Voglio ucciderla perché la amo troppo.

di GreenNightmare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** // ***
Capitolo 2: *** St. Jimmy is coming down across the Alley Way. ***
Capitolo 3: *** Let's start the killing, start the killing. ***
Capitolo 4: *** Beast and the Harlot. ***
Capitolo 5: *** Thank you and Goodnight. ***



Capitolo 1
*** // ***


Entri in casa sbattendoti la porta alle spalle e, senza una parola, un saluto o un semplice cenno verso tua madre che se ne sta sul divano a fissare il televisore come ipnotizzata, ti lasci cadere su una sedia in cucina. La testa ti esplode, e hai solo bisogno di stare solo, in camera, con la tua musica e i tuoi pensieri. Sovrappensiero, ti accendi una Lucky Strike rossa. Tua madre si volta di scatto sibilando qualcosa di velenoso verso di te, probabilmente causato dalla tua sigaretta, ma non t’importa, non t’importa più di niente, ormai.
Davanti ai tuoi occhi non c’è più il mobiletto stinto appeso in cucina mezzo mangiato dalle tarme, ma un fruscio di capelli turchesi e poi un profumo, un profumo intenso di limone leggermente acidulo, che ti sembra di sentire ancora sulla lingua, il movimento sinuoso di quel corpo infilato in un paio di jeans attillati e un corpetto nero di pizzo che mettevano in evidenza ogni sua singola curva…
- La tua cena è sul tavolo. – Tua madre conclude bruscamente la sua ramanzina ed esce di casa sbattendo la porta. Sai dove sta andando, te ne rendi conto benissimo, ma non hai intenzione di pensarci a lungo.
Capelli turchesi, quasi violetti, e profumo di limone. E quell’espressione strafottente che ti fa venire il nervoso stampata su quel suo faccino fastidiosamente bello. La vedi danzare davanti ai tuoi occhi, quasi, la ragazza di cui non ricordi nemmeno il nome, in quella strada buia, tra quelle vetrine rotte e le porte sbarrate da assi di legno, bottiglie rotte per terra e vecchie siringhe usate. Ci giocavi da bambino in mezzo a quelle siringhe.
Giocherelli col coltello che tua madre ha lasciato lì per te insieme alla tua cena, e ti diverti a farti dei piccoli taglietti sulle dita. Non fa poi così male, e rimani affascinato da tutto il sangue che sgorga da quelle minuscole ferite, fino a farti diventare la mano completamente rossa. Un pensiero di colpisce all’improvviso, repentino e fulminante: chissà cosa si prova ad uccidere una persona? Ad affondare il coltello nella sua carne morbida, e vedere il sangue che sgorga? Che sensazione si ha, nel vedere la luce che svanisce negli occhi di un uomo per mano tua? La sola idea ti disgusta e ti riempie d’eccitazione. Far scivolare la lama del coltello sulla sua pelle bianca e morbida profumata di limone, vederla diventare vermiglio, tenere le sue membra tremanti tra le braccia, consapevole che in questo modo sarà tua per sempre. Tua, non di suo padre o di qualche altro figlio di puttana che vuole rubartela e approfittare di lei, tua e basta. Ti apparterrà fino alla morte e anche oltre.
Posi il coltello scuotendo la testa. Che diavolo stai pensando, Jimmy? Che stai facendo?
Avanti, non dirmi che il pensiero di ucciderla non ti eccita.
La voce sottile e sardonica, che non assomiglia affatto alla tua, si insinua strisciando nella tua testa.
- Lasciami in pace!!!- Urli con quanto fiato hai in gola, tenendoti la testa tra le mani.
Urlare non ti servirà a niente, Jimmy. Non c’è nessuno qui. Ci siamo solo tu e io… E io sono una parte di te, Jimmy. Non puoi scacciarmi.
Sto impazzendo. Sono pazzo.
Non sei pazzo, Jimmy. Io sono la parte più sensata di te.
- Chi sei? – domandi a voce alta nel silenzio della cucina.
Sono un santo, Jimmy. Io sono un santo e voglio aiutarti. Uccidila, Jimmy. Uccidile tutte e due, lei e tua madre. So che è questo che vuoi.
No!!!
A me non puoi mentire, Jim.
La voce nella sua mente emette una risatina agghiacciante che ti provoca la pelle d’oca.
Pensa ai suoi capelli e ai suoi occhi grandi da coniglio smarrito, pensa a quel corpo impertinente che ti fa venire i brividi, Jimmy… Sarà tuo, sarà tuo per sempre. Se la uccidi, lei sarà sempre tua.
- Vattene!!!- Ruggisci e scatti in piedi, cominci a girare per la stanza come un animale in gabbia.
Un’altra risatina agghiacciante, e la voce svanisce.  Ti lasci ricadere sulla sedia, prendendoti la testa tra le mani, e ti senti il cuore zoppicante pulsare nel petto a un ritmo stonato. Hai il fiatone, come se avessi corso, e la pelle d’oca.
Whatsername ricomincia a ballare davanti ai tuoi occhi offuscati, sensuale e sinuosa, e il tuo cuore rischia di esploderti nel petto come una bomba a mano.
Vuoi ucciderla, sì, perché la ami troppo. 

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Capitolo 2
*** St. Jimmy is coming down across the Alley Way. ***


Voglio ri-specificare che questo secondo capitolo non era assolutamente previsto, e che non so ancora se ne scriverò degli altri. L'ho buttato giù così, senza pensarci troppo, ed è venuto fuori questo. A proposito, lo so che il primo capitolo era al presente e questo è al passato remoto, ma, come ho già detto, mi è venuto fuori così, e non mi sono sentita di modificare niente.
Buona lettura **



Uscisti di casa sbattendoti violentemente la porta alle spalle. Avevi bisogno d’aria, sì; la cucina piccola e squallida di casa tua si era fatta tutt’a un tratto soffocante, sentivi odore di marcio, di chiuso. Avevi bisogno di respirare a pieni polmoni l’aria fresca della notte. Una leggera brezza notturna ti accarezzò il viso e tu chiudesti gli occhi, inspirando profondamente. Fuori, lontano da quel piccolo appartamento che cadeva a pezzi, era più difficile credere di essere pazzo.
T’incamminasti lentamente per le strade polverose di quella cittadina dimenticata da Dio e dagli uomini, ascoltando solo il rumore delle foglie secche che scricchiolavano sotto la suola dei tuoi anfibi, finché non udisti un rumore in lontananza. Sembrava musica. Non riuscivi a crederci: un concerto lì, nella Jingle Town? Impossibile. Affrettasti il passo in direzione della musica, finché non riconoscesti la melodia famigliare.
Non era musica rock. No, affatto. Sembrava… Ma sì, ne eri certo: si trattava sicuramente della sigla di un cartone animato che aveva popolato gran parte dei tuoi sogni infantili, un cartone popolato di robot e supereroi e altre cazzate di cui, ora come ora, non ricordavi assolutamente niente. Però avevi riconosciuto immediatamente la canzoncina che trasmettevano all’inizio di ogni puntata: aveva il sapore amaro dei ricordi e di un’infanzia perduta. Un’infanzia che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di definire tale.
Ma ora la domanda era: cosa ci faceva quella canzone lì, nell’aria di quella sporca città dei dannati? Perché la sentivi? Da dove proveniva? Più in fretta, ti dirigesti verso il luogo da cui sembrava provenire la musica.
Finalmente, svoltasti un angolo e chiaristi il mistero di quella allegra marcetta: in un piazzale di solito deserto avevano allestito una specie di mini-luna park. C’erano giostre e luci e bambini dappertutto, un costante formicolio di colori e profumi rassicuranti come quello delle castagne arrosto e dello zucchero filato; ovunque risate deliziate e musichette allegre. Tutti i tuoi sensi erano rimasti catturati da quella visione che ti rimandava a un’epoca più felice, quando la cosa peggiore che poteva capitarti era che tua madre si rifiutasse di comprarti lo zucchero filato, e tu non capivi che era perché non c’erano i soldi per il dentista, così come non capivi il perché delle sue crisi di pianto isterico, o cosa significasse la parola “papà”, o cosa fossero quelle specie di caramelle colorate che lei non ti lasciava mai assaggiare.
Perso in questi pensieri, all’inizio non avevi notato la sagoma che se ne stava seduta sul marciapiede, una sagoma che avresti saputo riconoscere in mezzo ad altre mille.
Portava una felpa nera col cappuccio tirato sulla testa, e i lunghi capelli biondi le nascondevano il viso. No, quella sera non portava la sua solita parrucca turchese, era naturale, per così dire. Potevi intravedere attraverso le ciocche biondo cenere un paio di cuffie nere che le coprivano le orecchie costellate di piercing. Muoveva la testa e batteva un piede per terra a ritmo della musica che solo lei poteva sentire. La guardasti a lungo, pensando che, anche senza sapere che canzone stesse ascoltando lei, sicuramente era fuori tempo. Così come già conoscevi la sua espressione senza vederla: potevi immaginare benissimo il suo viso assorto, gli occhi chiusi, il modo che aveva di mordersi il labbro inferiore e che ti faceva impazzire.
Ti avvicinasti a lei, esitante, e le desti un colpetto sulla spalla, interrompendo così la sua danza statica e solitaria.
Whatsername alzò lo sguardo verso di te e ti fissò con quei suoi occhi grandi da cerbiatto cerchiati di nero, del colore che secondo te dovevano avere i non-ti-scordar-di-me. Non potevi esserne certo, dato che non eri un esperto di botanica, ma se per caso qualcuno ti avesse descritto, per qualche stramba ragione, dei non-ti-scordar-di-me, ecco, allora tu li avresti immaginati esattamente del colore dei suoi occhi.
E poi le sue guance pallide e la bocca piena, nera come la matita che le circondava gli occhi, che faceva un forte contrasto con il biancore spettrale della sua pelle e il biondo cenere dei capelli.
Sorridesti incerto, frastornato da tanta bellezza, e ti sedesti accanto a lei, che spense il suo mp3 e si voltò verso di te, guardandoti con quella sua espressione densa di splendore e di mistero, che ti incuteva quasi timore.
- Hey – disse semplicemente.
- Hey – sussurrasti, e, come per un gesto automatico, le prendesti una mano, che però lei ritrasse altrettanto istintivamente.
Detestava il contatto fisico, lei.
- Che stai ascoltando? –
- Avenged.-
- Ah, si… Grandi. –
- Già.-
- Che ci fai qui? –
Lei si strinse nelle spalle, come a dire che un posto valeva l’altro.
- Aspetto amici. Tu che ci fai qui? –
- Ci sono capitato per caso. Ho seguito la musica e… - Proprio mentre pronunciavi queste parole la voce ti morì in gola. Dov’era finita la musica? Perché non si sentiva più alcun rumore se non il fruscio del vento e lo scricchiolio delle foglie appassite? Ti guardasti attorno disorientato, e, con il cuore a mille, constatasti che era tutto sparito: non c’era più traccia dei bambini, delle risate, delle giostre e del chioschetto dello zucchero filato; il piazzale era buio e deserto come sempre. Non c’erano più né luci né colori né bambini, né odore di caldarroste o di dolciumi, ma solo la vecchia solita puzza di fogna esplosa. C’era buio e ogni suono era ovattato. Sentisti i brividi correrti lungo la schiena mentre una risata fredda e crudele, la risata di Saint Jimmy, echeggiava nella tua testa.
- Jimmy? Hey, dico a te, mi ascolti? Di quale musica stai parlando?- Fu la sua voce a riportarti sulla Terra. Scuotesti la testa, indeciso se essere furioso o terrorizzato. Deglutisti.
- Qui prima c’erano giostre e bambini, e musica…- La tua voce si perse in un sussurro roco, mentre guardavi fisso davanti a te nella strada che si perdeva nella nebbia notturna.
Sentisti una leggera stretta al braccio destro, e capisti che lei stava cercando di vincere la sua repulsione per il contatto fisico per consolarti e starti vicino.
- Non c’è mai stato niente qui, Jimmy. – Osservò con dolcezza, e fece addirittura un gesto che non aveva mai azzardato prima: lentamente, con cautela, posò la testa sulla tua spalla.
Respirasti a fondo quel profumo di limone leggermente acidulo che ti invadeva le narici e che proveniva dalla sua pelle e dai suoi capelli, e che era l’unica cosa che riuscisse a tranquillizzarti.
Spintonala via, poi violentala e poi zac-zac, falla a pezzettini! Canticchiò una voce nella tua testa, così improvvisa e satura di malignità e rancore che ti fece sobbalzare. Whatsername alzò la testa di scatto e ti fissò:
- Che succede, Jim?-
Chiudesti gli occhi senza risponderle e ti presi la testa tra le mani, cercando di reprimere l’ondata di brividi, odio e violenza che ti aveva assalito all’improvvisa comparsa della voce di Saint Jimmy: la persona che più ti terrorizzava al mondo e che faceva parte di te, che avvelenava i tuoi pensieri e s’insinuava nei tuoi sogni tramutandoli in incubi, e che stava rendendo la tua esistenza, letteralmente, un inferno. 

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Capitolo 3
*** Let's start the killing, start the killing. ***


Incubo.
Un altro, fottutissimo incubo.
C’era sempre un sacco di sangue nei tuoi incubi. Non avevi mai capito bene il perché – forse perché la tua vita era un continuo sanguinare, fisicamente e spiritualmente. 
Così, non appena chiudevi gli occhi, ogni cosa si tingeva di rosso e rigagnoli vermigli ti colavano addosso, lungo la schiena e le braccia, sentivi la sua consistenza appiccicaticcia sulla tua pelle bianca.
Furono i battiti furiosi e disperati del tuo stesso cuore a svegliarti nel bel mezzo della notte.
Ansimavi. Non riuscivi a respirare. I tuoi polmoni sembravano essersi accartocciati su loro stessi, e ti impedivano di pensare lucidamente. Sapevi solo che volevi, disperatamente, respirare, e che non ne eri in grado. Era come avere un peso enorme che ti premeva contro il petto, proprio tra le costole, e ti schiacciava contro il materasso logoro.
Con uno sforzo immenso, riuscisti a liberarti del lenzuolo sottile che ti avvolgeva e aderiva al tuo corpo a causa del sudore con dei calci. Rotolasti giù dal letto, sbattendo contro il pavimento duro, e ti stringesti le ginocchia tra le braccia cercando, con tutte le tue forze, di calmare i tuoi respiri affannosi. Te ne stavi lì rannicchiato per terra con gli occhi sbarrati, quandorealizzasti che era tutta colpa sua. Avevi quei dannati attacchi d’ansia ogni volta che lo combattevi, che gli gridavi di andarsene. Non si era più fatto sentire dalla sera precedente, quando aveva ridacchiato deliziato vedendoti correre via come un posseduto da… da… Comesichiama. E ora si stava vendicando, avvelenandoti il respiro e facendoti letteralmente impazzire.
E’ una battaglia persa. Non puoi vincermi.
Ti conficcasti con forza le unghie nel petto, cercando di afferrarti il cuore che batteva come impazzito; volevi strappartelo via dal petto e lanciarlo lontano; tutto, pur di non dover subire un altro attimo quell’atroce sofferenza. Saresti morto, lo sapevi. Ancora un po’, e saresti morto. Emettesti un debole verso strozzato e lo sentisti ridere.
Era una risata malvagia, tipica di chi è consapevole di stare combattendo una battaglia il cui esito è già stato deciso in partenza.
Il tuo cuore cominciò, finalmente a rallentare, e il respiro a farsi più regolare. Inspirasti a lungo, profondamente, e sentisti che ti tornava un po’ di quella lucidità che avevi perso. Anche se eri ateo, ringraziasti Dio a bassa voce. Ti alzasti in piedi reggendoti a malapena sulle gambe malferme. Tremavi da capo a piedi e sentivi i brividi e i rigagnoli di sudore che ti correvano lungo la schiena. Ti aggrappasti alla parete accanto a te per non cadere, respirando a fondo. Dalla stanza accanto proveniva il rumore soffocato dei gemiti di tua madre e di un altro uomo qualsiasi. Lo schifo e la pena che provavi per te stesso per un attimo cancellarono tutti gli altri pensieri, compreso il terrore mortale che provavi verso quel Santo il cui scopo forse era ucciderti, o forse no.
I brividi ora ti correvano per tutto il corpo, ma non sembrava più banale pelle d’oca. Pungevano, t’infilzavano, ti sfioravano ovunque. Abbassasti lo sguardo sulle tue gambe e per poco non vomitasti nauseato.
Ragni. Ragni ovunque, che correvano lungo il tuo corpo, si arrampicavano su per le tue gambe e ti s’infilavano nei vestiti, nelle pieghe della pelle e dei muscoli, ovunque. Migliaia di minuscoli ragni che sembravano volerti seppellire sotto le loro innumerevoli zampe. Emettesti un gemito strozzato, assolutamente terrorizzato. Quando un gruppo di loro ti risalì su per il collo e cominciò a invaderti il viso, partì l’urlo, furioso e disperato.
- Lasciatemi!!! Andatevene viaaaaa!!! –
Nei recessi più profondi della tua mente, Saint Jimmy ridacchiava deliziato.
Cominciasti a scrollarteli di dosso, ma più ne volavano via, più te ne risalivano addosso, fino a costringerti rannicchiato a terra, a scalciare contro il nulla.
Fu in quella posizione che ti trovò tua madre, che, mezza spogliata e con il trucco sbavato, si era affacciata dalla porta della tua camera per capire che diavolo stesse succedendo.
- Jimmy! Sei impazzito?! Che diavolo stai facendo?! – Esclamò, più rabbiosa che il figlio avesse interrotto la sua nottata che spaventata per lo stesso.
I ragni scomparvero all’improvviso, come la sera prima erano scomparse le giostre e i bambini e la musica.
Sentisti un fiotto di rabbia velenosa e nausea che si tradussero nei conati che scossero il tuo corpo per qualche minuto.
Guardasti tua madre con gli occhi sbarrati, terrorizzato e sicuro di te come non mai, un rivolo di sangue che ti colava dal naso.
- Si, mamma, sono impazzito.- Sussurrasti piano, e vedesti il suo viso trasformarsi da scocciato in una vera e propria maschera di paura. La tua espressione allucinata, da folle, unita a quel tono di voce così tranquillo e sottile, dovevano averla spaventata a morte. Sorridesti sardonico, soddisfatto di quel risultato, ti alzasti in piedi e uscisti dalla tua camera spintonando tua madre, che per poco non cadde a terra, ma tu non la degnasti di uno sguardo. Avevi una paura fottuta, ma nel frattempo ti sentivi potente, forte come un dio pagano… O come un Santo.
Uscisti di casa nel buio completo della notte più nera, illuminata solo dalla sporadica e debole luce dei lampioni. Sorridesti di un sorriso affilato, sardonico, e in quel momento lo sapesti con tutte le tue forze.
Saint Jimmy aveva vinto.
Era ora di iniziare il massacro. 

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Capitolo 4
*** Beast and the Harlot. ***


Camminavi a passi veloci, lungo la strada deserta, riscaldato da un debole raggio di sole. Era il tramonto, che gettava ovunque la sua luce rosa e arancione - un’atmosfera romantica, non potevi desiderare niente di meglio. Un sorriso ti illuminava il viso, ma i tuoi occhi rimanevano duri e freddi come il ghiaccio. Nella tasca del chiodo sentivi la forma rassicurante del coltellino a serramanico che ti proteggeva dalla gente, perché ogni persona ha una bestia feroce dentro di sé, pronta a balzar fuori e a dilaniare la preda. Tutti erano pericolosi, tutti erano assassini, tutti volevano ucciderti.
Whatsername era lì, dove le avevi dato appuntamento, proprio sotto il traliccio. Non aveva la sua parrucca azzurra e questo non era un buon segno. Se ne stava lì in piedi, appoggiata alla grata di ferro, fasciata in un modo che ritenesti addirittura crudele nei suoi jeans attillati e nel top nero che le lasciava scoperte le braccia bianche di pelle e nere d’inchiostro, con i capelli biondi che le ricadevano sulle spalle nude; fumava una sigaretta - una Marlboro rossa, potevi scommetterci.
Ti avvicinasti a lei, impaziente di toccarla, di stringere quel corpo fragile e prepotente tra le tue braccia, ma ti bloccasti non appena vedesti la sua espressione: sembrava spaventata a morte.
- Che ti succede?– Le domandasti, facendoti più vicino a lei.
- Sono preoccupata.- Sussurrò quella, guardandoti con i suoi grandi occhi azzurri che più di una volta ti avevano causato una vera e propria dolorosa fitta proprio qui, tra il petto e la gola. – Gli eventi di questi ultimi giorni… -
Ti appoggiasti al traliccio, imprigionando Whatsername sotto il tuo corpo, e mormorasti con un sorriso sardonico:
- Ti riferisci agli omicidi?-
- A cos’altro potrei riferirmi? Sta succedendo una strage, Jimmy, e ancora non si è capito chi c’è dietro. Immagino che tu sappia in che stato hanno ritrovato Amy.-
La ragazza mora e bellissima, la migliore amica di Whatsername, era stata ritrovata morta nella discarica lì adiacente, nuda. Qualcuno, con precisione sadica, le aveva inciso la parola Harlot a caratteri svolazzanti sul seno con una lama; il volto era stato sfigurato con lo stesso coltello e il corpo recava tracce di abuso sessuale.
- Tranquilla, a te non accadrà quello che è successo ad Amy.- Le sussurrasti all’orecchio con voce calda e rassicurante. Ma lei cercò di spintonarti via bruscamente.
- Come fai a esserne sicuro?- Sbottò.
- Amy era solo una misera puttana senza alcuna dignità.- Sputasti fra i denti, rabbioso, il coltello a serramanico che ti premeva contro un fianco.
La ragazza spalancò gli occhi, con una smorfia disgustata, e stavolta ti spinse via davvero.
- Sei proprio un pezzo di merda. Non te ne fotte un cazzo di Amy, non è vero? Non te ne fotte un cazzo di tutta quella gente innocente ammazzata, non è così?-
La guardasti con un sorrisetto che poteva essere compassionevole e sardonico allo stesso tempo.
- La gente non è mai innocente.-
Sembrò spaventata dal tuo tono, esattamente come tua madre, la sera di qualche giorno prima. Saint Jimmy nella tua testa cantava vittoria e non vedeva l’ora di afferrare il coltellino.
- Tu lo sai. Tu sai chi è stato… Sei stato tu, dillo! Ammettilo, sei stato tu!- Gridava ora, e si era avventata contro di te, afferrandoti per il chiodo.
Non rispondesti neanche, ti limitasti a baciarle il collo con delicatezza, consapevole della sua pelle d’oca. La sentisti immobilizzarsi, lì aggrappata a te, disgustata, rabbiosa, e, lo sapevi, allo stesso tempo mortalmente eccitata.
- Sei stato tu… Sei stato tu…- Sussurrava, e sentivi le lacrime bagnarle il viso. Per qualche istante ti venne voglia di infilzarle la lama nella carotide, ma poi pensasti che in questo modo il gioco sarebbe finito troppo in fretta, e il mondo sarebbe tornato presto piatto e noioso. Così ti limitasti a passare la lama sul suo braccio bianco, sussurrandole all’orecchio ciò che avresti davvero voluto farle. La sentisti gemere di dolore ed eccitazione, mentre con precisione quasi artistica le tracciavi un’enorme J sanguinante sull’avambraccio. Whatsername ansimava e sanguinava, si teneva il braccio con l’altra mano, se la sporcava di sangue, s’insanguinava il volto, i capelli, i vestiti, e a te piaceva così, sporca e selvaggia, rosso vermiglio e bianco latte.
-Sei un assassino- Bisbigliò alla tua bocca, tremante.
-Ma non per questo te ne andrai- mormorasti tu in risposta, e la baciasti con forza devastante, sentendo una scarica elettrica che ti correva per tutto il corpo, perché l’eccitazione di quel momento era paragonabile solo a quella che si prova durante un omicidio, ti faceva sentire più vivo che mai.
-Sei una bestia- Piagnucolava lei tra un bacio e l’altro, stringendoti però energicamente a sé, aggrappandosi a te.
- Sono un Santo.- Rispondevi, più sicuro di te che mai. Niente ti spaventava, niente avrebbe potuto fermarti, eccetto quel piccolo pezzo di paradiso coperto di sangue e tatuaggi che stringevi tra le braccia. 

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Capitolo 5
*** Thank you and Goodnight. ***


Los Angeles, California, Dieci Agosto Duemilaquattro.
 
- Tra dieci secondi in onda- Urlò una voce sguaiata nel tuo orecchio. Alzasti un sopracciglio, infastidita.
- Come hai detto che si chiamava la ragazza?- Chiedesti inespressiva al tuo assistente.
- Samantha. Samantha Haner.-
- Samantha Haner. D’accordo.- Ti schiaristi la voce e ti sistemasti il tailleur, sorridendo soddisfatta, senza dedicare un solo pensiero ai due adolescenti che ti avevano permesso di fare carriera in tempo record che non fosse puramente professionale.
- Tre secondi… Due… Uno… In onda!!!- Strillò il tizio dietro le telecamere, e tu ti affrettasti a sostituire il sorriso soddisfatto con un’espressione neutra e, per quanto riuscissi, crucciata.
- Possiamo dichiarare tragicamente conclusa la scia di omicidi che ha devastato Berkeley nell’ultimo mese, che è terminata ieri alle sei di sera, con il ritrovamento di due cadaveri, tra cui quello del presunto colpevole dei delitti.
- I corpi, appartenenti a due diciassettenni del posto, una ragazza e un ragazzo, sono stati ritrovati in periferia, nei pressi della discarica. Gli inquirenti affermano che Samantha Haner, la ragazza, abbia perso molto sangue prima della morte, inferta dal coetaneo per mezzo di un coltellino a serramanico, e che sia stato consumato un atto sessuale prima della morte; tuttavia, non vi sono tracce di abuso. Entrambi i corpi, ma soprattutto quello della ragazza, sono stati ritrovati straziati; il primo, infatti, reca una ferita superficiale all’avambraccio e poi quella mortale, al petto, molto larga e profonda. A quanto pare il coetaneo criminale ne ha scavato il petto con sadica precisione per poi strapparle via il cuore, che è stato ritrovato in mano al colpevole. Sembra una storia da film horror, ma è la tragica realtà. Il secondo corpo, appartenente a James Whales, è stato identificato come il colpevole di tutti i dodici misteriosi omicidi che si sono verificati a Berkeley in questo ultimo mese. A quanto sembra, Whales, dopo aver smembrato il corpo di Samantha, si è inflitto la morte ferendosi numerose volte con il suo stesso coltello per poi aprire una ferita profonda e definitiva nel centro del proprio petto.
- Il ragazzo, a quanto pare, da vivo recava evidenti segni di in fermezza mentale, che però sono stati ignorati dalla madre, ora sotto interrogatorio.
Gli amici, anche loro interrogati, hanno accennato a un certo “Saint Jimmy”, un uomo che nessuno di loro ha mai visto ma che, a quanto sembra, obbligava James a commettere gli omicidi. Alcuni investigatori presumono che questo “Saint Jimmy” potrebbe essere un boss della mafia locale, ma per ora non ci sono prove.
- In ogni caso, la camera di James sembra uno scenario da film horror: sotto il suo letto sono stati trovati membri di corpi come dita, orecchie, bulbi oculari e labbra umane. A quanto pare la madre del ragazzo non aveva mai notato le stranezze presenti in suo figlio e, soprattutto, nella sua stanza da letto. Le pareti sono completamente ricoperte di scritte fatte con lo stesso coltello con cui James, conosciuto dagli amici come Jimmy o Jesus, si è inflitto la morte. A quanto è risultato dopo una veloce indagine, le frasi apparterrebbero tutte alle canzoni di un particolare gruppo punk-rock Californiano, i Green Day.
- E’ però ancora fitta l’aura di mistero che circonda queste due morti e soprattutto la vita di Jimmy. Rimanete sintonizzati su questo canale per ulteriori sviluppi. Grazie e buonanotte.-

 





E questo insomma è il capitolo finale:3 Spero che vi sia piaciuta la storia, fatemi sapere cosa pensate di tutta la faccenda e della sua conclusione:)
GloriaJ

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