Il confine del cielo azzurro

di AmhranNaFarraige
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo + Il team dei rapitori ***
Capitolo 2: *** La sacca del gatto nero ***



Capitolo 1
*** Prologo + Il team dei rapitori ***




Il confine del cielo azzurro

Prologo

Il nostro mondo è davvero bello. Potrebbe non sembrare, ma per le persone che vengono da un’altra parte può anche risultare particolare. Certo non per chi ormai c’ha fatto l’abitudine nel vederlo. Tanto a queste persone così audaci nessuno fa più caso, nemmeno se fanno capolino dal cielo proprio nell’ora più splendente della giornata.
In effetti, non è che gli adulti tengano molto d’occhio il cielo: sono troppo indaffarati e frettolosi, per quel poco che escono di casa stanno attaccati a telefoni cellulari o a computer portatili, o semplicemente si fissano le scarpe, non so se per paura di sporcarle o cosa, ma se ci fate caso è proprio così! Gli unici che trovano il coraggio di alzare lo sguardo sono i bambini, ma figurarsi che qualcuno si fidi anche solo una volta delle loro parole. “E’ solo frutto della loro immaginazione!” diranno gli altri “Vedono cose che non ci sono, ma è giusto così. Giocano”. Che frasi tristi… Tutto questo perché loro si credono di sapere ogni cosa! E va a finire che anche i più giovani si convincono del loro apparente errore.
E invece nulla è come sembra. Se solo le persone si fermassero un attimo e volgessero in alto i propri occhi capirebbero che c’è un universo a loro totalmente ignoto, che creature meravigliose e fantastiche osano attraversare il confine di un altro mondo, quel confine così immenso ed azzurro che aleggia proprio sulle nostre testoline incredule.
Se ancora non vi fidate delle mie parole fate come vi dico. Questa notte, sperando che non ci siano nuvole e varie ad ostacolare la vista, uscite all’aperto e mirate il cielo. Noterete di sicuro tante lucette bianche risplendere in quella immensità, proprio quelle che comunemente chiamiamo stelle. Ebbene, quelle non sono corpi celesti che brillano di luce propria, non lasciatevi fregare in questo modo dalle menzogne di chi tiene il mondo nelle proprie mani, da chi non vuole farvi sapere la verità. Infatti, quelle sono le luci notturne prodotte da grandi città di un altro mondo, ClayGround, che se ne sta proprio disteso sopra al nostro ed al nostro fa come da specchio.

Molti altri segreti e misteri sono nascosti da ClayGround, dalla Terra e dal BlueBorder o, come a voi è certamente più noto, Cielo, ma ci sarà di sicuro il tempo di parlarne durante questa storia che sto per raccontarvi. La storia di come questi due mondi sono stati messi in ginocchio da una forza oscura che sa governare la morte. Una storia che si intreccia così a fitto con la vita di una normalissima, anche se non troppo, ragazzina terrestre, come lo sono molte di voi e come voi non sapeva nulla di tutto quello che vi ho appena raccontato.
Almeno, non all’inizio.
Il suo nome? Ray.



Il team dei rapitori

Una strada trafficata vicino al centro di una città orientale medio grande non meglio nota. Ragazzi e ragazze sgambettanti la percorrevano con il sorriso stampato sul viso che chiaramente diceva “anche oggi finalmente è finita la scuola!”.
Era davvero una bella giornata, lo si poteva intravedere dall’azzurro che splendeva tra i grattacieli così alti. Certo, se qualcuno si fosse degnato di guardare in quella direzione.
Una fanciulla in divisa scolastica, per intenderci una marina retta nera e bianca con tanto di nastro al collo rosso, camminava spensierata in mezzo alla folla. I lunghi capelli biondo scuro si lasciavano cullare dalla brezza leggera della giornata primaverile che conduceva le lunghe ciocche di frangia dritte negli occhi nocciola della ragazza. Ray si fermò di colpo quando percepì il dolore pungente di quelli e si prese del tempo per sfregarseli con cura. Tanto non è che ci fosse nessuno ad aspettarla, lei era solita percorrere la strada verso casa in completa solitudine.
Beh, certo, lei non era una delle più popolari a scuola. Per dirla in breve non aveva proprio amici, ma la cosa non le pesava affatto. Non aveva mai tentato di avvicinarsi a qualcuno né tantomeno di cercare di capire le cause della sua situazione sociale. Forse era proprio questo il problema: lei adorava starsene sulle sue e girovagare tra i suoi pensieri. Era convinta che era l’unica a potersi conoscere davvero e che nessun altro avrebbe mai potuto capire cosa le si nascondeva dentro, e nemmeno lei pretendeva di poter questo sugli altri.
Era solo tranquilla e stava bene con se stessa, ma i compagni di scuola la vedevano strana, una che bisogna temere e dalla quale è meglio starsene alla larga. Ma come vi ho detto prima, a lei non importava proprio per nulla.
Tolta la gente che girava per i corridoi e nelle aule, la scuola le piaceva abbastanza. Si divertiva a imparare un sacco di cose buone, tuttavia non riusciva ad andare particolarmente bene. Spesso, durante le lesioni, si distraeva tra le fronde degli alberi fuori dalla finestra ed i suoi voli immaginari. Altre volte le era capitato di non riuscire a spiccicare parola durante le interrogazioni. Parlare non era certo il suo forte. Ma, nonostante queste difficoltà, provava sempre piacere per quello che faceva e non detestava assolutamente nulla.
Ora frequentava la seconda superiore, 16 anni, non iscritta ad alcun club pomeridiano. I suoi genitori vivevano all’estero già da un po’ per cause di lavoro e non l’avevano portata con loro a causa dei continui trasferimenti da un paese all’altro che avrebbero potuto corrompere la sua istruzione. Ma a lei nemmeno questo importava, considerava i genitori come tutti gli altri: persone che di te conoscono solo l’aspetto e null’altro. Non li considerava con odio, assolutamente no, solo non disprezzava l’idea di vivere da sola, anzi, le faceva anche un certo piacere.
Non c’è altro da dire, questa era la tranquilla vita di una tranquilla ragazzina di città. Lei non sospettava proprio nulla di quello che presto sarebbe accaduto.

Se proprio doveva esistere una persona in grado di accorgersi di una piccola farfallina color lillà che svolazzava solitaria per le strade della città, questa persona non poteva essere altri che Ray le spensierata, così diversa dal cliché della vita moderna e mondana.
La ragazza proprio non seppe resistere alla tentazione di seguire quei colori così carini ed inconsueti con lo sguardo e ben presto si ritrovò costretta a compiere un gesto che ben pochi nella realtà in cui viviamo avrebbero trovato il coraggio, o meglio il tempo, di fare: l’animaletto continuò a volare sempre più in alto, sempre più verso quell’azzurro cristallino, verso il cielo, e lo stesso fecero i grandi occhi sognanti della fanciulla.
Aveva tanto alzato il mento da essere in grado di vedere i tetti degli alti grattacieli del centro e… Ciò che le si mostrò davanti era certamente molto strano, anche per una gran sognatrice come lei: in alto, sul tetto di un palazzo grigio e triste, ergevano due figure piuttosto singolari. Ray li squadrò incuriosita.
Il ragazzo sembrava davvero alto, anche se da quella distanza non era in grado di capire bene quanto, né di distinguere a pieno i particolari. Tuttavia le parve che quello, dai capelli biondissimi tirati in dietro, indossasse un completo piuttosto elegante: stretti pantaloni neri rigati verticalmente di bianco, camicia candida chiusa da una cravatta di pece ed un gilet attillato della stessa fantasia dei pantaloni. Fin qui tutto ok, certo era strano che un tipetto tutto tirato a lucido se ne stesse in piedi su di un grattacielo, ma poteva ancora sembrare in qualche modo normale.
Certo non come la ragazza. Quella era quasi sicuramente più piccola della nostra Ray ed era veramente molto stravagante: capelli di un castano chiaro dai riflessi ramati le coronavano il viso con un taglio carré molto accentuato, dandole un aspetto stranissimo ed in qualche modo quelle ciocche mosse così lunghe davanti, le arrivavano al petto, che man mano si accorciavano fino ad aderire così vicine alla nuca le davano un’aria matura ed adulta. La cosa più assurda, tuttavia, era il vestito: un’ampia gonnellina bianca era a tratti coperta da alcuni strascichi di stoffa che scendevano a zig-zag dal top scuro senza maniche. Quelle iniziavano poco sopra al gomito, ben distanti dalle spalle e fermate da stretti lacci, e proseguivano ampie lungo tutto il braccio, lasciando infine intravedere del pizzo bianco abbinato alla gonna che le copriva le mani fino a chiudersi due anellini, ciascuno collocato su un dito medio. Le strette gambe erano coperte da lunghe calze a righe orizzontali, che le arrivavano fin sopra le ginocchia e le si chiudevano in grandi fiocchi. Sul petto chiaro brillava isolata una pietruzza a forma di lacrima, del colore di dieci ruscelli do montagna che riflettono nelle loro acque le possenti fronde verdi di grandi alberi in estate. Aveva un che di magico, quel ciondolo misterioso.
I due la stavano fissando già da un po’ mentre seguivano attenti ogni passo della scolaretta per la strada. Avevano un aspetto in qualche modo losco e assurdo, e per giunta ce l’avevano con lei! E perché mai? Non aveva mai infastidito nessuno! Non riusciva proprio a trovare alcun collegamento tra tutti e tre.
In effetti non avrebbe mai potuto, povera lei, così tante cose lei, come la gente a lei attorno, non conosceva, possiamo dunque biasimarla se non comprese.

Quella coppia così fuori dal comune prese immediatamente il possesso della scena, impossessandosi dei ruoli di protagonisti, che prima avevamo riservato a Ray. Il ragazzo strinse in un potente abbraccio la ragazza che stava lui di fronte e quella, incredibile a dirsi, si getto nel vuoto della strada dal tetto del palazzo, trascinandosi dietro il peso di un corpo a lei strettamente unito. Non sembrava aver affatto paura di quell’azione così avventata, nient’affatto! Sembrava per lei la cosa più normale da fare in una situazione del genere. Semplicemente era saltata giù ed era atterrata con nonchalance proprio davanti alla nostra, che si era impietrita davanti a tanta audacia così ben riposta.
La ragazza dai capelli rossastri poggiò al suolo il piede sinistro, seguito immediatamente dall’altro, e, appena fu saldamente attaccata a terra, alzò il viso e scostò la sua folta chioma come per sembrare chissà che star del cinema. Il suo compagno s’era staccato da lei pochi secondi prima dell’impatto ed ora le si ergeva a fianco, con gli occhi puntati su Ray. Parlò.
-Jill, pare sia proprio lei, né?
-Eh già, Ed. Questa volta abbiamo fatto centro.
Sulla giovane, che a quanto pare si chiamava Jill, apparve un sorriso spaventoso che si allargava da un orecchio all’altro con una leggera inclinazione delle labbra verso sinistra. Una veloce occhiata in direzione del compagno, Ed stava per Edith, e subito si capirono: era tempo di completare la loro missione. Il ragazzo si mise in posizione d’attacco e gridò.
-Dai, preparati: modalità combattimento!
-Ma sei scemo?! Così l’ammazzi! A noi serve viva e davvero non è necessario tutto ‘sto casino che stai mettendo su… Uff, lascia fare a me che è meglio.
Ray non aveva capito una sola parola, mentre li fissava a metà tra la paura e la curiosità. Certo che erano dei tipi davvero strambi, ma che diavolo volevano da lei?
La ragazzina strana le si avvicinò e le mise la mancina sulla spalla. Forse finalmente qualcuno le avrebbe spiegato qualche cosa! L’espressione attonita scomparve dal suo viso, per lasciare posto subito dopo ad occhi gonfi di terrore ed incomprensione: colei che le stava dinnanzi aveva stretto la mano destra fino a conficcarsi le unghie nel palmo e l’aveva tirata in dietro per caricare il colpo. Tentò di divincolarsi, ma era la sua spalla era stata stretta in una presa infernale e le risultò del tutto impossibile scappare. Eccolo: un potente pugno le sfrecciò davanti agli occhi e le si conficcò sullo zigomo rosato. Non ci mise troppo, quella cadde stordita sul caldo asfalto primaverile del centro città, con un tonfo secco. La vista le si appannò, finché non vide più nulla. Giacque dunque, come addormentata.

-Ottimo lavoro, Jill, non mi sarei mai aspettato tanto da te!
-Che?! Ti fidi davvero troppo poco di me… Su, muoviamoci ora, prima di dare nell’occhio. Tirala su, veloce! Prima la portiamo a ClayGround e meglio è.
-Okok, come sei frettolosa! Dunque, io la prendo in braccio, tu preparati al trapasso, intanto.
Un’ultima occhiataccia e la ragazza si diede dunque da fare. Si levò di dosso il top smanicato, lasciando vedere sul suo corpo una canottiera di stoffa bianca che si integrava perfettamente con la gonna. Ma non era questo di cui ci si deve stupire, non come le ali nere che portava sulla schiena, prima ben nascoste dall’indumento. Sembravano come ali di pipistrello. Le spalancò in tutta la loro grandezza.
-Ed, ci siamo, veloce!
Edith con un braccio prese il corpo esamine della malcapitata mentre con l’altro si cingeva al collo della sua compagna, che prese magicamente il volo, mostrando sul volto i chiari segni di fatica. Certo, quello che le si era sottoposto era un gran peso, ma lei si stava mostrando davvero fortissima. Su, nel cielo, verso il confine! Erano ad un’altezza considerevole, ormai, quando passarono una sottile membrana gelatinosa, trasparente, il BlueBorder, come lo chiamavano loro. Ed il mondo si capovolse: la terra che si erano lasciati ai piedi ora incombeva sulle loro teste. Avevano passato il confine e si accingevano ad un atterraggio di emergenza su quel secondo mondo così sconosciuto e… Magico.




N.d.A.: Dunque, questo è il primo capitolo di una storia davvero vecchissima, che se ne stava nel dimenticatoio da non so quanti anni! Eppure, quando l’avevo inventata, mi piaceva moltissimo. Ora che la riscrivo mi sembra un po’… Non so nemmeno come dire, ma c’è qualcosa che non quadra. Nei passaggi tra i vari avvenimenti, credo, tuttavia mi tornano alla mente tutte le mie fantasie dell’infanzia (o meglio, inizio adolescenza).
Questa storia non era nata in alcun modo singolare, solo, come penso un sacco di ragazzini, desideravo (sognavo forse è più corretto) scrivere il mio fumetto personale e quella che vi ripropongo ora è la sua trama. Forse è per questa sua natura che non riesco a descrivervi a pieno i personaggi… Beh, certo, sono dei disegni! Se solo fossi stata capace di disegnare eheh. Tuttavia vi prometto che prima o poi posterò i miei disegni (Dio, che vergogna)!
Ultimissima cosa: le modifiche che ho apportato alla trama “vecchia” sono state davvero poche. Ho mantenuto i nomi dei personaggi e le età come avevo deciso allora, ed anche il titolo è rimasto quello! Ultimamente, quando stavo riscrivendo la storia, avevo deciso di cambiarlo in Jump in second world, tuttavia ho deciso di rimanere fedele all’originale. Spero sia stata una cosa buona.
Penso che questo sia tutto, per ora. Le varie complicanti come il passaggio tra una dimensione e l’altra verranno spiegate più avanti, non temete! Spero solo che tutto ciò non vi risulti infantile, perché io davvero ho adorato questo mondo che s’era creato nella mia mente bacata di ragazzina scema, ed inoltre mi è costata una certa fatica scrivere tutto ciò. Però mi sono divertita, quanti ricordi che affiorano!
Un bacio ed un caldo abbraccio a tutti voi che siete entrati nel mio mondo segreto! Grazie!

AmhranNaFarraige

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Capitolo 2
*** La sacca del gatto nero ***




La sacca del gatto nero

Jill non avrebbe retto ancora per molto, quel peso era eccessivo anche per un corpicino allenato a quel genere di lavori quale era il suo, ed infatti dimostrò presto questa nostra supposizione. A circa tre metri da terra perse il controllo e tutti e tre ruzzolarono rovinosamente a terra, con la povera Ray, ancora stordita, sotto alla catasta umana.
Erano finiti in un luogo che sarebbe stato incantevole se non fosse stato per le tetre ombre che calavano lente sulle loro, ghermendone l’essenza e l’energia vitale; per le sinistre voci della fronde oscure che cantavano odi alla Morte; per il cielo oscurato da nerissime nubi crudeli ed insensibili. Per dirla in breve, se solo ci fosse stato un gran bel sole arancione a coronare quella località sarebbe sembrata un bosco verdissimo e tipico di un qualche passo di un libro fantasy attinente agli elfi silvani o creature simili, con alberi cui non si scorgeva la vetta, tronchi fittissimi e quasi simmetrici, sorgenti d’acqua che zampillavano qua e la senza una motivazione particolarmente sensata. Ma purtroppo per i “nostri”, le condizioni vollero che quel paradiso apparisse ai loro occhi come spaventoso e temibile, in prevalenza grigio e verde scuro, con un filtro malinconico.
Ray non avrebbe certo potuto sapere che quel accumulato di tronchi e rami era solo uno dei centri di desolazione di quel nuovo mondo che ora la ospitava, uno dei pochi specchi della crisi che da non molto aveva iniziato ad inghiottirlo,eppure giungendo già ad uno stato così avanzato di angoscia totale. Jill e Edith, d’altro canto, ormai c’erano abituati da parecchio, in fondo quella era la loro casa, la loro patria, il loro luogo di appartenenza. Odiavano lo squallore in cui nuotava in quei tempi, ma insieme amavano i ricordi dei tempi floridi della loro fanciullezza trascorsa per boschi simili a quello, quando viaggiavano insieme da poco e stavano imparando a conoscersi, a scoprire ognuno le abilità dell’altro ed ad organizzare le loro forze unite. Tanto mancavano loro quei giorni in cui tutto era così facile e spontaneo! Ma la vita va in un senso unico ed anche a loro toccò andare avanti, fino ad una piccola radura che, si sentiva, se ne stava sdraiata tra tanti alberi non lontano da un piccolo ruscello, ed adagiarono il corpo dolorante della fanciulla straniera sulla corteccia ruvida di un vecchio castagno.
Il prode cavaliere si lasciò dunque cadere a terra di peso, tirando un sospiro che gli liberò il cuore, volgendo i suoi occhi castani alla ragazza-angelo. Nel suo sguardo quella lesse un centrifugato di sentimenti difficilmente distinguibili tra i quali estrasse a fatica qualcosa come l’eccitazione per la semi-riuscita della missione, la gioia per il riposo dovuto finalmente ottenuto e, in quantità stranamente abbondante, anche della paura, paura che Jill pensò fosse causata dall’idea di ciò che sarebbe divenuto di loro, di quei fuggiaschi, di quei cavalieri di ventura che non sapevano fare altro se non scappare dalla dura realtà della crisi che stava bruciando la terra sulla quale poggiavano i piedi. Se n’era resa conto ormai anche lei della loro debolezza d’animo e non sapeva quale fosse il modo più consono di reagirvi.

Poi giunse un raggio di sole: un sorriso beffardo che cacciò tutte le ansie e le paure che cingevano quel luogo col loro ampio braccio. Il viso di Edith s’era rasserenato alla vista della giovane ragazza che li avrebbe salvati.
-Jill, ci sei andata veramente pesante! Non è che è morta? Oddio, l’hai ammazzata! Che facciamo adesso?
Quella lo fulminò con lo sguardo.
-Non sparar cacchiate! Gesù Cristo, guarda con chi mi tocca fare coppia! Speriamo che ‘sta qui si riprenda presto che non c’ho tutta sta voglia di fare conversazione con te…
-Oh, ma l’atra sera non mi pareva ti dispiacesse tanto, eheh!
Le cinse i fianchi con un braccino magrolino ma comunque piuttosto forte e si avvicinò al suo viso. I due cuori cominciarono a battere forte all’unisono, finché la ragazza, in preda all’emozione, si liberò dalla presa e rise di gusto.
-Davvero, ora non è il caso! Piuttosto vai a cercare della legna per un falò e qualcosa da mettere sulla testa per ‘sta notte, non possiamo certo proseguire con una zavorra del genere- guardò di sbieco il corpo accasciato sotto i rami –Io intanto cerco di farla ripigliare che prima partiamo e meglio è, non voglio subirmi le grida di quel vecchiaccio!
-Ahah, che faccia che hai fatto! Ti adoro proprio tanto, lo sai?
-Va a prendere ciò che devi, portalo qui e poi sei libero di andare allegramente a quel paese.
-Ok, ok, sta tranquilla!
Rideva ancora quando lasciò le due donne da sole per avventurarsi nella selva maledetta da tanti uomini. Jill in cuor suo voleva davvero bene a quel ragazzo che la faceva sentire tanto a suo agio nonostante tutte le sue diversità che non si limitavano solo al fatto di avere un paio di ali piantate nelle spalle. Non riusciva a fingere di essere arrabbiata, tantomeno se lui non era nei paraggi.
Si alzò rapida e sbirciò dentro la borsa a tracolla in pelle marrone e vissuta che portava ciondolante sulla spalla per estrarne una pezza quadrata di un colore difficilmente identificabile. La piegò in quattro e si diresse verso il ruscello che scorreva poco lontano, tanto la ragazzina, anche nell’assurdo caso in cui si fosse svegliata, non avrebbe avuto la minima idea di che strada prendere ne tantomeno di dove andare: quel paese era un tabù vero e proprio. Giunta sulla piccola sponda rocciosa si sedette sui ciottoli asciutti e bevve l’acqua cristallina a piccoli sorsi, s’asciugò le labbra con la manica e inumidì la pezza giusto prima di tornare indierto.
Ray non s’era minimamente mossa dalla posizione in cui l’aveva lasciata, così tentò di ricondurla al mondo dei vivi inumidendole il viso con lo straccio, ma in vano. Certo la sua pazienza era ben poca, lo potrete capire dalla sua reazione immediata: si piegò verso il viso dell’altra con uno sguardo maligno e con entrambe le mani prese la pezza dalla sua fronte per portarla a metà strada tra i loro sguardi.
Un urlo acuto, spaventato.
L’ostaggio s’era svegliato di colpo quando la sua rapitrice le aveva strizzato l’acqua gelida sulla faccia e per di più, se ne accorse solo dopo un po’, pure in un posto assurdo, impossibilitato ad ospitare degli esseri umani. Era spaventata e questo sentimento le bloccava la lingua, impedendole di parlare e lasciandola solo urlare versi senza alcun senso compiuto, poi questi versi divennero parole e poi più nulla. Aveva riconosciuto quella figurina che le rideva davanti a gran voce.
-Ehi tesoro, sta tranquilla, non ti mangio mica!
In risposta ottenne solo il silenzio.
-Su, non ti verrà fatto alcun male, almeno non da noi, s’intenda.
Ancora nulla.
-Eh dai, sto cercando di creare un qualche genere di conversazione, ma non è che tu mi sia molto d’aiuto… Embè, andiamo secondo il modello classico, allora: tu, dimmi, qual è il tuo nome?
Un sussurro.
-Va che non s’è capita una bega… Che cosa non t’è chiaro della frase “non ti mangio”? Oh, ma forse voi sulla Terra non sapete che vuol dire... Come ho fatto a non pensarci? Ecco, dunque…
-No, lo so…
-Uh, allora sai parlare! Pensavo di aver studiato questa lingua stramba per nulla. Di sicuro ora si fa tutto più facile, ma ora rispondi alla mia domanda se non vuoi che cambi idea sulla cena.
-Certo, certo… Il mio nome è Ray.
-Che? Ray?! Certo che è una bella coincidenza!
E si perse in discorsi che la nostra Ray non capiva per nulla.

Un attimo di sollievo giunse anche sul questa povera fanciulla quando il ragazzo fece la sua comparsa tra le fronde ombrose che andavano man mano mescolandosi col buio della notte che bussava alle porte del cielo. Sembrava aver occhi solo per quella ragazza così strana, le si era avvicinato con un andamento orgoglioso mentre le mostrava il suo bottino: un fascio di legna ed un sacchetto di stoffa color ruggine con ricamato sopra un gattino nero… Strano, davvero strano che avesse trovato quell’aggeggio nel bosco! Più probabile che lo avessero lasciato lì prima, consapevoli del loro ritorno. L’angelo, che nel frattempo s’era preoccupato di coprire le sue ali di pece con il gilet, diede una veloce occhiata verso Ray, così che il compagno si potesse accorgere della situazione.
-Oh, speravo che almeno adesso avremmo potuto avere un po’ d’intimità! Uff, dopotutto il lavoro è lavoro. Prima il povere e poi il piacere, tanto va la gatta al lardo…
-Quello non centra!
Sbuffò la piccola figurina infastidita da tutto quel blaterare sconnesso.
-In ogni caso- il biondo si rivolse direttamente alla “nostra”, avvicinandosi pian piano al suo albero –Io mi chiamo Ed e quella rompipalle laggiù è la mia compagna di team, Jill.
Abbozzò un inchino che lasciò Ray sconcertata.
-Oh… Io sono Ray, piacere di conoscerla.
-Educata la ragazza! Sarà un piacere averti con noi, chiedi pure in qualunque caso di bisogno, siamo qui per farti passare i giorni più belli della tua vita in attesa di quello che accadrà.
-Che cosa deve accadere?
-Questa domanda non dovevi proprio farla, cara la mia piccola Ray. Non ti risponderò.
-Uh… Ok. Ma posso chiederle almeno dove ci troviamo?
-No, non puoi. Spero non ti dia fastidio se mi cambio qui. Sai, stare da soli in questo posto e per giunta di notte fa venire la pelle d’oca e questi vostri vestiti tipici non li reggo più: sono scomodi e ti fanno sudare un casino. E prudono pure!
Edith cominciò a grattarsi con la chiara disapprovazione della piccola Jill. Quando comprese, infine, anche lui che il suo comportamento da buffone non portava proprio a nulla tornò ad essere quel ragazzo serio tanto affascinante che sapeva essere, sbottonandosi il gilet nero, sfilandoselo dalle spalle per poi passare alla chiarissima camicia stretta. Ray afferrò che quello spettacolo così attraente non era per i suoi occhi, divenne d’un rosso intensissimo e cominciò a roteare gli occhi dovunque intorno pur di non guardare il petto nudo dell’uomo, vergognosa. Balbettò qualche parola pur di distrarsi e si torse le dita in una maniera impressionante. Non che non avesse mai visto un corpo maschile, ma quello apparteneva ad uno sconosciuto, bello oltremisura! Nono, non poteva certo essere così irrispettosa e sconsiderata da fare… Si vergognò anche lei dei suoi stessi pensieri e divenne ancora più incandescente di prima.
Jill la fissava indagatrice dal fondo della minuscola radura, non distratta dalla situazione per esperienza. Piuttosto era incuriosita dall’immacolata reazione della loro preda, era stranamente piacevole vedere una fanciulla tanto pura agitarsi davanti a nulla di strano e lei sapeva bene quanto facesse piacere a Edith creare questo genere di situazioni. Era davvero uno sciocco, ma pur sempre divertente e… affascinante.
Il ragazzo impudico prese a girovagare bellamente in mutande, facendo impazzire non poco Ray che si girava ogni volta nella direzione opposta. Il suo obiettivo era semplice, impossessarsi della borsa rossa, ma lo faceva sembrare una cosa impossibile.
-Ed, piantala di fare il cretino e vieni qui a prendere i tuoi vestiti. Devo metterteli io o almeno di questo sei capace?
Acida, Jill gli stava tendendo l’oggetto del suo affanno e quello lo prese come deluso dalla fine del suo show, ma obbedì alla signora senza replicare. Quella, soddisfatta di come la situazione aveva cambiato piega, tornò a sedersi su una gran pietra levigata e prese a laccarsi minuziosamente le unghie ben curate con uno smalto nero lucido che aveva vissuto fino ad allora nella sacca del gatto nero. Quando lei ebbe terminato anche il suo compagno era tornato quello di una volta e indossava abiti normali. Anche Ray era sollevata di poter tenere la testa finalmente ferma al suo posto.
Edith sembrava più a suo agio, meno adulto in quei pantaloni larghi marrone scuro che si tuffavano in un paio di grossi anfibi neri e nella maglia a maniche lunghe, bianca, con lo scollo a V tenuto semichiuso da una coppia di grossi lacci incrociati. Infilò tutto il superfluo di nuovo nella borsa e si sedette accanto a Jill, sussurrandole dolci parole che servivano a ricompensare tutte le battute e le leggerezze della giornata. Sapeva che lei era a conoscenza dei suoi sentimenti più profondi, ma ci teneva comunque a dirle di persona che se faceva il clown ogni tanto era per strappare un sorriso su quel suo bel viso così simile alla loro terra, così triste e corroso dalla preoccupazione. Di ricambio la ragazza lo aveva stretto a se con tanta forza che sembrava che non lo avrebbe più lasciato andar via.
Ray in quel bel quadretto romantico non centrava un fico secco ed era tanto in imbarazzo che si alzò in un tentativo di allontanarsi un attimo, giusto per lasciare loro l’intimità che desideravano, ma quando s’alzò in piedi sentì nei polpacci e nelle cosce il peso dell’essere stata seduta per… A dire la verità lei non lo sapeva nemmeno per quanto era stata svenuta e… E Jill l’aveva presa a pugni! Che diavolo di intenzioni avevano quei due? Lei non aveva mai fatto nulla di strano, aveva sempre vissuto la sua vita tranquilla e felice, che cosa stava accadendo così di punto in bianco? E come se non bastasse Edith non aveva risposto alle sue domande, affascinandola con belle parole e permettendole di fidarsi di lui. Che sciocca che era stata. In quel momento le venne una mezza idea di intrufolarsi nella selva per scomparire in quell’oscurità e fuggire da qualche parte a caso, ma non aveva la benché minima idea di cosa potessero nascondere quelle ombre agitate. Infondo, se i suoi rapitori si erano preoccupati di preparare le vettovaglie in anticipo voleva dire solo che quel luogo era proprio inospitale come appariva. Certo, la ragazza era davvero preoccupata, ma immagino che sappiate perdonarla se non osò dar vita alle sue fantasie e fece ritorno alla base. Sperava di poter avere un’altra occasione di salvezza in un futuro più adatto dei quel presente.
I due piccioncini non s’erano accorti di nulla, forse c’era da immaginarsi il motivo della loro scarsa reputazione, ma per loro fortuna, quando ritornarono al mondo dei comuni montali, sulla sembrava essere cambiato se non Ray che era sprofondata in un profondo sonno. Edith, addolcito da quella tenera visione, estrasse dal sacchetto arancione scuro una coperta scozzese e glie la rimboccò amorevolmente sul collo, dopodiché concesse anche a Jill qualche ora di riposo, promettendole che avrebbe fatto la guardia finché non avrebbe deciso di svegliarla per potersi riposare a sua volta.

La notte cade dunque su quel gruppo strampalato che aveva deciso di rifugiarsi tra le cupe fronde di una foresta sterminata, oscurando i loro volti immacolati ed abbracciando i loro sogni con incubi temibili. Combatterono con mostri feroci e belve selvagge finché giunse l’alba a dar loro man forte contro quei nemici portentosi.

Le nubi sembravano essere fuggite anche loro di fonte al terrore che quelle lotte sanguinose proponevano, lasciando così il sipario aperto sul caldo sole che apparve timido, con le gote rosse che illuminavano il cielo, in un angolino della scena. Il bosco rivelava ora il suo vero aspetto, magico e brillante, quasi impossibile. Il nuovo paesaggio aveva forse lo scopo di premiare quei prodi guerrieri che avevano combattuto tanto strenuamente nei loro sogni?
Un raggio splendido si posò leggermente sugli occhi chiusi del ragazzo addormentato accanto a Jill, che non aveva retto al sonno che la notte aveva trascinato con se. Quello reagì come chiunque dovrebbe fare, sentendosi pieno di energie dopo il riposo della notte e si alzò di buona lena intento ad accendere il fuoco per bollire l’acqua. Anche l’altra ragazza, Ray, era piuttosto mattiniera e si lasciò condurre dalla calda luce rossa del giorno, rimanendo incantata da quello spettacolo naturale che nessuno nel suo mondo sarebbe stato capace di notare. Le pianse il cuore al pensiero che in fondo il suo mondo non le mancava poi più di tanto, non era una cosa giusta. Ray invece era ancora profondamente addormentata sotto le foglie splendenti del gran castagno. Un rivoletto di saliva le colava lento dall’angolino della bocca, dandole un’espressione a dir poco ebete. Quando l’altra fanciulla se ne accorse, non sapendo se fosse il caso di ridere, si rivolse verso Edith attendendo la conferma che in effetti le venne data.
-Non preoccuparti, fa sempre così. Svegliarla è un’impresa assurda, non farmici pensare…
Si posò il palmo della mano sulla forte alta e sospirò disperato. Mosse passi lenti e stanchi in direzione della bella addormentata per prenderle il piede destro senza far troppo attenzione ad essere cortese. Trascinò quel corpo che produceva solo mugolii per qualche metro sull’erba bagnata di rugiada, lo tirò di peso sulle spalle e si diresse verso la foresta, facendo segno a Ray di seguirlo. Quella un po’ si spaventò quando lo vide gettare l’urlante Jill nel ruscello, seguita da un’ondata di insulti ed imprecazioni irripetibili, mentre il ragazzo se la rideva di spirito.
-Jill, ti ho già detto che ti adoro?!
Un pugno nello stomaco che non gli fece troppo male. La ragazza era davvero infuriata, spesso si chiedeva come faceva ancora a far coppia con quello stronzo del suo compagno, ma poi lui la guardava con quegli occhi nocciola che le riempivano il cuore e lei immediatamente scordava il motivo della sua collera. Successe così anche quella volta e sapeva che poi si sarebbe pentita, come sempre, di non avergliela fatta pagare una volta per tutte.

Già era alto il sole nel cielo quando la nostra combriccola prese il viaggio verso un luogo sconosciuto ad un terzo del gruppo, al terzo terrestre. Non le avevano voluto dire nemmeno quello. L’unica cosa che sapeva era che si stavano allontanando dal bosco: notava ormai gli alberi farsi più radi e sottili.
Non ci volle molto a farli uscire definitivamente dall’unica parte di ClayGround che le era stato concesso di visitare, per giungere su un sentiero di quelli tipici della campagna, in terra battuta, piuttosto stretti, con l’erba verde smeraldo che cresce su tutte le colline attorno. Ora che poteva confrontare una porzione più ampia di quel paese col suo le sembrò così differente ed estraneo. Lei era abituata ad alti grattacieli grigi e alle strade trafficate della sua città. Le era capitato qualche volta di uscirne, ma non era che la campagna lì fosse poi tanto diversa… C’erano sempre lunghe strade dritte e pali lucenti conficcati un po’ qua e un po’ là. Non un filo d’erba, ma solo grandi campi di grano ucciso da nere macchine assassine. Le piaceva abbastanza questo cambiamento, si ritrovava come ne mondo che aveva sempre sognato da bambina, a contatto con la natura, riconoscenti di quello che dobbiamo a lei. Era davvero splendido, così tanto che lasciò da parte le preoccupazioni sulla loro direzione, felice di poter cominciare una nuova vita, se così si può dire, in un mondo che le apparteneva più di quella nella quale era nata ed aveva sempre vissuto. Non era la prima ad aver fatto quel genere di ragionamento, ma lei non lo sapeva, non sapeva quanto quest’altra persona fosse vicina a lei.
Camminarono per qualche oretta in silenzio, sempre nella stessa direzione, senza incontrare mai deviazioni. Era la situazione adatta per volare con la mente in ampie pianure abitate da draghi multicolore.
Passarono ad un certo punto accanto al primo esempio di presenza umana che incontrarono in quel vagare. Un immenso orto di zucche era diventato il loro sentiero, contornato da una staccionata nera e da una casupola col tetto di paglia, tipo quelle medievali. Le foglie dei frutti danzavano attorno a loro agitate dalla leggera brezza del primo pomeriggio, con le piccole spirali verdi che si torcevano su loro stesse.
La brezza doveva per forza essere diventata un forte vento, anche se la loro pelle non l’aveva percepito, perché le arancioni si agitavano sempre con più furore, tanto da staccarsi da terra e cominciare a rotolare in circolo attorno ai tre. Dopodiché avvenne l’inverosimile! Non era stato il vento a muovere le zucche, ma un qualche genere di forza strana le stava ora facendo danzare con passi ritmici e regolari in quel campo pieno di magia. Il sole brillava sulle bucce di colori sgargianti, ma in un modo differente, più spaventoso ed inquietante. Quel mondo faceva davvero paura…

Sul tetto rustico comparvero tre figure, quelle che probabilmente erano la causa di quell’assurdità, dato il ghigno che avevano stampato in volto, o, perlomeno, che due di loro avevano. Due ragazzine piccole e strette l’una all’altra, due ragazzine che tenevano in mano una corda legata ad un paio di manette che tenevano ferme le mani ad un uomo con i capelli scuri lunghi fino alle spalle ed un’espressione distrutta sul volto coperto di sangue.




N.d.A.: Ok, sono finalmente riuscita a finire questo capitolo dopo una settimana che ci sudo sopra! Oddio, sono stanchissima… Mi si chiudono gli occhi! E dire che sono abituata ad andare a letto più tardi… Vabbè, torniamo alle nostre note.

Allora, questo è solo il secondo capitolo e già iniziano a succedere cose strane, uhh! E non saranno le prime, ma quando proseguirò questo filone si sveleranno molte cose riguardanti la trama centrale. Purtroppo non sarà nel prossimo capitolo, quello servirà a qualcos’altro, una delle prime cose alle quali ho pensato quando ho sviluppato questa storia. Ebbene, partiremo subito con i ricordi dei personaggi, yuhu! Ma non vi preannuncio altro, solo buona lettura per quando lo leggerete.
E ovviamente grazie di aver letto anche questo capitolo, vi voglio bene!

Uh, e come promesso inizierò a postare i disegnini dei miei omini. Dunque, questi si dividono in due gruppi: quelli che ho fatto all’epoca della progettazione e quelli più moderni che risalgono a… Beh, quello che ho fatto per ora risale a due giorni fa, esattamente durante l’ora di storia XD Per ora vi lascio solamente Ray moderna, inquanto quelli antichi sono per ora in possesso di un mio amichetto… Me li farò ridare superando tutta la mia vergona!
Escusatio non petita: perdonate se rompo le palle, ma io non è che sia una grande artista (non lo sono proprio per niente) però non mi dispiace disegnare, tutto qui. Mi scuso solo di non aver disegnato braccia e gambe, ma davvero non ne sono capace! Imploro umilmente perdono e pietà.

Link per Ray

Grazie ancora di tutto, un bacio!

AmhranNaFarraige

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