Emotionless di mieledarancio (/viewuser.php?uid=37478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Nothing ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Punishment ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Disease ***
Capitolo 1 *** Prologo - Nothing ***
"Senza
emozioni, il tempo è solo un orologio che fa tic-tac".
(Equilibrium)
Prologo
-
Nothing -
Un fantoccio bianco e senza vita che come un fantasma passa le sue
giornate nella sala comune della Wammy's House, seduto nella sua solita
posizione - la schiena ricurva in avanti, una gamba piegata contro il
petto, l'altra abbandonata lungo il corpo -, troppo impegnato a
completare uno stupido puzzle bianco per ricordarsi di vivere. Il viso
inespressivo, gli occhi vuoti.
Near.
Un inutile pidocchio.
Più precisamente, il pidocchio migliore di tutto
l'orfanotrofio: i suoi
voti sono sempre eccellenti e il primo posto è perennemente
occupato dal suo nome.
Io chi sono, invece? Il numero che lo segue. Un fottutissimo numero due.
Non importa quanto ostinatamente provi a superarlo: Near
rimane
sempre il numero uno; il più intelligente; il migliore; il
futuro successore di L.
Bastardo...
«Ehi, Mello!». La voce di Matt distoglie la mia
mente da questi pensieri irritanti.
Sbattendo più volte le palpebre, cerco di concentrare la mia
attenzione su di lui e di lasciar perdere per un istante soltanto il
mio rivale, che come ogni giorno è intento a giocare sul
pavimento della sala comune con i suoi orrendi pupazzetti. Quasi con
rabbia, mordo la tavoletta di cioccolato che stringo fra le
mani e
ne stacco
un pezzo più grande del solito. Non voglio ammettere nemmeno
a
me
stesso di essermi incantato per la millesima volta a guardare quel
pidocchio. Il mio odio per lui mi induce a scrutarlo, a studiare ogni
sua singola mossa, nonostante le conosca a memoria.
Voglio
cercare di capire se lui riesce a percepire i miei sentimenti. Sono
sicuro che può, anche da questa distanza. Near sente i miei
occhi
su di sé, ma non reagisce in alcun modo.
Questo mi fa imbestialire.
«Stai ancora guardando Near?!», sbotta Matt
sconvolto.
«Amico, quando la smetterai di farti rovinare la giornata da
quel
tipo?».
Mai.
Near è il mio rivale. Non posso smettere di pensare a lui e
ad
un modo per superarlo. La sua sola presenza, la sua sola vista, il suo
solo... odore mi
nausea. Non lo sopporto, dannazione! Lui non può vincere!
«Hai ragione. Non ne vale la pena», mormoro con
difficoltà.
Nascondere la verità a Matt è sempre difficile
per me:
lui è l'unico che considero amico, qui dentro. Non
importa quante persone io abbia attorno, non importa se la mia
popolarità mi ha permesso di avere a che fare
con ragazzi che cercano continuamente di soddisfare ogni mio
desiderio... Matt rimane l'unico degno della mia stima.
Perché
lui è la sola persona che si sia mai interessata veramente
a me. Non perché sono il secondo della classifica, non
perché sono popolare... Semplicemente perché sono
io.
Ma ciò che riguarda Near non lo posso raccontare neppure a
lui.
È un sentimento particolare, un odio troppo profondo per
essere
espresso a parole. È una cosa mia.
Abbozzando un sorriso sbilenco, con i denti stacco un altro pezzo dalla
mia cioccolata. «Programmi per oggi?», gli domando
con la
bocca piena.
Matt sembra felice di avere finalmente tutta la mia attenzione su di
sé e non la smette neppure per un secondo di agitarsi sul
posto.
«Potremmo giocare a qualche videogame!», esclama
con gioia.
«Oppure fare una partita di calcio!».
In pochi secondi mi rendo conto di non averlo ascoltato neppure per un
istante: il mio sguardo è di nuovo fisso su Near. Lo
considero
un essere ripugnante, eppure non posso far a meno di guardalo. Vorrei
tanto capire il perché...
Lui continua a fare il suo puzzle, ignorando tutto e tutti. Il
più delle volte mi viene da pensare che tenda ad estraniarsi
in
un mondo tutto suo - un mondo orribile, ovviamente -; non trovo altra
spiegazione al suo comportamento. Non è possibile che un
essere
umano non provi alcuna emozione.
Da parte mia, non comprendo neppure il mio desiderio di ottenere una
sua reazione. Forse lo faccio perché sono stufo di essere
l'unico che si rode il fegato a causa sua. Per una volta soltanto,
vorrei essere io quello che gode nel vederlo soffrire. Sono sicuro che
lui lo fa sempre quando sono io ad infuriarmi.
Non avrò pace finché non sarò riuscito
nel mio intento.
«E se invece ci divertissimo un po' con il
pidocchio?». La
mia voce si è fatta improvvisamente strana: c'è
quasi una
nota di malignità in essa. E in effetti è
così.
Un ghigno si disegna sulle mie labbra e il sorriso di Matt scompare dal
suo viso. Quando mi comporto così, sa che cercare di farmi
cambiare idea è inutile. Sa che, quando il mio corpo freme
per
far del male a Near, è meglio non irritarmi con proposte del
tutto diverse.
«Se è quello che vuoi...».
Sì, è esattamente quello che voglio.
Oggi ho bisogno di sfogarmi su di lui.
Volto il capo e rivolgo nuovamente lo sguardo a quel pidocchio,
l'espressione compiaciuta ancora presente sul mio viso. Lui
è
lì, tutto solo e indifeso, e non sa cosa lo attende. Mi
viene
quasi da ridere.
«Matt...».
Lui mi osserva, già consapevole di ciò che sto
per dire.
«Raduna i ragazzi».
Nascosto dietro l'angolo insieme ai ragazzi, mi sento tutto un fremito.
Questa è la sensazione che provo ogni volta che sto per
pestare
Near: un brivido mi attraversa la spina dorsale, il mio stomaco
comincia a fare le capriole e gli angoli della mia bocca sono
perennemente rivolti verso l'alto in un ghigno malefico.
Picchiarlo mi fa sentire... vivo.
Ad un tratto, da lontano riesco a sentire dei passi leggeri e in parte
incerti: il pidocchio deve avere le gambe addormentate, dopo essere
stato per ore seduto in quel modo assurdo. So per certo che
è
lui, perché quel suono potrei riconoscerlo anche ad un
miglio di
distanza.
«Mello, è il momento?», mi domanda
Bruce, forse il ragazzo più violento del mio gruppo.
«Non ancora».
Devo aspettare che sia più vicino. Questa volta voglio
vedere la
sorpresa nei suoi occhi. Voglio vedere la paura. Voglio assaporare il
gusto della vittoria.
Near si fa sempre più vicino e il mio cuore batte come un
tamburo contro il petto, quasi volesse creare un buco e
uscire.
Devo controllarmi. Devo essere lucido.
Matt è al mio fianco, Bruce, Hugo, Rik e Gabe invece sono
alle
mie spalle e attendono il segnale per uscire allo scoperto e saltare
addosso alla preda.
«Mello?», mi chiama Matt, ma io non lo ascolto.
So che a lui questo gioco non piace. Il più delle volte
rimane
semplicemente fermo a guardare, l'espressione del volto contrariata;
proprio non riesce a comprendere il mio divertimento. Da parte mia, non
lo obbligo a far nulla. È libero di scegliere.
Proprio quando Near sta per raggiungere il nostro nascondiglio, prendo
una decisione: questa volta anch'io voglio semplicemente guardare.
Voglio godermi lo spettacolo. Lascerò fare il lavoro sporco
agli
altri, ma avrò comunque ciò che voglio: la
sofferenza del
pidocchio.
Ed ecco che arriva il momento.
«È tutto vostro, ragazzi», mormoro con
un ghigno malvagio dipinto sul volto.
Near volta l'angolo e potrei giurare di aver visto per una frazione di
secondo i suoi occhi allargarsi leggermente, prima di tornare i soliti
inespressivi di sempre. I miei compagni scattano in avanti, uscendo
allo
scoperto; Rik e Gabe lo afferrano per le braccia, bloccandolo, Bruce e
Hugo gli si posizionano alle spalle. Il pidocchio non
dà segno di essere spaventato, ma neppure sorpreso.
Come diavolo è possibile?! Lo odio, maledizione! Lo odio!
Perché non reagisce?! Perché non prova a
scappare, a
difendersi a... fare qualcosa?! Qualsiasi cosa! Scommetto che
aveva
già previsto questo agguato, ma non ha comunque fatto niente
per
evitarlo; ed anche ora che ci è finito in mezzo è
completamente indifferente. I suoi occhi sono vuoti,
il respiro
è lento e tranquillo, il corpo rilassato.
Non capisco.
Mi avvicino a lui, scrutando il suo viso in silenzio. Lo studio
attentamente, ma non vedo traccia di quell'emozione che speravo di
trovare. Avvicino il mio volto al suo, digrignando i denti.
«Sai cosa sta per succederti, vero?», gli chiedo
minaccioso.
Lui lentamente annuisce, come se fosse la cosa più naturale
del mondo. «Fai pure», mormora apatico.
Dischiudo appena le labbra, basito. Non è umano.
I ragazzi aspettano il mio segnale per cominciare il lavoro,
ma
ancora non riesco a darglielo. Sono sconvolto.
«Va sempre a finire così, Mello»,
borbotta Matt alle
mie spalle. «Non dirmi che non te l'eri aspettato. Ormai
dovresti
aver imparato».
Ha capito ciò che provo, ha capito la mia rabbia.
Dannazione, sì! Sapevo che sarebbe finita così
anche
questa volta, ma ho voluto comunque tentare, nella speranza che fosse
diverso! La verità è che sono veramente stupido:
non so
quante volte questa scena si sia ripetuta, ma per mesi ho continuato a
perseverare e a portare avanti questa cosa; spero sempre che Near
reagisca e che il mio desiderio di vendetta si realizzi, ma non succede
mai. Eppure continuo a
provarci... Perché? Forse perché
non riesco ancora a concepire il fatto che quel pidocchio sia
così... vuoto?
Potrei fermarmi, arrivato a questo punto, tanto non avrei alcuna
soddisfazione.
«Allora, Mello?», mi chiede Bruce, eccitato. Lui
è sempre quello che non vede l'ora di agire.
Ma no... Non mi fermerò. Se sono destinato a sbagliare ogni
volta, allora tanto vale sbagliare fino in fondo.
Distolgo lo sguardo e mi allontano.
«Procedete».
Il sospiro sconsolato di Matt, l'urlo di vittoria dei miei compagni,
nessuna reazione da parte di Near. Ecco come finisce sempre la storia.
Il suono dei pugni e dei calci rimbomba per gran parte del corridoio a
quest'ora deserto. Il pidocchio incassa i colpi silenziosamente e non
un suono esce dalla sua bocca; si limita soltanto a stringere i denti e
le palpebre; si limita a sanguinare e ad accettare i lividi sul suo
corpo; si limita ad accasciarsi e a venire sorretto forzatamente dalle
braccia di Rik e Gabe.
Io assisto alla scena, in silenzio. Matt, ad un certo punto, distoglie
lo sguardo.
In teoria, dovrei provare pietà per quel fantoccio bianco
che
dopo poco viene lasciato cadere a terra stremato. In pratica, non ne
provo affatto.
Per me, Near, non è niente.
NdA:
Salve a tutti! Sono
emozionata se penso che questa è la prima long Mello/Near
che
scrivo e pubblico qui su EFP. Amo questa coppia e nelle ultime
settimane non ho fatto altro che cercare e leggere fan fiction che la
riguardassero. Sono fissata. Dopo "A
red scarf around us" dovevo scrivere una long!
Chissà se riuscirò a tirare fuori qualcosa di
vagamente decente...
Allora... Che dire di questo prologo? Siamo soltanto all'inizio e,
sì, non è proprio dei migliori... Però
non si
può avere tutto subito, no?
I prossimi capitoli saranno sicuramente più lunghi e
più
ricchi di dettagli. Descriverò meglio anche i singoli
componenti
del gruppo di Mello e darò molto più spazio a
Near, che,
poverino, in questo prologo le ha soltanto prese. ^^''
È sempre gradito un piccolo giudizio, positivo o negativo
che sia.
Alla prossima!
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 - Punishment ***
Emotionless - Capitolo 1
Capitolo
1
-
Punishment -
Come ogni
giorno durante l'ora di pranzo, la mensa della Wammy's House
è ghermita da bambini e ragazzi rumorosi, che dopo le
lezioni
mattutine pensano soltanto a gettarsi come animali affamati sul cibo,
riunendosi a gruppi ai tavolini presenti nella stanza.
Soltanto un
tavolo, quello che solitamente viene occupato da una sola persona,
è vuoto: il tavolo di Near.
Nonostante sia
ben consapevole che non verrà,
non riesco comunque a distogliere lo sguardo da quell'insulso pezzo di
legno vuoto, con accanto una sedia altrettanto vuota. Ce n'è
soltanto una, perché nessuno si siede mai accanto a lui.
Near
mangia sempre da solo. Mi sembra quasi di vederlo, bianco e apatico,
impegnato a mangiucchiare con lentezza e poco interesse il suo misero
pasto. Non mangia molto, in effetti; anzi, quasi niente. Fosse per lui,
a mio parere, farebbe a meno anche di quelle poche briciole
che
assume a forza ogni giorno.
Near non
conosce il significato della parola 'vivere'. Lui sopravvive e basta.
Ciò
che odio di più è il fatto che, per quanto mi
sforzi, non riesco a non pensare a lui e a non guardare quel dannato
tavolino. La mia è un'ossessione, un'orrenda ossessione.
Quel
mostriciattolo è costantemente presente nella mia testa
anche
quando fisicamente è lontano metri e metri. Non credo di
aver
mai odiato così tanto una persona.
«Mello?».
Distolto dai
miei pensieri, sbatto più volte le palpebre e cerco
di mettere a fuoco la figura di Matt, seduto proprio di fronte a me. Mi
sta fissando con un sopracciglio inarcato e un'espressione quasi
rassegnata.
«Se
te lo stai chiedendo, oggi Near non verrà», mi
informa con serietà.
Lo so bene.
Ieri ho fatto in modo che non potesse nemmeno camminare. I
ragazzi ci sono andati pesanti, proprio come avevo ordinato loro.
Con una
smorfia addento il mio panino. «Peccato. Oggi sarà
una barba».
«Non
ne hai abbastanza?».
«Non
ne ho mai abbastanza».
Il mio sguardo
è serio e cattivo. Ogni volta che penso
all'indifferenza di Near e al fatto che lui sia lo studente numero uno
di tutto l'orfanotrofio mi ribolle il sangue nelle vene.
Matt scuote
leggermente il capo e si concentra sul proprio pranzo.
«Contento tu...».
Il suo tono mi
fa infervorare e non poco. Sembra quasi che mi stia
compatendo, come se stesse dalla parte di quel mostriciattolo. Non l'ho
mai costretto a fare nulla che non volesse, a differenza degli altri,
che non possono permettersi il lusso di scegliere; loro devono
sottostare al mio volere, ubbidire ai miei comandi e tacere.
Disobbedire equivarrebbe a scavarsi la fossa da soli. Matt non
è
legato da questi vincoli; ecco perché il suo comportamento
mi
irrita tanto.
«Se
ti preoccupi così tanto per Near, perché non
passi dalla sua parte?», lo sfido con strafottenza,
guardandolo
con occhi che esprimono più delusione che rabbia.
Alza gli occhi
al cielo, ignorando completamente la mia provocazione. «Ma
per favore...».
È
questo ciò che mi piace di più di Matt: non si
fa spaventare da me, a differenza di tutti gli altri, che mi temono
come se fossi il diavolo in terra; lui invece ha persino la
capacità di tranquillizzarmi con la sua stessa calma. Potrei
quasi definirlo un amico, anche se questa per
me è una parola troppo grossa.
Nessuno è mio
amico.
Il discorso a
questo punto si interrompe e la pace viene ristabilita. Come sempre,
del resto. Io e Matt non litighiamo mai.
Improvvisamente
il nostro tavolo viene scosso dall'irruenza tipica di
Bruce, che con nonchalance si siede con noi, seguito subito dagli altri
ragazzi. Un grugnito esce incontrollato dalle mie labbra: detesto
vederli così spesso - il solo motivo per cui sono costretto
a
passarci del tempo è perché senza il loro aiuto
picchiare
Near non sarebbe così divertente - e non sopporto il fatto
che
abbiano interrotto con noncuranza la mia pace personale.
«Ehi,
ragazzi!», esclama dunque il ciccione, avvicinandosi
irritantemente alla mia faccia. «Avete saputo? Stamattina
Near
non si è visto a lezione!».
«Lo
sappiamo, Bruce», borbotta Matt, riprendendo a mangiare il
suo pranzo.
Bruce, il
più grosso e violento del
gruppo, ma anche il più codardo, non si dà per
vinto.
«E non è nemmeno venuto a pranzo!».
«Non
ce n'eravamo accorti...». Lo fulmino con lo sguardo e con i
denti stacco un enorme pezzo dal mio panino.
Lui abbassa lo
sguardo timoroso e si rimette al suo posto,
allontanandosi finalmente dal mio viso. Mi scappa quasi da ridere:
è buffo il modo in cui mi obbedisce, come un docile
cagnolino.
Bruce può spaventare gli altri, ma non me. Non è
altro
che un grosso e grasso giocattolino che potrei gettare nel bidone da un
momento all'altro, se solo volessi. Spazzatura.
Hugo, a
differenza sua, è più riservato ed evita di
porgermi domande che sa potrebbero darmi fastidio. Sa stare al suo
posto, devo dire. Fra quelli del nostro gruppo è il
più
grande e possente, ma anche il più moderato; quando si
tratta
di entrare in azione è efficiente, ma sa quando è
ora di
rivolgermi la parola e quando è meglio tacere. Lui
è
forse quello che mi dà meno grattacapi.
Rik e Gabe
invece sono i gemelli omozigoti silenziosi e timorosi. Non
mi rivolgono quasi mai la parola per paura di dover affrontare la mia
ira, e si limitano semplicemente ad obbedire ai miei ordini. Il
più delle volte se ne restano in silenzio, a fissarmi
adoranti.
Probabilmente mi considerano una specie di eroe.
Tutti loro,
comunque, non sono altro che le pedine del mio gioco.
Li manipolo a mio gusto e piacimento, e senza neanche troppa
fatica.
Quando ritengono che possano essermi utili, li chiamo a raccolta. Anche
se la maggior parte delle volte non ce n'è neppure bisogno:
la
loro smania di starmi accanto è impressionante e
schifosamente
inquietante.
«Quindi
oggi come ci divertiamo?», insiste Bruce, mettendo a dura
prova il mio autocontrollo.
«Oggi
ce ne stiamo buoni, imbecille. O vedi forse altre
alternative?».
Cala
immediatamente il silenzio, ed io ringrazio qualunque Dio esistente
abbia deciso di ascoltare la mia richiesta di aiuto.
Non
è giornata. Oggi potrei fare a pezzi qualcuno, se mi
capitasse l'occasione. Non ne capisco il motivo. Dopotutto le cose sono
andate esattamente come avevo desiderato... Ma qualcosa mi fa sentire
quasi... vuoto. Senza uno scopo. Ora che Near è fuori gioco,
non
ho più niente a cui attaccarmi. Ed è proprio
questa la
cosa che più mi fa imbestialire. Perché tutto
deve sempre
ruotare attorno a lui?
Ad un tratto,
accanto a me, Bruce sbarra gli occhi sconvolto, fissando
un punto indefinito nella stanza; il suo braccio si solleva e con un
dito indica incerto e tremante l'oggetto del suo turbamento.
«Capo...», mugugna incredulo.
Scocciato,
volto il capo nella direzione da lui indicata. I miei occhi
si spalancano decisamente più dei suoi e per poco non mi
strozzo
con un pezzo di panino.
Non
è possibile!
Quel tavolo
che fino a pochi minuti fa era vuoto, ora sta per
essere occupato dal suo legittimo proprietario. Una figura bianca e fin
troppo familiare avanza incerta verso di esso, zoppicando e
trascinandosi con stanchezza. È instabile Near, quasi non si
regge in piedi. Una volta raggiunta la
propria sedia, si lascia andare su di essa con il suo solito contegno.
Chiunque altro, nelle sue condizioni, si sarebbe letteralmente
stravaccato. E invece lui no: eccolo lì, una gamba piegata
contro il petto e l'altra abbandonata lungo la sedia come sempre.
«Impressionante»,
commenta Matt con serietà.
«Near...».
Il mio è un sussurro talmente basso che nessun altro
può averlo udito.
È conciato
male, e non sfugge allo sguardo di nessuno.
Tutti gli altri ragazzi si voltano e gli rivolgono qualche occhiata
sorpresa, sconvolta, confusa. I capelli sono più arruffati
del
solito, un livido scuro occupa buona parte del suo zigomo sinistro e
una piccola crosta di sangue scarlatta spunta all'angolo della sua
bocca pallida. È debole, si vede, ma al tempo stesso
è
forte.
Non molli mai,
eh? Maledetto...
«Ma...
Ma ci eravamo andati giù pesanti, proprio come ci
avevi ordinato!», sbotta sconvolto Bruce, guardandomi
intimorito.
Digrigno i
denti e la mia mano si stringe a pugno. «Evidentemente non
abbastanza, razza di idioti!».
Li vedo
ritrarsi spaventati, consapevoli di essere in pericolo. Sono furioso.
Per quanti
sforzi io faccia, non riesco mai a... piegarlo. Near non si spezza
mai. Anche oggi si è dimostrato indirettamente superiore a
me.
Forse, se ci
avessi pensato io, ora non sarebbe seduto a quel fottutissimo tavolo.
Il panino
stretto nella mia mano destra cade a terra in tanti piccoli pezzi,
distrutto dalla mia furia.
«Calmati,
Mello», mormora Matt, prendendo un sorso d'acqua
dal suo bicchiere. A differenza di me e degli altri, lui sembra
così tranquillo...
Lascio cadere
a terra ciò che resta del mio pranzo - poco e
niente - e rivolgo un'occhiata di fuoco a quel lurido pidocchio. Mi
dà le spalle, ma sa che lo sto guardando. Lui sa sempre
tutto.
E va bene,
Near... Vediamo quanto puoi resistere ancora. Te la sei cercata.
Al termine
delle lezioni mattutine, la maggior parte dei ragazzi si
riunisce nel grande giardino dell'orfanotrofio e continua la propria
giornata come meglio crede: c'è chi gioca a pallone, chi a
nascondino, chi si siede sotto un albero a leggere, chi a parlare...
L'intera struttura della Wammy's House si svuota del tutto in quelle
ore. O quasi.
Io ho sempre
preferito chiudermi nella mia stanza o in biblioteca a
studiare, o anche soltanto per restare solo. Oggi più che
mai
è una di quelle giornate in cui il contatto con qualcun
altro
potrebbe urtarmi a tal punto da diventare violento con chiunque mi
capiti a tiro. Meglio isolarmi, come un animale pericoloso chiuso in
una gabbia.
Studiare non
rientra nelle mie priorità: la mia mente non
è sufficientemente libera per permettermi di assimilare
qualsiasi cosa. Il pensiero di quel pidocchio è come un
chiodo
che lentamente viene conficcato a colpi di martello nel mio cervello.
Mi impedisce di pensare, di fare qualsiasi altra cosa che non sia
angustiarmi per il fatto che ancora cammini sul mio stesso terreno.
È
una condanna, la peggiore che potesse capitarmi in sorte.
Il mio fiato
caldo lascia un alone sul vetro della finestra da cui
stavo scrutando gli altri correre dietro ad un pallone quasi distrutto.
Mi allontano, lasciandomi condurre dalle mie stesse gambe senza avere
in mente una meta precisa. O forse il mio corpo inconsciamente sa
già dove vorrebbe essere, chissà... Infatti non
mi
meraviglio più di tanto quando mi ritrovo quasi per caso
davanti
alla porta aperta della Sala Comune. È apparentemente vuota,
ma
so per certo che se mi avvicinassi ancora un po' alla soglia e
guardassi dentro, in un angolino troverei la solita figura bianca che
tanto disprezzo: Near trascorre i suoi pomeriggi così,
componendo puzzle. Mi chiedo quando trovi il tempo per studiare.
È così disumano da non dormire nemmeno?
Effettivamente,
se ci penso bene, non mi pare di averlo mai visto chiudere gli occhi
per più di cinque secondi.
Avanzo ancora
un po', mi fermo sulla soglia e estraggo dalla tasca una
barretta di cioccolata. Appoggiandomi allo stipite inizio a
morderla, guardando non dentro alla stanza, ma un punto fisso
sul
soffitto. Non ho bisogno di cercarlo con gli occhi, quando posso
sentire la sua presenza e il suo respiro quasi inesistente anche a
metri di distanza.
Il mio corpo
reagisce in modo strano quando è vicino a lui. Lo sente anche se non lo vede.
Vorrei
soltanto sapere se anche per lui è lo stesso... Se
davvero non proferisce parola perché non si è
accorto
della mia presenza, o semplicemente perché non gli importa.
Ma
è improbabile che non mi abbia realmente notato. I miei
morsi
diventano sempre più rabbiosi, non sentirli è
quasi
impossibile.
Dopo attimi di
interminabile silenzio, sbotto spazientito: «Come diavolo fai
a stare ancora in piedi?».
Nessuna
risposta, ovviamente.
Tipico.
Finisco la
cioccolata, mentre le mani prendono a formicolarmi
fastidiosamente. È come se il sangue scorresse
improvvisamente
più velocemente nelle mie vene. Accartoccio la carta e la
lancio
via con rabbia. Quando finalmente mi volto verso di lui, lo ritrovo
inginocchiato sul suo solito puzzle bianco, la schiena un po'
più curva del solito, il volto più emaciato. Con
passo
spedito mi avvicino, come se volessi saltargli addosso e sfogare la mia
rabbia; invece no, mi fermo davanti a lui, i pugni stretti e il volto
contratto dall'ira.
Near solleva
gli occhi, quei pozzi scuri e vuoti che ogni volta mi
fanno rabbrividire. Non che abbia avuto l''onore' di osservarli
così spesso: è raro che mi guardi così
apertamente.
Mi scruta,
aspetta. Che diavolo vuoi, Near?!
«Vuoi
finire il lavoro?», mi chiede quasi con indifferenza,
come se mi stesse chiedendo di passargli un pezzo di pane.
Le mie mani si
stringono ancora di più a pugno. «Mi stai forse
chiedendo di farlo?».
«No.
Mi chiedevo solo per quale motivo fossi venuto qui».
Il suo dannato
volto, così apatico, tranquillo, il suo tono di voce...
«'Fanculo,
Near!». È un ringhio che mi esce dalla
gola quasi strozzato, mentre le mie mani si chiudono attorno al suo
collo e lo sollevano con una forza insolita. Non che pesasse
più
di tanto comunque...
Le sue dita
lasciano andare le tessere del puzzle, ma la sua
espressione non cambia. Perché non ha paura?
Perché,
qualsiasi cosa io faccia, non dimostra una fottutissima emozione,
qualunque essa sia? Potrei aprirgli il petto seduta stante e far
schizzare il sangue su tutti i muri, ma lui non batterebbe ciglio
comunque!
Mi fa...
imbestialire.
«Vorrei
ammazzarti... Io non so se esiste un limite all'odio, ma
se dovessi esprimere quello che provo io nei tuoi confronti, credo che
non ne sarei capace!», gli urlo in faccia, mentre sento le
mie
guance andare in fiamme.
Forse la mia
stretta attorno al suo collo così delicato al tatto
si intensifica troppo, fatto sta che le sue piccole mani si posano
sulle mie senza opporre resistenza. Ma stanno lì,
congelandomele
con quel leggero tocco. Non è un contatto voluto, nemmeno
sentito, ma c'è.
«Se
mi odi così tanto... perché non riesci a starmi
lontano?».
È
come un fulmine, come una scarica elettrica che parte dalle
mie mani e mi invade tutto il corpo. Mi schianta, mi annienta. Non
posso più reggere il contatto con lui: lo lascio andare,
come se
mi fossi appena reso conto di aver toccato la Morte. Lo osservo
accasciarsi a terra, i miei occhi sbarrati, vuoti, congelati.
Che... Che
diavolo ha detto?
Non sento
più le forze, nemmeno l'equilibrio necessario per reggermi
in piedi.
Io... dipendente... da... lui.
No. Mai.
Near rialza il
volto e mi osserva quasi con una punta di curiosità.
«Come puoi inseguire qualcosa che odi?».
È
morto.
Una furia
assassina mi invade dalla punta dei capelli a quella dei
piedi e mi induce a mandare all'aria il suo puzzle e ad afferrarlo per
un braccio con violenza, tirandolo di nuovo in piedi, verso di me. Lo
voglio uccidere, ma so che non posso farlo... Non lì almeno.
Comincio quasi
a correre, non mollandolo mai, costringendolo a star al
mio passo e a seguirmi per tutti i corridoi, per tutte le scale,
strisciando quasi, urtando ovunque. Non gli do pace finché
non
arriviamo alla porta che dà sul giardino; a quel punto lo
afferro per il colletto della camicia e immergo i miei occhi nei suoi.
«Questa
volta, Near, se non sarà qualcun altro a fermarmi, io non lo
farò».
Lo getto oltre
la soglia, giù per la breve scalinata. Lo vedo
rotolare finché non raggiunge l'erba verde e baciata dal
sole.
Gli altri
ragazzi interrompono subito le loro attività,
accorrono per vedere, rimangono pietrificati. Altre volte avevano
assistito alle torture inferte a Near da parte dei miei 'scagnozzi', ma
mai prima d'ora avevano
visto me massacrarlo di botte.
Dovevo
punirlo. Dovevo fargliela pagare per quello che aveva osato insinuare.
Scendo la
scalinata, lo raggiungo e lo sollevo a forza. La ferita sul
suo labbro si è riaperta, sanguina, i vestiti bianchi sono
sporchi di terra, d'erba, di sangue... Ma la sua faccia - quella
dannatissima faccia d'angelo - non esprime alcuna sofferenza. Forse un
po' la sua bocca, piegata in una piccola smorfia.
Stai
soffrendo, Near? Ti fa male?
Lo spingo di
nuovo a terra, gli mollo un calcio.
«Mello!».
Sento la voce di Matt, vedo arrivare Bruce e gli altri e
improvvisamente comincio a vedere tutto rosso.
Sto impazzendo.
C'è
chi mi incita a continuare, chi osserva paralizzato, chi -
come Matt - mi intima di fermarmi. Avverto le sue braccia attorno al
mio corpo, nel tentativo di placarmi. Ma non ho pace, o almeno non ne
avrò finché non vedrò quel pidocchio
frantumato in
mille pezzi. Mi libero bruscamente dalla sua presa, mi avvento ancora e
ancora su Near. Lui non fa altro che chiudersi a riccio, portandosi le
mani alla testa in un misero tentativo di difesa, ma non urla, non
geme, non implora pietà.
Perché
non lo fa?!
«Basta,
Mello! Così è troppo!».
«Con
lui non è mai troppo», sibilo fuori di me.
Non riesco a
fermarmi, non ci riuscirei nemmeno se lo volessi
veramente. Near si è spinto troppo oltre questa volta, ha
liberato la bestia che è in me.
Sollevo in
aria il pugno chiuso, pronto a colpirlo ancora una
volta, ma inaspettatamente lui allontana una mano dalla sua testa e la
posa sul mio petto in un tocco leggero, debole.
Mi blocco.
Perché?
Che cosa significa?
Si scopre il
volto scorticato, pieno di lividi, e mi guarda con gli
occhi socchiusi. Non ha forze, non ce la fa più.
È
quasi... più
morto
del
solito. Ma ha ancora la forza per allungare quella mano e toccarmi. Non
mi sta chiedendo di fermarmi, no. Prova pietà per me forse.
Forse...
Avvolto in
quella bolla isolata da tutti gli altri, la risata
inconfondibile di Bruce mi giunge quasi lontana. I miei occhi sono
ancora incatenati a quelli di Near, non riesco a non guardarlo. E non
riesco nemmeno a sferrargli quel pugno che a poco a poco si sta
abbassando da solo.
«Ti
aiuto io, capo!».
Una secchiata
d'acqua gelida investe Near e alcuni schizzi si
infrangono anche sul mio viso. Non realizzo subito. Vedo solo gli occhi
di Near chiudersi lentamente e il suo corpo rilassarsi sul terreno. La
bolla si infrange.
Rialzo lo
sguardo e ritrovo Bruce in piedi al mio fianco, un secchio
gocciolante in mano e un sorriso idiota stampato su quella sua faccia
grassa e orrenda. Il silenzio cala, pesante, fastidioso. Torno a
guardare Near inerme e fradicio, gli occhi chiusi. Privo di sensi.
«Chi
diavolo ti ha chiesto di intervenire, razza di idiota?»,
sibilo irritato.
Il sorriso sul
viso di Bruce scompare, e il suo corpo indietreggia un poco, tremando.
«Questa
era una questione tra me e lui».
«C-Capo...
Volevo solo-».
«Sparisci!».
Lascia cadere
il secchio a terra e si allontana con la coda tra le gambe. Inutile
montagna di lardo...
Il mio sguardo
incrocia per caso quello di Matt, davanti a me. Sembra
deluso. È come se mi stesse dicendo: "Questa volta hai
esagerato, Mello".
«Fate
largo!».
Improvvisamente
la massa di ragazzi comincia a disperdersi un po', in
modo da permettere a Roger di passare tra loro e di raggiungerci.
Qualcuno deve averlo chiamato, o forse ha notato o sentito qualcosa
dall'interno dell'orfanotrofio.
Quando i suoi
occhi si ritrovano a guardare quel corpo bianco immobile
a terra, il suo viso diventa improvvisamente pallido. Si piega su di
lui, allunga una mano e accarezza i capelli fradici.
«Near...»,
mormora con un sospiro.
Alza lo
sguardo, guardandomi con tristezza e delusione. È un
contatto che dura soltanto un istante, ma è abbastanza per
svuotarmi di qualsiasi cosa.
Roger
raccoglie Near e lo solleva con le sue vecchie e gracili braccia.
Non deve pesare molto, ma gli risulta comunque faticoso. Fa per
voltarmi le spalle e andarsene, probabilmente verso l'infermeria, ma
non senza prima avermi lanciato un'altra occhiata.
«Da
te non me lo sarei mai aspettato, Mello. Pensavo fossi
migliore di così». Il tono della sua voce
è pacato,
ma capace di perforarmi il corpo come tante piccole lame.
Mi sono
davvero spinto così oltre questa volta?
«Stasera
ti voglio nel mio ufficio».
Non ho mai
temuto le autorità, men che meno Roger. Non è
certamente la persona più temibile che abbia mai conosciuto,
anzi; a volte fatica persino a fingere di essere il capo all'interno di
questa struttura. Però sa farmi sentire in colpa anche
quando
non dovrei. Ha uno strano potere, quello di ammonire semplicemente con
lo sguardo. Mi trasmette persino un senso di inquietudine a volte...
Forse è per questo che lo rispetto così tanto.
Mentre
spalanco lentamente la porta del suo ufficio, sento le sue dita
battere sulla tastiera di un computer e ciò mi mette addosso
ancora più ansia. Sicuramente Roger ha intenzione di punirmi
in qualche modo; non che l'idea di essere punito mi spaventi, ma a
volte le sue decisioni non sono poi così... piacevoli.
Specialmente per me.
«Vieni
pure avanti, Mello».
Entro e
richiudo la porta alle mie spalle. Estraggo dalla tasca dei
pantaloni la terza confezione di cioccolata del giorno e l'addento
nervoso. Roger alza lo sguardo e si aggiusta gli occhiali sul naso.
Iniziamo pure.
«Mello...
non ti chiederò di darmi una spiegazione per
quel che è successo oggi, perché so
già da tempo
che fra te e Near non c'è mai stato... rispetto? O almeno da
parte tua...».
Sbuffo una
risatina, riavvolgendo la cioccolata nella carta stagnola e
rimettendola in tasca.
«Però
il tuo gesto non è comunque giustificabile».
«Mi
ha provocato».
Lo vedo
inarcare leggermente un sopracciglio. «Near?».
Probabilmente
non mi crede e mai lo farà. In fondo è
difficile pensare che Near, per com'è fatto, possa anche
solo
pensare di 'provocare' apertamente qualcuno. Ma per me la sua
insinuazione è stata peggio di una provocazione. Ha
praticamente
affermato che io sono dipendente da lui. Mai offesa più
grande
mi è stata fatta.
Ovviamente non
lo dirò a Roger. Sarebbe un'ulteriore umiliazione.
Dopo pochi
istanti di silenzio, lo sento sospirare sconsolato.
«Gli hai incrinato due costole, Mello. Per non parlare del
resto...».
Deglutisco
nervosamente. Per quanto possa farmi piacere sapere che
ora Near prova un qualche tipo di dolore, seppure fisico, questa volta
mi sono messo veramente nella merda. Le conseguenze non saranno
piacevoli.
Forse Roger si
aspetta delle scuse, ma non ho intenzione di piegarmi a
tale bassezza. Quindi lascio che il silenzio cali ancora fra noi,
finché lui non si decide a parlare di nuovo.
«Potevo
sopportare la vostra rivalità quando si trattava
soltanto di decidere chi fosse lo studente migliore fra voi due, ma
questo è troppo, Mello. Non hai idea di che cosa significhi
la
parola 'rispetto'».
«Nemmeno
lui lo sa!», sbotto furioso.
Se me la
prendo tanto con lui, un motivo c'è: quel pidocchio in
un modo o nell'altro riesce sempre a farmi perdere le staffe. Se le
cerca!
Roger mi
scruta per qualche istante, il volto impassibile. Poi
finalmente introduce la sua decisione. «Allora forse
è
arrivato il momento che entrambi lo impariate».
«Che
vuoi dire?».
Un brivido mi
attraversa la schiena. Sento che non mi piacerà affatto.
«Near
avrà bisogno di essere seguito da qualcuno durante
la sua guarigione, di essere aiutato. Ovviamente non potrà
fare
più di tanto per il momento... Voglio che tu, da domani,
passi
la maggior parte del tuo tempo con lui, momenti di studio compresi, e
che ti prenda cura delle ferite che tu stesso gli hai procurato
finché non sarà di nuovo
autosufficiente».
Spalanco gli
occhi, sconvolto. Non può farmi questo. «No,
Roger-».
«Gli
unici momenti in cui potrai separarti da lui saranno quelli
dedicati al riposo, al pranzo e alla cena e all'igiene personale. I
tuoi 'amici' non potranno avvicinarsi a Near, mai, a meno che non siano
ben intenzionati ovviamente. Dovrai imparare a convivere e a
condividere con lui.
Ogni sera controllerò che tutto stia procedendo come mi
aspetto
che proceda, e se dovessi accorgermi che qualcosa di ciò che
ti
ho appena detto non viene rispettata... L sarà per te
soltanto
un lontano ricordo».
Il mio
castello di certezze e sicurezze crolla in un batter d'occhio.
Non ho via di fuga, sono in trappola. Roger sa perfettamente dove
andare a parare per convincermi a fare come vuole lui... Non
può
privarmi di un sogno che sto rincorrendo da tutta una vita. E non
può nemmeno costringermi a passare tutte le mie giornate con
una
persona che vorrei morta. Non può! Ma come faccio ad oppormi
quando in gioco c'è così tanto?
La mia mano si
stringe a pugno, fino a conficcarmi le unghie nella carne.
Maledizione!
«Qualcosa
da obbiettare, Mello?».
Vorrei
esplodere, buttare tutto all'aria, arrabbiarmi... Ma non posso.
Scuoto
soltanto la testa, incapace di proferire parola.
Roger annuisce
soddisfatto e socchiude gli occhi. «Bene. Puoi
andare».
NdA:
Dunque... Che dire? Mi vergogno di aver fatto passare così
tanto tempo - un anno e mezzo?! - prima di aggiornare questa
fanfiction. Non ho scuse. È stato un lungo periodo in cui un
po' di cose sono cambiate, io in primis, e purtroppo la mia ispirazione
per qualsiasi cosa è scomparsa. Sarò sincera: mi
ero un po' persa. Ho abbandonato tutto ciò che avevo
iniziato, non sono più riuscita a concludere un bel
niente... Nell'ultimo periodo, però, mi sono un po'
ritrovata e la mia voglia di scrivere è tornata finalmente.
Ho in mente così tante cose... Mi sembrava giusto ripartire
con questa fanfiction, che cercherò d'ora in poi di
aggiornare in tempi brevi. Non succederà una seconda volta
che passi così tanto tempo tra un capitolo e l'altro. E poi
con il prossimo inizierà la parte che più
preferisco.
Spero che avrete ancora voglia di seguire questa storia e che il
capitolo sia stato di vostro gradimento.
A presto - stavolta sul serio però ;) - !
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Disease ***
Capitolo
2
-
Fear -
«E
così il vecchio ti ha incastrato, eh?» Matt
ridacchia divertito, prendendo un ultimo tiro dall'ottava sigaretta
della giornata. Sono solo le sette del mattino e già un
pacchetto è andato. I suoi poveri polmoni un giorno o
l'altro
gli chiederanno pietà... «Sei fregato, amico
mio.»
«Quel...»
Distruggo la barretta di cioccolato che tengo fra
le mani e digrigno i denti. «Quel pidocchio...»
Roger ha
scelto alla perfezione la mia punizione. Non avrei potuto
chiedere di peggio. Io e Near a stretto contatto per un'intera
giornata, io a fargli da balia, io a studiare e a curarlo, io al suo
servizio... Impossibile. Questo deve essere un incubo o direttamente
l'Inferno in terra.
«Io
rischio di ammazzarlo, Matt», mormoro scuotendo la
testa e fissando un punto indistinto fra l'erba. «Hai visto
fino
a che punto mi sono spinto ieri... Se voglio posso arrivare ad
ammazzarlo.»
Il giardino
della Wammy's House è deserto, soltanto io e Matt
occupiamo uno dei gradini vicino all'entrata principale. Le lezioni
inizieranno tra breve, ma non so quanto sia in vena di frequentarle
oggi. Potrei entrare in classe, prendere un banco e scaraventarlo
contro una finestra in preda ad un raptus, se non riesco a calmarmi
entro il suono della campana. Il fatto è che non riesco ad
accettare questa punizione. Non esiste. Non posso entrare nella stanza
di Near e non mettergli le mani addosso. Va contro la mia natura.
Inoltre ho
già trasgredito alle regole imposte da Roger: prima
delle lezioni sarei dovuto passare da quel pidocchio per accertarmi del
suo stato. In poche parole, ora dovrei essere da lui. Ma non ho
intenzione di andarci. Non adesso.
«Non
fare stronzate, Mello», sospira Matt, gettando il
mozzicone di sigaretta sull'erba e fissandomi con serietà.
«Cerca di non commettere azioni di cui potresti
pentirti.»
«Far
soffrire quell'ameba inutile potrebbe solo darmi tanta
gioia.» Ricambio il suo sguardo e un sorriso malizioso si
dipinge
sul mio viso. «Però saprò
controllarmi, non
temere. O almeno tenterò.»
Lo vedo
scrutarmi per un istante, in cerca di qualcosa di cui persino
io sono all'oscuro, poi alzarsi e pulirsi il fondoschiena con le mani.
Il suo sguardo si perde lontano, rifiuta di incrociare ancora una volta
il mio.
«Sarò
sincero, Mello...»
Alzo la testa,
aspetto, ma lui non continua subito. È come se
stesse cercando le parole giuste, quelle che non faranno esplodere la
bomba già attivata.
«Ho
paura», conclude alla fine. «Ho paura di quello di
cui potresti essere capace.»
Continuo a
fissarlo, ma non proferisco parola.
«Non
provo simpatia per Near, sia chiaro... Ma non vorrei
comunque svegliarmi un giorno e venire a sapere che ti sei trasformato
in un assassino. Forse sto esagerando... Ma certe volte vedo una strana
luce nei tuoi occhi, specialmente quando si tratta di lui. Non la
riesco ad interpretare... e mi spaventa.»
Non saprei
nemmeno cosa rispondergli. Forse anch'io mi faccio
paura certe volte. Non comprendo i miei sentimenti verso Near, non so
cosa mi spinga ad odiarlo così intensamente e totalmente...
E
non so fin dove potrei spingermi.
Questa
situazione, in realtà, mi terrorizza a morte.
Come avevo in
sostanza già deciso, alla fine non mi sono
presentato a lezione. Ho vagato per buona parte della mattinata per i
corridoi della Wammy's House, evitando accuratamente quello in cui si
trova la stanza del pidocchio. Ho bisogno di stare da solo, di cercare
di mettere a tacere la bestia dentro di me che potrebbe
indurmi ad
atti avventati. Forse Matt ha ragione... In questo momento sono
pericoloso.
La
verità è che non sono pronto per trovarmi faccia
a
faccia con Near, solo io e lui, in una situazione completamente diversa
dal solito. Se oggi fosse stato un giorno come un altro, in questo
momento lo starei cercando, quel pidocchio, per dargli una lezione;
invece mi ritrovo ad evitarlo come la peste.
Perché
mi sono dovuto cacciare da solo in questa situazione? No,
un momento... Non sono stato io. Near mi ha provocato! Quel gran...
Un rumore
improvviso interrompe il flusso dei miei pensieri e in un
batter d'occhio mi rendo conto di dove mi trovo: nel corridoio in cui
si trova la stanza di Near. Rimango impietrito. Fino a questo momento
sono riuscito a stargli alla larga, ma ora improvvisamente mi ritrovo
qui. Le mie gambe, proprio quando la mia testa ha cominciato a fare
pensieri cattivi su di lui, mi ci hanno portato. Il mio corpo reagisce
male, non riesco a controllarlo ormai.
Sto
impazzendo. Lui mi fa impazzire.
Lancio uno
sguardo in fondo al corridoio: una ragazza, probabilmente
una di quelle che si occupa di servire i pasti a Near, sta sistemando
su un carrellino una ciotola fumante e delle posate; ma improvvisamente
si blocca, forse accorgendosi della mancanza di qualcosa. Fatto sta che
la vedo allontanarsi di corsa. Quando la vedo scomparire dietro
l'angolo, decido di avvicinarmi a quel carrello. Il pranzo di Near:
zuppa.
La
porta della stanza è chiusa e dall'interno non
proviene
alcun rumore. Nulla di strano comunque, mi sarei stupito del contrario
piuttosto. Sto per andarmene quando improvvisamente qualcosa sul
carrello colpisce la mia attenzione.
No... No,
Mello. Vattene da qui subito.
Guardo ancora
quel fottutissimo barattolino e rileggo più volte
la scritta 'sale' che vi è sopra. Fisso la porta chiusa, poi
il
corridoio vuoto, poi la zuppa, poi il barattolo, poi di nuovo la
zuppa...
No!
La voce di
Matt mi risuona ancora nelle orecchie, dicendomi di non fare
cazzate. Però... Un po' di sale non lo ucciderà,
giusto?
Gli ho fatto di peggio.
Afferro con
decisione il barattolo, lo apro e lo verso quasi completamente nella
ciotola con la zuppa.
Ghigno e mi
allontano di corsa. «Buon appetito, pidocchio.»
«Capo,
questa è un'occasione più unica che rara! Vero
che gli darai del filo da torcere? Vero?»
La mensa
è così rumorosa, così affollata... Il
mio
umore è nero, e non so precisamente perché ho
deciso di
pranzare oggi. Avrei preferito la tranquillità a questo
fracasso
e a questo branco di facce di merda. Specialmente quelle del mio
piccolo e ridicolo gruppo - che io non ho mai voluto avere, per la
precisione! -. Come se non bastasse, quel pezzente di Bruce continua a
tartassarmi di domande sulla mia punizione. La cosa sembra divertirlo
parecchio, tanto da riempirmi di gomitate nei fianchi, in
cerca di
complicità. Beh... a me non diverte per niente.
Improvvisamente
la mia mano afferra un coltello dal tavolo, puntandolo
direttamente verso la faccia di quel grassone sudaticcio.
«Dammi
ancora una gomitata e questo coltello finirà
dritto in
mezzo ai tuoi occhi», sibilo con i denti di fuori.
Lo vedo
tremare e alzare le mani in aria in segno di resa. «Scusami,
capo, scusami!»
Ridicolo
lardone...
Lascio andare
il coltello e torno a fissare senza appetito la mia
ciotola di zuppa fumante. La stessa zuppa che è stata
servita a
Near. Forse adesso capisco perché non ho tanta fame...
«Che
hai?»
Strabuzzo gli
occhi, preso contropiede dall'improvvisa domanda di Matt. Lo fisso
confuso.
«Stai
sorridendo in modo strano», precisa lui con un'espressione
fin troppo seria.
Non me ne ero
accorto... Ma so una cosa per certo: comincio ad averne
abbastanza di questo comportamento inquisitorio di Matt. Mi controlla
forse? Non ho più la libertà di fare quello che
mi pare
quando mi pare?
«Piantala
di farmi la paternale!», sibilo stringendo gli occhi e
alzandomi dalla sedia.
Non ne posso
più. Voglio andarmene da qui. Ne ho abbastanza di tutti!
«Ah,
Mello!» Una mano si chiude sulla mia spalla e in un
batter d'occhio mi ritrovo a fissare lo sguardo severo di Roger.
Perfetto...
Gli altri si
voltano a fissarci, curiosi di sentire ciò che ha
da dirmi. Qui nessuno si fa mai gli affari suoi. Oppure sono io ad aver
a che fare con una banda di completi idioti.
«Oggi
non ti ho visto a lezione... Immagino fossi con Near.»
Il suo sguardo
perforante sembra voler scavare attraverso i miei occhi
per leggere la verità. So che sa che non ci sono andato.
Forse
ha controllato di persona, forse ha direttamente parlato con Near... Ma
lo sa. Mi sta solo mettendo sotto pressione. Vuole farmi capire cosa
c'è in gioco: l'obbiettivo della mia vita, L.
Mentirò.
«Certo»,
mormoro con tono inespressivo, sostenendo il suo sguardo.
Continua a
scrutarmi, lo fa ancora per un po'; poi scuote
impercettibilmente il capo, lancia uno sguardo al nostro tavolo e se ne
va senza proferire alcuna parola. Io resto impietrito sul posto,
fissando le sue vecchie spalle allontanarsi.
Sto sbagliando
tutto... vero?
Una sedia si
sposta, una mano si appoggia ancora sulla mia spalla. Matt.
«Passa
da lui. Non hai altra scelta, Mello», mi sussurra piano.
No. Non ne ho.
Alla fine sono
veramente qui, davanti alla sua fottutissima porta
chiusa. Il respiro è diventato improvvisamente affannoso e
mi
tremano le mani, mi formicolano. Sento il viso in fiamme, il corpo
scosso dai brividi.
Sto male. Lui mi fa stare male.
Perché
devo farlo, perché? Non lo voglio vicino, non lo
voglio! Potrei aprire questa porta e non essere più padrone
delle mie azioni. Potrei fargli male... molto male.
Appoggio una
mano sulla maniglia e trattengo il fiato. Non sono sicuro
di essere pronto. Anzi, non lo sono e basta. Che cosa farò
una
volta entrato? Che cosa dirò? Un flusso di domande mi invade
la
mente, quasi non riesco più a sentire i miei stessi pensieri
da
quanto gridano forte. E si sovrappongono, mentre la mia mano abbassa la
maniglia e la porta si apre lentamente, quasi a rallentatore.
Trattengo il
respiro.
Mello, non
fare cazzate. Qualunque cosa dica, qualunque cosa faccia... non fare
cazzate.
Chiudo gli
occhi, stringo le palpebre. La porta si apre. Apro gli occhi.
Vuota. La
stanza è... vuota.
Non so come,
ma riprendo a respirare, lascio andare un gemito.
Lui non
c'è.
Roger mi ha
voluto fare uno scherzo? Ha forse voluto mettere alla prova
la mia resistenza, i miei nervi? Perché questo gioco non mi
piace, non mi piace per niente.
«N-Near...?»
Quasi non riconosco più la mia voce quando questa esce
soffocata dalla mia bocca.
Nessuna
risposta. Nessun rumore.
Senza pensarci
un secondo di più, indietreggio, volto le spalle
alla stanza e faccio per andarmene di corsa. Voglio fuggire. Ma ecco
che un suono strano arriva alle mie orecchie, una specie di tonfo. Mi
blocco sul posto. Che diavolo è stato?
«C'è
nessuno?», domando incerto, tornando a fissare l'interno
della stanza.
Il letto
disfatto è vuoto, le coperte toccano il pavimento da un
lato. Avanzo lentamente, entro dentro. Sulla sinistra c'è il
piccolo bagno che ogni bambino della Wammy's House possiede nella
propria stanza e la porta è aperta. Sento un fruscio, un
suono
che assomiglia tanto a una persona che striscia per terra, poi degli
strani gemiti. Non faccio in tempo ad avvicinarmi all'entrata che
subito una visione sconvolgente mi pietrifica sul
posto.
La sensazione
che provo ora... credo di non averla mai provata in tutta
la mia vita. Le voci nella mia testa riprendono a gridare e a
sovrapporsi, insieme a una marea di immagini indistinte. Sento Matt,
mentre mi prega di non fare niente di cui potrei pentirmi. Sento me
stesso, mentre rido sguaiatamente davanti alla visione celestiale di
Near a terra mentre viene pestato dagli altri. Sento Roger, mentre mi
ripete di prendermi cura di Near, mentre mi parla di L. Sento i miei
pensieri confusi... Qualcuno mi dice di fare qualcosa, qualcun altro di
godermi lo spettacolo che ho davanti: Near, a terra, in preda ai conati
di vomito, il viso tendente ad
un colorito rosso fuoco. Sta tossendo, mentre il suo corpo viene scosso
dagli spasmi. È a pancia in alto, ma non dà segno
di
volersi spostare da quella posizione.
Si sta soffocando.
Non so che
espressione abbia ora la mia faccia, non sento altri suoni se
non quelli emessi da Near e quelli nella mia testa. Cosa devo fare?
Cosa?
È
la scena che ho sempre sognato di vedere: Near a terra,
sofferente, sul punto di lasciare questo mondo, e io in piedi sopra di
lui, a ridere a squarciagola. È ciò che ho sempre
desiderato, ma...
Ma.
«Girati...».
La mia voce esce da sola, soffocata, stridula. È
più un gemito.
Near continua
a tossire e ad emettere suoni spaventosi dalla bocca, in preda
all'agonia. Ma non fa niente. Perché non fa niente? Non ha
mai vomitato in vita sua?
«Girati»,
ripeto forse con più decisione.
Non so
perché non muovo un passo per far qualcosa. Non ci riesco.
Non lo voglio... toccare. Ma lui non ascolta,
forse non mi sente nemmeno. No, un momento... forse non
vuole
sentirmi. Non mi sta ascoltando come al solito!
«Idiota...»
Iniziano a tremarmi le mani e la mia
espressione si tramuta in una maschera di rabbia. «Ti ho
detto di
girarti!»
Il mio corpo
si muove da solo, scatta in avanti. Lo afferro per una
spalla e con violenza lo obbligo a girarsi su un fianco. Lui finalmente
riesce a rigettare ciò che lo stava strozzando sul
pavimento. Il
mio respiro è accelerato, ma la mia mano non vuole staccarsi
dalla sua spalla: la tiene stretta, bloccandolo in quella posizione.
L'odore che mi pervade mi fa girare la testa e i suoni che
sento
mi impressionano, forse troppo.
Che schifo...
Quando
finalmente sembra essersi calmato, con la stessa violenta con
cui l'ho girato sul fianco lo induco a rimettersi a pancia in alto.
«Sei
così idiota da riuscire a soffocarti con il tuo stesso
vomito?!», gli grido in faccia allucinato.
Lo vedo aprire
gli occhi lentamente, mentre il suo viso assume un
colorito verdastro e il suo petto continua ad alzarsi e ad abbassarsi
con foga. Quei pozzi febbricitanti mi scrutano, ma non mostrano alcuna
emozione. Anche in situazioni come queste, Near riesce ad essere di
ghiaccio.
Improvvisamente
mi rendo conto di avere ancora la mia mano stretta
attorno alla sua spalla. Una scarica elettrica risale lungo il mio
braccio, arrivando alle spalle e alla schiena.
Lo. sto.
toccando.
Lascio andare
la presa e mi rialzo di scatto, quasi come se qualcuno mi
avesse dato una spinta violenta. Lui non smette di fissarmi
intensamente e io non riesco a staccare gli occhi dai suoi.
Poi un suono
di passi frettolosi raggiunge le mie orecchie e mi obbliga a voltarmi
verso l'entrata della stanza. Roger entra con gli occhi sbarrati, il
fiato grosso, e si ferma proprio vicino a me.
«Che
sta succedendo?», mi chiede in un soffio. I suoi occhi si
posano su Near e lo vedo diventare pallido. «Near! Che
cos'hai? Non stai bene?»
Si fionda su
di lui e con delicatezza lo tira su da sotto le ascelle, mettendoselo
poi sottobraccio e trascinandolo lentamente verso il bagno. Near sembra
un lenzuolo bianco, privo di peso, così debole e... piccolo. Anche Roger sembra
aver paura di toccarlo e di fargli male quando apre il rubinetto del
lavandino e comincia a pulirgli il viso. Solo allora, quando lo volta
verso di me e fa per trascinarlo lungo la stanza fino al letto, noto
veramente i segni che io stesso gli ho lasciato: il labbro inferiore
è rotto e due lividi violacei occupano il lato della bocca e
la parte sotto l'occhio destro; sotto la camicia da notte bianca
intravedo una fasciatura che gli avvolge tutto lo stomaco e
probabilmente anche il petto. Non sembra capace di reggersi in piedi da
solo.
«Mal
di stomaco», esordisce con voce roca quando Roger lo mette a
letto, sistemandogli il cuscino dietro la schiena.
«Come?»,
gli domanda lui confuso. «Mal di stomaco? Cos'hai mangiato
che ti ha fatto star male?»
Mi si chiude
improvvisamente la gola, la mandibola si contrae e finalmente capisco:
la zuppa. Sono stato... io.
«La
mia zuppa oggi era troppo salata... Anzi, in realtà sapeva
solo di sale.» Mentre parla, Near non mostra alcun
risentimento o fastidio. Racconta semplicemente i fatti con
tranquillità, con la sua solita pacatezza. E mi fissa.
Sospetta forse
qualcosa? Perché mi guarda così intensamente?
«Ma
perché l'hai mangiata se era troppo salata? E poi...
com'è possibile? Mi sono raccomandato in cucina di prestare
attenzione al tuo pranzo e la zuppa che è stata servita alla
mensa non aveva nulla che non andava!». Roger sembra capire
sempre meno.
«Non
volevo che andasse sprecata. Ormai era stata preparata.»
Non ho mai
sentito nulla di più assurdo. Che razza di idiota! Io
credevo che avrebbe digiunato, piuttosto che mangiarsi quella
schifezza! Non può esserne normale.
«In
ogni caso non capisco ancora come possa essere successo.»
Roger si volta improvvisamente verso di me, fissandomi con sospetto.
È come se avesse il radar per le mie malefatte.
«Mello...», comincia lentamente. «...sei
stato-»
«È
colpa mia.» La voce di Near mi blocca il respiro.
C-Cosa?
Roger torna a
fissarlo con gli occhi sbarrati, chiedendo spiegazioni.
Near abbassa
lo sguardo, portando una mano ai capelli e iniziando a giocherellare
con una ciocca bianca. «Ho aggiunto io troppo
sale.» Non si dilunga in altre spiegazioni, dice solo questo.
Io mi rendo
conto di star tremando. Non so perché, non so come...
Non ha detto
nulla. Ha mentito, piuttosto. Eppure so che lui non ha alcun dubbio
riguardo a chi sia stato a salare quella zuppa. Lo so. Poteva dirlo e
mettermi nei guai... ma non l'ha fatto.
Improvvisamente
lo vedo rialzare gli occhi e puntarli nei miei. Mi sento sopraffatto,
sconvolto. Nessuno riesce a farmi tremare con uno sguardo come riesce
lui. Nessuno. E non so... il perché.
Perché...
Near?
Roger si
schiarisce la voce, quasi come se potesse percepire la strana carica
che si è instaurata fra noi e non sapesse come mettersi in
mezzo. Qual è il suo ruolo in questa stanza, esattamente?
Perché al momento riesco a percepire solo Near. Non
c'è nient'altro attorno a noi.
«Beh...
ehm... Bene. Devo chiamare... qualcuno che pulisca il
pavimento.» Continua a fissarci, sentendosi a disagio. Io so
solo che non riesco a staccare gli occhi da Near. «Mello, tu
puoi andare a dormire. Qui ci penso io per oggi, ok? Domani mattina
però voglio che passi a controllarlo.»
Near distoglie
di nuovo lo sguardo. Io sbatto le palpebre confuso, finalmente libero
da quello strano incantesimo che mi impediva di guardare qualsiasi
altra cosa in questa stanza. Fisso Roger deglutendo e annuisco
insicuro. Lui mi fa un cenno di approvazione e io sento il mio corpo
muoversi quasi da solo verso la porta.
La mia testa
è un casino. Quello che sento è un casino. Non
capisco... Sono confuso... Non so cosa stia succedendo dentro di me,
che cosa sia questa sensazione... Mi sento solo privo di forze.
Near mi ha strappato ogni energia.
Le 6:00 del
mattino. Di solito sono abituato ad alzarmi presto, ma non dopo aver
passato una notte in bianco. Non ricordo esattamente di essermi
appisolato ad un certo punto, ma so che tutto ciò che vorrei
fare in questo momento è staccare a morsi il braccio che mi
sta scrollando come se l'intero orfanotrofio stesse andando a fuoco.
Perché,
Roger? Perché mi odi così tanto?
«Mello,
c'è bisogno di te!», continua a sbraitare come un
ossesso. «Near ha la febbre alta!»
Ancora. Ancora
quel fottutissimo pidocchio.
Non solo non
ho dormito a causa sua - per qualche motivo non voleva andarsene dalla
mia testa, quel bastardo -, ma ora riesce anche a rovinarmi la
mattinata! Non c'è altra soluzione: devo ammazzarlo.
«Devi
andare da lui, Mello!»
«Neanche
pagato. È troppo presto, Roger. Lasciami dor-»
Non so se
recentemente Roger abbia iniziato ad andare in palestra né
cosa diavolo mangi la mattina al posto dei cereali, fatto sta che non
ho mai visto una persona della sua età riuscire a sollevare
completamente qualcun altro semplicemente tirandolo per un braccio. E
nessuno, nemmeno Matt, riesce a farmi alzare in piedi in quel modo con
tanta facilità.
«Andiamo!»,
esclama il vecchio, prima di iniziare a tirarmi per lo stesso braccio
fuori dalla mia stanza e poi per tutto il corridoio.
Giuro che se
fosse stato un altro, a quest'ora l'avrei già ridotto con la
faccia spalmata contro il muro. Ma non ho altra scelta, no? In fondo
è colpa mia se mi ritrovo a correre mezzo nudo in giro per
la Wammy's House a quest'ora del mattino, per soccorrere la persona che
più detesto al mondo. È colpa mia se quel
pidocchio maledetto è nato apposta per rovinarmi l'esistenza
ogni santo giorno.
'Fanculo.
Da venti
minuti siamo entrati in questa fottutissima stanza che profuma
fastidiosamente di pulito e da venti minuti Roger continua a caricarmi
di raccomandazioni su raccomandazioni, di orari da rispettare per
medicinali e quant'altro, di nomi e cognomi di persone che ho
già dimenticato e che dovrei chiamare nel caso la situazione
dovesse peggiorare...
Nel mentre
Near se ne sta sdraiato sul suo letto, coperto fin sotto al mento, gli
occhi chiusi e il respiro apparentemente inesistente.
Più
morto che mai.
Ma cerco di
guardarlo il meno possibile: non è una vista che mi mette di
buon umore, il che è strano, perché vederlo
soffrire, nella mia testa, mi ha sempre provocato una gioia e una
goduria immensa; evidentemente il piacere non è lo stesso se
provocato da fattori esterni o da qualcuno che non sono io.
Peccato.
«Hai
capito, Mello?», conclude finalmente Roger, dopo essersi
dilungato in un discorso che non ho ascoltato nemmeno per
metà.
Mi limito a
sbuffare seccato. Voglio che se ne vada. La mia giornata è
già stata rovinata abbastanza. Ma lui non sembra concordare
con me, infatti non perde l'occasione per ricordarmi quanto io sia
nella merda.
«Non
scherzare, ragazzo. Ricordati che cosa c'è in
ballo.» E con uno sguardo a metà tra il truce e il
rassegnato, abbandona finalmente questa stanza.
'Fanculo,
Roger... So benissimo che cosa mi sto giocando. E so benissimo che dal
momento in cui mi volterò e guarderò quel
pidocchio orrendo nascosto sotto quintali di coperte dovrò
trattenere l'istinto omicida che mi accompagnerà per tutta
la giornata. Ma prima o poi devo farlo, no? Prolungare l'agonia non ha
senso, quindi mi volto. Mi volto e lo vedo lì, immobile e
quasi imbalsamato nel suo rifugio di coperte bianche, esattamente come
lui.
Non
è la prima volta che entro nella stanza di un malato:
solitamente uno strano tanfo invade ogni angolo più remoto,
come se la malattia avesse un odore, un odore acre che ti entra nelle
narici e che ti si attacca ai vestiti. Questa stanza invece profuma.
Profuma di qualcosa che non credo di aver mai sentito da nessun'altra
parte e non so cosa sia. Anzi, forse lo so, ma non voglio ammetterlo,
perché sarebbe come confessare che quell'odore, quel
dannatissimo profumo delicato e leggermente dolce, mi piace.
E mi piace tanto.
Mi avvicino al
letto, scorgendo qualcosa di più di qualche ciuffo di
capelli bianchi. Credevo che non stesse respirando, da lontano sembrava
così, e invece lo sta facendo eccome: è un
respiro pesante, irregolare, spezzato. Le guance solitamente pallide
ora sono di un colore rosso intenso, nemmeno roseo, e la sua fronte
è completamente imperlata di sudore, i capelli umidi gli
coprono quasi gli occhi.
Perché
non sento quella goduria che mi ero immaginato? Perché non
mi provoca piacere vederlo inerme e in quelle condizioni nel letto?
Perché mi dà quasi fastidio che una stupidissima
febbre gli faccia più male di quanto gliene possa fare io
ogni giorno?
Non l'ho mai
visto così conciato male, eppure non provo niente di
confortante. Forse sento soltanto rabbia dentro di me e voglia di
prenderlo e risvegliarlo e picchiarlo violentemente per essere
lì con gli occhi chiusi e non considerarmi come suo solito.
Dio, Near...
Come puoi farmi incazzare anche in questo modo?
«Acqua...»
È un mugugno appena udibile, talmente inaspettato da far
perdere al mio cuore un battito. Non credo di averlo nemmeno visto
muovere le labbra.
Near non apre
gli occhi, ma finalmente si muove leggermente, consolandomi del fatto
di non essere completamente impazzito. Ha detto davvero qualcosa,
è sveglio.
«Acqua...»,
ripete, questa volta con un tono più comprensibile.
Acqua? Mi sta
davvero chiedendo di muovermi per prendergli da bere?
Controllati,
Mello. Ricordati le parole di Roger. Ricordati cosa rischi di perdere.
Cercando di
obbligare le mie mani ad afferrare le coperte e non direttamente il suo
collo, lo scopro con rabbia e lo lascio in balia di quella che per lui
deve essere una scarica di brividi insopportabile, perché lo
vedo irrigidirsi e tremare come una foglia.
«Non
hai più la capacità di usare le
gambe?», gli sbotto contro. «Prenditela da
solo.»
Rivolgendogli
un'ultima occhiata truce, gli do le spalle e incrocio le braccia al
petto. Dovessi lasciarlo patire la sete per un'intera giornata, non mi
abbasserò a servirlo come un cameriere. Roger vuole che io
lo faccia, ma non intendo...
Un tonfo alle
mie spalle mi fa sobbalzare e voltare istintivamente: il letto...
è vuoto.
Non. ci.
posso. credere.
Near
è rannicchiato sul pavimento, vicino alle mie gambe, il
corpo piccolo ma apparentemente troppo pesante per lui. Punta le mani
contro il parquet, la testa a ciondoloni, i capelli sul viso e il
respiro accelerato.
Si
è letteralmente buttato giù dal letto.
Lo guardo
incredulo. Quanto può essere perseverante un esserino del
genere? Pensavo che sarebbe rimasto a letto a patire davvero la sete... e invece
mi ha ascoltato. Vuole prendersela da solo, l'acqua.
Ansima
più forte, come se cercasse invano di far entrare aria nei
polmoni.
Dovrei
lasciarlo lì. Ma se lo facessi sul serio...
“Ricordati
che cosa c'è in ballo.”
Al diavolo.
Mi piego su di
lui e porto le braccia sotto le sue ascelle, sollevandolo senza alcuna
fatica.
Non pesa. Near
non ha peso.
Voglio alzarlo
e metterlo a letto, ma lui improvvisamente e per qualche assurdo motivo
che non riesco a spiegarmi si libera dalla mia presa, cadendo contro di
me e avvolgendomi i fianchi con tutte le braccia, premendo il viso
contro il mio stomaco in quello che sembra essere un goffo abbraccio.
Ma dura un istante, perché preso in contropiede perdo
l'equilibrio e barcollo fino a finire in ginocchio, con Near accasciato
completamente contro di me.
Non so come,
non so perché... qualcosa ha fatto sì che le mie
braccia si siano andate a chiudere attorno al suo corpo. Forse stavo
cercando un appiglio, forse è stato solo un caso, ma lo sto stringendo. Ed è come
avere addosso una palla di fuoco rovente, che mi brucia la pelle, i
muscoli e le ossa. Magari è soltanto la mia mente confusa da
quel contatto troppo ravvicinato, o il fatto che toccare Near per me
sia esattamente come infilare due dita in una presa di corrente, ma non
riesco a realizzare immediatamente di avere ancora le mie braccia
attorno a lui. Posso soltanto concentrarmi sul fatto che è bollente.
Lo afferro per
le spalle, allontanandolo per guardarlo in volto, ma la sua testa
continua a ciondolare verso il basso, gli occhi coperti dai ciuffi di
capelli.
«Ehi!»
Lo scuoto vigorosamente, ma non ricevo alcuna risposta.
Gli sollevo il
volto con una mano e gli tiro uno schiaffo, forse troppo forte, ma non
mi importa.
Near non
reagisce. Non è più cosciente.
Lentamente il
panico comincia a farsi strada nel mio corpo. Non so cosa fare. Non
ricordo neanche più chi dovrei chiamare. So solo che in
questa fottutissima stanza ci sono soltanto io, lui dipende da me, e se
non faccio qualcosa...
Non ho altra
scelta.
Lottando
persino contro me stesso, riesco a trovare la forza per stringerlo a me
ancora una volta e sollevarlo da terra, mentre il suo viso si va a
posare contro il mio collo. Posso sentire il suo flebile respiro contro
la pelle e se da una parte questo mi consola, dall'altra mi provoca una
scarica di brividi lungo tutta la spina dorsale.
Ma non ho
tempo per pensare a questo. Ho già appurato che Near, in
qualsiasi modo, è in grado di mandarmi in confusione.
Mi viene in
mente soltanto una cosa che potrei fare per farlo rinvenire e
abbassargli la temperatura: lo porto in bagno e lo faccio sedere dentro
la doccia. Non sono un medico, non so se gli sto facendo più
bene che male, ma voglio che in qualche modo riapra quei fottutissimi
occhi scuri e scacci via la paura che mi ha improvvisamente invaso
dalla testa ai piedi.
Paura di cosa
poi? Che non si svegli più? Perché dovrebbe
importarmene davvero in fondo? Per L?
Sono troppe
domande, troppe per me che in questo momento sono in grado a malapena
di respirare.
Apro al
massimo il rubinetto dell'acqua fredda e lascio che l'acqua scorra su
di lui e anche su di me, inginocchiato davanti al suo corpo privo di
vita.
Ma non serve a
niente.
Near non apre
gli occhi e il colore del suo viso sta diventando sempre più
chiaro, sempre più pallido.
Una risata
nervosa mi sfugge dalla gola, ma è talmente lugubre che
quasi non sembro io a parlare. «Non ti azzardare a prendermi
in giro, bastardo!»
Con una mano
gli schizzo l'acqua in faccia, senza rendermi conto di star tremando
come una foglia. Ma non sento freddo... Non riesco a sentirlo in questo
momento. Ho una vaga idea di quanto sia gelata l'acqua, ma la mia testa
e tutti i miei sensi riescono soltanto a concentrarsi su ciò
che sta accadendo. O che non sta accadendo, per meglio dire,
perché Near continua a non aprire gli occhi e il panico mi
sta divorando vivo.
Mi immobilizzo
come una statua di cera, mentre i capelli fradici mi coprono per
metà la vista. Non sta scherzando. Ma non può
essere vero!
«Cazzo,
svegliati!», gli urlo contro, quasi gettandomi addosso a lui,
afferrandogli il volto e sollevandoglielo fino ad averlo davanti al mio.
Non reagisce.
A nulla serve l'acqua gelata che ci sta cadendo addosso, i miei
schiaffi sul suo viso e gli insulti. Sembra quasi... morto.
«Lo
stai facendo sul serio?!», grido con tutta la voce che ho in
corpo, afferrandolo per il colletto del pigiama. «Me la stai
dando vinta?!»
Niente.
Il mio volto,
anche se non posso vederlo, deve essere l'immagine del terrore. Non
posso credere che Near lo stia facendo sul serio. Non... non
può!
«E
finisce così?! Sul serio?!»
Non so cosa mi
prende, ma inizio a picchiarlo con tutte le mie forze, a dargli
schiaffi su tutto il viso, pugni sulle spalle, a gridargli di
svegliarsi. Sembro pazzo. Dovrei chiamare aiuto, ma ho paura che se me
ne vado da qui... anche lui se ne va. È un pensiero che non
ha senso, ma in questo momento cosa ha senso? Non so
nemmeno perché io abbia totalmente perso il controllo in
questo modo, perché abbia così tanta paura... So
solo che vorrei che riaprisse quei fottutissimi occhi neri.
Smetto di
schiaffeggiarlo e tenendo saldamente il suo viso fra le mani mi fermo a
guardarlo. Non l'ho mai visto in quel modo, non gli sono mai stato
così vicino... Non l'avevo mai toccato veramente.
Mai.
La mia mano
incontrollata si muove da sola, si posa sulla sua fronte e sposta i
ciuffi di capelli fradici dai suoi occhi.
Aprili,
pidocchio.
«Near...»
Non ho mai sentito la mia voce così piena di dolore.
È più simile a un lamento, a una preghiera.
Sì,
lo sto pregando, e non so nemmeno perché!
Ma questa
volta, forse, mi ascolta davvero: le sue palpebre si muovono appena, la
sua bocca si schiude e finalmente quei fottutissimi occhi scuri si
riaprono lentamente e mi guardano.
Non so come
reagire, non so cosa pensare. Per un attimo non riesco nemmeno a
ricordare il mio nome. Lo guardo con gli occhi sbarrati e ansimo forte,
incapace di fare qualsiasi cosa.
Near non dice
una parola, si limita soltanto a fissarmi e a respirare faticosamente.
Non so se mi sta vedendo sul serio, ma è sveglio, e questo
mi basta.
«Non
ti azzardare mai più a-» La voce mi si mozza in
gola, quasi come in un singhiozzo.
Non sto
piangendo... o forse sì? Non lo so, il mio viso è
bagnato, io sono bagnato, e non capisco che cazzo mi prenda. Sto
impazzendo probabilmente. Ho ancora tanta rabbia addosso, tanta paura.
E improvvisamente inizio a rendermi conto di star tremando, e anche
Near se ne accorge e sembra che mi voglia dire qualcosa, ma non ci
riesce.
«Pidocchio.»
È un sussurro, una parola appena percettibile che non sono
sicuro nemmeno io di aver pronunciato.
E poi non so
perché, non so come... Lo attiro a me e lo stringo con tutte
le mie forze, intrecciando le dita di una mano con i ciuffi dei suoi
capelli. In quel momento lo sento lasciarsi scappare un gemito
soffocato, e forse è la prima volta che lo sento emettere un
suono di dolore. Near non si è mai lamentato di nulla.
Non ho idea di
cosa io stia facendo, ma l'unica cosa che in questo momento riesce a
riscaldarmi è il suo corpo contro il mio, anche se il suo
è molto più freddo di quanto lo sia il mio. Sento
le sue fragili ossa scricchiolare appena, ma non mollo la presa,
anzi... lo stringo più forte, disperatamente.
Non voglio che
se ne vada ancora.
La mia mente
oggi riesce soltanto a formulare pensieri insensati e vergognosi, di
cui mi pentirò per mesi probabilmente, ma adesso voglio solo
tenerlo così. E la cosa strana è che se prima
anche solo l'idea di sfiorare la sua pelle mi ripudiava, adesso non
posso fare a meno di toccarla. Come una calamita. Non sono mai riuscito
ad entrare in contatto con lui in tutti questi anni, ma ora che posso
sentire concretamente la consistenza del suo corpo con le mie mani
è come se in qualche modo riuscissi a rendermi conto che
Near, in realtà, non è soltanto un incubo ad
occhi aperti che mi perseguita giorno e notte, un fantasma che mi
appare davanti per rovinarmi l'esistenza. È fatto di carne,
è morbido, e... profuma.
«Mi
odi davvero così tanto?»
...Cosa?
È
un mugugno appena percettibile contro il mio petto, ma la sua
è una domanda diretta, improvvisa, posta senza esitazione,
come se tutto questo casino non fosse mai successo. Come fa ad avere
questo controllo? Può essere reale? E soprattutto,
perché mi fa questa domanda adesso?
Io non ti
capirò mai, Near.
«Mello...»
La sua voce diventa più sicura e leggermente la sua testa si
alza, ma non si libera dalla mia morsa. «Ti sei mai chiesto
perché io cerchi così assiduamente la
morte?»
Quella domanda
mi gela il sangue nelle vene. Che sta dicendo? È la febbre a
parlare? Io non sapevo che lui volesse... morire. Non riesco a pensare
o fare qualsiasi cosa. Ma non credo che Near si aspetti una risposta da
me.
«Perché
so che poi arrivi e mi salvi. E sai perché?»
No, Near, non
lo so. So solo che mi stai facendo paura, che quello che mi hai detto
non ha senso e che... non capisco. Sta delirando, non c'è
dubbio. Ma perché, pur sapendolo, riesce comunque a
paralizzarmi in questo modo?
La sua testa
si riabbassa e si preme di nuovo contro il mio petto. Lo sento
sospirare forte.
«Pensaci.»
Il suo corpo
diventa improvvisamente pesante e si accascia completamente contro il
mio. Forse è tornato nel mondo dei sogni... Io non so cosa
stia succedendo, ma tutto questo non ha senso. Cosa dovrei pensare? Non
riesco a ragionare. Tutto questo mi ha completamente... devastato.
'Fanculo,
pidocchio.
Con tutta la
rabbia che ho in corpo lo spingo via, contro il muro, lasciandolo
lì privo di sensi. Io mi allontano schifato e mi accascio
più in là, guardandolo con odio. Come ho anche
solo potuto pensare di fare quello che ho fatto? Come ho potuto preoccuparmi per un essere del
genere, il cui unico intento è umiliarmi e confondermi le
idee? Chi ti ha dato il permesso di dire simile stronzate, Near? Chi?!
Vorrei
andarmene da qui, ma mi rendo conto di non avere nemmeno la forza per
farlo. Ciò che è successo mi ha persino tolto la
capacità di intendere e di volere. L'unica cosa che riesco a
fare ora è chiudere gli occhi. Per non pensare
più, per non vederlo più, per... dimenticare
tutto questo.
“Perché
so che poi arrivi e mi salvi.”
Le sue parole
mi rimbombano nella testa. Che cosa vuoi da me, Near?
“Pensaci.”
Mentre le mie
palpebre si sollevano lentamente, un odore delicato mi entra dentro e
mi riempie i polmoni. Il suo odore. Ma
è così strano sentirlo adesso, dal momento che
addosso mi rendo conto di avere soltanto una triste coperta verde.
È quella del suo letto, la riconosco, ma lui non
c'è. Resta soltanto quel profumo impresso ovunque, nella
coperta, nei miei vestiti, persino nella mia pelle.
E la cosa me
lo fa odiare ancora di più.
Scosto la
coperta e mi alzo, fermandomi sulla soglia del bagno quando lo vedo
seduto sul letto, la testa posata contro il muro e gli occhi chiusi.
Addosso ha ancora il suo pigiama umido. La coperta che lui stesso deve
avermi messo addosso mentre stavo dormendo è stretta da un
angolo nel mio pugno e se fosse viva probabilmente starebbe urlando di
dolore. La mia rabbia cresce a quella vista, come l'umiliazione che a
poco a poco ha iniziato ad invadermi, facendomi sentire quasi nudo e
sporco. Sporco di lui, di quell'orribile essere che per qualche strano
motivo poche ore prima ho desiderato ardentemente stringere forte a me.
Mi vergogno.
Mi vergogno di aver fatto una cosa del genere, di aver pianto
addirittura, di avergli permesso di dirmi quelle cose e di averle
ascoltate. Tutto ciò che è successo oggi...
è stato uno sbaglio. Near mi ha umiliato. E il modo in cui
lo ha fatto mi sta facendo venire voglia di strapparmi la pelle di
dosso con le mie stesse mani.
Lo vedo aprire
gli occhi, fissarmi con quel viso di porcellana e non battere ciglio.
Probabilmente non stava nemmeno dormendo, ma soltanto ascoltando il mio
respiro affannato, cercando di capire il flusso dei miei pensieri. So
che può sentirli.
I nostri
sguardi per l'ennesima volta si incatenano, ma giuro che da oggi in poi
non permetterò più che ciò accada.
Voglio solo che quest'ultima volta capisca quanto la sua esistenza mi
stia angosciando e umiliando.
Mi avvicino di
qualche passo, lanciandogli la coperta addosso. Lui non si muove.
«Io
non so esattamente cosa ti passa per la testa... Non so
perché tu mi abbia detto quelle cose prima e non voglio
nemmeno sapere se eri sincero o delirante.» La mia voce
è stranamente ferma, mentre dentro mi sento morire.
«Una cosa però è certa.»
Posso solo
sperare che ciò che gli sto per dire sarà per lui
tanto umiliante quanto ciò che lui ha fatto oggi lo
è stato per me. Ma non vedo nessun interesse da parte sua,
nessun cambiamento nei suoi occhi. Deglutisco a fatica, come se stessi
trattenendo un magone enorme in gola.
«Tu
per me sei l'equivalente del nulla più totale.» La
mia voce trema per un istante, esita, ma non mi fermo perché
la mia rabbia è più forte. «Sei
soltanto l'unico ostacolo a ciò che desidero di
più, una seccatura che prima o poi riuscirò a
togliere di mezzo in qualche modo.»
I suoi occhi
si chiudono leggermente in uno sguardo più intenso, ma a me
sembra soltanto più vuoto. Sì, non c'è
niente lì dentro. Sono io... ad averlo svuotato?
«Nulla
di più.»
Forse altre
volte gli ho detto queste parole... ma credo che soltanto ora stiano
facendo effetto. Magari perché è la prima volta
che mi prende sul serio, o perché non sto gridando come un
ossesso, o forse perché io
gliele
sto dicendo credendoci veramente. E lui lo sente. Solo... vorrei non
sentire questo magone in gola.
Per fargli
male, posso solo fare questo: togliergli l'unica cosa che in qualche
modo lo fa sentire non del tutto morto. E lo devo fare,
perché fino ad oggi l'unico che ha sofferto sul serio sono
stato io.
«Quando
tutto questo sarà finito, per me diventerai un semplice
fantasma che si aggira fra queste mura, qualcosa privo di valore e di
senso, che cercherò a tutti i costi di evitare con tutto me
stesso. Se prima il mio interesse era quello di renderti la vita
impossibile, adesso sappi che cercherò in tutti modi di far
sì che diventi completamente insignificante. Esattamente
come te.»
Il mio sguardo
vorrebbe essere minaccioso, ma sa solo trasmettere frustrazione. E lui,
per quanto voglia farmi credere di non sentire niente, mi sta
comunicando la stessa identica sensazione. Cos'è quello
sguardo, Near? Mi stai forse... pregando?
Nella mia
testa visualizzo le immagini di quella giornata e improvvisamente torno
a sentire quell'odore odioso addosso a me, come se lui fosse ancora
stretto fra le mie braccia. La mia mano si stringe a pugno e le unghie
si conficcano nella carne per la rabbia.
«Se
non vuoi morire... non ti azzardare mai più ad umiliarmi in
quel modo.»
Gli do le
spalle e mi avvio verso la porta, ignorando i suoi occhi fissi su di
me, i miei doveri nei suoi confronti, qualsiasi cosa. Poi,
improvvisamente, la sua voce rimbomba ancora una volta nella mia testa:
“Mi odi davvero così tanto?”. Quella
domanda che mi aveva fatto poche ore prima...
Sorrido
appena, ma non si può davvero definire un sorriso, e mi
fermo soltanto per un istante.
«La
mia risposta alla tua domanda, comunque, è ovvia. Prova a
immaginarla da solo.»
Non voglio
più vederlo. Non voglio più nemmeno sentirlo respirare. Mi volto e chiudo la
porta alle mie spalle.
Sì,
Near. Io ti odio.
NdA: Eccomi qua,
come al solito in ritardo. Mi scuso ancora per la mia indecenza. Questa
volta però ci ho messo tanto per un motivo preciso, che mi
sembra giusto esporvi con sincerità, perché
potrebbe interessarvi dal momento che seguite questa fanfiction. Ci ho
pensato e ripensato più volte in questi mesi e per poco non
prendevo la decisione di interrompere la storia ed eliminarla dal sito.
Il motivo è che purtroppo non riesco più a
trovare l'ispirazione per portarla avanti o, se la trovo, è
veramente sporadica e non dà buoni risultati. È
come se non la sentissi più mia e di conseguenza non riesco
a metterci più tanto sentimento, e sono sicura che questo si
vede. Non so quanto possa arrivarvi... Però, riflettendoci
meglio, ho realizzato che ci sono delle persone che ci tengono
veramente tanto, soprattutto una, che con tanta pazienza mi aspetta
sempre e ogni tanto mi invia anche qualche messaggio per incitarmi a
continuare. Ho pensato di dedicare a lei questo capitolo,
perché probabilmente se la storia e l'aggiornamento ora sono
qui, è tutto merito suo e del suo 'rompermi le palle', come
dice lei. Quindi grazie, Crazy
Sisters. Non so quante volte abbia scritto e cancellato
questo capitolo... Non mi piaceva mai. Anche per questo ci ho messo
tanto a pubblicarlo. Comunque la mia decisione finale è
questa: 'Emotionless' rimane qui dov'è e verrà
anche conclusa; magari ridurrò il numero di capitoli che
avevo previsto di scrivere - 10 - a 7, ma cercherò comunque
di renderli belli corposi e pieni di avvenimenti. Ho raccolto un po' di
idee e forse posso dire di sapere come mandarla avanti.
Un'altra cosa: questo al momento è il terzo capitolo, ma
quando arriverà il prossimo aggiornamento più
avanti, ho deciso che questo capitolo verrà incorporato con
il secondo, perché a mio parere ha più senso,
soprattuto per come ho in mente di procedere. Avrei dovuto presentarli
insieme in un unico secondo capitolo, ma come ho già fatto
intendere le mie idee erano parecchio confuse e non ho agito bene.
Quindi voi aspettatevi la prossima volta il terzo capitolo - comunque
non eliminerò niente, semplicemente unirò due
capitoli -. Forse sarebbe stato più giusto eliminare tutto e
ripartire da capo, ma sinceramente non mi andava proprio a genio
l'idea. Quindi questa è la soluzione che ho trovato. Spero
che vi faccia piacere comunque.
Beh, che dire... Spero che tutto sommato vi sia piaciuto.
Cercherò di tornare il prima possibile. Grazie mille per la
pazienza e l'affetto che mi dimostrate. Alla prossima, un bacio!
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