Manie di collezione

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***


MANIE DI COLLEZIONE

1° Capitolo

“Esprimi un desiderio”.

La giovane Margareth guardò leggermente di sbieco l’affascinante Emy, la ragazza con i capelli castani sempre acconciati all’ultima moda e con gli abiti più chic del momento, che in quell’occasione le stava con un piede sopra la schiena.

Margareth fino ad allora non aveva saputo che gusto avesse il pavimento della scuola. Ora lo conosceva fin troppo bene, dopo che una delle compagne di Emy le aveva afferrato la bocca e l’aveva costretta a baciare il suolo.

Adesso che era libera di muovere la testa, rispose: “Non ho desideri da esprimere”.

“Ma dai, è una cosa divertentissima. Forse hai bisogno di un ulteriore incentivo”.

Emy schioccò le dita e un’altra della sua banda, in tutto formata da cinque ragazze, prese una gomma da masticare, se la infilò in bocca assaporandola con gusto per poi sputarla proprio davanti a Margareth.

Infine la schiacciò col tacco dello stivaletto, appiattendola sul pavimento.

“Da brava, pulisci” la esortò Emy.

Margareth tentò di prendere il suo fazzoletto, ma due della banda la bloccarono pigiando con forza i loro piedi sopra i polsi della ragazza stesa a terra.

La capobanda scosse la testa. “Pulisci con la lingua. La saliva è anche un buon disinfettante, non lo sai?”

Margareth fece cenno di no, allora le altre tre ragazze la costrinsero ad aprire la bocca, la presero per dietro il collo e la spinsero faccia in giù sulla gomma da masticare.

“Bastarde! Lasciatela stare!!”

Emy fece appena in tempo a girarsi nella direzione da cui proveniva quell’urlo, giusto per vedere una suola di scarpa piombare sulla sua faccia.

Il colpo la scaraventò via, le altre del gruppo si lanciarono verso la nuova venuta, una bella ragazza dal fisico atletico e i capelli neri, che le respinse tutte con una serie di calci circolari e all’addome.

Le teppiste finirono a terra, lamentandosi del dolore, mentre la lottatrice con un rapido gesto fece rialzare Margareth prendendola per un braccio.

Si premurò che stesse bene, poi con occhi di fuoco si rivolse verso Emy.

“Emy Furens! Per l’ultima volta! Lascia stare Margareth O’Dowell! O la prossima volta ti faccio volare tutti i denti! Me ne frego di chi è tuo padre!”

La Furens si rialzò, toccandosi il labbro inferiore, che sanguinava. Sorrise. “Louise Michelle Christian, inutile dirti che la pagherai cara per questo” disse con calma, per poi fare cenno alle sue doloranti servitrici di seguirla, ordine che fu eseguito, anche se con difficoltà.

Rimaste sole, Louise prese un fazzoletto e cominciò a pulire il volto della sua amica.

“Spero che non ti abbiano fatto male”.

“No, grazie dell’aiuto” rispose Margareth sistemandosi i suoi biondi e corti capelli. “Però temo che stavolta tu abbia esagerato”.

Louise sbuffò. “Potevo forse starmene con le mani in mano? Ti rendi conto di cosa ti stavano facendo? E poi, scusa, tu avresti ceduto?”

“No”.

“Ecco, lo vedi? E più si resiste, più quelle bastarde ci danno dentro. Quella maledetta Emy è fissata! Essendo suo padre il maggior industriale della zona, uno che tiene al guinzaglio anche il preside di questo dannato liceo, Emy si sente intoccabile e vuole affermare la sua forza su tutte le nuove venute, maltrattandole fino a quando non esprimono il suo desiderio: che le chiedano pietà. Tu finora sei la seconda che ha resistito di più”.

“E la prima chi era?”

“Mary Lauren. Due anni fa. Arrivarono al punto di incendiarle i capelli. E anche se glieli spensero subito dopo con una secchiata d’acqua, a causa di quelle ferite dovette farsi un mese di ospedale. Poi non è tornata più perché i genitori l’hanno fatta trasferire altrove”.

“Mio Dio! E non ci sono state denunce?”

“No, perché Emy è anche furba come una iena. Quando fa cose del genere è molto brava a non lasciare tracce. La polizia dovette archiviare il caso come aggressione notturna da parte di ignoto. Ma a scuola tutti sapevano che era stata lei. E sono stati zitti, perché paparino Furens ha tanti di quelli agganci, con il sindaco, i commercianti, gli avvocati, con chi vuoi, che basta una sua parola per rovinare chiunque abiti qui. O per favorirlo. Sai che quelle cinque che lo accompagnano non sono amiche? Sono invece vere e proprie mercenarie, pagate da lei e incoraggiate dai genitori, che sperano così di entrare nelle grazie di babbo Furens”.

Margareth sospirò. “Come vorrei andarmene. Ma devo restare in questa città per aiutare mia zia. E mio padre, a Londra, non può permettersi una seconda bocca da sfamare”.

“Lo so, lo so bene. Ora torna in classe, ti vengo a prendere all’uscita”.

“Non ho bisogno di guardie del corpo”.

Louise le picchiettò sulla testa. “Sei la più stupida persona coraggiosa che conosco”.


Terminate le lezioni, Louise accompagnò Margareth fino a casa, passando per le vie di quella piccola e anonima città di campagna inglese, uguale a tante altre e nella quale erano nate e cresciute, conoscendosi e stimandosi fin da piccole.

Il cielo era plumbeo, l’aria né troppo fredda né troppo calda.

Diversi camion blu passarono affianco a loro.

Louise li notò. “Strano, mai visti quel tipo di camion da queste parti”.

Camminando ancora arrivarono vicino a un’edicola. “Oh, scusa” disse Margareth entrando con passo svelto nel negozio per uscirne un minuto dopo. Al petto stringeva qualcosa.

“E’ arrivato! E’ arrivato!” esclamò gioiosa.

“Oh no” fece l’altra “ancora quello stupido fumetto giapponese?!”

“Non è stupido. Magister Negi Magi è un manga splendido: unisce azione, commedia, tensione e romanticismo. E’ pure meglio di Love Hina, dello stesso autore, che pur essendo un ottimo manga aveva però una storia troppo semplice, scontata. Invece Negi, o Negima che dir si voglia, è…”

Louise mise le mani avanti. “Ti prego, risparmiami le nozioni mangofile o come si dice. Quando vedo la tua stanza… è talmente piena di gadget, poster e albi di questo Negima… da farmi venire la nausea! Se a questo ci aggiungi tutte le tue manie per i film di fantascienza, ne esce fuori un bel ritrattino”.

“Come fa a non piacerti un manga? Non apprezzi anche tu la cultura giapponese?”

“Solo le arti marziali, che mi ha insegnato mio padre”.

“Sei forte e buona, ma anche così ristretta di mente” replicò Margareth.

“Che cosa?! Brutta… vieni qui!”

Correndo e scherzando, arrivarono fino alla casa di Margareth, un’abitazione dal tetto spiovente con solo il piano terra.


“Zia, sono tornata” annunciò Margareth.

Entrò nella cucina, trovandola deserta. “Strano, di solito è qui che prepara il pranzo”.

“Eccomi, tesoro”.

Dal soggiorno arrivò una vecchina, col bastone e dal passo lento, il volto pieno di rughe con però al centro due occhi assai energici.

“A cosa devo questo cambiamento di abitudine?” chiese la nipote sorridendo.

Il sorriso si spense quando vide che la zia aveva in mano una piccola siringa, e la manica destra del suo maglione azzurrino alzata fino al gomito.

“Zia Anna, quella è la tua siringa d’insulina. Perché…”

Un’espressione di orrore si disegnò sul volto di Margareth: la siringa era ancora piena.

“Dovevi fartela mezz’ora fa! Dov’è quell’idiota d’infermiera? Susan! Susan, dove sei?”

“Non è venuta” rispose la zia.

Prontamente Margareth prese la siringa e fece l’iniezione. “Ma quella… quella strega! Stronza! Vuole farti morire?!”

La zia si strinse nelle spalle. “Chissà come, ha saputo che non avevo i soldi per pagarla oggi e non è venuta. Così mi ha detto al telefono”.

“Stronza! I soldi li manderà papà domani, da Londra. Cosa le costava aspettare un giorno in più! Comunque, tu stai bene? Ti gira la testa?”

“Sto bene, nipotina, sto bene”.

“Ma perché non mi hai chiamato mentre ero a scuola?”

La zia si mise, o almeno tentò, di mettersi dritta. “Per farti venire un colpo e perdere un giorno di scuola? Oh no, signorina, tuo padre compie molti sacrifici per farti studiare. Il tuo futuro è più importante di una vecchietta di ottantuno anni come me. Ho cercato di farmi l’iniezione da sola, come ho fatto per tanti anni, e ci sarei riuscita se avessi trovato i miei occhiali. Li avevo lasciati in cucina e non so proprio dove siano finiti”.

“Zia, sei stata troppo avventata. Cosa sarebbe successo se…”

Margareth scosse la testa. “Lasciamo perdere. Pensiamo al pranzo”.


Dopo il pasto, zia Anna si dedicò alla sua pennichella pomeridiana, mentre Margareth si tuffò sul suo letto per leggere l’ultimo numero di Magister Negi Magi.

I suoi manga, soprattutto Negima, e i suoi film erano un’ottima distrazione: poter volare con la fantasia in un mondo dove il bene vinceva sempre, pieno di creature fantastiche e di vere amiche.

Non che Louise non fosse una vera amica, anzi, ma era l’eccezione che confermava la regola: la regola cioè che le altre ragazze la evitavano come la peste perché non si era ancora piegata all’odiosa Emy. E quindi temevano vendette trasversali. Anche i ragazzi la evitavano, per questa ragione Margareth non aveva un fidanzato, nonostante fosse bella e simpatica.

Louise se ne fregava di questo, con i suoi diciotto anni era più grande di Margareth ed Emy, ed era in quella scuola da prima che arrivasse quest’ultima, che perciò si ritrovava nella posizione di novellina.

Però dopo che Louise avrebbe cominciato l’università, andandosene dalla città, cosa sarebbe successo?

“Meglio non pensarci per ora. In fondo manca ancora un anno” concluse riemergendosi nella lettura, e ridendo all’idea che Negi usasse uno dei suoi starnuti svestenti su Emy e le sue serve.


Il giorno dopo erano per fortuna arrivati i soldi da Londra, permettendo così di richiamare Susan l’infermiera.

Assicurata assistenza alla zia, Margaret andò a scuola stando tranquilla, come pure trascorse tranquillamente il resto della mattinata.

La botta, terribile, arrivò all’intervallo: quando Emy si presentò nella classe di Margaret, tutti ammutolirono e si scansarono, mentre la Frena si dirigeva come un predatore verso la preda, seduta al suo banco.

“Emy” la salutò freddamente Margaret.

“Mia cara, vorrei che leggessi questo” le disse l’altra porgendole un foglietto.

Margaret lesse, e rimase pietrificata.

“Esatto!” riprese Emy “la cara Louise è costretta a fare armi e bagagli. Entro due giorni sarà sparita da qui con tutta la sua famiglia. Mi sa che resteremo solo noi due. Eh, questi trasferimenti per motivi di lavoro sono così imprevedibili. Fammi un favore e vai a dirglielo. Dimenticavo, restituisci questi a tua zia”.

L’altra mise sul banco un paio di occhiali. E Margareth impallidì quando riconobbe gli occhiali della zia.

Quel pallore fu più che sufficiente per Emy, che se ne andò con un sorriso soddisfatto.


“Mi dispiace, mi dispiace veramente”.

Louise sembrò il senso di colpa personificato, quando, dopo le lezioni, l’amica le raccontò cosa era successo.

“L’avevo detto che ieri avevi probabilmente esagerato” costatò Margareth, terrea in volto.

“Sai perché l’ho fatto. C’è solo un modo per trattare con quelle come Emy: abbatterle. Altrimenti non c’è uscita. Se non ti pieghi, ti rendono la vita un inferno. Se ti pieghi, è un inferno comunque, solo che cuoci più lentamente. Ma sempre inferno è.”

“Credi che non lo sappia? E comunque sono io che dovrei scusarmi con te”.

“E perché?”

“La tua famiglia è costretta a trasferirsi. Secondo te nella vostra nuova sede starete meglio o peggio? Il padre di Emy avrà già dato le sue raccomandazioni. Quindi sono io a dovermi dispiacere per te. Con quella stronza… “

Margareth cadde in ginocchio.

“Mia zia… ha messo in pericolo mia zia… ti rendi conto?! Dopo la mamma… non voglio perdere anche lei! E ora, forse trasformerà anche la tua vita in un incubo. Mi dispiace così tanto! Mio Dio, cosa… che cosa devo fare?” esclamò iniziando a singhiozzare.

Louise, con gli occhi lucidi, la abbracciò: “Dannazione! Smettila! Io non mi pento di averti aiutato”.

“Scusatemi, signorine”.

 

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° Capitolo

Margareth e Louise squadrarono il tizio appena presentatosi: era un uomo alto e snello, vestito con giacca, cravatta e impermeabile, il tutto rigorosamente in nero.

“Lei chi è?” domandò guardinga Louise mentre si rialzava insieme all’amica.

“Mi dispiace, disturbarvi. Per caso una di voi è Louise Michelle Christian?”

“Sono io”.

“Ho allora qualcosa per lei” rispose porgendogli un biglietto.

Louise lo prese e lesse, mentre lo sconosciuto continuò: “Sono lieto di comunicarle che è stata invitata alla grande festa in costume che si terrà oggi pomeriggio al vecchio municipio, organizzata dalla Ludulum Edizioni. Forse per lei sarà un disturbo, ma le garantisco che sarà adeguatamente ricompensata”.

Con un amichevole cenno di saluto, l’uomo le lasciò.

Margareth si affiancò all’amica, tentando di leggere il biglietto. “Una festa in costume? Che c’entrino quei camion blu visti ieri? Eh, Louise?”

Non ricevette risposta, la sua amica sembrava imbambolata.

“Yeah!” esclamò a un tratto Louise facendo sobbalzare l’altra. “Che bello! Che bello! Una festa in costume! Sarò Asuna Kagurazaka! Che bello! Il sogno della mia vita! Vado a prepararmi. Ti saluto, cara. Vedrai che andrà tutto bene!”

Louise baciò sulla guancia l’amica e corse via saltellando allegramente.

Margareth rimase senza parole.


Durante il pranzo, Margareth apparve sovrappensiero alla zia Anna.

“Tesoro, non stai mangiando. Non ti senti bene?”

“Oh no, zia. Non è per me. Sto pensando a te… e a Louise”.

“La tua amica così energica? E cosa può avere?”

“Non lo so. Forse niente. E solo che stavamo discutendo di quello che ti ha fatto Emy e…”

Spessissimo nella vita capita di provare il desiderio di mordersi la lingua per aver detto qualcosa di sconveniente. Ecco, ora Margareth stava provando la stessa situazione, però amplificata un centinaio di volte.

La zia scrutò con occhi indagatori la nipote. “Che cosa hai detto?”

“Niente, hai capito male” mormorò la ragazza.

“Signorina” la riprese Anna tentando nuovamente di mettersi dritta “non prendermi per stupida. Chi è questa Emy? E cosa mi avrebbe fatto? O rispondi o rispondi. Non ci sono altre possibilità”.

Margareth sospirò e in maniera sintetica ma esaustiva, raccontò tutto.

“Hai fatto bene. Brava la mia nipotina. E’ così che si comporta un O’Dowell!”

“E questo rende lecito mettere in pericolo la tua vita, zia? O rovinare la vita di Louise? Se si tratta di me, non me ne frega nulla. Se invece le mie azioni possono avere conseguenze sulle altre persone, è diverso”.

“Tu non hai sbagliato nulla!” continuò la zia. “Anzi, forse il tuo unico errore è stato non dirmelo subito. Se mi avvertivi, stavo all’erta e a quella Emy avrei fatto conoscere questo.” Anna agitò in aria il bastone. “Comunque tu hai seguito la tua coscienza, hai difeso la tua dignità. E sicuramente hai reso fiere Louise e la tua povera mamma. Noi O’Dowell siamo fatti in questo modo: forse ci pieghiamo, forse, ma non ci spezziamo mai!”

Margareth scosse la testa. “Non posso prenderla così alla leggera. Non dopo aver visto davvero cosa può fare Emy”.

“Io la mia vita l’ho vissuta. Il mio ultimo desiderio è vedere la mia nipotina felice. Credi, dunque, che mi farebbe piacere saperti schiavizzata da quella bulletta? Lo stesso vale per tuo padre e per Louise”.

“Capisco, comunque non posso fare a meno di pensare a come il mondo sarebbe migliore senza quella dannata Emy Furens. E’ il tipo di persona che se vedi bruciare, resteresti fermo a goderti lo spettacolo” disse la ragazza a denti stretti.

“Margareth!” la richiamò severamente la zia. “I bulli sono pieni di rabbia e rancore, devono sfogarsi sempre su qualcuno. Nonostante le apparenze, sono più da compatire che da odiare. Ricordi la frase del mago, quella della storia che da piccola ti piaceva tanto quando te la leggevo?”

“Oh sì: non essere troppo ansioso di elargire morte e giudizi”.

“Esatto. Non l’hai mai fatto e vuoi cominciare a farlo adesso? Io non sono un oracolo, ma ti posso dire questo: se la lasci fare, non si fermerà mai e sarà sempre peggio. Dammi retta nipotina, continua a resistere, combatti ma senza odio o voglie di vendetta, mostrale cosa sa fare chi è conscio della dignità dell’essere umano, di ogni essere umano. E non preoccuparti per me. Sai, alla tua età avevo un buon gancio destro”.

La zia strizzò l’occhio e Margareth sorrise lievemente.


Nel suo letto, Margareth cercava di distrarsi dedicandosi a Negima.

Ma stavolta nemmeno le spettacolari mosse della scuola Shinmeiryu di Setsuna riuscivano a distrarla completamente.

La discussione con la zia l’aveva abbastanza rincuorata, però ora era il pensiero di Louise a disturbarla: il suo cambiamento, dopo la lettura di quel biglietto, era stato troppo brusco. Da amica in pena a ragazza festaiola alla velocità della luce!

La sua gioia poi era stata suscitata da cosa? Da un invito a vestirsi come Asuna Kagurazaka, un personaggio di Negima, un manga che non l’aveva mai entusiasmata.

Quel tipo aveva pure detto che l’avrebbero pagata: t’invitano a una festa e ti pagano? Succede che ci siano persone che lo svolgono quasi come mestiere, ma conoscendo Louise e unendo il fatto alle altre stranezze…

Inoltre: che cavolo era quella Ludulum edizioni? Lei di case editrici se ne intendeva e quella non l’aveva mai sentita nominare. Anche una ricerca su internet era stata negativa.

“Basta, devo sapere!” concluse Margareth in preda ad una certa curiosità e apprensione.

Indossò il cappotto e uscì di casa, senza accorgersi che qualcuno la pedinava.

“Per colpire come si deve, vale la regola: conosci il tuo nemico” pensò Emy Furens andandole dietro.


Margareth si recò a casa di Louise e il suo bussare fu fermato sul nascere dalle lamentele di mamma Christian, provenienti da una finestra aperta.

“Ma ti rendi conto? Hai ricevuto un ordine di trasferimento dalla tua azienda, abbiamo due giorni per preparare il trasloco e nostra figlia cosa fa? Bofonchia frettolosa che deve andare a una festa in maschera e ci lascia!”

“Martha” le rispose il marito “Te l’ho già detto: il tizio che ha portato quel buffo costume ci ha pagati profumatamente per non ostacolare Louise. Con quei soldi, cosa vuoi che sia preparare un piccolo trasloco in due? Poi, non hai visto com’era allegra? Le farà bene divertirsi in mezzo a tanta gente. Certo sa badare a se stessa”.

“Questo è vero. Non l’avevo mai vista così contenta. Sembrava quasi un’altra persona”.

A quelle parole, Margareth rabbrividì e corse verso il vecchio municipio, dove sapeva si sarebbe svolta la misteriosa festa.

Ci vollero pochi minuti per arrivare davanti all’edificio, a tre piani e con le finestre chiuse.

Mentre lei arrivava, giunsero alcune persone in costume, che entrarono dall’ingresso principale.

Erano tutti ragazzi e ragazze della sua scuola, e riconobbe personaggi di School Rumble, Evangelion, Lamù e Code Geass.

“Strano” borbottò avvicinandosi con cautela all’ingresso, un portone.

Provò ad aprirlo, senza riuscirci. Sembrava chiuso a chiave.

“Diamine. Eppure quelli l’hanno aperto. Che abbiano chiuso da dentro con la chiave?”

Sentì il rumore di una macchina che si avvicinavano e l’istinto le suggerì di correre a nascondersi dietro alcuni cespugli che stavano lì vicino.

Era un pulmino, di quelli a pagamento, dal quale scesero sette persone: e grazie ai costumi, Margareth capì che erano personaggi di Final Fantasy, One Piece e Sailor Moon.

Pagato l’autista, anche loro entrarono, solo girando la maniglia.

Rimasta sola, Margareth ritentò, senza risultato.

“Al diavolo, proverò da una finestra”.

Grazie ad una scala antincendio raggiunse il secondo piano, mettendo la mano in una tasca del cappotto sferrò un pugno contro un punto della finestra vicino alla maniglia, che poté così girare, e s’intrufolò.

I corridoi e le stanze erano vuoti, coperti di polvere e con qualche scartoffia che giaceva per terra.

Se non ricordava male, al pianterreno c’era una sala per i congressi, il luogo ideale per una festa in costume.

Quando la raggiunse e sbirciò da una porta laterale socchiusa, restò alquanto sorpresa: la sala conteneva almeno una settantina di persone in costume, tutti provenienti da manga e anime e fatti veramente bene, tuttavia non era per nulla addobbata per una festa. Non c’erano luci, nastri, palchi, rinfreschi o cose del genere: solo un salone polveroso con persone quasi immobili.

Sembrava all'incirca un museo del cosplayer.

L’inquietudine di Margareth aumentò enormemente, anche perché tra quelle persone riconobbe ragazzi e ragazze che non le risultava avessero la passione per manga, anime o cosplay.

Scrutando gli abiti, la vide: la sua amica Louise, con indosso un costume che riproduceva alla perfezione la divisa scolastica di Asuna Kagurazaka, e le stava molto bene. Portava anche una parrucca che sembrava vera.

Senza perdere tempo, la ragazza corse da Louise.

“Louise, sono qui” le disse avvicinandola.

L’altra la squadrò. “Chi saresti tu?”

“Come chi sono? Sono Margareth, la tua amica. Non mi riconosci?”

“Scusa ma non mi risulta di averti mai visto in vita mia”.

“Ma che dici? Ci conosciamo da anni. Sono io, Margareth”.

“Il nome non mi dice nulla”.

“Ma Louise…”

“E per favore non chiamarmi così. Io sono Asuna, Asuna Kagurazaka”.

Sentendo quel nome, pronunciato con tanta sicurezza e naturalezza, e guardandola negli occhi, Margareth iniziò lentamente a indietreggiare.

Toccò un’altra persona, un ragazzo. Vestito come Lupin III.

“Fai attenzione, cherie. Sto studiando il mio prossimo colpo: ovvero far colpo su di te!” disse sfoderando un sorriso da buffo seduttore e cercando di baciarle la mano.

Margareth però lo sfuggì e andò a sbattere contro una ragazza. Con una strana uniforme da militare.

“Tu, come osi toccare la principessa Cornelia di Britannia? Ti farò frustare! Anzi, ti punirò io stessa!”

Quella Cornelia sfoderò una lunga spada e tentò di colpirla: istintivamente Margareth evitò il colpo buttandosi a terra, e la lama, vera, le tagliò solo parte del cappotto.

Arrivò un’altra ragazza, vestita come Euphemia di Britannia. “Sorella, t’imploro, non fare così. Non l’ha fatto apposta”.

Nonostante quel tono gentile, Margareth riprese a indietreggiare: era tutto così… innaturale! Assurdo!

Quelle persone non stavano fingendo, se lo sentiva, erano davvero convinte di essere quei personaggi immaginari che impersonavano!

Rialzandosi corse verso la porta, desiderosa di chiamare aiuto, ma non appena la ebbe aperta, andò a sbattere contro qualcuno: un uomo, vestito come quello che aveva fornito il misterioso biglietto.

“Intrusa!” esclamò duramente il nuovo arrivato afferrando per il collo la suddetta intrusa e sollevandola dal suolo come se pesasse niente.

La giovane tentò di chiamare aiuto, ma il fiato non le usciva dalla gola.

Provò a tirare calci contro lo sconosciuto, inutilmente: era come colpire un muro.

fu portata fuori dal salone e poi scaraventata sul pavimento del corridoio.

“Lei… lei è pazzo! La denuncerò!” esclamò Margareth.

Tentò di rialzarsi e si accorse che le gambe le tremavano troppo.

L’uomo invece si portò un dito sulla fronte, per poi cominciare a parlare una specie di lingua, che Margareth non aveva mai sentito.

“Che… che diamine sta dicendo?!”

L’uomo dava l’impressione di stare ascoltando qualcosa, e quando ebbe finito, puntò una mano contro la ragazza.

“Eliminazione in corso” disse mentre la mano iniziava a scintillare di una strana energia azzurra.

Margareth era sconvolta: “Non mi piace! Non mi piace! Forza gambe muovetevi! Muovetevi!”

Uno strano ronzio si diffuse nell’aria e un attimo dopo l’uomo con l’impermeabile rimase immobile e inerte, la mano tornata normale.

“Che… che è successo?”

“L’ho disattivato” disse qualcuno dietro di lei.

Spaventata, la ragazza si alzò e si ritrovò davanti un ragazzino di dieci anni o poco più, con indosso una tuta da ginnastica non proprio della sua taglia.

“Ma tu… tu sei… Negi Springfield?!”

Il ragazzino la guardò in modo strano.

Era accompagnato da una ragazza dalla pelle bianca e con lunghi capelli neri, liscissimi, vestita di bianco. Anzi, più che accompagnarlo, sembrava quasi che lo osservasse soltanto.

Il suo salvatore si grattò sulla fronte: “Ah, ho capito chi è questo Negi. No, non sono lui. Io sono il Dottore”.

 

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° Capitolo

“Il… il Dottore?” domandò perplessa Margareth.

Il ragazzino annuì e la aiutò a rialzarsi, poi cominciò a esaminare l’uomo con l’impermeabile nero, rimasto imbambolato.

Margareth cercò di fare chiarezza.“Scusa, hai detto che ti chiami… il dottore? Non c’è pure un nome?”

“E’ quello. Io sono il Dottore” ripeté l’altro.

La ragazza lo contemplò a lungo: sembrava davvero Negi Springfield. Cioè, Negi era un personaggio di fantasia, disegnato, nessuno poteva sapere quale sarebbe stato il suo aspetto fisico se fosse stato una persona reale.

Però quel misterioso Dottore, per lei, aveva proprio la faccia che avrebbe avuto Negi in quel caso.

Un po’ come il bravo e sfortunato Christopher Reeve, che sembrava nato per interpretare Superman.

“Rinuncio a capire” mormorò la ragazza chinando il capo. “Anzi no! Dottore o ragioniere, spiegami una buona volta cosa sta succedendo!”

Il Dottore sembrò ignorarla, poi le chiese: “Hai un orologio? Se ce l’hai, sei un mito. Se è digitale, sei la mia dea”.

“Certo che ce l’ho. Ed è digitale”.

Il ragazzino si mise in ginocchio: “Ti adoro mia divinità!”

“Ehm… grazie” rispose lei imbarazzata e porgendogli l’orologio.

Solo quando glielo prese pensò che forse non avrebbe dovuto darlo così facilmente a un perfetto sconosciuto. Evidentemente in quel momento non connetteva completamente.

Il Dottore prese anche l’orologio dell’uomo imbambolato, lo esaminò accuratamente, lo rimise a posto e prese ad armeggiare intorno a quello di Margareth tirando fuori uno strano aggeggio, piccolo, lungo e con una luce azzurra all’estremità. Emetteva anche uno strano ronzio, lo stesso udito poco prima.

“Che stai… che stai facendo?” chiese incuriosita la proprietaria dell’orologio.

“Modifico il tuo bell’orologio per trasformarlo in un tele-trasportatore, come quello del nostro amico. Non posso usare il suo, è personalizzato e fatto con una tecnologia assai difficile da manomettere, anche per me e il mio cacciavite sonico. Ci vorrebbe troppo tempo e ogni minuto è prezioso. Ma rendere simile a esso un congegno già esistente è uno scherzo. Et voilà!”

Il Dottore esibì l’orologio come se fosse un trofeo.

“Non mi sembra cambiato molto” commentò Margareth. “Comunque non hai risposto alla mia domanda: che diavolo succede? E cosa hai fatto a quest’uomo?”

“Non è un uomo. Col poco tempo a disposizione per salvarti, l’ho bloccato per un po’ e ho alterato la sua memoria, così crederà di averti uccisa. Ma adesso non c’è spazio per le spiegazioni lunghe. Esci da questo edificio e chiama questo numero” disse porgendogli un foglietto. “In realtà non farebbero in tempo, ma così vogliono le regole. Sai com’è”.

La giovane prese il foglietto, sopra il numero c’era il nome ‘Istituto Torchwood’.

Il Dottore iniziò a premere dei pulsanti sull’orologio modificato.

La figura del ragazzino cominciò a ondeggiare, sotto lo sguardo allibito di Margareth.

Pur non avendo capito cosa stava succedendo, era per lei l’occasione perfetta per abbandonare una situazione più pericolosa di quanto potesse aspettarsi.

Ma quando pensò a Louise e alle altre persone lì dentro, una sola soluzione le parve giusta.

“Dove credi di andare?” esclamò buttandosi sul Dottore pochi attimi prima che sparisse.

L’uomo con l’impermeabile riprese a muoversi, si guardò intorno e infine riprese il suo ruolo di sorvegliante.


L’aria sembrò qualcosa di solido che ondeggiava, poi con un piccolo lampo tutto tornò a posto.

Margareth si stropicciò gli occhi. “Cavolo, che viaggio! Un momento… viaggio?! Ma dove diavolo…”

Si guardò intorno freneticamente: era ancora in un corridoio, ma completamente diverso, avvolto in una live luminosità, dalle pareti scure e piene di strani disegni, luci e lucette.

“C-cos’è questo?! Sembra uno di quei corridoi alieni e ultratecnologici delle astronavi alla Star Wars o alla Star Trek!”

Anzi, lo trovò più simile ai corridoi claustrofobici e sporchi dell’astronave Nostromo di Alien.

Come se non bastasse, lei era sola: dov’era finito Negi, cioè, quel Dottore?

“Sono qui, zuccona” annunciò il ragazzino arrivando da dietro un angolo e asciugandosi la fronte madida di sudore.

“Dove siamo finiti?”

“Dove hai detto prima: nel corridoio ultratecnologico di una nave aliena”.

“Aliena? Quindi siamo… nello…”

Il Dottore annuì. “Ah-ah. Esatto, siamo nello spazio, in orbita intorno alla Terra, a bordo di una nave grossa più o meno quanto l’Asia e l’Africa messe insieme, con un pizzico grande quanto l’Australia. Tale nave è nascosta da un dispositivo di occultamento agli strumenti terrestri”.

“Mio Dio…” mormorò Margareth cadendo in ginocchio.

“Vedi che ti sei accorta dell’errore, eh?”

“No!” gridò lei rimettendosi in piedi con uno scatto. “Sono qui per aiutare la mia amica. Non m’importa cosa succederà a me!”

“Complimenti per la reazione. In effetti, penso che il tuo errore sia stato provvidenziale. Andiamo, non abbiamo molto tempo” dichiarò il Dottore tirando fuori qualcosa di simile a un piccolo telecomando, che emetteva un bip.

Margareth non poté fare altro che seguirlo. “Ehi, ora che ci penso. Non c’era un’altra ragazza con te?”

Erano solo loro due, e inoltre il ricordo di quella ragazza sembrava farsi sempre più vago a ogni secondo che passava.

“Non preoccuparti per lei. Anzi, se non ci pensi, è meglio”.

Si addentrarono sempre di più nei corridoi, immensi e deserti, seguendo il bip di quell’aggeggio.

“Siamo fortunati. Siccome Tivan sta per realizzare il suo scopo, tutto il suo equipaggio è con lui o sulla Terra. Altrimenti non potremmo mai muoverci così indisturbati sulla sua nave” dichiarò il Dottore, concentratissimo sul bip.

“Parli come se sapessi tutto l’antefatto” borbottò Margareth.

“Ok”. Il Dottore si fermò e respirò profondamente, chiuse e aprì le mani come a testarne la solidità. “C’era una volta, tanto tempo fa…”

****

La grande biblioteca di Ertrinux era una delle più vaste dell’universo: tutto il sapere di milioni di anni era stato lì accumulato dagli abitanti del pianeta, il cui unico piacere era raccogliere nozioni di ogni tipo e studiarle.

La biblioteca era posta in un palazzo di quattrocento piani al centro della loro capitale, Ulguenxy, fulgida città con centottanta milioni di abitanti, tra i quali c’era anche l’elite culturale di una popolazione che contava in tutto tre miliardi di esseri viventi umanoidi, altamente progredita nelle arti e nella società.

Ertrinux era un mondo tuttavia isolato, posto poco fuori i margini della galassia X-123-8-5 e prima dei confini della galassia successiva. Era insomma situato nella zona di nessuno e di solito non riceveva mai visite.

C’erano comunque delle eccezioni, come indicava il visitatore che in quel momento stava consultando alcuni antichi volumi nella quindicesima sala della 78° sezione del 23° piano.

Arrivò uno dei bibliotecari: “Mi scusi il disturbo, Dottore. Le serve qualcosa?”

Il giovane uomo si massaggiò la schiena. “No, grazie, Woriw. E’ davvero molto utile questo lettore trasparente graduale. Ti permette di leggere pagina dopo pagina senza bisogno di leggere questi volumi antichi e fragilissimi”.

Notò che il giovane bibliotecario, infatti aveva solo centoventiquattro anni secondo il compunto terrestre, aveva in mano qualcosa, una scatola che sembrava un blocco unico di metallo grigio con due buchi su un lato.

“Che cos’è?” domandò all’ertriniano.

“Oh, Dottore” rispose divertito Woriw, la cui voce arrivava da due tubicini posti ai lati della mascella, poiché la sua specie non aveva la bocca. “E’ il moltiplicatore gene-mentale che mi aveva chiesto. Ho dovuto faticare assai per farmelo consegnare. Alla fine hanno ceduto solo quando ho detto che lo voleva lei. Tuttavia tra otto althape dovrà restituirlo”.

“Una settimana mi basta e avanza. Grazie Woriw. Con questo l’essenza mentale del re di Ulked potrà reincarnarsi in un corpo compatibile con essa, perché clone dell’originale”.

“Certo che la sua vita è assai movimentata”.

“Sono solo uno a cui piace viaggiare” rispose l’altro ammiccando con lo sguardo.

“Certo, capisco bene. Spero anch’io di avere una vita come la sua, girare l’universo per motivi di ricerca e di pace”. Woriw avrebbe voluto replicare la strizzata d’occhio ma la sua specie non aveva palpebre, c’era una membrana che copriva gli occhi, però veniva fuori solo durante il sonno.

Improvvisamente quattro uomini entrarono nella sala, avvolti in tuniche nere e il Dottore ebbe uno scatto: quegli esseri erano umanoidi di tipo terrestre, come lui. Ma non avrebbero dovuto essercene su Ertrinux.

“E voi chi siete? Cosa volete?” domandò perplesso Woriw.

Per tutta risposta i quattro uomini puntarono una mano ciascuno contro di lui.

“A terra!” gridò il Dottore saltando sull’amico alieno e facendolo abbassare.

Giusto in tempo, altrimenti sarebbe stato colpito da raffiche energetiche provenienti da quelle mani.

I colpi presero il pavimento, distruggendolo in parte.

“Via! Presto!” ordinò il Dottore a Woriw, che era rimasto impietrito: “No… la nostra cultura… la nostra storia…”

Il Dottore lo trascinò in un’altra stanza e bloccò la porta col suo cacciavite sonico.

“Voi non avete guardie all’interno della biblioteca, vero?”

“N-no, non oseremmo mai rischiare di danneggiare i nostri tesori”.

“Pensiero nobile ma in questo momento per noi svantaggioso. A giudicare dalla raffica energetica quelli devono essere androidi SNMY3u5, da combattimento e anche tutto fare. Hanno una certa autonomia comportamentale ma in sostanza sanno solo eseguire ordini e sono assai sofisticati e costosi. Chi se li può permettere non deve avere problemi di denaro”.

Dal salone arrivò uno strano rumore, come un sibilo che diventava sempre più forte, quasi a voler riempire l’intera, immensa biblioteca, per poi sparire di botto.

Woriw avrebbe voluto precipitarsi nella sala dei volumi, il Dottore cercò di trattenerlo, ma dovette desistere a causa del silenzio totale e dello sguardo supplichevole del suo amico ertriniano.

Sbloccò la porta e apertala, restarono senza fiato: i volumi erano scomparsi, gli scaffali, le teche…. Completamente vuoti!

“Oh, Dio della Materia, noooo!” gridò Woriw cadendo in ginocchio.

Il Dottore si guardò intorno ed ebbe un presentimento: corse a un terminale olografico e aprì il collegamento con gli altri piani della biblioteca; nessuno rispose, c’era solo l’immagine del posto solitamente occupato dai bibliotecari, all’ingresso di ogni sala.

Facile capire cosa fosse successo: al contrario di Woriw, non avevano avuto qualcuno che con prontezza li aveva fatti mettere al riparo.

Sullo sfondo dell’immagine si vedevano gli scaffali, piuttosto lontani, e allora col cacciavite sonico l’uomo modificò il terminale, in modo che l’immagine potesse zoomare su di essi.

Vuoti, del tutto.

“Ma certo, ora ho capito!” esclamò il Dottore schioccando le dita. “Il rumore di prima… era un teletrasporto. Ed era così forte perché centinaia, anzi, migliaia di teletrasporti sono avvenuti in contemporanea nell’intera biblioteca! Questi droidi sono stati mandati qui per evitare interferenze”.

Tornò da Woriw e lo fece rialzare. “Coraggio, amico mio. Ora non bisogna affliggersi, bensì reagire. Cerchiamo di capire chi può essere stato”.

Il bibliotecario tentò di riprendere il controllo. “P-pensò che sia opera di Taneleer Tivan, ora come ora ritengo che sia l’unico ad aver potuto fare una cosa del genere”.

“Chi è?”

“E’ un abitante del pianeta Cygnus X-1, detto anche mondo Marvel”.

“Pensavo che quella specie si fosse estinta quando il loro pianeta fu investito da una pioggia di meteore giganti”.

“Lo pensavamo anche noi. Invece due me-ssi fa si è presentato a noi quell’uomo, usando anche il suo nome d’arte, il Collezionista, e ha chiesto di poter comprare la nostra intera biblioteca. Ci offrì una cifra immensa, di quelle con cui si potrebbe comprare un intero pianeta, ma noi ovviamente rifiutammo, non avremmo mai potuto vendere il cuore della nostra cultura. Lui sembrò accettarlo. Invece aveva cominciato a pianificare questo… questo scempio!!”

Woriw iniziò a piangere.

Prima che il Dottore potesse dire qualcosa per consolarlo, la terra prese a tremare violentemente.

“Ora che succede?”

“Meglio scoprirlo andando fuori, presto!” ordinò il Dottore portando via l’amico e riuscendo a recuperare anche il moltiplicatore, che stava su un tavolo.

“Mica posso aggiungere a una catastrofe un’altra catastrofe. Evidentemente i droidi del Collezionista l’hanno lasciato qui perché il loro padrone ne ha già uno” pensò.

Raggiunsero un ascensore, e col cacciavite il Dottore lo potenziò in modo che li conducesse fuori in tre secondi anziché quattro minuti.

Arrivarono su un terrazzo, dove c’era una vecchia cabina del telefono, blu.

All’esterno l’intera città, con i suoi maestosi edifici, tremava all’impazzata, i muri si crepavano orrendamente e già c’erano i primi, fragorosi, crolli. Sembrava che l’intero pianeta stesse tremando.

“Ma cosa può aver provocato tutto questo?!” esclamò sgomento il Dottore.

“Non significherà mica che… oh no! No!” urlò disperato Woriw. “Quel criminale… ha rubato l’estrattore di flusso!!!”

“N-non ci posso credere. Togliendo quello, ha destabilizzato il nucleo del pianeta! Fino a questo punto è arrivato!” disse il Dottore inorridendo.

Ormai non solo i palazzi, la terra stessa aveva iniziato a spaccarsi quasi dappertutto, e fontane di magma eruttavano da quelle vaste ferite del terreno.

“Presto, sul Tardis!” disse il Dottore afferrando per un braccio Woriw, che era rimasto come ipnotizzato da quella catastrofe planetaria.

Stavolta non riuscì a muoverlo.

“Woriw…”

L’ertriniano lo guardò in faccia. “Dottore, mi raccomando, faccia giustizia, impedisca che altri mondi subiscano questo fato”.

“Lo faremo insieme!”

“Mi dispiace, ma io muoio con la mia gente”.

Detto questo, Woriw si buttò nel vuoto incandescente sotto di lui.

Fu l’istinto di sopravvivenza che spinse il Dottore a salire sul Tardis e a farlo decollare: giusto pochi secondi prima che la terrazza crollasse. E pochi minuti prima che Ertrinux fosse cancellato dall’universo dall’esplosione del suo stesso nucleo.

****

Margareth era rimasta senza parole. Non capitava tutti i giorni di ascoltare il racconto di un’apocalisse aliena. Con la consapevolezza, visti gli ultimi eventi, che era tutto vero. Anche il ragazzino, il Dottore, si era fatto tremendamente serio.

“Sicuramente” continuò “prima di distruggere il pianeta, il Collezionista doveva già aver provveduto a raccogliere esemplari di ogni ertriniano, suddivisi per sesso, età, intelligenza, impieghi e categorie sociali. Così come aveva prelevato campioni di flora, fauna, roccia, arte e tecnologia. M’informai a lungo su altri pianeti: il Collezionista è ossessionato dal collezionare le cose, se non avesse ovvi problemi di spazio, sarebbe capace di collezionare persino i pianeti e le stelle”.

“Ma…” Margareth deglutì “Ma cosa sarebbe questo estrattore di flusso? Perché questo folle Collezionista è qui? E cosa c’entrano Louise e gli altri?”

“Be, gli estrattori di flusso sono di vari tipi, ionizzati e non, e sono stati installati su vari pianeti da una specie antichissima e ormai estinta allo scopo di raccogliere energia dai loro nuclei interni. E se la memoria non m’inganna, temo che il Collezionista voglia…”

Il Dottore fece cenno di aspettare, poi spinse la sua compagna in una fessura abbastanza profonda tra due colonne e vi entrò anche lui: due droidi arrivarono dalla parte opposta ed entrarono in una stanza lì vicino.

Il Dottore e Margareth uscirono e sbirciarono dalla porta rimasta aperta. Evidentemente non tutte le porte ultratecnologiche dovevano per forza essere a chiusura automatica.

I due droidi stavano parlando davanti ad una specie di tastiera posta su una pedana sopraelevata, il loro linguaggio era del tutto incomprensibile per la ragazza, ma il Dottore, sussurrandole nell’orecchio, fece da interprete.

“I soggetti della categoria cosplayer sono stati tutti radunati nel punto di raccolta. Conversione della personalità secondo schemi delle fonti originali cartacee e animate, completata”.

“ Avvio teletrasporto. Arrivo previsto a hangar d’ibernazione numero duemilatrecento.”

“Preparare successivo trasferimento al museo delle culture indigene”.

“Controllare altre operazioni di raccolta di esemplari dal pianeta”.

“A operazioni concluse, prepararsi al trasferimento dell’estrattore ionizzato di flusso dal pianeta alla nave”.


Sentito abbastanza, il Dottore bisbigliò: “Lo sapevo che mi ricordavo bene. Del resto c’ero quando installarono quell’estrattore” e poi disse a Margareth di tornare al riparo, però la ragazza era diventata pallida come un cadavere e quindi dovette farla muovere lui.

“Un museo” disse con un filo di voce. “La mia amica, quelle persone… trasformate prima in copie di personaggi immaginari e poi… in oggetti da museo… e hanno intenzione di fare alla Terra… quello che hanno fatto a Ertrinux!!”

 

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° Capitolo

Sul ponte di comando della gigantesca nave aliena, stava il suo comandante, il Collezionista: aveva un aspetto umanoide, sembrava anzi una persona terrestre, molto anziana, con tutti i capelli bianchi e il volto pieno di rughe. Ma la sua fierezza di portamento era pari a quella di un giovane condottiero.

Una volta lo era stato davvero giovane, tanti secoli fa, sul suo pianeta: era un generale che aveva combattuto valorosamente nella guerra delle Triplici Lune, con la quale il suo pianeta fu finalmente unificato. E già allora aveva l’abitudine del collezionismo, poiché raccoglieva le armi e tutti gli oggetti degli avversari.

Quando poi ci fu la catastrofe, decise di espandere grandiosamente la sua abitudine, che ora stava per raccogliere dei nuovi trofei: i suoi droidi erano già stati posti per impadronirsi dei tesori artistici di quel pianeta azzurro, la Terra. Così com’erano già stati prelevati campioni di umanità varia e della natura di quel mondo.

Ora stavano provvedendo a scaricare sulla nave, da vari punti del globo, coloro che, avvantaggiati da particolari somiglianze fisiche/caratteriali, sarebbero stati esempi viventi di due speciali forme di comunicazione artistica dei terrestri.

Fatto questo, restava da prelevare l’estrattore ionizzato di flusso, che unito a quello non ionizzato preso su Ertrinux, avrebbe arricchito ancora di più la sua incalcolabile collezione. La quale aveva anche ricevuto due pezzi pregiati e inaspettati.

Accarezzò il medaglione che portava al collo.

Sì, c’era davvero di che essere soddisfatti.


“Santo cielo! E’ mostruoso! Bisogna fermarli!” esclamò Margareth in preda ad un’ansia crescente.

Il Dottore le mise una mano sulla bocca. “E lo faremo. Per fermare il Collezionista, bisogna bloccare il suo esercito di droidi. Il modello SNMY3u5 è comandato telepaticamente tramite un amuleto, che di solito si porta al collo, e certamente il Collezionista l’ha con sé. Se lo prendiamo, siamo a posto. Andrà tutto bene e non avere paura”.

Margareth annuì. “Va bene, ma lo dica anche a se stesso. La sua mano trema assai”.

“Ah sì?” Il Dottore si guardò le mani aprendole e chiudendole nuovamente, per poi volgere lo sguardo verso qualcuno sul fondo del corridoio.

Anche Margareth guardò e non vide nessuno.

Si rese conto che aveva cominciato a dare del lei al Dottore, ma dopo quanto aveva visto e sentito, non poteva più considerarlo un semplice ragazzino.

“Andiamo a cercare il ponte di comando. Il Collezionista sarà lì!” ordinò quest’ultimo.

La nave era davvero deserta e seguendo il bip, sempre più forte, arrivarono davanti ad una porta più grande delle altre.

“Dunque, vediamo, questa porta automatica, come si apre?” domandò a se stesso il Dottore.

Tirò fuori il suo cacciavite e lo puntò su quello che sembrava il quadro comando, senza che succedesse qualcosa.

“Uffa, fai il difficile, eh? Vediamo che succede se do una mano”.

Con fare esperto scassinò il quadro e iniziò a trafficare con i fili, o almeno quello sembravano, unito all’azione del cacciavite.

“Andiamo, andiamo!” incalzò il Dottore, sempre più madido di sudore.

Finalmente la porta si aprì, e Margareth rimase, nuovamente, senza fiato: davanti a lei si parava uno spazio immenso, pieno di pareti in metallo contenenti a loro volta una sorta di celle, chiuse da una specie di vetro semi-invisibile.

Nelle celle c’erano creature e oggetti di ogni tipo, non di rado impossibili da descrivere per la mente umana della ragazza, che entrò e si guardò intorno, intimidita e stupefatta: sembrava quasi il magazzino che si vedeva alla fine dei Predatori dell’Arca Perduta, con oggetti alieni al posto delle casse di legno; ogni oggetto, chissà quale storia nascondeva.

Scrutando tra quel deposito dell’immaginabile, Margareth vide qualcosa che la fece rabbrividire e vi corse intorno.

“Louise! Louise!” gridò sbattendo i pugni contro il vetro, oltre il quale c’era la sua amica, diventata una sosia perfetta di Asuna Kagurazaka e immobilizzata in una posa plastica, insieme con altre persone tutte sosia dei personaggi di Magister Negi Magi: ecco la capoclasse Ayaka che con un gesto elegante della mano si aggiustava i capelli, Hasegawa, tutta seriosa, impegnata al suo computer, Konoka teneramente abbracciata ad una imbarazzata Setsuna…

Per una fan sarebbe stato un sogno ad occhi aperti.

Ma vedendo lo stato in cui era ridotta la sua amica, per Margareth era solo un incubo.

“Louise…”, mormorò sentendo gli occhi inumidirsi.

“Sbrighiamoci!” la incalzò il Dottore, sempre più bagnato dal sudore. “Il Collezionista è qui vicino. Questo è un magazzino, e qua vicino ci deve essere anche il raggio tele-trasportatore col suo padrone”.

Per un attimo si fermò, come se avesse visto qualcosa di conosciuto tra tutti quei reperti.

Da un’altra sala arrivò un forte sibilo fin troppo familiare per lui, e gli diede la precedenza.

Infatti, affianco al magazzino, c’erano diverse porte, ne aprirono una e trovarono un hangar, e lì c’era il terribile raggio: una sorta di enorme cannone, la cui estremità era a forma di antenna parabolica. Era quello lo strumento che il Collezionista usava per gli oggetti davvero grossi, ed era piantato davanti ad uno spazio aperto dal quale si vedeva perfettamente la Terra.

Su una pedana circondata da molte migliaia di droidi, c’era il Collezionista.

La raccolta dei campioni era stata completata, e stava avvenendo il recupero dei droidi dal pianeta.

Si poteva già cominciare l’attivazione del raggio per prelevare l’estrattore di flusso.

Vedendolo premere dei comandi, Margareth capì subito cosa stava succedendo.

“No! Dobbiamo fermarlo! Dottore!” implorò lei, però si accorse che il Dottore aveva qualcosa che non andava: oltre al sudore era diventato pure pallido, come un morto.

In silenzio cadde a terra.

“Dottore, che le prende?”

Come dal nulla, riapparve la misteriosa ragazza pallida e vestita di bianco. Margareth, che si era dimenticata di lei, la trovò mortalmente inquietante, intenta ad osservare in silenzio il Dottore. Non sembrava certo essere lì per aiutare.

“No… ti prego… devo… devo salvare il mondo… dammi ancora un po’ di tempo…”, mormorò il Dottore, le cui mani iniziarono a sparire, anzi, disgregarsi, dissolversi e lui a contorcersi in una silenziosa agonia.

Margareth si fece prendere dal panico e si rannicchiò tremante in un angolo.

Era rimasta solo lei: cosa poteva fare contro un esercito di droidi assassini? Come poteva fermare l’apocalisse?

“I miei cari…. Il mondo… gambe… muovetevi… non tremate… muovetevi, vi supplico!”

Prima che il Collezionista finisse la sequenza, si toccò un orecchio come se sentisse qualcosa.

Parlò nella stessa lingua astrusa dei droidi, ma mentre questi ultimi erano impassibili, il Collezionista gesticolava e faceva smorfie come una persona qualunque, e per questo Margareth comprese che qualcosa lo aveva seccato, ma dava comunque un assenso.

Davanti a lui apparve un’immagine sospesa in aria: due droidi che tenevano prigioniera una ragazza svenuta.

Margareth trasalì: era Emy!

“Signore, abbiamo trovato questa ragazza che curiosava vicino al vecchio municipio. Abbiamo pensato che le avrebbe fatto comodo avere un ultimo possibile campione da collezionare”.

“D’accordo, però facciamo alla svelta! Già fisicamente non ha nulla di originale. Usate la sonda per farmi vedere i suoi ricordi più intensi”.

Dalle dita dei droidi uscirono dei filamenti, che penetrarono nella fronte di Emy.

L’immagine davanti all’antico alieno cambiò.


C’era un letto d’ospedale, con una donna sdraiata sopra.

Una bambina le corse vicino e le prese la mano.

“Mamma, mamma! Come ti senti?”

La donna si sforzò di sorridere, ma fu colta da un attacco assai violento di tosse e sputò sangue proprio in faccia alla figlia.

I monitor intorno a lei fecero scattare il segnale d’allarme, infermieri e infermiere circondarono il letto e allontanarono la bimba, che piangendo tendeva le braccia verso la genitrice.

La scena cambiò, sostituita da quella di una lapide al cimitero, con sopra scritto ‘Susan Furens’.

Ci fu una nuova immagine, Emy più grande con in mano una coppa.

“Papà, papà! Ho vinto il trofeo, sono stata la prima!” esclamò raggiante.

Andò incontro al padre.

“Brava Emy, ora lasciami lavorare”, la liquidò il genitore senza neanche fermarsi.

Emy rimasta sola buttò il trofeo per terra, prendendolo a calci.

“Sempre così! Sempre!” gridò.

Altro cambio: Emy, ancora più grande, davanti al padre. Che appariva piuttosto irritato.

“Mi hanno detto che hai cominciato a disegnare. Che vorresti diventare una professionista, una disegnatrice di… fumetti!” esclamò.

“Sì, e allora?” ribatté guardinga la figlia.

“La devi piantare! Tu sei una Furens, l’industria è il nostro campo. Non ti permetterò di infangare il nome della famiglia facendo stupidi disegnini!”

“M-ma io voglio farlo!”

“Cosa?! Osi ribellarti a me?!”

L’uomo sollevò la figlia afferrandola per un braccio e la sbatté sul letto a pancia ingiù, tirando fuori un frustino.

Col quale cominciò a colpirla più volte alla schiena, con violenza.

“Razza di cretina! Chiedi perdono per aver pensato di infangare il nome di famiglia!”

“Pietà!! Ti prego…. Non lo farò più!! Ti chiedo perdono! PIETA’!!!” strillò Emy singhiozzando.

Successivo cambio d’immagine: Emy, insieme alla sua banda, stava angariando una coetanea con i capelli biondi.

“Avanti, stronza coraggiosa! Cedi! Cedi, dannazione! Cedi anche tu, chiedi pietà! Chiedi pietà come me!” pensò la capobanda mentre le sue scagnozze costringevano la vittima a pulire con la lingua una gomma spiaccicata per terra.


Il Collezionista interruppe la trasmissione con un gesto di stizza.

“Mi avete interrotto per delle sciocchezze. E’ la solita roba. Ci sono tantissimi esseri umani con problemi simili. Ho già un esemplare. Lasciatela lì è tornate a bordo!” esclamò parecchio seccato l’alieno.

I droidi lasciarono la giovane, che finì a terra come se fosse un sacco d’immondizia, e l’immagine scomparve.


“Emy…”

Margareth sentì delle lacrime, a lungo trattenute, scenderle sulle guance.

La paura, la disperazione, furono sostituite da una rabbia e un’indignazione crescente, talmente forti da non rendersi conto che il Dottore era sparito.

La ragazza si alzò in piedi, vide lì accanto un bullone o qualcosa di simile, lo prese e lo tirò in testa al Collezionista, facendo un centro perfetto.

L’alieno si portò le mani sulla nuca: “Ma chi… E’ quella chi è? Un’intrusa! Eliminatela, subito!” sbraitò.

I droidi puntarono le mani contro Margareth, che si rifugiò nel magazzino.

Prendetela! Non usate le armi o danneggerete la mia collezione!”

In due file ordinate e veloci, i droidi entrarono nel magazzino.

Rimasto solo, il Collezionista ricominciò a digitare i comandi del raggio tele trasportatore.

E un altro simil-bullone lo colpì alla testa.

Margareth, non appena era entrata nel magazzino, si era nascosta dietro una colonna, attendendo che i droidi fossero tutti usciti dall’hangar. Avvenuto questo, era rientrata.

“Maledetta!” gridò il Collezionista e rapidamente i droidi ritornarono.

Margareth era comunque riuscita a salire sulla pedana, l’alieno tentò di colpirla con un pugno, lei lo schivò e si avventò su di lui, stringendolo da dietro la schiena.

I droidi osservavano impassibili: non potevano sparare senza correre il rischio di colpire anche il loro padrone.

“Ti diverti a catalogare le persone, eh? A distruggere mondi, non è così? Non rispetti nessuno, vero? Ti faccio vedere io!” esclamò la ragazza, infischiandosene del fatto che il nemico probabilmente non la capiva.

Ma certo avrebbe capito un morso sul collo.

Gridando, il Collezionista le diede una gomitata sullo stomaco, mozzandole il fiato e facendole mollare la presa. Infine la scaraventò via, facendola finire proprio davanti all’esercito di droidi.

Piccola pezzente umana! Uccidetela!” comandò l’altro.

I droidi non si mossero.

Che state facendo? Attaccatela!”

La ragazza allora sfoderò un sorriso canzonatorio e gli mostrò cosa aveva in mano.

Il Collezionista si toccò il petto. “Il mio medaglione di controllo!”

Margareth, strinse l’amuleto tra le mani e si concentrò.

I droidi piegarono la testa di lato, come se sentissero qualcosa che non comprendevano.

Fu il turno del Collezionista di ridere: “Ahahah! Mi dispiace, terrestre, ma il medaglione è impostato sulla mia lingua natale. Quindi i droidi non riescono a capire i tuoi ordini”.

L’alieno aveva parlato in inglese, anche se con un accento strano.

“Facciamo così” riprese il Collezionista “se mi restituisci l’amuleto, risparmierò te e farò venire qui le persone che ti sono care, salvandole dalla distruzione di questo pianeta. E siccome ho già esemplari per ogni tipo di terrestre, vi permetterò anche una certa libertà a bordo della mia nave. Ma bada: se non mi restituisci il medaglione, distruggerò subito il tuo mondo. Cerca di approfittare di questa mia inusitata generosità, e scegli in fretta!”

Margareth si guardò freneticamente in giro: entrambe le possibilità erano semplicemente inaccettabili per lei.

Ma cosa poteva fare?

Solo allora si ricordò della scomparsa del misterioso Dottore: si era forse dissolto o qualcosa di simile?

L’unica cosa certa era che non si trovava lì per aiutarla.

“Allora? La mia pazienza è infinita solo quando sono in ricerca”, la incalzò l’alieno collezionista.

“Merda, se solo sapessi far funzionare questo coso!” mormorò quasi disperata.

“E’ un problema che posso risolvere io. Ho una certa padronanza linguistica”, disse qualcuno togliendole di mano l’amuleto con molta naturalezza.

Affianco alla ragazza era apparso un giovane uomo, con un completo marrone da professorino inglese.

“E… tu chi sei?” domandò lei indietreggiando.

“Sono il Dottore”, rispose lui ammiccando con lo sguardo.

“Eeehhh!!??”

“No! Tu… libero! Come può essere?!” domandò sorpreso e furioso il Collezionista.

Che rapidamente digitò gli ultimi comandi per attivare il raggio tele trasportatore, la cui estremità iniziò a caricarsi di energia.

“Perso per perso, sarà la mia vendetta!” urlò.

Il Dottore scosse la testa, strinse con forza il medaglione e un istante dopo tutti i droidi fecero fuoco contro il cannone, distruggendolo in buona parte.

Con un grido misto di paura e rabbia, il Collezionista saltò giù dalla pedana giusto in tempo, prima che fosse travolto dall’esplosione dell’apparecchio.

Quando il fumo e le fiamme si diradarono, si ritrovò circondato dai suoi ormai ex-droidi.

Al malvagio alieno non restò che battere i pugni sul pavimento, iniziando a piangere.

 

 

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° Capitolo

“Wow, che diavolo…”

Louise si guardò intorno smarrita: se i suoi ricordi da bambina non la ingannavano, era nella sala congressi del vecchio municipio, chiuso e in stato di abbandono, come al solito.

C’erano anche altre persone, che apparivano smarrite quanto lei, e l’ambiente ridondava di ‘Ma come ci sono finito/a qui?’, ‘Che stavo facendo?’, ‘Quel tizio col biglietto…’ e simili.

Louise, con le stesse domande, si guardò nelle tasche. “Mm, siccome indosso gli stessi abiti che avevo prima a scuola, dovrei avercelo ancora”.

Tirò fuori un biglietto, completamente bianco.

“Strano, per qualche motivo mi sentirei di giurare che dovrebbe esserci scritto qualcosa qui, qualcosa su… Azuna… Karaguka… Kagurazaka… boh!”

Lentamente, quelle persone cominciarono a uscire.


“E’ sicuro che Louise e tutti gli altri stanno bene?”

“Sì. Prima di liberarli, ho cancellato gli effetti di quei biglietti ipnotici, quindi sono tutti tornati alle loro personalità originarie”.

Margareth osservò affascinata l’interno del mezzo di trasporto del misterioso Dottore: fuori, una semplice e vecchia cabina telefonica della polizia di colore blu; dentro, uno spazio enorme e complesso, pieno di tubi, scale e scalette, luci, colonne, pedane e al centro quello che sembrava essere il motore del mezzo, di cui Margareth non volle neppure provare a capire come funzionasse.

Non poté però nascondere un risolino quando vide che il Dottore faceva funzionare tutti quei meccanismi servendosi anche di leve attaccate tra loro con semplice spago. E persino delle classiche martellate date nel punto giusto.

Inoltre alcuni suoi movimenti avevano la stessa finezza di Spike Spiegel quando cercava di riparare le cose prendendole a calci.

Non poté neppure non chiedergli della sua alternanza di corpi.

“Be, a quanto pare sono bravo a viaggiare ma non a pedinare” rispose il Dottore grattandosi dietro la testa con un certo imbarazzo. “Mi ha attaccato a sorpresa sulla Terra e ha cercato di fare entrare nella sua collezione me e il mio mezzo di trasporto. Sai, siamo esemplari alquanto unici. Ma prima di essere imbustato, ed è un termine che uso giusto per darti una certa idea, ho usato il moltiplicatore gene-mentale per creare una copia di me stesso in cui travasare la mia mente. Purtroppo avevo poco tempo, quindi la copia è venuta fuori troppo giovane e instabile sul piano cellulare, da qui la presenza di quella strana ragazza. Ops... ”

Il Dottore si tappò la bocca, e Margareth sobbalzò: la ragazza misteriosa!

L’aveva dimenticata! Sembrava quasi che il suo ricordo venisse fuori solo se la citavano.

“Dottore, non può dirmi chi era?”

Il Dottore si guardò intorno, come se temesse di essere ascoltato da qualcuno, poi disse con cautela: “Volendo essere abbastanza precisi, puoi considerarla come un’entità universale, vecchia e costante quanto l’universo stesso, che alla fine porta il suo dono, assai spesso non gradito, a tutti. Io sono uno di quelli che le sono sfuggiti tante, forse troppe volte. Questa però sembrava la volta buona, per lei.”

“Lasciamo perdere” disse allora Margareth. Aveva sentito uno strano brivido, un freddo quasi mortale.

“Parlando d’altro” riprese lei “quando le abbiamo riportate nel vecchio municipio, quelle persone erano ancora come tante statue”.

“Le particelle pietrificanti sono state disattivate insieme al biglietto. Quindi, ti ripeto, stai tranquilla. Tutte le vittime del Collezionista sono tornate normali, subito dopo la partenza del Tardis”.

“Questo mezzo si chiama Tardis?”

Il Dottore annuì. “Dicevo, quelle persone sono ormai tornate normali, senza ricordi di cosa sia successo loro. Saranno per un po’ confuse, poi torneranno alle loro solite vite”.

“E che ne sarà del Collezionista?”

Il Dottore si scurì lievemente in volto. “Sarà consegnato al tribunale di Wandalur, che costituisce una sorta di magistratura universale, ma tocca solo quei popoli che hanno imparato a viaggiare nello spazio. E tutto ciò che ha rubato e rapito, sarà riportato sui pianeti d’origine, quando possibile. Altrimenti sarà affidato al museo, con ovvio relativo pianeta, dei Monaci Senza Testa, che tra l’altro sono cugini degli ertriniani. Così i sopravvissuti avranno la possibilità di ricominciare in un ottimo ambiente, soprattutto per loro. Be, siamo arrivati”.

Tirata un’ultima leva, il Dottore invitò gentilmente Margareth ad andare verso l’uscita, cosa che la ragazza fece con sollievo, un sollievo però non puro come si sarebbe aspettata.

Fuori dal Tardis, c’erano la campagna della sua cittadina e un cielo plumbeo.

“Oh, dimenticavo!” esclamò il Dottore andandole dietro.

Le mise in mano l’amuleto. “In fondo meriti un piccolo trofeo, i buoni hanno vinto grazie a te”.

Margareth si schernì. “Me? Semmai lei”.

“Oh no, se tu non avessi distratto e attaccato il Collezionista, io non avrei avuto il tempo né di fermare il suo teletrasporto e neppure di tornare nel mio vero corpo”.

“Se le cose stanno così, allora si meriterebbe un premio anche Emy Furens. Anche lei, pur involontariamente, ha fatto perdere tempo al cattivo. Ed è stato quello che ho visto di lei a farmi reagire”.

“Lo so. E anche lei avrà il suo premio, grazie a te”.

“Che intende dire?”

Il Dottore ammiccò con lo sguardo, le baciò galantemente una mano e rientrò nella cabina.

Per un attimo Margareth provò la tentazione fortissima di chiedergli di prenderla con sé, per viaggiare verso luoghi lontani e fantastici.

Ma fu solo la tentazione di una ragazzina consapevole di essere tale e che doveva distinguere tra fumetti, cartoni, film e la realtà. Perché anche se quest’ultima aveva un incredibile aspetto fantascientifico, era pure molto, ma molto più pericolosa.

Il Tardis iniziò a scomparire e ricomparire, come un lampeggiante, accompagnato da uno strano rumore meccanico, finché non sparì del tutto.

E poi, terminò la ragazza rimasta sola, anche una vita ordinaria ha i suoi bei momenti fantastici.


Margareth era nel cortile della scuola, con Louise che la guardava da lontano, oltre l’inferriata che delimitava il cortile.

Il trasferimento di quest’ultima era avvenuto, però la ragazza aveva chiesto ai genitori di poter passare ancora un giorno con la sua amica, e ora accigliata la vedeva mentre veniva circondata dalla piccola gang di Emy Furens.

“Bene, bene. Sei pronta per la solita lezioncina?” chiese Emy, la quale non ricordava nulla dei misteriosi uomini con l’impermeabile.

Per tutta risposta, Margareth le andò incontro, mostrando uno strano decisionismo, che stupì le teppiste.

Emy s’irrigidì, preparandosi alla possibilità di essere attaccata.

Invece l’altra la abbracciò.

“E-ehi, che cazzo fai? Ti sei innamorata di me?” esclamò sorpresa e quasi scandalizzata Emy.

Margareth le sussurrò qualcosa nell’orecchio ed Emy rimase come bloccata, impallidendo man mano che ascoltava l’altra.

Gettò quest’ultima a terra.

“Come fai a saperlo?!” le domandò urlando.

“Lo so, ti basti questo. Allora, ci stai?”

Come risposta, Emy le saltò addosso e cominciò a riempirla di pugni, con le sue compagne che tutte eccitate la incoraggiavano.

Lei però non sembrava badarci, presa come’era dal colpire e dal chiedere in continuazione: “Come lo sai?!”

Quando la scarica di pugni finì, il volto di Margareth era pieno di lividi e tagli.

“A-allora?” domandò impassibile.

Emy, furente, ordinò la ritirata, mentre Louise, riuscendo finalmente a scavalcare l’inferriata, soccorse l’amica.

Quello strano spettacolo andò avanti per almeno un mese: ogni volta, Margareth chiedeva a Emy se accettava la sua proposta, e ogni volta riceveva come risposta pugni, calci e continue domande su come facesse a saperlo.

Poi, la svolta: dopo l’ennesima scarica di percosse, e dopo l’ennesima domanda di Margareth, Emy la aiutò a rialzarsi prendendola per mano.

Passato un altro mese, pugni e calci erano spariti quasi del tutto, sostituiti dalle parole, spesso insultanti, e dalla solita domanda, alla quale Margareth rispondeva portando dei fogli da disegno, regolarmente stracciati da Emy.

Trascorso altro tempo, Emy prese da parte Margareth, la mise con le spalle al muro e le chiese, con tono minaccioso, se facesse sul serio.

“Assolutamente” fu la risposta imperturbabile.

Emy corse via, e qualcuno giurò di averla vista quasi piangere.

Con lo scorrere dei mesi, avvennero fatti che per quella cittadina erano quasi fantascientifici: Emy era andata dalla polizia a denunciarsi, per tutto quello che in passato aveva fatto alle altre alunne, rifiutando con forza ogni aiuto che il padre trovava per salvaguardare il nome della famiglia.

Fu condannata al riformatorio, e quando uscì, trovò ad attenderla Margareth, sua zia Anna e Louise.

Infine, tanti anni dopo, quella di Margareth ed Emy era ancora ricordata come la più formidabile coppia di amiche/nemiche che si fosse mai vista in quella cittadina.

FINE

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