con un salto acrobatico all’indietro, guadagnava l’uscita, atterrava in uno spiazzo soleggiato e scattava come un bolide verso il cancello della scuola.
“Scappa, Ranmaaaaaaaa! Scappaaaaaaa! Li trattengo iooooooooo!”.
Era la voce di Mousse, quella che aveva udito? Ranma si voltò pur continuando a fuggire e non riuscì a credere a quello che vide: il cinese aveva impacchettato l’esterno dell’edificio con le sue interminabili catene pur di sigillare la porta che aveva sbarrato, ma oltre la quale qualcosa premeva fino a deformarla e dalla quale urla selvagge fuoriuscivano.
Ranma si fermò davanti all’ingresso della scuola, strinse un pugno e, commosso, ringraziò quella papera cecata per il suo sacrificio. Non avrebbe mai dimenticato il suo gesto, mai, finché fosse vissuto.
“Ranma, MALEDETTOOOOOOOOOOO!”.
Ops, aveva parlato troppo presto. La porta di metallo aveva ceduto sotto la spropositata pressione dei suoi compagni di scuola, che avevano travolto il povero Mousse guidati da un invasato Kuno.
Ranma riprese a correre senza sapere dove andare a nascondersi. Non poteva condurre quei pazzi furiosi a casa Tendo, avrebbe dovuto ideare qualcos’al...
Una raffica di spatole gli fece quasi lo scalpo.
“Fermati, Ran-chaaaaaannnnn! Devo spalmarti sull’asfalto!”.
Questa era Ukyo e stava sicuramente brandendo la sua spatola gigante.
Aileeeen! Non scappareeeeeee!”.
Questa invece era Shampoo, certamente armata di bombori materializzatisi chissà da dove.
“Ranma, mio adoratooooo! Curerò io la tua insanità mentale, non preoccuparti!”.
Come no…
Un nastro nero si avvinghiò al collo di Ranma rischiando di strozzarlo, ma con uno strattone il codinato riuscì a liberarsene. Questa era Kodachi, che piagnucolava spargendo senza dubbio petali altrettanto neri nel polverone dietro di sé.
“Dannato Saotomeeeeee! Come hai potuto strappare quel fiore delicato di Akane Tendo? Non ti perdonerò maiiiiiiii!”.
E questo era Tatewaki. Alé, c’erano proprio tutti, mancava solo…
“Ryoga?!”.
Non credeva alle sue pupille. Il campione mondiale di disorientamento che fluttuava catatonico per le vie del quartiere, ma che gli era accaduto? Era come se la professoressa Hinako gli avesse risucchiato tutta l’energia combattiva…
Un momento! Ma da queste parti abita…
“Vieni con me, prosciutto con le zampe!”.
Ranma afferrò al volo un Ryoga con la consistenza della carta velina, quindi compì un poderoso balzo col quale si portò su un tetto, seguito a ruota da chiunque potesse imitarlo.
“Ma… ma dov’è andato?”, chiese Ukyo guardandosi intorno disorientata: per tetti e tetti non si vedevano altro che antenne paraboliche, pali della luce gremiti di uccelli e lampioni. Ranma sembrava svanito nel nulla.
“Il mio adorato non può essere scomparso così, dev’essere ancora qua attorno!”, affermò sicura Kodachi sgranocchiando il gambo della rosa nera che teneva fra i denti.
“Cerchiamolo, allora, non può essere andato lontano!”, suggerì Shampoo allontanandosi… verso casa Tendo. Era certa che il suo futuro marito le avesse depistate per andarsi a rifugiare nella casa della ragazza violenta. Nessun problema. Una volta lì, gli avrebbe gonfiato la faccia a suon di bombori, quindi lo avrebbe trascinato in chiesa perché rinsavisse: doveva prendersi le sue responsabilità, una buona volta, basta coi trucchetti. Pensava davvero di metterla fuori gioco inscenando una così patetica recita a uso e consumo dell’intera Nerima? Poteva anche pensare di fregare la spatolona e quella pazza di una ginnasta, ma non lei!

“Andiamo Shampoo, ormai dovresti saperlo: non rilascio informazioni senza una congrua offerta di denaro...”, sorrise Nabiki continuando a contare i soldi guadagnati quella mattina.
Seduta davanti al tavolo del salotto, confrontava meticolosamente il numero dei biglietti venduti con le mazzette di yen impilate davanti a lei: non era stata così sciocca da fissare un prezzo universale, visto che c’erano compagni di scuola – come Tatewaki e sua sorella – che potevano tranquillamente permettersi di spendere il doppio, quindi doveva stare molto attenta a calcolare l’esatto ammontare del guadagno per assicurarsi che tutti avessero pagato la loro quota.
“Dimmi dove si nasconde, Nabiki, lo so che è qui, dimmelo!”, minacciò la cinesina sollevando un bombori.
“Di’ un po’, vuoi beccarti una denuncia per violazione di proprietà privata e aggressione, carina? Su avanti, attaccami, se ci tieni a perdere il ristorante, perché è il risarcimento che chiederò!”, sorrise Nabiki senza scomporsi.
Shampoo rimase col braccio sollevato, fumante di rabbia. Proprio allora fece il suo ingresso Kasumi con un vassoio.
“Ciao Shampoo, mi sembrava di aver riconosciuto la tua voce, vuoi un po’ di tè? Se sei venuta per Ranma, non è ancora tornato. Benedetto ragazzo, è scappato via senza nemmeno pranzare…”.
Nabiki si volse seccata verso la sorella maggiore: un’occasione di guadagno extra aveva appena preso il volo.
“Maledizione!”, sbuffò la cinesina dando loro la schiena. E adesso? “Sbaglio, o non c’è nemmeno Akane?”.
“No, infatti”, rispose sconsolata Kasumi.
“Fai silenzio, accidenti!”.
“Oh, smettila Nabiki, non hai guadagnato abbastanza?”.
“Con sette persone che vivono in questa casa, no, non è mai abbastanza! Ti ricordo che ben tre di loro scroccano vitto e alloggio ormai da anni!”.
“Avanti sorellina, che male c’è a dire semplicemente che Akane non è qui, non ho detto dove si trovi, né lo dirò mai a nessuno”, sorrise Kasumi accondiscendente.
“Ma se ti pagassi, tu me lo diresti, vero Nabiki?”, chiese melliflua Shampoo a pochi centimetri dal suo viso.
“Non so se ti puoi permettere il prezzo che ho in mente…”, ghignò la secondogenita dei Tendo.
“Qualsiasi cifra, pur di togliere di mezzo tua sorella”.
Nabiki sorrise da un orecchio all’altro.
“Affare fatto, allora”.
“Nabiki!”, esclamò scandalizzata Kasumi.
“Sta’ tranquilla, sorellina”, le sussurrò all’orecchio accostandosi a lei. “Qualcosa mi dice che sarà Akane a sbarazzarsi di lei…”.

“Ecco, tieni Ranma, mangia”.
“Grazie, dottor Tofu!”. Il codinato afferrò la ciotola e se la portò davanti al viso, iniziando a trangugiare il riso e i sottaceti.
“Stento ancora a credere a quello che mi hai raccontato, è… è davvero sbalorditivo. Comunque questa volta non posso aiutarti in alcun modo, nemmeno la vecchia Obaba può farlo, temo, men che mai Happosai: lo capisci da te che l’Egittologia è completamente al di fuori della nostra portata, l’unica persona che può aiutarti è quel professore che ha preso in custodia Akane”.
“Non dica scemenze, dottore! Quello non sa dove sbattere la testa, ma continua a sbattere il muso sui suoi papiri ammuffiti senza cavarne nulla!”.
“Non dire così, vedrai che tutto si risolverà, come sempre. Ryoga comunque non ha nulla che non va, è semplicemente sotto shock”, concluse il medico dopo aver cercato inutilmente di ottenere dal ragazzo una qualche reazione: se ne stava seduto su uno sgabello accanto a Ranma, senza mostrare segni vitali all’infuori di un balbettio sconnesso.
“Grazie, me n’ero accorto anch’io, è il motivo che vorrei sapere: ho intravisto la professoressa Hinako fra coloro che hanno assistito alla proiezione, quindi non può essere stata lei a ridurlo così”.
“Se riuscissimo a sapere dove è stato prima che tu lo trovassi in queste condizioni, forse…”.
“Cos’ha detto?”, chiese Ranma voltandosi di scatto e posando la ciotola vuota su un basso tavolino.
“Ho detto che se potessimo sapere dove…”.
“Sì sì, ho capito, intendevo che forse ne ho una vaga idea, può lasciarci soli qualche minuto?”.
Il medico lo osservò perplesso.
“Non adotterai le maniere forti con lui, vero?”.
“Mannò, che dice?”, proclamò Ranma con un sorriso fintissimo.
Tofu inarcò un sopracciglio e sospirò.
“Va bene, come vuoi…”, concluse allontanandosi e chiudendo la porta dello studio dietro di sé.
Ranma si volse verso l’amico e lo prese per le spalle. Si era di colpo ricordato che la sera prima Nabiki gli aveva detto che Akane, nel seguire il professor Kisuda al museo, si era portata appresso P-chan. Forse quel rincretinito aveva visto qualcosa che poteva tornargli utile per scacciare Bastet dal corpo di Akane.
“Ryoga, ora ascoltami bene, molto molto attentamente…”.
“Ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba…”.
“Concentrati, Ryoga, avanti!”, ringhiò dandogli una scrollata. “Devi dirmi cos’è accaduto quando…”.
“Ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba…”.
Era peggio di suo padre quando si metteva in testa di regredire allo stato di panda.
Ranma chiuse il gli occhi e serrò la mascella, mentre un nervo iniziava pericolosamente a pulsare su una tempia.
“Ba-ba-ba-ba-ba-ba-ba…”.
“Oh, insomma, piantalaaaa!”, gridò il codinato sollevandolo in aria per il bavero della maglietta e mandandolo a sbattere con un pugno contro la parete opposta.
“Ma che… ma cosa…”, balbettò Ryoga massaggiandosi una guancia e guardandosi attorno confuso.
“Finalmente!”, sbraitò Ranma raggiungendolo e riacciuffandolo per la canotta logora con ambo le mani. “Allora, vuoi dirmi che è accaduto ieri sera al museo?”.
“Al museo…?”. Lo sguardo di Ryoga vagò per la stanza. “No! Non me lo chiedereeee! Non hai idea di cosa ho passato, non puoi assolutamente immaginarlo!”, frignò il disorientato mettendosi le mani nei capelli.
“Sì, figurati, non può essere peggio di quello che ho passato io…”.
“Non puoi capire! Akane è mutata sotto i miei occhi…”.
“Capirai, sai che novità, avresti dovuto vederla quando me la sono ritrovata nella mia stanza…”, minimizzò Ranma agitando una mano e fissando il nulla con sguardo intenso.
“E poi… poi… che orrore! Mi ha guardato come un gatto guarda un topo…”.
“Mi fissava con una bramosia tale che sarebbe stata capace di spogliarmi con gli occhi…”.
“E si è leccata le labbra, capisci? Lei!”.
“Sì, sì, ho ancora l’immagine stampata in fronte, un vero incubo…”.
“E poi… poi ha iniziato a inseguirmi finché mi ha afferrato la coda…”.
“E non mi mollava più, Ryoga, capisci? Mi stava continuamente appiccicata, non posso pensarci…”.
“Ha tentato di mangiarmi!”.
“Ha tentato di violentarmi!”.
Silenzio di tomba.
“Ehhhh?!”, mormorarono all’unisono fissandosi sbigottiti.
“MA IO TI AMMAZZOOOOOO!”, urlò Ryoga avventandosi su Ranma. Gli afferrò il collo con tutt’e due le mani e iniziò a strozzarlo, sbattendogli al contempo la capoccia dura che si ritrovava sul pavimento. “Cosa le hai fatto? COSA LE HAI FATTOOOOO?”.
“Ma che succede qui dentro? Fermati, Ryoga!”, intervenne il dottor Tofu colpendogli un punto dietro il collo.
Il ragazzo con la bandana si accasciò su un Ranma cianotico, che prontamente se lo scrollò di dosso massaggiandosi la gola.
“Accidenti a te, sempre la stessa storia, dannato ottuso di un maiale!”, imprecò il codinato.
“Stai bene, Ranma?”.
“Sì sì, grazie, dottore… ma non ho cavato nulla da lui, non mi è stato per niente utile…”.
“E come avrebbe potuto esserlo?”.
“Ah… ehm… lasciamo stare…”.
“Se può interessarti, comunque, subito dopo avervi lasciato soli sono uscito in cortile e ho visto Shampoo che saltava sui tetti”.
“Dannazione, mi stanno ancora cercando!”.
“Può darsi, comunque la direzione che ha preso coincide con quella del museo…”.
Ranma guardò il medico con tanto d’occhi, improvvisamente cereo, e scattò in piedi. Ci mancava solo questa.
“Devo andare, dottore, grazie di tutto!”.

“Glielo ripeto di nuovo, professore! Apra quella porta o frantumo le sue preziose statue una per una, a cominciare da... quella là!”, minacciò Shampoo puntando uno dei bombori contro la statua di Amon-Ra.
“Noooo! Quella no! L’abbiamo appena finita di restaurare, la prossima settimana sarà finalmente esposta al pubblico!”, piagnucolò Kisuda seduto alla sua scrivania.
“Allora apra subito quella porta! Adesso!”.
“Ma… ma ragazza, tu davvero non ti rendi conto! Sarebbe come stuzzicare il can che dorme: potresti risvegliare Bastet…”.
“La smetta con questa messinscena! Ho combattuto contro Akane solo due giorni fa e se Ranma non si fosse intromesso, l’avrei battuta facilmente, quindi non credo affatto alla storia della possessione!”.
“Ti prego, sii ragionevole, non costringermi a chiamare la sicurezza: capisco che siate tutti preoccupati per lei…”.
“Ma che va blaterando? Io voglio farla fuori!”.
“Adesso basta, chiamo la polizia!”.
“Peggio per lei!”.
La cinesina scagliò un bombori contro una statua di Amenhotep III assiso in trono, facendogli saltar via la testa.
“Noooooooooooooooooooooooooooooo!”, urlò il professore strappandosi i capelli. “Quella statua era in prestito al museo!”.
“Quello laggiù in piedi, chi è?”.
“Q-quello? Ma-ma Ramesse II, ovviamente!”.
Anche l’altro bombori volò attraverso il magazzino e la statua rovinò per terra in mille pezzi.
“Basta, per carità! Basta, o mi farai venire un infarto!”, gemette il professore. Che danno incalcolabile, che barbarie! Avrebbe emesso una circolare che obbligava il museo a stare aperto sette giorni su sette, mai più chiuso il lunedì e mai più senza i vigilanti a pattugliarlo.
“E allora?!”.
“Ecco le chiavi, prendile, ma vattene di qui!”.
Shampoo le afferrò, recuperò le sue armi e corse alla porta del caveau. Avrebbe ‘risolto’ il problema di Akane una volta per tutte e con quello anche i suoi: Ranma si sarebbe rassegnato a sposarla e a seguirla in Cina, da bravo marito di donna di polso.
La cinesina spalancò la pesante porta blindata e in fondo alla stanza intravide Akane che stava placidamente dormendo su una branda, come era ovvio: per inscenare quella ridicola rappresentazione, doveva essere rimasta alzata tutta la notte.
“Sveglia, ragazza violenta!”.
Per tutta risposta, Akane mugugnò il nome di Ranma nel sonno e strizzò ancora di più il cuscino a sé.
“Sveglia, ho detto!”, gridò Shampoo avvicinandosi ad ampie falcate. Anche questo doveva sopportare.
Niente, la giovane Tendo non dava segno di averla sentita, o forse faceva solo finta come estremo tentativo di difesa. Peggio per lei. Shampoo sollevò un bombori sopra la testa e calò il braccio, ma la sua arma sfondò soltanto il cuscino, che si aprì in due in un tripudio di piume.
“Shampoo! Ma sei impazzita?! Che ti prende?”, sbraitò un’Akane perfettamente vigile.



La cinesina rimase per un istante disorientata: Akane era appollaiata sulle spalle di una statua alta almeno tre metri, come aveva fatto ad arrivare fin lassù?
Non ha importanza, ormai non può sfuggirmi!
Le lanciò un bombori e Akane saltò giù con un’agilità che avrebbe potuto definire… felina, guadagnando l’uscita del caveau. Ora che ci pensava, la sua posizione le aveva ricordato Ranma quando, gattizzato, aveva combattuto contro sua nonna. Qualcosa le diceva che doveva approfittarne ora, finché era in tempo.
“Fermati, Akane, è inutile che scappi!”.
Shampoo la inseguì per le sale del museo sotto lo sguardo inorridito del professor Kisuda, intento a comporre il numero della polizia.
“Lasciami in pace, Shampoo, ho già i miei problemi, non voglio combattere contro di te!”.
“Li risolverò io i tuoi problemi, fermati!”.
Akane continuò a schivare tutti gli affondi della cinesina, stupendosi lei per prima di riuscirci e piuttosto facilmente, ma ricordandosi poi che purtroppo non era merito suo. Fu allora che le tornò in mente cos’era accaduto quella notte.
Addormentatasi con P-chan fra le braccia, si era risvegliata fra le braccia di Ranma. Di nuovo. Ma questa volta lui non era addormentato e non sarebbe potuta sgattaiolare via come nulla fosse: sdraiata mezza nuda sul suo letto, se l’era ritrovato letteralmente addosso che le teneva bloccati i polsi. Stava per urlare, quando l’aveva sentito pronunciare l’inaudibile. Un’affermazione tanto shoccante che tutto il resto era passato completamente in secondo piano: la sua seminudità, la posizione in cui si trovavano, tutto. A ripensarci, le tornavano le lacrime agli occhi. Se non fosse stato per la sua famiglia riunita al completo e soprattutto per Nabiki armata di videocamera, forse non avrebbe reagito spedendo il suo fidanzato in orbita: no, forse si sarebbe limitata a demolire quella sua faccia da schiaffi a forza di pugni, forse…
Akane mise male il piede su un dislivello del pavimento e scivolò all’indietro, ma fece in tempo a vedere Shampoo spiccare un salto e piombare su di lei come un falco, il bombori lanciato come la palla di un cannone verso la sua testa.
Evitarlo, questa volta, era impossibile.
Con un grido incrociò istintivamente le braccia davanti al volto e fu l’ultima cosa che vide, prima di precipitare nell’oblio.

Shampoo vide Akane tentare inutilmente di parare il colpo con le braccia… e poi slanciare quelle stesse braccia all’indietro per poggiare i palmi sul pavimento, sollevare le gambe in aria disegnando un arco col corpo, stringere il suo bombori fra le ginocchia e spezzare di netto il lungo manico.
La cinesina si ritrovò sbilanciata in avanti e se non cadde riversa sul pavimento fu solo perché qualcosa di morbido e folto le si avvinghiò come un boa constrictor intorno al collo tenendola sollevata da terra.
“Ciao Shampoo, è un piacere conoscerti...”, sorrise Bastet mostrando dei canini pronunciati.
“Ma… che… stai… dic… dicendo?!”.
“Che il tuo sì che sarebbe stato il corpo perfetto per me, che peccato…”, si lamentò la dea incrociando le braccia al petto.
“La… la… scia… mi!”.
Respirare stava diventando difficile, qualsiasi cosa le stesse stringendo la gola non faceva che aumentare la pressione. Un momento… ma era una coda! E usciva da sotto la gonna di Akane! Era tutto vero, allora!
“Se proprio ci tieni…”. Bastet sollevò Shampoo ancora più in alto e si guardò intorno. “Vediamo… no, contro una statua che mi raffigura no, contro chi potrei scagliarti? Ah, eccolo là, poteva mancare quel dannato cagnaccio?”.
La dea lanciò la cinesina contro una statua di granito di Anubi, che andò in frantumi contro una parete. Una pioggia di frammenti cadde su Shampoo riversa a terra che cercava disperatamente di rialzarsi in piedi nonostante le saette di dolore che il corpo lanciava ovunque. Quella dannata non l’avrebbe mai avuta vinta, mai! Lei era un’amazzone e avrebbe combattuto fino alla morte.
“Ehi tu, omuncolo, portami un bicchiere d’acqua!”, ordinò Bastet con tono annoiato voltandosi verso il fondo dell’enorme sala.
“Di-di-dite a me?”, pigolò il professor Kisuda emergendo da sotto il tavolo.
“Sì, a te, idiota, muoviti o ti tramuto in una delle tue preziose statue!”.
“Cosa… cosa vuoi fare?”, chiese Shampoo mettendosi in posizione di attacco sulle gambe malferme.
Bastet tornò a fissarla sorridendo malignamente, il giallo paglierino degli occhi fessurato da un paio di tagli verticali.
“Ah, Shampoo, cosa avrei dato per un corpo come il tuo: metà umana e metà gatta, sublime! Che peccato che sia stata questa ragazzetta a risvegliarmi...”.
“Stai lontana da me!”, urlò la cinesina spiccando un balzo: avrebbe usato la testa di un colosso come trampolino di lancio per colpire dall’alto quella strega con un calcio.
Patetica…, pensò Bastet lanciandole contro la lunghissima coda che si estendeva a dismisura, per afferrarle la caviglia protesa verso di lei. Shampoo lanciò un grido e si ritrovò a testa in giù, mentre la divinità l’avvicinava a sé.
“Ecco il vostro bicchiere d’acqua, mia signora…”, osò con un filo di voce il professore alle spalle della dea tremando come la foglia di un acero.
Bastet si voltò verso di lui e Shampoo riuscì a scorgere lo sguardo del matusa farsi appannato e catatonico. Quindi, la divinità prese il bicchiere senza più degnare di uno sguardo il pover’uomo, rimasto a fissare il vuoto come un ebete.
“Vedi, Shampoo, nello stato in cui sei ora non mi servi a niente”, sorrise di nuovo Bastet gettandole l’acqua addosso. “Invece così potrai servirmi egregiamente…”
La dea lasciò andare la gattina, che cadde miagolando irritata, ma pronta a saltarle nuovamente addosso non appena poggiò le zampe sul pavimento. Quando però guardò di nuovo Bastet negli occhi, questa volta li trovò talmente irresistibili da restare ammaliata a fissarli in totale adorazione.
Proprio come il professore.
“Perfetto, ora che sei anche tu in mio potere, diventerai la chiave per piegare Ranma”.

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Capitolo 6
*** VI - Ad armi pari? ***


Eccoci di nuovo qui, scusate l’attesa! Spero questo capitolo possa risultare divertente quanto i precedenti, come il beta fratellone Rik mi ha giustamente fatto notare, questa volta non vi sono molte gag, ho dato più spazio a determinate descrizioni, forse troppo, giudicate anche voi. Avverto inoltre che compaiono qua e là espressioni poco consone ai personaggi, spero tuttavia che leggendo si capisca il perché. Mi raccomando come sempre segnalatemi qualsiasi cosa vi appaia stonata! ^_-
Ringrazio dal profondo del cuore il senpai Kuno, la musa ispiratrice Laila, la mia adorabile bestiaccia Tharamil, la beta sorellona Moira e poi Robbykiss, Eriko-chan, fufy93, il beta fratellone Rik, Luluchan, Ranma, caia, la divina Breed, mononoke, la mia adorata bluemary e infine akane_stars per gli entusiasti, bellissimi e anche chilometrici commenti che avete lasciato. Ragazzi, davvero non so come esprimervi la mia imperitura gratitudine, le vostre recensioni mi hanno riempito di gioia e di commozione, spero di non deludervi con questo e i prossimi capitoli: mancano solo cinque giorni al completamento della possessione, riuscirà Ranma a trovare una soluzione? O la situazione peggiorerà ancora? Mmmm… sì, direi di sì e parecchio pure, ed è tutta colpa del nuovo arrivato! XDDD
Il disegno che trovere nel cap è di Kelou, che ringrazio sentitamente, buona lettura! ^_^



VI parte

AD ARMI PARI?





Quando Ranma giunse finalmente all’ingresso del Museo Egizio di Tokyo, non riuscì a credere alle sue pupille nemmeno sfregandosele: l’edificio era ancora in piedi. Nessuna voragine, nessuno sbuffo di fumo, neppure una crepa, non il benché minimo rumore, a parte quello di qualche auto di passaggio.
Niente di niente. Possibile? Il portone d’ingresso era chiuso e intatto, nessun muro o finestra erano stati sfondati. Che Shampoo avesse tirato dritto? Oppure aveva desistito? No, l’aggettivo desistere non era nel vocabolario di quella gatttttt…accia come non lo era nel suo, quindi o aveva proseguito la sua corsa senza fermarsi, oppure era entrata senza far danni nel palazzo. Tutto quel silenzio faceva ben sperare, tuttavia decise di dare comunque un’occhiata, tanto per
(vedere Akane)
assicurarsi che fosse tutto a posto, nient’altro!
(Se, se…)
Piombò giù dal tetto su cui era appollaiato imprecando a denti stretti, attraversò la strada con un unico balzo e fece il giro dell’edificio. Il retro del museo dava su un giardino circondato da un muro piuttosto alto. Ranma lo scavalcò agilmente con un salto e… eccolo là: un buco enorme si apriva al primo piano del palazzo, neanche l’avessero preso a cannonate. Furba Shampoo: aveva scelto di penetrare da quel lato del museo sapendo che nessuno, da fuori, l’avrebbe vista mentre lo sbriciolava in corrispondenza di una finestra.
Dannazione!
Ranma si precipitò verso la gigantesca apertura, terrorizzato all’idea di ciò che poteva essere accaduto dentro il museo: di tutte le sue ‘fidanzate’, Shampoo era quella più determinata a mettergli l’anello al dito, al punto che ‘togliere di mezzo Akane’ era diventato il suo slogan, come ‘Ranma, preparati a morire!’ era ormai quello di Ryoga. Perfetto, stavolta Nabiki non avrebbe potuto fornire alla cinesina motivazione migliore per far fuori Akane sul serio!
Il respiro gli rimase strozzato in gola. La breccia aperta era niente in confronto al disastro che Shampoo aveva combinato oltre, perché ovunque guardasse aveva l’impressione di posare lo sguardo su un cumulo di calcinacci, anziché in una sala del museo: ben poche statue erano rimaste in piedi, la gran parte era riversa sul pavimento, in frantumi grandi e piccoli che formavano un tappeto compatto di macerie. Lì per lì aveva quasi creduto che fosse venuto giù il soffitto.
“Akaneeeeeeeee!”. L’eco si perse fra le rare sculture ancora in piedi, alcune con testa umana, altre con testa di animale. “Akaneeeeeeeeeeeeeeeeeeee!”.
Avanzò di qualche passo e poco mancò che inciampasse su un pezzo di granito nero a forma di testa di cane. Un orecchio era saltato via, ma il ghigno era rimasto intatto. Scansò il botolo ringhiante con un calcio e avanzò fra i detriti in preda all’angoscia: nessuna traccia della fidanzata sgraziata, né di quella aggraziata, né del professor Kazzuto o come accidenti si chiamasse. Era ovvio che avessero lottato furiosamente, ma dove erano andate a finire? Erano uscite all’esterno e avevano proseguito il combattimento chissà dove? E l’egittologo che fine aveva fatto? Akane non era in grado di tener testa a Shampoo a lungo, eppure lì la lotta era stata cruenta.
“Akaaaaneeeeeeeeeeee!”, chiamò ancora Ranma mettendo le mani a coppa attorno alla bocca. Ancora una volta nessuna risposta. E se… e se una statua crollando a terra l’avesse schiacciata? Ranma si guardò intorno, avvertendo sudore freddo colare copioso lungo la schiena, mentre brividi di gelo la risalivano fino a fargli rizzare il codino dietro la nuca.
Oh, no…
Prese a sollevare i massi più grossi e a scagliarli contro le pareti, a spostare voluminosi pezzi di roccia, a scavare a mani nude fra i detriti, senza mai smettere di invocare la fidanzata.
Oh, no, kamisama, no, no, NO!
Aveva il terrore di trovarla sepolta sotto quel caos e al tempo stesso di non rivederla più e si mise a scavare con maggior frenesia, col cuore che pompava tanto furiosamente che gli sembrava avesse traslocato nelle orecchie. Un altro po’ e un bell’arresto cardiaco lo avrebbe fulminato sul posto.
Dietro una scultura senza braccia trovò un tavolo rovesciato e lo sollevò, scoprendo al di sotto un marasma di carte impolverate. Ne afferrò alcune e si rese conto che erano appunti presi dal professore a proposito di alcuni papiri che stava decifrando. Stava per gettarle quando ai suoi piedi scorse un piccolo registratore. Lo sollevò, mandò indietro il nastro per pochi secondi e schiacciò il tasto play.
«…rimane piuttosto lacunoso, ma il senso è chiaro e alla fine riporta per intero la formula. Tuttavia, pur essendo il museo in possesso del collare, temo che il reperto sia del tutto inutile, dal momento che ogni tentativo di decifrare l’evocazione si è rivelato infruttuoso: non ha senso, non vuol dire niente. Scrivo comunque la formula sul mio blocco degli appunti, ma se non riesco a venirne a capo, il collare non servirà a un bel nulla contro Bastet…». Si udì un boato in lontananza. «Ehi! Ma che succede? Cos’è questo baccano?»
Collare?! Evocazione?! Ma porco suino! Il professore aveva forse trovato il modo per contrastare quella divina disgrazia di Bastet e la registrazione si fermava proprio nel momento in cui quella scassarotule di Shampoo aveva disintegrato una finestra per entrare.
Ranma si mise a rovistare tra i fogli sparpagliati sul pavimento e sotto un mucchio trovò un oggetto di metallo di forma circolare. Era stranamente pesante per essere così sottile, ma tolta la polvere capì il perché: era una specie di cinghia fatta con una lamina d’oro, sulla quale erano attaccati degli anellini per tutta la sua lunghezza; da ogni anellino pendeva un ossicino schiacciato, forse d’argento, la cui forma ricordò a Ranma i biscotti per cani. Se era quello il collare di cui parlava Kisuda, doveva essere appartenuto a un cane senza attributi.
Alla sola idea, la faccia di Ranma si accartocciò per il disgusto, ma si mise ugualmente il prezioso manufatto fra i denti e riprese a rovistare fra le carte, finché trovò un blocco notes e lo sfogliò fino a raggiungere l’ultima pagina scritta, dove il professore aveva annotato la formula per evocare chissà che diavoleria contro la divinità con i baffi. Ranma tenne il collare in una mano, il blocco notes nell’altra e lesse ad alta voce:
“Pampulu… pimpulu… parim pam pu?! Ma… ma che razza di formula è?!”.


“Hai capito quel che devi fare, piccola Shampoo?”, chiese Bastet grattando il mento della gattina rosa che teneva fra le braccia – Mi affido a te, non mi resta molto tempo: di notte posso facilmente sopraffare la parte razionale di Akane, ma di giorno questa sciocca è fin troppo vigile, può lottare e resistermi, è incredibilmente tenace. Su va’, sbrigati, adesso che è distratto.
La dea lasciò andare Shampoo, che si avvicinò silenziosamente a Ranma, voltato di spalle all’altro capo della sala attigua a quella in cui si erano nascoste. Se ne stava in piedi, immobile, con le braccia abbandonate lungo i fianchi: aveva lasciato cadere i fogli che teneva in mano e non si era più mosso. Strano. Come strana si era fatta la sua aura, non sembrava nemmeno la sua. C’era qualcosa di diverso, lo percepiva man mano che si appressava a lui, eppure nulla sembrava cambiato, a parte il fatto che aveva detto qualcosa a voce alta e poi si era zittito. Non aveva importanza, comunque, nulla l’aveva più, al di fuori degli ordini della sua padrona.
Gli arrivò di soppiatto alle spalle e si fece ancora più cauta. Niente, Ranma non muoveva un muscolo. Si acquattò al suolo, attese ancora e infine, con un balzo poderoso, saltò verso la testa del codinato con l’intenzione di attaccarsi alla sua faccia come una ventosa.
Ma non ci arrivò mai.
Ma… ma che…
Una mano si era serrata attorno al suo collo sottile e la teneva sospesa in aria, costringendola ad aggrapparsi con le unghie al braccio teso che la reggeva per non soffocare. Cercò di divincolarsi, inutilmente: nonostante i graffi e i morsi, ‘Ranma’ non accennava a mollare la presa.
Che sta succedendo?!


Bastet non aveva fatto in tempo a comunicare telepaticamente alla sua schiava di tornare indietro: il ka* di Ranma era cambiato improvvisamente, aumentando la sua dimensione in modo vertiginoso, al punto da impregnare l’intera sala. E ora guardava la scena sbigottita: il ragazzo, che si era voltato di scatto non appena la gatta gli era balzata addosso, non mostrava il minimo terrore verso Shampoo, la teneva anzi sollevata avanti a sé con una mano, indifferente ai suoi attacchi. Poi, dopo secondi interminabili, lo vide scagliare la micia lontano da sé senza nemmeno guardarla, perché i suoi occhi erano puntati dritti su di lei: occhi rossi, come il colore dei mattoni cotti nei forni. Quindi Bastet vide ciò che cingeva il collo di ‘Ranma’ e cominciò a fumare rabbia dalle orecchie appuntite.
Non può essere vero! È una catastrofe!
Il suo futuro concubino stava indossando il collare di quello spelacchiato, rognoso, pulcioso trasporta zecche ambulante del suo peggior nemico.



Questa non ci voleva! Non ci voleva!
Con un mugolio cavernoso e prolungato soffiò in direzione di ‘Ranma’ che ringhiava mostrando i canini pronunciati e gli mostrò le zanne a sua volta. Se avesse avuto la cara, vecchia pelliccia, adesso le si sarebbero rizzati tutti i peli della schiena per la furia.
Stramaledetto cagnaccio impiccione!
Spiccò una serie di balzi, saltando da una colonna all’altra della sala principale del museo, frantumandone gli spigoli e arrestandosi di fronte a ‘Ranma’ con gli artigli pronti a cavargli quegli orribili occhi di brace, anche se sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo.
‘Ranma’ allargò il sorriso ed emise una risata rauca.
“Senti senti che gradevole fetore… La decomposizione ha giovato al tuo odore, quasi non ci credo che sia tu a emanare questa fragranza di gatto putrefatto…”.
“Quello che appesta l’aria ovunque vada sei tu, dannatissimo beccamorto!”, sbraitò la dea portandosi il dorso di una mano davanti al naso arricciato per il disgusto: il tanfo di centinaia di migliaia di cadaveri che si portava addosso era già insostenibile.
“Anch’io sono felice di rivederti, Bastet, anzi, sono così euforico che mi vien voglia di alzare una zampa e pisciare su una colonna”.
“Esci subito da quel corpo, Anubi! Immediatamente! O giuro su Amon-Ra che…”.
“Cooosa? Mi caverai gli occhi? Due millenni passati nel corpo di una mummia piena di tarme ti hanno resa ancora più noiosa, Bastet, sempre le stesse minacce infantili…”, sogghignò il dio incrociando le braccia al petto. Che voce agghiacciante aveva, sembrava provenire da un antro buio e senza fondo, come il mondo dei morti di cui quello sciacallo rinsecchito era il guardiano. “Accomodati, avanti, strappa pure gli occhi al tuo adorato Ranma!”.
“Non provocarmi, Anubi: sarai anche il dio dell’Oltretomba, ma resti pur sempre un lurido spazzino del deserto, un mangiacarcasse coperte di vermi!”.
Anubi distese lentamente le braccia lungo i fianchi, le mani strette a pugno.
“Bada a come parli, ingoialische! Al contrario di te, io non tengo affatto al corpo che stai occupando!”.
Bastet soffiò ancora una volta e la voce uscì stridula e lamentosa dalla gola.
“Non te lo chiederò ancora: esci-da-quel-corpo! SUBITO!”.
La dea si mise in posizione di attacco e per tutta risposta Anubi costrinse il fisico di Ranma a una mostruosa metamorfosi: il volto del codinato si allungò fino ad assumere la forma di un canide, con una fila di denti aguzzi per tutta la lunghezza della bocca, da cui una saliva velenifera colava appestando l’aria; le orecchie si appuntirono e si coprirono di peli scuri, come tutto il resto del corpo, che con una serie di spasmi s’ingrandì al punto da lacerare i vestiti che Ranma indossava; le unghie di mani e piedi divennero affilati come rasoi e le scarpe furono ridotte a brandelli.
“Ora non c’è Sekhmet a proteggerti, mangiaratti, sarai un magnifico scendiletto!”, latrò leccandosi i baffi.
Bastet schivò il fulmineo attacco di Anubi per una vibrissa e mentre il dio dell’Aldilà distruggeva col suo impeto l’unica statua che la raffigurava, la dea si aggrappava furente a una colonna e cadeva agilmente a terra su mani e piedi.
“Ho una sorpresa per te, annusacarogne: il culto di Sekhmet è stato unito al mio e siamo diventate una cosa sola!”.**
Fu il turno di Bastet di cambiare aspetto: le orecchie appuntite si fecero più rotonde, il corpo si espanse oltre i limiti imposti dai vestiti che finirono a brandelli, mentre la pelle si copriva di una fitta peluria dorata, l’estremità della coda finì nascosta da un ciuffo di peli lunghi e marroni e le unghie retrattili delle zampe divennero enormi come uncini. Ma fu il volto della dea a far scappare un guaito ad Anubi, perché non era il muso di un gatto che stava guardando, bensì di una leonessa: era il volto di Sekhmet.
Bastet ruggì e partì all’attacco, con l’obiettivo di far saltare via il collare di Anubi dal collo di Ranma, ma il dio dalle fattezze di sciacallo si dimostrò ancora una volta incredibilmente veloce, per appartenere all’inferiore progenie degli esseri scodinzolanti: evitò senza problemi l’assalto, quindi si passò la lingua fra i canini e partì al contrattacco.


Shampoo si risvegliò davanti alla faccia sorridente di un faraone di pietra e scosse più volte la testa frastornata, finché gli occhioni a forma di chiocciolina rotante tornarono a brillare di seducente malizia. Maledetto umano, come aveva osato trattarla in quel modo? Doveva assolutamente vendicarsi, era in gioco l’onore suo e della sua divina protettrice. A proposito, dov’erano finiti?
Un improvviso frastuono oltre la testa di arenaria che aveva di fronte le indicò la direzione. Saltò oltre il reperto e a momenti le cascò la mascella per lo sbigottimento: una leonessa gigante con la gonna di Akane stava combattendo contro un cane altrettanto gigante ma dal pelo più folto con i pantaloni di Ranma. Entrambi si reggevano sulle zampe posteriori e gli artigli erano così esageratamente grandi che non osava pensare a cosa l’avrebbe ridotta una sola delle loro zampate, né poteva farsene un’idea, perché i due combattenti se le davano di santa ragione a colpi di… insulti?!


“Chi sarebbe il leccaculo delle divinità?! Ripetilo!”, minacciò Bastet lanciando contro Anubi il testone di granito nero sul quale Ranma era quasi inciampato: il dio dell’Oltretomba si abbassò per schivare ‘se stesso’ e la testa di sciacallo si frantumò contro il muro alle sue spalle.
“Tu, viscida gatta! Non ti sei forse strusciata contro le gambe di tutto il pantheon?”, malignò Anubi saltando ripetutamente sui pezzi della statua della dea fino a ridurne in polvere la zucca.
“Bugiardo, non su tutti! Non mi sono mai strusciata contro le zampe di Sobek!”, sbraitò Bastet prendendo a calci il gonnellino di pietra di Anubi.
“Grazie a Ra, è un coccodrillo, ti avrebbe divorata viva! Ma con tutti gli altri non hai esitato: un po’ di fusa, qualche pru pru gettato là ed ecco ottenuto il favore di turno!”. Anubi schivò il torso di basalto che Bastet gli aveva tirato contro e riprese a saltare con foga su un altro pezzo della scultura che ritraeva la dea: stavolta se la prese con il torace. “Sei riuscita a ottenere tutto quello che volevi solo con le moine perché non sei mai stata in grado di riuscirci da sola, ti sei dovuta persino unire a Sekhmet per poter tenere testa agli altri dei!”.
“Non ho mai avuto bisogno di unirmi a lei per tenere testa a te, ci sono sempre riuscita benissimo!”, urlò lei tirandogli il basamento della statua del dio cui erano rimasti attaccati i piedi.
“Ceeerto, come l’ultima volta!”. Anubi finì di disintegrare le gambe di pietra della dea e prese un respiro profondo. “Alito dei mille scarnificatori infernali!”.
Bastet dovette portarsi una zampa sul muso e allontanarsi con un poderoso balzo per impedire al corpo di Akane di schiattare fulminato: l’olezzo che promanava da Anubi era già insostenibile, ma il suo fiato faceva vomitare anche le budella, prima di condurre al tilt cerebrale per soffocamento.
La dea saltò da un pilastro all’altro e da una parete all’altra inseguita da Anubi, finché non lo sentì scatarrare e battersi il petto con un pugno: a forza di alitare e risucchiare aria doveva essergli andata di traverso la saliva. Perfetto. Bastet si fermò a distanza di sicurezza dalla nube tossica che aleggiava intorno al dio dell’Aldilà e gridò.
“Ruggito di… di…”.
La dea si portò disperata le zampe a ghermire la testa.
Per mille granai pieni di topi, ruggito di cosa? Accidenti, non riesco a ricordare l’attacco di Sekhmet!
Anche Anubi se n’era accorto, tanto che smise all’istante di tossire e, fissandola basito, cominciò a sghignazzare puntandole contro un artiglio e tenendosi lo stomaco con l’altra zampa. Una nebbiolina densa uscì con uno sbuffo dalle orecchie in fiamme di Bastet…
“Ruggito spacca-timpani!”, urlò emettendo a pieni polmoni un ultrasonico ‘roar’ in grado di spazzare via il tanfo esiziale attorno ad Anubi e costringere quest’ultimo a tapparsi le orecchie.
Ora!
Depurata l’aria, Bastet si gettò contro il suo avversario con le zampe anteriori protese: avrebbe finalmente strappato via quel dannato collare che permetteva ad Anubi di ‘possedere’ Ranma, così da poterlo ridurre in schegge infinitesimali e impedirgli di tornare a infastidirla.
Ma Anubi non si fece cogliere impreparato. Benché stordito, si aspettava un attacco da parte della dea e semplicemente la attese incrociando le braccia al petto e sfoggiando un ‘sorriso’ perfido: appena lei sarebbe stata abbastanza vicina, avrebbe sollevato una delle zampe posteriori e l’avrebbe inondata con la sua urina infernale, liquefacendola.
Un momento: io indosso dei pantaloni!
Bastet gli piombò addosso, ma Anubi riuscì a schivare per un pelo le sue zampate spostandosi di lato all’ultimo istante. La dea atterrò agilmente sulle quattro zampe, usò il muro opposto come ‘pedana’ e ripartì all’attacco. Aveva artigli più grandi dei suoi e Anubi fu costretto a indietreggiare costantemente per schivarli: l’avrebbe investita col suo alito non appena fosse riuscito a prendere un respiro bello profondo, ora come ora i suoi affondi erano troppo fulminei per dargli il tempo di contrattaccare. Ma quando si accorse di essere quasi con le spalle al muro, improvvisamente scartò di lato e Bastet si ritrovò un braccio affondato per metà in una parete portante. Il dio dell’Oltretomba stava allora per morderla a una spalla, quando una ginocchiata allo stomaco tanto veloce da essere invisibile lo fece volare…


…verso di lei?! A Shampoo si rizzò il pelo sulla schiena per la paura, ma con pochi balzi riuscì a fuggire prima che quella specie di demone-cane le rovinasse addosso e a dileguarsi imboccando la stessa voragine che aveva aperto in un muro per entrare nel museo.


Quando il silenzio scese improvviso sulle sale del Museo Egizio di Tokyo, niente faceva più pensare che fino al giorno prima avesse ospitato una raccolta di antichità: non c’era quasi oggetto che non fosse stato ridotto in briciole, comprese gran parte delle colonne e delle pareti, per cui nella calma innaturale le sale espositive somigliavano all’interno di una monumentale groviera, una volta che il polverone sollevato si era del tutto posato sul cumulo di mummie rachitiche mezze sfasciate, i vasi rotti, i rilievi fratturati, i papiri sbrindellati. Anche le finestre erano finite quasi tutte in frantumi.
Gli autori di questo spaventoso sacrilegio stavano ansimando, studiandosi dall’alto delle loro stature, curvi sotto il peso dei propri corpi ultrasviluppati, le braccia penzoloni. Si studiavano allo stremo delle forze, con la consapevolezza che il prossimo attacco sarebbe stato l’ultimo: tra morsi, graffi e contusioni non c’era parte del corpo che non ululasse.
“Ti strapperò… quel ridicolo collare… e finalmente Ranma… sarà mio…”.
“Sei la solita… cretina… questo ragazzo… non ti potrà mai… soffrire… proprio… come me…”.
“Il cretino… sei tu… avevo elaborato… un piano… perfetto…”.
“Non farmi ridere… che mi scappa… una sonora…”.
Bastet mostrò le zanne.
“Sudicia bestiaccia… vedrai… se non ci riesco!”.
Balzò di colpo in avanti, gli artigli sguainati stavolta lungo i fianchi, ma Anubi fece altrettanto: contrasse i muscoli e saltò verso la dea, le fauci spalancate pronte ad azzannarla di nuovo. All’ultimo secondo però Bastet cambiò direzione, poggiando una delle zampe inferiori su un muro pericolante, sfoderò le unghie e riuscì ad afferrare il collare di Anubi. Subito il dio le ghermì il braccio e posò le zampe posteriori sul torace della dea per scagliarla lontano da sé, ma anche Bastet aveva fatto lo stesso e le due divinità finirono per respingersi contemporaneamente.
Bastet e Anubi volarono letteralmente ai lati opposti di quella che era stata la sala più rappresentativa del museo, la prima contro un torace di arenaria di proporzioni colossali, il secondo contro la porta blindata del caveau. L’impatto fece svenire Bastet per il dolore, mentre Anubi batté la testa e scivolò nell’oblio.


Fu un’emicrania stellare ad accompagnare il risveglio di Akane, che alzandosi a sedere si ritrovò attorniata da detriti e con una specie di collare per barboncini con la puzza sotto il naso stretto in una mano. Ma che era successo? L’ultima cosa che ricordava era che Shampoo l’aveva svegliata e attaccata, inseguendola per le sale del museo finché lei non era inciampata. Da quel momento buio totale, ma non era difficile immaginare cos’era accaduto: Bastet doveva aver preso il controllo del suo corpo per contrastare Shampoo, visto che lei, come al solito, non era riuscita a far di meglio che schivare i suoi colpi. Ciò che la circondava era quindi il risultato del loro combattimento? Akane non sapeva dove posare gli occhi: non c’era niente di integro, tanto che per un momento dubitò persino di trovarsi ancora nel museo egizio e si chiese che fine avesse fatto il professor Kisuda: era corso a chiamare la polizia? Di bene in meglio…
Si alzò in piedi e solo allora si rese conto di quanto il combattimento contro Shampoo fosse stato cruento: al di là del fatto che avessero distrutto praticamente ogni cosa, non c’era parte del corpo che non dolesse. Akane abbassò lo sguardo su di sé per constatare quanti lividi avesse collezionato e si accorse che ben poco le era rimasto addosso: a parte la gonna dall’orlo strappato, non indossava più né la camicetta, né il reggiseno, né le scarpe. E nemmeno la biancheria intima! Non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile, quando un mugolio giunse alle sue orecchie e di riflesso il cuore mancò un battito. Possibile che fosse lui? Avrebbe riconosciuto i suoi mugolii di dolore o di malcelato scontento fra altri mille, per cui non c’era possibilità di errore. Stava per avanzare fra le macerie quando si ricordò di non essere ‘presentabile’. Strappò una striscia di tessuto dall’orlo inferiore della gonna e se lo legò intorno al seno, quindi si diresse verso il lamento con l’osceno collare ancora stretto in una mano.
Quando giunse davanti alla porta del caveau, dopo aver superato cumuli di macerie degne di una scalata, il collarino per cagnetti senza attributi le scivolò per terra: un fetore tale aleggiava intorno a Ranma, che fu costretta a tapparsi il naso con tutte e due le mani. Se si fosse avvicinata di più, avrebbe sparso la cena ai propri piedi.
Per la prima volta nella sua vita, non riusciva a tollerare la vista del suo ‘fidanzato’ e non per via del solito litigio: non si sarebbe avvicinata a lui nemmeno se Nabiki in persona l’avesse pagata per farlo. Prese a indietreggiare inorridita e già sentiva lo stomaco sul punto di espellere il suo contenuto, quando Ranma riaprì finalmente gli occhi, si alzò a sedere tenendosi la testa con ambo le mani e infine alzò lo sguardo su di lei.
“Akane…? Ma che è… che è successo?”.
“Non lo so, ma non ti avvicinare!”, gridò lei continuando a premere una mano su naso e bocca mentre agitava l’altra di fronte a sé.
“Perché? Cosa ti ho fatto?”, le chiese lui preoccupato.
“Ancora nulla, ma se ti muovi lo farai di sicuro!”.
“Ma che stai dicendo?!”, sbraitò Ranma alzandosi e muovendo un passo in avanti.
Akane sgranò gli occhi ancora di più e arretrò con un balzo, rendendosi conto solo allora che, a parte i boxer, il suo fidanzato non indossava nient’altro, perché il nient’altro era ridotto a brandelli. Proprio come i suoi vestiti.
“Non avvicinarti, ho detto! Puzzi peggio di una discarica a cielo aperto, stai indietro!
Ranma inarcò un sopracciglio fissandola perplesso, quindi alzò lentamente un braccio e si annusò un’ascella. Akane temette di perdere i sensi.
“Sono solo sudato e impolverato, sarà qualcos’altro che…”.
“No, sei tu, qui ci siamo solo noi due! Possibile che non senti nulla? Sto per vomitare…”.
Ranma iniziò a innervosirsi e strinse i pugni.
“Non dire fesserie! Dov’è il professore? E dov’è Shampoo?”, chiese stizzito.
“Non lo so dove siano e nemmeno m’interessa, ora me ne andrò da qui! E tu non seguirmi!”, rispose Akane continuando a indietreggiare.
Ranma stava per abbaiare qualcosa, la pazienza che già aveva preso il volo per destinazione ignota, quando notò il collare ai piedi nudi della fidanzata.
“Ranma… cos’hai?”.
Il codinato si prese di nuovo la testa fra le mani e sembrò sul punto di svenire, tanto ciondolava.
“Quel… quel coso…”, mormorò fissando il collare e indicandolo con un dito. “Ora ricordo…”.
L’inconfondibile suono di una sirena della polizia lo interruppe ed entrambi si voltarono a guardare in direzione dell’uscita del museo, quindi tornarono a fissarsi allarmati. Sì, al diavolo Shampoo e il professore, bisognava scappare.
Ranma agì come suo solito d’istinto e incurante delle proteste di Akane corse verso di lei, infischiandosene delle lacrime che zampillavano dai suoi occhi come i getti d’acqua di una fontana.
“Non ti avvicinare a me, ho dettoooooo!”.
La ragazza sollevò sopra la testa il basamento di una statua e lo calò sulla zucca di Ranma schiacciandolo al suolo.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Il busto senza braccia di Iside.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Il capoccione di Ramesse III.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Il tavolo di mogano del professore.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Un martello gigantesco con su scritto “2 t”.
“Prendi, prendi, prendi!”.
“E quello dove l’hai trovato?!”, chiese Ranma con la faccia gonfia come una zampogna.
“Me l’ha dato l’autrice, era a corto di idee…”, rispose Akane ansimante.
La mente bernoccoluta di Ranma non perse tempo e approfittò della stanchezza di Akane per afferrare al volo il collare di Anubi, quanti più appunti del professore riusciva a infilarsi in bocca e Akane medesima. Manco a dirlo, la giovane svenne prima ancora che lui la sollevasse da terra fra le braccia e si precipitasse fuori dal museo attraverso il buco aperto da Shampoo.
Una volta fuori ebbe la strana sensazione che gli uccellini smettessero all’istante di cinguettare al suo passaggio e cascassero a terra come pere mature, eppure era certo di non emanare un odore così cattivo, che strano… Appollaiato su un tetto, Ranma osservò da lontano il professor Kisuda che urlava a squarciagola in una lingua ignota avvolto in un ampio camice bianco al contrario, con le maniche che giravano attorno al corpo e si chiudevano dietro la schiena. Un paio di nerboruti vestiti anch’essi con un lungo camice bianco – questo però era allacciato correttamente sul davanti – lo stavano trascinando via sostenendolo sotto le ascelle, incuranti delle sue grida disarticolate. Chissà dove lo stavano portando… In quell’ambulanza con gli sportelli aperti, forse? Non sembrava ferito… Beh, lui magari no, ma loro sì: erano pieni di lividi e tagli, doveva correre dal dottor Tofu affinché medicasse entrambi.

Il cortile antistante l’ambulatorio del dottor Tofu era immerso nel sole e nel silenzio, interrotto solo dal latrato di qualche cane lontano o dallo scampanellare di una bicicletta, quando Ranma vi atterrò e s’incamminò tranquillo verso l’ingresso della clinica, lasciando dietro di sé una scia di moscerini stecchini e di rose avvizzite. Pochi istanti dopo essere entrato nella sala d’aspetto, i muri esplosero verso l’esterno sotto la pressione dei pazienti in attesa, che scapparono a gambe levate fra urla, strepiti e lacrime tenendosi le narici tappate con una o entrambe le mani.

“Sei stato fortunato, Ranma”, esordì Tofu entrando nell’antibagno del primo piano dello studio medico e sedendosi su una sedia di plastica, il volto coperto da una maschera antigas. “Gli appunti del professore che hai portato via dal museo parlano proprio del collare di Anubi. Ah, l’ho chiuso in un cassetto del mio studio, a proposito…”.
“Grandioso! Prima però mi dica come sta Akane, dottore”, chiese Ranma immerso fino al mento nell’acqua bollente della vasca da bagno.
“Akane sta bene, ha solo qualche livido e qualche escoriazione, rinverrà presto e le darò una maschera come quella che indosso io, così potrai spiegare anche a lei cos’è accaduto al museo senza farla entrare in coma…”.
“Ehm… no, meglio di no, per ora…”.
Dovrei spiegarle cos’è accaduto anche nella mia camera ieri notte, per non parlare di quello che è accaduto a scuola, perché tanto prima o poi verrà a saperlo, meglio rimandare a data da destinarsi!
“La lasci riposare, anzi, perché non le somministra dei sonniferi? Stanotte Bastet tornerà sicuramente...”.
“Mmmm, buona idea, se non si sveglia prima che cali il sole potrei iniettarle una bella dose di Torazina*** perché faccia tutto un sonno fino a domattina: si userebbe per gli animali, ma dato che è posseduta da una gatta divina…”.
“Sì, sì, eccellente, purché la stenda fino a domani!”.
“Tu come ti senti, piuttosto? Hai finito col bagno?”.
“Mi sento rinato e ormai la puzza dovrebbe essere svanita: mi sono lavato a fondo tre volte”.
“Ah, bene…”.
Ranma vide la sagoma di Tofu sfilarsi la maschera antigas. E immediatamente portarsi la mani alla gola lanciando un grido strozzato.
“Qualcosa non va, dottore?”.
Dall’altra parte della shoji che separava bagno e antibagno Tofu tossiva convulsamente tenendosi la gola con una mano, mentre con l’altra cercava di recuperare la maschera finita per terra.
“Ehm… dottore?”.
Ranma lo vide infilarsi in fretta la maschera di gomma, per poi sentirlo prendere ampie boccate d’aria.
“Lavati ancora, Ranma! Almeno un altro paio di volte!”.
“Pensa davvero che…”.
“SÌ!”.
“E-ehm… va bene, se lo dice lei…”.
“Senti, Ranma, a proposito della tua idea di sfruttare il collare per tenere lontana Bastet e il fetore di Anubi per tenere lontane Shampoo, Ukyo e Kodachi…”.
“Non è un’idea geniale?”, gongolò il codinato.
“Su questi fogli il professore ha scritto che l’uso prolungato del collare avrebbe degli effetti collaterali”.
“E quando mai…”.
“Se continuerai a indossare il collare, non solo permetterai ad Anubi di prendere ogni volta possesso del tuo corpo, ma anche di lasciarti addosso un tanfo sempre più forte e duraturo, finché non verrà più via e allora, oltre a puzzare peggio di una fogna, Anubi si trasferirà permanentemente dentro di te come Bastet farà con Akane…”.
“Ehhh?! Ma cos’è, una moda?!”.
“Mi spiace, Ranma, il collare è un’arma a doppio taglio, ti sconsiglio di usarlo ancora: da una parte può tenere lontana Bastet perché lei, da quanto mi hai raccontato, odia Anubi; ma dall’altra potrebbe fare di te il veicolo terreno di questo dio oltremondano”.
“Lo sapevo che c’era la fregatura sotto, lo sapevo!”, sbraitò Ranma colpendo l’acqua con ambo i pugni.
“Comunque mi stupisce il fatto che ti ricordi tutto ciò che è accaduto al museo, mentre Akane non ricorda ciò che Bastet combina col suo corpo, non è strano?”.
“Altroché… Anubi forse vuole che io ricordi, così che usi il suo collare per respingere Bastet ogni volta che lei mi assalirà, o meglio ancora… così da permettergli di entrare nel mio corpo vita natural durante, forse anche lui vuole incarnarsi!”.
“È plausibile, anche solo per far dispetto alla sua nemica. A maggior ragione allora dovrai indossarlo solo se non hai altre alternative, siamo d’accordo?”
“Sì, dottore…”.
“Bene, fra poco Kasumi sarà qui, l’ho chiamata dopo avervi medicato per chiederle di portarvi dei vestiti nuovi e qualcosa da mangiare, sei sicuro di non voler restare, stanotte? Akane ti ha invocato più volte, nel sonno…”.
“Da-davvero?”, chiese Ranma arrossendo di colpo.
“So che per te è difficile starle vicino, ora come ora, ma ha bisogno del tuo aiuto adesso più che mai. Vedrai che una volta che le avrò iniettato il sedativo stanotte non ti darà noie in veste di Bastet e domattina potrai parlarle con tranquillità”.
“Ecco… vede… io…”.
“So cos’è accaduto a scuola, Ranma, i tuoi compagni sono venuti a cercarti e mi hanno raccontato tutto, non puoi immaginare in che stato è andato via Ryoga, sembrava uno zombie desideroso di risotterrarsi nella fossa… In ogni modo credo che tu debba chiarirti con Akane: se la lasci da sola a combattere contro Bastet, perderà ben prima della scadenza dei sei giorni”.
“Ma…”.
“Finirà per arrendersi, Ranma, se continuerai a evitarla per timore che Bastet si manifesti da un momento all’altro. Se tu che ti reputi invincibile e non hai mai esitato a correre in sua difesa ti tiri indietro per la prima volta, che penserà lei? Che ormai è tutto inutile, visto che non solo l’egittologo, ma nemmeno il grande Ranma Saotome può fare nulla per aiutarla…”.
“E non è vero, forse?!”, s’infuriò Ranma balzando in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi. “Bastet è una dea, una dea! È in grado di compiere incantesimi, ha soggiogato Shampoo, è incredibilmente forte e può persino trasformarsi in qualcosa di ancora più mostruoso di un ffffffff…, che posso fare io contro una simile divinità?”.
“Non lo saprai mai se non fai nemmeno un tentativo, non credi? – Gli disse Tofu alzandosi in piedi – Prendila come una sfida, se preferisci, ma dalle un motivo per lottare: l’Akane che se ne sta sdraiata sul lettino dell’infermeria assomiglia sempre di meno a quella che conosco: non hai notato come stanno cambiando i suoi lineamenti?”.
“Cosa?! Davvero? No… io non…”.
Ranma rimase a fissare basito la shoji che lo separava dall’antibagno e da cui l’ombra del dottore si stava allontanando. Lo osservò sfilarsi di nuovo la maschera, venir colto da un nuovo attacco di tosse, scivolare contro la porta artigliando la maniglia, raddrizzarsi a stento infilandosi di nuovo la maschera antigas e uscire di corsa sbattendo la porta.
Akane contava su di lui. Anche adesso che la sua fobia per i cosi coi baffi gli rendeva arduo avvicinarsi a lei per il timore che Bastet prendesse improvvisamente il suo posto. A quanto pare per lei era diventato automatico contare su di lui come per lui correre in suo soccorso e salvarla, perché ormai era certa che non l’avrebbe abbandonata al suo destino, così come lui si sentiva l’unico autorizzato a proteggerla. E invece che aveva fatto, questa volta? Nonostante fosse preoccupato a morte, nonostante si sentisse frustrato perché per la prima volta era impotente di fronte all’ennesima minaccia, invece di combattere l’aveva scaricata al professore e tanti saluti. Ma che diamine di aiuto avrebbe potuto darle se finiva gattizzato proprio per mano sua?
Dannazione, ammettilo! La verità è che non riusciresti nemmeno a guardarla in faccia senza pensare a quel che è accaduto fra voi e sapendo che Bastet se ne sta dentro di lei con le orecchie dritte da far invidia a un sonar! Anzi, in realtà Bastet è sempre in agguato, pronta a fare della sua anima un sol boccone davanti ai tuoi occhi!
“E io non riuscirei a sopportarlo!”.
Ranma uscì dalla vasca da bagno, si accomodò su uno sgabello di legno e si insaponò dalla testa ai piedi per la quarta volta. Sarebbe rimasto sveglio anche tutta la notte a pensarci, se necessario, ma per la mattina dopo avrebbe partorito un discorso farcito di sensate idiozie per impedire ad Akane di lasciarsi stupidamente andare, di farsi strane idee su quanto accaduto nella sua camera da letto la notte precedente, tenerla il più a lungo possibile all’oscuro di quel che Nabiki aveva combinato a scuola – sperando che esistesse il modo per porvi rimedio prima che venisse a saperlo – ed escogitare il modo per cacciare Bastet dal suo corpo, magari andando a ripescare quel papiro che il prof aveva decifrato a casa loro per capire quale accidenti di ‘dimora alternativa non vivente’ avrebbe indotto la divina calamità a trasferirvisi.
Nel frattempo avrebbe chiesto a Kasumi di non rivelare ad anima viva che Akane era ‘ricoverata’ presso il dottor Tofu, così che nessuno dei loro compagni di scuola venisse a trovarla raccontandole in che disastro era stata coinvolta. E convincesse Nabiki a fare altrettanto, anche a suon di yen, se non voleva una sorella col collo tirato.

“Ka-ka… Ka-ka… Ka-ka…”.
“Le scappa la pupù, dottore?”.
“Kasumi! Che magnifica sorpresa in questa radiosa giornata!”.
“Veramente si approssima il tramonto…”, sorrise la maggiore delle Tendo a un Tofu che, con gli occhiali improvvisamente ultrariflettenti, staccava uno a uno gli ossicini dalla povera Betty e li gettava dietro la schiena come petali di margherite.
“Oh! Ah! Sì, sì, ha ragione, come volano le ore!”.
“Ho portato i vestiti e la cena per Akane e Ranma, ce n’è anche per lei, dottore, spero le piaccia l’oden”.
“A me? Oh oh oh, ma-ma certo che mi piace, lo adoro!”, gioì versando il contenuto fumante della sua ciotola sulla testa di Betty.
“E-ehm, potrei vedere mia sorella, ora?”.
“Co-co… co-co… co-co…”.
“Cocomero?”.
“Come no! Pre-prego, faccia come se fosse casa sua!”.
“Grazie, dottore”, sorrise ancora Kasumi lasciando Tofu solo nella sala d’aspetto.
Il dottore si mise a ballare il valzer con Betty, ridendo felice come se avesse annusato del gas esilarante. Ma ben altro gas penetrò nella stanza appena la porta che comunicava col corridoio venne spalancata.
“Dottore, ho preso una decisione! Io… dottore? Ma che le prende?”, chiese Ranma grattandosi la testa mentre Tofu stramazzava stecchito sul linoleum, un piede che mandava segnali di vita coi suoi scatti nervosi.
Avvolto solo da un asciugamano attorno alla vita, Ranma si guardò intorno, quindi sollevò un braccio e si annusò cautamente un’ascella.
“Mmmm… che occorra un quinto bagno?”.






Note:
*Il ka degli antichi Egizi corrisponde più o meno al qi dei Cinesi.
**L’unione di due o più divinità in una sola, per via di caratteristiche comuni che potevano contraddistinguerle, si chiama sincretismo. Esempi: il dio Amon e il dio Ra a un certo punto della storia egiziana sono stati ‘uniti’ per formare un’unica divinità, Amon-Ra. La stessa cosa è accaduta con Serapide, divinità nata dall’unione del culto di Osiride e di quello del dio-toro vivente Api.
***Ricordate Ghostbuster? No?! Correte a rivederlo, allora! ^_-

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Capitolo 7
*** VII - Il collarino di Anubi ***


BUON ANNO A TUTTI! Voglio festeggiare questo Capodanno con un nuovo capitolo della Gatta Morta, spero vi piaccia, auguri a tutti per un felice 2010! ^___^

Ringrazianmenti ai recensori del capitolo VI:
@Kuno: grazie dal profondo del cuore, senpai carissimo! ç___ç E perdonami se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma spero che nel capitolo che stai per leggere troverai l’indizio che ti permetterà di capire qual è finalmente la ‘dimora alternativa non vivente’ per Bastet! ^___^ Grazie infinite per tutti i tuoi complimenti, sono senza parole, ma credimi, sono io che imparo da te e dal fratellone Rik, metto solo in pratica i vostri ‘insegnamenti’! ^__^
@NemotheNameless: grazie dei complimenti! Ehhh, amo disseminare i capitoli di citazioni, è più forte di me! XDD
@Moira: grazie di tutto cuore, sorellona, grazieeeeeee! ç____ç Sei stata una beta superlativa e spero davvero che anche questo capitolo ti piaccia! *__*
@Rik: grazie infinitamente di cuore fratellone! ç_____ç Sei un beta fantastico, non so come ringraziarti per il tuo preziosissimo aiuto! Grazie per avermi suggerito la gag dell’acqua nel presente capitolo, come ho fatto a non pensarci? XDDD Grazie ancora! ^o^
@caia: ma grazieeeeee! *_* Cmq non manca molto al momento della scoperta della ‘dimora alternativa’ per Bastet, te l’assicuro! ^_-
@Luluchan: grazie di cuore anche a te! Mai mi sognerei di far schiattare un lettore davanti al pc per le risate, ma devo ammettere che sarebbe l’apice del successo, per chi scrive ff comiche! XDDD Grazie per tutti i complimenti! Conosco Twilight, ma non ho né letto il libro né visto il film, ergo non penso di potermi godere la lettura di una ff tratta dal romanzo, sorry, comunque tengo conto della tua segnalazione, un giorno chissà… XDD
@Tharamil: a te ho già risposto in private, ergo mi limito ad augurarti buona lettura!
@Laila: mia musa ispiratrice! Non sai quanto sia stata contenta di sapere quanto ti sia divertita! Ti avevo già risposto sul forum che Posi e Nega non spunteranno, ma qualcos’altro di attinente sì! XDDD Grazie di cuore, carissima, per i complimenti! :***
@apple92: sono contenta che ti sia divertita tanto! ^___^ Spero ti piaccia anche questo capitolo! *_*
@maryku: grazie, cara! Eggià, meno male che c’è sempre il dottor Tofu, come faremmo senza di lui? XDDD Spero che questo seguito ti piaccia, buona lettura! ^_^
@bluemary: carissimissima tesora! *___* Mi dici come faccio a rispondere a una recensione tanto bella, ehhhh? *ç*ç* Ok, ci provo, posso farcela! XDDD Sì, il piano di Bastet era gattizzare Ranma tramite Shampoo tramutata in gatta e quindi ipnotizzarlo come ha fatto con la cinesina trasformata: solo così sarebbe riuscita a piegarlo alla sua volontà! ^__^ Fortuna che non le è riuscito, anche se credo che sarebbe stato esilirante! Non mi scucio, non mi scucioooo! XDDD Ma sono altamente corrompibile! XDDDD mi ha troppo ricordato il mio gatto da cucciolo, quando faceva le puzze con los guardo più tenero del mondo XDD. Anche il mioooo! *ç* Una vera ‘arma di distruzione di massa’ pure lui! XDDD non vedo l’ora di leggere un confronto tra i due. Eccolo! XDDD Ranma userà ancora il collare di Anubi? Il quinto bagno avrà infine l’effetto sperato? E il nostro caro protagonista riuscirà davvero a far tacere Nabiki? Chissà… XDDD Carissima tesora, grazie ancora per tutti i tuoi complimenti, sono confusa e felice! XDDDD Grazie, grazie di tutto cuore! ç____ç PS: sviste corrette, many thanks! ^_-
@Killkenny: bentornato! Essì, adesso ci sono due divinità e come stai per leggere ci sarà una nuova possessione, come vedi non ho perso tempo! XDDD
@akane_stars: grazie di cuore, spero di non averti fatto aspettare troppo! ^__^

E ora, buona lettura! ^_____^
(Spero... XDD)




VII parte

Il collarino di Anubi




“Akane, se ti lasci andare sei davvero cretina!”, disse Ranma puntando il dito contro una Betty ustionata appesa nuovamente al suo gancio. “Mmmm… No, così è probabile che mi faccia saltar via un occhio con un pugno, vediamo… Akane, sei la solita baka! Piantala di fare la ragazzina piagnucolosa e reagisci! Mumble… forse dovrei alleggerire il tono un altro pochino, vediamo…”.
Ranma si grattò la testa pensoso, poi si guardò intorno sbuffando: un chiarore freddo penetrava nello studio del dottor Tofu, grazie a un lampione che proiettava la sua luce proprio di fronte alla finestra, sicché poteva fissare agevolmente il cassetto dove il dottore aveva chiuso il collare di Anubi. Ormai era sicuro che non avrebbe avuto più bisogno di quell’affare infernale: nonostante fosse notte fonda, il silenzio regnava sovrano, evidentemente nemmeno quella coriacea divinità con la coda poteva nulla contro la Torazina. Bene, meglio riprendere gli ‘allenamenti’, finché tutti dormivano della grossa: l’indomani avrebbe affrontato una delle peggiori ‘sfide’ della sua carriera di artista marziale.
Con indosso solo i boxer e una canottiera bianca, Ranma tracannò un sorso di acqua minerale dalla bottiglia che aveva aperto, la posò su uno schedario e tornò a fissare cupamente Betty, quindi le puntò di nuovo un indice contro e prese un bel respiro.
“Adesso stammi bene a sentire, Akane!”.
“Io amo Bastet”.
“Io amo Bast… eeehhhh?!”.
Non fece in tempo a voltarsi del tutto verso la porta aperta, perché qualcosa gli atterrò sulla faccia e lo spiattellò per terra. Per una volta rimpianse che non fosse la bicicletta di Shampoo.
“Credevi sul serio che quella droga da quattro datteri potesse avere un qualche effetto su di me? Che sciocchino che sei…”, esordì la dea leccandogli il naso.
Bastet, che indossava la camicia da notte di Akane (sì, quella gialla corta con le maniche a sbuffo), era sdraiata su di lui, le gambe avvinghiate alle sue, il petto
(Ma che fa, aumenta di volume a ogni puntata?)
aderente al suo e le mani strette attorno ai polsi che gli bloccavano la circolazione sanguigna.
“Togliti di dosso, non mi sento più le braccia!”.
“Bene, bene…”, dichiarò Bastet ignorando le sue proteste e annusandogli il viso. “Quell’olezzo terrificante è quasi scomparso e questo profumo che la tua pelle emana lo nasconde quasi alla perfezione, davvero buono… cos’è?”, chiese la dea passandosi la lingua sulle labbra.
E-Eau de virilité, adesso lasciami, maledetta bestiaccia!”, imprecò Ranma serrando gli occhi: vedere ‘Akane’ fare certi giochini con... “Ehi! Che stai facendo laggiù?!”.
“Quello che avrei dovuto fare l’altra volta…”.
Da non credere! Gli aveva insinuato la coda fra le gambe e stava… stava…
Oh… per tutti… i kami!
“La-la-lascialo andare immediatamente!”.
Bastet sorrise, ma agli occhi di Ranma era Akane a farlo: la dea aveva lasciato inalterati i lineamenti di Akane, sicché era proprio il viso della fidanzata che Ranma vedeva. E per una volta Akane aveva sfoderato il suo sorriso più dolce solo per lui…
Non sprofondare in uno stadio di catatonica beatitudine era un’impresa che andava semplicemente al di là delle capacità di un vero uomo che si rispetti: con gli occhi annacquati a fissare il soffitto e un rivolo di bavetta che cominciava a colare da un angolo della bocca allargata a un sorriso scemo, Ranma emetteva risatine inconsulte, chiaro sintomo di un arresto cerebrale imminente. Del resto, non riusciva a pensare ad altro… che al fatto di non riuscire più a pensare.
Ah-ah… ah-ah-ah… uh-uh-uh-uh!
Lucidità: meno zero virgola tre, il cervello era andato.
“Lo sapevo, il mio ‘attacco al giunco celeste’ non sbaglia mai...”, sentenziò Bastet trionfante ergendosi fino a mettersi seduta sul suo stomaco. “Vedi di non svenire proprio adesso, il bello sta per arrivare...”.
Senza mollare la ‘presa’ su di lui, Bastet dissolse la canottiera e i boxer di Ranma con un semplice schiocco delle dita, quindi con un altro schiocco mandò in fumo quel ridicolo perizoma che lei indossava chiamato ‘mutandine’ e si sollevò su mani e ginocchia fissando attentamente Ranma, perso nel mondo dei sogni proibiti.
“Rimani esattamente così, sei perfetto…”.
E fra pochi istanti sarai mio per sempre…
Bastet ‘srotolò’ la coda: ormai non ce n’era più bisogno.

Ryoga lesse la targa accanto al cancello d’ingresso e sospirò pesantemente: era tornato al punto di partenza, tanto per cambiare. Era andato via talmente depresso che un piccione spiaccicato sull’asfalto era più felice di lui, era logico che non sapendo dove le gambe lo stessero portando prima o poi sarebbe tornato…
“…dal dottor Tofu…”, sospirò di nuovo scuotendo la testa. “Avesse almeno una medicina con la quale lenire questo dolore che sto provando…”.
Già che era lì, tanto valeva chiedergli qualcosa che alleviasse le sue pene, come un bel sonnifero, ad esempio, così avrebbe dormito per almeno due giorni.
Aprì il cancello e senza far caso al buco rattoppato con un telo di plastica proprio dietro l’angolo, suonò alla porta, stranamente però il campanello rimase muto. Provò allora a bussare, ma nessuno rispose né venne ad aprire. Stava per andarsene, quando gli parve che la voce di Akane gli giungesse ovattata… Va bene che vivere la maggior parte della vita nei boschi gli aveva acuito l’udito, ma da qui a sentire la voce dell’amata dietro ogni angolo… Un momento: era proprio lei! Che ci faceva lì? Quel maledetto l’aveva aggredita di nuovo?!
Senza attaccare la spina del cervello nella presa giusta, Ryoga aprì la porta della clinica con una spallata e corse in cerca della voce, che lungi dalle sue aspettative non stava né piangendo né imprecando, sembrava… un sussurro mellifluo? Ryoga si affacciò alla porta aperta dello studio del dottor Tofu.
E rimase congelato all’istante come un mammut nella tundra siberiana.
L’angelo del suo futuro focolare, colei che lo coccolava e lo nutriva, che aveva sempre un sorriso radioso per lui soltanto, la dolce, timida e pudica Akane Tendo, l’unica donna con cui avrebbe diviso la sua vita errabonda… stava carponi sopra un Ranma completamente nudo e una lunga coda fuoriusciva da sotto la sua camicia da notte. Voleva morire seduta stante.
Aka… Aka… Aka… Aka… Aka…
Se una macchina avesse potuto scandagliare il suo cervello, avrebbe mostrato un encefalogramma completamente piatto. Un istante dopo su quello stesso cervello comparve un vulcano in piena attività eruttiva che espulse fuoco e lapilli, fumo e lava. Con un incendio in corso negli occhi e gas letale che usciva dalle orecchie, strinse i pugni e digrignò i denti, pronto a fare a pezzi qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, a cominciare dal grugno del suo peggior nemico. Ma la prima cosa che gli capitò a tiro fu a dir poco provvidenziale.
Mentre Akane era in una posizione tale da farlo uscire di senno e stava per compiere l’ultima cosa che una candida colomba come lei si sarebbe sognato facesse, afferrò la bottiglia d’acqua lasciata aperta sul mobile accanto alla porta e lanciò il contenuto addosso ai due, infradiciandoli.
Vide quindi Akane voltarsi verso di lui con una lentezza esasperante e fissarlo con furia omicida mista a sbigottimento.
“Ryoga…? Cosa fai qui? Come osi interromperci?!”.

La doccia imprevista ridestò Ranma dal suo idilliaco rimbambimento e nel volgere di un istante si rese conto della catastrofica situazione: Akane, no, Bastet era fuori di sé, sopra di lui – anzi no, ora era una lei e per di più nuda come un verme – e guardava verso la porta, sulla cui soglia c’era un Ryoga più morto che vivo: stava in piedi solo perché era diventato un unico pezzo di marmo.
“Ryoga! Non è come pensi! Aiutgjhfmnp!”. Bastet gli aveva tappato la bocca con una mano artigliata inchiodandogli la testa sul pavimento, ma continuando a fissare quel rintronato senza midollo spinale.
“Esci immediatamente di qui, stupido...”. La dea si fermò per annusare l’aria. “… suino? Com’è possibile che tu abbia l’odore del porcellino di Akane? Puah, non importa, vattene, che io e Ranma abbiamo… Cosa?!”. Bastet fissò l’amato con autentico orrore. “Dov’è finito lui?! No, non di nuovo!”.
“Oh sì, invece, e scordati di farlo ‘resuscitare’, non mi freghi più!”, ghignò Ranma tirando mentalmente un sospiro di sollievo: appena in tempo, quel maiale di Ryoga era arrivato ‘puntuale’, per una volta!
“Questo è da vedere, mio caro!”, sorrise Bastet mostrando i canini. “Non muoverti, che mi libero di questa pulce che ti ha distratto e torno da te!”.
La dea balzò in piedi e sfoderò gli artigli, ma Ryoga parve non accorgersi di nulla: continuava a fissare il vuoto con le braccia ciondoloni lungo i fianchi. Che il danno cerebrale fosse irreversibile? Ranma balzò in piedi a sua volta e cercò di colpire Bastet dietro il collo alla maniera di Happosai. Solo per essere scaraventata via dalla coda della dea.
“Ryoga, che accidenti fai? Scappa!”.
L’eterno imbranato parve risorgere dalle tenebre e improvvisamente si rese conto di chi avesse realmente di fronte. Quelle zanne puntute le avrebbe riconosciute fra milioni: erano arrivate a un soffio dalla sua tenera ciccia! Iniziò ad arretrare, ma fu solo quando Bastet afferrò il collo di Ranma con la coda e la scaraventò di nuovo lontano da sé, che Ryoga se la diede a gambe levate… e urtò il boccione dell’acqua in sala d’aspetto, che cadde a terra con lui e si frantumò.
“Oink! Oink!”, grugnì P-chan sgrullandosi l’acqua di dosso.
“Allora è vero, il mio fiuto non mi ha ingannata: tu sei davvero l’animaletto domestico di Akane! Bene, bene, ti concedo nuovamente l’onore di fare una fine decorosa nel mio stomaco!”.
Bastet scattò verso di lui e il porcellino nero lanciò contemporaneamente: strazianti quanto inutili strepiti di aiuto, schizzi lacrimali così potenti da supporre avesse gli idranti al posto degli occhi, raccomandazioni al re Emma di spedire la sua anima in Paradiso. E mentre saltava da una parete all’altra inseguito famelicamente, per la seconda volta, dall’amore della sua vita, gli occhi erano diventati due uova al tegamino rotanti. Che aspettava quell’imbecille a salvarlo?

L’imbecille in questione stava cercando di aprire disperatamente il cassetto in cui il dottor Tofu aveva chiuso il collare di Anubi e alla fine si risolse ad aprirlo nell’unico modo che conosceva: sradicò la scrivania dal pavimento e prese a sbatterla ripetutamente sul linoleum.
“Apriti, dannazione, apritiiiiiii!”.
Il collare di Anubi rotolò improvvisamente fuori dal cassetto ammaccato e Ranma lanciò via la scrivania, che frantumò la finestra dello studio e finì in strada.
“Ops…”.
Adesso non aveva tempo, doveva raccogliere quell’affare e indossarlo! Rincorse il collare per il corridoio mentre Bastet rincorreva P-chan e il dottor Tofu faceva capolino dall’ultimo gradino delle scale e accendeva la luce.
“Ma che… che succede quaggiù?”. Un gocciolone enorme fece la sua comparsa dietro la testa (no, non dietro la nuca, più in alto, ecco bravi, sulla sinistra): Akane dava la caccia a P-chan distruggendo le pareti, mentre Ranma, trasformato in ragazza e senza niente addosso, correva dietro ad Akane e teneva in mano il collare di Anubi farfugliando frasi senza senso.
“Piripim piripum! No, ciripipì ciripipù! No, accidenti, era… perepepé quaqua! Ma insomma, qual è la formula?! Teke maia maia kon?”.
“No, Ranma, quello è un altro manga!”, gli gridò il dottore con la mani a coppa ai lati della bocca.
“E allora quale accidenti è?!”.
“Pampulu eccetera!”.
“Ah già! Grazie!”, gridò lei voltandosi. “Pampulu pimpulu parim pam pu!”, pronunciò mentre P-chan gli veniva incontro saltando al rallenti attraverso il collare.
Una luce accecante promanò dal reperto, tanto che Ranma, Bastet e Tofu dovettero schermarsi gli occhi con le mani, ma fortunatamente fu solo un lampo.
“Rrrrrau! Oink! Rrrrrrrrrau!”.
Ranma si tolse le mani dal viso, incredulo: il latrato, simile a quello di un chihuahua spelacchiato, veniva da un insaccato nero, piccolo e puzzolente, con un assurdo ciuffo viola sul capo.
“Oh no…”.
Dopo un istante di sconcertato silenzio, rotto solo dall’abbaiare di P-chan verso una Bastet allibita, la dea proruppe in una risata senza freni, tenendosi la pancia e lacrimando a più non posso.
“Muahaahahahahahaahahah! Ben ti sta, stupido cagnaccio!”, lo additò scivolando a terra e sbattendo alternativamente piedi e mani sul pavimento. “Ora sarà un vero piacere divorarti!”.
Gli occhi rossi di Anubi fiammeggiarono e la bestiola partì all’attacco, ma da brava gatta Bastet non si fece trovare impreparata e schivò sia le piccole zanne che le zampette.
“Dottore, presto, dell’acqua calda!”.
Tofu corse nel bagno di servizio, mentre Ranma – infischiandosene ormai di essere nuda – cercava il modo di non morire soffocata dal tanfo che P-chan emanava e di infrangere al contempo il combattimento in atto.
È una parola, faccio fatica a distinguerli!
Tofu tornò con una bacinella fumante e due maschere antigas.
“Oh no! Il mio ambulatorio!”.
“Lasci perdere, glielo ricostruiremo!”, gridò Ranma sopra il trambusto afferrando la bacinella. Giusto in tempo: Bastet era riuscita a catturare P-chan e ora lo teneva sollevato in aria per la coda riccioluta.
“Puzzi peggio di una latrina, spero che il tuo sapore non sia diventato altrettanto disgustoso…”, sogghignò la dea allargando smisuratamente le fauci.
Un improvviso getto d’acqua calda infradiciò i due nemici e Bastet, cui sfuggì di mano la sua preda, si ritrovò di fronte il ragazzo che aveva interrotto lei e Ranma dal diventare padrona e schiavo sino alla fine dei tempi…
Ranma si pentì immediatamente di quel che aveva fatto: per aiutare P-chan a sfuggire alle grinfie di Bastet, aveva messo Akane alla mercé di Anubi: il dio dell’Oltretomba era talmente furioso che emanava sbuffi di fumo rovente dalle narici e la trasformazione in gigantesco canide fu immediata. Tanto immediata da non lasciare tempo a Bastet di mutare forma a sua volta: la dea poté solo limitarsi a fuggire sfondando la porta d’ingresso già divelta. A un Ryoga irto di peli dalla testa cagnesca alle zampe inferiori il compito di demolire anche l’altro muro della sala d’aspetto e inseguire l’odiata rivale per le vie della città.
Ranma e Tofu rimasero sbalorditi il tempo necessario per realizzare l’assurdo: dovevano salvare Bastet.
“Roba da non credere!”, sbraitò Ranma sfilandosi la maschera antigas e sbattendola per terra. “Corro a bagnarmi con dell’acqua calda, mi vesto e li inseguo!”.
“Vengo con te, mi è venuta un’idea!”.


“Eccoli laggiù, nel parco, li vedi?”, indicò Tofu.
“Sì, le luci sono fioche, ma li distinguo bene: anche Bastet si è trasformata, è sicuro che questa volta funzionerà?”.
“Se quel bestione di Anubi riesce a resistere a una dose massiccia di anestetico per elefanti, mi arrendo”.
“Bene, allora io mi porto alla spalle di Ryoga e lei di Akane”.
“No. Eravamo d’accordo che io mi sarei portato alle spalle di Anubi e tu di Bastet”.
“Preferisco il miasma di Ryoga”.
“Te l’ho già spiegato: non sai dove iniettare esattamente la dose perché agisca il più rapidamente possibile, devo farlo io. Tieni il walkie talkie e indossa la maschera antigas sin d’ora, è meglio...”
“Umpf! E va bene!”, rispose stizzito Ranma afferrando il mascherone di gomma.
Poteva udire i ruggiti e i colpi violenti con cui le due divinità abbattevano gli alberi anziché il nemico, mentre le aggirava per portarsi in un punto buio del parco, abbastanza vicino da vederle darsele di santa ragione e fare il vuoto attorno a loro, ma non abbastanza da permettere a quei due di percepire la sua aura. Se Ryoga aveva anche solo scalfito la pelle di Akane, gli avrebbe strappato la cotenna da suino per usarla come tappetino all’ingresso di casa.
Acquattato sotto un cespuglio con la maschera antigas sulla faccia, Ranma osservava con apprensione sempre maggiore il ‘combattimento’ a suon di ringhi, insulti, calci volanti e morsi andati a vuoto fra il gigantesco cane coperto solo di peli e l’enorme ggggggg… fffffffffffff… con la camicia da notte di Akane a brandelli: sembravano ben decisi a sbranarsi a vicenda, stavolta.
“Rabba, mi sendi? Pahho”, gracchiò l’aggeggio che il dottore gli aveva dato.
“Sì, dottore. Passo”, rispose Ranma ficcando la ricetrasmittente sotto la maschera come Tofu gli aveva insegnato in modo che potesse udirlo bene.
“Ottimo. Appena Bastet arriva alla tua portata, sai cosa devi fare. Si sta avvicinando, tieniti pronto. Passo”.
“Dottore, io… non ce faccio, non ce la posso fare!”.
“Sì che puoi, Ranma. Pensa… pensa a quella volta che Shampoo ha indossato la spilla della discordia! Passo”.
“Quella volta Shampoo non aveva l’aspetto di una gigantesca llllllll… lllllllllllll… lllllllllllllllllllll…”.
“Non sforzarti troppo o ti scoppierà una vena”.
“…onessa!”, ansimò Ranma.
“Sta venendo verso di te! Pronto a scattare? Passo”.
“Io…”.
Dannazione!
Ranma gettò per terra il walkie talkie e con un balzo saltò alle spalle di Bastet tramutata in Sekhmet.
La dea si voltò, pronta a sferrare un attacco quasi alla cieca, quando le sue zampe vennero agguantate e congiunte dalle mani di Ranma, che attraverso i vetri della maschera antigas fissava la dea con tutta l’intensità che riusciva a spremere dai pori della pelle e dalle pupille tremolanti degli occhi.
“Afefi razone, io abo solo de, adeffo l’ho cabido”.
La leonessa arricciò le labbra sui lunghi canini.
“Che stai farfugliando? Levati quella maschera, idiota”.
Ranma rimase un istante interdetto, quindi si sfilò prontamente l’involucro di gomma dal viso e recuperò alla velocità della luce l’espressione grondante passione mal trattenuta.
“Dicevo… Avevi ragione, io ampfetsaaaarrghh…”. Ranma si accasciò fulminato sulle ginocchia in preda alle convulsioni, le mani strette attorno alla gola, la faccia che diventava cianotica.
“Oh, tesoro mio, perdonami! Mi ero dimenticava del fetore di Anubi!”, si disperò Bastet riassumendo le sembianze di Akane e chinandosi su di lui.
Alle sue spalle il dio dell’Aldilà, irritato e confuso, si grattava un orecchio: ma si poteva interrompere un combattimento così? Poi una lampadina si accese sopra la sua testa: aveva l’occasione d’oro per far fuori quella gatta rognosa, finché era disgustosamente distratta a far le moine al suo nuovo cucciolo! Si accucciò per terra e si preparò a saltarle addosso.
Sbadiglio.
Adesso le sarebbe saltato addosso!
Nuovo sbadiglio.
Era un’occasione irripetibile!
Altro sbadiglio…
Anubi si strofinò gli occhi: perché tutt’a un tratto gli calava la palpebra e vedeva appannato? Sbadigliò sonoramente stiracchiando le zampe sul prato, sforzandosi in ogni modo di tenere gli occhi aperti. Ma perché poi? Per vedere lo spettacolo indecoroso di Bastet che davanti a lui miagolava scemenzzzzzzz…
“È batta, Rabba!”, tuonò trionfante il dottor Tofu che si ergeva sul corpo di Anubi con un siringone in mano.
Bastet, che teneva un Ranma bluastro e con la lingua di fuori sulle proprie gambe nel tentativo di rinvenirlo, si voltò di scatto e ridacchiò.
“Ma che gentile, dottore, a renderlo inoffensivo per me, adesso potrò… ouch!”.
La dea si ritrovò accasciata a terra, svenuta. Dietro di lei, Ranma teneva ancora l’indice puntato là dove pochi istanti prima c’era il suo collo. L’unica cosa utile appresa da Happosai.
“Ho solo trattenuto il respiro, baka!”, ghignò Ranma, per poi rendersi conto che stava respirando. “Aaarrggghhh!”, urlò artigliandosi la gola, preda delle convulsioni, eccetera eccetera. Stavolta sul serio, però.
“Eggo, Rabba, indoffa la macchera!”, gridò Tofu facendogliela indossare a forza.
“Grabbie, dottole, stabo per molire!”.
“Mi credi, adebbo?”.
Ranma annuì.
“Bene, potta Akane a cafa, io potto Byoga da me: ji ho già totto il collabe!”.
“Pecché debo pottare Akane a cafa?”.
“Non vebi che è nuha? Ha bidogno di vestidi!”.
Ranma sgranò le pupille: perché non se ne era accorto prima? Istintivamente indietreggiò su mani e piedi, scivolando sull’erba umida. Tofu lo agguantò per una gamba.
“Combortadi da fidandado e pordala a cafa!”.
“La pordi lei!”
“Lanba!”.
“Lo ammedda! Lo fa appodda!”.
“Obbio! Oda va’!”.
Tofu tornò da Ryoga – che nel frattempo aveva assunto di nuovo le sue sembianze – se lo caricò su una spalla e sparì nella notte. Ranma poté finalmente togliersi la maschera antigas dalla faccia e si accorse che il cielo andava schiarendosi: l’alba era vicina. Bene, almeno non avrebbe avuto a che fare con Bastet, se Akane si fosse svegliata.
Infatti avrai a che fare con Akane in persona, il che è molto, molto peggio…
A quel pensiero gli si rizzò il codino dietro la nuca e non perse altro tempo: a occhi chiusi e con la punta delle dita, neanche rischiasse di scottarsi, cercò di coprire Akane con i lembi di ciò che restava della sua camicia da notte, quindi di metterle un braccio sotto la schiena e l’altro nell’incavo delle gambe. Si erse in piedi e assicurandosi che non ci fosse nessuno in giro, prese la direzione di casa saltando di tetto in tetto.

“Ranma…? Ranma! Su, svegliati! Ranmaaaa?!”.
“Mmmffghh…”.
“Avanti, alzati!”.
Il codinato mugugnò qualcosa d’incomprensibile, strizzando come una spugna il cuscino che teneva in ostaggio fra le braccia e scostando con un calcio la coperta.
“Che vuoi, papà? Lasciami dormironf…”.
“Hai dormito abbastanza, è quasi ora di pranzo! Muoviti, che Akane ti sta aspettando nel dojo!”.
“Ah sì…? Dì alla pippetta di iniziare senza di me, tanto è uguale…”, biascicò Ranma tirando su col naso.
“La pippetta ha appena annunciato a suo padre e a me che ha intenzione di scaricarti”.
Ranma spalancò gli occhi e si tirò di colpo a sedere sul futon.
“Cosaaaa?!”.

Col passo delicato di un toro infuriato e gli stessi sbuffi vaporosi che uscivano dalle narici, Ranma percorse il tratto di corridoio all’aperto che portava in palestra. Una certa capoccia di tek gli doveva delle spiegazioni e le augurò vivamente che fossero molto, molto convincenti.
“Cos’è questa storia?!”, sbraitò spalancando la porta del dojo.
Akane se ne stava inginocchiata all’estremità opposta, i pugni chiusi sulle gambe unite, le braccia dritte, il viso corrucciato che fissava ostinatamente il pavimento. Se l’occhio non lo ingannava, sotto un maglionicino rosso fuoco indossava quella specie di pantaloni attillati celesti sui quali, nonostante i fianchi di un tricheco, riusciva a infilare una minigonna blu. Bell’accostamento da far invidia ad Arlecchino.
“Entra e siediti, Ranma”.
Lui eseguì alla sua maniera: richiuse le ante scorrevoli facendole sbattere e si apprestò ad attraversare il dojo con la chiara intenzione di far tremare il pavimento.
“Ho detto ‘siediti’, non ‘avvicinati’! Rimani accanto alla porta!”.
“Per quale motivo?!”.
La vide stringere i pugni e serrare i denti.
“Perché Bastet non aspetta altro che averti a portata di mano, baka! Anche se è pieno giorno sto facendo una fatica immane a trattenerla dal saltarti addosso! Cerca in ogni modo di emergere per prendere il sopravvento su di me, soprattutto se tu sei nei paraggi, quindi stai alla larga!”.
“Ma… ma Akane…”.
Allibito? Sbigottito? Minuzie, era sconvolto. Rimase a fissarla a bocca aperta per mezzo minuto buono, prima che lei riprendesse a parlare.
“Cos’è accaduto ieri notte?”.
“Ah… ecco…”.
“E al museo?”.
“Io…”.
“E prima ancora, qui in casa, nella tua stanza?”.
“Eh… ehmmm…”.
“Vuoi che te lo dica, io? Bastet si è presa una cotta per te – una vera novità, nell’universo femminile, non trovi? – e sta sfruttando me per usarti come gingillo. Non voglio sapere cos’abbia combinato col mio corpo finora, non voglio nemmeno immaginarlo, mi basta sapere che se riesce tanto spesso ad avere ragione su di me persino in pieno giorno la colpa è soprattutto tua. So che stai cercando di aiutarmi e se non ci riesci non è per via della tua fobia: Bastet ti vuole a ogni costo e in questo modo non permette né a te, né ad altri di trovare una soluzione per toglierla di mezzo. Devi andartene, solo così si darà una calmata e potremmo finalmente scovare un modo per cacciarla".
Akane riprese fiato, si morse il labbro e abbassò lo sguardo.
Un sopracciglio di Ranma era invece preda di un tic nervoso.
“Non… non parli sul serio… E poi Tofu ha detto che né lui, né Happosai, né Obaba possono aiutarti, questa volta. E l’egittologo…”.
“Lo so. Kasumi stamattina si è informata su mia richiesta e ha saputo che il professor Kisuda è stato ricoverato per sospetto ‘disordine nevrotico della personalità’. Vorrà dire che mi rivolgerò a un altro esperto, ma senza di te. Da quando è iniziata questa possessione non abbiamo fatto alcun progresso e mai ne faremo se resti qui. Ti prego, Ranma, vattene”.
Doveva esserci qualcosa che non andava nell’acustica di quel dojo, perché i suoni arrivavano tanto distorti da fargli capire fischi per fiaschi. Non poteva che essere altrimenti, perché Akane non aveva veramente detto quel che aveva udito.
“Non posso… credere che… che tu mi stia…”.
“Insomma, come devo dirtelo? Va’ via! Il fidanzamento è rotto! Non voglio che né Bastet, né le tue ‘fidanzate’ mi mettano i bastoni fra le ruote per causa tua, non ho più tempo da perdere, lo vuoi capire?!”.
Ranma balzò in piedi sollevando un pugno davanti al viso.
“No! Mi rifiuto di capire! Da sola non puoi farcela, solo io posso aiutarti!”.
“Ma davvero?!”, lo rimbeccò Akane balzando in piedi a sua volta. “Finora quello che hai fatto è stato solo tentare di sfuggire a Bastet, o sbaglio? Cos’hai fatto davvero per me?”.
Ranma sentì le braccia cadergli lungo i fianchi.
“Io…”.
Fece qualche passo avanti, ma lei si addossò alla parete alle sue spalle.
“Rimani dove sei!”.
Rima... Rimani dove sei?!
Certo. Come no.
Aspetta e spera.
Altro che vapore dal naso, ormai usciva fumo dalle orecchie.
Attraversò a grandi passi la palestra, i pugni chiusi, sordo alle sue proteste.
“Ti ho detto di rimanere vicino alla porta! Vuoi che Bastet si manifesti anche di giorno?!”.
Ranma si bloccò. Fece un passo indietro, poi uno in avanti, poi di nuovo uno indietro. Il viso di Akane esprimeva rabbia cocente mista a dispiacere bruciante. Doveva esserle costato prendere la decisione di allontanarlo prima che la situazione peggiorasse, nella penombra gli sembrava quasi di vedere lacrime luccicare agli angoli degli occhi e il modo in cui si mordeva il labbro inferiore rivelava senza ombra di dubbio che fosse sul punto di rottura.
Eh no, per la miseria! Mi ha già scaricato una volta per quella memoria da elefante di Shinnosuke, non le permetterò di farlo una seconda, soprattutto non quando sono l’unico, e sottolineo l’unico, che può aiutarla!
Strinse di nuovo i pugni e riprese ad avvicinarsi ad Akane a passo di marcia.
“Ranma…? Cosa fai, fermatiiii!”.
Il codinato si fermò a tre passi da lei, ma non fece in tempo a puntarle contro l’indice per dirle quanto fosse cretina: se la ritrovò spalmata addosso, avvinghiata come una tellina alla scoglio, guancia contro guancia, le braccia che circondavano il collo e le gambe che facevano altrettanto coi suoi fianchi. Ranma si trovò ad agitare le braccia in preda al panico e ad avvampare come un ravanello.
“Che ti avevo detto, brutto idiota! Perché non mi dai mai ascolto?! Staccati!”.
“Iiiooo?! Tu, casomai, mi stai soffocando!”, inveì lui poggiando le mani sui fianchi. Subito dopo le afferrò le spalle cercando di respingerla, ma quella scema strinse ancora di più, neanche avesse le spire di un boa, al posto delle braccia.
“Avanti, Ranma, lasciami andare!”.
“Ma sei stupida?! Sei tu che devi mollarmi, mi stai strozzando!”, le urlò agguantandole gli avambracci e tentando in ogni modo di farle allentare la presa. Ma cosa l’aveva fatta diventare Bastet, una piovra?
“Sei il solito deficiente! Mai che mi dai retta! Lo vedi che avevo ragione? Adesso come ne usciamo?!”.
“Perché non fai un piccolo sforzo anche tu per sganciarti, che ne dici?”, le disse ghermendole i polsi.
“Lo sto già facendo, imbecille!”.
“Ma non dire fesserie! Nemmeno un anaconda stritolerebbe con la forza che ci stai mettendo tu!”.
“Chiudi il becco e tira, idiota!”.
“È una parola! Hai una forza erculeannnnnnghff!”.
Doveva liberarsi di lei all’istante, prima che…
“Ra… Ranma…?”.
Oh no… no!
“Cos’è che sta premendo contro il mio basso ventre?”.
“NIENTE!”.
“Non è quel che penso che sia, vero?”.
“NO, TE LO GIUROOOOO!”.
“Allora ti è spuntata la terza gamba, è così?”.
“ESATTO!”.
“Questa me la paghi, Ranma, giuro che me la paghi! STACCATI IMMEDIATAMENTE!”.
“Ci sto provando, dannazioneeeeee!”.
“Bugiardo!”.
“Bu…?! Pensi davvero che desideri rimanere appiccicato a una brutta racchia come te?!”.
“Qualcosa là sotto mi dice di sì!”.
Inoppugnabile.
“Sbagli! Quel che accade là sotto è colpa di Bastet!”.
Salvato in corner, sono un genio!
“Come…? In che senso? Che vorresti dire?”.
Era una sua impressione, oppure la voce di Akane aveva un’intonazione allarmata e la presa su di lui sembrava diminuita?
“N-no, niente, è che, stanotte, vedi…”.
“Che è successo…?”, chiese timorosa allentando ancora di più braccia e gambe.
“Ecco lei… lei…”.
“Cos’ha fatto? No… cosa mi ha fatto fare?!”.
Ormai poggiava i piedi per terra e teneva i pugni stretti contro il suo petto. Incredibile, l’aveva mollato, ma il sollievo era durato un battito di ciglia: adesso lo fissava terrorizzata, sul chiaro punto di esplodere in un pianto dirotto.
“Ma no, niente, non devi preoccuparti!”, cercò di porre rimedio con una risatina isterica.
“Non mentire!”, gridò lei affondando la faccia nelle mani aperte e iniziando a singhiozzare. “Chissà cosa ha fatto col mio corpo e a te è piaciuto, ammettilo!”.
Se avesse avuto uno specchio davanti in quel momento, al posto dei lineamenti avrebbe visto campeggiare la scritta “ALTROCHÉ” a enormi caratteri lampeggianti. Ma solo perché aveva creduto sul serio di avere Akane davanti, non la dea coi baffi.
“È mai possibile che tu non abbia ancora capito che le donne di quel tipo mi danno il voltastomaco?”, le urlò afferrandole una spalla con una mano e il mento con l’altra, costringendola così a sollevare il volto. Era adorabile col nasino rosso per il pianto e le labbra gonfie a forza di mordersele.
“Da-davvero?”, chiese Akane titubante, anzi, implorante.
“Ma… certo…”, rispose Ranma avvicinando lentamente il viso al suo.
Oh, kamisama…
Un altro po’.
…sto davvero per…
Ancora un po’...
…per…
Nihao, ailen!”.
Ranma si ritrovò con la ruota posteriore di una bicicletta incastrata a fondo nella sua faccia. Qualcosa gli suggeriva che la parete davanti a lui non esistesse più.
“Oggi ho cucinato per te qualcosa di davvero speciale!”, enunciò Shampoo scendendo dal suo veicolo, posando a terra un fagotto e avvinghiandosi immediatamente al suo collo. Ranma scaraventò la bicicletta lontano da sé, mandandola a sbattere con uno scampanellio sotto l’altarino domestico.
“Ci mancavi solo tu, togliti subito di dosso!”, le urlò disgustato cercando di scansarla. “Akane, non è come pen… ehhh?”.
Di colpo incurante di Shampoo, Ranma osservò sconcertato Akane fissare rapita la bici della cinesina. Di più, ignorare completamente il suo fidanzato per andare a inginocchiarsi accanto al mezzo di trasporto cui una ruota girava a vuoto. Di più, allungò una mano verso un manubrio e alle sue orecchie arrivò l’inconfondibile suono di…
(…questo è un termine che non ha confronti nella lingua egizia, non so come tradurlo, forse “involucro magico” dovrebbe rendere l’idea...)
Ranma trovò improvvisamente la forza di indurre Shampoo a mollarlo e balzare in piedi.
(…il problema è che il testo si interrompe proprio sulla descrizione dell’involucro, apparentemente qualcosa di tondeggiante…)
Ailen…”, pigolò la cinesina. “Che ti prende?”. Anche lei si alzò in piedi indispettita, ma lui se ne avvide appena.
“Ho capito…”, bofonchiò in preda a una sorta di estasi mistica. “Ho capito, ho capito tutto!”.
“Cosa hai capito amore? Che sei pazzo di me?”, sorrise lei portandosi le mani intrecciate contro una guancia.
Ranma si precipitò da Akane, inginocchiandosi e afferrandola per le spalle per indurla a guardarlo.
“Mi hai sentito? Ho capito tutto, so come neutralizzare Bastet!”.
Akane sbatté le ciglia un paio di volte, confusa, e quando lui fece per alzarsi in piedi lei lo imitò.
“Cosa? Parli… parli sul serio?”.
“Certo che parlo sul serio, cosa credi?! Ma non posso spiegarti nulla o Bastet mi impedirà di andare a cercarlo!”.
“Cercare cosa?”.
“Lo so io, tu non devi più preoccuparti, la tengo in pugno! Ora so esattamente cosa fare, spero solo di fare in tempo. Quanti giorni ci restano?”.
Akane prese a contare sulle dita, ma poi finì per grattarsi la testa con tutte e due le mani.
“Ah, non lo so, ormai ho perso il conto… quattro credo, o forse tre…”.
E lui aveva solo un indizio per iniziare la sua ricerca: un tempio abbandonato pieno di bestiacce baffute e pelose…
“Ranma! Tu… Tu stai abbracciando Akane! Proprio come…”.
Il codinato si voltò verso Shampoo all’unisono con Akane.
“Veramente la sto solo trattenendo per le…”.
“…come nel video! Ora ricordo! Mi ero precipitata in quello stupido museo per far fuori Akane, ma poi dev’essere accaduto qualcosa che me l’ha impedito… Non importa, ora finalmente potrò vendicarmi! Preparati, Akane, sto per toglierti di mezzo una volta per tutte!”, annunciò trionfante Shampoo materializzando dal nulla due bombori.
“Ranma? Di quale video sta parlando? Non di quello di Nabiki che ho pagato a caro prezzo, vero?”, chiese la sua adorabile fidanzata con un tic nervoso del sopracciglio sinistro.
“Ah… ehm… io vado, te ne occupi tu? Tanto ormai ne sei in grado!”, affermò il codinato saltando attraverso il buco aperto dalla cinesina.
“Ranma!”, gridarono contemporaneamente Akane e Shampoo prima di tornare a guardarsi in cagnesco.
“Stavolta non mi sfuggirai, Akane!”.
“No, Shampoo, stavolta sarai tu a non sfuggirmi!”.

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Capitolo 8
*** VIII - L'ultima speranza? ***


Per festeggiare il sospirato arrivo (?) dell’estate, ecco a voi il penultimo capitolo della Gatta Morta! Un mega grazie al fratellone Rik che ha betaletto e approvato questo capitolo, spero vi piaccia nonostante abbia faticato a scriverlo non per mancanza d’ispirazione, ma per motivi famigliari su cui è meglio sorvolare... ç_ç
Prima di lasciarvi alla lettura, però, largo ai ringraziamenti! ^__^
@Mrs Cold: dimenticarsi del tanfo insopportabile di Anubi: ma come, non lo senti? Ma certo che lo sente! XDD Solo che, essendo una dea, Bastet riesce a sopportarlo meglio di un comune essere umano. ^_- se interrompi altri momenti come quello di prima però ti ammazzo, cherì +_+ Facci il callo, sono un classico nel manga. ^_- Ranma ha trovato un metodo per contrastare la dea; sarà così? Ho i miei (giustificati) dubbi... No no, l’ha trovata davvero, la soluzione! XDDD L'ultima voce è quella di Bastet alla ribalta, vero *_*? Dimmi di siii... Invece no. XDDD Grazie per l’apprezzamento del precedente capitolo! ^_^
@Laila: che posso dire se non grazie dal profondo del cuore? ç__ç Per quanto riguarda Tofu, inutile dire quanto sia contenta di sapere che apprezzi lo spazio che gli ho dato, ho sempre pensato che tutti i personaggi della Divina meritassero più considerazione, altrimenti che ci stanno a fare? ^_- Per quanto riguarda invece Ryoga, deve stare molto attento: il ciuffo viola è niente a confronto di ciò che sta per accadergli… XDD Già, come andrà a finire il secondo scontro tra Shampoo e Akane/Bastet? Chi vincerà stavolta? ^_^
@Uranian7: grazie di cuore, come puoi vedere non ho perso tempo! ^_^
@Moira: svista corretta, anzi, sviste, perché ne avevo beccate altre due, grazie della segnalazione! E grazie per tutti i complimenti, sorellona, sono davvero felice di averti steso a terra dalle risate! XDDD E pensare che ti avevo pure anticipato delle scene! XDDD Grazie di cuore, amora! ç____ç
@Rik: l’onore è mio, fratellone! Come non poteva piacermi l’idea della gag dell’acqua? È stata strepitosa! *_* Ho sempre da imparare da te, grazie ancora di cuore, è merito tuo se ho fatto centro! ^_^
@Tharamil: ti ringrazio infinitamente anche qui, tesoruccio, grazieeeee! ^o^
@sunakoforever: grazie di tutto cuore! ^__^
@BabyAngel94: grazie infinite anche a te! ^^
@Robbykiss: grazie di cuore, carissima! *__*
@maryku: Il video di Nabiki torna! D'altronde, Akane non l'ha ancora visto, e Nabiki non poteva non approfittarsi di questa occasione... Esatto! XDD Ha venduto sì ad Akane il video originale, ma ne aveva già fatte delle copie, ovviamente… XDD Se non venissero interrotti, non sarebbe più del tutto IC! XD Eh già… XDD Bien, grazie anche a te di tutto cuore. ^__^
@hinata93: ci hai azzeccato in pieno, è proprio lui! *_* Riuscirà Ranma a trovarlo? E se lo troverà, riuscirà a non gattizzarsi in sua presenza? Ricordiamoci dove vive il micione… XDDD Ehssì, sono davvero sadica, lo sanno tutti, ormai! XDD
@Kuno: senpai carissimissimo, a te ho già risposto sul forum, ma ne approfitto per ringraziarti nuovamente con tutto il cuore! *ç*
@caia: grazieeeeee! ^___^
@chocolate89: sono davvero contenta di aver conquistato una nuova lettrice, grazie di cuore per il tuo entusiastico apprezzamento. *_*
@DolceMella: carissima! Sono davvero contenta che anche questa ff ti piaccia tanto, ho provveduto a correggere l’errore che mi hai segnalato appena ho letto il tuo commento, grazie infinite! *_* Purtroppo mi capita spesso di confondere parole simili, come ‘cataratta’ e ‘cateratta’, ad esempio. Cercherò di fare maggior attenzione, grazie ancora. ^_^
@Breed: carissimissima, lo sai che non devi scusarti, anzi, mi ha fatto davvero piacere che tu abbia trovato il tempo per rileggerti tutta la ff e abbia addirittura trovato che il cap VII sia stato il più divertente fra quelli postati finora, non posso che esserne felice! ç___ç Ovviamente spero di non deluderti con questo nuovo capitolo, grazie per tutti i complimenti e gli applausi!*_____*
@bluemary: Sappi intanto che questo capitolo è stata la mia ancora di salvezza quando i neuroni tentavano il suicidio dopo lunghe ore di studio, e l'ho gustato come una cioccolata calda durante una nevicata. Che notizia meravigliosa! Sul serio ti è stato d’aiuto? Come sono contenta! *___* questo è sicuramente sul podio. Ecco, adesso mi metto a frignare come una poppante, grazie di cuore! ç__ç Sarei stata curiosa di scoprire quali altri modi più gentili poteva escogitare per parlarle Nessuno, lo sai che Ranma è monotematico… XDDD per quanto la gattaccia mi stia sulle scatole devo ammettere che è merito suo se Akane e Ranma si stanno piano piano rendendo conto dei loro sentimenti (e impulsi XD) Vedrai, nel capitolo finale, quanto se ne sono resi conto! XDDD Ho in serbo per loro una bella sorpresa, soprattutto per Ranma: anch’io, come te, ho sempre desiderato, sotto sotto, che ci fosse almeno una svolta piccola piccola fra loro, nel manga o nell’anime, ma niente! Così ho pensato di rifarmi con questa ff… XDDD per un attimo ho pensato davvero che la dea, pronta a tutto per avere Ranma (sarà colpa dell’eau de virilité?), sarebbe arrivata perfino a violentarlo L’idea era quella, infatti… XDDD ora Akane saprà finalmente l’identità del suo animaletto domestico? Akane non lo scoprirà mai perché non ricorda ciò che accade quando Bastet prende il sopravvento. ^_- Pensare al porcellino che abbaia non ha prezzo D’accordissimo! XDDD un po’ tardo, questo dio, no? O forse dipende dal suo essersi incarnato in Ryoga? No, no, è proprio tardo, i cani non sono furbi come i gatti… ^_- sto cominciando ad adorare il dottor Tofu, così gentile e altruista, e, quando ci vuole, così risoluto Lui è così, infatti: cucciolotto, ma deciso, quando occorre. *_* noto che Nabiki ha colpito ancora Quando mai si lascia sfuggire l’occasione? XDDD Bien, spero che anche questo cap ti piaccia, anche se non è all’altezza del precedente. ^_^ Grazie dal profondo del cuore per tutti i complimenti, ogni tua recensione è un balsamo per i miei occhi, grazie! ç____ç
@_deny_: grazie infinite per tutti i complimenti! *_* Ricordo però che l’idea non è mia, bensì di Laila84. ^_-
@Ginny85: spero non averti fatto attendere troppo, grazie anche a te! ^_^
@Ellena: grazie anche a te dei complimenti, ma se ci metto tanto ad aggiornare è perché purtroppo l’ispirazione spesso latita e se ci mettiamo pure il lavoro e lo studio… Ergo, non stupirtene più, anche perché cerco sempre di metterci la massima cura quando scrivo un capitolo. ^_-




VIII parte

L’ULTIMA SPERANZA?




“Ottima idea, figlia mia, davvero un’ottima idea!”, si congratulò Soun Tendo mentre, sbocconcellando il riso, osservava compiaciuto il portatile nuovo di zecca che la secondogenita aveva piazzato sul tavolo della sala da pranzo.
“Sono d’accordo, amico mio, tua figlia è un vero genio!”, convenne Genma con la bocca piena: teneva la propria ciotola spalmata sul viso e raschiava il fondo con le bacchette alla velocità del suono, sicché chicchi di riso schizzavano sulla faccia e oltre le spalle.
“Grazie papà, grazie signor Genma”, rispose concentrata Nabiki mentre accendeva il computer.
“Oh, che carino!”, cinguettò Kasumi mentre posava in tavola il vassoio col pesce alla griglia e il contorno di verdure in salamoia. “Guardiamo il tg mentre mangiamo?”.
“No, sorella, un reality…”, rispose Nabiki scuotendo la testa.
“Che bello! E chi sono i protagonisti?”, chiese di nuovo Kasumi.
“Osserva tu stessa”, enunciò trionfante la mente superiore della casa.
Nabiki cliccò sull’icona della visione multipla e una finestra si aprì al centro del desktop: lo schermo del monitor si riempì di quattro visuali diverse del dojo; da ognuna delle quattro angolazioni spiccavano Akane e Ranma che si fronteggiavano ai lati opposti della palestra. Soun, Genma e Kasumi si precipitarono intorno a Nabiki.
“Stai registrando tutto, vero figliola?”.
“Che domande, papà, mi pare ovvio!”, rispose piccata la secondogenita.
“Ma… ma sono Ranma e Akane! Come ci sei riuscita, sorellina?”, chiese sorpresa Kasumi.
“Semplice: ho personalmente installato quattro videocamere a circuito chiuso ai quattro angoli del dojo. In questo modo possiamo risparmiarci ore di logoranti appostamenti, ma, cosa ancora più importante, nessuno potrà disturbare i due piccioncini rischiando di interromperli proprio sul più bello e compromettere così la possibilità di lauti guadagni. Acquistare quegli aggeggi mi è costato un occhio della testa, anche perché li ho collocati praticamente in ogni angolo della casa: solo nelle stanze di Akane e Ranma ho sistemato sei telecamere a testa, ma se quei due faranno il loro dovere, farò tanti di quei soldi da superare Athina Onassis. Signor Genma, vuole smettere per un momento di mangiare?! O si diverte a lanciare i chicchi di riso contro lo schermo?!”.
“Volevo centrare la faccia da idiota di mio figlio”.
“Figliola, che stanno facendo? Ho l’impressione che stiano litigando…”, considerò preoccupato Soun.
“Aspetta che accendo l’audio, papà”.
“C’è anche l’audio?”, chiese Genma.
“Naturalmente: ho sistemato un microfono nella plafoniera che illumina ogni stanza”.
“Sorellina, lo sai che questo non si fa, vero?”
“E tu lo sai che me ne importa un fico secco, vero?”
“Fate silenzio, non riesco a sentire quel che dicono!”, ordinò Soun contrariato.
“Dai, papà, non ti perdi niente, siamo ancora ai preliminari: lei è infuriata con lui, lui è infuriato con lei, fra poco escono dai gangheri nel fare a gara a chi per primo seppellisce l’altro di insulti, nel frattempo si avvicinano tanto da potersi sputare in faccia il rispettivo amore/odio finché resteranno senza parole, in quanto ognuno sarà disgustosamente annegato negli occhi debitamente profondi e sbrilluccicosi dell’altro, e finalmente arriviamo così al momento clou di ogni puntata nonché fanfiction standard che si rispetti, solo che stavolta noi non li interromperemo, questo è certo”.
“Veramente nelle fanfiction non li interrompiamo quasi mai, anzi, in genere siamo altrove…”, constatò Soun.
“Pensi ci metteranno ancora molto?”, chiese Genma mentre addentava un pesce allo spiedo.
“Se tutto procede come al solito”, considerò Nabiki consultando l’orologio, “dovrebbero baciarsi fra esattamente… un minuto e quaranta secondi”.
“Oh, non vedo l’ora!”, gongolò Kasumi portando le mani congiunte contro una guancia e inclinando il viso di lato.
“Sarà, ma per ora Akane sbraita e Ranma incassa…”, disse Soun.
All’improvviso sullo schermo videro l’incredibile: Akane si lanciò contro Ranma aggrappandosi a lui come una ventosa cosparsa di superAttak. Nella sala da pranzo tutti trattennero il fiato.
“Ma che fa quell’imbecille, la sta respingendo? Ma perché ho un figlio così cretino?!”, piagnucolò Genma addentando un altro spiedo di pesce. Soun gli elargì qualche colpetto sulla spalla.
“Coraggio, amico mio, vedrai che prima o poi guarirà.”
“Fate silenzio, non si capisce niente!”, li interruppe Nabiki.
“Pare che Akane dia la colpa delle sue azioni a Bastet”, spiegò Kasumi. “E sta ordinando a Ranma di lasciarla andare, ma sembra che lui non ci riesca. Cosa intende per ‘basso ventre’ e ‘terza gamba’?”.
Soun, Genma e Nabiki si voltarono verso il visino solare e sorridente di Kasumi. Un refolo di vento siberiano invase la stanza insieme a torme di cespugli rotanti (tanto per non lasciare fuori niente).
“La vescica e il bastone da passeggio, sorella”, rispose noncurante la secondogenita tornando poi a guardare lo schermo.
“Ohhh, povera Akane! Proprio adesso doveva scapparle la pipì? Ma a che le serve un bastone?”.
“Per… ehm… picchiare meglio Ranma, figliola”, rispose il padre con un mezzo sorriso isterico e un gocciolone gigante dietro la nuca.
“Zitti e fermi, non respirate neanche! Akane si è appena sganciata da Ranma e lui pare consolarla: il tono di voce è troppo basso, però, non capisco cosa stiano dicendo…”.
“Sei stato cattivo, tanto cattivo! Io no, sei tu che sei la solita baka! Dimmi che mi ami, stupido cretino! Magari potessi, ma il cervello mi si è liquefatto quando sono caduto nelle Sorgenti Maledette e da allora vago ramingo per il mondo con la testa piena di ragnat…”.
“Signor Genma! Metta via quel microfono e la pianti di doppiare suo figlio in falsetto, non capiamo un tubo!”.
“Nabiki, guarda, stanno per baciarsi!”, esultò Kasumi.
“Era ora, dannazione, erano in ritardo sulla tabella di marcia, ho delle consegne da rispettare, io!”, esclamò furibonda Nabiki mentre Genma saliva in groppa a Soun per vedere meglio.
“Figliola, per caso hai impostato la visione al rallentatore?”.
“No, papà, sono quei due che sono più lenti di una lumaca stanca”.
Genma lanciò un sonoro sbadiglio.
“Ma quanto ci mettono?”.
Nabiki sospirò e poggiò il mento sul palmo aperto di una mano, quindi consultò di nuovo l’orologio.
“Sono entrati nella fase ‘annego come un beota nelle iridi accecanti e senza fondo dell’altro’, di questo passo ci vorranno cinque minuti buoni”, concluse sbuffando. “Kasumi, che ne dici di preparare dell’altro tè? Tanto sono praticamente immobili…”.
“Vado subito!”, ubbidì la sorella maggiore alzandosi.
“Ehi, non è che a forza di fissarsi si ipnotizzano? O si addormentano in piedi?”, chiese preoccupato Soun.
Kamisama, speriamo di no! Sarebbe un disastro per i miei affari!”.
“Beh, che facciamo mentre aspettiamo?”, chiese Genma.
“Che ne dici di una bella partita a shogi, amico mio?”.
“Ottima idea! Ci avverti tu, Nabiki, quando sono a fior di labbra?”.
“Sì, sì, andate pure…”, li congedò lei annoiata agitando una mano nell’aria. Fu allora che un boato scosse dalle fondamenta il dojo Tendo e indusse Soun e Genma a precipitarsi di nuovo davanti al monitor del pc.
“Noooo, non è possibileeeee!”, gemette Nabiki con le mani fra i capelli.
“Che è successo? Akane ha fatto di nuovo volare Ranma nello spazio sfondando il tetto?”, chiese Soun allarmato.
“Ucciderò quell’amazzone con le mie mani, lo giuro!”, sbraitò la figlia sbattendo i pugni sul tavolo.
Sullo schermo campeggiava la bicicletta di Shampoo incastrata nella faccia di Ranma fin quasi in fondo alla nuca, mentre la cinesina non aveva perso tempo a scendere dal suo mezzo di locomozione per strusciarsi contro il codinato. Una parete del dojo non esisteva più e Akane se ne stava impalata a fissare le ruote della bici come se non le avesse mai viste prima. Mai come in quel momento Nabiki Tendo aveva desiderato nuclearizzare il Neko Hanten. Poi, l’assurdo. Ignorando del tutto Shampoo abbarbicata a Ranma come una pianta infestante, Akane si era accucciata accanto alla bicicletta e si era messa a suonare il campanello. Grandioso, poteva andare peggio di così? Almeno Ranma pareva aver recuperato le connessioni neurali, perché era scattato in piedi e si era precipitato da Akane.
Cos’aveva detto? Aveva capito bene?
Tutt’a un tratto aveva intuito come neutralizzare Bastet? Possibile?
Oh oh, ma stava tenendo Akane per le spalle e Shampoo, chiaramente, aveva travisato.
“Oh no, addio attrezzatura…”, gemette Nabiki quando Shampoo materializzò dal nulla due bombori, mentre Ranma se la svignava dalla stessa voragine che la cinesina aveva causato.
“Non sta per accadere ciò che penso accadrà, vero figliola?”, chiese affranto il genitore.
“Sì, invece: il dojo sta per essere distrutto e con lui le mie preziose videocamere. Pazienza, papà, con i soldi che ho guadagnato te ne costruirò due, uno per gli allievi e uno che Akane o Ranma possano demolire senza problemi”.
“Quali allievi?”, chiese perplesso Soun.
“Ah già, in tutto il manga e in 161 episodi dell’anime non se n’è mai visto uno… Bah, tu fa finta che ci siano, sennò non si spiega come facciamo a campare”.
“Come vuoi, figliola…”, disse sconsolato il padre allontanandosi. “Andiamo, Genma, facciamoci una partita, è meglio…”.
Mentre dallo schermo giungevano le immagini di un paio di lottatrici che ce la stavano mettendo proprio tutta per ridurre la palestra in briciole, Nabiki decise di rivedere la sequenza in cui Ranma diceva ad Akane di aver trovato la soluzione a quell’ennesimo pasticcio: possibile che quell’essere unicellulare avesse davvero capito come neutralizzare Bastet? Nabiki riguardò e riascoltò attentamente la registrazione e basita (ma non al punto da mostrarlo) arrivò in un lampo alla stessa equazione cui era arrivato il futuro cognato: Akane imbambolata davanti al campanello della bici di Shampoo + traduzione lacunosa del papiro ammuffito del prof. Kisuda = cara divinità (dei miei costosissimi sandali firmati Jimmy Choo) sei fregata e pure alla grande.
Una serie di tonfi assordanti indusse una Nabiki con un sorriso a quarantasette denti a riprendere a guardare la lotta che si stava svolgendo nel dojo. Ampliò l’immagine a tutto schermo e vide Shampoo attaccare Akane coi suoi bombori sfondando pareti che parevano di cartapesta, mentre la sorella alias ‘inciampo-sui-miei-stessi-piedi’ schivava con un’agilità che forse nemmeno Ranma possedeva. Sembrava camminare sulle pareti che via via si riempivano di buchi, finché con una piroetta all’indietro finì in equilibrio proprio sul manico del bombori che si era appena incastrato fra le assi di legno che aveva sfondato. L’incredulità di Nabiki doveva provarla anche Akane, perché appena Shampoo fece per estrarre l’arma dalla parete, la sorella minore si agitò e perse l’equilibrio, finendo col sedere per terra. La solita Akane.
Ci fu un decimo di secondo in cui una punta di preoccupazione verso la sorellina riuscì a intaccare il suo proverbiale autocontrollo e a farle arricciare le labbra per il disappunto, ma fortunatamente Akane parò con stupefacente facilità il bombori che Shampoo calò sulla sua testa.
Mmmm, troppo facilmente. Era addirittura riuscita a farlo volar via dalle mani della cinesina con gli stessi piedi che avevano parato il colpo e ora avanzava con una sicurezza nuova. Poi, all’improvviso, le immagini si fecero distorte e confuse, finché presero a scomparire una alla volta. Nabiki sperò che la sorellina stesse riducendo Shampoo a un ammasso di carne passata al tritatutto.
Improvvisamente una telecamera si riaccese, ma dall’inquadratura parve subito chiaro che era caduta a terra perché Nabiki distinse nient’altro che pezzi di legno, finché proprio davanti all’obiettivo cadde la faccia da schiaffi di Shampoo. Era chiaramente svenuta e Nabiki notò i piedi di Akane che passavano davanti alla visuale. Per un po’ non accadde nulla, poi una cascata d’acqua fu rovesciata addosso a Shampoo, che si ritrovò trasformata all’istante in una gatta. Si svegliò di soprassalto e arruffò il pelo soffiando in direzione di qualcuno che solo la cinesina poteva vedere, ma quasi nel medesimo istante assunse un’espressione... adorante? Nabiki avvicinò le sopracciglia. I piedi di Akane si misero di nuovo di fronte alla telecamera, poi uno si sollevò e un istante dopo la visione scomparve con un sonoro crash!
Nabiki raddrizzò la schiena, mentre continuava a fissare lo schermo ormai buio del pc.
“Ecco qua, il tè è pronto!”, annunciò Kasumi rientrando nella sala da pranzo con un vassoio fra le mani.
“Sorellina, vai immediatamente dal dottor Tofu, subito!”.
“Eh? Ma perché?”, chiese Kasumi posando il vassoio sul tavolo.
“Papà! Signor Genma! Andate via anche voi, presto!”, ordinò voltandosi verso la veranda. Il padre e il suo amico stavano seduti a gambe incrociate, intenti a studiare le pedine.
“Come, figliola?”.
“È inutile, Nabiki…”, annunciò una voce melliflua. La secondogenita dei Tendo si volse di scatto verso la porta che dava sul corridoio. Akane (?) sostava sulla soglia, sorridente e con le braccia conserte, mentre una gatta rosa si strusciava contro le sue gambe.
Nabiki si profuse in un ghigno inarcando un sopracciglio.
“Benvenuta… dì un po’, ma tu non dovevi manifestarti solo di notte?”.
“Più passa il tempo, Nabiki cara, e più io mi adatto a questa nuova realtà: alla scadenza dei sei giorni, Akane non sarà più in grado di opporre un briciolo di resistenza…”.
“Oh, Akane, com’è andata con Ranma?”, chiese Kasumi andandole incontro. Bastet si volse lentamente verso di lei.
“Mi vuoi bene, vero sorella maggiore?”, le sorrise la dea sfiorandole il mento con un artiglio.
“Ma… certo…”, rispose Kasumi con lo sguardo annacquato. Una era andata.
“Figliola, che è accaduto questa volta?”, domandò il padre voltandosi verso di lei. Bastet gli sorrise da un orecchio all’altro.
“Anche tu mi vuoi bene, non è vero, papà?”.
Il genitore rimase come congelato a fissare la figlia minore con autentica adorazione.
“Amico Tendo, che ti prende?”, intervenne Genma squadrando prima lui e poi Bastet.
“Suocero caro, non vi pentirete mai di avermi come nuora…”, disse Bastet schioccando le dita. Sulla tavola da pranzo si materializzò ogni squisitezza culinaria immaginabile: sushi, sashimi, chirashi, tempura, zuppa di miso, katsudon, donburi, oden, onighiri, shabu shabu, udon in brodo, soba freddi, perfino okonomiyaki!
“Dei la nuoha mijore del moddo l’o zemppe deddo a cuel tesdohe di bio fijjo!”, disse Genma con la bocca piena di riso, pesce crudo e verdura fritta.
Soddisfatta, Bastet abbassò lo sguardo su Nabiki e prese posto al tavolo di fronte a lei.
“È inutile, con me non attacca, carina: non tengo ai membri della mia famiglia al punto da lasciarmi ipnotizzare”, affermò la secondogenita dei Tendo spegnendo tranquillamente il pc.
Bastet sorrise e schioccò le dita. Una pioggia di banconote da 10.000¥ si materializzò dal nulla seppellendo Nabiki. La suddetta attese che la pioggia finisse, poi scansò i pezzi di carta dalla cima della propria testa e fece capolino dal mucchio.
“Sono più ricca di quanto tu possa immaginare, non al livello di Bill Gates e del sultano del Brunei, ma sono sulla buona strada, non sarà un misero mucchietto di soldi a corrompermi”.
Bastet inarcò un sopracciglio. Schioccò di nuovo le dita e sempre da nulla iniziarono a piovere monete d’oro grosse come fette di salame. Nabiki sopportò stoicamente finché la pioggia cessò, poi prese una moneta, se la mise fra i denti e morse.
“Caspita, è più pesante di un krugerrand! Grazie, ma posso comprarne quante ne voglio”.
Bastet sollevò le labbra sui canini iniziando a ruggire. Schioccò ancora una volta le dita e riversò su Nabiki una pioggia di diamanti grossi come uova di quaglia.
“Sappi che ti denuncerò per percosse: ho la testa piena di bernoccoli. E poi cosa dovrei farci con questi sassetti? Giusto ieri ho comprato una miniera di diamanti in Sudafrica”.
“Ora basta!”, gridò Bastet sbattendo un pugno sul tavolo. “Ci sarà pur qualcosa che desideri ma non puoi avere!”.
“Impossibile. Ora che sono zilionaria, posso comprare tutto ciò che desidero: yacht, isole tropicali, grattacieli, pozzi petroliferi, gioielli…”.
Bastet sembrò illuminarsi come un faro, perché a Nabiki parve che fasci di luce uscissero dalle orecchie.
“Hai detto… gioielli?”, chiese sorridendo la dea.
“Esatto, perché?”, chiese a sua volta Nabiki cercando di emergere dal cumulo di banconote, monete e gemme.
“Perché c’è qualcosa che con tutti i soldi del mondo non potrai mai comprare…”, disse Bastet schioccando di nuovo le dita.
“Impossi…”
Nabiki Tendo disse addio a respiro e sinapsi. Iniziò a sudare freddo e al tempo stesso a venir arsa dalle vampate, lei, che non avrebbe battuto ciglio nemmeno se le fosse apparso davanti al naso Brad Pitt che ballava nudo con un fiocco gigante proprio con la scritta: Scioglimi. A meno che il suddetto fiocco non fosse d’oro massiccio e tempestato di rubini, s’intende…
“È l’originale, non un’imitazione, viene direttamente dal Museo del Cairo. E non ha prezzo”, sibilò Bastet.
Ma Nabiki non l’ascoltava più.
Dieci chili… dieci chili d’oro puro!
Allungò le mani tremanti e sfiorò delicatamente il manufatto, che pareva emanare una luce propria, accecante come il sole, e col suo peso mostruoso faceva scricchiolare il massiccio tavolo di tek.
“È proprio lei… la maschera d’oro… di Tutankhamon…”, mormorò incredula.
“E posso farla scomparire così com’è apparsa…”, minacciò una Bastet sorridente sul punto di far schioccare di nuovo le dita.
“Noooo!”, urlò Nabiki aggrappandosi alla maschera con braccia e gambe come un koala con un ramo. Il tavolo cedette di schianto, ma la secondogenita di Soun non mollò la presa.
“…a meno che…”, continuò Bastet come se nulla fosse.
“Qualsiasi. Cosa”, esalò Nabiki.


Non poteva crederci, non poteva crederci assolutamente! Aveva avuto la soluzione sotto al naso fin dall’inizio! Ma come aveva fatto a non pensarci prima? Ma quel che era peggio, era che la soluzione fosse proprio quella monumentale palla di pelo! Per assurdo che fosse, comunque, in questo modo avrebbe preso due corvi con un fagiolo!
O erano due gabbiani con un cecio?
“Mammaaaa? Ma pecché quel signore corhe tanto?”
Ma perché non ti fai gli affaracci tuoi, nanerottolo? Ranma Saotome sapeva con certezza granitica dove stesse andando, il fatto di girarci intorno non autorizzava la gente a fissarlo come sicuramente fissava Ryoga quando tornava sui suoi passi qualcosa come un centinaio di volte, neanche se ormai aveva tracciato un solco profondo e più o meno circolare attorno al gruppo di isolati cui aveva giurato di non avvicinarsi mai più in questa vita e in quelle future.
Non stava prendendo tempo, nossignore, non lui. Stava soltanto cercando di escogitare un modo per entrare là dentro senza diventare isterico. Anzi, senza rimetterci la sanità mentale. Perché stavolta Akane non l’avrebbe fatto tornare in sé
(con un bacio)
Piantala!

anzi: la bestiaccia con baffi, coda e zanne che non vedeva l’ora di profanarlo avrebbe ‘cancellato’ la sua fidanzata violenta una volta per tutte e sarebbe finalmente riuscita nell’intento di possederlo – in tutti i sensi – senza alcuno sforzo. Se la figurava saltare su estasiata nel vederlo grattarsi un orecchio con una gamba adattata a zampa, gli occhi deformarsi istantaneamente in due stomachevoli cuori palpitanti e corrergli incontro spalancando le braccia, per poi strappargli i vestiti e tenerlo per l’eternità al suo fianco come animaletto domestico.

No, frena, un momento.

Animaletto… domestico? Come… tipo… P-chan…?

LUI?!


- Inizio visione apocalittica (sconsigliata ai minori) -

Bastet, assisa su un trono dorato stile Nabiki con abito succinto e sventagliata da un servitore stranamente somigliante a quell’evaso dal manicomio di Tatewaki, tiene in grembo una bestiola pelosa con una coda riccioluta da porcellino, ma che al posto del muso ha la
sua faccia e l’espressione sognante da gatto che ha appena ingoiato una carpa. Bastet lo accarezza grattandogli la testolina dietro le orecchie e lui, puccioso e pacioccoso, emette un continuo e assordante pru-pru con autentica soddisfazione.

- Fine visione apocalittica -



Impalato in mezzo alla strada deserta, Ranma fissava il vuoto con le braccia penzoloni, una narice e un sopracciglio in preda a un incontrollabile tic nervoso, le pupille ridotte a un puntolino infinitesimale.
“Nemmeno se resto donna per il resto della vitaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!”.
Il ruggito liberò l’energia repressa e il Moko Takabisha che scaturì disintegrò tutto ciò che esisteva nel raggio di qualche metro, tra cui il muretto di recinzione di una casa e lo steccato che delimitava senza meno un terreno abbandonato.
Ansante, Ranma scrutò oltre il buco che aveva provocato nella staccionata e notò distrattamente i soliti enormi cilindri di cemento o d’acciaio ammucchiati in attesa di un cantiere. Poggiate contro quelle strutture, immancabili in ogni moderno manga/anime che si rispetti, stavano lunghe assi di legno, quasi delle pertiche…

Ryoga girovagava a capo chino, la frangia che si era prodigiosamente allungata per coprire gli occhi onde rendere più melodrammatica la cupa disperazione in cui era piombato il suo animo. Col muso lungo fino a terra che quasi rischiava di inciamparci, la visione della notte precedente – Akane senza quasi veli su un Ranma nudo – era un film dell’orrore che si riavviava da solo ogni volta che terminava, sicché P-chan in forma umana aveva deciso, per salvaguardare la propria sanità mentale, che mai più, MAI PIÙ, avrebbe rimesso piede a Nerima, Tokyo. Se ne andava per sempre, stavolta, niente e nessuno l’avrebbe fermato: anche se Akane fosse riuscita a liberarsi di Bastet, non sarebbe più riuscito a guardarla in volto senza immaginarla:
1) a rincorrerlo per mangiarselo,
2) a cavalcioni su un Ranma inebetito (e nudo) fino al midollo,
3) a fissarlo con la furia omicida che solo l’odio per averla ‘interrotta’ la notte precedente poteva generare.
L’aveva persa senza mai nemmeno averla avuta. Peggio, non aveva mai avuto, in realtà, la minima speranza con lei: Bastet o non Bastet, Akane finiva sempre tra le braccia di Ranma. E allora, lui, che restava a fare? Meglio errare a casaccio per il mondo, meglio dimenticare gli ultimi sedici anni di vita, piuttosto che rivedere Akane che gli sorrideva come amica o Bastet che si leccava le labbra come se avesse davanti un prosciutto.
Orsù, dunque, conducetemi lontano, piedi, che io non ripercorra più gli stessi erro…
Le riflessioni pericolosamente vicine a quelle di un vero squilibrato mentale di nostra conoscenza vennero interrotte da una visione tanto fugace che Ryoga pensò di aver sognato a occhi spalancati (dietro la frangia).
Ma… quello è Ranma! Ma che accidenti sta facendo?!
Il codinato delle sue ciabatte (cinesi) teneva dritta avanti a sé una sorta di lunghissima tavola, come gli atleti che si apprestano a fare il salto in alto, e indietreggiando fissava concentrato l’ingresso di un tempio.
Quel tempio. Ranma doveva essere impazzito.
Se c’era una persona che non poteva nulla contro i gatti ninja di Mao Mao Ling, quella era proprio il suo odiato rivale. Ma che intenzioni aveva?
Ryoga posò lo zaino a terra e incrociò le braccia al petto, deciso, prima di lasciare per sempre il Giappone, a scoprire cosa passasse per la testa vuota di Ranma. Ma se ne rese conto nel momento stesso in cui Ranma si mise a correre verso il portone del recinto del tempio, sempre tenendo quella specie di asta dritta davanti a lui. Allora capì anche che i suoi tentativi di assalto non poteva proprio perderseli e con un ghigno che si allargò fino a un orecchio si mise persino a contarli.

Tentativo numero 1
Ranma punta di colpo a terra la pertica e si lancia con una spinta verso lo spazio siderale, per volare letteralmente oltre il cortile del tempio. Ad attenderlo sul tetto dell’edificio un esercito di gatti – materializzatosi dal nulla – col naso all’insù e lo sguardo omicida che manda bagliori infuocati. Mentre Ranma è in dirittura d’arrivo – urlando, gesticolando e spargendo lacrime come un idrante – i gatti si dispongono a piramide e l’ultimo in cima, sdraiato sulla schiena, usa le zampe posteriori per mutare Ranma in una trottola umana. Il codinato, ridotto a una palla rotante e piagnucolante, viene scaraventato via e diventando un puntolino luminoso sparisce alla vista.

Ryoga vide un Ranma inferocito sbucare improvvisamente da una stradina laterale, di nuovo con la pertica in mano. Non poteva credere che fosse così stupido, oltre che cocciuto, da tentare ancora la stessa tecnica… dal retro.

Tentativo numero 2
Ranma si lancia di nuovo sul tetto del tempio facendo leva sulla pertica, di nuovo i gatti si materializzano dal nulla e sono lì ad aspettarlo, ma questa volta sono tutti sdraiati sulla schiena e appena lui ‘atterra’, se lo passano come i giocatori di calcio con una palla, finché Ranma, a furia di rimbalzare, non viene di nuovo spedito nell’iperspazio, ovvero oltre l’ingresso del santuario.

Ryoga scosse la testa. Se la paura bloccava Ranma al punto da non riuscire nemmeno a reagire agli attacchi dei felini, come sperava quell’idiota mutasesso di penetrare nel tempio?

Tentativo numero 3
Ammaccato e pieno di cerotti, Ranma ha spezzato l’asta di legno e usa le due metà per camminare a diversi metri di altezza. Attraversa il portone scavalcando la corda di paglia e immediatamente i gatti tentano di arrampicarsi sulle due pertiche… scivolando a terra. Deve aver passato del grasso sul legno, ma i gatti non si perdono d’animo e di colpo il codinato si ritrova di fronte un’altra piramide di mici.
Sta per farla crollare colpendola alla base con una delle due aste – sghignazzando, oltretutto – quando il gatto in cima alla formazione spicca un salto e con un fermo immagine si blocca di fronte alla faccia orripilata di Ranma: in modalità stop motion, la bestiola tiene le zampe anteriori divaricate e una di quelle posteriori sollevata rispetto all’altra. Somiglia stranamente a quella tizia di quel film strambo su una matrice che controlla gli umani. E infatti di colpo l’azione riprende: il gatto usa la zampa sollevata per colpire un Ranma ancora catatonico sotto il mento.
L’imbecille, con un fenomenale ‘salto’ all’indietro, oltrepassa l’arco del portone e si ritrova con la testa conficcata in un carretto traboccante di ogni sorta di specie con le pinne e le branchie.

“Il mio pesce! Il mio pesce!”, urlò un vecchietto in salopette posando a terra i manici del carro, mentre Ranma cercava di scastrare inutilmente la testa: le mani scivolavano su tonni e sogliole e solo puntando i piedi riuscì infine a tirar via il capo. Si ritrovò così col sedere per terra, un polpo per cappello e un calamaro in bocca.
“Lascia stare i miei pesci, delinquente!”, urlò il pescatore calandolo ripetutamente un remo sulla testa di Ranma. “Prendi, prendi, prendi!”.
Ranma sputò il calamaro, incrociò le braccia sopra la testa per difendersi e mise le mani sul polpo: prontamente lo strizzò in faccia al vecchietto, che si ritrovò innaffiato d’inchiostro e scappò via urlando.
Qualcuno invece stava ridendo. E sonoramente.
Ranma scorse Ryoga piegato in due per terra, che si teneva la pancia e rideva a crepapelle. La rabbia fumò dalle orecchie del codinato, che raggiunse Ryoga, lo agguantò per la maglia e lo scaraventò contro il carretto del vecchio pescatore. Prima che l’eterno disperso riuscisse a rialzarsi, Ranma lo raggiunse e lo ficcò a testa in giù nel cumulo di pesce che aveva rovesciato a terra: lo intinse ripetutamente fino al torace, quindi con un poderoso calcio lo spedì sul tetto del tempio.
“MelapagheraiRanmaaaaaaaaaaaaaaaaaaa…”.
Un groviglio di gatti ninja si precipitò su Ryoga miagolando e soffiando: non si trattava più di difendere il luogo sacro, ma di mettere le zampe sul pesce gigante piovuto dal cielo, portandosi via il pezzo più grosso e saporito su cui potevano affondare le zanne.
Ranma non perse altro tempo: corse a perdifiato verso il tempio, immerso nelle tenebre e nel silenzio. Vagò starnutendo in ogni stanza puzzolente di muffa e trasudante umidità, ma niente, di quella bestiaccia cicciuta o del suo campanello gigante nemmeno l’ombra. In compenso il pavimento era rivestito ovunque da un tatami di peli.
“Ehi, gattaccio! Etciù! Dove sei?! Etciù! Ti ho trovato moglie!”.
Manco una mosca volava.
Impossibile, doveva pur essere lì, da qualche parte!
“Ehi! Mi senti?! Etciù! Ho detto che ti ho trovato moglie, esci fuori, etciù! Non sono qui per combattere!”.
Un silenzio più assordante non sarebbe stato concepibile, se si escludeva Ryoga che, urlando come un invasato, faceva continuamente il giro del tempio cercando disperatamente di sfuggire ai gatti ninja: Ranma lo vedeva passare a intervalli regolari davanti all’ingresso, con le braccia alzate, le tubature dei condotti lacrimali esplose, svariate bestiacce pelose attaccate a gambe, schiena, fondoschiena, spalle e chioma e il grido disperato di chi sa di essere matematicamente spacciato.
Al diavolo quell’idiota, qui lo spacciato era lui, se non trovava quell’insaccato di gatto fuori taglia!
Ormai con gli occhi gonfi e lacrimosi per via dell’allergia, Ranma sbatté più e più volte la testa contro uno spigolo dell’altare, finché vide un foglietto planare al suolo. Allora si chinò a raccoglierlo e massaggiandosi il neonato ficozzo sulla fronte lesse queste poche, terrificanti parole:


Addio, Giappone crudele
parto per destinazione ignota in cerca di una moglie e questa volta la troverò!
Non importa quanto grande sarà la Cina, sono certo che prima o poi troverò ciò che qui mi è stato negato!
Lascio la mia immagine sacra a imperitura devozione:



(PS: lasciate pure le offerte ai piedi dell’altare, ma in apposite ciotole, non sporcate il pavimento!)

(PPS: non penso di tornare prima del nuovo millennio)

(PPPS: beh, comunque non prima di aver trovato moglie...)



Il foglietto scivolò a terra e Ranma rimase a fissare il vuoto a occhi tanto sgranati che le pupille erano praticamente scomparse. La sua unica speranza aveva appena preso il volo.
“Oh… no…”.
Era finita, assolutamente, definitivamente finita. Chissà da quanto quel foglietto era lì, chissà da quanto era partito Mao Mao Ling… e lui non avrebbe mai fatto in tempo a rintracciarlo e a riportarlo indietro.
Era finita sul serio, per Akane ma anche per lui.
“…e adesso…?!”.






Mentre Bastet ha iniziato ad assoggettare tutti coloro che bene o male sono legati affettivamente ad Akane (o a lei in quanto divinità dei gatti), Ranma sembra aver mancato l’unica possibilità per salvare la fidanzata: partirà alla ricerca di Mao Mao Ling o fuggirà ad Atene, patria dei cani randagi? Riuscirà Ryoga a scrollarsi di dosso i gatti ninja? Sopravvivrà Genma fino al ritorno del figlio, o morirà d’indigestione? Nabiki ha davvero ceduto al Lato Oscuro? Anubi riciccerà fuori? L’Italia arriverà agli ottavi di finale? L’uomo arriverà mai su Marte? L’autrice riuscirà a scrivere e pubblicare l’ultimo capitolo entro la fine dell’estate? O defungerà prima per le maledizioni che le lanceranno i lettori?
Ai posteri l’ardua sentenza… alla prossima! XDD

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Capitolo 9
*** IX - Tanto va la Gatta al lardo... ***


BUON NATALE! Come vi avevo promesso, ecco il mio regalo di Natale per voi: l’ultima, agognata puntata della Gatta Morta! Spero vi divertiate a leggerla, così come io mi sono divertita a scriverla, perdonandomi di aver impiegato tanto tempo per portare a termine questa ff e augurandomi che il finale sia di vostro gradimento: ho cercato di rispettare il più possibile lo spirito del manga, quindi spero di non aver toppato, in particolare, proprio la parte finale, ma voi non fatevi scrupoli a dirmi qualsiasi cosa vi faccia storcere il naso. ^_-
A proposito, nel ringraziare ancora una volta tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo (akane_stars, akyoko_86, apple92, bluemary, Breed, deny, Kuno, Laila, lunablu24, maryku, Moira, Rik, Robbykiss, simo87, Tharamil e Violet_chan), nonché il betafratellone Rik per l’inestimabile aiuto che mi ha (sempre) dato e la musa ispiratrice Laila per avermi suggerito la trama di questa ff, vi avviso che risponderò una a una a tutte le recensioni che saranno lasciate a questo capitolo direttamente qui su EFP, grazie alla nuova funzione Rispondi abbinata a ogni recensione! ^__^
All’interno del cap troverete una nuova, deliziosa fanart di Kelou, cui dedico questo capitolo per ringraziarla dei bellissimi disegni che ha realizzato appositamente per La Gatta Morta (e che io ho inserito nei vari capitoli). Grazie di tutto cuore! *______*
Grazie infine a tutti coloro che nel corso degli anni mi hanno sostenuto commentando, inserendo la ff nelle preferite e/o nelle seguite, spronandomi a continuare anche quando non ne avevo più voglia. Grazie davvero, ragazzi, siete stati fondamentali per la stesura della Gatta, più di quanto immaginiate, non vi sarò mai grata abbastanza. ç____ç


ATTENZIONE! Il messaggio che segue mi è stato lasciato dalla webmistress Erika fra le recensioni di NRSU, ma è rivolto a tutti i lettori:
Vorrei chiedere a tutti, d'ora in poi, di limitarsi a modificare una recensione precedente se vi siete solo dimenticati di dire qualcosa. Non è necessario inserire un nuovo commento. Viene falsato il numero delle recensioni, così come il punteggio del programma recensioni.
Per modificare/cancellare una recensione andate nel vostro account in Gestisci varie (in basso al centro) e cliccate su Modifica/cancella le recensioni: nell'angolo in alto a destra di ogni recensione da voi lasciata apparirà Modifica/Cancella. Se dovessi comunque trovare una recensione doppia a questo cap (che sia diversa o uguale alla prima lasciata) vi contatterò per modificarla o cancellarla. ^_^
E ora, buona lettura! *_*





IX parte

TANTO VA LA GATTA AL LARDO…
CHE CI LASCIA IL CODINATO





“Ambulatorio del dottor Tofu Ono, buongiorno, come posso aiutarla?”
“Buongiorno, dottore, sono Kasumi, come sta oggi?”
La faccia mortalmente seria e concentrata del buon medico mutò istantaneamente in quella di un beota che ha raggiunto la pace dei sensi seduto su un gabinetto: tutto attorno a lui assunse di colpo un’inconsueta tonalità rosa pastello, con fiorellini svolazzanti in mezzo a putti non meno svolazzanti che strimpellavano mielose melodie da arpe dorate.
Roba da tiro a segno, insomma.
“Oh Ka… oh Ka… oh Ka…”
“Cavolo? Cavolfiore? Carota?”
“Kasumi! Che gioia sentirla! Cosa p-posso f-fare p-per lei?”, chiese il dottore levitando a un metro buono da terra. Betty lo fissava nient’affatto sorpresa.
“Mi spiace disturbarla, ma sarebbe così gentile da riportarmi oggi stesso i contenitori per gli alimenti che ho lasciato da lei? Sono così impegnata qui a casa che non ho tempo di passare alla clinica, spero non sia un problema…”
“Ma-ma cosa dice? Nessun disturbo, nessun problema, si figuri, anzi! Glieli porto seduta stante!”
“Oh, non so come ringraziarla! L’aspetto, allora!”
“Oh, sì, sì, corro subito da lei!”
“Ahi!”
“Che succede? Si è fatta male?”, chiese preoccupato Tofu.
“Ehm… no, no, ecco, mi sono ricordata una cosa: potrebbe cortesemente portarmi anche il collarino di Anubi? Ranma dice che preferirebbe tenerlo lui per ogni evenienza…”
“Oh, sì, sì, ma certo, giusto, giustissimo, ha perfettamente ragione, lo prendo immediatamente, ahahahahaha!”
“Grazie, dottore, lei è un vero tesoro, a presto!”
Il dottore non attese nemmeno il clic per svenire: si schiantò all’istante sul duro pavimento, cornetta in mano, sorriso a quarantotto denti e lenti incrinate per la troppa emozione. Betty si astenne dal commentare.

“Brava, Kasumi, ottimo lavoro!”, sogghignò Bastet mentre la sorella maggiore riagganciava la cornetta e si massaggiava il fianco, là dove la dea le aveva rifilato una pizzicata.
“Oh, Akane, non è bello dire le bugie, perché mi hai costretta a farlo?”, chiese lei candida voltandosi a guardarla.
“Ma per il mio bene, Kasumi cara, su non fare quel faccino imbronciato e va ad aspettare il tuo bel dottorino all’ingresso, sai cosa devi fare, no?”
“Sì, certo, devo accoglierlo in casa e mantenerlo nello stato di rin… rinci… qual è la parola che hai usato?”
“Rincitrullimento”, rispose Bastet con un sospiro.
“Grazie, però non ho ancora capito come…”
“Cheee?! Credevo fosse chiaro! Non devi far altro che portarlo in camera tua con una scusa!”
“E poi?”
Bastet posò le mani sulle anche, incredula.
“Come sarebbe a dire ‘e poi’? E poi alzi la gonna!”
“Oh cielo e perché?”, chiese allarmata Kasumi portandosi le manine alle labbra. La dea sbuffò.
“Per fargli perdere tanto di quel sangue dal naso da farlo schiattare per emorragia, mi pare ovvio!”
“Oh poverino, ma io non voglio che muoia!”
“E io non voglio che mi rompa le uova nel paniere! Senti, se proprio tieni a lui e non vuoi che crepi di epistassi, allora dovrai…”, Bastet si morse le labbra per non ridere, “…fargli una respirazione bocca a bocca!”.
“Oh… e questo lo salverà?”, chiese speranzosa Kasumi portandosi le manine ad abbracciare le guance arrossate.
Bastet le diede una pacca sulla spalla e sfoderò un sorriso sornione.
“Di più, sorella: lo resusciterà!”, rispose annuendo vigorosamente.
“Oh bene, allora vado ad aspettarlo!”, disse Kasumi allontanandosi.
“Ecco brava, vai, vai pure… e divertitevi!”, sghignazzò Bastet rimasta sola.
“Che stai tramando, maledetta? Vuoi fare il vuoto intorno a Ranma, è così? Smettila di ingannare la mia famiglia spacciandoti per me!”
Bastet si guardò intorno sbigottita e disorientata, per poi rendersi conto che era stata lei stessa a parlare, o meglio, Akane. Incredibile: quella piccola, patetica umana riusciva a contrastare i suoi poteri di obnubilamento!
“Senti, senti! Parli proprio tu che fai credere a tutti che di Ranma non t’importa nulla, quando invece lo ami alla follia…”, la stuzzicò la dea sperando di confonderla e indebolirla.
“Que-questo non c’entra nulla, non cambiare discorso! Se Ranma ha detto di aver trovato il modo di toglierti di mezzo, allora per te è finita, qualsiasi cosa tu abbia in mente sarà inutile!”
Bastet digrignò le zanne.
“Inutile è ogni tuo tentativo di contrastarmi! Lo ammetto, ragazza, la tua volontà è forte, sei davvero tenace, ma allo scadere dei sei giorni soccomberai comunque e Ranma sarà mio!”
“Ma lui odia i gatti, come pensi di piegarlo al tuo volere? Non ti rendi conto che non potrà mai amarti? Lui…”
“…ama te? Lo so perfettamente, è proprio su questo che puntavo! Ma visto che non ha voluto cedere al mio ricatto di avere al tempo stesso una dea e la ragazza che ama – sì, gli ho proposto di essere mio in cambio della tua salvezza – non mi rimane che schiavizzarlo!”
“Lui… lui… mi ama ?”.
Perfetto, era sul punto di cedere, solo un’altra spintarella.
“Ma certo, sciocchina che non sei altro! E dal momento che di me non vi libererete mai, non importa cosa il tuo fidanzato abbia escogitato, ti conviene aiutarmi a convincerlo ad arrendersi. Se lo farai, permetterò alla tua anima di restare in questo corpo, anziché annientarla, pensaci: potrai amare Ranma senza rimetterci l’orgoglio di ammetterlo davanti a tutti. Di più, potrai amarlo liberamente insieme a me, perché tutti penseranno che sarò solo io a farlo! Convincilo, Akane, o lo ridurrò a uno schiavo senza la minima volontà!”
Bastet avvertì la rabbia del suo ospite umano divampare dalle stesse viscere attorcigliate.
“Mai. Mi hai sentito? MAI! Non farò mai una cosa simile! Ranma ti batterà e mi salverà anche questa volta!”.
“Illusa! Finora ho solo scherzato con voi, ma adesso farò sul serio: appena si avvicinerà a questa casa, sarà spacciato! Decidi Akane: vuoi condividere Ranma con me, oppure vuoi sparire nell’esatto momento in cui io lo ridurrò a mio schiavo per l’eternità?”
“Tu non ridurrai nessuno a un bel niente, Ranma è MIO, dannata gatta! E mi salverà!”
“Questo lo vedremo, cocciuta di una mocciosa! Ti annienterò seduta stante!”, gridò Bastet stringendo i pugni e serrando gli occhi, quasi rannicchiata su se stessa. “Ggggggnnnnnnn!”.
“Guarda che il bagno è alla fine del corridoio, devi solo girare l’angolo…”
La dea spalancò gli occhi e senza osare muoversi volse lentamente lo sguardo verso una Nabiki che la fissava sgranocchiando patatine.
“Sarà uno spasso spifferare in giro che la grande Bastet parla da sola girando su se stessa come una trottola e poi tenta di fare i suoi bisognini davanti alla cucina. A meno che, ovviamente, non abbia qualcosa da offrire per il mio silenzio…”
La dea riacquistò immediatamente la posizione eretta, mandando a fuoco le guance e fumando rabbia dalle orecchie.
“Maledetta, sei insaziabile! Cos’altro vuoi?”
“Uhmmmm, vediamo…”, disse Nabiki poggiando sul mobiletto del telefono il pacchetto di patatine. Afferrò una rivista e iniziò a sfogliarla. “Il sarcofago d’oro massiccio di Tuthy? Quello più interno, non provare a rifilarmi uno di quelli esterni di legno che sono solo rivestiti d’oro.”
“Ti sei documentata, eh? E va bene!”, disse Bastet schioccando le dita.
Dal nulla cosmico si materializzò una gigantesca cassa funeraria antropomorfa che andò a schiantarsi sul pavimento del corridoio e lo sfondò conficcandosi nel terreno sottostante. Nabiki lo osservò dall’alto con un sopracciglio inarcato e si infilò un’altra patatina in bocca.
“Non potevi mantenerlo sospeso nell’aria e depositarlo, che so, in palestra o…”
“L’hai voluto? Adesso ti arrangi!”, sbraitò la dea allontanandosi. “E guai a te se osi dire in giro quel che hai visto!”
“Ok, ok… tu però salutami Akane!”
“Meowwwarrggh! Non ci penso nemmeno!”, miagolò Bastet svoltando un angolo con la testa incassata nelle spalle per la frustrazione. “Concentrazione, concentrazione!”, si disse portandosi le mani alle tempie per massaggiarsele. “Dunque, fra poco Tofu e Anubi saranno sistemati per benino, a chi altri Ranma potrebbe rivolgersi quando tornerà? Tsé, e a chi se non ai suoi nemici storici? E siccome questa è l’ultima puntata, come da copione si faranno vivi uno dopo l’altro, non devo far altro che aspettarli qui… toh, ecco che ne arriva uno”, sorrise aguzzando il finissimo udito. “Andiamo ad accoglierlo, Shampoo?”
“Prrrrau…”, rispose la cinesina strusciandosi contro una gamba di Bastet. La dea prese in braccio la gattina rosa e con un sorriso malefico stampato in faccia si avviò verso il giardino di casa Tendo.



“Povero me, oh povero me!”, miagolò sconsolata una candida palla di pelo extra ma proprio tanto extralarge, curva sotto il peso della propria disperazione, le orecchie flosce al pari delle vibrisse. Si trascinava stancamente verso l’agognato rifugio, dove avrebbe affogato la propria, inconsolabile delusione nel latte parzialmente scremato.
Varcò l’ingresso del recinto del tempio, aspettandosi che i suoi fedeli gatti ninja lo accogliessero come sempre sull’attenti facendogli rapporto, ma un refolo di vento spazzò il cortile deserto: persino loro lo snobbavano! Sempre più affranto, Mao Mao Ling si avviò strascicando le zampe verso il proprio santuario, quando davanti all’entrata si bloccò sbigottito: nientemeno che l’umano di nome Ryoga stava correndo in cerchio con i suoi guardiani attaccati alla schiena e urlava come un maiale scannato! Ma che importanza aveva se quel povero sfigato aveva invaso il recinto sacro in sua assenza, dopo che in Cina aveva rischiato prima di essere fatto allo spiedo, poi di essere esorcizzato da orde di monaci affamati e infine di diventare la mascotte vivente dei Giochi Olimpici? Avesse almeno trovato moglie…
“Povero me, oh povero me!”, ripeté il gattone varcando la soglia del tempio. Toh, qualcuno stava pregando davanti all’altare delle offerte, come aveva fatto a entrare? Un momento… a lui sembrava di conoscere quel codino…
L’umano, ginocchia a terra, ondeggiava da un lato all’altro, tirava su col naso e sembrava recitare una strana litania, quasi un lamento funebre. Che fosse impazzito? Si avvicinò finché la propria ombra non lo offuscò, ma la schiena fu allora percorsa da un brivido così gelido che Mao Mao Ling ci ripensò e decise di filarsela. Fu in quel momento che l’umano parve ridestarsi e lentamente si voltò.
Oh, per tutti i gatti randagi! Ma quello era… era? Sì, era… Ranma! Aveva la faccia gonfia e rossa come un pallone da basket, le palpebre e le labbra così tumide che sembravano essere state punte da un esercito di vespe, il naso che colava copioso, ma che gli era successo? E che ci faceva lì? Di colpo il mostro spalancò gli occhi e prese a fissarlo fra l’incredulità e l’adorazione, una cosa disgustosa!
“Mao… fei… fei tuuuu!”, sputò la cosa con le pupille ora grandi come uova all’occhio di bue e sbrilluccicose per la felicità come astri nascenti. La creatura balzò in piedi, spalancò le braccia e gli corse incontro. “Che felifità, fatti abbraffareeeee!”.
Farsi abbracciare? Da Ranma Saotome?!
“Aaaaarrrrrgghhhhh! Non ti avvicinare, mostroooo!”, urlò impazzito Mao Mao Ling con i peli talmente ritti che sembrava aver preso la scossa, mentre scappava a zampe levate spargendo lacrime disperate.
“Dofe fai? Pecché scaffi? Vojo solo paflare, fermafiiii!”, ebbe pure il coraggio di chiedergli l’essere demoniaco con le fattezze del codinato.
“Fossi mattoooo!”, gridò il gattone lanciandosi fuori dall’ingresso, le zampe anteriori tese non si sa perché verso il cielo e un turbine di polvere dietro di sé. E proprio mentre guadagnava l’uscita del tempio per gettarsi nei vicoli cittadini, udì alle sue spalle Ryoga che sopraggiungeva inseguito da suoi guardiani miagolanti, indi una sorta di scontro frontale e infine il medesimo Ryoga che, volando alto sopra le loro teste insieme a diverse palle di pelo, urlava: “Ranma ti uccideròòòòòòòòòòòò!”, mentre il suddetto non sembrava nemmeno essersi accorto che qualcuno gli fosse venuto addosso, perché continuava a gridare dietro di lui: “Fermafiiiiii! Defo parlarfiiiiiiii!”.
Nemmeno per tutte le sogliole del Giappone! Aspetta e spera, dannato Saotome!


“Eccolo che arriva, sei pronta mia cara?”, chiese Bastet seduta in veranda davanti al laghetto del giardino.
“Mau…”, rispose la gattina accoccolandosi meglio fra le braccia della dea, che in risposta le grattò il mento.
“Shampoo, dove seiiii?”, urlò Mousse facendo la sua apparizione in cima al muro di casa Tendo. “Rispondi, Shampooooo!”, urlò ancora con le mani a coppa ai lati della bocca.
“Ci mancava quell’orbo di un papero…”, commentò Nabiki sbucando dal salotto e sgranocchiando crackers di riso.
“Shampooooo!”, gridò felice Mousse abbarbicandosi alla vita di Nabiki come una pianta infestante. “Ti ho trovata, finalmente!”
Nabiki addentò un altro craker.
“Se non vuoi che la vera Shampoo sappia che hai abbracciato un’altra, ti conviene darmi 1000¥”.
Mousse restò per un istante impietrito. Ma il tempo di sistemarsi meglio gli occhiali sul naso che aveva già guadagnato la distanza di sicurezza con un balzo all’indietro.
“Tendo Nabiki, non ho tempo da perdere con te! Se sai dov’è Shampoo, dimmelo subito!”.
“Ma certo: 1000¥”, disse Nabiki tendendo una mano. Le vecchie abitudini erano dure a morire.
“Non te ne darò nemmeno uno, dimmi subito dov’è la mia Shampoo!”
“Ci tieni tanto ad averla, Mousse?”, chiese Bastet alzandosi in piedi.
“Mi sembra ovvio… ehm… Akane!”, rispose il cinese dopo aver risistemato gli occhiali sul viso. Da quando in qua la fidanzata di quell’idiota di Saotome faceva domande tanto ovvie?
“Bene, sappi allora che se farai ciò che ti dirò, Shampoo sarà tua. Ma se ti rifiuterai di obbedirmi, resterà una gatta per il resto della vita”.
“Che stai farneticando, Tendo Akane?!”.
“Tu vuoi sposare Shampoo e far ritorno in Cina, non è così? Io posso esaudire il tuo desiderio, far sì che si innamori di te, ma dovrai aiutarmi a sottomettere Ranma. Allora, ci stai?”
Le spesse lenti di Mousse scintillarono al sole rivelando gli acuti occhi smeraldini che c’erano dietro in perfetto stile anime, sì da mostrare l’acume che si celava dietro la facciata da finto tonto.
“Chi sei veramente?”.
Bastet sorrise mostrando i canini pronunciati.
“Colei che realizzerà i tuoi sogni, se mi aiuterai…”
Bene, non si è ancora accorto che Shampoo è fra le braccia della dea, pensò Nabiki. Forse riesco ad alleggerirlo di…
“Ecco la tua Shampoo, come pegno della mia promessa…”, lo incoraggiò Bastet porgendogli la gattina, che subito si acciambellò fra le braccia del cinese in un tripudio di fusa.
“Sha… Sha… Shampoo…”, mormorò basito Mousse con la vista annebbiata dalle lacrime. L’unico contatto che aveva mai avuto con l’amata sotto forma di gatta era stato con le sue unghie…
Nabiki accartocciò di colpo il pacchetto di crakers facendoli volare sbriciolati nell’aria, ma non smise di masticare furiosamente.
“…prendi la decisione giusta, Mousse, e la prossima volta che Shampoo si strofinerà contro di te, lo farà da donna, anziché da gatta”, insinuò Bastet con un sorriso mellifluo. “Allora, cosa mi rispondi?”


“Fermati, ho detto, tanto ti prendoooo!”, urlò Ranma di nuovo tirato a lucido contro un gigantesco sonaglio dorato che galleggiava magicamente nell’aria. “Fermatiiiii! Devo parlarti, è importanteeee!”.
Inconcepibile.
Lui che inseguiva un gatto. Cose dell’altro mondo.
A raccontarlo nessuno ci avrebbe creduto. Nemmeno lui.
Per tutti i kami! Era riuscito a pensare la parola ‘gatto’ senza che il cervello s’inceppasse!
“Ma ti vuoi fermare?! Ti ho trovato moglie, mi sentiiiii?!”
Niente, il sonaglio continuava imperterrito la sua fuga facendo gridare di spavento i passanti, non restava che fermarlo con le cattive.
Ranma afferrò un grosso pescegatto dalla bancarella del vecchio pescatore del capitolo precedente (sì, ovvio che riciccia fuori a cavolo di cane, è una ff, mica ceci!) e ignorando la reazione allergica del proprio corpo nonché lo starnuto incipiente, lo tirò contro il sonaglio volante. Si udì allora un sonoro bonk! mentre un effluvio pestilenziale si spandeva per l’aere. Il sonaglio frenò di colpo e si fermò ad annusare l’aria con un grosso punto interrogativo librato sopra di lui.
Ignorando gli strilli del vecchietto che calava sulla sua testa un pescespada intero, Ranma si avvicinò quatto quatto a Mao Mao Ling mentre si grattava furiosamente la mano che aveva toccato il pesce baffuto e tratteneva il respiro per non starnutire: la bestiaccia pelosa non era ancora fuoriuscita dal suo rifugio tondeggiante, ma volteggiava sul cadavere del pescegatto: il punto interrogativo era appena mutato in uno esclamativo…
“Preso!”, gridò gettandosi a corpo morto sul sonaglio e afferrandolo con braccia e gambe. Il campanello gigante iniziò a rimbalzare sul selciato per staccarselo di dosso e Ranma urtò con la schiena pali della luce, cabine del telefono e muri di recinzione.
“Fermati, maledetto idiota, ti ho trovato moglieeee!”.
Finalmente lo spirito si arrestò e Ranma poté scivolare a terra, più incriccato della volta in cui Akane gli aveva piegato il collo di novanta gradi.
Del fumo fuoriuscì allora dal sonaglio e un gatto gigantesco si materializzò dal nulla, afferrando il codinato per il bavero della casacca.
“Parli sul serio? Bada, se ti stai prendendo gioco di me, io…”
“Uaaaaaaaaaaaaaa! Allontanati subito da meeeeeee!”, gridò un Ranma isterico sparando fiumi di lacrime nell’aria.
Il gattone, sempre più perplesso, lo mollò all’istante neanche tenesse fra le zampe un sacco di rape e tornò nel proprio sonaglio.
“Allora? Vuoi spiegarmi?”, lo incitò dal proprio nascondiglio fluttuante.
Per tutto il tempo che gli occorse a illustrare la situazione, Ranma non cessò un attimo di grattarsi ovunque le sue mani riuscissero ad arrivare.


Quando suonarono alla porta, Bastet ordinò a Kasumi di andare ad aprire e la seguì.
Sulla soglia, un Tofu miracolosamente in possesso delle proprie facoltà mentali ci mise meno di 0,3 secondi a far saltare le connessioni neurali e a fissare Kasumi dagli occhiali traslucidi balbettando fesserie senza senso su un sonaglio volante che gli aveva tagliato la strada inseguito da un tizio vestito come Ranma: era talmente gonfio e rosso in viso che solo dalla casacca aveva dedotto che fosse lui, per questo aveva fatto tardi e bla bla bla, che giornata radiosa, vero? Ha visto che grazioso pensierino mi ha lasciato un piccione su una spalla, Kasumi? E ci ridevano pure sopra…
“Grazie dottore per avermi riportato i contenitori, perché non entra in casa, così le pulisco il kimono?”
“Oh gra… oh gra… oh gra… oh gra… oh gra…”
Peggio di un disco rotto. Bastet rifilò una gomitata alla maggiore delle Tendo.
“Oh… ehm… per caso ha portato anche il collarino di Anubi con sé?”
“…con séééé…”
“Dottoreeee?!”, strepitò Bastet battendo le mani.
“Oh sì, sì, sì, eccolo qua…”, rispose Tofu tirandolo fuori dalla scollatura della veste. “Ecco, tieni Akane”, disse all’appendiabiti.
“Questo lo prendo io!”, intervenne Bastet afferrando il monile.
“…endo io…”
“Andiamo bene… Sorella cara, perché ora non accompagni il dottore al piano di sopra, finché svolazza ancora a un metro da terra totalmente inebetito da te? Sono sicura che pulirai meglio il suo kimono in camera tua…”
“…tua…”
“Ma di sopra non c’è nemmeno il bagno…”
“Tu inizia a spogliarlo e vedrai che la soluzione la trovi…”
“…ovi…”
“E va bene… vuole seguirmi, dottore? Adesso togliamo quella macchiolina…”
“…ina…”
E dateci dentro, mi raccomando! Uhuhuhuhuhuhuh!
Fatto. Il dottorino era sistemato alla grande. Ora, finalmente…
Bastet sgattaiolò in salone, dove un Genma più cilindrico di una botte si stava rimpinzando col cibo che non finiva mai, mentre il padre di Akane ronfava col giornale in mano. E qui, con le mani ben piazzate sui fianchi e lo sguardo perso nell’infinito, esplose in una risata degna di una faina uscita di senno.
“Uahuahuahuhauahuahuahuahuah! Ti tengo in pugno, sacco di pulci! Finalmente sei in mio potereeee!”, gongolò afferrando il collarino di Anubi con tutt’e due le mani e portandoselo a pochi centimetri dal naso. Assunse all’istante il faccino di un gatto puccioso e birichino ed esercitò una lieve pressione…
Crack!
“Muahuahuahuhauahuahuahuahuah! Ora nessuno potrà più evocarti, brutto mangiapiattole, ho vinto, ho vinto, ho vinto!”, strillò zampettando per la stanza con le due metà del collarino in ogni mano.
“Mio profumato fiore del mattino!”
Baset quasi si strozzò con la sua stessa saliva per la sorpresa.
“Mio abbagliante raggio di sole! Mia scintillante goccia di rugiada, dove sei? Il Tuono Blu è qui per salvarti dalle sudice grinfie di quel dannato Saotome! Giammai oserà più avvicinarsi a te, dopo aver assaggiato la furia devastatrice del mio…”
“Per tutti i coccodrilli del Nilo, cos’è questo baccano?!”, strepitò Bastet uscendo in giardino.
“Mia dolce margheritina di campo!”, cinguettò Tatewaki spalancando le braccia e correndole incontro. Un provvidenziale piede della dea affondato in profondità nella sua faccia ne arrestò la corsa. Ma non l’impeto.
Tatewaki si riprese battendo la velocità della luce: abbracciò stretta l’amata con l’impronta del piede ben calcata sul viso e promise solennemente che col suo bokken avrebbe tagliuzzato Ranma in fettine più sottili del sashimi. Il problema è che impiegò tanti di quei giri di parole che Bastet perse il filo del discorso.
“Togliti di dosso, idiota!”, strillò infine la dea affondandogli nella faccia ormai implosa anche un pugno.
“Oh, Tendo Akane…”, farfugliò Kuno, “la tua dolcezza non cesserà mai di incantarmi, la tua timidezza di stupirmi!”
“Nemmeno a me la tua imbecillaggine!”, berciò lei.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahahahahahahahahahaahahahah!”
L’acuta risata fece suonare gli allarmi antifurto di diverse abitazioni dei dintorni e irritò l’udito sopraffino di Bastet, che dovette tapparsi le orecchie finché alla Rosa Nera non mancò il fiato per continuare a ridere come la pazza isterica qual era.
“Incredibile, esiste qualcuno con una risata più sguaiata della mia… E tu che vuoi?!”
Kodachi, dall’alto del muro di recinzione di casa Tendo, le puntò contro uno dei suoi nastri, che ricadde penzoloni nel giardino insieme a una miriade di petali neri.
“Sono venuta per te, Tendo Akane!”
“Ma non mi dire…”
“Non so cosa tu abbia fatto al mio adorato Ranma, ma questa volta hai passato ogni limite! Ti punirò come meriti!”
Bastet si grattò dietro un orecchio.
“Sì, beh, mi piacerebbe giocare con te, ma adesso ho da fare… Kunoooo?”
“Sì, mio radioso e candido giglio dai petali vellutati?”
“Toglimi dai piedi tua sorella”, ordinò Bastet piegandolo con una sola occhiata al suo volere.
“Ciò che tu comandi, mia adorata!”, esultò il Tuono Blu brandendo il suo bokken. “Spiacente per te, sorella, ma infine è giunta la tua ora!”, declamò passandosi una mano nella folta chioma. “Mai più seminerai la tua follia come Ecate semina le stelle nel manto notturno, mai più ti frapporrai tra me e la luce dei miei occhi, mai più…”
“Vuoi darti una mossa, deficiente?!”, gli urlò contro una Bastet che Kodachi, ignorando i deliri del fratello, aveva frattanto avvolto nei suoi nastri come un salame saltando da un muro all’altro del giardino.
“Subito, mia adorata!”, si affrettò a rispondere Tatewaki rinsavendo quel tanto da tagliare i nastri col bokken.
“Dannata gatta morta, ero quasi riuscita a eludere mio fratello!”, gridò la Rosa Nera facendo ruotare nell’aria i monconi dei suoi nastri, così da seppellire Bastet e Kuno sotto una montagna di petali neri che un esercito di domestici non faceva che buttare per aria, mentre un ventilatore gigante li direzionava. “Me la pagherai, sappilo!”, continuò Kodachi fuggendo via. “Tornerò e ti strapperò Ranma una volta per tutte! Aaaaaaaaaaaaaaaahahahahahaahahahahah!”, insisteva saltellando da un tetto all’altro inseguita dal fratello, che teneva il bokken ben alto sopra la testa.
“Fermati, Kodachi! Devo portarti in manicomio!”
Bastet li osservò sparire all’orizzonte sputando i petali neri finiti in bocca.
“In manicomio dovreste finirci entrambi… sput! E dovrebbero buttare via la chiave… sput! Dannati personaggi secondari, non fanno altro che interrompere la trama!”. La dea si scrollò di dosso la montagna di petali che la copriva fino al collo. “Ehi, voi, là dietro! Spegnete quell’affare, ormai se n’è andata! Uff… e adesso, in base al copione, andiamo ad accogliere l’ultimo arrivato… Shampoooo? Dove sei teso…?”
La gattina se ne stava a fare le fusa accoccolata in braccio a Mousse, seduto in veranda e impegnato in un fitto soliloquio: dietro i fondi di bottiglia delle lenti, osservava il cielo fantasticando sul loro ritorno in Cina, su un matrimonio da favola, sui venti figli che avrebbero avuto. Mmmmm… era il caso di liberare Shampoo dall’incantesimo? Ma no, che credesse pure di strusciarsi contro Ranma, tanto per ora non le serviva: poteva occuparsi da sola dell’ennesimo sfigato.
“Sempre che non sbuchino dal nulla altri personaggi secondari fuori luogo…”, mormorò soprappensiero avviandosi verso la strada. “Oh no! Perché l’ho detto?! Speriamo che l’autrice non mi abbia sentito…”


Piccolo, sporco e nero (no, non è Calimero), un Ryoga ridotto alle dimensioni di Pchan arrancava assolutamente a casaccio per le vie di Nerima, benché tanto per cambiare il radar tarato su Akane lo stesse conducendo a sua insaputa proprio dall’amata, che fuori dal cancello di casa Tendo lo aspettava a braccia aperte. Sicché quando la vide – dopo aver rischiato di essere sbranato dai gatti ninja di Mao Mao Ling ed essere incappato in quell’insopportabile vecchietta che pare abitare ovunque e ovunque la troviamo a spargere acqua dal suo mestolo – al piccolo insaccato sembrò di scorgere un’oasi nel deserto: Akane gridava il suo nome col sorriso radioso che riservava solo a quel deficiente di Ranma, circonfusa da un’aureola sfolgorante che manco i santi, da rose che galleggiavano nell’aria neanche fossero di carta e da uccellini che si sgolavano a furia di cantare le lodi dell’amata. Inutile quindi dire che quando gli spalancò le braccia, il piccolo prosciutto con le zampe non capì più niente: partì in quarta e si catapultò letteralmente contro il petto del suo unico, vero amore, beandosi del suo abbraccio e delle carezze dietro la nuca.
Finché non si ritrovò afferrato per la collottola a penzolare nel vuoto un nanosecondo dopo.
“Eccoti, finalmente, sei in ritardo, lo sai?”, gli chiese Bastet leccandosi un canino.
“Squiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!”, strillò disperato Pchan spargendo fontanelle di lacrime dagli occhioni tremolanti e agitando freneticamente le zampine. Inutilmente. Stavolta non sarebbe arrivato quel cretino del suo rivale a salvarlo, era davvero finita: avrebbe fatto un viaggio di sola andata nello stomaco della dolce e inconsapevole Akane, prospettiva che mandò in tilt il cervello già penalizzato di Ryoga. Conseguenza ne fu che il minuscolo maiale svenne.
“Ehi! Non ho intenzione di mangiarti (per ora), mi servi vivo e soprattutto in forma umana!”, sbraitò seccata la dea, che con uno schiocco delle dita fece apparire dal nulla una teiera fumante e la versò addosso a Pchan. Ryoga si ridestò di colpo ma non fece in tempo a meravigliarsi di essere ancora vivo e a vergognarsi di essere come mamma l’aveva fatto: appena sollevò gli occhi su Bastet, fu avvinto dal suo sguardo penetrante e si accasciò, rincretinito più che mai e con un filo di bavetta a un lato della bocca, in mezzo alla strada. Con un nuovo schiocco delle dita, Bastet provvide a fornirgli i consueti abiti, quindi gli ordinò di alzarsi in piedi.
“Bene…”, sussurrò carezzandogli una guancia, “ora che ci sei anche tu, non resta che aspettare il suo ritorno, ma per allora è bene che anche tu, come Mousse, abbia un piccolo vantaggio su di lui…”


*Musichetta della Pantera Rosa on*
Ranma Saotome, mascherina bianca sul viso, si avvicinava furtivo al dojo Tendo stringendo a sé il sonaglio gigante di Mao Mao Ling. In punta di piedi percorreva rasente il perimetro del muro di cinta nel tentativo di catturare qualche rumore, ma tutto era stranamente immoto: un silenzio irreale regnava dall’altra parte, considerando che aveva lasciato Akane a vedersela con Shampoo. Non udiva nemmeno Kasumi canticchiare, o il suo vecchio chiacchierare col signor Tendo mentre giocavano a shoji in veranda. In compenso, voltato l’angolo, si ritrovò davanti a una tale quantità di petali neri sparsi per la via, che avrebbe potuto riempirci dieci cuscini…
Oh no! Ci mancava solo quella svitata di…
Per puro istinto schivò l’affondo che sbriciolò l’intonaco là dove prima era la sua testa e saltò in cima al muretto per poi chiedersi l’affondo di chi aveva evitato, visto che la via era più deserta del Sahara: eppure c’era una presenza lì, anzi due, percepiva chiaramente la loro vicinanza…
Uno spostamento d’aria e Ranma saltò istintivamente all’indietro ritrovandosi in giardino. Qualcosa – anzi due – atterrò davanti a lui, poi più niente, tranne la sensazione di essere circondato. Si strappò dal viso la mascherina bianca per respirare meglio e arretrò di qualche passo per analizzare ciò che percepiva: queste due presenze gli sembravano familiari, avrebbe quasi azzardato che…
Un triplo arpione collegato a una corda sbucò dal nulla diretto verso di lui, ma con un salto rovesciato lo evitò per ritrovarsi a schivare una serie di affondi senza poter rispondere agli attacchi: stringeva tanto il sonaglio di Mao Mao Ling che era lì lì per deformarlo. Atterrò su un piede solo su un masso che delimitava il laghetto e con una spinta compì un balzo all’indietro oltrepassandolo completamente. Tutto taceva…
“Bentornato a casa, tesoro!”
Ranma si voltò di scatto, ma fece appena in tempo a sorprendersi della presenza di Bastet alle sue spalle che si ritrovò legato come un salame: la corda di prima col rampino all’estremità lo avvolse tutto e mentre il sonaglio gli cadeva dalle braccia rotolando fin sotto la casa, qualcosa all’altra estremità della corda lo strattonò facendolo cadere nel laghetto.
Riemerse con un salto cercando di difendersi a suon di calci dall’altro essere invisibile che lo attaccava frontalmente e di cui evitava i pugni solo perché li anticipava per via degli spostamenti d’aria che generavano, ma un nuovo strattone lo fece ripiombare a terra. Riuscì a rialzarsi nonostante il dolore al braccio su cui era atterrato e stava per compiere un nuovo salto, stavolta contro colui che teneva la corda, quando uno dei due avversari riuscì a colpirlo dietro il collo. In un attimo tutto divenne buio e Ranma piombò nell’oblio.

“Ehi, che succede, qui? Sto via solo una settimana e guarda che mi tocca vedere!”
Bastet alzò lo sguardo trionfante da Ranma-chan verso la vocina gracchiante che aveva osato levarsi, mentre davanti a lei Mousse e Ryoga tornavano visibili, il primo tirando forte la sua corda per stringere meglio il rivale finalmente battuto, l’altro – sguardo vacuo – con un piede sulla schiena di Ranma per prevenire un eventuale contrattacco.
La dea aguzzò la vista: un vecchietto in miniatura dagli occhi così grandi da occupare tutta la testa spellacchiata la fissava basito dalla cima del muro di recinzione, stringendo una specie di fagotto gigante legato al collo ma che ricadeva dietro la schiena. Scandagliò i ricordi di Akane e sorrise divertita.
Troppo facile…
“Mousse! Ma che stai facendo?! Dov’è la mia nipotina?”, gridò una mummia abbarbicata a un bastone sempre in cima al muro di cinta. Bastet allargò le braccia spazientita e sbuffò sonoramente.
“Ma è mai possibile che arrivino tutti insieme all’ultimo momento?! E va bene, speriamo siano gli ultimi…”, mormorò fra sé la dea massaggiandosi le tempie.
“Allora, incapace di un papero, che stai combinando? Dov’è Shampoo?”, insistette Obaba piombando in giardino.
“Tua nipote diventerà mia moglie, finalmente ho battuto Ranma!”, affermò orgoglioso Mousse agitando la corda che teneva legata Ran-chan. In quel mentre si udì un miagolio e una gattina rosa sbucò dal nulla per strusciarsi contro le gambe del cinese. Al che la vecchia restrinse le pupille.
“Mmmm… se mia nipote non è sotto un incantesimo, allora io sono una vecchia decrepita…”
Mousse si avvicinò aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Ma tu sei una vecchia decrepita!”
“A chi? Bada a come parli!”, sbraitò Obaba rifilandogli una bastonata sulla zucca.
“Ehi! Sbaglio o Ranma è svenuta? Allora posso palparla!”, s’intromise Happosai saltando dal muretto per lanciarsi a corpo morto sul codinato. “Eccomiiiiiii!”.
“Attacco alla lussuria imperterrita!”, gridò Bastet schioccando le dita.
Una pioggia di tanga e reggiseni di pizzo come Happosai non ne aveva mai visti planò dall’alto dei cieli come una nuvola di piume leggiadre e variopinte, lasciandolo a bocca aperta a pochi passi da Ranma a farsi pian piano seppellire da tanta grazia di Dio. Quando riemerse dal cumulo, pareva un drogato che si era appena iniettato un’overdose.
“Zuccherini… zuccherini di ogni foggia e colore…”, ripeteva preda di un tic nervoso a un occhio.
“Puoi averne quanti ne vuoi, vecchio, di tutti i tipi: culotte, perizomi, baby-doll, corsetti, guepiere, giarrettiere e persino…”, Bastet si arrestò col fiato corto onde aumentare la suspence, “…calze autoreggenti!”.
A quella parola Happosai divenne all’istante un concentrato di libidine allo stato puro: un’aura rossa sfolgorò dal suo corpo rattrappito, il viso trasfigurato da un desiderio dirompente.
“Doveeeee? Dove sonooooo?! A meeeeeeeee!”, ruggì espandendo la propria bramos... aura.
“Eh no, prima devi neutralizzare Obaba!”, protestò Bastet battendo un piede per terra.
Happosai si volse allora verso la vecchia e l’amazzone capì che forse era il caso di tagliare la corda: avrebbe sistemato quello spaventoso ammasso di concupiscenza alla vecchia maniera (con l’Hiryu Shoten Ha, che avete capito?), ma lontano da lì, dove non avrebbero causato danni. Fuggì allora saltando col suo bastone di tetto in tetto inseguita da un Happosai più sbavante di un cane idrofobo. Alé, adesso che anche quei due erano sistemati, poteva finalmen…
“Ranchan! Ma cosa ti è successo?!”.
“Eh no, non è possibile, checcavolo!”, strepitò Bastet voltandosi e battendo ripetutamente un piede per terra furibonda: Ukyo era apparsa dal nulla con l’inseparabile spatola gigante fra le mani e si stava dirigendo allarmata verso il suo futuro schiavo. “Ryoga! Fermala!”
Il giovine con la bandana si volse come un automa verso Ukyo, tese un braccio verso di lei e… premette la mano aperta sul seno della cuoca.
“Non così, idiota…”, si lagnò Bastet schermandosi gli occhi con una mano.
“Cosa fai, pervertito!”, urlò Ukyo che fumava imbarazzo per poi spiattellargli la spatola in piena faccia. Ryoga volò contro il muro di cinta e lì rimase con la testa incastrata fino al collo. Bastet lo liberò con uno schiocco delle dita e un sospiro spazientito, mentre Ukyo si precipitava su un Ranchan sempre svenuto e sempre tenuto legato a mo’ di cotechino. “Non si sveglia, ma che gli avete fatto?!”, strillò la cuoca alzandosi in piedi e brandendo la spatola contro Mousse. “Liberalo subito, avanti!”.
Prima che potesse ribattere, il cinese udì uno schiocco delle dita alle sue spalle e quasi immediatamente vide la spatolona di Ukyo venir strappata dalle mani della proprietaria da una forza invisibile; l’arnese si arrotolò quindi attorno al corpo della ragazza e la immobilizzò nella sua morsa: se tentava di dimenarsi, il manico della spatola si comportava come le spire di un boa.
“Bene, vediamo chi manca…”, disse Bastet mettendosi a contare sulle dita. “Anubi è sistemato, Tofu è sistemato, i fratelli Kuno sono sistemati, Shampoo e sua nonna sono sistemate e così Mousse, Ryoga, Ukyo, Nabiki e Happosai…” Una leggera brezza le scompigliò i capelli e accompagnò la consapevolezza di essere finalmente a un passo dall’ottenere ciò che voleva. Si guardò intorno, titubante, non del tutto sicura che i possibili piantagrane disseminati dall’autrice nel capitolo si fossero esauriti. “Sono finiti? Sono finiti davvero? Uhuh! Uhuhuhuhuh! Ora sarai mio, Ranma, mio per sempre… Muahahahahahahahaahahahahah!”
Bastet era così euforica all’idea di poter finalmente schiavizzare il codinato, che non si accorse che qualcuno era frattanto scivolato sotto la casa e aveva recuperato un certo sonaglio…


Quando riprese i sensi, Ranma si ritrovò a fissare il soffitto della palestra. Fino a lì non ci sarebbe stato niente di strano, peccato si rendesse conto quasi all’istante di essere immobilizzato contro un materasso. Tentò di muovere braccia e gambe, ma a ogni contrazione muscolare le corde si stringevano di rimando, rendendogli difficoltoso persino respirare.
Alzò allora la testa quel tanto da poter vedere il dojo e scoprì con orrore di essere circondato: tutt’attorno a lui c’erano un panda di forma sferoidale che ingurgitava a più non posso cibi di ogni sorta, Nabiki che lo fissava con occhi a forma di monete d’oro, il signor Tendo che sembrava uno zombie, Ryoga che gli faceva degna compagnia, Mousse che sogghignava e teneva Shampoo gatta in braccio grattandole le orecchie e per finire Ukyo, nastro adesivo in bocca e ginocchia a terra, avvinta dalla sua stessa spatola. E, cosa forse peggiore di tutte, un gigantesco fiocco fatto con la corda proprio sopra il suo addome.
E poi lei, dietro di lui: la sua aura era inconfondibile. Ranma inarcò il collo per vederla da sotto in su, benché più che altro vedeva la biancheria di Akane e la teiera fumante che teneva in mano.
“È inutile, tesoro mio: più ti dimeni, più le corde di Mousse si stringeranno attorno a te, stavolta non puoi sfuggirmi”, proferì Bastet inclinando la teiera.
“Dannatissima bestiaccia, ascoltami! Ho trovat… ouch! Scottaaaaaa!”
Un rivo d’acqua calda l’aveva investito in piena faccia facendogli assumere di nuovo le sue forme virili. Neanche il tempo di scuotere la testa, che si ritrovò con un peso sul basso ventre. Riaprì gli occhi e vide ciò che temeva: Bastet che lo cavalcava come la notte in cui cercò di violentarlo. All’idea di cosa potesse avere in mente quella divinità con le vibrisse gli si rizzò il codino.
“Niente di ciò che tu credi, Ranma”, sussurrò la dea sdraiandosi lentamente su di lui e incrociando le mani sotto il mento. Ignorare il seno di Akane che strusciava contro il suo torace gli costò mezzo litro di sudore. Le gambe della fidanzata che si stringevano contro i suoi fianchi lo portò vicino alla disidratazione. “Dal momento che ti ostini a respingermi, sarebbe inutile tentare una terza volta di possederti: non otterrei che un altro fiasco, visto che ti rifiuti di… collaborare. Quindi, ti piegherò alla mia volontà in un altro modo”.
“Ma che… che intenzioni hai?! Dannazione, papà, non stare lì impalato, aiutami!”, invocò ricordandosi di avere un genitore.
Senza smettere di ingozzarsi nemmeno per un decimillesimo di secondo, Genma-panda estrasse il cartello che aveva preparato per l’occasione:

SMETTILA DI FARE IL RITROSO!
DATTI DA FARE E SAREMO SATOLLI
PER IL RESTO DELLA VITA!


“Maledetto idiota! Me la pagherai!”
“Vuoi capire che è tutto inutile? Nessuno ti aiuterà, Ranma: sono tutti corrotti o ipnotizzati o fuori combattimento. Hai. Perso”, sorrise Bastet.
A sentire quella parola, il codinato fumò rabbia dalle orecchie in fiamme.
“Io non ho mai perso in vita mia e non perderò nemmeno stavolta!”, urlò fuori di sé convogliando il proprio qi nelle braccia e riuscendo ad allentare le corde. Stava per liberare una mano quando Bastet schioccò annoiata le dita e le funi si tesero tanto da ferirgli la pelle.
“Cosa credevi di fare, ragazzino?”, chiese sprezzante la dea rimettendosi a sedere sul ventre di Ranma e incrociando le braccia al petto.
“Liberami e te lo faccio vedere!”
“Ran… ma… puoi… farcela… Zitta tu!”, ruggì Bastet. “Come osi intrometterti?! Mi hai stancata e non mi servi nemmeno più, stavolta ti annienterò sul serio!”
“Ferma, non farlo!”, implorò Ranma.
“Vuoi dire che se la risparmierò… tu finalmente cederai? Ran… ma… no… non… E zitta una buona volta! Allora?”
“Io… io…”
Ranma chiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro, abbandonandola sul futon.
“Devo prenderlo per un sì? Beh, sappi che se anche fosse un ‘no’, non cambierebbe nulla…”
“Che?!”, chiese Ranma rialzando il capo.
“Tanto non collaboreresti ugualmente laggiù, per cui… Mousse, portami Shampoo!”
Altro che codino dritto dietro la nuca, ora Ranma aveva tutti i capelli elettrizzati per il terrore: guardò il cinese che si avvicinava col fffffffffffffffffff… in braccio, guardò Bastet, guardò il cinese, guardò Bastet, guardò il cinese e così via sempre più velocemente, sempre più allarmato, sempre più zuppo di sudore.
“Tu-tu-tu…”
“Che sei? Un telefono rotto?”, chiese la dea prendendo Shampoo.
“Tu non ti rendi conto! Se io mi gattizzo…”
“Diventerai perfetto!”, esclamò Bastet spiaccicando Shampoo sulla faccia di Ranma.
Ve lo ricordate il granchiaccio con la coda nel film Alien, vero? Quello che si appiccica al viso tipo ventosa? Ecco, Shampoo fece la stessa cosa con Ranma: arrotolò la coda attorno al suo collo e si aggrappò con le unghie alla sua nuca. Il codinato si dimenò e cercò di urlare. Inutilmente. Bastet tenne premuta la gattina contro la faccia di Ranma, mentre le corde gli stritolavano il corpo a ogni minimo movimento.
Tutt’a un tratto smise di dimenarsi e Bastet capì di dover agire in fretta: Ranma aveva stretto i pugni con tale veemenza e gonfiato tanto i muscoli da iniziare a strappare il cordame.
Finalmente ci siamo!
La dea tirò via Shampoo gettandola lontano e nel medesimo istante le funi che bloccavano Ranma dalla vita in su saltarono una dopo l’altra, il codinato balzò a sedere con occhi di brace emettendo un miagolio inferocito e sollevò una mano contratta ad artiglio. Bastet compì allora un poderoso balzo rovesciato all’indietro ritrovandosi acquattata sul pavimento, pronta a difendersi e a contrattaccare, mentre Ranma… si leccava la faccia da micetto pacioso usando le mani a mo’ di zampe.
“Prau…”
A Bastet cascarono letteralmente le braccia. Il miglior artista marziale del Sol Levante, l’invincibile Saotome Ranma, terrore di demoni e fantasmi… si stava facendo una toletta completa.
Preda di un tic nervoso al sopracciglio sinistro e con un gocciolone formato tanica dietro la testa, Bastet balzò in piedi indignata e con uno schiocco delle dita sciolse il fiocco che teneva bloccato il codinato dalla vita in giù. Immediatamente Ranma si liberò delle corde per grattarsi con foga dietro un orecchio con una delle gambe.
“Ma… no… non può essere… ma che succede?! Dov’è il terrificante guerriero felino dei ricordi di Akane?!”, si chiese al culmine delle sconcerto. “Non posso aver fallito, non è possibile… quiiiii, micio, micio, micio!”, lo chiamò accucciandosi e materializzando dal nulla una piuma di struzzo per poi agitargliela davanti al naso.
Il miglior artista marziale del Sol Levante eccetera eccetera la degnò appena di uno sguardo annoiato, quindi tornò a grattarsi con una goduria indescrivibile.
“Tu… Tu osi ignorarmi?!”, sbraitò la dea. Al che Ranma smise di leccarsi una zamp… una mano e le soffiò contro. Un umano che si credeva un gatto aveva appena soffiato contro la dea dei gatti. L’insulto finale. “Ti sottometterò, Ranma… fosse l’ultima cosa che faccio!”
Bastet gli si lanciò contro sfoderando gli artigli, ma Ranma la evitò con un balzo laterale, ingobbì la schiena e con un cupo e prolungato miagolio le intimò di stargli lontano. Resa sorda a qualsiasi minaccia dalla frustrazione, Bastet lo attaccò con assalti sempre più rapidi sfruttando la forza e l’agilità di Sekhmet e usando le pareti come trampolini, finché Ranma decise di passare al contrattacco. Anziché schivare l’ennesima offensiva, le si lanciò contro nel medesimo istante in cui lo fece lei, sicché le rispettive zucche si scontrarono a mezz’aria in un tripudio di stelline.
“Ahi, che male…”
“Mau?”, fece Ranma osservando la dea che mezza accasciata a terra si massaggiava la testa con una mano. Qualcosa nel suo tono di voce pareva familiare…
“Ra… Ranma?”, chiese Akane fissandolo sorpresa. “Che è successo? Ti sei gattizzato per me?”
“Mau?”, rispose lui avvicinandosi cautamente.
“Oh no! Vieni qui, devo farti tornare normale, su micino, vieni...”, lo invitò la fidanzata spalancando le braccia e sorridendo nonostante la sofferenza.
Ranma la raggiunse solerte e le salì in grembo, sicché lei prese ad accarezzargli la nuca e poi gli afferrò con delicatezza il viso fra le mani.
“…e guardami!”, gli ordinò Bastet incatenando gli occhi nei suoi.
Lo sventurato lo fece.
Ranma rimase congelato fra le mani della dea, che iniziò a ridere sommessamente e ad alzarsi in piedi, inducendo il burattino che teneva in pugno a fare altrettanto.
“Ce l’ho fatta… ce l’ho fatta!”, esultò Bastet allontanandosi di alcuni passi per ammirare la sua opera: Ranma si ergeva in tutta la sua fierezza, emanando un’aura spaventosamente potente e fissandola col penetrante sguardo felino acquisito con la gattizzazione: finalmente era diventato ciò che aveva sempre bramato, un connubio esplosivo di potenza e agilità che lei poteva portare a livelli sublimi.
“Ora vieni avanti, Ranma, e baciami, diventando per sempre il mio schiavo…”
Ranma eseguì, iniziando a ridurre la distanza fra loro.
“Bene, credo sia giunto il momento di intervenire…”
Bastet sgranò gli occhi e si volse irritata oltre ogni dire verso chi aveva osato levare la voce.
“Ma chi…? Nabiki?!”
“Cara Bastet, non sottovalutare l’importanza dei personaggi secondari…”, proferì la secondogenita dei Tendo sollevando il sonaglio che stringeva fra le braccia, sonaglio che non impressionò più di tanto la dea finché da esso non si sprigionò quello che sembrava fumo. Bastet restò basita a guardare il “fumo” aggregarsi per prendere le sembianze del più gigantesco e candido gatto che avesse mai visto… Rimase a bocca aperta a fissare l’esponente felino più puccioso su cui avesse mai posato gli occhi, chiaramente un suo pari, un’altra divinità! E possedeva anche un mega sonaglio! Il cuore le batteva all’impazzata, mentre tutt’intorno al micione svolazzavano i soliti putti che strimpellavano lire tra aiuole in fiore non meno svolazzanti, il tutto stagliato su uno sfondo di un disgustoso rosa confetto.
La celestiale visione s’incrinò tuttavia nel momento stesso in cui la dea si rese conto che il suo pari non la stava osservando con la stessa bramosa intensità, bensì con un’espressione perplessa, come se il suo amore a prima vista non vedesse oltre l’involucro umano che lei occupava…
“Io… ecco… io… sono Mao Mao Ling, lo Spirito del Sonaglio…”, balbettò la soave creatura. “Se davvero sei colei che dicono, vo… vorresti diventare mia moglie…?”
La dea boccheggiava, ormai incapace di respirare. Anche la sua voce era soavemente ultraterrena! Guardò Ranma in avvicinamento a ore 3, guardò il gattone che la fissava coi lucciconi a ore 9, poi di nuovo Ranma che avanzava inesorabile, poi di nuovo il gattone che attendeva trepidante una risposta e si chiese come aveva potuto pensare di abbassarsi a prendersi un umano quale compagno per la vita! Era forse uscita di senno? Il corpo che aveva preso in prestito aveva influenzato certamente le sue decisioni, peggio, era stata sul punto di commettere un errore irreparabile, era ora di abbandonarlo! Anche perché altrimenti in quell’irresistibile sonaglione non ci sarebbe mai entrata…
Nel momento in cui Ranma l’afferrò per la vita, Bastet lasciò il corpo di Akane per gettarsi fra le braccia di Mao Mao Ling, rivelando al cicciuto micione il suo vero aspetto di gatta delle sabbie e insediandosi nella tondeggiante alcova di lui con un sospirato “Sì!”.
Akane ritornò completamente padrona del proprio corpo nell’esatto momento in cui Ranma la stringeva a sé e chinando il viso su quello di lei posava le labbra sulle sue. Rimase allora pietrificata con le mani posate sulle spalle di Ranma, totalmente incapace di connettere le facoltà mentali, nonché di muovere un solo muscolo del corpo appena riacquistato.
Ranma la stava baciando. E del perché non gliene fregava un piffero. Sapeva solo che la stava stringendo fra le braccia con sempre maggior desiderio, avviluppandola in un abbraccio da cui non si sarebbe staccata nemmeno se un terremoto le avesse aperto il pavimento sotto i piedi. Cominciò anzi a rispondere al bacio che si faceva via via più impetuoso chiudendo gli occhi, circondando il collo di Ranma con tutt’e due le braccia, affondando le mani nella sua chioma come lui faceva con la sua.
Ranma, da parte sua, stava lentamente ritrovando il lume della ragione e quando finalmente tutte le luci del lampadario si accesero nella sua testa, si rese conto che non stava affatto sognando. Spalancò gli occhi pur sapendo di rischiare l’arresto cardiaco e iniziò a separarsi cautamente dalle labbra di quella che credeva fosse Bastet, la quale si lasciò sfuggire un gemito di disappunto e riaprì due occhi tanto sbrilluccicosi da accecarlo. Due occhioni che con quelli perfidi di Bastet non avevano nulla a che vedere: lo scrutavano attraverso il velo dell’amore incondizionato, sul punto di permettere a lacrimoni di gioia di rompere gli argini e scorrere giù per le gote in fiamme.
Kami, meno male, non ho baciato Bastet…, pensò felice Ranma tirando un sospiro di sollievo mentale e accennando un mezzo sorriso, …ho baciato AKANE!
L’arresto cerebrale fu immediato. Il codinato trasmutò in un blocco di granito che si spaccò in più punti.
“E bravo Ranma, ce l’hai fatta, finalmente…”, disse Nabiki rompendo un silenzio di tomba mentre riprendeva tutto con l’immancabile videocamera.
Il blocco di granito si sbriciolò in un mucchietto di detriti: diverse paia d’occhi li stavano fissando con le mascelle che toccavano terra. Ryoga, Ukyo, Mousse, Shampoo gatta, suo padre e il signor Tendo sembravano sul punto chi di ridere, chi di scoppiare in lacrime, mentre lui ritornava di carne e sangue per avvampare peggio di un falò ed emettere vapore bollente dalle orecchie come una fumarola.
“NOOOOOOOOO! NON È COME CREDETEEEEEEE!”, urlò sbracciandosi a più non posso. Fatica inutile.
Ryoga si liquefece alla velocità di un cubetto di ghiaccio esposto al sole cocente e sotto forma di laghetto di lacrime scivolò via (per sempre, nelle sue intenzioni).
Shampoo svenne fra le braccia di Mousse, che si mise a saltare per tutto il dojo dalla felicità.
Il signor Tendo esplose in un pianto dirotto correndo ad abbracciare il futuro genero.
Suo padre, senza più cibo davanti al naso, rotolò verso il figlio per congratularsi con lui (e sperando in un pranzo di nozze luculliano).
Ukyo, ripreso possesso della propria spatola, la raddrizzò per poterla ripetutamente calare sulla testaccia traditrice di Ranma fino a deformare l’amato strumento di lavoro, tanto che un codinato pieno di bernoccoli si ritrovò spiaccicato per terra a mo’ di tappetino di mucca mentre Ukyo infieriva su di lui, Soun piangeva a più non posso con un braccio davanti agli occhi (ma tanto le lacrime seguivano come al solito una traiettoria tutta loro, stranamente laterale), Genma si univa alla felicità dell’amico piangendo a calde lacrime e dandogli colpetti su una spalla, Nabiki iniziava a calcolare il costo dell’imminente matrimonio e Akane non osava muoversi dalla posizione che aveva assunto nel momento in cui era tornata in sé, per cui continuava a fissare il soffitto con sguardo trasognato, a cingere il nulla con le braccia e a tenere i piedi sollevati sulle punte.
“Smettetela, maledizione, c’è un equivoco!”, gridò esasperato Ranma riuscendo a rimettersi in piedi. “Bastet mi ha gattizzato e…”
“È inutile che ci provi, Ranma”, lo interruppe Nabiki sollevando gli occhi dalla calcolatrice. “Non stavi né miagolando, né facendo le fusa, né altre cose da gatto, mentre baciavi Akane. Eri te stesso, ti abbiamo visto tutti”.
Fregato.
“Ma sul serio pensate che avrei baciato Akane e oltretutto davanti a voi?!”
Ukyo, che non smetteva di colpirlo in testa gridando all’infedele, si bloccò di punto in bianco, dubbiosa. Soun smise di espellere liquidi corporei e Mousse di zompettare per la stanza, congelato nell’attimo in cui stava per compiere un nuovo salto. Al che Nabiki intervenne prontamente:
“L’hai appena fatto, visto che Bastet è lì dentro che si diverte con Mao Mao Ling”, disse indicando il sonaglio gigante che galleggiava nell’aria in modo scoordinato sbattendo contro le pareti del dojo: dal suo interno miagolii e sospiri fecero calare nella palestra un silenzio imbarazzante finché il campanello non uscì in giardino e non scomparve oltre il muro di cinta. “Quando la dea è uscita dal corpo di Akane, tutti coloro che aveva ipnotizzato sono rinsaviti, tutti gli incantesimi che aveva fatto sono svaniti, quindi non puoi che aver baciato Akane di tua volontà”.
Non faceva una dannata grinza.
Ukyo gli diede una spatolata tale da mandarlo a sfondare la parete di fronte, per poi fuggire via lasciando una scia di lacrime, Soun riprese a frignare più di prima, Genma a sognare il pranzo di nozze e Mousse a uscire da quella palestra prima che quell’idiota di Saotome avesse qualcosa da ribattere e mandasse tutto all’aria.
Era fregato su tutta la linea, non c’era scampo. Scastrandosi dalla parete del dojo, doveva ammettere che non poteva dimostrare di essere stato manovrato da Bastet, non davanti a tanti testimoni. Stavolta nemmeno la leggendaria ‘Tecnica Saotome della negazione dell’evidenza a tutti i costi’ avrebbe funzionato. E poi Akane era così carina, tutta rossa e trasognante…
“Sorellinaaa?”, la chiamò Nabiki schioccando più volte le dita. “Su, torna sulla Terra!”
“Uh? Oh?”, rispose Akane ripiombando effettivamente nel dojo e guardandosi intorno. Quando scorse Ranma e la sua corona di bernoccoli da Guinness dei primati, si fermò estasiata.
“Ho capito, togliamo il disturbo, tanto il meglio l’ho già ripreso…”, osservò Nabiki con un sorrisetto sornione. “Papà, signor Genma, c’è un matrimonio da organizzare, andiamo in sala da pranzo a definire i dettagli...”
“Buaaaaaa! La mia bambina si sposaaaaaa!”, continuò a piagnucolare Soun sostenuto dal suo miglior amico.
“Esatto, papà. E io dico che prima il matrimonio sarà celebrato meglio è, che ne dici di domani pomeriggio? Giusto il tempo di dare una ripulita e allestire il dojo…”
“Domani?! Ma non sarà un po’ prestino?”
“Affatto, non alla velocità con cui questi due cambiano idea e i loro nemici tramano per impedire il lieto fine, meglio battere il ferro finché sono ancora entrambi nella fase: ho appena ammesso/a con me stesso/a di amarlo/a alla follia, non posso vivere senza di lui/lei, dammi retta, cogliamo l’occasione al volo”.
Ranma e Akane non fecero obiezioni: erano troppo occupati a fissarsi come se non si fossero mai visti. Del resto quella gattaccia di Bastet aveva confessato a ognuno cosa provasse l’altro, per cui continuare a negare l’evidenza – dopo il bacio, poi – appariva leggermente ostico. Tentarono più di una volta di dire qualcosa, ma appena aprivano bocca arrossivano e abbassavano gli occhi.
“E-ehm… so… sono felice c-che… s-sei to-tornata in t-te…”, balbettò Ranma fissando le punte dei propri indici che si toccavano.
“Ah… ehm… grazie…”, rispose Akane fissandosi invece i piedi.
Silenzio da camposanto.
“MALEDETTA BASTET! DOVE SONO FINITI MASCHERA E SARCOFAGO?! E ORA COSA METTO AL MIO FUNERALE?!”
Akane e Ranma trasecolarono al ruggito di Nabiki, che diede alla terzogenita dei Tendo l’opportunità di ringraziare Ranma per tutto ciò che aveva fatto per lei.
“Hai visto che alla fine avevo ragione io? Tu non eri in grado di salvarmi…”, disse d’un fiato scrutandolo di sottecchi.
“Ehhh? Come?!”, chiese Ranma indignato.
“Insomma, Bastet non ha certo lasciato il mio corpo per merito tuo…”
“E con ciò? Sono stato io ad aver portato qui il sonaglio, sai quanto mi è costato? Sono entrato nientemeno che nel Tempio dei Gatti! E ho dovuto inseguire Mao Mao Ling! Io!”
“Sul serio? L’hai fatto per me…?”, chiese Akane tra il rapimento e la felicità.
“B-beh, ecco… s-sì, mi pare ovvio, cioè, non volevo diventare, ecco, lo schiav…”
Non diventò un pezzo di marmo quando Akane lo abbracciò di slancio e sussurrò un grazie che presagiva un imminente straripamento di lacrime, ma ci andò comunque vicino, perché si mise pure lui a fissare trasognato il soffitto e a deglutire a vuoto. Cercò anche di abbracciarla a sua volta, ma le braccia rimasero pesi morti.
“N-non c’è di che…”

EPILOGO



“Su, dì ahhhhh…”, incitò Akane cercando di infilare in bocca a Ranma il riso che lei aveva cucinato per colazione, visto che Kasumi canticchiava in cucina col cervello fra le nuvole senza combinare un accidenti.
“Sul serio, non ho fame!”, protestò Ranma cercando di evitare le bacchette di Akane.
“Avanti, sorellina, non vorrai avvelenarlo proprio il giorno delle vostre nozze!”, chiese Nabiki sbonconcellando le verdure in salamoia mentre leggeva un manga. “È quella gattaccia di Bastet, che dovresti imboccare, visto che si è ripresa il prezzo del mio silenzio!”
“Non l’avete nemmeno assaggiato, come fate a dire che è cattivo?”
“Forse perché è nero?”, osservò noncurante la sorella sfogliando una pagina.
“Va bene, mi è venuto un po’ croccante e con ciò?”
“Con ciò vorremmo evitare di morire!”, sbraitò Ranma.
“Cosa vorresti dire?!”, inveì Akane a muso duro.
“Fermati, Kodachi, devo impartirti la lezione che meriti!”
L’inconfondibile voce di Tatewaki indusse i due fidanzati a voltarsi basiti in direzione del Tuono Blu, che stava saltando di tetto in tetto, bokken in pugno, all’inseguimento della sorella, che manco a dirlo rideva a crepapelle facendo piroette, ruotando i suoi nastri e spargendo petali.
“Non mi prenderai mai! Toglierò di mezzo Tendo Akane e Ranma sarà mio, uahahahahaahahahahah!”
Mentre ancora fissavano a bocca aperta i fratelli Kuno che sparivano all’orizzonte, Akane ficcò le proprie bacchette col riso abbrustolito in bocca a Ranma, che deglutì e poi si portò la mani alla gola cadendo sul tatami in preda alle convulsioni.
“Ranma! Oh no, che gli prende?!”
“Che ti avevo detto? Corri a prendere un lassativo, altrimenti la prima notte di nozze la passi a contare le pecore…”
Mentre Akane correva in cucina con una foga che sorprese persino Nabiki, la suddetta si sporse dal tavolo in direzione di Ranma, che si teneva la pancia sudando peggio che in una sauna.
“Lo sai, vero, che sarà così per il resto della tua vita?”
“Non farmici… pensare! Potevamo restare fidanzati… per altri vent’anni… io avrei fortificato abbastanza lo stomaco… da sopportare… le sue schifezze! Invece… per colpa di quella bestiaccia… morirò giovane!”
“Non fare scherzi: ho scommesso che resisterai almeno un anno, il tempo di mettere in cantiere un erede…”
Ranma rigurgitò il riso per lo shock e riuscì a rimettersi a sedere.
“Bastet, tu sia maledetta… se ti ribecco…”
“Ecco il lassativo, Ranma, prendi!”, annunciò Akane entrando di corsa nella sala da pranzo.
“Ferma, non c’è più bisog… troppo tardi”, sospirò Nabiki tornando a leggere il suo fumetto, mentre la sorella ficcava in bocca al fidanzato un cucchiaio da cui colava una sostanza nauseabonda.
Ranma rantolò peggio di prima sul pavimento e poi fuggì a razzo verso il bagno, mentre Akane guardava perplessa la sorella chiedendole dove avesse sbagliato stavolta, per poi mettersi all’inseguimento del futuro marito al grido di: “Ranma aspettamiiii!”.
Nabiki sospirò di nuovo scuotendo la testa: sarebbe stata una giornata campale.
“Marito e moglie… io non ce li vedo proprio. E voi?”







Ragazzi, è finita, non ci voglio credere, sono così triste! ç____ç Per fortuna ho un’altra ff cui dedicarmi e prima che me lo chiediate, no, non ho intenzione di dedicarmi ad altro all’infuori di NRSU e delle storie originali (sì, sono cocciuta, prima o poi tirerò fuori qualcosa di decente), a meno di improvvisi e folgoranti ispirazioni, ma non contateci. ^_-
Bene, grazie per avermi stoicamente seguito sino alla fine, spero il cap vi sia piaciuto, mi raccomando fatemi sapere che ne pensate, non lasciatemi col dubbio di aver scritto una scemenza! ^^;; XDDDD
Buon Natale e felice anno nuovo a tutti coloro che leggeranno, hasta la vista! ^___^

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