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di Grouper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** 02. B25 ***
Capitolo 3: *** 03. Custode ***
Capitolo 4: *** 04. Silenzio di sguardi ***
Capitolo 5: *** 05.Puoi contarci ***
Capitolo 6: *** 06. Allen,Haribo e te ***
Capitolo 7: *** 07. Sempre ***
Capitolo 8: *** 08. Atti inaspettati. ***
Capitolo 9: *** 09. Tempo di confessioni ***
Capitolo 10: *** 10. Tristi verità ***
Capitolo 11: *** 11. Perle di saggezza ***
Capitolo 12: *** 12. Uno sbaglio dopo l'altro ***
Capitolo 13: *** 13. In cerca di risposte ***
Capitolo 14: *** 14. Due è meglio di uno ***
Capitolo 15: *** 15. Perfezione ***



Capitolo 1
*** 01. Nuovo inizio ***


 
       
 
         
     "E' ora di andare! Muoviti Eff." Le parole di Rebecca echeggiavano nella testa di Vittoria, ancora a metà strada tra il sonno e la realtà. Con gli occhi che bruciavano a causa del sole più splendente del solito e la bocca secca, Vittoria -per la sua famiglia, Eff- da sdraiata si mise seduta sul letto, e cominciò ad accarezzare il gatto della sorella Rebecca che si era portata dietro quando la era venuta a svegliare. Sempre in modo poco cosciente e razionale, si mise le pantofole e barcollò verso la finestra per chiudere le tende: gli abitanti di Woods non erano abituati ad un sole " che spacca le pietre ": a dire il vero non erano abituati al sole in generale. Per tutto il paese quando quell'enorme stella graziava la città di un po' di luce, era sempre una festa. La cosa buffa? Vittoria odiava il sole. Così oltre a chiudere le tende, accostò pure le persiane, primo passo per superare l'irrazionalità mattutina. Dopo essersi lavata, tornò in camera e cominciò a prepararsi per il grande giorno tanto odiato: il rientro a scuola. Stette per due minuti abbondanti a scrutare e a toccarsi il viso: osservò gli occhi verdi, ma incupiti da un'ombra grigia che in realtà li rendevano ancora più belli e particolari, incorniciati da due sopracciglia nere e folte; la bocca a coniglietto sempre socchiusa; i capelli scuri e gonfi le contornavano il viso piccolo dalla fronte ben spaziata. Concluse quella strana "ispezione" con una smorfia che sottintendeva un "niente di che". 
Quando scese al piano di sotto trovò Rebecca che continuava a guardare l'orologio così spesso che non si era nemmeno accorta dell'arrivo di Vittoria. "Ah eccoti! No, dico:con comodo!" sbraitò la sorella; in tutta risposta, Vittoria alzò un sopracciglio e con un mezzo sorriso divertito andò in cucina a prendere la sua migliore amica: una tazza di caffè. " Ma si può sapere che stai facendo? Lo prenderai a scuola il caffè! Sono, anzi, sei in ritardo, Eff. Mi farai fare una brutta figura già dal primo giorno di lavoro " continuava Rebecca mentre si agitava di qua e di là alla ricerca di non si sa bene cosa, mentre metteva in disordine i capelli rossi a cui tanto teneva, come a tutto ciò che le appartenesse, d'altronde: lavoro compreso. " Calmati, Beck. Sono pronta, e mancano ancora venticinque minuti prima che la campanella suoni " disse in modo quasi scocciato indicando l'orologio della cucina. Rebecca si ricompose, poichè si era resa conto della folle scenata appena fatta, e con un colpo di tosse disse " Si, certo. Allora fai con calma io... ti... aspetto in macchina. Anzi quasi quasi prendo un caffè anch'io e... " ma Vittoria alzando gli occhi al cielo si diresse verso l'uscita di casa, seguita dalla sorella che la raggiunse di corsa dopo essere inciampata due volte, prima sul gatto e poi sulla sua stessa borsa che stava quasi per dimenticare. 
Vittoria non era il tipo da conversazione in macchina, preferiva prima di tutto andare a piedi, e in secondo luogo stare in silenzio e guardare fuori dal finestrino. Non è poi così male questa luce, pensò tra sè Vittoria mentre scrutava i rami degli alti tigli che si estendevano per tutto il viale. Quei tigli profumavano come pochi quando era stagione, ma anche in autunno, quando cominciavano a spogliarsi e a perdere il loro verde intenso, restavano comunque meravigliosi agli occhi di Vittoria. 
"Allora, emozionata?" chiese la sorella nell'intento di fare conversazione. 
"Affatto." rispose Vittoria senza staccare lo sguardo dai raggi di sole che penetravano tra le foglie deboli degli alberi. 
"Non avevo dubbi" sospirò Rebecca "io invece sono agitatissima!" aggiunse sorridendo in modo leggermente isterico. Vittoria rimase zitta, ma mimò con la bocca un "Fantastico!".
La macchina si fermò nel parcheggio della Century High School e solo in quel momento Vittoria si voltò verso la sorella e disse: "Noi non ci conosciamo. Anche se abbiamo lo stesso cognome e la gente probabilmente farà domande e non potrò mentire davanti all'evidenza, sappi che ci ignoreremo. Noi là dentro non ci conosciamo." disse con uno sguardo penetrante ma,anche se strano da credere, senza alcun odio o vergogna nei confronti della sorella. Rebecca stava per controbattere, ma non fece in tempo ad alzare l'indice per parlare che Vittoria le schioccò un bacio sulla guancia e scese dall'auto. 
Arrivò all'entrata della scuola: quello sarebbe stato l'ultimo anno tra quelle mura, e quell'anno sarebbe stato diverso, lo aveva deciso da tempo ormai. Sarebbe stato come un nuovo primo anno, solo con qualche centimetro in più e qualche ricordo non troppo dolce alle spalle. In ogni caso, sarebbe stato un nuovo inizio.

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Capitolo 2
*** 02. B25 ***




Vittoria tirò un sospirone appena varcò la soglia della scuola. Stringeva forte la borsa per scaricare l'ansia che cominciava a salire più i passi aumentavano; quella scuola racchiudeva troppi ricordi che non riuscivano ad abbandonare la testa di Vittoria per un solo secondo. Chiuse gli occhi per un attimo, fece un altro respiro e cominciò a farsi strada tra i corridoi affollati;nessuno sembrava darle attenzioni: la pancia cominciò a svuotarsi di tutta l'ansia e il peso accumulati in neanche un minuto. Più lucida di prima si avviò verso il suo armadietto e con tutta tranquillità -solo per non dare nell'occhio- cominciò a svuotare la borsa di tutto il peso che si protava dietro e a riempire quel buco di metallo con ogni tipo di cianfrusaglia avesse con sè oltre ad un mucchio di libri. Piano piano ogni cosa cominciò a prendere posto: attaccò un piccolo calendario sulla parte interiore dello sportello, insieme ad un mucchio di foto di viaggi passati, fatti con la sua allora intatta famiglia. Cominciò a fissare quelle foto intensamente: il sorriso di sua madre mentre abbracciava una piccola Vittoria di soli 8 anni davanti al Colosseo, e i suoi occhi verdi le riempirono lo stomaco di nostalgia e di strane sensazioni. Se non fosse stata così brava ad evitare di piangere in pubblico, quello sarebbe stato uno di quei momenti in cui gli occhi cominciano a gonfiarsi lentamente e la gola a inasprirsi, ma non accadde.
Scrollò la testa e finì di appendere le ultime cose dov'era rimasto un pò di spazio, prese quelle due cose che le sarebbero servite per le prime due classi e chiuse l'armadietto in modo deciso pronta ad avviarsi, come un gong stabilisce l'inizio di uno scontro: Vittoria contro tutti. Tuttavia, non riuscì a muoversi immediatamente: restò per qualche secondo immobile a guardare davanti a sè la gente che passava sorridente in preda alle chiacchiere pettegole dell'ultimo momento; stava per andarsene quando sentì un colpo di tosse provenire dalla sua sinistra e si voltò di scatto, convinta che quella persona si stesse rivolgendo a lei. Le si aprì davanti un volto nuovo, sconosciuto: con il fare da -finto- impacciato e imbarazzato, un ragazzo dai riccioli castani e gli occhi chiari si aprì in un timido sorriso. " Scusami, sto cercando l'armadietto B25, sai per caso dirmi dov'è? " La sua voce era sorprendentemente bassa ma pur sempre giovanile: aveva un non so che di rassicurante e pacato, anche se il tono con cui aveva posto la domanda non era dei più imbarazzati o impacciato, ma bensì di uno che sapeva quello che stesse facendo, Vittoria non ci fece caso e in tono sarcastico disse " veramente ci sei davanti ! " .
Il ragazzo riccio si rivelò essere il vicino d'armadietto di Vittoria. " Ah, fantastico! Allora non mi ero perso come pensavo ... " disse con un altro sorriso, questa volta più sghembo e attraente. La ragazza ricambiò con una smorfia simile ad un sorriso, come se si fosse sentita in dovere di farlo. Stava per andare via quando il ragazzo prese nuovamente parola : " Di che anno sei? " , " Ultim'anno, fortunatamente!" rispose con finto entusiasmo Vittoria. "Ma davvero?" disse il riccio " Anch'io! Potrei chiederti un ultimo favore ? " chiese alzando le sopracciglia con fare supplichevole; Vittoria lo guardò di sbiego e annuì con la testa: " Non è che potresti dirmi dov'è la classe di Chimica dell'ultimo anno? " . Vittoria cominciò a pensare che quel gran bel pezzo di ragazzo fosse in realtà uno stalker: quella era in realtà la stessa classe che doveva frequentare la prima ora anche Vittoria; alzò gli occhi al cilo senza darlo troppo a vedere e disse girando i tacchi: " Sei fortunato, ci vado anche io. Vieni. "
Lei non lo potè vedere, ma il ragazzo fece un sorriso di compiacimento e la seguì in fretta e furia. " Mi chiamo Harry Styles! " a quelle parole Vittoria si voltò e con la solita espressione da presa in giro , sopracciglia alzate e finto sorriso esclamò " Fantastico! " e poi tornò immediatamente seria con lo sguardo rivolto in avanti. La maggior parte delle persone con una ragazza del genere avrebbero già perso le speranze e l'avrebbero mandata a quel paese, ma Harry la guardò con interesse e curiosità e sorridendo disse: " Ad Harry Styles farebbe piacere sapere il tuo nome " e dicendo così si mise di fronte al Vittoria. In quel momento la ragazza fece un sorriso spontaneo, anche questo curioso e interessato e mentre squadrava il volto e il sorrisetto di Harry con sguardo misterioso, disse: " Mi chiamo Vittoria, James è il mio cognome se per qualche motivo ti può interessare, ma non vedo come. " disse sempre con una piccola smorfia sulla bocca e schivando Harry che nel frattempo le si era piazzato davanti. " Certo che mi interessa: adesso posso aggiungerti su Facebook! " esclamò da più lontano il riccio mentre guardava Vittoria allontanarsi decisa da lui; lei si voltò e lo guardò non più sorridente, ma quasi ridendo. Si fermarono davanti alla porta di Chimica: per un paio di minuti Vittoria era riuscita a resettare il cervello, a fare completamente tabula rasa di tutte le preoccupazioni e le ansie con cui era venuta a scuola solo un quarto d'ora prima, ma ad un tratto tutto tornò come prima: nemmeno il sorriso di quel presunto Harry riuscì a distogliere i suoi pensieri da Mike, il ragazzo che intravedeva dal vetro squadrettato della porta. Cercò in tutti i modi di non pensare, e con finto interesse disse al riccio con tono scocciato: " Magnifico! Mi hai fatto perdere talmente tanto tempo che per colpa tua ora dovrò prendermi un posto in prima fila... Se va bene in seconda o in terza. Complimenti! " ma Harry le sorrise e le aprì la porta. 


Notaaaaaaaare bene: 
Non so se si era capito, ma in questa FF Harry non è famoso, è un ragazzo normalissimo. 
I One Direction esistono ( lo vedremo piùùùù avanti! ), ma lui - ovviamente -  non ne fa e non ne ha mai fatto parte. 
Dìn Dòn, arrivederci(: 
Spero vi sia piaciuto il capitolo, recensite e ditemi quello che ne pensate! 

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Capitolo 3
*** 03. Custode ***



Quando la porta si aprì l'intera classe, dapprima intenta nel chiacchierare, si voltò verso i due arrivati e li fissò. Gli sguardi che Vittoria stava cercando di evitare da quando era entrata a scuola, tutt'a un tratto erano rivolti pesanti verso di lei; strinse i libri con le mani umide d'ansia e deglutendo cercò un posto dove sedersi. Gli ultimi tre posti rimasti erano messi a "L", e due di questi erano terribilmente vicini a Mike; Vittoria decise così di optare per quello un pò più lontano, ma in ogni caso sempre troppo  vicino a lui. Harry dal canto suo era un ragazzo che amava conoscere nuova gente e incontrare nuove classi non era affatto un problema; decise di sedersi accanto a Vittoria, proprio di fronte a quel Mike. Si sedette con un sorrisetto in bocca, forse ancora compiaciuto da come pensava di aver abbordato una ragazza, mentre Vittoria posò i libri e si mise seduta in una frazione di secondo, guardando verso il basso per schivare gli sguardi curiosi. Era la prima volta che quelli che una volta erano amici di Vittoria la vedevano dopo cinque mesi; cercò di non pensarci troppo, o almeno ci provò, prese un libro a caso e cominciò a scarabocchiare la prima pagina tenendo la testa bassa e il braccio sinistro accanto al viso come una barriera. Harry stava cercando ancora di orientarsi: guardava in giro tutti i banchi singoli messi in fila e quelli che vi sedevano sopra, notando che tutti avevano lo sguardo puntato a scatti verso Vittoria. Inarcò un sopracciglio e sempre guardandosi attorno le si avvicinò dicendo: " Io ti avrò fatto far tardi, ma per colpa tua nessuno mi degna di uno sguardo! " parlò a bassa voce, cercando di non superare il leggero brusio della classe. Vittoria si voltò a destra per cercare gli occhi verdi appena conosciuti con l'intento di sputarci sopra un bell'insulto, ma, quando incontrò il suo sguardo, Harry si aprì in un sorriso e le fece un occhiolino. Vittoria rimase lì per lì attonita, ma poi fece un piccolo sorriso e disse sottovoce: "Ops, colpa mia!". 
I due si guardarono a scatti per qualche secondo, sempre sorridendo, quando una voce interruppe quel momento di pace. 
" Ti sei fatta un nuovo amichetto, eh Vichi?! " a parlare era Mike, e subito dopo si levò la sua risata nauseabonda che faceva rabbrividire Vittoria ogni volta che le sfiorava i timpani. " Vittoria e il nuovo arrivato: che classe, non c'è che dire! " continuò a ridere e una parte della classe lo seguì, ma meno sonoramente. Harry non se la prese troppo per sè, ma guardò Vittoria, e la vide abbassare lo sguardo e stringere il pugno tra le gambe sotto il banco; si sentì in dovere di intervenire : " Non penso che tu sia la persona adatta a giudicare la classe di una persona: dovresti prima impegnarti ad acquisirne una, magari, e poi preoccuparti di quella degli altri. " disse con un sorrisetto sghembo girandosi verso Mike. Questo si irrigidì: " Sentiamo un pò: come si chiama il novellino che viene a farmi la predica con il suo accento da piccolo Lord, eh?! " disse l'energumeno dietro ad Harry alzando il mento in segno di sfida. " Mi chiamo Harry Styles, piacere. Tu dovresti essere il nuovo concorrente del Jersey Shore se non sbaglio, vero? Ho sentito così tanto parlare di te " disse sempre sorridendo con tono sarcastico. Vittoria si voltò per la prima volta verso Mike; in effetti il suo aspetto non era dei più sofisticati: era grande, muscoloso, capelli tra il perenne bagnato e il gellato, orecchini, collana nera e canotta; sembrava seriamente una versione più giovane e obiettivamente -grazie ai suoi occhi e al suo sorriso- più carina di un concorrente di qualche reality tamarro. Vittoria fece un mezzo sorriso cercando di trattenere una risata, che nel frattempo si era levata in tutto il resto della classe. Il viso di Mike nel frattempo era divampato, stava per alzarsi per probabilmente dare un pugno al bel faccino di Harry, quando la professoressa di Chimica entrò in classe e ripristinò l'ordine. Il riccio tornò dritto e composto sul suo banco; Vittoria continuava a fissarlo con un'espressione tra l'ammirazione, la gratitudine e la curiosità: in ogni caso sorrideva, ed Harry la guardò per un attimo sorridendo a sua volta, prima di ascoltare la professoressa parlare. 
La lezione passò tranquilla: Vittoria si sentiva molto più sicura, sebbene se la fosse potuta cavare da sola tranquillamente usando qualche frecciatina o qualche sguardo acido. Riuscì comunque a seguire la lezione in modo sereno: studiare doveva essere l'unica attività ad impiegare le energie della ragazza quell'anno, secondo i suoi piani. Harry, invece, seguiva la lezione con meno interesse: talvolta scarabocchiava, altre volte prendeva veri appunti, a tratti disegnava, e altre volte guardava la bocca a coniglietto di Vittoria mimare le parole scritte sul quaderno. La stava proprio osservando quando la campanella improvvisamente suonò; la sua vicina di banco con uno scatto felino prese tutto ciò che le stava davanti e sfrecciò fuori dalla classe. Harry aveva pianificato di alzarsi e uscire con lei, ma non era di certo pronto per una mossa così repentina: come preso da una scossa fece altrettanto, ma con un ritardo di cinque secondi buoni. Uscì dalla classe e non la vide nel corridoio; scrollò le spalle tentando di ragionare su dove potesse essere andata: le probabilità di avere un'altra classe in comune erano piuttosto basse, così decise di incamminarsi verso i bagni nella speranza che quello scatto felino fosse dovuto ad una vera e propria necessità: negativo. Corse dunque verso gli armadietti, ma una volta arrivato si ricordò che Vittoria non aveva solo il libro di Chimica in mano, e che quindi non le sarebe servito tornare al suo armadietto. Non aveva idea di dove potesse essere finita Vittoria, e infatti non la trovò; storse il naso e barcollò verso la classe di Letteratura, mentre pensava al sorriso estasiato che le aveva rivolto dopo aver affrontato l'energumeno dietro di lui. 
Vittoria era già seduta sul suo banco preferito, quello accanto alla finestra, in penultima fila, quando tutto il resto della classe cominciò a farsi strada tra i piccoli banchi; tutti lanciarono una veloce occhiata alla ragazza, ma lei non ci fece caso, poichè troppo occupata a cercare uno svago per quei cinque minuti di imbarazzo che ci sarebbero stati in classe: decise di prendere il telefono e smanettare con il primo gioco le si fosse presentato davanti. La lezione passo in modo tranquillo e veloce, lei amava Storia, e il suono della campanella non era di sicuro il suo migliore amico durante quella lezione, ma in ogni caso, con il solito scatto, uscì dalla classe per seconda. I due non si incrociarono mai per il resto della giornata: nè agli armadietti, nè a pranzo, nè ai bagni. Harry decise di giocare d'astuzia, e uscì due minuti prima dall'ultima lezione con la scusa di non sentirsi bene e si piazzò di fronte all'uscita della scuola, sicuro di poterla vedere. Come per miracolo, anche se forse un pò Harry se lo aspettava, Vittoria fu tra le prime a varcare quella soia; lui era appoggiato alla macchina, con le braccia conserte e gli occhi socchiusi per il troppo sole; lei invece si scese le scale dell'entrata senza fare troppo caso a cosa o chi avesse davanti, ma quando alzò lo sguardo e vide il ragazzo dai capelli ricci, si fermò di scatto e alcune ciocche di capelli rimasero attaccati al lucidalabbra. Harry le sorrise e si avvicinò piano alla ragazza: " Se voglio essere il tuo custode, tu devi farti trovare un pò più facilmente! " disse con un tono dolcissimo, come se un padre stesse parlando alla sua bambina. Vittoria si tolse i capelli dalla bocca e con un'aria più che sorpresa e confusa gli disse: " E da quando tu saresti il mio custode? " - " Da oggi " rispose Harry senza staccare gli occhi da quelli di Vittoria. Lei annuì come se stesse parlando con un malato di mente, e si avviò verso l'uscita del parcheggio. " Ti dispiace se cammino con te ? " disse da dietro Harry che ovviamente non avrebbe accettato un no come risposta. Vittoria si voltò con uno sguardo serio e indagatore, ma vedendo il sorriso supplice del ragazzo, alzò gli occhi al cielo e acconsentì. Lui la raggiunse correndo, e mentre camminavano le fissava attentamente il  viso di profilo e poi sorrise, senza darlo a vedere troppo in viso. In realtà entrambi sorridevano dentro di sè, perfino Vittoria.


Notaaaaaare bene: 
Grazie per le recensioni e per i complimenti(:
Devo dire che non so ancora come andrà a finire questa storia, ma ho già in mente come voglio svilupparla !
Come vedete i capitoli coprono una piccola parte alla volta, e quindi la storia sarà bella dettagliata; spero che non vi annoierete e che mi continuerete a seguire anche nei prossimi capitoli. Ditemi quello che pensate nelle recensioni, pliz (?)

Un bacione, 
vichi. 

PS- mi sento un sacco realizzata ad aver trovato quella foto di Lucy Hale , perchè è esattamente l'espressione che cercavo di descrivere dopo la discussione di Harry con Mike. ( "un'espressione tra l'ammirazione, la gratitudine e la curiosità: in ogni caso sorrideva" tanto per capirci xD ) .
Ok adesso vado sul serio(: 

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Capitolo 4
*** 04. Silenzio di sguardi ***




Per una piccola parte del tragitto ci fu un silenzio di tomba, per nulla imbarazzante; le foglie che si accartocciavano sotto ai loro passi erano l'unico suono che faceva compagnia ai due ragazzi. Harry continuava a sorridere, continuava a pensare a quell'espressione di gratitudine che Vittoria gli aveva rivolto la prima ora: non riusciva a toglierselo dalla testa. Lei, invece, era molto più seria in quel momento: aveva le mani incrociate sul petto, il sole era scomparso e le nuvole stavano facendo capolino e con loro il vento freddo d'autunno; strinse ancora di più la presa delle braccia per scaldarsi quel poco di più, e poi finalmente si voltlò verso Harry che guardava i tigli tremare al soffio gelido del vento; tornò con lo sguardo su Vittoria, e per un attimo si scrutarono come fanno due bambini prima di cominciare a giocare. A rompere quel silenzio fu Vittoria: " Penso di doverti ringraziare per oggi a Chimica " disse guardando fissa la strada davanti a sè " Non che non ce l'avrei fatta da sola, insomma, me la sarei cavata, ma nessuno che conosco mi avrebbe mai aiutata così spontaneamente. Sul serio: se dovessi fare una lista sarebbe completamente bianca! " Concluse guardando Harry e tirando in su l'angolo sinistro della bocca. Harry era tornato per un attimo serio, non parlò per qualche secondo e poi sospirò: " Beh, vorrà dire che io sarò il primo nella lista. Adoro essere il primo! " La guardò con il sorriso dolce da padre premuroso di prima. Vittoria si sciolse in una risata silenziosa e poi continuò con tono soffice e strizzando gli occhi curiosi, come per assorbire più informazioni possibili: "Perchè l'hai fatto?" Harry guardò per terra, e scalciando tutti i sassolini che gli capitavano davanti, rimase in silenzio: non lo sapeva. Il silenzio tornò a circondarli per un minuto buono. Vittoria non era il tipo che metteva fretta alle persone durante le conversazioni: aveva la dote di essere una ragazza molto paziente. " Da un punto di vista razionale non so perchè l'ho fatto. Potrei dire che è stato l'istinto, ma è qualcosa di più " anche se l'argomento si faceva più personale, Harry non era imbarazzato, era calmissimo e la sua voce bassa trasmetteva la stessa sensazione a Vittoria, che stava in silenzio. " Non devi pensare che sia pazzo, dopo quello che ti ho detto al parcheggio " sorrisero entrambi " Tranquillo, il dubbio mi era venuto da prima " disse Vittoria lanciandogli uno sguardo, ma lui continuava a guardare in avanti " E' qualcosa di più. " continuò serio Harry " Mi sono sentito in dovere di farlo, ma non perchè quell'energumeno fosse un maleducato. Spesso quando assisto a scene del genere rimango zitto, perchè in fondo non sono affari miei. Ma poi ti ho vista, e ho visto come non fosse una semplice battutella delle otto di mattina. Ho visto che ti faceva male, non so per quale motivo, ma se fossi stato il tipo che fa a botte, sappi che invece di rispondergli dandogli del tamarro, mi sarei alzato e gli avrei piantato un pugno in faccia! " disse gonfiando il petto a mò di eroe. " Beh, non farlo mai, ti prego! " disse Vittoria con gli occhi sgranati. Di nuovo silenzio. Eff cercava di assimilare e di capire quello che le era stato appena detto, e le uniche parole che le uscirono furono: " Hai ragione " . Harry la guardò alzando un sopracciglio " Penso che tu sarai il mio custode. " Entrambi si fermarono per un istante. adesso nemmeno le foglie sul viale facevano rumore, solo il vento che scompigliava i rami dei tigli logorava quel silenzio fatto di sguardi, gratitudine, curiosità e simpatia. Si guardavano, si guardarono per un minuto interminabile. Non c'era attrazione nei loro occhi, non fisica per lo meno. Non erano cotti l'uno dell'altro, proprio no: era qualcosa di diverso. A rompere quel momento fu il sorriso di Harry seguito da quello di Vittoria.
" Lo sai che hai la bocca a coniglietto? " disse Harry. Vittoria sgranò gli occhi e scoppiò a ridere "Si lo so mia sorella mi ci prende in giro in continuazione! " Ripresero a camminare, ormai casa di Vittoria era bella che passata. Camminarono per dieci minuti senza parlare, ma gli sguardi che si incrociavano di tanto in tanto, i sorrisi che avevano indipendentemente se l'altro stesse guardando o meno, tutto quello era sufficiente a riempire il silenzio intorno a loro. Poi Vittoria decise di sedersi improvvisamente. Luirimase in piedi a guardarla; lei fissava il vuoto, pensante. Harry le toccò la gamba con il piede, per svegliarla da quel "sonno", ma Vittoria alzò semplicemente lo sguardo e disse: " Lo sai che tu hai rovinato i miei piani, vero? " era seria, serissima, quasi offesa. Lui ovviamente non poteva sapere tutta la storia, ma in qualche modo riuscì comunque a capire cosa intendesse l'amica. " Lo so " furono le uniche parole che uscirono dalla bocca sorridente di Harry. 


Notaaaaaaaare bene: 
In primis ( oddio devo ripassare latino! ):  grazie per le recensioni, sono felicissima soprattutto che vi piaccia il pesonaggio di Vittoria, ci ho dovuto pensare un pò su!
In secundis ( che nemmeno esiste, penso ): amo questo capitolo, potrebbe sembrarvi noioso, ma penso racchiuda il sentimento speciale che si è creato tra questi due fanciulli (?) . 

Grazie ancora, se recensite vi amo. lol


 

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Capitolo 5
*** 05.Puoi contarci ***


 


Notaaaaare bene: 

Bene, metto ora il "disclaimer". Prima di tutto ringrazio le gentili fanciulle che mi hanno scritto in passato: spero che continuerete a farlo perchè mi riempite di giuoia! In questo capitolo non accadrà molto.. è uno di quei capitoli di transizione, suppongo .mm. non mi piaceva l'idea di farne accadere una dopo l'altra dopo poco tempo, nè tanto meno di fare subito una cosa del tipo "Passarono i giorni..." già dal quinto capitolo. Ciò per dire: non aspettatevi BADABUM assurdi, è un capitolo molto tranquillo(:

 vichi. 


ps- non ho idea se il raso si inzuppi facilmente o meno, perdonatemi! (:

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Rimasero seduti su quella panchina per qualche minuto, finchè Vittoria si voltò verso di lui e gli fece cenno con la testa di tornare. Harry balzò in piedi in un attimo e a mò di sergente disse " Sìsssignora! " . Lei alzò gli occhi al cielo sorridendo e si incamminò da sola mentre Harry continuava a rimanere in quella posizione da stupido; Vittoria senza voltarsi o fermarsi si limitò a urlare " Muoviti! " con il tono in cui una mamma dice al bambino di rimettere il giocattolo dove lo aveva trovato. Harry rise forte e corse accanto a lei: quando rideva fragorosamente gli si arricciava il naso, alzava istintivamente le spalle e gongolava come un bambino. Era la risata più tenera di tutto il mondo, e lo si poteva dire anche senza guardarlo. Tornarono a casa in poco tempo,  scambiarono poche parole mentre camminavano: entrambi pensavano a quel poco che si erano detti, e quanto inconsciamente li avesse uniti. Harry lasciò Vittoria a pochi passi dalla porta. " Ci vediamo domani " disse semplicemente Vittoria " Puoi contarci. " rispose Harry con il suo sorriso a trentacinque denti. 
" Sono tornata " disse Vittoria sovrappensiero mentre si sbottonava la giacca. " Vittoria! " un urlo isterico si levò dalla cucina in fondo al corridoio, e ad un secondo di distanza Rebecca fece capolino in salotto, con il mestolo in mano puntato contro la sorella. Vittoria sgranò gli occhi: ogni tanto pensava veramente che sua sorella fosse una schizzata, ma le voleva bene così com'era, in tutta la sua follia. " Fai così anche con i tuoi alunni, Beck?" disse con tono incredulo Vittoria mentre con il dito spostava lentamente il mestolo di legno dal suo viso. " Mi spieghi dove sei stata? " quella volta Rebecca era seriamente arrabbiata e preoccupata. Vittoria ripercorse il tragitto che aveva fatto con Harry, ma non sapendo dare una risposta precisa per i troppi pensieri che volavano per la testa, la cosa migliore da dire fu " In giro " e con lo sguardo basso, pieno di quella mezz'ora , si diresse verso le scale per salire in camera. Rebecca rimase immobile per un attimo: si aspettava una serie di spiegazioni, scuse e blatere varie, e invece si era dovuta accontentare di due parole. A passo veloce raggiunse la sorella e con la mano sopra il pomello delle scale disse con tono alto " Come sarebbe a dire - in giro - ?! " Vittoria era quasi in cima alle scale ma non le rispose " Si può sapere almeno con chi eri? " concluse piegando la testa verso destra e battendo il piede per terra: Vittoria sospirò, con tono quasi impercettibile " Non ne ho idea " . Rebecca alzò le braccia in segno di resa e sbuffando tornò in cucina. Vittoria rimase a pensare in cima alle scale mentre il gatto senza nome della sorella le faceva le fusa. " Non ne ho idea " ripetè con un filo di voce, sorridendo. 

 

Nel frattempo, Harry era tornato nel parcheggio della scuola dove era parcheggiata la macchina; quando vi entrò la pioggia cominciò a scagliarsi pesante contro il parabrezza dell'auto. Rimase istintivamente con le mani al volante e il motore acceso per una manciata di minuti interminabili, durante i quali ripercorse l'intera giornata, da inizio a fine. Ogni tanto un sorriso innocente e sognante si dipingeva sulla bocca di Harry, altre volte tornava serio pensando a ciò che aveva detto a Vittoria. Quell'incontro era stato totalmente un frutto del destino: Harry era tutto meno che uno stalker. Si era davvero perso, cercava veramente il suo armadietto, voleva veramente sapere dove fosse l'aula di Chimica. Il fato a volte fa brutti scherzi, ma altre volte può essere il miglior modo per fare quell'incontro inaspettato che attendevi con ansia da tempo. Chi non ha mai voluto incontrare quella persona fuori di casa in un giorno come gli altri? Harry era uno di quelli, e il pensiero di Vittoria come la persona conluse il diluvio di ragionamenti del ragazzo. Mise in moto la Toyota blu e con la musica a palla tornò a casa. Non riusciva a smettere di sorridere. 


Il mattino seguente Vittoria si alzò di buon umore, non per ciò che era successo il pomeriggio prima, ma per il battito incessante della pioggia sulla sua finestra. Quando scese al piano di sotto, pronta per andare a scuola la sorella Rebecca, sempre in mezzo come il giovedì, spuntò fuori dal ripostiglio: " Ma che fai vai a scuola a piedi con questo tempo? Ferma, ti accompagno io! " Vittoria aveva sentito la sorella farfugliare, ma non aveva ascoltato; aprì la porta e mentre usciva disse ad alta voce " Ciao Beck, io vado!ci vediamo oggi pomeriggio" o a scuola... pensò tra sè e sè mentre chiudeva la zanzariera. Mentre camminava, ormai a pochi minuti dalla scuola, Vittoria vide una macchina accostare a pochi passi da lei. si fermò istintivamente, non perchè curiosa, ma avrebbe preferito cambiare strada per evitare strani sguardi, ma prima che potesse guardare la strada per cambiare sponda, un viso bianco sorridente ma incappucciato uscì dalla macchina. Vittoria si fermò un'altra volta, storse la testa a destra e fece segno di no, come se si stesse arrendendo a chissà cosa! 

"Sali in macchina, dai. Non vorrai inzupparti la camicetta appena stirata! " disse sghembo Harry indicando l'abbigliamento stranamente accademico di Vittoria. "Accetto volentieri, ma lo faccio solo per il fiocco. E' di raso, si inzuppa facilmente" disse fiera Vittoria avvicinandosi allo sportello con il mento alto; ovviamente stava scherzando: non le importava un tubo nè della camicetta nè tanto meno del fiocco sui capelli. I due si guardarono per un attimo da un lato all'altro dell'auto: Harry sorrise, come al solito, Vittoria entrò semplicemente in macchina; riaccese il motore, e partì lentamente. Vittoria all'improvviso respirò "ad alta voce", si voltò verso Harry e disse: " Sul serio: essere custode di una persona è un modo più carino per dire di essere uno stalker? " Harry scoppiò a ridere e fece cenno di no con la testa. "Non voglio andare a scuola" il tono di Harry era quasi provocatorio, e Vittoria se ne rese conto solo due secondi dopo: prima sorrise, divertita, poi sgranò gli occhi "Beh io si! Quindi portami a scuola." fissava il ragazzo al volante sorridere. "Giù il pelo, tigre! Scherzavo... " disse con tono pacato Harry  "in realtà no, ma non ti porterei mai dove tu non vuoi andare " Eccolo di nuovo, il tono da padre premuroso. Vittoria si ricompose, deglutì e continuò a fissare la strada, ormai finita. Erano arrivati al parcheggio della scuola: entrarono insieme nei corridoi ancora mezzi vuoti e si diressero verso gli armadietti, in silenzio. Harry aveva fatto subito e aspettava paziente che anche Vittoria chiudesse l'armadietto. Quando lo fece, la ragazza notò che Harry era ancora là: lo guardò alzando un sopracciglio, chiedendosi tra sè e sè perchè fosse ancora là ad aspettarla. "Non mi dire che hai Letteratura la prima ora... " chiese Vittoria; Harry sorrise "No, Matematica" si mise in spalla lo zaino "Ci vediamo in giro" e detto ciò si voltò dalla parte opposta e si diresse verso l'aula in questione. 
"Puoi contarci" disse la mora citando le parole dello stesso ragazzo.
Harry si fermò, sorrise all'idea che si ricordasse ciò che si erano detti il giorno prima; poi si girò, ma Vittoria non c'era più.


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Capitolo 6
*** 06. Allen,Haribo e te ***


Per qualche motivo mi si era cancellato il capitolo .__.( fortunatamente salvo tutto!)

           
"Cereali a pranzo?" La voce di Harry superò la confusione nella bocca di Vittoria mentre mangiava la sua tazza di anellini al miele; con la bocca semi-piena e il sopracciglio alzato gli rispose: "E' forse un problema?". Harry si sedette davanti a Vittoria con il vassoio del pranzo praticamente vuoto. "Sempre meglio di una soda e patatine " continuò Vittoria ironica dopo aver deglutito il secondo cucchiaio. Harry la guardò per un attimo e poi si mise a giocherellare con la busta blu di patatine "Non so nemmeno perchè le ho prese. Avrei preferito una ciotola piena di liquirizia" disse sorridendo. "Allora sei in buona compagnia" gli rispose Vittoria alludendo a se stessa: tra un pacchetto di liquirizia e una ciotola di cereali al miele, non si sa quale fosse il pranzo peggiore. Il sorriso di Harry spuntò più bianco del solito "Questo lo sapevo già..." disse il ragazzo con il sorriso sghembo. Vittoria, per quanto potesse piacerle uno spettacolo del genere, lo guardò perplessa con una smorfia sulla bocca, e poi, quasi scocciata, disse: "Datti una regolata, Harry: non puoi parlarmi come un padre prima, e dopo fare battutine come se ci stessi provando." Glie lo disse più come fosse una ramanzina, che una provocazione, mentre mandava giù un'altra cucchiaiata di cereali. Harry rimase lì per lì attonito, e poi la guardò con lo sguardo dolce che ancora non aveva mai sfoggiato: "Vorrei fare la parte dell'amico, se me lo concedi" Vittoria stava bevendo il latte rimasto nella ciotola quando le andò di traverso; tossì forte per riprendersi e guardò in basso pensante. Harry era ancora là a guardarla, non sapeva bene il perchè avesse reagito in quel modo, ma aspettava senza farsi troppe domande. "Perchè mai?" azzardò la mora con gli occhi pregni di tristezza. Harry sgranò gli occhi. "Perchè non dovrei?" - "Te l'ho chiesto prima io" ribattè Vittoria quasi acida. "Perchè mi piaci, non in quel senso, ma mi incuriosisci. In una settimana è cambiato tutto: sono stranamente più sorridente, sono più felice. Vengo a scuola per un motivo e il motivo sei tu." fece una pausa. Vittoria lo guardava fisso con i suoi occhi verdi. "Perchè non dovrei?" continuò Harry alzando l'angolo sinistro della bocca. "Ci stai provando" fu la risposta di Vittoria: la sua espressione era tra la tristezza e l'arrabbiatura. "Ti dico di no. Se ci stessi provando ti avrei già detto che i tuoi capelli sono fantastici, che mi piacciono i tuoi occhi e che quando ridi sei stupenda. Non avrei perso tempo a dire che mi fai piacere la scuola. Ne ho avute tante di ragazze, di amici pochi; so a cosa dare la priorità" Harry era incredibilmente serio, Vittoria lo stesso: lo indagava con gli occhi e dentro di sè non era sicura se aprirgli le porte e farlo entrare nella sua vita come amico, come affermava lui, oppure se era uno dei tanti ragazzini a cui piaceva flirtare. "Dovresti cominciare a fidarti del tuo custode..." disse Harry, come se avesse capito lo sgomento della ragazza. "Penso che ci riuscirò" sospirò Vittoria finalmente sorridendo. Harry aprì le patatine e dopo averne mangiate due o tre le offrì a Vittoria. "Dopo latte e cerali? Ma che schifo!" rise Vittoria, e con lei lui. 
"Ad ogni modo, io sono team Haribo... non so te!" disse Vittoria che troppo tentata rubò una patatina dal vassoio. 
"A vita!" rispose Harry sorridendo. "E se ti può interessare, ne ho due pacchi giganti a casa" - " E perchè mai dovrebbe interessarmi?" il tono di Vittoria era stranamente provocatorio. "Scusa ma sta volta sei tu quella che ci prova! " Harry aprì la bocca e vi infilò dentro qualcosa attorno alle dieci patatine. Lei lo guardò sbigottita, non per la finezza con cui stava mangiando, ma per quello che aveva appena detto. "Riformulo la domanda: ma davvero?! E perchè mi vuoi far morire di invidia?" sta volta scandì bene la parole come farebbe una bambina di sei anni. 
"Perchè se tu avessi voglia, potresti venire a casa mia sta sera presto e mangiarne un pò con me" disse con tono scontato Harry. Vittoria ci pensò su, guardava in basso, poi a destra, poi a sinistra e poi guardò il suo viso. "Spero che non sia un appuntamento, perchè se per qualche motivo lo diventasse, sappi che non ti rivolgerò più parola. " disse mentre prendeva il suo vassoio e si allontanava dal tavolo. Harry le sorrise, anche se era di spalle: " Lo devo prendere per un sì o cosa?" Lei si voltò verso l'amico e, sorridendo, gli annuì. 

Un'altra volta, Harry uscì mezzo minuto prima dall'aula e aspettò Vittoria che uscisse da scuola: voleva almeno darle appuntamento. Aspettò per un quarto d'ora dall'ultima campanella, ma della ragazza neanche l'ombra; si fece pensieroso e così tornò in macchina: l'avrebbe cercata su internet, se mai ci fosse riuscito. Mentre si avviava dall'altra parte della macchina dalla parte del guidatore, notò un foglietto attaccato al vetro. << Odio essere raggirata, sta volta ti ho battuto sul tempo. Non ho idea di dove abiti, quindi vedi di non fare tardi: sette davanti a casa mia. Vittoria >> Harry staccò il messaggio subito dopo averlo letto: quella ragazza era piena di sorprese.

Le sette arrivarono presto. Vittoria si cambiò pochi minuti prima di uscire, infilando una felpa larga e un paio di jeans; nel momento in cui chiuse la porta dietro di sè, la macchina di Harry accostò accanto al cancello di casa. Vittoria quasi fosse in fervida attesa di quel momento e non potesse aspettare oltre, corse saltellando verso l'auto. I due nemmeno si salutarono, ma si scambiarono un'occhiata complice che racchiudeva tutti i saluti del mondo, e la macchina riprese a muoversi. "Ho deciso una cosa" la voce grave di Harry spezzò il silenzio pochi minuti dopo; si girò verso Vittoria che lo guardava con un punto interrogativo dipinto negli occhi. "Dobbiamo conoscerci meglio, e cominceremo da subito." - "Ci sto" rispose Vittoria tranquilla. 
"Comincio io" riprese Harry "Canzone preferita?" 
Vittoria ci pensò un attimo, prese l'ipod che aveva in tasca e andò sui brani più ascoltati; sorrise "Use somebody - Kings of Leon! " 
"Preferisco Sex on Fire" Vittoria lo guardò per un secondo e poi scoppiò a ridere "La mia canzone preferita è Stand by me "
 "La versione di John Lennon o King?" 
"Odio John Lennon con tutto me stesso." 
"Fantastico!" disse sarcastica Vittoria. 
Il gioco andò avanti con mille altre domande, tra una risata e l'altra, quando finalmente arrivarono a casa di Harry dopo una mezz'oretta di macchina. Era un posto accogliente, stile europeo, in fondo Harry era inglese e da una parte o dall'altra anche uno dei suoi genitori, ma Vittoria non volle investigare. Tutto aveva una luce così scura e calda, non solo per il fatto che il sole era quasi scomparso, ma per la tappezzeria e l'arredamento che riempivano quella casa. Vittoria si guardò attorno estasiata: girava su se stessa con la bocca socchiusa mentre guardava ogni angolo della casa. "Da questa parte" Harry mise una mano sulla schiena di Vittoria e la spinse gentilmente verso le scale; le prese quasi spavento quando la toccò, ma Harry le sorrise dolcemente e dal trattenere il respiro Vittoria si tranquillizzò ricambiando una specie di sorriso. Entrarono in camera di Harry: era estremamente grande. "Scommetto che questo doveva essere un salotto al piano superiore e non una camera" disse Vittoria sarcastica mentre dava il cappotto e la borsa al padrone di casa. "In realtà hai proprio ragione" le rispose Harry mentre metteva a posto un paio di cianfrusaglie sparse per la camera "Ho fatto una specie di accordo con mia mamma: lei voleva tenere questa stanza aperta e farne un salotto, ma l'ho convinta a mettere su un paio di muri e a farne una camera che avrebbe potuto usare per gli ospiti, io mi sarei accontentato di qualcosa di più piccolo. Ma poi si è sentita in colpa e così me l'ha lasciata" disse mentre metteva a posto i cuscini del divano dove si erano seduti. Vittoria lo guardò con il solito sopracciglio alzato "Avevi programamto tutto, ovviamente!" Riderono entrambi e le tirò il porta DVD per farle scegliere un film da vedere. 
"Torno subito, vado a prendere le liquirizie!" si alzò dal divano e corse al piano inferiore. 
Vittoria sfogliava il porta cd e rimase sopresa nel trovare una collezione completa di Woody Allen: amava i suoi film, li aveva scoperti quell'estate dopo una giornata distruttiva e sicuramente non piacevole: si guardò per la prima volta Vicky Cristina Barcellona e se ne innamorò. Quando Harry tornò in camera sua con le braccia piene di confezioni di liquirizia, trovò Vittoria con tre film in mano, tutti dello stesso regista. "Non sapevo amassi Wooky Allen" disse Harry  più che stupito.
"Abbiamo saltato la domanda qual è il tuo regista preferito a quanto pare" rispose lei mentre infilava Manhattan nel lettore DVD. 
La pellicola inconfondibilmente bianca e nera partì. Per quasi tre quarti del film i due erano separati dalla ciotola piena di liquirizie: erano entrambi presi più dal film che dalla situazione generale. Solo quando la ciotola finì, Harry la mise per terra, e Vittoria si avvicinò con molta naturalezza a lui, quasi sovrappensiero. Le mise un braccio attorno al collo, ma in modo innocente; lei sobbalzò, ma poi si ricordò di ciò che le aveva detto a pranzo: dovresti cominciare a fidarti del tuo custode, e così fece. Appoggiò la testa sulla sua spalla e continuarono a guardare il film in silenzio. 
"Allen, Haribo e te: non potevo sperare in un venerdì sera migliore" la voce dolce di Harry rimbombò nell'orecchio di Vittoria. Chiuse gli occhi e sorrise: per la prima volta dopo cinqu mesi stava bene con una persona che non fosse se stessa. 
      

Notaaaaaaaaare bene: 
non ho molto da dire, solo salutarvi e ringraziarvi se avete letto il capitolo e continuate a seguire la mia storia. 
Amo questi due insieme, mi sembrano invincibili *rubacitazioni* 

Ancora grazie per il supporto e per le critiche, 
vichi. 

     

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Capitolo 7
*** 07. Sempre ***


 


 

Guardarono altri due film dopo Manhattan, ma poco dopo l'inizio del terzo entrambi dormivano sereni: Vittoria sulla spalla di Harry e lui sulla testa di lei. Stavano scorrendo i titoli di coda, quando il cellulare di Vittoria cominciò a squillare: Harry alzò di scatto la testa, confuso, stropicciandosi gli occhi e sussurrando il nome di Vittoria per farla svegliare; ci mise qualche secondo in più per aprire gli occhi e, anche lei confusa, si tastò le tasche dei pantaloni, davanti e dietro, fino ad arrivare alla tasca della felpa. Prese il cellulare che continuava a squillare senza sosta. “Pronto...?” la voce di Vittoria era rauca e bassa, voleva solamente far tacere quella suoneria fastidiosa. “Vittoria!” in confronto a quella voce, la suoneria del cellulare era sicuramente più gradevole a sentirsi. “Vittoria! Santo cielo, sono le una di notte. Questa è la ventitreesima chiamata che faccio, e mi rispondi solo ora? Dove diavolo sei?” Rebecca dall'altra parte della cornetta era arrabbiata, ma più di questo era preoccupata. “Si, Beck, scusa...” si stroppicciò un occhio mentre guardava Harry che con le sopracciglia aggrottate dal sonno toglieva il DVD dalla televisione. “Scusa un corno, Vittoria! Rispondimi: dove sei? Come stai?” chiedeva con insistente preoccupazione la sorella. “Si, si.. sto bene. Sono a casa di Harry: ci siamo addormentati mentre guardavamo un film, non pensavo di rimanere fino a tardi. Scusa...” Vittoria era sinceramente dispiaciuta: non aveva detto niente alla sorella, e quello era normale se il programma era stare fuori per un paio d'ore, le avrebbe mandato un messaggio in ogni caso, ma non farsi né vedere né sentire per cinque ore di seguito non era proprio la cosa più rispettosa nei confronti di una sorella. “Dove abita questo Harry? Ti vengo a prendere. Dimmi dove sei!” Harry sentì quelle parole e subito disse a Vittoria “Non farla disturbare ulteriormente, ti riporto io.” Vittoria propose la cosa a Rebecca, che ci pensò per un attimo e poi disse: “Avete bevuto?” “No, Beck, né io né lui.” “Ok” continuò incerta “Quanto ci metterete?” “Circa mezzora, qualcosa di meno forse.” “Ok. Muoviti e fammi uno squillo quando parti. A casa facciamo i conti.” chiuse la telefonata: la preoccupazione le era scesa, lasciando spazio all'arrabbiatura. “Dai, andiamo” Harry porse la mano a Vittoria per aiutarla ad alzarsi e insieme si avviarono verso la macchina. “Sicuro di riuscire a guidare?” chiese stranamente premurosa Vittoria. “Tsk, scherzi?” si pavoneggiò Harry con tono da finto-presuntuoso mentre metteva in moto la macchina. Prima di uscire aveva preso una tazza di caffè, sempre pronto in cucina, per essere sicuro di avere i nervi belli attivi. Vittoria, invece, non riuscì a resistere, e dopo soli cinque minuti tornò a dormire appoggiata al finestrino bagnato della macchina. Harry, per conciliarle il sonno e per farsi compagnia, mise il CD di Elton John, e la prima canzone a partire fu Your song; sorrise, e tra sé e sé pensò di dedicarla alla ragazza seduta alla sua destra. Spinse il tasto “ripeti” per tutto il viaggio, ininterrottamente. “Grazie mille” disse Vittoria ancora in macchina: aveva paura che se fosse uscita la sorella l'avrebbe presa e legata dentro ad una gabbia per non farsela scappare. “Grazie a te” disse Harry a sua volta con lo sguardo più dolce del solito. Vittoria lo guardò perplessa “Non ti ho dato mica io un passaggio nel cuore della notte!” replicò sarcastica, lui alzò gli occhi al cielo e poi la guardò sorridente “Grazie per sta sera, in generale. Sono stato bene” fece una breve pausa “Tanto”. Vittoria rispose con un sorriso che parlava da sé e scese dalla macchina; aveva appena chiuso lo sportello quando si affacciò dal finestrino e si rivolse all'amico: “Solo una cosa: non trovi che Woody abbia una passione un po' troppo sfrenata per le ragazze facili? Insomma, dobbiamo essere tutte battone per finire in uno dei suoi film?” Harry la guardò attonito, per poi scoppiare in una risata fragorosa arricciando il naso come suo solito; la guardò girare l'angolo della macchina ed entrare in casa. Lei lo salutò dietro all'ombra della zanzariera alzando la mano destra, mentre guardava Harry rimettere in moto l'auto. Entrò in casa e, come previsto, Rebecca la stava aspettando seduta sul divano vicino alla porta. Le due sorelle si guardarono per un attimo: Vittoria voleva riempirla di scuse e di spiegazioni, ma non fece in tempo ad aprire bocca che la rossa disse calma: “E' tardi, sono quasi le due di notte. Ne parliamo domani” prese un ultimo sorso della sua camomilla rosa e andò a dormire. Vittoria passò la notte a rimuginare su quanto si sentisse in colpa per aver fatto preoccupare in quel modo Rebecca e quanto fosse stata bene quella sera con Harry, incredibilmente bene. Il mattino seguente Vittoria decise di scendere piuttosto presto, nonostante le ore piccole fatte la sera prima. Alle sette e mezza era già in cucina e, come poteva immaginarsi, Rebecca era là ad aspettarla: aveva i capelli raccolti, il corpo avvolto in una vestaglia di seta beige e lo sguardo, già di per sé assonnato, appesantito dalle spesse lenti degli occhiali. Stava leggendo il giornale e teneva in mano una tazza di tè, ma non alzò lo sguardo per salutare la sorella che, invece, aveva azzardato un “buongiorno”. Vittoria sospirò leggermente e si mise di spalle a Rebecca per prepararsi il caffè: mentre aspettava che l'acqua bollisse, la testa le si riempiva di ipotetici modi con cui cominciare a scusarsi. “Beck...” “No, Eff, parlo prima io.” Rebecca interruppe Vittoria proprio mentre stava cercando di mettere insieme una frase convincente con cui farsi perdonare; abbassò lo sguardo mentre mescolava il caffè solubile nell'acqua e stette ad ascoltare. “E' da dieci anni che faccio la parte del genitore in questa famiglia; anche quando ancora un genitore ce l'avevamo in casa, sono io quella che ti ha accudito sempre, in qualche modo.” fece una pausa: stava ancora guardando il giornale, ma prima di riprendere a parlare alzò i grandi occhi marroni per incontrare quelli della sorella. “Ho sempre odiato il fatto che mamma mi stesse con il fiato sul collo quando andavo al liceo, e allo stesso tempo odiavo che papà non ci degnasse mai di un po' d'attenzione. Quando mi sono trovata a badare a te, da sola, decisi di trovare una via di mezzo: ti avrei lasciato libera, libera di fare i tuoi errori e libera di divertirti, ma ti sarei stata comunque vicina.” parlava guardando fissa negli occhi Vittoria che nel frattempo si sentiva sempre più in colpa con un magone che cominciava a pesarle sullo stomaco. “Ho sempre fatto affidamento sulla tua intelligenza; dicevo tra me e me "sa come gestire le situazioni, se la caverà, lasciala fare" . E poi sei arrivata quel giorno d'aprile e hai portato in casa quella notizia che, credimi, non ha sconvolto solo papà, ma anche me. Avevo promesso di starti vicina, e insieme, io e te, l'abbiamo superata, in un modo o nell'altro.” Vittoria si voltò di scatto e diede le spalle a Rebecca: stava per scoppiare a piangere e la sorella lo sapeva, ma era necessario. “Non ti ho mai chiesto nulla, Vittoria: non ti ho mai pressata con la scuola e non ti ho mai chiesto di rinunciare a nulla né per me né per entrambe. Ti ho lasciata libera, totalmente, ma sempre ad una condizione: parlarmi.” Vittoria cominciava a chiedersi il perchè Rebecca stesse facendo un discorso del genere, invece di dirle semplicemente “non farlo più”. “Ti ho lasciata libera anche ieri sera, fin troppo. Sono tornata a casa e di te neanche l'ombra; né un messaggio, né una chiamata... nulla. Eri sparita, come qualcun' altro prima di te.” entrambe sospirarono. “Ho pensato sarà uscita e si sarà dimenticata di dirmelo. Così mi sono messa giù, ho aspettato fino alle undici.. e niente. Tu hai idea la paura, lo spavento che mi hai fatto prendere? Venti tre chiamate, Vittoria. Di te nemmeno l'ombra.” ecco che ritornava arrabbiata. “Venti tre, Vittoria!” alzò la voce e Vittoria sgranò gli occhi per lo spavento. “Che ti diceva il cervello, eh? Si può sapere? Per quanto mi riguardasse potevi anche essere stata rapita, potevi essere scappata di casa. Nemmeno quel giorno, ad aprile, mi hai fatto pentire di essermi fidata di te, ma ieri sera...” adesso Rebecca parlava con un filo di voce, scuotendo la testa, delusa. Vittoria fece un grande respiro; dopo quel discorso non sapeva cosa dire. Rebecca si tolse gli occhiali, scoprendo gli occhi gonfi. “Parlami” disse semplicemente come farebbe una mamma confusa. “Ti avrei mandato un messaggio salita in macchina, ma poi mi sono fatta prendere dalla situazione e mi è passato di mente. Beck, mi sento uno schifo, mi dispiace e non sai quanto. Hai tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiata”. Vittoria parlava e contemporaneamente girava il cucchiaino nella tazza del caffè. “Chi è lui? Perchè ti fidi, all'improvviso?” “Si chiama Harry, si è trasferito dall'Inghilterra poco prima dell'inizio della scuola. Non è come pensi tu: non ci sto uscendo.” assaggio il caffè e poi continuò “Però ci sto bene, e invece di rovinare tutto come al solito, ho deciso di provare qualcosa di nuovo, e di frequentarlo come amico.” disse quelle ultime parole tutte d'un fiato, senza nemmeno pensarci troppo. Rebecca la guardò confusa, preoccupata: guardò in basso e poi si rivolse a Vittoria. “E ne sei sicura.” “Stranamente sì” disse Vittoria con tono pacato ma convinto. Rebecca si alzò dal tavolo e sciacquò la sua tazza nel lavandino, per poi avvicinarsi alla sorella. La guardò dritta negli occhi “Mi sei rimasta solo tu.” le tremava la voce; Vittoria posò il caffè sul tavolo e la strinse con un abbraccio forte come una tenaglia. “Ho paura che te ne possa andare pure tu un giorno, senza dirmi niente” Rebecca aveva la voce rotta dai singhiozzi. “Io non ti lascerò mai, tu sei la mia famiglia e tutto ciò che mi è rimasto.” disse Vittoria mentre strofinava la guancia sul collo della sorella; non piangeva: in fondo non era lei quella a cui era preso lo spavento, ma se fosse stata una ragazza dalla lacrima facile probabilmente avrebbe avuto già gli occhi bagnati. “Parlami, sempre!” disse la rossa tenendo il viso di Vittoria tra le mani. “Sempre” si toccarono la fronte sorridendo.


Notaaaaaaaare bene: 
Scusate l'assenza degli ultimi giorni, ma mi stavo godendo l'ultimo weekend di mare dell'anno. *sob*  
Ma son tornata! E mi ero ripromessa di scrivere mentre ero fuori, e così ho fatto: tadààààn :D 
Continuo a ringraziare infinitivamente (?) tutte le buone anime che recensiscono i miei capitoli! *tira caramelle*
Nei prossimi capitoli farò aprire un pò Vittoria, così smetterà di essere troppo misteriosa! 

Spero vi sia piaciuto il capitolo, 
vichi. 

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Capitolo 8
*** 08. Atti inaspettati. ***



Era domenica mattina, una tipica giornata uggiosa d'autunno dove né piove né splende il sole; Vittoria stava mettendo a posto la sua camera che in quel momento somigliava ad un campo di guerra più di ogni altra cosa. Annoiata, mise sotto sopra l'intera stanza, svuotando ogni cassetto e ogni borsa le capitasse sotto mano; prese quella che aveva portato due giorni prima a casa di Harry e dentro vi trovò una busta di Haribo. Sorpresa, la prese in mano e notò che attaccata alla confezione c'era un biglietto: Stavolta gioco io d'anticipo: 3486739021, H.

Harry le aveva lasciato il suo numero di cellulare su una busta di Haribo: Vittoria non aveva mai ricevuto un numero in modo migliore. Sorrise e lo salvò nella sua rubrica e gli mandò subito un messaggio mentre addentava la prima liquirizia. Sto mangiando delle Haribo più buone del solito, e indovina? C'era pure un numero di telefono allegato. Dev'essere proprio una confezione fortunata!

 

Nuovo lunedì, nuova settimana di scuola. Harry incontrò Vittoria per strada e i due non si separarono fino alla lezione di Chimica, dove si sedettero vicini, ancora presi dalle loro conversazioni. Pochi minuti dopo fu Mike ad entrare in classe e a lanciare un'altra delle sue frecciatine a Vittoria, o meglio, a lei e Harry. “Ah, allora è seria la cosa? Sei andata in pausa quest'estate per affinare la tecnica, Vichi?” Vittoria rimase zitta per un attimo, il solito sguardo fisso a terra e il pugno stretto per la rabbia; Harry stava per rispondere ma lei gli fece cenno di non dire niente e prese parola: “Qual è il tuo problema, Mike?” Il ragazzo si sorprese nel sentire la voce di Vittoria per la prima volta dopo tre mesi. “Beh, mi scoccia che ti stia divertendo con qualcuno che non sia io. Eravamo una gran coppia io e te, ricordi?” parlava con tono viscido, con parole cariche di malizia; accarezzò la guancia di Vittoria che prontamente tirò uno schiaffo alla mano di Mike per togliersela di dosso. Harry guardava attento e infastidito la situazione, pronto ad intervenire; “Uh, violenta come sempre.. come me!” continuò facendole l'occhiolino che lei scanzò guardando dalla parte opposta con il fiato rotto dall'imbarazzo. Harry osservava l'amica premuroso, per farle vedere che era vicino a lei, e lo sarebbe sempre stato. Vittoria si girò lentamente, a scatti, verso l'inglese incontrando subito il suo sguardo: riuscì a fare un respiro profondo, rigenerante, solo grazie a quell'abisso verde che erano i suoi occhi. Lui si aprì nel suo tipico sorriso che scioglie il cuore, e lei ricambiò con qualcosa di più piccolo e meno appariscente. Davanti a quella scena Mike non potè non commentare. “Risparmia i sorrisetti, piccolo Lord. Ti scaricherà da un momento all'altro, come al solito.” disse con un ghigno in bocca, e, al contrario di Vittoria che riuscì a controllarsi, Harry sbottò. Si alzò di scatto e diede un pugno in faccia all'energumeno dietro di lui, facendosi tra l'altro un gran male. Vittoria, insieme al resto della classe, rimase sconvolta e per tenersi dentro lo stupore si mise una mano davanti alla bocca spalancata, per raggiungere poi Harry che agitava la mano destra per il dolore. “Ma sei scemo?” furono le parole di Vittoria mentre guardava l'amico con gli occhi sgranati, in cerca di spiegazioni. “Scusa, non ho resistito” Harry sorrideva: quel ragazzo sorrideva sempre, anche dopo aver tirato un pugno. Vittoria scosse la testa in segno di disappunto, per poi avvicinarsi a Mike che sofferente faceva pressione sulla guancia sinistra. “Brutto figlio...” Mike stava per insultare Harry e probabilmente ricambiare la cortesia appena ricevuta con un altro pugno, quando la professoressa entrò in classe e trovando quel macello, spedì Harry dal preside. Vittoria non vide l'amico per il resto della giornata: lo cercò in lungo e in largo, per sapere che fine avesse fatto, ma di lui neanche l'ombra. E invece era là, come al solito, davanti alla sua macchina alla fine dell'ultima ora ad aspettare Vittoria; quando lo vide fece una mossa azzardata, inaspettata: gli corse in contro e lo strinse forte a sé. “Ti hanno sospeso, vero?” Harry per poco non mandò di traverso il fumo che stava tranquillamente inspirando; buttò via la sigaretta per paura di bruciare Vittoria “Wow, mi hai preso alla sprovvista!” lei si staccò subito. “Comunque, sì: mi hanno sospeso per una settimana. Se è questo il prezzo da pagare per far star zitto un imbecille allora lo farei altre dieci volte.” Vittoria lo guardò un attimo, come per riordinare le idee, e poi gli diede un pugno, arrabbiata. “Ahia!” ansimò Harry mettendosi una mano sul petto. “Sei tu l'imbecille! Ti sei fatto sospendere per cosa? Non è un pugno di un inglese pallido ad abbattere Mike!” Harry abbassò lo sguardo, realizzando che quello che aveva fatto era stata effettivamente una cosa stupida. Fece spallucce. “Però gli ho fatto male” disse con un filo di orgoglio. “Se ne avesse avuta l'occasione te ne avrebbe fatto di più lui, fidati...” sospirò Vittoria abbracciando Harry. “Cos'è quest'affetto oggi?” disse ridendo e stringendola a sé ancora più forte; lei in tutta risposta gli diede uno schiaffo dietro alla testa, per farlo stare zitto; non sapeva perchè lo stesse abbracciando: semplicemente le andava. “Non metterti più nei guai per me, Harry. Me la so cavare da sola anche se sono solo un metro e sessanta. Che tu ci creda o no!” si levò dalla morsa stretta dell'amico. “E allora io che ci sto a fare qua se non a prendere a pugni quelli che ti danno fastidio?” disse ironico Harry sfoggiando la benda che aveva attorno alla mano. “Mi basta una confezione di Haribo, e sono a posto!” rispose Vittoria avviandosi verso il cancello del parcheggio; Harry la prese per un braccio e la fece entrare in macchina “Muoviti dai, ti porto io a casa”.

“Allora, visto che adesso sono un Harry libero e tu sei un genio che studia tutto in un'ora: che cosa facciamo oggi?” disse Harry entusiasta rivolgendosi a Vittoria. Lei lo guardò di sottecchi, pensando che forse sarebbe stato il caso di stare un po' con la sorella, ma poi decise di unire entrambe le cose.

“Se ti va puoi venire a casa mia, così Rebecca vede che non sei un palestrato, gellato o drogato.” propose Vittoria. Harry rise “Sarò da te alle otto” aprì lo sportello a Vittoria per poi salutarla e vederla allontanarsi.

Vittoria entrò in casa: era piuttosto di buon umore. “Beeeeck! Sono a casa!” si avviò in cucina, dove pensava fosse la sorella “Indovina chi abbiamo sta sera a cen...” si bloccò di colpo: Rebecca era seduta con la sua camomilla rosa in mano e gli occhi gonfi. Preparava una camomilla rosa ogni qualvolta fosse agitata o scossa, per calmarsi; di fronte a lei un uomo con i capelli bianchi stava con le mani incrociate e lo sguardo basso. Rebecca alzò gli occhi per incontrare quelli di Vittoria: la mora era paralizzata, sconvolta, con la bocca socchiusa. Nella loro cucina, a distanza di cinque mesi, c'era Alexander James, nonché padre delle due sorelle. Rebecca aprì bocca per parlare, ma prima che un filo di voce uscisse dalla sua gola, Vittoria se ne andò di corsa sbattendo la porta di casa: cominciò a camminare, prima lentamente, poi velocemente, sempre più veloce finchè non si ritrovò a correre senza una vera e propria ragione. Si fermò di colpo a pensare un attimo, prese il telefono e fece un numero. “Ti aspetto al laghetto” disse tutto d'un fiato, probabilmente senza dare tempo ad Harry di comprendere quelle parole. Riprese a camminare a passo veloce: aveva gli occhi spenti e guardava nel vuoto.


Notaaaare bene: 
Capitolo cortino, ma con un sacco di atti inaspettati (come da titolo, nah?). 
Spero vi sia piaciuto, e nel prossimo capitolo sapremo tutta la storia di Vittoria, come promesso!

Ringrazio tutte le mie care recensitrici, e continuo a viziarvi tirandovi un sacco di caramelle <3 
Grazie ancora di cuore, 
vichi. 

 

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Capitolo 9
*** 09. Tempo di confessioni ***



Harry aveva capito benissimo ciò che gli aveva detto Vittoria: laghetto. Subito. E così fu: era ancora in macchina, fece un'inversione a “U” e prese una strada sterrata per fare prima e raggiungerla al più presto. Vittoria era ormai arrivata: a volte correva, altre volte camminava, era confusa, sgomentata e profondamente triste. Aveva bisogno di parlare, di sfogarsi, di raccontare la sua storia a qualcuno che non fosse sé stessa o il gatto della sorella. Aveva bisogno di un amico, più precisamente, aveva bisogno di Harry.

Quando il riccio arrivò al laghetto, Vittoria era seduta sul piccolo pontile di legno tirando sassi nell'acqua, immersa nei suoi pensieri. Harry si sedette accanto a lei, senza dire niente: restarono in silenzio per cinque minuti. 
“Mia mamma è morta quando avevo otto anni, aveva un tumore cerebrale ormai troppo esteso per essere fermato.” Vittoria cominciò a raccontarsi senza troppe introduzioni; Harry l'ascoltava attento. “Era una donna meravigliosa, un po' iperprotettiva, ma amava me e mia sorella come nient'altro a questo mondo. Viaggiavamo in continuazione: mi ha lasciato milioni di ricordi in soli otto anni di vita. Mi trasmetteva felicità con un solo sorriso, un po' come fai tu” si voltò verso Harry alzando un angolo della bocca, mentre lui rimaneva serio e tranquillo ad ascoltare. Fece un sospiro stringendosi alle ginocchia e riprese a parlare. “Mio padre è sempre stato un gran lavoratore, ma non nel senso buono della parola. Non voleva nient'altro che i soldi: per lui erano tutto; soldi, successo, conti in banca e carte di credito. Ma non mi importava più di tanto: avevo mia mamma per farmi sentire bene e soprattutto amata. Poi però ci ha lasciate: nel giro di una settimana il suo cervello cominciò a deteriorarsi, andò velocemente in frantumi, fino a portarla alla morte.” Un altro respiro veloce, come a dire che una parte pesante da raccontare era passata. “Io e Rebecca rimanemmo da sole, o meglio, con nostro padre, ma la cosa è irrilevante. A lui importava solo che la sua vita scorresse liscia secondo i suoi piani. Non voleva troppi casini a casa: esigeva che io e Rebecca andassimo bene a scuola. Sai, andare a ripetizioni sarebbe costato una fortuna!” disse sarcastica per imitare il padre. “Ce la siamo cavate, sempre contando l'una sull'altra. Non eravamo necessariamente felici, anche se insieme stavamo bene e ci volevamo, come ce ne vogliamo ora, un mondo di bene; niente sostituisce una mamma quando sei una bambina. Rebecca si rifugiò nei libri e nello studio: non era il tipo che andava a feste da sballo, che si faceva le canne e cose del genere, proprio no! Io invece non ho mai trovato un rifugio sicuro: ho sempre avuto un carattere schivo, non ho mai avuto una migliore amica con cui giocare. Sono arrivata al liceo e i primi due anni li ho passati come sempre, nell'angolino nascosto, fuori dalle attenzioni di tutti. Poi però, un giorno, il terzo anno, decisi di andare ad una festa, così... per provare. Incontrai per la prima volta Mike, e quella sera baciai per la prima volta un ragazzo. Fico eh?” guardò Harry sorridendo, cercando di trovare quel poco di divertente nella storia. Lui rimaneva serio. “Ho passato il terzo anno di liceo in giro per festini a divertirmi con tutti i ragazzi della città, tutto l'anno, ininterrottamente: era diventato il mio “passatempo” e mi divertivo. Ero cambiata: non ero più la ragazzina innocente e schiva che non guardava nessuno; ero diventata esuberante, divertente e improvvisamente tutti mi volevano, e mi piaceva come cosa.” Fece una pausa per pensare un attimo, e si schiarì poi la voce. “Persi la verginità il weekend prima dell'inizio della scuola, l'anno scorso.” disse questa frase tutto d'un fiato guardando nel vuoto. Harry si voltò per un attimo, poi tornò a fissare l'acqua. “Fu con uno di cui non ricordo neanche il nome, ricordo solo che aveva un tatuaggio osceno sull'anca sinistra: una cosa abominevole. Dopo quel giorno cominciai a divertirmi ancora più di prima... non sai quanto! Non avevo mai un ragazzo fisso: più o meno ogni weekend mi sbronzavo e andavo a letto con qualcuno, senza necessariamente conoscerlo. La cosa andò avanti per tutto l'anno, e se non fosse arrivato Mike probabilmente sarebbe andata avanti anche ora.” si mise le mani fra i capelli per fare una pausa, poi riprese a parlare. “Diciamo che lui è stato il mio primo ragazzo: ci siamo messi insieme a capodanno, ti lascio immaginare come. Ti dico solo che avevamo ribaltato la tradizione: abbiamo cominciato la nostra storia tra le lenzuola, poi ci siamo dati un vero e proprio bacio romantico e poi dopo una settimana siamo andati al nostro primo appuntamento: una cosa trasgressiva!” Alzò le sopracciglia provando ad essere sarcastica. “Sapevo che Mike non era un ragazzo serio, ma non m'importava più di tanto: che ne sapevo io dell'amore? Conoscevo il piacere e nient'altro, e con lui avevo quello che allora cercavo in un ragazzo.” Vittoria non era imbarazzata: faceva solo fatica a ripercorrere quel periodo della sua vita ad alta voce. “Era quasi la fine di marzo, più o meno, quando lasciai Mike perchè mi ero stufata. In quel periodo cominciai ad avere strani sintomi: mi sentivo spossata, volevo mangiare solo burro d' arachidi e crackers integrali -strano ma vero- e ogni volta che mangiavo qualcosa la vomitavo sistematicamente. Pensai di avere un'intossicazione alimentare o un virus del genere... e invece ero incinta.” Pronunciò quella parola con un filo di voce. Harry la guardò per un attimo e poi le si avvicinò un po' di più, senza pensarci troppo. “Per due settimane non lo dissi a nessuno; la prima persona con cui parlai fu Rebecca: ci rimase spiazzata, ovviamente, ma mi sarebbe stata vicino in ogni caso, ne ero certa; era l'unica persona a cui volessi davvero bene, di cui mi potessi fidare. Poi toccò a Mike: dovevo dirglielo, ovviamente. Si arrabbiò tantissimo, come se la responsabilità fosse stata solo mia e non di entrambi: mi chiese se lo volessi tenere o meno, e quando gli dissi che ancora non ne ero sicura, mi fece il lavaggio del cervello, cercando di convincermi ad abortire; disse che sarebbe stato meglio per tutti: quella cosa, come diceva lui, avrebbe rovinato tanto la mia quanto la sua di vita. Disse pure che non sarebbe stato in grado di badare ad un bambino e che in ogni caso non ne avrebbe avuto intenzione. Mi sentii offesa, non so per quale motivo; gli diedi uno schiaffo e corsi a casa: avevo preso una decisione, all'improvviso, non so se giusta o sbagliata, chi lo sa.. in ogni caso, l'avevo presa.” Vittoria si fermò di nuovo per fare un respiro profondo, e non parlò per un minuto buono: guardava il sole rosso avvicinarsi alla sponda del lago; osservava il suo riflesso sull'acqua limpida e accanto a lei quello dell'amico Harry. Gli sguardi dei loro riflessi si incontrarono: lui le sorrise, incoraggiandola ad andare avanti. “Entrai in casa, dissi a Rebecca della mia decisione e lei mi abbracciò forte, dicendomi che dovevo dirlo a papà e che mi sarebbe stata vicina. Dopo quella sera in cui informai mio padre, io non lo vidi più. Era una mattina come le altre, solo che avevo un esserino dentro alla mia pancia che mi mangiava le energie più di quanto potesse fare un allenamento intensivo... ma era piacevole! Non lo sentivo fisicamente, era troppo presto, ma me lo immaginavo crescere: era parte di me, ero io ad ospitare il suo corpicino e mi sentivo in dovere di proteggerlo. Scesi di sotto e trovai Rebecca con una mano tra i capelli spettinati: era sconvolta e teneva una busta in mano. Nostro padre se n'era andato di casa: ci aveva lasciato un mucchio di soldi, come se potessero ripagare la mancanza di un genitore. Ma mio padre è fatto così: i soldi sono tutto per lui, possono comprare qualsiasi cosa, persino il cuore di due figlie a quanto pare. L'arrivo di un bambino in casa avrebbe sconvolto la sua vita. Il suo piano infallibile di stabilità stava andando lentamente in fumo, e nel giro di nove mesi sarebbe definitivamente crollato. Non pensò a me, a noi: pensò solo a se stesso, così scappò via da questo grande problema che ero io, sua figlia. Decisi di dare gli esami finali due mesi prima, così da non dover andare a scuola e non avere un peso ulteriore sulle spalle. Sapevo di dover informare Mike riguardo alla decisione di tenere il bambino, ma lo feci solo due mesi dopo: non avrei preteso niente, quel ragazzo non era una persona affidabile e non lo è tutt'ora, ma ovviamente era d'obbligo dirgli cosa volevo fare, avevo aspettato anche troppo.” Fece un grande respiro, più grande di tutti gli altri presi prima. Le mani tremavano leggermente, ma cercava di nasconderle tra le gambe. Harry glie le prese e le strinse forte: erano bagnate, sudate per l'emozione. “Eravamo a casa mia: mi sentivo più al sicuro emotivamente a parlare in un posto che conoscevo, in un luogo familiare come la mia camera. Non feci in tempo a dire la parola “tenerlo” che Mike avvampò: era rosso, rosso di rabbia, aveva i pugni chiusi, stretti, e puntati in faccia. Borbottava qualcosa di incomprensibile. Poi mi lanciò un occhiata di ghiaccio, piena di odio. Avevo paura. Gli dicevo di stare calmo, gli spiegavo che non mi sarei aspettata nulla da lui, ma non si calmava: avanzava verso di me con un passo pesante. Io indietreggiavo, indietreggiavo, fino ad arrivare alla porta della camera: lui mi raggiunse, mi mise una mano al collo e cominciò ad insultarmi e a sputarmi addosso. Era arrabbiato.. ma che! Furioso! Io me lo tolsi di dosso dandogli uno schiaffo e spingendolo via da me, ma lui rispose allo stesso modo, con molta più forza. Cercavo di proteggermi, ma riusciva sempre a colpirmi, ogni volta più forte: sentivo la rabbia uscire dal palmo delle sue mani. Riuscii a uscire dalla camera e corsi giù per le scale, ma lui mi prese per un braccio tirandomi indietro.” Vittoria stava sudando, parlava con la voce rotta da respiri incostanti, pieni di paura. Harry le stringeva le mani forte, ma sapeva di doverla lasciar parlare, doveva farla sfogare. “Provai a fargli mollare la presa, ma non ci riuscivo: mi stringeva forte il gomito e io lo strattonavo: avevo una paura folle. Lo feci un'ultima volta, e quella volta riuscii a liberarmi dalla sua presa.” si fermò per prendere fiato: gli occhi le si erano gonfiati, erano lucidi, e guardavano fisso nel vuoto: avrebbero straboccato da un momento all'altro. “Nel momento in cui non sentii più la stretta di Mike, mi sbilanciai troppo all'indietro e cominciai a rotolare giù per le scale. Sentivo Mike urlare il mio nome, e corrermi dietro, ma io ormai ero arrivata a destinazione infondo alla rampa. Il resto mi è stato solo raccontato. Il primo viso che vidi una volta sveglia fu quello di mia sorella ed eravamo in una stanza d'ospedale: mi dissero che non mi ero fatta nulla per miracolo, solo una lieve contusione; non mi interessava troppo come stesse la mia testa, quanto il bambino. Guardai Rebecca, senza parlare: lei non fiatò, guardò in basso e si mise una mano sulla bocca scoppiando a piangere.” In quel momento Vittoria non riuscì più a sopportare gli occhi umidi. Abbassò la testa e un mare di lacrime cominciò a scenderle dagli occhi. Singhiozzava disperata, come se il bambino le fosse stato portato via in quell'esatto istante: la ferita non si era ancora rimarginata, forse non era pronta per parlarne, o forse non lo sarebbe mai stata. Harry la strinse a sé, sapeva che era il momento di farlo: l'abbracciò forte e lasciò che tutte quelle lacrime bagnassero le maniche della sua camicia. Vittoria non riuscì a parlare per qualche minuto, ma dopo un po', con gli occhi gonfi e rossi, il respiro corto e lo sguardo straziato fisso sugli occhi di Harry disse a stenti: “Me l'hanno strappato via, per sempre”. Il riccio non riuscì a rimanere estraneo a quel dolore: quegli occhi pieni d'angoscia e di tristezza gli laceravano l'anima come se fosse stato lui a subire quel dramma. Con gli occhi anche lui lucidi, prese in braccio Vittoria, e le portò la testa sul suo petto, stringendola forte e baciandole i capelli. La cullò tra un singhiozzo e l'altro finchè la luna fece capolino in cielo. Harry le prese la testa fra le mani cercando i suoi occhi stanchi; lei lo guardò e con la voce di un cucciolo bastonato gli chiese: “Posso stare da te sta notte?” Lui le sorrise e la strinse in un abbraccio caldo, non troppo forte.

Durante il tragitto in macchina non parlarono: Vittoria guardava fuori dalla finestra, e pensava a tutto quello che aveva raccontato prima. Lui la guardava, ogni tanto l'accarezzava, altre volte canticchiava Stand by me per farla sentire al sicuro, in qualche modo, e funzionava. 


Notaaaare bene: 
Buonasera serabuona, spero vi sia piaciuto il capitolo quanto a me: ho fatto un pò di fatica a svilupparlo quasi interamente in un dialogo... Non mi trovo necessariamente a mio agio a scrivere lunghi dialoghi, sono sempre tentata di spezzettarli di qua e di là in mille pezzi, ma poi il risultato non è scorrevole. Quindi ho provato a trasmettere con le parole stesse di Vittoria tutte le emozioni che le circolavano in corpo, senza spiegarle fuori delle virgolette(: Ah e un'altra cosa: in questo capitolo non spiego del ritorno del padre. Penso che ne parlerò nel prossimo! 
Detto ciuò, ringrazio infinitamente tutte le ragazze che continuano a seguirmi e ad appassionarsi a questa storia: oggi vi tiro un pò di Haribo e orsetti gommosi, così potete scegliere :3 *lancia* 

Spero continuerete a seguirmi con lo stesso incoraggiamento di prima. 
un bacio, 
vichi.


 

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Capitolo 10
*** 10. Tristi verità ***




Erano ormai le nove di sera quando i due arrivarono a casa di Harry. Vittoria aveva il viso pallido, gli occhi tristi e ancora rossastri dopo il grande pianto che aveva fatto poco prima sul pontile.  Quando varcarono la soia di casa Styles, Harry appoggiò le chiavi bruscamente sul tavolino vicino alla porta, sospirando; si girò lentamente e vide l'amica con la testa appoggiata sulla porta, gli occhi chiusi e le braccia conserte. Harry si guardò in giro, come per cercare aiuto da chi sa cosa, e dopo aver guardato in basso per un attimo, finalmente prese Vittoria tra le sue braccia portandole la testa sul suo petto e baciandole i capelli. Tutto era come la volta prima: anche alle nove di sera l'atmosfera era così accogliente, così calda: Vittoria rimase senza respirare per qualche secondo e poi ricominciò a singhiozzare, senza far scendere alcuna lacrima. Aveva il fiato corto, tossiva, sospirava... faceva tutti i versi immaginabili pur di togliersi di dosso quel macigno insopportabile che le pesava tanto sullo stomaco quanto sul cuore. Alzò lo sguardo verso Harry che la guardava premuroso e continuava a stringerle forte la schiena con le mani grandi. "Hai un pò di Haribo?" riuscì a dire Vittoria con un filo di voce. Harry non riuscì a trattenere una piccola risata: sciolse l'abbraccio e le prese la mano, portandola in cucina a prendere le liquirizie. 
Quando arrivarono in camera si stesero sul letto, uno accanto all'altra: guardavano il soffitto in silenzio, o meglio, masticando quei piccoli freisbee color nero. La cosa andò avanti per un pò di tempo, finchè non finirono la seconda confezione. Vittoria si avvicinò all'amico e mise la testa sulla sua spalla; lui cinse immediatamente il collo di Vittoria con il braccio. Erano accoccolati l'uno all'altra come se fossero fratelli, padre e figlia, o fidanzati. "C'è mio padre a casa" disse Vittoria con tono basso e preoccupato; Harry la guardò e sgranando gli occhi disse: "Che cosa?! Perchè?!" La guardava dritta nei suoi occhi grigi che sembravano estremamente confusi. "Non lo so. Non mi importa adesso; in questo momento ho bisogno di stare qua, con te." Vittoria abbracciò Harry stringendolo forte. "Puoi rimanere quanto vuoi." sospirò accarezzandole la testa.
Si addormentarono in quella posizione, o meglio, Vittoria si addormentò in quel modo, lasciando Harry sveglio per gran parte della notte: non gli importava di stare scomodo o di non avere la testa sul cuscino; osservava la ragazza mora dormire profondamente come fanno i bambini dopo un lungo pianto. Vide le palpebre pesanti chiudersi lentamente, sentì la presa del suo abbraccio allentarsi e il peso del suo visino aumentare sul suo petto, seguiva le onde dei capelli scuri che le accarezzavano la schiena e le spalle: guardava la persona che in poco più di un paio di mesi l'aveva cambiato; guardava Vittoria, in tutte le sue più piccole particolarità. Le leggeva in volto il trauma che aveva subito, e capiva quanto fosse stato difficile per lei riavvicinarsi a qualcuno dopo quell'estate infernale. Eppure quella ragazza dai mille segreti era là, accanto a lui: il cuore di Harry si riempì lentamente di gioia e un sorriso felice gli spuntò in faccia. Chiuse gli occhi e si addormentò con il pensiero di essere la persona giusta per Vittoria. 
Il mattino dopo pioveva; la forte luce grigia riusciva a penetrare anche dalle spesse tende scure della camera. I due si svegliarono in una posizione diversa da quella in cui si erano addormentati: Vittoria era rannicchiata sul lato destro, menstre Harry aveva un braccio sul fianco di Vittoria e l'altro sopra la testa di lei. Quando Vittoria aprì gli occhi si girò dal lato opposto a fissare l'amico che poco dopo si svegliò a sua volta, regalandole un sorriso a trentacinque denti. Rimasero a guardarsi per qualche minuto, ininterrottamente, come se stessero ancora dormendo ad occhi aperti. "Buongiorno" fu Harry a parlare con il suo vocione basso e l'angolo della bocca rivolto in alto.  "Devo tornare a casa..." rispose pensierosa Vittoria tornando seria e triste all'improvviso. Harry capì che non c'era tempo per bruciare toast, far cadere il latte per terra o scottarsi con le tazze bollenti quella mattina: la portò a casa dopo pochi minuti. 
Quando la macchina si fermò Vittoria esitò per qualche momento nell'aprire lo sportello. Guardava una delle finestre di casa sua, nonostante fosse oscurata dalle tende e pensava che incontrare il padre non fosse la cosa migliore. 
"Ehi..." le sussurrò Harry dolcemente. "Andrà tutto bene." Quella era la frase probabilmente più scontata del mondo, che preannuncia solamente un mucchio di guai, eppure quella voce, quegli occhi e quel sorriso convinsero Vittoria a prendere coraggio e ad uscire dalla macchina. Fece un grande sospirò e salutò Harry con la mano e un un sorriso un pò forzato per l'ansia che le correva nel sangue, mentre lo guardava allontanarsi lentamente. Rimase davanti alla porta per qualche istante guardando nel vuoto; poi scrollò la testa pensando alle parole di Harry. Andrà tutto bene, Vittoria. Andrà tutto bene. Entrò in casa: Il salone e l'ingresso erano deserti, nonostante fossero ormai le nove di mattina. Posò silenziosamente le chiavi sul piatto d'argento vicino all'appendi abiti, per non attirare l'attenzione; la tentazione di correre su per le scale e chiudersi in camera stava sempre più velocemente prendendo spazio nella mente di Vittoria, ma decise di accantonare la cosa e di avvicinarsi alla cucina. Scorse Rebecca davanti al lavandino intenta a sciacquare un paio di piatti e qualche posata; era estremamente bella quella mattina: aveva una gonna aderente a vita alta blu, una camicetta bianca di seta e la giacca sempre blu abbottonata sotto al seno; i capelli erano mossi e più rossi del solito, ma ciò che non andava era il suo viso: oltre ad essere estremamente pallido, più giallo che rosato, gli occhi erano scurissimi e aveva un alone rosso sullo zigomo sinistro. Rebecca si voltò verso la sorella, con sguardo severo e senza dire niente uscì dalla cucina avviandosi verso la porta di casa. Vittoria era del tutto sorpresa: sentì la porta chiudersi alle sue spalle, e quando si girò per accertarsi che Rebecca fosse uscita veramente, vide suo padre alla fine delle scale, con una mano appoggiata al pomello della rampa. Il cuore le balzò improvvisamente in gola, ogni singolo muscolo del corpo di Vittoria si tese, serrò la mascella e i pugni stretti vicino ai fianchi. Non riusciva ad emettere un suono, non riusciva a fare nessun movimento: era paralizzata. "Buongiorno, Eff." Era sempre la stessa quella voce che non sentiva ormai da cinque mesi. "Dove sei stata sta notte?" continuò il padre passandole accanto ed entrando in cucina. Vittoria provò a contenersi e ad assumere un tono calmo, più o meno pacato, ma tutto ciò che le uscì di bocca fu: "No, fammi capire, papà," pronunciò quella sparola quasi sputandoci sopra, con disprezzo. "Te ne vai via per cinque mesi, senza dirci niente,lasciando la sottoscritta incinta e Rebecca da sole. Torni dopo tutto questo tempo e mi chiedi dove sono stata sta notte. Siamo al limite del ridicolo." mentre parlava l'agitazione in corpo cominciava a salire sempre di più; scuoteva il manico della borsa che aveva in spalla con una mano, mentre con l'altra gesticolava per aria. Alexander abbassò lo sguardo, penitente, e poi si mise a sedere invitando Vittoria a fare altrettanto. Rimase immobile a guardare suo padre con tutto il disprezzo che poteva trasparirle dagli occhi, ma poi decise di affrontare la situazione e si accomodò di fronte a lui con movimenti rigidi e freddi. Trascorse qualche secondo di puro imbarazzo per il padre, non tanto per Vittoria, quando Alexander cominciò a parlare. "Penso innanzitutto di doverti delle scuse. So che non sei il tipo che le accetta facilmente, e sono quasi del tutto certo che ci vorrà molto tempo prima che tu possa perdonarmi, ma ci tengo comunque a dirti quanto sia mortificato per ciò che è successo quel giorno. Non dovevo abbandonarti, non dovevo abbandonare le mie bambine." il tono di Alexander era così umile e così frustrato che Vittoria riuscì a rilassare i muscoli e le articolazioni ancora tese. Continuò ad ascoltare, più sciolta di prima, senza dire una parola. "Non sono stato un buon padre, me ne rendo conto. Ho sempre messo prima di tutto il mio lavoro, prima del vostro amore, come uno stupido. Non pensavo, o comunque non volevo credere che è così facile perdere voi quanto perdere un conto in banca. Così sbagliando sono riuscito a perdere entrambi." Fece un grande sospiro. Si guardava le mani incrociate e teneva lo sguardo basso, senza guardare in faccia Vittoria per la troppa vergogna. Lei lo guardava con il mento alto. "Sono rimasto senza un soldo, Vittoria. Ho bisogno del vostro aiuto." Vittoria sgranò gli occhi. Scosse la testa e piantando le mani sul tavolo si alzò di scatto. "Aspetta!" Il padre le prese un braccio dolcemente, ma Vittoria se lo tolse di dosso, amareggiata. "Non voglio sentire una parola in più, papà." continuava a scuotere la testa, incredula. Nel frattempo Rebecca era tornata in casa, e in quel momento era davanti alla porta della cucina con le braccia conserte intenta ad ascoltare la conversazione dei due. Quando Vittoria la vide capì subito che probabilmente la sorella aveva accettato di aiutare papà, e voleva che fosse lui stesso a comunicarlo alla mora. "Non ci credo..." Vittoria sussurrava spostando lo sguardo da Rebecca ad Alexander, incredula. "E' nostro padre, Eff..." Rebecca aveva lo sguardo rivolto verso il basso. Vittoria fece una risata amara per poi ritornare seria. "Mi stai prendendo in giro, Rebecca? Ci ha lasciate, abbandonate! Io ero incinta, cazzo! E ha lasciato a te tutta la responsabilità." fissava la sorella. "Rebecca!" Quella volta uscì un verso e proprio urlo dalla bocca di Vittoria. Era furiosa: non poteva credere alle sue orecchie. "Si tratta solo di darmi un posto dove abitare. So che questa casa era di mamma e ora è vostra, ma è solo questo che vi chiedo. Un tetto e un letto, nient'altro" Vittoria si girò di colpo verso il padre, si avvicinò al tavolo lentamente e poi gli puntò un dito in faccia e disse: "Tu meriti tutto quello che ti è capitato. Ma se c'è una cosa che non meriti è la compassione. Per me sei morto, papà. E se non te ne andrai tu, me ne andrò io." Disse così e uscì dalla cucina squadrando Rebecca che la prese per un braccio "Dai, Eff, aspetta!" Vittoria si liberò dalla presa della sorella. Erano vicinissime: la guardò dritta negli occhi e disse "Dopo questo, Rebecca, non provare mai più a chiamarmi così. L'unica persona che poteva farlo, l'unica persona leale, a quanto pare, in questa famiglia se n'è andata dieci anni fa. Quindi non permetterti mai più." La congelò con i suoi occhi grigi. Gli occhi di Rebecca si inumidirono e subito dopo spostò lo sguardo per terra, in preda ai singhiozzi. 
La porta sbattè alle spalle di Vittoria. Davanti a sè c'era lui, l'unica persona che in quel momento voleva vedere, abbracciare, ascoltare. 
Vittoria si fiondò tra le braccia di Harry che l'accolsero più calorosamente che mai. Si abbracciarono per tanto tempo: Vittoria sentiva il profumo che ormai era diventato il suo porto sicuro, sentiva le braccia dell'amico attorcigliarsi dietro di lei, e poi finalmente sentì la sua voce e vide i suoi occhi verdi. "Ti voglio bene." Vittoria lo guardò per un attimo, poi, toccando la fronte di lui con la sua, rispose: "Anche io, non sai quanto."


Notaaaaaaaaaaaare bene: 
Sualve bella gente! allora, come al solito, ringrazio tantissimo tutte le buone anime che hanno recensito lo scorso capitolo, sono contenta che vi sia piaciuto <3 
Spero che anche questo capitolo non vi abbia deluse(: piccola domanda: secondo voi Vittoria ha reagito in modo giusto trattando così duramente il padre e la sorella, oppure date ragione a Rebecca per aver accettato di aiutare il padre?
Fatemi sapere nei commenti, mi riempite sempre il cuore di pace amore e giuoia infinita *canticchia*  e io in cambio vi riempo lo stomaco di caramelle *tira*

Grazie ancora, spero continuerete a seguire la storia :3
un abbraccio, 
vichi. 

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Capitolo 11
*** 11. Perle di saggezza ***





Vittoria era riuscita a scaricare tutta la rabbia e il disappunto in quell'abbraccio, dal quale fu difficile staccarsi. Senza troppi giri di parole, i due entrarono in macchina e Harry cominciò a guidare senza una meta precisa. "Perchè eri qua?" chiese ad un certo punto Vittoria che come al solito faceva 2+2 dopo qualche minuto. Harry fece spallucce senza staccare gli occhi dall'asfalto bagnato: "Me lo sentivo" si girò per un secondo verso Vittoria sorridendo, ma lei lo guardava pensierosa. "Allora mi hai mentito quando hai detto che sarebbe andato tutto bene!" - "Beh, pensavo davvero che sarebbe stato così, ma poi mentre mi allontanavo ho avuto la sensazione che stessi facendo la cosa sbagliata; così sono tornato indietro ad aspettarti." Harry parlava come se nulla fosse successo, con tono calmo, pacato, assolutamente tranquillo. Vittoria lo guardò un pò indispettita, poi tornò con gli occhi anche lei sulla strada e le braccia conserte. Rimasero in silenzio per qualche minuto: nel frattempo, la macchina era arrivata al lago grigio, e cominciò a costeggiarne la riva, lentamente. "So che non siamo bravi con le parole, noi due, ma.. ne vogliamo parlare?" Harry aveva una mano sul volante e l'altra appoggiata sulla gamba di Vittoria, la quale esitò per qualche secondo, guardando prima per terra e poi fuori dal finestrino, per far pace con il suo cervello che continuava a darle indicazioni opposte sul da farsi. Decise di raccontare ad Harry quello che era successo in poche parole: la cosa la rendeva talmente furiosa e amareggiata che non poteva nemmeno pensarci più di tanto. "Mio padre non ha più un soldo e adesso vuole tornare a vivere da noi, stile figliol pròdigo; solo che in teoria lui è il padre e noi le figlie, quindi i ruoli sono  ridicolamente scambiati." Harry si fermò in un parcheggio poco lontano dalla strada. Quando inserì il freno a mano, si girò verso Vittoria guardando prima in basso e poi alzando lo sguardo verso di lei. "Rebecca ha accettato di aiutarlo, non è così?" Vittoria incontrò gli occhi di Harry e lo fissò sconvolta. "E' una reazione così prevedibile la sua? Vuoi dire che sono io quella che sta sbagliando? No dimmelo, così almeno esco pure da questa cazzo di macchina e vado a vivere con i pesci melmosi del lago." furiosa, diede un calcio alla montatura della macchina sopra ai suoi piedi, e strinse forte i pugni sulle sue gambe. Harry non si era mosso di un millimetro: teneva il braccio dietro al poggiatesta del sedile e l'altro sopra le gambe. Tornò con lo sguardo rivolto verso il basso: "Non puoi scappare dai problemi, Vittoria. Guarda tuo padre! A furia di scappare è tornato peggio di prima." Se c'era una cosa che la mora non sopportava erano le ramanzine: senza pensarci troppo uscì dalla macchina, chiuse bruscamente lo sportello dietro di sè, e si avviò a passo veloce verso la sponda del lago. Harry alzò gli occhi al cielo; sospirando, uscì tranquillo dalla macchina. Chiuse la felpa che fino a quel momento era rimasta aperta e, tenendo le mani nelle tasche dei pantaloni blu, si avvicinò all'amica, mettendosi accanto a lei. Vittoria guardò per un attimo Harry, e poi tornò a fissare la sponda opposta a quella dove si trovavano i due; infondo sapeva che quello che le aveva detto Harry era giusto: il solo pensiero di comportarsi come il padre, ovvero scappare da un presunto problema, era l'ultima cosa che voleva fare, ma allo stesso tempo non riusciva a perdonarlo.  Aggrottò le sopracciglia, e si girò a scatti verso l'amico che, a sua volta si girò con un movimento fluido, regalandole uno dei suoi sorrisi. Vittoria abassò la testa facendo una smorfia: era il suo modo di chiedere scusa, il più delle volte. "Tu capisci che non è giusto, vero? Tu capisci che non se lo merita il mio perdono..." alzò gli occhi socchiusi verso quelli splendenti di Harry. "So che odi le mie perle di saggezza, però per quanto possa essere giusto seguire l'istinto e il cuore, altre volta bisogna ragionarci sulle cose: non devi ripagare tuo padre con il suo stesso comportamento solo per fargli capire cosa si prova, e per fargli capire che ha sbagliato." Vittoria era quasi ipnotizzata, tanto dal suo viso quanto dalla sua voce e da quelle parole. "Sono sicuro che ne è già al corrente. E hai detto bene, sta facendo la parte del... padre pròdigo! E lo sai no, come va a finire la storia...?" Vittoria abbassò lo sguardo e balbettò un "sì" mentre torturava il breccino sotto ai suoi piedi. Harry le sorrise: "E allora sai quello che devi fare." lentamente si avvicinò a Vittoria con un passo: con un dito le alzò il mento, ancora rivolto verso terra, per far incontrare i loro sguardi e poi la cinse con uno dei suoi abbracci. "Non so se ce la faccio." disse con un filo di voce Vittoria mentre guardava il panorama alle spalle dell'amico, ancora avvolta tra le sue braccia. "Un passo alla volta e ce la farai. Mica devi fare tutto in un giorno, tigre!" Tornarono in macchina più sereni di prima. Vittoria stava rimuginando su quelle parole e sulla situazione generale: perdonare il padre, un pò alla volta. Le sembrava un'idea fuori dal mondo, ma che, se vista da fuori, non poteva che essere quella giusta. Pensò a Rebecca, a come l'aveva giudicata così velocemente, in preda ad una rabbia instintiva, quando in realtà quella dalla parte del torto, alla fine, era proprio Vittoria. Sapeva che sarebbe dovuta tornare in quella casa, presto. Sapeva che avrebbe dovuto convivere con il padre, Alexander, perchè alla fine avrebbe fatto ciò che Rebecca aveva deciso di fare prima di lei. Avrebbe ascoltato Harry: avrebbe lentamente perdonato il padre, dandogli qualche possibilità per rimediare agli errori passati. Avrebbe fatto tutto ciò, ma non in quel momento. Aveva bisogno di non pensare a tutto quel casino per un pò. "Ho bisogno di stare sola per un pò, però. Cioè, sola con te. Non voglio tornare a casa oggi... non oggi ." Harry annuì comprensivo, sapendo che Vittoria avrebbe seguito i suoi consigli, per lo meno dal giorno dopo. "Che vogliamo fare?" Il tono con cui Harry fece quella proposta era simile a quella di un bambino impaziente. Vittoria sorrise, serena, e poi gli rispose: "Che ne dici di karaoke? Mi sa che non hai mai sentito la mia bella voce da usignolo!" disse sarcastica. Harry ci pensò un attimo e poi disse sorridendo: "Va bene!" 
Passarono il pomeriggio a chiacchierare, come due vecchi amici, tra una tazza di caffè e l'altra. Guardarono il film preferito di Vittoria, Vicky Cristina Barcellona per poi avere un'intensa discussione su John Lennon e Mick Jagger. 
"Va bene se andiamo verso le sette giù al karaoke?" Propose Harry mentre infilava mezza pizza in bocca. Vittoria lo guardò con un sopracciglio alzato, leggermente schifata, e poi scoppiò a ridere davanti a quella scena. "Che c'è?" chiese incredulo Harry a bocca più che piena. Vittoria si riprese da quella risata e con gli occhi lucidi disse: "Sì, certo, va benissimo".
Poco dopo erano già in macchina, diretti verso sud. Harry aveva in mente di dare una svolta a quella serata, e ancora di più, voleva dare una svolta al loro rapporto. Non riusciva più a tenersi dentro tutte quelle farfalle che svolazzavno imperterrite nella sua pancia tutte le volte che stava con lei. Voleva darci un taglio e lasciare libere quelle povere creaturine con le ali ormai distrutte per quanto erano solite dimenarsi in quel piccolo spazio, a costo di perdere Vittoria per sempre. 



Notaaaaaaaaaare bene: 
In questo capitolo vi faccio sapere come la penso io sulla questione "padre pròdigo": per quanto ammiri Vittoria per il coraggio che ha avuto a mandare tutti affanculo (che poi, sembra facile, ma non lo è, ve lo posso assicurare), essendo passata io stessa in una situazione simile, ho e avrei in ogni caso reagito come Rebecca. E quindi ho espresso il mio di parere attraverso Harry(: In più, ero indecisa se attaccare a questo capitolo anche la serata del Karaoke e lasciarvi con la suspance a metà serata, ma sono stata buona e ho deciso di fare il capitolo più cortino e raccontare la cosa per intero nel prossimo. Se avete letto la descrizione o l'introduzione (come cavolo volete chiamarla xD) della mia storia, c'è scritto proprio un pezo che riutilizzerò nel prossimo capitolo. E quindi potete già immaginare cosa succederà! ( un pò di casino, sì! povera ragazza quanti problemi che si ritrova!! ) . 
Bene, ringrazio le fanciulle che commentano e seguono questa storia con tanta passione! Vi mando tremilabaci ( di cui non vi importa un bel niente) e un sacco di caramelle (ditelo che avete letto st'affare solo per prenderle, eeeh! susu, non mi offendo uù ) 
Basta farfugliare, 
un abbraccio a tutte le mie lettrici, 
vichi.



 

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Capitolo 12
*** 12. Uno sbaglio dopo l'altro ***


 



Dopo una decina di minuti i due arrivarono al locale che si trovava poco più a sud di Woods. Era uno di quei posti stile country, ma allo stesso tempo aveva qualcosa di moderno che lo rendeva accogliente e per niente ridicolo. La sala principale era enorme, quasi quanto un campo da basket: infondo si apriva un enorme palcoscenico pieno di strane attrezzature elettroniche; davanti al palco una miriade di tavoli erano disposti su tutto lo spazio rimanente. Quando Harry e Vittoria entrarono nel locale, questo era già pieno per la maggior parte, così dovettero sedersi in un piccolo tavolo a due posti in seconda fila, al centro. In quel momento sul palco c'era una ragazza alta, bionda, con due occhi enormi che cantava una canzone di Taylor Swift dai versi dolci e impastati che Vittoria odiava. Quando se ne rese conto, ormai bella che seduta, alzò gli occhi al cielo e sospirando disse: "Non pensavo facessero musica del genere, scusa!" si rivolse ad Harry tenendo lo sguardo scettico fisso su quelle lunghe gambe che si muovevano sgraziate a tempo di musica. Harry fece una piccola risata e poi le si avvicinò all'orecchio per non urlare sopra la musica: "A parte il fatto che a me la Swift non dispiace" cominciò, e subito Vittoria si girò verso di lui alzando un sopracciglio, "In ogni caso, non è il locale che decide le canzoni: ci si prenota e chi va su decide cosa cantare." Vittoria annuì, sempre poco convinta e annoiata da quella canzone mielosa. Al contrario, Harry era molto preso dall'esibizione e dal testo stesso della canzone: con molta nonchalance portò il suo braccio attorno al collo di Vittoria, la quale si irrigidì subito, cominciando a guardarsi intorno, sospettosa. Il riccio scosse la testa sorridendo e poi si avvicinò all'amica che continuava ad assicurarsi che non ci fossero sguardi indiscreti puntati su di loro: "Rilassati, sono troppo presi dalla musica per preoccuparsi di noi." Vittoria lo guardò per un attimo e poi sciolse la tensione dei muscoli e disse: "Preferisco stare sulla difensiva, tutto qua!" 
Finalmente quello strazio di Mine era terminato. Vittoria non fece nemmeno lo sforzo di applaudire per quanto le stesse antipatica quella canzone. Poco dopo, Harry si alzò. "Torno subito." disse semplicemente mentre si allontanava dal tavolo; Vittoria non fece nemmeno in tempo ad aprire la bocca per darle fiato che Harry era già scomparso dietro alle tende nere che portavano sia al bar che al guardaroba. Rimase con gli occhi puntati in quella direzione per intravedere qualcosa, ma non ci riuscì. Confusa, tornò con gli occhi, più che con la mente, sul palco dove si stavano esibendo due ragazzi sulle note di No Air. Oh, una decente! pensò tra sè e sè Vittoria mentre continuava a domandarsi dove fosse finito il riccio. Ogni tanto mandava degli sguardi a sinistra per vederlo tornare, ma dopo un pò decise di mettersi l'anima in pace e godersi quella canzone. Era quasi finita, ormai, quando Harry spuntò dal nulla accanto a Vittoria. "Insomma? Dove sei stato?" chiese Vittoria impaziente. "Al bagno..." rispose in modo non troppo convincente Harry senza nemmeno guardarla negli occhi ma osservando i due cantanti ricevere gli applausi della platea. Con le mani conserte sul petto e il mento alto, disse offesa: "Bene, adesso mi menti pure tu!" Harry si alzò di nuovo, e Vittoria non potè evitare di notarlo e di seguirlo con lo sguardo. Il riccio le si avvicinò: "Stai a vedere!" Harry le fece l'occhiolino e poi si precipitò sulle scale dietro ad altri quattro ragazzi a lei sconosciuti, e insieme salirono sul palco. La folla cominciò ad applaudire piuttosto sonoramente: solo la presenza di cinque bei ragazzi su un palcoscenico faceva andare in tilt gli ormoni di tutte le ragazze presenti. Vittoria continuava a guardare Harry con un'espressione confusa, ma lui le fece un sorriso sghembo e l'occhiolino e la musica partì. Oh, se partì! Le ci volle un nano secondo per riconoscere quegl'accordi iniziali, le rimbombavano in testa e ogni volta le veniva un tuffo al cuore per quanto amasse quella canzone. Uno dei cinque ragazzi cominciò a cantare una delle canzoni preferite di Vittoria, ovvero What makes you beautiful dei One direction. Per un secondo la mora rimase con la bocca aperta a fissare il palco, e poi la sua bocca si aprì in un enorme sorriso quando per la prima volta Harry cantò i versi che precedevano il ritornello. Aveva una voce sensazionale: era avvolgente, con un timbro sporco che la rendevano estremamente seducente, ma allo stesso tempo riusciva ad essere angelica e soprattutto ammaliante. Vittoria era più presa ad ascoltare il suono della sua voce piuttosto che le parole in sè per sè. La canzone andava avanti, Harry cercava spesso gli occhi di Vittoria, facili da trovare dato che erano fissi su di lui. Le sorrideva in continuazione e si divertiva come un matto. Vittoria non aveva fatto ancora il famoso 2+2, cosa che invece apparentemente il resto della sala aveva già fatto, senza che lei se ne accorgesse. Ad un certo punto gli occhi del riccio si fecerò più intensi, fece un passo in avanti e alla fine Vittoria capì che qualcosa non tornava. Harry cominciò il suo assolo verso la fine della canzone; già troppi sguardi erano stati scambiati tra i due, ma in quel momento la cosa diventò ovvia: quelle parole erano rivolte a lei, a lei soltanto. La spalla che l'aveva sostenuta durante tutto questo tempo, i riccioli con cui aveva giocato tante sere, gli occhi in cui poteva sempre rifugiarsi e la voce avvolgente che le dava la sicurezza per andare avanti... tutto ciò si tramutò in un incubo: per Harry era tutta una farsa per poter arrivare a qualcosa di più che un'amicizia, amicizia che per Vittoria era la cosa più bella che potesse esserle capitata. Il suo cuore traboccava d'ansia e panico, e gli occhi ne erano la limpida riflessione. Si sentì improvvisamente osservata, si guardò in giro incontrando gli sguardi di mezza sala, i quali erano rivolti tutti su di lei. Pare che lei fosse l'unica a non aver capito fino a quel momento che quella era una vera e propria dichiarazione. Vittoria si trovò improvvisamente a disagio: strinse forte il bicchiere che teneva sopra il tavolo per sfogarsi e continuava a controllare con la coda dell'occhio i suoi vicini di tavolo se la stessero ancora fissando o meno. La canzone finì. I ragazzi che obiettivamente erano stati fantastici, ricevettero una quantità spaventosa di forti applausi e grida fanatiche. Harry si avvicinò al tavolo facendo qualche inchino qua e là per prendersi in giro e poi si mise a sedere vicino a Vittoria sorridendo. Cercava di incontrare il suo sguardo, ma lei aveva gli occhi fissi nel vuoto e una mano sulla bocca. Il sorriso di Harry si spense lentamente; sospirò e dopo un pò disse: "Andiamo fuori..." Doveva sistemare quella situazione. Sapeva che anche Vittoria provava qualcosa per lui, e sarebbe bastato una briciola dell'amore che si teneva dentro Harry da ormai troppo tempo per far funzionare un'ipotetica relazione. Ce l'avrebbe fatta, non si sarebbe mai permesso di perderla. Vittoria si alzò velocemente dal tavolo e con passo furtivo si fiondò fuori dal locale, seguita da Harry che invece si muoveva lentamente mentre cercava di organizzare un discorso efficiente. Arrivarono nello spiazzo a pochi metri dall'edificio; non fiatavano, ma nemmeno si guardavo. Vittoria si strinse nel suo golfone verde e cominciò a torturare la terra sotto ai suoi piedi. Sospirava di tanto in tanto mentre Harry teneva la testa bassa e le mani nelle tasche della felpa. "Dimmi che non è come sembra." disse all'improvviso Vittoria voltandosi lentamente verso il riccio. Aveva gli occhi spenti, pieni di tristezza, ma dalla piccola smorfia che aveva in bocca si poteva intravedere anche un velo di rabbia. Harry si sentì crollare il mondo addosso. Sospirò e tenendo la testa bassa non potè che dire la verità: "Temo di sì..." A quelle parole Vittoria sgranò gli occhi che cominciavano a pizzicarle: si allontanò da Harry e cominciò a fare ogni tipo di movimento per scaricare tutto quell'uragano che la stava travolgendo. Scuoteva la testa, respirava sonoramente, a volte rideva in modo amaro per poi sussurrare una serie di "no" tra sè e sè; alzò la testa in alto verso il cielo scuro per fermare le lacrime che fremevano dalla voglia di scappare. "Vittoria, ascolta..." cominciò Harry cercando di iniziare un discorso convinciente. Vittoria si girò di scatto e fermò quelle parle con la mano: "No, non ascolto un bel niente." disse arrabbiata "Penso di aver sentito abbastanza là dentro. A questo punto penso di essere io il problema. Non è possibile che tutte le persone a cui voglio bene finiscono per ferirmi e deludermi. Oh sì, dev'essere un mio problema..." continuò mentre si muoveva a destra e a sinistra tenendo una mano tra i capelli. Harry scosse la testa e cercò di riprovare a parlare: fece un passo e prese delicatamente il braccio di Vittoria per farsi ascoltare:  "Vì, devi ascoltarmi, io..." ma la mora si tolse subito la sua mano di dosso e mise la sua come barriera tra i loro corpi. "No, Harry..." disse così e per un attimo i loro occhi si incontrarono: urlavano cose diverse, ma entrambi chiedevano aiuto. Vittoria si voltò di scatto, non riusciva a sopportare quella situazione: cominciò a camminare a passo veloce vicino ad un muro di pietra. "Vittoria! Che stai facendo?" chiese Harry sorpreso, per poi cominciare ad inseguirla senza troppo successo: quella ragazza aveva un motorino al posto dei piedi, anche quando camminava. Si mise a correre, non poteva perderla, doveva riuscire a farla calmare e a parlare, o l'avrebbe persa per davvero. "Vittoria, fermati!" urlò Harry; la voce alle sue spalle non la fermarono: Vittoria continuava ad avanzare a passo veloce. "Dove stai andando?" - "Non sono affari tuoi!" disse in modo secco Vittoria senza voltarsi. "E da quando, scusa?" finalmente la mora si fermò e dopo essersi girata fulminò con lo sguardo il riccio che aveva quasi il fiatone: "Da adesso." Incontrò di nuovo i suoi occhi: il cuore le batteva forte e aveva una gran voglia di urlare. Non riusciva a vedere più quegl'occhi come una volta: non le davano più sicurezza, ma le sembravano piuttosto una trappola dalla quale non sarebbe più uscita. E la sola idea la spaventava. Non riuscì a sopportare un secondo di più quello sguardo: si girò di nuovo e cominciò a scappare. Non passò una frazione di secondo che una mano stretta le prese forte il braccio e la costrinse a voltarsi. Eccoli di nuovo, quegli occhi verdi che però erano cambiati all'improvviso: le sue mani sembravano fatte di ferro da quanto la stesse tenendo forte. La spinse contro al muro immobilizzandola e due secondi dopo non c'era più nemmeno un millimetro di distanza tra i loro corpi. Harry le piantonò le labbra sulla sua bocca violentemente. Vittoria cercava di liberarsi dalla presa del riccio, ma questo la tratteneva forte tanto da farle male; dopo essersi dimenata per secondi che sembravano non finire mai, come quel bacio che aveva definitivamente ucciso la loro amicizia, Vittoria riuscì a togliersi di dossi Harry, al quale mancava il fiato. Un istante dopo la mora fece volare uno schiaffo sulla guancia del riccio, così forte che il botto sembrò echeggiare per un momento. Anche Vittoria aveva il fiato corto e le braccia indolenzite: non riusciva a togliersi di dosso il profumo di Harry che in quel momento le dava solo la nausea. Lo fissava amareggiata massaggiarsi la guancia indolenzita con gli occhi rivolti verso terra: non poteva credere che tutto ciò fosse successo nell'arco di così poco tempo. "Sei esattamente come tutti gli altri: ti diverti a giocare con le persone a loro insaputa come fossero giocattoli fino a romperli. Ti sei divertito abbastanza con me?" disse Vittoria mentre continuava a massaggiarsi il braccio. "Non voglio vederti più, Harry." lo guardò un'altra volta: gli occhi le continuavano a bruciare, ma non poteva piangere in quel momento, non poteva essere sempre la vittima. Doveva reagire e andare avanti, così diede le spalle al riccio che disperato continuava a guardare il terreno. "Beh non mi sembra che tu abbia fatto di meglio qualche tempo fa. Ti sei divertita anche tu ai tuoi tempi, non è così?" Non fece in tempo a finire quella frase che già si era pentito di averla pronunciata, ma ormai era troppo tardi. Aveva fatto un errore dopo l'altro senza nemmeno volerlo. E pensare che era stato lui stesso a dire che in certe situazioni era meglio ragionare sulle cose piuttosto che seguire l'istinto... Vittoria si girò lentamente, sconvolta. "Questo è troppo..." scosse la testa con gli angoli della bocca rivolti all'ingiù. Non riusciva a dire o a fare nient'altro: corse via, di nuovo, con le lacrive che finalmente riuscirono a liberarsi e ad inondarle il volto. "Vittoria, aspetta! Non intendevo questo, lo sai..." urlava Harry senza muoversi. Non poteva correrle dietro. Aveva fatto troppi sbagli negli ultimi dieci minuti, e probabilmente decidere di non inseguirla era tra questi. "Non andartene..." disse con voce fioca e straziata. Non la vide voltarsi, continuava a camminare veloce e in pochi secondi il suo corpo scomparì nell'ombra degli alberi. Diede un pugno forte sul muro accanto a lui e cominciò a singhiozzare disperato: se n'era andata, e non l'avrebbe più riavuta indietro.


Notaaaaaaaaaaaaaare bene: 
Fiùùùùùùùùùù! ce l'ho fatta! se non sapete le vicessitudini di questo capitolo allora siete OUT uù 
scherzo(: in ogni caso, non avete idea la fatica che ho fatto per scrivere sto cavolo di capitolo.. è stato straziante ç.ç 
Ma se io non faccio casino con la vita di questa ragazza non sono contenta ahahha xD
Anche se so che mi starete lapidando in questo momento perchè li ho fatti litigare a morte ( che poi litigare è un eufemismo!! ), spero che vi sia piaciuto il capitolo in ogni caso. 
Scrivetemi quello che ne pensate perchè lo voglio sapere è_é
Per farmi perdonare oggi vi tiro anche un pò di gelato, oltre alle caramelle, per addolcirvi l'umore *tira*
Un abbraccio, 
vichi.

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Capitolo 13
*** 13. In cerca di risposte ***



Vittoria cominciava ad essere stanca, i piedi lentamente le si intorpidirono a furia di camminare: riuscì a farci caso dopo due ore in cui non fece altro che girovagare per la città e i suoi dintorni. Era completamente isolata da tutto ciò che la circondasse. Non fiatava: teneva le labbra serrate e il respiro era affannato a causa del tanto camminare. Non singhiozzava, non urlava. Sembrava più che altro che stesse scappando via da un omicidio appena compiuto, come farebbe un assassino: testa bassa, passo veloce. Eppure se qualcuno le si fosse avvicinato avrebbe notato quella cascata salata che le stava bagnando il viso ormai da ore; Vittoria piangeva in silenzio, lasciava che il dolore superfluo scorresse via con le lacrime piuttosto che con i singhiozzi e il respiro affannato. Lasciava il fiato da parte per accellerare il passo qua e là, quando i pensieri si facevano troppo pesanti; allora si sfogava con i piedi e con le gambe. Non riusciva a togliersi di mente il ricordo di poche ore prima. Sentiva la voce di Harry cantare, poi gli sguardi di tutti puntati su di lei, e poi le parole fatidiche che fecero spuntare la prima crepa nella loro amicizia. Ricordava tutto a sprazzi, come se fossero passati anni, quando invece riusciva ancora a sentire le mani stringerle forte le braccia e il suo respiro a pochi centimetri dal suo viso. Un brivido le percorse la schiena. Si sentiva così delusa, così triste: non riusciva a spiegarsi il perchè di quello che era successo. Perchè le aveva fatto tutto ciò? Perchè dichiararsi in quel momento così delicato della sua vita? Lui, che aveva imparato a conoscerla così bene, quel ragazzo riccio che l'aveva sempre ascoltata e soprattutto capita come nessun altro, lo stesso che si era fatto sospendere pur di difenderla. Si lasciava trasportare da un uragano di pensieri per le strade desolate della città; la temperatura era bassa, e si gelava, ma dentro Vittoria stava ancora bruciando dal dolore. Avete presente quando piangete tanto e potete sentire un macigno, qualcosa di pesante, un dolore insistente in mezzo al petto che brucia? Vittoria lo sentiva, e ogni volta era più forte e doloroso; poteva sentire il cuore battere affannato, era stanco pure lui di piangere insieme a lei. Decise di fermarsi, non sapeva dove stesse andando e l'ultima cosa che voleva fare era perdersi. Si era fermata sopra al ponte che collegava le due sponde del fiume che divideva a metà Woods. Il cielo era nero, il vento tirava gelido e l'acqua scura davanti a sé rifletteva le luci fioche dei lampioni che percorrevano tutto il ponte bianco. Dopo essersi seduta su una panchina, tirò su con il naso l'ultima volta strofinando la manica del golf sotto le narici per poi accoccolarsi alle ginocchia. In quel momento, per la prima volta dopo mesi, Vittoria si sentì sola, sola per davvero, sola come un cane randagio; in fondo questo era, un cane randagio: una ragazza che nella sua vita non ha mai fatto altro che vagare da esperienza a esperienza, senza mai trovare una cuccia sicura, fatta d'amore a fiducia. Pensava di aver trovato la sua destinazione nei momenti di follia delle sorella e nello sguardo del suo migliore amico, e invece entrambi l'avevano delusa e ferita, una volta alle spalle e l'altra volta in pubblico. Alzò gli occhi al cielo mentre gli occhi continuavano a bruciarle: cercava una risposta, un consiglio, qualcosa da fare, era stufa di crogiolare nel suo dolore e aspettare che andasse via da solo con il tempo. Per un attimo non pensò a nulla: continuava a tenere la testa all'indietro ma fissava il vuoto, lo stesso vuoto che c'era nella sua mente. Le tornò poi in mente quel pomeriggio maledetto, quelle scale e quella stretta che le portarono via il bambino. Portò istintivamente entrambe le mani sulla pancia, e una piccola lacrima le scese sulla guancia destra. Judith, così si sarebbe chiamata la bambina se fosse stata femmina, come la madre. Al nome da maschio non aveva pensato: non aveva figure maschili a cui far riferimento, essendo stata sempre solo un loto giocattolo, perfino del padre. I suoi pensieri cominciarono a fluttuare tra i ricordi d'infanzia, le domeniche a preparare dolci, il bacio del buongiorno della mamma tutte le mattine, le litigate con Rebecca per i motivi più stupidi, i regali del padre che quando era piccola amava con tutta se stessa...Tirava fuori i ricordi piacevoli della sua vita, quei pochi che risalivano per la maggior parte ai primi otto anni di vita. Un taxi sfrecciò sulla strada alle spalle di Vittoria, e questo la riportò per un attimo con i piedi per terra. Si ricordò improvvisamente di poche ore prima, le tornarono in mente gli occhi di Harry, quello che aveva fatto e soprattutto detto. Continuava a sentirsi delusa, ma in fondo, delusa per cosa? Lui aveva avuto il coraggio di tirare fuori ciò che provava veramente, aveva avuto il coraggio di dire la verità, perchè biasimarlo? A cosa aveva pensato per quelle due ore mentre scappava da quel posto? Sapeva che Harry non voleva darle della puttana, e anche se avesse voluto non avrebbe avuto poi tutti i torti. Sapeva che quel bacio non era voluto in quel modo, sapeva che non voleva farle del male, sapeva che era stato solo istinto, non volontà, e chi meglio di lei conosceva i danni che può fare una reazione istintiva? Dondolava sulla panchina mentre cercava di trovare il vero motivo per cui si sentiva triste, arrabbiata, delusa e quant'altro; cercava la vera ragione per cui si trovava nel mezzo della notte sopra ad un ponte, da sola. La testa le si riempì di domande una diversa dall'altra: era stanca e ormai sarà stata quasi mezzanotte. Guardò il telefono e lo fissò per un momento: “un nuovo messaggio” era la scritta che illuminava lo schermo e la mandava ancora più in confusione. E se fosse stato lui? Avrebbe rischiato di lanciare il telefono nel fiume o ancor peggio gli avrebbe probabilmente risposto. Fece un respiro profondo, e alla fine decise di aprire quel maledetto messaggio: “So che non vuoi parlarmi o vedermi, ma ti prego dimmi dove sei e se stai bene. Sei da Harry? Mi dispiace Vì, spero tu possa capire presto e tornare a casa. Ti voglio bene, sempre.” Rilesse quel messaggio cinque volte: le piangeva il cuore, voleva abbracciare Rebecca più di ogni altra cosa in quel momento. Era davvero tutto ciò che le era rimasto, e per colpa sua, di sua spontanea volontà, voleva tagliare i ponti anche di quel rapporto. No, dopo quella sera non l'avrebbe mai permesso. Restò immobile a guardare la corrente del fiume portare via i rami verso la cascata poco lontana dalla città: il fruscio dell'acqua la tranquillizzò per un attimo e le ridiede la lucidità. Si alzò di scatto e cominciò a correre veloce contro vento: non pensava a niente, correva talmente veloce che le sembrava di quasi di volare. Quella staccionata, quel cancello, quelle mattonelle: ci volò sopra come se stesse scappando da un mostro che le correva dietro. Si fermò davanti alla porta di casa per prendere fiato; bussò alla porta: sperava con tutto il cuore che non le aprisse Alexander, era l'ultima persona che voleva vedere in quel momento. La maniglia girò, e Rebecca fece capolino alla porta avvolta nella sua vestaglia di seta, i capelli sciolti e lo sguardo stanco. Le due sorelle si guardarono per un istante interminabile: Vittoria era impassibile, mentre Rebecca sgranò gli occhi che improvvisamente le si illuminarono dalla felicità. Si aprì in un enorme sorriso e subito dopo Vittoria ruppe il ghiaccio sottile che si era creato in quell'istante: “Chi se ne frega di papà!” disse tutto d'un fiato trascinando le parole per poi soffocare Rebecca in un abbraccio; la stringeva fortissimo, come se per un periodo l'avesse persa e improvvisamente ritrovata: non se la voleva farsela scappare un'altra volta, o meglio, Vittoria non sarebbe scappata più. Rebecca ovviamente si sciolse in un pianto abbondante, carico di felicità e di rimorso: continuava a pensare di aver fatto la cosa giusta aiutando il padre, ma allo stesso tempo si sentiva tremendamente in colpa per tutta la sofferenza che aveva procurato a Vittoria. “Ci eravamo promesse di esserci l'una per l'altra, e in questo momento ho bisogno di sentire il profumo del tuo shampoo.” disse Vittoria affondando il viso nella chioma rossa della sorella. Rebecca rise a singhiozzi tra le lacrime, stringendola ancora più forte a sé. “Scusa, scusa, scusa...” riuscì a sussurrare la rossa mentre cercava di riprendere fiato “No, sono io che ho sbagliato.” sciolse l'abbraccio e la guardò negli occhi gonfi ma felici “Non ti lascio da sola, affronteremo tutto insieme.” disse facendo un sorriso piccolo, ma sincero. Rebecca la guardò per un attimo sorridendo a sua volta; le spostò una ciocca di capelli dal viso e glie la mise dietro all'orecchio delicatamente. “Sei identica alla mamma...” disse piegando leggermente la testa. Vittoria alzò gli occhi al cielo ridendo, poi tornò a guardare la sorella e l'abbracciò un'ultima volta prima di salire le scale e entrare in camera. Si preparò per andare a letto pensierosa: non aveva nemmeno visto suo padre, e non ne aveva la minima voglia in realtà. Ogni volta che la questione Harry sbucava nella sua testa la scansava cercando qualcosa da fare per distrarsi: si infilò sotto le coperte con le cuffie dell'ipod nelle orecchie, il mezzo più veloce per prendere sonno. Chiuse gli occhi con in testa le note di Hate that I love you; si addormentò pensando inevitabilmente ad Harry e ai suoi occhi trasparenti. Non quelli di poche ore prima: quelli che era abituata a vedere ogni giorno, quelli dolci, quelli buoni, quelli che la mettevano di buonumore anche nei momenti difficili. Quelli che lei amava.


Notaaaaaaaare bene:
Allora! In realtà quando mi sono messa a scrivere questo capitolo non avevo idea di dove sarei arrivata e sinceramente mi aspettavo un percorso diverso, ma oh, questo è anche il bello di scrivere! Scusate se vi ho fatto aspettare più del solito, ma la signorina ispirazione non si decideva ad arrivare e quindi finivo sempre per scrivere baggianate senza senso! 
Spero che invece il capitolo vi sia piaciuto, perchè ci ho messo tanto a scriverlo e l'ho scritto con il cuore (come tutti, più  o meno! .__. ). Aspetto le vostre opinioni e i vostri commenti!(:
Ringrazio le dolci anime che continuano a spendere parte del loro tempo per lasciare una recensione, siete fantastiche! E ringrazio anche colori che seguono la mia storia anche se in realtà in termini di "Storie seguite" non ho idea di chi mi abbia messo tra le sue perchè non so come si faccia a controllare, ma sinceramente non mi importa xD
Tiro caramelle e Haribo a volontà <3
Un grande abbraccio virtuale, 
vichi.

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Capitolo 14
*** 14. Due è meglio di uno ***



Era passata ormai una settimana da quella sera: la sospensione di Harry era finita, e da quel lunedì Vittoria avrebbe ricominciato a vederlo e incontrarlo tutte le mattine. Durante i giorni precedenti aveva sempre ignorato le sue chiamate e messaggi che la imploravano di ascoltarlo e di incontrarsi. Vittoria aveva bisogno di pensare e di assimilare bene ciò che era successo; non voleva chiudere il loro rapporto così a sangue freddo: voleva per prima cosa fare chiarezza su se stessa e in quella settimana non aveva fatto grandi passi avanti, e ancora alcune domande erano rimaste in sospeso nella sua testa.
Passava i pomeriggi tra un libro e l'altro, passivamente: ogni suo pensiero tornava a riflettersi sugli occhi cristallini di Harry; li trovava ovunque, tra le pagine di chimica e quelle di Platone, in una tazza di tè e un pacchetto di Haribo. Se lo immaginava ovunque: dietro agli scaffali della biblioteca, sul marciapiede opposto al suo, nelle macchine che le sfrecciavano accanto. Lo vedeva in ogni persona le stesse accanto, sia che stesse facendo la fila alle poste o al supermercato. Per quanto non avesse intenzione di incontrarlo e di parlargli, la verità è che lo cercava in continuazione: se sentiva qualcuno alle sue spalle esitava sempre qualche secondo prima di voltarsi e vedere chi fosse. La sua testa aveva paura di incontrarlo, ma allo stesso tempo il suo cuore non chiedeva altro. Vittoria passò gran parte di quei giorni in giro per la città, pensando che, come era già successo quella notte quando si ritrovò senza nemmeno accorgersene sopra ad un ponte, girovagare senza meta fosse il modo migliore per mettere in ordine le idee. Anche dopo una settimana non era del tutto convinta di ciò che avrebbe fatto, di come avrebbe affrontato un discorso con Harry, e per questo aveva deciso che per il momento avrebbe l'avrebbe semplicemente evitato.
Il lunedì successivo la routine ricominciò come se nulla fosse mai successo. Harry era là, davanti all'armadietto grigio che gli risaltavano il colorito pallido della sua carnagione e gli occhi verde acqua. Vittoria si fermò un secondo all'entrata della scuola, per poi avanzare tranquilla verso il suo armadietto B26; quando lo raggiunse, Harry, da rilassato qual era, si drizzò subito tenendo i muscoli tesi come se avesse visto un serpente passargli sotto ai piedi. Vittoria si limitò a guardarlo e molto tranquillamente inserì la combinazione del suo lucchetto e cominciò a fare qualche cambio di libri all'interno della sua borsa. Harry aggrottò le sopracciglia, confuso, e la guardò per un attimo prima di aprire bocca senza sapere esattamente cosa dire: si aspettava che fosse lei quella a mandarlo a quel paese o ad insultarlo, e invece se ne stava lì, tranquilla, come se lui non esistesse. Harry deglutì quel boccone amaro e poi si rivolse a Vittoria: “Ho bisogno di parlarti” disse a bassa voce. La mora si voltò un attimo e incontrò i suoi occhi verdi, quelli che aveva cercato per tanti giorni e che finalmente si ritrovava davanti, più belli che mai, senza una minima traccia della rabbia e della furia che vi si poteva scorgere quella notte. Non riuscì a rispondergli, abbassò la testa e continuò a mettere a posto l'armadietto. Harry continuava a tenere lo sguardo fisso su di lei. “Vittoria, parlami...” questa volta la mora non lo guardò affatto. “Ti prego, mi manchi e questa situazione mi sta uccidendo, non capisci?” Per un attimo Vittoria alzò lo sguardo davanti a sé, dentro all'armadietto; poco dopo lo chiuse sonoramente e si voltò verso Harry inclinando la testa e aggrottando le sopracciglia. “Ah, sta uccidendo te. E secondo te io non ci sto male? Sono giorni che mi sto tempestando di domande, giorni che cerco di rimettere a posto i pezzi della nostra amicizia ma non ci riesco. Devo pensare Harry, e devi darmi tempo.” Harry la guardava quasi preoccupato, la bocca socchiusa e gli occhi incatenati a quelli di Vittoria. “Come fai a rimettere a posto i pezzi da sola? Devi ascoltarmi...” pronunciò le ultime parole con un filo di voce, come se la stesse supplicando. Le accarezzò il braccio ma Vittoria si scanzò lentamente per non dare nell'occhio. “Non voglio sentire nulla, Styles, non ora.” rispose Vittoria con tono freddo e conciso ma con una punta di dolore. Si allontanò incerta: non voleva perderlo di vista un'altra volta, non voleva lasciarlo solo, voleva stringerlo forte e sentire lo stesso profumo che quella notte le aveva dato la nausea, del quale ora sentiva la mancanza. Harry rimase là, immobile, mentre la guardava allontanarsi e seguiva i suoi movimenti con gli occhi spenti: non si sarebbe arreso. Se una canzone non aveva funzionato allora si sarebbe semplicemente dichiarato, a quattrocchi.
Quella mattina di scuola sembrò non finire mai: le lancette dell'orologio andavano visibilmente a rallentatore per i gusti di Vittoria che non riusciva a seguire neanche una parola di ciò che stessero dicendo i vari professori. Nella mente le frullavano una serie di pensieri contorti e tutti in qualche modo avevano a che fare con Harry. Non voleva incontrarlo un'altra volta, non voleva sfidare il suo autocontrollo davanti a quel viso angelico; nonostante ciò durante tutta l'ora del pranzo non fece altro che guardarsi intorno in cerca di quel viso, ma non lo trovò. Quando la campana segnò la fine della giornata, Vittoria, travolta dall'intera scuola che non vedeva l'ora di uscire, si avviò lentamente verso la porta d'ingresso. Scrutò il parcheggio intero, per vedere se quella Toyota blu fosse ancora parcheggiata ad aspettarla, ma della macchina neanche una traccia. Si fermò in cima alle scale davanti al portone: stringeva forte la mascella ed ebbe un tuffo al cuore quando realizzò che forse quello stupido le aveva dato ascolto per una volta, invece di fare di testa sua. Probabilmente l'avrebbe lasciata veramente in pace aspettando che fosse Vittoria a farsi avanti. Scosse la testa, e si avviò fuori dal grande cancello arancione. Stretta nel suo cappotto, camminava lentamente guardandosi intorno, e continuando a chiarirsi le idee che finivano sempre per incasinarsi ulteriormente. Il vento soffiava forte e pungente, le foglie volavano a gruppi per la strada asfaltata e i capelli di Vittoria si erano uniti a quella danza.
“Mi ricordo ancora cosa indossavi il primo giorno.” Una voce ruppe il silenzio del vento. Vittoria si fermò di scatto, senza voltarsi: teneva gli occhi sgranati e la bocca socchiusa. Avrebbe riconosciuto quel timbro di voce su un milione: era la voce che l'aveva confortata tanti giorni difficili, quella che stava cercando da tutta la settimana, la stessa voce che le aveva spezzato il cuore.
“Sei piombata nella mia vita e sai cos'ho pensato? -Potrebbe essere quella giusta!-” Vittoria rimaneva immobile; la voce alle sue spalle si faceva lentamente più vicina e riusciva a sentire i passi leggeri dietro di sé. Mandò giù un altro boccone amaro che le stava uccidendo la gola, senza dire niente. “Ogni cosa che fai e dici mi sconvolge. Non posso vederti soffrire neanche per un secondo, e non puoi capire quanto stia male pensando che adesso tu stia soffrendo per causa mia.” Poteva sentire l'aria muoversi a contatto con il suo corpo: si stava avvicinando. “Suona assolutamente patetico e il fatto che lo stia per dire è la prova di quanto tu sia importante: Vittoria...” si fermò un attimo per prendere fiato, avrebbe voluto che la mora si girasse e incontrasse i suoi occhi per provarle la sua sincerità. Sospirò e con un filo di voce, ma pur sempre convinto disse: “io ti amo” Harry si morse le labbra in attesa di una qualche reazione da parte della ragazza davanti a sé.
Il cuore di Vittoria, che già da subito aveva accelerato i suoi battiti, per un momento si fermò, insieme al suo respiro, per poi scoppiare. Poteva sentirlo spingere forte nel petto e vi mise istintivamente una mano sopra. Il fiato, al contrario, era corto per lo stupore e l'emozione: per la prima volta in vita sua un ragazzo le stava facendo quell'effetto. Subito spostò l'attenzione sulla pancia, in cerca di quelle maledette farfalle con cui tutti rispondono alla domanda “ma mi piace davvero?”. Qualcosa stava andando in corto circuito là dentro, ma non era piacevole.Di dolci farfalle blu svolazzanti neanche l'ombra. Non c'era niente di dolce in quelle sensazioni: il suo corpo stava fibrillando dalla testa ai piedi, poteva crollare da un momento all'altro, ma fece in tempo solo a girarsi verso quella testa riccia. Harry ignorò l'espressione indecifrabile di Vittoria: doveva farcela, almeno questa volta. “Forse ci siamo incontrati per stare insieme, non separati.” Vittoria continuava a fissare gli occhi chiari. Cosa doveva fare? Cosa doveva dire? Non lo sapeva semplicemente perchè non le aveva dato tempo di chiarirsi le idee. Dopo una settimana di rimuginamenti ancora non era in grado di rispondere ad una domanda che fosse una. Harry sforzò un sorriso e le prese la mano che ciondolava sul fianco. Si guardarono per attimi interminabili, finchè Harry più lentamente che mai decise di sporgere il suo viso verso quello di Vittoria che, incantata, non mosse un muscolo e lo lasciò fare. Il respiro caldo di Harry incredibilmente vicino al suo svegliò improvvisamente la mora che fece un passo indietro, senza staccargli gli occhi di dosso e come se nulla fosse successo, tornò sui suoi passi verso casa. Harry abbassò lo sguardo e, travolto da lacrime silenziose, tornò indietro a sua volta, sapendo che quella era stata l'ultima occasione. Ed era fallita, come le altre.
Quando Vittoria tornò a casa trovò Rebecca e Alexander impegnati in una conversazione in salotto. Non se n'era nemmeno accorta, a dir la verità: fu la voce della sorella infatti a far tornare lucida Vittoria. “Vittoria...” disse prima a bassa voce “Vittoria! Che è successo?” alzò il tono di voce per farsi notare dalla sorella che non sembrava dare segni di vita. Era rimasta appoggiata alla porta appena chiusa alle sue spalle, con lo sguardo perso nel vuoto. “Sono un'imbecille” si limitò a rispondere Vittoria mentre Alexander e Rebecca la guardavano confusi. “Ma che cosa...” la rossa, da tipica premurosa qual era, non fece in tempo ad andare a fondo della questione che Vittoria era corsa su per le scale e chiusa in camera.
“Dovrei andare a parlarle...”
“Ci penso io”.
Una mano bussò alla porta bianca della camera di Vittoria. Se ne stava seduta sul letto a gambe incrociate mentre si stava torturando un'unghia un tempo laccata di smalto. Non rispose. “E' permesso?” la porta lentamente si aprì, e il viso invecchiato di Alexander entrò per la prima volta nella camera di Vittoria dopo tanto tempo. La figlia lo guardò sbalordita, dimenticando per un attimo tutto quello che era successo: vedeva solo suo padre, e stranamente in quel momento riaffiorarono solo i ricordi migliori del loro rapporto, trai quali c'era il “parlare”. Rebecca aveva preso da Alexander la parlantina no stop. “Vieni pure...” mugolò Vittoria facendo spazio al padre accanto a sé. Alexander si sedette sulla coperta verde chiaro del letto e osservò lo sguardo turbato della figlia che tentava di nascondere. Le sorrise dolcemente, e Vittoria riconobbe quel sorriso non solo tra i suoi ricordi d'infanzia, ma anche tra i più recenti: era la stessa espressione che Harry aveva quando voleva fare il padre premuroso. Le scese una timida lacrima che cacciò via in un attimo con la manica del golf blu. “Qual è il problema, Eff?” chiese dolcemente Alexander senza troppi giri di parole.
Vittoria esitò un attimo. “Ho fatto un casino, papà..” disse con voce fioca sull'orlo del pianto. “Ho fatto un casino e me ne sono già pentita!” Vittoria si buttò tra le braccia del padre singhiozzando: lui l'accolse con un abbraccio caldo e premuroso, come farebbe un padre che veramente tiene alla propria figlia. “Shh...” sussurrò Alexander mentre le accarezzava i capelli morbidi.
Vittoria tornò seduta e con il trucco completamente sciolto sul viso guardò il padre, che le osservava gli occhi, come per rimediare a tutto quel tempo in cui se li era persi. “E se lo amassi anche io, papà? Che devo fare, io non lo so!” mise la testa nelle mani, singhiozzando, mentre Alexander le cinse con il braccio la spalla e le baciò la testa.
“Solo il fatto che te lo stia chiedendo vuol dire che sai già la risposta” Accarezzò un'ultima volta i capelli di Vittoria e si alzò dal letto per poi andarsene. Eff alzò lo sguardo nel momento in cui il padre pronunciò quelle parole: tutte quelle domande, e la risposta stava proprio al loro interno. Rimase seduta senza muovere un muscolo per minuti interminabili; finalmente tutti i pezzi erano tornati al loro posto, formando un'immagine diversa, inaspettata, ma perfettamente chiara.
Con uno scatto felino Vittoria si alzò dal letto, si sciacquò la faccia e si precipitò fuori di casa, cominciando a correre come al solito quando le sue domande trovano finalmente una risposta.


Notaaaaaaaaaaaaare bene: 
Allooooora, vi è piaciuto?! :D Finalmente la zuccona qua fa 2+2="sono innamorata", yeee! 
Ringrazio tutte le fantastiche ragazze che continuano a seguire la storia. Di nuovo, non ho idea di numeri e robe varie, quindi non posso dirvi grazie per le 35487365837 visualizzazioni e cose così, e sinceramente non mi importa nemmeno(: 
Purtroppo il prossimo sarà l'ultimo capitolo, e spero di renderlo memorabile. Lo devo soprattutto a voi che avete seguito questa storia sin dall'inizio. 
Grazie ancora, 
un abbraccio e tante caramelle, 
vichi. 

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Capitolo 15
*** 15. Perfezione ***


 


Nel frattempo era cominciato a piovere e il vento si era fatto più pungente. Né la grandine né il gelo invernale sarebbero riusciti a fermare Vittoria dalla sua corsa. Non chiuse nemmeno la porta dopo essersi precipitata fuori di casa: lasciò che il vento la facesse sbattere più volte alle sue spalle senza darle troppo peso. Vittoria si stava infilando la giacca in fretta e furia mentre correva fuori della staccionata, quando Rebecca si affacciò all'entrata di casa e urlò il suo nome: “Vittoria! Dove stai andando? Sta diluviando!” Ma fu come se non avesse mai detto niente: nella testa di Eff echeggiavano le parole del padre e nient'altro. Rebecca sospirò e scosse la testa dopo aver chiuso la zanzariera della porta mentre osservava la sorella correre via lungo il viale di tigli illuminato dalla luce tenue dei lampioni. “Cosa devo fare io con te...?” disse a bassa voce in un sospiro e abbassando la testa; una mano le si posò sulla spalla: alzò lo sguardo e il sorriso del padre le stava dicendo chiaramente di fidarsi e di lasciarla andare. “Sta facendo la cosa giusta” disse Alexander togliendo la mano dalla spalla e posandola sulla testa della figlia poco più bassa di lui.
Vittoria stava percorrendo di corsa l'intero viale che separava casa sua dalla Central High: circa una decina di minuti a piedi, qualcosa di più forse, ma Eff correva talmente veloce che in pochi minuti che sembrarono secondi riuscì ad entrare nel parcheggio di scuola. Si fermò subito dopo il grande cancello arancione: era deserto, non c'era nessuno. Vittoria non aveva il fiatone, ma, nonostante ciò, le mancò il respiro per qualche secondo: non c'era un motivo preciso, lo avrebbe trovato il giorno dopo e gli avrebbe parlato a scuola, o fuori, da qualche parte. Non in quel momento, ma l'avrebbe fatto. Restò a guardare il parcheggio desolato per un po', mentre la pioggia le cadeva pesante sui capelli crespi. L'adrenalina che aveva acquistato dopo le parole del padre sembrava andarsene lentamente: avrebbe avuto di nuovo queste certezze la mattina? Conosceva troppo bene se stessa: sapeva che si sarebbe fatta sommergere di nuovo dalle sue infinite domande.

Vittoria alzò la testa in alto e lasciò che le gocce le cadessero sul viso e le portassero via un po' della tristezza che aveva cominciato a riempirle il petto. Deglutì quel boccone amaro, e si avviò verso casa, mentre la luce cominciava a lasciar spazio all'ombra tanto in cielo quanto nel suo cuore.
Era strano, ma la sua mente non aveva ancora realizzato il motivo della corsa appena fallita: era stato sì un gesto istintivo, e ormai c'aveva fatto anche l'abitudine, ma il perchè di quel gesto ancora non le era balenato in testa. Si fermò per un attimo quando questo pensiero le si accese come una lampadina. Guardava poco più avanti di sé: le sopracciglia aggrottate, la bocca rivolta verso giù. Stava pensando intensamente, stava cercando di mettere insieme i pezzi e fare quella benedetta addizione. Distese i muscoli facciali e lasciò che il suo viso prendesse un'espressione di meraviglia, di stupore: socchiuse la bocca e rilassò le sopracciglia. Il labbro inferiore tremò leggermente e poi sussurrò a se stessa qualcosa di incomprensibile.
Decise di fermarsi a metà strada e di sedersi su un muretto per riprendersi un attimo: passarono minuti interminabili, durante i quali Vittoria pensò letteralmente a tutto e a niente. In certi momenti tutto quello che riusciva a sentire e a decifrare era il silenzio; altre volte invece ripeteva quella frase in continuazione, per poi immaginarsi i suoi occhi trasparenti. Chiudeva gli occhi e vedeva lui, in qualche modo non si sentiva sola ma infondo lo era: era sola con il suo pensiero e la sua immagine, ma non poteva toccargli i capelli, non poteva sentire le sue mani fredde, e non sentiva il rimbombo della sua risata impacciata. Poteva immaginarsi tutto ciò, ma poi riapriva gli occhi e davanti a sé si apriva una grande strada bagnata e una piccola caffetteria che sembrava essere vuota. Non c'era traccia di lui, non era seduto al suo fianco come aveva promesso di fare sempre. Vittoria aveva bisogno del suo custode, e lui non c'era.
Guardò verso la caffetteria una volta in più e, quando si stava cominciando ad alzare per riavviarsi verso casa, lo vide. Vittoria rimase incantata, e mentre stava spegnendo il motore della sua Toyota, tutto ad un tratto il cuore cominciò a bruciarle di nuovo, ma per la felicità. Lo vide scendere dalla macchina lentamente: i ricci erano perfetti anche sotto la pioggia, e cadevano morbidi sopra all'occhio destro, così che non riuscì a vedere la mora dall'altra parte della strada, che nel frattempo era rimasta immobile, in piedi, a fissarlo. Harry fece per girare attorno alla macchina e mentre stava chiudendo la Toyota, alzò lo sguardo e incontrò quello di Vittoria. Si guardarono per alcuni secondi, poi Harry tornò sui suoi passi e si avviò verso la caffetteria.
Vittoria sgranò gli occhi, incredula: non poteva andarsene, l'aveva cercato fino a pochi minuti fa e ora che l'aveva trovato lui la ignorava? Scosse la testa arrabbiata, ma con una gioia recondita infondo al cuore: si mise a correre, di nuovo, e non passarono cinque secondi che era già arrivata alla macchina blu. Harry sentì i passi sull'asfalto bagnato e quando si girò trovò il corpo di Vittoria avvinghiato al suo e non solo: le labbra di Vittoria spingevano forte su quelle di Harry, come per scaricare tutta l'adrenalina che in mezzo minuto le era tornata a galla. Poco dopo Vittoria allontanò il viso e fissò quegli occhi verdi e quel sorriso angelico che piano piano cominciò ad aprirsi davanti a lei. Vittoria si sentì improvvisamente strana: i battiti del cuore erano sperduti in ogni millimetro del suo corpo, la testa girava lentamente; sentiva di doversi riavvicinare a quel viso, di nuovo, come una calamita, ma restò a fissarlo e si perse in quel mare caraibico nonostante fosse una piovosa giornata di novembre. Tutto attorno a lei si era magicamente annullato. Riusciva forse a sentire il ticchettio della pioggia sulla strada, ma nient'altro: c'era solo il suo sorriso, più luminoso che mai, mentre la testa continuava a girarle imperterrita. I pensieri di Vittoria si fermavano di colpo, poi riprendevano a correre vorticosamente nella sua mente, senza una logica ben precisa, ma infondo non dovevano avercela. Quello era puro istinto: niente logica, niente ragione. Quella era l'apice di emozioni che Vittoria potesse mai raggiungere: era inebriante, tuttavia la confondeva, le faceva perdere l'equilibrio, ma tutto questo le dava una sicurezza e una felicità mai provata prima. Non avrebbe mai pensato di trovare una risposta a tutte le sue domande nella più totale confusione; eppure era così. Era dunque quello l'amore? Era confusione? Era istinto allo stato puro? Vittoria non lo sapeva, e in realtà non le importava nemmeno. Ogni singola parte del suo corpo sembrava essere staccata dall'altra, le sembrava quasi di volteggiare, eppure stava semplicemente osservando lo stesso viso di sempre: le stesse ampie fossette, gli stessi occhi trasparenti, le stesse labbra rosa e lo stesso sorriso smagliante. Era sempre lui, il suo custode, ma in quel momento era qualcosa di più: era ciò che la teneva salda a terra, era la sua risposta, era confusione, era ciò che stava cercando, era Harry. Era amore.
Passarono istanti interminabili, poi il sorriso di Harry si spense e lentamente avvicinò il suo viso a quello di Vittoria sfiorando le sue labbra dolcemente. Tutte le convinzioni di Vittoria da una parte crollarono, ma dall'altra vennero confermate ulteriormente; teneva le mani attorno al collo di Harry e poteva sentire in lontananza un suono magico, il battito del suo cuore che andava a fondersi con quello di Vittoria. Venivano cullati dal vento e dalla pioggia grigia d'autunno mentre le loro labbra continuavano a danzare felici.
Vittoria continuava a tremare e a non capire niente; era emozionata e felice: il volto le si era tinto di un rosso tenue dalla gioia. Le loro bocche si staccarono dolcemente come si erano incontrate; una lacrima scese timida dall'occhio destro di Vittoria, ma Harry mise la mano fredda sulla sua guancia bollente, e con una carezza le tolse la lacrima che scendeva lentamente sul viso.
“Penso che potrei amarti anche io, forse...” riuscì a dire Vittoria a mezza voce con il labbro tremante.
Harry le sorrise dolcemente e prese il suo viso tra le mani avvicinandolo lentamente al suo; incatenò i suoi occhi a pochi centimetri di distanza da quelli di Vittoria, e senza staccare lo sguardo dal suo disse: “Ti amo, tigre. E non mi importa se non sei sicura: io ci sarò comunque, per sempre. Che tu lo voglia o meno, sarò sempre il tuo custode.”
Le iridi verdi di Vittoria si inumidirono improvvisamente. Mentre Harry avvicinava le loro labbra con una carezza, Vittoria chiuse gli occhi e cominciò a piangere un fiume di lacrime, che, felici, cominciarono la loro discesa lungo le guance rosate mentre la pioggia iniziò a cadere più violentemente sui loro volti.
Si strinse ancora di più al collo di Harry per assaporare con tutta se stessa quel momento che sembrava essere, in tutto e per tutto, la perfezione.  


Notaaaaaaaaaaaaaare bene: 
Lo so che non è lungo come gli altri, e la cosa è stata fatta apposta(: non chiedetemi perchè, non che non avessi altro da dire.. insomma se fosse per me vi racconterei vita morte e miracoli di questi due, ma in realtà penso che questo sia il finale che merita la storia, bello o brutto che sia(:
Ora, non riesco ancora a realizzare che sia finita questa ff. E' stata la mia prima storia e posso dire di esserne soddisfatta, sia personalmente ( quindi a prescindere dalle recensioni e roba varia ), ma anche da voi ragazze. Alcune di voi hanno seguito questa storia con così tanto affetto e passione che... è davvero commovente! Leggere le vostre recensioni, vedervi emozionare per ogni episodio... E' stato fantastico. 
Non saprei che altro dire... Spero che vi sia piaciuto come finale, ovviamente. Mi ricordo ancora ai primi capitoli che un sacco di ragazze dicevano "Si beh ma io voglio che accada qualcosa" e vi ho fatto aspettare quattordici capitoli per questo benedetto bacio ( corrisposto, ovviamente! ). Ci ho messo il cuore, tutte le emozioni che sono riuscita a tirarci fuori, e spero davvero, DAVVERO, di essere riuscita a trasmettervi tutto l'amore che corre tra questi due ragazzi. 
Vi lascio qua, ma sentirete ancora parlare di me (?) qui su efp, perchè creare una storia è stato davvero meraviglioso, e voglio senza dubbio rifarlo. 
Se volete potete aggiungermi su Twitter: Bufi9o (è una "o" non uno zero xD) , così potete vedere quando mi deciderò a postarne un'altra ( non chiedetemi quando, non ne ho idea xD ) 
Ringrazio ancora tutte le mie lettrici, siete state fantastiche. Vi ringrazierei ad una ad una ma poi faccio casino e se mi dimentico qualcuno son guai! Quindi sappiate solo che vi ringrazio infinitamente ( è la terza volta che lo dico in una riga e mezzo,bene! ) e che vi mando un sacco di baci e abbracci ! ( si e anche Haribo *tira* ) 

Con affetto, vichi. 

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