A Wood in The Dark

di AlexysBlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Symphony of Destruction. ***
Capitolo 2: *** Angels Fall First. ***
Capitolo 3: *** Wave of Anguish ***
Capitolo 4: *** Veins Of Glass ***
Capitolo 5: *** Heir of a Dying Day ***



Capitolo 1
*** Symphony of Destruction. ***


Monster;                                                                                                                         Dedicata a Simply, che ha amato Lei forse più di me.
                                                                                                                        E ti ringrazio così, con una modifica e un nuovo episodio,
                                                                                                                        sperando di non aver tradito l'idea di Lei che ti eri fatta.

Symphony of Destruction

Correva ancora la preda dell'oscurità, senza rendersi conto che così facendo incrementava solamente la sete del  cacciatore.

La scia del suo profumo succulento era facile da seguire, in un posto come quello, che il cacciatore conosceva come le proprie tasche.
Un bosco di notte è forse il posto peggiore per fuggire.
Un bosco di notte è forse il posto peggiore per dimenticare.
Ma il cacciatore, per quanto potesse apparire mostruoso, con i denti aguzzi e la fame di un cibo che il suo corpo non avrebbe potuto ingerire, sapeva quanto si stesse illudendo.
Per quanto il sangue di una preda potesse essere analgesico ed anestetizzante non faceva dimenticare davvero.
Non lo aveva fatto per centoquarantacinque anni, e continuava a non farlo.
Soprattutto da quando quella voce contuava a ricordargli quanto dimenticare fosse impossibile, soprattutto attraverso il sangue di persone innocenti. Eppure, nonostante la coscienza gli urlasse di interrompersi, il cacciatore voleva ancora sentire la sinfonia di una vita spezzata, per l'ennesima ultima volta e adesso, con i canini affondati nel collo purpureo di una ragazzina di diciassette anni, con il sangue dolce, puro, e delizioso, lui non faceva che ricordare.
E ricordare, risvegliava quella voce, che si materializzava magicamente nella propria testa.
Un ritmo martellante, come quello del cuore della giovane che ora, solo dopo il secondo sorso, andava affievolendosi.
Si staccò dunque dal collo della propria preda,il cacciatore, il senso di colpa ad attanagliarlo.
Ma non per la ragazza in se', che ora stava manipolando con la mente, e che si stava lentamente riprendendo dallo shock subito.
Il senso di colpa era per la voce, quella che da un po' di tempo lo faceva rinsavire dal suo essere mostruoso.
Si ripulì la bocca con il dorso della mano, il cacciatore, camminando avanti ed indietro davanti allo sguardo non più atterrito della ragazza.
"Hai intenzione di uccidermi." La voce della allettante preda dai capelli ricci richiamò la sua attenzione.
Non era stata una domanda, la sua. Inclinò la testa nella notte, Damon Salvatore, di fronte ad una frase che non si sarebbe aspettato.
Di solito lo dicevano con atonia, e non lo dicevano e basta, ma lo chiedevano, come se lui all'improvviso potesse decidere di smettere di essere ciò che era. Lo chiedevano come se a lui potesse importare di qualcosa.
A lui che era senza cuore, senza anima, senza vita.
La ragazza sanguinava ancora dal collo, ma lievemente, niente di eccessivamente traumatico.
Lui aveva bisogno di distrarsi un po', e la riccia gli era sembrata adatta ad un tipo di distrazione che non fosse puramente fisico. E forse ci aveva preso. "La rassegnazione non è molto saporita", commentò il suo carnefice, guardandola di sbieco.
Sapeva benissimo cosa lui fosse ancor prima che le ordinasse di correre.
Sapeva benissimo cosa le sarebbe accaduto ancor prima di incontrare i suoi canini.
Sapeva benissimo  cosa non le sarebbe accaduto: salvarsi.
"Non ho paura di te."
Damon si avvicinò alla ragazza: aveva dei lineamenti piacevoli, era formosa, non una di quelle anoressiche che sanno solo di alcool e droga, insomma. Lei sapeva di cibo. Di vino pregiato, invecchiato. Di  bourbon di ottima qualità.
E per Damon Salvatore quella era una qualità niente male. "Forse dovrei fartela provare, allora."
Ma la ragazza provò comunque a stare al suo gioco, ormai era spacciata. E dopotutto, era pervasa dalla sensazione di conoscere quell'individuo della notte. "Forse potresti scegliere un'altra cena."
Il cacciatore ghignò. "Forse dovrei ordinarti di tacere."
"Forse dovresti semplicemente uccidermi e smetterla di giocare al gatto e al topo. Non sarei in grado di correre oltre", commentò la giovane tossendo e posando le mani sulle ginocchia. Il non muoversi le bloccava i piedi, non tutto il corpo.
Lui le si precipitò davanti in un millesimo di secondo, o forse anche meno, non seppe dirlo con certezza. "Avresti dovuto tenerti in forma, allora." Disse lui alzandole il viso per il mento usando solo due dita. "Senti, se devi mangiarmi abbi almeno la gentilezza di non commentare il mio stato fisico", rispose lei  guardando a forza gli occhi cerulei di lui.
Vi lesse un po' di tutto, dalla fame, alla rabbia, alla frustrazione, a qualcosa che non seppe nemmeno lei decifrare. "Ma probabilmente é più facile criticare me che farlo con te stesso."
Cosa impedì a Damon Salvatore di uccidere quella ragazza, in quell'esatto momento, fu forse quella frase.
Quella frase che gli ricordava quella voce, quelle labbra a pronunciarla, quegli occhi a mimarla.
Quella frase che gli ricordava Elena.
Se si trovava lì era a causa sua, di Elena. Perché il dubbio, l'incertezza, la fragilità dei suoi sentimenti verso di lui lo rendevano pazzo.
Perché lei, in fondo, non poteva amarlo. Eppure in ogni gesto, in ogni schiaffo, in ogni frecciatina, in ogni sguardo furente, Damon vedeva un riflesso di ciò che provava lui nei suoi confronti.  
Elena, quell'aroma agrodolce che penetra nelle narici, fino a rimanere intrappolato sottopelle, sempre presente.
Costante assenza che lo riporta sempre alla sua umanità perduta, alla sua vita perduta.
"Come ti chiami?" Chiese lui, cercando di non domandarsi se in quel momento Elena gli stesse pensando, se si stesse chiedendo chi sarebbe morto per mano sua. "Davvero ti importa?" Damon sorrise, mordendosi un polso, ancora indeciso sul da farsi. Voleva farla guarire, ma non voleva trasformarla. Voleva berla, ma non voleva ucciderla.
"A dire la verità no. Ma era così, tanto per fare conversazione."
La ragazza dai capelli castano rossicci sospirò. Il collo le doleva terribilmente. Le gambe le dolevano terribilmente. Il fiato era troppo corto.
Odiava il suo corpo e quello che il vampiro -ancora stentava a crederci- le aveva fatto. "Sono Arwen. E sì, mi hanno chiamato così per l'elfa del Signore degli Anelli. E sì, dispiace anche a me di non somigliarle fisicamente." Incrociò le braccia al petto, Arwen, scocciata. "Mi fa male tutto."
Damon le fu di fronte, e si rese conto che gli occhi della ragazza dovevano essere verdi, ma non verde bottiglia, di un verde sporco, impuro.
"Vuoi che ti uccida?" Chiese, accarezzandole una guancia morbida, intenerito da quella ragazza così spigolosa.
Arwen ci pensò su. Era in fuga anche prima di incontrare il vampiro, anche se al momento le risultava faticoso ricordare in quali circostanze l'incontro fosse avvenuto.
Era in fuga da un luogo che voleva troppo da lei, un luogo che la avrebbe solo portata all'auto-distruzione. 
E grazie a quella cosa strana che lui le aveva detto prima, e che lei riteneva come la propria verità, non voleva muoversi da lì; non voleva scappare, ma nemmeno restare. Voleva che tutto terminasse, ma non era certa che fosse perchè non volesse morire. La sua vita non era poi questo gran ché, e forse la morte sarebbe stata utile. Indecisa, si convinse a rigirare la frittata: aveva la sensazione di conoscere quel vampiro da sempre, dall'infanzia che le era stata rubata troppo precocemente, e questo la portava a fidarsi più di un assassino che si se' stessa.
"Non voglio sentire dolore, e voglio che finisca questa cosa. Ma la morte...sul fatto di morire non lo so. Dovresti saperlo tu, se vuoi uccidermi o no." Ma Damon in realtà era nuovamente di fronte allo stesso dilemma. Ucciderla o non ucciderla?
Sentiva il suo profumo, aveva il suo sapore sulle labbra, non poteva vivere senza nutrirsi di lei.
La voce tornò prepotente, ricordandogli che c'era un altro modo, che poteva cambiare, che poteva essere quell'uomo migliore, Damon.
In realtà, ciò a cui non poteva rinunciare, non era il sangue umano.
Era Elena.
Era la consapevolezza di non poter essere in un certo modo a spingerlo a comportarsi come sempre, perchè se avesse provato ma avesse fallito sarebbe stato orribile. Perché se solo avesse dato la prova definitiva alla ragazza che lui era quell'uomo migliore, forse lei lo avrebbe amato, e lui avrebbe ottenuto un pizzico di quella felicità che da un secolo e mezzo agognava.
Ma è sempre stato un po' masochista, Damon, fin da piccolo.
E infatti si era innamorato sempre della donna sbagliata, perché in fondo amava soffrire e amava ancor di più rinchiudersi dentro una gabbia di solitudine che non sopportava. Arwen lo guardava ancora con quell'aria innocente, e lui aveva deciso.
Le pupille si contrassero, e lei fu soggetta nuovamente al suo volere.

Elena tornava da casa Salvatore, dopo una seratina romantica con Stefan che era finita col litigare riguardo la dieta del fratello, cosa che accadeva ormai sempre più di frequente. Una strana sensazione l'aveva attanagliata quando ai limitari del bosco aveva notato una macchina con i fari accesi e nessuno dentro. Una forza, un legame la spinse a rallentare esaminando la situazione: tutto di quel luogo le puzzava di pericolo all'eucalipto. Era come se l'aura pericolosa di Damon avesse lasciato una traccia, era come se qualcuno la stesse chiamando.
Un brivido la percorse, quando si rese conto di invidiare -in parte- quella preda (certamente una ragazzina).
Ed accostò, Elena, afferrò dalla borsa la pistola
con dei proiettili alla verbena o qualcosa di simile che le aveva dato Stefan e si avviò dentro il bosco seguendo la scia di una conoscenza onirica non ben definita.
Stefan le aveva spiegato in lungo e in largo come funzionasse e come lui e Alaric l'avessero costruita, ma Elena si accorse presto di non ricordare assolutamente nulla di quella conversazione. Era stata per tutta la serata assente finché non si era parlato di lui, il mostro che ora -nel mezzo del bosco- stava al centro di una radura, tenendo per le spalle una ragazza che stava immobile a fissarlo.
Damon.
Damon.
Damon.
Aveva sperato che lui la percepisse, e la smettesse di fare quello che stava facendo.
Poteva immaginare le sue mani sporche di sangue.
Poteva immaginare le sue labbra sporche di sangue.
Poteva immaginare il suo vampiro svegliarsi, uccidendo l'uomo.
Poteva immaginare il suo piano assassino prendere forma.
E mentre premeva il grilletto di quell'arma sconosciuta che non lo avrebbe ucciso, sentì un altro tassello del loro rapporto sgretolarsi.
Ma avrebbe salvato la ragazza.
Perché Elena non avrebbe sopportato vederlo uccidere nuovamente, non sapendo quanto a lui costasse poi guardarla negli occhi.
E non avrebbe rinunciato ai suoi occhi nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Damon aveva sentito un battito cardiaco avvicinarsi, e dei passi, un respiro, e un profumo a lui ben noti.
Ma doveva finire ciò che aveva cominciato, e così, nonostante lo scoppio, aveva terminato la sua opera.
Poi aveva sentito un urlo, un urlo di Elena, e poi dolore.
Prima era stato solo un foro, poi qualcosa gli si era aperto dentro, lasciando che un liquido bruciante gli si diffondesse direttamente nelle vene.
Verbena. Elena. Arwen. Verbena. Elena. 
I suoi pensieri erano confusi, ed ora lui ed Arwen urlavano insieme e lui si contorceva, aspettando che il bruciore si fermasse mentre il veleno continuava a diffondersi, facendo ardere ogni sua terminazione nervosa. E poi ad urlare fu Elena, che vide la ragazza abbassarsi verso Damon, come se non le avesse mai fatto del male. La luce della luna splendeva su di loro.
"Vattene, Arwen. Prima che cambi idea." Grugnì contorcendosi il vampiro, ma guardandola fissa negli occhi. Le pupille gli si strinsero di nuovo, e lei andò via, scivolando lontana da quel luogo di distruzione.
Elena corse da Damon senza esitazione, lanciando uno sguardo furtivo a quella ragazza. Qualcosa di lei le parlò di loro due, e fu scossa per un attimo da una stranza sensazione. "Potrai mai dimenticare quello che ho appena fatto?"
Elena aveva lasciato cadere la pistola fumante chissà dove, prendendo il corpo del vampiro fra le braccia e cullandolo.
Non ricordava che Stefan le avesse detto che avrebbe fatto così male ad un vampiro.
Non ricordava che Stefan le avesse detto nulla.
Anzi, non ricordava affatto Stefan.
"Potremo mai fuggire da questa situazione?"
Soffiò il vampiro, lasciandosi cullare, mentre una strana sensazione lo avvolse, e capì che forse un rapporto per iniziare deve prima distruggersi.
Elena si abbassò sul volto di lui, baciandolo con ardore, sentendo forse un retrogusto di sangue nella sua bocca.


Ma un bosco di notte è forse il posto peggiore per fuggire.
Un bosco di notte è forse il posto peggiore per dimenticare.


Angolo "Autrice":
Rieccomi con una nuova creazione, sperando che vi sia piaciuta (:
In tutta onestà ho solo modificato la Shot pre-esistente, per adeguarla al "seguito" (che chissà se sarò in grado di protrarre xD) che troverete fra poco. Non molto letta ed apprezzata, l'ho riadattata e semplificata, cambiando leggermente lo stile e le parole usate.
Il titolo è quello di una canzone dei Nightwish, "Symphony of Destruction", e ogni capitolo avrà il titolo di una canzone.
Scusate se sono incredibilmente prolissa, non lo faccio volontariamente: sono le parole che vengono fuori in questo modo! xD
Simply, è tutto merito tuo. Ho peggiorato la situazione? O è carina comunque? Dovevo modificarla un po', sai, causa di forza maggiore...
Per ora l'ispirazione c'è, e il seguito anche, quindi...beh, spero davvero che vi piaccia.
Arwen è la mia piccola creatura, non distruggetela, please (:
Consigli, critiche, insulti...sono tutti comunque graditi, davvero!
Commentate, dai! So che in fondo in fondo lo volete... (o almeno lo spero xD).
Bene, detto ciò, ci rileggiamo (WTF?! xD) presto!
Il titolo del prossimo capitolo è "Angels Falls First", canzone e album ancora dei Nightwish.
Spero di ritrovarvi "numerosi" (:
 -Alexys-

P.S.:Simply, piaciuta la cioccolata? xD









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Capitolo 2
*** Angels Fall First. ***


Angels Fall First Angels Fall First

Quando Elena e Damon erano tornati a casa dopo l'incidente della pistola alla verbena -che nessuno dei due si era preoccupato di cercare- si erano sentiti strani, diversi.
E non solo perché erano rimasti in quel bosco per ore, a baciarsi in silenzio, rispettando il sacrificio di una ragazza sconosciuta come una liturgia sacra.
Le loro sensazioni erano come amplificate ma avvolte da una nebbiolina leggiadra e beffarda che non permetteva loro di comprendere ciò che intorno a loro era  accaduto.
Una volta seduta sul divano di pelle di casa Salvatore, dopo essersi sfiorata le labbra gonfie ed arrossate in un gesto sonnambulo e dolce, Elena ripensò a quella ragazza.
Ripensò al sapore del suo sangue sulla lingua di Damon e al fatto che lui l'aveva lasciata andare.
"Non sono sicura di quello che ho visto stanotte", disse Elena immobilizzata dal fuoco glaciale che le ardeva sottopelle.
Il vampiro alle sue spalle armeggiava con la bottiglia di bourbon e due bicchieri di cristallo intarsiato.
"Non posso essere io a dirti ciò che hai visto, perché non ho idea di ciò che vuoi aver visto."
Elena rimase di sasso a fissare il fuoco scoppiettante e pensò che i capelli rossi di quella ragazzina erano molto simili a delle lingue brucianti che cambiavano forma a seconda del vento. "Voglio essermi sbagliata. Voglio che la tua bocca non abbia avuto uno strano sapore di sangue quando ti ho baciato. Voglio che che tu mi dica che non hai risparmiato quella ragazza per me."
Damon le arrivò di fronte, ombra stagliata alla luce, e le porse il bicchiere ricolmo di whiskey, bevendo un sorso dal proprio. "Spiacente, ma non ti sei sbagliata. Stavo per ucciderla. La mia bocca sapeva del suo sangue perché ne ho bevuto un po'. Ed è solo merito tuo se l'ho salvata, ma non perché sei arrivata." Elena alzò lo sguardo, sperando di incontrare gli occhi per cui aveva messo a repentaglio la vita del vampiro. "L'ho fatto per le tue parole, per quello che mi chiedi, per colui che potrei diventare. Quello che hai visto era un cacciatore che liberava la sua preda." La ragazza svuotò il bicchiere in pochi secondi, senza smettere di guardare il volto di Damon, e mentre lui continuava a parlare lei si alzava andandogli incontro. "Ma sempre di un cacciatore si tratta, e questo non posso cambiarlo."
Fra un peccatore ed un santo fa sicuramente più scalpore quando è il santo a peccare, piuttosto che quando è il peccatore a comportarsi da beato.
Perché è quando sono gli angeli a cadere, che tutto il mondo si ferma a guardarli.
E quella sera, davanti alle fiamme dei capelli di un agnello sacrificale, fu l'angelo a rinunciare alle sue ali.

Arwen aveva iniziato a correre senza sapere perché, con il solo scopo di salvarsi la vita.
Il suo corpo pareva rallentato da qualcosa, una stanchezza innaturale e un gocciolio lieve al collo.
Due persone le stavano alle spalle, ma lei non aveva il permesso di guardare e si disse che in realtà non aveva alcuna voglia di farlo. Rallentò il ritmo mentre le due figure dietro di sè si fondevano in una sola macchia scura, e qualcosa la fece sorridere, un tacito ringraziamento onorevole e rispettoso che le infuse calma e decisione. Inciampò come al suo solito contro qualcosa di caldo ed affusolato, e senza porsi ulteriori domande raccolse l'oggetto: una pistola.
Improvvisamente ricominciò a correre, sempre più veloce e sempre più dolorante, un cerchio alla testa e degli strani fotogrammi a scorrerle nella testa. Una mano tremante che preme un grilletto, un urlo straziante, una mano dolce e assassina,  occhi angelici come il cielo e denti aguzzi come la morte. Un brivido la scosse fin nelle profondità dell'anima mentre si avvicinava alla macchina e perdeva inesorabilmente il senso dello spazio e del tempo.
Una notte di morsi scese su di lei, preda inconsapevole del destino.

La notte porta consiglio, così si dice a questo mondo. A volte, invece, è proprio la notte a confondere, e questo era accaduto a Mystic Falls.
Stella del Vespro* aprì gli occhi in un luogo sconosciuto, circondata dal calore tipico dei piumoni delle nonne o delle zie grasse che strizzano le guance quando vi rivedono dopo tanto tempo. Una luce diffusa e tenue le accarezzò la vista, accogliendola nella stanza di una nipotina amata, con tanto di libri, peluches e odore di candele appena accese.
In effetti, sul comodino accanto al letto, vi erano tre candele bianche che sprigionavano un profumo dolce, probabilmente alla vaniglia.
"Sapevo che ti saresti svegliata", la voce proveniva da un angolino buio cigolante, e solo quando il ritmo della sedia a dondolo si interruppe Arwen si rese conto che a rendere accogliente il luogo era proprio quello scandire l'inconscienza attuato dalla donna che ora si era alzata e che si sedette sul bordo del letto, posandole una mano sulla fronte.
Qualcosa in quel gesto la fece rabbrividire, forse la troppa sicurezza che infondeva, oppure semplicemente per la temperatura anomala e fredda della donna.
"Dove sono?" Domandò Arwen, cercando di leggere il viso rugoso della vecchina dalle mani rugosa che le sedeva accanto: anche l'aria, lì dentro, le apparve rugosa.
La donna sorrise bonariamente, prendendo una candela e mettendola vicino al volto della ragazza.
"Ti trovi a Waterhill, cara, il paese confinante con Mystic Falls. Tornavo a casa dalla passeggiatina serale vicino al bosco con Ellie, la mia cagnolona, e ti ho vista accasciata accanto ad una macchina."
Arwen si chiese come fosse riuscita una signora tanto anziana a trasportarla per un tragitto tale, saranno state almeno otto miglia, ma pensò che forse la aveva caricata in macchina e portata a casa sua in quel modo. "La ringrazio molto. E' un piacere conoscerla, signora..."
"Chiamami pure Gwendolyn, cara. Sono felice che ti sia ripresa, eri così sporca di sangue!"
Arwen si guardò il petto, notando solo ora che indossava una camicia da notte color rosa pallido, decisamente troppo larga per lei e non di sua proprietà.
"Oh...", disse stupita la ragazza, trovando qualcosa di decisamente strano in quella amabile vecchina. Prima di presentarsi, Arwen ebbe paura che Gwendolyn potesse trasformarsi nella strega cattiva e bellissima di una favola, ma non vedendo nulla di simile le porse una mano. "Io sono Arwen, comunque."
La donna bofonchiò qualcosa di simile ad un "lo so, cara", e scomparve per lasciarla cambiare.
La ragazza uscì dal letto, e vagando nella camera piccola e scura si accorse che sui libri nelle librerie  vi erano tanti angeli di verto col corpo conico e decorato.
Avevano tutti la testa tonda, senza faccia, aureola, alucce tripartite e braccia allargate a reggere un'arpa.
Arwen ne prese uno in mano, il più piccolo ed argentato e se lo rigirò fra le dita ammirando come le luci della candela facessero brillare il corpo del piccolo angelo.
Rimase ipnotizzata dal pezzo di vetro dal corpo brillantinato, gioiello prezioso per una gazza ladra.
Ma in alto, nel punto più alto della libreria, vide un angelo ancora più bello di quello argentato: era più grande e la sua veste aveva lo stesso diametro del suo palmo. Il suo corpo conico era ricoperto di perline dorate e stelle, che a loro volta si trovavano su una base di quella che doveva essere certamente polvere di stelle.
Improvvisamente si ricordò di un paio d'occhi, non azzurri ed angelici, ma di un color verde acqua malvagio che divenne tutto ad un tratto rosso, e urlò così forte da far tremare le pareti, mentre perdeva di nuovo i sensi cadendo per terra insieme ai cocci degli angeli di vetro.
Gwendolyn entrò nella stanza trafilata seguita da un uomo.
"Te lo avevo detto che avrebbe ricordato."
E mentre la donna si occupava della giovane, il biondo raccoglieva cocci di paradiso.
Gli angeli erano sempre i primi a perire
.

Angolo "Autrice": Saaaaaaaaaaalve lettrici di TVD!
Se state leggendo questa Shot/capitolo è perché avete letto anche quella che la precede, "Symphony of Destruction".
Però devo ammettere che Simply (guardati, sei Everywhere, cara xD), apprezzando tanto la mia cara Arwen, mi ha fatto venire voglia di scrivere ancora qualcosa di lei.
Non so bene dove tutto ciò mi porterà, e questa storia è uscita così, da sola.
Volevo che Arwen continuasse a far parte delle mie Shot, e...Ta-daaaan! Chissà qual'è il suo passato e cosa succederà nel suo futuro...lo scopriremo insieme, penso (:
"Angels Fall First" è un pezzo dei Nightwish (come ho già detto prima) che dovreste assolutamente ascoltare *_*
Simply, spero che riuscirai a socializzare con Arwen, anche perché in parte lei è un po' tua (:
Grazie di essere arrivate fin qui a leggere e...commentate!
Anche negativamente, le critiche costruttive servono sempre!
Beh, che dire? Alla prossima!
-Alexys-

P.S.:*Stella del Vespro è il soprannome di Arwen del Signore degli Anelli, Undòmiel in elfico *_* Che donna!





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Capitolo 3
*** Wave of Anguish ***


Wave of Anguish Lettrici, ve lo dico subito, questo capitolo è un misto di passato, presente e futuro, quindi...state attente.
E non solo al filo delle storia. Questo capitolo è cattivo, e mi dispiace. Lei (Arwen) si è costruita così, io sono solo un tramite.

Wave of Anguish

Sola nella propria stanza da letto giaceva inerme una bambina dai folti ricci rossi, cercando di scacciare l'ondata di angoscia che le si riversava addosso mano a mano che i passi lungo il corridoio si avvicinavano a lei. E per un attimo sperava che i vicini fossero pressati contro il muro che divideva le loro case, lo stesso muro contro il quale si schiacciava per non essere trovata, cosa che puntualmente non accadeva: il fantasma riusciva sempre a trovarla.
Per un attimo sperava che lui si riavesse, che lui capisse chi lei fosse, e che la smettesse di starle addosso, di toccarla e...di non riconoscerla.
Ma lo spettro dell'uomo che sarebbe dovuto essere suo padre continuava a non guardarla negli occhi, stringendola per i capelli, e violandola, chiamando per nome la donna che li aveva abbandonati.

Arwen si svegliò di soprassalto, la testa colma di assenze che non si sapeva spiegare e che fecero aumentare esponenzialmente il suo battito cardiaco; un suono tipicamente ospedaliero richiamò la sua attenzione, e  la stanza verde acqua -colore che ricordava morte e predestinazione- assunse lentamente forma intorno a lei. Riprendendo conoscenza, ricordò un volto familiare che la sua mente classificò mentalmente come "amica" e "gentile", in un riflesso condizionato che non era affatto da lei, considerata la sua poca fiducia negli esseri umani. Forse, si disse, quella Gwendolyn doveva essere una creatura magica se era riuscita a guadagnarsi tutto questo affetto incondizionato da parte sua.
La donna dal volto rilassato e sollevato -da una colpa, forse? Si chiese una parte del suo cervello che le diceva di stare all'erta- le comparve accato accarezzandole la mano e guardandola con gli occhi di chi conosce i segreti di un ricordo rimosso ma mai dimenticato.
"Come ti senti, cara?"

Il suono gentile e carezzevole di un carillion si espanse nel piccolo salotto coperto di polvere, dove un albero di Natale basso e morente si ergeva davanti alla bambina dalle ciglia rosse ed inumidite da un'altra notte di urla mai espresse; non gli avrebbe mai permesso di vederla piangere, nemmeno quando aveva sette anni e le mani sporche di pennarello rosso.
Era la mattina di Natale e suo padre, se così poteva definirlo, non c'era.
Lui non la guardava mai, al mattino. E nemmeno per il resto della giornata, a dirla tutta.
In quella casa c'erano solo lei e il diario di sua madre, quando il sole splendeva fuori dalle finestre.
E quando calava il buio, lo spettro rientrava e prendeva tutto ciò che gli mancava.
Prendeva da Arwen ciò che non poteva ottenere da nessun'altra.
"Come ti senti, cara?" Aveva chiesto sua nonna dall'altro capo del telefono, dall'altro capo del mondo, in un'Europa che sembrava una terra magica di elfi e fate buone, dove il male e la notte non calavano mai.

Qualcosa di Gwendolyn la infastidiva, ma le aveva salvato la vita, quella vecchietta, ed erano ormai diventate amiche per quanto si potesse avere un rapporto con una donna come lei, sempre attenta a rimanere sul vago, a non fare mai la domanda sbagliata.
A volte Arwen pensava che Gwendolyn sapesse tutto di lei, del suo passato come del suo futuro, e a volte negli occhi castani ed affusolati della donna vedeva una scintilla di malignità, di pericolo, che non riusciva a spiegarsi. E ripensava al verde acqua, e a un proiettile.
Ripensava ad un sogno fatto di amanti e pistole.
Ripensava a fantasmi di amori che non aveva mai conosciuto, e tremava, Arwen svegliandosi in luoghi sconosciuti.
Ma poi c'era sempre Gwendolyn a spuntare dal nulla, con una nuova scusa pronta e dei vestiti puliti da darle, e lei si sentiva a casa.
In una casa maledetta e malvagia, forse, ma pur sempre in una casa.

Non aveva mai detto niente a nessuno, la piccola Arwen di nemmeno sette anni. E nemmeno ad otto, o a dieci, o a dodici.
Non aveva mai detto niente a nessuna delle sue amiche che a quattordici anni avevano il fidanzatino e lei non era mai riuscita a farsi toccare da un ragazzo perché loro sentivano che in lei qualcosa non andava. Non era una brutta ragazza, Arwen, ed era stata una bambina bellissima: la pelle bianca come il latte e i capelli rossi come il sangue. La ragazza ideale, se non fosse stato per un po' di carne di troppo qui, e qualche chiletto preso di là, che la rendevano agli occhi degli uomini...inafferrabile.
Fertile, ma con un segreto nascosto nelle profondità di quella fertilità che allontanava e spaventava.
E quando la mattina del suo quindicesimo compleanno aveva preso il carillion, i cento dollari del lavoretto in biblioteca, e i diari di sua madre si era sentita libera.
Varcata la soglia di quell'incubo, la sua vita era ricominciata.
Ma dopotutto Arwen sapeva che si sarebbe per sempre portata dietro una traccia di ciò che era stata.
E l'angoscia a volte tornava, di notte, in una stanza che profumava di lavanda e rose, mentre con l'alba tutto ciò che restava del viaggio notturno erano cocci di un sogno terribile e schizzi di sangue.
Un corvo e una bambina, solo questo le rimaneva dopo la tempesta.

Angolo "Autrice": Buonsalve, gente!
Eccomi con un nuovo aggiornamento, un po' dispiaciuta che non ci siano state tantissime visite\commenti. Scrivo in modo contorto, dovete perdonarmi, credo (:
Beh, questo capitolo è ambiguo e in parte crudele, perché viene fuori un passato piuttosto tormentato e terribile di Arwen. Il suo futuro è ancora tutto in costruzione, ma sappiate che andando avanti forse capirete meglio alcune parole\dettagli ora incomprensibili xD
Cosa sta per accadere ad Arwen? Non lo so bene nemmeno io, guys.
Questo è un capitolo di transizione, all'interno del quale scopriamo qualcosa in più del nuovo personaggio. Il titolo è tratto da una canzone dei Lacuna Coil, una mia nuova passione, così come i Nightwish**
Simply, pare che scriva solo pour toi, mon amour xD
Chiedo scusa per la lunghezza, non tutti i capitoli saranno prolissi come il primo (per fortuna!) Alla prossima, gente!
Vi preeeeego, commentate *_* (Faccina che implora commenti xD)
Grazie ad AriaSolis e Bonnie98 per aver messo la mia cosuccia fra le seguite, Gloria7 e Simply (che ormai domina negli Angoli Autrice xD) per aver messo fra le preferite! Vi adoro, lettrici (:  
Baci,
-Alexys-

*Se ne va portandosi dietro anche un corvo e una bambina. C'è posto, Simply, sul tappeto?*



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Capitolo 4
*** Veins Of Glass ***


Veins of Glass Veins of Glass

Le tue vene sono di vetro, Stella del Vespro.

Damon si svegliò nel bel mezzo della notte, agognando un lungo sonno ristoratore che naturalmente non sarebbe mai arrivato.
I suoi sensi lo avvertirono presto della causa del suo risveglio, e il vampiro si stupì che non fossero solo i sensi di colpa a turbare le sue notti senza tregua. Il battito cardiaco di Elena era musica per le sue orecchie, e ancora più piacevole fu per Damon percepire la ragazza scivolare timorosamente dentro la stanza, in punta di piedi, una ninnananna sussurrata con dolcezza.
"Pensavo avessimo deciso di non parlarci", disse il vampiro fissando il soffitto, felice e al tempo stesso disperato a causa di quella visita decisamente inaspettata. Elena si immoblizzò un secondo, prima di sorridere al buio di fronte a lui.
"Veramente sei tu che non mi parli, non-morto", fece la giovane incrociando le braccia al petto.
Damon si voltò, scrutando i contorni vitrei e surreali della ragazza. "Non che tu sia stata particolarmente loquace in questi ultimi giorni, ragazzina."
Elena sorrise, spudoratamente divertita dalla loro conversazione, e comprese che la sua voce le era davvero mancata come credeva.
"Sono qui per rimediare, infatti", disse avanzando e sedendosi sul bordo del letto.
Damon scivolò indietro, facendole spazio nell'ampio letto, troppo freddo e vuoto anche per uno come lui.
"Non ho detto che ho voglia di parlarne", precisò il vampiro mentre la ragazza si stendeva accanto a lui.
Da quella sera non avevano più comunicato verbalmente: solo lunghi sguardi pieni di calore, sogni e visioni col profumo dei loro corpi,  sfioramenti occasionalmente voluti.
Elena lo cercò, perché fisicamente sentiva di essere diventata dipendente da lui e da tutto ciò che rappresentava: il buio, il proibito, il sangue...tutte cose che la ragazza odiava e desiderava allo stesso tempo. Quando era stata con Damon aveva provato tutto, ogni singola emozione umana le si era riversata nelle viscere, e si era diffusa, lentamente e piacevolmente. Insieme a Damon dentro di lei erano entrati i segreti di una vita che lei non avrebbe mai potuto vivere, perché lei era la luce, lei era un angelo.
"Non è per forza di quello che dobbiamo parlare, ti pare?"
Ah, fragilità, il tuo nome è donna! Damon sapeva che prima o poi non sarebbe
più riuscito  a mantenere il silenzio con lei, soprattutto quando erano soli. Ma non aveva mai pensato che sarebbe stata lei a venire da lui, reclmando carezze che lui non aveva mai concesso a nessuno.
E sospirò nell'oscurità, temendo che stringendola troppo forte si sarebbe potuta rompere, fragile spirito di vetro portato dalla brezza notturna.

Un altro sogno, e denti, e fuoco, e sangue.
E le vene di una ragazza che pulsavano, e il corvo e la bambina.
Quella bambina, quella bambina che conosceva già ma che faticava a rammentare da dove provenisse.
E il cielo verdastro, pericoloso, simile a uno specchio d'acqua troppo limpido per essere buono.
"Vuoi dell'altro té, cara?"
La voce calda e soffice di Gwendolyn la ridestò dai ricordi della notte appena trascorsa.
Arwen sorrise docilmente, consapevole di essere troppo sotto shock per chiedere spiegazioni.
La ragazza le passò la tazza con gentilezza, ostentando calma e determinazione. "Sarebbe magnifico, Gwen. Oggi ho un altro colloquio."
La donna dal viso solcato da pieghe piacevoli le versò dell'altro té alle erbe, specificando che di certo si sarebbe sentita meglio dopo. "Andrà bene, cara, vedrai."
Arwen emise un profondo respiro spostandosi un ciuffo ribelle di ricci a destra. "Lo hai detto anche l'ultima volta, eppure..."
Gwendolyn rise sommessamente, divertita dal pessimo umore della ragazza. "Andiamo, Arwen, sono passati solo due giorni! E' ovvio che non ti abbiano richiamato, non essere ansiosa. Sorridi al mattino, Stella del Vespro", disse posandole una mano sotto il mento ed ammirando i lineamenti dolci ed armoniosi della ragazzotta, dispiacendosi un po' per la sua sorte.
Ma d'altrone era stato chiaro, il biondo, bisognava che Arwen capisse tutto gradualmente, o sarebbe stato fatale per lei. Il legame doveva essere rinforzato poco a poco tanto da condurre a lei.* "Urca urca tirulero oggi splende il sol..."
Arwen sorrise, lasciandosi guidare dalla dolce melodia di una canzone dei cartoni per dimeticare il sogno e le strane cose che ultimamente le stavano accadendo. Cose alle quali Gwendolyn assistiva con una tacita ed amigua comprensione, custode di maledizioni e destini, custode dei cocci di una vita cambiata per sempre, da sempre.
E mentre sull'autobus diretto al centro, il mondo continuava a girare e Arwen disegnava, immersa nelle note soffuse della canzone che stava ascoltando, che stranamente proprio di sogni parlava.**

Il filo delle cuffie si incagliò intorno al braccio di un uomo alto, biondo, i lineamenti nordici, e il blocco le scivolò per terra, facendo cadere il disegno appena prodotto.
"Attenta, sweetheart, qualcuno potrebbe sporcarlo", la sua voce le ricordò qualcosa, altre memorie rimosse.
Che lo avesse già incontrato in un'altra occasione?
L'uomo si chinò a raccogliere il disegno, ammirandone i tratti indecisi ma armoniosi, schizzi di una realtà che a lui certamente avrebbe presto interessato: un corvo e una bambina.
Quando le loro mani si incontrarono, Arwen si sentì trafitta da migliaia di canini.
E la voce, la voce dell'uomo, era come quella nel suo sogno, la voce che veniva dal cielo verde acqua.

Le tue vene sono di vetro, Stella del Vespro.

Angolo "Autrice": Ma che bella compagniaaa!
Ciao lettrici, eccomi con nuovo aggiornamento.
Ci avete capito qualcosa? Bene, nemmeno io, sarebbe questo lo scopo! xD
Allora, la canzone è ancora dei Lacuna Coil, e anche quella che ascolta Arwen lo è(**), "Reverie", che in francese significa sogno, appunto.
Ora veniamo al (*): non so se è giusto dirvelo, ma...beh, il legame, se non si fosse capito, è con...Daaaaai, si può capire, ci sono solo quattro personaggi e mezzo (il biondo che appare fugacemente xD) :)
Devo ancora decidere in tutto questo Stefan edove si trovi, ma...tralasciamo! Scopriremo tutto solamente vivendo u.u xD
A quanto pare voi lettrici silenziose siete recidive! Dai, fate sentire la vostra voce (: Io lo faccio!
Grazie alle nuove lettrici che hanno messo fra le seguite, ovvero Alice_In_Wondeland ed ele_91_ ! Siete taaanto gentili :)
E, tu, ohhh, tu, mia dolce Simply!
Sei la mia Stella del Vespro.
Scusate, momenti di follia a random xD
Beh...commentate numerose!
(Buahaha, battutona, ehh?!)
Ci rileggiamo presto, spero (:
Vostra depressissima,
-Alexys-



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Capitolo 5
*** Heir of a Dying Day ***


Heir Of A Dying Day Heir of a Dying Day

Il sole del tramonto illuminò i lineamenti tondeggianti ed armoniosi della ragazza, che stesa sull'erba si godeva l'eredità di un giorno alle soglie del declino.
Con un libro fra le dita e dei fogli da disegno sparsi sulla tovaglia da pic-nic, Arwen si tolse la matita dai capelli che aveva usato come fermaglio, iniziando a mordicchiarne l'estremità. Nei disegni c'erano sempre quei due soggetti, il corvo e la bambina, sempre in posti diversi, sempre vicini a lei al risveglio ma mai veramente raggiungibili.
Era come se li conoscesse da sempre, da un passato che per anni aveva tentato di rimuovere, e che le si stava riversando addosso pian piano.
Pensare a quella bambina equivaleva a ricordare suo padre, e di certo Arwen non voleva permettergli di colonizzare anche la realtà che era riuscita faticosamente a costruirsi intorno. Lei e Gwendolyn stavano bene, erano felici -di quella felicità triste e monotona dei compagni di solitudine che si conoscono troppo bene per provare affetto reciproco- e riuscivano a cavarsela fra la pensione della donna e il lavoro in libreria della ragazza.
Eppure, specchiandosi nella propria ombra, Arwen non vide che una bambina tremante e spaventata, scossa dalle grandi mani di un uomo.

Elena si svegliò di soprassalto, avvolta dal caldo abbraccio di Stefan, che nudo al suo fianco la cingeva in modo possessivo e allo stesso tempo delicato, protettivo nel modo più assordante e totalizzante. Una strana sensazione le cinse lo stomaco, senso di colpa e disgusto, e d'un tratto si accorse di essersi svegliata per un motivo ben preciso.
Da qualche tempo Elena faceva dei sogni, sogni strani, con figure evanescenti che correvano dinnanzi a lei. Una voce la chiamava, la melodia di una sirena la attirava verso il folto di un bosco, quel bosco stesso che racchiudeva i segreti dei baci e delle speranze rubate.
Era una ladra di amore, Elena, e guardando il cielo arancione del tramonto sentì un rumore proveniente da una stanza vicina.
Damon. Che fosse stato in casa per tutto il tempo?

La voce di Gwendolyn le esplose nel cellulare.
"Forse dovresti rientrare, cara. E' arrivata una lettera per te."
Arwen interruppe la comunicazione e raccattò tutto il suo materiale, infilandolo disordinatamente nel cesto di vimini da pic nic fornitole da Gwen  e andando a recuperare la macchina. Una lettera? Si domandò la giovane, senza prestare attenzione a dove stesse andando: tutte le strade, a quanto pareva, portavano a Gwen e alla sua casa profumata di candela e lavanda. Si ripromise di mettere in ordine i disegni per decifrare quelle figure e scoprire dove la portassero, perchè doveva esserci di certo un fine a tutti quei sogni e a tutti quei viaggi notturni.
"E' da parte di un certo...Dominic Spencer. Lo conosci, cara?"
E specchiandosi nella propria ombra, Arwen non vide che una bambina tremante e spaventata.

Damon chiuse le tende, preparandosi ad una notte piena di grida e incubi che lo avrebbero perseguitato. Ma sta volta non sarebbero state le grida delle sue vittime a svegliarlo, oh no. Sarebbero state quelle di Elena, che era con Stefan, che stava con Stefan, che amava Stefan.
Un pugno potente si scagliò contro il muro, e solo quando sentì le proprie nocche scricchiolare, Damon capì fosse suo.
Ormai non era più un uomo da tempo. E per colpa di Elena non era nemmeno un vampiro. Era un'ombra crepuscolare senza mai pace.
"Mi dispiace", la voce alle sue spalle lo rese furioso e disperato e incredibilmente triste. Lui si voltò lentamente, massaggiandosi la mano, scrutando il viso della ragazza e non leggendovi nulla, nessuna emozione attraversava i suoi occhi color cioccolato. L'odore del sesso ancora sulla sua pelle olivastra.
Ah, vergogna! Dov'è il tuo rossore? "Non dispiacerti, Elena. Torna da lui e finiamola qui."
"Dovevo farlo, Damon. Dovevo provare." La ragazza fece un passo verso di lui, e Damon arretrò, animale ferito dal proprio padrone.
"Non mi devi spiegazioni. Torna da lui e finiamola qui." Era un disco rotto, Damon, che pavidamente arretrava.
Elena avanzò ancora, stretta nella camicia nera di...Damon.

La lettera in realtà era un biglietto, scritto in una calligrafia storta e piccola, malata come la mano che l'aveva prodotta.
Mi dispiace delle notti.
Quella frase si stagliava sul cartoncino bianco di buona qualità, un pungo nello stomaco vero e proprio.
Dovevi essere la mia bambina, e invece sei stata la mia bambola.
Quindi lui sapeva, ricordava, così come ricordava lei.
Sii felice, ora.
Facile a dirsi attraverso un biglietto del cavolo, dopo anni che non si faceva nè vedere nè sentire, suo padre.
Forse si aspettava il perdono. Forse si aspettava una visita. Forse si sarebbe semplicemente ammazzato e voleva lasciare una traccia di umanità di sè.
Arwen posò il bordo del cartoncino sulla fiamma della candela e lasciò che prendesse semplicemente fuoco.

"Mi dispiace...non ho mai voluto ferirti."
"Certo che no, Elena! Ma tanto io e lui siamo interscambiambili, giusto?"
"Non è vero, sai che non è vero. Io lo amo. Io non sono Katherine. "
"Lo pensavo anche io, prima di oggi."
"Adesso non trattarmi come un mostro, so che cosa mi hai fatto. So che sei stato con lei."
"Dobbiamo rinfacciarci i peccati a vicenda? E così sia, Elena. Voglio sapere tutto."
"Tutto cosa?"
"Tutto quello che ti ha fatto..."
"Lui non mi ha fatto niente, è colpa mia, sono stata io ad andare da lui. E' tutta colpa mia..."
"E pensi davvero che io ti creda?"
"Lo pensavo, prima di oggi. Ma dalla tua reazione penso di aver sempre frainteso quello che c'era fra noi."
"Frainteso? Sei stata con lui, Elena! Come ti aspettavi che reagissi?!"
"Mi aspettavo fossi felice per lui, come un fratello dovrebbe essere per la felicità del proprio."
Un silenzio colpevolizzante si abbatté sulla stanza e una porta si aprì. "Almeno Katherine sapeva di essere una sgualdrina."
E una porta, finalmente, si chiuse.

Angolo "Autrice":
Buon salve lettrici! (Sempre che ce ne siano oltre a Simply** xD)
Eccomi con altro capitoletto! Che ne pensate?
Avete capito chi abbia scelto Elena?...Siete sicure?
Perché io avrei qualche dubbio u.u
E il biglietto del padre di Arwen? Avrà qualche significato\utilità ai fini della storia?
Perché io avrei qualche dubbio u.u
Questo capitoletto è un po' più  frazionato del precedente, spero vi sia piaciuto nonostante tutto :)
Canzone ancora una volta dei Lacuna Coil, che fanno non solo bella musica, ma anche titoli profondamente ispiranti u.u
Sono un'autrice di nicchia, anzi...di nicchissima!
*Si ritira nell'Angolo degli Autistici Solitari con un lecca lecca gigante*
C'è qualcuno qui, a parte Simply???? Daaaaai, commentate! Lo so che faccio schifo, basta che me lo diciate! :)
Ci rileggiamo presto,
Vostra demoralizzata Alexys :)

*Simply, vuoi un lecca lecca anche tu?*





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