A Wood in The Dark di AlexysBlack (/viewuser.php?uid=144293)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Symphony of Destruction. ***
Capitolo 2: *** Angels Fall First. ***
Capitolo 3: *** Wave of Anguish ***
Capitolo 4: *** Veins Of Glass ***
Capitolo 5: *** Heir of a Dying Day ***
Capitolo 1 *** Symphony of Destruction. ***
Monster;
Dedicata a Simply, che ha amato
Lei forse più di me.
E ti ringrazio
così, con una modifica e un nuovo episodio,
sperando di non aver
tradito l'idea di Lei che ti eri fatta.
Symphony
of Destruction
Correva
ancora la preda dell'oscurità, senza rendersi conto che
così facendo incrementava solamente la sete del
cacciatore.
La
scia del suo profumo succulento era facile da seguire, in un posto
come quello, che il cacciatore conosceva come le proprie tasche.
Un
bosco di notte è forse il posto peggiore per fuggire.
Un
bosco di notte è forse il posto peggiore per dimenticare.
Ma
il cacciatore, per quanto potesse apparire mostruoso, con i denti
aguzzi e la fame di un cibo che il suo corpo non avrebbe potuto
ingerire, sapeva quanto si stesse illudendo.
Per
quanto il sangue di una preda potesse essere analgesico ed
anestetizzante non faceva dimenticare davvero.
Non
lo aveva fatto per centoquarantacinque anni, e continuava a non farlo.
Soprattutto
da quando quella voce contuava a ricordargli quanto dimenticare fosse
impossibile, soprattutto attraverso il sangue di persone innocenti.
Eppure, nonostante la coscienza gli urlasse di interrompersi, il
cacciatore voleva ancora sentire la sinfonia di una
vita spezzata, per
l'ennesima ultima volta e adesso,
con i canini affondati nel collo purpureo
di una ragazzina di diciassette anni, con il sangue dolce, puro, e
delizioso, lui non faceva che ricordare.
E
ricordare, risvegliava quella voce, che si materializzava magicamente
nella propria testa.
Un
ritmo martellante, come quello del cuore della giovane che ora, solo
dopo il secondo sorso, andava affievolendosi.
Si
staccò dunque dal collo della propria preda,il cacciatore,
il senso di colpa ad
attanagliarlo.
Ma
non per la ragazza in se', che ora stava manipolando con la mente, e
che si stava lentamente riprendendo dallo shock subito.
Il
senso di colpa era per la voce, quella che da un po' di tempo lo faceva
rinsavire dal suo essere mostruoso.
Si
ripulì la bocca con il dorso della mano, il cacciatore,
camminando avanti ed indietro davanti allo sguardo non più
atterrito della ragazza.
"Hai
intenzione di uccidermi." La voce della allettante preda dai capelli
ricci richiamò la sua attenzione.
Non
era stata una domanda, la sua. Inclinò la testa nella notte,
Damon Salvatore, di fronte ad una frase che non si sarebbe aspettato.
Di
solito lo dicevano con atonia, e non lo dicevano e basta, ma lo
chiedevano, come se lui all'improvviso potesse decidere di smettere di
essere ciò che era. Lo
chiedevano come se a lui potesse importare di qualcosa.
A
lui che era senza cuore, senza anima, senza vita.
La
ragazza sanguinava ancora dal collo, ma lievemente, niente di
eccessivamente traumatico.
Lui
aveva
bisogno di distrarsi un po', e la riccia gli era sembrata adatta
ad un tipo di distrazione che non fosse puramente fisico. E forse ci
aveva preso. "La
rassegnazione non è molto saporita", commentò il
suo carnefice, guardandola di sbieco.
Sapeva
benissimo cosa lui fosse ancor prima che le ordinasse di correre.
Sapeva
benissimo cosa le sarebbe accaduto ancor prima di incontrare i suoi
canini.
Sapeva
benissimo cosa non le sarebbe accaduto: salvarsi.
"Non
ho paura di te."
Damon
si avvicinò alla ragazza: aveva dei lineamenti piacevoli,
era formosa, non una di quelle anoressiche che sanno solo di alcool e
droga, insomma. Lei
sapeva di cibo.
Di vino pregiato, invecchiato. Di bourbon di
ottima qualità.
E
per Damon Salvatore quella era una qualità niente male.
"Forse dovrei fartela provare, allora."
Ma
la ragazza provò comunque a stare al suo gioco, ormai era
spacciata. E dopotutto, era pervasa dalla sensazione di conoscere
quell'individuo della notte. "Forse
potresti scegliere un'altra cena."
Il
cacciatore ghignò. "Forse dovrei ordinarti di tacere."
"Forse
dovresti semplicemente uccidermi e smetterla di giocare al gatto
e al topo. Non sarei in grado di correre oltre", commentò la
giovane tossendo e posando le mani sulle ginocchia. Il non muoversi le
bloccava i piedi, non tutto il corpo.
Lui
le si precipitò davanti in un millesimo di secondo, o forse
anche meno, non seppe dirlo con certezza. "Avresti dovuto tenerti in
forma, allora." Disse lui alzandole il viso per il mento usando solo
due dita. "Senti, se devi mangiarmi abbi almeno la gentilezza di non
commentare il mio stato fisico", rispose lei guardando a
forza
gli occhi cerulei di lui.
Vi
lesse un po' di tutto, dalla fame, alla rabbia, alla frustrazione, a
qualcosa che non seppe nemmeno lei decifrare. "Ma probabilmente
é più facile criticare me che farlo con te
stesso."
Cosa
impedì a Damon Salvatore di uccidere quella ragazza, in
quell'esatto momento, fu forse quella frase.
Quella
frase che gli ricordava quella voce, quelle labbra a pronunciarla,
quegli occhi a mimarla.
Quella
frase che gli ricordava Elena.
Se
si trovava lì era a causa sua, di Elena. Perché
il
dubbio, l'incertezza, la fragilità dei suoi sentimenti verso
di
lui lo rendevano pazzo.
Perché
lei, in fondo, non poteva amarlo. Eppure in ogni gesto,
in ogni schiaffo, in ogni frecciatina, in ogni sguardo furente, Damon
vedeva un riflesso di ciò che provava lui nei suoi
confronti.
Elena,
quell'aroma agrodolce che penetra nelle narici, fino a rimanere
intrappolato sottopelle, sempre presente.
Costante
assenza che lo riporta sempre alla sua umanità perduta, alla
sua
vita perduta.
"Come
ti chiami?" Chiese lui, cercando di non domandarsi se in quel
momento Elena gli stesse pensando, se si stesse chiedendo chi sarebbe
morto per mano sua. "Davvero
ti importa?" Damon
sorrise, mordendosi un polso, ancora indeciso sul da farsi. Voleva
farla guarire, ma non voleva trasformarla. Voleva
berla, ma non voleva ucciderla.
"A
dire la verità no. Ma era così, tanto per fare
conversazione."
La
ragazza dai capelli castano rossicci sospirò. Il collo le
doleva terribilmente. Le gambe le dolevano terribilmente. Il fiato era
troppo corto.
Odiava
il suo corpo e quello che il vampiro -ancora stentava a
crederci- le aveva fatto. "Sono Arwen. E sì, mi hanno
chiamato
così per l'elfa del Signore degli Anelli. E sì,
dispiace
anche a me di non somigliarle fisicamente." Incrociò le
braccia
al petto, Arwen, scocciata. "Mi fa male tutto."
Damon
le fu di fronte, e si rese conto che gli occhi della ragazza
dovevano essere verdi, ma non verde bottiglia, di un verde sporco,
impuro.
"Vuoi
che ti uccida?" Chiese, accarezzandole una guancia morbida, intenerito
da quella ragazza così spigolosa.
Arwen
ci pensò su. Era in fuga anche prima di incontrare il
vampiro, anche se al momento le risultava faticoso ricordare in quali
circostanze l'incontro fosse avvenuto.
Era
in fuga da un luogo che voleva troppo da lei, un luogo che la avrebbe
solo portata all'auto-distruzione.
E
grazie a quella cosa strana che lui le aveva detto prima, e che lei
riteneva come la propria verità, non voleva muoversi da
lì; non voleva scappare, ma nemmeno restare. Voleva
che tutto terminasse, ma non era certa che fosse perchè
non volesse morire. La sua vita non era poi questo gran ché,
e forse la morte sarebbe stata utile. Indecisa, si convinse a rigirare
la frittata: aveva la sensazione di conoscere quel vampiro da sempre,
dall'infanzia che le era stata rubata troppo precocemente, e questo la
portava a fidarsi più di un assassino che si se' stessa.
"Non
voglio sentire dolore, e voglio che finisca questa cosa. Ma la
morte...sul fatto di morire non lo so. Dovresti saperlo tu, se vuoi
uccidermi o no." Ma
Damon in realtà era nuovamente di fronte allo stesso
dilemma. Ucciderla o non ucciderla?
Sentiva
il suo profumo, aveva il suo sapore sulle labbra, non poteva vivere
senza nutrirsi di lei.
La
voce tornò prepotente, ricordandogli che c'era un altro
modo,
che poteva cambiare, che
poteva essere quell'uomo migliore, Damon.
In
realtà, ciò a cui non poteva rinunciare, non era
il sangue umano.
Era
Elena.
Era
la consapevolezza di non poter essere in un certo modo a spingerlo
a comportarsi come sempre, perchè se avesse provato ma
avesse
fallito sarebbe stato orribile.
Perché
se solo avesse dato la prova definitiva alla ragazza che
lui era quell'uomo migliore, forse lei lo avrebbe amato, e lui avrebbe
ottenuto un pizzico di quella felicità che da un secolo e
mezzo
agognava.
Ma
è sempre stato un po' masochista, Damon, fin da piccolo.
E
infatti si era innamorato sempre della donna sbagliata, perché
in fondo amava soffrire e amava ancor di più
rinchiudersi dentro una gabbia di solitudine che
non
sopportava. Arwen
lo guardava ancora con quell'aria innocente, e lui aveva deciso.
Le
pupille si contrassero, e lei fu soggetta nuovamente al suo volere.
Elena
tornava da casa Salvatore, dopo una seratina romantica con Stefan
che era finita col litigare riguardo la dieta del fratello, cosa che
accadeva ormai sempre più di frequente. Una strana
sensazione
l'aveva attanagliata quando ai limitari del bosco aveva notato una
macchina con i fari accesi e nessuno dentro. Una forza, un legame la
spinse a rallentare esaminando la situazione: tutto di quel luogo le
puzzava di pericolo all'eucalipto. Era
come se l'aura pericolosa di Damon avesse lasciato una traccia, era
come se qualcuno la stesse chiamando.
Un
brivido la percorse, quando si rese conto di invidiare -in parte-
quella preda (certamente una ragazzina).
Ed
accostò, Elena, afferrò dalla borsa la pistola
con dei
proiettili alla verbena o qualcosa di simile che le
aveva dato Stefan e si avviò dentro il bosco seguendo la
scia di una conoscenza onirica non ben definita.
Stefan
le aveva spiegato in lungo e in largo come funzionasse e come lui e
Alaric l'avessero costruita, ma Elena si accorse presto di non
ricordare
assolutamente nulla di quella conversazione. Era
stata per tutta la serata assente finché non si era parlato
di lui, il mostro che ora -nel mezzo del bosco- stava al centro di una
radura, tenendo per le spalle una ragazza che stava immobile a fissarlo.
Damon.
Damon.
Damon.
Aveva
sperato che lui la percepisse, e la smettesse di fare quello che stava
facendo.
Poteva
immaginare le sue mani sporche di sangue.
Poteva
immaginare le sue labbra sporche di sangue.
Poteva
immaginare il suo vampiro svegliarsi, uccidendo l'uomo.
Poteva
immaginare il suo piano assassino prendere forma.
E
mentre premeva il grilletto di quell'arma sconosciuta che non lo
avrebbe ucciso, sentì un altro tassello del loro
rapporto
sgretolarsi.
Ma
avrebbe salvato la ragazza.
Perché
Elena non avrebbe sopportato vederlo uccidere nuovamente, non sapendo
quanto a lui
costasse poi guardarla negli occhi.
E
non avrebbe rinunciato ai suoi occhi nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Damon
aveva sentito un battito cardiaco avvicinarsi, e dei passi, un respiro,
e un profumo a lui ben noti.
Ma
doveva finire ciò che aveva cominciato, e così,
nonostante lo scoppio, aveva terminato la sua opera.
Poi
aveva sentito un urlo, un urlo di Elena, e poi dolore.
Prima
era stato solo un foro, poi qualcosa gli si era aperto dentro,
lasciando che un liquido bruciante gli si diffondesse direttamente
nelle vene.
Verbena.
Elena. Arwen. Verbena.
Elena.
I
suoi pensieri erano confusi, ed ora lui ed Arwen urlavano insieme e lui
si
contorceva, aspettando che il bruciore si fermasse mentre il veleno
continuava a diffondersi, facendo ardere ogni sua terminazione nervosa. E
poi ad urlare fu Elena, che vide la ragazza
abbassarsi verso Damon, come se non le avesse mai fatto del male. La
luce della luna splendeva su di loro.
"Vattene,
Arwen. Prima che cambi idea." Grugnì contorcendosi il
vampiro, ma guardandola fissa negli occhi. Le pupille gli si strinsero
di nuovo, e lei andò via, scivolando lontana da quel luogo
di distruzione.
Elena
corse da Damon senza esitazione, lanciando uno sguardo furtivo a quella
ragazza. Qualcosa di lei le parlò di loro due, e fu scossa
per un attimo da una stranza sensazione. "Potrai
mai dimenticare quello che ho appena fatto?"
Elena
aveva lasciato cadere la pistola fumante chissà dove,
prendendo il corpo del vampiro fra le braccia e cullandolo.
Non
ricordava che Stefan le avesse detto che avrebbe fatto così
male ad un vampiro.
Non
ricordava che Stefan le avesse detto nulla.
Anzi,
non ricordava affatto Stefan.
"Potremo
mai fuggire da questa situazione?"
Soffiò
il vampiro, lasciandosi cullare, mentre una strana sensazione lo
avvolse, e capì che forse un rapporto per iniziare deve
prima distruggersi.
Elena
si abbassò sul volto di lui, baciandolo con ardore, sentendo
forse un retrogusto di sangue nella sua bocca.
Ma
un bosco di notte è forse il posto peggiore per fuggire.
Un
bosco di notte è forse il posto peggiore per dimenticare.
Angolo
"Autrice":
Rieccomi
con una nuova creazione,
sperando che vi sia piaciuta (:
In
tutta onestà ho solo modificato la Shot pre-esistente, per
adeguarla al "seguito" (che chissà se sarò in
grado di protrarre xD) che troverete fra poco. Non molto letta ed
apprezzata, l'ho riadattata e semplificata, cambiando leggermente lo
stile e le parole usate.
Il titolo è quello di una canzone dei Nightwish, "Symphony
of Destruction", e ogni capitolo avrà il titolo di una
canzone.
Scusate
se sono incredibilmente prolissa, non lo faccio
volontariamente: sono le parole che vengono fuori in questo modo! xD
Simply,
è tutto merito tuo. Ho peggiorato la situazione? O
è carina comunque? Dovevo modificarla un po', sai, causa di
forza maggiore...
Per ora l'ispirazione c'è, e il seguito anche, quindi...beh,
spero davvero che vi piaccia.
Arwen è la mia piccola creatura, non distruggetela, please (:
Consigli, critiche, insulti...sono tutti comunque graditi, davvero!
Commentate, dai! So che in fondo in fondo lo volete... (o
almeno lo spero xD).
Bene, detto ciò, ci rileggiamo (WTF?! xD) presto!
Il titolo del prossimo capitolo è "Angels Falls First",
canzone e album ancora dei Nightwish.
Spero di ritrovarvi "numerosi" (:
-Alexys-
P.S.:Simply, piaciuta la cioccolata? xD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Angels Fall First. ***
Angels Fall First
Angels Fall First
Quando Elena e
Damon erano tornati a casa dopo l'incidente della
pistola alla verbena -che nessuno dei due si era preoccupato di
cercare- si erano sentiti strani, diversi.
E non solo
perché erano rimasti in quel bosco per ore, a
baciarsi in silenzio, rispettando il sacrificio di una ragazza
sconosciuta come una liturgia sacra.
Le loro
sensazioni erano come amplificate ma avvolte da una nebbiolina
leggiadra e beffarda che non permetteva loro di comprendere
ciò
che intorno a loro era accaduto.
Una volta
seduta sul divano di pelle di casa Salvatore, dopo essersi
sfiorata le labbra gonfie ed arrossate in un gesto sonnambulo e dolce,
Elena ripensò a quella ragazza.
Ripensò
al sapore del suo sangue sulla lingua di Damon e al fatto che lui
l'aveva lasciata andare.
"Non sono
sicura di quello che ho visto stanotte", disse Elena immobilizzata dal
fuoco glaciale che le ardeva sottopelle.
Il vampiro
alle sue spalle armeggiava con la bottiglia di bourbon e due bicchieri
di cristallo intarsiato.
"Non posso
essere io a dirti ciò che hai visto, perché non
ho idea di ciò che vuoi aver visto."
Elena rimase
di sasso a fissare il fuoco scoppiettante e pensò
che i capelli rossi di quella ragazzina erano molto simili a delle
lingue brucianti che cambiavano forma a seconda del vento. "Voglio
essermi sbagliata. Voglio che la tua bocca non abbia avuto uno strano
sapore di sangue quando ti ho baciato. Voglio che che tu mi dica che
non hai risparmiato quella ragazza per me."
Damon le
arrivò di fronte, ombra stagliata alla luce, e le porse
il bicchiere ricolmo di whiskey, bevendo un sorso dal proprio.
"Spiacente, ma non ti sei sbagliata. Stavo per ucciderla. La mia bocca
sapeva del suo sangue perché ne ho bevuto un po'. Ed
è
solo merito tuo se l'ho salvata, ma non perché sei
arrivata."
Elena alzò lo sguardo, sperando di incontrare gli occhi per
cui
aveva messo a repentaglio la vita del vampiro. "L'ho fatto per le tue
parole, per quello che mi chiedi, per colui che potrei diventare.
Quello che hai visto era un cacciatore che liberava la sua preda." La
ragazza svuotò il bicchiere in pochi secondi, senza smettere
di
guardare il volto di Damon, e mentre lui continuava a parlare lei si
alzava andandogli incontro. "Ma sempre di un cacciatore si tratta, e questo non posso cambiarlo."
Fra un
peccatore ed un santo fa sicuramente più scalpore quando
è il santo a peccare, piuttosto che quando è il
peccatore
a comportarsi da beato.
Perché
è quando sono gli angeli a cadere, che tutto il mondo si
ferma a guardarli.
E quella sera,
davanti alle fiamme dei capelli di un agnello sacrificale, fu l'angelo
a rinunciare alle sue ali.
Arwen aveva
iniziato a correre senza sapere perché, con il solo scopo di
salvarsi la vita.
Il suo corpo
pareva rallentato da qualcosa, una stanchezza innaturale e un gocciolio
lieve al collo.
Due persone le
stavano alle spalle, ma lei non aveva il permesso di
guardare e si disse che in realtà non aveva alcuna voglia di
farlo. Rallentò il ritmo mentre le due figure dietro di
sè si fondevano in una sola macchia scura, e qualcosa la
fece
sorridere, un tacito ringraziamento onorevole e rispettoso che le
infuse calma e decisione. Inciampò come al suo solito contro
qualcosa di caldo ed affusolato, e senza porsi ulteriori domande
raccolse l'oggetto: una pistola.
Improvvisamente
ricominciò a correre, sempre più veloce e
sempre più dolorante, un cerchio alla testa e degli strani
fotogrammi a scorrerle nella testa. Una mano tremante che preme un
grilletto, un urlo straziante, una mano
dolce e assassina, occhi angelici come il cielo e denti
aguzzi
come la morte. Un brivido la scosse fin nelle profondità
dell'anima mentre si
avvicinava alla macchina e perdeva inesorabilmente il senso dello
spazio e del tempo.
Una notte di
morsi scese su di lei, preda inconsapevole del destino.
La notte porta
consiglio, così si dice a questo mondo. A volte,
invece, è proprio la notte a confondere, e questo era
accaduto a
Mystic Falls.
Stella del
Vespro* aprì gli occhi in un luogo sconosciuto, circondata
dal
calore tipico dei piumoni delle nonne o delle zie grasse che strizzano
le guance quando vi rivedono dopo tanto tempo. Una luce diffusa e tenue
le accarezzò la vista, accogliendola nella stanza di una
nipotina amata, con tanto di libri, peluches e odore di candele appena
accese.
In effetti,
sul comodino accanto al letto, vi erano tre candele bianche
che sprigionavano un profumo dolce, probabilmente alla vaniglia.
"Sapevo che ti
saresti svegliata", la voce proveniva da un angolino
buio cigolante, e solo quando il ritmo della sedia a dondolo si
interruppe Arwen si rese conto che a rendere accogliente il luogo era
proprio quello scandire l'inconscienza attuato dalla donna che ora si
era alzata e che si sedette sul bordo del letto, posandole una mano
sulla fronte.
Qualcosa in
quel gesto la fece rabbrividire, forse la troppa sicurezza
che infondeva, oppure semplicemente per la temperatura anomala e fredda
della donna.
"Dove sono?"
Domandò Arwen, cercando di leggere il viso rugoso
della vecchina dalle mani rugosa che le sedeva accanto: anche l'aria,
lì dentro, le apparve rugosa.
La donna
sorrise bonariamente, prendendo una candela e mettendola vicino al
volto della ragazza.
"Ti trovi a
Waterhill, cara, il paese confinante con Mystic Falls.
Tornavo a casa dalla passeggiatina serale vicino al bosco con Ellie, la
mia cagnolona, e ti ho vista accasciata accanto ad una macchina."
Arwen si
chiese come fosse riuscita una signora tanto anziana a
trasportarla per un tragitto tale, saranno state almeno otto miglia, ma
pensò che forse la aveva caricata in macchina e portata a
casa
sua in quel modo. "La ringrazio molto. E' un piacere conoscerla,
signora..."
"Chiamami pure
Gwendolyn, cara. Sono felice che ti sia ripresa, eri così
sporca di sangue!"
Arwen si
guardò il petto, notando solo ora che indossava una
camicia da notte color rosa pallido, decisamente troppo larga per lei e
non di
sua proprietà.
"Oh...", disse
stupita la ragazza, trovando qualcosa di decisamente
strano in quella amabile vecchina. Prima di presentarsi, Arwen ebbe
paura che Gwendolyn potesse trasformarsi nella strega cattiva e
bellissima di una favola, ma non vedendo nulla di simile le porse una
mano. "Io sono Arwen, comunque."
La donna
bofonchiò qualcosa di simile ad un "lo so, cara", e
scomparve per lasciarla cambiare.
La ragazza
uscì dal letto, e vagando nella camera piccola e
scura si accorse che sui libri nelle librerie vi erano tanti
angeli di verto col corpo conico e decorato.
Avevano tutti
la testa tonda, senza faccia, aureola, alucce tripartite e braccia
allargate a reggere un'arpa.
Arwen ne prese
uno in mano, il più piccolo ed argentato e se lo
rigirò fra le dita ammirando come le luci della candela
facessero brillare il corpo del piccolo angelo.
Rimase
ipnotizzata dal pezzo di vetro dal corpo brillantinato, gioiello
prezioso per una gazza ladra.
Ma in alto,
nel punto più alto della libreria, vide un angelo
ancora più bello di quello argentato: era più
grande e la
sua veste aveva lo stesso diametro del suo palmo. Il suo corpo conico
era ricoperto di perline dorate e stelle, che a loro volta si trovavano
su una base di quella che doveva essere certamente polvere di stelle.
Improvvisamente
si ricordò di un paio d'occhi, non azzurri ed
angelici, ma di un color verde acqua malvagio che divenne tutto ad un
tratto rosso, e urlò così forte da far tremare le
pareti,
mentre perdeva di nuovo i sensi cadendo per terra insieme ai cocci
degli angeli di vetro.
Gwendolyn
entrò nella stanza trafilata seguita da un uomo.
"Te lo avevo
detto che avrebbe ricordato."
E mentre la
donna si occupava della giovane, il biondo raccoglieva cocci di
paradiso.
Gli angeli
erano sempre i primi a perire
.
Angolo "Autrice":
Saaaaaaaaaaalve lettrici di TVD!
Se state leggendo questa Shot/capitolo è perché
avete letto anche quella che la precede, "Symphony of Destruction".
Però devo ammettere che Simply (guardati, sei Everywhere,
cara xD), apprezzando tanto la mia cara
Arwen, mi ha fatto venire voglia di scrivere ancora qualcosa di lei.
Non so bene dove tutto ciò mi porterà, e questa
storia
è uscita così, da sola.
Volevo che Arwen continuasse a far parte delle mie Shot, e...Ta-daaaan!
Chissà qual'è il suo passato e cosa
succederà nel
suo futuro...lo scopriremo insieme, penso (:
"Angels Fall
First" è
un pezzo dei Nightwish (come ho già detto prima) che
dovreste assolutamente ascoltare *_*
Simply, spero che riuscirai a socializzare con Arwen, anche
perché in parte lei è un po' tua (:
Grazie di essere arrivate fin qui a leggere e...commentate!
Anche negativamente, le critiche costruttive servono sempre!
Beh, che dire? Alla prossima!
-Alexys-
P.S.:*Stella del Vespro è il soprannome di Arwen del Signore
degli Anelli, Undòmiel in elfico *_* Che donna!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Wave of Anguish ***
Wave of Anguish
Lettrici,
ve lo dico subito, questo capitolo è un misto di passato,
presente e futuro, quindi...state attente.
E
non solo al filo delle storia. Questo capitolo è cattivo, e
mi dispiace. Lei (Arwen) si è costruita così, io
sono solo un tramite.
Wave of Anguish
Sola
nella propria stanza da letto giaceva inerme una bambina dai
folti ricci rossi, cercando di scacciare l'ondata di angoscia che le si
riversava addosso mano a mano che i passi lungo il corridoio si
avvicinavano a lei. E per un attimo sperava che i vicini fossero
pressati contro il muro che divideva le loro case, lo stesso muro
contro il quale si schiacciava per non essere trovata, cosa che
puntualmente non accadeva: il fantasma riusciva sempre a trovarla.
Per
un attimo sperava che lui si riavesse, che lui capisse chi lei
fosse, e che la smettesse di starle addosso, di toccarla e...di non
riconoscerla.
Ma
lo spettro dell'uomo che sarebbe dovuto essere suo padre
continuava a non guardarla negli occhi, stringendola per i capelli, e
violandola, chiamando per nome la donna che li aveva abbandonati.
Arwen
si svegliò di soprassalto, la testa colma di assenze che
non si sapeva spiegare e che fecero aumentare esponenzialmente il suo
battito cardiaco; un suono tipicamente ospedaliero richiamò
la sua attenzione, e la stanza verde acqua -colore che
ricordava morte e
predestinazione- assunse lentamente forma intorno a lei. Riprendendo
conoscenza, ricordò un volto
familiare che la sua mente classificò mentalmente come
"amica" e
"gentile", in un riflesso condizionato che non era affatto da lei,
considerata la sua poca fiducia negli esseri umani. Forse, si disse,
quella Gwendolyn doveva essere una creatura magica se era riuscita a
guadagnarsi tutto questo affetto incondizionato da parte sua.
La
donna dal volto rilassato e sollevato -da una colpa, forse? Si
chiese una parte del suo cervello che le diceva di stare all'erta-
le comparve accato accarezzandole la mano e guardandola con gli occhi
di chi conosce i segreti di un ricordo rimosso ma mai dimenticato.
"Come
ti senti, cara?"
Il
suono gentile e carezzevole di un carillion si espanse nel piccolo
salotto coperto di
polvere, dove un albero di Natale basso e morente si ergeva davanti
alla bambina dalle ciglia rosse ed inumidite da un'altra notte di urla
mai espresse; non gli avrebbe mai permesso di vederla piangere, nemmeno
quando aveva sette anni e le mani sporche di pennarello rosso.
Era
la mattina di Natale e suo padre, se così poteva definirlo,
non c'era.
Lui
non la guardava mai, al mattino. E nemmeno per il resto della giornata,
a dirla tutta.
In
quella casa c'erano solo lei e il diario di sua madre, quando il sole
splendeva fuori dalle finestre.
E
quando calava il buio, lo spettro rientrava e prendeva tutto
ciò che gli mancava.
Prendeva
da Arwen ciò che non poteva ottenere da nessun'altra.
"Come
ti senti, cara?" Aveva chiesto sua nonna dall'altro capo del
telefono, dall'altro capo del mondo, in un'Europa che sembrava una
terra magica di elfi e fate buone, dove il male e la notte non calavano
mai.
Qualcosa
di Gwendolyn la infastidiva, ma le aveva salvato la vita,
quella vecchietta, ed erano ormai diventate amiche per quanto si
potesse avere un rapporto con una donna come lei, sempre attenta a
rimanere sul vago, a non fare mai la domanda sbagliata.
A
volte Arwen pensava che Gwendolyn sapesse tutto di lei, del suo
passato come del suo futuro, e a volte negli occhi castani ed
affusolati della donna vedeva una scintilla di malignità, di
pericolo, che non riusciva a spiegarsi. E ripensava al verde acqua, e a
un proiettile.
Ripensava
ad un sogno fatto di amanti e pistole.
Ripensava
a fantasmi di amori che non aveva mai conosciuto, e tremava, Arwen
svegliandosi in luoghi sconosciuti.
Ma
poi c'era sempre Gwendolyn a spuntare dal nulla, con una nuova scusa
pronta e dei vestiti puliti da darle, e lei si sentiva a casa.
In
una casa maledetta e malvagia, forse, ma pur sempre in una casa.
Non
aveva mai detto niente a nessuno, la piccola Arwen di nemmeno sette
anni. E nemmeno ad otto, o a dieci, o a dodici.
Non
aveva mai detto niente a nessuna delle sue amiche che a quattordici
anni avevano il fidanzatino e lei non era mai riuscita a farsi toccare
da
un ragazzo perché loro sentivano che in
lei qualcosa non andava. Non era una brutta ragazza, Arwen, ed era
stata una bambina
bellissima: la pelle bianca come il latte e i capelli rossi
come il sangue. La ragazza ideale, se non fosse stato per un po' di
carne di troppo qui, e qualche chiletto preso di là, che la
rendevano agli occhi degli uomini...inafferrabile.
Fertile,
ma con un segreto nascosto nelle profondità di quella
fertilità che allontanava e spaventava.
E
quando la mattina del suo quindicesimo compleanno aveva preso il
carillion, i cento dollari del lavoretto in biblioteca, e i diari di
sua madre si era sentita libera.
Varcata
la soglia di quell'incubo, la sua vita era ricominciata.
Ma
dopotutto Arwen sapeva che si sarebbe per sempre portata dietro una
traccia di ciò che era stata.
E
l'angoscia a volte tornava, di notte, in una stanza che profumava
di lavanda e rose, mentre con l'alba tutto ciò che restava
del viaggio notturno erano
cocci di un sogno terribile e schizzi di sangue.
Un corvo e una bambina, solo
questo le rimaneva dopo la tempesta.
Angolo
"Autrice":
Buonsalve, gente!
Eccomi
con un nuovo aggiornamento, un po' dispiaciuta che non ci siano
state tantissime visite\commenti. Scrivo in modo contorto, dovete
perdonarmi, credo (:
Beh,
questo capitolo è ambiguo e in parte crudele,
perché viene fuori un passato piuttosto tormentato e
terribile di Arwen. Il suo futuro è ancora
tutto in
costruzione, ma sappiate che andando avanti forse capirete meglio
alcune parole\dettagli ora incomprensibili xD
Cosa
sta per accadere ad Arwen? Non lo so bene nemmeno io,
guys.
Questo
è un capitolo di transizione, all'interno del quale
scopriamo qualcosa in più del nuovo personaggio. Il titolo
è tratto da una canzone dei Lacuna Coil, una mia nuova
passione,
così come i Nightwish**
Simply,
pare che scriva solo pour
toi, mon amour xD
Chiedo scusa per la lunghezza, non tutti i capitoli saranno prolissi come il primo (per fortuna!) Alla
prossima, gente!
Vi
preeeeego, commentate *_* (Faccina che implora commenti xD)
Grazie
ad AriaSolis e Bonnie98 per aver messo la mia cosuccia fra le
seguite, Gloria7 e Simply (che ormai domina negli Angoli
Autrice xD) per aver messo fra le preferite! Vi adoro, lettrici (:
Baci,
-Alexys-
*Se ne
va portandosi dietro anche un corvo e una bambina. C'è
posto, Simply, sul tappeto?*
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Veins Of Glass ***
Veins of Glass
Veins of Glass
Le tue vene
sono di vetro, Stella del Vespro.
Damon si svegliò nel bel mezzo della notte, agognando un
lungo
sonno ristoratore che naturalmente non sarebbe mai arrivato.
I suoi sensi lo avvertirono presto della causa del suo risveglio, e il
vampiro si stupì che non fossero solo i sensi di colpa a
turbare
le sue notti senza tregua. Il battito cardiaco di Elena era musica per
le sue orecchie, e ancora più piacevole fu per
Damon percepire la ragazza scivolare timorosamente dentro la
stanza, in punta di piedi, una ninnananna sussurrata con dolcezza.
"Pensavo avessimo deciso di non parlarci", disse il vampiro fissando il
soffitto, felice e al tempo stesso disperato a causa di quella visita
decisamente inaspettata. Elena si immoblizzò un secondo,
prima
di sorridere al buio di fronte a lui.
"Veramente sei tu
che non mi parli, non-morto", fece la giovane incrociando le braccia al
petto.
Damon si voltò, scrutando i contorni vitrei e surreali della
ragazza. "Non che tu sia stata particolarmente loquace in questi ultimi
giorni, ragazzina."
Elena sorrise, spudoratamente divertita dalla loro conversazione, e
comprese che la sua voce le era davvero mancata come credeva.
"Sono qui per rimediare, infatti", disse avanzando e sedendosi sul
bordo del letto.
Damon scivolò indietro, facendole spazio nell'ampio letto,
troppo freddo e vuoto anche per uno come lui.
"Non ho detto che ho voglia di parlarne", precisò il vampiro
mentre la ragazza si stendeva accanto a lui.
Da quella sera non avevano più comunicato verbalmente: solo
lunghi sguardi pieni di calore, sogni e visioni col
profumo dei loro corpi, sfioramenti occasionalmente voluti.
Elena lo cercò, perché fisicamente sentiva di
essere
diventata dipendente da lui e da tutto ciò che
rappresentava: il
buio, il proibito, il sangue...tutte
cose che la ragazza odiava e
desiderava allo stesso tempo. Quando era stata con Damon aveva provato
tutto, ogni singola emozione umana le si era riversata nelle viscere, e
si era diffusa, lentamente e piacevolmente. Insieme a Damon dentro di
lei
erano entrati i segreti di una vita che lei non avrebbe mai potuto
vivere, perché lei era la luce, lei era un angelo.
"Non è per forza di quello che dobbiamo parlare, ti pare?"
Ah,
fragilità, il tuo nome è donna! Damon
sapeva che prima o poi non sarebbe più
riuscito
a mantenere il
silenzio con lei, soprattutto quando erano soli. Ma non aveva mai
pensato che sarebbe stata lei a venire da lui, reclmando carezze che
lui non aveva mai concesso a nessuno.
E
sospirò nell'oscurità, temendo che stringendola
troppo
forte si sarebbe potuta rompere, fragile spirito di vetro portato dalla
brezza notturna.
Un
altro sogno, e denti, e fuoco, e sangue.
E
le vene di una ragazza che pulsavano, e il corvo e la bambina.
Quella
bambina, quella bambina che conosceva già ma che faticava a
rammentare da dove provenisse.
E
il cielo verdastro, pericoloso, simile a uno specchio d'acqua troppo
limpido per essere buono.
"Vuoi
dell'altro té, cara?"
La
voce calda e soffice di Gwendolyn la ridestò dai ricordi
della notte appena trascorsa.
Arwen
sorrise docilmente, consapevole di essere troppo sotto shock
per chiedere spiegazioni.
La
ragazza le passò la tazza con gentilezza, ostentando calma e
determinazione. "Sarebbe magnifico, Gwen. Oggi ho un altro colloquio."
La
donna dal viso solcato da pieghe piacevoli le versò
dell'altro té alle erbe, specificando che di certo si
sarebbe
sentita meglio dopo. "Andrà bene, cara, vedrai."
Arwen
emise un profondo respiro spostandosi un ciuffo ribelle di
ricci a destra. "Lo hai detto anche l'ultima volta, eppure..."
Gwendolyn
rise sommessamente, divertita dal pessimo umore della
ragazza. "Andiamo, Arwen, sono passati solo due giorni! E' ovvio che
non ti abbiano richiamato, non essere ansiosa. Sorridi al mattino,
Stella del Vespro", disse posandole una mano sotto il mento ed
ammirando i lineamenti dolci ed armoniosi della ragazzotta,
dispiacendosi un po' per la sua sorte.
Ma
d'altrone era stato chiaro, il biondo, bisognava che Arwen capisse
tutto gradualmente, o sarebbe stato fatale per lei. Il
legame doveva essere rinforzato poco a poco tanto da condurre a lei.* "Urca
urca tirulero oggi splende il sol..."
Arwen
sorrise, lasciandosi guidare dalla dolce melodia di una canzone dei
cartoni per dimeticare il sogno e le strane cose che ultimamente le
stavano accadendo. Cose alle quali Gwendolyn assistiva con una tacita
ed amigua comprensione, custode di maledizioni e destini, custode dei
cocci di una vita cambiata per sempre, da sempre.
E
mentre sull'autobus diretto al centro, il mondo continuava a girare e
Arwen
disegnava, immersa nelle note soffuse della canzone che stava
ascoltando, che stranamente proprio di sogni parlava.**
Il
filo delle cuffie si incagliò intorno al braccio di un
uomo alto, biondo, i lineamenti nordici, e il blocco le
scivolò per terra, facendo cadere il disegno appena prodotto.
"Attenta,
sweetheart, qualcuno
potrebbe sporcarlo", la sua voce le ricordò qualcosa, altre
memorie rimosse.
Che
lo avesse già incontrato in un'altra occasione?
L'uomo
si chinò a raccogliere il disegno, ammirandone i tratti
indecisi ma armoniosi, schizzi di una realtà che a lui
certamente avrebbe presto interessato: un
corvo e una bambina.
Quando
le loro mani si incontrarono, Arwen si sentì trafitta da
migliaia di canini.
E
la voce, la voce dell'uomo, era come quella nel suo sogno, la voce che
veniva dal cielo verde acqua.
Le tue vene sono di vetro, Stella del Vespro.
Angolo
"Autrice": Ma che
bella compagniaaa!
Ciao
lettrici, eccomi con nuovo aggiornamento.
Ci
avete capito qualcosa? Bene, nemmeno io, sarebbe questo lo scopo! xD
Allora,
la canzone è ancora dei Lacuna Coil, e anche quella che
ascolta Arwen lo è(**), "Reverie", che in francese significa
sogno, appunto.
Ora
veniamo al (*): non so se è giusto dirvelo, ma...beh, il
legame, se non si fosse capito, è con...Daaaaai, si
può capire, ci sono solo quattro personaggi e mezzo (il
biondo che appare fugacemente xD) :)
Devo
ancora decidere in tutto questo Stefan edove si trovi,
ma...tralasciamo! Scopriremo tutto solamente vivendo u.u xD
A
quanto pare voi lettrici silenziose siete recidive! Dai, fate sentire
la vostra voce (: Io lo faccio!
Grazie
alle nuove lettrici che hanno messo fra le seguite, ovvero
Alice_In_Wondeland ed ele_91_ ! Siete taaanto gentili :)
E,
tu, ohhh, tu, mia dolce Simply!
Sei
la mia Stella del Vespro.
Scusate,
momenti di follia a random xD
Beh...commentate
numerose!
(Buahaha,
battutona, ehh?!)
Ci
rileggiamo presto, spero (:
Vostra
depressissima,
-Alexys-
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Heir of a Dying Day ***
Heir Of A Dying Day
Heir
of a Dying Day
Il sole del tramonto illuminò i lineamenti tondeggianti ed
armoniosi della ragazza, che stesa sull'erba si godeva
l'eredità
di un giorno alle soglie del declino.
Con un libro fra le dita e dei fogli da disegno sparsi sulla tovaglia
da pic-nic, Arwen si tolse la matita dai capelli che aveva usato come
fermaglio, iniziando a mordicchiarne l'estremità. Nei
disegni c'erano sempre quei due soggetti, il corvo e la bambina,
sempre in posti diversi, sempre vicini a lei al risveglio ma mai
veramente raggiungibili.
Era come se li conoscesse da sempre, da un passato che per anni aveva
tentato di rimuovere, e che le si stava riversando addosso pian piano.
Pensare a quella bambina equivaleva a ricordare suo padre, e di certo
Arwen non voleva permettergli di colonizzare anche la realtà
che
era riuscita faticosamente a costruirsi intorno. Lei e Gwendolyn
stavano bene, erano felici -di quella felicità
triste e monotona dei compagni di solitudine che si conoscono troppo
bene per provare affetto reciproco- e riuscivano a cavarsela fra la
pensione della donna e il lavoro in libreria della ragazza.
Eppure, specchiandosi nella propria ombra, Arwen non vide che una
bambina tremante e spaventata, scossa dalle grandi mani di un uomo.
Elena si svegliò di soprassalto, avvolta dal caldo abbraccio
di
Stefan, che nudo al suo fianco la cingeva in modo possessivo e allo
stesso tempo delicato, protettivo nel modo più assordante e
totalizzante. Una strana sensazione le cinse lo stomaco, senso di colpa
e disgusto, e d'un tratto si accorse di essersi svegliata per un motivo
ben preciso.
Da qualche tempo Elena faceva dei sogni, sogni strani, con figure
evanescenti che correvano dinnanzi a lei. Una voce la chiamava, la
melodia di una sirena la attirava verso il folto di un bosco, quel
bosco stesso che racchiudeva i segreti dei baci e delle speranze
rubate.
Era una ladra di amore, Elena, e guardando il cielo arancione del
tramonto sentì un rumore proveniente da una stanza vicina.
Damon. Che
fosse stato in casa per
tutto il tempo?
La voce di Gwendolyn le esplose nel cellulare.
"Forse dovresti rientrare, cara. E' arrivata una lettera per te."
Arwen interruppe la comunicazione e raccattò tutto il suo
materiale, infilandolo disordinatamente nel cesto di vimini da pic nic
fornitole da Gwen e andando a recuperare la macchina. Una
lettera? Si domandò la giovane, senza prestare attenzione a
dove
stesse andando: tutte le strade, a quanto pareva, portavano a Gwen e
alla sua casa profumata di candela e lavanda. Si ripromise di mettere
in ordine i disegni per decifrare quelle figure e scoprire dove la
portassero, perchè doveva esserci di certo un fine a tutti
quei
sogni e a tutti quei viaggi notturni.
"E' da parte di un certo...Dominic
Spencer. Lo conosci, cara?"
E specchiandosi nella propria ombra, Arwen non vide che una bambina
tremante e spaventata.
Damon chiuse le tende, preparandosi ad una notte piena di grida e
incubi
che lo avrebbero perseguitato. Ma sta volta non sarebbero state le
grida
delle sue vittime a svegliarlo, oh no. Sarebbero state quelle di Elena,
che era con Stefan, che stava con Stefan, che amava Stefan.
Un pugno potente si scagliò contro il muro, e solo quando
sentì le proprie nocche scricchiolare, Damon capì
fosse
suo.
Ormai non era più un uomo da tempo. E per colpa di Elena non
era
nemmeno un vampiro. Era un'ombra crepuscolare senza mai pace.
"Mi dispiace", la voce alle sue spalle lo rese furioso e disperato e
incredibilmente triste. Lui si voltò lentamente,
massaggiandosi
la mano, scrutando il viso della ragazza e non leggendovi nulla,
nessuna emozione attraversava i suoi occhi color cioccolato. L'odore
del sesso ancora sulla sua pelle olivastra.
Ah, vergogna!
Dov'è il tuo rossore? "Non dispiacerti, Elena.
Torna da lui e finiamola qui."
"Dovevo farlo, Damon. Dovevo provare." La ragazza fece un passo verso
di lui, e Damon arretrò, animale ferito dal proprio padrone.
"Non mi devi spiegazioni. Torna da lui e finiamola qui." Era un disco
rotto, Damon, che pavidamente arretrava.
Elena avanzò ancora, stretta nella camicia nera di...Damon.
La lettera in realtà era un biglietto, scritto in una
calligrafia storta e piccola, malata come la mano che l'aveva prodotta.
Mi dispiace delle notti.
Quella
frase si stagliava sul cartoncino bianco di buona qualità,
un pungo nello stomaco vero e proprio.
Dovevi essere la mia bambina, e invece sei stata la mia bambola.
Quindi lui sapeva, ricordava, così
come ricordava lei.
Sii felice, ora.
Facile a dirsi attraverso un biglietto del cavolo, dopo
anni che non si faceva nè vedere nè sentire, suo
padre.
Forse si aspettava il perdono. Forse si aspettava una visita. Forse si
sarebbe semplicemente ammazzato e voleva lasciare una traccia di
umanità di sè.
Arwen posò il bordo del cartoncino sulla fiamma della
candela e lasciò che prendesse semplicemente fuoco.
"Mi dispiace...non ho mai voluto ferirti."
"Certo che no, Elena! Ma tanto io e lui siamo interscambiambili,
giusto?"
"Non è vero, sai che non è vero. Io lo amo. Io
non sono Katherine. "
"Lo pensavo anche io, prima di oggi."
"Adesso non trattarmi come un mostro, so che cosa mi hai fatto. So che
sei stato con lei."
"Dobbiamo rinfacciarci i peccati a vicenda? E così sia,
Elena. Voglio sapere tutto."
"Tutto cosa?"
"Tutto quello che ti ha fatto..."
"Lui non mi ha fatto niente, è colpa mia, sono stata io ad
andare da lui. E' tutta colpa mia..."
"E pensi davvero che io ti creda?"
"Lo pensavo, prima di oggi. Ma dalla tua reazione penso di aver sempre
frainteso quello che c'era fra noi."
"Frainteso? Sei stata con lui, Elena! Come ti aspettavi che reagissi?!"
"Mi aspettavo fossi felice per lui, come un fratello dovrebbe essere
per la felicità del proprio."
Un silenzio colpevolizzante si abbatté sulla stanza e una
porta
si aprì. "Almeno Katherine sapeva di essere una sgualdrina."
E una porta, finalmente, si chiuse.
Angolo
"Autrice":
Buon
salve lettrici! (Sempre che ce ne siano oltre a Simply** xD)
Eccomi con altro capitoletto! Che ne pensate?
Avete capito chi abbia scelto Elena?...Siete sicure?
Perché io avrei qualche dubbio u.u
E il biglietto del padre di Arwen? Avrà qualche
significato\utilità ai fini della storia?
Perché io avrei qualche dubbio u.u
Questo capitoletto è un po' più
frazionato del precedente, spero vi sia piaciuto nonostante tutto :)
Canzone ancora una volta dei Lacuna Coil, che fanno non solo bella
musica, ma anche titoli profondamente ispiranti u.u
Sono un'autrice di nicchia, anzi...di nicchissima!
*Si ritira nell'Angolo
degli Autistici Solitari con un lecca lecca gigante*
C'è qualcuno qui, a parte Simply???? Daaaaai, commentate! Lo
so che faccio schifo, basta che me lo diciate! :)
Ci rileggiamo presto,
Vostra demoralizzata Alexys :)
*Simply, vuoi un lecca
lecca anche tu?*
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=821367
|