Rules of attraction

di Vanderbilt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Paradise ***
Capitolo 3: *** One more thing ***
Capitolo 4: *** All at once ***
Capitolo 5: *** I promise you... ***
Capitolo 6: *** Engines ***
Capitolo 7: *** It is what it is ***
Capitolo 8: *** Non esistono coincidenze ***
Capitolo 9: *** Aria di cambiamenti ***
Capitolo 10: *** Provare a... ***
Capitolo 11: *** It's not the end ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

"L'unica ragione per cui la vita vale la pena di essere vissuta è l'amore."

 

Nella vita ci sono cose per cui vale la pena vivere, altre per cui vale la pena sperare, altre ancora per cui non c'è nulla se non un'esistenza vuota.

Quando nella vita non si ha un obiettivo, non si vive per nulla e nessuno, qual è lo scopo che si vuole raggiungere? Perchè si va avanti?

Ognuno di noi vive per qualcosa: carriera, amore, affetto, desideri, obiettivi. Non c'è nessuno al mondo che non spera in nulla, non sarebbe umanamente possibile non avere sogni nel cassetto, e questo ci porta a condurre una vita sempre alla ricerca di qualcosa. A volte si trova, altre no. C'è chi è fotunato e chi è sfortunato.

Io, Isabella Swan, finalmente, ho trovato il mio scopo nella vita.

Ho sempre pensato di vivere per la mia carriera, mai idea fu più sbagliata! Ma questo lo pensavo prima, prima di tutto, prima di lui.

L'amore è l'unica cosa per la quale la vita vale la pena di essere vissuta. E non importa quando arriva, quanto tempo ci si mette per accorgersi che non bisogna lasciarsi sfuggire quel sentimento così magico che rende il mondo più bello e pieno di colori. L'importante è arrivarci, trovarlo, capirlo e lagarlo a sé per non farlo mai fuggire via.

Sì, sono troppo ottimista dopo aver scoperto sulla mia pelle quanto l'amore possa cambiarti, sconvolgerti la vita. Ma in fondo, il pessimismo a cosa porta? A far vedere quanto il mondo sia orribile, quanto schifo ci sia in giro. Ed io ero proprio così, pensavo al mio lavoro, a non compromettere mai, in nessun modo, il mio promettente futuro, scartando tutto ciò che di bello si metteva sul mio cammino. Stavo per rifare questo errore madornale, ma qualcuno ha capito che ne avevo bisogno, mi ha aperto gli occhi e ringrazierò per sempre quell'angelo che se ne è reso conto prima di me e che non si è mai arreso.

La possiblità di essere stata vicina a perdere tutto mi fa ancora sentire male e scatena un dolore sordo che non avrei mai voluto provare in tutta la mia vita.

Cosa avrei fatto se fossi andata dritta per la mia strada senza ascoltare il mio cuore? Mi sarei persa la cosa più bella della mia vita, l'unica cosa per la quale ora vivo: l'amore con la A maiuscola.

Quindi, se ora dovessi dare un consiglio a qualcuno, dopo aver provato sulla mia pelle tutto ciò, direi sicuramente di lasciar perdere tutto il resto e di concentrarsi sul sentimento più potente che esista, l'unico in grado di cambiare il mondo, l'unico che manda avanti tutto.

Sbagliate, provate, fate tutto ciò che volete, ma alla fine ritroverete l'amore per qualcuno, che sia un uomo, una donna, un animale... Non importa, trovatelo, cercatelo, fate in modo che sia vostro. Vivete, non trascinate la vostra vita, abbiate un'obiettivo, un legame che vi fa andare avanti, non per inerzia, non perchè siete costretti. Trovate il vostro scopo nella vita e questa sarà più bella e degna di essere vissuta.

Arriverò alla fine della mia vita, quando ripenserò a tutte le esperienze che ho vissuto e con chi, non dovrò pentirmi di nulla, non dovrò avere rimpianti, perchè sarà troppo tardi. Se si seguirà sempre il proprio cuore e la propria testa non ci si potrà mai pentire di nulla, perchè in quel momento era ciò che desideravi fare.

Per questo non mi pento di essere uscita allo scoperto, di essermi in parte rovinata la carriera: possiedo il mio scopo nella vita, ciò che nessuno potrà mai capire perchè non vive in me.

 


Buonasera a tutti! Avevo detto che a settembre sarei tornata ed infatti eccomi qui per vostra sfortuna XD
So che questo prologo non dice molto sulla trama della storia, ma spero lo stesso che qualcuno lo apprezzerà, tengo molto a questa storia.
Non mi aspetto di certo molte recensioni, avete ragione a pensare che non vale nemmeno la pena scrivere una recensione per un prologo di una pagina, che non contiene poi molto.  Comunque spero che qualcuno abbia voglia di scrivere una piccola recensione e farmi sapere cosa ne pensa, accetto anche critiche e un eventuale "datti all'ippica" XD
Il primo capitolo è già pronto, lì ci sarà un po' di contenuto e informazioni su che piega dovrebbe prendere la storia. Posterò il prima possibile, se la storia piacerà anche lunedì.
Vorrei ringraziare SerenaEsse che mi ha betato il capitolo a massima velocità e per il fatto che mi sopporta continuamente e mi sprona a continuare a scrivere. Senza di lei non avrei mai pubblicato, questa storia è dedicata a lei. Dovete leggere tutte le sue storie, sono stupende! Le ultime due che ha postato sono Loveless e I'm yours
Bene, dopo aver scritto le note più lunghe del capitolo direi che posso eclissarmi! No, un'ultima cosa e poi giuro che vi lascio in pace! Io e SerenaEsse abbiamo appena indetto un contest, se volete farci un salto questo è il link Il nastro rosso.
Un bacio a tutti!

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Capitolo 2
*** Paradise ***


Paradise

When She was just a girl
She expected the world
 Coldplay, Paradise  

Per cinque lunghi anni la mia vita aveva sempre preso il ritmo di quella di mio padre. Perchè? Perchè lui era il mentore, il mio capo. Colui che mi ha insegnato tutto ciò che so del mio lavoro.

Charlie Swan, noto regista di fama internazionale, è mio padre.

A diciotto anni, finite le scuole superiori, iniziai a prendere in considerazioni di seguire le orme di mio padre.

Da sempre avevo trascorso infanzia e adolescenza seguendolo nei vari set dei suoi film, incuriosita da quel mondo strano ad una bambina, ed iniziai ad apprendere tutto ciò che potevo. Crescendo iniziai ad aiutare mio padre nel suo lavoro, sempre come assistente o aiuto regista e da lì presi in considerazione la mia idea di diventare io stessa regista.

Poco prima di iniziare il liceo ne parlai a mio padre, ma lui non mi prese sul serio spiegandomi che era l'unica realtà che conoscevo, per questo pensavo di poter trascorrere la mia vita sui set dei film. Si dovette ricredere quando, finiti gli studi, non presi in considerazione l'idea di andare al college e specializzarmi in qualcosa che mi appassionava. Capì che la mia passione era la sua e iniziò a insegnarmi tutto ciò che poteva, anche se non abbandonò mai l'idea di convincermi a fare altre esperienze lavorative, e se proprio insistevo nello stesso campo.

Purtroppo la recitazione non mi piacque per nulla, non mi trovai a mio agio con il mio partner, e non per problemi di timidezza, non sapevo nemmeno cosa significasse quell'emozione. Provai anche a scrivere sceneggiature, ma anche quel campo fu una delusione: io desideravo stare dietro la cinepresa, dirigere un film e dargli la mia impronta personale.

A quel punto mio padre smise di farmi provare nuove esperienze e accettò con entusiasmo la mia decisione. Mi portò in tutti i set dove dirigeva un film, mi fece persino provare a dirigere alcune scene sotto le sue direttive e, in cinque anni, imparai tutto ciò che mi insegnò. A volte, scherzando, mi chiamava "spugna", per la mia capacità di assorbire anche il più piccolo consiglio.

Per i primi due anni non mi fece sentire tutte le pressioni e le responsabilità che una professione come la sua esigeva. Mi tenne sotto una campana di vetro, facendo filtrare anche la più piccola dose di emozioni. Voleva farmi sentire prima le emozioni positive e ciò che si provava sapendo di stare per realizzare un fantastico film.

Per questo, allo scadere dei due anni legati alla positività, rimasi parecchio interdetta quando mio padre mi spiegò come stava cercando di addestrarmi. Sì, fu proprio quella la parola che usò. Sembrava di stare di fronte ad un generale dell'esercito che spiegava ai cadetti come procedeva la loro formazione militare. Comunque, arrivò a spiegarmi che da quel momento in poi sarei entrata nel vivo della professione da regista.

Iniziò gradualmente a farmi sentire sulla mia pelle l'ansia e il nervosismo di riuscire a fare un buon lavoro, mantenendo comunque una facciata di finta tranquillità e serenità. L'intera troupe non poteva permettersi di sentire che il loro capo, colui che mandava avanti tutto sentiva il peso del suo lavoro.

Ovviamente per me fu diverso, non ero io la regista, ma sentii lo stesso una certa affinità con i sentimenti di Charlie. Lui non voleva deludere i suoi fans e le persone che tenevano molto alla sceneggiatura del film. I più difficile e carichi di aspettative, però, erano quelli tratti dai vari best-seller. Le persone appassionate del libro si aspettavano grandi cose e zero sconvolgimenti al livello di trama. Lì il regista teme di deludere tutti e fare fiasco con il suo film. Purtroppo non tutti si rendono conto che la trama, la base su cui si posa il film e i vari sconvolgimenti di scene, non devono essere attribuiti al regista, ma solo allo sceneggiatore, colui che scrive il copione. Il regista, quindi, decide solo come girare le scene scritte e che impronta dargli.

Infine, dopo aver provato sulla mia pelle sia gli aspetti negativi della posizione del regista, che quelli positivi, mio padre volle parlare con me per capire che cosa avevo deciso dopo quei lunghi cinque anni. La mia decisione non cambiò nemmeno di una virgola: volevo diventare come lui, una grande regista, la prima a dirigere un film in giovane età, l'unica a differenziarsi dalla massa.

Nella mia vita non avevo sempre voluto fare la regista. Da piccola, quando frequantavo molto meno l'ambiente lavorativo di mio padre, quindi intorno a quattro o cinque anni, sognavo di diventare una principessa. Non mi era mai mancato nulla, ma forse l'assenza di papà a causa del suo lavoro, mi fece desiderare di avere una figura maschile tutta per me, un principe azzurro come quello delle favole, che non mi avrebbe mai lasciata sola. Il mio papà era sempre stato il mio idolo, la persona da prendere come esempio e mi mancava troppo quando passava lunghi mesi lontano da casa, per questo mia madre a volte lo convinse a portarmi con sè.

Mia madre... Renèe era morta quando io ero molto piccola; ricordo molto poco di lei, se non nulla. Morì quando avevo sei anni, il suo aereo precipitò nel pacifico, mentre stava andando a trovare papà. La fortuna volle che io il giorno della partenza presi l'influenza e non potei partire con lei. Papà aveva bisogno del suo sostegno per la premiere del film dall'altra parte del mondo, in Giappone e così la pregò di lasciarmi con la nonna Marie, sua madre, e di raggiungerlo.

I mesi a seguire furono devastanti, o almeno secondo ciò che mi raccontò mia nonna Marie. Papà non smise mai di incolparsi per la morte della sua amata moglie, l'unica che aveva mai amato. Ancora oggi al suono del nome di mia madre, i suoi occhi si velavano, diventavano cupi, tristi e pieni di sensi di colpa. Non volle mai parlare dell'incidente aereo che portò via Renèe. Non posso dire che negli anni non mi abbia mai parlato di lei, anzi, fin da piccola mi raccontò sempre di lei, non voleva che la dimenticassi, anche se il ricordo della sua persona era sfocato, sapevo tutto di lei e mio padre diceva sempre, con un impeto di orgoglio, che le assomigliavo.

Negli anni non si era mai risposato, ma una relazione che potesse considerarsi all'altezza di questo nome. Quando gli chiedevo perchè non si fosse mai ricostruito una famiglia, lui mi rispondeva sempre che nessuna era Renèe. Mi faceva sempre commuovere notare quanto intenso fosse stato il loro amore, quanto fosse ancora presente, ma anche quanto male aveva fatto a mio padre la sua scomparsa.

Dal canto mio mi mancò sempre una figura femminile, che però era stata in parte presa da mia nonna Marie, la quale si comportò come una vera madre nei miei riguardi. Renèe mi mancò per i primi anni dopo la sua scomparsa, mi disperavo per la sua assenza; a quell'età non comprendevo perchè non poteva tornare più a casa da me e papà, in parte la incolpai per non essere stata presente e me ne pentii quando iniziai a capire il valore e il vero significato della parola morire.

Mio padre dalla morte di mia madre si dedicò completamente a me, non mi fece mancare nulla dal punto di vista affettivo, ma sopratutto non mi affidò a babysitter. Mi crebbe lui stesso, anche se con molti sforzi dovuti agli spostamenti e alle trasferte per girare i suoi amati film, riuscì a non dimenticarsi di avere una figlia. Sicuramente fu questa sua totale devozione nei miei confronti a determinare la mia nei suoi. Per me, mio padre, rappresentava tutto ciò che volevo diventare io stessa, con la sua morale, la sua sensibilità e il suo amore.

Fu tutto ciò a determinare ancora di più la mia passione per il cinema? Sì, molto probabilmente sì.

Ed ora eccomi qui, a realizzare il mio sogno: dirigere un film.

Tre mesi prima avevo finito il mio tirocinio, sotto la direzione di mio padre. Quando lui stesso mi confermò di essere pronta, iniziai a mettere in moto le mie ricerche per produrre il mio film.

In poco tempo avevo trovato il produttore e tutta la troupe di cui necessitavo. La trama del film era una bozza, successivamente perfezionata dallo sceneggiatore.

La parte più dura iniziava ora: mi aspettavano i casting. Si erano presentati in molti ai provini e quindi avevo un'ampia scelta, che sicuramente si sarebbe assottigliata sempre di più dopo le performance.

Avremo iniziato a girare il film tra esattamente due mesi. Non c'era molto tempo, le cose andavano di fretta in questo campo e tutto doveva essere perfetto, mio padre doveva essere orgoglioso di me. Questa era la cosa più importante.

 

Abitavo in una villetta a Beverly Hills, Los Angeles. La casa era un regalo di mio padre. Non trovava giusto che a ventidue anni non avessi ancora la mia indipendenza, così pensò bene di darmi un piccolo rifugio tutto mio. Il problema era che Charlie non aveva un gran senso delle misure e quindi il suo regalo era una mega villa da divi di Hollywood, con tanto di piscina, cinque camere da letto, comprese di bagni, salone, cucina, stanza fitness e tante altre stanze abbastanza inutili, tranne il mio amato studio, che conteneva la mia amata collezione di libri. In tre anni mi abituai a stare sola e a badare completamente a me stessa, non c'era più nessuno che pensava ai pasti, a sistemare la casa, la mia stanza o tenere sotto controllo l'amministrazione.

Di certo a papi non mancavano i soldi e di conseguenza neanche a me, ero cresciuta nel lusso, ma ero una persona molto umile, come mi aveva insegnato ad essere Charlie.

Erano esattamente le otto del mattino e tra meno di due ore sarei dovuta andare sul set per iniziare le audizioni. Speravo solo di trovare presto l'intero cast e non impiegarci più di un mese, come era già successo per i film di mio padre.

Mi preparai velocemente, ma con cura. Indossai dei pantaloni neri eleganti, delle scarpe dal tacco vertiginoso, che adoravo letteralmente, e infine una maglietta abbastanza casual. Infilai nella borsa la lista degli attori che si sarebbero presentati quella mattina ed uscii di casa, diretta verso il garage.

Nel pomeriggio sarei dovuta passare a casa di mio padre per prendere Muffin, il mio piccolo cane fantasia che per questioni di orari avevo preferito lasciare a casa del nonno, almeno non si sarebbe sentito solo.

Le strade di Los Angeles stavno iniziando a popolarsi, con vari ingorghi nelle zone più trafficate. Per fortuna non ci misi molto ad arrivare sul set, dove mi aspettavano già i miei due assistenti: Jasper ed Alice, due personaggi nel vero senso del termine. Li trovavo a litigare di continuo, ma sapevo che in fondo si amavano, anche se non volevano dimostrarlo a tutti e il loro continuo essere cane e gatto faceva parte del loro modo di essere. Erano adorabili vederli stuzzicarsi con frecciatine sarcastiche per tutta la giornata, poi, all'ora di tornare a casa, prendersi mano nella mano sorridenti e tornare a casa.

Jasper era il mio aiuto regista, mentre Alice si occupava di tutto ciò che riguardava gli attori e gli arredamenti di scena. Era una vera stylist-design.

«Alice, Jasper, buongiorno» li salutai raggiante. «Come state?».

«Oh, bene, perfetto!», mi rispose Alice in modo sarcastico. Vidi Jasper alzare gli occhi al cielo e capii che l'umore nero di Alice riguardava il suo compagno. Soffocai un risolino nel constatare che avevano già litigato di primo mattino. I loro soliti battibecchi che si risolvevano con un semplice bacio.

«Sono contenta di sapere che va tutte bene», risposi sorridendo. «Avanti Alice, cosa c'è che non va questa mattina?».

«Nulla, solo che... Jasper non vuole che io assista ai casting! Dice che è meglio se mi porto avanti con la progettazione dei costumi, ma tu sai che finchè non vedrò gli attori che interpreteranno i vari personaggi non posso iniziare nulla! Devo prendere ispirazione da loro!», urlò Alice irritata. Non potevo darle torto, sapevo come funzionava il suo lavoro.

«Andiamo, Alice! Perchè devi sempre fare un dramma di tutto?», gli rispose altrettanto irritato Jasper. Io mi gustai in silenzio la scena. Forse ero un tantino sadica, ma loro due erano una continua fonte di divertimento.

«E tu perchè non vuoi che io assista ai casting?», domandò a sua volte Alice. Jasper abbassò gli occhi e diventò rosso dall'imbarazzo. Ahi, qui gatta ci cova!

«Be', per nulla in particolare». Jasper cercò di rimanere sul vago.

Alice, conoscendolo bene, cercò di fargli sputare a tutti costi la verità, finchè Jasper esasperato non sbottò: «Sono geloso, okay? Non mi va che tu assista a tutti i provini maschili!». Ad Alice si illuminarono gli occhi. Corse verso Jazz e lo baciò dolcemente, sussurrandogli qualcosa mentre staccava le sue labbra da quelle del suo compagno.

Mi sosprese molto la gelosia di Jasper. Lui era un bellissimo ragazzo, alto, abbastanza muscolo, con capelli biondo miele e occhi castani. Non aveva nulla da inviadiare agli attori che si sarebbero presentati al provino, visto che lui stesso poteva essere scambiato per un modello. Tutto il contrario, invece, era Alice. Lei era piuttosto bassa, toccava appena il metro e cinquantotto, aveva un fisico snello e minuto, capelli nero corvino e occhi altrettanto scuri. Aveva dei lineamenti talmente fini da far sembrare il suo viso come quello di una bambola di porcellana. Insomma, tutto il contrario di Jasper. Ma insieme era talmente perfetti, una coppia ben assortita.

Distolsi lo sguardo dalle loro effusioni abbastanza intime e mi incamminai verso la stanza dove si sarebbero tenuti i provini, con il mio bicchiere di tè in mano. Il modo migliore per iniziare la giornata era una bella tazza di tè al limone, o in sostituzione un bel bicchierone.

«Ehi Isabella!», mi salutò il tecnico delle luci. Ormai avevo preso confidenza con tutte le persone che nei prossimi mesi avrebbero lavorato con me. Mi piaceva conoscere a fondo la mia troupe ed entrare in confidenza con loro, la stessa cosa speravo si instaurasse con gli attori che avrei scelto per le parti.

«John», ricambia continuando ad attraversare il set in fermento. Stavano costruendo tutte le scene di cui avremo avuto bisogno.

Arrivai nella stanza delle audizioni e la prima cosa che vidi fu la videocamera posizionata su un piedistallo e le sedie messe dietro. Avremo ripreso tutte le performance, scegliendo alla fine i più adatti ai ruoli, ma scartando dal principio chi a priori non mi convinceva.

Mi sedetti su una sedia vuota, vicino alla telecamera. Tirai fuori dalla borsa i fogli che contenevano tutti i dati degli attori che si sarebbero presentati in mattinata. Oggi avremo iniziato con le audizioni per i due personaggi principali.

Ero sola nella stanza, dovevano ancora arrivare il cameraman, che avrebbe ripreso i provini, Alice e Jasper, più la persona che si sarebbe premurata di accompagnare gli attori in sala e fuori dagli studi.

Dopo qualche minuto vidi arrivare sorridenti i miei assistenti, segno che ormai la burrasca era passata, subito seguiti da altre due persone: Emmett, il cameraman, e una ragazza di cui non ricordavo il nome e che avrebbe assistito gli attori.

«Bella!», esclamò Emmett dirigendosi subito verso di me per salutarmi con un caloroso abbraccio.

Conobbi Emmett sul set di uno dei film di mio padre, esattamente quattro anni fa. All'epoca anche lui stava affinando le sue doti sul set e subito facemmo amicizia. Quando iniziai a progettare questo mio film lo chiamai, volevo che facesse parte della mia troupe, era molto professionale e bravissimo nel fare il suo lavoro, uno dei migliori in circolazione e si stava già facendo una discreta fama, grazie ai film di successo a cui aveva contribuito a realizzare.

«Ehi! Da quanto tempo non ci vediamo?», dissi ricambiando l'abbraccio. Mi allontanai per osservarlo meglio, era quasi un anno che non lo vedevo, ma non era cambiato per nulla.

Emmett aveva trent'anni, cinque anni più di me. La sua prestanza fisica parlava già da sé: aveva un fisico possente, dovuto a ore e ore passate in palestra a faticare, ed era alto un metro e novanta. I suoi capelli castani potevano sembrare neri da quanto erano scuri, e creavano un magnifico contrasto con i suoi occhi azzurro cielo, limpidi come le giornate estive.

«Troppo, Bella, troppo», mi rispose ridendo. Lui era sempre stato allegro e solare, mai una volta di malumore o triste per qualcosa o qualcuno. Avevamo parlato più volte di come riuscisse sempre ad essere ottimista e vedere in una prospettiva positiva anche le disgrazie. Secondo Emmett non c'era spazio per il pessimismo e la malinconia, la vita era una sola e andava vissuta a pieno, senza farsi prendere dallo sconforto per ogni minima cosa. Mi ripeteva continuamente che c'erano cose ben più gravi nella vita, la salute e la morte erano le uniche per cui valeva la pena lasciarsi andare allo sconforto, il resto non poteva essere messo a confronto con simili eventi.

In parte sapevo che aveva ragione, eppure nella vita ognuno è sempre preso dai propri drammi, che a volte se confrontati con qualcosa di ben più grave appaiono semplici stupidaggini. Ad esempio perdere un cellulare, la rottura di un computer, per me può rappresentare una vera disgrazia, che mi causa tristezza e depressione. Ma se questo fatto fosse messo a confronto con persone che non possono permettersi nemmeno da mangiare, quindi figuriamoci un pezzo ultimo modello della tecnologia avanzata, mi vergogno perfino di provare malinconia per simili cose.

«Allora, quando arrivano questi fortunati attori che lavoreranno con la piccola Swan?», mi chiese Emmett scherzando. Da quando le persone della troupe di mio padre vennero a sapere che anche io volevo diventare regista, nel nostro mondo io presi il soprannome di "piccola Swan", per distinguermi meglio da mio padre e far notare le mie radici. Non mi disturbava questo soprannome che mi avevano affibbiato, visto che coloro che lo avevano inventato erano persone a cui ero molto affezionata, peccato che poi iniziarono a usarlo tutti in poco tempo, ma ormai mi ci ero abituata.

«Arriveranno a momenti, quindi tieniti pronto, si inizia!». Appena finii di parlare la ragazza di cui non ricordavo il nome, Clary, mi disse che alcuni attori erano già iniziati e quando poteva farli entrare. Diedi il mio consenso ed ecco che arrivò il primo attore: Nicolas Hawkins, un ragazzo timido e un po' impacciato, che non mi convinse del tutto già a primo impatto.

Il ragazzo recitò abbastanza bene, certamente poteva migliorare molto, ma non mi convinse per nulla sotto il ruolo per cui aveva fatto il provino e quindi tirai una riga sul suo nome.

«Grazie per essersi presentato signor Hawkins, la contatteremo al più presto per farle sapere l'esito del provino. Arrivederci», disse Clary accompagnandolo fuori dalla stanza. Dopo poco ritornò con un'altra candidata.

La ragazza, Rosalie Hale, già dalla presentazione dimostrava carattere. La sua voce era chiara e decisa, senza il minimo segno di imbarazzo. La parte che recitò, da protagonista principale, era perfetta per lei, le calzava a pennello.

Notai Emmett rimanere incantato da lei. Be', la signorina Hale non passava di certo inosservata. Aveva il fisico di una indossatrice, alta e con le forme al punto giusto. I suoi capelli erano di un biondo chiarissmo, quasi platino e aveva dei bellissimi occhi azzurro ghiaccio. Insomma, una ragazza che tutti si giravano a guardare per strada.

«Signorina Hale», la chiamai, interrompendo la sua performance. «É stata bravissima, un provino eccelletente». Mi congratulai con lei.

«Grazie mille».Rosalie mi sorrise riconoscente prima di uscire dalla stanza.

Appena uscii Emmett mi rivolse uno sguardo allucinante, sembrava spiritato e la sua voce non fu da meno: «Bella, devi assolutamente prenderla per il ruolo! Lei è... è perfetta!».

«Sì, Emmett, ha fatto un provino a dir poco magnifico, ma ci sono ancora altre ragazze che si presenteranno per questo ruolo e voglio prima vedere ancora qualcuna di loro, poi deciderò, comunque non perdere le speranze», gli risposi ammiccando. Lui allargò ancora di più il suo sorriso – non pensavo fosse possibile.

Si presentarono altri dieci attori quella mattina, ma nessuno di loro mi convinse pienamente. Nel pomeriggio altri quindici fecero il provino e alcuni li presi seriamente in considerazione. Per quel giorno le audizioni erano finite, ma ci aspettavano ancora due giorni molto più pieni di quelli precedenti. Speravo solo di trovare il protagonista maschile.

Nel pomeriggio passai a casa di mio padre per prendere Muffin. Quest'ultimo appena mi vide iniziò a scondinzolare e a girare intorno alle mie gambe. Mi accucciai e lo presi in braccio, era minuscolo.

«Allora, come è andata oggi?», mi chiese Charlie sorseggiando una tazza di caffè nero. Mi sedetti vicino a lui con Muffin e presi un biscotto dal tavolino in cristallo posto di fronte al divano.

«Non male, ho trovato qualcuno di interessante, ma voglio aspettare di vedere tutti quelli che si presenteranno, poi deciderò». Spezzai il biscotto al cioccolato bianco e ne diedi un pezzetto al mio cucciolo, che mi guardava con gli occhi illuminati alla vista del dolce: era un golosone!

«Bene, un giorno di questi verrò ad assistere al tuo lavoro da regista», blaterò. Oddio, con lui sul set mi sarei innervosita parecchio, volevo sempre dare il massimo e far vedere di essere brava nel mio lavoro, ma con mio padre presente e che non mi faceva più da insegnante, dovevo cercare di tenere l'agitazione sotto controllo. Non avrei mai voluto deluderlo.

«Okay», risposi sorridendo. Parlammo del più e del meno fino all'ora di cena, poi decisi di rimanere almeno per fargli compagnia. Era da tanto che non cenavamo insieme, lui era appena tornato da un viaggio di lavoro e io ero sempre occupata per nella progettazione del film.

«Sai, Emmett ti manda i suoi saluti, dice che non vede l'ora di lavorare con il grande Charlie Swan», gli dissi ridendo. Mio padre rimase contagiato dalla mia risata e presto si mise a ricordare quando conobbe Emmett sul set.

L'aveva preso sotto la sua ala e lo aveva ingaggiato per vari suoi film; molto del suo successo, Emmett, lo doveva a mio padre, che negli anni gli aveva dato una mano a inserirsi in quel mondo dove una raccomandazione era un biglietto di sola andata verso la vetta del successo. Era brutto dirlo, era brutto che quel mondo girasse esattamente così, ma questa era la realtà dei fatti, lo sapevo io e lo sapevano gli altri.

A volte mi capitava di pensare al mio futuro e a quanto fossi stata fortunata durante tutta la mia vita, tranne che per la perdita di mia madre. Forse se non fossi stata la figlia di un noto regista, non avrei mai pensato di fare io stessa questo lavoro, o se fosse successo, molto probabilmente alla mia giovane età non sarei riuscita ad inserirmi così bene ad Hollywood. Ma si sa, in quel posto contava solo da dove venivi, non chi eri. Per questo io avevo un motivo in più per riuscire a diventare una nota regista e distinguermi dalla massa, non perchè ero la figlia di Charlie Swan, ma perchè ero davvero spettacolare nel mio lavoro.

«Tra due settimane ci sarà la serata di beneficienza dell'associazione di tua nonna», mi ricordò. «Se vuoi puoi portare anche qualcuno del set, più siamo meglio è». In effetti l'idea non era male, sarebbe stata l'occasione adatta per conoscerci tutti un po' meglio, visto che dovevamo lavorare insieme per parecchi mesi. Meglio ancora se ci sarebbero stati gli attori, se nel frattempo li avremo trovati, ovvio.

«É un'ottima idea, papà. Tra due giorni finiremo le prime audizioni, sperando di trovare già il cast al completo. Dopo darò gli inviti a tutti quelli che saranno liberi». Sapevo che in questo modo lo avrei reso contento, amava condividere tutto con me e sapere che io ero sempre lì, pronta ad appoggiarlo. «Dove si terrà? Al solito posto?», chiesi bevendo un sorso d'acqua.

«Sì, sai che tua nonna adora le abitudini, non cambia mai nulla di ciò che fa continuamente». Nonna era sempre stata ferma e decisa in ciò che faceva, le piaceva la routine e non cambiò mai, nemmeno ora che ha novant'anni. Ricordo che da piccola, quando passavo le settimana a casa sua perchè papà lavorava e mamma non c'era più, ogni giorno si alzava allo stesso orario, eseguiva i soliti riti: bagno, camera, cucina e poi passava a curare il giardino. Mi piaceva quella quotidianità, mi dava un senso di pace e serenità, non sconvolgeva il mio equilibrio già instabile.

La serata passò in fretta, parlammo molto e fu la serata migliore da molti mesi. Era da tempo che non passavamo una serata insieme, un rito per noi, visto che non stavamo separati a lungo, avevamo bisogno del sostegno l'uno dell'altra e poi raccontavo tutto a mio padre, nulla gli sfiggiva e nulla volevo tenergli nascosto. Era un po' il mio migliore amico, solo più maturo, adulto e con esperienze che mi servivano come consigli.

Arrivò l'ora di rientrare a casa, la mattina dopo avrei avuto gli altri provini e non potevo presentarmi distrutta a causa delle ore di sonno perse.

Purtroppo non potei portare Muffin a casa, non avevo messo in conto di avere in programma un'altra giornata piena e, sopratutto, sul set. Per ora non potevo portarlo con me, era troppo piccolo e avrebbe fatto dei danni irreparabili, rosicchiando tutto, come già faceva a casa qualche volta.

Una volta a casa mi feci una doccia rapida, bella calda, e volai a letto. Sentivo le gambe pesanti a causa della giornata trascorsa con i tacchi ai piedi e l'acqua bollente non mi aveva dato alcun sollievo; forse dovevo usare l'acqua ghiacciata, lì si che mi sarei ripresa.

Mi svegliai di buon ora e quindi feci tutto con la necessaria calma per iniziare bene la giornata. Odiavo andare di fretta già alla mattina, mi metteva di malumore.

Essendo in anticipo mi vestii con tutta la cura possibile, indossai una gonna attillata che mi strizzava letteralmente il didietro, ci abbinai un top e ovviamente i soliti tacchi vertiginosi, anche se diversi da quelli del giorno prima. Ero una fanatica dello stile? Sì.

Mentre ero in macchina iniziai a pensare seriamente al film che stavo per realizzare. La storia era ancora da definire, ma a grandi linee si trattava in una storia romantica e drammatica. Mi chiedevo spesso se il cast che avrei scelto sarebbe stato all'altezza di questi due generi opposti che componevano il film.

Appena arrivai mi intrattenni a parlare con alcune persone della troupe, ma dopo un quarto d'ora dovetti scusarmi e andare nella sala dove si tenevano le audizioni.

Emmett era già alla sua postazione e parlava con Alice e Jasper. Mi videro e subito partirono con le domande su chi avessi scelto nei provini di ieri, in realtà Emmett voleva solo sapere se avessi deciso di prendere Rosalie Hale nel cast. Non risposi e loro mi diedero della snob che se la tira, ovviamente sempre su un tono sarcastico e scherzoso.

«Signorina Swan», mi chiamò la ragazza addetta all'orientamento degli attori per i provini. «Il primo attore è arrivato in anticipo, lo faccio già entrare?».

«Sì, Clary, fallo pure accomodare», confermai.

Mi diressi in fondo alla stanza per prendermi una bibita fresca. Sì, erano le nove e io avevo voglia di bermi una Coca Cola! Per prendere la bottiglietta di vetro mi girai, dando le spalle alla porta. Sentii l'attore entrare e mi girai per salutarlo educatamente solo che, una volta visto, mi mancarono le parole.

Il ragazzo che ebbi di fronte era indescrivibile. Non riuscivo a trovare parole adatte che rendessero a pieno la sua persona. Aveva capelli castano ramati, disordinati e sparati da tutte le parti. Chissà se al tatto risultavano morbidi e setosi o crespi. Propendevo più per la prima opzione.

I suoi occhi erano di un colore intenso, verde prato che illuminavano il suo viso pallido. Aveva la pelle molto chiara da risultare quasi trasparente. I suoi tratti forti gli donavano un'aria matura, ma si poteva constatare benissimo che il ragazzo doveva avere più o meno la mia età. Alto, snello... Insomma, un bel ragazzo! Forse il tipico attore hollywoodiano arrogante e presuntuoso, che pensa gli sia tutto dovuto? Probabile visto il suo aspetto. Certo, era sbagliato giudicare le persone a prima vista e puntare il dito, ma in fondo siamo ad Hollywood, qui nessuno si distingue dalla massa, perlomeno non gli attori. Loro si presentano in modo sfrontato, recitano una parte e poi pensano che la parte sia loro per il loro aspetto da latin lover.

Be', era proprio questo che cercavo di evitare nella scelta del cast. Volevo qualcuno che emergesse dalla massa, con personalità e passione nel suo lavoro. Purtroppo questo ragazzo non mi sembrava nulla di ciò che avevo appena elencato.

Lo vidi fissarmi intensamente per poi aggrottare la fronte. Forse si era accorto della mia radiografia? Non potevo averlo osservato per più di un minuto esatto!

Mi avvicinai con la bibita in mano e mi sedetti di fianco al cameraman. Aspettai che si presentasse, ma lui non aprì bocca, così per stemperare la tensione intervenni. Guardai prima la sua scheda, per memorizzare il nome e poi presi a parlare: «Signor Cullen, per che ruolo si presenta?» No, fermi tutti! Avevo letto bene? Cullen?! Rincontrollai il foglio e spalancai gli occhi. Conoscevo bene questo cognome e per ovvi motivi! L'avevo visto recitare in un film indipendente, non ricordavo il titolo, fatto sta che la sua interpretazione di un ragazzo infermo mi colpì molto. Era stato emozionante, tragico, ma sempre con quella linea sottile di carisma e ironia. Aveva reso il personaggio qualcosa di unico e irripetibile.

Be', a quanto pare mi ero sbagliata a giudicarlo a primo acchitto. Bene, mi aspettavo da lui una performance eccellente.

«Joe Blake», mi rispose. La sua voce era bassa e suadente, quasi ammaliante e per un attore possedere una voce del genere era una vera e propria manna dal cielo.

«Bene, inizi pure», confermai sedendomi comodamente per godermi l'audizione, che sapevo sarebbe stata emozionante visto il ruolo per cui si presentava.

Inizialmente c'era una parte di narrazione esterna affidata proprio al protagonista principale, appunto Joe Blake. Questo personaggio maschile che avevo creato era complesso oltre ogni limite. Joe era un giovane uomo con un passato felice e semplice fino alla morte della fidanzata, Jasmina, per mano di uno stalker. Joe si incolperà sempre per la morte di Jasmina e non si darà pace finchè giustizia non verrà fatta. Il film sarà proprio basato sul viaggio di Joe alla ricerca di vendetta sia contro lo stalker che contro la polizia, coloro che avevano archiviato il caso come un semplice incidente.

Si avvicinò di qualche passo, posizionandosi di fronte alla telecamera accesa e iniziò a leggere il monologo. La voce di Cullen mi incantò subito, era qualcosa di emozionante, si sentiva il dolore nel raccontare la morte di Jasmina ed era commuovente. Mi sentii trasportata in un'altra dimensione, come se tutto il resto scomparisse e mi trovassi immersa nelle sue parole, riuscivo a immaginarmi la scena come se la stessi girando io stessa e capii che lui era l'attore perfetto per interpretare Joe.

«... morta. Nessuno poteva restituirmi Jasmina, ma io potevo fare ancora qualcosa per lei. Il suo fantasma mi perseguitava ovunque, i suoi occhi mi imploravano e i suoi sussurri chiedevano vendetta. Era la mia immaginazione o lei c'era davvero? Era lì con me a patire il mio eterno dolore? Non lo sapevo, forse era frutto della mia immaginazione, il mio subconscio mi stava dando ciò che un maledetto mi aveva tolto... eppure sentivo che lei era ancora con me, non mi aveva abbandonata, non stava in quella tomba fredda, ma qui nella nostra casa con me. Era la sua essenza...». Edward finì il monologo sospirando, alzò lo sguardo e quando notò il mio colmo d'ammirazione; mi sorrise imbarazzato alzando solo un angolo della bocca. Nei suoi occhi notavo un certo grado di malizia, mentre non accennava a lasciare il mio sguardo, ormai legato al suo.

Emmett si schiarì la voce interrompendo il nostro dialogo muto. Si scusò e mi avvisò che sarebbe tornato tra cinque minuti. Avevo capito il suo intento solo quando uscendo mi aveva fatto l'occhiolino. Conoscendolo aveva pensato subito a qualcosa che non comprendesse il lavoro, ma sapevo che mi lasciò sola con Cullen per confermagli l'entrata nel cast. Quando rimanevo entusiasta di una persona, sapendo di non poter trovare un attore migliore, confermavo subito il suo ruolo nel film. E così feci per Edward.

«Signor Cullen...», iniziai.

«Edward», mi interruppe lui.

«Come?», chiesi confusa.

«Mi chiami Edward», mi rispose scandendo lentamente il suo nome, come per far si che lo memorizzarsi scrivendolo nella mia memoria. «Anzi, propongo di darci del tu, in fondo siamo coetanei». Nella sua frase, accompagnata dalle sue occhiate penetranti, c'era qualcosa di non detto. Un mistero che comprendeva solo lui. Be', le sue occhiate non lasciavano spazio all'immaginazione, sembrava apprezzare la mia persona.

«Giusto, concordo con lei... cioè con te!», mi corressi subito. Le abitudini erano dure a morire. «Comunque, se hai qualche minuto vorrei parlarti a proposito della tua performance».

«Certo, dove e quando vuoi». Okay, la nota maliziosa nella sua voce me l'ero immaginata? Lo studia e notando il suo sorriso beffardo capii che non mi ero sognata nulla, ci stava provando questo mascalzone!

Voleva sedurmi per facilitarsi l'entrata nel cast? Ma se non sapeva nemmeno chi fossi realmente!

Cercai di rimanere professionale e non farmi coinvolgere dallo strano giochino che cercava di fare: «Bene, sediamoci pure».

«Edward, la tua audizione è stata a dir poco straordinaria, sei un ottimo attore e con delle credenziali niente male. Ho deciso di scegliere te per il ruolo di Joe Blake. Tuttavia ci sono alcune dinamiche della registrazione di cui dovrei parlarti prima che tu possa firmare il contratto», aspettai un suo cenno per continuare. «Il film verrà girato in varie parti del mondo, a partire dal nostro paese, fino ad arrivare in Australia. Potremo stare via molti mesi, ancora non abbiamo date precise».

«Per me allontanarmi da qui per mesi non rappresenta un problema. Dimmi solo quando devo passare per firmare il contratto». Edward era un uomo deciso, non tentennava mai, sapeva sempre cosa rispondere.

«Ti farò contattare dal mio assistente al più presto. La prossima settimana il contratto dovrebbe essere pronto», confermai. Vidi Edward confuso con la fronte aggrottata e lo sguardo perso.

«Tutto bene?», chiesi preoccupata dal suo silenzio.

«Sei tu la regista?», mi domandò guardandomi negli occhi.

«Sì, qualche problema?». Forse ero stata un tantino aggressiva, ma ero stufa degli uomini maschilisti che appena sentivano che una donna svolgeva un determinato lavoro avevano sempre da ridire! Una donna poteva fare tutto! Dov'erano le proibizioni di lavori femminili? Nel ventunesimo secolo simili pregiudizi non dovevano esistere. Punto.

«No, no, era solo per avere una conferma. Sei molto giovane per fare la regista, quindi pensavo fossi un assistente e...». Si bloccò sotto il mio sguardo rabbioso.

Per la mia età ero da catalogare ad un ruolo non importante all'interno di una troupe? Okay, anch'io avevo giudicato Edward dall'aspetto e forse non dovevo prendermela nemmeno così tanto, ma visto che la situazione non mi era nuova non potevo ignorare i suoi commenti.

«Sorvoliamo su quello che hai appena detto!», dissi fumante di rabbia repressa non indirizzata solo al ragazzo che avevo di fronte.

«Sei ancora più bella quando ti arrabbi», affermò maliziosamente scoppiando a ridere sotto il mio sguardo attonito.

«Tu sei... Potresti cercare di rimanere professionale?». La sua affermazioni mi aveva anche lusingata, non potevo negarlo, ero pur sempre una donna a cui veniva fatto un complimento da un uomo attraente. Ma io pretendevo di restare in ambito professionale. I mesi a venire sarebbero stato lunghi e la nostra collaborazione era essenziale per la buona riuscita del film. Non volevo rovinare tutto con delle battutine che potevano creare situazioni di tensione!

Edward notò la mia determinazione e tornò serio, per quanto il sorrisetto malizioso che gli era comparso sulle labbra lo consentisse. Alzò le mano in segno di resa e si alzò.

Lo imitai avvicinandomi per stringergli la mano professionalmente.

«Ci rivedremo presto Edward. Ti farò sapere tutto al più presto», dissi afferrando la sua mano tesa.

Non appenai le notre pelli entrarono in contatto sentii un formicolio piacevole espandersi oltre le nostre mani. La sua presa era salda e forte e la mia piccola mano scompariva dentro la sua.

Mi staccai immediatamente, come scottata, e turbata mi allontanai di qualche passo fissando degli attrezzi scenici dietro di lui.

«Non vedo l'ora di rivederti...»

«Isabella», sussurrai senza guardarlo.

«... Isabella».

Edward se ne andò sotto il mio sguardo accigliato.

Mi aspettavano ancora quattro ore di provini, sperai solo di non capitare in un'altra situazione simile, altrimenti non sarei arrivata viva a casa e Muffin aspettava la sua mamma tutta intera, possibilmente con tanto di facoltà mentali. 



Questo capitolo ha svelato qualcosa in più rispetto al prologo, dove si capiva poco o tutto, come molti di voi mi hanno fatto notare. Non ho molto da dire, penso che il capitolo parli da sé. Ho notato che è un po' pesante, mi è stato fatto notare a dire il vero, comunque non avevo il tempo necessario per riscriverlo, posso solo promettervi che il prossimo nonn sarà così, ovviamente se continuerete a seguirmi e lo spero davvero! 
Bella, ci tengo a specificare, può sembrare una ragazza snob che ha sempre vissuto nel mondo di Hollywood, ma pian piano scopriremo anche altri lati del suo carattere, meno cinici. Edward, invece, è un personaggio tutto da scoprire; sono curiosa di sapere che impressione vi ha dato in questo capitolo, vi sembra un presuntuoso? Un ragazzo che cerca di sedurre Bella per arrivare in cima? Aspetto i vostri pareri, per me sono molto importanti (be', penso che sia così per tutte le autrici XD). Fatevi sentire, ditemi se la storia vi piace o se la detestate, insomma qualsiasi cosa!
Questa storia sarà leggera, niente di drammatico, è la mia prima long fic e spero di fare un buon lavoro.
Il capitolo è betato da SerenaEsse, che come al solito ha fatto un ottimo lavoro e sopportato i miei scleri continui grazie tesoro! Ne approfitto per ribadire che io e Serena abbiamo creato un contest su Twilight, Il nastro rosso, se volete darci un'occhiata ;)
La canzone che ho messo a inizio capitolo l'adoro, a voi piacciono i Coldplay?
Non so quando arriverà il prossimo capitolo, purtroppo lo studio mi impegna un bel po', ma cercherò di non farvi aspettare molto!
Alla prossima!
Kiss

 

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Capitolo 3
*** One more thing ***


One More Thing...

And the only way to do great work is to love what you do. If you haven't found it yet, keep looking. Don't settle. As with all matters of the heart, you'll know when you find it. And, like any great relationship, it just gets better and better as the years roll on. So keep looking until you find it. Don't settle. [...] Stay hungry. Stay foolish.

Steve Jobs

 

Le audizioni finirono esattamente una settimana dopo aver trovato i protagonisti principali, ovvero Rosalie Hale ed Edward Cullen. Per una volta la fortuna era stata dalla mia parte.

Rosalie passò qualche giorno dopo a firmare il contratto, mentre Edward lo aspettammo invano. Chiamò il mio agente in serata, dicendogli che il giorno dopo sarebbe passato.

Sperai solo di non aver nessun tipo di incontro ravvicinato con lui. Quel ragazzo mi faceva uno strano effetto. Già dalla sua audizione mi ero ritrovata incantata dalla sua voce, ma una volta che si presentò concretamente non seppi più che fare. Era riuscito a mettermi in difficoltà. Ero sempre stata una persona molto coerente, con sani valori morali, almeno io mi ero sempre vista così. Quindi, trovarmi davanti un uomo con cui avrei dovuto lavorare in futuro che flirta volontariamente, era una cosa che non potevo accettare. Non volevo mettere in discussione la mia posizione sul set. Essendo una donna il rispetto era essenziale e sapevo di dovermi fare il doppio del mazzo per non essere presa sottogamba. I rapporti di lavoro dovevano rimanere ben distanti dalla vita privata, una linea di divisione invisibile ma percepibile.

La carriera per me era tutto ciò che avevo e che contava nella mia vita. Il mio obiettivo non era altro che affermarmi nel mio campo professionale. Desideravo una famiglia? Sì, forse, se l'opportunità si sarebbe presentata, altrimenti ne avrei fatto a meno, mi sarei concentrata per il resto della mia vita nel lavoro. E sì, ero cinica e pensavo solo al mio lavoro, ma quando non si ha nulla per cui desiderare una vita diversa, su cosa si può contare? Non volevo, semplicemente mi stava bene così; mi piaceva il mondo in cui vivevo, certo non le varie gerarchie e il codice invisibile su cui si basava questo mondo a sé, ma anche questo faceva parte degli aspetti positivi e negativi: non sempre nella vita si può avere tutto ciò che si vuole. Ero stata fortunata.

Sul set ero riuscita a ritagliarmi il mio spazio; l'ufficio dove avevo collocato la mia postazione era modesto e abbastanza spoglio, del tutto diverso da ciò a cui ero abituata. Era necessario per parlare con le persone della troupe e organizzare al meglio le cose, non sempre potevo portarmi il lavoro a casa, c'erano regole di copione che anch'io rispettavo.

In quel momento mi trovavo esattamente sul set, nel mio ufficio a leggere tutte le mete del film. Erano molte. Quando lo scrissi non mi aspettavo un film del genere, con così tanto lavoro da fare, pensavo a qualcosa di più semplice, ma questo era quello che ne era venuto fuori e non potevo che esserne orgogliosa.

La mattina precedente avevo inviato a tutto il cast i biglietti per partecipare alla serata di beneficienza. Era importante per mio padre e mia nonna, nonchè per me. Volevo fosse una serata particolarmente fruttuosa, i soldi servivano per i malati della sindrome di Hunter, una malattia rara le cui cure erano molto costose.

Dovevo ancora pensare a come vestirmi per la serata, non potevo scegliere un abito a caso, ero la co-fondatrice dell'associazione, quindi troppo in vista per non considerare il mio aspetto esteriore.

Bella, ammettilo, desideri solo essere presentabile per qualcuno, mi suggerì una voce fastidiosa. Sì, forse nella mia testa c'era più di quanto volessi ammettere, ma non potevo! Questo era il punto!

La grande serata si avvicinava sempre di più.

Ad un tratto, persa nei miei pensieri, sentii bussare alla porta. Diedi il mio consenso e me ne pentii subito.

Edward si stava avvicinando con passo felpato, il viso rilassato e un sorrisetto malizioso disegnato sulle sue labbra sottili.

Osservai la sua andatura e il modo in cui prese posto sulla sedia posta di fronte alla mia postazione, poi allungò le gambe lunghe di fronte a sé.

«Ed ecco la mia regista preferita», mi disse Edward ammiccando maliziosamente. Che leccapiedi, pensai inviperita. «Allora, dove devo firmare?», chiese innocentemente, come se poco prima non mi avesse detto nulla.

Mi alzai irritata anche con me stessa per essere rimasta a fissarlo e presi le carte che doveva firmare da un mobiletto posto vicino alla sua sedia.

Mi guardò attentamente e dovette notare il mio comportamento strano, di certo non si lasciò sfuggire l'opportunità di commentare: «Isabella, ti vedo un po'... tesa, o sbaglio?». La domanda era retorica, ovviamente, il mio comportamento era talmente palese che commentarlo era adirittura superfluo.

«Non mi pare, tu credi?», risposi ironica.

Gli indicai gli spazi da firmare e mi rimisi seduta. Una volta finito lui non si alzò, anzi si accomodò in una posizione più informale e incrociò le mani sull'addome.

«Dì la verità, io ti metto a disagio», affermò sicuro della sua teoria del tutto errata e fuori luogo.

«No, non si tratta di questo», risposi evasiva fissandolo comunque negli occhi, di certo non mi feci intimorire dal suo atteggiamento sicuro e sfacciato.

«E di cosa allora? Non trovi la mia compagnia di tuo gradimento, principessa?». Non seppi esattamente il perchè, ma quel suo principessa non lo presi come un appellativo affettuoso.

«Ancora no, la situazione è molto più semplice di come vuoi farla apparire: non mi piace oltrepassare un determinato limite».

«Limite? Quale? Quello che ti imponi tu o quello che pensi di vedere? No, perchè io non vedo differenza tra me e te», concretizzò in modo fin troppo reale.

Il limite che vedevo io era quello che non poteva comprendere lui. La divisione che mi imposi fin dall'inizio del mio lavoro, che giurai di non oltrepassare, minacciava di essere spazzata via da quell'uomo prepotente, arrogante e ben poco disposto a vedere in faccia la realtà. Certo, aveva anche dei pregi, la spontaneità era tra questi.

«Abbiamo due posizioni differenti e non intendo oltrepassare la soglia della...». Non continuai la frase, ad alta volce risultava insensata anche perchè Edward non mi aveva fatto nessun tipo di proposta o avance troppo esplicite, semplici ammiccamenti e battutine a doppio senso.

«Della...?», continuò lui. Gli piaceva molto vedermi in difficoltà, lo potei notare dal suo ghigno stampato su quel bel viso.

«Sai, ho inviato a tutti un invito per una serata di beneficienza. L'hai ricevuto?». Cambiai argomento per non cadere in trappola. Perchè con Edward mi trovavo sempre in difficoltà? Cosa mi succedeva in sua presenza?

«Ti viene comodo cambiare argomento... per questa volta ci passerò sopra, ma stai certa che non ricapiterà, ottengo sempre quello che voglio, Isabella, sempre», affermò con un tono inusuale, basso e con una sfumatura di insoddisfazione. «Comunque sì, ho ricevuto l'invito e verrò. Non vedo l'ora», proseguì maliziosamente. Sarebbe stata una serata difficile, molto difficile.

«Bene, allora ci vediamo venerdì», risposi incapace di ribattere alle sue provocazioni. Se fossi stata in un altro contesto non mi sarei lasciata sfuggire quell'occasione così ghiotta, ma lì non potei fare a meno di far finta di nulla. Edward trovava insoddisfacente la mia indifferenza, cercava un confronto diretto, che con la sottoscritta non avrebbe mai avuto. Non in quel momento.

«Certo», confermò alzandosi per avvicinarsi alla porta. «Isabella, ricordati che non potrai evitare per sempre di parlare con me. Prima o poi uscirà qualcosa da quella boccuccia che non vorresti. Chissà, potrebbe scapparti anche altro».

«Non contarci Cullen, i nostri ruoli sono ben separati, sarà molto difficile arrivare a quel punto e stai certo che le mie labbra non faranno uscire nulla», cedetti alla sua provocazione e vidi un sorriso disegnarsi sulle sue labbra. A quanto pare era quello il suo intento.

«Allora non sei così fredda e composta, ti infiammi anche tu, principessa, buono a sapersi». Prima che potessi rispondergli chiuse la porta dietro di sé.

O dio, ma perchè non potevo mantenere il mio controllo anche in sua presenza? Mi faceva uscire di testa e da sottolineare che fino a quel momento lo avevo visto solo due misere volte.

Prevedevo mesi difficili.

La serata di beneficienza arrivò, con tutta l'ansia e l'aspettativa di mia nonna Marie, l'entusiasmo di Charlie e ovviamente il mio perenne nervosismo, che non mi aveva ancora abbandonato dall'ultimo incontro avuto con Edward.

Quell'uomo, ragazzo, mi faceva uscire di senno. Era attraente e il suo modo di fare mi coinvolgeva, non potevo mentire su questo. Ma, sì, perchè c'era un enorme ma, non potevo farmi coinvolgere da lui e dai suoi giochetti. Non potevo permettermelo e basta. Questa era una mia imposizione? Ebbene sì, lo era.

Edward, Edward, Edward... Era possibile non riuscire a pensare ad altro?

Mi stavo perdendo, ecco cosa stava succedendo. E io odiavo perdere il controllo delle mia vita, delle mie azioni e dei miei pensieri. Una vera e propria maniaca del controllo.

Staccare la mente, i pensieri su Edward... più facile a dirsi che a farsi!

Ripresi contatto con la realtà, uscendo dalla vasca e dirigendomi verso lo specchio con un asciugamano avvolto al mio corpo. Spazzai con la mano il vapore dallo specchio e rimasi a fissare il mio riflesso.

I miei capelli lunghi fino alla vita erano appiccicati alla mia pelle, fastidiosi oltre ogni limite e gli occhi scuri, rossi a causa dello shampo. Ero talmente sbadata che per poco non mi lavai i capelli con il bagnoschiuma. Inutile girarci intorno, quella sera stessa avrei rivisto Edward e sentivo che qualcosa sarebbe successo.

I miei capelli erano raccolti in uno chignon dall'aspetto disordinato, con qualche ciocca che sfuggiva a quell'acconciatura particolare. Il vestito era favoloso, assolutamente il tipo d'abito che ti fa sentire una principessa: nero, lungo con uno strato di pelliccia intorno al bacino e delle decorazioni dorate intorno a vita e collo.

Nessun gioiello ad accompagnare l'abito, tranne un bracciale, regalo di mio padre. Scarpe e pochette dorata ed ero pronta per la serata. Be', pronta era un parolone.

Alle sette in punto passò mio padre in limousine, avevamo deciso di andare insieme, tanto entrambi eravamo senza accompagnatori. Chissà se Edward... oh mio dio,che cosa triste e ossessiva associare continuamente un mio pensiero a quel ragazzo!

«Ehi papà», esclamai appena entrai in macchina. Lo osservai bene e notai quanto ancora fosse un uomo attraente e distinto. L'età avanzata gli aveva conferito ancora più fascino. Non che fosse un vecchietto, ma lui possedeva il fascino dell'uomo maturo, un bell'uomo maturo!

«Tesoro, sei splendida stasera. Farai girare la testa a molti uomini, ma vedrai che nessuno ti darà fastidio, c'è il tuo papà a tenerli a bada. Guai a chi tocca la bambina», mi rispose sorridente. Alzai gli occhi al cielo. Era solito definirmi ancora la sua bambina; non voleva che crescessi, me lo ripetè per diversi anni, poi si arrese all'evidenza. La sua battuta sugli uomini sapevo che aveva sempre un fondo di verità, era molto geloso della sua unica figlia.

«Vedrai che non dovrai combattere con nessuno», gli risposi sarcastica. Quella sera bene o male tutti sarebbero arrivati accompagnati, quindi non c'era nessuna possibilità per mio padre di divertirsi.

Le ultime parole famose, pensai mentre arrivammo nell'hotel dove si sarebbe tenuta la serata.

Appena scesi fui subito affiancata da mio padre, che galantemente mi offrì il braccio. Salimmo la scalinata senza fiatare, ognuno perso nei propri pensieri.

Una volta entrati trovammo subito nonna Marie in pole position, amava stare al centro dell'attenzione nelle sue imprese onorarie. Teneva molto alle sue associazioni di beneficienza e spendeva molte energie per far funzionare tutto.

«Isabella, Charlie, siete arrivati finalmente! Siete in ritardo!», ed ecco un rimprovero di nonna, i soliti alla fine dei conti, per lei la puntualità era tutto.

«Mamma, per favore...», si lamentò papà. Venne fulminato da Marie in un modo che definirei solo truce e affilato, tanto che io da brava nipote misi su la faccia più dolce che possedessi, capace di far sciogliere la nonna ad una sola occhiata. E così successe, papà capì l'antifora e mi guardò come per darmi della traditrice.

Mi allontanai sorridendo soddisfatta nell'aver evitato la solita predica della nonna. Mi avvicinai al mio tavolo e notai varie bevande sopra, dalle più semplici fino allo champagne Krug Clos de Mesnil - di certo nonna non badava a prezzi, non quando finanziava anche Charlie.

Ad un tratto sentii una leggera carezza sul braccio e un respiro caldo soffiarmi nell'oreccio: «A cosa devo tutti questi sorrisi, principessa? Posso forse sperare che tu mi abbia visto entrare?», mi chiese. Sapeva che non lo avevo nemmeno notato e quindi lo presi come un leggero rimprovero per averlo ignorato, anche se involontariamente.

Prima che potessi rispondere continuò la sua frase, con una lusinga che mi fece sì, piacere, ma anche irritare con me stessa, in quanto la mia etica ferrea e rigida non mi permise di godermela: «Questa sera sei splendida, principessa. Appena sei entrata, molti uomini si sono girati a guardarti».

«Farò finta di aver sentito solo questa tua seconda affermazioni», dissi conscia dell'irritazione che gli avrei procurato.

«Non posso crederci, la principessa di ghiaccio è tornata», affermò sprezzante. Mi girai per fronteggiarlo e, toccata nel vivo, mi infervorai ancora di più.

«Non mi conosci Cullen, quindi non giudicare!», risposi a tono. Ero brava nell'apparire una perfetta stronza.

«Non c'è bisogno di conoscerti per vedere come sei. Non riesci neppure a sorridere per una battuta! Non mi sembra di averti fatto proposte indecenti». Il suo tono pungente mi ferì più di quanto non volessi ammettere a me stessa. Riusciva a toccare corde di me che nessuno prima d'ora era riuscito a fare. Buon segno? No, no di certo!

«Non ancora», sussurrai sperando di non essere sentita.

«Be' principessa, quelle le noti solo tu. Vedi doppi sensi in tutto... chissà se hai ragione», lanciò una frecciatina e se ne andò. Rimasi per un attimo immobile. Le sue parole non avrei mai potuto dimenticarle, essere definita la principessa di ghiaccio non era certamente un complimento. Pensava che non provassi emozioni solo perchè con lui cercavo in tutti i modi di mostrare un lato del mio carattere che quasi nessuno conosceva. Con tutti mi comportavo in maniera sensibile, scherzavo ed ero sempre disponibile, ma in sua presenza proprio non ci riuscivo. Qualcosa in me si bloccava e per non oltrepassare un limite ben preciso, mi imponevo un determinato atteggiamento come difesa.

Nessuno aveva fatto caso a ciò, forse Alice col tempo avrebbe notato qualcosa di strano. Lei era l'unica che potevo considerare un'amica, per quanto quella definizione mi fosse sconosciuta per gran parte della mia vita. Non avevo mai avuto amiche femmine, l'invidia era un'arma potente nel sesso femminile, poteva annientarti ed essere usata in modo spregevole. E con me era successo.

Forse mi sarei dovuta scusare con Edward per il mio comportamento ostile e freddo. Sì, da persona matura qual ero, dovevo assolutamente chiarire questo disagio. Così feci, solo che non andò come sperai fin dal principio.

La serata era ancora all'inizio, nella sua fase di transizione, dove tutti chiaccheravano tra loro e facevano nuove conoscenze tra l'élite hollywodiana.

Edward era insieme al resto degli attori che avevo invitato, ma appena vide che mi stavo dirigendo verso di lui si staccò dal gruppo, intuendo dalla mia espressione che la privacy sarebbe stata essenziale.

«La principessa di ghiaccio ha preso l'iniziativa e vuole parlare con il sottoscritto? Quale evento!», mi prese in giro Edward senza molti preamboli. Non sapeva nemmeno cosa volessi dirgli che lui subito partì all'attacco! Okay, me lo meritavo, ma feriva lo stesso.

«Mi dispiace per come... Senti, potremo parlare in un altro luogo?», chiesi conscia di avere attirato tutti gli sguardi curiosi del gruppo da cui Edward si era appena distaccato.

«Certo, prego», mi invitò con un gesto della mano a precederlo e io uscii dalla sala e andai in una affine con un bellissimo balcone.

Mi posizionai di fronte alla vetrata e osservai il panorama. Mille luci accecavano quasi gli occhi. Puntai il mio sguardo in quello del ragazzo che paziente aspettava delle spiegazioni.

Non sapevo come iniziare e quindi puntai sulle solite scuse: «Mi dispiace per come mi rivolgo a te. So di sembrare ostile e una vera vipera, ma ti assicuro che non sono così».

«Ma con me sì, perchè? Se ho fatto qualcosa di sbagliato...», si interruppe e rise allegramente. Si accorse da solo della bugia che non riuscì nemmeno a finire.

«Non si tratta di giusto o sbagliato, ma di ruoli ben precisi che abbiamo», spiegai suonando ridicola anche alle mie orecchie. Eppure la mia convinzione era fondata, il lavoro doveva essere ben distaccato da qualsiasi rapporto privato potessi avere.

«Lo pensi davvero?», mi chiese Edward suadente. Fece un passo avanti, rimasi ferma ad aspettare la sua prossima mossa, ma aspettò che parlassi e rispondessi alla sua palese provocazione.

«Sì, altrimenti non lo avrei detto, ti pare?». La mia voce era ferma e decisa, non diedi il minimo segno di esitazione.

«No, non lo pensi realmente», confermò Edward avvicinandosi ancora di un passo. Ormai lo spazio tra noi era esiguo.

«Che cosa ne sai tu? Vivi per caso nella mia testa?», lo provocai cercando di non sentirmi a disagio per tutta la situazione alquanto intima e inappropriata.

«Io so quello che vedo. Tu neghi certo, e sono sicuro che nella tua graziosa testolina è così, ma la realtà è ben diversa da quella che tu immagini. Sei attratta da me, ma neghi perchè hai paura. Di cosa devo ancora scoprirlo». Rimasi a bocca aperta dopo questo suo discorso e indietreggiai quando lo vidi avvicinarsi. Quella volta non riuscii a non essere intimorita dal suo sapermi leggere dentro. Un'altra cosa da aggiungere alla lista, oltre che ferirmi sapeva capirmi, un'arma a doppio taglio.

«Tu... non... no, no!», gridai colta all'improvviso da tutte le carte che si erano mostrate in un colpo solo. «Tra noi non ci sarà mai nulla e prima te lo metti fissi bene nella mente, meglio è per entrambi!».

«Principessa, stai perdendo le staffe! Non c'è nulla di male in tutto questo», confermò Edward, sicuro della sua tesi.

Alzò un braccio e con il dorso della mano mi accarezzò la guancia. Brividi mi percorsero la schiena e come scottata voltai il viso. Edward non si arrese e mi tenne il viso fermo, avvicinò le sue labbra alle mie, ma io mi riscossi dal mio immobilismo e staccai in tutta fretta le sue mani dal mio viso. Lo squadrai ancora una volta, scossa da come le cose fossero precipitate e poi scappai via dalla stanza. Edward non mi seguì, anzi non disse nemmeno una parola su tutto ciò. Si era per caso accorto dell'errore che stava per commettere?

Non potevo nascondere quanto in realtà quel bacio lo volessi con una disperazione tale da farmi quasi abbandonare a lui. Ma avevo trovato la forza per respingerlo, per far sì che nessuno dei due potesse pentirsi il giorno dopo. Al lavoro sarebbe stato inacettabile un simile imbarazzo.

Durante il resto della serata nessuno di noi due osò avvicinarsi all'altro. Mantenni una distanza di sicurezza, ma fu un susseguirsi di sguardi fugaci. Edward non smise un secondo di fissarmi o cercare di farmi capire quanto il mio atteggiamento lo disturbasse. Dal canto mio cercai di far apparire il mio sguardo impassibile, nessuna emozione doveva trasparire dal mio viso. Non sapevo nemmeno io cosa pensare e provare, una grande confusione dominava la mia mente.

A fine serata mi avvicinai a tutti quelli che avevano accettato l'invito: attori e troupe al completo. Li salutai ringraziandoli per aver partecipato e per le donazioni, ma evitai accuratamente di avvicinarmi troppo a Edward. Alice ed Emmett mi guardarono interrogativi, ma feci finta di nulla e augurai un buon weekend a tutti.

Tornai da mio padre esausta per tutte quelle emozioni contrastanti e gli dissi di non commentare ciò che aveva solo intuito.

 

Mentre tornai a casa ripensai a ciò che mi aspettava lunedì. Avremo iniziato le prove con il cast e mi preoccupava un po' lavorare a stretto contatto con Edward, ma da persona matura sarei stata molto professionale. Ma forse, in certe occasioni la professionalità non basta, di certo non quando c'era di mezzo il nome Edward Cullen. 



Ciao! Allora, come procede la settimana? Qualcuno di voi ha visto tutte le nuove clip e foto di Breaking Dawn? So che qualcuno preferisce non rovinarsi il film, io purtroppo non so resistere quando me li ritrovo sulla bacheca di Facebook! A proposito, per chi mi volesse aggiungere Vanderbit Efp =)
Innanzitutto vorrei ringraziare tutti coloro che mi seguono e che recensiscono, siete davvero dei tesori. Spero di risentirvi anche per questo capitolo ;)
Poi, per quanto riguarda il contenuto vorrei precisare due cose:
1) Bella ribatte sul suo ruolo, molto diverso dalla posizione di Edward. Non ho sbagliato a scrivere o altro, so che si ripete continuamente, ma è un punto essenziale per la storia, in pratica la base su cui si posa tutto l'atteggiamento di Bella.
2) Bella potrà sembrare superficiale, vipera, arrogante etc... ma fa solo parte di ciò che mostra a Edward. E' una persona, come tutti ha pregi e difetti. Eppure vi posso assicurare che è molto diversa, si può notare da come si comporta con gli altri della troupe. Comunque le cose cambueranno piano piano, ora è logico che dovevo partire da un punto e far vedere come Bella è realmente, altrimenti il prologo sarebbe stato fuori luogo ;)
Vorrei ribadire il contest creato da me e SerenaEsse: Il Nastro Rosso. Per tutti coloro che volessero partecipare, vi aspettiamo!
Non riesco a capire perchè le note sono sempre lunghissime O.o Eppure dimentico sempre qualcosa, bah xD
Aspetto i vostri commenti!
Kiss:***
Jessica (per chi me lo ha chiesto questo è il mio nome =D)

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Capitolo 4
*** All at once ***


ALL AT ONCE

Maybe you want her maybe you need her
The Fray, All at once

 

A volte ci sono cose che non vorremmo mai fare, eppure siamo costretti per raggiungere uno scopo. Io, il primo giorno di prove con il cast, avevo un netto rifiuto per tutto ciò che potesse riguardare quella giornata. Il mio cruccio aveva anche un nome: Edward Cullen, colui che mi stava facendo iniziare quella giornata così importante nel peggiore dei modi. E pensare che non era nemmeno presente, di certo non in casa mia, ma il suo pensiero bastava per farmi diventare matta.

Ogni due minuti avevo il tic di controllare l'ora, detestavo essere in ritardo, ma quella mattina era altro che mi portava a fissare in modo maniacale il mio orologio. Tra poco più di un'ora il mio incubo si sarebbe palesato ai miei occhi. Ero molto curiosa di vedere come si sarebbe comportato, ma anche timorosa di non riuscire a gestire quel suo approccio così diretto. Per la prima volta ero in difficoltà davanti ad un uomo ed era una cosa che mi mandava in bestia!

Mi preparai continuando ad avere quel fastidioso tic nervoso, le lancette dell'orologio sembravano non spostarsi mai, sempre fissi sullo stesso minuto.

Scelsi con cura l'abbigliamento, volevo fare una buona impressione sul cast. Per ora ci eravamo visti tutti molto poco, da quel giorno avremo iniziato a lavorare a stretto contatto. Volevo sembrare professionale, ma allo stesso tempo non una donna troppo austera. Insomma, qualcosa di distinto, ma semplice. Alla fine optai per un paio di pantaloni scuri, una camicia in seta e un paio di decoltè Christian Louboutin.

Presi Muffin e mi avviai verso il set. La strada era trafficata e ci misi un po' ad arrivare, riuscii ad essere in anticipo di soli pochi minuti e non la mezzora che avevo messo in conto.

Ad attendermi trovai Jasper ed Alice, che stavano nuovamente litigando per chissà quale "catastrofe imminente", così Alice spiegava i loro soliti battibecchi. Appena mi videro smisero subito di litigare, lanciandosi occhiate di fuoco e si misero nelle vesti professionali.

«Buongiorno!», salutai vivacemente.

«Di buon umore stamattina?», mi chiese Alice mentre mi porgeva il mio caffè macchiato.

Ripensai al risveglio di quella mattina, al mio cruccio più grande e non potei far altro che rispondere negativamente. Insomma era una bellissima giornata, il primo giorno lavorativo con i ragazzi del set, ma c'era quel piccolo particolare rappresentato da un uomo alquanto presuntuoso, che stravolgeva tutti i miei piani per quel mattino.

«Sono già tutti nella sala prove», mi informò Jasper, sempre attento e dedito al lavoro, il contrario della sua fidanzata, alla quale interessavano più i pettegolezzi di prima mattina.

«Perfetto, allora vado. Venite anche voi o mi raggiungete dopo?», domandai conscia che entrambi avevano del lavoro da fare prima di assistere alle prove.

«No, veniamo ora, così dopo ci occupiamo del resto senza interruzioni», precisò Jasper prendendo i copioni da distribuire agli attori e vari documenti che spettavano a me. Alice ci seguì in silenzio, sempre con quel sorriso allegro e vivace. Jasper si occupava anche di dirige il suo lavoro, o perlomeno la distribuzione delle ore lavorative, visto che era il mio assistente.

Prima di aprire la porta della sala prove respirai profondamente. Le occhiate di sconcerto che mi lanciarono Jasper ed Alice erano molto chiari, non capivano la mia agitazione.

Entrai nella stanza lentamente, osservando tutti e dispensando sorrisi sinceri. Tutti mi salutarono entusiasti del loro primo giorno di lavoro. Individuai subito Edward, l'unico ad essere tranquillo e ad avermi rivolto un semplice sorriso irriverente con tanto di sopracciglio alzato. La sua compostezza confondeva. Perché era calmo? Sapeva di stare per fare una prova eccellente? Troppa sicurezza in se stesso?

Bella, mi ripresi mentalmente, è inutile che cerchi di analizzare ogni suo comportamento.

Okay, forse stavo esagerando, ma dopo quello che era successo tra noi qualche giorno prima (due per la precisione, non che li contassi, ovvio) mi aspettavo un comportamento diverso, più distaccato e irritato.

La mia vita e il mio lavoro non potevano girare intorno a lui. Questa era un dato di fatto e dovevo cercare di ficcarmelo bene in testa.

Mi accomodai su una sedia, più o meno in mezzo a tutti loro e presi a fare le solite domande: come state, passate bene il weekend, agitati per questa nuova avventura, etc. L'unico sempre che non partecipò alla conversazione fu Edward. Lui rimase semplicemente lì a fissarmi con quel sorrisetto canzonatorio. Mi irritai non poco per la sua mancanza di partecipazione, nonostante avesse interloquito con qualche attore vicino a lui nel corso della nostra conversazione.

Quando l'ambiente fu riscaldato e ben più tranquillo che alla mia entrata, decisi di iniziare.

«Dunque, ora vi dico un po' il programma di questa settimana, ma in particolare di oggi», iniziai ricevendo l'attenzione di tutti. «Per tutta la settimana proveremo in questa sala, voglio vedere come riuscite ad amalgamarvi tra voi e se nel complesso iniziate a funzionare tutti insieme. Per la prossima settimana ci penseremo in seguito. Oggi ci dividiamo in gruppi, iniziamo a provare e poi dopo un tot di battute cambiate compagno di recitazione. Io vedrò di aiutarvi dove avrete problemi».

Ricevetti parecchie occhiate sconcertate per il mio metodo di lavoro e in effetti non avevano tutti i torti. Ma io avevo un mio metodo, volevo prima tastare il terreno e poi iniziare il vero e proprio lavoro, con tanto di prove abiti e quant'altro.

Dai loro visi notai che aspettavano la fine del mio discorso, ma io avevo già terminato. Li osservai muta e poi mi resi conto che erano troppo confusi da questo programma, quindi intervenni per stemperare il clima di sfiducia nei miei confronti: «So che vi sembrerà di essere a scuola, ma è necessario affinché io conosca oguno di voi e capisca come comportarmi. Questa settimana è solo una prova, certo un po' strana e del tutto nuova, ma prossimamente inizieremo a lavorare sul set come in ogni film. Per ora vi chiedo solo un po' di fiducia». Annuirono tutti, nessuno escluso e iniziarono a provare le battute tra loro.

Per due ore buone rimasi con il gruppo degli attori secondari. Erano bravi sì, ma anche abbastanza inesperti e quindi avevano bisogno di una guida. Aiutai volentieri ognuno di loro, nonostante il mio lavoro fosse dirigerli e non aiutarli a recitare, lo feci con piacere.

Dedicai altre ore spezzate ad altri attori, fino ad arrivare ai due protagonisti, che avevano recitato insieme per quasi tutto il giorno. Ascoltai in silenzio le loro prove e mi resi conto che non potevo fare scelta più giusta. Erano perfetti per quei ruoli.

Rosalie fu la prima a staccarsi da noi e andare a provare con un altro attore con cui avevano alcune battute. Per Edward subentrò qualcun altro e io stetti ad assistere anche a quelle prove. Poi passai mezzora con Rosalie, la quale si dimostrò entusiasta della mia collaborazione con lei. Infine l'ultimo rimasto fuori era Edward. Avevo rimandato questo momento con lui per ovvi motivi, tra cui le sue continue occhiate che mi seguivano in ogni spostamento. Non si rendeva conto di essere inopportuno?

Gli attori secondari se ne andarono e rimasero solo Rosalie ed Edward. Mi resi conto che lei stette lì a vuoto per una buona ora, fino a quando non fui io a darle il permesso di andare via, visto che ormai non aveva più battute da provare. Ed ecco che mi ritrovai con il mio incubo vivente.

«E così siamo soli», affermò Edward con un sorriso sinistro.

«Mmm», risposi emmettendo un suono irriconoscibile. Meno parlavo con lui di qualcosa che non riguardasse il lavoro, meglio era per entrambi.

«Che bel suono felino». Alzai di scatto la testa fissando trucemente quegli splendidi occhi verdi.

«Felino? Tu sei fuori di testa». Sorrise scaltro, per niente intimorito dal mio tono iroso.

«Allora mi parli ancora! E io che pensavo ad una sorta di mutismo monosillabico».

«Perché non dovrei parlarti? Stiamo lavorando insieme», risposi eludendo il vero significato di quella domanda.

«Non fare finta di non capire, so che sei molto più perspicace di quello che vuoi farmi credere», specificò innervosito dai miei continui tentativi di eludere le sue frasi provocatorie, perché sì, non erano altro che tranelli per farmi cadere nella sua trappola.

«Finiamo in fretta queste battute così possiamo uscire di qui e dichiarare concluso questo primo giorno».

«Sono distrutto, non credo di essere in grado di finire. Le battute ormai le so, hai visto che non ho problemi, quindi direi di accantonare il lavoro e parlare di cose più interessante», mi disse con un chiaro tono malizioso e provocatore.

«Bene, allora direi che anche io ho concluso la giornata», confermai alzandomi e raccogliendo le mie cose. «Ci vediamo dom...».

«Ferma», mi interruppe Edward. Il suo tono autoritario mi irritò. Io non prendevo ordini da nessuno, tanto meno da un arrogante, presuntuoso e provocatore come lui.

Mi voltai di scatto infuriata: «La prossima volta prova a chiedere le cose gentilmente e forse verrai accontentato, con questa arroganza stai certo che non riceverai un bel nulla!».

«Eppure nessuna si è mai lamentata, anzi a quanto mi hanno detto il mio lato arrogante è ciò che più le... affascina». Spocchioso, arrogante!

«Forse con le altre funziona, ma io non sono loro, quindi scordatelo!».

«Ogni volta tiri fuori gli artigli, principessa. Devo dedurre che ti faccio uscire di senno, posso azzardare la parola impazzire?», domandò prendendosi gioco di me e di ciò che gli avevo appena detto.

«No, non puoi!», risposi sgarbatamente e sempre più infuriata con lui e con il suo modo di riuscire a farmi impazzire.

«Invece, penso lo farò comunque», azzardò fissandomi con quel suo sorrisetto malizioso. «Ho un certo appetito».

«Ottimo, vai a cena!», risposi sgarbatamente iniziando a mettermi la giacca e fare qualche passo verso la porta.

«Io non ho specificato che tipo di appetito», mormorò vicino al mio orecchio. Mi voltai di scatto, sorpresa della sua vicinanza. Come diavolo aveva fatto ad essere stato così silenzioso e veloce? Peggio di un ghepardo che si avvicinava alla sua preda!

Mi allontanai leggermente da lui; non volevo dargli l'impressione che la sua vicinanza mi causasse qualche tipo di sensazione, ma nemmeno sembrare intimidita dalla sua persona.

Ero impacciata, non sapevo cosa fare, né come comportarmi. Ah, accidenti, sembravo una scolaretta alle prime armi con un ragazzo affascinante e seducente!

«Che dire, fattelo passare! Ciao, principe del deserto!». Feci la mia uscita trionfale, che fu rovinata sempre da Edward, che mi seguì fino alla mia macchina.

«Principe del deserto? E questa da dove ti è uscita? Sai, non sei molto originale con i nomi se devi copiare la metafora del mio», affermò deciso mentre infilai in macchina la mia roba e feci salire Muffin, che tranquillo si rannicchiò sul sedile destro. Mi appoggiai alla portiera chiusa e incrociai le braccia al petto, dopodiché assunsi la mia espressione più temeraria, con tanto di sopracciglio sinistro alzato.

«Che dire, ho notato che sembri sempre... a secco». Mi congratulai mentalmente per questa trovata a mio parere geniale. Chissà se ci sarebbe arrivato da solo.

«A secco?», mi domandò nuovamente Edward. Il suo viso esprimeva confusione e sorpresa, di certo non pensava che anche io potessi dargli un soprannome così originale. Certo, anche pervertito gli sarebbe calzato a pennello, ma non potevo cadere nel banale con lui.

«La puoi smettere di ripetere le parole delle mie frasi che non ti quadrano? Mi irrita!», esplosi esasperata dalla sua versione pappagallo.

«E tu potresti spiegarti e non essere così vaga, principessa?».

«Sei un maniaco, ecco la spiegazione. Ti comporti come se fosse da mesi che non vedi una donna», spiegai. Sorrisi quando notai le sue pupille dilatarsi dalla sorpresa e aprire la bocca sconvolto. Si riprese altrettanto in fretta, tanto da pensare di averlo immaginato, ma no, non avevo avuto un allucinazione.

«In effetti è da mesi che non vedo una donna come te. Che dire, principessa, mi hai rapito il cuore», disse teatralmente portandosi una mano su quell'organo che menzionò erroneamente. Gli credetti? No, nemmeno per un momento.

«Tsé... di solito queste moine e frasi fatte funzionano? No, perché mi dispiace molto darti questa notizia, ma con me questi trucchetti sono fallimenti». Mi staccai dalla portiera pronta ad entrare in macchina, dopo ovviamente aver ascoltato la sua risposta.

«Non mi credi, eh? La principessa di ghiaccio è tornata o sarebbe meglio dire che non se n'è mai andata», disse ironico con quella punta di asprezza. Mi ferì anche questa volta, non feci nulla per nascondere quanto le sue parole avessero toccato il mio animo, eppure mi diede fastidio il suo sguardo pentito.

Si avvicinò a me quel tanto che bastò a indurre a schiacciarmi contro la macchina pur di non avere un contatto fisico con lui. Non seppi come rispondere e puntai sull'ovvio: «Non avevi fame?».

«Sì», soffiò sempre più vicino al mio viso.

«Allora vai», sussurrai.

«È quello che sto per fare», bisbigliò ad un centimetro dal mio orecchio prima di premere le sue labbra sulle mie.

Non doveva andare così! Oh no, le cose non potevano prendere questa piega!

Non collaborai al bacio, ma lui non si diede per vinto, cercando i miei punti più sensibili per farmi arrendere all'evidenza.

Perché non ti stacchi, Bella?, mi chiesi confusa. Mi sentii paralizzata nel mio stesso corpo. Non un solo movimento corrispondeva a ciò che era giusto facessi. Saremo, sarei finita in un mare di problemi, dove non si poteva più uscire e risalire da quell'onda che mi aveva appena travolta.

Edward continuò a non abbandonare le mie labbra in quei pochi secondi in cui restai immobile. Le sue mani vagarono tra il mio viso e il mio corpo, cercò di farmi rilassare e sciogliere, e in qualche modo ci riuscì. Non riuscii a scostarlo da me perché quel bacio lo desideravo anch'io. Mi maledii per questo, eppure iniziai a rispondere a quell'attacco.

Sentii il mio corpo abbandonarsi al suo, le mie mani libere di vagare tra i suoi capelli straordinariamente morbidi e infine le mie labbra catturate nella morsa delle sue tentatrici.

Semplicemente, Edward, mi baciò.

Qualche sentimento sopito venne fuori, l'attrazione fisica si mescolò alla semplice e pura passione.

Edward sapeva come baciare, quali punti toccare e stimolare. Il suo sapore lasciò le mie labbra troppo presto, senza che me ne accorgessi. Aprii gli occhi chiusi e lo trovai a fissarmi sorridente. Tornai alla realtà e mi resi conto dell'atroce errore commesso. Non volevo andare avanti con questa storia, sapevo già la mia posizione a priori e avevo sbagliato a lasciarmi andare. Sbagliato.

Notò il mio sguardo, capì che nulla era cambiato ed io ero sempre ferma sulla mia opinione. I lineamenti del suo viso si indurirono, i suoi occhi lanciarono saette rabbiose e non potei far altro che sospirare.

«Non avresto dovuto», affermai con voce bassa e tremante.

«No, tu non dovresti essere così ora! Vuoi portare avanti i tuoi fasulli principi? Benissimo, ma non finisce qui! Mi vuoi, principessa, questa è stata l'ulteriore conferma che mi serviva e sì, non pensare che questo possa fermarmi», rispose deciso. «Chissà, magari sarai tu a implorarmi in ginocchio», buttò l'intero episodio sul ridere e lo ringraziai con lo sguardo. Era importante per me che non influisse sul lavoro nulla della mia vita privata.

«Non ci contare, principe del deserto, magari troverai un'altra con cui assetare la tua sete».

«Sogna, principessa, sogna, vedrai che alla fine sarai felice che questo tuo desiderio -a cui non credo nemmeno per un attimo- non si avvererà». Un luccichio balenò nei suoi occhi verdi smeraldo e subito dopo si allontanò da me, aprendomi la portiera e richiudendola una volta salita.

Abbassai il finestrino per dargli la buonanotte e lui non disse nulla, rimase semplicemente a guardarmi partire. Trovai strano questo suo comportamento, ma subito arrivò la risposta a questa mia domanda.

Il mio cellulare squillo, segno che mi era appena arrivato un messaggio, lo aprii e involontariamento risi allegra:

 

Sogni d'oro, principessa di ghiaccio.

Domani avremo modo di riprendere la nostra chiaccherata ;)

Il principe del deserto...

...che per inteso non è per niente a secco, stasera ha fatto rifornimento.

Ps non provare a chiedermi come ho fatto ad avere il tuo numero!

 

Risi, risi scioccamente e mi diedi della stupida. Un messaggio poteva far sì che il mio umore cambiasse radicalmente? A quanto pareva se l'autore del messaggio iniziava per E, tutto era possibile.

La mia vita era così, tranquilla e... solitaria. Tutto ciò non mi era mai pesato, amavo stare per i fatti miei, leggere un buon libro, ascoltare musica, guardare un film... eppure a volte sentivo la mancanza di un qualcosa di indefinito. Forse qualcosa che sconvolgesse la mia perenne tranquillità, forse un'avventura... non lo sapevo.

Non avevo mai pensato molto all'amore, anzi, per me era qualcosa di assolutamente irreale e irraggiungibile. Una posizione così cinica era discutibile visto che ero cresciuta con l'assoluta certezza che l'amore vero era qualcosa di tangibile e reale. I miei genitori ne erano un esempio.

Molte volte pensai che questa mia avversione per questo sentimento fosse dettato dalla mancanza di una madre che mi spiegasse e mi facesse credere nel principe azzurro. Sì, non era totalmente vero, un po' ci avevo sempre sperato in quel ragazzo perfetto. Ma ultimamente le cose erano cambiate.

Dopo aver conosciuto troppi uomini approfittatori della mia posizione, avevo smesso del tutto nel credere in un qualcosa di diverso. Dopo l'ennesima delusione la mia idea era solamente una: l'amore non esiste, era solo per chi debole non riusciva a realizzarsi in altro. Sbagliai spesso, sì, non potevo credere in una simile blasfemia, poiché avevo il chiaro esempio che l'anima gemella esiste. Tuttavia mi convinsi di questa mia teoria e nessuno riuscì più a farmi cambiare posizione.

Tutto ciò era in netto contrasto con ciò che desideravo. Adoravo i bambini, sognavo il tipico matrimonio sfarzoso, un marito che mi amasse per quella che ero e non per il mio conto in banca.

Ma, il mio sogno più grande, per ora, restava comunque il mio lavoro.

Era proprio qui che entrava in gioco Edward. Non riuscivo a fidarmi di lui fino in fondo, dopotutto le mie esperienze passate mi sconsigliavano a priori di fidarmi di un uomo che non fosse mio padre.

Non pensavo del tutto che fosse un bugiardo impostore. Però lavoravamo insieme e ciò mi impediva di andare a scavare e scoprire che tipo di uomo fosse. Mi incuriosiva, in realtà volevo conoscerlo, ma non l'avrei fatto.

Una volta a casa mangiai velocemente un boccone, diedi da mangiare a Muffin e andai a rilassarmi con un bel bagno caldo. Il profumo di cocco mi circondò e chiusi gli occhi ripensando alle sensazioni che quel bacio con Edward aveva risvegliato nel mio animo. Pensai e ripensai senza arrivare a qualcosa di certo. Ogni mio pensiero era confuso e contorto e alla fine portava sempre al solito punto: il bacio. Nulla sembrava prevalere se non quel momento in cui le labbra di Edward si posarono sulle mie.

Una volta a letto accesi la televisione e mi sintonizzai su Fox, dove passavano una marea di telefilm al giorno. Coccolai Muffin, sdraiato vicino a me e aspettai la chiamata serale di Charlie, che non si fece attendere poi molto.

«Papà!», esclamai felice di sentirlo.

«Tesoro, come stai? Com'è andata oggi?», mi chiese subito ansioso di tutti i minimi particolari della mia giornata.

Raccontai a grandi linee cosa era successo, il metodo di lavoro che avevo adottato, tralasciando volontariamente l'ultima parte che riguardava solo ed esclusivamente Edward.

Mio padre non ci cascò, capì che c'era qualcosa di non detto e mi fece qualche domanda buttata lì a caso. Infine arrivò a ciò che più gli interessava, ovvero l'attore protagonista del film di cui non avevo minimamente parlato.

«Non ricordo il nome esatto... Edmund?».

«Edward, papà, Edward Cullen e non so quante volte...».

«Sì, Bella, lo so, ma devi capire un povero uomo che sta andando incontro agli anni più duri... la vecchiaia mi sta reclamando a gran voce», disse disperato.

«Ti prego, non fare il melodrammatico! So che ti senti ancora un pivello, papà, è inutile che cerchi di nascondermelo!».

«Non riesco mai a scamparla con te! Ti ho addestrato bene. Comunque, tornando a Edward Cullen... quel ragazzo mi piace, ha un talento straordinario», buttò lì. Intuii che il significato era un altro e risposi con una semplice affermazione. «Venerdì sera, ho notato il vostro... feeling».

«Come, scusa?! Che feeling? Papà, hai bevuto?», domanda seriamente preoccupata per il suo stato di salute. Se per caso non era ubriaco -cosa che assolutamente non speravo- significava solo che alla serata di beneficienza non eravamo passati inosservati, l'atteggiamento mio e il comportamento di Edward era stato palese a tutti.

«Andiamo, Bella, puoi mentire a tutti, ma non a tuo padre! Ti conosco meglio di chiunque altro e ho notato che qualcosa bolle in pentola!», affermò con voce tonante. Me lo immaginai seduto sul divano del suo studio, concentrato su qualche libro palesemente al di fuori del mio gusto personale e al telefono con sua figlia che lo faceva dannare.

«Okay, con te è inutile discutere. Non... non so cosa dire», sussurrai le ultime parole, sconfitta dall'evidente mancanza di termini appropriati alla situazione.

«Quando sarai pronta a parlarne...».

«So dove trovarti», conclusi al suo posto. Ormai era la sua solita frase e adoravo il fatto che non mi costringesse mai a parlare contro la mia volontà.

«Però, Bella, vorrei anche darti un consiglio da padre di una figlia che conosce meglio di se stesso e a cui vuole un bene dell'anima...», iniziò. «Non ti privare mai di nulla».

«Cosa significa?», chiesi intimorita. Forse aveva capito fin troppo...

«Nulla, tesoro, stai tranquilla, al momento opportuno lo capirai».

«Okay, 'notte, papà».

«Buonanotte, tesoro».

Chiusi la chiamata e ripensai alla frase di Charlie: "non ti privare mai di nulla"... Non riuscii a comprendere a pieno il messaggio implicito che cercò di inviarmi. Forse si trattava di Edward o forse no.

 

Buonasera!!! Lo so, sono imperdonabile, non aggiorno da due mesi, mi vergogno molto per avervi fatto attendere così tanto e alla fine postare uno schifo di capitolo ç.ç

Non ho scuse, non si trattava di mancanza di ispirazione o altro, semplicemente mi sono contentrata su un'altra mia storia Scusa se ho aspettato la pioggia, se volete farci un salto ;)

Premetto che fino alla seconda settimana di gennaio non posterò più nulla, ma da quel momento in poi inizierò a postare nuovamente con regolarità, senza farvi attendere due emsi per un capitolo. Inoltre dal prossimo capitolo le cose cambieranno, la storia inizierà a prendere la giusta piega e penso che molti rimaranno sopresi (non so se in positivo xD) da come si svilupperanno i personaggi. Edward non è un don giovanni, assolutamente, anzi è un ragazzo opposto da come è apparso finora, ma comunque con quel pizzico di malizia e ironia che ha nel suo DNA. Non so da dove mi è uscito il soprannome di Edward, ad un tratto, mentre scrivevo, mi è venuta un illuminazione o come altri penseranno una fulminazione xD

Il bacio fa pena, lo so, prometto che per il prossimo capitolo farò molto meglio di così! Se ci sono errori nel capitolo avvisatemi pure =)

Spero di non avervi perso per strada, adoro le vostre recensioni e opinioni! Grazie mille a tutte le ragazze che hanno recensito il precedente capitolo e un benvenuto anche alle nuove arrivate *-*

Alla prossima e... Buon Natale e felice anno nuovo in anticipo!!!!

Kiss :****

Jess 

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Capitolo 5
*** I promise you... ***


I promise you...

Ad un certo punto devi prendere una decisione.
I confini non tengono fuori gli altri, servono solo a soffocarti.
La vita è un problema e noi siamo fatti così.
Quindi, puoi sprecare la tua vita a tracciare confini, oppure puoi decidere di viverli superandoli.
Ma ci sono dei confini che è decisamente troppo pericoloso varcare.
Però una cosa la so: se sei pronto a correre il rischio, la vita dall'altra parte è spettacolare.

Grey's Anatomy

 

Il susseguirsi dei giorni erano caratterizzati da miei continui sotterfugi e occasioni di evasioni ad ogni minimo contatto o avvicinamento a Edward. Lo evitavo come il peggiore degli esseri, me ne resi conto solo dopo due giorni di continui escamotage, che gentilmente mi fece notare Alice. Come dovevo comportarmi in sua presenza? Fare la finta tonta oppure affrontarlo e chiarire la situazione una volta per tutte? Detto sinceramente non volevo fare nessuna delle due cose, così continuai con la mia tattica disperata: evitarlo sempre e comunque.

Edward, invece, fece di tutto per mandare a monte il mio perfetto piano, ritrovandosi da tutte le parti e guarda caso sempre in luoghi dove ci fossi io. Per fortuna non sapeva dove abitassi, altrimenti sarei stata spacciata!

Il giorno dopo il nostro bacio nel parcheggio mi fece capire chiaramente che non era irritato dal mio seguente comportamento. Non se l'era presa e di questo lo ringraziai mentalmente un sacco di volte.

Comunque, dopo tre giorni di continue prove, decisi di dare il via alle riprese a Los Angeles. Per un mese circa saremo rimasti lì, poi la tappa successiva era Seattle.

Per le riprese era ovvio passare ancora più tempo con la troupe e quindi con Edward. Dovevo risolvere la situazione... no, anzi dovevo trovare un modo più efficace per evitarlo il più possibile!

Che comportamento maturo, sussurrò una vocina fastidiosa.

Con molta calma presi Muffin in braccio e mi avviai verso il parcheggio, dove sostava la mia macchina da ben nove ore. Finalmente il primo giorno di riprese era terminato. Mi sentivo a pezzi, fisicamente e mentalmente. Nei prossimi giorni avrei sicuramente iniziato ad acquisire il ritmo giusto.

«Principessa!», urlò una voce dietro di me.

Oh, no!, pensai. Accelerai il passo facendo finta di non aver sentito. Sperai con tutta me stessa di raggiungere la mia auto prima che lui raggiungesse me.

«Okay, mi sono stancato di questo tuo giochetto», disse una voce troppo vicina al mio orecchio destro. Ad un tratto sentii il cemento mancarmi da sotto i piedi e urlai spaventata, stringendo Muffin al mio corpo.

«Tu! Mettimi subito giù o giuro che ti riduco in mille pezzi!», esclamai con voce un po' troppo alta. Il parcheggio per mia sfortuna era deserto.

Lui non si scomodò nemmeno di rispondere alla mia minaccia, continuò a tenere un braccio sotto le mia ginocchia e l'altro dietro la mia schiena, camminando verso chissà dove. Non potei usare nemmeno le mani per liberarmi, visto che rischiavo di far cadere Muffin.

«Visto che con le buone maniere non ottengo mai nulla, ho deciso di usare un altro metodo a quanto pare molto più efficace!», mi rispose felice della sua trovata geniale.

Lo fissai, trucidando con gli occhi il suo fantastico viso coperto da un leggero strato di barba. Solo in quel momento mi accorsi di essere realmente in braccio a Edward, con il suo corpo a contatto con il mio in modo così piacevole. Le tensione delle sue braccia che mi reggevano, il suo collo odorava di un costoso profumo, il suo sorrisetto malizioso che faceva capolineo sul suo viso... ispezionai e ammirai ogni singolo particolare, cercando di passare inosservata e infastidita da quella situazione. Tentativo molto vano...

«Un rapimento è più appropiato, vero?», commentai acida.

«Come sei esagerata», si lamentò, «io pensavo solo di bloccarti sulla tua auto in modo tale che non avrai la possibilità di fuggire e dovrai per forza starmi a sentire».

«Questo non lo consideri esagerato?!», ribatti, mentre lui con grazia mi posò sul cofano della mia auto. Mise le mani ai lati del mio corpo, bloccando ogni mio tentativo di fuga.

«No, questo è necessario! Ci vogliono misure drastiche con te». Inarcai un soppracciglio e lo fissai. In risposta avvicinò il suo viso al mio, fermandosi a pochi centimetri di distanza.

«Muffin si spaventa facilmente», misi in mezzo il mio cane, stringendo al mio petto quel piccolo battuffolo di pelo agitato.

Lo indicò con un dito e alla mia risposta affermativa lo prese in braccio: «Apri la macchina», mi ordinò gentilmente.

«Con molto piacere», risposi gustando già la mia imminente fuga. Aprii l'auto con il comando automatico e mentre lui poggiò Muffin sul sedile del passeggero, io scesi dal cofano pronta a svignarmela. Purtroppo non feci nemmeno due passi che Edward mi riacciuffò al volo, rimettendomi sul cofano come una bambola.

«Pensi davvero che io sia così stupido da non mettere in conto un tuo inutile tentativo...».

«Non inutile!», lo corressi prontamente.

«Certo, certo... Comunque, sono molto più sveglio a discapito di ciò che pensi tu», finì leggermente offeso dal mio ennesimo tentativo di evitarlo.

«Non penso affatto che tu sia stupido», affermai per rincuorarlo.

Ma lui come sempre mi fregò, incastrandomi: «Allora cosa pensi?», mi chiese maliziosamente. Per un attimo mi persi nei suoi occhi verdi, ma subito rinsavii sbuffando.

«La lista è lunga!».

«Ho tutta la notte», ribattè.

«Mi dispiace, io no! Ho altro da fare che stare qui con te in un parcheggio deserto!», mentii. Non avevo nessun programma, ma questo lui non poteva saperlo.

«Un appuntamento?», mi domandò leggermente nervoso.

«Non ti riguarda», dissi volgendo il mio sguardo verso il paesaggio.

«Mi riguarderà presto». Il nostro botta e risposta mi piaceva, in un modo malsano e incoerente; i nostri battibecchi mi rallegravano la giornata!

«Tu credi?».

«Sì», rispose seccamente.

Decisi di cambiare argomento, quella era zona pericolosa e io non ci tenevo a farmi del male: «Contento per il primo giorno di riprese?».

«Perché mi eviti continuamente?», eclissò la mia domanda.

«Direi che come primo giorno ce la siamo cavata alla grande», continuai testardatamente sulla mia strada.

«Dovrei essere io quello che evita la tua presenza, invece mi ritrovo come uno stupido a cercarti ovunque!», disse sconsolato. Stava prendendo coscienza di andare sempre a battere contro un muro di cemento.

«Domani sarà un'altra giornata pesante», bisbigliai. Non riuscivo più ad andare avanti in quel dialogo su piani completamente diversi. Edward era arrivato al nocciolo della questione.

«Mettiamo in chiaro le cose una volte per tutte! Così è impossibile andare avanti, non con te che fuggi e io che ti rincorro!». Aveva ragione.

Abbassai la testa, schiacciata da quella dura verità. Ma ammettere di fuggire era come confermare una volta per tutte che tra noi c'era stato qualcosa e non ero pronta.

«Dimmi perché!», mi chiese con lo sguardo infuocato. La mia risposta fu uno sguardo confuso. «Dimmi perché mi eviti, dimmi perché non ti lasci andare, dimmi perché ti chiudi in te stessa!», chiarì trattenendo a stento la rabbia. Iniziava a scaldarsi vedendo che io ero come una statua: immobile e muta.

Scossi tristemente il capo, evitando di rispondere alle sue domande dirette. Stufo del mio comportamento mi prese il viso tra le sue mani calde, avvolgendolo in una fresa dolce e ferrea allo stesso tempo.

I suoi occhi verde scuro esprimevano tutto: rabbia, stanchezza e... speranza. Lui ci credeva davvero in tutto quello che era successo fra noi. Lui ci credeva.

Non so cosa lesse nel mio sguardo, cosa intuì, fatto sta che azzecco alla perfezione i miei timori: «Pensi che io stia giocando con te! Non può essere... Isabella! Accidenti a te! Non ti sto prendendo in giro, okay? Non l'ho mai fatto con nessuna ragazza e non inizierò di certo ora! Forse posso anche capire i tuoi dubbi, non mi conosci abbastanza e sicuramente l'impressione che ti sei fatta di me non è delle più rosee. Concedimi un'opportunità, lasciati andare e impara a conoscermi. Non ti chiedo altro se non questo!». In qualche modo riuscì a dissipare alcune mie paure, ma non era ancora abbastanza.

«Mi chiedi troppo», sussurrai triste, perché desideravo poter finalmente tirare giù il freno a mano ed essere libera. Purtroppo la vita era più complicata di una macchina e a volte semplicemente il freno a mano deve rimanere su, che lo si voglia o no.

«No, non è così! Sei tu che poni dei limiti con tutto ciò che ti circonda e lasciatelo dire, principessa, non stai assaporando a pieno la tua vita. Vivi, non pensare al giudizio degli altri, fai quello che senti sarà giusto per te!».

Le parole di Edward mi sconvolsero per la loro verità. Mi sentii... persa, persa in un posto che non mi apparteneva. Odiavo sentirmi così, dovevo avere tutto sotto controllo e cercare di tenere lontano vita privata e lavoro. Per questo Edward era un punto impossibile in un mondo pieno di possibilità. Per quanto lo desiderassi, e sì, desideravo ardentemente conoscerlo, mi era impossibile. Forse per l'opinione della gente, forse per i principi morali con i quali ero cresciuta... Fatto sta che solo l'idea di mischiare le nostre vite sia sul set che al di fuori era inconcepibile.

«Non posso», dissi nuovamente ferma nella mia posizione.

«Non vuoi, che è diverso», rispose con amarezza. Le sue mani lasciarono il mio viso con una lentezza disumana. Sfiorò le mie guancie e poi i miei capelli, infine mi circondò con le sue braccia.

«Non ti libererai così facilmente di me», concluse con un sorriso sinistro e malizioso.

«È una minaccia?», domandai cercando di tenere le distanze tra i nostri volti, fin troppo vicini.

«È una promessa, mia acida principessa di ghiaccio». Il suo tono canzonatorio non mi infastidii, anzi sorrisi come una stupida di fronte all'audacia di questo uomo.

«Ed ecco che ritorna il principe del deserto», lo presi in giro. Il suo viso si avvicinava sempre di più e io cercavo di allontanarmi con scarso successo, visto che ad un certo punto anche un cofano finisce. «Sai, è così difficile inquadrarti, un attimo prima sei malizioso e seduttore, l'attimo dopo cerchi di convincere una donna del tuo interesse del tutto sincero».

«Io sono questo e molto di più: gentile, malizioso, romantico... chiedi ed avrai».

«Presuntuoso da parte tua pensare di avere tutte queste qualità», lo stuzzicai fermando la mia ritirata. A quanto pare ero arrivata alla fine del cofano.

«La falsa modestia non fa parte di me. Comunque non una donna, ma te!».

«Come?», chiesi confusa. Forse a forza di consumarlo con gli occhi mi ero persa qualche frase uscita da quella bocca che prometteva i peggiori piaceri.

«Non cerco di convincere una donna qualunque che il mio interesse è sincero e che sono pazzo di lei. Sto cercando di convincere te e le cose sono ben diverse», specificò diminuendo ancora una volta le distanze tra noi due. Ci mancava che salisse sul cofano ed eravamo a posto!

E, invece, ancora una volta mi sorprese. Mi tirò a sé, facendomi scivolare giù dal cofano, fino ad essere interamente a contatto con il suo corpo. Tirai su il viso, guardandolo non più con irritazione, ma con desiderio. Contro ogni logica aspettavo un suo bacio, mentre lui questa volta si comportò come il più perfetto dei... no, dei cretini! Ma dài, ero lì con il viso proteso verso il suo e lui che fa? Mi bacia sulla fronte! Sulla fronte come faceva mia nonna quando ero piccola!

Accidenti! Maledizione a lui, a me, a tutto! A lui perché aveva perso la sua occasione di sedurmi e baciarmi e a me perché stupidamente volevo ardentemente quel bacio!

Mi salii un irritazione terribile, che rischiava di esplodere da un momento all'altro.

Mi strinse in un abbraccio, che mi riscaldò e, infine, le sue parole sussurrate al mio orecchio, sciolsero ogni briciolo di irritazione verso di lui e me stessa: «Non credere che ora non mi stia maledicendo da solo. So cosa ho appena perso, ma so anche che se lo avessi fatto non sarebbe cambiato nulla e io non voglio questo. Ad un certo punto cambierai idea. Ad un certo punto potrò baciarti senza crucciarmi di ciò che succederà dopo e soprattutto senza rimanere ferito dal tuo dissipare ogni mia attesa. Arriverà il momento in cui dopo un nostro bacio tu ne vorrai ancora e ancora e non potrai avere nemmeno il tempo di pensare ai tuoi principi morali». Le sue parole mi risvegliarono, accesero un sentimento dentro di me, pericoloso e forte. Troppo potente. Volevo credergli. Lo desideravo davvero.


 

Pazzo di lei, le sue parole mi tornarono in mente e un sorriso ebete si stampò sul mio viso. Guardai la strada senza vederla davvero. Guidai con la testa fra le nuvole, senza alcun limite di velocità. Era davvero pazzo di me? Forse lo avrei scoperto presto...

Il suono del mio cellulare mi riscosse dal continuo pensare a Edward. Attivai l'auricolare e la voce di Alice per poco non mi perforò un timpano: «Bella! Che ne dici di una serata tra donne?».

La sua proposta era allettante, ma anche la chiara immagine di me e Muffin a poltrire sul divano davanti ad un bel film non era male. Che grandissimo dilemma...

«Ci sto!», accettai entusiasta. Avevo bisogno di distrarmi ed Alice era la compagnia adatta.

«Perfetto, mi passi a prendere tu? Potremo andare a cena, tanto per cominciare, poi decideremo cosa fare», disse chiaramente euforica.

«Certo, passo da te intorno alle ventuno», le risposi prima di riattaccare.

Non frequentavo spesso Alice e Jazz al di fuori del set, ma uscire un po' con Alice mi faceva piacere. Lei sapeva come distrarti e tenere viva la conversazione, un po' come Emmett, strano che non fossero fratelli.

Arrivai a casa in tempo per cambiarmi, posare Muffin e fuggire nuovamente verso casa di Alice e Jasper.

Indossai un semplice abito nero senza spalline, abbinato ad un paio di scarpe dal tacco killer. Insomma, quattordici centimetri non erano poi tanti visto che li portavo praticamente ogni giorno. Dopo un po' ci si fa l'abitudine. Mmm, non proprio l'abitudine... Dopo dieci ore i piedi iniziavano a dolere leggermente.

Una volta di fronte a casa di Alice, le feci uno squillo per farle sapere che ero arrivata. Poco dopo la vidi uscire dalla porta principale tutta pimpante e con un sorriso entusiasta sulle labbra.

«Bella!», mi salutò una volta entrata in macchina. Ci scambiammo due baci sulle guancie e poi misi in moto verso un ristorante non molto distante da lì.

«Come stai?», le chiesi fissando attentamente la strada.

«Potrebbe andare meglio», brontolò cupa. Le diedi un'occhiata veloce e notai il broncio che metteva su ogni volta che qualcosa con Jazz non andava.

«Cosa ha fatto questa volta?». Era sempre meglio attribuire a lui ogni colpa, anche se non sempre era così, ma Alice era parecchio suscettibile in queste cose.

«Niente, questo è il punto!», esplose strillando esasperata. Abbassò la radio per non alzare la sua voce già squillante di suo. «Indovina che giorno è oggi? No, aspetta, tu non puoi di certo saperlo, ma è il nostro anniversario! E lui se n'è scordato! Ti rendi conto? Ma che razza di fidanzato ho?!».

«Ed è così importante per te?», domandai cauta. Non volevo di certo innervosirla!

«Certo che lo è! Per tutte le donne lo è ed io non sono l'eccezione...», continuò a blaterare per tutta la durata del viaggio, finché quasi arrivate a destinazione non fermai il suo sproliquio.

«Così hai lasciato Jasper a casa da solo senza nemmeno una spiegazione?», chiesi conferma.

«Ovviamente, non si merita nemmeno che gli rivolga la parola! Poi era da un po' che volevo parlare un po' con te, quindi ne ho approfittato», mi rispose più calma di prima. Finalmente stava iniziando a tranquillizzarsi.

Il ristorante Patina era famoso grazie allo chef tedesco di grandissimo fama. Non era certamente uno dei miei ristoranti preferiti, ma adoravo il cibo di quel posto.

Alice non smise un secondo di inveire contro Jasper. Solo una volta che arrivò la prima portata smise di lamentarsi e rivolse la sua occhiata indagatrice a me.

«Mi dispiace, sto manipolando la conversazione. Allora, dimmi un po', cosa bolla in pentola tra te e colui-da-cui-fuggi-continuamente?». Il suo sorrisetto malizioso non prometteva nulla di buono. Rivolsi il mio sguardo a tutto ciò che mi circondava pur di non rispondere e sperare che dopo qualche minuto si dimenticasse della domanda. Ma la sua occhiata ammonitrice mi spinse a parlare.

«Non c'è nulla da spiegare», risposi.

Dopo qualche minuto mi arresi e le raccontai a grandi linee quello che stava succedendo tra noi. Non capii perché le raccontai ogni particolare. Forse avevo bisogno di una amica con cui parlare, forse volevo finalmente liberarmi di ogni piccolo segreto di quello che capitava tra me ed Edward. Fatto sta che parlai, parlai per non so quanto tempo e alla fine svuotata di ogni cosa mi rilassai, come se mi fossi liberata di un peso.

«Be', ora capisco molte cose», mi disse Alice, sorridendo in modo sbarazzino. La sua allegria era contagiosa ed ero felice di essere riuscita a deviare la sua attenzione da Jasper, visto quanto si stava crucciando.

«In che senso?», domandai confusa. Lei non poteva aver intuito qualcosa!

«Fin dal primo giorno di prove avevo notato come ti guardava e come tu fissavi lui. Poi le cose sono state man mano più evidanti. Edward ti guarda in modo particolare, con desiderio, speranza, ma anche con affetto e tristezza. Ora capisco il perché di molte sue emozioni...», sussurrò l'ultima frase pensosa. Alle emozioni che trasparivano da Edward mi feci ancora più attenta di quanto già non fossi.

«Io... io non lo avevo notato. Voglio dire, non ho tenuto conto di ciò che provava...», il mio tono di voce calò all'ultima parola. Mi sentii in colpa per essere stata così superficiale e fredda con lui. Non lo avevo mai preso seriamente, questo era il punto.

«Pensavi volesse solo averti nel suo letto», intuì Alice. Il suo era un modo molto elegante di dirlo, avrei specificato altro...

«Sì, e mi rendo conto solo di quanto fossi lontana dalla verità. O almeno credo, non saprei, le cose sono ancora molto incerte e visto che non si evolveranno continuerò ad avere questo eterno dubbio», scherzai per alleggerire la tensione che mi stava avvolgendo, ma Alice non era dello stesso parere, perché mi guardò preoccupato e con un filo di... compassione? Il sentimento che più odiavo!

«Posso darti un consiglio da amica?», mi chiese Alice. Agrottai la fronte preoccupata dal suo tono esageratamente serio e assentii. «Non ti privare di nulla, Bella. Non rischiare di rimanere con il dubbio. Hai l'opportunità di scoprire una persona che è realmente interessata a te, non capita spesso».

«Io non posso», specificai nel caso si fosse scordata di tutto il mio discorso precedente, dove le avevo raccontato anche le ragioni per cui non potevo conoscerlo più a fondo.

Sorrise dolcemente: «Non vuoi».

«È la stessa cosa che mi ha risposto Edward, Vi siete messi d'accordo?», dissi sarcasticamente.

Ignorò il mio commento e proseguì: «Cos'hai da perdere nel caso si rivelasse tutto un grande flop? Nella vita se non si rischia non si vince».

«Perderei tutto! Tutto, Alice! La mia credibilità sarebbe messa a repentaglio e la gente inizierebbe a pensare che faccio favoritismi! Lui è il protagonista maschile del film, non posso scordarlo e nemmeno loro lo faranno!», esclamai irritata e parecchio sconcertata nel notare che nessuno provava mai a mettersi nei miei panni, né lei né Edward. Certo, non sarebbero loro a rischiare il tutto e per tutto per cosa poi?

«Ma perché ti deve interessare ciò che pensa la gente?! Vivi la tua vita senza pensare al resto!», mi rimproverò.

Un sorriso di scherno comparve sul mio viso teso: «Se conducessi una vita normale non mi sarei posta il problema. Ma vivo nel mondo di Hollywood. Hollywood, Alice! Capisci? Qui conta cosa pensa la gente, conta molto più di quanto ci si aspetti!».

«Conta per te e solo se lo vuoi». La frase contorta di Alice non mi portò a nessuna deduzione.

«Magari fosse così facile», sospirai indispettita da tutti quei problemi che mi stavo creando da sola. Avevo deciso di non incoraggiare Edward, la storia finiva qui.

Ne sei così sicura?, sussurrò la solita vocina malefica. Sì, era tutto finito.
Ma da lì a poco avrei scoperto quanto mi fossi sbagliata. Su tutto.

 

Buonasera a tutti! Allora, come state? Come sono andate le vacanze? Spero bene per tutti ;)

Cercherò di non fare delle note lunghissime come sempre, anche perché non so se tutti le leggono, lo spero xD

Innanzitutto ringrazio Serena (essie) per la scelta del ristorante a LA! Poi CherryBomb per la citazione *.* Adoro quella parte e il fatto che lei abbia subito pensato alla mia storia mi rende felicissima, quindi grazie mille ;) Ultimi, ma non meno importanti, ringraziamenti a tutte le persone che mi seguono! Vi adoro e mi fa piacere che abbiate capito il senso di questa storia e non l'abbiate letta solo superficialmente, per come appare. Avete cercato di capirla a fondo e vi ringrazio, davvero!

Okay, ora passo alla storia e poi la finisco, giuro >.<

In questo capitolo abbiamo scoperto meglio il personaggio di Edward. Vi avevo detto che non era come appariva e infatti qui c'è la conferma. Certo, ha i suoi difetti, è presuntuoso, arrogante e tanto altro, ma alla fine è sincero e ha un reale interesse per Bella, questa è la cosa più importante. Con lei si trova davanti un muro e chissà come riuscirà a scavalcarlo ;) Avete teorie? Le ascolto molto volentieri ;)

Jasper che si è dimenticato l'anniversario con Alice... no comment ù.ù Anche Serena appena l'ha letto è rimasta subito così O.O per questa parte ahah xD Jazz non l'ha fatto in cattiva fede, ma resta il fatto che si è scordato un evento simile ù.ù Per alcune non conta molto, per Alice sì xD

Poi... mi sembra di non dover dire altro, aspetto i vostri commenti ;)

Ah, sì, prossimo aggiornamento! Non ho ancora scritto il capitolo e tra due settimane parto, spero di aggiornare prima! Invierò tra circa una settimana uno spoiler e vi avviserò quando posterò ;)

A presto!

Kiss :***

Jess 

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Capitolo 6
*** Engines ***


Engines

 

And if I only could,
make a deal with God

Placebo, Running up that hill

 

Era passato un giorno dal mio incontro con Edward nel parcheggio. Non smettevo di pensarci e questo non andava per niente bene.

Quella mattina avevo deciso di dedicarmi alla palestra, attività che ultimamente avevo trascurato fin troppo. Ero diventata pigra, tornata a casa l'unica cosa che facevo era buttarmi sul letto e divano con un buon libro, oppure mi piazzavo davanti alla tv a vedere un film strappalacrime. Ultimamente mi ero sentita sola, benché Muffin era la miglior compagnia che potessi avere, al contrario di ciò che si pensa gli animali sono la cura migliore per ogni cosa, sempre al tuo fianco e fedeli.

Di malavoglia andai nella stanza che avevo allestito come palestra, dove si trovavano gli attrezzi principali, come tapis roulant, ciclette, quello che io definivo coso per gli addominali e pesi leggeri. Vista la mia voglia di fuggire sempre da quel posto avevo trovato anche un altro modo per tenermi piantata lì: un televisore led occupava la parete di fronte agli attrezzi. La musica si propagava da quel televisore che era una meraviglia e così riuscivo a rilassarmi, cantare e liberare la tensione che accumulavo durante la mia assenza da quel luogo.

Una volta avevo tentato di provare a esercitarmi contro il sacco che avevo fatto montare nel mezzo della stanza, ma era stato inutile, non ne ero in grado. Sapevo tirare pugni come... come una qualsiasi altra donna sul pianeta che non fosse così forzuta da riuscire a spostare quel cavolo di sacco pesante più di cinquanta chili, perché sì, ero andata sul pesante, non mi bastava certo un sacco da pochi chili. No, mi sono detta, andiamo sul pesante... Pessima scelta, davvero pessima.

Dopo aver passato due ore nella stanza infernale, come l'avevo soprannominata io, andai a fare una lunga doccia.

Ero così sbadata in quei giorni e infatti lo constatai subito quando mi lavai i capelli tre volte usando solo il balsamo. La palestra mi aveva rilassato così tanto, ma la goffaggine che mi accompagnava da praticamente un giorno non aveva assolutamente intenzione di andarsene.

Be', il lato positivo era che almeno avevo bruciato un po' di calorie.

Alle nove in punto uscii dalla doccia e mi preparai per quella bellissima giornata sul set. Ero molto mattiniera ultimamente, strano ma vero. Solitamente dormivo fin troppo.

Indossai degli skinny neri e ci abbinai una camicia leggera verde smeraldo. Dopodiché mi dedicai alla scelta difficilissima delle scarpe che erano la mia passione; ne scelsi un paio nere alte poco più di dieci centimetri.

Infine mi dedicai ai miei capelli, che quella mattina non ne volevano sapere di restare in morbidi boccoli. No, erano così elettrici che sarei stata in grado di accendere una lampadina!

Finalmente segnai un traguardo, alle dieci in punto mi trovavo nel parcheggio del set. Quella mattina ero particolarmente contenta di iniziare a lavorare e tutto perché non ci sarebbero stati i protagonisti principali, quindi Edward. Staccare da lui mi sarebbe servito certamente.

Con Muffin che zampettava al mio fianco entrai nell'edifico sette, dove era stato costruito il set per le riprese di quel giorno con gli attori secondari.

Mi misi subito alla ricerca di Alice e Jasper, i miei fidati assistenti. Salutai le varie persone che incontravo strada facendo senza però trovare coloro che cercavo.

«Bella!». Mi girai appena sentii il mio nome e trovai Emmett che sorrideva entusiasta.

«Buongiorno, Emmett. Cosa succede?».

«Nulla», rispose vago. Ormai lo conoscevo come le mie tasche e di certo non mi avrebbe ingannato la sua espressione a metà tra l'euforia pura e l'autocontrollo.

«Avanti, sputa il rospo!».

«Che dire, sono un rubacuori». Posai una mano sulla mia fronte sconsolata e alzai il sopracciglio sinistro.

«Vorresti spiegarti? Non ci sto capendo nulla», gli chiesi perplessa. Che sia un rubacuori era certo da molto tempo.

«Il qui presente ha un appuntamento con la ragazza più bella e meravigliosa e dolce...».

«Dacci un taglio Emm».

«Dio, tu sai come spezzare gli entusiasmi altrui!».

«Stavi elogiando e quando tu inizi così non la smetti più!», lo ripresi conscia della veridicità delle mie parole.

Sbuffò contrariato e finì il suo elogio in silenzio, per poi riprendere a parlare: «Uscirò con Rosalie».

«La co-protagonista?», chiesi conferma.

«Perché quante altre Rosalie conosci di cui mi sono invaghito?».

«Okay, non ti riscaldare! Comunque sono felice per te, lei è una ragazza fantastica».

«Sì, lo so», rispose con la testa tra le nuvole. Mi fermai vicino allo scenografo e posai borsa e documenti su un tavolo vicino.

«Hai per caso visto Alice e Jasper?», domandai non vedendoli nemmeno lì. Il set non era poi così enorme e di certo non potevano essere nei camerini degli attori,

«Sì e spero di non rivederli per tutto il giorno!», mi rispose con una faccia spaventata ed esasperata. Posò anche lui la sua attrezzatura e si appoggio al tavolo, incrociando le braccia al petto.

«Non mi dire che Alice è ancora incazzata nera per la dimenticanza di Jasper?!».

«Allora non te lo dico».

«Non ci posso credere», risposi con voce agonizzante. «Come farò oggi? Ieri per fortuna avevano entrambi il giorno libero. Non voglio nemmeno immaginare quanti piatti sono volati in casa loro». Una volta Alice mi aveva raccontato che quando era davvero arrabbiata con il suo fidanzato tendeva a lanciargli i piatti, ovviamente non prendeva mai la mira e questo mi preoccupava molto. Era un atto fin troppo violento, soprattutto per una ragazza come lei che appariva molto dolce ed euforica per qualsiasi cosa comprendesse il suo lavoro e Jasper.

«Pensa che c'è sempre di peggio», mi suggerì Emmett. Sì, pensai, ad esempio avere qui Edward Cullen e non sapere cosa dirgli.

Ma perché dovevo sempre tornare a pensare a lui?! Qualcuno da lassù mi voleva molto male. Sì, sicuramente era così.

«Killer di fronte a te», bisbigliò Emmett prima di fuggire lontano da me ed Alice.

«Alice!», esclamai allegramente abbracciandola. Vidi il suo viso nero e quindi pensai bene di bisbigliarle nell'orecchio parole di conforto e avvertimento: «Presumo che la situazione con il tuo fidanzato non sia cambiata», scosse leggermente la testa, «Non fare scenate davanti agli attori, sarebbe uno scoop, lo sai». Il mio ammonimento non voleva essere autoritario o polemico, ma una semplice constatazione. Un litigio, anche se tra assistenti, era sempre una discussione su un set e questo sarebbe arrivato alle orecchie dei paparazzi che non vedevano l'ora di mettere sui giornali news sulle vite altrui.

In questo periodo eravamo tutti sotto mirino visto che era il primo film della figlia del "Grande Swan".

«Ho le labbra cucite», mi rispose Alice facendo il gesto della chiave che gira all'angolo della bocca. Risi divertita e iniziammo a girare con gli attori.

La mancanza di Edward si sentiva sicuramente. Era colui che sdrammatizzava continuamente e cercava di tirare su il morale a qualche attore che si bloccava in alcune parti, insomma un grande supporto per tutti. Ma era anche un sollievo mettere qualche giorno di distanza tra noi. In quei giorni avevo pensato spesso al discorso di Edward, che suonava quasi come una dichiarazione in piena regola con tanto di minaccia nel rendermi la vita quasi inutile senza di lui. Le sue parole non erano state esattamente queste, ma una mia personale interpretazione.

Non da meno erano state le parole di Alice sul rischiare e fregarmene dei pareri altrui. Non potevo darle torto, assolutamente, ma era così difficile accantonare tutto ciò che per una vita era stata la base di tutto. Mai mischiare vita privata e lavoro, fatto. Non dare troppo spago ai pettegolezzi hollywoodiani, fatto. Evitare di far lavorare i paparazzi sugli scoop della tua vita, fatto. Insomma, avevo seguite tutte le regole che ogni persona sana di mente avrebbe seguito in un mondo dove facevi qualcosa ed eri subito data in pasto agli squali. Mi ero privata di gran parte delle cose che ogni ragazza faceva alla mia età e non ne avevo mai sentito la mancanza. In qualche modo mi ero sempre sentita più grande della mia età e ragionare come una persona adulta mi aveva sempre aiutata. Però, a volte, arrivi a punti in cui metti tutto in discussione, inizi a ragionare e chiederti se potevi agire diversamente in passato, scegliere un'altra strada e avere una vita segnata dalla normalità. Poi mi guardavo intorno, vedevo il mio sogno realizzarsi e capivo che il mio posto era quello, anche se avrei dovuto rinunciare sempre a qualcosa ne valeva la pena.

«Finalmente vedo mia figlia al lavoro!», la voce di mio padre risuonò alle mie spalle e nel teatro si creò un silenzio surreale.

Mi girai e corsi da mio padre abbracciandolo: «Papà, non ti aspettavo!». Ero felice di vederlo, eppure un vago senso di imbarazzo mi invase. Per la prima volta mi vedeva dirigere un film, lui era stato il mio mentore e qualsiasi critica l'avrei accettata a braccia aperte, ma in fondo speravo sempre di renderlo orgoglioso di me facendo del mio meglio.

«Certo, se aspettassi un invito ufficiale da te non mi avresti mai visto qui, oggi. Anzi, a pensarci bene forse sarei morto senza vedere la fonte della mia gioia immersa nella mia più grande passione. Ah, che figlia ingrata».

«Smettila di fare il melodrammatico», lo rimproverai sbuffando. Mi voltai verso la troupe e diedi loro un'ora di pausa, dopotutto era ora di pranzo.

«Pranzi con tuo padre?», mi chiese con superiorità Charlie. Alzai gli occhi al cielo per il ruolo di padre trascurato e presi Muffin da una delle sedie al mio fianco.

«Non posso allontanarmi molto». Iniziammo a incamminarci verso l'uscita del teatro dove stavamo girando alcune scene del film e ci imbattemmo in Emmett.

«Ehi, figliolo!», lo salutò mio padre.

«Charlie, che sorpresa! Come te la passi?». Il rapporto tra i due era sempre stato amichevole e confidenziale; Emmett provava un enorme stima nei confronti di mio padre che lo aveva aiutato all'inizio della sua carriera come camaraman, un lavoro che amava e lo appassionava oltre ogni limite.

«Potrei dire bene, ma sai ho una figlia che non calcola più suo padre da quando ha iniziato a prendere il suo posto. Dimmi un po', ti sta tenendo sotto torchio?».

«Non immagini nemmeno, è un vero generale!», confermò Emmett con tono lamentoso.

Io guardai incredula quei due che conversavano come se io non esistessi e scossi la testa esasperata.

«Finitela di prendermi in giro! Ah, Muffin tappati le orecchie, questi due iniziano a dare i numeri con l'avanzamento dell'età», li stuzzicai.

«Mi stai dando per caso del vecchio?», sbottò mio padre incredulo.

Lo guardai con occhi innocenti: «Io? Ma scherzi? Non mi azzarderei mai!».

«Sono ancora nel fiore dei miei anni!». Di questo dovevo dargliene atto, ma per indispettirlo alzai le spalle come per dire "basta che tu ci creda".

«Allora, questo pranzo? Le lancette corrono! Emmett», mi rivolsi al mio collega, «Vuoi unirti a noi?».

«Perché no?», domandò in modo retorico.

Andammo tutti e tre insiema a pranzo in un ristorante nella strada adiacente a dove ci trovavamo. Il locale era di poche pretese, semplice ma con un ottimo menù di cucina italiana.

Ordinai dei ravioli di pesce e attesi che anche gli altri due si decidessero.

«Ditemi, come procedono le cose?», ci chiese Charlie.

Sgranocchiai un pezzo di pane e dopo aver deglutito risposi: «Per ora direi che non ci sono intoppi, anzi le riprese procedono più velocemente di quanto ci aspettassimo. Prossima settimana credo potremo già iniziare le trasferte».

«Sì, sta andando tutto per il meglio, il cast è ottimo per questo procede tutto alla grande», mi diede man forte Emmett.

«Ottimo, sono felice per te, Bells. La prima tappa quale sarà?».

«Dipende dove avremo prima la disponibilità. Le procedure per la recinzione dei luoghi dove gireremo alcune scene procedono a rilento, quindi appena uno dei posti ci darà l'autorizzazione andremo lì. Penso che Seattle sarà uno dei primi».

Arrivarono le nsotre ordinazioni e il pranzo passò tranquillo, con qualche notizia sui nuovi film che venivano prodotti e via dicendo.

«Quasi dimenticavo», si ricordò mio padre quando stavamo uscendo dal ristorante. «Sono venuto anche per avvisarti che tua nonna ti vuole a cena domani».

«Perché non mi ha chiamata?», chiesi confusa. Solitamente nonna era la prima a telefonarmi per qualsiasi eventualità.

«E' impegnata nei preparativi», mi spiegò.

«Di cosa parli? Non sarà una semplice cena?». Quando nonna Swan si metteva a preparare qualche evento era la fine per tutti, passava giorni per la continua ricerca della perfezione assoluta.

«Sì, diciamo di sì», restò sul vago.

«Papà?», lo rimproverai.

Alzò le mani in segno di difesa e mi spiegò che aveva in mente sua madre: «So solo che ci sarà qualche amico di tua nonna, nulla di più. Dopotutto è il suo anniversario di matrimonio e ci tiene a rivedere vecchi amici del nonno».

Mio nonno, Colin Swan, era morto qualche anni prima di alzhaimer. La sua malattia era stata qualcosa di duro per tutti. Assistere alla morte anche psichica di una persona a cui tieni era qualcosa di atroce; vedere come giorno per giorno Colin veniva disintegrato da quella malattia bastarda aveva influito in modo particolare su nonna Marie, che lo aveva accudito fino all'ultimo giorno. L'ultimo anno di malattia era stato un degenerare continuo. Ormai non riconosceva più nessuno e si sentiva a disagio con coloro che riteneva sconosciuti, che alla fine non eravamo altro che noi: la sua famiglia.

Ogni anno Marie continuava a dare una piccola festa in simbolo a quel matrimonio che l'aveva legata ad un uomo speciale e che amava.

«Me ne stavo dimenticando», sussurrai colpevole.

«Non preoccuparti, tesoro, ci vediamo domani sera. A presto, Emmett».

«Arrivederci, Charlie», lo salutò Emmett.

«Ah, aspetta papà, ti dispiacerebbe portare Muffin con te? Stasera passerò a prenderlo, mi sembra troppo sacrificato tutta la giornata qui!».

«Certo, tesoro».

Mi diede un rapido bacio sulla fronte e poi se ne andò con il mio cucciolo.

Ritornai sul set in compagnia del mio camaraman e per tutto il resto del pomeriggio andammo avanti con le riprese. Verso le sei mi ritenni abbastanza soddisfatta e lascia tornare dalle loro famiglia tutta la troupe e gli attori.

Alice e Jasper restarono nei paraggi per ultimare qualche lavoro di organizzazione e in particolare Alice per i costumi di scena del giorno dopo. Raggiunsi quest'ultima in un'ampia stanza che conteneva tutti i vestiti degli attori e mi sedetti su una sedia vicino alla porta, osservandola destreggiarsi con estrema disinvoltura fra i mille capi presenti.

«Come stai?», le chiesi sinceramente interessata.

Come segno di risposta alzò le spalle. Attesi in silenzio e dopo qualche minuto prese a parlare come mi aspettavo: «Ci sono rimasta malissimo. Era il nostro anniversario, capisci? Non si era mai scordato di una simile data e invece, ora che le cose dovrebbero iniziare a prendere una piega più seria, lui si dimentica di una semplice data! Gli ho inviato mille segnali ieri per farglielo capire, mai lui nulla!».

«Si tratta solo di questo?», indagai scrutando attentamente la sua espressione che da arrabbiata diventava sorpresa.

«Certo, e di cosa altrimenti?», domandò spaesata.

«E' la prima volta che dimentica una data importante per voi?».

«Mmm, no, durante il primo anni che stavamo insieme si dimenticò anche il mio compleanno. Povero tesoro mio, non è mai stato bravo con le date!». Alle sue ultime parole gli occhi le si illuminarono di luce propria, come una stella in una notte senza luna.

«Quindi questa volta dov'è il problema? Se sai che non lo fa apposta a scordare gli anniversari e i compleanni...», lasciai la frase in sospeso con l'intenzione di farle capire cosa intendessi.

«Sono tre anni che stiamo insieme», affermò decisa.

Annuii comprensiva e attesi ancora.

«Questo è il terzo anno, capisci?», calcò sull'anno e finalmente compresi.

«Cosa ti aspettavi esattamente per questo anniversario?».

«Nulla», sfuggì al mio sguardo e riprese a sistemare dei vestiti abbinandoci le scarpe.

A un tratto mi tornò in mente un discorso che avevo affrontato con Alice non molto tempo fa. L'avevo beccata che sbirciava una rivista di abiti da sposa e quando le chiesi cosa stava cercando mi rispose con il solito "nulla", ma dopo poco aveva iniziato a parlare di matrimoni, di quanto ci tenesse a sposarsi dopo aver trovato Jasper.

«Interessante», affermai sorridendo furbamente.

«Cosa?», chiese con finto tono svogliato, ma si vedeva lontano un miglio che stava fremendo in attesa del mio verdetto.

«Ti aspettavi che ti chiedessi di sposarti», affermai certa delle mie parole.

«Tsé, ma cosa stai... Sì», disse infine.

«Alice, questo non significa nulla», sostenni dolcemente. «Siete così perfetti insieme, una coppia unica e di una vivacità incomparabile. Una data dimenticata non significa nulla. Se è questo che volete entrambi non sarà un giorno a fare la differenza. Anzi, non è meglio così? Almeno avverrà in un momento in cui non te lo aspetterai», conclusi facendole un occhiolino.

Mi buttò le braccia la collo e mi ringraziò prima di correre da Jasper per scusarsi del suo comportamento.

Bene, avevo appena fatto la mia buona azione giornaliera e mi sentivo in pace con me stessa.

Presi la mia roba e andai nel parcheggio deserto, dove si intravedeva solo la mia macchina.

Appena girai la chiave notai subito che qualcosa non quadrava. Tutte le figure poste vicino al contachilometri si accesero, olio, acqua, motore... Spensi e riprovai notando che questa volta non si accesero nemmeno le luci, la mia auto non dava segni di vita se non un borbottio degno di una vecchia auto da rottamare. Sbatteri la mani sul volante e scesi a controllare se ci fossero danni in vista. Girai intorno all'auto e notai che era perfetta, come al solito. Tornai in auto e cliccai il tasto sotto il volante per far aprire il cofano. Scesi nuovamente aspettandomi il fumo fuoriuscire una volta aperto del tutto il cofano, ma nulla di tutto questo avvenne. Tutto sembrava in perfetto ordine, eppure quella maledetta non partiva! La benzina c'era, ero sicura, quella mattina avevo fatto il pieno!

Sentii il rombo di un motore risuonare nelle vicinanze. Chiusi il cofano e mi avvicinai alla portiera dell'auto. Ad un tratto nella mia visuale emerse una moto nera, per essere più precisa una Yamaha R8. Il proprietario della moto indossava un casco integrale nero con striscie dorate ai lati. La visiera era abbassata quindi non avevo modo di riconoscerlo.

Lo osservai avvicinarsi sempre a bordo della moto e non feci più fatica ad associare un nome alla figura perfetta sulla moto.

«Serve aiuto, dolcezza?», mi chiese lo sconosciuto.

Dio, no, non poteva essere! Se questa non si chiamava sfiga allora non sapevo proprio che termine usare!

«No, grazie, me la cavo da sola», risposi gentilmente. Feci finta di nulla e cercai il cellulare nella borsa. Ovviamente stare piegata dentro la macchina e cercare di raggiungere il cellulare attraverso il finestrino non era il massimo della comodità.

Con la coda dell'occhio osservai i movimenti di Edward e notai che stava scendendo dalla moto dopo averla posizionata sul cavalletto laterale. Si tolse il casco e si passo una mano tra i capelli per riordinarli. Osservai com'era vestito, indossava un jeans scuro abbastanza stretto e una giacca sempre nera in pelle. Una divisa da moticiclista, insomma.

«Fa' controllare me», mi disse spostandomi delicatamente dall'auto. Si mise al posto di guida e tentò di accenderla. Assunsi una posizione da scocciata, incrocia le braccia sotto il seno e con un piede presi a tamburellare sul cemento.

Lui con un sorriso da furbetto scese dall'auto e disse l'ovvio: «L'auto non parte, mi dispiace».

«Nooo, non posso crederci! Come hai fatto a capirlo?», il mio tono sarcastico lo divertì ancora di più.

«Andiamo, ti dò un passaggio», affermò avviandosi verso il suo nuovo mezzo di trasporto.

«Spero tu stia scherzando, io non mi muovo da qui, ora chiamo un carrattrezzi e poi torno a casa».

«A quest'ora ci metteranno una vita ad arrivare, ti conviene lasciar perdere e chiamare domani un meccanico. Poi chissà, è solo un cortocircuito, magari domani riparte», mi disse con molta tranquillità. Aggrottai la fronte perplessa dalle sue parole. Dubitavo che l'indomani sarebbe partita, ma non aveva tutti i torti, a quell'ora non avrei risolto molto se non perdere tempo da sola nel parcheggio fino ad un orario indecente.

«Okay, accetto il passaggio. Ti ringrazio». Mi avvicinai a lui e tutto a un tratto sbucò un altro casco.

«Giri sempre con due caschi?», domandai incuriosita.

«No», rispose onestamente.

Saltò sulla moto e mise in moto. Io mi assicurai che il casco fosse ben allacciato e poi posai una mano sulla sua spalla per aiutarmi a salire.

Mi posizionai comodamente sul sedile - anche se usare il termine comodo era fuori dal gergo di una moto da strada, perché era tutto tranne che quello.

«Tieniti», mi rimproverò.

«Mi sto tenendo!», ribattei irritata. Le mie mani erano ben salde alla moto.

«No», mi disse staccando le mie mani dal sedile e intrecciando le mie braccia intorno al suo corpo. «Devi tenerti a me».

Lui partì senza nemmeno avvisarmi, mettendo una marcia dopo l'altra e la moto prese velocità. Mi ancorai al suo corpo e avvertii il contatto caldo con la sua schiena premere sul mio petto. Le mie gambe erano ai lati delle sue e stringevano la presa intorno al suo corpo formando una gabbia.

Mi piaceva la sensazione di quel contatto con lui. L'attrazione era sempre lì, presente e nonostante fossi stata distaccata appena lo avevo visto sulla moto, di certo in quel momento di poteva dire tutto ma non che fossi fredda con lui. Stringevo la presa come se fosse la mia ancora in mezzo al mare.

Mentre sfrecciava nella notte, io seguivo i movimenti del suo corpo. Era una bella sensazione di leggerezza e mi ritrovai per un attimo spensierata, ma poi troppe coincidenze mi tornarono in mente. Edward che entrava nel parcheggio proprio quando la macchina non partiva e pensare che quel giorno non era nemmeno sul set, cosa ci faceva lì? Era di passaggio? E il fatto che avesse due caschi quando ne portava solo uno? Un'altra coincidenza? Mi tornarono in mente anche le sue parole: "... magari domani riparte". Ricollegare i pezzi non fu difficile.

Ma porc... Non potevo crederci! Mi ero fatta fregare alla grande!

«Brutto stronzo che non sei altro! Ferma subito questa moto o giuro che appena scendo te la disintegro!», urlai nella notte.

Il mio tono incazzato fece allarmare Edward, che subito decelerà scalando di marcia in marcia. Si fermò ad un angolo della strada e io subito scesi sfilandomi il casco.

«Hai manomesso la mia auto! Avevi programmato tutto! Pensavi non lo venissi mai a scoprire?!», lo accusai andando a faccia a faccia con lui.

«Io? Ma cosa stai dicendo! Non farei mai una cosa simile, tzé, no», farneticò accampando un sacco di balle.

«La tua recita non funziona con me».

Probabilmente decise che era meglio ammettere l'ovvio che inventare scuse inutili: «Era nei miei programmi dirtelo, te lo assicuro».

«E quando? Domani? Quando te lo saresti fatto sfuggire?», continuai ad attaccarlo.

«Non volevo arrivare a questo, ma tu non avresti mai accettato di uscire con me. Quindi a mali estremi, estremi rimedi!», affermò convinta di aver fatto la cosa giusta.

«Ma se mi stavi accompagnando a casa!». Di certo non stavamo andando in qualche posto particolare e se pensava di intrufolarsi in casa mia si sbagliava di grosso!

«A dire il vero ti stavo portando a cena», ammise innocentemente. «Secondo te come avrei fatto a portarti a casa se non so nemmeno dove abiti e non te l'ho chiesto? Andiamo, Isabella, fai due più due».

Come avevo fatto a non pensarci? Accidenti, con lui perdevo completamente la testa!

«Discutere con te è inutile, portami a casa», dissi sconfitta. Mi rimisi il casco e salii dietro di lui avvinghiandomi al suo corpo caldo.

«Prima andiamo a cena», affermò mentre si rimetteva in carreggiata.

«Non ci pensare nemmeno, Edward!».

«Dolcezza, non ci sei tu a guidare, quindi non ti lamentare e goditi il viaggio, il ristorante non è vicino».

E sfrecciò silenzioso come se le mie proteste non valessero a nulla.

Cosa potevo aspettarmi da quella serata che Edward aveva ottenuto con l'inganno?

 

Buonasera gente! Non so davvero come scusarmi e cosa dire a mia discolpa per questo assurdo ritardo! Non camperò scuse, con altre storie sono andata avanti, quindi in tre mesi il tempo lo avrei anche trovato, ma purtroppo continuavo a concentrarmi su altre storie senza prestare i dovuti riguardi a questa e sapete perché? Be', non penso vi interessi per nulla, ma orami che ci sono ve lo dico xD Quando mi dò una scadenza come per l'altra mia long, la rispetto a costo di scrivere il capitolo all'una di notte, invece quando non mi dò dei limiti di tempo sforo. Quindi a conclusione dei fatti ho deciso di mettere una data di scadenza per ogni capitolo anche a questa storia. Sono sempre puntuale come potete constatare con l'altra, quindi non vi farò più aspettare così tanto per un capitolo! Spero ci sarete ancora a sostenermi e a darmi i vostri pareri, anche se so che non li merito (da lettrice vi capisco ç.ç).

Oggi alle quattro mi sono messa qui e dopo aver riletto le due pagine scarse cche avevo scritto mi sono data una mossa a finirlo per voi... oggi sono molto attiva, ho anche scritto delle trame di os e altre cose, che giornata strana O.O Va be', ora che mi sono sfogata passo al capitolo xD

Ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo e i continui numeri che si alzano nelle liste, vi adoro, sappiatelo *-* Senza di voi che fare? ù.ù Nulla ù.ù

Il capitolo è finito a metà, il proseguimento della serata nel prossimo e lì ne vedremo delle belle, crede ù.ù Edward è arrivato a manomettere l'auto ahah, non so da dove mi sia uscita una simile cosa ahah xD Però non è stato tenero a provare anche questa via per avere un'opportunità con lei? *** E pensare che inizialmente volevo terminare il capitolo con l'arrivo in moto dello "sconosciuto", ma sarei stata troppo cattiva, vero?! Quindi è come se vi avessi fatto un piiiiccolo regalino come ringraziamento del vostro sostegno! (Spero qualcuno legga queste note lunghissime e noiose >.<)

Gli aggiornamenti andranno un po' a rilento per ancora due mesi, ma almeno non vi farà aspettare mesi per un capitolo! Prossimo aggiornamento lunedì 23, così da farmi perdonare per l'attesa!

A presto con gli spoiler, scusatemi tanto se per questa volta non ho messo neanche uno spoiler nemmeno su fb, ma avevo fretta di aggiornare dopo mesi!

Kiss <3

Jess

 

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Capitolo 7
*** It is what it is ***


It is what it is

 

Here it comes ready or not
We both found out it's not how we thought
That it would be, how it would be

Lifehouse, It is what it is

 

POV Edward

Per quanti anni avevo atteso una parte in un celebre film che mi avrebbe portato al livello che da sempre agognavo? Molto tempo, troppo per i miei venticinque anni. Poi, finalmente, era arrivata la benedetta svolta, ma questa volta in tutti i sensi. Non avevo solo ottenuto la parte di un film che presto avrebbe sbancato ai botteghini, qualcuna mi aveva fatto perdere la testa. Certo, non potevo dire di essermi innamorato, ma la mia testa ormai era sicuramente altrove, invischiata in desideri e bisogni con una donna dal carattere forte e inavvicinabile.

Isabella era la donna che mi aveva rapito con la sua tenacia, la sua passione per il cinema e la sua incredibile bellezza del tutto normale sotto ogni canone, ma con una personalità da dominatrice. I suoi lunghi capelli neri donavano un senso di morbidezza e tante volte avevo sognato ad occhi aperti di immergerci le mani per poi tirarle leggermente indietro la testa e baciarla. E cristo, quegli occhi erano così profondi e suggestivi, il nero sapeva essere un colore duro e freddo, impossibile da trovare dolce, ma il suo sguardo sapeva accendersi di quella fiamma che illuminava tutto il suo viso. I suoi occhi le conferivano una sensualità che avrebbero indotto con un semplice sguardo qualunque uomo a fare follie per lei. Ovviamente il suo corpo accentuava il potere di essi, con le forme al punto giusto, e non con un fisico scheletrico come la maggior parte delle donne hollywoodiane si erano messe in testa di voler possedere, attirava sguardi maschili espliciti. Non possedeva un fisico fuori dalla norma, le sue misure erano del tutto normali, ma la sua eleganza, la sicurezza nel suo portamento erano le qualità che la portavano ad essere un gradino sopra qualunque donna avessi mai incontrato prima.

Lei era la donna che appena la vidi mi rimase impressa come un marchio a fuoco nella mente. Non era sicuramente la prima volta che sentivo il suo nome prima di presentarmi ai provini, ma non ero mai stato ad un passo da lei, non l'avevo mai vista dal vivo. Suo padre, Charlie Swan, era una leggenda nel mondo del cinema e presi al balzo l'opportunità di poter far parte del cast del primo film della figlia. Non avrei mai immaginato di trovarmi così bene in quell'ambiente, di incontrare persone simpatiche ed amichevoli, ma in primis non mi sarei mai sognato di prendere una sbandata per Isabella Swan.

Quindi il film si era rivelato un'opportunità sotto vari punti di vista.

Se il film procedeva a gonfie vele, il mio rapporto con Isabella non progrediva. La sua reticenza a lasciarsi coinvolgere in un rapporto sentimentale con un suo dipendente metteva in difficoltà anche me. Sapevo che dovevo farle cambiare idea a tutti i costi, ma non era facile, per niente. Bella aveva una morale di ferro, principi che non avrebbe scalfito per nessuna ragione al mondo, indi per cui il mio obiettivo era diffcile da raggiungere, la strada era piena di curve e burroni difficili da superare, ma non per questo mi sarei dato per vinto. Provavo un sincero interesse per quella donna e prima o poi l'avrei fatto capire anche a lei.

Il momento in cui mi resi conto realmente che i miei sentimenti riguardo il rapporto che desideravo con Bella erano cambiati, era stata proprio la sera del party di beneficienza. Fin da subito ero rimasto folgorato da lei, chissà per quale motivo era riuscita a colpirmi ed entrarmi dentro, ma quella sera era qualcosa di spettacolare, oltre la sua bellezza in quell'abito lungo ed elaborato, era stata la sua gentilezza e il suo rapporto con i familiari che mi aveva mostrato un lato di lei nascosto ai miei occhi. Non era la dura che voleva far credere, il suo animo era dolce e gentile con chiunque... chiunque tranne il sottoscritto, ovviamente.

L'appellativo "principessa dei ghiacci" che le donai quella famosa sera, non era sicuramente un complimento, ma piano piano stava perdendo la negatività che inizialmente gli avevo dato, per assumere dei connotati più dolci, anche se per me sarebbe rimasta la stessa principessa polare e distaccata. Ormai era un nomignolo affettuoso e mio, solo io avevo il diritto di chiamarla in quel modo.

Il bacio che successivamente le avevo rubato mi aveva fatto ancora di più comprendere quanto mi stessi invischiando in quella storia a senso unico, vista la zero partecipazione di Bella. Dovevo fare tutto io e mi stava bene così, lo sapevo e non avevo nulla di cui lamentarmi.

Dopo quella fantastica serata iniziò ad evitarmi. Ero andato su tutte le furie al pensiero che non volesse sprecare nemmeno un minuto del suo tempo per parlare di quello che c'era stato tra noi, aldilà del bacio o non bacio. Qualcosa ci aveva legati e lei non aveva nulla da dire? No, ero arrivato io stesso alla verità: non sapeva come comportarsi, quindi evitarmi le rendeva tutto più semplice. Così avevo capito che non si fidava pienamente di me e mi aprii con lei in quel parcheggio deserto. Se era servito o meno non lo sapevo ancora, ma quella sera avevo intenzione di scoprirlo, per questo avevo sabotato la sua auto e avevo organizzato tutto per poterla rapire per una serata. Sapevo benissimo che altrimenti avrebbe trovato mille motivi per rifiutare, ma così l'avevo messa con le spalle al muro, non che la cosa mi facesse piacere, ma seguivo il buon vecchio detto "in guerra e in amore tutto è lecito". Anche se di amore ancora non si poteva parlare.

Bella non aveva preso molto bene la mia iniziativa, ma alla fine sentivo che si stava adattando alla situazione e dopo pochi minuti rilassarsi dietro di me e seguire in modo fluido i movimenti della moto.

Le sue braccia erano ancorate alla mia vita e il suo petto aderiva in modo stupefacente alla mia schiena, facendomi sentire ogni sua curva. Le sue coscie ai lati delle mie stringevano la presa ad ogni curva, facendo entrare ancora di più in contatto i nostri corpi. Cazzo, ancora pochi minuti e mi sarei dovuto preoccupare anche di altro, oltre alla furia della donna dietro di me. Ero certo che ancora stava rimuginando sullo scacco matto che le avevo giocato quella sera.

Presi la strada che conduceva in un ristorante a Beverly Hills, il famoso Spago dove la cucina italiana non era solo una mera utopia. Arrivati a destinazione feci scendere con delicatezza Bella dalla moto, tenendole la mano destra, dopodiché scesi anch'io posizionando il mio gioiello nero sul cavalletto.

«Se tu fossi meno prevenuta verso questa serata potresti anche godertela», soffiai nel suo orecchio.

Isabella era rigida nei movimenti e la linea delle labbra era tesa. Non mi picque vederla così dopo la scoperta della mia progettazione di quella serata che sicuramente si sarebbe rivelata fantastica.

Sospirò conscia che le mie parole avevano un fondo di verità e si lasciò guidare all'interno del ristorante sofisticato ed elegante.

Un uomo basso, con una leggera barba grigia ci accolse: «Buonasera signori, benvenuti allo Spago».

«Salve, ho prenotato a nome Cullen».

«Il tavolo vicino agli olivi centenari, ma certo, un cameriere arriverà subito per scortarvi al vostro tavolo».

Mentre un ragazzo di appena vent'anni ci conduceva presso il giardino, posai una mano sulla schiena di Bella più per avere un contatto con lei che per condurla realmente.

«Olivo centenario?», sussurrò Bella avvicinandosi a me per non farsi sentire dal cameriere.

«Sì, in questo ristorante c'è un olivo italiano centenario e i tavoli nelle vicinanze sono carichi di un'atmosfera particolare», le spiegai pazientemente. Certamente non potevo dirle che quei tavoli erano quasi introvabili se non si prenotava mesi prima, visto che erano nelle mire di molte coppie e sicuramente non le avrebbe fatto piacere sapere che scusa mi ero inventato per averlo quella sera stessa.

Scostai personalmente la sedia a Bella e ci accomodammo al tavolo, posizionato esattamente sotto l'olivo italiano che ci concedeva la dovuta privacy di cui avevamo bisogno.

«Come hai fatto ad avere questo tavolo? Per non parlare della prenotazione, tutti sanno che se non si prenota mesi prima è praticamente impossibile cenare in questo posto», disse Bella ammirata e incantata da quel luogo. Dalla nostra posizione avevamo una vista su Los Angeles fantastica; tutte le luci della città apparivano piccole e formavano un arcobaleno spettacolare.

«Farei carte false per te, principessa», le confessai fissando quegli occhi neri. Carte false... Come ad esempio prenotare quel tavolo con la scusa che la mia fidanzata stava per partire per un lungo viaggio e quella era l'ultima sera in cui potevo farle la mia proposta di matrimonio, nel luogo che da sempre aveva sognato grazie al precedente dei suoi genitori. Il resposabile aveva preso a cuore la mia situazione disperata e aveva aggiunto un tavolo per noi. Dopotutto ero un attore e se non risultavo credibile nemmeno per telefono non potevo sperare di esserlo dal vivo.

La mia principessa non chiese ulteriori spiegazioni per una volta, immaginai si fosse morsa la lingua. Osservai il suo viso e notai che la tensione iniziava ad abbandonarla minuto dopo minuto.

Attesi che fosse lei ad intavolare un discorso, non volevo farle pressioni. Dopo qualche minuto di minuziosa ispezione si schiarì la voce e fu diretta e concisa come solo lei sapeva essere: «Non ti chiederò il perché di questa serata, ieri sei stato abbastanza chiaro», si riferiva sicuaramente alla mia confessione delle intenzioni che avevo con lei; «ma non ho ancora chiara una cosa: perché proprio io?».

«Vuoi davvero saperlo? Non preferisci la suspence?», scherzai per alleggerire la tensione. Lei strinse i suoi occhioni e trattenne un sorriso.

«Le soprese non mi sono mai piaciute un granché».

«Ti farò ricredere, principessa. Chissà che non arriverai ad amarle», ammiccai in modo esplicito. Sollevo un sopracciglio e si morse un labbro in modo accattivante. Mi stava provocando, eccome se lo stava facendo!

«Tutto è possibile», iniziò lasciando le sue parole fluttuare nell'aria. «Ma non ci spererei troppo se fossi in te».

«Io spero e provvedo». Capovolsi il detto e questo la divertì. Quando la sua bocca si apriva e quelle dolci melodie uscivano dalle sua labbra il suo viso si illuminava di una luce offuscante: il suo sorriso era ciò che la rendeva normale, diversa da come voleva apparire di fronte agli altri; perdeva quella durezza e freddezza che mostravano di lei un lato quasi meccanico.

«Da quanto programmi questa serata?», mi chiese incuriosita e per nulla scocciata dal ricordare la trappola che le avevo teso.

«Da ieri sera. Che programmi avevi per la serata?».

«Dovevo passare da mio padre per... Merda, dovevo prendere Muffin!», esclamò. Si mise a frugare nella borsa in cerca del telefono e una volta trovato fece partire subito la chiamata.

«Papà?... Sì, scusa, ho avuto un contrattempo ormai passerò domani a prenderlo e... No, nulla di grave... Mmm... Ehm, no, non sono a casa, meglio se ti chiamo domani eh... Buonanotte, papà».

La chiamata fu abbastanza breve e qualche volta notai occhiate fugaci di Bella nella mia direzione. Io la osservai per tutto il tempo e continuai a farlo anche a chiamata conclusa. Intrappolai il suo sguardo nel mio senza fare o dire nulla, semplicemente immobili.

«N-non hai risposto alla mia domanda», mi ricordò Bella. Giusto, la domanda... Qual era?

Notando la mia espressione confusa mi rinfrescò la memoria: «Perché io?».

«La domanda che dovresti porti in caso contrario sarebbe stata: perché non io?», pronunciai maliziosamente.

«Sbruffone», commentò seccata dai miei rigiri di parole.

«Se te lo dicessi sarebbe un ripetere le mie parole di ieri. Ti risulta così difficile pensare che io voglia proprio te e non un'altra donna?».

«Sì, cioè no, forse... Cazzo, ma perché devo sempre incasinarmi quando parlo con te?!», disse esasperata. Le sue labbra si tesero e i suoi occhi erano colpi di disperazione e confusione. Era come se in lei fosse in corso una lotta interiore tra ciò che voleva e ciò che riteneva non fosse giusto.

«Ti innervosisco...», affermai sicuro della mia tesi.

«Sì, perché...».

«Perché ti piaccio».

«Sì! Cioè, no, no, non è vero! Tu riesci solo a confondermi!». L'avevo colta di sorpresa e non era riuscita a glissare sulla risposta finendo con il dire ciò che relamente pensava.

«Ammettilo e ti sentirai meglio, principessa».

«Non ho nulla da ammettere», si intestardì. Le rivolsi un'occhiata scettica e infine la ebbi vinta.

«Non è come credi tu, solo perché due persone provano attrazione reciprova non significa che...», iniziò per poi interrompersi all'improvviso.

«Finalmente lo ammetti», dissi compiaciuto del piccolo passo avanti: dichiarare ad alta voce almeno una delle tante cose tra noi.

«Edward», mi richiamò esausta nel non averla vinta.

 

Nel corso della cena parlammo del film, senza mai introdurci in argomenti che riguardassero la nostra sfera privata. Il perché mi era ignoto, forse volevamo passare entrambi una serata tranquilla e lasciare tutto il resto fuori: il nostro passato, il presente e il futuro così incerto.

«Penso che tra non molto faremo la nostra prima tappa. Le riprese forse saranno a Seattle per almeno due settimane», mi disse eccitata. Parlare del suo lavoro era come parlare di un amante, per lei. La sua passione era impossibile da non notare. Iniziavo a capire un po' di più perché non volesse che il nostro rapporto crescesse, il suo lavoro contava molto, ci aveva messo tutta se stessa nel film e aveva il terrore che anche una piccola cosa potesse distruggerlo.

«Tuo padre sarà fiero di te». La mia non era una domanda, ma una constatazione. Volevo sapere qualcosa in più di lei e questo mi era sembrato un buon aggancio per accedere ad un pezzetto della sua vita privata che custodiva con così tanta tenacia lontana dalle grinfie dei giornalisti. Di lei si sapeva ben poco grazie ai giornali.

«Lo spero. Rendere orgoglioso Charlie del mio lavoro è uno dei miei obiettivi in questo film». Capii quanto fosse legata al padre anche dal semplice cambio di tono di voce mentre pronunciava il suo nome. Il suo sguardo trasmetteva un amore puro che mai nessuno avrebbe macchiato.

Non accennai alla madre, sapendo bene che il signor Swan era rimasto vedovo molti anni prima. Quella serata stava procedendo alla grande, meglio di quanto avevo sperato e rendere triste Bella non era nei miei piani.

«E cosa mi dici dei tuoi? Cosa pensano del tuo mestiere?», mi domandò interessata anche a scoprire qualcosa di me.

«Mia madre ne è entusiasta, mio padre un po' meno, sperava seguissi le orme di famiglia, ma tutto sommato hanno accettato bene la mia scelta. A volte si preoccupano che io abbia una vita privata soddisfacente; dovrebbero capire una volta per tutte che non sono Jhonny Depp e posso avere ancora la mia privacy».

Mentre parlavo era arrivato il dolce e la serata era quasi al termine. Presi la mano di Bella abbandonata sul tavolo e lei sobbalzò sorpresa. Non si ritirò dalla mia presa gentile, né io gliene diedi l'opportunità. Accarezzai la sua pelle morbida, tracciando dei cerchi sul dorso della sua piccola mano. La sentii sospirare e immaginai che quel contatto non avesse un effetto abbastanza delitiero solo sul mio corpo.

Cazzo, era un semplice contatto! Come poteva rendermi inerme come un agnellino?!

Avvolsi completamente la sua mano e dopo attimi di smarrimento riprese a parlare: «Questo cambierà».

«Cosa?», chiesi concentrato solo sulla sensazione che i dava toccarla senza la sua resistenza e su quanto mi facesse stare bene.

«Quando il film uscirà la tua vita privata inizierà ad essere sbandierata ai quattro venti. Sarà un film lanciato a livello mondiale, tu sei il protagonista e questo ha una certa rilevanza per la stampa».

«Sì, immagino sarà così, ma per ora mi godo la mia privacy». Sapevo che gli altri film a cui avevo partecipato non erano paragonabili a questo e che la fama che ne avrei ricavato sarebbe stata grandiosa e terrificante al tempo stesso. Eppure in questo momento non era ciò a cui pensavo. Nella mia mente c'era solo Bella.

Annuì come per darmi ragione e preso da una certa enfasi tirai la sua mano facendola alzare.

«Cosa...», iniziò.

«Niente domande», la interruppi.

Pagai il conto e la scortai fuori. Le porsi il casco e lei lo indosso senza fiatare; per una volta stava facendo come le avevo suggerito. La mia principessa dei ghiacci si stava sciogliendo.

«Sali, principessa», le dissi porgendole una mano per facilitarla.

Partii subito e lei si ancorò a me come all'andata. Sentire il suo corpo aderire al mio era una sensazione ancora più intensa dopo la cena.

«Ora chiudi gli occhi e non sbirciare, ti vedo dallo specchietto!», le ordinai. Diedi una fugace occhiata al suo viso dallo specchietto destro e notai che non mi aveva dato retta.

«Avanti, Bella», la incoraggiai.

«Okay», mi urlò per superare il rombo della moto. Controllai che li avesse davvero chiusi e ne ebbi la conferma quando posò la testa sulla mia schiena, rilassando i muscoli che sentivo a contatto diretto con me.

Dopo una mezzora arrivammo a destinazione. Mi immisi in una stradina sterrata che conoscevo molto bene e proseguii fino alla fine, dove poi una ringhiera malconcia segnava la pericolosità di un dirupo.

«Scendi dalla moto adagio, tenendoti a me, ma non aprire gli occhi per nessuna ragione».

«Cadrò», si lamentò mentre scendeva tenendo le mani sulle mie spalle.

«Non ti lascerò mai cadere, Bella», suonò quasi come una promessa.

Dopo di lei scesi anch'io velocemente e la afferai per i fianchi. Avvicinai il mio viso al suo orecchio e parlai ad un centimetro di distanza: «Tieni gli occhi chiusi e fidati di me».

«Okay», mi rispose quasi sussurrando.

Per arrivare nel punto in cui volevo aprisse gli occhi c'erano pochi metri da fare a piedi, nel completo buio. Purtroppo il fatto che le avessi ordinato di non guardare era difficoltoso per lei camminare in mezzo a sassi e terra con quei tacchi, quindi optai per una scelta più semplice: mi accucciai e passai una mano sotto le ginocchia di Bella e l'altra dietro la sua schina, prendendo tra le braccia il suo corpo formoso.

Lanciò un gridolino a causa dello spaventò e le sue braccia circondarono il mio collo.

«Potevi anche avvertirmi», mi accucò puntando alla cieca un dito contro il mio petto.

«Me lo avresti proibito». Al massimo avrebbe aperto gli occhi, ne ero certo.

«Ormai stai imparando a prevedere le mie mosse».

«Ho imparato a conoscerti», affermai felice che finalmente qualcosa con lei quadrasse. Non poteva sempre lasciarmi a bocca aperta o sorpreso, anche se ero bravo a dissimulare tutto ciò ogni volta che me la trovavo di fronte.

Arrivai nei pressi della ringhiera e la feci scivolare delicatamente dalle mie braccia, facendole posare i piedi a terra. Il suo corpo nel frattempo sfregò con il primo e strinsi i denti trattenendo il respiro.

Mi misi dietro di lei, avvolgendo i suoi fianchi con le braccia e posai il mento sulla sua spalla. Delicatamente le spostai i capelli dal collo e le diedi il permesso di aprire gli occhi.

La sentii trattenere il respiro e immaginai che questa piccola sosta fosse stata di suo gradimento. Sapevo benissimo cosa si era ritrovata davanti anche senza alzare lo sguardo: una fantastica vista notturna di Downtown, il cuore di Los Angeles. Una vista del tutto diversa dal panorama del ristorante Spago per quanto riguardava la zona della città, ma simile in quanto a luci e colori. I grattacieli si ergevano alti e interamente illuminati, con qualche insegna rossa in cima e intorno la strada, in particolare la superstrada, appariva una scia luminosa di luci chiare indefinibili.

«Nonostante sia nata a LA, non sono mai venuta qui; in questo momento mi pare assurdo, come ho fatto a perdere un simile spettacolo?», chiese retorica.

«Per questo ci sono io», la punzecchiai, ma non abboccò, anzi si voltò tra le mie braccia trovandosi di fronte a me, con il suo viso a pochi centimetri dal mio.

«Grazie», mi disse riconoscente. Era la prima volta che la sentivo pronunciare una parola con tanta dolcezza e gratitudine. Mi emozionai, ero stato in grado di smuoverla dal suo castello di ghiaccio e avevo come la sensazione che avesse persino dimenticato le sue regole ferree: in quel momento eravamo solo Edward ed Isabella, senza nessuna convenzione dovuta al nostro lavoro.

«Prego», susssurrai avanzando di quache centimetro, ma senza sfiorare minimamente le sue labbra con le mie. Quella volta non sarei stato io a fare il primo passo. Pretendevo che quella serata finisse nel migliore dei modi e non con lei che si pentiva di un nostro contatto fisico. Quella sera non l'avrei accettato.

Osservai i suoi occhi illuminati dalla luna, vidi chiaramente quello che stava succedendo, un combattimento tra ciò che desiderava e ciò che riteneva non dovesse accadere. Vinse il desiderio, lo stesso desiderio cupo e selvaggio che sentivo anch'io.

Il suo viso si avvicinò al mio con troppa calma, desiderai accelerare il tempo e finalmente la mia volontà fu esaudita: Bella premette le sue labbra rosee sulle mie in maniera tutt'altro che dolce. La passione divorò entrambi e mai come prima mi sentii vicino a lei anima e corpo. Posai le mie mani sui suoi fianchi snelli e la spinsi contro il mio corpo; subito le sue braccia corsero sulle mie spalle. Con una mano risalii lungo la sua schiena fino al collo, dove il mio percorso si concluse. I suoi capelli morbidi scivolavano tra le mie mani e li strinsi con delicatezza.

Mi ero lasciato sfuggire il bacio del giorno prima, eppure questo compensava anche quello perso. Bella non era timida o ingenua, sfidava il corpo a dare sempre di più e un fuoco percorse tutto il mio essere da capo a piedi. Saggiai il suo sapere, fusi la mia lingua con la sua e gemiti incontrollati sfuggirono ad entrambi.

Non mi accorsi chi dei due pose fine al bacio, finché non ci ritrovammo immobili e avvolti dai nostri respiri affannati.

«Abbiamo...», iniziò Bella.

«Non una parola», la minacciai. Non poteva rovinare questo momento con i suoi ripensamenti.

«Ma...», ritentò.

«Bella, no», le risposi scocciato.

«Okay», sbuffò posando il capo sul mio petto e abbracciandomi. La strinsi a mia volta e sorrisi per quella piccola vittoria.

Restammo lì in quella posizione per un tempo indefinito, poi ripartimmo verso casa di Bella. Arrivati scesi anch'io dalla moto e mi tolsi il casco.

«Domattina dovrò chiamare un taxi a causa della tua bravata», mi rimproverò fintamente; alla fine la sorpresa era piaciuta anche a lei.

«Ti passo a prendere io alle otto in punto», colsi la palla al balzo per passare più tempo con lei.

La vidi imbarazzata: «Facciamo alle nove».

«Okay, alle nove», confermai. «E' stata una serata fantastica».

«Sì», mi rispose con un'ombra che le passava sul viso. Oh, potevo solo immaginare cosa le passava per quella testa dura. «Ora devo andare».

«Non farlo principessa», le dissi dolcemente posando una mano sulla sua guancia. Mi guardò stupita, non compese le mie parole.

«Cosa?».

«Non sminuire la nostra serata. Domani spero che non dovrò riniziare tutto da capo», esplicai. Scosse la testa alle mie parole e abbassò il viso.

«Non è facile. Questa serata non ha cambiato...».

La interruppi di nuovo: «So che non è cambiato nulla, se non che entrambi abbiamo avuto la conferma di ciò che c'è tra noi».

«Non c'è nulla tra noi», disse poco convinta.

«Cerchi solo di convincere te stessa e questa volta non basta dirlo ad alta voce».

«Stai cercando di confondermi», disse convinta. Non sapeva più dove aggrapparsi e io non potevo darle nessun appiglio in questa situazione.

«Lo stai facendo da sola e sai perché? Perché non vuoi accettare la realtà, rifiuti di provare qualcosa per me e non capisci come comportarti: passare sopra ai tuoi principi oppure continuare e perderti ciò che di grande può esserci tra noi?».

«Quale sarebbe la risposta a tuo modesto parere?», tornò alla carica. Mi piaceva il suo lato combattivo, trovavo una sfida personale scene simili, anche se non si trattava solo di questo lato del suo carattere, volevo lei nella sua interezza.

«Non ho mai affermato di essere modesto», ribattei, ma una sua occhiata mi rimise in careggiata: «Calpesterai le tue regole autoimposte, ti butterai con passione nella nostra storia...».

«Inesistente», precisò lei.

«... E alla fine ti accorgerai che sarà stata la scelta giusta...».

«O quella sbagliata».

«E' un periocolo che entrambi corriamo».

«E se non ne valesse la pena?», mi chiese timorosa. Mai prima d'ora l'avevo vista così fragile.

«Noi potremo essere davvero felici insieme. Felici ed innamorati», le confermai cercando di infonderle il mio ottimismo.

«E se non fossi pronta a correre questo rischio?».

«Vorrà dire che ti farò cambiare idea», ammiccai senza dare un peso eccessivo alla sua domanda; il sorrisetto che nascondeva parlava per lei.

«Dovrai impeigare tutte le tue risorse», mi provocò.

«Non hai nemmeno idea di quanto siano illimitate», annunciai maliziosamente.

«Chissà, forse lo scoprirò presto», dopodiché mi voltò le spalle e si incamminò verso la porta di casa sua.

Non accettai un'uscita di scena simile, l'afferai per il braccio bloccandola. Bella si voltò con la fronte corrucciata, le sorrisi maliziosamente e l'atterai verso di me.

«Dovresti imparare a salutare le persone come si deve, in particolar modo me», sottolineai. Non era di certo la prima volta che se la svignava prima che potessi dire una sillaba.

Non le lasciai il tempo di rispondere, incorniciai il suo viso tra le mie mani e la baciai. Un bacio veloce e carico di tutte le aspettative che nutrivo verso di noi.

«Buonanotte, principessa», sussurrai sulle sue labbra prima di voltarmi e andarmene.

Mentre uscivo dal vialetto privato della sua abitazione diedi una sbirciata alle mie spalle e la vidi ancora ferma sugli scalini.

Bruciai metri e poi chilometri, a bordo della mia moto feci un giro intorno a Beverly Hills per schiarirmi le idee. Quella sera sentivo di aver fatto dei passi avanti, per tutto il tempo si era affidata a me, riponendo la sua fiducia nelle mie mani. Avevo visto un piccolo spruzzo della Bella che era realmente, divertente e che non si tirava mai indietro di fronte a nulla. In parte comprendevo la sua paura, il terrore folle di fare dei passi indietro rispetto a dov'era arrivata. Avrei sprecato giorni, mesi anche pur di farle cambiare idea e convincerla a donare fiducia al nsotro rapporto. La serata appena trascorsa era stata solo un piccolo scalino verso la vetta. Credevo in me stesso e sapevo che ci sarei riuscito, prima o poi.
 

 

Buonasera ragazze (non so se ci sono dei ragazzi xD), come state? Io non finirò mai di ripetere quanto il lunedì sia orribile e stancante ç.ç Comunque, passo a parlare della storia! Avete visto che sono stata puntuale con il capitolo? Questa volta vi ho fatto aspettare pochissimo *si fa un applauso* xD

Lo scorso capitolo non ha riscosso molto successo, le visite sono calate e ho perso un po' di persone per strada. Non posso dire di esserne sopresa, vi ho davvero fatto attendere molto per un misero capitolo, quindi spero che qualcuno tornerà a farmi visita. Colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che ho ritrovato dopo tre mesi, che hanno recensito e i nuovi arrivati, grazie davvero ragazze, vi adoro e non sapete quanto *-*

Questo capitolo è stato una sopresa, vero? Chi si aspettava un pov Edward alzi la mano *ioooo* Okay, tralasciamo questa battuta infelice .-. Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto, ditemi se vi fa piacere leggere altri pov Edward e provvederò nei prossimi capitoli. Non ho svelato praticamente nulla su Edward, penso non passi inosservato questo particolare, mi sono concentrata sulla visione che Ed ha di Bella e sul loro rapporto. Edward è un personaggio da scoprire strada facendo. La serata era come ve l'aspettavate? Deluse? In pratica è dedicato solo ai due protagonisti, penso ci volesse proprio per approfondire il loro rapporto. Mi ritiro aspettando i vostri pareri <3

Anche questa volta non sono riuscita a mettere nessuno spoiler, ma purtroppo ho finito ora il capitolo, capitemi xD Non l'ho nemmeno ricontrollato, quindi perdonate gli erroracci che ci saranno, provvederò appena avrò del tempo libero. Comunque mi trovate su FB, se vi può interessare xD Ah, una cosa, non posso trattenermi xD Amo questa canzone *-* Okay, basta, la smetto!

Prossimo aggiornamento lunedì 14 maggio. Sembra lontanissimo, ma non posso fare altrimenti ç.ç

A presto

Kiss :***

Jess
PsPs 

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Capitolo 8
*** Non esistono coincidenze ***


Non esistono coincidenze

 

Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Steve Jobs

 

La sera precedente era stata intensa, mi aveva sconvolta in quanto era tutto inaspettato. Non mi sarei mai sognata di passare una serata con Edward Cullen, sapendo benissimo che qualcosa sarebbe cambiato. La serata aveva rappresentato una svolta, in qualche modo era impossibile dimenticare per me o lasciar perdere, non quando si scavalcava quella linea sottile che divideva un rapporto fragile dal lavorativo al personale: il mio e di Edward era diventato entrambe le cose. Era sicuramente una cosa che mi spaventava, poiché non c'entravo solo io, avevamo tutto un seguito attorno a noi che bisognava tenere a bada.

Poco meno di un'ora e sarebbe passato a prendermi ed io ero ancora in pigiama! Dio santo, ma come potevo essere così addormentata alla mattina? Ero lenta come una lumaca e pensare che a volte ero anche peggio di quella mattina!

A velocità che non mi apparteneva nemmeno nelle migliori mattinate della mia vita, corsi in bagno e feci una breve doccia, che sarebbe passata nella storia, quando mai stavo così poco sotto la doccia?! Poi passai alla camera da letto, dove scelsi un paio di pantaloni corti, nel caso Edward fosse venuto in moto, e una maglietta monospalla nera. Appena fui pronta sul fronte abbigliamento corsi verso lo specchio con il phon in mano e cercai di sistemare velocemente i capelli umidi. Averli lisci non era sempre così fantastico come sembrava nelle pubblicità dei prodotti per capelli, a volte appena asciutti diventavano elettrici e sparati in mille direzioni diverse e a quel punto il phon peggiorava solo le cose, esattamente come la piastra.

Mentre finivo di mettere le ultime cose nella borsa sentii suonare il campanello. Dovevo ancora infilare le scarpe e saltellando con un tacco in un piede e l'altro in mano andai fino alla porta. Feci due profondi respiri e poi aprii con il migliore dei sorrisi che quella mattina potevo concedermi. Inutile dire che la preoccupazione per la nostra entrata insieme sul set mi dava i brividi, tutti quei pettegolezzi...

La sua figura si stagliava sulla soglia e con la luce del sole che rifletteva dietro le sue spalle, sembrava una specie di apparizione divina. Bella, torna in te!

L'uscita di ieri sera mi aveva fatto male, altroché! Dovevo darmi una calmata, subito.

«Principessa», mi salutò Edward avanzando di due passi per darmi un bacio sulla guancia.

Se tutti i buongiorno potessero essere così nella vita...

«Sono sempre disposto a venire qui ogni mattina, è il tuo consenso che mi manca», ammiccò.

O cristo, qualcuno mi dica che non l'ho detto ad alta voce! No, no, no!

La mia faccia evidentemente esprimeva in tutto e per tutto ciò che stavo pensando, visto che Edward rispose con un semplice: «Sì, l'hai detto».

«Ehm... bene! Ora possiamo andare, che ne dici? Prima arriviamo meglio è!», dissi con una calma che non mi apparteneva, mentre cercavo le chiavi di casa.

«Isabella», mi richiamò Edward. Mi indicò qualcosa tra le mie mani e io scossi il capo. Accidenti, sì che la sua presenza mi faceva rimbambire quanto la mia cara nonna, ma adirittura non ricordarmi delle chiavi di casa che tenevo in mano...

Cercai di superarlo per uscire, ma lui mi bloccò: «Magari sarebbe meglio mettere anche l'altra scarpa, anche se devo ammettere che hai dei piedi così graziosi che è un peccato coprirli».

Mi guardai le mani e notai il tacco non messo. Diventai rossa per l'imbarazzo e velocemente mi infilai la scarpa.

«Mi ricordavo, ovviamente», confermai a Edward.

«Sì, ovviamente», disse lui trattenendo le risate. Lo spinsi leggermente e lo superai diretta verso... la sua moto.

«Come mai moto anche oggi?».

«E perdermi te addossata a me? Mica sono scemo», disse in tutta franchezza.

«Quindi anche ieri sera non era casuale, il mezzo», chiesi più per conferma che per altro.

«Assolutamente».

«Oh, dio, ma tu fai mai qualcosa senza prima pensarlo e pianificarlo?», domandai curiosa della risposta.

«Sì».

«Cosa?».

«Questo», disse prima di attirarmi a sé e baciarmi. Fu un bacio breve fatto di soli sfioramenti. Appena mi lasciò andare rimasi ferma impalata, prima di prendere il casco che mi stava porgendo.

«Sorpresa?», mi chiese una volta salito in moto.

«Tzé, no, ovviamente no», dissi tutto tranne che convinta delle mie parole.

«Mi piace questo gioco», affermò una volta che salii in moto e mi ancorai alla sua schiena.

«Potevo mettere la mano sul fuoco che non me la sarei bruciata».

«Risposta sempre pronta, eh?», mi chiese ridendo liberamente. Il timbro della sua voce era melodico e cristallino, chiaro e leggermente roco.

«Sempre». Lo sentii ridere ancora più forte e sorrisi del suo divertimento, nonché del mio.

Dopodiché partì verso il set. Mi godetti il viaggio con qualche preoccupazione su chi ci avrebbe notati al nostro arrivo. Le notizie volavano e in poco lo avrebbero saputo tutti, sperai almeno in un po' di fortuna con i paparazzi, loro potevano benissimo non venire a conoscenza di questo piccolo passaggio del tutto obbligato da parte mia. Sì, Bella, credici.

Arrivammo nel parcheggio del set e tutto sembrò tranquillo. Alcune auto erano già parcheggiate, ma erano talmente poche in confronto a quanto si riempiva di solito che nacque in me la speranza di passare inosservata. Speranza vana, pensai appena vidi Alice e Jasper entrare nel parcheggio. Attraverso il vetro notai l'espressione compiaciuta sul volto di Alice e quella sbalordita di Jasper.

«Merda», sussurrai proprio nel momento in cui Edward spense la moto.

«Grazie, eh», mi rispose Edward con tono imbronciato.

«Non dicevo a te, Edward!». La mia voce stridula dovette risultargli come un segnale d'allarme, perché subito scese dalla moto e mi aiutò a fare lo stesso per poi piazzarsi davanti a me.

«Cosa sta succedendo?», mi domandò mentre mi aiutava a togliermi il casco.

Mi limitai a indicargli il punto in cui si trovavano Alice e Jasper. In risposta si salutarono tutti e tre con un gesto della mano, dopodiché Alice e Jazz proseguirono ed entrarono negli studi del set.

«E allora?», mi domandò nuovamente Edward con la fronte corrugata.

«Come "e allora"? Ci hanno visti, Edward!», risposi agitata. Mi passai le mani tra i capelli ed ispezionai il resto del parcheggio in cerca di altri collaboratori o attori del film.

«Non ci vedo nulla di strano in questo, Isabella». La sua voce risultava leggermente più alta del normale e molto irritata. Sapevo ciò che voleva intendere. Lo sapevo fin troppo bene, purtroppo.

«Edward», pronunciai il suo nome esasperata.

«Non siamo amanti che si devono nascondere, non siamo ladri o fuggitivi! Quando ti entrerà in quella testa?! Mi stai facendo impazzire, Isabella, che sia chiaro».

«Non è semplice!».

«Nessuno ha mai detto che la vita è semplice, sai?!».

Mi salì una tale rabbia per questo litigio assurdo che io stessa avevo creato con le mie paranoie, che l'unica cosa che fui in grado di fare era reagire attaccando.

«Sei... sei un presuntuoso!».

«E tu assurda, Isabella!».

Ci guardammo in cagnesco per qualche minuto, finché io non cedetti e mi voltai verso la sua moto per poggiare il casco sul sellino.

«Vorrei solo farti una domanda», iniziò Edward. «Perché riesci sempre a rovinare un inizio perfetto con i tuoi principi morali del tutto fuori luogo?!». Detto ciò prese e se ne andò.

Lo osservai camminare sotto il sole mattutino ed entrare negli studi cinematografici. Rimasi impalata e senza parole. Era vero, tutto ciò che aveva detto era la verità assoluta. Eppure non riuscivo a cambiare, era passato così poco tempo da quando lo avevo conosciuto e altrattanto poco tempo avevamo passato insieme. Non potevo cambiare per qualcuno di... sconosciuto. Sì, ora ero anche ingiusta, non potevo definire Edward come uno sconosciuto. Era ingiusto e falso, avevamo condiviso molto in poche settimane e sapevo che il mio istinto mi diceva esattamente che tipo di uomo fosse. La sua personalità socievole, allegra e determinata non erano frutto della mia fantasia e c'erano anche tante altre caratteristiche che potevo attribuirgli. Eppure non sapevo praticamente nulla della sua vita privata.

Mi imposi di mantenere la calma, la mia giornata lavorativa stava per iniziare e dovevo disporre i piani per la partenza. Le riprese del film sarebbero continuate in qualche parte degli Stati Uniti, molto probabilmente Seattle.

Entrai negli studi a passo spedito e mi diressi verso la mia stanza/ufficio senza fermarmi. Salutai tutti con un cenno e sperai che nessuno ne fosse rimasto offeso.

Mi sedetti sospirando rumorosamente e in quel momento ero certa che chiunque mi vedesse in quella posizione pensasse che ero esaurita: mani nei capelli, testa china e spalle ricurve. Mi stavo incasinando da sola, questa era la verità. Potevo essere più decisa, tagliare fuori Edward dalla mia vita privata come fin da subito avevo creduto di fare, ma in realtà ero entrata in quella specie di rapporto con mani e piedi senza neanche rendermene conto. Lui era stato in grado di sorpassare la linea di confine senza che ne fossi pienamente consapevole.

Cosa c'era che non andava? Nulla, era questa la realtà. A discapito di ciò che cercavo di impormi, sapevo che Edward non sbagliava in quello che cercava di farmi capire: non avevamo fatto nulla di male, eravamo due persone che si piacevano. Purtroppo fosse stato così semplice non mi sarei fatta tanti scrupoli a frequentarlo, invece c'era il piccolo problema della nostra posizione nel mondo del lavoro.

La cosa migliore che potevo fare era lasciar perdere i miei stupidi principi morali e buttarmi in quella relazione ancora acerba, eppure un'altra parte di me non ci riusciva, ero come bloccata da me stessa. Forse dovevo solo prendere ciò che veniva senza farmi tutti questi problemi.

«Bella!», mi chiamò Alice entrando come una furia. Mi spaventai e sentii un leggero crack provenire dal mio collo per il movimento brusco.

«Alice», la salutai sorridendo sforzatamente. Vidi il suo sorrisetto furbo allargarsi e mi fece paura. Sapevo cosa significava.

«Stamattina ti ho vista con Edward, avanti raccontami tutto!».

«Hai fatto pace con Jazz? Non mi sembri sul piede di guerra», sviai a mia volta la sua domanda cercando di indirizzare la conversazione sulla sua relazione. Ovviamente non ci cascò.

«Prima tu, poi ti farò un resoconto dettagliato! Non farti pregare, Isabella Swan!».

Negli ultimi giorni il mio rapporto con Alice si era rafforzato, avevo trovato in lei una vera amica, sempre allegra ed esuberante. Era strano, non me lo sarei mai aspettata; be', ultimamente erano molto poche le cose che mi aspettavo.

«Ieri la macchina non mi partiva, caso strano è passato Edward nonostante fosse il suo giorno libero...», continuai a raccontarle della serata, tralasciando alcuni dettagli che ritenevo personali, o probabilmente il raccontali ad alta voce avrebbe reso ancora più tangibile ciò che era successo la sera prima.

«Lo sapevo! Dovevi solo lasciarti andare, proprio come ti avevo consigliato! Sono così felice per te, che...».

«Alice, aspetta, frena il tuo entuasiasmo. Non è come sembra, stamattina abbiamo litigato, cioè non è stato un vero e proprio litigio», dissi abbassando lo sguardo e fissando il tavolino posto al mio fianco.

«Come?», mi chiese disorientata.

«Mi sono... innervosita quando vi ho visti entrare nel parcheggio. Edward dice che non facciamo nulla di male e che devo smetterla di farmi questi scrupoli».

«Sai già come la penso», affermò sedendosi di fronte a me.

Annuii e mi rilassai contro lo schienale della sedia. «E' difficile», dissi solamente.

«Sei tu che ti complichi la vita».

«Probabilmente hai ragione». Mi laciò un'occhiataccia. «Okay, senza "probabilmente"».

«Non voglio rifare lo stesso discorso, posso solo ripeterti che facendo così ti stai rovinando i tuoi anni più belli. Non pensare sempre alle conseguenze delle tue azioni, prendi le cose come vengono. Ciò che è giusto per te a volte non è giusto per gli altri, ma devi farlo e fregartene delle conseguenze». Mi immersi in ogni singola parola. Era uno dei migliori consigli che avessi mai ricevuto.

«Accidenti Alice, come sei saggia oggi», dissi per stemperare l'atmosfera troppo seria. «Ed ora tocca a te, com'è andata con Jasper?».

«Abbiamo chiarito, lui è così dolce e romantico e quel giorno non si era propriamente dimenticato, anzi sì, ma era in buona fede, ha avuto una brutta notizia ma non voleva dirmelo per non farmi intristire il giorno del nostro anniversario, solo che poi ha perso di vista...». Alice continuò a spiegarmi perché il suo ragazzo si era scordato, in definitiva una sua lontana parente aveva avuto un grave incidente e la madre di Jasper era molto preoccupata, anche se lui non sapeva nemmeno chi fosse questa lontana parente. Alla fine preso da questa situazione si era scordato di fare anche solo un accenno a quel giorno tanto importante per loro e quando se n'era ricordato era troppo tardi: Alice era a cena con me.

Alla fine arrivò Emmett a interrompere Alice che si era persa nei meandri della sua relazione. «Ehi, Bella, siamo pronti».

«Arrivo subito Emmett, grazie». E così iniziò anche quella mattinata di riprese.

Quando entrari nella parte di teatro adibita con gli appositi oggetti scenici, notai subito gli attori che provavano alcune parti. Edward non mi rivolse neanche un'occhiata quando entrai, fece finta di nulla e mi salutò con un cenno, mentre gli altri attori mi rivolsero saluti più entusiasti.

Iniziammo con alcune scene di poco conto, fino ad arrivare a scene centrali. Una scena in particolare tra Rosalie ed Edward era particolarmente difficile, perché carica di sentimenti che dovevano assolutamente trasparire.

«Edward, ascolta, quando afferri Rosalie dalle spalle devi essere più passionale, deciso, deve trasparire tutta la rabbia e il desiderio che provi per lei in quel momento, non basta un semplice scossone, dev'essere un terremoto». Edward annuiva ad ogni mia parola, mi fissava intensamente; mi sentivo nuda di fronte al suo sguardo.

Poi mi rivolsi a Rosalie: «Devi essere combattuta, tu non vuoi cedere alla passione di quest'uomo, ma allo stesso tempo non puoi resistere».

«Questa parte verrebbe molto bene a qualcun altro», sussurrò Edward. Lo fulminai sperando che Rosalie non avesse sentito e per fortuna fu così o fece finta di nulla.

«Provate», ordinai ad entrambi.

Edward recitò la sua frase per poi afferrare Rosalie con decisione e passione, esattamente come gli avevo suggerito; Rosalie fece la sua parte in modo eccellente e infine fu il momento del bacio e non un semplice sfioramento o quei baci finti che si vedono in alcune soap opera, quello era reale. Non ne rimasi ingelosita, era lavoro e sapevo essere obiettiva. Riprovammo la scena altre tre volte, finché non fu perfetta e infine passammo ad un'altra parte del film che avremmo girato a Seattle.

Dopo alcune ore tutti chiesero una pausa, me compresa. Senza ulteriori indugi mi diressi verso l'uscita e qualcuno mi affiancò; lo riconobbi all'istante.

«Andiamo al ristorante qui fuori?», mi chiese con un sorriso da infarto.

«Non sei più arrabbiato?», gli chiesi curiosa.

«Non porto rancore, anche se non posso negare di essere ancora infastidito dal tuo atteggiamento di stamattina; ma non posso neanche farmi sfuggire una simile occasione», ammiccò e io rimasi imbambolata a fissare i suoi occhi verde prato.

«Chi ti ha detto che voglio pranzare con te?», gli chiesi ridendo. Aveva un'innata capacità di farmi tornare il buonumore e rendermi spensierata.

«Mmh, forse il fatto che tu non mi abbia ancora cacciato?». Storsi il naso alla parola "cacciato".

Prima che potessi rispondere sentii la voce di mio padre chiamarmi.

«Papà?», dissi stranita. Mi voltai verso il suono della voce di Charlie e lo vidi con al guinzaglio Muffin. Appena si avvicinò il mio piccolo cucciolo iniziò a scondinzolare felice e strusciarsi contro le mie gambe. Mi accucciai e lo presi in braccio. «Oh, piccolo, non mi sono scordata di te», sussurrai accarezzando il suo pelo morbido.

«Tesoro, sono venuto solo a ricordarti dell'anniversario di tua nonna», mi disse mio padre osservando Edward al mio fianco. E a sbirciare il mio lavoro, avrei voluto aggiungere.

Mi schiarii la voce: «Papà, ricordi Edward Cullen? Lui è il protagonista principale del film».

«Sì, certo, è un piacere rivederti Edward», intervenne mio padre. Charlie lo aveva già conosciuto alla serata di beneficienza, benché non ci fossero state presentazioni ufficiali.

«Piacere mio, Signor Swan». Si strinsero la mano e mi parve di vederli sorridere.

«Comunque ricordo benissimo della serata che ha organizzato la nonna, mi ha lasciato un messaggio in segreteria ieri sera e per dirla tutta è una settimana che me lo ripete ogni santo giorno».

«Ha solo paura che lo scordi con tutto il lavoro che stai facendo con il film. A proposito, come va?», chiese mio padre rivolto anche a Edward.

«Bene, tra pochi giorni partiremo per Seattle, lo sai», dissi prima che potesse intervenire Edward.

«E tu ragazzo, come ti trovi a lavorare con questa tiranna?», domandò Charlie con fare scherzoso.

Edward rise di gusto e mi rivolse un sorriso soddisfatto. Era felice di constatare che anche mio padre sapeva che ero abbastanza dura? Allora non sapeva da chi avevo preso questo lato del mio carattere.

«Più che bene direi, anche se ha il brutto vizio di precludersi esperienze degne di nota», rispose Edward. Come si permetteva di alludere a situazioni private di fronte a mio padre? Questa me l'avrebbe pagata presto!

«Quello che continuo a ripeterle da anni, ma ha la testa dura la mia Bella». Charlie gli diede corda e io sbuffai per far capire loro che ero presente, in risposta risero anche in sincronio! Dio mio, che situazione.

«Bene, se avete finito di parlare di me come se non fossi presente andrei a mangiare, avrei un certo appetito». Edward, alla parola appetito, si dipinse in volto un'espressione maliziosa.

«Oh, sì, non vi trattengo oltre. Ci vediamo stasera, tesoro. Ah, Edward, se ti fa piacere venire stasera sono certo che a Marie, mia madre, farebbe piacere avere qualche giovane in più a cena».

Charlie aveva appena invitato Edward. Stasera. Alla cena d'anniversario di mia nonna. O mio dio.

Prima che potessi dire anche solo una vocale, Edward colse la palla al balzo e accettò entusiasta. Dopodiché con me ancora in stato di shock, mio padre mi chiese di Muffin e io glielo restituii, non potendo portarlo a casa visto che ero in moto con Edward.

«A stasera, ragazzi», ci salutò mio padre per poi scomparire.

«Allora, andiamo a pranzo?», suggerì Edward; sprizzava allegria da tutti i pori.

«Sì, ho bisogno di zuccheri», dissi sconvolta.

Portare a casa di mia nonna Edward era un suicidio assicurato. Marie lo avrebbe messo sotto torchio per poi farlo passare come mio fidanzato davanti a tutti i suoi amici. Era già capitato ed era stato disastroso e pensare che in quel caso si trattava davvero di un ragazzo con cui uscivo.

Entrati nel ristorante notammo mezza troupe in un tavolo abbastanza grosso da ospitare altre persone e quindi non potemmo rifiutare di pranzare con loro. Alcuni avevano strabuzzato gli occhi appena ci avevano visti entrare insieme dalla porta principale, altri avevano fatto finta di nulla.

Durante il pranzo Edward ed io ci scambiammo parecchie occhiate, alcune sfuggenti, altre intese. Durante tutto il pomeriggio non avevamo avuto opportunità di parlare o chiarirci per la serata, solo a fine giornata, quando doveva riportarmi a casa, rimanemmo soli.

«A che ora dobbiamo essere da tua nonna?», mi chiese Edward mentre mi passava il casco integrale.

«Alle otto».

«Ti passo a prendere alle sette».

«Posso venire anche da sola, grazie dell'offerta», risposi gentilmente, non volevo sembrare sgarbata, ma solo evitare che mia nonna mettesse su ulteriori dicerie vedendoci arrivare insieme.

«Non ti sto offrendo un passaggio», mi disse Edward sorridendo.

«Ah», risposi solamente. Ero confusa, molto confusa.

«Te lo sto imponendo», finì Edward chiarendo la sua posizione.

«Sarebbe meglio evitare, Edward», affermai montando in sella dietro di lui.

«Perché?», domandò curioso.

«Mia nonna Marie ha il desiderio di vedermi sposata e quindi ogni ragazzo che gli porto a casa inizia a presentarlo come mio fidanzato e futuro sposo. Con gli altri, ed erano veramente due in croce, era diverso, erano ragazzi che stavo realmente frequentando, ma con te non è così e non vorrei... Hai capito, no?», domandai a lui per togliermi dall'imbarazzo.

«No, non ho capito», disse duro e tagliente.

«Ti prego», lo pregai esasperata.

«Siamo in bilico e sai perché? Perché non vuoi ammettere la realtà. Non vuoi dare a tua nonna un'impressione sbagliata, ma è qui che sei in errore! Quello che gli altri vedono in noi con un solo sguardo è ciò che siamo insieme, non puoi affermare che siamo semplici conoscenti come non puoi dire che siamo fidanzati. Ma non puoi nemmeno negare che ci stiamo frequentando».

«Tu sei matto, noi non ci stiamo frequentando!», cercai di negare con tutta me stessa. Come non potevo aver visto a che punto eravamo arrivati?!

«Cerchi di negarlo a te stessa, ma guarda in faccia la realtà», urlò Edward per farsi sentire sopra il rumore della moto.

Non risposi, non sapevo come contraddirlo perché effettivamente non avevo mezzo con cui farlo.

Davanti il viale di casa mia scesi in tutta fretta passandogli il casco.

«Grazie del passaggio, ci vediamo stasera!».

«Ehi, dove vai tutta di fretta, aspetta un secondo!», disse tirandomi per la mano. Rimasi immobile davanti a lui che sorrideva sereno per averla avuta vinta meno di dieci minuti prima.

In un attimo mi tirò a sé e incollò brevemente le sua labbra alle mie. Era un semplice saluto che comunque mi aveva ipnotizzata.

Mi abbracciò e mi sussurrò all'orecchio: «Non pensare che mi sia scordato della tua mancara risposta. Hai lasciato cadere il discorso, ma sai che ho ragione». Non risposi ancora.

«A stasera, principessa». La sua voce era così dolce e sensuale, era come l'ipnosi con il metodo catartico: mi riportava in mente i nostri baci della sera precedente.

«A stasera, Edward». La mia voce turbata era chiara anche alle mie orecchie e il suo sorriso si allargò ancora di più.

Ero entrata in qualcosa di più grande di me, di chiunque: l'amore era così, faceva quest'effetto, ipnotizzava, indeboliva, rendeva forti, vivi, morti, qualunque sentimento esistesse poteva essere ricondotto al sentimento supremo.

 

Buonaseraaaa ragazze/i! Come stanno andando le vostre vacanze? Spero ci sia ancora qualcuno qui xD Sì, sto cercando di dirottare il discorso sull'estate, le vacanze, etc, per non dire nuovamente: sono in ritardo! Ma lo sono, quindi che posso dire se non scusate, scusate, scusate?! Mi dispiace davvero, ho mollate le storie per ben due mesi e mezzo, ma avevo gli esami e non voglio dire di non aver avuto un attimo libero, sarebbe una bugia, ma quando ero libera dai libri preferivo rilassarmi. Sono sparita da efp per un po', infatti sono indietro con molte storie >.< Se c'è qualcuno qui di cui seguo le storie voglio dirvi che arriverò, non mollo ù.ù

Cooomunque, parliamo di questo capitolo... anzi, no ditemi voi che ne pensate! Dopo mesi che non riprendevo la storia in mano mi sono sentita un po' spaesata. Volevo aspettare e vedere se mi veniva un lampo di genio e cambiare qualcosa, ma alla fine mi sono detta che avrei fatto attendere voi inutilmente! Volevo dire solo due cose (sì, non so stare zitta ç__ç): le cose si stanno muovendo tra loro e avverto già da ora che non sarà una storia infinita, il tempo di chiarire le cose tra loro, far capitare due o tre eventi che ho in mente da tempo e si può dire conclusa (sì, detto così sembra che debba postare ancora mille capitoli, ma no). Secondo punto: so che l'atteggiamento di Bella può sembrare un casino, contraddittorio e lo è, non posso negarlo; cambia molto appena si trova in presenza di altre persone e di Edward, quando sono soli lei è una ragazza diversa, più spensierata e allegra. Questo contrasto della sua personalità è un po' il fulcro della ff, ma non durerà a lungo, voglio concentrarmi sul dopo... capite che intendo xD

Ho già risposto alle recensioni della scorsa volta! Ce l'ho fatta! Sì, ora posso dirlo, mi sento tipo un genio ahahahah xD Okay, togliamo questo momento "me".

Prossimo capitolo non vi metto date, ma sappiate che ho del tempo libero, quindi non vi farò attendere molto.

Ultima cosa: dedico questo capitolo a Sara (tu sai perché) *-* Tanti auguri, tesoro <3

Ora mi eclisso, promesso! Grazie mille per le scorse recensioni e per chi segue la storia, vi adoro sul serio *-*

Alla prossima!

Kiss

Jess

Ps il mio contatto Fb per chi fosse interessato: Jess Vanderbilt.

PPs cercherò di postare Scusa se ho aspettato la pioggia a breve! Scusate anche per questa storia ç.ç

Altre mie storie nella sezione Twilight (per chi fosse interessato... un urlo mi dice nessuno, okay ahahah):

Problemi di coppia (os)

Resta anche domani (os)

Maledetto ascensore (os con due extra)

Scusa se ho aspettato la pioggia (ff ancora in corso) 

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Capitolo 9
*** Aria di cambiamenti ***


Aria di cambiamenti

Circa 200 anni fa Benjamin Franklin spiegò al mondo il segreto del suo successo: non fare mai domani quello che puoi fare oggi. È l'uomo che ha scoperto l'elettricità, molti di noi dovrebbero ascoltare quello che ha detto. Non so perché noi procrastiniamo le cose, ma se dovessi indovinarlo direi che ha molto a che fare con la paura. Paura del fallimento, paura del dolore, paura del rifiuto. Talvolta la paura è solo quella di prendere una decisione perché... se ti fossi sbagliato? Se stessi facendo uno sbaglio irrimediabile? Di qualunque cosa si abbia paura, di sicuro c'è una verità: nel momento in cui il dolore di non fare una cosa diventa più forte della paura di farla, ci si sente come se si avesse un tumore gigantesco.

Grey's Anatomy

 

 

Da sei anni vivevo a Los Angeles; ero nato a San Diego, dove tutt'ora risiedeva la mia famiglia, ma per inseguire il mio sogno ero stato costretto a trasferirmi nella città degli angeli.

Nella mia città natìa avevo lasciato tutto, amici, parenti, i miei genitori, eppure non me n'ero mai pentito visto che fin da subito mi ero ambientato molto bene nella nuova città e la mia carriera iniziò a crescere lentamente. Dai piccoli ruoli ero passato a protagonista di un film indipendente, fino al grande ruolo nel film di Isabella Swan. Chi avrebbe mai detto che un giorno avrei lavorato con la figlia di uno dei registi più stimati al mondo? Eppure c'ero riuscito, con pazienza e dedizione avevo fatto la mia gavetta fino al meritato e tanto sospirato ruolo che aveva cambiato la mia vita. E l'aveva cambiata in tutti i sensi. Isabella era uno di questi straordinari eventi rivoluzionari. Anche se in merito c'era molto da discutere.

Aspettavo Isabella da circa dieci minuti, come al solito era in ritardo. Non volevo di certo arrivare tardi alla cena di sua nonna, così avevo anticipato ed ero passato a prenderla mezzora prima, avvisandola ovviamente, perché avevo intuito che come al solito non sarebbe stata pronta per l'orario stabilito. Ah, donne! Ricordo ancora mia madre, Esme, quando ancora vivevo in casa, assistivo a teatrini tra lei e mio padre, Carlisle, dove ovviamente lei lo rimbeccava di aver bisogno di almeno tre quarti d'ora per prepararsi a dovere, altrimenti lo minacciava affermando che poteva benissimo uscire da solo.

A noi uomini serviva meno tempo per prepararci. Certo, non tutti.

«Principessa, muoviti!», urlai per farmi sentire. Ero nel salone di casa sua, mentre lei era al piano di sopra a finire di prepararsi.

«Cinque minuti e sono pronta!».

«E' quello che continui a ripetere da ben dieci minuti!», le risposi divertito.

«Uffa, come sei precisino!».

«Non commento neanche. Mi pare che sul set Miss Perfezione abbia un altro nome, di certo non Cullen».

«Ma alla fine il mio metodo dà i suoi frutti», disse facendo la sua entrata in scena.

Rimasi incantato dalla sua bellezza; i capelli ricadevano sulla schiena in morbidi boccoli, un leggero trucco faceva risaltare i suoi occhi e le sue labbra a cuore, infine il vestito risaltava ogni sua più piccola forma. Il bianco candido dell'abito era in contrasto con i suoi capelli neri, colore ripreso solo da alcune rifiniture dell'abito. Ai piedi portava un paio di décolletté nere con un tacco micidiale. Ma come facevano le donne a mettere quelle trappole mortali?! Non riuscivo a capire come facessero a restare in equilibrio.

«Sei... Una principessa», mi complimentai avvicinandomi a lei di qualche centimetro.

Mi fece un sorriso di ringraziamento e ci avviammo verso la porta d'ingresso. Appena mi superò per prendere la borsetta, visi la sua schiena scoperta dal vestito e rimasi a fissarla inerme.

«Quest'abito mi piace sempre di più», sussurrai con occhi scintillanti. Inoltre era così corto... Ero pur sempre un uomo e la mia immaginazione mi giocava brutti tiri.

«Piace molto anche a me», disse ridendo.

«Dì la verità, lo hai fatto apposta», la stuzzicai. Nel frattempo le aprii la porta e le diedi la precedenza come il perfetto gentiluomo qual ero.

«Forse», ammiccò mentre chiudeva la porta.

«Stai giocando con il fuoco», la avvertii.

«Forse mi piace bruciarmi».

«E questo ottimismo e intraprendenza da dove arriva?», le dissi sorpreso. Quella serata era iniziata nel migliore dei modi.

«Sto cercando di distrarmi», rispose imbronciata.

«Non mi dire che è ancora per la storia di tua nonna», sbuffai e aprii la portiera dell'auto facendola entrare.

«Tu non la conosci», mi avvertì una volta entrato in macchina.

La guardai e per un breve attimo fissai le sue gambe scoperte; erano uno dei miei punti deboli. Dio, dammi la forza di resistere per l'intera cena, pregai in silenzio. Distolsi subito lo sguardo dal suo corpo e feci finta di non essere stato attirato dal suo corpo così sensuale.

«Vedrai che le piacerò», cercai di rassicurarla, ma non funzionò visto il suo gemito sofferente.

«E' proprio questo il peggio che potrebbe capitare, lei ci dichiarerà fidanzati prima ancora di finire la cena», borbottò.

«In tal caso mi schiererò dalla parte di Marie Swan, significherebbe che perlomeno abbiamo una vera e propria relazione».

«Non ti ci mettere anche tu, lasciami almeno l'incubo di mia nonna e basta».

Non le risposi subito, seguii la sue indicazioni fino ad arrivare alla villa dove viveva la Signora Swan. «A fine serata finiremo questo discorso una volta per tutte». Infatti intendevo mettere molti punti ad alcune questioni tra noi irrisolte.

Scesi dall'auto e corsi verso Bella facendo scendere anche lei. Appena richiusi la portiera una voce ferma e decisa mi fece voltare di scatto verso l'ingresso della casa.

«Un giovanotto che apre ancora una portiera!», disse un'anziana signora sugli scalini del portico. «Allora la cavalleria non è morta del tutto. C'è ancora speranza in questo mondo!».

«Nonna, non spaventare gli invitati», la reguardì la nipote.

«Figuriamoci, sono sicura che il ragazzo ha apprezzato la battuta!», le rispose Mrs Swan. Ah, era una battuta? Aveva il sapore di una dolce frecciatina.

Mi deci avanti e mi presentai: «Salve Mrs Swan, la ringrazio dell'invito. Sono Edward Cullen, il...».

«... il fidanzato di mia nipote. Sei il benvenuto, caro! Da tempo Isabella non faceva conoscere più nessun ragazzo alla sua nonna preferita. E ti prego, chiamami Marie, ormai sei di famiglia», finì.

«Nonna, non è il mio fidanzato!», esclamò Bella imbarazzata.

«Sì, cara: ragazzo, fidanzato, come vuoi tu!», ribattè la nonna. Dio, mi stavo divertendo così tanto, la serata migliorava sempre di più!

«Ma...», iniziò la mia principessa, ma Marie non voleva sentire le sue scuse e si girò verso di me perché la accompagnassi all'interno della sua maestosa casa. Le offrii il braccio destro e con la mano sinistra mi trascinai dietro una Bella allibita.

Mentre entravamo, Marie mi intrattenne con il racconto del suo defunto marito; ogni tanto lanciavo occhiate a Bella e notai la sua postura arrabbiata e offesa. Nel frattempo io restavo zitto, sorridevo e annuivo alle parole di Marie. Avevo notato subito che era una donna molto forte e dura, ma anche di una grande umanità e sensibilità; mentre parlava del marito i suoi occhi erano accessi e amorevoli, benché carichi di sofferenza per la morte della sua anima gemella.

Continuò a parlare finché non arrivammo in un grande salone in stile classico, arredato su colori scuri con intarsiati di legno e divani rosso sangue e oro. Cristo, mi metteva un po' i brividi quella stanza.

Alcuni invitati erano seduti, altri in piedi, ma comunque erano ancora pochi, sei o sette circa. Tutti si voltarono all'ingresso della padrona di casa a braccetto con me e affiancata dalla nipote. I loro sguardi erano avidi e curiosi, e Marie non li fece attendere poi tanto per fare le dovute presentazioni in stile "Nonna che vuole la nipote sposata". Bella aveva ragione.

«Amici, vi presento Edward Cullen, fidanzato di mia nipote Isabella Marie e mio futuro - spero presto - nipote». Gli amici di Marie subito si fecero avanti per le congratulazioni, strinsero Bella in calorosi abbracci, mente lei stava impalata a incenerire sua nonna con lo sguardo. Quando si decise a guardarmi le sorrisi rassicurante, non me l'ero di certo presa per una simile presentazione, anzi ne ero piuttosto divertito, in particolare nel constatare che Marie sapeva benissimo quello che stava facendo visto che in quel momento cercava di non incrociare la nipote infuriata.

Dopo Bella spettarono a me le congratulazioni con ovviamente nuove conoscenze. Nel frattempo non staccavo gli occhi dalla figura di Bella, la quale stava cercando di riparare ai danni della nonna. Mi avvicinai a lei per sentire meglio le sue conversazioni e fu uno dei migliori momenti della serata a casa Swan.

«No, aspetti Signor Johns, le cose non stanno esattamente come ha affermato mia nonna!», stava cercando di dire Bella ad un signore di una certa età, con i capelli folti e ormai del tutto bianchi.

«Oh, cara, non devi preoccuparti! Capisco come funziona tra voi giovani al giorno d'oggi. Non vi sposerete di certo a breve, lo so», la rassicurò il Signor Johns peggiorando l'umore nero di Isabella.

«No! Lei non ha...», cercò di correggerlo, ma fu interrotta da...

«Isabella, che ne dici di prenderci un drink? Salve Signor Johns, Edward Cullen piacere».

... me.

«Piacere mio, ragazzo. Ora se volete scusarmi», ci disse gentilmente prima di dirigersi verso un gruppetto di signori che parlottavano.

Bella si voltò verso di me furente puntandomi un dito contro il petto: «Dovevi lasciarmi finire di spiegare la realtà dei fatti!».

«Non ti avrebbe creduto dopo le parole di tua nonna».

«Come fai ad essere così calmo?», mi accusò.

«E tu perché sei furente? Non è successo nulla, principessa, rilassati».

«Perché ti ha messo in una brutta posizione e detesto che si comporti così. Non volevo ti creasse problemi», sussurrò con la testa chinata.

Le alzai il mento per incrociare i suoi occhi neri e le parlai a bassa voce, in modo che nessuno ci sentisse: «Quindi non sei infastidita per come ci stanno definendo qui dentro, ma per come potevo reagire io?». Annuì. «Non sentirti in imbarazzo, non ce n'è motivo. Tua nonna mi diverte molto e poi non mi dispiace essere visto come il tuo fidanzato», finii facendole l'occhiolino. Lei mi sorrise arrossendo leggermente, dopodiché mi trascinò da suo padre, l'unico membro della stanza che ancora non avevo salutato.

Subito dopo Marie richiamò tutti all'ordine per iniziare la cena. Gli ultimi invitati erano arrivati, quindi la serata era iniziata.

Io mi sedetti vicino a Bella che stava alla destra di sua nonna, la capotavola, mentre alla sinistra si trovava Charlie Swan. Avevo un'ottima intesa con quell'uomo, per fortuna.

«Voglio iniziare ringraziando tutti voi per essere venuti anche quest'anno, con l'aggiunta del caro Edward», iniziò Marie. «Come sapete è molto importante per me questa serata. Colin era l'amore della mia vita, anzi è l'amore della mia vita. Il fato se l'è portato via così presto... Sarebbe felice di questa serata, adorava riunirsi con amici e parenti, organizzare galà di beneficienza con me; adorava tutta dalla vita. Anche agli inizi della sua malattia - l'Alzhaimer- nei momenti di lucidità ripeteva quanto fosse stato fortunato nella vita. Non rimpiangeva nulla, la malattia non lo aveva scoraggiato, anzi visse i suoi ultimi momenti con una passione tale da farmi rendere conto di quanto fosse importante ciò che si condivideva con la persona amata, non il tempo. I nostri ultimi due anni furono fantastici; Colin non si fece mancare nessuna esperienza, anche sotto proteste dei medici. Purtroppo dopo quei due anni la situazione peggiorò, i momenti in cui era se stesso erano rari, fino a quando non scomparirono.

«Ogni santo giorno il suo ricordo non mi abbandona. Era un uomo straordinario, fin dal nostro primo incontro me ne diede la prova; ci incontrammo ad una serata simile a questa, a casa della sua famiglia. Lui stava accogliendo le persone all'ingresso e quando arrivai in macchina si precipitò ad aprirmi la portiera, senza aspettare che lo facesse il mio autista. La sua frase subito dopo fu: "non posso certo aspettare per rivedere la tua incredibile bellezza" e mi lusingò con altre parole che non sto qui a raccontarvi. Fatto sta che scoprii molto tempo dopo che quello non era il nostro primo incontro, lui mi aveva già vista ad altre serata organizzate dai rispettivi genitori. Quelli erano altri tempi, il corteggiamento non era certo un modo di dire come ora! Mi innamorai subito della sua allegria, del suo sarcasmo molto pungente. Aveva tanti di quei pregi che una serata non basterebbe per raccontarveli. Ma vi assicuro che aveva anche i suoi difetti, quelli che come potete vedere Charlie e Isabella hanno ereditato, testardaggine compresa». Risi insieme agli altri ospiti alla battuta. Tanto ero perso nel racconto non mi resi conto che Isabella aveva le lacrime agli occhi. Strinsi la sua mano sotto il tavolo e lei ricambiò la stretta posando le nostre mani unite sulla sua coscia. Avvertivo il suo bisogno di qualcuno che le desse forza. Suo nonno doveva significare molto per lei.

«... Per questo vorrei brindare questa sera, a Edward e Isabella!». Cosa mi ero perso?! Come era arrivata a parlare di noi due dopo il racconto di Colin Swan?! «Spero che la vostra unione sia felice come lo è stata la nostra», finì fissando sia me che sua nipote. Incontrai per caso gli occhi di Charlie e vidi chiaramente che si stava trattenendo dal ridere. Aveva notato il mio sguardo spaesato?

«A mia nipote e al suo futuro marito!», urlò Marie alzando al cielo il bicchiere colmo di un liquido sul rosa, probabilmente un cocktail. Tutti alzarono i calici e ci fecero nuovamente le congratulazioni. Bella non osò alzare il calice, si scolò dirrettamente il contenuto facendomi ridere.

«Grazie, nonna», disse Bella fra i denti. La nonna sorrise angelica riprendendo in mano la questione; voleva davvero far esplodere sua nipote entro la fine della serata?

«Spero che mi lascerai carta bianca per organizzare il matrimonio», riprese Marie.

«Nel caso avvenga le assicuro che sarà informata di ogni questione», dissi per togliere Bella dall'impiccio di risponderle.

«Andrete presto a vivere insieme?».

«Nonna, ti prego!», intervenne la mia principessa esasperata dal questionario di sua nonna.

«Andiamo Marie, non rovinare questo momento. Il tuo fidanzato mi pare ben propenso a rispondere, dico bene Edward?», la sua era una domanda retorica, non aspettava certo una mia risposta, tanto meno se negativa.

«Lo stai mettendo in imbarazzo».

«Nessuno sta prestando attenzione a noi, tutti conversano per i fatti loro, non farti venire l'ansia mia cara».

«Non fare come il tuo solito! Ogni persona che porto la stressi così tanto che quando esce di qua scappa a gambe levata da me!».

«Perché non erano quelli giusti! E non mettere strane idee in testa a Edward, qui ne sono venuti solo due e ora posso dirtelo chiaramente: quei mascalzoni non erano giusti per te, miravano a tutt'altro, te lo assicuro, tesoro».

«Certo, in due ore te n'eri sicuramente accorta», ribattè Bella sarcastica.

A quel punto intervenni io per calmare gli animi accesi, ma non ero stato molto d'aiuto: «Bella è fantastica, sono certo che quei ragazzi non erano alla sua altezza, altrimenti non si sarebbero fatti intimidire da lei».

«Ben detto, ragazzo! Marie dovresti ascoltare questo ragazzo, lui ha capito tutto». Avevo notato l'inclinazione della nonna a chiamare sua nipote Marie e Bella ne sembrava molto irritata.

«Allora, Edward, andrete a vivere insieme fino al matrimonio?».

«Ora le cose sono un po' tese, sa tra il film e le prossime trasferte non ci sarà molto tempo per pensare a questo», cercai di tergiversare per non dare una risposta diretta alla signora. Dopotutto io e Bella non stavamo neanche insieme, quindi cosa avrei dovuto dire?

«Ma certo, il lavoro è importante, ma dovete sempre tenere in conto che il vostro amore è più importante di qualsiasi altra cosa. Nulla riparerà il vostro rapporto se prima metterete sempre il lavoro».

«Sono d'accordo con le, Marie».

«Nonna, non iniziare nuovamente questo discorso», la pregò Isabella. La guardai interrogativo e lei alzò gli occhi al cielo.

«Marie, non so come devo fare con te. Non voglio certo ripeterti sempre le stesse cose, ma sai che tua nonna ha una certa età e vorrei solo vederti felice con qualcuno, sposata e con dei figli possibilmente, prima di morire. E' chiedere tanto dalla tua nonna preferita?», cercò di fare la parte della vittima, la nonna anziana che voleva vedere espresso il suo ultimo desiderio.

«O nonna, lo so, non fare così. Hai ancora così tanti anni davanti a te che certamente vedrai realizzare questo tuo desiderio», rispose con voce rotta Isabella prendendo la mano a Marie.

Mi sarei aspettato di tutto, tranne vedere Bella cascare come una pera cotta di fronte ai tentativi di compassione di sua nonna. A quanto pareva sua nonna contava molto più di quanto mi sarei aspettato. Ma dopotutto come dovevo aspettarmi? Isabella era stata cresciuta in parte da Marie dopo la morte di sua madre. Era normale che fossero così legate.

«E così anche tu hai il cuore tenero», sussurrai nell'orecchio di Bella.

Lei nascose un sorriso e mi rispose: «Con chi se lo meritano so essere molto dolce».

«Vedrò di meritarmelo», le dissi a mia volta.

Durante la cena Marie più volte cercò di sapere qualcosa sulla nuova relazione di sua nipote. Mi divertivo molto a vedere Bella in difficoltà, lei che era sempre così controllata, con la battuta sempre pronta, diventata inerme davanti a sua nonna. Quella sera avevo scoperto nuovi lati della mia Principessa. Teneva molto alla sua famiglia, trattava il suo cane come se fosse suo figlio e inoltre non riusciva a ferire sua nonna facendo cadere tutte le speranze di quest'ultima. Era una ragazza così dolce e sensibile dietro quella corazza che mostrava agli altri.

La cena era finita da un pezzo e tutti stavamo conversando del più e del meno. «Vado un attimo in cucina a dar da mangiare a Muffin, torno subito», mi disse Isabella allontanandosi. Colsi al volo l'opportunità per passare qualche attimo da solo e rilassarmi sul terrazzo che si affacciava sul giardino della villa. Fuori trovai anche Charlie che osservava l'orizzonte con un bicchiere di cognac in mano. Mi sedetti di fianco a lui sul divanetto di vimini senza dire una parola.

«E così tu e mia figlia vi sposerete presto», affermò dopo qualche istante. Lo guardai pensando stesse scherzando, ma la sua espressione era così seria che non dubitai delle sue parole.

«No, Charlie, non è come crede. Cioè non che non mi riterrei onorato ad avere come moglie una donna meravigliosa come Bella, ma è ancora presto. E poi non è che stiamo esattamente insieme, anche se lo vorrei».

Appena terminai il mio sproliquio Charlie scoppiò a ridere senza ritegno e capii che mi aveva preso in giro. Ne rimasi sconcertato.

«Meno male che l'attore sei tu, eh», mi stuzzicò il regista. Mio dio, veramente, non ero nemmeno riuscito a riconoscere una balla dalla realtà.

«Quando si tratta di Isabella tendo a perdere il lume della ragione». Ed era vero, al nome della mia principessa iniziavo a non ragionare con razionalità, lei riusciva a farmi uscire di testa.

«Come ti capisco, Edward, anche se io per ragioni diverse tendo sempre ad essere irrazionale quando si tratta di mia figlia. Desidero il meglio per lei, in tutto, e so che questa è la solita frase da genitore».

Non risposi, non sapendo cosa dire a questo proposito, ma ci pensò lui a riprendere in mano la conversazione.

«Isabella è una persona speciale, è piena di vita, appassionata del suo lavoro, ma so riconoscere in mia figlia l'infelicità. Lei non me ne ha mai parlato, ma sapevo che la sua posizione sociale le ha sbarrato molte strade invece di aprirle le porte del mondo. Ha imparato presto che la vita è piena di ostacoli, di persone che vogliono il tuo male; esistono coloro di cui ti puoi fidare e coloro che devi tenere alla larga. Molti hanno sempre cercato di approfittare di lei e del suo cognome per farsi strada nel mondo, oppure le persone che riteneva amici l'hanno tenuta legata a loro solo per le apparenze, avere un'amica importante viene comodo a tutto a Los Angeles.

«Questo discorso ti sembrerà senza senso e non so nemmeno io perché ti ho raccontato tutto questo e non sono arrivato subito al dunque. Volevo dirti che so che non sei quel tipo di ragazzo, te lo si legge negli occhi e si vede da come ti comporti con Bella, nonostante le resistenze e i rifiuti di mia figlia», lo guardai con occhi sbarrati e lui fece una breve risata. «Non credere che non sappia com'è fatta, mia figlia è un libro aperto per me. Comunque volevo dirti che lei è la cosa più importante che ho da sempre, da molti anni siamo solo io e lei. Se le farai del male, se mi sbaglio su di te in questo momento e i tuoi scopi sono altri, sappi che pregherò affinché la tua vita sia un inferno». La sua ultima frase non mi preoccupò neanche un po'. Non ero come quelle persone orribili che si erano presi gioco di lei, non l'avrei mai usata per arrivare in vetta alle classifiche di Forbes come il nuovo attore hollywoodiano che si erano fatto ingaggiare grazie alla fidanzata. Lei era molto più di questo per me.

«Sono d'accordo con te, ma vedrai che non ce ne sarà bisogno», gli risposi stringendogli la mano come se il nostro fosse stato un accordo.

«Lieto di sentirtelo dire, ragazzo».

«Ehi», ci interruppe una voce molto conosciuta anche nei miei sogni. «Che ci fate qua fuori?», ci domandò Isabella.

«Ammiravamo la bellissima vista», rispose suo padre. «Me ne torno dentro prima che mia madre noti la nostra sparizione, voi fate pure con calma, sarà entusiasta di sapervi qui fuori insieme», ci suggerì ridendo. Quella sera era particolarmente allegro, anche se non lo conoscevo certo così bene da poter espimere un giudizio in merito.

Bella prese il posto del padre e appoggiò Muffin sulle sue gambe. Fortunato, pensai invidioso anche del cane. Ero messo male. E la serata era ancora lunga.

«Ti stai annoiando, vero?», mi chiese Bella con un espressione colpevole.

«Assolutamente no, è stata una serata divertente e rivelatrice sotto molti aspetti», le rivelai passandole un braccio intorno alle spalle. Pensavo mi respingesse, invece si fece abbracciare stringendosi a me.

«Mia nonna è... Esiste una parola per definirla?», disse sconsolata.

«E' una donna magnifica, dico davvero».

«Non ti ha messo in difficoltà con le sue domande inopportune?».

«No, a dire la verità era più te che temevo».

«Me?», chiese incredula. Annuii sorridente e raccolsi una ciocca di capelli che le copriva il viso. Mi guardò con i suoi grandi occhi neri e colsi al volo l'opportunità di premere sull'argomento spinoso.

«Avevo il terrore di dire qualcosa che ti avrebbe infastidita. Conti così tanto per me, principessa, non ne hai neanche idea», le rivelai cogliendo nel suo sguardo un mix di emozioni: emozionata, indecisa...

«Lo so», disse convinta.

«Davvero?», chiesi sorpreso.

«Sì, per questo vorrei dirti qualcosa anch'io».



 

Buonasera a tutti!!! Come procedono le vacanze? Molte di voi saranno già in ferie, immagino! Comunque passiamo al capitolo!! Questa volta non vi ho fatto attendere molto, ma ecco che vi devo dare una brutta notizia ç.ç Ho deciso di interrompere le pubblicazioni fino a settembre, ma sappiate che continuerò a scrivere, così a settembre avrò un po' di capitolo pronti ;)

So di essere perfida, vi ho interrotto in un brutto momento, ma sono decisa a sospenderla perché ho notato quante persone siano in ferie (fortunate *-*), quindi mi dispiace anche far accumulare a loro vari capitoli. Inoltre questo capitolo è diviso in due (sì, so che si nota da solo xD), la continuazione la troverete nel prossimo, dove continuerà anche la citazione.

Che ne pensate di Nonna Marie? Io la trovo simpatica, un po' invadente forse xD E il nostro Edward come si è comportato? Charlie lo ha minacciato, da buon padre ù.ù Avete scorto qualcosa in più in Bella in questo capitolo? Cosa pensate vorrà dire a Edward?

Spero di ritrovarvi tutte a settembre *-* Come al solito grazie infinite per le recensioni allo scorso capitolo, siete fantastiche *-*

Il mio contatto Fb per chi fosse interessato: Jess Vanderbilt.

Altre mie storie nella sezione Twilight (per chi fosse interessato... nessuno, okay xD):
 


Problemi di coppia (os)

Resta anche domani (os)

Maledetto ascensore (os con due extra)

Scusa se ho aspettato la pioggia (ff ancora in corso)

A presto!

Jess

 

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Capitolo 10
*** Provare a... ***


Provare a...

L'uccellino mattiniero acchiappa il verme, chi ha tempo non aspetti tempo. Colui che esita è perduto. Non possiamo far finta che non ci sia stato detto: abbiamo sentito i proverbi, abbiamo sentito i filosofi, abbiamo sentito i nostri nonni che ci ammonivano sullo spreco del tempo, abbiamo sentito i poeti maledetti che ci spingevano a prendere al volo il momento. Però qualche volta dobbiamo cavarcela da soli. Dobbiamo compiere i nostri errori. Dobbiamo imparare sulla nostra pelle. Dobbiamo spazzare le possibilità dell'oggi sotto il tappeto del domani, fino a che non potremo più farlo, fino a che non comprenderemo da soli quello che voleva dire Benjamin Franklin: che cercare risposte è meglio che farsi domande, che stare svegli è meglio che dormire. E anche il più terribile fallimento, anche il peggiore, il più irrimediabile degli errori, è di gran lunga preferibile al non averci provato.

Grey's Anatomy

Nel precedente capitolo:

«No, a dire la verità era più te che temevo».

«Me?», chiese incredula. Annuii sorridente e raccolsi una ciocca di capelli che le copriva il viso. Mi guardò con i suoi grandi occhi neri e colsi al volo l'opportunità di premere sull'argomento spinoso.

«Avevo il terrore di dire qualcosa che ti avrebbe infastidita. Conti così tanto per me, principessa, non ne hai neanche idea», le rivelai cogliendo nel suo sguardo un mix di emozioni: emozionata, indecisa...

«Lo so», disse convinta.

«Davvero?», chiesi sorpreso.

«Sì, per questo vorrei dirti qualcosa anch'io».
 

«Cosa?», dissi pendendo dalle sue labbra.

«Ecco... Vedi, ho pensato molto a noi e ho capito che...».

«Marie, Edward, avanti entrate! E' il momento del dolce!», ci interruppe nonna Marie. In quel momento odiai profondamente la signora Swan. Accidenti a lei!

«Sarà meglio entrare», disse Bella alzandosi con Muffin in braccio. Il cane abbaiò scontento e lei lo rimise a terra.

«No, aspetta, principessa, cosa volevi dirmi?», la implorai. Avvertivo che si trattava di qualcosa di importante, definitivo, e non riuscivo più a resistere.

«Ne parliamo dopo».

«E va bene», mi arresi affiancandola ed entrando nuovamente nella grande sala.

La serata stava giungendo al termine, quindi, al momento del dessert, Marie decise anche di fare un brindisi ed un ultimo discorso.

Restai al fianco di Bella, leggermente dietro a lei in una posizione di protezione e possessività. Con la coda dell'occhio la osservai, notai le sue espressioni che cambiavano ad ogni parola di sua nonna e potei notare con piacere che anche lei mi teneva d'occhio, lanciandomi qualche occhiata ogni tanto. Prestai attenzione anche alla signora Swan con il cui discorso commosse molte persone nella sala.

«Vorrei ringraziarvi ancora per essere presenti alla serata mia e del mio defunto marito. Non voglio perdermi in chiacchere sul nostro bellissimo matrimonio, ma vorrei spendere due parole sull'amore. Ne parlano spesso: in televisione, alla radio, nei libri, nelle canzoni, ma pochi sanno davvero cos'è. Sentirlo raccontare, leggerlo, non è la stessa cosa nel sentirlo crescere dentro di sé verso qualcuno. Non si può spiegare cosa si prova, per ognuno è diverso. Se chiedessi ora ad ognuno di voi come definireste l'amore, avremo trenta definizioni diverse, segno che non si può limitare un sentimento così grande. Impedirsi di amare è come essere ciechi, diventiamo limitati. So che a volte fa paura, ci terrorizza la consapevolezza che qualcuno abbia così tanto potere su di noi da ferirci, ma se non ci lasciassimo andare, alla fine del nostro viaggio non avremo nulla. Quindi non focalizzatevi su un'utopia, amate e solo così vivrete davvero. Al diavolo i pregiudizi, i pettegolezzi, innamoratevi di chi volete e costruite il vostro futuro». Marie concluse il suo discorso focalizzando la sua attenzione su me e Isabella. Il suo sguardo parlava da sé. Le parole che aveva speso era un incoraggiamento per sua nipote, segno che la cara nonna conosceva molto bene Bella.

Le sorrisi riconoscente per la spinta che stava cercando di dare alla mia principessa, poi mi concentrai proprio su quest'ultima, aspettando una sua reazione.

Mentre partiva un applauso per Marie, Bella si scambiò un'occhiata indecifrabile con sua nonna, per poi voltarsi verso di me. Incontrai il suo sguardo nero come il carbone e rimasi incantato come sempre da quelle pupille che ricordavano gli occhi del diavolo.

Alzò in contemporanea un angolo della bocca e un sopracciglio. Era palese che avesse capito cosa volesse intendere sua nonna. Io ricambiai sorridendo apertamente in segno d'apprezzamento e lei sbuffo spensierata. Le posai una mano sul fianco, attirandola ancora di più verso il mio corpo e lei si appoggiò senza remore.

«Ultimo brindisi della serata», iniziò Marie. «Questo è tutto per la mia cara nipote Isabella e il suo fidanzato Edward. Pregherò in tutti i santi che conosco affinché vi sposiate in fretta, siete così perfetti insieme che sprizzate amore da tutti i pori. Ah, ovviamente i nipotini sono d'obbligo, voglio diventare una bisnonna giovane». Nella sala si diffuse una risata generale, mentre Charlie fulminava la madre e Isabella cercava di sprofondare al mio fianco e scomparire. Non riuscii a trattenermi e risi a non finire, beccandomi le unghie di Bella infilzate nel mio fianco. Per lei i soliti pizzicotti e gomitate erano sopravvalutate.

Il tentativo della padrona di casa era palese sia a me che alla donna al mio fianco, forse anche per Charlie; voleva a tutti i costi vedere sua nipote felice e a quanto sembrava io ero il suo candidato ideale, l'avevo proprio conquistata. Probabilmente l'aver iniziato la serata da gentlemen, aprendo la portiera a sua nipote, mi aveva fatto acquistare molti punti.

I presenti si dispersero nella sala, chi mangiando il dolce, chi conversando amabilmente con dei conoscenti. La signora Swan si avvicinò a noi sorridendo angelicamente con Charlie al seguito.

«Nonna, il tuo discorso è stato...».

«Eccezionale, lo so mia cara, grazie. L'amore ormai ti ha colpita con la sua freccia», la interruppe stringendo una mano a Bella.

«Mamma, penso che Isabella intendesse dire ben altro», intervenne Charlie.

«Oh, Charlie, taci, non ti impicciare negli affari di cuore di tua figlia».

«Non ho parole, mamma! Non l'ho mai fatto, semai quello è il tuo ruolo da sempre!», ribattè scocciato. Madre e figlio erano esilaranti, la signora Swan non si perdeva un colpo e sapeva come avere sempre ragione anche in momenti assurdi.

«Charlie, per favore, stavo iniziando un discorso serio con questi due giovani».

«Mamma, stai cercando di far sposare la mia bambina!».

«Non è più la tua bambina da un po', ormai. Farai bene ad accettarlo e lasciarla nelle braccia di Edward. Lui è parso un ragazzo in grado di farcela con una Swan».

«Okay, time out!», quasi urlò Isabella con le guance color porpora. Le allusione al nostro matrimonio e specialmente alla mai persone dovevano averla imbarazzata con me presente.

«Nonna, ti prego, contieniti. Non mi sto per sposare, per questo ci vorranno anni», continuò muovendo freneticamente le mani. Alle parole della figlia Charlie si aprì in un sorriso perfido diretto a sua madre, che lo notò e socchiuse gli occhi in due fessure. «E tu, papà, non aprirti in sorrisetti vendicativi», lo rimproverò.

«Io? Ma tesoro, quando mai!», disse suo padre parendo quasi sincero.

«Quando ti si formano quelle fossette sulle guance capisco tutto».

«Mi hai sempre detto che sono muscoli deformati, mica lo faccio apposta», borbottò Charlie.

Bella sorrise a suo padre: «Non l'ho mica scoperto io, questa è medicina».

Notai che sua nonna stava per ripartire all'attacco, quindi subentrai io per salvare la situazione. Avevo come l'impressione che lasciandoli fare sarebbero andati avanti per ore. «Marie, questa serata è stata fantastica. E' una maga nell'organizzazione».

«Oh, grazie Edward, sei molto gentile. Ci tengo particolarmente agli eventi che scelgo di fare io stessa».

«Purtroppo domani dobbiamo alzarci molto presto, mi dispiace nonna, ma sarebbe meglio per noi andare». La guardai stranito, ma con le unghie mi infilzò nuovamente il fianco per farmi tacere.

«Sì, giusto, dobbiamo fare quella cosa...», le diedi man forte.

«Mmh, quella cosa.... Non può aspettare domani, quindi...».

«Quale cosa?», chiese Marie guardandoci sospettosa e con le mani sui fianchi.

«Eh, mmh... Bella, spiegalo a tua nonna». Mi dispiaceva scaricare il peso sulle sue spalle, ma di fronte a quella donna proprio non riuscivo a mentire. Avevo la sensazione che ogni bugia uscita dalla mai bocca potesse scovarla immediatamente.

«Domano dobbiamo... radunare le cose sul set, partiamo per Seattle». In parte era vero, la partenza per le riprese era imminente, solo che non c'era questo gran da fare come sosteneva Bella. Tutto era organizzato dagli assistenti di produzione.

«Già, ci aspetta una settimana intensa», ribadii.

La signora Swan non se la bevve: «Che strano, solitamente non è la produzione ad occuparsi di tutto?».

«Per Isabella è il primo film, deve tenere tutto sotto controllo», intervenne Charlie in nostro aiuto facendoci l'occhiolino da dietro le spalle della madre.

«E va bene, vi lascerò andare. Buonanotte cara, e grazie anche a te Edward per essere venuto, spero di rivederti presto».

«Grazie a voi per l'invito, buon proseguimento di serata, Marie».

Ci abbracciò brevemente e dopo altri saluti dei presenti e da Charlie, riuscimmo ad uscire da quella casa ed arrivare all'auto.

 

«Allora, principessa, cosa vogliamo fare?», chiesi curioso. Dovevamo finire il nostro discorso interrotto a metà e di certo non l'avrei lasciata senza prima mettere un punto alla questione.

«Non lo so, Muffin inizia ad essere stanco, è solo un cucciolo, e non mi va di andare in qualche locale e tramortirlo con il chiasso».

«Se vuoi possiamo andare a casa mia, vivo da solo, quindi lì nessuno ci disturberà», gli proposi.

Si morse ferocemente il labbro inferiore prima di rispondermi in un sussurro a malapena udibile: «Non penso sia una buona idea».

«Principessa, non ho detto che voglio portarti in camera mia. Sarò un gentiluomo; prometto solennemente che non ti toccherò neanche con un dito, se non vorrai».

Ci pensò un attimo di troppo e poi annuì.

Accesi la macchina e abbassai il freno a meno per poi partire.

«Sei stanca?», chiesi quando sentii Bella sbadigliare e la vidi appoggiare la testa al finestrino.

«Un po', oggi è stata una giornata... intensa».

«Domani potrai riposarti».

«Devo ancora fare le valigie per Seattle», disse sospirando.

«Posso sempre venire ad aiutarti», gli risposi.

«Pervertito», mi apostrofò.

«Preferirei definirmi sincero».

«Presuntuoso», rispose.

«Affascinante».

«Mmh», disse nascondendo un sorriso.

«Mmh?».

«Già: mmh».

«Prenderò il tuo verso come: sì, sei dannatamente affascinante, Edward».

Scoppiò a ridere e mi persi nel sentirla così spensierata e allegra, per una volta.

Era così bello sentire il suono della sua risata, sapere per un attimo che aveva abbassato a guardia e si era concessa di essere se stessa, per un fottuto singolo minuto. Avrei voluto saperla sempre così in mia compagnia, non agitata, nervosa che qualcuno ci scopra come se fossimo due amanti con tanto di famiglie a casa che aspettavano il nostro rientro dopo la scappatella. Era squallido che nella sua mente associasse il nostro rapporto a simili situazioni che disprezzavo con tutto me stesso.

Non concepivo il tradimento, non accettavo la distruzione di famiglie intere per la brama dei coniugi di provare quel brivido diverso e dimenticato dopo anni di matrimonio. Se si ama una persona, se la si ama davvero, l'adulterio non ti sfiora la mente neanche per un secondo. Le tentazioni c'erano, sempre, ma questo non significava cedere a esse per semplici capricci o perché si considerava la routine quotidiana una noia. Se ti sentivi soffocato, estraniato da ciò che era diventato il matrimonio, bisognava avere le palle e mettere fine a tutto. Come sempre, quando discutevo con amici e parenti di tradimenti e divorzi, la solita frase che veniva fuori era: "Certo, per te è facile parlare così, non sei sposato, non sai quanto sia difficile mettere la parola fine ad un matrimonio o relazione di anni e anni". A quel punto il mio carattere battagliero e convinto dei miei principi morale veniva fuori e la risposta era sempre la stessa: "Come hai le palle per tradire e raccontare cazzate alla tua compagna, sii in grado anche di avere le palle per assumerti le tue responsabilità". Ma con alcuni era come parlare ad un muro di cemento.

Irritato con me stesso per aver ripensato al comportamento di Bella nella mattinata, quando Alice e Jasper ci avevano visto nel parcheggio, e aver notato a cosa venivamo paragonati, mi concentrai esclusivamente sulla guida. Svoltai verso Beverly Hills, meno di cinque minuti e saremmo arrivati nella mia abitazione.

«Edward, questa è la via per andare a casa mia», mi ricordò Bella, come se potessi dimenticarmene.

«E' anche la strada per casa mia».

«Tu... vivi vicino a me?», mi domandò stranita.

«Non proprio, non siamo vicini», iniziai. «Anche perché credo, anzi ne sono certo, che se fossi stato il tuo vicino di casa mi sarei procurato i migliori binocoli in circolazione», terminai strizzandole l'occhio.

«In tal caso mi sarei premurata di circondare la villa di alberi e procurarmi vetri oscurati alle finestre».

«Tzé, non sei per nulla generosa. Io non ti avrei mai fatto una cosa simile, anzi ti avrei regalato un paio di binocoli identici ai miei».

«Non li avrei usati di certo».

«Ne sei certa?», la stuzzicai.

«Ma certo, non sono pervertita come te».

«Non si direbbe, sai?». Svoltai a destra ed entrai nel mio vialetto privato. La mia abitazione era molto ridotta confronto alla casa di Isabella, ma la trovato perfetta per me vivendo da solo.

Fermai l'auto e Bella scese subito con Muffin stretto al petto. Ero geloso di quel cane, sempre abbarricato sul suo petto mentre io dovevo accontentarmi di due sfioramenti, se mi andava bene.

«Sai, Edward», mi chiamò appoggiandosi al tetto della macchina e guardandomi dall'altro lato dell'abitacolo. «Una donna ha più classe. Mi sarei semplicemente presentata a casa tua mentre ero sicura che stessi facendo la doccia». Si voltò lasciandomi guardare esterrefatto la sua figura che saliva i due gradini di casa. Ero letteralmente a bocca aperta; mai mi sarei aspettato che Bella rispondesse alla mia provocazione.

Fu questione di attimi, mi ripresi subito e la seguii. Non potevo lasciarle l'ultima parola, così tentai un'ulteriore mossa.

«Sotto la doccia non ti avrei sentito, principessa», dissi da dietro di lei.

«E perdermi lo spettacolo di te, mezzo nudo e bagnato? Mi sarei semplicemente attaccata al campanello. Sono certa che mi avresti sentita prima o poi». Mi rivolse uno sguardo e un sorrisetto sadico, sapendo bene di avermi lasciato definitivamente senza parole. Eppure qualche carta da giocare l'avevo sempre.

«Potrei prendere in considerazione di trasferirmi nella villa che i tuoi vicini hanno messo in vendita», dissi serio.

«Stai scherzando, vero?».

«No. Stavo già prendendo in considerazione l'ipotesi di trasferirmi. Mi servirà più spazio un domani, quindi perché non approfittarne ora? Con l'anticipo che mi hai dato per il film me la posso permettere eccome».

«Per cosa ti servirà più spazio?», mi chiese sospettosa tralasciando le altre informazioni.

Aprii la porta di casa prima di risponderle: «Accomodati. Be', come vedi questa casa è stupenda, ma piccola. E' decisamente l'abitazione di un single: una camera con un armadio ristretto, un bagno e un soggiorno che comunica con la cucina». Le illustrai ogni stanza e dal suo sguardo mi pareva apprezzasse il monolocale.

«Perché non dovrebbe andare bene?». Non mollava l'osso, voleva arrivassi al punto. Cercai di restare serio, cercando di cammuffare le risate rivolgendo il mio sguardo su Muffin, sempre in braccio a lei.

«Voglio una famiglia, Bella. Voglio vivere sotto lo stesso tetto della persona che amo; condividere con lei ogni singolo attimo della giornata». E questo era anche vero. Da uno scherzo che volevo farle eravamo passati alla verità. Desideravo costruire qualcosa di solido con una donna. In quel momento ovviamente l'unica che avevo in mente era di fronte a me, anche se spingere su argomenti così delicati in sua presenza era ancora un po' presto vista la nostra situazione attuale di stallo.

«Penso... penso sia una bella cosa, Edward», disse abbassando lo sguardo.

«Ehi, no, no, principessa. Scusa, stavo scherzando». Le tirai su il mento e la guardai in quei magnifici occhi scuri.

«Quindi non vuoi una famiglia?».

Sospirai: «Quella parte è vera, ma non dovevo parlarne ora, con te. Scusami». Mi sentivo un verme per averla fatta intristire e aver premuto su un tasto delicato. Eravamo sul filo del rasoio senza che io cercassi di metterle fretta e spaventarla sul futuro che volevo al più presto.

«Va bene così. E' giusto che tu mi dica ciò che vorresti». Il suo discorso non faceva una piega, ma lo trovavo comunque sbagliato in quel momento.

«Forse, benché non sia il momento adatto».

«Dobbiamo parlare, seriamente».

«Vieni, sediamoci», dissi trascinandola con me sul divano. Muffin scese dalle sue braccia e lei fu libera di liberarsi della giacchetta e della borsa.

Bella prese un grosso respiro prima di iniziare a parlare. Rivolse il suo sguardo di fronte a sé, poi si fece coraggio e incrociò il mio per incantarlo.

«So di essere una persona difficile, complicata e mi rendo conto di quanto sia snervante per me stare dietro ai miei continui sbalzi d'umore. Non so come comportarmi e ormai te ne sarai accorto anche tu». Annuii per farle capire che la stavo seguendo e che non ero incantato da lei. Non solo, perlomeno. «Ho dei problemi a fidarmi delle persone. Questo è un mondo così duro e a Hollywood non si fanno sconti. Ho sempre saputo che per svolgere la mia passione dovevo avere dei principi morali così forti che batterli sarebbe stato impossibile. In questo modo nessuno mi avrebbe ferita od ostacolata. Poi sei arrivato tu e hai cercato fin da subito di buttare giù uno ad uno i paletti che avevo posto tra noi». Si prese qualche minuto per riflettere e in quel preciso istante capii che non mi avrebbe detto tutto, ma che aveva preso una decisione importante per entrambi.

«Per una volta voglio provare ad abbattere io per prima gli ultimi paletti, buttare giù il muro che sta dietro e prendere le cose come vengono. Non voglio fare progetti, voglio solo vivere questa cosa con te e vedere dove ci porterà». Non si era sbilanciata ed era chiaro che non sarebbe andata avanti. Stava comunque preservando qualcosa di se stessa. Non si sarebbe mostrata subito, aveva troppa paura e non capivo ancora se della sua carriera o di rimanere ferita.

«Okay», affermai semplicemente.

«Io mi sono aperta con te e tu sai solo dirmi okay?», mi ringhiò contro con lo sguardo acceso. Mi pareva quasi di scorgere delle fiamme rosse in tutto quel nero.

«Accetto che una parte di te si metta in gioco, ma non credere di fregarmi: so che comunque una parte di te resta ferma nella sua posizione. Hai paura, lo capisco, davvero. Non credere neanche per un attimo che io non ne abbia».

«Anche tu hai paura?», sussurrò quasi non volesse ammettere quel sentimento tanto comune.

«Ma certo, Bella, anche se per questioni diverse dalle tue». Avvicinai la mia mano al suo viso e accarezzai la sua guancia liscia e morbida come seta. Lei appoggiò il suo dolce viso e compresi quanto avesse bisogno di essere rassicurata.

La attirai a me, avvicinai il suo corpo al mio e allungai il collo per posare le mie labbra sulle sue. Finalmente, per la prima volta, il bacio era voluto da entrambi e simboleggiava un nuovo inizio.

La baciai dolcemente e lei non si tirò indietro. Posò una mano tra i miei capelli, attorcigliò alle sue piccole dita delle corte ciocche e le tirò piano. Gemetti e una mia mano prese una sua via, scendendo lungo la schiena fino alla sua gamba scoperta. Sentire la nostra pelle entrare in un contatto sempre più intimo mi diede la chiara consapevolezza di quanta attrazione repressa ci fosse tra noi.

Bella tentò di avvicinarsi ancora di più a me, per quanto fosse possibile, e una sua gamba si posò sulla mia. Le sue labbra si mosserò più velocemente e ben presto il bacio si fece più sfrenato. Restai al passo, lei dettò il ritmo e io le andai dietro come un fedele con la sua dea.

Ad un certo punto mettemmo fine al bacio, non volendo accellerare i tempi. Il divano era fin troppo comodo, la passione troppo accesa e io ero pur sempre un uomo pazzo della donna tra le sue braccia.

La abbracciai e le feci posare il volto sulla mia spalla. Immersi il naso nei suoi capelli e aspirai l'odore del suo shampoo.

«Stai tranquilla, principessa, ci sono io, andrà tutto bene», bisbigliai dolcemente al suo orecchio.

«Ti sto dando il mio cuore», confessò timorosa. La strinsi ancora di più, avvicinandola al mio corpo fin dove era possibile.

«Sarò in grado di custodirlo». Per sempre, spero, aggiunsi nella mia mente.


 

Buonasera, ragazze! Come state? La routine è iniziata, purtroppo. Quanti di voi hanno iniziato la scuola o l'università? Non chiedo del lavoro perché so che le ferie non sono così prolungate e sarete di certo rientrate tutte.

Avevo detto che sarei tornata a settembre e infatti eccomi qui. Questo capitolo è il continuo dell'altro e segna un punto di svolta fondamentale nella storia. Chi mi segue sa che sono abbastanza frettolosa nel far iniziare un rapporto, non so resistere, ma di certo per questa storia questo è solo l'inizio. Ci sarà molto altro da vedere ;)

Bella ha preso una decisione, finalmente aggiungerei io; che ne pensate? E nonna Marie? Il suo personaggio l'ho buttato più sul comico mantenendo gli aspetti saggi di tutte le nonne.

Nel prossimo capitolo vedremo la mattinata dopo questa serata. Non so con precisione quando pubblicherò, ho l'altra storia da aggiornare e mi sono buttata a capofitto su altri progetti, della serie: non hai già altre due storie da concludere? -.-' Sono arrabbiata con me stessa, ma quando l'ispirazione chiama... Comunque, tornando al punto, prometto di pubblicare massimo a fine mese.
Grazie mille a tutte le persone che continuano a seguirmi, grazie, grazie, grazie *-* Mi dispiace un po' per coloro che ho perso strada facendo, ma capisco da lettrice che gli aggiornamenti non sono frequentissimi e forse anche la storia ha stancato xD Però grazie a coloro che recensiscono, che mettono la storia nelle liste e chi mi mette negli autori preferiti *-*

Contatto Fb: Jess Vanderbilt.
E novità! Ho aperto un gruppo con una mia amica, Adele qui su efp, dove parleremo di libri, musica e delle nostre storie.

A presto :***

Jess

Ps risponderò ora alle recensioni ;) 

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Capitolo 11
*** It's not the end ***


It's not the end

 

 

And now it’s time to build from the bottom of the pit
Right to the top

Imagine Dragons, It's time

 

Guardai il tabellone delle partenze e attesi la comparsa della mia prossima destinazione: Seattle. Il giorno della partenza era arrivato. Avremo girato un'altra parte di film nella Emerald city, soprannome della città grazie ai migliaia di alberi sempreverdi di cui era provvista.

Stufa di stare davanti al tabellone mi sedetti sulle panche grigie al fianco del gate destinato al nostro volo. Ero arrivata lì in largo anticipo, quindi tutta la mia troupe doveva ancora presentarsi, tranne Jasper e Alice.

Edward si era offerto di passare a prendermi la sera prima, quando mi aveva accompagnata a casa dopo la sosta a casa sua, ma come al solito avevo rifiutato. Il motivo era sempre lo stesso, come mi aveva fatto notare un Edward piuttosto nervoso: non volevo che qualcuno ne fosse ancora a conoscenza, anche se molti avevano iniziato a fare due più due.

Quella mattina, nonostante tutto, Edward mi aveva mandato un messaggio del buongiorno molto dolce a cui avevo risposto immediatamente. Nessuno dei due aveva fatto cenno alla sera precedente, lui temeva un mio passo indietro e io temevo un nostro passo di troppo. Edward aveva reso la serata indimenticabile, romantica e ora mi sembrava tutto così strano che non sapevo esattamente come comportarmi. In quel momento farmi mille crucci non era un opzione, quindi accantonai i pensieri contorti e mi concentrai sui primi del mio team che iniziavano ad attraversare le porte scorrevoli di fronte a me. Dopo ben mezz'ora Edward era l'unico che mancava e io continuavo a girarmi verso la vetrata per vederlo arrivare; tuttavia i miei desideri non si avverarono in fretta. Dopo un'altra mezz'ora dove ero sempre più irrequieta, lo vidi finalmente entrare e un sorriso si aprì sul mio volto, specchio del suo. Salutò i suoi colleghi e la troupe, poi si diresse verso di me e si sedette al mio fianco. Nessuna dimostrazione dell'intimità che si era creata tra noi.

«Nessun saluto appassionato, nessuno sfioramento. Ciò che volevi, no?», mi chiese Edward con un tono malinconico che mi fece sentire in colpa.

«Edward, non voglio che tu...», iniziai per poi venire bloccata dopo neanche cinque parole.

«Lo so, ho capito, Bella, non ti sto accusando, vorrei solo che la situazione fosse diversa e ci permettesse di essere noi stessi».

«Anch'io», sussurrai abbassando la testa.

«Niente musi lunghi ora, stiamo per partire e sei ore di volo danno sicuramente modo di rimuginare su molti fatti», mi ammonì sfiorandomi leggermente la mano posata sul ginocchio.

«Okay», sorrisi più ottimista sperando che quelle ore le avrei passate a dormire.

Chiamarono il nostro volo e iniziammo il check-in. Eravamo in molti, con tanto di attrezzatura per girare, quindi ci mettemmo un po'. I posti sull'aereo non avevano un ordine preciso se non su richiesta, quindi una volta saliti mi misi in quello contrassegnato nel mio biglietto, ovvero due posti abbastanza isolati della prima classe.

Mi girai verso il finestrino e osservai il via vai del personale che trasportava i bagagli da mettere nella stiva o ultimava la revisione dell'aereo, finché non sentii qualcuno sedersi al mio fianco e sospirare rumorosamente... Un sospiro che conoscevo alla perfezione. Mi girai osservando quell'uomo dagli occhi verdi che mi sedeva a fianco e sorrisi incerta.

«Vuoi farmi credere che questa è stata solo una coincidenza?», sussurrai indicando i nostri posti.

«E tu vuoi farmi credere di non esserne felice?», mi rispose a tono alzando un sopracciglio.

«Touché», risposi sorridendo apertamente.

«Saranno sei lunghe ore», continuò distendendo le lunghe gambe davanti a sé.

«Dormirò», affermai con un finto sbadiglio.

«Oh no, non lo farai. Non ho supplicato la hostess di darmi questo posto per osservarti dormire per sei dannate ore... Anche se la cosa si potrebbe rivelare interessante nel caso fossi sonnambula», iniziò mettendomi in guardia per poi ritornare sui suoi passi.

«Mi dispiace per te, ma non sono sonnambula».

«Quindi non rischio di essere assalito mentre dormi?», mi domandò deluso con un broncio talmente tenero che mi venne voglia di mordergli le labbra.

«No, a meno che non lo sia tu stesso», chiesi incerta.

«Mi spiace deludere le tue aspettative, ma mentre dormo non mi muovo di un millimetro». «Comunque tranquilla, posso sempre farle da sveglio», dichiarò facendomi l'occhiolino.

«Non oserai su un aereo!».

«Mi piace osare».

«Ti conviene pensarci in un altro momento», dissi risoluta, anche se una strana eccitazione iniziò a prendere possesso del mio corpo.

«È una proposta?». La felicità nella sua voce era palese e il tono fin troppo malizioso.

«Fai le tue supposizioni», lo stuzzicai.

«Le farò, immaginerò e provvederò». Le sue sembravano previsioni degne di una cartomante.

«Sei troppo sicuro...», cercai di smontarlo senza grandi successi.

«Forse perché qualcuno me ne ha dato l'opportunità». Sempre con la battuta pronta, pensai. Il non tanto velato riferimento a me era palese, ma sorvolai appena si avvicinò Alice con Jasper, appena saliti sull'aereo.

«Che fortuna avete avuto!», esclamò Alice appena vide le nostre posizioni. Poi sorridendo continuò: «Una strana coincidenza». Mi strizzò l'occhio senza farsi vedere dai due uomini presenti. La fulminai con lo sguardo e decisi di non rispondere alla provocazione.

«Voi dove siete seduti?», chiese Edward. Il suo interessamento mi parve alquanto strano.

«Siamo in penultima fila, posti cinquanta e cinquantuno», ci informò Jasper.

«Ho cercato di farci avvicinare a voi, ma nulla da fare!», si lamentò Alice mettendo il broncio.

Tutto a un tratto nell'abitacolo risuonò la voce del pilota che ci invitava a prendere posto e ci dava orari precisi di atterraggio e condizioni meteo. Alice e Jasper andarono ai loro posti, Edward si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmi la fortuna che avevamo avuto ad essere i più isolati della troupe.

Appena i motori si accesero allacciai la cintura di sicurezza, come da protocollo, e afferrai i braccioli ai miei lati. Edward staccò la mia mano destra dal sedile e me la strinse. Feci un profondo respiro e chiusi gli occhi. Volavo spesso, da sempre, eppure, dopo l'incidente aereo che si portò via mia madre, il decollo mi metteva in uno stato di panico. Continuai a respirare profondamente tenendo gli occhi chiusi e cercando di isolare il rumore dei motori, non dovevo ascoltarli.

Feci risuonare nella mia testa una canzone che avevo sentito da poco, neanche ricordavo le parole se non il ritmo. Edward doveva essersi accorto del mio profondo disagio e cercò di aiutarmi in qualche modo, facendomi sentire la sua presenza. Mi attirò verso il suo petto e mi fece appoggiare la testa sopra il suo cuore per poi iniziare a parlarmi di cose futili e divertenti. Riuscì a rilassarmi così tanto che, a parte il vuoto d'aria, non sentii nulla del decollo, me ne accorsi solo quando eravamo già in alto.

«Va meglio?».

Tirai su la testa per guardarlo negli occhi e accennai un sorriso di gratitudine: «Sì, grazie, Edward».

«Non c'è di che, principessa. Poi averti spalmata sul mio corpo non mi dispiace per nulla».

Gli pizzicai il braccio che mi teneva ancorata a lui sotto il seno. «Non cambierai mai».

«Non mi vorresti diverso da come sono», disse seducente.

«Hai ragione, non cambierei nulla di te, compresa la tua tenacia e la tua perversione», ammisi.

 

Edward

 

Durante tutto il viaggio la stuzzicai, ma mantenemmo comunque le dovute distanze per non insospettire nessuno. Per due ore si addormentò appoggiata alla mia spalla e io rimasi a fissarla incantato dalla sua pelle liscia e chiara ricordando perfettamente com'era sotto le mie dita. Le accarezzai brevemente i suoi capelli lisci e neri, ma poi ci rinunciai temendo di svegliarla. Le feci qualche foto e poi le rimirai sul cellulare: era possibile che quella donna fosse così fotogenica anche mentre dormiva?! Era quasi irreale per me e guardandola serenamente addormentata sembrava un angelo nero.

«Principessa», la scrollai dolcemente cercando di svegliarla.

«Non ho dormito nulla stanotte», mugugnò girando ancora di più il viso verso il mio collo. Il suo respiro caldo mi faceva il solletico e mi fece venire i brividi lungo la mia spina dorsale.

«I miei baci ti hanno tenuta sveglia?».

«Arrogante», sussurrò aprendo gli occhi. Solo lei riusciva a tirare fuori lati del mio carattere che mai avrei pensato di possederti: l'arroganza era uno di questi.

«Consapevole», affermai.

«Di cosa?», mi chiese assumendo una posizione più dritta.

«Dell'effetto che ho su di te».

«Addirittura? Come puoi esserne certo?».

«Perché è lo stesso che tu hai su di me. Lo stesso motivo che ha tenuto sveglio anche me, stanotte».

Spalancò i suoi occhi scuri e mi fissò con sorpresa e soddisfazione.

Il comandante annunciò l'atterraggio e, questa volta, Bella non risentì dello stato d'ansia del decollo. Scendemmo dall'aereo e delle auto ci stavano aspettando per portarci all'hotel designato per questo soggiorno. Sperai di avere una camere abbastanza vicino a quella di Bella, ma questa volta non fui altrettanto fortunato: la sua suite si trovava all'ultimo piano dell'hotel, mentre io ero ben tre piani sotto di lei.

Non avemmo più occasioni di stare insieme, parlare, o semplicemente stare solo noi due. Io ero stato tutto il tempo con altri attori, tra cui Rose, mentre Bella discuteva di alcuni particolari con Jasper, l'aiuto regista, ed Alice, la stylist-design.

Ero stressato per il viaggio, per quanto fosse stato un piacere stare con Bella, ma avevo bisogno di una doccia e rilassarmi mezzora prima di scendere per la cena.

Inviai un messaggio a Bella, volevo sapere se era tutto a posto o se aveva bisogno di qualcosa. Mi rispose dopo qualche minuto descrivendo i suoi piani che combaciavano esattamente con i miei: doccia, risposo e poi cena.

Era incredibile quanto già mi mancasse; quella mattina non avevo avuto l'opportunità di salutarla come volevo, poi ci eravamo separati per sistemarci nelle nostre stanze. Desideravo stare con lei ogni minuto del giorno. Sì, eravamo spesso insieme per via delle riprese del film, ma i momenti da soli scarseggiavano. Forse dividendo la stanza avremmo avuto molto più tempo a disposizione, ma non volevo metterle pressioni dopo i passi avanti della sera precedente, ed era anche prematuro visto che sicuramente non sarei riuscito a comportarmi da gentiluomo con una donna seducente nel mio letto. E per di più per una donna per cui provavo sentimenti profondi.

 

Mi sveglia a causa del continuo martellio dei messaggi sul cellulare. Mi stropicciai gli occhi e allungai una mano sul comodino per prenderlo. Ancora con gli occhi appannati vidi sei notifiche: tutti messaggi di Bella. Li aprii stranito e un po' preoccupato, senza pensare minimamente all'ora.

Il primo mi chiedeva semplicemente dov'ero. Passai agli altri e quasi risi.

 

Edward, come mai non sei ancora sceso?

 

Rispondi!

 

EDWARD!

 

Non dirmi che ti sei addormentato -.-'

 

Non ci posso credere, è più di un'ora che cerco di svegliarti! Ma davvero hai il sonno così pesante?!

 

Guardai l'ora ed effettivamente ero in ritardo, ma non di così tanto come voleva farmi credere Bella. Mi alzai e velocemente infilai un paio di jeans color sabbia e una maglietta. Infilai le prime scarpe che trovai per terra e presi al volo la tessera magnetica della camera. Con ancora il cellulare in mano mi precipitai nell'ascensore, scrivendo intanto a Bella che stavo arrivando. Non ricevetti risposta, ma diedi per scontato che lo aveva letto.

Appena arrivai al ristorante annesso all'hotel sostai un attimo sulla soglia d'ingresso. C'era un gran via vai, molti della troupe se ne erano già andati, altri avevano deciso di cenare fuori ed erano usciti in cerca di divertimento. Scandagliai la sala in cerca di Bella senza trovarla. Vidi Alice e Jasper insieme a Emmett, Rose e altri attori. Mi fecero segno di raggiungerli e alzai la mano per dire che sarei andato tra poco. Mi diressi verso il bar, situato alla destra della sala, leggermente nascosto dai tavoli. Bella era seduta lì, ma non era sola. Oh, no, non era proprio sola! Accanto a lei sedeva un uomo dai capelli neri con in mano una birra. Non riuscii a vederlo bene dalla mia posizione, osservai solo come interagivano, cosa faceva Bella, se rideva, se parlava... Sì, mi stavo comportando come un pazzo maniaco.

Sicuramente i due si conoscevano, conversavano come vecchi amici, ogni tanto si sfioravano le mani o si davano leggere pacche sulle braccia. Bella sembrava contenta di stare in compagnia di quell'uomo e capii il motivo per cui non aveva risposto al mio ultimo messaggio: era impegnata.

Non ero nella posizione di fare scenate, non stavano facendo nulla di male e di certo non era un motivo per scatenare la mia gelosia per qualcosa di apparentemente innocuo.

Guardarla così a suo agio, contenta e senza inutili timori che qualcuno potesse beccarli sul fatto, mi fece inevitabilmente pensare al nostro rapporto. Noi non potevamo comportarci così, non potevamo uscire alla luce del sole come qualsiasi coppia. Di certo ciò non dipendeva da me, ma rispettavo l'opinione di Bella e in fondo non volevo passare io stesso per colui che era stato privilegiato nel film perché stava con la regista. Però non potevo evitare che tutto ciò mi desse fastidio. Non sapevo nulla di quell'uomo, non sapevo le sue intenzioni e non conoscevo il loro rapporto.

Sospirai e decisi di comportarmi come una persona matura che aveva fiducia nella sua donna. Andai a sedermi con altri e passai il resto della serata a buttare occhiate intorno a me. Bella non si fece viva, quindi supposi fosse ancora al bar con quel tipo, invece sbagliai: una volta che abbandonammo la sala gettai un'occhiata al bancone del bar e constatai l'assenza di entrambi. Bella non lì, quell'uomo sconosciuto non era lì e io non li avevo neanche visti uscire dalla sala.

 

«Allora, che ne dite di un giro nel centro di Seattle? È ancora presto per ritirarci nelle nostre stanze!». La proposta di Emmett non era male e poi non avevo nessuna voglia di chiudermi in quella stanza da solo. Mi guardai intorno sperando magari di vedere Bella arrivare o uscire dall'hotel.

«Io ci sto», affermai sorprendendomi da solo.

«Conosco un locale qui vicino niente male! Musica dal vivo, tavolo da biliardo e belle cameriere», confermò Emmett beccandosi occhiate gelide sia da Rosalie che da Alice. Rose? Chissà se nutriva qualche interesse verso Emm visto il suo sguardo sprezzante.

Rimanemmo solo noi, mentre gli altri andarono per i fatti loro. Il locale effettivamente era vicino, ma appena entrammo una puzza di fumo e birra ci investì. Dentro era pieno di gente, musica altissima e ragazzi che ballavano in una pista improvvisata in mezzo ai tavoli. Mmh, un buon posto per liberare la mente.

Con il passare della serata controllai più volte il telefono, ricevendo occhiate da Alice, che mi sorrideva complice, e altrettante occhiate dagli altri che non capivano il mio atteggiamento.

«Aspetti qualche chiamata importante, Edward?», cercò di informarsi Emmett.

«No, no», negai scuotendo il capo.

«Mi sembrava controllassi lo schermo dell'iPhone con uno sguardo abbastanza incazzato», mi schernì mentre un'altra palla andava in buca. Non ero mai stato molto bravo a giocare a biliardo, quindi non me la presi dopo la terza partita persa.

«Nah, controllo solo l'ora, domani voglio essere in forma per le riprese e non arrivare con due occhiaie violacee che neanche la truccatrice migliore al mondo riuscirà a coprire». Emm mi lanciò uno strano sguardo facendomi capire che non si stava bevendo le mie balle. Feci spallucce e lui lasciò perdere.

La serata passò e in parte mi divertii, anche se il mio pensiero era continuamente rivolto a Bella. Ad un certo punto non ce la feci più e dissi agli altri che ero stanco e che tornavo in hotel.

Mandai un altro messaggio a Bella e non ricevetti nuovamente risposta. Iniziai seriamente ad innervosirmi. In ascensore cliccai il decimo piano: dovevo andare da lei.

Bussai nervosamente controllando a destra e sinistra per accertarmi che nessuno mi stesse prestando attenzione.

«Chi è?», chiese Bella con una voce strana.

«Bella, apri», sussurrai quel tanto per farmi sentire solo da lei.

Aprì e io rimasi imbambolato a fissarla. Bella indossava un paio di pantaloncini bianchi e una canotta, anzi in pratica era come se quel pezzo di stoffa che le ricopriva appena il sedere non esistesse. Dio, mi faceva un effetto che... Edward, riprenditi!, mi rimproverai.

«Intendi restare lì impalato o entri?», mi domandò con voce roca.

Entrai e chiusi la porta appoggiandomi poi contro essa in cerca di un sostegno. Non ero preparato a vederla mezza svestita. Alcune parti di te sono molto pronte, mi disse una vocina maligna nella mia mente. Distolsi lo sguardo dal suo corpo e fissai il suo viso confuso.

«Non rispondevi ai miei messaggi».

Si girò e prese il telefono. «Scusa, appena sono salita in camera sono crollata. Prima di cena non sono riuscita a riposare». Chissà per quale motivo, mi chiesi.

«Non hai visto neanche il mio messaggio mentre eri al bar?». Incrocia le braccia sul petto e aspettai una sua giustificazione.

«Sì, mi sono scordata di risponderti perché... Aspetta, come facevi a sapere che ero al bar?», mi domandò sospettosa.

Mi grattai la nuca e lasciai vagare lo sguardo per la stanza. «Forse ti ho visto...», lasciai la frase in sospeso.

«Quindi?». Mi mossi a disagio sotto il suo sguardo indagatore.

«Nulla, ho notato che eri in compagnia e non volevo disturbarti».

«Ti dico io come sono andate le cose: ti sei addormentato, sei sceso in ritardo scrivendomi che arrivavi, non ti ho risposto e dopo avermi visto con Jake hai tratto le tue conclusioni!», mi accusò inferocita.

«A dire il vero non sono saltato a nessuna conclusione!».

«Ma davvero?!».

«Sì, Bella!». Iniziavo ad alterarmi a causa del suo tono accusatorio.

«Dunque come mai sei qui? Per controllarmi?».

Spalancai la bocca e mi avvicinai a lei trovandomi di fronte al suo corpo tentatore. Abbassai il viso per trovarmi alla sua altezza e dissi scandendo bene le parole: «Sono qui perché da cretino iniziavo a preoccuparmi! Non rispondevi al telefono e non è da te! Se avessi voluto controllarti sarei salito molto prima!».

«Giusto, come mai non lo hai fatto?». Il suo tono scocciato mi insinuò qualche dubbio. Sembrava nervosa per qualcosa.

«Sono andato in un locale con gli altri».

«Fammi indovinare: il Black or White», disse in tono di scherno.

«Sì, siamo andati lì». Tutta questa tensione tra noi mi tormentava.

«Tipico di Emmett! Le cameriere erano di tuo gradimento?».

Mi infuriai e l'afferrai per le braccia costringendola a guardarmi. «Cosa ti prende, Bella? Me lo vuoi dire o devo provare a indovinare? C'entra forse quell'uomo del bar?».

Si liberò dalla mia stretta e si sedette sul bordo del letto.

«No... Sì, in parte, ma non è lui il problema», ammise prendendosi la testa tra le mani. Mi inginocchiai ai suoi piedi e afferrai le sue mani staccandole dai suoi capelli.

«È forse qualcuno con cui eri legata? Un tuo ex?», chiesi preoccupato. Non mi sarei di certo arreso davanti ad un piccolo ostacolo. Ormai lei era mia, nessuno poteva portarmela via.

Fece una risatina di scherno. «No, Jake è un amico! Appena ha saputo che ero in città mi ha raggiunto in hotel e ci siamo presi qualcosa al bar. Lavora come giornalista ed era in zona per un nuovo articolo». La mia gelosia era insensata verso un suo vecchio amico, eppure lo ero comunque e inconsciamente lo avvertii come una minaccia.

«Quindi qual è il problema, Bella?». Ero confuso, molto confuso dal suo atteggiamento, dalle sue vesti... da tutto!

«Sto male, Edward!», sbottò alzando le braccia e facendole ricadere rumorosamente lungo i fianchi.

Sgranai gli occhi e l'afferrai per le braccia facendola sedere su una poltrona vicino alla porta. Presi il suo viso tra le mie mani e le feci incatenare il suo sguardo al mio, scrutando ansioso ogni più piccolo segno di malessere.

«Cos'hai? Hai male da qualche parte? Hai bisogno di un medico... Forse a causa dell'ora tarda sarebbe meglio l'ospedale e...», iniziai non sapendo come smettere di farneticare.

«Edward?», mi richiamò Bella, appoggiando le sue mani morbide sui miei polsi. «Calmati, okay? Non è niente di grave, è solo quel periodo del mese in cui detesto essere una donna», mi spiegò calma. Tirai un sospiro di sollievo e la tirai verso di me, abbracciandola.

«Va bene, mi ero solo un attimo agitato, ma ora è tutto a posto. Comunque ti serve qualcosa? Qualche medicina...?».

«No, no, ho tutto ciò che mi serve», mi rispose sussurrando contro il mio collo.

Mi alzai in piedi con lei tra le mie braccia e accarezzai le sue gote rosate.

«Quindi non mi hai risposto, perché...», ripresi.

«Mi sono addormentata», ribadì.

«E lui non è...».

«Nessuno di importante quanto te».

«Bene!», sorrisi apertamente da quando ero entrato in quella camera.

«Tu, invece? Nessuna cameriera all'orizzonte?», mi domandò ansiosa.

«Quali cameriere? Erano davvero presenti?». Le schiacciai l'occhiolino per la bugia velata appena detta.

Mi sorrise più sollevata e si alzò sulle punte per baciarmi. La presi in braccio, tenendola per il sedere e incollai le labbra alle sue. Il fuoco divampò tra noi e le morsicai il labbro, infilando la mia lingua tra la fessura delle sue labbra morbide. Intrecciò le caviglie intorno al mio bacino e feci scontrare la sua schiena con il muro.

Le sue mani raggiunsero i miei capelli e quando mi abbassai a baciarle il collo li tirò leggermente sussurrando il mio nome. Era così sensuale con la testa appoggiata al muro e le labbra socchiuse, mentre accettava tutto ciò che le stavo donando.

Baciai ogni angolo della sua pelle scoperta fino al bordo del reggiseno e poi tornai sulle sue labbra non volendo forzarle la mano.

«Voglio stare con te, stanotte. Addormentarmi con te tra le mie braccia e svegliarmi guardando il tuo viso illuminato dalla luce fioca del mattino», le sussurrai ansante tra un bacio e l'altro.

«Non ho questo gran fascino appena sveglia», scherzò per alleggerire la situazione.

«Tu sei sempre stupenda, ma lascia che sia io a giudicare», le dissi suadente cercando di persuaderla con i baci. Le morsicai il collo e rise attirando il mio viso verso il suo. Mi bloccò a due centimetri dalle sue labbra e sussurrò un «sì» che seppi interpretai.

La portai di peso sul letto, la feci sdraiare e mi stesi su di lei.

«Non pensare che mi sia scordato di parlare di quel Jake in modo più approfondito», dissi imbronciato.

Rise di cuore e mi incantai a osservarla. «Sei geloso», mi accusò.

Aggrottai la fronte e tenendomi in bilico su di lei le risposi sbuffando: «Non è che sono geloso... è più un fastidio, ecco», cercai di rigirarmi il discorso a mio favore. Non ero mai stato un tipo geloso in vita mia, esserlo di Bella era una novità e non sapevo come gestirmi.

«È la stessa cosa, sai?», mi disse mordendosi il labbro inferiore. Mi abbassai velocemente facendo combaciare i nostri corpi alla perfezione e presi quel labbro tra i miei denti.

«Forse», sussurrai. «Ma ora ho ben altro a cui pensare».

«Posso solo immaginare», mi provocò.

Percorsi la sua gamba destra e arrivato al ginocchio gliela piegai sui miei fianchi.

«Desideralo, puoi», bisbiglia sulle sue labbra.

 

Buonasera! Sono davvero una persona orribile ç.ç Non aggiorno questa storia da... bah, non lo ricordo neanche più, quindi non so neanche se voi stessi vi ricorderete della sua presenza .-.

Il mio problema ad aggiornare nasce dal fatto che non capisco più la direzione di questa storia (sì, io che sono l'autrice, quindi pensate un po' quanto sono messa male xD); mi sembra insensata, stupida... non so neanche come definirla ç.ç Ma ho intenzione di finirla, perché non voglio lasciarla incompleta, anche per quelle pochissime anime che vorranno ancora seguirmi, quindi sì, la finirò e visto che manca davvero poco (massimo tre capitoli) cercherò di fare in fretta. Il prossimo capitolo è per metà concluso da tempo, esattamente come questo che sto postando (ora penserete che sono ancora più orribile xD), quindi questa volta cascasse il mondo terminerò entro breve di postare.

Questo capitolo è abbastanza tranquillo, la quiete prima della tempesta ahah

Vi lascio un piccolo spoiler del prossimo:

 

Ciò che invece mi trasmetteva Edward era tutt'altro che sicuro, poteva sparire in ogni momento, crescere, diminuire, non era qualcosa su cui potevo contare senza pensarci. Il suo amore me lo dovevo guadagnare, una parola orribile da usare in un contesto simile, ma rendeva l'idea di quanto fosse difficile mantenere un rapporto saldo. L'amore che derivava da un rapporto intimo era una scarica di adrenalina continua, fatta di incertezze, paure e sorprese continue. Bisognava scendere a compromessi quando necessario, relegare il proprio orgoglio in una parte introvabile di noi stessi perché con esso, in amore, non si andava da nessuna parte.

[…]

«Non sarà così. Prima distruggeranno ciò che c'è tra noi davanti al mondo intero e poi ci lasceranno stare!».

«Di cosa hai paura, Bella?».

 

Ringrazio davvero tanto le persone che mi hanno ancora nelle liste, siete davvero dei tesori, e chi ha recensito lo scorso capitolo <3 Il gruppo della mia storia:https://www.facebook.com/groups/283276051777367/ sarò felice di avervi anche qui =)

Kiss :*

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