Blame it on Blaine

di Medea00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Fuggire ***
Capitolo 2: *** Il primo giorno di scuola ***
Capitolo 3: *** La sfida ***
Capitolo 4: *** Kurt ***
Capitolo 5: *** Courage ***
Capitolo 6: *** Sorridendo ***
Capitolo 7: *** Vieni alla Dalton ***
Capitolo 8: *** Presto starai bene ***
Capitolo 9: *** Infarti ***
Capitolo 10: *** La vendetta de la vendetta ***
Capitolo 11: *** Neve, duetti e batticuore ***
Capitolo 12: *** La Chase-scappatoia ***
Capitolo 13: *** Gioco di squadra ***
Capitolo 14: *** Silly Love Song ***
Capitolo 15: *** What if!? ***
Capitolo 16: *** Tensione ***
Capitolo 17: *** Oh, eccoti qui. ***
Capitolo 18: *** Perdendo, da vincitori ***
Capitolo 19: *** La notte dei negletti ***
Capitolo 20: *** Pioggia ***
Capitolo 21: *** Non ti dirò mai addio ***
Capitolo 22: *** Un appuntamento alla Warbler ***
Capitolo 23: *** Hummel&Hummel ***
Capitolo 24: *** Mi piaci ***
Capitolo 25: *** Primavera. Cambiamenti? ***
Capitolo 26: *** Lacrime ***
Capitolo 27: *** Casa ***
Capitolo 28: *** Un passo indietro, poi sempre avanti! ***
Capitolo 29: *** Mi manchi ***
Capitolo 30: *** Passato, presente e futuro ***
Capitolo 31: *** Kilt, pensieri inattesi ***
Capitolo 32: *** Il ballo ***
Capitolo 33: *** Un nuovo addio ***
Capitolo 34: *** Non è la fine, è un inizio ***



Capitolo 1
*** Prologo - Fuggire ***


 

Prologo

Fuggire


“Dalton Accademy” disse mia madre indicandomi un opuscolo blu e grigio posto sopra al mio letto.
Cercai di metterlo a fuoco, ma era difficile: un violaceo ematoma impediva quasi completamente la vista del mio occhio destro.
La prima cosa che notai fu la foto di un gruppo di ragazzi in divisa. Essendo gay non potei fare a meno di notarne il taglio e i colori, colori che, in quel momento, non mi dicevano più di tanto. In verità non mi piacevano nemmeno, di sicuro un grigio più perlato, o un blu oltremare sarebbero stati decisamente meglio. Senza parlare di quel rosso sgargiante… orribile.
Mia madre, notando il mio sguardo dubbioso, iniziò a spiegare ad alta voce il contenuto del trafiletto:
“E’ un’accademia scolastica, famosa per la tolleranza zero verso le discriminazioni.”
Non risposi. Dopo tutto ciò che era successo quella frase mi sembrava una mera utopia.
Per un momento apprezzai il gesto di mia madre. In un certo senso, tutto l’affetto che mi dava compensava quello totalmente assente di mio padre.
“Per favore, Blaine, -riprese mia madre con le lacrime agli occhi, odiavo vederla in quello stato- almeno fammi il favore di pensarci. Fallo per me. Non posso più vederti così.”
Già, sinceramente anche io ero piuttosto stufo. Soprattutto dopo che ero stato appena picchiato a sangue in quello che doveva essere uno dei giorni più belli della mia vita, uno di quelli da raccontare ai tuoi figli e, magari, mostrando loro qualche tua foto in mezzo alla pista, ridendo alla loro espressione sbalordita nel vedere un padre così giovane e sbarbato vestito di tutto punto ad appena sedici anni, o imbarazzarsi alle loro domande sul tuo partner e su come sembravate felici insieme.
E invece ero seduto su un deprimente lettino di ospedale con una flebo al braccio e una ventina di medicazioni per tutto il corpo.
Dissi a me stesso che non sarei più andato ad un altro ballo scolastico. Mai più.
Mi sentivo così in colpa per Josh... anche lui era in ospedale, ed era soltanto colpa mia, mia e del mio stupido outing, mia e del mio volere a tutti i costi mostrarmi in pubblico assieme all’unico altro gay dichiarato della scuola, perché “dopotutto cosa c’è di male?”. Avrei dovuto dar retta a Josh. Non avrei dovuto nemmeno uscire allo scoperto.
Una lacrima scese dall’occhio meno gonfio, incapace di trattenersi oltre. Mia sorella, che era stata silenziosamente accanto a me per tutto quel tempo, mi abbracciò come mai aveva fatto, accompagnando il mio pianto spezzato.
Fu soltanto quando mi ripresi un poco che guardai l’opuscolo di mia madre, poi lei, e annuii.
“Va bene.” Dissi soltanto, lo sguardo inespressivo. Mia madre e mia sorella esultarono entusiaste, ma io non riuscivo ad essere altrettanto felice. In verità ero tutt’altro che felice. Mi stavo odiando con tutto me stesso per non avere la forza di reagire, di combattere; stavo fuggendo come il peggiore dei codardi, e sapevo bene che non sarei mai riuscito a perdonarmelo. Ma, in quel momento, non riuscivo a fare altro. Non avrei sopportato di stare in quella scuola un solo giorno di più.
E fu così che, a metà del mio secondo anno di liceo, mi trasferii alla Dalton Accademy.


***


 
Eccoci qui…la mia prima fanfic su Glee! E’ stato molto divertente immedesimarsi in Blaine, spero di non essere andata troppo OOC.. ringrazio in anticipo per tutte le fantastiche persone che la commenteranno!

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Capitolo 2
*** Il primo giorno di scuola ***


Capitolo 1

Il primo giorno di scuola


“Ciao a tutti, mi chiamo Blaine Anderson. Ho quasi sedici anni, vengo da una scuola pubblica poco lontana da qui, mi piacciono i cani ed esibirmi in performance da cantante internazionale, quando nessuno mi può vedere. Segni particolari? Sono gay. Questo conta?
…Ok, no. Fa schifo.”
Dissi ad alta voce dopo aver provato per l’ennesima volta il mio discorso di presentazione alla Dalton. Ma poi, perché diavolo dovevo fare un discorso di presentazione davanti ad una trentina di ragazzi scettici e annoiati!? Probabilmente non mi avrebbero nemmeno ascoltato, il che forse era un bene, contando la schifezza di monologo che mi ero preparato. Sarei riuscito a far addormentare persino uno scoiattolo strafatto di caffè.
“Ciao a tutti” dissi di nuovo contro uno dei muri della Dalton, appena poco lontano da quello d’ingresso.
“Sono Blaine, Blaine Anderson, ma chiamatemi solo Blaine, odio il mio cognome. Perché? Beh, perché odio mio padre. No, no Blaine, non partire con la storia della tua vita adesso.”
Diedi una leggera testata contro il muro. Ero talmente preso dal mio discorso che non mi accorsi nemmeno del suono di passi che si stava lentamente avvicinando alle mie spalle.
“Heilà! Sono Blaine! – urlai con un sorriso da animatore di villaggi turistici – sono al secondo anno, mi piace il football, cantare fingendomi il figlio illegittimo di Elvis Presley… e poi che dire? Ah sì, quasi mi dimenticavo: sono gay! Prego, la cassetta dei pomodori è alla vostra destra e i guantoni da boxe sono a sinistra. Mettetevi in fila per le botte, ma per favore, potreste evitare di scompigliarmi i capelli? Ci ho messo anni a sistemarmeli..”
“Ma quanto gel ci hai messo?”
Sobbalzai all’indietro sentendo quella domanda. Mi voltai lentamente, MOLTO lentamente, sperando con tutto me stesso di aver avuto un’allucinazione. E invece no: un ragazzo moro, più alto di me – bè, ci voleva poco- e di colore mi stava fissando attonito.
Rimasi con la bocca semi-aperta, senza parole, diventando rosso come il bordo della nostra divisa.
“Hei amico, così finirai per mangiare mosche.” Disse un altro ragazzo, un poco più basso, e dai tratti orientali.
Perfetto. Primo giorno di scuola, prima fetta di merda. Assolutamente perfetto.
Serrai la mascella, ma non riuscii ad emettere alcun suono. Dovevo avere una faccia davvero buffa, perché i due ragazzi scoppiarono a ridere a crepapelle.
“Rilassati! Non vogliamo mangiarti. Io sono Wes, e lui è David.”
“Siamo del terzo anno, e tu…devi essere nuovo, giusto? Sembrava che tu stessi provando il tuo discorso di presentazione.”
Ah, quindi, avevano pure sentito il discorso, o peggio: i discorsi. Davvero. Assolutamente. Perfetto.
Mi imposi di dire qualcosa. Dovevo dire qualcosa. Qualunque dannatissima cosa. Tipo…
“Ah.Io..hem..E’ una bella scuola, no?”
I due ragazzi si guardarono inarcando un sopracciglio. Io avrei tanto voluto girarmi di nuovo e riprendere a testate il muro.
“Molto, ma penso che ti piacerebbe di più se tu la vedessi da dentro.” Disse David, con un mezzo sorriso.
“Oh, sì, giusto. Io, io infatti stavo per…hem. Sì. Ci vediamo.”
Corsi, letteralmente, verso l’entrata, e per quanto rimasi incantato da quella bellissima scala a chiocciola, quelle vetrate gigantesche e luminose, quel pavimento di marmo bianco e splendente, mi sentii allo stesso tempo come un pesce fuor d’acqua. Dove mi trovavo? Dov’era la presidenza? E la segreteria? Che ore erano? Dove dovevo andare? Chi ero io!?
Mi aggrappai all’unica ancora di salvezza che avevo: la chiave di una stanza, la mia stanza.
Dopo un quarto d’ora di ricerca trovai l’ala dei dormitori e, finalmente, la porta con sopra il mio numero.
Feci un lungo respiro. Sapevo che avrei diviso la stanza con un altro ragazzo, ma non mi avevano detto altro. Mi presi un momento per pensare e calmarmi, ma fu ben presto interrotto da un urlo spaventoso…che proveniva esattamente dalla mia stanza!?
“IO TI AMMAZZO!” Fece una voce.
“TU mi hai rotto la play!? E IO per PAR CONDICIO ti ho rotto la x-box!” Fece un’altra voce.
“PAR CONDICIO!? MA SE NON SAI NEMMENO COSA VOGLIA DIRE, PAR CONDICIO!!”
“Ed, calmati!” Esclamò una terza voce. Cominciai a chiedermi quante persone ci fossero in quella stanza…
“No no no no no io stavolta lo ammazzo sul serio, lasciami!”
“Non se prima ti ammazzo io, fringuello!”
“Vado a prendere una boccata d’aria.” Quando mi resi conto di quello che sentii era troppo tardi per fuggire via dalla porta: un ragazzo biondo si parò davanti a me, con il volto marcato e degli stanchi occhi castani.
Dietro di lui c’erano altri tre ragazzi, due dei quali erano in procinto di azzuffarsi, e uno teneva per le spalle il più grosso dei due.
Rimanemmo in quella posizione per una ventina di secondi, loro a fissare me e io a fissare loro, paralizzato nell’indecisione di cosa fare o dire. Alla fine, il ragazzo davanti a me inclinò leggermente il capo, e poi ebbe come un lampo di genio.
“Tu devi essere il novellino!”
Sviai lo sguardo, non sapendo bene cosa dire.
“Aspetta aspetta…Blaine, giusto??” Fece di nuovo il ragazzo, e io rialzai gli occhi immediatamente.
“Sì..” dissi, con un tono che andava tra l’imbarazzo e il sorpreso.
“Cavoli, Thad me lo aveva detto che saresti arrivato oggi! Io sono Flint, piacere!” Mi strinse la mano con tanta energia che quasi me la stava stritolando, e poi mi spinse dentro, richiudendo la porta alle mie spalle.
Cercai di assumere un atteggiamento quantomeno dignitoso ed abbozzai un sorriso.
“Hem..brutto momento? Passo..più tardi?”
“Ma scherzi!?” Esclamò Flint, dandomi una pacca sulla spalla. “Mi dispiace per le urla, ci scaldiamo piuttosto facilmente. Ah, a proposito, l’energumeno è Ed, quello che lo sta placcando è Colin, e l’altro è Nick.”
Fecero “ciao” in coro, mentre lentamente tornavano a sedersi. Io levai una mano a mezz’aria.
“Beh, insomma?” Esordì Nick, facendo un gesto convesso con la mano. “Che ci dici di bello, Blaine? Come ti va la vita?”
Gli altri sorrisero, aspettando anche loro un mio segno di vita. In quel momento pensai a quanto mi sarebbe mancata tutta quella cordialità: sapevo benissimo che quando gli avrei detto di essere gay non sarebbero stati più in quel modo, e sarebbero tornati gli insulti, le risatine e, chissà, magari anche le botte.
Mi morsi un labbro, scrollando la testa violentemente. Basta, mi dissi. Devo smetterla di aver paura di tutto e tutti. Devo smetterla di fuggire.
“Beh,” sospirai, incrociando le braccia. “Mi chiamo Blaine Anderson… mi piace il football, mangiare il tacchino del 4 luglio e bere birra, ma mi piace anche cantare, andare a teatro e leggere Vogue, perché…perché sono gay.”
Ecco, l’avevo detto. Socchiusi gli occhi, attendendo i soliti commenti acidi, o le solite risatine strozzate. Attesi, ma non sentii nulla. Quando riaprii lentamente gli occhi, mi resi conto che non mi stavano fissando male, anzi. Mi stavano…sorridendo?
“Benvenuto, Blaine!” Fece Nick, porgendomi la mano.
“Colin, mi sa che hai trovato FINALMENTE un compagno di partite.” Commentò Ed indicandomi.
“Era l’ora!! Voi e quel cavolo di baseball!” Esclamò Colin dandomi una pacca sulla spalla. “Blaine, giusto? Per che squadra tifi?”
“Beh, di solito, per..”
“Se ti piace cantare allora dovresti entrare negli Warblers!” Mi interruppe Flint entusiasticamente.
“Gli…wa-cosa??”
“Gli warblers!! Il Glee club della nostra scuola. Siamo dei fenomeni, vedrai quando ci esibiremo per il festival dei fiori della scuola!”
“Ma che canto e canto – sbottò seccato Ed – voglio proprio vedere che cavolo ci inventeremo per passare il tempo, adesso che non abbiamo neanche più la xbox….grazie a QUALCUNO, senza fare nomi, facciamo i cognomi, SMEATH!”
“E piantala dai, par condicio amico!” Disse Nick facendo ‘ok’ con la mano.
“TE LO FACCIO VEDERE IO IL PAR CONDICIO!”
E fu così che ripresero ad azzuffarsi, con Flint e Colin che cercavano di staccarli.
E io…beh, io li guardavo. Non riuscivo a capire, onestamente, qualcosa non tornava. Non me l’ero immaginato, vero? Eppure mi pareva di averlo detto ad alta voce…
“Hem…ragazzi?” I quattro si fermarono di scatto per voltarsi verso di me.
“Credo…credo che… ci sia qualcosa che…ma avete capito che sono gay?”
Tutti rimasero per un istante a fissarmi. Poi scoppiarono a ridere. E tutto ciò a cui riuscii a pensare fu: ma che diavolo..?!?
“Sì, l’abbiamo sentito, Blaine.”
“E…quindi?” Incalzai io, indietreggiando istintivamente di un passo. Forza dell’abitudine, suppongo.
“Quindi cosa?” Domandò Ed, grattandosi goffamente il capo.
“Quindi niente.” Rispose risoluto Nick, sorridendomi.
“Sapete? Ho sempre voluto un amico gay. Quando Blaine avrà finito con me sarò uno schianto! Le ragazze non riusciranno a staccarmi gli occhi di dosso, vedrete!”
“Flint, mi dispiace dirtelo, ma non ci riusciresti nemmeno con l’aiuto del miglior stilista del mondo.”
“Blaine” tagliò corto Nick, venendomi incontro. E solo in quel momento cominciai a capire che, forse, era davvero finito il periodo dei pianti, delle fughe, dei lividi e degli ospedali, ma soprattutto, era finito il mio periodo di solitudine.
“E’ semplice. A noi non interessa. Qui tutti hanno una particolarità.”
Particolarità. Che bella parola. Nessuno aveva mai chiamato così il mio orientamento sessuale.
“E, fidati –concluse lui con un sorriso sghembo- la tua è meno strana di molte altre.”


 
***
Mi sono sempre domandata come fosse stato il primo giorno della Dalton per Blaine. Ecco quello che ne è derivato. Spero che vi sia piaciuta. Il prossimo capitolo sarà ancora pre-Kurt e parlerà, tra le tante cose, di come Blaine ha ottenuto il ruolo da solista negli Warblers. See ya!

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Capitolo 3
*** La sfida ***


Capitolo 2
La sfida

 
 
I professori mi avevano parlato della Dalton come di un’accademia seria e di classe, fatta di studenti a modo e, soprattutto, diligenti.
Nessuno, quindi, mi aveva accennato a chiodi di gruppo per giocare a calcetto, o a festini improvvisati nella stanza di qualcuno –spesso e (s)fortunatamente, la mia-, oppure a esibizioni corali degli Warblers nei posti più frequentati della scuola.
Mi ero unito al Glee club un po’ per curiosità –nella mia vecchia scuola non c’era niente di simile-, un po’ perché se non l’avessi fatto quei pazzi di Nick e Flint mi avrebbero appeso sottosopra al candelabro dell’aula magna.
Mi divertivo a cantare con i miei amici, anche se si trattava soltanto di fare qualche vocalizzo ed accompagnare Ethan, il solista eletto dal consiglio.
Sarei un ipocrita se dicessi di non aver mai sognato il suo ruolo, ma sapevo anche che, essendo alla Dalton da appena quattro mesi, non potevo pretendere tanto. Però in cuor mio ero convinto che prima o poi l’avrei ottenuto. Ero bravo, a cantare. Sì, lo ammetto, anche un pò arrogante, ma soprattutto bravo. Cantare era l’unico momento in cui mi mostravo al mondo per quello che ero, senza vergogna o freni; era l’unico momento in cui ero davvero fiero di me.
Era ormai la fine di Marzo e io stavo proprio andando all’ennesimo consiglio degli Warblers per discutere sul prossimo festival di primavera. In verità l’idea mi eccitava: era da tanto che non cantavamo qualcosa in pubblico, e non rinunciavo mai ad un’esibizione, solo che quei consigli finivano sempre allo stesso modo: Wes, David e Thad che appoggiavano ciecamente tutte le idee di Ethan.
Quel giorno, comunque, ero terribilmente in ritardo. I ragazzi, nemmeno un’ora prima, mi avevano gentilmente avvisato che quella sera ci sarebbe stata una festa nella mia stanza. “Perché sono sempre l’ultimo a sapere le cose?” Pensai malinconicamente ad alta voce.
Ero riuscito a rimediare una mezza dozzina di pizze e qualche coca-cola. Alla televisione avrei pensato più tardi: come di consuetudine, sarei andato nello stanzino del bidello e l’avrei furtivamente presa in prestito. Ero sempre io a fare il lavoro sporco, e quando me ne lamentavo, i ragazzi si discolpavano dicendo: “sei il più picc agile tra di noi.”
Gli amici.
Completamente preso dai miei pensieri non mi accorsi di un ragazzo, o meglio, della sua spalla che urtò fortemente la mia.
“Oh scusami, io..” rimasi un attimo interdetto quando vidi contro chi avevo avuto la collisione: Ethan, il solista, Ethan ‘ugola d’oro’, come lo definivano Wes e gli altri, Ethan il ‘sono-all’ultimo-anno-e-quindi-troppo-superiore-per-considerarti’ che mi stava fissando. E anche piuttosto male.
“Ethan.” Pronunciai a bassa voce il suo nome, quasi per focalizzarlo meglio. “Io…mi dispiace. Non ti avevo proprio visto!”
Lui mi guardò ancora più torvo, senza proferir parola. In effetti, in quattro mesi, non ci eravamo parlati quasi mai.
“Hem..quindi..è già finita la riunione?” Domandai con fare innocente, cercando in qualche modo di cambiare argomento. Lui, incredibilmente, fece una sottospecie di sorriso. Ripensandoci, assomigliava molto di più a un ghigno.
“Abbiamo deciso i pezzi per il festival.” Disse sprezzante.
“Oh, bene! E cosa faremo?”  
“Faremo?” Enfatizzò la mia ultima parola con una smorfia di disappunto. “Ti correggo, ragazzino: tu non farai un bel niente. IO canterò, e tutti voi tesserete le mie lodi, perché sapete benissimo che sono il migliore.”
Serrai la mascella, stringendo i pugni. Non c’era bisogno di essere così arrogante. Quel ragazzo mi dava sui nervi.
“Sì, beh, come dici tu.” Feci per andarmene, ma mi strinse un braccio e mi riportò davanti a lui.
“Ti sembra questo l’atteggiamento da avere verso il tuo solista?”
“Datti una calmata -risposi io, aggrottando le sopracciglia- non serve fare il pavone per dimostrare quanto sei bravo.”
“Pavone…-commentò sdegnato- pure le tue metafore sono gay.”
Lo guardai male. Sotto sotto avevo capito da tempo che a Ethan non andavo molto a genio. Beh, la cosa era puramente reciproca, ma non sono mai stato un tipo da rissa facile, e mi limitai a non rispondere. Lui, dal canto suo, scoppiò in una risata amara, lasciandomi il braccio.
“Sparisci. Non me la prendo con le femminucce.”
Mi aggiustai la giacca, apparentemente calmo, e parlai con l’aria di chi è superiore a queste cose.
“Come mai tutto quest’odio verso di me? Non è che sei…geloso?”
“E di cosa!?” Sbottò lui, alzando la voce. Dal canto mio ero troppo nervoso per contenere le mie parole, e lo fissai sprezzante, nonostante la differenza di altezza tra noi due.
“Beh, di me. Della mia voce. Forse perché, infondo, sai che sono più bravo di te.”
Rimase per un secondo interdetto, e poi mi si avvicinò.
“Tu credi, novellino?”
“No, non lo credo. Ne sono convinto.”
“Bene. Perché allora non fare una bella sfida? Solo io e te. Davanti a tutto il consiglio.”
“Perché no?” Risposi senza neanche pensarci. Ethan mi fissò dritto negli occhi.
“Il perdente…dovrà uscire dal glee club.”
Rimasi un attimo interdetto dalla sua offerta, ma non potevo tirarmi indietro ormai. Afferrai la sua mano saldamente, e lui cacciò un ghigno di pregustata vittoria.
“Ci vediamo domani.”
 
Non avevo detto a nessuno della sfida. Non volevo che si spargesse troppo la voce. Soprattutto, non volevo creare altri casini ad una festa che si preannunciava incasinata di suo. Non so come, ma Colin era riuscito a ottenere due cassette di birra, e si erano volatilizzate in un millisecondo.
Erano le dieci di sera e la mia stanza pullulava di gente che conoscevo a malapena. Cercai i miei amici in tutto quel caos ma trovai soltanto un Flint stravaccato sul letto in stato semi-cosciente.
Di lui non mi stupii più di tanto – era una cosa piuttosto normale -, ma di certo fui sorpreso nel vedere che Wes e David erano nella sua stessa situazione.
“Blaine!” Mi urlarono in coro, strattonandomi per la camicia. “Ho saputo che domani sfiderai Ethan a duello, eh?”
“Prepara le pistole, amico, e anche un salvagente se ce l’hai!” E scoppiarono entrambi a ridere.  Io li guardai allibito.
“Ma cosa..!?” E meno male che non avevo detto niente a nessuno!
Un Ed –anche lui evidentemente allegro- piombò alle mie spalle facendomi roteare come una trottola.
“Non ci posso credere, amico!! TU, hai sfidato ETHAN a DUELLO, davanti a TUTTA LA SCUOLA, fino all’ultimo SANGUE!?  MA IO TI STIMO TROPPO!”
“A-aspetta!” Urlai, costringendolo a fermarmi. “Duello? Scuola? Sangue!? Ma che stai dicendo? E’ una semplice sfida canora degli Warblers! Chi ti ha detto queste cose!?”
“Gliel’ho detto io! -intervenne Nick, sbucando da un posto non ben definito.- che me l’ha detto Jonh, a cui gliel’ha detto Cam, che probabilmente deve averlo sentito da un lacchè di Ethan!”
Io lo guardai scioccato.
“E poi dovrei essere io quello gay? Siete più pettegoli di Oprah!”
“Amico.” Ed mi prese per le spalle e mi fissò dritto negli occhi, o almeno, ci provò, dato che continuava a dondolare la testa avanti e indietro.
“Apprezzo la tua competitività, ma non devi morire per il tuo onore! Non farlo!” Piagnucolò, abbracciandomi di colpo.
“Ed, calmo.” Gli diedi due pacche confortanti sulla spalla, approfittando del gesto per togliermelo di dosso. “Nessuno qui ha intenzione di rischiare la pelle per una canzone. Non mi succederà niente, tranquillo! Mal che vada… dovrò lasciare il Glee Club!”
E, in quel momento, calò improvvisamente il silenzio.
Sentii una trentina di occhi puntati su di me, allibiti.
Mi schiarii la gola, mettendomi seduto in un angolino e aprendo una delle mie riviste posate sul comodino.
Fai finta di niente, Blaine. Continua a leggere, magari se ne dimenticano.
“…Blaine?” Fece Flint con tono cordiale, riesumatosi dal mondo dei quasi-morti.
“…Sì?” Domandai io con un sorriso a trentadue denti.
“Cosa hai detto del Glee Club?”
“…Che…che probabilmente…sarò costretto a lasciarlo se perderò la sfida contro Ethan?”
Vi sembra strano se vi dicessi che quella reazione assomigliava molto a quella che mi ero immaginato per l’outing?
Dopo qualche secondo Wes, che in quel momento pensai fosse il meno sano tra tutti, mi guardò allibito e cominciò a battere la mano sul cuscino a mò di martelletto: “ma non può farlo! Il consiglio decide chi entra e chi esce… e lui non è il consiglio! IO sono il consiglio! MIO martelletto, MIA decisione!!”
“Non vi preoccupate, ragazzi, non pensiamoci adesso e divertiamoci!” Sorrisi, raggiante, e mi ributtai a capofitto sul numero di Vogue di Dicembre, che non era mai stato così interessante.
“Massì – dissi più a me stesso che agli altri – troverò una soluzione… credo.”
 
Il giorno dopo la Dalton era completamente ricoperta dalla pioggia.
“Come nelle più gloriose battaglie finali – commentò Nick- Leonida contro gli Ateniesi, Silente contro Voldemort, il fosso di Elm..”
Io lo guardai torvo. “Potresti citare battaglie nelle quali non ci sia una tragica morte violenta?”
Lui mi sussurrò uno “scusa” mentre il consiglio entrava in aula e prendeva posto.
Ci furono i soliti discorsi burocratici, e subito dopo Ethan si alzò in piedi, schiarendosi la voce e guardandomi con aria di chi aveva già vinto.
Fece partire la base e si mise esattamente al centro della stanza.
La sua voce, forte come sempre, intonò i versi di “Always” di Bon Jovi.  I suoi acuti, soprattutto, erano semplicemente perfetti. Non aveva sgarrato una, ma dico, una nota.
E io? Beh, io lo guardavo, ascoltavo attentamente, accennavo ad un sorriso ogni tanto… e dentro stavo morendo. Ero davvero un uomo morto. Non avrei mai saputo cantare con tanta perfezione tecnica.
Quando finalmente finì la canzone i ragazzi si elevarono in un’ovazione senza precedenti, perché la canzone era piaciuta e lui era stato davvero, davvero bravo.
“Blaine? Guarda che tocca a te” sussurrò Flint un po’ titubante, distruggendomi una costola a forza di gomitate. Annuii, svelto, ingoiando il rospo e afferrando la chitarra.
Strimpellai un pochino, cercando di sciogliere la tensione, ma ero paralizzato come un tronco di legno in inverno.
Stavo per cantare la canzone che avevo scelto, una che era nella top 100 di quel periodo, molto allegra e piuttosto frivola di contenuti, ma era popolare, e pensai che quello bastasse. Ma dopo l’esibizione di Ethan capii che non dovevo soltanto cantare bene: per vincere dovevo vivere la canzone, farla mia.
Guardai tutti gli Warblers, poi le mie mani, ed iniziai a suonare le note di un’altra canzone, piuttosto vecchia, a dir la verità, ma alla quale tenevo molto.
La mia voce partì lenta e leggermente soffusa.
 
“We the people fight for our existence
We don't claim to be perfect
But we're free
We dream our dreams alone
With no resistance
Fading like the stars we wish to be”

 
Piano piano la mia voce diventava sempre più alta e le mie mani sempre più sicure.
 
“You know I didn't mean
What I just said
But my God woke up
On the wrong side of his bed
And it just don't matter now”

 
Finii inevitabilmente a pensare a tutto ciò che avevo passato, a mio padre, ai bulli, alle lacrime di mia madre, all’abbraccio di mia sorella, e di come tutto quello fosse passato.
 
“Cos little by little
We gave you everything
You ever dreamed of
Little by little
The wheels of your life
Have slowly fallen off
Little by little
You have to give it all in all your life
And all the time I just ask myself why
You're really here”

 
E persi per un attimo la concentrazione quando vidi, o meglio, sentii, le voci dei miei amici che si univano alla mia, facendomi un coro stupendo, armonizzandosi tra di loro in modo perfetto.
Quando la canzone finì mi resi conto di essere rimasto senza voce. Avevo veramente dato tutto me stesso senza nemmeno rendermene conto.
Mi alzai in piedi, stringendo la chitarra, e guardando con occhi pieni di ringraziamento tutti gli Warblers.
Wes, David e Thad mi guardavano orgogliosi. Ancora non capivo a cosa stessero pensando, pensai soltanto di aver inaspettatamente vinto la gara. Non c’era neanche bisogno di votare: gli sguardi di tutti i ragazzi parlavano da soli.
Ethan si parò davanti a me, silente, il suo sguardo sempre austero ma non più come prima.
“Complimenti.” Disse trai denti. Fece per andarsene, ma lo richiamai.
“Ethan. Dove stai andando?”
“Via. L’accordo era questo, no? Chi perde esce dagli Warblers.”
Scossi lievemente la testa.
“Mettiti seduto. Qui non se ne andrà nessuno. E poi, come faremmo a cantare senza il solista?”
Vidi l’esitazione, lo stupore, e poi, semplicemente, il tacito riconoscimento velato dai suoi occhi. Io gli porsi la mano, allargando il sorriso.
“Sai, hai davvero cantato meglio di me.” Ed era vero.
Lui annuì, e si rimise a sedere. Fu in quel momento che ricevetti l’applauso. Scoppiai a ridere, leggermente imbarazzato, e ringraziai tutti di cuore. Flint mi diede l’ennesima gomitata sullo stomaco che quasi mi fece soffocare. “Complimenti, solista del prossimo anno.”
 
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Ed ecco anche il secondo capitolo…è stata una vera impresa scriverlo. Ho dovuto sintetizzare tutti gli aspetti della Dalton, dal momento che nel prossimo li lascerò un po’ da parte per concentrarmi su Kurt :D la canzone è Little by Little degli Oasis, che secondo me è bellissima e perfetta per Blaine.
Ringrazio tutte le fantastiche recensioni ricevute finora. Mi stimolate davvero a scrivere sempre di più!!

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Capitolo 4
*** Kurt ***



Capitolo 3
Kurt

 
Ritardo. Terribile ritardo, aggiungerei. Me lo sentivo, Thad non me l’avrebbe fatta passare liscia quella volta. Già mi immaginavo la sua voce stridula perforarmi le orecchie: “Il solista dovrebbe essere il primo ad arrivare, non l’ultimo!” In effetti aveva ragione, ma da quando avevo iniziato il terzo anno la prof di matematica non mi dava più tregua e mi tratteneva sempre oltre il suono della campanella. Sentivo le radici quadrate e le disequazioni fumarmi fuori dalle orecchie mentre mi dirigevo con passo svelto alla sala comune.
Dovevo ammettere con piacere che da quando Ethan si era diplomato e io ero diventato il nuovo solista, le cose andavano decisamente meglio per gli Warblers. Le esibizioni erano sempre molto divertenti e coinvolgevano davvero tutti. Forse poteva c’entrare qualcosa l’incredibile prestazione del cantante principale…ma non volevo vantarmi troppo.
Chi l’avrebbe mai pensato. Blaine Anderson, studente della Dalton al terzo anno, solista degli Warblers, popolare. Non riuscivo ancora ad abituarmici: ricevevo saluti e pacche sulle spalle da ragazzi di cui non sapevo nemmeno il nome, partecipavo spesso e volentieri agli eventi più importanti della Dalton, i professori mi conoscevano per fama e i miei voti erano piuttosto alti.
Insomma, ero felice. Felice come mai prima di allora.
E fu proprio in quel momento, quando pensai che non avrei potuto chiedere di meglio dalla vita, che la vita mi portò una nuova, incredibile sorpresa.
“Scusami?” Mi domandò un’inconsueta voce soave.
Mi girai velocemente: un ragazzo, alto, magro, dai lineamenti delicati, la pelle candida come la neve, e degli splendidi occhi blu, mi stava fissando.
“Ehm, posso fare una domanda? Sono nuovo di qui.”
Notando l’assenza della divisa non mi ci volle molto ad intuire che non fosse davvero un nuovo studente, ma in quel momento non ci pensai più di tanto. Sentii soltanto una grande voglia di aiutarlo.
“Mi chiamo Blaine”, dissi sorridente.
“…Kurt.” Fece lui in risposta, leggermente esitante.
Kurt…Kurt. Fino a quel momento l’avevo sempre considerato un nome inespressivo, e persino un po’ rude. Ma quel ragazzo sembrava essere tutto il contrario.
Continuai a fissarlo, cercando di carpire più informazioni possibili. Capii subito che era gay. Era troppo affascinante e curato per essere etero, e poi, insomma, mi piaceva pensare di avere un certo radar per scovare i miei simili.
“Insomma...-riprese lui, guardandosi intorno come smarrito- che succede qui?”
“Gli Warblers!” Risposi io immediatamente, entusiasta. “Ogni tanto fanno un’esibizione in aula magna. La scuola va in tilt per ascoltarli” preferii tralasciare il fatto che una minuscola parte di tutta quella frenesia era collegata a me.  
“Aspetta, vuoi dire che qui il Glee Club è popolare?”
“Gli Warblers sono come…rockstars!” In pratica mi ero appena dato della rockstar; non sono mai stato un tipo molto modesto.
Kurt inarcò le sopracciglia. Non ci credeva? Improvvisamente fui colto da un’allettante idea di mostrarglielo personalmente.
“Vieni con me, conosco una scorciatoia.”
Gli presi la mano, senza neanche pensarci. Non ero mai stato così spavaldo con un ragazzo. Correvamo insieme per le aule deserte della scuola, e invece di pensare all’esibizione, alle urla di Thad e alla folla esultante, pensavo soltanto di dover fare una bella figura davanti a lui.
Aprii la porta dell’aula comune, e non riuscii a deviare lo sguardo furioso di Thad, ma ringraziai il cielo che fosse troppo tardi persino per farmi una ramanzina.
Kurt era evidentemente a disagio. Osservai per un attimo i suoi indumenti. Era davvero un bel ragazzo.
Gli sistemai il colletto della giacca con nonchalance, decidendo di canzonarlo un pochino.
“La prossima volta non dimenticarti della divisa, nuovo arrivato. Ti starà benissimo.” Il problema era che lo pensavo davvero.  Ma non avevo tempo per fantasticare.
“Se vuoi scusarmi…” mormorai, dirigendomi verso gli altri. Non appena mi videro avanzare cominciarono il coro, e io li seguii intonando Teenage Dream di Katy Perry. Per tutta l’esibizione –che stava andando veramente bene- cercai costantemente quel ragazzo, e sì, è vero, forse era stato un po’ meschino nascondergli la mia identità di solista di quel popolare gruppo di rockstar, ma sinceramente morivo dalla voglia di vedere i suoi grandi occhi azzurri spalancarsi di stupore, per poi assottigliarsi sempre di più in un sincero sorriso di ammirazione. Lo vedevo ridere, sviare lo sguardo, rimanere persino a bocca aperta, e io più lo guardavo e più mi sentivo…fiero di me stesso. Felice. Non saprei descriverlo con esattezza. In ogni caso, mi sentivo bene.
“Cavoli Blaine! Sei stato una forza oggi!” Esultò Nick, a canzone finita, dandomi delle forti pacche sulla spalla.
“Tu di più Nick spettacolare quell’acuto finale!”
“Ottimo lavoro, Anderson. Più tardi parleremo del tuo enorme ritardo.”
“…Non ci sarebbe uno sconto di pena per l’ottima esibizione?” mi guardò torvo. Fortunatamente intervenne David, che approfittò del momento per avvicinarsi a me sussurrante:
“Chi è quel ragazzo senza divisa che ti sta fissando da tre ore?”
Sorrisi. Il perché poi, non lo so. Mi venne spontaneo, credo.
“E’ Kurt… dice di essere nuovo.”
“In effetti nuovo lo è,-commentò divertito Wes, guardandolo con la coda dell’occhio- è delle New Directions.”
New Directions..? Il gruppo che avremmo dovuto sfidare alle provinciali?
“Possibile che sia…una spia?” Domandai sottovoce, dando sfogo ai miei dubbi.
“Se è davvero una spia –commentò David- allora ha fatto davvero un pessimo lavoro.”
I due del consiglio si guardarono in quel modo furtivo-cameratesco che avevo imparato a temere. Li conoscevo ormai da abbastanza tempo per capire al volo dove volessero arrivare a parare.
“Beh-conclusi io, allungando il mio sorriso- c’è solo un modo per scoprirlo.”
 
 
Dopo nemmeno un quarto d’ora mi trovavo al bar assieme a Wes, a David, e a Kurt.
Offrii un cappuccino a quest’ultimo e gli presentai i due membri del consiglio. Non servì nemmeno fargli troppe domande: Kurt abbassò lo sguardo per un attimo, leggermente titubante.
“E’ molto carino da parte vostra offrire il caffè alla spia prima di picchiarla.”
“Non abbiamo intenzione di picchiarti.” Lo rassicurò Wes, e io annuii. Nonostante avesse appena ammesso di essere effettivamente una spia, la mia testa continuava a vederlo in buona luce: dopotutto, quale spia si sarebbe dichiarata così spudoratamente!?
E’ un bravo ragazzo, pensai. I miei due amici erano d’accordo con me.
“Sei stata una spia così imbranata…da farci tenerezza.”
“Il che –aggiunsi io, accennando ad un sorriso- mi porta a pensare che spiarci non fosse la tua unica intenzione.” David mi guardò leggermente divertito. Che aveva da guardare? Cercai di scollarmi quel sorriso sornione dal volto ma sembrava un’impresa impossibile.
Kurt esitò un attimo, guardandoci di sottecchi.
“…Posso farvi una domanda?...Ma qui…siete tutti gay?”
Scoppiammo a ridere. Forse aveva ragione Ed, quando diceva che il nome “Warblers” non fosse propriamente un nome virile. E, in effetti, un solista gay poteva dare una cattiva impressione generale del gruppo. Mi sentivo un po’ in colpa.
“No”, risposi, correggendomi però quasi subito, “Cioè, io sì, ma questi due hanno le ragazze.”
E che ragazze. L’immagine di Lindsay, la “simpatica” ragazza di Wes, continuava ad albergare i miei incubi peggiori. Mai vista una ragazza di sedici anni così isterica. E poi mi chiedono perché mi piacciono gli uomini…
“Questa non è una scuola gay. Semplicemente abbiamo tolleranza zero verso le discriminazioni.” Asserì David.
 “Tutti vengono trattati allo stesso modo –confermò Wes- non importa chi o cosa siano. Semplice.”
Annuii. Sapevo bene quanto quel discorso potesse suonare ipocrita, soprattutto alle orecchie di un ragazzo gay, ma era la verità, e cercai di farglielo capire con il mio sguardo fermo.
Vidi il viso di Kurt abbassarsi lentamente in una smorfia di puro stupore.
Inclinai il capo. Conoscevo bene quello sguardo. Stavolta, però, non ero io ad averlo. Accantonai ogni diritto alla privacy e chiesi ai miei due amici di lasciarci da soli.
Sentivo un’innata voglia di aiutarlo. Forse perché mi ricordava me, appena un anno e mezzo prima, forse perché mi aveva suscitato compassione, o forse, molto più semplicemente, perché avevo tanta voglia di farlo.
“Penso di aver capito che tu abbia qualche problema a scuola.”
Kurt finalmente alzò gli occhi. Erano lucidi.
“Sono…sono l’unico ragazzo dichiarato nella mia scuola. Cerco di essere forte, ma…c’è un uomo di Neanderthal che continua a rendere la mia vita un inferno. E nessuno sembra accorgersene.”
“So come ti senti.” Commentai, con un sorriso malinconico stampato sulle labbra.
Mi persi per un attimo in quei ricordi così tristi, da non essere mai riuscito a cancellarli. Gli dissi di come anche io fossi stato maltrattato, e ignorato, e di come avevo deciso di trasferirmi alla Dalton.
“Niente più problemi.” Chiarii, stringendomi nelle spalle. Sì, ma a che prezzo? L’ombra del rimorso continuava a pendere su di me, pesante come un macigno.
No, non volevo che anche Kurt subisse la mia stessa grandissima debolezza.
“Hai due opzioni. Ti direi di venire qui alla Dalton, ma so che la retta è molto alta e non è facilmente accessibile da tutti.” E poi, non volevo veramente consigliargli quell’opzione.
“Oppure…puoi rifiutarti di essere la vittima.” Lo guardai dritto negli occhi. Cercai di infondergli quella sicurezza che nessuno mi aveva donato quando ero stato io ad averne bisogno.
“Il pregiudizio deriva dall’ignoranza, Kurt. E tu puoi insegnarlo a quel tizio.”
“Come?” Mi chiese lui, atono.
“Combatti!” Esclamai. “Reagisci!”
Esitai per un attimo.
“Io sono fuggito, Kurt. Non ho combattuto. Ho lasciato che i bulli mi cacciassero via.
…Ed è qualcosa che io davvero…davvero, rimpiango.”
Ecco, l’avevo fatto. Gli avevo confessato il mio più grande rammarico. Non l’avevo mai ammesso a nessuno, e faticavo a dirlo persino a me stesso. Lo feci per aiutarlo. Non volevo che fuggisse. Ma, allo stesso tempo, non volevo che soffrisse come avevo sofferto io.
Afferrai dalla tracolla un foglietto ed una penna, scrivendoci velocemente.
“Tieni. E’ il mio numero di telefono. Se hai bisogno di qualcosa, anche solo di parlare, chiamami. D’accordo?”
Lui mi fissò. Non seppi decifrare con esattezza il suo sguardo. C’erano troppi sentimenti dentro, tutti mischiati assieme. Guardò il fogliettino stropicciato, e per la prima volta in tutta la giornata lo vidi sorridere sinceramente. Era un sorriso strano: non mostrava i denti, e le sue labbra si incurvavano all’insù delineando delle fossette sulle guance rosee. Non avevo visto nessuno sorridere in quel modo.
“Grazie.” Sussurrò, asciugandosi i lacrimoni e afferrando il mio numero come se si stesse aggrappando ad una scialuppa di salvataggio.
Sorrisi. “Prego.”
 
 
“Insomma…Blaine.”
Quando Flint iniziava un discorso con quelle precise parole e quell’esatto tono di voce, per me significava soltanto una cosa: rogne.
“Mi hanno detto che ti sei fatto un nuovo amichetto…eh?!?!?!?”
Sospirai. Ma non riuscii a trattenere un mezzo sorriso. Sperai che Flint non se ne accorgesse.
“E quel mezzo sorrisetto cosa dovrebbe significarmi???”
“Flint… ”esordii, cercando di riparare il riparabile. “Si chiama Kurt. Ha dei problemi alla sua scuola, e io mi sono offerto di aiutarlo. Punto.”
“Problemi del tipo –oh, ho sporcato di nuovo la divisa di burro di arachidi- o problemi del tipo –io sono gay, tu sei gay, potremmo essere gay insieme-?”
“Problemi del tipo di quelli che ho avuto io, prima di venire qui.”
“…Ah.” Sapeva bene che quello era un argomento tabù, e non mi piaceva giocare quella carta, ma la situazione mi stava scivolando di mano.
Vittoria, pensai, quando lo vidi immergersi  nei compiti, chiaramente frustrato.
Potevo evitare di parlarne a Flint, ma non a me stesso: mi misi seduto a gambe incrociate, rielaborando tutta la giornata passata: l’incontro per le scale, la corsa, la canzone, il caffè… era normale che mi fossi esposto così tanto per un ragazzo che conoscevo appena?
Tutto quel riflettere mi stava facendo venire l’emicrania. Non ero mai stato bravo con quel genere di cose.
Alla fine riuscii a convincermi che le mie azioni fossero giuste e, soprattutto, innocenti.
Volevo soltanto aiutare un ragazzo simile a me che era in seria difficoltà. Cosa c’era di male?
Nientemi dissi, mentre afferravo il cellulare, scorrendo lentamente la rubbrica fino ad arrivare al numero di Kurt. Mi aveva fatto uno squillo poco dopo esserci salutati, permettendomi così di salvare il suo numero.
Inaspettatamente mi resi conto che stavo per premere il pulsante “chiamata”. Fortunatamente, mi fermai in tempo e per poco non mi scivolò il cellulare dalle mani. Flint mi guardò di sottecchi, poi fece finta di niente e riprese a studiare. Dopo avermi visto cantare Nowadays del musical Chicago improvvisando un manico di scopa come microfono si era piuttosto temprato alle mie uscite bizzarre.
Tornai a concentrarmi su Kurt. Non potevo chiamarlo. Sarei sembrato uno stalker, o peggio, un ragazzo fin-troppo-invadente e decisamente strano. Serrai la mascella, indeciso sul da farsi.
Decisi che un sms sarebbe stato perfetto. Un paio di frasi fatte, sul tempo, e magari, ringraziamenti per lo squillo, un approccio informale e non troppo mirato. No, così sarei risultato noioso. Magari una domanda lampo, del tipo “come vanno le cose?”…ma era davvero troppo lampo, e troppo diretta!
Dopo cinque minuti di riflessione mi prese il mal di testa e sospirai pesantemente. Il cellulare scivolò sul letto e io mi sentivo stanco come se avessi fatto il peggior compito di algebra della mia vita.
“Amico” fece Flint, socchiudendo per un attimo il libro di storia. “…tutto bene?”
“…Sì. Cioè, no. Cioè…” strinsi i pugni. Vorrei soltanto che sapesse che io ci sono… non voglio che si senta solo. E’ così brutto sentirsi soli…
Volevo infondergli coraggio. Coraggio. Afferrai di nuovo il cellulare e lo scrissi. Courage.
Dopo qualche secondo ricevetti la notifica di “messaggio ricevuto”. Sorrisi.
E sperai, in cuor mio, di aver donato un sorriso anche a Kurt.

Eccoci qui al fatidico capitolo...spero che la dinamica di Blaine vi sia piaciuta. Più guardo quella puntata e più mi convinco che i suoi pensieri fossero davvero quelli. Contando poi la sua lentezza nel capire le cose, mi sembrava giusto che si autoconvincesse di non provare niente per Kurt. Insomma, fatemi sapere che ne pensate!

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Capitolo 5
*** Courage ***


Capitolo 4
Courage

 
 
Era un noioso giorno qualunque e io ero alla solita riunione del Glee Club.
Stavo comodamente seduto sul divano dell’aula prove e cercavo con tutto me stesso di partecipare alla conversazione, ma c’era un litigio in atto e non avevo alcuna voglia essere interpellato.
Cercai di estraniarmi dal mondo, ma il martelletto di Wes mi perforò i timpani.
“Warblers! Warblers! Non è il momento di litigare.”
“Wes ha ragione -commentò David- le provinciali sono vicine e non abbiamo ancora scelto una canzone!”
“Non mi interessa! -Protestò un primino fin troppo sicuro di sé- Io non sono stonato. Non potete escludermi soltanto per delle congetture di qualche ragazzo invidioso!”
Sviai lo sguardo, sospirando. Ogni tanto capitava qualche ragazzo che tentava a tutti i costi di entrare negli Warblers con lo scopo di diventare popolare, ed era sempre uno strazio dovergli spiegare in modo gentile che non ci piaceva accettare gente stonata solo per aumentare la sua notorietà.
“Non si tratta di QUALCHE ragazzo. Ti abbiamo sentito e, mi dispiace molto, ma sei ancora…inesperto.”
Inesperto. Un modo carino per dire che era completamente negato. Abbozzai un sorriso, divertito. La diplomazia di David era sempre esemplare.
“La so io qual è la verità… -sentenziò il ragazzo con occhi furenti- avete paura che monopolizzi tutta l’attenzione, che diventi la nuova stella degli Warblers!”
E in quel momento tutta la stanza si riempì di critiche, sguardi sbigottiti e risate incredule.
Io poggiai la testa sullo schienale del divano, socchiudendo gli occhi. Avrei potuto benissimo addormentarmi lì, in quella posizione, in mezzo a quel caos, se qualcosa nella tasca dei pantaloni non avesse cominciato a vibrare.
Guardai disattento il nome sul display. Pensai subito a qualche richiesta di Ed, o ad uno scherzo di Colin.
Per poco non saltai giù dal divano quando lessi il nome Kurt. In quello stesso momento i membri del consiglio avevano pensato bene di mettermi in mezzo alla discussione.
“Blaine? Blaine! - Urlò Thad facendomi tornare alla realtà -Dì qualcosa anche tu!”
Balbettai qualche parola, ma il cellulare continuava a vibrare insistentemente.
“Io..scusatemi.” Mi defilai verso un’aula silenziosa evitando gli sguardi scandalizzati dei compagni. Quando mi accertai di essere lontano da occhi e orecchie indiscrete mi rassettai un attimo, schiarendomi la voce, e risposi.
“Hei Kurt! Ciao, come va? Che piacere sentir..”
“Blaine.” Mi sussurrò il ragazzo, con la voce spezzata.
“Kurt!? Che succede? Stai bene?!?” Esclamai, aggrottando le sopracciglia.
“Sì…cioè…non lo so…io…scusami…-aggiunse infine, abbattuto- non sapevo chi altri chiamare…”
Cercai in tutti i modi di nascondere la mia preoccupazione, ma non mi riuscì molto bene, anzi, diciamo che non mi riuscì affatto.
“Che è successo? Ti hanno fatto del male? E’ stato quel ragazzo di cui mi hai parlato ieri?”
Ovviamente la mia reazione peggiorò soltanto le cose. Lo sentii scoppiare in lunghi singhiozzi, e io strinsi istintivamente i pugni. Guardai l’ora: erano quasi le quattro, le lezioni stavano per finire.
“Dove ti trovi?” Domandai, stavolta più calmo.
“A…a scuola.”
“A che ora finisci? Ti vengo a prendere.”
“No, Blaine, non ti preoccupare” ribatté il ragazzo, mortificato.
“No, tu, non ti preoccupare. Che scuola frequenti?”
“…Mc Kingley..a Lima.”
“Dammi venti minuti e sono da te.”
 
 
Avevo detto venti minuti, ma in verità arrivai a destinazione in un quarto d’ora.
Probabilmente avevo infranto una dozzina di codici della strada, ma non mi importava.
Trovai Kurt al cancello d’entrata, le braccia incrociate, lo sguardo ancora spaventato.
“Ciao.” Abbozzai un sorriso. ”Ti va di salire? Ti offro un caffè.”
Lui annuì, ed entrò velocemente in macchina.
Seduti  ad uno dei tavolini del Lima Bean, aspettai pazientemente che fosse lui il primo a parlare, e mentre lo guardavo bere qualche sorso del suo latte scremato cercai di osservarlo in modo discreto, verificando se avesse occhi neri o labbra spaccate.
“Sto bene, Blaine.” Disse infine, guardandomi di sottecchi. “Non c’è bisogno che tu mi faccia la radiografia.”
“Oh.” Meno male che dovevo essere discreto. In pratica l’avevo scannerizzato con gli occhi. “…scusa.”
“No, scusami tu…” fece lui, addolcendosi. “Per…per la telefonata. Ero molto scosso e…”
“Non ti preoccupare, hai fatto benissimo.”
Esitò un secondo, martellando l’indice contro il suo bicchiere.
“Ho fatto come hai detto tu…ho affrontato quel ragazzo.”
Per un momento che sembrò un’eternità mi si gelò il sangue nelle vene. Lo guardai interdetto, gli occhi sgranati come due fari. Non mi ero mai sentito così amareggiato in vita mia.
“Oh, Kurt.. Mi, mi dispiace così tanto… ti ho detto io di affrontarlo, di non fuggire… è solo colpa mia. Sono veramente un idiota…”
Ma come potevo essere stato così deficiente!? Per colpa mia, del mio stupido consiglio, del mio stupido non farmi i fatti miei, avevo messo in pericolo quel ragazzo. Stupido, cretino di un Blaine. Avrei voluto prendermi a padellate in testa, avrei voluto picchiarmi, avrei voluto…
“Oh, no, non è stata colpa tua, Blaine!” Esclamò Kurt interrompendo i miei improperi.
Oh, sì invece.
“Che cosa ti ha fatto!?” Incalzai, e ogni secondo che passava mi sentivo sempre più uno schifo.
“…Non mi ha fatto del male. Non fisicamente, insomma.”
“Come?” Inarcai un sopracciglio. Lipperlì non avevo capito. Kurt stringeva sempre più il suo latte scremato.
“Gli stavo urlando contro e…e poi…tutto ad un tratto…mi ha baciato.”
Devo dire che durante il viaggio d’andata il mio povero cervello aveva simulato ottomila conversazioni diverse, un centinaio di risposte più o meno simili, una ventina di varianti della stessa dinamica. Insomma, pensavo di essere pronto a sentire qualsiasi cosa, per non avere reazioni esagerate di fronte a Kurt ed evitare sguardi scandalizzati. Come non detto. Sentendo quella risposta la mia mascella scese di due piani.
Fissai Kurt per circa una quarantina di secondi. Forse non avevo capito bene? Purtroppo, però, le sue guance rosso porpora mi toglievano ogni dubbio.
Baciato…da quel ragazzo? Ma come era possibile? Che razza di bullo gli era capitato!?
Lo vidi esitante. Aspettava un qualche mio commento? E cosa potevo dire? Ci ero rimasto di sasso almeno quanto lui.
Cercai di riflettere ad alta voce, rendendo Kurt partecipe dei miei pensieri.
“Questo ragazzo ha sicuramente agito d’impulso, seguendo l’istinto. Il che mi porta a pensare che magari tutto questo suo tamponarti deriva dal fatto che…che gli piaci?”
“Cosa!?” Sbottò Kurt, strabuzzando gli occhi. “Assolutamente no! Karofsky è l’immagine tipo del ragazzo etero che finirà per sposare una donna che ha messo involontariamente incinta e che finirà i suoi giorni tracannando birra e guardando le registrazioni di partite di football degli anni venti!”
“Beh, a me sembra molto confuso.” Ribattei, cercando di non ridere dell’immagine appena descritta.
“Sì, forse hai ragione tu…” asserì lui, abbandonandosi alla sedia. “Sarebbe molto meglio se si schiarisse un po’ le idee e ne parlasse con qualcuno.”
“Già…” ma con chi? Dopo qualche secondo sorrisi, illuminatomi.
“Gli parlerò io.”
Kurt mi guardò sbigottito. Probabilmente si stava chiedendo se conoscessi la frase “non sono fatti tuoi”, o più semplicemente si stava domandando se fossi pazzo.
“No, Blaine, lascia stare.” No che non lasciavo stare. Lo fissai dritto negli occhi.
“Kurt…fammi fare un tentativo. Per favore.”
Lui mi guardò di rimando, e dal suo sguardo folgorato pensai che fosse rimasto colpito dalle mie parole. Non potevo ancora sapere che in verità stava ammirando i miei occhi.
 
 
 
“Sta scendendo le scale.” Kurt abbassò lo sguardo, indicando un armadio in felpa rossa.
“Non ti preoccupare, lascia che ci parli io.”
“Eccolo” fece lui di nuovo, con voce tremante.
“Ti copro le spalle.” E detto quello gli passai davanti, bloccando il passaggio al bullo.
“Scusami?” Lo chiamai, anche se dal tono di voce non sembrava molto una richiesta.
Lui mi squadrò brevemente, facendo una smorfia.
“Ciao signorine.” Si voltò poi verso Kurt. “E’ il tuo ragazzo, Kurt?”
“Kurt e io vorremmo parlarti di una cosa.” Dissi io, ignorando la sua provocazione. Lui tagliò corto: “Devo andare in classe.” E mentre dava uno –forse, l’ennesimo- spintone a Kurt, richiamai la sua attenzione.
“Kurt mi ha detto quello che hai fatto.”
Lui si voltò seccato. “Ah sì? E cosa?”
“Mi hai baciato.” Sentenziò Kurt, gelido. Vidi il ragazzo tentennare un secondo, guardandosi intorno. Si vedeva lontano un miglio che era spaventato.
“Non so di cosa tu stia parlando.” Ma a chi la dava a bere? Per un momento provai quasi compassione per lui. Infondo, era soltanto un ragazzo spaventato, solo, bisognoso di aiuto. Anche alla Dalton c’erano ragazzi che avevano paura di affrontare la realtà, e non avevo mai negato loro una mano. Anche lui non faceva nessuna eccezione, quindi provai veramente ad offrigli il mio aiuto.
“Sembri leggermente confuso...” commentai, abbozzando un sorriso gentile. “E’ del tutto normale! E’ una cosa davvero difficile da gestire…devi soltanto sapere che non sei da solo..!”
Lo vidi esitare. Per un attimo pensai davvero di essere riuscito ad attirare la sua attenzione. Capii di aver frainteso solo quando lo vidi caricare verso di me e sbattermi contro la grata delle scale.
Un brivido freddo percorse tutto il mio corpo, ma dopo nemmeno un secondo sentii Kurt urlare “devi smetterla!” , e con uno scatto d’ira scaraventò via il bullo.
Trattenni il respiro, ma non distolsi lo sguardo da lui nemmeno per un secondo. In una situazione simile avrei avuto sicuramente paura, ma non lì. Lì c’era Kurt con me, e avevo giurato a me stesso che lo avrei aiutato. Anche a costo di finire all’ospedale.
Fortunatamente non ce ne fu bisogno: il ragazzo andò via trafelato e palesemente seccato.
“Beh -sdrammatizzai, stringendomi nelle spalle- Non credo che farà coming out molto presto.”
Ma Kurt sembrava ancora più abbattuto di prima. Gli domandai cos’avesse, e i suoi occhi si fecero di nuovo lucidi.
“Perché fino a ieri non avevo mai ricevuto un bacio. O meglio, non quel genere di bacio.”
Oh. Il primo bacio…dato a quel ragazzo. Il primo bacio, quello che non dimenticherai per il resto della tua vita.
Avrei voluto dire qualcosa, per tirarlo su di morale, ma non riuscivo a trovare niente che potesse confortarlo. L’unica cosa che potevo fare era posare dolcemente una mano sulla sua spalla, e sorridergli.
“Coraggio, ti offro il pranzo.”
 
 
“Sei sicuro di stare bene?” Gli domandai per l’ennesima volta, prima di salire in macchina.
“Per la centesima volta, sì, Blaine.” Rispose Kurt, roteando i suoi occhi cristallini.
“Ma sei davvero sicuro? Guarda che posso ignorare il coprifuoco della Dalton e rimanere un altro po’!”
“Blaine –fece lui con tono canzonatorio, ma con un sorriso divertito sulle labbra- mi hai offerto il pranzo, abbiamo parlato mezz’ora della nuova collezione primavera/estate di Prada, siamo andati per negozi... ti assicuro che sto molto meglio. Oltretutto stai già ignorando il tuo coprifuoco, visto che sono le cinque e venti.”
Inarcai le sopracciglia, fingendomi sorpreso: “Wow, si è fatto così tardi?”
Kurt mi guardò divertito. “Ti prego, Blaine. Non voglio una tua nota disciplinare sulla coscienza.”
“Va bene Kurt...”  Lui sorrise, fiero di aver vinto una discussione che si era protratta per oltre dieci minuti.
Ma con me le battaglie non si vincevano tanto facilmente.
“Però! – e per poco non scoppiai a ridere vedendo il suo volto esasperato – Promettimi che mi chiamerai all’istante. Qualunque sia il problema e a qualsiasi ora. Sono disponibile 24 ore su 24, come i Call Center.”
Kurt rise, e io non potei che sorridergli di rimando. Era così bella, la sua voce.
“D’accordo.” Disse infine, stringendosi nelle spalle.
“Perfetto. Ci sentiamo presto, ok?” Feci un rapido saluto con la mano mentre accendevo il motore della macchina. In quello stesso momento Kurt disse qualcos’altro. Dal suo sguardo sembrava una cosa seria. Maledissi quel motore ingolfato che aveva coperto la sua voce e ammisi amareggiato di non aver capito.
“..Grazie.” Ripeté di nuovo Kurt, timido, stringendo la tracolla di cuoio.
Il mio sorriso si fece più caldo.
“Non c’è di che.”
 
 
Come previsto arrivai in enorme ritardo. Fortunatamente sapevo di avere dei buoni amici che mi avevano coperto con il professore di turno.
“Oh, ecco Blaine!” Esclamò Ed, indicandomi da lontano. Io corsi verso il sorvegliante, accennando a delle scuse, ma lui scrollò violentemente il capo.
“No-non ti preoccupare, Anderson.” Balbettò, diventando viola. “Non ti devi assolutamente scusare. Spero che tu abbia risolto il tuo…hem…problema.”
“…Sì, certo. La ringrazio per l’interessamento, professor O’Riley.”
Lui annuì titubante, e poi si defilò velocemente. Mi girai verso i miei amici con un sorriso spettrale.
“Posso sapere, di grazia, quale problema avrei avuto?”
“Mah, niente di che – commentò Nick, trattenendo a stento le risate- gli abbiamo detto che hai avuto un attacco di diarrea acuta, e che non riuscivi più ad alzarti dalla tavola del cesso.”
Li fissai.
“Mi rimangio tutto quello che ho pensato su di voi.”
“Perché? Cosa avevi pensato?????” Urlò Ed tenendomi per la giacca.
“Sicuramente aveva pensato che siamo i migliori amici del mondo!”
“Esatto, Nick. Avevo.”
“Ah sì? E allora i tuoi ex-amici non ti copriranno più le spalle per le tue uscite con il tuo amico…”
“Colin, togliti quel sorrisetto da saputello. Quante volte vi devo dire che..” ma in quello stesso momento ricevetti un sms.
Grazie ancora per oggi. Non so come avrei fatto senza di te :) –Kurt.
E mentre leggevo quel messaggio commisi il grave errore di dimenticarmi completamente dei ragazzi davanti a me. Quando rialzai la testa mi ritrovai non uno, ma tre sorrisetti da saputelli che mi osservavano raggianti.
“Hei ragazzi!” Flint scese le scale e corse verso di noi, salutandoci con entusiasmo. Dentro di me ringraziai il cielo per l’ottimo tempismo.
“Allora? Che avete fatto oggi?”
“Mah, le solite cose…” borbottò Ed.
“Già.” Feci io, tornando a fissare il mio cellulare. “Le solite cose.”



Sto scrivendo a macchinetta. Ma come dice il detto: carpe diem. Sono piena di voglia e ispirazione e non me le lascerò scappare. Questo capitolo è stato un pò pesante, ma era una tappa importante per il Klaine e meritava di essere scritta. Spero di non avervi annoiato troppo :) ne approfitto per ringraziare tutte le anime pie che mi stanno seguendo e quei Santi che mi hanno addirittura recensita. Davvero, grazie!

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Capitolo 6
*** Sorridendo ***



Capitolo 5
Sorridendo

 
 
“L'elemento cloro contiene il 77,35% dell'isotopo Cl35 e il 22,65% dell'isotopo Cl37. Determinare il peso atomico dell'elemento. Beh dai, non è così difficile. Basta fare il rapporto trai loro numeri di massa atomica e dividerli per 10.000…giusto?”
...Nessuna risposta. Cercai di non badarci. Magari erano concentrati a seguire il filo del mio discorso.
“Dovrebbe tornare…35,45. Questo equivale esattamente alla massa media dell’elemento.”
Ok, c’era decisamente troppo silenzio.
“Ragazzi?” Alzai lo sguardo: Nick, Colin, Ed e Flint mi stavano fissando come se avessi appena parlato serpentese. Sospirai, abbandonando la testa contro il foglio appena scritto.
“Potreste ascoltarmi un pochino? O come minimo, far finta? Il muro del pianto mi darebbe più soddisfazioni...”
“Ci dispiace, Blaine” borbottò Nick, guardandosi i lacci delle scarpe.
“Ok, niente panico” dissi, più a me stesso che a loro. La situazione era più difficile del previsto, ma non mi davo per vinto. “Facciamo un passo alla volta, d'accordo?”
Le loro espressioni rimasero immutate. Non era un buon segno.
“Sapete dirmi cosa sono gli isotopi?”
Niente.
“Il numero atomico e quello di massa?”
Zero.
“...La definizione di elemento!?!?”
Nada. Ero sull'orlo dell'esasperazione. “Ma avete mai aperto il libro di chimica!?”
“Io sì! - Esclamò Colin- Ho letto il paragrafo introduttivo!”
Flint strabuzzò gli occhi: “Ma quello è il commento dell'editore!”
“Embè? Dice cose interessanti sull'impaginazione!”
“Sei un idiota. -bofonchiò Ed- anche solo leggendo l'indice avresti imparato qualcosa di più!”
“Beh, io almeno ci ho provato, tu che hai fatto in questi giorni!?”
Mi sono letto le introduzioni!” Canzonò lui, con le mani avanti e una vocina altamente urtante.
“Mi prendi in giro, Atwood!?”
“Cerchi rissa, Thompson!?!?”
E in meno di un secondo Colin saltò addosso a Ed, Nick cercò di staccarli, Flint afferrò il cellulare pronto a registrare tutta la scena. E io... io prendevo a testate il libro. Eh sì, il compito di chimica di Sabato sarebbe andato una meraviglia. C'era talmente tanto casino che non mi accorsi del mio telefono che intanto aveva cominciato a vibrare e a suonare freneticamente.
“Blaine!” Sbraitò Ed, indicando il mio vecchio Samsung ammaccato. “Ti vuoi decidere a rispondere!? Se sento Teenage Dream un secondo di più giuro che lo scaravento fuori dalla finestra!”
“Ed ha ragione...cambia suoneria, ti prego.” Commentò Flint, acido. Prima di rispondere alla chiamata li guardai gelido.
“Mai.” Niente e nessuno al mondo mi avrebbe fatto ripudiare Katy Perry.
“Pronto?” Non avendo letto il nome sul display rimasi felicemente sorpreso nel sentire la dolce voce di Kurt.
“Ciao Blaine!”
“Hei...ciao!” Volevo chiedergli il motivo della chiamata, ma poi sussultai: di solito ci sentivamo via sms, e l'ultima volta che mi aveva chiamato era successa quella cosa con Karofsky...
La mia euforia svanì in un lampo. “Oh no.” Per poco non saltai giù dalla sedia. “E' successo qualcos'altro!? Stai bene!?”
“Blaine, rilassati! Niente uragani in vista. Non ti ho chiamato per...per quello.” Disse lui, intimidito.
“Oh..o-ok.” Maledetta impulsività. Prima o poi avrei imparato a parlare prima di pensare.
“Venerdì -seguitò poi, tornando di colpo allegro – ho serata libera. Che ne dici di andare a cena fuori? Devo ancora sdebitarmi di quel pranzo.”
Sorrisi. “In altre circostanze ti direi che non è assolutamente necessario...ma per questa volta farò un'eccezione.” Avevo troppa voglia di vederlo per mettermi a discutere su chi offrisse che cosa.
“Perfetto! -esultò, raggiante- Ti mando un sms per l'ora e il luogo, ok?”
“Sicuro!” Stavo per dire qualcos'altro, ma poi mi accorsi di essere leggermente osservato.
Ovviamente erano i miei amici completi di fantomatico sorrisetto.
“Hem... scusa, devo andare. Ci sentiamo.”
“Ok, ciao!” Quando mi accertai che avesse riattaccato lo feci anche io, e subito dopo ripresi a studiare come se niente fosse. Non avrei dato loro nessuno spago. Li avrei ignorati per tutto il tempo.
Ma dopo nemmeno mezzo minuto che mi stavano fissando imperscrutabili rialzai nervosamente la testa, ed esclamai: “Insomma che volete?!?”
“Oh. Peccato.” Commentò Ed, sinceramente dispiaciuto. “Avrei voluto vederlo un altro po'.”
“Era quello, vero?”Domandò Flint, esagitato. “Il sorriso.
“Sìsì -confermò Nick -lo riconoscerei tra mille.”
“Non so di cosa stiate parlando... -feci io, inarcando le sopracciglia- e, sinceramente, non voglio nemmeno saperlo. Farò finta di non aver sentito, anzi, sapete cosa? Io non vi conosco.”
I quattro si guardarono, ridendo sotto ai baffi.
“Era Kurt, vero?”
Rimasi interdetto. “Come...come fate a saperlo?” Eppure non mi sembrava di aver pronunciato il suo nome, e non potevano di certo aver riconosciuto il timbro di voce.
“Perchè per tutta la conversazione avevi quel sorriso stampato in faccia. Quello che hai sempre quando parli o pensi a lui.”
“Che cosa!? -sbottai- Ma di che state parlando!? Io non ho assolutamente alcun sorrisetto quando parlo con Kurt. Certo, ogni tanto mi capita di sorridere, ma...”
Ogni tanto?” Ribattè Ed.
“Amico – fece Colin – non è che tu sorridi e basta. Sorridi come un ebete tanto che le labbra ti arrivano agli occhi. E quando parli con Kurt sorridi sempre in quel modo.”
“Già -commentò Nick – è il Kurt-sorriso.
Gli altri tre approvarono immediatamente il nuovo termine con applausi e apprezzamenti. Dal canto mio, presi tutta la mia roba e li salutai con un commento secco:
“Invece di fantasticare su queste assurdità fareste meglio a studiare. Ah, e per la cronaca, vi siete appena giocati il vostro passatore ufficiale di compiti in classe.” Ora sì che sorridevo.
Alzai i tacchi e mi avviai verso i dormitori. Non avevo bisogno di guardarli per immaginare la disperazione sui loro volti. Mi complimentai interiormente per la grandiosa uscita con stile.
Ma che Kurt-sorriso! -Pensai- Questi sono di fuori come balconi. E' vero che con Kurt sorrido spesso, ma insomma, io sorrido spesso in generale! Non ha alcun senso.
Mi convinsi immediatamente di quella tesi, ed uscii dalla stanza ancora più soddisfatto.
 
 
 
Era Venerdì e io mi sentivo leggermente ansioso. Ansioso perché non avevo fatto in tempo a togliermi la divisa, e temetti che Kurt pensasse fosse l'unico indumento presente nel mio armadio, e poi perché quella stessa mattina avevo ricevuto un suo sms, apparentemente innocuo, fino a quando non scorsi un piccolo ps in fondo al display:ti dispiace se viene anche un'altra persona?
Nessun problema! Risposi io, ed era vero: ero felice di incontrare un suo amico. Fui un po' meno felice di scoprire che si trattava, molto semplicemente, della sua migliore amica storica.
Da come me l'aveva descritta Kurt sembrava una brava ragazza: simpatica, alla moda, con la risposta pronta e molto diretta, insomma il mio tipo. Omosessualmente parlando. Eppure non riuscivo a togliermi di dosso quel leggero stato di ansia, come se mi trovassi ad uno spettacolo e mi stessero osservando i più grandi critici di Broadway.
Era la sua migliore amica: colei che conosceva Kurt come le sue tasche e con il quale aveva passato tantissimi bei momenti. Dovevo, anzi, volevo farle una buona impressione.
Il piano era semplice: riempirla di attenzioni, lanciarle qualche complimento velato e lasciare gentilmente che parlasse di tutto ciò che le passava per la testa.
Ma come ben si sa, la teoria è molto diversa dalla pratica.
All'inizio ci stavo quasi riuscendo: parlavo poco, perlopiù ascoltavo; tentai di fare domande che appassionassero anche lei -come il football, a chi non piace il football?- e seguii sempre con molta attenzione tutte le sue risposte. Ma come potevo concentrarmi al cento per cento su di lei, quando a dieci centimetri da me c'era un Kurt a dir poco radioso che tirava fuori un argomento interessante dopo l'altro?
Partimmo dal commentare brevemente l'ultimo video di Lady Gaga e finimmo in un acceso dibattito sul divorzio. Dibattito, si fa per dire: io e Kurt la pensavamo esattamente allo stesso modo su praticamente qualsiasi cosa! Era a dir poco incredibile: avevamo la stessa passione per i musical, entrambi adoravamo Barbra Streisand, Patti Lupone e tutte le dive del passato...avevamo persino eletto contemporaneamente Marion Cotillard come copertina più bella dell'anno!
Inutile dire che caddi in una bolla di sapone, e mi dimenticai completamente del piano. Senza nemmeno accorgermene era finita la serata e praticamente della migliore amica di Kurt avevo imparato soltanto il nome.
“Scusami, Mercedes -mormorai, mortificato- immagino che ti sarai annoiata da morire.”
“Figurati -fece lei, con un bel sorriso che mi risollevò il morale- con Kurt ci posso parlare tutti i giorni, e con te...beh, sono sicura che avremmo altre occasioni per conoscerci.”
“Lo spero- affermai io -voi ditemi dove e quando e io ci sarò.”
Ci fu un attimo di silenzio, nel quale mi accorsi che Kurt non aveva ancora proferito parola. Mi voltai quindi verso di lui, e per poco non scoppiai a ridere nel vedere il suo sguardo perso nel vuoto.
“Kurt, riprenditi!" Sobbalzò come se fosse stato appena colto nell'atto di rubare un trench da Gap.
“Oh” balbettò, mentre le sue orecchie diventavano sempre più color porpora “hem, io, io stavo...”
“Stavi sognando ad occhi aperti.” Concluse Mercedes, e notai che lo stava fissando in un modo strano.
Inarcai un sopracciglio. Dove avevo già visto quel sorriso sghembo?
Un istante dopo mi passò davanti l'immagine di Flint, Nick, Ed e Colin.
Ma che diav..?!?
“Eh sì, sono proprio stanco.” Borbottai, entrando nella Mustang di Flint.
“Sarà meglio che vada”,prima di impazzire completamente.
“Ci vediamo!” Esclamò Mercedes, mentre Kurt mi salutò sventolando velocemente la mano destra, sussurrando qualcosa che, dalla lettura delle labbra, ipotizzai fosse uno ciao.
Ricambiai i saluti con un enorme sorriso, e poi mi avviai.
Ero stato talmente tanto bene che nemmeno il test micidiale di Chimica sarebbe riuscito a togliermi il sorriso. Anzi, ero talmente euforico che pensai di contraccambiare il gentile furto prestito della macchina di Flint.
La mattina dopo, infatti, dopo aver fatto un compito perfetto -modestie a parte- lo rilessi un ultima volta e poi, facendo l'occhiolino, glielo passai.
Lo sguardo nei suoi occhi fu un misto tra ammirazione e commozione. Mi ringraziò in tutte le lingue che conosceva -che in verità si limitavano a due: l'inglese e il francese- e felice come una Pasqua si accinse a fare test.
Non sono mai stato un tipo che porta rancore, e quel giorno ero davvero di buon umore, quindi decisi di aiutare anche Ed, Colin e Nick.
Eh sì, pensai, mentre guardavo compiaciuto i volti estasiati dei miei amici, va tutto per il meglio.
“Andeson.”
...O forse no.
“...Sì, professoressa Pitsbury?”
“Che sta facendo?”
“...Niente.” La mia voce uscì inquietantemente alta e ridicola.
“Sta...copiando?”
“Assolutamente no.”
Sudore freddo. Ero talmente paralizzato da non riuscire nemmeno a respirare. Presi fiato solo quando vidi i suoi grinzosi occhi neri distogliersi dai miei.
“Ah, molto bene.”
Quando la vidi allontanarsi tirai il sospiro di sollievo più grande della mia vita.
...Ma era troppo presto per cantare vittoria.
“Anderson -fece di nuovo lei, glaciale- sa chi odio più dei copioni?Gli amici dei copioni. Consegni il test; la voglio nell'ufficio del preside tra dieci minuti.”


*****


Povero Blaine...la prof gli ha cancellato completamente il Kurt-sorriso!
Insomma, che ve ne pare? E' stato difficile tirar fuori un capitolo da una scena così breve come quella del dialogo tra Kurt, Blaine e Mercedes. Ho pensato che sarebbe stato più divertente inserirla nel contesto scolastico di Blaine e dei fringuelli. Come sempre, spero di non avervi annoiato troppo. A proposito, a tutti coloro che hanno recensito e che stanno seguendo la mia storia: un grandissimo e sentitissimo GRAZIE. Non potete immaginare la gioia che mi date.

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Capitolo 7
*** Vieni alla Dalton ***


Capitolo 6
Vieni alla Dalton.
 

 
“TU devi fare CHE COSA per QUANTO TEMPO!?”
“Ragazzi, non urlate!” Esclamai io, avvicinandomi di più per farmi sentire meglio.
“Tre ore al giorno di aiuti burocratici. La Pitsbury mi farà ricopiare tutti i verbali possibili ed inimmaginabili.”
 “Ma questo.. -balbettò Ed, sventolando le mani come se fosse in preda a delle convulsioni – questo è sfruttamento minorile!! Non può farlo! Può farlo?!?” Domandò poi, voltandosi di scatto verso gli altri.
“Credo di sì. In teoria si tratta solo di uno studente che aiuta una prof a compilare scartoffie.” Colin era serio, talmente serio da farmi preoccupare. Da come mi guardavano sembrava che avessi appena dichiarato il giorno della mia impiccagione.
“Ragazzi, non vi preoccupate – mi strinsi nelle spalle- voglio dire, poteva andarmi peggio. La Pitsbury voleva mettermi una nota disciplinare sul curriculum, ma alla fine il preside è riuscito a ottenere questo compromesso.”
Nick mi fissò cinico: “Chiamalo compromesso… piuttosto che passare tre ore al giorno con quell’arpia mi sarei fatto espellere.”
“Ma quindi… -esordì Flint, che fino a quel momento era rimasto insolitamente silenzioso – non potrai nemmeno partecipare alle prove degli Warblers!”
“Sì, lo so.” era la prima cosa a cui avevo pensato. Certo, assieme a...
“Ma quindi non potrai nemmeno uscire con Kurt domani pomeriggio!?”
Sviai lo sguardo. Mi ero quasi rassegnato alla loro petulanza.
“Suppongo sia così – dissi soltanto, cercando di rimanere il più neutro possibile- anzi, ora chiamo Kurt e glielo dico.”
Ma prima di farlo mi allontano da questi ficcanaso...
Il telefono squillò per lungo tempo, e alla fine partì la deviazione di chiamata. Non ci feci troppo caso, magari non lo sentiva, o non lo aveva con sé.
Lo avrei richiamato più tardi. Adesso dovevo andare a scontare il primo giorno di carcere, e mentre mi avviavo stancamente verso l’ufficio della Pitsbury cercai man mano di farmi forza:  andiamo, Blaine, pensai, cosa sarà mai passare qualche oretta con quell’arpia a riempire moduli? Basta che fai il tuo lavoro in silenzio, e appena finito fuggi via. Fingi un calo di voce dovuto al troppo canto, così eviti pure di parlare.
Bussai. Per un attimo il cuore sperò che si fosse dimenticata del mio “doposcuola”, ma purtroppo non fu così. Eccola lì, davanti a me, con i suoi collant trasparenti, i suoi mocassini vecchi di quarant’anni -ma non quel vecchio carino, quello che fa molto vintage, erano soltanto degli orribili mocassini ammuffiti- e il suo solito maglione multicolore terribilmente scollato. Persino da etero l’avrei ritenuta inguardabile.
“Anderson.” Chissà come mai il mio nome pronunciato dalle sue labbra raggrinzite suonasse così brutto.
“Muoviti, entra.” Obbedii, ma quando sentii la porta d’acero chiudersi angosciosamente alle mie spalle cominciai a pentirmi amaramente di averlo fatto.
Non ero mai stato nel suo ufficio e sinceramente avrei volentieri evitato l’esperienza: la stanza era tristemente addobbata di polverosi fiori finti e deprimenti quadri di natura morta. Attaccato alla parete c’era il quadro di un gatto. “Ti piace?” Mi domandò immediatamente, seguendo il mio sguardo. “E’ il mio gatto, pannocchia.”
“Bel nome” borbottai, mettendomi lentamente a sedere sulla sedia ricoperta da cuscini lilla.
Appena lo feci sfoggiò un ghigno malefico e mi indicò una pila di fogli.
“Puoi cominciare da quelli.”
Io li fissai allibito. Altro che tre ore, ci avrei perso tutto il giorno.
Afferrai il primo, e il mio sguardo si assottigliò quando scorsi la datazione di quel verbale.
“10 Giugno 2002. -emanavo scetticismo da ogni sillaba -Sul serio?”
In risposta lei iniziò a mettersi un tremendo smalto arancione. Mi ricordò quello che si mette ai morti, forse perché la sua mano mi sembrava quella di uno zombie. Le chiesi educatamente –con voce glaciale- se prima o poi si sarebbe unita a me nel ricopiare quei verbali.
“Oh, vorrei tanto, Anderson –canzonò lei, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo- ma oggi mi fa male il polso e non voglio sforzarlo troppo. Capisci, vero?”
Certo che capivo. Capivo di essere appena stato fottuto.
Dopo aver impiegato quasi mezz’ora a ricopiare nel modo più perfetto possibile un’alquanta noiosa discussione di un certo professor Ross, la Pitsbury mi strappò i fogli da sotto le mani, improvvisamente, e prese a controllarli accuratamente. Io sorrisi: sono sempre stato un tipo molto preciso, ed era impensabile che potesse lamentarsi della mia calligrafia scorrevole ed elegante.
Il mio sorriso, però, svanì presto, oscurato dal suo sogghigno di vittoria.
“Qui hai sbaffato una lettera.”
Sbigottito presi ad osservare il foglio: una a era leggermente sfocata probabilmente a causa di una minuscola perdita di inchiostro. Non è possibile, pensai. Non poteva davvero contestarmi quel ricciolino. E invece sì, visto che strappò il foglio in due davanti ai miei occhi inermi.
“Riscrivilo. E ti pregherei di essere più pulito. Mi dici che figura ci faccio se presento dei verbali pieni di macchie?”
Lei mi guardava con i suoi rancidi occhietti beffardi, e io, acidamente, le risposi dicendo la prima cosa che mi passò per la mente.
La figura di una stronza.”
 
 
 “Ciao Kurt, sono Blaine. Senti…mi dispiace tanto, ma temo di non farcela per domani,  una prof mi ha messo agli arresti domiciliari… Poi ti spiego. Comunque, quando senti il messaggio, chiamami.”
Abbandonai il cellulare sul comodino e poi mi lanciai a peso morto sul letto.
“Ancora niente?” Mi domandò Flint. Scossi il capo.
“Gli ho lasciato un messaggio in segreteria, e ho provato a mandargli qualche sms, ma quando mi ha risposto c’erano solo: sì, no, ok, ahah.“
“Da come ne parli sembra che ti stia evitando.” In effetti erano giorni che non sentivo Kurt. L’ultima volta che ci eravamo visti mi sembrò che fosse andato tutto bene, anzi, più che bene: eravamo andati a vedere Rent, e all’assolo di Mimì lui quasi non cadeva dalla sedia per l’eccitazione. Dopo quella sera ci eravamo sentiti come al solito, e poi tutto ad un tratto i suoi sms erano diventati dei monosillabi.
Sarà stata l’enorme stanchezza, sarà stato il commento a freddo fi Flint, sarà stata la mia mente perversa che si diverte a macchinare teorie un po’ improbabili, fatto sta che cominciai a riflettere.
E se…e se Kurt si fosse stancato di me? E se non mi fossi reso conto di averlo assillato?
Forse, dal suo punto di vista, lui vedeva soltanto un ragazzo che conosceva a malapena e che gli inviava molti sms e gli offriva continuamente caffè; poi c’era tutta la faccenda di Karofsky… Insomma, mi ero immischiato nei suoi affari più intimi e delicati senza un minimo di ritegno! Senza parlare dei miei atteggiamenti in generale: spavaldo, schietto, con l’aria di chi la sa lunga sul mondo a soli sedici anni.
Questi pensieri, mischiati tutti insieme tra di loro e contemporaneamente a mille altri, cominciarono a martellarmi la testa come dei trapani elettrici.
E io, un po’ perso nei miei film mentali, un po’ in una profonda angoscia, ficcai la testa sotto al cuscino, e mi addormentai con una strana sensazione di amarezza.
Il giorno dopo non andò affatto meglio.
 
Prima di andare dalla Pitsbury, Nick approfittò della pausa pranzo per consolarmi, dandomi delle leggere pacche sulla spalla.
“Ascolta, Blaine: un cenno. Basta che ci fai un cenno e noi veniamo a salvarti.”
“No, grazie. L’ultima volta che mi dovevate dare una mano non ne sono uscito molto bene. Il professor O’Riley continua ad arrossire ogni volta che mi incontra.”
“Ma andiamo! Era un’idea geniale! E per la Pitsbury avevamo pensato di..”
“No grazie.” Ripetei di nuovo, e me ne andai.
Dopo qualche minuto mi trovavo di nuovo in quel maledetto ufficio, con quella maledetta donna.
“Oggi che problema ha, professoressa?” Domandai cinico indicando il suo polso fasciato.
“Oh, Anderson! Non puoi immaginare che ironico incidente ho avuto questa mattina. E’ talmente buffo che non ci crederesti nemmeno se te lo dicessi!”
Sì, perché non è vero.
“Mi metta alla prova. Sono bravo ad ascoltare.” Affermai beffardo, ma lei allungò il suo sorriso, diventando una sottospecie di ghigno.
“Oh beh, si tratta del mio gatto, Pannocchia.” Inarcai un sopracciglio: il volto era meno tirato, la voce meno stridula, e le labbra erano leggermente incurvate, ma non era un ghigno, assomigliava più…ad un sorriso?
“Voleva giocare a tutti i costi, e io non ho più l’età per fare certe cose… quel micetto mi fa impazzire!”
Non appena si accorse di come la stavo fissando cambiò immediatamente atteggiamento.
Bando alle ciance, mettiti al lavoro, non siamo mica in un salotto da tè.”
“Certo.” E proprio mentre pensavo che il mio odio verso quella donna-gattara non potesse aumentare, lei mi porse una penna apparentemente innocua, e si impose affinché la usassi. Non feci troppa resistenza e cominciai a scrivere. Purtroppo non avevo calcolato il livello di perfidia di quella megera: dopo un’ora e mezza di tacito e minuzioso lavoro, all’improvviso, una macchia nera cominciò ad espandersi su tutto il foglio, bagnando anche quello sotto, e quello sotto ancora, fino alla decima pagina.
La professoressa alzò lo sguardo simulando –anche piuttosto male, devo dire- un’espressione affranta, ma più parlava e più il suo rammarico si trasformava in gustosa vittoria.
“Oh, Anderson, ma che hai combinato!? E’ scoppiata la penna, guarda che disastro…che peccato, avevo pensato di lasciarti andare un’ora prima oggi…ma vedendo questo pasticcio temo che farai ritardo alle prove dei tuoi uccellini.”
“Ah lei dice!?” Esclamai, esasperato, mentre mentalmente maledicevo me e la mia stupida ingenuità. Me lo sarei dovuto aspettare, quella donna pur di farmi saltare le prove e tenermi incatenato alla sedia avrebbe potuto uccidere qualche sciagurato e farmi passare la settimana a trovare il colpevole.
Contai fino a dieci, come quand’ero bambino, dopodiché tirai un pesante sospiro e uscii per avvisare i ragazzi che nemmeno quel giorno sarei stato presente alle prove.
Accendendo il display, però, trovai una chiamata persa: Kurt.
Senza nemmeno pensarci premetti il tasto verde. Era da più di una settimana che non lo sentivo.
Partii a macchinetta non appena sentii il suo “pronto?”
“Kurt! Ho visto la chiamata solo adesso, scusami, è che sono stato tre ore e mezza rinchiuso in una cella fatta da carta da parati arancione e un quadro inquietante di un gatto che…”
“Blaine, Blaine! –esclamò lui, trattenendo a stento una risata- Non ti preoccupare.” Feci come consigliatomi e mi rilassai un poco, appoggiando la schiena contro la porta chiusa dell’ufficio.
“Mi dispiace per ieri…non ce l’ho fatta davvero a venire.” Esitai un attimo: i pensieri della sera prima continuavano ad albergare la mia mente come avvoltoi. Ripresi a parlare, incerto “spero…spero che tu non ce l’abbia con me. O meglio –la mia voce si fece un sussurro- ho pensato… ho temuto, che tu ce l’avessi con me.”
“Cosa!? E perché mai!?”
“Beh…perché mi hai mandato degli sms strani… e non rispondevi più al telefono e..”
“Ah sì –fece lui, interrompendomi- hai ragione, scusa, avevo visto le tue chiamate ma ho avuto talmente tanto da fare che non sono riuscito a richiamarti.”
Non riuscivo a dubitare delle sue parole. Scivolai lentamente a terra, affondando la testa tra le ginocchia.
“Ti chiedo scusa, Kurt. Sono davvero rompiscatole e paranoico. E’ che pensavo…pensavo che tu ti fossi stancato di me.” Lui mi rispose con un tono da me indecifrabile.
“Oh, ti assicuro, Blaine, che questo è assolutamente impossibile.”
“E perché?” Domandai, ingenuamente, felicissimo di averlo sentito. Lo sentii titubare un secondo, per poi schiarirsi la voce.
“Insomma che è questa storia della prigionia?” L’odio della Pitsbury mi deviò completamente, ignorando il fatto che Kurt non avesse dato una risposta.
“Ha un nome: Rosaline Pitsbury. Detta anche la gattara.”
“Sembra interessante.”
“Non lo è, fidati. E’ una settimana che passo giornate  copiare verbali per colpa di un suo capriccio. Spero che a te stia andando meglio…”
“Oh, senza offesa, ma penso di essere sulla sponda opposta alla tua. Sono stato impegnatissimo a organizzare il matrimonio, e…”
“Matrimonio? Che matrimonio?”
Ci fu un attimo di silenzio.
“Ok –fece lui, risoluto- sei libero tra un’oretta? Così ti racconto tutto.”
“Certo. Ci vediamo al Lima Bean.”
Kurt non mi odia, pensai raggiante. Ero stato proprio uno stupido, a farmi così tante paranoie per qualche sms e chiamata non ricevuta. Ridendo di me stesso mi sentii decisamente meglio, anzi, mi ero talmente risollevato il morale che tornai dalla Pitsbury con un grande sorriso stampato sul volto.
La prof mi osservò da sopra i suoi occhialetti arrugginiti.
“Mi fa piacere che la telefonata ti abbia messo di buon umore. Ti sarà utile per lavorare altre due ore.”
E in quel momento il mondo mi crollò addosso. Mi ero completamente dimenticato che la punizione della prof terminava alle sette per colpa di quell’incidente totalmente involontario con la penna…e dovevo vedermi con Kurt alle sei.
Non volevo dare buca a Kurt un’altra volta, e quella strega non poteva tenermi tutto il giorno lì: sarei uscito, con o senza il suo permesso.
Serrai la mascella. C’era solo un modo per farla franca.
Mandai un sms a Nick: “Ragazzi, siete la mia ultima speranza. Dovete tirarmi fuori di qui entro mezz’ora.”
 
 
Erano già passati venti minuti. Tamburellavo nervosamente le dita contro il foglio, non riuscendo a distogliere lo sguardo dall’orologio.
Ad un certo punto qualcuno bussò la porta, e la prof alzò i suoi piccoli occhietti da strega per guardare in faccia lo scocciatore. Dopo qualche secondo di attesa la professoressa scattò in piedi, isterica.
“Oh insomma, si può sapere chi..”
Non appena aprì la porta si ammutolì.
Morendo di curiosità mi avvicinai a lei, scorgendo da dietro le sue spalle un biglietto posato a terra, scritto con dei ritagli di giornale:
 
Si sanno solo due cose su di lei: la prima è che una grande stronza.
La seconda è che ama alla follia un grasso gatto pulcioso di nome Pannocchia.
A riguardo, passerà un po’ di tempo con noi. Non le dispiace, vero?
Ci si vede, Pits-buried. [buried in inglese significa sepolto, morto, da qui il gioco di parole-nda]
 
Dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non scoppiare a ridere in faccia alla prof. Nick e gli altri avevano superato loro stessi, quella volta.
Questa sbiancò di colpo, e per poco non mi svenne addosso.
“Anderson… -balbettò, vedendomi- io…devo parlare con il preside..”
“Ora? –mi finsi dispiaciuto- E…il recupero?”
“Chissenefrega, Anderson! Togliti di torno.”
Non me lo feci ripetere due volte. Afferrai le mie cose e mi defilai verso l’auto, senza nemmeno passare in camera a sistemarmi.
 
 
Kurt mi aspettava sorridente fuori dal bar. Parcheggiai in fretta ed andai verso di lui, fingendomi estremamente calmo, come se in verità non fossi incredibilmente emozionato di vederlo.
Ci salutammo in fretta e mi fece sedere quasi subito. Osservandolo, mi sembrò piuttosto felice, ma avevo come l’impressione che ci fosse qualcos’altro.
“Allora –esordì, prendendo un sorso di latte scremato- prima di tutto, mio padre si è sposato.”
“Come? Tuo padre?? Wow, complimenti Kurt! Dev’essere stato bellissimo!”
“Assolutamente. C’era tutto il Glee club, e Quinn e Sam continuavano a lanciarsi delle occhiate maliziose che mi facevano venire i brividi! Poi abbiamo cantato, ballato…Finn mi ha pure dedicato una canzone! Carol è fantastica, e mio padre era così contento…non lo vedevo sorridere in quel modo da così tanto tempo! Mi sono commosso. E’ stato tutto troppo bello per essere vero. Senza contare che la felicità è doppia, dal momento che il matrimonio l’ho organizzato io!”
“Davvero?” Il mio sorriso si allargò. “Hai organizzato tutto tu, Kurt?”  Che cosa...adorabile.
Lui arrossì leggermente, stringendosi nelle spalle.
“Beh, io, e quindici anni di riviste di Weddings Planners.”
Ridacchiai insieme a lui. Anche io ne avevo comprate un paio, ogni tanto, ma non mi piaceva portarle alla Dalton, e a casa qualunque rivista che non riguardasse sport o motori veniva immediatamente cestinata.
“Sono davvero contento per te, Kurt…ma allo stesso tempo mi dispiace sapere che i tuoi si sono lasciati.”
Kurt sviò lo sguardo. Il suo sorriso sparì di colpo.
“No, non si sono lasciati…mia madre è morta quando avevo sette anni.”
Avete presente quelle buffe situazioni nelle quali ti ritrovi così, per caso, come i protagonisti di un cartone animato di serie b, e un’incudine ti piomba sulla testa e ti scaraventa dieci metri sotto terra, con lo stomaco che fa le capriole su se stesso e i tuoi occhi sgranati che fissano il vuoto?
Ecco, immaginatevi quella sensazione. Moltiplicatela per diecimila e, forse, riuscireste a immaginare come mi fossi sentito in quel momento.
Tutti i neuroni del mio cervello cominciarono a girare in circolo come delle mosche rincoglionite da una folata di vento.
No, non ci posso credere. Non posso davvero…cazzo, cazzo cazzooooooooooooooooooooooooooooooooo
Kurt posò lo sguardo su di me per un secondo. Cercai di dire qualcosa, ma le parole mi morivano in gola, e tutto quello che uscì dalla mia bocca fu un respiro spezzato a metà.
Perché non esiste un tasto di rewind quando serve? Perché non si può semplicemente cancellare l’ultima mia stramaledettissima frase, sparata lì come un vero demente?
La mia faccia bolliva e io stavo sudando freddo. Volevo davvero prendere una pala e cominciare a sotterrarmi da qualche parte. Cominciai a balbettare parole sconnesse tra di loro, cercando di scusarmi per l’enorme figuraccia appena fatta e per la mia tipica discrezione nel fare domande.
Lui cercò di infondermi coraggio con i suoi limpidi occhi azzurri.
“Non ti preoccupare, Blaine. Non potevi saperlo.” Notando la mia angoscia abbozzò un sorriso, porgendomi il caffè, che intanto era diventato marmato.
“Non ci pensare. Cambiamo argomento, ti va?”
Mi ci vollero dieci minuti buoni per riprendermi un poco dall’imbarazzo e dallo shock, dieci minuti nei quali Kurt mi raccontò il matrimonio nel dettaglio, e pian piano anche lui riacquisiva il suo temperamento tranquillo e talvolta un po’ malizioso, come quando si mise a descrivere nel dettaglio com’erano vestite tutte le amiche di Carol e di quanto gli Americani avessero una negazione completa per l’abbinamento dei colori. Alla fine accennai a qualche domanda, circa le canzoni cantate dal Glee Club e il discorso di Burt sull’altare.
“Insomma –dissi infine, quando ormai mi ero calmato quasi del tutto- tu e Finn siete fratelli!”
“Fratellastri, per la precisione, ma sì. Abbiamo già accordato che io mi prendo la stanza con l’armadio più grande e lui il televisore HD.”
“Parlando di armadi…con Finn come fratello dubito che Karofsky avrà più tanta voglia di darti noia. Vedrai che le cose andranno molto meglio, d’ora in poi.”
Si incupì di colpo, e io scattai sulla sedia: non avrei retto un’altra figura come quella di prima. Quando vidi
I suoi occhi rivolti verso il latte arrossarsi e riempirsi di lacrime capii che stavolta non c’entravo io.
Mi sporsi in avanti, cercando il suo sguardo, e parlai con voce molto calda e confortante.
“E’ successo di nuovo, vero? Ti ha maltrattato un’altra volta.”
Lui annuì, tirando su con il naso. Molto educatamente estrassi di tasca il mio fazzolettino ricamato con le mie iniziali –un regalo della mia sin troppo superba mamma- e glielo offrii.
“Grazie…”mormorò lui, guardando quel pezzo di stoffa come se fosse una collana di Tiffany.
“Tienilo pure. Ne ho una dozzina, alla Dalton. Mia madre ha paura che mi dimentichi come mi chiamo.”
Lui abbozzò un sorriso, rimanendo qualche secondo ad annusare il tessuto, che quasi sicuramente era impregnato del mio profumo. Stavo per dirgli la marca che indosso, ipotizzando che gli piacesse particolarmente, quando lui riprese il discorso interrotto prima.
“Karofsky, lui…mi ha detto che se avessi detto a qualcuno del bacio, mi avrebbe…ucciso.
L’ho detto a mio padre, e lui per poco non lo picchiava davanti a tutta la scuola. Finn si è sentito uno straccio per non essersi accorto di niente. Comunque, la preside l’ha sospeso per una settimana. Lunedì tornerà a scuola…” sussurrò, stritolando il fazzoletto. Senza nemmeno pensarci mi sporsi verso di lui e gli strinsi le mani. Sapevo benissimo che eravamo in una caffetteria, e che qualcuno poteva benissimo vederci, ma in quel momento non ci pensai. In quel momento tutto il resto del mondo non mi interessava: vedevo solo Kurt, e le sue dita affusolate. Queste, al mio tocco, si riscaldarono un minimo, e smisero di tremare.
Non dissi niente. Non c’era niente da dire, di fronte ad una cosa simile. Cercavo soltanto di dargli tutta la forza possibile, attraverso le mie mani, i miei occhi, ma lui continuava a fissarmi disperato, trattenendo a stento i singhiozzi.
“Ho paura, Blaine.”
“…Anche io.”
“Io…non so più che cosa devo fare…”
“Lunedì salta la scuola. Non ci andrò nemmeno io: possiamo andare da qualche parte a leggere un libro, o a chiacchierare, lontano da tutto. Lontano da lui.”
“Non posso scappare per sempre, Blaine. Prima o poi dovrò tornare al Mc Kingley, e lui sarà lì.”
Riflettei un attimo, fissando un punto vuoto.
“Forse no.”
“Come?”
“Vieni alla Dalton.”
Kurt mi guardò allibito.
“Stai scherzando? Non posso trasferirmi alla Dalton. E’ una scuola troppo alta, per me, e poi non ho i soldi per pagare la retta.”
“Ce li ho io.”
Kurt rimase senza parole, ma io seguitai.
“Non voglio farti la carità. E’ un prestito. Me li restituirai con calma, senza fretta.”
“Blaine, non posso accettare i tuoi soldi.”
“Perché no!? Gli amici non fanno questo, non si aiutano a vicenda?”
“Sì, ma questo aiuto è troppo anche per un migliore amico.”
Restai interdetto, ascoltando le sue parole. Aveva davvero detto migliore amico?
Lui apparentemente non ci fece nemmeno caso, e continuò a pensare ad una soluzione, sbuffando ripetutamente e mordendosi il labbro inferiore.
“Ascolta, Kurt” dissi io, cercando un’altra volta di convincerlo, “l’unica cosa che so, è che quella scuola non è più un posto sicuro. Quindi fai quello che ti pare, smetti di andarci, vieni alla Dalton, o vai in un’altra scuola, basta che Lunedì tu non vada in quella scuola. Sono anche capace di sequestrarti di persona e assicurarmi che tu sia al sicuro.”
La sua testardaggine vacillò un secondo. “Ne parlerò con mio padre. Forse hai ragione, non posso più rimanere al Mc Kingley.”
“Mi dispiace…”
“Non farlo. Non è colpa tua, Blaine, e nemmeno mia.”
Lo sapevo benissimo. Come poteva essere colpa sua? Lui non aveva fatto assolutamente niente. Era soltanto colpa di quell’energumeno, e della sua totale ignoranza. Sentivo l’odio verso quell’uomo aumentare di giorno in giorno, covandosi all’interno di me, e un giorno, prima o poi, sarebbe scoppiato.
Era già due volte che vedevo Kurt piangere per colpa sua. Dissi a me stesso che non ce ne sarebbe stata una terza.
 


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Wow, questo capitolo è venuto bello lunghetto!!! Mi scuso tanto per l'attesa: stanno per iniziare gli esami di Stato e sono in perfetta crisi da studio. L'unico momento che ho per scrivere è la notte fonda...ahah! Chiedo scusa, quindi, se trovate qualche parola sconnessa o frasi senza senso: il delirio delle tre di notte a volte prende il sopravvento.
E insomma Kurt va alla Dalton... finora ho cercato di spianargli la strada: ho presentato i fringuelli, ho presentato la prof che gli darà molto filo da torcere (ci si metterà pure Pannocchia ehehe) ...a questo punto non resta che fargli indossare la divisa!
Ringrazio tantissimo le persone che seguono la mia storia, e ancora di più quelli che l'hanno recensita. So di essere ripetitiva, ma fidatevi che anche un minuscolo commento riesce a cambiare completamente il mio umore, da "oh questo capitolo fa schifo" a " è piaciuto *___* allora non è così male, allora, allora! Posso scriverne altri!" hem...scusate XD sclero delle 3 di notte ftw.

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Capitolo 8
*** Presto starai bene ***


Capitolo 7
Presto starai bene.



Quella mattina mi alzai stranamente presto e di buon umore. Passai in bagno un quarto d’ora in più rispetto al normale, cercando di sistemarmi i capelli nel miglior modo possibile. Mi aggiustai la divisa quattro o cinque volte, e soltanto quando fui assolutamente convinto di apparire in una maniera almeno decente, uscii di camera, dirigendomi verso l’entrata.
Il fato era dalla mia parte: non so quante possibilità ci fossero di trovarlo in mezzo a quella scuola gigantesca, fatto sta che lo trovai lì, con la sua borsa a tracolla di cuoio e la sua nuova, splendente divisa. Addosso a lui non sembrava nemmeno la stessa: i pantaloni grigi slanciavano le sue lunghe gambe dritte, e la giacca gli fasciava perfettamente la vita, oltre a mettere in risalto le sue spalle.
“La divisa ti sta benissimo.” Ma questo lo sapevo già, aggiunsi nella mia mente.
Kurt si voltò di scatto, colto alla sprovvista, e sorrise nel vedere un volto familiare, ma dopo nemmeno un secondo tornò alla disperazione.
“Ecco, appunto. Vogliamo parlare di queste divise!?”
“Parliamone...” Commentai io, trattenendo a stento una risata. In qualche modo sapevo già cosa stava per dirmi.
“Ma lo stilista che l’ha disegnata quanti anni ha? Questi mocassini sembrano usciti direttamente dal set di Casablanca…e poi dei pantaloni grigi!? Il grigio ingrassa da morire! Guarda, mi fa dei fianchi enormi!”
Scoppiai a ridere; mi ricordava così tanto me, da farmi una tenerezza irresistibile.
“Coraggio ti accompagno alla tua stanza: che numero hai?”
Kurt si frugò tra le tasche, afferrando una chiave con una piastrina di ottone.
“17…Oddio, è un brutto, bruttissimo segno!”
“Kurt, Kurt, ascoltami -lo afferrai per le spalle e lo fissai dritto negli occhi- andrà tutto bene. Lo so che ti senti disorientato: le materie, la stanza, i compagni… ma se hai bisogno di una mano, fai un fischio, e vengo subito da te.”
C’erano delle volte, come quella per esempio, in cui Kurt mi guardava in un modo molto strano. Riconoscente, felice…e che altro? C’era qualcosa che non riuscivo davvero ad afferrare.
Avrei tanto voluto chiedergli a cosa stesse pensando, ma ormai eravamo arrivati davanti alla sua camera. Kurt esitò un attimo, mordendosi il labbro inferiore. “E se non piacessi al mio compagno di stanza?”
Io lo guardai di rimando, sfoggiando un sorriso sghembo. “Impossibile.” E detto quello bussai. Lui sobbalzò così tanto che per poco non si aggrappò al soffitto. Il suo volto divenne bianco, poi viola, fino ad assumere un evidente color porpora.
“Sì? –chiese una voce vitrea, proveniente dall’altra parte del muro- chi è?”
Aspettai che Kurt dicesse qualcosa, ma era troppo paralizzato per parlare, quindi lo feci io.
“Sono Anderson. Ti volevo presentare il tuo nuovo compagno di stanza.”
Ci fu un attimo di silenzio, e dopo di quello il ragazzo aprì la porta. Era alto più di Kurt, con i capelli corti, ma non a spazzola come quelli di Ed e nemmeno a caschetto come quelli di Nick… erano scuri, con la riga in mezzo e due ciuffi che cadevano sulla fronte. Aveva dei lineamenti marcati e un fisico piuttosto atletico. Riflettei su dove l’avessi già visto, ma ottenni una risposta ancor prima di aver formulato la domanda.
“Allora sei proprio tu. Quanto tempo. Non credevo che ci saremmo rivisti, comunque.”
Inarcai un sopracciglio. “E perché mai?”
I suoi occhi castani si assottigliarono, puntandomi dritto.
“Pensavo che dopo quello che hai fatto ad Ethan non avessi nemmeno il coraggio di salutarmi.”
E, in quel momento, mi ricordai immediatamente chi fosse quel ragazzo. Dopotutto, come avevo potuto dimenticarmi del migliore amico di Ethan, che aveva lasciato gli Warblers non appena fui stato eletto come nuovo solista, che mi odiava forse più di tutti gli studenti di quella scuola messi insieme e questo perché, a causa mia, il suo migliore amico aveva perso tutta la gloria, e loro due erano passati da idoli della scuola a semplici esseri mortali?
Mi stava fissando in modo melenso. Se solo avesse potuto quella sua occhiata mi avrebbe volentieri perforato il cranio.
Ero senza parole. Non sapevo se essere più sconcertato del fatto di averlo rivisto dopo mesi e mesi, o del fatto che, per uno strano scherzo del destino, quel ragazzo era appena diventato il nuovo compagno di stanza di Kurt.
Deglutii, respirando a pieni polmoni. Non era il caso di agitarsi: Kurt era agitato abbastanza per entrambi, e di certo l’atmosfera di quel momento non era d’aiuto. Con moderata tranquillità, posai una mano sulla spalla del mio amico e con l’altra gli indicai il ragazzo.
“Kurt? Lui è Chase Edlund.” Mi sforzai con tutto me stesso per cercare qualcosa di carino da dire: “è stato uno delle stelle di punta degli Warblers, ed è bravissimo in spagnolo.” Ecco, avevo finito la mia presentazione, dal momento che non sapevo nient’altro su di lui.
Kurt, però, parve un minimo rinfrancato, tanto che si sforzò pure di sorridergli, porgendogli la mano.
“Io sono Kurt.”
Lui la strinse controvoglia, cercando ancora di capire se fossimo amici oppure no, e se la cosa poteva andare a suo vantaggio.
“Bene -mi affrettai a dire, togliendo subito la mano dalla spalla dell’amico- è ora di andare a lezione. Ci vediamo.”
Sperai vivamente di aver deviato i dubbi di Chase, con quel saluto distorto e vago. In ogni caso non era un ragazzo stupido, e sapevo bene che non avrebbe fatto niente di male a Kurt soltanto a causa di alcune sue supposizioni. Sì dai, pensai, non è il caso di allarmarsi.
“Blaine? –mi chiamò Kurt, quando fummo a debita distanza dalla camera 17- Chi è Ethan?”
Mi paralizzai, sgranando gli occhi. Ci misi diversi secondi a formulare una risposta che potesse suonare decente. “Un…ragazzo, con cui non andavo d’accordo. Comunque si è diplomato l’anno scorso.”
Sapevo bene di non aver saziato la sua curiosità, ma non aggiunsi altro, e arrivammo in poco tempo alla sala comune.
“Allora, Kurt –esordii, con tono da vero tutor- questa è la sala comune, la stanza dove passerai la maggior parte del giorno. Qui si studia, si prende qualche caffè, si legge, ci si rilassa, e quando è possibile ci esibiamo noi Warblers...”
“E quando lo facciamo Blaine salta sistematicamente su ogni soprammobile presente nella stanza. Giusto, Nick?”
“Giustissimo, Flint. Chissà, magari lo aiutano a sentirsi più alto, una volta tanto! Tu che ne pensi, Ed?”
“Beh, è vero: tutte le volte che cantiamo Blaine salta su qualcosa.”
“Ma povero Blaine, non è colpa sua se è una specie di cavalletta in iperventilazione che non riesce a stare ferma neanche per mezzo secondo!”
Mi girai lentamente. Molto lentamente. E quando vidi i sorrisi raggianti dei miei quattro amici, con i loro occhi vispi passare fulmineamente da me a Kurt, da Kurt a me, per poi guardarsi tra di sé, diventando sempre più esaltati, il mio volto si increspò in un sorriso leggermente tirato.
“Kurt, ti presento Flint, Nick, Ed e Colin. Di solito sono innocui.”
“Piacere –esordì lui, divertito- io sono..”
“Kurt!” Esclamò di scatto Colin, stringendogli la mano e iniziando a sventolargliela con forza.
“Lo sappiamo.” Aggiunse Flint, allungando il suo sorriso.
“Sappiamo tutto di te.” Fece Ed, che fu corretto da Nick :”Beh, non proprio tutto. La cavalletta, qui, fa la preziosa, e non ci vuole dire mai niente.”
“Sì ma tanto alla fine lo scopriamo lo stesso. Siamo bravi, in questo.”
“Siamo bravi in un mucchio di cose. Vedrai Kurt, ci sarà da divertirsi.”
“Ma basta monopolizzare l’attenzione! Come ti va la vita?”
Kurt non fece in tempo a dire “a” che Flint stava già parlando.
“Colin, smettila di scuotergli la mano come una fangirl isterica. Così spaventerai il nostro ospite!”
“Ospite? Altro che ospite, per quanto mi riguarda Kurt è un membro ad honorem della combriccola!”
“Kurt, abbiamo deciso di risparmiarti il rito di iniziazione, giusto perché sei amico di Blaine…”
“No Ed, lui è L’amico di Blaine.”
“Ragazzi…” Mormorai, massaggiandomi la tempia. Mi voltai verso Kurt, sentendomi un po’ in imbarazzo per la pazzia dei miei –se continuavano così non ancora per molto- amici.
“Loro sono…sono fatti così” sono fatti male. “Mi dispiace.”
“Ma no–disse Kurt, sorridente- sono simpatici.”
I volti dei quattro si illuminarono.
“Siamo simpatici!” Esclamò Colin, stritolando il braccio di Ed per la felicità.
“Capito, cavalletta!? Tu sarai anche bello e bravo quanto ti pare, ma NOI siamo simpatici!”
“Esatto! Siamo gli amici simpatici di Blaine.”
Flint fece una smorfia. “Sembra il titolo di un film porno di serie B.”
“O di uno spin-off del mondo di Patty…”
“Hei! -Esclamò Nick, aggrottando le sopracciglia- cos’hai contro il mondo di Patty!? Guarda che è carino!”
“Ma quanti anni hai!?!?”
“Ha parlato quello che si guarda i Puffi alle sette di mattina...”
“Cerchi rogne, ciuffetto alla Bieber!?”
“Coraggio, vieni, spazzolino!”
E mentre presero ad azzuffarsi e a schiamazzare l’uno contro l’altro, io li guardai, sospirando.
“Sto avendo un dejà vù.”
Kurt scoppiò a ridere, posando la mano destra su un fianco.
“Onestamente non mi aspettavo quest’accoglienza –ammise- mi ero già preparato a sguardi freddi e frasi di circostanza.”
Io sorrisi, cingendogli le spalle con un braccio. “Quelle cose appartengono al passato. Sei uno di noi, adesso.”
Sentii il suo corpo rilassarsi immediatamente. Pensai che fosse per la frase appena detta, piuttosto che per il mio semi-abbraccio puramente innocente.
In quell’istante la campanella segnò l’inizio delle lezioni. Ci salutammo velocemente, e mi soffermai a guardare Kurt allontanarsi verso l’aula di trigonometria.
“Che bel Kurt-sorriso.”
“Nick. -Sentenziai, acido –non avresti lezione?”
“Ci stavo andando. Ero solo venuto per ricordarti le prove dei Warblers alle 17.”
“Certo che me ne ricordo. Dobbiamo presentare Kurt agli altri membri.”
“A proposito –Flint mi guardò con la coda dell’occhio- l’hai preso Pavarotti?”
Sgranai gli occhi. Oh cavolo. Me n’ero completamente dimenticato.
Ad ogni nuovo membro viene regalato un uccellino della Dalton. Questa cosa, come d’altronde tutte le cose che facciamo noi, non si potrebbe fare, e quindi ogni volta bisogna corrompere uno delle serre e prendere il canarino senza essere visti da occhi indiscreti.
E, ovviamente, il compito di andare a prendere in prestito l’uccellino spettava proprio a me. Devo ammettere, però, che quella volta l’avrei fatto volentieri.
La prima parte del piano non fu difficile: il proprietario delle serre era un brav’uomo, e sapeva che trattavamo i suoi canarini meglio di chiunque altro in quella scuola. Questo, però, non sottintendeva che volesse darmelo gratis: per convincerlo dovetti regalargli tre maglioni di cashmere, una cintura di Armani e il nuovo profumo di Chanel pour hòmme. Poco male: quella roba non mi piaceva poi così tanto. O forse aveva smesso di piacermi in favore di qualcosa di meglio.
“Ciao Pavarotti” sussurrai, accarezzando l’allegro uccellino che stava cantando felice. Era piccolo, dall’aria dolce, ma con una grande voce e un piumaggio splendido. Pensai che non esistesse un canarino più adatto.
“Ragazzo! Sbrigati!” Sbottò il guardiano, facendomi cenno con la mano di correr via. Non me lo feci ripetere due volte: afferrai la gabbietta e scivolai sotto al tavolo, gattonando fino all’uscita secondaria.
Ho appena rubato un canarino per Kurt. Solo in quel momento mi resi davvero conto della cosa: Kurt, il mio nuovo migliore amico, si era appena trasferito alla Dalton. Certo, le motivazioni non erano delle più felici, ma guardai il bicchiere mezzo pieno: avrei passato tutto il giorno a guardare film, studiare, leggere i nuovi cataloghi della Benetton...ma da quel giorno, anche le cose più banali avrebbero preso un altro sapore, perché c’era lui, perché le avrei fatte con lui, e sarebbe stato tutto diverso, tutto nuovo…tuttopiù bello.


Benvenuto Kurt, pensai, mentre aprii la porta al suo primo incontro con i Warblers. Lo vedevo guardarsi intorno leggermente in imbarazzo.
Alcuni iniziarono a squadrarlo, altri si domandarono chi diavolo fosse per entrare negli Warblers senza nemmeno un’audizione. Ovviamente, facendo parte delle New Directions, non avevamo bisogno di testare la sua voce, anche se io avrei voluto tanto sentirlo cantare.
In mezzo a quell’aria un po’ tesa, Ed si sporse immediatamente per dargli un cinque. Sorrisi, sentendomi orgoglioso dei miei amici, un po’ pazzi, ma proprio per quello insostituibili.
Wes richiamò l’attenzione attraverso il suo amato martelletto. “Come da tradizione, per ogni nuovo fringuello, un fringuello vero.”
“Kurt –lo chiamai, mostrandogli la gabbietta- questo è Pavarotti.”
“Questo canarino – seguitò Wes- appartiene alla Dalton dal 1981. E’ tuo compito prendertene cura per portare avanti la dinastia dei fringuelli. Proteggilo, quell’uccellino è la tua voce.”
Kurt lo afferrò, parlando con tono scherzoso. “Oh lo porterò con me al volontariato. Lavoro in un centro di gatti randagi… dentro ad una miniera.”
Trattenni a malapena una risata. Purtroppo gli altri non furono della stessa espressione.
“Ragazzi, sto scherzando – si affrettò a dire- sì, insomma, io non lavoro in una miniera.”
Ci vorrà un po’ per ambientarsi, pensai. Ne ebbi ulteriore conferma dopo averlo visto proporre entusiasticamente delle canzoni con la stessa freddezza con cui Wes le aveva liquidate.
“Ma apprezziamo il tuo entusiasmo –commentò lui, con un perfetto sorriso falso- ti servirà quando sarai tu a sedere su questa sedia.” Tra le righe: qui comando io, stai al tuo posto, novellino.
Cercai il suo sguardo, suggerendogli di non prendersela, ma era troppo interdetto per guardare negli occhi chiunque, e quindi lo vidi sedersi silenziosamente al suo posto. In quello stesso momento Nick mi pestò un piede. David stava parlando con me da mezzo minuto e io nemmeno me n’ero accorto.
“Insomma Blaine, cosa te ne pare?”
“Eh...Cosa me ne pare…” se solo sapessi di cosa stiamo parlando
Cercai di decifrare il linguaggio dei segni che mi stavano lanciando i miei amici. Non so in quale modo fortuito riuscii a leggere le labbra di Colin che dicevano “Soul sister” e in un attimo il mio cervello fece 2+2.
“Soul Sister per le Provinciali? Sì, mi piace!”
Ci fu un’esultanza generale, dopo di che David prese un paio di ragazzi per decidere le coreografie, e io mi armai di chitarra per imparare il testo e decidere assieme agli altri come armonizzarlo.
Kurt non parlò per tutto il resto della riunione, limitandosi ad annuire e a seguire il filo dei nostri discorsi, anche se non sembrava gli importassero granché.
Decisi di smuoverlo un po’. Dopotutto toccava a me farlo sentire a suo agio.
“Kurt?” Lui si voltò quasi subito, abbozzando un sorriso. “Allora che ne dici della tua prima giornata da Warbler?”
“Non male. Mi sono divertito.”
“Aha, certo…” come se non sapessi che si era annoiato come un bradipo spanciato al sole.
“Beh, non ho avuto modo di cantare granché” ammise lui, mostrando adesso il suo vero disappunto.
“Hai ragione.” Nel sentire la mia risposta lui inarcò le sopracciglia, stupito. “Ed è per questo che ho proposto agli altri di farti fare un assolo, domani. Ti ho iscritto ufficialmente alle audizioni come seconda voce.”
Lui mi fissò, senza parole, mentre la mascella scendeva di due piani. Mi avvicinai a lui, sussurrandogli un po’ maliziosamente all’orecchio.
“Non vedo l’ora di sentirti cantare.”
E, detto quello, me ne andai, lasciandolo affondare nel panico più totale. Sì, forse non era proprio il modo migliore per metterlo a suo agio, ma la sua espressione in quel momento era impagabile.


Dopo tre ore di prove senza sosta mi sentivo stanco morto. Non appena entrai in camera mi buttai sul letto come un sacco di patate, senza nemmeno togliermi le scarpe, e affondai la testa contro il cuscino. Le provinciali erano alle porte e io cominciavo a sentirmi in ansia. Era la mia prima competizione ufficiale… l’esito della gara sarebbe dipeso soprattutto da me... Se avessi steccato qualche nota non sarei mai riuscito a perdonarmelo. Senza contare che avremmo dovuto competere contro le New Directions, gli amici di Kurt…
Il senso di responsabilità che gravava sulle mie spalle divenne un macigno da dieci tonnellate. Mi sentivo letteralmente schiacciato contro il materasso, come se qualcosa si fosse posato sopra di me.
Un momento.
C’era davvero qualcosa sopra di me.
Mi voltai di scatto, balzando a sedere in un poderoso scatto felino.
…Felino?
Mi trovai davanti un grosso, gatto, bianco, peloso, gatto.
Ti prego, ti scongiuro, non dirmi che è…
PANNOCCHIA, recitava la sua splendente targhettina in argento.
“….FLINT!?”
Il biondo corse fuori dal bagno. “Chi, cosa, che c’è!?”
Respirando pesantemente indicai l’essere di fronte a me. La sua reazione non aiutò a calmare i miei nervi. “Aaaaaaaaaaaah già. Me n’ero dimenticato: Pannocchia starà da noi per un po’.”
“Ok. Sapevo che avevate veramente rubato quel gatto. Sapevo anche che avevate deciso di nasconderlo per un po’, fino a quando non si fossero calmate le acque. Allora, la domanda che mi sorge spontanea è: perché diavolo quella palla di peli si trovava nella MIA stanza!?”
“Andiamo, non fare il solito guastafeste. Dopotutto, è grazie a lui che sei potuto scappare dalla Pitsbury.”
Non aveva tutti i torti. Grazie al suo rapimento ero riuscito a defilarmi, per andare da Kurt. In parte era merito di quella palla di peli se Kurt adesso si trovava alla Dalton.
Sospirai. “Due giorni. Dopo di che lo riportiamo da dove è venuto.”
Ma mentre lo dicevo Pannocchia aveva cominciato a graffiare i miei mocassini di cuoio e a mordicchiarne i lacci.
“Anzi, un giorno.”


Me l’ero domandato tante volte: chissà com’è la voce di Kurt, quando canta?
Mi ero immaginato che cantasse bene; non mi ero immaginato, però, che cantasse così tanto bene.
La sua voce era soave, cristallina, quasi innaturale per un ragazzo della sua età.
Era bravo. Dannatamente bravo. Molto più di me, Ethan, o chiunque altro. Continuava a cantare la sua canzone con timidezza e sicurezza allo stesso tempo: prima si torturava le unghie, poi camminava per la stanza, a volte guardava negli occhi i nostri compagni, altre abbassava lo sguardo.
Durante il suo ultimo ritornello, però, acquistò spavalderia, e provai una gioia immensa nel vederlo forte, sicuro di sé, mentre con le mani…
Aspetta, che stava facendo con le mani?
Gli feci cenno di abbassarle scuotendo leggermente la testa. A parte quel piccolo episodio, comunque, continuavo a fissarlo con gli occhi lucidi. La sua voce mi arrivava dritto in mezzo al cuore, così pulita, così dolce…
Penserete che stessi esagerando. Ma non avevo mai sentito nessuno cantare in quel modo, e sapevo benissimo che era una cosa unica. Kurt era unico. Più lo conoscevo e più me ne rendevo conto.
Nick e gli altri erano divertiti dalle mie espressioni. “Il kurt-sorriso” continuavano a sussurrare, agitandosi nelle loro sedie; non ci feci caso, non era il momento di badare ai loro pettegolezzi.
La canzone finì, con mio grande rammarico, e senza nemmeno darmi il tempo di riprendermi i ragazzi del consiglio cominciarono a commentare le esibizioni.
Purtroppo non avevo voce in capitolo, quindi rimasi seccatamente ad ascoltare i loro commenti altezzosi e burocratici mentre scartavano la performance di Kurt, ritenuta “troppo esibizionista”.
Mi venne da urlargli contro: ma siete pazzi!? E’ stato sensazionale!
E fu ancora più doloroso, per me, dover dare la notizia a Kurt. Lui sviò lo sguardo, annuendo con il capo.
“Consigli per il futuro?”
Non essere così bravo, pensai. “Vola più basso la prossima volta.”
Lui mi rispose stizzito: “Pensavo che essere ambiziosi fosse una virtù, non una colpa.”
A malincuore dovetti spiegargli come funzionavano le cose lì alla Dalton.
“Io non so com’erano le cose nella tua vecchia scuola…ma hai notato che qui indossiamo tutti una divisa? E’ come…essere parte di un team.”
“Nella mia vecchia scuola ero abituato ad urlare, per farmi sentire.”
“Beh, non sarai un bravo Warbler se penserai a farti notare.” L’ultima persona che aveva provato a farlo era stato Ethan, e non era finita molto bene.
Kurt esitò un secondo, serrando le labbra. “Hai…hai ragione. Mi dispiace.”
“Lo so –feci io, cercando il suo sguardo- lo so che all’inizio è tutto più difficile…” lui mi fissò di rimando. Parlai con il tono più confortante che potessi avere, mentre la mia bocca si dipingeva di un sorriso caldo.
“Presto starai bene. Te lo prometto.”

***

Innanzitutto devo ringraziare ancora una volta tutte le persone che stanno seguendo questa strana storia. La fanfic ha raggiunto la bellezza di 32 recensioni, e so benissimo che non sono poi tutto questo granchè messe a confronto con le 100 e passa delle grandi storie, ma per me è una vittoria assoluta ed un orgoglio impagabile. A tutte le splendide persone che stanno leggendo questa storia, e, soprattutto, che si soffermano a commentarla: grazie. Se questa storia sta andando avanti è soltanto merito vostro. Mi date la forza per scrivere, sul serio.
Ma bando alle dichiarazioni amorose (vi amo tuttiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii), stavo riguardando l'episodio 2x09 di Glee e per poco non mi è preso un colpo quando ho visto quel ragazzo -che nella mia mente ho nominato come Ed- dare il 5 a Kurt nella scena della sua presentazione. Nella mia testa pensavo: E' PERFETTO!! TUTTO QUADRA!! GLI AMICI DI BLAINE SPACCANO!!
Avevo pensato di scrivere anche le audizioni di Jeff e Nick...ma dopo aver scritto quella di Kurt, ho pensato che, dagli occhi di Blaine, niente e nessuno avrebbe retto il confronto. (Senza offesa Nick nda - tranquilla stron ahem capo nd Nick). Se le avessi scritte sarebbe uscita fuori una cosa tipo "Nick e Jeff hanno cantato qualcosa -non so bene cosa, ero troppo preso a pensare a Kurt...", quindi ho lasciato stare.
Ho introdotto Chase, pensando che fosse divertente fare un collegamento con Ethan e il capitolo 2, ma non so ancora se renderlo un antagonista o no.
Insomma, come sempre, spero di esservi piaciuta, e vi prego di recensire il capitolo facendomi sapere cosa ve ne pare!

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Capitolo 9
*** Infarti ***


Capitolo 8

Infarti



“E adesso, dalla Dalton Accademy di Westerville, gli Warblers!”

Ecco, le provinciali. Avevo sognato quel giorno da una vita: esibirmi in un vero palco, di fronte ad un pubblico serio; ma ora che c’ero arrivato, mi sentivo nel panico più completo.

Il sipario si alzò lentamente. Tenni la testa bassa, assaporando il palcoscenico, vivendo quel teso silenzio che precedeva l’attacco. La quiete prima della tempesta. Le mie mani tremavano vigorosamente e dovetti stringerle con forza per evitare che si notasse.

Sperai con tutto me stesso che non mi venisse un infarto lì, sul palco. Mi immaginavo già le facce scandalizzate dei miei amici, con Kurt che si addossava sul mio corpo esanime cercando di farmi rinsavire…

Ok, la maratona di  Grey’s anatomy mi aveva fatto male.

I miei amici partirono. Avevano una vitalità incredibile. Sorridevano. Erano entusiasti, pieni di grinta. E io non potevo essere da meno. Non li avrei delusi. Dovevo soltanto essere me stesso. Infondo, era uno show come tutti gli altri: loro, me, le nostre coreografie, i nostri sguardi complici, e la nostra musica.

In men che non si dica eccomi che urlavo, saltavo, facevo delle buffe giravolte, mi divertivo.

Adoravo quella canzone, adoravo i miei compagni, adoravo mostrare agli altri tutto ciò che ero.

La canzone finì. Eravamo andati veramente bene.

Ci furono degli abbracci, delle pacche sulle spalle, e io corsi subito dai ragazzi per complimentarmi con loro. Kurt, sorridente, mi urlò un “bravissimo Blaine!” che mi fece sfoggiare un sorriso a trentadue denti.

L’euforia, però, svanì presto: adesso toccava alle Nuove Direzioni, e fummo subito assaliti dall’ansia.

Mi sarebbe dispiaciuto finire il nostro percorso alla prima tappa, ma sapevo anche che gli amici di Kurt erano sensazionali e non potevo fare altro che tifare per loro.

La musica partì, con due ragazzi biondi –che Kurt chiamò come Quinn e Sam- che avanzavano verso il palco.

The time of my life. “Adoro questa canzone!”

Kurt mi guardò di sottecchi. “Per forza. Tu adori tutte le canzoni che sono in top 40.”

  “Non è vero!-Sbottai, imbronciato- …ok, forse sì. Ma è proprio perché sono belle che finiscono nella top 40!”

“Ssh! Fammi sentire!” Sussurrò lui, dandomi una piccola spallata affettuosa.

Il sipario si alzò, mostrando tutti i membri del Glee Club. Tra di loro riconobbi Mercedes, Rachel, la ragazza che prima di esibirci stava parlando con Kurt, e, stando alle descrizioni fatte da Kurt, identificai il ragazzo alto come il suo fratellastro Finn.

In generale, la prima impressione che ebbi su di loro fu veramente positiva. Mi sembrarono un gruppo affiatato, di talento, e riuscivo ad immaginarmi così bene Kurt in mezzo a loro, che cantava con orgoglio e felicità allo stesso tempo.

Per quanto mi ostinassi del contrario, in quel momento capii che era quello, il suo glee club, e guardando il suo sguardo commosso capii anche che gli mancava da morire.

Dopo Dirty Dancing ci fu Amy Winehouse. E rimasi davvero senza parole. Kurt li guardò estasiato per tutto il tempo, e io con lui.

“Quella ragazza è bravissima” commentai, a esibizione finita. Kurt sfoggiò un sorriso sghembo: “già, brava quanto diabolica.”

“E quei due ragazzi del ballo, poi, sono stati davvero fantastici!”

“Lui è Mike, sta con Tina, la ragazza orientale. Brittany, invece, al momento sta con Artie, che è stato con Tina, ma poi lei l’ha lasciato perché non lo amava più.”

“Bello. Fa molto Beautiful.”
“E aspetta che ti racconti tutta la storia di Rachel e Finn!”

La sua voce fu interrotta da quella dell’annunciatore. Ci ammutolimmo all’istante, diventando di colpo tesi. Quand’è teso Kurt comincia ad agitarsi; io, invece, faccio tutto l’opposto, diventando impassibile e fissando un punto vuoto davanti a me. Dentro, però, stavo ribollendo.

“E adesso, il vincitore delle provinciali di quest’anno…”

…Sì!??????

“E’…”

Ti prego, cuore, smetti di battere così forte, non mi farai sentire il risultato!!!

“E’ un pareggio.”

…Come?

“Congratulazioni! Andrete entrambi alle regionali!”

“EVVAI!” Urlò Flint, e Colin e Nick assieme a lui.

“Congratulazioni.” Affermai, stringendo la mano dell’ex-professore di Spagnolo di Kurt.

“Siete stati davvero bravi -commentò lui, e mi sembrò piuttosto sincero- ci vediamo alle regionali.”

Dietro le quinte Ed mi piombò addosso, quasi soffocandomi nel suo forte abbraccio.

“Blaine, puoi sorridere adesso, sai!? Abbiamo vinto!!!”

Mi lasciai andare un pochino, sorridendo ai miei amici e congratulandomi con loro.

Anche se non sembrava, ero davvero felice.

 

 

Non ho mai avuto così tanto sonno in vita mia.

L’orologio appeso al muro continuava a battere il tempo con una lentezza insostenibile.

Eravamo tornati alla Dalton alle tre, e avevamo passato il resto della notte a festeggiare, portandoci dietro anche la stanchezza per il viaggio e le emozioni  provate.

La cosa positiva, però, fu che passai tutta la notte con Kurt. Nessuno dei due aveva voglia di bere, e quindi ci limitammo a parlare e a scherzare tra di noi, essendo gli unici sobri rimasti; perché, come disse Ed, “se si vince si beve per festeggiare, e se si perde si beve per dimenticare.” Avendo vinto, non solo dovevamo festeggiare, ma dovevamo festeggiare in grande stile. Questo implicava il triplo della birra e il quadruplo del casino.

In mezzo all’anarchia più totale io e Kurt ci sedemmo sul mio letto ad una piazza e mezzo, e parlammo. Mi raccontò un sacco di cose su di lui e sul suo vecchio Glee Club, e io lo ascoltavo come ipnotizzato, curioso come non mai di conoscere tutto il passato di Kurt prima del nostro incontro alla Dalton.

Riguardo ai suoi amici, ebbe una buona parola per chiunque, ma la accompagnò sempre ad un commento malizioso.

Tra una risata e l’altra perdemmo la cognizione del tempo, e per poco non ci prese un colpo quando da oltre la finestra comparvero i primi raggi del sole.

Con soltanto il tempo di farsi una doccia veloce, sistemarsi alla meno peggio e riprendersi un attimo, corremmo verso l’aula di storia.

Ora, però, mi trovavo in classe, con due ore di sonno arretrato ed una lezione pallosissima sul medioevo, e dovevo ricorrere a tutta la mia forza di volontà per non addormentarmi lì, sulla sedia, nel bel mezzo della spiegazione.

Kurt non stava messo meglio di me. Anche lui stava lottando una battaglia all’ultimo sbadiglio contro Morfeo. Cominciò a scrivermi qualcosa tramite un bigliettino –eravamo compagni di banco-, e in quel momento potei apprezzare la sua calligrafia: elegante e sinuosa, proprio come lui.

Io, te. Caffè. Molto caffè.

Sghignazzai, rispondendogli celermente:

Viste le nostre condizioni credo che non basterebbe.

Parlando di condizioni, ti ritengo ufficialmente responsabile per il mio aspetto orribile.

Ahah mi dispiace…forse. Lo sai che le occhiaie ti donano?

Ah beh, anche tu non stai affatto male, con quello sguardo da pesce lesso.

Lo so, sono uno schianto. Vogue dice che è un must per i teenager assonnati.

Scoppiammo a ridere nello stesso istante, lui leggendo la mia risposta e io guardando la sua faccia incredula, della serie “non può davvero essere così scemo”, ma fummo subito richiamati al silenzio dalla professoressa.

Tu che lezione hai dopo?

Ginnastica, che ovviamente salterò fingendo una storta da qualche parte. Tu?

Chimica. Quasi quasi fingo anche io di star male.

E perché?

Beh, così ci vediamo in infermeria e stiamo un’oretta insieme.

A quella frase le sue orecchie divennero viola. Inarcai un sopracciglio, non capendo il perché di quella reazione.

Ti va? Incalzai, e lui sviò velocemente lo sguardo dal banco, facendo di sì con la testa. Contento, mi voltai verso il libro, attendendo impaziente il termine dell’ora.

 
 

“Signorina Hall? -domandai, aprendo un poco la porta- Si può?”

“Oh, Blaine? Che succede, caro?”

Per un attimo mi sentii in colpa nel mentire a quella donna che mi voleva così tanto bene, ma, infondo, cos’era mai quella piccola bugia, paragonata alla grande falsità dell’universo!?!?

“Non mi sento molto bene…posso stendermi su un lettino?”

“Ma certo, fai come se fossi a casa tua. Io devo andare a visitare un ragazzo che ha la febbre, ma tu riposa pure quanto vuoi. Ah, mi faresti un favore? Se arriva qualche ragazzo, potresti dirgli che torno subito?”

“Certo, signorina. Lo farò.” Di lì a poco sarebbe sicuramente arrivato qualcuno.

E dopo qualche secondo mi trovai da solo. “Allora...che posso fare per ingannare il tempo?”
Passeggiai su e giù per la stanza, osservai i numerosi medicinali, sfogliai qualche libro di medicina, e sorrisi amaramente pensando a quando mio padre si era fissato che dovessi fare il medico; era il suo sogno.

O almeno, lo era stato, fino a quando non ha scoperto che il suo amato figlio è gay. Da quel momento non mi ha più parlato di nessun progetto che mi riguardasse, forse, perché non li aveva più.

Ma non volevo pensare a quelle cose. Cercai di distrarmi in qualche modo, ma ero troppo stanco persino per camminare. Ero veramente stanco…e perché non stendersi sul lettino?

Cinque minuti, mi dissi, mentre lentamente sprofondavo tra le comode lenzuola della branda.

Mi riposo un po’ gli occhi, e poi mi rialzo.

E, ovviamente, finii  per addormentarmi come un bambino. Feci uno dei sonni più rigeneranti della mia vita: dolce, profondo, senza neanche la minima interruzione, privo di qualsiasi sogno.

Non saprei dire quanto tempo dormii. Un’ora, o forse di più. Fatto sta che, quando riaprii delicatamente gli occhi, mi ritrovai in posizione supina, con la testa spostata da un lato e, davanti a me, sull’altro lettino, c’era Kurt.

Mi levai molto silenziosamente, guardandolo: era sdraiato sul fianco sinistro, rannicchiato a riccio, il braccio destro sotto al cuscino e l’altro adagiato sul materasso.

Le sue ciglia lunghe evidenziavano il volto niveo completamente rilassato. Il suo respiro regolare, percepibile soltanto attraverso un leggero movimento delle spalle, trasmetteva tranquillità.

E’ adorabile, pensai, mentre pian piano mi avvicinavo ad ammirare le splendide fattezze del suo volto.

Eravamo ormai a pochi centimetri e io nemmeno me n’ero accorto. I suoi flebili sospiri lambivano caldi la mia pelle, mentre i miei occhi guardavano le sue palpebre, il suo naso, e quelle labbra rosee che accennavano appena ad un sorriso…

Chissà che sapore hanno…

Cominciai a immaginarmi la loro morbidezza, il loro odore, il loro soffice tocco mentre toccavano le mie…

Mosso da non so quale istinto, il mio corpo avanzava sempre di più, sempre di più, e ora il mio naso accarezzava il suo e una mia mano, delicatamente, si aggrappava alla testata metallica della brandina, sorreggendomi, e l’altra sfiorava la sua guancia liscia.

Il mio cuore batteva all’impazzata; d’altra parte il mio cervello era andato in tilt già qualche minuto prima, e non c’era nessun pensiero razionale che potesse fermarmi. Non riuscivo a pensare assolutamente a niente: c’ero io, c’era Kurt, e c’erano le sue labbra…

Oh, le sue labbra, erano così belle, così dolci, così…

Mormoranti?

Un attimo dopo il corpo di Kurt si era irrigidito di colpo, lasciando che i suoi occhi azzurri si aprissero lentamente.

“Mhm…Che sonno…ma che ore sono…? Blaine, ma tu sei sveglio… Potevi svegliarmi allora…quanto ho dormito?”

Non so come, ma in un millisecondo ero riuscito a raggiungere l’altra parte della stanza. Suppongo che sotto infarto il corpo possa fare cose sovrannaturali.

“Blaine? –mi chiamò Kurt, sgranando gli occhi- Che hai? Sei sconvolto.”

La gola si era completamente seccata.

“No, no, niente…- borbottai, tra un colpo di tosse e l’altro- mi sono svegliato di colpo, ecco.”

Lui non parve crederci, ma nemmeno indagò oltre. Cominciò a stirarsi i muscoli, mentre io mi passai pesantemente una mano sul volto. Il cuore non aveva ancora smesso di martellare.

“Cavolo Blaine, ma è tardissimo!!!” Esclamò Kurt, afferrando di colpo la sua cartella e balzando in piedi.

“La terza ora è iniziata un quarto d’ora fa! Perché non mi hai svegliato?!?”

Non sapevo bene come rispondergli.

“E’ che… dormivi così tanto bene…”

Il suo sguardo si ammorbidì di colpo, illuminandosi. Kurt è sempre stato piuttosto scaltro, e capì al volo che mi ero perso a osservarlo dormire. La cosa buffa era che, senza saperlo, lui aveva fatto la stessa cosa con me, e quello giocò a mio favore.

“Vabè, non importa” tagliò corto lui, abbozzando un timido sorriso. “Ci vediamo alle prove.”

E non appena si chiuse la porta alle spalle mi abbandonai alla sedia, tentando di riprendere fiato.

 

Oh mio Dio.

Oh mio Dio! Ho provato a baciare Kurt. KURT! Il mio AMICO, il mio MIGLIORE amico, per giunta! Ma che diavolo mi era passato per la testa!? Com’era soltanto possibile che avessi anche solo minimamente tentato di fargli una cosa simile!? Baciarlo di soppiatto, mentre lui stava dormendo tanto beatamente, ignaro dell’agguato che si trovava a pochissimi centimetri da lui! Com’era possibile che avessi provato a BACIARLO, Kurt, il mio migliore amico, quel ragazzo tanto allegro e gentile che appena una settimana prima aveva ricevuto una minaccia di morte da un bullo. Kurt! Oh Blaine, quanto sei stupido! Sei un verme, un viscido serpente bavoso.


Avrei voluto prendere a testate il muro, avrei voluto cancellare quei dieci minuti appena trascorsi dalla mia memoria.

Sono pazzo. Completamente pazzo! Kurt è il mio più caro amico…e ho rischiato di rovinare TUTTO.

Meno male che si è svegliato in tempo. Meno male.

 

 

***

 

Ta-daaaaaaaaaaaaaaaaaaaaan!!!

 

Dopo OTTO CAPITOLI mi son detta: basta, è ora di darsi una mossa. Tralaltro non c’era modo migliore per festeggiare il ritorno del server di EFP, no?

Non credo che lo sclero di Blaine sia OOC: lui ha semplicemente smesso di usare la testa per un attimo, e ha seguito il cuore. Se vi è piaciuto questo momento un po’ strano allora vi divertirete ancora di più con il prossimo capitolo. Comunque, visto che ho azzardato una cosa un po’ rischiosa, gradirei sapere cosa ne pensate attraverso un messaggio, o una recensione. Ve ne sarei davvero grata.

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Capitolo 10
*** La vendetta de la vendetta ***


Capitolo 9
La vendetta de la vendetta

 
A distanza di una settimana dalle Provinciali l’atmosfera si era calmata un pochino.
Diciamo che avevamo smesso di festeggiare ogni sera, e il mio povero fegato poteva tirare un sospiro di sollievo. Persino i membri del consiglio quel giorno erano troppo distrutti per tenere una riunione, e così decisero di annullarla. Finalmente un pomeriggio di sano, beato, riposo.
Mi diressi in camera morendo dalla voglia di sprofondare nel letto…ma non appena entrato, notai che era leggermente impegnato.
“Oh, ciao Blaine!” Esclamò un Flint mezzo nudo, sul MIO letto, con sotto di lui una ragazza altrettanto svestita.
“Ciao Flint, Jessica…” feci un leggero cenno del capo, sospirando.
Quella scena mi riportò alla prima volta che li scoprii, in una situazione pressoché simile, solo che Jessica aveva iniziato ad urlare come una pazza, coprendosi con le lenzuola qualunque lembo scoperto della sua pelle, e io e Flint ci avevamo messo mezz’ora a calmarla, cercando di farle capire che, per quanto mi riguardasse, poteva anche essere Angelina Jolie in un sensuale completo intimo, non aveva niente di cui preoccuparsi.
Dopo quella graditissima rivelazione era sempre molto felice di vedermi, e le sue scappatelle dall’ateneo gemellato al nostro divennero sempre più frequenti, con grande soddisfazione di Flint, e un po’ meno della mia.
“Blaine – il mio amico mi guardò supplichevole- spero non ti dispiaccia: il tuo letto è più grande, e…e prometto che quando tornerai sarà come nuovo!”
Quello precludeva il concetto di togliermi dai piedi!?
“Perfetto.” Sentenziai, con una smorfia. Feci velocemente per andarmene, ma fui trattenuto per la manica.
“Un’ultima cosa, Blaine…” Oh no. Conoscevo quello sguardo: era il tipico sguardo da ti devo chiedere un immenso favore e so che sei troppo buono per dirmi di no.
“Mi faresti un favore?”
Ecco, appunto. Digli di no, Blaine!
“…Certo. Dimmi.”
“Porteresti Pannocchia con te? Non voglio sentire i suoi occhietti malefici puntati su di noi mentre…insomma, mentre.”
“Cosa!? E dove lo porto!?”
“Puoi lasciarlo in camera di Ed e Colin.”
Ed e Colin? Per quanto odiassi quel gatto e la sua proprietaria, non ero così sadico.
“Sai com’è, vorrei riportarlo VIVO dalla professoressa.”
I suoi occhioni si fecero ancora più grandi, e ora si aggiungevano anche quelli smeraldini di Jessica. E che diavolo, perché tutte le rogne dovevo prenderle io!?
“E va bene. Qualcosa mi inventerò.” Jessica mi mandò un bacio, e Flint la guardò torva, prima di aggiungere “ti devo un favore, amico!”
“Mica solo uno… -sospirai- andiamo Pannocchia, lasciamoli soli.”
Il gatto mi soffiò qualcosa contro, ma non appena lo presi in braccio si accoccolò tutto, facendo le fusa. Che ruffiano.
Tralasciai un attimo l’astio verso il felino per concentrarmi su cosa fare. Avevo la camera off-limits e un intero pomeriggio libero. Pensai immediatamente di andare da Kurt.
Ormai passavamo quasi tutti i giorni insieme, spesso aiutandoci con lo studio – io ero una frana in francese-, di solito scambiandoci le ultime riviste di moda -tranne Vogue, di quella ognuno custodiva gelosamente la propria copia- selezionando i capi più belli e fantasticando su quale attrice potesse indossarli.
A volte, quando eravamo incredibilmente stanchi, ci sedevamo sul letto guardando qualche musical, ma non siamo mai riusciti a stare zitti per più di dieci minuti: puntualmente discutevamo su chi fosse il più bravo, quale costume fosse il più bello, e “Blaine dobbiamo assolutamente proporre questa canzone alla prossima riunione!”, ma io “Sul serio Kurt: Ed che balla il charleston? E’ come mettere un elefante in cristalleria”.
Le giornate passavano veramente in un lampo, quando ero con lui. Stavamo così bene, insieme, che mi sembrava quasi irreale.
Pensando a quelle cose arrivai davanti alla stanza 17, e avendo le mani completamente impegnate lo chiamai a gran voce.
“Blaine?” Domandò lui, ormai non più tanto sorpreso delle mie visite inavvertite.
“Mi fai entrare? Ho materiale delicato fra le mani.”
Lui spalancò la porta, e inclinò la testa nel vedere la palla di peli aggrappata al mio petto.
“Fammi indovinare…Pannocchia?”
“Siamo stati cacciati fuori dalla stanza.” Mi bastò una sola parola per chiarire: “Jessica.”
“Ah” fece lui, arrossendo leggermente, ma ancora non lo conoscevo abbastanza per capire che si era imbarazzato nel pensare all’intimità di quei due.  
“Possiamo entrare? –domandai- Portiamo tanti peli e allergie primaverili.”
Lui ridacchiò, lasciandomi passare. Abbandonai il gatto e guardai per un attimo la stanza: ovviamente era identica a tutte le altre, ma scorsi la mano artistica di Kurt nell’armadio decorato da tante foto – c’era anche una foto di noi due, scattata il giorno delle provinciali- e la scrivania piena di cd colorati. In un angolo, poi, c’era Chase, che stava sbuffando.
“Io vado via.”
 “No” lo fermai; ogni volta succedeva sempre la stessa cosa, io entravo e lui usciva. Volli provare a chiarire la faccenda, una volta per tutte. “E dai Chase, resta. Parliamo un po’.”
Lui mi fissò sprezzante: “Da quando in qua vuoi parlare con me?”
“Da quando sei diventato il compagno di stanza del mio migliore amico.”
Sentii gli occhi azzurri di Kurt posarsi sui miei, intensamente.
“Migliori amici? – domandò il biondo, ghignando- Ma bene.”
Quel suo sorrisetto beffardo non mi piaceva per niente. Feci un passo verso di lui. Non sono mai stato un tipo provocatorio, anzi, di solito sono il primo ad evitare quel tipo di conflitti. Se si trattava di Kurt, però, riuscivo ad innervosirmi in un attimo: al solo pensiero che potesse succedergli qualcosa…
Fu proprio la voce del mio amico a distrarmi.
“Blaine! Dov’è finito Pannocchia!?”
“Come?” Mi guardai intorno, ed effettivamente non c’era. Un attimo dopo si sentì un rumore sordo, come se qualcosa di metallico fosse caduto.
“Cos’è stato?”
Un altro rumore, stavolta di vetri.
Un paio di soffi, e poi, un cinguettio spezzato…
Io e Kurt ci guardammo nello stesso istante: “PAVAROTTI!”
Corremmo in bagno: era sottosopra. Le creme che prima stavano sulla vasca ora erano in terra, assieme ad un paio di profumi rotti e ad uno spazzolino. Il gatto stava graffiando la gabbietta abbandonata a terra, e il povero uccellino si stava dimenando come un forsennato, cercando di scampare alle grinfie del predatore.
Kurt corse verso il canarino mentre io tentavo di afferrare il gatto; quest’ultimo, però, cominciò a graffiarmi tutte le mani e a correre per tutta la stanza. Pavarotti, dal canto suo, era letteralmente impazzito e tentava in tutti i modi di uscire, non dando retta nemmeno al suo padrone.
Chase era scomparso, ma lipperlì non ci feci molto caso. Diciamo che ero piuttosto impegnato a lottare contro gli artigli di Pannocchia, che non accennavano a smettere di dimenarsi, e ormai avevo le maniche della divisa completamente sgualcite e i polsi pieni di tagli.
Dopo qualche minuto Kurt corse in mio soccorso, provando a scrollarmi il felino di dosso, ma questo in risposta cominciò a graffiare lui, oltre che a me. Ma Kurt Hummel non è un ragazzo che si lascia malmenare da un gatto.
Con la mano destra lo prese per la collottola e lo spinse verso il terreno; la sinistra, invece, tenne fermo il corpo, ormai completamente sottomesso.
“ADESSO –sentenziò autoritario- ti calmi.”
Io ripresi a respirare regolarmente. “Che disastro.. –mormorai, amareggiato- i tuoi profumi si sono tutti rovesciati… mi dispiace tantissimo, Kurt.”
La sua risposta divenne sempre più un sussurro mentre fissava inerme la lozione sprecata.
“Oh, beh, poco male. Era soltanto il nuovo profumo di Chanel Chance…che mi aveva regalato papà…che era costato un sacco di soldi…”
Mi morsi un labbro. “L’avevo detto a Flint di riportarlo subito dalla Pitsbury. E’ tale e quale alla sua padrona.”
Una voce, da dietro le mie spalle, mi rispose.
“Oh, grazie caro. Detto da te lo prendo come un complimento.”
Kurt alzò lentamente lo sguardo, e ad un tratto sbiancò del tutto, congelandosi.
Qualcosa, nella sua espressione, mi fece capire che non era stato Chase a parlare.
O meglio, Chase c’era. Ma accanto a lui c’era la Pitsbury.
Se esiste una cosa peggiore di avere due nemici, è avere due nemici che si coalizzano.
“Vede, professoressa?” Fece quello, indicando con fare angelico il gatto steso a terra.
“Stavano provando a sodomizzarlo. Sono venuto da lei il più veloce possibile.”
Lei ci fissò come un boia fissa le sue vittime, prima di tagliare loro la testa.
“Ti ringrazio, Edlund. La tua educazione sarà premiata. Ora, se vuoi scusarmi, devo portare dal preside questi due piccoli satanisti.”
 
 
“Dunque, vediamo un po’…” il volto del signor Morris era impassibile, mentre sfogliava le nostre cartelle; non potevo dire altrettanto di me e Kurt.
“Ecco, Blaine Anderson.” Sussultai. “Ottimi voti…solista degli Warblers…oh, qui ci sono degli appunti.”
Inutile dire di chi fossero, vero?
“Sono firmati dalla Pitsbury. -Sospetto numero uno per il furto dei televisori.-”
Macché furto!- Pensai- Li ho sempre riportati il giorno dopo! Certo, a parte quello rotto da Ed, e quell’altro che è rimasto in camera di Kurt, e quello che mi sono preso io…ok, quasi sempre. Ma insomma, con tutte le tasse che si pagano potrebbero regalarcele un paio di tv!
“…E dice che ti ha scoperto diverse volte a copiare.”
“Questo non è vero!” Lui mi fissò attraverso i suoi occhialetti d’argento.
“Comunque, la signora Pitsbury mi ha detto che voi due ragazzini avete rapito il suo gatto, e vi ha sorpreso mentre lo stavate torturando.”
Torturando, che parola esagerata. L’avevamo soltanto placcato duramente.
“Signor Morris –esordì Kurt, mettendosi composto- se posso parlare…”
“Tranquillo, Hummel, ce n’è anche per te.”
“Un momento –feci io, d’impulso- Kurt non c’entra niente. Ho fatto tutto da solo.”
Il mio amico ribatté subito dopo “Non è vero! Sono stato io a bloccare il gatto, Blaine non ha fatto proprio niente!”
Lo guardai con la coda dell’occhio.Sorridemmo della nostra tacita complicità. Coprirci le spalle a vicenda ci veniva in modo del tutto naturale.
“Non ci capisco più niente- ammise il preside, massaggiandosi le tempie – Anderson, la professoressa mi ha detto che hai rapito il suo gatto. E’ vero?”
Non dire niente, Blaine. Come nei film, qualunque cosa dici potrà essere usata contro di te.
Il preside sospirò, esausto. “E per quanto riguarda il canarino?”
“E’ mio, signore.” Rispose Kurt. “Dove l’hai preso?”
Me l’ha dato Blaine, dicevano i suoi occhi.
“Come immaginavo. E’ della Dalton, vero? Devo sperare che sia un gentile regalo da parte del guardiano. O hai rapito anche questa povera creatura, Blaine?”
…Ok, forse le cose cominciavano a mettersi male.
“Fammi capire bene: hai rubato dei televisori, hai rapito un gatto e hai sottratto un canarino dalla serra. Ragazzo, mi viene da pensare che tu abbia degli istinti cleptomani.”
“…Posso spiegare, signore.”
“Puoi davvero?”
Esita. Che cosa gli avrei detto? Che i miei amici avevano rapito il gatto della prof per farmi scappare via dalle sue punizioni, e che quella bestia feroce aveva assalito il povero Pavarotti costringendo Kurt a immobilizzarlo?
“…In effetti no, signore.”
“Infatti. Tu, Hummel? Hai qualcosa da dire?”
“Non stavamo torturando quel gatto. Lo stavamo calmando. Quella best…quell’animale, stava cercando di mangiarsi Pavarotti.”
A quella risposta il preside si tolse gli occhiali. “Sembra di sentire un episodio di Titti e Silvestro” era davvero esasperato.
Ci fu qualche minuto di silenzio, nel quale io e Kurt ci guardammo ansiosi, domandandoci quale sarebbe stata la nostra sorte. Nota disciplinare? Sospensione? Oppure…espulsione!?
“Hummel –disse infine il preside, franco- Sei nuovo, in questa scuola. Non vorrei che tu partissi col piede sbagliato.”
“Nemmeno io, signore.”
“Mhm. Puoi andare, per il momento. Ti farò sapere cosa ho deciso.”
Lui obbedì, e prima di lasciare la stanza mi lanciò un’occhiata preoccupata, che ricambiai quasi subito. Così come lui era preoccupato per me, io non facevo altro che pensare alla sua situazione.
Eravamo rimasti io e il preside, da soli. Un’altra lunga pausa, infine mi chiese: “Quante volte sei venuto qui, Blaine?”
“Non lo so, signore. Onestamente ho perso il conto.”
“Già, anche io. Voglio essere sincero, con te: Tu mi piaci. Sei intelligente, gentile, un po’ spavaldo, forse, ma mai arrogante. Mi ricordi me, quando anche io ero uno studente di questa scuola.”
Strabuzzai gli occhi. “Non sapevo che lei avesse frequentato la Dalton, signore.”
“Oh, certo che sì! Tuo padre non ti ha detto niente?” Al solo pensiero feci una smorfia.
 “…No, signore. Io e mio padre non parliamo molto.” Non sapevo nemmeno che il preside e mio padre si conoscessero.
“Oh, capisco. Comunque, non so davvero cosa fare, con te.”
“Faccia pure tutto ciò che ritiene necessario. Solo…per favore, la prego, lasci stare Kurt. Sono stato io a coinvolgerlo, e me ne pento amaramente, ma le giuro che non ha fatto niente. E’ stata tutta colpa mia.”
Lui sospirò, per l’ennesima volta. “Niente più furti, Blaine. Neanche un panino in sala mensa. E poi, dovrai partecipare allo spettacolo natalizio della scuola femminile a noi gemellata.”
Cosa!? Quella PALLA di spettacolo che ripetevano ogni anno e che ogni anno era sempre più brutto!? Con quelle ragazze isteriche che non sapevano nemmeno mettere due note in fila!?!?
“No, la prego. Ho le prove con gli Warblers, e poi…”
“Non era una richiesta, Blaine. Tu farai quello spettacolo. Consideralo come un volontariato obbligato.”
Bell’ossimoro. Accettai umilmente, sapendo che era stato fin troppo gentile, e lo salutai con rispetto. Una volta tanto, il legame con mio padre mi aveva aiutato. Buffo: non avrei mai pensato di dover ringraziare mio padre per qualcosa.
Fuori dalla porta mi aspettava Kurt, che scattò in piedi non appena mi vide uscire.
“Allora? Che ti ha detto?”
“Ci ha graziati, ma è meglio se non ci imbattiamo con la Pitsbury per un bel po’ di tempo.”
Lui emise un sorriso di sollievo, ma io non mi sentivo affatto risollevato. Aveva rischiato grosso per colpa mia, dovevo sdebitarmi in qualche modo.
“Kurt –esordii, illuminatomi- vieni con me.”
“Cosa?” Ignorando la sua confusione lo presi per mano e corsi verso la mia stanza.
Fortunatamente Jessica e Flint se n’erano già andati. Andai verso il bagno, con Kurt che mi seguiva ciecamente, tenendomi stretto.
“Chiudi gli occhi” gli mormorai, e lui, un po’ titubante, lo fece. Presi la sua mano libera e vi posai una boccetta di vetro. I suoi grandi occhi azzurri ora fissavano il mio profumo di Calvin Klein.”
“Stai scherzando?”
“Per niente.”
“Ma –ma questo profumo costerà 300 dollari!”
“Lo sai che non mi importa. Preferisco che lo abbia tu.”
“Ma…ma questo è il tuo profumo…”
Vacillai per un secondo: “Non ti piace?”
“No, no, mi piace tantissimo!” Esclamò, diventando improvvisamente viola. “Mi piace tantissimo…”sussurrò di nuovo, stringendo il flacone tra le dita, abbassando il capo. Mi avvicinai un poco. Volevo dirgli qualcosa, ma le parole mi morirono in gola.
“Dai” stavolta fu lui a prendere la mia mano, dolce, come se fosse una cosa fragile. “Ti disinfetto le ferite.”
Mi ero completamente dimenticato di avere la divisa stracciata e i polsi pieni di graffi. Ci sedemmo sul bordo della vasca, e rimasi in silenziosa contemplazione. Il suo tocco era talmente delicato che l’acqua ossigenata non mi faceva per niente male. Le sue mani erano così morbide e fresche… così diverse dalle mie, invecchiate dalle corde della chitarra.
“Mi dispiace molto per tutto il casino di oggi.” Mormorai, cercando il suo viso.
Non distolse lo sguardo dalle ferite. “Non ti preoccupare.”
 “No, sul serio Kurt. Ti chiedo scusa.”
Esitò un secondo, alzando finalmente la testa. Eravamo molto vicini.
Il mio cuore batteva all’impazzata. Cercai di calmarmi, non capendo davvero perché diavolo dovesse fare così tutte le volte. Kurt era un amico, soltanto un amico. Era assurda tutta quella tensione tra di noi!
Il mio cervello finalmente prese il sopravvento, obbligandomi alla calma. Kurt aveva finito da un pezzo di medicarmi, ma noi due non ci eravamo mossi di un millimetro.
“…Credo che tu possa lasciarmi la mano, adesso.”
“Oh –balbettò lui, indietreggiando- hai ragione.”
Ogni tanto capitava, che avesse quei scatti di timidezza, e io mi divertivo troppo a punzecchiarlo. Alla fine mi sciolsi in un sorriso pieno d’affetto. “Grazie.”
“Figurati. Mio padre e Finn si fanno male continuamente, sono diventato la crocerossa della famiglia.”
“Non mi riferivo alle ferite.“ Lo guardai dritto negli occhi. “Volevo dirti grazie…per tutto. Per essere qui. Per essere esattamente come sei.”
Il suo volto si distese in un radioso sorriso. E io mi sentii finalmente sereno.



***
 
Mica si nota che ho appena finito di studiare Dante?
Capitolo puramente di passaggio. Ho cercato di renderlo il più interessante possibile…ma posso essere sincera con voi splendidi lettori? Sono fortemente indecisa. Non è che mi piaccia granché. Non è scritto nemmeno tanto bene… Ho voluto parlare della routine alla Dalton, aggiungendoci un evento un po’ sopra le righe e collegandoci alcuni dettagli scritti negli altri capitoli. Il discorso col preside è palloso, me ne rendo conto, ma mi serviva per introdurre il capitolo successivo...
Insomma, come sempre, vi prego di farmi sapere la vostra opinione tramite un commento. Vi adoro!!!

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Capitolo 11
*** Neve, duetti e batticuore ***


Capitolo 10
Neve, duetti e batticuore

 
 
La Crawford Country Day è la scuola gemellata all’Accademia Dalton.
Millequattrocento ragazze di età compresa trai quattordici e i diciassette anni.
Fanno all’incirca quattordici milioni di ormoni scatenati e senza freno.
Devo ammettere che, convivendo in una scuola di soli maschi, ed essendo gay, mi ero dimenticato completamente di come fossero realmente le ragazze. Grave, gravissimo errore.
Sfortunatamente, a rinfrescarmi la memoria c’era Priscilla Bay, amica di famiglia da secoli e una vera spina nel fianco. Era dalla festa del ringraziamento che non la vedevo, e sperai in cuor mio che avesse cambiato carattere, o look, o quantomeno gusti musicali.
Non appena varcai la soglia della loro scuola le ragazze mi guardarono come se fossi un alieno sceso dal cielo, e subito dopo partirono occhiate maliziose, sussurri, risatine e commentini frivoli.
…Ragazze.
Feci un saluto generale e mi diressi velocemente verso l’aula canto: prima mi toglievo questo dente dello spettacolo Natalizio e prima potevo tornare da Kurt e gli altri.
Non avevo neanche fatto un passo dentro la stanza che un metro e sessanta di vocetta squillante e  lucidalabbra di Hannah Montana mi piombò addosso, circondandomi con le braccia e imponendomi uno schioccante bacio sulla guancia.
“Ciao Blaine!”
“Ciao…Priscilla…”mormorai, attendendo il momento in cui si fosse girata per potermi togliere quella roba appiccicosa dalla mia pelle.
“Scusa per il bacio. Ma sai com’è, ti sei ritrovato esattamente sotto al vischio e quindi…”
Alzai lo sguardo: “Vischio, certo. Chissà chi ce l’ha messo li, eh?”
Lei scoppiò in una risata stridula che per poco non mi perforò le orecchie.
“Non è fantastico? –sussurrò con occhi languidi- Il ragazzo più popolare della Dalton e la reginetta della Crawford che cantano insieme una romantica canzone d’amore. Faremo crollare le due scuole!”
Abbozzai un sorriso falso “sei troppo gentile, ma io non sono così popolare com- aspetta hai detto romantica canzone d’amore!?”
“Il tuo preside non ti ha detto niente?”
“Direi di no.” Diciamo pure che aveva volontariamente omesso quel piccolo dettaglio. Non avevo problemi a cantare un duetto, e nemmeno una canzone romantica…ma conoscevo bene Priscilla, e se era già su di giri per un bacio rubato dal vischio, figuriamoci per un duetto. In quel momento si appropinquava tutta esaltata a raccontarmi la trama dello spettacolo, da lei definito sotto ogni minuscolo dettaglio.
“Allora: la storia è la rivisitazione di Romeo e Giulietta ai tempi nostri.”
“Ah, ma parli di Westside Story? Adoro quel musical! E francamente sono sorpreso che tu lo conosca, sai penso di averti sottovalutata!”
Lei mi guardò con gli occhi da pesce lesso. “West cosa? E’ il prequel di One tree Hill per caso?”
…come non detto.
“Comunque –seguitò lei, avvicinandosi un poco- si ambienta qui, alla Crawford, e io farò Juliet, mentre tu sarai il mio coraggioso e sensuale Romeo… e la prima scena si incentra al ballo della scuola, al quale tu mi inviterai a ballare con una bellissima canzone…”
“Fammi indovinare: una canzone di Justin Bieber?”
Mi guardò come illuminatasi: “Oh Blaine, come hai fatto a capirlo!? Ma mi leggi nel pensiero!! Oh, siamo così in sintonia io e te…”
“Certo.- Sgusciai via giusto in tempo per scappare dalle sue unghie finte – è tutto molto bello, Priscilla…ma, se permetti, siamo a Natale, ci vorrebbe qualcosa di più… -decente- classico. Qualcosa tipo Baby it’s cold outside, che ne dici? E’ un po’ complicata, ma se ti va di farla potremmo lavorarci su…”
Inarcò un sopracciglio, ma presto mi sorrise maliziosamente “Io dico che lavorerei a qualunque cosa con te.”
“…Priscilla. Ti ricordi, vero? Mi sembra di averti detto chiaramente che sono gay.”
Lei arricciò il naso, sfiorandomi il blazer con i polpastrelli. “Oh Blaine, quando uscirai da questa tua fase ribelle e ti deciderai a metterti con me? I nostri genitori hanno già organizzato tutto il matrimonio.”
Strinsi i pugni, cercando di rimanere calmo. Odiavo quando parlava esattamente come mio padre.
“Priscilla, mi dispiace deluderti, ma io sono gay e rimarrò gay.”
“Hai mai avuto una ragazzo?”
Esitai un momento. “No.”
“Hai mai baciato un ragazzo?”
“…No.” Dissi ancora, franco. Lei mi squadrò ghignando. “Vedi? Non puoi dire di essere gay se non hai mai avuto alcuna esperienza. Dovresti provare a stare con una ragazza.”
Fui preso in contropiede. Una parte di me si domandò se ci fosse un minimo di verità, in quel ragionamento. Scacciai velocemente quel pensiero, e mi sforzai di fare un sorriso.
“Non dovremmo provare la canzone?”
 
 
Dopo una ventina di prove e un’uscita piuttosto trafelata, eccomi di nuovo alla Dalton.
Mi soffermai qualche secondo a respirare l’aria di casa a pieni polmoni, lasciandomi alle spalle tutto quel mondo di ragazze superficiali e di Priscilla che sosteneva che la mia fosse soltanto timidezza, e che quando mi sarei aperto con lei sarebbe andato tutto meglio. Mi sentivo male solo al pensiero.
Comunque, camminavo lentamente, godendomi il bellissimo paesaggio innevato; era da una vita che non nevicava, ed era la prima volta da quando ero alla Dalton.
Socchiusi gli occhi, ascoltando il silenzio quasi surreale di quella magica atmosfera, sentendo i soffici fiocchi che cadevano sui miei capelli…e poi un missile mi colpì in pieno petto, accompagnato da delle risate molto familiari.
“Blaine! Stai bene!?” La voce di Kurt sovrastò tutte le altre, correndo in mio soccorso.
“Beccato in pieno!”
“Grandissimo colpo Nick!”
“Ho preso il solista, questo vale cento punti extra!”
“Che cosa!? E perché!?”
“Perché Blaine è minuscolo, è quasi impossibile da prendere!”
“Ma se era lì impalato come un ebete! Aveva pure gli occhi chiusi!”
“Tsk, sempre a guardare i puntini sulle i…gli accenti sulle zeta…”
“Che fai, solista!? Rialzati! La battaglia è appena iniziata!”
Sentendo quelle frasi non potei non scoppiare a ridere. Kurt, rinfrancato, mi aiutò a rialzarmi. Nessuno, però, aveva visto la mia mano afferrare una manciata di neve e nasconderla dietro il fianco.
“E così...sarei minuscolo?” Il mio sguardo diabolico si posò sui quattro ragazzi, che indietreggiarono di qualche passo.
“E’ stato Colin!”
“Ed! Bell’amico che sei!”
“In guerra tutto è lecito.”
Colin si beccò in faccia una mia pallata. Quello fu il segnale che scatenò l’inferno.
Flint balzò oltre la siepe, sfoderando una fionda e posizionandosi a mò di cecchino; Nick e Colin saltarono insieme addosso a quell’energumeno di Ed, cercando di destabilizzarlo e coprendolo di neve. Lui con una forza poderosa se li tolse di dosso, e in risposta con un urlo degno di Undertaker saltò addosso al povero Colin, che rimase a metà tra il senza fiato e il divertito. Nick, esaltato, si unì all’ammucchiata e Flint ne approfittò del momento per bombardarli. I tre, allora, si coalizzarono temporaneamente per vendicarsi contro il biondo.
Erano tutti troppo impegnati per accorgersi di un Kurt dall’aspetto alquanto losco che sgattaiolava via. Il mio volto si dipinse di un sorriso sghembo mentre, silenziosamente, mi avvicinavo alle sue spalle.
“Dove pensi di andare?”
Lui sobbalzò all’indietro, ruotando di 180°. “I-io? Da nessuna parte! E’ che mi sembrava di aver visto qualcosa, laggiù, e quindi mi stavo avvicinando per vedere se…se potevo…” il mio sguardo diceva tutto. Fece un paio di passi indietro, pregandomi di non farlo.
“Mi sono appena acconciato i capelli!”
“Anche io.”
“…Ho le scarpe nuove!”
“Ma non sono i doposci di Nick?”
“Beh, allora non ho i guanti adatti.”
“Oh, questi andranno benissimo.”
“…Non ho scampo, vero?” Domandò infine, con i suoi grandi occhi azzurri che fissavano i miei.
“Fossi in te comincerei a correre.”
Mi prese in parola. Scappò via come l’antilope che fugge dal leone. L’adrenalina cominciò a scorrermi per tutto il corpo mentre, sempre più divertito, ci tempestavamo di attacchi e schivate. Alla fine un mio colpo andò a segno: una pallottola fortunata prese in pieno la sua testa, e lui si tastò il cappellino di lana, frastornato, per poi scivolare silenziosamente a terra.
“Kurt! O mio Dio scusami, scusami tantissimo, non volevo mirarti alla testa! Ti ho fatto male!? Kurt, rispondi Kurt, ti prego!”
I suoi occhi azzurri si dischiusero un poco, e borbottò qualcosa che non riuscii a captare. Mi avvicinai di più, preoccupato da morire.
“…Dicevo, che non ti conviene abbassare la guardia.”
E l’attimo dopo il mio viso si scontrò contro una grossa quantità di neve. Scoppiò a ridere a crepapelle, rideva talmente tanto che dovette tenersi la milza.
“Ok –commentai, togliendomi gli strati di neve dalla faccia- me l’hai fatta, ci sono cascato.”
“Così impari a rovinarmi i capelli.”
“Va bene, uno pari.”
“Guarda che io non ho ancora finito!” Mi scagliò una pallottola e io rotolai di lato, pronto a ricambiare il gesto, ma in quello stesso momento un’ombra minacciosa si proiettò verso di noi.
Alzammo lo sguardo: “Ed? Che diavolo ci fai sopra un albero!?”
Fece una risata malefica: “ATTACCO LETALE: SUPER VALANGA DI ATWOOD!!!”
Io e Kurt, inermi, ci beccammo in pieno un quintale di neve. Ci aveva scrollato addosso mezzo leccio.
Rimanemmo semplicemente senza parole, lui con la mascella scesa di tre piani, io che ancora incredulo mi guardavo i vestiti fradici e ghiacciati. Come se non bastasse, Nick ci raggiunse poco dopo, con in mano il cellulare.
“Devo farvi una foto: sembrate dei pupazzi di neve.”
Guardai il mio amico: in effetti, avevamo la testa e le braccia completamente bianche. Temetti che Kurt si fosse seriamente arrabbiato, dal momento che i suoi vestiti erano completamente zuppi, e invece stava ridendo, mettendosi in posa per Nick. Gli cinsi le spalle con un braccio, partecipando alla foto. Eravamo entrambi congelati, ma non so come sentii un brivido caldo percorrermi tutta la schiena e, a giudicare dall’espressione paonazza di Kurt, anche lui provò la medesima cosa.
Ci allontanammo dal gruppo, rifiutando la proposta di fare da cavie per dei pupazzi di neve umani. Mentre camminavamo, l’uno accanto all’altro, commentammo le due ore appena passate, e io rivelai a Kurt che, per essere la prima volta, non mi ero mai divertito tanto in vita mia.
Lui mi guardò stupito, scostandosi leggermente da me per potermi guardare dritto in volto.
“Come? Non avevi mai giocato a pallate di neve?”
Feci un segno di diniego con il capo. “Non ne ho mai avuto occasione.”
Non mi andava di dirgli che, in verità, i miei non me l’avevano mai permesso, perché era decisamente inappropriato per un ragazzo di alto rango come me.
 
 
 
Dopo quel pomeriggio in cortile non vidi Kurt per due giorni di seguito. Lui era indaffaratissimo con lo studio, dal momento che gli esami di fine semestre si avvicinavano e non aveva ancora recuperato metà programma di storia, e dal canto mio passavo i pomeriggi assieme ad un’assillante Priscilla che provava il nostro duetto in tutte le varianti possibili, facendomi cantare fino alla nausea.
Quando mi propose di riprovarlo per l’ennesima volta non ce la feci e le inventai una scusa, promettendole di rifarlo prima dello spettacolo.
Alla Dalton era tutto molto silenzioso: la maggior parte dei ragazzi erano già partiti e i restanti erano usciti a fare dei regali. In verità anche io avevo un impegno con Flint, dovevo assolutamente aiutarlo a trovare qualcosa di carino per Jessica, ma prima di raggiungerlo in stanza decisi di fare un’altra cosa. Sapevo di rischiare di brutto, e che non era una cosa molto normale proporre ad un amico di cantare un duetto romantico, e sapevo anche che, nonostante il mio cervello si sforzasse del contrario, non avevo alcun bisogno di provare ulteriormente la canzone, ma ne avevo voglia. Anzi, morivo dalla voglia di cantare quella canzone con Kurt.
Da amico, continuava a ripetere ogni singolo neurone nella mia testa.
Certo, da amico! Infondo si trattava soltanto di stare seduti e provare qualche armonia. Non era mica una di quelle prove con tanto di movimenti e recitazione!
Afferrai il mio stereo portatile, che conteneva la base del duetto, ed andai in sala comune. Come immaginato, vi trovai Kurt chino sui libri, e per richiamare la sua attenzione sbattei il lettore cd contro il tavolino con un po’ più forza del necessario.
“Hei.”
“Mi hai spaventato!”
“Oh, bene –mi avvicinai, la mia voce diventava sempre più un sussurro- perché in verità sono il fantasma di Marley…e sono qui per dirti di smettere di studiare così tanto!”
Lui mi fissò atono, per poi guardare lo stereo. “E il radiolone?”
“Ho bisogno che tu canti con me. Cioè, che tu provi con me. Devo cantare Baby it’s Cold Outside allo spettacolo di Natale…” con una ragazzina impertinente che crede che Barbara Streisand sia una tizia a caso diventata famosa grazie alla canzone dei Duck Sauce.
Kurt lasciò la penna sopra al libro e si appoggiò alla sedia.
“E’ una delle mie preferite! Peccato che non possiamo cantarla insieme.”
…Insieme?
“Nel senso, come una coppia…di artisti.”
“Ah.” Per un attimo mi ero aspettato un’altra risposta. “Quindi mi vuoi aiutare?”
“Tutto pur di non studiare Carlo Magno!”
“Molto bene allora.”
La musica partì, e io mi posizionai sul divanetto davanti alla sedia.
Avevamo cantato tante volte insieme, durante le prove degli Warblers. Non c’era assolutamente bisogno di essere agitato. Anche se, sotto sotto, lo ero.
 
I really can’t stay…
But baby, it’s cold outside.
I’ve got to go away…
But baby, it’s cold outside…
This evening had been
Been hoping that you'd drop in
So very nice
I'll hold your hands, they're just like ice
 
Mi ero detto di non fare alcun movimento…ma come potevo rimanere impassibile di fronte alla bellissima voce di Kurt?
In men che non si dica mi alzai in piedi, interpretando il testo, lasciandomi trascinare dai suoi occhi azzurri e dal suo sguardo magnetico.
 
My mother will start to worry
Beautiful, what's your hurry
My father will be pacing the floor
Listen to the fireplace roar
So really I'd better scurry
Beautiful, please don't hurry
Well Maybe just a half a drink more
Put some music on while I pour
 
Era completamente diverso dalla prova con Priscilla. Io ero diverso. Interagire con Kurt in quel modo mi sembrava la cosa più naturale del mondo, i movimenti venivano da soli come se li avessimo provati migliaia di volte. Ed era divertente, incredibilmente divertente. Mi sentivo allegro, ispirato, felice.
 
The neighbors might think
Baby, it's bad out there
Say, what's in this drink
No cabs to be had out there
I wish I knew how
Your eyes are like starlight now
To break this spell
I'll take your hat, your hair looks swell
 
I ought to say no, no, no, sir
Mind if I move a little closer?
 
Le nostre spalle si scontrarono. Un brivido caldo percorse tutta la mia schiena, ma io ero troppo preso da lui per distrarmi, troppo avvolto dalla canzone, dal testo, dalle dolci parole di Kurt.
 
At least I'm gonna say that I tried
What's the sense in hurting my pride
I really can't stay
Baby don't hold out
Ahh, but it's cold outside
 
Senza nemmeno accorgercene eravamo finiti davanti al pianoforte. Giocherellai con la tastiera, riprendendo il motivetto iniziale, per poi continuare a duettare felicemente assieme al mio compagno- artista.
 
I've got to go home
Oh, baby, you'll freeze out there
Say, lend me your comb
It's up to your knees out there
You've really been grand
I thrill when you touch my hand
But don't you see?
How can you do this thing to me…
 
Era perfetto. La canzone, l’atmosfera, io, lui, era tutto semplicemente perfetto. Continuavo a fissare i suoi limpidi occhi azzurri senza riuscire a distaccarmene. E lui? Lui continuava a sorridere, a volteggiare, a guardarmi con malizia, e non potevo fare a meno di lasciarlo continuare, assecondare quel piccolo gioco di flirt almeno per una volta soltanto, almeno per quella canzone.
 
There's bound to be talk tomorrow
Making my life long sorrow
At least there will be plenty implied
If you caught pneumonia and died
 
In quel preciso istante, a pochi centimetri da me, i miei occhi si posarono inaspettatamente sulla sua bocca. Come quella mattina infermeria, cominciai a sentirmi strano, a contemplare quelle deliziose labbra incorniciate all’insù, così morbide, così attraenti…
I really can’t stay…
Get over that hold out
 
Gli feci cenno di sedersi, ma lui fece altrettanto. Alla fine, con un’occhiata divertita, ci sedemmo simultaneamente, spalla contro spalla, lanciandoci nell’acuto.
 
Baby, it’s cold outside.
 
Lo stereo si spense. La canzone era finita, e con lei, quel magico momento che ci aveva regalato.
Un secondo. In quel momento, quando lui era appoggiato alla poltrona e io mi ero ritrovato dall’altra parte,  sarebbe bastato un altro minuscolo insignificante secondo, e l’avrei baciato. Un secondo che sarebbe stato fatale, lo so. Ma per fortuna, o sfortuna, o semplicemente innocenza, Kurt era piroettato via, posizionandosi a debita distanza da me, permettendo al mio cuore di ristabilizzarsi e al mio cervello di prendere fiato. Ormai, quel secondo era passato.
Ci sorridemmo a vicenda, leggermente imbarazzati. Se qualcuno ci avesse visto avrebbe sicuramente pensato male; ma io e lui sapevamo che quel flirt non era diretto a noi, ma ai nostri personaggi, e che Blaine non poteva davvero provarci con Kurt, perché Kurt era il suo migliore amico, ed era fuori discussione provarci con il proprio migliore amico.
“Penso sia pronto” commentò infine, sviando lo sguardo.
Certo che ero pronto: avevo provato quella canzone diecimila volte, ma preferii non dirglielo.
“Per la cronaca.. –mi alzai in piedi, dandogli una leggera pacca sul ginocchio- tu canti molto meglio di quella lì.”
Uscendo dalla stanza non mi accorsi nemmeno del professore di Kurt, quello a cui avevo stretto la mano alle provinciali. L’unico pensiero coerente che riuscivo a formulare era interamente rivolto a quel duetto, a quegli sguardi che ci siamo lanciati, a quelle sue labbra morbide che mi avevano emozionato così tanto…
“Blaine?” La voce di Flint mi riportò, per l’ennesima volta, alla realtà. Grazie a Dio che c’era lui a distrarmi.
“Ci sono. Coraggio, andiamo a fare shopping.”
 
 
 
H&M, Zara, Gucci, Prada, Benetton, e neanche un singolo capo che andasse bene.
“Questo è troppo scollato…questo è troppo da suora! Questo è troppo giallo, e questo? Oh no, questo non va assolutamente bene!”
“Flint, sei davvero sicuro di voler comprare un vestito? Sai, ci sono tante cose perfette per una ragazza, tipo una collana, o un braccialetto…”
“Tu non capisci, Blaine. Lei mi ha MINACCIATO di farle un vestito. Alla Crawford non può mai mettersi niente di osè, e ora che quella Priscilla Bay è diventata la protagonista del musical sta morendo letteralmente d’invidia.”
“Fidati: non ne ha bisogno.” Jessica era strana, ma era cento volte meglio di Priscilla.
“Tralaltro –fece lui, pensieroso- non era quella con cui ti dovevi fidanzare?”
“Andiamo da Gap? da Gap si trova sempre qualcosa.”
Entrammo velocemente, e lui si recò nel reparto donna per essere assalito da un paio di commesse petulanti. Decisi che non aveva alcun bisogno del mio aiuto, e così mi limitai a cercare qualcosa di carino per me.
E, in effetti, dopo poco cercare, avevo trovato qualcosa. O meglio, avevo trovato qualcuno.
“Ti serve una mano?”
Mi voltai, e davanti a me si presentò il più bel ragazzo che avessi mai visto in vita mia.
Alto, capelli biondi e lunghi, come quelli di un angelo, e poi dei dolcissimi occhi azzurri che mi stavano facendo sciogliere come un gelato in estate.
“Ah-hem-ecco-io…”
“Hei, datti una calmata.” Sussurrò, ridacchiando. Oh, stavo sudando come un peccatore in chiesa. Quel ragazzo era disarmante per quanto era bello.
“Allora, che ti serve?”
“Un..un vestito. Per una ragazza.”
Lui mi guardò sogghignando. “E’ per la tua ragazza?”
“COSA!? NO!” Per poco non gli prese un colpo. Le mie corde vocali allenate al canto potevano essere un’arma pericolosa. Per l’imbarazzo della figuraccia subita cominciai a guardarmi i lacci delle scarpe, stringendo i denti.
“Io…io non sono…io sono gay.” Dissi tutto d’un fiato, diventando color viola.
Lui inarcò le sopracciglia, per poi sorridermi. Oh, stavo per morire. Quel sorriso mi faceva impazzire.
“Ti va un caffè?”
Non c’era neanche bisogno di chiedermelo.
Alla caffetteria non riuscii a spiccicare parola per un buon quarto d’ora. Lui, semplicemente, bevve tutto il suo cappuccino e mangiò un paio di cornetti.
Coraggio Blaine, dì qualcosa, maledizione!
“…scusa..per prima. Ero un po’…preso.” Da te.
“Fa niente. L’importante è che ti sei calmato.”
Per niente. Anzi, iniziavo a sentire mille farfalline svolazzarmi dentro a tutto il fegato.
“Io sono Jeremiah.” Mi porse la mano, sfoggiando quel sorriso caldo.
“Blaine” quando gliela strinsi provai come una scarica elettrica.
“Sei della Dalton?”
Annuii. La divisa era piuttosto unica, nel suo genere.
“Un sacco di ragazzi della tua scuola vengono a fare spese da Gap. Con i vostri soldi mi sono pagato la settimana bianca.”
Pensai che fosse la cosa più dolce che avessi mai sentito. Forse avevo messo troppo zucchero nel caffè, non lo so. Fatto sta che ero pazzo di lui, ed avevo come uno schermo davanti ai miei occhi, che trasformava ogni frase di Jeremiah in candide rose.
Parlammo un po’, del più e del meno. Onestamente non mi ricordo nemmeno cosa gli dissi, abbozzai qualcosa circa la mia scuola, e i regali di Natale, e lui si offrì gentilmente di tenermi da parte un delizioso vestito che gli era appena arrivato. Così avevo anche una scusa per rivederlo.
Non potevo essere più felice. Mi salutò con un veloce cenno della mano, che in cuor mio, non so come, diventò un tenero e forte abbraccio.
Mi ero sempre chiesto se esistesse l’amore a prima vista. Ecco, ne ero appena stato vittima.
 
 
Quella sera c’era la festa di inizio vacanze, ed era l’ultima festa prima di Capodanno. C’erano tutti, Kurt compreso, e mi presentai davanti a lui con un sorriso a trentadue denti ed un pacchetto rosso con un delizioso nastro verde.
Lui sgranò gli occhi, afferrandolo dolcemente, e dopo una serie di “ma non dovevi farlo” e “ti ringrazio” lo obbligai ad aprirlo. Scartò il pacco con una minuziosità assoluta, stando bene attento a non rovinare la carta, che intuii avrebbe custodito assieme al regalo.
Finalmente lo aprì: davanti ai suoi occhi, ora arrossati, c’era una fine sciarpa color corda, con una sottile trama quadrettata bianca e nera e delle righe rosse.
“Una sciarpa della Burberry!”
“Ho pensato di mettere insieme le due cose che ami di più: le sciarpe e Burberry.”
Lui fece per dire qualcosa, ma si zittì immediatamente, diventando viola. Voleva dirmi che, in verità, erano tre le cose che amava di più, ma della terza non ne ero ancora a conoscenza.
“Bene –disse infine, prendendo un bel respiro- adesso tocca a me.”
“Come?” Mi presentò una scatoletta blu. Senza pensarci due volte aprii velocemente il pacco: dentro c’era un cappellino di lana, blu, con un risvolto alla base.
“Ti sei ricordato di quanto ti ho detto che non avevo nessun cappello invernale…”
Kurt abbozzò un sorriso, ma era teso come una corda di violino.
“Lo so che è molto semplice, e che non è granché…”
“Ma scherzi? –Feci io, indossandolo immediatamente e sfoggiando il miglior sorriso che potessi avere- E’ perfetto.”
Lui arrossì un poco, ma le sue guance non ebbero il tempo di sfiammarsi che Colin si parò davanti a noi con un rametto di vischio in mano.
“Oh oh! Guarda chi c’è sotto al vischio????”
“Colin!” Protestò Kurt, paonazzo.
“Avanti Blaine, che aspetti? Oppure vuoi tradire lo spirito del Natale?”
“Oh, per niente al mondo vorrei scatenare la furia dello spirito del Natale” scherzai io, voltandomi poi verso Kurt. Lui era semplicemente pietrificato, non riusciva nemmeno a guardarmi per l’imbarazzo. Presi un bello slancio e gli diedi un leggerissimo bacio sulla guancia, sfiorando appena la sua pelle fresca.
In un’altra occasione, probabilmente, sarei semplicemente morto lì, sul colpo, esattamente come aveva fatto Kurt sotto gli occhi romantici di Colin. Ma quel giorno avevo la testa completamente direzionata verso quel bellissimo commesso che avevo incontrato da Gap, e quindi avevo preso quel bacio come un semplice gesto amichevole. Perché, infondo, io e Kurt eravamo amici. Non ci avevo creduto così tanto come allora.

***
Nel duetto, la parte sottolineata è Kurt, e quella in grasseto è Blaine.
Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo, ma la prima e la seconda prova mi hanno veramente distrutta. Inoltre, la prossima settimana avrò la terza e dovrò anche prepararmi per gli orali, quindi vi chiedo scusa in anticipo se anche il capitolo undici arriverà con un poco di ritardo, vi prego di portare pazienza, prima o poi questo dannato esame finirà. O almeno lo spero.
Riguardo al capitolo: di solito, per concentrarmi, metto su un po' di musica e mi lascio ispirare da quella. Essendo un capitolo totalmente incentrato sul Natale è stato molto strano ascoltare White Christmas con trenta gradi all'ombra [XD] ma spero che mi abbia aiutato a scrivere.
Siamo arrivati alla cifra tonda, capitolo dieci!! Ancora una volta mi sento in dovere di ringraziare tutte quelle splendide persone che mi stanno seguendo, che mi commentano o che, addirittura, mi hanno messa trai preferiti. Io non riesco ancora a crederci, vi giuro!
Ancora una volta faccio appello alla vostra immensa pazienza e vi chiedo di commentare questo capitolo un po' fitto di eventi... sperando davvero che vi sia piaciuto.
Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 12
*** La Chase-scappatoia ***


Di solito faccio una postfazione, ma questa volta devo fare un grande annuncio e merita di essere messo in cima. Questa storia, con la bellezza di 16 preferiti, 62 recensioni e 40 seguite, è entrata nella top 40 delle fanfiction su Glee. Certo, non è ai livelli delle big stories, ma insomma, per me è un traguardo e un sogno che si avvera. Onestamente non pensavo di poter ricevere tanta soddisfazione da una cosa scritta così, per puro divertimento, e tutto questo è merito vostro. Grazie, grazie, grazie, non mi stancherò mai di dirlo, GRAZIE.
Altro capitolo di passaggio, nel senso che non contiene eventi delle puntate, ma sono tutti missing moments. Spero che vi piaccia lo stesso!
Ps - grazie mille a monochrome per aver trovato un titolo psichedelico a questo capitolo xD

 
***


Capitolo 11
La Chase-scappatoia
 

 
Tic toc.
No, non era la canzone di Gwen Stefani. Era il mio dannatissimo orologio da taschino che segnava l’ora come un rombo di tuono; lo sentivo rimbombare nella mia testa, e tutto soltanto perché c’era il più assoluto silenzio intorno a me.
La Dalton sembrava una scuola spettrale, da quanto era vuota. Una di quelle dei film di seconda categoria, dove la bella viene salvata dal Nerd di turno e il povero sventurato viene mangiato dal mostro abominevole.
Okay, stavo davvero fantasticando troppo. Mi succedeva spesso, in quei giorni: avevo studiato tutto lo scibile, mi ero persino avvantaggiato, mi ero rivisto quattro o cinque volte la saga di Harry Potter e ormai conoscevo a memoria le battute del Moulin Rouge dalla prima all’ultima. Ma tutte quelle cose non erano divertenti come quando le facevo con Kurt. Niente era paragonabile ai suoi commenti cinici sul “maghetto cicatrizzato con deliri di onnipotenza” o sui colori delle case: “sul serio, Blaine, questo grifondoro può piacerti quanto ti pare, ma rosso acceso e oro? E’ peggio di un pugno nell’occhio. Il miglior abbinamento, a mio parere, è quello di Serpeverde, ma in fondo si sa che i cattivi hanno una marcia in più. Fa tanto il diavolo veste Prada.”
Scoppiai a ridere, immerso in quei pensieri. Era incredibile quanto mi mancasse Kurt, più di tutti gli altri ragazzi, ed era passata solo una settimana, dovevo resistere per altri otto giorni!
A distrarmi non c’erano nemmeno le prove degli Warblers, sospese per mancanza di membri. In effetti, in quella scuola, sembravano esserci soltanto i bidelli e Pannocchia, che non perdeva mai l’occasione per graffiarmi e ricordarmi quanto mi odiasse.
Ok, mi dissi, dopo essermi accorto di aver fissato un punto sul muro per tre quarti d’ora di fila, devo uscire.
E, ovviamente, la meta era Gap, anzi, un arrapante biondino intento a piegare maglioni, e perché no, se la fortuna mi avrebbe assistito gli avrei anche offerto un caffè. L’ultima volta che l’avevo visto –il giorno prima- ero riuscito soltanto a scambiarci qualche parola, lui si era scusato di dover prestare attenzione agli altri clienti e si era dileguato; beh, in verità, non si era proprio scusato, me l’aveva detto e basta, ma per me era sottinteso. Insomma, il modo con cui mi fissava valeva più di mille parole.
Indossai il cappellino che mi aveva regalato Kurt –ormai non uscivo più senza di quello- e mi diressi verso il parcheggio.
Ad aspettarmi all’ingresso della Dalton, però, trovai Priscilla, truccata e vestita di tutto punto come se dovesse andare ad un appuntamento romantico.
“Ciao Blaine” miagolò accoccolandosi tutta, e io ricambiai minimamente l’abbraccio.
“Ciao, Priscilla. Che ci fai da queste parti?”
Le sue labbra glitterate si incresparono maliziosamente. “Mi sembra ovvio: voglio uscire con te.”
Oh, questa poi.Avevo quel terribile presentimento dalla prima dello spettacolo, quando lei, durante il nostro duetto, aveva fatto più effusioni del necessario: per poco non mi era saltata addosso davanti a quattrocento persone. E meno male che lei cantava la parte della ragazza… non oso immaginare a cosa avrebbe potuto fare, accompagnata da frasi come mind if I moving closer oppure get over that hold out.
Mi trovai a balbettare qualcosa di indefinito, elaborando velocemente una rapida scusa per dirle di no.
“E’ che…in realtà…avrei, avrei un altro impegno..”
“Ah sì? –fece lei, guardandomi con aria di chi la sa lunga- E con chi?”
Cavolo, e ora che gli inventavo? Tutti i miei amici non c’erano. Avrei potuto inventargli un nome qualsiasi, ma poi mi avrebbe visto andar via da solo e si sarebbe insospettita. Avevo già provato una volta a prenderla in giro, e porto ancora addosso le cicatrici delle sue unghie finte. I graffi di Pannocchia, a confronto, sono una carezza.
Ero in trappola. Per un momento temetti davvero di dover uscire con quella ragazza invece di andare dal mio adorato Jeremiah. Ma io VOLEVO andare da Jeremiah, ne avevo bisogno!
La situazione era drastica, e io avevo urgentemente bisogno di una scappatoia.
Poi, tutto d’un tratto, come comparso dal nulla, vidi Chase.
Urlai il suo nome come una donna che grida al Santo. Lui si voltò di scatto, preso in contropiede.
“…Anderson!?”
A mali estremi, estremi rimedi.
Senza neanche dargli il tempo di fiatare lo presi a braccetto sfoggiando un sorriso a trentadue denti, per poi rivolgermi ad un’alquanto sconsolata Priscilla.
“Scusami, Priscilla, ma adesso dobbiamo andare. Sarà per la prossima volta, ok?”
Mi sentii quasi in colpa, di piantarla lì in asso. Poi pensai che ero appena scampato ad un lungo pomeriggio di Hannah Montana e Justin Bieber, e mi passò di colpo.
Una volta svoltato l’angolo lasciai il braccio dell’ignaro Chase, che per tutto il tragitto non aveva smesso nemmeno per un attimo di fissarmi scandalizzato.
“Grazie per l’aiuto” mormorai, non riuscendo nemmeno a guardarlo in faccia; la mia impulsività è sempre molto provvidenziale, quanto imbarazzante.
Lui rimase un altro secondo interdetto, e poi scoppiò improvvisamente a ridere, ma di gusto, e continuò in quel modo per abbondanti minuti, sotto la mia faccia scocciata e le mie labbra serrate in una smorfia. Che diavolo aveva da ridere in quel modo!?
“Non ci posso credere… -blaterò tra un respiro e l’altro- il famoso Blaine Anderson, che ha paura di una smorfiosetta!”
“Non ho paura!” ribattei, orgoglioso.
“No, infatti, eri talmente disperato che hai preso il primo che ti è capitato e sei scappato con la coda tra le gambe.”
Lo guardai crucciato, ma lui non sembrò considerare la mia ira, anzi, sembrava divertito nel vedermi così offeso. Riprese a parlare, stavolta con un’espressione più enigmatica, mentre i suoi occhi imperscrutabili mi analizzavano nel minimo dettaglio. “Mah, dopotutto, Kurt potrebbe avere ragione, sul tuo conto.”
“Cosa? Che ti ha detto Kurt? Avete parlato di me??”
Ma lui, in risposta, allungò il suo sorriso, e mi voltò le spalle. Quel ragazzo mi faceva davvero venire i nervi.
E da quando in qua lo chiamava Kurt!? Erano diventati amici? E come!? C’erano troppe domande senza risposta, e l’unica persona a cui potevo farle era a trenta chilometri da me immerso fino al collo nello zabaione.
“Già che mi hai sequestrato, potresti almeno fingere di essere uomo ed offrirmi un caffè.”
Non gli risposi nemmeno. Avevo imparato a non dar corda a quelle provocazioni inutili. L’unica cosa che volevo fare era andarmene nella mia stanza, e riprendere a fissare quel fatidico punto sul muro.
Lui, però, non era della stessa idea. Cominciò ad avviarsi verso la sua macchina, facendomi cenno di salire.
A quel punto mi rimanevano due opzioni: tornare indietro, ma mi sarei imbattuto in Priscilla per finire con un lungo, noioso pomeriggio, oppure andare da Chase, un quarto d’ora di cioccolata calda e poi dritto da Jeremiah.
Oh, cosa non si fa per amore.
Sospirai e alla fine montai in macchina, sotto lo sguardo trionfante del moretto.
“Allora…” per poco non mi strozzai con la cintura di sicurezza quando sentii la sua voce gelida tentare di instaurare un discorso. “Come mai qui?”
Ma mi prendeva in giro? “Beh, non è che avessi tutta questa scelta.”
“Intendevo alla Dalton…” aggiunse lui, accigliato. Risposi vago, guardando fuori dal finestrino.
“I miei non sono a casa, sono andati a sciare…o cose così.” Un posto valeva l’altro, tanto non era quella la verità.
La sera prima mi aveva telefonato mia madre. Era stata una chiacchierata piuttosto piacevole, fino a quando non mi pregò di tornare a casa almeno per Capodanno. Sentire la sua voce e, soprattutto, i suoi singhiozzi, mi provocarono una fitta al cuore. Ma nemmeno le sue lacrime mi convinsero: non sarei più tornato in quella casa. Preferivo la mera solitudine ad un padre che non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia. Chase annuì in modo poco convinto, e io mi chiesi se avesse davvero ascoltato le mie parole.
“E tu?” domandai, più per cortesia che per vero interesse. Lui, però, divenne improvvisamente cupo, e mi lanciò un’occhiata letale.
“Non sono fatti tuoi, nano.”
Che diavolo…!?Ma che problema aveva, quel ragazzo? Un attimo prima era tutto “oh Blaine, offrimi un caffè” e l’attimo dopo se ne usciva con quelle risposte secche. Ma come faceva Kurt a conviverci, anzi, a conversarci soltanto!?
Per il resto del viaggio non proferii parola, altamente seccato e con nessuna voglia di parlare. Fortunatamente la musica mediava quell’atmosfera gelida, intonando le note di una canzone di Bon Jovi.
Ascoltandola meglio, mi resi conto che era proprio Always, la canzone preferita di Ethan, ed era proprio la stessa canzone che aveva usato per il duello contro di me, che decretò poi la fine della sua gloria sulla Dalton. Anche Chase se ne ricordò, e non fu un ricordo piacevole. Perfetto, ci mancava solo la radio a peggiorare la situazione.
Quando si è arrabbiati non c’è niente di meglio dell’amore, per tirarti su di morale.
“Perché siamo venuti qui?” Domandò Chase, annoiato, ma io gli feci cenno di tacere e con fare molto disinibito avanzai di qualche passo, fingendomi estremamente interessato ad una giacca di cotone sintetico. Un secondo dopo Jeremiah mi sfiorò la spalla, abbozzando un sorriso incerto.
“Ciao Blaine.”
“Oh, Jeremiah! Che sorpresa vederti!”
“…Veramente lavoro qui.”
“Sì, nel senso, che sorpresa vederti qui, davanti a me… insomma, come va?”
“Come ieri, Blaine. Ti piace proprio Gap, eh? Sei qui quasi tutti i giorni…”
“Eh già… sai, credo che sia diventato il mio negozio preferito!”
“Ma non mi dire.”
“Sì…diciamo che…che c’è un motivo particolare...”
“Ah sì?” Lui aggrottò le sopracciglia, facendosi un po’ più serio.
Io annuii. Avrei voluto dire qualcos’altro, ma diavolo, avevo la gola completamente disidratata e il mio cuore stava per andare in iperventilazione. Non era in quel modo che volevo dichiararmi a Jeremiah, non con un’orribile giacca in mano, e poi non sapevo nemmeno se fosse gay. Certo, il mio radar scopri-colleghi ne era piuttosto certo, ma io non ci avrei creduto finché non lo avessi udito direttamente dalle sue belle, grandi, sensuali labbra.
E poi c’era Chase, che mi fissava scandalizzato. Per poco non mi dimenticavo di lui. Lo afferrai per un braccio e lo tirai verso di noi; si lasciò trascinare piuttosto docilmente, pensieroso.
“Jeremiah…ti presento Chase Edlund.”
“Piacere” disse lui, porgendogli cordialmente la mano. Oh, poteva essere più perfetto?!? Era sempre così gentile, pacato, dolce…e poi quegli occhi, oh quanto mi facevano impazzire! Feci appello a tutta la buona volontà in me rimasta per non squagliarmi a terra lì, come un budino.
Chase, in tutto quello, guardò il commesso con la sua solita aria da sufficienza, me lo aspettavo. Non mi aspettavo, però, la domanda che fece subito dopo:
“Sei il ragazzo di Anderson?”
Il mio volto andò letteralmente in fiamme.
Oh cavolo, cavolo cavolo cavolo! Io ODIO questo ragazzo!!!!
Jeremiah, però, ebbe tutta un’altra reazione: abbozzò un sorriso, divertito, e gli mise una mano sulla spalla, sussurrandogli velocemente qualcosa che potei udire anche io.
“Non è che dobbiamo stare insieme solo perché siamo due gay che si conoscono.”
…Come scusa?
Esiste il tasto rewind?
No perché mi era appena parso di aver davvero, DAVVERO, sentito quello che avevo sentito. Non era un’allucinazione, non era uno dei miei millemila sogni, era la pura e semplice realtà.
Jeremiah era gay. Jeremiah era stupendo, dolce, con uno sguardo talmente profondo da poterci nuotare dentro, ed era gay.
In quel preciso istante, la mia cotta supersonica raggiunse i massimi storici.
La mia mascella scese di due piani, i miei occhi si spalancarono come due fari, il mio respiro si fece accelerato, le ginocchia tremanti, insomma, ero fuori di me.
Chase mi diede una rapida occhiata e poi mi fece voltare di scatto, spingendomi verso l’uscita.
“Sì, vabbè, noi andiamo. Ciao, Josuè.”
“Jeremiah!” Lo canzonai sottovoce, furioso di come quell’odioso ragazzo avesse appena storpiato il nome del ragazzo di cui ero follemente cotto.
“Un momento! -Esclamai infine, accorgendomi troppo tardi di essere fuori da Gap -Perché mi hai trascinato qui!? Io torno dentro!”
“Ma guardati -commentò lui, ridendo sotto ai baffi- sembri una scolaretta in calore.”
“Non sono affari tuoi.”
“No, infatti lo dicevo per Kurt..” non aveva nemmeno finito la frase che si era tappato la bocca con le mani in un gesto davvero teatrale.
“Cosa c’entra Kurt?” Domandai, cercando di decifrare il suo sguardo puntato a terra.
“Niente. Muoviti, andiamo.”
“E’ tutto il giorno che tiri fuori il suo nome –tentai di guardarlo negli occhi, ma il suo passo era dieci volte più lungo e veloce del mio- sembra quasi che ti stia simpatico.”
“Hei, non scherziamo! E’ un ragazzino impertinente e bizzarro, e quel suo maledetto canarino mi sveglia sempre all’alba. E’ solo che sono il suo compagno di stanza, e volente o nolente devo sorbirmi i suoi sproloqui notturni…”
“E avete finito per diventare amici, non è vero?”
Non rispose. Sfoggiai un sorriso compiaciuto. Kurt, ma come fai? Soltanto tu riesci a convertire uno sbruffone come Chase in un amico.
“Onestamente, però, non riesco ancora a capire come ti abbia convinto a mettere una pietra sopra al nostro astio, ma sono molto più contento così.”
“Come scusa?” Si voltò di scatto, accigliato. “Non ti allargare, gnomo. Sarai anche l’idolo di Kurt, ma per me sei e rimani un idiota.”
“Davvero? Kurt pensa questo di me?” Oh, Kurt. Io non sono affatto un idolo. Se solo tu sapessi quanti pensieri contorti scatena questa mia mente disturbata… trai due, tu sei quello speciale, non di certo io.
Lui non disse altro, palesemente seccato dal mio atteggiamento euforico che aveva completamente ignorato la sua offesa, e silenziosamente salimmo in macchina, ognuno immerso nei propri pensieri, i miei divisi tra il mio miglior amico e quello schianto di Jeremiah.
 
 
Con nostra grande sorpresa, ad aspettarci alla Dalton vi trovammo Nick, Ed, Colin e Flint, intenti a dibattere tra di loro su qualcosa circa il numero di invitati, o il tipo di musica.
Quella sì che era una sorpresa: mi avevano detto che sarebbero tornati a inizio Gennaio!
“Ragazzi, che ci fate qui!?”
“Ah, bell’accoglienza!” Esclamò Ed, con il naso all’insù, e Flint incrociò le braccia.
“E’ questo il modo di salutare i tuoi amici!?”
“Dopo sette lunghi giorni!” Sbottò Colin, e Nick annuì, da vero snob.
“E noi che siamo tornati prima apposta per te…”
“Sul serio?” Domandai io, incredulo e francamente commosso.
“Certo, per te, e per una mega festa di capodanno organizzata dal comitato della Dalton e della Crawford!”
“Ah, ecco, ora vi riconosco.”
“COOOSA!?”
Ridacchiando gli porsi delle scuse, e loro in risposta mi stritolarono in un attacco che aveva l’intenzione di esser un abbraccio e che, per poco non mi spezzò il collo, soprattutto grazie alle braccia muscolose di Ed.
 “Okay, okay, mi arrendo: anche voi mi siete mancati.”
I quattro sorrisero, e soltanto in quel momento si accorsero della presenza di Chase, a pochi passi dalla mia. S’incupirono subito e mi fissarono straniati.
“Amico, come mai tu ed Edlund siete nello stesso posto, e senza prendervi a pugni?”
Io e lui ci scambiammo una rapida occhiata, e lui sospirò, in procinto di andarsene.
“Aspetta, Chase!” Lo afferrai per la manica e lo strattonai verso di noi.
“Viene anche lui alla festa.”
I loro sguardi, in quel momento, mi stavano urlando un “MA SEI PAZZO!?”, ma io non avevo intenzione di cambiare idea. Se Chase era amico di Kurt, allora era anche mio amico. O almeno, ci avrei provato.
Mi rivolsi a quest’ultimo: “Tu sei d’accordo, no? E’ sempre meglio di passare l’ultimo dell’anno da soli.”
Lui annuì a malincuore, tirando un enorme sospiro scocciato.
“Bene allora –mi sfregai le mani, compiaciuto- diamoci da fare.”
 
 
La festa di capodanno era esattamente come me la immaginavo: musica house a palla, ragazze in minigonna e ragazzi improfumati, e poi, una quantità davvero infinita di alcolici a nostra disposizione.
Di solito non sono uno che beve. Certo, a parte le due birre canoniche prese ad ogni festino degli Warblers, quelle non fanno testo.
Quella sera, però, i miei amici mi fecero alzare un po’ troppo il gomito a suon di votka liscia, limoncello e rhum. E’ che quei brindisi andavano fatti a tutti i costi! Insomma non potevo non brindare al vecchio anno, poi al nuovo, agli Warblers, alle provinciali, e alle regionali come augurio e, perché no, anche alle nazionali –eravamo molto gasati, in quel momento-, agli amici e all’amore –pensai immediatamente a Jeremiah, cosa stava facendo in quel momento? Stava festeggiando anche lui? Mi stava pensando anche lui?-, e poi ancora, al rapimento di Pannocchia e all’incendio dell’aula di chimica provocato da Ed durante l’ultima esercitazione, e a molte, moltissime altre cose di cui, onestamente, non ricordo molto. Ricordo, però, il brindisi di capodanno, l’esultanza generale di fronte allo champagne appena stappato, Ed che voleva a tutti i costi imbrattarmi di schiuma perché “porta fortuna per l’avvenire!”, ma io, in risposta, gli dissi che non avrebbe di certo portato fortuna alla mia camicia.
Subito dopo ci dirigemmo fuori per vedere i fuochi d’artificio. Fu in quel momento che il mio cellulare vibrò, e Dio sa come riuscii a sentire la fantastica suoneria di Katy Perry in tutto quel trambusto. Il nome sul display mi rese ancora più allegro di quanto non fossi già.
“Kurt!!”
“Hei, Blaine! Felice anno nuovo!”
“Felice anno nuovo anche a te, Kurt! Oh, quanto vorrei che tu fossi qui a festeggiare insieme a noi!”
“Lo so, Flint me l’aveva proposto, ma mio padre ci teneva che fossi con lui, insomma, era il nostro primo capodanno, come una famiglia…”
“Oh. Certo, certo Kurt! Hai fatto bene, anzi, sai che ti dico? Hai fatto BENISSIMO!”
“Blaine…ma sei ubriaco?”
“Io? NAAAAAAAAAAAH. Ho bevuto un po’, sai, giusto un paio di brindisi, ma sono ancora in me. Quando bevo si capisce subito, perché comincio a straparlare e a cacciare fuori tutto quello che mi passa per la testa, ma non è questo il caso, cioè, non è come adesso, adesso sto straparlando per farti vedere come straparlerei se fossi ubriaco!”
“…Aha, capisco.” La sua risposta fu secca, ma dalla sua voce trapelava il suono di un leggero sorriso.
“Kurt? Kurt ci sei?”
“Sì Blaine, dimmi.”
“Il 2010 è finito. E’ tutto passato, Kurt.”
Lui esitò un momento, capendo benissimo che mi stavo riferendo a Karofsky, alla malattia di suo padre, a tutte le pene passate, e a quanto si fosse sentito così, tremendamente solo, per un lungo, estenuante anno.
Nonostante i litri di champagne, nonostante il caos più totale, nonostante le grida e le risate delle persone, in quel momento fui estremamente serio. Fu come se, per un attimo, mi fossi estraniato dal mondo, e fossi tornato sobrio, soltanto per poter dire a Kurt quelle parole così importanti.
“E’ tutto passato.” Ripeté lui, con voce soffusa.
“Kurt. -strinsi forte il telefono, come se in quel modo potessi sentirlo più vicino a me- Quest’anno sarà tutto diverso. Quest’anno sarà semplicemente fantastico. Io e te, saremo fantastici. Riempiremo questi dodici mesi di bei ricordi. Te lo prometto.”
Percepii un singhiozzo represso, un sospiro, e poi un bisbigliato “grazie” interrotto dalle lacrime, non seppi decifrare se di gioia o di dolore.  Dopo qualche secondo tirò su col naso, la voce più ferma, il tono più sereno.
“Felice anno nuovo.”
Nick e Colin esultarono, vedendo quello che amavano chiamare “Kurt-sorriso” diventare sempre più ampio, e i miei occhi sempre più radiosi.
“Felice anno nuovo.”

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Capitolo 13
*** Gioco di squadra ***


Capitolo 12
Gioco di squadra

 
 
“Allora –la voce di Wes era dubbiosa, mentre i suoi occhi scuri ci scrutavano uno ad uno- spiegatemi un’altra volta perché diavolo siamo in un campetto malconcio sotto ad un freddo pungente e vestiti come degli armadi.”
“Si chiama football, Wes. E le divise le hanno trovate Nick e Colin nello stanzino abbandonato del bidello.”
“E avete avuto la geniale idea di portarle alla riunione degli Warblers!?”
“Hei, non guardare noi! –Mi indicarono da sotto i guanti rattoppati- E’ stata un’idea di Blaine!”
Thad si voltò lentamente verso di me, gelido, e non credo che fosse a causa della temperatura. “Blaine… chissà come mai, ci avrei scommesso.”
“Lasciatemi spiegare. L’altro giorno io e Kurt siamo andati a vedere una partita del McKingley, dove la squadra di football stava a malapena in piedi.” Ricordando quel primo tempo giocato da quattro giocatori, mentre cinque ragazze stavano stese a terra ripensai che, in effetti, non c’era proprio.
“Alla fine, però, hanno giocato tutti, e hanno vinto il campionato. Il lavoro di squadra li ha portati a collaborare e hanno fatto pace prima che se ne fossero accorti. Ora, lo so che abbiamo avuto diversi conflitti durante questa settimana…”
Guardai gli altri membri, lasciando in sospeso i riferimenti alle mille litigate per le canzoni, alle scenate da snob per gli assoli, ai commenti cinici per le coreografie, e specialmente alle frecciatine continue dedicate ai tre del consiglio, che ultimamente erano sempre più frequenti.
“Ed è per questo che siamo qui. Dobbiamo ritrovare quell’alleanza che ci ha sempre tenuto uniti.”
Kurt mi sorrise, quasi ammirato. In quel momento, dovevo avere un aspetto da vero leader.
Orgoglioso di me stesso, misi la mano al centro del cerchio da noi formato, che fu subito sovrastata da quelle di Nick, Ed, Colin, Flint e Kurt. Wes, David e Thad si aggiunsero un po’ titubanti, mentre con la coda dell’occhio guardavano l’altra squadra, formata da Jeff e tutta l’altra metà del Glee Club.
Urlai il canonico “break!” e ci mettemmo in posizione. Ed, vista la sua stazza, faceva il quarterback, mentre io avevo il compito di allungarmi sulla fascia e fare meta. Dalla parte opposta alla mia c’era Kurt, che si stava stiracchiando la schiena con molta tranquillità. Si era rifiutato con tutto il cuore di indossare quella divisa malconcia in cambio di una comoda tuta che gli fasciava i fianchi. E gli stava dannatamente bene.
“E’ la prima volta che giochi?”
Lui non mi rispose, continuando ad allungare il braccio, e alla fine mi parlò con tono vago.
“Uhm, no, direi di no.”
“Cosa???”
“Sì beh, sono stato il kicker del McKingley per un po’, l’anno scorso.”
“Davvero!?”
Lui mi guardò magnanimo, come per dire “preferisco non parlarne.”, ma io ero troppo curioso e allibito per non infierire, e poi non sono mai stato molto discreto.
“Non ci posso credere! Non ti ci vedo per niente!”
Mi fissò gelido, ma ovviamente quell’avvertimento non bastò a farmi tacere.
“Eppure non mi sei mai sembrato molto interessato a questo sport, insomma, l’ultima volta che ti ho costretto a vedere una partita dei Reds per poco non ti sei addormentato!” scivolando con la testa sulla mia spalla, aggiungerei.
“Non ho detto che mi piacesse. Comunque è una parte della mia vita che ho superato, adesso.” Bofonchiò lui, arrotolandosi le maniche della felpa. I miei occhi lo fissavano luminosi. C’erano così tante cose del suo passato che non conoscevo, chissà quante mille cose, quali scheletri nell’armadio, quanti dettagli che non mi avrebbe mai rivelato se non sotto tortura…  non so perché, ma quella cosa mi riempì di emozione: io volevo sapere tutto di Kurt. Stavo per riparlargli, ma fui distratto dalla voce tuonante di Colin che tentava di richiamarmi in posizione.
Chiamò un paio di numeri, ordinò lo schema ed eccitato come non mai cominciò la partita, passando la palla indietro e scontrandosi contro Wilson. Ed l’afferrò al volo e io mi ero già avviato lungo la meta. Con un lancio poderoso mi passò la palla, che afferrai al volo non so in quale fortuito modo, e schivando un attacco laterale da parte di Jeff raggiunsi l’ultimo yarde.
La mia squadra esultò alla vittoria, mentre gli altri mi guardarono ancora più seccati.
Non era una partita molto complicata: nessuno di noi era veramente bravo e i placcaggi erano sempre molto “compiti”, come la rigorosa Dalton aveva insegnato a dovere. Sono sempre stato un amante degli sport, e il mio fisico leggermente atletico mi aiutò a correre, saltare e schivare azioni, per fare quasi sempre meta. E poi, io e i miei amici avevamo un’intesa che agli altri mancava: ci capivamo con uno sguardo, ci coprivamo le spalle a vicenda e, cosa non meno importante, ci divertivamo. Kurt non faceva granché, diciamo che si rifiutò categoricamente di correre o di rotolarsi nel fango, ma a me non importava: ogni volta che facevo un punto lui esultava per me, e oh, quando mi fissava in quel modo, sentivo il cuore battermi tre colpi in una volta sola, il fegato arrotolarsi freneticamente, e una parte di me si disse che avrebbe fatto cento, venti yarde, solo per vedere un’altra volta quel sorriso, solo per riprovare quella sensazione.
“Amico.” Nick mi passò accanto, sussurrandomi maliziosamente. “Smettila di Kurt-sorriseggiare di continuo, concentrati sulla palla.”
Gli diedi una leggera spinta, arrossendo un poco. Oh, al diavolo i suoi commentini. Io non stavo affatto Kurt-sorriseggiando. Ero solo esaltato per la partita, ed ero felice che lui si stesse divertendo. O almeno, mi convinsi che fosse così.
Al venticinquesimo minuto il nostro umore era alle stelle, ma quello degli altri era tutto l’opposto.
Questa cosa doveva spingerli a collaborare, e invece iniziarono a litigare tra di loro, insultandosi e biasimandosi per passaggi sbagliati o placcaggi troppo teneri.
Le cose iniziarono a degenerare quando Wilson diede uno spintone a Sam che per poco non lo fece cadere all’indietro. Corsi verso di loro, mettendomi immediatamente in mezzo e incitandoli alla calma.
“Anderson…” il moro sputò il mio nome come se fosse veleno.
“Devi sempre stare al centro dell’attenzione, eh!? Fatti da parte, è una cosa tra me e Sam.”
“No invece. Tutto questo accusarsi reciprocamente è inutile! Perché non riuscite più ad essere amici!?” Ma loro non mi ascoltavano. Cercai di smuoverli su un tasto che pensavo gli fosse caro.
“Non vinceremo mai le regionali se non riuscite nemmeno a giocare una partita di football senza menarvi!”
“Piantala, Blaine -cantilenò Sam, venendomi incontro – Sono stufo dei tuoi discorsi da grande puffo.”
“Hei! –Protestò Ed con Nick e Flint- Soltanto noi possiamo chiamarlo puffo!”
“O hobbit!”
“O Tappo-ti-Stappo!”
Mi spiattellai una mano in faccia, sospirando.
 “Caspita –fece Kurt, con un mezzo sorriso- voi sì che dite sempre le cose giusto al momento giusto.” Gli altri non colsero il sottile sarcasmo delle sue parole e lo ringraziarono raggianti.
 Sam li guardò straniato per un attimo, ma poi sbuffò, e si rivolse al consiglio.
“Ma soprattutto, sono stufo del consiglio che fa quello che gli pare senza nemmeno tenerci in considerazione!”
 “Già, è vero!” Jeff e tutti gli altri ora erano davanti a loro, gli sguardi accigliati, le mascelle pietrificate in una smorfia. Rimasi in silenzio. Non volevo far vedere che, in verità, ero rimasto profondamente scosso dalle loro parole.
Wes si intromise nel discorso, sconcertato. “Ragazzi, ma che state dicendo? Noi ascoltiamo sempre le vostre richieste.”
“E poi –aggiunse Thad- siete stati voi ad eleggerci!”
“Beh, sai che ti dico? - Wilson mi si parò davanti, sprezzante - Ne ho fin sopra i capelli della vostra dittatura!”
“Mi spiace per te, bamboccio.” Nick mi si piazzò accanto, a braccia conserte. “Purtroppo dovevi pensarci prima.”
“E invece ci penso adesso. Perché lascio gli Warblers.”
Wes sgranò gli occhi, e così David, Thad, Kurt, e i miei amici. Wilson, silenziosamente, si tolse il casco e lo buttò in terra con un gesto davvero teatrale. Dopo qualche secondo un paio di ragazzi si unirono a lui, lanciandoci un’ultima occhiata gelida.
Che diavolo!?Cercai di dire qualcosa, di trattenerli, ma ero troppo paralizzato dallo stupore.
Doveva essere una tranquilla partita di football… come eravamo finiti in quel modo!?
Alla fine, rimanemmo soltanto io, Kurt, Ed, Flint, Colin, Nick e i tre del consiglio, con tutto il nostro grande, immenso stupore.
 
 
“Ammutinamento…ammutinamento… “ Wes si teneva le mani fra i capelli, il martelletto abbandonato a se stesso. “Ammutinamento…durante il mio anno…non è possibile…questa cosa non succedeva da…da quando, Thad!?”
“Dal 1947 –commentò lui, tirando su col naso- è passata alla storia come la grande frattura, la Berlino Est e la Berlino Ovest della Dalton.”
Io e Kurt ci guardammo scettici. A volte la loro teatralità era quasi ironica.
“Ragazzi, non perdiamo la calma dai…”
“E adesso cosa facciamo!? -David mi si piazzò davanti, scrollandomi per le spalle -Sono due giorni che se ne sono andati, e ancora nessuno è tornato!”
Flint sviò lo sguardo. “Quando ci incontriamo per i corridoi fanno pure finta di non vederci…”
“Oppure ci lanciano palline di carta durante le lezioni.”
“A proposito avrei escogitato una bella vendetta.”
“No, Ed, –lo guardai austero- niente vendette. Niente stupide provocazioni. Rischieremo soltanto di peggiorare la situazione.”
“Blaine…credo che la situazione sia già peggiorata.”
Flint roteò il portatile verso di noi e ci mostrò la home page della Dalton. Al centro, grande quanto una casa, c’era un’aquila rossa con delle strisce blu:
C’è UN NUOVO GLEE CLUB A SCUOLA. SIAMO GLI EAGLES, E CI DIVOREREMO GLI WARBLERS!
Rilessi la scritta più e più volte. “Cos’è, uno scherzo?”
Wes si sentì male, e svenne in terra.
Ci guardammo tutti quanti, e nei nostri occhi c’era la stessa identica espressione. Eravamo senza parole, semplicemente increduli. Ma ancora non sapevamo, che il peggio doveva venire.
I giorni successivi furono un vero assalto. Le “aquile”, come si facevano chiamare ora, padroneggiavano la Dalton come dei veri divi. Reclutavano tutti i ragazzi che avevamo scartato durante le audizioni, persino quelli stonati, soltanto per far numero ed intimorirci. I tre del consiglio avevano perso l’uso della parola ed erano diversi giorni che si vedevano solo a lezione, e poi sparivano chissà dove.
Io ero a terra, mi sentivo davvero in colpa, anche se Kurt passava metà della giornata a convincermi del contrario. Quel pomeriggio cercavamo di studiare qualcosa, ma avevo la mente completamente chiusa, e dopo mezz’ora che stavo fissando la stessa pagina del libro, Kurt tralasciò per un attimo il suo di algebra, e si portò un dito sulla guancia con fare pensieroso.
“Sai Blaine, non abbiamo più finito di vedere il terzo film di Harry Potter.”
Il lapis mi scivolò di mano. Avevo sentito bene? Kurt Hummel che mi chiedeva di guardare Harry Potter??
“Kurt…mi hai implorato di stopparlo perché il tuo grado di sopportazione aveva raggiunto il limite.”
“…appunto: adesso il mio grado è a livello zero, e sarà sufficiente per reggere la seconda metà. Sono pronto.” Lo diceva come se fosse un’impresa epica, e la sua espressione combattuta mi fece ridere.
“Ma tu odi quel film! Non voglio che tu patisca questa tortura solo per farmi contento.”
Lui balbettò qualcosa, mentre le sue orecchie diventavano viola, come accadeva spesso quando stava per confessare qualcosa di puntiglioso.
“…Pensavo che… insomma, ti facesse piacere… sembri stanco, e so quanto ci stai male per questa storia del Glee club. Volevo distrarti, ecco. Però, se non ti va…”
“Mi va.” Dissi tutto d’un fiato, con un terribile sorriso dipinto sul volto. “Grazie, Kurt. So quant’è difficile per te sopportare il ricciolino cicatrizzato.”
“E’ vero.”
Ci guardammo per un attimo, e poi scoppiammo inevitabilmente a ridere.
 
 
Dopo qualche giorno la situazione aveva preso una strana piega.
Come disse Thad, in un suo commento su twitter, si era passati dalla guerra di trincea ad una di movimento.
Tutto era partito la mattina prima, quando Ed si era alzato dal letto ed aveva immerso i piedi in un paio di pantofole piene di schiuma da barba. Colin, invece, aveva il dentifricio dappertutto, e quando dico dappertutto, intendo, dappertutto.
Per loro quella era stata una chiara dichiarazione di guerra.
Insieme a Nick e Flint andarono nella camera di Wilson e Sam, e sotto ad una tavola di legno staccata ci nascosero un pesce avariato.
Inutile dire che i ragazzi furono costretti ad evacuare a causa del tanfo lancinante di origine sconosciuta. Se non era per un affamato Pannocchia non avrebbero mai trovato l’arma del delitto. Ad ogni modo furono costretti a buttare tutti i vestiti puzzolenti e a tenere le finestre spalancate per due giorni di seguito, precisando che facevano a malapena due gradi e c’era un vento che faceva battere i denti.
Mi augurai che la storia finisse lì, uno pari, ma, come sempre, mi sbagliavo.
Mi trovavo da Gap, intento ad ammirare Jeremiah in tutte le sue forme, quando mi arrivò un sms multiplo destinato anche a tutti gli altri ragazzi.
“Venite in camera mia –Nick”
Se non era per il tono di quel messaggio lo avrei volentieri ignorato per continuare a spogliare con gli occhi il commesso, ma a malincuore fui costretto ad andarmene senza nemmeno averci parlato per mezzo secondo. Sperai per Nick che fosse una cosa seria, e in effetti lo era davvero.
Galline. La camera di Nick era tempestata da una mezza dozzina di galline. Ma non di peluche! Erano delle vere, piumose, crocchianti, galline.
E mentre ci affrettavamo ad accalappiarle tutte, lasciando centinaia di piume per tutta la stanza e dolendoci le orecchie per il loro stramazzare, io guardavo gli altri, e non sapevo se ridere, o piangere.
Ma la mente diabolica di Ed non si fece sopraffare dal loro attacco. Anzi. Come si suol dire, ricambiò il favore.
Può sembrare una cosa assurda, a pensarci bene, eppure fu proprio quello che facemmo: hanno fatto covare tutte quelle sei galline, ottenendo sei belle uova fresche fresche; dopodiché andarono in camera di Wilson e Sam, e le misero un po’ sotto al cuscino, un po’ sotto al coprimaterasso, un po’ le schiacciarono contro il muro, lasciando delle orribili macchie gialle.
Inutile dire le reazioni avute dai due ragazzi.
Credo che furono costretti a buttare lenzuola, vestiti e materassi, per la seconda volta in nemmeno due giorni.
All’ora di pranzo Wilson e Sam, neri come il carbone, si presentarono al nostro tavolo, dove c’era tutto il Glee club al completo, o almeno, quello che ne era rimasto dalla scissione. I miei amici furono costretti a mordersi la lingua per non scoppiare a ridergli in faccia.
“Basta così. Chiudiamola qui, oggi.”
Flint si strinse un ginocchio, cercando di assumere un tono da finto innocente.
“Perché? Non vi sono piaciute le vostre omelette?”
“Strano –sbottò Ed- eppure pensavo che le uova fossero buone. Sembravano delle galline proprio in forma!”
Flint scosse la testa, saccente. “Eh che ci vuoi fare, non ci sono più le pollastrelle di una volta…”
“Tutto questo parlare di galline mi ha fatto venire voglia di donne.”
“Che diavolo, Ed, sei senza speranza!”
“Finitela!” Sbraitò Wilson, facendo cessare le nostre risatine sommesse.
“Risolviamo la cosa a modo nostro.”
Distolsi lo sguardo dal mio vassoio, interdetto. Perché avevo una strana sensazione di deja-vù?
“Perché non facciamo una bella sfida? Gli Eagles contro gli Warblers. Il glee club perdente sarà costretto a sciogliersi.”
“Perfetto, affare fatto.” fece Nick immediatamente, senza nemmeno pensarci.
“Ci vediamo a mezzogiorno, pulcini.”
Dopo che lasciarono la stanza, i ragazzi si guardarono tra di loro, trepidanti ed entusiasti. I tre del consiglio, invece, erano cinerei.
“Ti rendi conto di quello che hai appena fatto!?”
“Ragazzi, è una partita vinta in partenza! Noi abbiamo Blaine, ricordate???”
"Come?"
Mi voltai di scatto verso di loro, e sette paia di occhi mi stavano fissando come innamorati.
“Oh, già! In effetti abbiamo Blaine.” Commentò Wes, tirando un sospiro di sollievo.
“Mi raccomando, Blaine”
“Stendili tutti Blaine!”
“Contiamo su di te, amico.”
“Allora, coro mozzafiato e coreografia scarna o viceversa?”
“Beh io farei decidere a Blaine.”
“Blaine. Blaine Blaine Blaine Blaine.”
“Blaine Blaine! Oh, Blaine!? Blaine!”
“Scusate?” Esordì Kurt, come una scialuppa di salvataggio per la mia disperazione che stava sempre più aumentando. Gli altri cessarono finalmente di straparlare.
“Blaine è fantastico, questo lo sappiamo, ma credo che insieme potremmo fare ancora meglio. Dobbiamo fargli ricordare perché amavano tanto questo Glee club. Fidatevi: nella mia vecchia scuola c’erano sempre liti del genere, ormai le conosco come il catalogo autunno-inverno di Marc Jacobs.”
 
 
Non avevo mai visto l’aula magna così piena. C’era praticamente tutta la Dalton, lì riunita, e persino qualche professore incuriosito. Il centro della stanza era stato lasciato libero per i due gruppi contendenti.
L’orologio a pendolo batté mezzogiorno spaccato. Mi sentivo davvero in uno di quei film western, dove i cowboy si guardavano minacciosi e vinceva chi riusciva ad estrarre prima la pistola.
Stavo sudando freddo. Avevamo provato un bel numero, è vero, ma dentro di me si celava un brutto presentimento.
Che numero avrebbero fatto? E chi sarebbe stata la voce portante? Chi era così bravo da poter gestire un gruppo talmente numeroso –erano arrivati a 20 membri, ragazzini stonati compresi- e avere un’estensione vocale in grado di eseguire una canzone accettabile per tutti?
Francamente parlando, escludendo me non pensavo che esistesse qualcuno, alla Dalton, con quelle potenzialità. Certo, a parte Kurt. Lui era anche meglio di me.
In quel momento si spensero tutte le luci. Immersi nel buio scattò il suono di una musica forte, remixata, intonante le note di “rock your body”; dopo qualche secondo dall’inizio della base, vidi un gruppo di ragazzi avanzare. Li potei vedere, in mezzo a quella penombra totale, perché indossavano delle tute contornate da luci al LED di diversi colori, che tracciavano i contorni dei muscoli e delle ossa, come degli scheletri.
Un ragazzo si fece avanti. La sua faccia era coperta da un passamontagna come quella degli altri, ma la sua voce si sentiva in modo cristallino, era forte, decisa, ed era una voce che non avevo mai sentito prima.
Kurt, e così gli altri, rimasero folgorati dai loro volteggi, dalle loro mosse di break-dance e da tutta quella splendida esibizione che mandò letteralmente in visibilio tutta la folla.
“Rock your body”tuonò alla fine il solista, e tutti i ragazzi si misero in posa, non tutti allo stesso tempo e alcuni in modo più sbadato degli altri. Comunque, quando si accese la luce, ci fu un boato generale.
Non riuscivo nemmeno ad applaudire per lo sconcerto. Era una cosa mai vista prima, completamente diversa dal modo di fare degli Warblers, e forse anche migliore.
C’era da dire, però, che a parte il cantante principale e gli ex-membri gli altri ragazzi avevano un po’ rovinato l’esibizione, per delle scarse movenze o delle steccate davvero inascoltabili.
Era il nostro turno. Ci mettemmo in posizione, senza nemmeno aver il tempo di guardare in faccia chi fosse il mio stramaledettamente bravo rivale.
Non avevamo una base: come sempre, le nostre voci erano tutto ciò di cui avevamo bisogno.
Un’ultima occhiata, e poi partimmo con una rivisitazione a cappella della Toccata e fuga di Bach.
Le nostre voci si accavallarono in un insieme di accordi, scale, arpeggi, effettuando tutto l’intro fino al crescendo di due minuti, armonizzato a tre voci, di cui io e Kurt facevamo le note alte. La sua voce, in particolar modo, echeggiava in mezzo alle nostre come se fosse quella di un vero organo.
Quando riprendemmo fiato, la gente davanti a noi stava già per applaudire. Sorrisi. Quello era solo l’inizio. Cominciammo a battere mani e piedi all’unisono, gli occhi fissi sui nostri rivali incappucciati.
 
“Buddy you're a boy make a big noise
Playin' in the street gonna be a big man some day
You got mud on yo' face
You big disgrace
Kickin' your can all over the place
Singin'

We will we will rock you
We will we will rock you “

 
I ragazzi cominciarono ad incitarci esultando festosi, e io acquisii ancor più sicurezza, facendo un passo avanti e abbassando teatralmente la testa ascoltando il dolce “bam bam bam” dei miei amici.
 
“Mr Sandman
bring me a dream
Make him the cutest that I’ve ever seen
 give him two lips, like roses and clovers
then tell him that his lonesome nights are over…
and-
Hee-hee!Ooh!Go on girl!Aaow!
Hey pretty baby with the
High heels on
You give me fever
Like I’ve never, ever known
Youre just a product of
Loveliness
I like the groove of
Your walk,
Your talk, your dress
I feel your fever
From miles around
Ill pick you up in my car and well paint the town
Just kiss me baby
And tell me twice
That youre the one for me

The way you make me feel
E nel frattempo mi cimentai in uno splendido moonwalk, sotto la reazione euforica degli spettatori e persino quella dei miei amici. Non feci neanche in tempo a finire che partì immediatamente l’ultima canzone, un mash up di “I like your moving move it”e “Rock this party”, nei quali avevo lasciato spazio a Colin ed Ed per dedicarmi alla base insieme a Kurt Nick Flint e Wes.David e Thad si esibirono in una serie di acrobazie e salti che fecero mozzare il fiato. Erano pur sempre i coreografi degli Warblers, nonché i membri del consiglio. Un ultimo salto, perfettamente in sincrono, e poi le nostre voci mescolate in una sola.
“So – move it!”
Venne giù l’aula magna. Per un momento temetti davvero che crollasse il soffitto sulle nostre teste.
 I ragazzi semplicemente erano fuori di sé e le aquile rimasero impassibili, increduli, rielaborando ancora tutta la serie di canzoni che avevamo cantato senza neanche un attimo di sosta e un minimo di esitazione.
Eravamo stati semplicemente fantastici. Tutti quanti. Eravamo stati talmente bravi che, alla fine, Jeff e gli altri ex-membri corsero verso di noi, esultando e complimentandosi. Ma eravamo noi quelli a doversi congratulare, perché davvero non si era mai vista una cosa del genere, ed erano stati sensazionali, e pensammo subito a chissà quante cose potevamo fare ora che avevamo scoperto dei mondi completamente nuovi. Senza nemmeno pensarci tutti si stavano scusando con tutti, chi si abbracciava, chi era addirittura commosso, e io ero felice come non mai di vedere che eravamo tornati gli Warblers, tutti insieme. Quella stupida settimana non era mai esistita, così come i nostri conflitti. La musica, come sempre, ci aveva riconciliato, e persino Wilson e Sam ora ridevano con Ed e Colin di quegli scherzi che adesso sembravano tanto fantastici quanto assurdi.
Mi diressi verso il solista. Ancora non si era tolto il passamontagna, ma cominciavo a capire chi ci fosse sotto.
“Sei stato bravissimo.”
Lui sbuffò, guardandomi dall’alto verso il basso.
“Mi hanno supplicato di aiutarli. Sapevano che sono il migliore, e che ero l’unico in grado di batterti.”
“Ti è andata male -Commentai io, con un mezzo sorriso -Però è vero. Sei incredibilmente bravo. E se hai intenzione di tornare negli Warblers, sappi che sei il benvenuto.”
Lui rimase interdetto. Si tolse finalmente la maschera, ravvivandosi velocemente i capelli.
“Non ti allargare, gnomo. Mi hai battuto stavolta, ma alla prossima ti straccerò.”
“Quando vuoi, Chase. Io sono qui.”
Lui cacciò una smorfia, e poi se ne andò, senza aggiungere altro.
Kurt, dalle mie spalle, fissava il ragazzo con fare compiaciuto. Lo guardai di sottecchi.
“Tu lo sapevi, vero?”
“Diciamo che ho avuto modo di origliare le sue serenate sotto la doccia. Ce l’ha ancora con te, ma adesso finalmente ha capito che non sei un abominio di arroganza e menefreghismo.”
“Cosa gli hai detto?”
“Hum, tante cose. –arrossì di colpo- Comunque, so che può sembrare cattivo, ma non lo è affatto, fidati. E’ un bravo ragazzo, infondo. E’ solo che…è molto solo.”
Fui preso in contropiede. Non avrei mai pensato di vedere Chase sotto quell’aspetto.
“Siete diventati amici?” Domandai, e Kurt annuì, un po’ insicuro. “Almeno credo. E, Blaine? -I suoi occhi cerulei si fecero più intensi mentre osservavano i miei –Penso che voi due dobbiate parlare. E non intendo, prendervi in giro o sfottervi. Penso che riuscireste persino ad essere amici.”
Come facevo a dirgli di no, se mi fissava in quel modo?
“Ci proverò”, anche se l’idea non fosse delle più allettanti. Kurt esultò felice alla mia rassegnazione, e io pensai che soltanto una persona come lui poteva convincermi a diventare amico di Chase. Quel ragazzo, davvero, mi suscitava una strana sensazione, e la cosa cominciava quasi a preoccuparmi.


***

Allora, un po' di precisazioni.
Prima di tutto chiedo scusa per il ritardo ma ho studiato come una matta (domani ho l'orale...help!!!)
Poi, per l'esibizione delle Aquile mi sono ispirata a questo video:
http://www.youtube.com/watch?v=XRwX9oCaE9Q
Le canzoni del medley degli Warblers, invece, sono in fila: Toccata e fuga di Bach - We will rock you dei Queen - Mr Sandman - The way you make me feel di Michael Jackson - I like your moving move it e Rock this party.
Seconda cosa: ho voluto fare questo capitolo per diversi motivi. So bene che non è Klaine-centrico, e che potrebbe essere risultato sin troppo palloso con tutta la storia della lite, ma volevo fare una sorta di parallelismo con quanto succedeva al McKingley in quello stesso momento. Mi sono chiesta "cosa succederebbe se i fringuelli cominciassero a litigare seriamente?" ed ecco il risultato. Ero indecisa se mettere questo capitolo o passare direttamente a quello di San Valentino, ma odio i salti temporali e non mi piaceva per niente fare un salto di due mesi, quindi ho scritto questa cosa. Comunque spero che vi sia piaciuto (gli scherzi sono stati realmente fatti da alcuni miei amici...), e se non vi sono bastati i leggeri momenti Klaine non temete: il prossimo capitolo è Silly Love Songs. :)

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Capitolo 14
*** Silly Love Song ***


Capitolo 13
Silly Love Song


Striscioni colorati, negozi tinti di un dolce rosso acceso, profumo di cioccolatini, coppiette felici che passeggiano per le strade…sì, San Valentino è proprio arrivato.
Adoravo come il mondo si trasformasse in quel breve periodo che precedeva la festa. Tutto sembrava più bello, più magico, e io mi sentivo ricaricato di un’energia mai provata fino ad allora. Quella dell’amore.
Il giorno prima mi ero preso un caffè con Jeremiah e non riuscivo ancora a scrollarmi dalla testa quei suoi occhi stupendi, ma prima di poter volare troppo con la fantasia e organizzare uno splendido piano per rivelargli i miei sentimenti avevo bisogno dell’unica opinione che valesse davvero, quella dell’unica persona che mi aveva sempre detto quello che pensava senza peli sulla lingua, anche quando sosteneva che tutto quel gel mi avrebbe fatto diventare calvo.
“Ok –esordì Kurt una volta arrivati al caffè, afferrando un peluche dal bancone- mi piacciono le frivolezze, ma devo dire che queste decorazioni di San Valentino sono veramente squallide. Insomma, che diavolo sarebbe questa cosa?”
Sorrisi, incantato. “Sono due barboncini innamorati, guarda che belli!”
Nel momento in cui glieli ripassai uno dei due, con una voce seriamente robotizzata, squittì “TI AMO!” e per poco non caddero in terra a causa del sussulto di Kurt.
“Inquietanti.”
“Adorabili” commentai simultaneamente a lui, e mi lanciò un’occhiata cinica.
“E’ semplicemente una scusa per vendere dolcetti e cartoline ridicole.”
“Questo non è vero! San Valentino si festeggia da secoli… -alzai la testa con fare orgoglioso- sarò anche un inguaribile romantico, ma è la mia festa preferita.”
Inarcò un sopracciglio, incredulo: “Sul serio?”
“E’ una cosa positiva che esista un giorno in cui si è incoraggiati ad abbandonare le difese e dire ad una persona: sono innamorato di te.”
Rimase un attimo interdetto dal tono caldo con cui avevo pronunciato quella frase, come se fosse riferita direttamente a lui; dal canto mio, vedendo la sua espressione scossa, mi sentii ancora più fiducioso nella magia che San Valentino riusciva a effettuare su di me.
“Lo sai? Quest’anno voglio fare un gesto estremo. Però ho bisogno della tua opinione.”
Si voltò verso con un’espressione di tacito ascolto mista a curiosità, e cercai di non sembrare troppo impacciato nel presentare la situazione, e anche se l’idea che avevo in mente poteva sembrare un po’ ridicola e fin troppo sopra le righe, sapevo che Kurt non mi avrebbe mai giudicato in nessun modo.
“C’è questo ragazzo che…m-mi piace.” Wow, faceva un certo effetto dirlo ad alta voce. I suoi occhi si illuminarono per un secondo, ma non disse niente, così continuai.
“Non ci conosciamo da molto, però vorrei fargli capire che i miei sentimenti stanno diventando sempre più…profondi. Ti volevo chiedere: credi che sia troppo cantare per qualcuno a San Valentino?”
Lui mi fissò un secondo, uno sguardo indecifrabile, e poi sussurrò “nient’affatto”, rimanendo un attimo paralizzato mentre mi dirigevo al bancone delle ordinazioni.
Dentro di me ero euforico. Ora che avevo ricevuto l’approvazione del mio migliore amico mi sentivo in grado di fare qualunque cosa, e l’avrei fatto. Mi sarei dichiarato a Jeremiah. Ed ero così sicuro di me stesso, o così follemente cieco, da credere che lui avrebbe ricambiato il mio amore, che ci saremmo fidanzati e che avremmo passato dei bellissimi momenti romantici. Mi sentivo un vulcano in eruzione: c’era la mia festa preferita e dovevo cantare una serenata; in pratica giocavo in casa!
E mentre pensavo a quelle cose ordinai due caffè e un dolcetto, sperando di convincere Kurt a ripudiare la sua campagna anti-calorie e a festeggiare con me. Questo, preso in contropiede, mi guardava attonito, stupendosi del fatto che sapessi come prendeva il caffè.
“Ma certo che lo so.” Andavamo in quel bar praticamente tutti i giorni, tra poco conoscevo di più la sua ordinazione della mia; sapevo anche che quando si sentiva particolarmente stanco ci aggiungeva una bustina di zucchero o, al contrario, quando era spossato, lasciava il suo caffè esattamente a metà cominciando a giocherellare con la cannuccia e campando qualche scusa circa l’eccessivo tasso di calcio nel latte, che lo rendeva imbevibile. Alla fine decisi di stuzzicarlo ancora un po’ di più e offrii io per entrambi, lasciando persino una lauta mancia alla cameriera, perché era una brava ragazza, e perché ero incredibilmente di buon umore. Sapevo che stavo per fare una cosa altamente rischiosa e persino imbarazzante, ma, infondo, potevo sempre contare sul sostegno dei miei amici, no?
 

“Che è quella faccia?” Fece Ed, inarcando un sopracciglio. Nick Colin e Flint si aggregarono a lui, posando una mano sotto al mento o accarezzandosi i baffi invisibili.
“Quale faccia?” Domandai io, allungando il mio sorriso. Era da tipo tre ore che stavo fantasticando su Jeremiah, e onestamente non mi ero nemmeno reso conto che avevano messo il gioco in pausa solo per scrutarmi meglio.
“Esatto, questa! Ma che espressione hai? Ti sei fumato qualcosa?”
Gli risposi di no, tra una risata e l’altra.
“Allora hai bevuto? -Fece Ed, scrutandomi- sei ubriaco?”
“…Sì. –risposi io, con un grande sospiro- in effetti lo sono.”
Mi guardarono per un secondo, perplessi. Io presi un bel respiro e mi buttai.
“Sono ubriaco d’amore!”
…Ok, forse spiattellargli la mia cotta in quel modo era stato sin troppo diretto persino per uno come me, ma dopotutto è risaputo che non sono proprio un mostro di discrezione, credevo che fossero abituati alle mie uscite improvvise.
E invece no.
Colin per poco non fu preso da un attacco cardiaco ed Ed sputò tutta la coca-cola che stava comodamente bevendo addosso a Flint. Ma questo non batté ciglio, continuava a fissarmi con occhi sgranati, così come gli altri.
“…Tu…sei….cosa…?”
 “FINALMENTE!!” Urlò Nick, scansando di colpo Ed per correre ad abbracciarmi. Quest’ultimo rotolò via come se fosse completamente privo di sensi, come se avesse perso tutte le forze per reagire a qualsiasi cosa.
“L’ho sempre detto che San Valentino avrebbe fatto la sua parte!” Continuò il moretto.
“Blaine, sono così felice per voi due!” Flint per poco non stava per mettersi a piangere.
Travolto da tutta quell’ondata di emozioni cominciai a rallegrarmi anche io, prendendo parte alla felicità.
“Oh, ragazzi, onestamente ero un po’ preoccupato a dirvelo, pensavo che avreste cominciato a picchiarmi, o a ridermi in faccia, o a ricordarmi per l’ennesima volta quanto sia basso!”
Colin si strinse nelle spalle: “Beh, sei più basso di lui, ma se per lui non è un problema…”
“No, credo di no…” aspetta un attimo: come facevano a sapere che Jeremiah era più alto di me?
“Siamo così felici per te! Ma adesso dicci: gliel’hai già detto?”
“No, no. Lui non sospetta niente, credo. In verità avevo intenzione di…beh, di cantare per lui, nel giorno di San Valentino.”
“Ma è perfetto! Si vede che lo conosci proprio bene, è un’idea geniale.”
“Siete così in simbiosi…siete fatti per stare insieme!”
Esitai un attimo. Erano entusiasti. Troppo entusiasti, forse, dal momento che nemmeno conoscevano il soggetto della questione.
“Grazie… -sussurrai io- ma onestamente ho dei dubbi a riguardo: insomma, non so nemmeno se la canzone che ho scelto gli piacerà…”
“La canzone! –esclamò Nick, con gli occhi di un bambino che guarda un orsetto di peluche gigante- La canzone sarà la cosa più importante di tutte! Deve rappresentare i tuoi sentimenti, deve trasmettere ciò che provi veramente quando gli sfori impercettibilmente la mano, o quando i vostri sguardi si incontrano furtivi, o quando lo fissi a lungo e ti perdi nei suoi occhi...”
Colin fece una smorfia da troppe-romanticherie-in-una-volta-sola. “Nick, devi smetterla di mangiare baci perugina. Allora che canzone hai scelto?”
“Beh, come ha detto Nick, ho pensato di cantare tutto quello che non riesco a esprimergli a parole. Come mi fa sentire, insomma.”
“Bravo!” Fecero in coro.
“…Quindi ho scelto when I get you alone! E’ perfetta, non trovate??”
Nessuna risposta.
“Ah, ma voi mi darete una mano, vero? Canterete con me, vero???” Chiesi con i miei grandi occhi imploranti, ma, di nuovo, non ottenni nessuna risposta.
Ed alla fine si alzò a sedere con un colpo di addominali. Mi guardò fisso negli occhi, e poi mise le mani sulle mie spalle.
“Va bene, Blaine. Sono con te. Te li presto io i preservativi.”
Diventai rosso fino alla punta dei capelli.
“N-non è quello il mio intento! Non per il momento, almeno…cioè, questo non vuol dire che abbia intenzione di, hem, non ora, magari un futuro prossimo, insomma, sì, cioè, no. No ma grazie, Ed.”
“Ah. Ok.”
Che diavolo, era vero che quella canzone avesse un testo un po’…come dire, schietto, ma insomma, io non avevo nemmeno mai baciato una persona…la sola idea di fare altro mi faceva girare la testa.
Dopo lunghi secondi di tacito imbarazzo per la frase di Ed, Nick si schiarì la gola e parlò da vero diplomatico.
“Personalmente, non credo che sia proprio la canzone adatta.”
“Già –annuì Flint- …come dire, è bello che tu provi queste cose per lui, ma non mi sembra un tipo molto sicuro di sé a riguardo…”
“Anche secondo me –fece Colin- è un po’ presto…voglio dire, Kurt è così delicato…”
“Chi!?”
Si zittirono all’istante sotto al mio sguardo incredulo.
 “Ma di chi state parlando!? Io mi riferivo a Jeremiah!”
E stavolta furono loro ad urlare “CHI!?” assumendo un’espressione sconcertata.
“Il commesso del Gap! Quello che vado a trovare ogni giorno da tipo due mesi!”
“E questo da dove spunta fuori!?”
“Non ce ne hai mai parlato!”
“E perché avrei dovuto!?” Ma soprattutto, perché si stavano infuriando così tanto?
“Ci spieghi chi diavolo sarebbe!?” Sbottò Ed, sull’orlo di una crisi di nervi. In risposta lo guardai freddo, e parlai con il tono più calmo che potessi avere.
“E’ il ragazzo di cui sono innamorato. Ti basta sapere questo.” Quell’atteggiamento di certo non mi aveva invogliato a raccontargli i dettagli.
“Ma non è possibile!”
“Ma sei impazzito?”
“Non puoi essere innamorato di lui!” Esclamò Flint massaggiandosi il collo come esasperato. E io, vedendo le loro reazioni, mi stavo davvero alterando.
“Non sapevo che foste VOI a dover decidere di chi IO debba essere innamorato.”
“Ma perché, Blaine – Nick cercò di guardarmi fisso negli occhi, ma io sviavo il suo sguardo- non so come dirtelo, ma tu…insomma, pensavamo che ti piacesse Kurt.”
“Sì, cioè –seguitò Colin, gesticolando freneticamente – bevete tutti i giorni caffè, cantate duetti romantici, passate ore a guardare vecchie sfilate di moda…”
“Certo. –Ribattei- Certo che è così. Siamo amici. E’ questo che fanno degli amici: passano del tempo insieme.”
“Amicizia, Blaine? Sei sicuro che si tratti soltanto di questo?” Gli occhi scuri di Flint adesso mi stavano fissando intensamente, come se stessero cercando qualcosa nei miei, una luce, forse, oppure una presunta briciola di sanità mentale.
Quella frase era stata l’ultima goccia. Io avevo aperto il mio cuore a loro, e loro si erano arrabbiati! Sapevano lo sforzo che mi era costato per riconoscere il mio innamoramento, era la mia prima vera cotta, lo sapevano bene, e l’unica cosa che fecero fu rimanere scandalizzati perché il ragazzo in questione non era Kurt. Mi alzai in piedi, afferrando la tracolla, e li guardai uno ad uno.
“Capisco. –sentenziai, a denti stretti-  Grazie mille per il vostro supporto.”
“Blaine-“ mormorarono, ma io ero già andato via.
Chissenefrega di loro. Chissenefrega delle loro false speranze. Potevo cantare benissimo anche senza di loro. Dopotutto, c’era ancora tutto il resto degli Warblers, anche se non avevo la minima idea di come avrei fatto a convincerli.
 
Il giorno dopo indissi una riunione straordinaria. All’inizio rimasero tutti felicemente colpiti dalla mia rivelazione amorosa, ma il loro umore venne completamente stravolto dalla mia proposta di cantare fuori dal campus. Dopo che Wes recitò a memoria l’ultima esibizione pubblica degli Warblers, accennando ad una sorta di disastrosa decapitazione di alcuni cantanti, non riuscivo più a controbattere. Ero già demoralizzato per come l’avevano presa i miei amici, vedere che anche il consiglio non mi spalleggiava mi faceva perdere completamente le speranze. E io non ce l’avrei mai fatta da solo, non ero abbastanza forte. Ma, per mia grande fortuna, non ero solo, c’era Kurt.
Prese le mie difese. Nessuno gliel’aveva chiesto, in verità, ma lui era fatto così: mi sosteneva sempre, spontaneamente, anche quando avevo torto, anche quando tutto il mondo era contro di me. Lui stava sempre dalla mia parte. E quella cosa non l’avrei mai dimenticata. Con il suo fare umile e allo stesso tempo ironico riusciva a convincere tutti, e così fece anche stavolta; mentre Wes rideva alla sua ennesima battuta su un gatto che lo aveva assalito ad una casa di riposo, nella mia mente lo stavo ringraziando un centinaio di migliaia di volte, per essersi esposto in quel modo per me, per far sì che dichiarassi il mio amore a Jeremiah, un ragazzo che nemmeno conosceva!
“Dove si terrà l’esibizione?” Chiese alla fine David, convinto anche lui.
“Al Gap. –risposi io, contenendo tutta la mia euforia- Lo chiamerò Gli Warblers al Gap-attack.”
Tutti ridacchiarono divertiti, e Kurt mi sorrise soddisfatto. “Come mai proprio quel posto?”
In effetti non sapeva assolutamente niente sul ragazzo che mi piaceva. Chissà che idea si era fatto di lui! Ero proprio curioso di sapere che tipo si fosse immaginato. Ma non avevo tempo per soddisfare la mia fantasia, così risposi alla sua domanda, sorridente.
“Il ragazzo che mi piace è il viceproprietario.”
Non potevo rendermi conto, in verità, di quanto estremamente importante fosse quell’informazione.
 
 
Non avevo visto né Kurt né i ragazzi per tutto il giorno. Nessuno di loro si era presentato alle prove, e mentre me lo aspettavo da Ed e gli altri, di certo mi stupì il comportamento di Kurt: non aveva mai mancato una prova, nemmeno quando la sua giacca si era macchiata di caffè e lui era andato nel panico per venti minuti, dicendo di non potersi presentare in quelle condizioni, ma alla fine si presentò lo stesso. Certo, dopo averlo convinto a fare cambio giacca, prima che gli prendesse un attacco cardiaco.
Gli mandai un messaggio chiedendogli che fine avesse fatto; la sua unica risposta fu “Non sono alla Dalton. Torno stasera.”
Visto che mi era già capitato di farmi troppi castelli in aria per un nonnulla, pensai semplicemente che fosse indaffarato, o stanco, o nervoso per fatti suoi, e quindi lo aspettai in sala comune, riprovando per un migliaio di volte la canzone e, sì, anche tutte le espressioni facciali da assumere davanti a Jeremiah, sorrisi accennati di fronte al suo immenso stupore, felicità contenuta per quando mi avrebbe chiesto di metterci insieme, insomma, cose così.
Erano ormai passate le undici, ma di Kurt neanche l’ombra. Il professore di sorveglianza mi ordinò di andare a dormire, e a malincuore fui costretto ad obbedire. Proprio nel momento in cui attraversai il corridoio principale lo incontrai, assieme a Chase, gli occhi del primo velati da una sorta di tristezza, quelli del secondo freddi, come sempre del resto.
“Hei ragazzi!” Esclamai, con un enorme sorriso.
Entrambi trasalirono, uno sbiancando, l’altro invece avvampando di nervosismo. Come mai quella reazione?
“Che fate ancora in piedi?”
Kurt balbettò qualcosa. Non riusciva a guardarmi negli occhi. Non si era mai comportato in quel modo, sembrava quasi…imbarazzato. Teso. Era a causa mia? Chase, invece, rimase un attimo a guardarmi torvo, e poi si voltò verso di lui.
“Kurt. Fammelo picchiare. Ti prego. Mi stanno prudendo le mani.”
Cosa!? E ora che avevo combinato!? Non riuscivo davvero a capire: l’ultima volta che avevamo parlato era stato alla riunione degli Warblers, e fino a quel momento sembrava che andasse tutto bene, anzi, più che bene.
“No, Chase.” Sentenziò lui, con tono stranamente apatico.
“Eddai, un colpettino soltanto! Ti prometto che non mirerò alla faccia!”
Io ero senza parole. “Kurt? Posso parlarti un attimo? In privato.”
Lui iniziò ad agitarsi, guardandosi intorno, come alla ricerca di qualcosa, o forse di una via di fuga.
“Hem…è tardi, Blaine… devo andare a dormire, c’è il coprifuoco, lo sai.”
Mi avvicinai a lui, con passo deciso. Ignorai completamente l’occhiata omicida di Chase e mi piazzai a pochi centimetri di distanza. Nonostante i pugni stretti e la mascella serrata, nel momento in cui mi trovai così vicino ai suoi dolci occhi azzurri mi placai quasi immediatamente, il viso si distese in un’espressione di dolce preoccupazione, e parlai con il mio solito tono caldo, gentile.
“Kurt…cosa c’è? Andiamo, sono io.”
Rimase interdetto dalle mie parole. Chase sbuffò, mettendosi le mani in tasca –forse per non mettermele addosso- e borbottando qualcosa di indefinito si allontanò, lasciandoci finalmente da soli.
Non sopportavo di vederlo angosciarsi in quel modo, soprattutto a causa mia. Inclinai la testa, veramente rammaricato.
“Kurt…se ho fatto qualcosa, qualsiasi cosa, che ti abbia fatto star male, io ti chiedo scusa, davvero, scusami Kurt, dal più profondo del cuore. Però ti prego, parlami.” Se avessi saputo l’origine del problema, probabilmente sarei riuscito a dire qualcosa di più efficiente. Lui, comunque, sembrò un poco rinfrancato. Fece un grande respiro e si morse un labbro.
“Blaine, tu…non hai fatto niente. E’ una cosa mia. Non ti preoccupare. Ho solo bisogno di dormirci sopra, credo.”
“…Sul serio?”
Alla fine alzò lo sguardo. Era come se guardare i miei occhi color miele gli provocasse una incredibile fitta di dolore. Cercò di abbozzare un sorriso, mentre i suoi occhi diventavano sempre più rossi e pungenti.
Annuì frettolosamente, per poi scostarsi un poco.
“Dovresti riposare. Domani è una giornata importante.”
“Oh, è vero.” Al solo pensiero di dover cantare una serenata a Jeremiah il mio stomaco andò in subbuglio. Gli confessai tutte le mie preoccupazioni, perché era l’unica persona con cui non avevo riserve.
“Sai, sono così teso! E se non cantassi bene? E se Jeremiah non si innamorasse di me?”
Vidi le sue spalle irrigidirsi. “Oh, Blaine, solo uno stupido potrebbe non innamorarsi di te.”
No, non colsi il sottile sottotesto celato nelle sue parole e nelle sue gote rosse. Anzi, feci anche di peggio. Lo abbracciai, velocemente, amichevolmente,  in segno di gratitudine.
“Domani alle otto. Puntuale, eh!”
La sua faccia era completamente inespressiva.
“Sì. Ci sarò.”
Si voltò senza aggiungere altro, e lo vidi dirigersi ai dormitori con l’andamento di un cadavere. Pensai che doveva essere molto stanco.
Poco dopo tornai in camera anche io, palesemente più felice e rilassato, e vi trovai Flint, che mi salutò titubante. Ricambiai con un cenno del capo e andai in bagno, preparandomi per la notte.
Sospirai. Non mi era mai piaciuto lasciare le cose a metà, e decisamente dovevamo finire il discorso di quella mattina.
“Flint… -per poco non cadde dal letto quando sentì la mia voce calma -mi dispiace, per oggi. E’ che sono molto teso per domani, e mi sono sfogato su di voi. Non dovevo andarmene in quel modo.”
Vidi il suo volto rilassarsi in un sorriso. “No, siamo noi a doverti chiedere scusa.”
“Oh, no, avete ragione voi, avrei dovuto parlarvi di Jeremiah, e invece mi tengo sempre tutto per me. Sono un idiota.”
“Questo è vero.” Feci una smorfia, ma lui cacciò un ghigno. “Ma devi esserlo, per cantare una canzone del genere di fronte ad un centinaio di persone. Ti prometto che lasceremo le telecamere a casa.”
Abbassai lo sguardo, preso in contropiede. “Pensavo che non sareste venuti…”
“E lasciare il tuo immenso ego a briglia sciolta?”
Scoppiai a ridere, e lui assieme a me. Mi diede una pacca sulla spalla, augurandomi buona notte, e buona fortuna, dopodiché si coricò nel letto. Lo imitai, benché non credessi che sarei riuscito a dormire.
 
 
“Eccolo, è lui. -feci un cenno a Kurt, indicandogli Jeremiah- il biondino che piega i maglioni…” ma perché doveva essere così bello!? La mia voce sembrava un miagolio. Il mio amico lo scrutò attentamente, per poi affermare: “In effetti è carino. Quanti capelli.”
“Si chiama Jeremiah.” Sospirai, ammirandolo. “Se fossimo sposati avrei il 50% di sconto da Gap.”
Ero troppo immerso nella mia bolla di sapone per accorgermi dell’occhiata torva che mi aveva appena puntato Kurt. Ok, mi dicevo, i ragazzi sono in posizione, tu sei riscaldato…è il momento. Stai per cantare una canzone d’amore, ad un ragazzo, nel bel mezzo di un negozio.
“Questo è assurdo! –esclamai, dando voce ai miei pensieri- Non lo posso fare. Non siamo nemmeno mai veramente usciti insieme! Andiamo via-“
“Oook coraggio coraggio –disse Kurt prendendomi per le spalle e spingendomi verso di lui- sei fantastico. Lo farai innamorare.”
Se lo dice lui…
Un piccolo cenno con la mano, e poi si diede inizio alle danze.
Presi un bel respiro. Coraggio Blaine, coraggio Blaine. Distesi braccia e gambe, roteando un attimo il collo per sgranchirmi. Cominciai a camminare verso di lui. All’inizio il mio passo era incerto, devo ammetterlo. Ma non appena intonai la prima nota il mio corpo si fece più fermo, il mio atteggiamento più sicuro, e io cominciai a cantare, a gesticolare e a volteggiare su appendiabiti e carrellini pieni di cardigan, e i ragazzi mi seguivano divertiti, imitando la mia spavalderia, giocando con gli oggetti di scena –noncuranti del fatto che fossero, effettivamente, degli oggetti in vendita di quel negozio-, ondeggiando a ritmo di musica.
Non riuscivo a togliere lo sguardo da Jeremiah nemmeno per un secondo. Lo seguivo per il negozio come se fossi stato la sua ombra, sorridevo, ammiccavo persino, e lui semplicemente schivava, cercava di non guardarmi, ma di tanto in tanto era costretto a soffermarsi, e in quel momento potevo notare tutto il suo stupore, i suoi occhi azzurri che gridavano “oh, non è possibile, non sta succedendo sul serio.”
E invece sì, Jeremiah. Tu mi piaci, e molto. E non ho paura di urlarlo al mondo.
 
All these intrusions just take us too long
And I want you so bad..
Because you walk pretty,
Because you talk pretty,
'Cause you make me sick
And I'm not leavin', till you're leavin'

But I pray to something when she's pumpin',
Rubbin' up on me, now
Want me to break it down?
Check it
Well did you want me to make it now?
On my house, on my job
On my loot, shoes, my voice,
My crew, my mind, my father's last name?

When I get you alone
When I get you alone baby
When I get you alone
When I get you alone

 
Ci fu un applauso generale dal pubblico improvvisato, e io sorridevo soddisfatto verso il commesso, porgendogli un paio di calzini come se fosse stato un anello di fidanzamento. E io ero sicuro che mi avrebbe detto sì. Ero stato sensazionale. I miei amici erano fuori di sé per l’entusiasmo. Io mi sentivo il Dio del mondo, e sorridevo estremamente compiaciuto di me stesso e della mia voce, aspettando da un momento all’altro una lode, o quanto meno un sorriso.
“Aspettami fuori.”
Detto quello si girò di scatto e se ne andò, scuotendo la testa.
Che è successo?
 
 
 
“Ci vediamo alla Dalton.” Fece David, insieme a tutti gli altri Warblers.
“Ottima esibizione, Blaine!” Fecero in coro Ed e Colin, mentre Flint e Nick si domandano eccitati quando sarebbe stata la prossima esibizione pubblica. Tra una risata e l’altra se ne andarono quasi tutti, eccetto Kurt. Gli avevo chiesto io di rimanere con me: avevo un brutto presentimento.
Indossai il mio cappellino blu, quasi fosse un portafortuna, e mi sedetti su una panchina, le mani congiunte, il respiro irregolare.
Kurt non aveva spiccicato parola per tutto il tempo. Continuava a guardarsi le scarpe, riscaldandosi le gambe con i guanti.
“Ho esagerato?” Domandai infine, decifrando il suo atteggiamento. Soltanto in quel momento alzò lo sguardo. Non ci fu bisogno di aggiungere altro.
“Ok ho esagerato.”
In quel momento Jeremiah uscì dal negozio e io scattai subito in piedi. Mi ci vollero diversi secondi per riuscire a ingoiare il rospo che stava affogando la mia gola. Ridicolo: soltanto qualche minuto prima quella stessa gola si era esibita in acuti e note perfettamente cristalline.
“Jeremiah. Ciao.”
“Che diavolo stai facendo?”
“In che senso?”
“Sono stato appena licenziato.”
Il sorriso da ebete svanì immediatamente dal mio volto. Jeremiah mi guardava come se non sapesse bene cosa fare: arrabbiarsi oppure scoppiare a ridere.
“Non puoi dare spettacolo in un posto di lavoro.”
“Ma è piaciuto a tutti!” Ribattei.
“Beh non al mio capo. E nemmeno a me.”
Oh.
Abbassai istintivamente lo sguardo, perché, davvero, non riuscii più a sostenere il suo.
Lui inclinò il capo, cercando di contenere il nervosismo.
“Blaine, qui nessuno sa che sono gay.”
“Scusami? –esordì Kurt, avvicinando una mano alla bocca come per sussurrargli un segreto -Francamente parlando, penso che quei colpi da sole parlino da soli.”
Lui lo guardò, come per dire “Chi diavolo è questo?“  e anche io mi voltai. Persino in  una situazione simile, era riuscito a farmi sorridere. Anche se, devo ammetterlo, durò soltanto un attimo.
“Blaine –concluse infine Jeremiah- siamo chiari. Io e te abbiamo bevuto solo un paio di caffè. Non stiamo insieme. E poi mi manderebbero in galera: sei minorenne.”
Ecco. Quella era stata davvero la botta finale. Mi diede una pacca sulla spalla, ma a me sembrò piuttosto un colpo di cannone in pieno petto.
Provai a dire qualcos’altro. Ma che potevo dire? Mi sentivo troppo uno schifo, non volevo aggiungere umiliazione ad altra umiliazione. Le sue parole continuavano a rimbombare nella mia testa come una raffica di mitragliatrice, perforanti e lancinanti.
Io e te abbiamo bevuto solo un paio di caffè. Non stiamo insieme.
Non ci potevo credere: per tutto quel periodo mi ero fissato su un ragazzo…o, piuttosto, mi ero fissato dell’idea che mi ero fatta di lui?
Ma…ma che diavolo avevo combinato?
Mi voltai verso Kurt, d’istinto, in cerca di sostegno, conforto, qualsiasi cosa che mi facesse stare meglio. Perché stavo davvero male, e lui lo sapeva: fu per questo che, dopo una breve pausa, si alzò in piedi, sfiorandomi leggermente un braccio. Non mi chiese niente. Non mi fece delle stupide domande tipo “come ti senti?” oppure “ne vuoi parlare?”; semplicemente, mi prese per un braccio, delicatamente, e cominciammo a camminare. La meta era piuttosto ovvia: ogni volta che avevamo un problema, o che ci sentivamo giù, ci eravamo sempre consolati di fronte ad una bella tazza di caffè.
Ero stato in silenzio per un buon quarto d’ora, senza il coraggio di aprir bocca, e senza nemmeno tanta voglia, onestamente. Più camminavo, però, e più il mio fegato si attorcigliava fastidiosamente, il mio cuore si accartocciava, e io mi sentivo sempre peggio, sempre più arrabbiato.
Striscioni colorati, negozi tinti di un dolce rosso acceso, profumo di cioccolatini, coppiette felici che passeggiano per le strade…che diavolo. Sto per vomitare.
Arrivati da starbucks cominciai a sfogarmi come se stessi esplodendo.
“E’ chiedere troppo qualcosa che non sia ricoperto da stupidi cuoricini!? -guardai schifato quegli stessi cagnolini che pochi giorni prima mi avevano fatto tanta dolcezza-  Che orrore.”
Kurt guardò vago le decorazioni intorno a noi: “Beh, hai cambiato idea in fretta.”
“Non penso di aver MAI fatto una figuraccia peggiore in tutta la mia vita. Il ché la dice lunga, perché ho cantato nei parchi a tema!”
Ero caduto talmente tanto in basso che non riuscivo nemmeno a trovare una giusta metafora per esprimere il mio disappunto. Non sarebbe bastato scavare una fossa o farmi colpire da un’incudine di duecento tonnellate. Forse le due cose messe insieme ed elevate alla millesima potenza riuscivano ad avvicinarsi a quell’amara sensazione che stava divampando per tutto il mio corpo.
 “E’ solo…-sospirai, e lì cominciarono a salire l’angoscia e la depressione- …è solo che non riesco davvero a credere di essermi immaginato tutto…”
Avrei voluto scomparire, seppellirmi fino al San Valentino successivo. Avrei voluto prendere il nome “GAP” dall’elenco telefonico e stracciarlo in mille pezzettini. Avrei voluto afferrare quel me esaltato che fissava un’icona creata dalla mia mente e prendermi a pugni fino a svenire. In effetti, avrei proprio voluto cancellare tutto il me stesso di quei tre mesi.
Ancora immerso nei miei pensieri, Kurt si posizionò di fronte a me, le braccia conserte, il volto di chi deve dire qualcosa di davvero importante.
“Ok, posso dirti una cosa?
Noi siamo stati sempre molto sinceri l’uno con l’altro.
Tu e io, noi…usciamo insieme…cantiamo duetti romantici…sai come prendo il caffè…dovevo supporre che non significasse niente?”
Aggrottai le sopracciglia. “Che vuoi dire?”
Esitò un secondo, aprendo la bocca più volte cercando di parlare, e alla fine ci riuscì: “ho pensato che il ragazzo a cui volessi cantare quella canzone, nel giorno di San Valentino…fossi io.”
Oh.
Piacevo a Kurt.
Piacevo a Kurt Hummel.
E tu, Blaine Anderson? Che ne dici, ti piace?
 

“Courage.”

“La divisa ti sta benissimo.”

“Pensavo che tu ti fossi stancato di me.”
“Oh, ti assicuro, Blaine, che questo è assolutamente impossibile.”
 

“Presto starai bene. Te lo prometto.”

 

“Quasi quasi fingo anche io di star male.”
“E perché?”
“Beh, così ci vediamo in infermeria e stiamo un’oretta insieme.”

 

“Oh oh! Guarda chi c’è sotto al vischio????”

Oh mio Dio! Ho provato a baciare Kurt. Sono pazzo. Completamente pazzo!

“Quest’anno sarà semplicemente fantastico. Io e te, saremo fantastici.”

“Volevo dirti grazie…per tutto. Per essere qui. Per essere esattamente come sei.”  


“…Wow. Sono…sono, davvero un idiota.
Ascolta, Kurt…non so quello che sto facendo. Faccio tanto lo spavaldo, e so che mi riesce bene quando canto, ma…la verità, è che…non sono mai stato il ragazzo di nessuno.”
“…Nemmeno io.” Disse lui, abbozzando un sorriso.
“…Lascia che sia chiaro su una cosa. Io ci tengo davvero, davvero tanto, a te.” I suoi occhi cerulei si illuminarono.
“Ma come tu e una ventina di acquirenti scandalizzati avete visto...non sono molto bravo in amore. Non voglio rovinare tutto.”
Non avevo mai fatto un discorso simile in tutta la mia vita. Sapevo di non essere molto capace con le parole, sono troppo schietto e tendo a non considerare i pensieri altrui, ma quella volta, davvero, mi impegnai con tutto me stesso affinché venisse fuori un discorso decente. Perché era tutta colpa mia se Kurt era stato male, era colpa mia se si era creata quella bruttissima tensione tra di noi, e nonostante tutto lui si era aperto con me. Così dissi quelle cose. Perché fino a due secondi prima ero convinto di essere innamorato di un ragazzo di cui conoscevo a malapena il nome, e, soprattutto, perché la nostra amicizia era la cosa più importante di tutte.
Dovevo solo sperare che Kurt accettasse quel macabro tentativo di scuse.
“Fa molto Harry ti presento Sally. –disse infine- Però io faccio Meg Ryan.”
Sorrisi. “Affare fatto.”
Era un film che non conoscevo molto bene, l’avevo visto una volta diversi anni prima, ma ricordavo benissimo l’amicizia trai due protagonisti, il loro grandissimo affetto, la loro capacità di sostenersi  a vicenda, di dirsi sempre tutto, anche se a volte poteva essere rischioso, ma ne uscivano sempre più rinforzati di prima, proprio come noi. E poi ricordavo un’altra cosa.
“Non si mettono insieme alla fine?”
“Mhm?”
Kurt andò avanti, sporgendosi sul bancone.
“Posso avere un latte macchiato scremato e un cappuccino per Billy Crystal?”
Lo guardai divertito. “Sai come prendo il caffè!”
Mi guardò di sottecchi, ma subito dopo fu come colto da un’illuminazione.
“Sai? Ho appena avuto un’idea su come passare il giorno San Valentino.”
Una parte di me si domandò che razza di piano avesse in mente. L’altra, però, era ancora rimasta al discorso di prima, profondamente sconcertata da quella rivelazione, ma, allo stesso tempo, era come se si fosse aperto qualcosa, dentro di me. Come se, in verità, avessi sempre saputo quelle cose, ma non avessi mai concesso loro il permesso di emergere a galla.
Mi chiesi se il discorso fatto a Kurt fosse stato quello giusto. Subito dopo mi ricordai di essere appena stato vittima di un poderoso due di picche. L’amore è troppo rischioso. Se in quel breve lasso di tempo che aveva preceduto la risposta di Kurt avevo provato un’incredibile paura di perderlo, era niente, messa a confronto con quella implicata da una relazione.
L’amore è troppo rischioso. Dopotutto, sono sempre stato uno che sceglie la via più facile, piuttosto che affrontarne una ombrosa e piena di dubbi, e io ero troppo inesperto, troppo stupido, troppo legato a Kurt e sì, lo ammetto, troppo codardo, per prenderla in considerazione.


***

Questo capitolo è stato un parto.
Sono così stremata che non riesco a scrivere una postfazione decente.
Spero che riteniate coerenti i pensieri di Blaine. Per me, infatti, non è nella 2x16 che lui si accorge di essere "preso" da Kurt. Per me è successo in questo momento. La sua faccia quando Kurt glielo dice, e poi, quando fa "Wow. Sono proprio un'idiota.", ecco, ho subito pensato che qualche rotellina nella sua testa avesse cominciato a girare nel verso giusto. Però poi si costringe a non farsi piacere Kurt, perchè ha troppa paura di perderlo. Che scemo. Ma infondo lo amiamo anche per questo (o almeno, Kurt di sicuro).
I vostri commenti, davvero, sono vitali. Quindi vi prego: commentate. Soprattutto questo capitolo, ci tengo tantissimo al vostro parere e rispondo a tutti con grandissima gioia.
E per tutte quelle persone che mi hanno messa nelle seguite, nelle ricordate o, addirittura, nelle preferite (preferite! E' una parola grossa, eh!!!): STRAGRAZIEMILLISSIMEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
Ps - un grandissimo grazie a monochrome, che ormai è diventata la mia beta ufficiosa. I love you!!

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Capitolo 15
*** What if!? ***


Capitolo 14
What if!?

 
Nell’inverno dei miei 16 anni ho imparato due cose che non dimenticherò per il resto della mia vita.
La prima è di non bere più uno spinball; la seconda è di non fare mai il gioco della bottiglia sotto dosi massicce di alcool. Ma procediamo per ordine.
Era passata poco più di una settimana da San Valentino e io stavo comodamente sdraiato sul prato davanti scuola, sfidando il gelido vento del mattino. Osservando le nuvole scorrere velocemente sopra di me riflettei su quanto rapidamente fosse passata la mia delusione amorosa; la mia cotta per Jeremiah si era conclusa esattamente come era iniziata: a caso.
Sinceramente, mi sentivo un po' depresso. Mi ero ritrovato con una forte sensazione di amarezza e la consapevolezza di essere ingenuo e vulnerabile. Cominciavo seriamente a perdere la fiducia in me stesso.
Non appena vidi un serenissimo Kurt saltellare su di me cercai immediatamente di sfoggiare un ampio sorriso.
“Ciao Blaine!”
“Buongiorno Kurt!”
Si accovacciò immediatamente, stando sulle punte per non macchiare la divisa di erba.
“Allora, Blaine.” Mi alzai su un braccio, guardandolo meglio: aveva l’aria di essere felice per qualcosa.
“Tu.”
“Io.” Incalzai, divertito. Esitò un secondo, e poi mi domandò tutto d’un fiato: “Sei libero venerdì sera???”
Inarcai un sopracciglio. “Suppongo di sì. Ma perché tutta questa euforia? Se volevi chiedermi di uscire bastava dirlo! In effetti è da molto che non andiamo al cinema, oppure potremmo andare a vedere quello spettacolo di cui ci hanno parlato Flint e Nick, mi pare che ci sia ancora…”
Ma più parlavo, e più Kurt diventava sempre più cupo, fino a sviare velocemente lo sguardo. Cavolo, chiacchieravo come se fosse tutto apposto, ma mi ero dimenticato in un piccolo, minuscolo dettaglio: Kurt si era ufficialmente dichiarato neanche una settimana prima. E io, anche se un po’ a malincuore, forse, l’avevo rifiutato. Ogni volta cercavamo di fingere che tutto fosse come prima, e lui era fantastico, sul serio, sorrideva e mi trattava alla stessa maniera di sempre… ma c’erano dei momenti in cui i suoi occhi si velavano di malinconia, ogni volta che, con la mia solita delicatezza da elefante zoppo, gli ricordavo quanto grande, bella e magnifica fosse la nostra amicizia.
Mi morsi un labbro, cercando in tutti i modi di rompere quel silenzio imbarazzato.
“…Insomma, cosa succede di così eclatante questo venerdì?”
“Rachel Berry darà un party a casa sua. L’ho scoperto stalkerando la cronologia di Finn…”
Nella mia mente saettò subito l’immagine di lui che con aria molto furtiva e colpevole spiava tutte le conversazioni di Facebook del fratellastro, allontanando il latte caldo e i biscotti per evitare fastidiose briciole sulla tastiera. Ce lo vedevo troppo bene.
“Sembra interessante!”
Il suo volto si distese in un sorriso cinico: “Oh, fidati, lo è. Un party di Rachel Berry è roba da non credere. Dobbiamo andarci anche solo per vedere che razza di tenda avrà addosso!”
“Dobbiamo?”
“Esatto! – La sua espressione divenne immediatamente confusa – Non ti va?”
Ecco, adesso i suoi grandi occhi mi stavano fissando in quel modo, quello da “visto che siamo SOLO AMICI non puoi più uscire con me?”
“Ma-ma certo che mi va!” Esclamai, arrossendo per l’imbarazzo, ma lui in risposta tornò allegro e felice. Si alzò in piedi, sistemandosi la giacca. “Ci vediamo alle 6 in punto davanti all’entrata, ok?”
“Perfetto. Prendo io la macchina.”
Si voltò di scatto. “Sei sicuro?”
“…Sì. Perché?”
“Beh, è un party…e tu di solito bevi, ai party.”
“Ma non è vero! Non bevo sempre!”
Mi fissò un altro, lungo, secondo. Poi si strinse nelle spalle.
“Se lo dici tu.”
Non ci credeva? Bene, quella sera sarei stato l’uomo più sobrio del mondo!
 
 
Ero l’uomo più ubriaco del mondo.
Non saprei nemmeno dire come era iniziata… c’erano i ragazzi del Glee Club, e poi c’era Rachel, mi aveva dato un buono bevuta, me lo ricordavo… “per non esagerare col bere”, aveva detto.
E allora, come diavolo ci era finita dentro al mio bicchiere mezza bottiglia di vodka?!?
“Blaine fringuello! –aveva urlato il ragazzo con la cresta- Ti sfido!”
E chi ero io per rifiutare una sfida!?
E una rivincita?
E non potevamo certo finire in pareggio, no? Ci voleva la bella!
All'ennesimo giro mi sentii compiaciuto. I festini alla Dalton mi avevano formato bene. Passai una buona mezz’ora in quel modo, semplicemente a bere, a parlare, cioè, ad iniziare discorsi lasciati meramente a metà in favore di un’altra bevuta, ma insomma, nessuno ci faceva caso. Per quanto valesse, avrei potuto perfino parlare della morte del teletubbies viola. In effetti credo che lo feci…
E poi c’era quell’altra ragazza molto carina, quella che aveva una storia con l’altro ragazzo molto carino…come si chiamava? Insomma, una ragazza. Mi riempì di nuovo il bicchiere di non-so-bene-cosa e cominciò a cantare: “chi è nato a Novembre si alzi si alzi! Chi è nato a Novembre si alzi in piè!”
“Ma io non sono nato a Novembre!” Esclamai, tra una risata e l’altra. Lei sembrò delusa: “Oh. Avrei giurato tu fossi uno Scorpione. Hai la faccia da Scorpione. Sei così sexy…”
“Ooook Santana, perché non torni da Sam?” Fece alla fine Kurt, allontanandola da noi.
“Ma Sam non stava con lei?” Domandai confuso, indicando una Quinn isterica che inveiva contro Puck.
Kurt sospirò. “Si sono lasciati. E anche Finn e Rachel si sono lasciati.”
“COOOOSA!?”
“Pare che lui l’abbia tradita con Quinn. Ma prima Rachel aveva tradito lui con Puck. O almeno, l’idea era quella, poi Puck si è fermato perché è follemente innamorato di Lauren. Ma Lauren non lo ama. Lauren ama solo il cibo.”
Vi giuro che, all’inizio, ci provai sul serio, a seguire il suo discorso. Ma il cricetino che girava la rotellina nella mia testa alla terza parola era sceso e aveva fatto le valigie per Honolulu.
“…Credo di essermi perso qualche puntata…quand’è che Ridge e Brooke si sposano?”
Cercò di guardarmi torvo, ma dopo pochi secondi non riuscì a trattenere una risata. Oh, quanto mi piaceva la sua risata.
“Kurt –esordì Mike, afferrandomi da dietro- ce lo lasci un secondo?”
In meno di un secondo mi trovai seduto ad un tavolo e davanti a me se ne stavano sornioni Mike, Artie e Puck.
“Amico – fece quest’ultimo – ti presento lo spinball.”
“Assenzio sessanta gradi, tequila e un pizzico di tabasco.” Spiegò Artie, sfregandosi le mani. Mike mi passò un bicchiere colmo di birra.
“Ti servirà per dopo.”
“Forti! Ma quale devo bere?”
“In che senso? Ce n’è solo uno!”
Il mio sorriso svanì di colpo. “Ah. E ora come faccio? Io ne vedo tre.”
Scoppiarono a ridere, dandomi pacche di approvazione. “Beh, bevi quello di mezzo!”
Lo sollevai in aria, e per poco non rovesciai tutto il contenuto.
“A quello di mezzo!”
Ingoiai la miscela tutta d’un fiato. Una vampata di liquido bollente cominciò a sciogliermi la gola, la trachea, per poi arrivare al fegato, completamente congestionato. Ora capivo perché mi avevano dato della birra: senza di quella non sarei mai più riuscito a parlare. Mi ci volle mezza bottiglia per togliere quell’orribile sensazione di bruciore sulle labbra, data dal tabasco. Tabasco. Che grande invenzione.
Inutile dire che, dopo quella bevuta, ero completamente partito per la tangenziale.
Il mondo era così luminoso, così pieno di colori…verde mela. Il vestito di Rachel Berry era completamente verde mela. A me non dispiaceva, nel senso, ognuno è libero di vestirsi come vuole, ma nemmeno dopo litri di alcool sarei riuscito a dimenticarmi l’impagabile faccia sconcertata di Kurt.
“A piccole dosi –ripeteva- Rachel Berry va presa a piccole dosi.”
Tornando a noi. Ero su una montagna russa. Continuavo a dondolare come un orologio a pendolo, vagando senza una meta ben definita. Semplicemente, seguivo le piccole stelline che danzavano davanti ai miei occhi…fino a quando non vidi Finn, assieme a Kurt, parlare e ballare l'uno vicino all'altro.
“Cioè, voi siete…Fffratelli! Ma ti rendi conto!? –volevo afferrare Finn per le spalle…ma cavolo, non ci arrivavo!- Quanto sei…alto!!” Quanto ero…basso.
Kurt mi venne incontro sorridente: “Ti stai divertendo Blaine?”
“Sì!! Bwestpuartyewew…whoah!”
Caddi a terra come una pera cotta, ridendo a crepapelle e cominciando a rotolarmi a destra e a sinistra. Kurt era seriamente indeciso se darmi una mano o scattarmi una foto.
Riuscii a rialzarmi soltanto quando udii la voce squillante di Rachel Berry arrivare fin dentro alle mie orecchie: “Gioco della bottiglia!! Chi vuole fare il gioco della bottiglia!?!?”
E così, con un cerchio piuttosto abbozzato, con un Puck alticcio che abbracciava Mike e Finn che se la rideva come un matto, ci sedemmo tutti quanti, e il primo turno partì.
Sam e Brittany! WOW! Li riconoscevo a malapena, ero troppo sbronzo per ricordarmi i nomi e le facce di tutti, ma WOW! Che bacio!
“No me gusta!” Si lamentò Santana, sotto gli occhi divertiti di tutti. Rachel afferrò la bottiglia con fare soddisfatto: “Secondo girooooo tocca a me!”
E la bottiglia girava…e girava…e girava…cavoli ma era la bottiglia o era la mia testa che non riusciva a fermarsi!?
Alla fine si arrestò. Su di me. Me!!
Kurt era esilarato: “Questa è indimenticabile!”
“Blaine Warbler –cantilenò Rachel, avvicinandosi- preparati, perché sto per scombussolare il tuo mondo!”
Oh beh, come diceva il detto? Chi è in ballo cominci a ballare? No era, in ballo il ballerino…chi balla non balli…ball…bolle?
Insomma. Baciai Rachel.
All’inizio doveva essere un semplice bacio a stampo, amichevole, niente di troppo impegnativo. Sorridemmo l’uno contro l’altro, staccandoci dopo qualche secondo; ma poi successe qualcosa. Sarà stata l’atmosfera, o il profumo di Rachel, o molto più probabilmente lo spinball, fatto sta che sentii come un brivido, una scarica elettrica; di certo, comunque, non era una cosa che mi sarei aspettato di provare baciando una ragazza.
Era una bella sensazione. Una fantastica sensazione. E a giudicare dalla sua espressione intensa, l’aveva provata anche lei. Ci lanciammo un’occhiata veloce, ormai non sorridevamo più, riprendemmo quel contatto con una lentezza estenuante, io intrecciai una mano tra i suoi morbidi capelli, lei posò la sinistra sul mio braccio. Non avevo mai baciato una ragazza. In effetti, non avevo mai baciato nessuno, fino ad allora. A parte l'acro retrogusto di tabasco misto a tequila, quel bacio non era affatto male.
“Ok è durato abbastanza!” Strillò Kurt, che era seduto proprio accanto a me.
Un ultimo tocco veloce, e poi Rachel si allontanò, riaprendo gli occhi.
“La tua faccia…è buonissima. –Mi afferrò per il colletto, io riassaporavo ancora il suo sapore- Ho appena trovato un compagno per il duetto!”
Peccato che non mi ricordassi niente della mia esibizione. Dovevo aver cantato bene, anche se fortemente ubriaco e potenzialmente instabile. Ebbi dei brevi flash su un microfono rosa pieno di glitter, e Rachel che mi guardava come per dire “hai capito Blaine Anderson…”; anche io la guardavo, certo, ma più che flirtare con lei stavo pensando a quanto quella canzone fosse strepitosa.
Era così divertente!! Le New Directions erano divertenti. La musica era divertente. E io ridevo, ridevo senza riuscire a fermarmi, nemmeno quando gli occhi scettici di Kurt mi lapidarono fulminei.
Scesi dalla macchina – un momento, ma quando ci ero salito? – e mi lasciai condurre in una casa che non conoscevo.
“Kurt! –Protestò Finn, mentre tentava di sollevarmi- Digli di fare più piano, altrimenti non sveglieremo soltanto mamma e Burt, ma tutto il vicinato!”
“Pensi che non ci stia provando? –sbottò lui esasperato, e poi si voltò verso di me, prendendomi il volto fra le mani- Blaine? Blaine, facciamo una sfida, ok?”
Sghignazzai, ciondolando con la testa. “Mi piacciono le sfide. Sono bravissimo nelle sfide!”
“Sì, lo so. Ora, facciamo così: se riesci a stare zitto fino a camera mia vinci.”
Serrai la mascella, concentrato. Lui mi guardò preoccupato. “Blaine?”
“Shh! Devo vincere.”
Scrollò la testa, sorridendo, e dopo numerose cadute e risatine sommesse riuscimmo a raggiungere la meta.
“Ho vinto?”
“Non ancora!” Bisbigliò lui, aprendo di scatto la porta e richiudendosela alle spalle.
“Ho vinto????”
“…Ora sì.”
“Ha! Che ti ho detto? Sono imbattibile!! Che cosa ho vinto???”
“Hai vinto un viaggio di sola andata verso il mondo dei sogni…” mi afferrò per le spalle per condurmi verso il letto.
“Ma non ho sonno! Sono sveglio. Sono sveglissimo! Dai Kurt, facciamo qualcosa. Cantiamo una canzone, anzi no –lo afferrai per i fianchi- balliamo!”
“Devi andare a dormire” sentenziò lui, calmo, cercando di mettermi a sedere. Non ci volle troppo sforzo: un secondo dopo scivolai, piombando sul materasso, e trascinando Kurt con me.
Scoppiai a ridere, cingendomi la vita per quanto faceva male la milza, e lui rise subito dopo di me, rassegnato.
“Ah, accidenti –contestò- io dovrei essere arrabbiato con te!”
Mi alzai di scatto. “Cosa?”
Rimase un attimo immobile, non sembrava arrabbiato. Più che altro, aveva la tipica faccia da “te l’avevo detto, di non bere troppo”.
“Non me l’avevi detto!”
“Eh?”
Mi morsi un labbro, cominciando a stropicciare la coperta sotto di noi.
“Kurt... lo sai che ti voglio davvero, davvero bene?”
Interdetto, arrossì un poco. “E questo cosa c’entra?”
“C’entra. C’entra sempre, Kurt. Non dimenticarlo mai: ti voglio bene. Ti voglio bene.” Ripetei di nuovo, piano, quasi sussurrandoglielo sul viso, ora poco distante dal mio.
“…Lo so. Anche io ti voglio bene, Blaine.”
I miei occhi si fecero più luminosi. “Sul serio?”
“Sicuro. Altrimenti non ti avrei mai fatto salire con le scarpe sulle mie coperte di seta.”
Me le tolsi immediatamente, stando bene attento a non sporcare. Preso da un brivido di freddo mi infilai sotto al letto; stavo per accoccolarmi, ma Kurt si alzò subito dopo.
“Dove vai?” Domandai timorosamente, tenendolo per la manica della camicia.
“Mi permetti di andare a cambiarmi, o sono costretto ad aspettare che ti addormenti?”
Lo fissai dritto negli occhi. Nonostante il buio, erano come se splendessero di luce propria. “Torna presto”. Lui arrossì di nuovo, annuendo impercettibilmente, e poi corse in bagno.
Avrei voluto aspettarlo da sveglio; avrei voluto parlare con lui di tantissime cose, stare in piedi fino all’alba, sentire il suo respiro contro il mio… ma tutti i miei intenti fallirono miseramente: distrutto, socchiusi gli occhi, e caddi in un sonno profondo.
Non riuscivo a vedere niente, intorno a me. Sentivo il cuore battere piano, e la mia testa era completamente vuota. L’unica cosa che percepivo era… un odore. Dolce, fresco. I ragazzi non ce l’hanno in quel modo. Forse, era l’odore di Kurt. Non sapevo perché, ma mi tranquillizzava.
 
 “Kurt!”
Cos’è questo suono?
“Che succede? Non dovevi spiegarmi tutti i segreti del brunch?”
Di chi è questa voce?
“Un attimo, papà.”
Kurt? Sei tu, Kurt? Un momento. Com’è possibile?
Con un colpo di reni mi sollevai a sedere, togliendomi di dosso un pesante cuscino.
“…Dove mi trovo?”
No, troppo in fretta. Ti sei alzato troppo in fretta, Blaine…
Ripiombai sul materasso. Il mio fegato si contorceva fastidiosamente e dentro alla mia testa sembrava ci fosse una banda di batteristi.
Ok, avevo bisogno di capire qualcosa. Cominciai ad analizzare la situazione andando per esclusione.
Bene, di certo, non ero in camera mia.
E, a giudicare dall’arredamento, non ero nemmeno in una stanza della Dalton.
L’uomo che avevo intravisto mi ricordava vagamente il padre di Kurt. L’avevo visto solo una volta, alla finale di campionato del McKingley, quindi non potevo esserne sicuro… ma non ebbi alcun dubbio, una volta che sentii la voce del figlio parlarmi soavemente.
“Ben resuscitato. Sei ancora nel mondo dei vivi, per la cronaca.”
Oh, già. Il party. Lo spinball. Kurt doveva avermi portato a casa sua perché non ero in grado di guidare.
Mugugnai qualcosa, massaggiandomi le tempie.
“Scusa –ribattè Kurt- non parlo sbronzese.”
“…Mal di testa.”
“Lo sospettavo. Ti ho preso dell’aspirina.”
Rotolai stancamente giù dal letto, sotto lo sguardo divertito dell’amico, e poi mi costrinsi a reggermi in piedi, ingoiando tutto d’un colpo la medicina assieme ad un po’ d’acqua.
Soltanto in quel momento mi accorsi del mio riflesso allo specchio. Ero orribile.
Avevo una carnagione cadaverica e due profonde borse sotto agli occhi, i vestiti completamente stropicciati, la barbetta incolta e l’alito che sapeva di tabasco. E per ultimo, ma non per importanza, avevo i capelli completamente, incondizionatamente, scompigliati. Ogni traccia di gel era sparita assieme al mio buon umore: guardavo disperato i miei mille nodi che erano quasi impossibili da sciogliere. Odiavo i miei capelli naturali: così riccioli, così senza un senso...sembravo un trasandato. Mi guardai intorno, con una smorfia.
“Mica avresti del gel? O magari, della cera? Devo tentare di darmi un aspetto che non assomigli a quello di un barbone.”
“Non uso quelle porcherie. -sentenziò Kurt, austero- Mi sa che per oggi dovrai farne a meno.”
Lo guardai di sottecchi. “Perché ho come l’impressione che questa cosa non ti dispiaccia nemmeno un po’?”
Lasciò cadere la domanda fingendo di notare l'ora.
“Siamo in ritardo per le lezioni!”
 
Quel giorno avevamo corsi diversi, così io e Kurt ci potemmo rivedere soltanto durante la pausa caffè.
Riparlando della sera passata, mi raccontò degli aneddoti che non ricordavo affatto, ai quali, per orgoglio, non riuscivo a credere. Cose del tipo, rotolamenti compulsivi lungo tutto il tappeto di casa Berry.
“Non ero così ubriaco!”
“Stai scherzando? Per poco non hai risucchiato la faccia di Rachel Berry!”
Il mio telefono squillò nello stesso istante in cui Kurt diceva “Quello sì che si chiama toccare il fondo.”
“Parli del diavolo… ciao Rachel! Io e Kurt stavamo giusto parlando di te…” ammisi, trattenendo una mezza risata. La sua voce, però, non era del mio stesso tono.
“Sei estremamente carino in uniforme.”
...Avevo sentito bene?
“Quindi…avrei una domanda da farti. Volevo sapere…ti va di uscire con me domani sera?”
Uscire con Rachel? O meglio. Uscire con una ragazza?
Sinceramente avevo ripensato molto al bacio del giorno prima. Non riuscivo a scrollarmi di dosso quella dolce sensazione. Quello che non capivo, però, era come mai mi avesse fatto quell’effetto. O forse, la domanda più corretta era: come mai avevo dato per scontato di essere gay?
Non ero mai stato con nessuno. Certo, avevo provato attrazione per diversi uomini, ma anche le ragazze erano carine, e divertenti, anche. Dentro di me si celava ancora quel grande dubbio nato da una frase di Priscilla, detta molti mesi prima:
“Non puoi dire di essere gay se non hai mai avuto alcuna esperienza. Dovresti provare a stare con una ragazza.”
E se avesse avuto ragione? Infondo, avevo solo 16 anni. Molti ragazzi a quell’età cambiano idea. E poi, tentar non nuoce, no?
Quei pensieri, balenati nella mia mente in meno di un secondo, confluirono tutti attraverso un'unica parola.
“Okay.”
“Perfetto!–esultò Rachel- Fanno Love story al cinema Revival, non vedo l’ora di vestirmi come Jenni Cavilleri! Ci vediamo alle nove lì davanti, ok?”
“Va bene, ci vediamo lì. Ciao” e mentre un sorriso sfuggiva via dalla mia bocca, Kurt mi guardò perplesso, in attesa di una spiegazione.
“Rachel Berry mi ha appena chiesto di uscire.”
“Non ci credo! Si è presa una cotta per te!” Esclamò attraverso una risata cristallina. Dopo qualche secondo, però, scomparve del tutto. “Aspetta un attimo, perché le hai detto di sì? Non la puoi illudere!”
“E chi dice che la sto illudendo?”
La sua espressione divenne ancora più confusa. “Non puoi dire sul serio.”
“Beh, ci siamo baciati…ed è stato bello!”
“E’ stato bello perché eri ubriaco.”
“Che problema c’è ad avere un innocente appuntamento?”
Adesso era davvero sconvolto. “Tu sei gay, Blaine!”
“Pensavo di esserlo! -ammisi, a testa bassa- Ma non sono mai stato con un ragazzo. Non è questo il momento in cui si deve…riordinare le idee?”
Si allontanò accigliato. “Non posso credere alle mie orecchie.”
“Magari sono bi, non lo so…”
“Bisex è un termine che usano i ragazzini gay per tenere per mano una ragazza e sentirsi una persona normale per una volta nella vita!”
Aggrottai le sopracciglia : “Ma perché sei così arrabbiato?!?”
“Perché tu sei un esempio per me! Ammiro il tuo coraggio di esprimere ciò che sei, e adesso stai facendo un passo indietro!?”
Rimasi interdetto dalle sue parole, ma allo stesso tempo,  mi sembrarono impossibili. Io, un esempio per lui? Io ero tutto ciò che un esempio NON doveva essere!
“Mi dispiace tanto ferire i tuoi sentimenti, o il tuo orgoglio…o quello che è. -mi fissò allibito, ma ripresi prima che potesse controbattere- Ma per quanto disorientato ti possa sentire, beh, ti assicuro che io lo sono molto più di te. Tu sei sicuro al 100% di ciò che sei. Bene, buon per te! Non tutti hanno la stessa fortuna.”
“Sì, davvero -commentò acido-, sono stato fortunatissimo, Blaine, ad essere preso di mira da un compagno che ha minacciato di uccidermi.”
“Ah sì?  E perché l’ha fatto?”
“Perché non gli piaceva chi fossi.”
“E’ un po’ quello che tu stai dicendo a me adesso, non trovi?”
Restò senza parole. Col senno di poi mi sarei accorto di averla sparata davvero, davvero grossa. Ma in quel momento ero troppo arrabbiato per moderare i termini.
“Io mi sento…alla ricerca. Ok? Sinceramente, vorrei soltanto capire chi sono… e non riesco a credere che, tra tutti quanti, sia proprio tu a criticarmi per questo! …Pensavo che fossi una persona diversa.” Senza ulteriori indugi scansai il caffè e feci per andarmene, ma prima, lo guardai un’ultima volta.
“Ti direi bye, ma non vorrei farti arrabbiare.” (*)
 
 
This was never the way i planned,
not my intention.
i got so brave, drink’n Hen,
lost my discretion.
It’s not what i’m used to,
just want to try you on.
I’m curious, for you,
caught my attention.

 
Oh, Katy Perry, sei l’unica che mi capisce, pensai, andando a tempo di musica con “I kissed a girl”.
E mentre la canzone continuava a rimbombare in tutta l’auto, penetrando fin dentro alle ossa, ripensai alla conversazione avuta quel pomeriggio, quando avevo detto tutto a Nick, Colin, Ed e Flint. Di certo la loro reazione non era stata migliore di quella di Kurt.
 
I kissed a girl,
and I liked it.
 
Sembrava avessi detto la barzelletta più divertente sulla faccia della terra. Ed per poco non piangeva, e Colin era dovuto correre al bagno perché sennò se la faceva addosso.
Faceva così ridere? Io, che uscivo con una ragazza?
“No, non è quello! –Aveva esclamato Nick, assecondato da tutti gli altri.- E’ il fatto che tu ti finga etero, che ci fa ridere!”
“Blaine, secondo me hai ancora in circolo quello spinball di cui ci hai parlato.”
“Ah ah, spiritosi. Guardate che io ho molti lati da etero! Mi piace il football…”
“E i giocatori di football.”
“B-beh, ascolto il classic rock, Bon Jovi, i Beatles…”
“E anche Madonna, Elthon John e i Maroon 5, per non parlare della tua totale adorazione verso Katy Perry.”
“Ma quella ce l’avete anche voi!”
“Oh, è vero, anche noi sogniamo Katy Perry. Ma mentre tu la sogni cantare assieme a te al palasport di New York, noi la sogniamo e basta. Nuda. Nel nostro letto.”
 
I kissed a girl,
Just to try it.
I hope my boyfriend don’t mind it.


“Ho litigato con Kurt. Era con me quando Rachel mi ha chiesto di uscire. Continuava a non capire, mi inveiva contro, mi guardava come se fossi diventato pazzo…e poi io…”
I miei amici sapevano bene la storia di Kurt. Gliel'aveva detta lui stesso, una sera. E fu per questo che ci rimasero ancora più male quando confessai: “Gli ho detto che...che è come Karofsky.
“TU COSA!?”
“Oh Dio, mi sento un tale idiota…devo andare a chiedergli scusa. Ma come faccio!? L'ho evitato per tutto il giorno perché non riesco nemmeno a guardarlo senza sentirmi uno schifo! Che cosa gli dirò?!? Con che faccia mi presenterò a lui???”
“Che ne dici di quella da cucciolo bastonato? Di solito funziona.”
“Sennò puoi sempre cercare di sedurlo. Mai provato il sesso rappacificatorio?”
“Piantala, Flint.”

My head gets so confused,
Hard to erase.

I kissed a girl, and I liked it.
It felt so wrong,
It felt so right.
Don’t mean I’m in love tonight.

 
La radio si spense. Uscii velocemente dalla macchina e mi rassettai meglio i vestiti. Certo, con quel cesto di capelli scuri non assomigliavo esattamente a Oliver Barrett, ma in quanto ad abbigliamento avevo fatto del mio meglio.
Ero elegantemente in anticipo. Con mia grande sorpresa, lo era anche Rachel. Mi aspettava davanti al cinema, indossando una gonna a scacchi e un maglione nero accollato. Una perfetta Jennifer, direi.
Con grande entusiasmo mi prese a braccetto ed entrammo in sala, condividendo una busta di pop-corn.
Dovevo ammettere che Rachel stava diventando pian piano la ragazza più interessante che avessi mai incontrato: conosceva praticamente a memoria le canzoni di ogni musical creato negli ultimi cento anni, adorava Barbra Streisand e Patty Lupone, e poi aveva una grande, grandissima voce. In un certo senso mi ricordava…
“Kurt?? -Esclamò lei, pensierosa – Mmm…sì, può darsi. Ma io sono più brava.”
Ridacchiai. Si assomigliavano anche in quello.
“You're gonna flunk out if you don't study.” Aggiunse infine, recitando perfettamente una battuta di Ali MacGraw.
“I am studying.” Ribattei io, cioè, John Marley.
“Bullshit. You're looking at my legs. “
“You know, Jenny, you're not that great looking. “
“I know. But can I help it if you think so?” (**)
Ci guardammo divertiti, increduli l’uno per l’altro. Forse, amava quel film quasi quanto me. Il ché era abbastanza sensazionale, dal momento che io avrei ucciso per quel film.
“Oh sì, assolutamente! – confermò lei - L’avrò fatto vedere a Finn una cosa tipo…duecento volte! Lui si addormentava sempre. Ma io facevo finta di prendere una manciata di pop-corn e gli davo una gomitata sullo stomaco per svegliarlo. Poi facevo finta di niente, dicendo che probabilmente gli era rimasto sullo stomaco il panino del pranzo, e che doveva smettere di  mangiare così tanto, e lui ci credeva sempre, si sentiva in colpa, e alla fine mi appoggiavo alla sua spalla, lasciandomi cullare dal suo respiro…”
Non riuscii a trattenere un sorriso. Quando parlava di Finn aveva un dolce sorriso sognante, e gli occhi si facevano ridenti, ma allo stesso tempo, malinconici, quando si rendeva conto che apparteneva tutto al passato, che non stavano più insieme, ormai.
Arrivammo alla fine di un appuntamento che non mi era sembrato tale. Certo, ero stato davvero bene… ma non mi era sembrato di uscire con una ragazza. Non in quel senso, almeno. E poi Rachel era ancora cotta di Finn. E se ero riuscito ad intuirlo io, doveva essere davvero palese. Sperai almeno di averle risollevato il morale.
 
 
Dopo una discussione con Kurt, un lungo discorso con i ragazzi, un appuntamento con Rachel, e una bella doccia fredda, non riuscivo ancora a trovare il filo della situazione. Anzi, paradossalmente, ci capivo ancor meno di prima.
Mi ero abbastanza convinto di essere gay…ma allora, come si spiegava quel bacio?
Forse quello spinball mi aveva dato alla testa??
Maledetto spinball. Maledetto gioco della bottiglia.
E, ciliegina sulla torta, non avevo ancora parlato con Kurt. Diavolo.
Stavo leggendo il nuovo menù Starbucks: due caffè e un croissant in omaggio! Sarebbe stata la colazione perfetta per me e Kurt. Certo, se non avessimo litigato. Sospirai: era passato soltanto un giorno dalla nostra discussione, ma a me sembrava un'eternità. Oh, più mi mancava, e più mi mancava il coraggio per ammetterlo.
Ad un tratto mi sentii chiamare. Rachel si stava dirigendo a grandi passi verso di me.
“Hei Rachel! Che ci fai qu...”
Non feci in tempo a finire la frase. Si avventò sulle mie labbra, tenendomi per la cravatta, e io rimasi inerme,  senza aver nemmeno il tempo di pensare a ricambiare il gesto. Poi, tutto d'un tratto, mi accorsi che non volevo farlo.
Erano le stesse labbra, lo stesso sapore, persino lo stesso profumo...ma niente. Non suonò alcuna campana. Nessuna scintilla, nessun fremito. Niente di niente.
“Sono gay. -Affermai deciso, guardandola dritto negli occhi- Gay al cento per cento. Grazie mille, Rachel, mi hai davvero aiutato un sacco a schiarirmi le idee.”
Dovevo sentirmi amareggiato, deluso, forse? Tutt'altro. Ero sollevato. Ero felice. Quell'incubo dell'eterosessualità era finalmente terminato. Finalmente non avevo più nessun dubbio.
Ma la mia serenità passò in un lampo, non appena tornato dal bagno: al posto di Rachel, con un caffè in mano, e uno sguardo indecifrabile puntato su di me, c'era Kurt.
 
 

***
(*) In inglese, “bi”, che sta per bisex, si legge “bai”, così come il saluto “bye”. Da qui, il gioco di parole di Blaine.
(**) Traduzione del dialogo:
"Se non studi finirai per essere bocciato."
"Sto studiando."
"Cazzate. Stai guardando le mie gambe."
"Lo sai, Jenny, non sei poi tutta stà bellezza."
"Lo so. Ma posso aiutarti lo stesso, se ti va."
 
So che in verità non c'entra molto con la scena, ma è l'unico pezzo del film che ho trovato. xD

Non ci credo!!! 102 recensioni!!AAAAAA sto per impazzire!! Vi prego, vi prego, sono troppo felice quando vedo una nuova recensione, se vi è piaciuto almeno un pochino questo capitolo, o al contrario, se vi ha fatto schifo, ditemelo! Rispondo a tutti con grandissimo entusiasmo, giuro!
Blaine etero è una cosa che non riesco a contemplare. Infatti quando ho visto per la prima volta questa puntata ci sono rimasta davvero di sasso. Continuavo a dire "WTF!?" e davvero, a volte mi chiedo se ci è o ci fa. Povero Kurt!! Nella prossima puntata: Blaine finalmente riuscirà ad accantonare tutte le sue millemila seghe mentali, per rendersi conto di amare Kurt? E, soprattutto, come farà a farsi perdonare??? Ai posteri l'ardua sentenza!!
Come al solito non mi stancherò mai di ringraziare tutte le splendide persone che mi hanno aggiunta alle seguite, alle ricordate o alle PREFERITE (a loro un inchino particolare!) I love you all.

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Capitolo 16
*** Tensione ***


Capitolo 15
Tensione

 
Eravamo in silenzio da circa cinque minuti, ma a me era sembrata un’ora. Buffo: stavamo seduti allo stesso tavolo di quel giorno. Quello in cui avevo buttato all’aria tutto il mio buonsenso e mi ero alzato indignato, dopo aver offeso Kurt nel peggiore dei modi.
Dovetti bere diversi sorsi di caffè prima di trovare la forza di parlare, sebbene non riuscissi ancora a guardarlo in faccia: gli occhi sembravano come intenti a studiare tutte le sfaccettature di colore del mio caffè scremato.
“…Kurt. –Esordii infine- Io…non ho parole per descrivere quanto sia un completo, totale, inevitabile idiota. Paragonarti a Karofsky in quel modo, davvero, è stato…orribile. Stupido. Troppo stupido persino per uno stupido come me! Non so cosa mi è preso, ero talmente arrabbiato, e confuso, che…”
“Che hai parlato senza pensare? Che hai finito per dire cose completamente inopportune?–Mi interruppe lui, con tono volutamente sopra le righe- Chissà perché, non mi stupisce.”
“...Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo, Kurt. E’ che, ero così dannatamente insicuro…anzi, per un momento, ho creduto per davvero di non essere gay! Ma avevi ragione. Avevi perfettamente ragione. E ti chiedo scusa per non averti ascoltato. Se tu, se tu hai cambiato idea…su di me…-se non ti piaccio più, pensai, ma invece dissi- se non vuoi più essere mio amico…io, lo capirò perfettamente.”
Potevo immaginarmi il suo pallido viso scrutarmi incolore, calcolando la risposta più giusta da darmi. O, forse, voleva soltanto che mi crogiolassi un di più in quel silenzio straziante.
“John Mellencamp.”
Chi?”
Soltanto in quel momento riuscii a guardarlo, confuso. Stava sorridendo. In effetti, era un po’ tirato, come sorriso, ma mi bastava.
“John Mellencamp. Non facevo altro che cantarlo. Andavo in giro vestito come un fattone e una sera ho fatto pure in modo che mio padre mi scoprisse a pomiciare con Brittany. E’ successo l’anno scorso, quando ho avuto la mia crisi di identità. Ma, diversamente da te, quando ho realizzato di essere gay al cento per cento non mi sono sentito affatto meglio.”
Non sapevo neanche chi fosse John Mellencamp…ma mi sentii lo stesso molto rincuorato. A modo suo, mi aveva detto che era tutto ok.
“E poi –fece lui, stringendosi nelle spalle- senza di te, chi mi accompagnerebbe all’inaugurazione di quel nuovo negozio vintage vicino al centro? Me l’avevi promesso, ricordi?”
 “Una promessa è una promessa.” Affermai io, ricambiando il sorriso. E, dentro di me, pensai semplicemente che quel ragazzo fosse l’essere più buono, dolce, gentile, che avessi mai conosciuto.
 
 
Tra Jeremiah, il litigio e Rachel, non uscivo con Kurt da almeno tre settimane.
Eravamo in questo nuovo negozio, e io ero eccitato quanto lui dai top anni ’50 e i pantaloni a zampa di elefante, ma mentre lui stava prendendo seriamente in considerazione l’idea di comprarli, io mi limitavo ad ammirarli, confidando a me stesso che non avrei mai avuto il fegato di indossare certe cose, così diverse dai miei cardigan scuri e le mie camicie anonime. Alla fine lo convinsi a prendere soltanto un paio di sciarpe, degli stivaletti di vernice, un pantalone di velluto verde militare e un cappellino con tesa larga in perfetto jazz-style. Fosse stato per lui si sarebbe comprato tutto il negozio.
Con ancora gli acquisti in mano ci dirigemmo da Sturbucks per il nostro solito caffè pomeridiano.
Incontrammo una persona. Sue Sylvester, così si chiamava, era l’ex insegnate di Kurt e, a mio giudizio, una donna piuttosto bizzarra. Innanzitutto chiamò Kurt “porcellana”. Pensai che fosse un nomignolo adorabile, che rifletteva perfettamente la pelle di Kurt: nivea, fresca e, in un certo senso, rara. E poi ho ancora l’immagine di lei che versava chili di zucchero nel suo cappuccino macchiato con poco latte e lo correggeva con dello scotch, rivolgendosi a noi come se fosse stata una spia russa in cerca di informazioni top secret. Il bello era che Kurt sembrava esserci talmente abituato da non stupirsi nemmeno più di tanto. Da quel buffo incontro, però, avevo carpito un fattore importante: i giudici delle regionali di quell’anno volevano sensualità. E io ero pronto a dargliela.
 
 
“Diamo il benvenuto alle ragazze della Crawford Country Day, la nostra scuola gemellata.”
Un gruppetto di studentesse saltellò entusiasta. Tra di loro c’erano Lindsay, la ex-isterica di Wes, Jessica, l’attuale fidanzata di Flint, e, con mia grande sorpresa, non c’era Priscilla. Strano. Avrei giurato di trovarla in prima fila con un cartellone da vera fangirl e il profumo di Zack Efron percepibile a distanza di un chilometro.
“Come già saprete –seguitai- gli Warblers sono iscritti ad una competizione regionale che si terrà la prossima settimana. Quindi, quello che vogliamo fare oggi, signorine, è qualcosa un pochino…sexy.”
Si lasciarono andare in sorrisi eccitati, e io ero compiaciuto di come riuscissi a coinvolgerle semplicemente enfatizzando una singola parola.
“Ma abbiamo bisogno della vostra opinione. Faremo urlare le folle?? Vi faremo piegare le ginocchia? Reggetevi forte, ragazze, perché stiamo per sconvolgervi.
Sei pronto Kurt?” Sussurrai al mio amico mentre questo mi guardava piuttosto accigliato.
“Certo! –Esclamò, facendo finta di niente- Scateniamoci.”
Sorrisi, e subito dopo salii su per la rampa di scale montata al centro della palestra, facendomi strada tra gli arpeggi dei miei compagni.
 
Here we go again
I kinda wanna be more than friends
So take it easy on me
I’m afraid you’re never satisified.

 
Kurt mi raggiunse subito dopo, un sorriso malizioso sul volto, e un atteggiamento piuttosto…bizzarro?

Here we go again
We’re sick like animals
We play pretend
You’re just a canible
And I’m afraid I wont get out alive
No I won’t sleep tonight.

 
Ma che aveva Kurt? Si sentiva poco bene? Continuava a ondeggiare e a fare delle facce disgustate…
Oh, oh
I want some more
Oh, oh
What are you waitin’ for?
Say goodbye to my heart tonight.
Oh oh
I want some more
Oh oh
What are we waitin’ for?
What are we waitin’ for?
Say goodbye to my heart tonight.

Hush hush the world is quiet
Hush hush we both can’t fight it
It’s us that made this mess
Why can’t you understand?
Woah I won’t sleep tonight.


E mentre  ripetevamo il ritornello, tutti insieme, io continuavo a guardare Kurt, cercando in tutti i modi di non farmi distrarre dalle sue movenze…beh, non sapevo come definirle. Di certo non erano molto normali. Alla fine lasciai stare, troppo concitato per la canzone, e insieme a lui mi diressi in cima alla rampa, trasformando l’intera palestra in un vero e proprio schiuma party.
Dopo aver rotolato, riso, e lanciato una palla piena di bollicine addosso a Kurt, la canzone finì, con dispiacere nostro, ma non tanto delle nostre spettatrici: Ed e Colin, ovviamente, approfittarono della situazione per spogliarsi quasi del tutto e mostrare involontariamente i loro bicipiti scolpiti. Un po’ troppo, forse.
“Scommetto che se vi pungo con un ago vi sgonfiate. –bofonchiai, passandogli accanto- ma quanti steroidi prendete!?”
Ma prima che potessero rispondermi per le rime un paio di studentesse si presentò davanti a me, con dei sorrisetti maliziosi sul volto.
“Sei davvero bravo. –Dissero in coro, porgendomi dei bigliettini- Chiamaci.”
Sorrisi. “Siete molto dolci…ma ho altri gusti.”
Ignorai il loro sguardo deluso e mi girai, dirigendomi verso Kurt. Era dall’inizio della canzone che volevo domandargli quella cosa.
“Kurt, ma ti senti bene? Facevi certe facce strane, mentre cantavi…”
Lui sviò lo sguardo dal suo pettine solo per un momento.
“Non erano le mie facce strane, erano le mie espressioni sexy.”
Stavo per mettermi a ridere, ma dal suo sguardo convinto capii immediatamente che non era una grande idea.
“Oh. E’ solo che…sembrava tu avessi del gas nello stomaco, o qualcosa del genere…”
“Ah. –Ci era rimasto davvero male- Perfetto. Come diavolo faccio a sembrare sexy davanti ai giudici quando io stesso ho la sensualità di…di un cucciolo di pinguino!?”
Quasi non riuscivo a crederci che non fosse in grado di essere sexy. Voglio dire, lui era sempre molto dolce e limpido, ma la sensualità è innata in tutti gli uomini, non poteva non avercela! Doveva soltanto…farla uscire fuori.
Lo guardai dritto negli occhi, rassicurandolo. “Ci inventeremo qualcosa.”
 
 
Per tutto il pomeriggio non riuscii ad acchiappare Kurt nemmeno per cinque minuti. Non appena lo raggiungevo, dovunque egli si nascondesse, si defilava all’istante con scuse assurde, tipo “devo studiare”, “mi sono dimenticato di dare da mangiare a Pavarotti”,  “oh scusa Blaine ma devo andare, non posso assolutamente perdermi l’ultima puntata di Will&Grace!”, “Oh Blaine, guarda dietro di te! Non è Patti Lupone quella laggiù!?”
Una piccola parte di me iniziava a chiedersi se stesse evitando l’argomento  o se, piuttosto, stesse evitando me.
C’era solo un modo per scoprirlo: intrappolarlo nella sua stessa tana.
Aspettai pazientemente che ritornasse ai dormitori, e bussai alla sua porta qualche istante dopo.
Lo sentivo ridere con Chase dall’altra parte del muro, ma si ammutolì all’istante non appena scorse il mio sorrisetto tenace.
“Buonasera, straniero. Da quanto tempo, eh? Ciao anche a te, Chase.”
Quest’ultimo mi fissò un secondo, e poi emise una sottospecie di sbuffo.
 “Posso entrare.” Non c’era davvero il punto di domanda, alla frase. Sgusciai dentro senza nemmeno aspettare la risposta. Infondo, passavo in quella stanza una volta ogni due giorni, perché ancorarsi ancora a quei formalismi?
E, una volta lì, Kurt capì di non avere scampo.
Lanciò un’occhiata disperata a Chase, ma questo si era già estraniato dal mondo, stendendosi sul letto con un libro in mano. Beh, rispetto a quando usciva di camera in fretta e furia, era un netto miglioramento. Ma non potevo pensare a Chase, in quel momento, avevo cose più urgenti di cui occuparmi.
“Allora.” Afferrai per le spalle Kurt, guardandolo intensamente. Lo sentii sussultare.
“Lo sai, vero, perché sono qui?”
“…Sei qui per regalarmi dei buoni sconto da H&M?”
“Cosa? Esistono dei buoni sconto di H&M!?” No, Blaine, rimani concentrato, lui vuole soltanto sviare l’argomento e tentare di distrarti. “Ok, magari di quelli ne parliamo dopo. Adesso voglio parlare di quella cosa.”
Iniziò a impallidire, scrollando la testa frenetico. “No. Non puoi farmi questo.”
“Sì, invece! Non puoi continuare ad evitarmi per sempre, Kurt. Sai che, prima o poi, sarebbe accaduto.”
“E’ solo…-borbottò, a testa bassa- è solo che…non ne sono capace, Blaine…”
“Oh, Kurt –sussurrai, teneramente- non capisco davvero perché tu sia così spaventato. Almeno, provaci. Ci sono io, no? Di me puoi fidarti. Siamo solo io e te.”
In effetti, in quell’istante, mi ricordai che non eravamo del tutto soli. E lo ricordò anche Kurt.
Ci voltammo lentamente verso un Chase che ci stava fissando scandalizzato.
I suoi occhi sgranati erano fissi su di me, o meglio, sulle mie mani che stringevano le spalle di Kurt, e lo si leggeva in faccia che stava chiaramente rielaborando tra sé e sé tutta la discussione fatta finora.
E, dal suo punto di vista, poteva essere sembrata piuttosto ambigua.
Kurt cercò immediatamente di spiegare, ma dalla sua bocca uscì soltanto un balbettio sconnesso.
Io ero troppo imbarazzato persino per parlare, e alla fine il ragazzo biondo si alzò in piedi, il libro sottobraccio, e la mascella serrata.
“Vado a fare finta di fare una telefonata.”
E detto quello se ne uscì dalla stanza.
Onestamente, non sapevamo se ridere, o piangere. Chase probabilmente avrebbe avuto gli incubi per giorni.
“Coraggio –dissi infine, facendo sedere Kurt davanti allo specchio- che ne dici di cominciare? Ti assicuro che non è difficile essere sexy. Vedrai che ti verrà naturale.”
“Certo. Naturale come un pinguino all’equatore.”
Ridacchiai, cercando subito di darmi un contegno. “Ok allora, dammi…sensualità. Ma non fare il pagliaccio. Provaci sul serio.”
Lui esitò un secondo. Si guardò allo specchio e, assottigliando leggermente lo sguardo, scosse la testa con uno scatto repentino mordendosi ferocemente il labbro inferiore.
Mi ricordò esattamente la faccia che aveva avuto appena finito di vedere l’ultimo High School Musical.
“Ok..- sussurrai, concentrato -Adesso dammi…lussuria.”
Stessa identica faccia. Solo che ci aggiunse qualche scrollatina in più. Adesso assomigliava molto all’espressione avuta quando eravamo andati a vedere Twilight.
“Hem…Kurt? Sembrano tutte uguali…” e non sembravano molto sensuali, a dirla tutta. Riuscivo a malapena a trattenere una risata, ma non mi faceva ridere lui, anzi: ai miei occhi, era ancora più adorabile di prima.
“Sì, –asserì lui, alzandosi di scatto- perché la vera sensazione che sto provando è imbarazzo. E’ inutile, Blaine. Io non so essere sensuale perché…beh perché non so niente di niente riguardo al sesso!”
Rimasi un attimo incantato nel fissare la sua pelle da “porcellana” diventare sempre più rosea.
“Kurt…stai arrossendo?”
“Ho provato a guardare quei film, ma mi hanno soltanto reso più depresso, e ho pensato che quelle persone sono state dei bambini, che hanno avuto delle madri e, Dio, cosa penserebbero le loro madri? E perché diavolo farsi un tatuaggio laggiù!?”
“Beh magari dovremmo parlarne –mi voltai verso di lui ed incrociai le gambe, con disinvoltura- ti dirò quello che so.”
“No, non mi interessano i dettagli.”
Mi guardò un attimo, respirando a fondo, e io non riuscivo a staccare gli occhi dal suo tenero fare impacciato.
“Amo il romanticismo. E’ per questo che mi piacciono i musical di Broadway: perché, lo sfiorarsi delle dita è il gesto più sexy che possa sostenere.”
Era molto dolce, certo. Ma anche piuttosto pericoloso.
“Kurt, dovrai informarti, prima o poi.”
“Non oggi. Per oggi ho scoperto abbastanza, grazie.”
Cosa? E che avrebbe scoperto, di preciso? Che non riusciva ad essere sexy? Che io non avevo nessun problema a riguardo? E, francamente, pensai che fosse un bene, dal momento che lui aveva questo grande blocco con il sesso, e io per niente, ed eravamo entrambi inesperti, insomma, pensai che ci saremmo potuti confidare l’un l’altro. Cavolo, era quello che facevano gli amici, no?
Stavo per esternare quelle riflessioni ad alta voce, ma poi una frase mi bloccò immediatamente.
“Penso che tu ora debba andare via.”
Uscii dalla porta in silenzio.
E faceva male scoprire che, nonostante tutto, esistevano delle cose di cui non potevamo parlare. 
 
 
Come al solito storia antica si presentava noiosa e inutile. La maggior parte dei ragazzi semplicemente pensava ai fatti suoi o, come nel caso di Ed, dormiva. Flint invece aveva optato del tempo libero per ascoltare il nuovo album dei Coldplay, attraverso una cuffietta mascherata sotto alla felpa della Dalton.
In effetti, l’unico che sembrava intenzionato ad ascoltare era Kurt. Mi voltai per l’ennesima volta, lo chiamai, lo punzecchiai, gli passai ottocento bigliettini, ma niente. Era come se la linea che divideva il mio banco dal suo fosse diventata un muro. E poi si raggiunse il colmo. Kurt stava…prendendo appunti!?
“Non ci posso credere. La tua cocciutaggine ha raggiunto l’apice, lo sai?”
Lui inarcò un sopracciglio, ma non disse niente.
“Che diavolo Kurt, non è possibile che tu sia così paralizzato dal sesso.”
Enfatizzai volutamente l’ultima parola, e lui quasi sobbalzò dalla sedia a solo sentirla nominare.
“Lo dico davvero per te. Devi informarti. E posso capire che tu ti senta a disagio, ma proprio per questo sarei felicissimo di aiutarti. E se non vuoi il mio aiuto…perché non chiedi a tuo padre?”
Ecco, finalmente mi stava guardando. Anche se mi guardava come se avessi detto la cosa più scandalosa sulla faccia della terra.
“Kurt. Hai un rapporto splendido con tuo padre, un rapporto che io non avrò mai con il mio. Ti prego, non sprecarlo.” C’era una punta di dolore, nelle mie parole, che non sfuggì alla sua attenzione. Forse fu per quello che la sua mano smise di scrivere, e i suoi occhi si addolcirono per un momento.
“Non avrei mai il coraggio di chiederglielo.” Ammise, con voce soffusa. Io sorrisi. E, meschinamente, approfittai del suo attimo di debolezza per intavolare meglio il discorso.
“Kurt, proviamo a parlarne, ti va?”
“No, Blaine. Non parlerò mai con te di…di quella-cosa-che-non-deve-essere-nominata.
“…Per quanto apprezzi la citazione potteriana, è assurdo che tu non riesca nemmeno a pronunciare la parola sesso.” Ecco che la penna gli era caduta di mano. Sospirai.
“E’ una parola normale, Kurt. La trovi nel dizionario!”
“Il fatto che sia nel dizionario non implica necessariamente il fatto che sia una parola da usare! Ma lo sai quante parole indecenti ci puoi trovare?!?”
“Certo, Kurt. Ci sono molte parole indecenti. E sai quali altre parole ci sono? Pene.” Le sue guance si infiammarono all’istante. “E profilattico.” Ecco, adesso si era coperto il viso divenuto completamente viola.
“E poi c’è anche…” ma non riuscii a finire la frase. Iniziò a cantare ad alta voce mettendosi le dita nelle orecchie. Non ci potevo credere!!! E, in quel modo, attirò l’ira della professoressa su di noi, impendendo così di terminare il mio discorso.
In effetti, non riuscii più a riprenderlo. Tutte le volte che rimanevamo da soli, lui aveva quello sguardo allarmato come se avesse già capito le mie intenzioni, e in risposta si rimetteva a cantare qualsiasi cosa gli passasse per la testa, in modo così forte da infastidire persino il povero Pavarotti.
Dissi a me stesso che era tempo di finire quella storia. E un piano ben preciso si stava insidiando nella mia mente.
 
L’officina Hummel era esattamente come me l’ero immaginata. Abbastanza grande, per essere gestita soltanto da un uomo e un paio di aiutanti, e piena di macchine da sistemare. Quell’odore di olio e motore mi ricordava molto il garage di casa mia.
Individuai immediatamente Burt dal suo cappellino. Kurt mi aveva detto che non usciva mai senza. Un po’ come lui con le sciarpe, insomma.
“Serve una mano?”
Restò un po’ perplesso nel vedermi lì, davanti a lui. Io. Il ragazzo che aveva trovato nel letto di suo figlio. Beh, come primo incontro, era stato davvero pessimo.
“Sì. –Rispose lui- passami il carburatore.”
Lo afferrai senza esitazione tra le moltitudini di attrezzi. Eheh. Un punto per Anderson.
“Come facevi a sapere quale fosse?”
“Mio padre e io abbiamo ricostruito una Chevrolet del ’59 circa due anni fa.” Quando ancora facevamo delle cose insieme. “Uno dei suoi vari tentativi di creare un legame.” Sfoggiai un sorriso amareggiato.
“Stai cercando dei pezzi di ricambio?”
“No, in verità…vorrei parlarle di Kurt.”
Alzò la testa di scatto. “Sta bene?”
“Le ha mai parlato di…sesso?”
Si avvicinò a me, incuriosito. “Tu sei gay, etero, o cosa?”
“Sono decisamente gay.” Dopo una settimana di crisi interiore e baci alcolizzati, potevo permettermi un po’ di sicurezza in me stesso.
“Ok, bene. Cioè, è uguale, ma è un bene per Kurt. Lui ha bisogno di uno come te…con cui parlare.”
“In effetti è proprio questo il problema. Ho cercato di parlarci, ma in pratica si mette le dita nelle orecchie e comincia a cantare.” Pur di non ascoltarmi si era messo perfino a cantare la sigla dei Power Rangers!
Lui, però, non sembrava affatto turbato. “Quando sarà pronto, ti ascolterà.”
“Ho paura che quando sarà, sarà troppo tardi. Alla Dalton non ci sono i corsi di educazione sessuale e comunque in poche scuole parlano di com’è il sesso per dei ragazzi gay.”
Si guardò intorno, come disturbato dalla presenza dei suoi colleghi di fronte a quel discorso. Ma io non avevo alcuna intenzione di indietreggiare. Riguardava una cosa troppo importante. Riguardava la sicurezza di Kurt.
“Kurt è il ragazzo più puro, e morale, che io conosca.”
“Ha preso tutto da sua madre.” Commentò, con un sorriso.
“E io ammiro tantissimo il rapporto che avete. Pensa che mio padre mi abbia fatto riparare quella macchina per divertimento? Io penso che l’abbia fatto perché pensava che, sporcandomi le mani, sarei diventato etero.”
Annuì coscienziosamente.
“E lui ti ha parlato…di queste cose?”
“Oh no. Le ho dovute scoprire da me. Internet è fantastico e tutte le informazioni sono a portata di mano, ma bisogna cercarle. Kurt non lo farà. E un giorno si troverà ad una festa, e magari berrà qualche bicchiere, e incontrerà qualche ragazzo con cui flirterà un poco, e senza sapere nulla riguardo alle protezioni, o alle malattie… -la sola idea mi faceva rabbrividire- io non ho un rapporto con mio padre, come quello che lei ha con Kurt.” E probabilmente non lo avrò mai. “Penso che sarebbe bello, se lei gli parlasse.”
Perché Kurt lo voleva. Sapevo che lo voleva, lo aveva detto lui stesso, lo potevo leggere nel suo sguardo intimorito. Non voleva sentire quel discorso da me, voleva sentirlo da Burt. Perché lui non era soltanto suo padre, era tutto il suo mondo, era la persona che lo amava più di chiunque altro. Perché io ero soltanto un suo amico. Un amico che non si rendeva conto di quando doveva stare al suo posto.
“Mi scusi –mormorai, intimidito- sono stato sfacciato.”
“Sì, è vero.” Concluse lui, secco.
Con la coda tra le gambe mi voltai indietro, serrando la mascella, e sperando che quel mio gesto fosse servito a qualcosa, almeno un minimo.
Ma, all’inizio, non portò altro che grandi, grossi, danni.
 
 
“Sei andato da mio padre.” Le mani di Kurt urtarono il mio libro, facendomi sussultare.
“Sei andato da mio padre e gli hai parlato di quella cosa!”
Non mi aspettavo per niente quella dichiarazione.
“…Te l’ha detto lui?”
I suoi occhi si fecero due fari increduli. “Allora è vero! Mi ha detto che ti ha incontrato, che avete parlato, e non faceva altro che ripetere quanto tu fossi un tipo strano, però un bravo ragazzo, e che continuavi a lodare il nostro rapporto padre-figlio, perché potevamo dirci tutto senza problemi, e non mi ci è voluto molto per fare due più due, soprattutto dopo la simpaticissima chiacchierata avuta in classe!”
Sviai lo sguardo a terra, senza sapere esattamente cosa dire. “Posso capire che tu sia arrabbiato per questo, ma…”
“Arrabbiato?”
“…Sì. Non lo sei?”
“No. Cioè, forse. Più che arrabbiato, sono esasperato. Ma immagino che dovevo aspettarmelo. Dopotutto, che sarà mai per te una chiacchierata osè con mio padre?”
Non mi piaceva il pungente sarcasmo nella sua voce. Mi faceva sentire ancora più stupido, mentre lui diventava sempre più schietto.
Deglutii. “…Pensavo che…”
“No, è proprio questo il problema, Blaine. Tu non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni. E il bello, è che sei talmente impulsivo da non renderti nemmeno conto del dolore che causi alle persone intorno a te!”
Oh, cavolo. Come avevo fatto a non rendermene conto?
Ero andato da suo padre parlandogli di sesso, di Kurt, senza considerare nemmeno per un momento i suoi sentimenti, il suo forte imbarazzo, la mia tremenda presunzione nel forzarlo a trattare di quella cosa così delicata, e con così poco riguardo nei suoi confronti.
Lo avevo ferito. Ed era la seconda volta in una settimana.
Lui continuava a guardarmi serio, freddo...e tutti i miei pensieri confluirono tutti attraverso un’unica, tremolante, domanda.
Non ti fidi più di me?
Cercai in tutti i modi di esprimerla a voce alta. Tentai e ritentai più volte, dando aria ai miei polmoni, ma tutto ciò che uscì furono dei sospiri spezzati a metà, che, in risposta, lo fecero innervosire ancora di più.
Si alzò dal tavolo di studio, con un’ultima occhiata gelida, e si avviò verso la sua stanza.
E io mi sentii morire dentro.
 
 
Quella notte non riuscivo a chiudere occhio. Le parole di quel pomeriggio riecheggiavano ancora nella mia testa, penetranti, come mille aghi conficcati dentro l’anima.
Avevo commesso un errore dopo l’altro.
Prima Jeremiah, poi l’ubriacatura, il bacio con Rachel, il dubbio di essere diventato etero –e potevo ancora ricordare lo sconcerto nei suoi occhi mentre cercava in tutti i modi di farmi ragionare- e poi la mia stupida insistenza che mi aveva arrogantemente condotto da suo padre.
Fino ad allora non mi ero reso conto di quanto, attraverso i miei innumerevoli, e stupidi, errori, avessi fatto soffrire Kurt. Kurt. L’unico ragazzo che aveva ammesso il suo affetto per me. E che, forse, non era più così.
Stavo scribacchiando qualche appunto sul quaderno di scienze, quasi come mettendo per iscritto tutte le mie paure. Non mi accorsi nemmeno della presenza di Chase poco oltre l’entrata.
“Hei, gnomo.” La sua voce ferma sembrava così lontana, eppure era solo a qualche passo da me. Non mi chiesi nemmeno perché fosse nella mia stanza. Non aveva importanza.
“Anderson. -Disse più forte, scrollandomi una spalla. -Uhm. Sei più ameba del solito. Beh, smettila di deprimerti, Kurt sta poco bene. Ha la febbre alta. I tuoi amichetti del fantabosco mi hanno detto di avvertirti.”
I miei occhi si velarono di un misto tra stupore e dolore. “Kurt ha la febbre?” Sussurrai, continuando a fissare un punto vuoto.
Chase inarcò un sopracciglio. “Già. Il problema è che mi ha cacciato fuori dalla stanza e non vuole parlare con nessuno. A quanto pare ha la luna storta.”
Era sottinteso che il problema fossi io. Era sottinteso che io, in quanto suo migliore amico, lo avrei convinto a parlare. Era sottinteso per lui, forse, ma non di certo per me. Strappai via il foglio sul quale stavo scrivendo e lo accartocciai in tasca, emanando un lungo sospiro, ma a parte quel gesto non mi mossi di un muscolo.
“Ma che fai?” Incalzò, seccato.
“Non vengo.”
“Come?”
“Non posso venire, Chase. Non so con che faccia presentarmi a Kurt.”
“Ah beh, io mi chiedo con che faccia tu riesca ad alzarti ogni mattina…”
Ma, notando l’assenza di qualsiasi mia reazione, aggiunse: “Hai lasciato la prontezza di spirito alla Contea?”
“Ho paura.” Esitai un momento, cercando in tutti i modi di contenere il tremito della mia voce. “Credo che non si fidi più di me.”
Un’ultima breve pausa, e dopo sentii un forte colpo alla nuca. Uno scappellotto.
“Ahia! Ma che diavolo fai?”
“No, TU che diavolo fai! Dio, giuro che un giorno di questi ti seppellisco vivo!”
Mi prese di forza e cominciò a trascinarmi fuori dalla camera, ignorando completamente le mie lamentele e i miei tentativi di disarcionarmi, e continuando a borbottare per tutto il tragitto offese quali “stupido”, “gnomo”, “stupido gnomo”.
Mi spinse contro la porta della sua camera, indicandola con fare autoritario. C’erano anche Flint e gli altri, che iniziarono a guardarmi ansiosi, facendomi cenno di bussare.
Esitai. Le mie mani tremavano dalla voglia di farlo. E poi, Chase mi diede l’ultima spinta.
“Muoviti.”
Beh, più che una spinta, era una vera e propria minaccia.
“Kurt? Sono Blaine. Mi apri?”
Nessuna risposta.
“Magari sta dormendo.” Ipotizzò Nick, ma gli altri non erano altrettanto ottimisti. Ed, Colin e Flint continuavano a tendere un orecchio in silente attesa.
Bussai di nuovo. “Kurt?”
“Và via.”
“Kurt! Co-come stai?”
“Oh, una favola, Blaine. Ho la febbre a 38 e i capelli da schifo. Non riesco nemmeno ad ingoiare gli antibiotici per colpa di questo maledetto mal di gola. Se non hai altre domande molto intelligenti da farmi, tornerei a dormire.”
“Kurt, no, ti prego, fammi entrare.”
“No.”
“Voglio chiederti scusa!”
“…Lascia stare, Blaine.”
“No, ti prego!”
“Non ti preoccupare. Ci vediamo quando starò meglio.”
“Ma potrebbe succedere tra giorni e giorni…!”
Ma sentii la porta della sua stanza chiudersi con ferocia.
I miei amici si strinsero nelle spalle.
“Ci hai provato.”
“A quanto pare devi aspettare.”
“Ma io non ce la faccio a rimanere con questo groppo sulla gola, per non so quanto tempo.”
“Beh, lo capiamo, ma come fai? Sai meglio di noi che quando Kurt si fissa su una cosa è impossibile smuoverlo.”
Era vero: non mi avrebbe mai fatto entrare. Non entro un giorno, per lo meno.
Non erano passate nemmeno tre ore dal nostro litigio, e io ero un vero straccio, sia fisicamente che psicologicamente. Non potevo tollelare un altro secondo di più. Non riuscivo più a sopportare quell’orribile tensione, quella situazione nauseante. Eravamo riusciti finalmente a riavvicinarci, dopo una lunghissima ed estenuante settimana...e adesso, eravamo di nuovo al punto di partenza. Perchè non riuscivamo più ad essere sereni per oltre mezza giornata? Perchè non potevamo riprendere ad uscire, come quel pomeriggio nel negozio Vintage, e ridere davanti al nostro solito caffè? Volevo fare pace con Kurt, e volevo farlo il più presto possibile. Perché mi mancava da morire. Mi mancava così tanto da star male.
“Entrerò in quella stanza, con o senza il suo consenso.”
“E come fai? -Domandò Colin, scettico- Voli sotto la sua finestra assieme al tappeto volante cantandogli A whole new world?”
Mi voltai di scatto, come rianimatomi. “Colin! Sei un genio!”
Lui rimase esterrefatto. “Lo sono!?”
Corsi al piano di sopra. Bussai ad una stanza, cercando di incappare in quella più vicina alla camera di Kurt. E, fortunatamente, ad aprirmi ci trovai Wes e David.
“Ragazzi!”
“Oh no.”
“Quello sguardo non mi piace. Ha quella strana luce negli occhi che finisce sempre per metterci nei guai.”
Il mio sorriso divenne più supplichevole. “Mi serve un favore…”
“Ecco, lo sapevo!”
“No Blaine, non ti aiuteremo più a rubare le tende della cucina!”
“No, ragazzi, è un favore piccolo, credetemi! Devo soltanto entrare nella vostra stanza. Fidatevi.”
Aggrottarono le sopracciglia. Si guardarono simultaneamente, come se stessero parlando attraverso la mente, e poi si voltarono.
“Va bene.”
“Grazie!”
“Ma dovrai portare Misery alle regionali.”
“E parteciperai alle prove tre ore al giorno. Sempre.”
Restai semplicemente entusiasta. “Tutto qui?” Qual era il problema? Mi stavano semplicemente chiedendo di cantare nostop una delle mie canzoni preferite!
Mi piombai dentro la stanza e, senza nemmeno un attimo di esitazione, mi fiondai sulla finestra che dava verso l’esterno. I due ragazzi cominciarono ad urlare, cercando di strattonarmi via. In quello stesso momento arrivarono di corsa Chase e mezzo Glee Club.
Nel vedermi così, aggrappato ad una finestra, a venti metri da terra, sotto le urla terrorizzate dei membri del consiglio, in un secondo cominciarono tutti a strillare.
“Oh mio Dio! Blaine Anderson si vuole suicidare!”
“Si butterà di sotto!”
 “Blaine!! –Sbraitò Wilson, con le lacrime agli occhi- Non lo fare, ti prego!!”
“Stai calmo, allontanati da quella finestra!”
“Moriremo tutti!!”
“Non vi preoccupate, Blaine è praticamente una scimmia!”
“Sì, una piccola scimmia, tipo quella di Jack Sparrow!”
“Già! Per Halloween si vestì da spiderman e rimase appeso fuori dalla finestra per mezz’ora, ve lo ricordate!?”
“No che non ce lo ricordiamo!” Sbottarono in coro i membri del consiglio “E voi quattro siete pazzi quasi quanto lui!”
“Blaine, se muori posso prendermi la tua collezione di cd?”
“NICK!!!!”
“Che c’è? Ha tutta la discografia dei Beatles in vinile!”
“Ragazzi…”
“Sei ancora giovane, ti prego, ripensaci!” Mugugnò uno del primo anno.
“Ti vogliamo bene!”
Thad stava per mettersi a piangere. “Ti daremo più assoli, se è questo quello che vuoi!”
“Ragazzi…!!”
“Gente, io svengo.”
“Oh no! Wes è caduto a terra!”
“Chiamate il pronto soccorso!”
“Chiamate un esorcista!”
“RAGAZZI!!”
Finalmente, silenzio. Una dozzina di occhi sgranati –esclusi quelli di Wes, ovviamente- mi fissavano, completamente avvolti nel terrore.
Che fatica, la vita di un teenager.
“Ascoltatemi bene. Non. Voglio. Uccidermi.”
Ci fu un’ovazione generale, e Thad cominciò a ringraziare il cielo, mentre i miei amici saltellavano sovraeccitati.
“MA RISCHIO DI FARLO, SE NON STATE ZITTI!”
Una volta che ci fu il beneamato silenzio, con molta calma, presi un bel respiro, e salii sulla grondaia.
Beh, che dire. Il mondo era davvero alto, da lassù. No Blaine, non guardare giù, non guardare giù…
Afferrai con la mano destra il bordo della finestra posta poco sopra la mia, e cominciai a scendere lungo la tubatura, facendo bene attenzione di rimanere saldamente ancorato al muro. Gli Warblers, intanto, erano paralizzati dallo stupore.
Ci vollero diversi minuti per scivolare lentamente. Minuti nei quali i ragazzi stavano per morire d’infarto, ma non io: la carica di adrenalina era talmente forte, da riuscire ad inibire tutti i sensi, persino la paura.
Alla fine, con molta fatica, e con un ultimo slancio finale, arrivai alla finestra di Kurt.
Bussai più e più volte, e sperai seriamente di non perdere l’equilibrio proprio adesso.
“Kurt! Kurt, apri la finestra!”
Un secondo dopo, scorsi i suoi occhi azzurri, semplicemente, pietrificati.
Rotolai dentro, i vestiti completamente sporchi, e i capelli arruffati dal vento e dalla fatica.
“Blaine? –era semplicemente incredulo- Come, cosa…MA SEI IMPAZZITO!?”
“Non ti agitare, o la febbre aumenterà!”
“La febbre…-balbettò, dovendosi sedere prima di collassare per lo shock- tu hai rischiato di morire…solo per vedere come stavo?”
“Ma no, siamo al secondo piano! Mal che vada mi sarei rotto una gamba…”
A quella frase impallidì ancora di più, sembrando ancora più malato di quanto non fosse già.
Bene, ora che ero lì, non avevo la più pallida idea di come iniziare.
"Hem...-esordii, impacciato- Come stai?"
"Bene. Sono solo un po' stanco."
"Ah. Ha-hai bisogno di qualcosa? Di...di un succo di frutta, magari?"
Avevo davvero detto succo di frutta!? Dio, quant'ero scemo.
"No...ma grazie, Blaine. Sto apposto così."
La sua voce era roca, e il suo naso era arrossato a causa dei troppi fazzoletti. Come aveva detto lui, aveva i capelli scompigliati e il piagiama arricciato. Ma la cosa non mi infastidiva affatto. Perchè, nonostante il raffreddore, nonostante quelle condizioni, era comunque splendido.
Mi sarebbe piaciuto rimanere lì accanto a lui, accudirlo, proporgli di guardare un film insieme, convincerlo a stendersi sul letto e dormire...e tutte quelle cose le avrei fatte, ma soltanto dopo essermi scusato a dovere.
Dovevo soltanto trovare il modo migliore per farlo...
Poi mi ricordai di quel foglio accartocciato in tasca, e lo estrassi immeditamente, spiegandolo alla meno peggio. Non era granchè, ma era di certo migliore di un qualunque discorso inventato sul momento. Mi schiarii la voce, e cominciai a leggere.
“Dunque. So che io e te abbiamo avuto qualche…difficoltà, ultimamente. Legate al fatto che io sia un vero idiota. Ma voglio dimostrati che ci tengo ancora, a te. Voglio chiederti scusa. Voglio elencarti, dieci motivi per cui puoi fidarti di me.”
Lui inarcò le sopracciglia.
“Uno: sono il tuo migliore amico. O almeno, spero di esserlo ancora.”
Stava per dire qualcosa, ma io seguitai.
“Due: ci sono sempre, quando hai bisogno di me. Come un call-center, ricordi?”
“Blaine-”
“No, Kurt, è importante. Tre: ti assicuro, che mai più, per nessuna ragione al mondo, crederò di essere etero. E se lo faccio ti permetto di picchiarmi con le custodie dei dvd.
Quattro…oh –Infilai velocemente il foglio in tasca, arrossendo un poco -Ehm…non ho fatto in tempo a scrivere altro.”
“Blaine, -fece lui, interrompendomi- non c’è bisogno che tu faccia una lista della spesa. Io mi fido di te.”
Sul serio?
Sul serio Kurt riusciva ad fidarsi di me, nonostante tutte le cavolate fatte, nonostante i tantissimi errori commessi?
…Wow. Dovevo piacergli davvero tanto. Quella frase mi fece star meglio, certo, ma non era sufficiente a redimermi.
“Ti ringrazio” sussurrai, veramente commosso. Perché lui era semplicemente fantastico, e io... “Resto comunque un idiota. Perché è quello che sono, Kurt, e non riuscirò mai a chiederti scusa abbastanza. Per averti paragonato a Karofsky quando tu cercavi soltanto di aiutarmi, e per averti pressato con tutta quella faccenda della sensualità, arrivando persino ad importunare tuo padre. E, soprattutto, non mi perdonerò mai per averti fatto soffrire, anche se non era assolutamente mia intenzione. Mi dispiace tantissimo. E se tu…se tu deciderai di perdonarmi, ti prometto, Kurt, con tutto me stesso, che non farò mai più niente di avventato senza prima averci pensato così tanto da farmi venire l’emicrania.”
E il cuore cominciò a battermi forte, mentre si apriva a lui in un modo talmente sincero da essere spiazzante.
“Mi manchi, Kurt. Non ce la faccio più. Non voglio più litigare con te, mai più.”
Lui rimase un altro secondo a guardarmi, sul volto era dipinta un’espressione di tacito ascolto, i suoi occhi erano lucidi, ma sicuramente a causa della febbre.
Poi, dopo un silenzio che mi sembrò interminabile, sorrise.
“Sai? Credo di essermi abituato alle tue imprese folli.”
E non c’era veramente nient’altro da dire.
Corsi ad abbracciarlo. Con entusiasmo. Con un po’ troppo entusiasmo, forse. Ma desideravo farlo da tanto, e non riuscii a contenermi.
Sentii il suo volto, a pochi centimetri dal mio, diventare incandescente. E, stavolta, sapevo che non era a causa della febbre.
“Così ti attaccherò il raffreddore.” Commentò, impacciato. La mia voce divenne un caldo sussurro.
“Non mi importa.”
Sarei rimasto in quel modo per sempre, semplicemente, con lui tra le mie braccia, finalmente, senza nessun ostacolo pronto ad impedirlo.
Perchè Jeremiah, Rachel, il nostro stupissimo attrito, erano tutti svaniti nel preciso istante in cui il mio corpo aveva stretto il suo, senza alcuna esitazione.
Perché sapevo di piacere a Kurt, esattamente così com’ero. Non ero più una figura idealizzata, non ero più il suo mentore protettivo. Ero Blaine, un giovane e alquanto pazzo ragazzo, pieno di dubbi e errori, ma anche di dolcezza, gentilezza, e affetto, tantissimo affetto nei suoi confronti. E lui lo sapeva. I miei occhi non smettevano nemmeno per un secondo di rivelare quanto gli volessi bene.
E non riuscii più a negarlo: anche lui piaceva a me. Mi piaceva il suo sorriso, il suono della sua risata, la sua stravaganza, e perfino la sua insolenza. Mi piaceva quando fuori facevano venti gradi e lui indossava un cappotto invernale. Mi piaceva quando piangeva, e non avevo mai creduto fosse possibile, ma ogni volta che vedevo quelle lacrime provavo l’irrefrenabile istinto di baciarle via, perché era bellissimo, anche con la fronte imperlata di sudore e una smorfia di disappunto dipinta sulle sue labbra.
Mi piaceva così tanto da star male. Perché non riuscivo più a non pensare a lui, e alle sue morbide labbra premute contro le mie. Perché, in quel momento più che mai, la mia mente riepilogò quel discorso fatto a San Valentino.
E cominciai a riflettere.

***

Scusateeeee sono in ritardo! E' che sono stata due giorni a Siena, e non ho avuto davvero tempo per scrivere.
Spero, comunque, che questo capitolo vi sia piaciuto. E' un po' strano, in effetti, ma ci tengo davvero tanto.
La parte del litigio, soprattutto, riconosco che sia un'aggiunta forse troppo esagerata, che ho fatto una svolta eccessiva. Ma prendetela come una mia idea personale. Prendetela come una mia visione delle cose, come un epilogo di tutto un periodo caratterizzato da assurdità: Jeremiah, Rachel e poi quel discorso con Burt. Kurt ha vissuto tutte queste cose in silenzio. Le ha subite quasi passivamente. E io mi sono detta "che cavolo! Possibile che non si arrabbi mai? E' umano anche lui." Soprattutto contando quanto fosse a disagio per l'argomento sesso, e quanto Blaine sia stato davvero sfrontato nel presentarsi a Burt in quel modo.
Non sto cercando di giustificarmi: alla fine è una fanfiction, ed è un missing-moments che ho voluto inserire.
Infondo, tutta questa storia era importantissima, per Blaine, per rendersi conto di quanto veramente tenesse a Kurt, e non solo come amico. Insomma, si collega bene con il prossimo capitolo.

Se non vi è piaciuto, vi chiedo infinitamente perdono. E vi supplico di non infamarmi troppo nelle vostre recensioni xD
Spero che apprezziate almeno la prima parte, che contiene pochissime parti inventate.
E, dulcis in fundo, ringrazio tutti coloro che mi stanno leggendo. (Sperando che, dopo questo capitolo, non abbiano perso la voglia di farlo!)
Un abbraccio. -F.

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Capitolo 17
*** Oh, eccoti qui. ***


Avvertenze: capitolo estremamente fluffoso. Effettuate le opportune iniezioni di insulina, prima di proseguire.

CAPITOLO 16
Oh, eccoti qui.

 
L’aula canto era stranamente silenziosa.
Non sentivo i classici vocalizzi, accompagnati dal dolce suono del pianoforte, che precedevano ogni nuova prova. Non sentivo i passi dei ballerini intenti a provare la coreografia. Non sentivo nemmeno le voci soffuse dei miei amici, che spesso e volentieri disturbavano tutti quanti con le loro risate e i loro commentini sarcastici.
Controllai più e più volte il mio fedele orologio da taschino, assicurandomi di non aver sbagliato orario.
Perché Kurt mi aveva mandato un sms, quel giorno, con scritto di presentarmi alle quattro in punto in aula canto.
Pensai fosse una prova extra a causa delle regionali ormai imminenti.
Ma quando aprii la porta non ebbi più alcun dubbio: non c’era nessuno, lì dentro, eccezion fatta per me e Kurt.
“Ciao.” Fece lui, alzandosi in piedi, lento, calmo.
Ricambiai il saluto con un sorriso piuttosto tirato. Il portamento con cui stava avanzando mi stava mandando in iperventilazione. Era incredibilmente sicuro di sé, come se stesse assaporando ogni singolo passo che ci divideva.
“Ma gli altri dove sono? Sono in ritardo?”
“No. Non c’è nessun altro.”
Il mio corpo fu sorpreso da un tremito quando sentii la sua bellissima voce parlarmi in modo pericolosamente provocante.
“Siamo solo noi” sussurrò di nuovo, facendosi sempre più vicino.
La luce del sole rifletteva sulla sua pelle nivea, e illuminava i suoi occhi limpidi.
Trattenni a malapena un sussulto quando mi accorsi del suo sguardo malizioso puntato sulle mie labbra.
E poi diceva di non essere sexy? Quel sorriso, quegli occhi, quelle movenze sinuose… Dio, mi stava facendo impazzire con dei gesti talmente minuscoli, da provare perfino un po’ di vergogna per me stesso. Per il mio poco autocontrollo.
Ma non ci potevo fare niente: Kurt era ormai a pochi centimetri da me, il suo respiro mozzava il mio, e trattenni a malapena un gemito di piacere quando il suo busto incontrò il mio, così come i suoi fianchi, e poi le sue dita affusolate accarezzarono le mie guance, infuocatesi all’istante.
Ma niente mi aveva preparato a ciò che successe dopo.
Con una metodicità quasi straziante premette le sue labbra sulle mie in un lungo, appassionato, bacio.
Le nostre lingue non smettevano di intrecciarsi mentre con il corpo mi direzionava verso il divanetto, fino a spingermici contro facendomi cadere, e subito dopo si sdraiò su di me,  sorridente, famelico.
Continuavamo a baciarci, a toccarci, e senza nemmeno rendermene conto infilai una mano sotto alla sua camicia, divenuta improvvisamente di troppo, e lui fece altrettanto con la mia felpa sgualcita, sfilandomela con un gesto secco.
Kurt…” sussurrai al suo orecchio, mordendone la parte inferiore. Lui sospirò contro la mia bocca, per poi allungarsi in un sorriso divertito.
“Mi piaci da impazzire, Blaine...”
“Oh, anche tu Kurt, non sai quanto, non puoi davvero immaginare quanto…”
La sua lingua così abile cominciò a tracciare i contorni della mia bocca, per poi scendere giù, passando per il collo, la clavicola, i capezzoli, l’addome.
Io affondai una mano trai suoi morbidi capelli, mentre con l’altra ero intento a saggiare qualsiasi centimetro della sua splendida pelle.
Driiiiiiiiin. Driiiiiiiiin.
“Blaine…” mormorò, smettendo per un attimo di baciarmi. Impaziente, lo attirai di nuovo a me.
Driiiiiiiiin. Driiiiiiiiin.
“Blaine.” Stavolta fu più risoluto.
“Kurt, cosa c’è?” Ansimai un po’ seccato, perché lui continuava a fermarsi, e io non volevo assolutamente che si fermasse, e quel fastidioso campanellino non accennava a zittirsi.
Mi guardò dritto negli occhi con una smorfia.
“Credo che tu debba svegliarti, adesso.”
 
 
Driiin, driiiin…
“Blaine!!!”
Driiin…driiiin…
“BLAINE!”
“Mhhm….”
“Buongiorno anche a te, eh!”
“Mhmmmm…Kurt…..”
“Hem, no. Mi spiace deluderti, ma sono soltanto Flint. Sai, il tuo compagno di stanza storico, il tuo compare di disavventure, hai presente!? E adesso, vuoi spegnerla quella stramaledetta sveglia!? Sono le sei del mattino!!”
Oh. Era soltanto Flint. E quella era soltanto la mia camera.
E quello era stato, soltanto, l’ultimo, ennesimo, sogno.
Strisciai verso la sveglia tintinnante e la buttai a terra con un tonfo sordo.
Non mi dispiacque per niente di averla rotta. Lei aveva interrotto il sogno più bello della mia vita.
Emanai un lungo sospiro e cominciai ad alzarmi in piedi, alcuni dei miei sensi ancora si rifiutavano di abbandonare le dolci coperte.
Non potevo andare avanti così. Era una settimana che non facevo altro che sognare Kurt, in tutti i modi possibili, e quando dico tutti, intendo proprio, tutti.
Tutto era cominciato quel giorno in cui, dopo essermi sorprendentemente arrampicato ad una grondaia, avevo fatto pace con Kurt.
Stetti con lui fino a quando non si fu addormentato, risollevato dal fatto che migliorava a vista d’occhio.
E se non fosse stato per un alquanto pedante Chase sarei rimasto lì per tutta la notte, semplicemente ad osservarlo dormire, perché era la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia, e lui era così tenero, con il suo pigiama di seta, completamente rannicchiato nelle fresche coperte, che Dio solo sa cosa mi trattenne da baciarlo lì, nel sonno, senza che lo venisse mai a sapere.
Avevo realizzato pienamente che Kurt mi piaceva, e molto. Probabilmente era una cosa che sapevo da sempre, ma che avevo cercato di reprimere in nome della nostra amicizia.
Già, l’amicizia.
Il mio stomaco si contorse in un lamento disperato.
Non potevo stare con Kurt. Sebbene l’idea di baciarlo, di accarezzarlo, di mostrargli tutto il mio affetto, mi facesse impazzire.
Ma era troppo pericoloso. Perché sapevo bene che, a quell’età, praticamente tutte le relazioni finivano male. E io non avrei buttato all’aria l’amicizia più importante della mia vita solo per soddisfare un mio capriccioso desiderio. Non potevo perdere Kurt, non lo avrei sopportato.
Ma allora, come avrei fatto a resistere? Come avrei fatto a salvaguardare quello splendido rapporto che avevamo riconquistato dopo tante fatiche, se continuavo ad avere quelle benedette fantasie su di lui!?
Ormai non riuscivo più a guardarlo come prima. Ormai non cercavo nemmeno di camuffare le mie attenzioni nei suoi confronti, ballandogli intorno quasi sempre e abbandonandomi a qualche sorriso radioso nel bel mezzo della canzone.
E la stessa cosa successe con Misery, durante il flash-mob che l’avrebbe giudicata degna o meno dello show di apertura alle regionali: lo afferrai per le sue bellissime spalle e lo condussi nell’altra aula, sedendomi accanto a lui, giocando con la canzone. Avevamo davvero dato il meglio di noi con la coreografia: i ragazzi erano sincronizzati al millesimo di secondo e persino il battere delle mani sul tavolo alla “we will rock you” funzionava bene.
Dopo un’ovazione generale del pubblico e un’esultanza dei membri del Glee Club, decretai fieramente che avevamo trovato la nostra canzone.
Adesso ci restava soltanto da scegliere quella più importante: l’inno.
Era l’unica traccia data dai giudici, piuttosto vaga, a dir la verità, ma Thad e Wes erano bravissimi nello scovare canzoni di grande talento perfettamente adatte al nostro gruppo. Mi avevano accennato a qualcosa di Pink, ma non avevo capito bene.
Prima di andare in aula prove, comunque, volevo il parere di Kurt riguardo a Misery. Eravamo stati fantastici, io ero stato fantastico, lo sapevo benissimo anche da me, ma era sempre bello sentirlo dire ad alta voce.
Stavo per chiamarlo quando posai gli occhi sulla gabbietta di Pavarotti posta sopra al tavolino, coperta da un telo quadrettato color panna.
“Come hai fatto a trovare un copri-gabbietta della Burberry?”
 “I canarini non sopportano il freddo –rispose lui, sollevandolo via- Specialmente Pavarotti.”
Guardò amorevolmente il suo uccellino, e io guardai amorevolmente lui. Era bello poterlo fare senza alcun rimorso.
Ancora radioso gli chiesi un parere sull’esibizione.
“…Posso essere onesto con te? Perché lo penso veramente, sia chiaro!”
Annuii, perplesso. Dopo tutto quello che avevamo passato, non saremmo riusciti a mentirci nemmeno volendo. E allora, perché quella premessa?
“E’ una cosa già vista.”
Come?
“Ascolta, tu sei…fantastico, Blaine, i tuoi assoli sono mozzafiato! E…sono anche numerosi.”
Il mio sorriso svanì tutto d’un colpo.
“Kurt, è il consiglio che decide a chi dare gli assoli.” Beh, era vero che li davano sempre a me, ma insomma, non potevano certo cambiare tattica una settimana prima delle regionali!
“Sento forse un po’ di gelosia?”
“Oh, tu senti molta gelosia. Senti, Blaine, è solo che ogni tanto non mi sembra di essere negli Warblers.
Mi sembra di essere ne ‘I coristi di Blaine’.”
Con ancora il suo sorriso sghembo se ne andò via, sotto al mio sguardo completamente interdetto.
 
 
“I coristi di Blaine!?”
Nick inarcò un sopracciglio.
“Ha detto proprio così.” Dissi io, finendo finalmente di raccogliere le ultime carte sparse a terra. Dovevo smetterla di lanciare fogli in aria ad ogni esibizione che facevo.
Ed, Colin e Flint ci rimuginarono sopra prima di esprimersi. O meglio, Ed non ci pensò affatto e scoppiò subito a ridere, mentre gli altri due sfoggiarono una smorfia.
“Sembra il nome di una cover-band delle Spice Girls…”
“O delle Destiny’s Child…”
“Beh, in effetti un po’ lo siamo, visto che abbiamo cantato quella stupida canzone dei conti.”
“Ah, già, che testo profondo: puoi pagarmi i conti? E quelli del telefono? E quelli della macchina? E quelli del reggicalze? No? Allora abbiamo chiuso!”
“Ma non siete d’accordo con lui, vero ragazzi? –domandai, un po’ allarmato- Voglio dire, sapete benissimo che ci tengo tantissimo ad ogni membro del gruppo, e che non riuscirei a cantare senza di voi!”
“Blaine, tu riesci a cantare anche al tubetto di quella sottospecie di stucco che usi per incollarti i capelli.”
“Ma perché mi piace cantare! Però mi piace di più se cantiamo tutti insieme…”
“Oh, è proprio uno Warbler!”
“Occhio che ti stanno crescendo le piume!”
“Un momento: se lui è un canarino, noi che siamo?”
“…Delle faine.”
“Faine!? Ma che animale è!?”
“Non lo so, non sono nemmeno sicuro che sia un volatile, però suona bene…”
“Colin, i tuoi commenti sono efficaci quanto le tette su un uomo.”
“O quanto i cavoli a merenda.”
“O quanto…”
“Lo pensate sul serio?”
Li guardai ad uno ad uno, troncando quel battibecco sul nascere. Non c’era tempo per i loro soliti bisticci, avevo bisogno di una risposta chiara.
“Pensate che Kurt abbia ragione, sono troppo al centro della scena?”
I ragazzi si guardarono di rimando, stringendosi nelle spalle.
“Sei il solista, Blaine.”
“E sei egocentrico.”
“Sei il nostro ragazzo copertina!”
“Con i tuoi occhioni da cucciolone riusciresti a venderci perfino quello che indossiamo.”
“Attirare l’attenzione è il tuo mestiere!”
Non l’avevo mai vista sotto quell’aspetto.
Era davvero giusto così?
Prima che potessi esporre quella domanda ad alta voce arrivarono i tre del consiglio, pronti ad iniziare la riunione.
Poco dopo ci raggiunsero tutti gli altri, e notai quasi subito l’assenza di Kurt.
Strano: non era mai arrivato in ritardo.
In quello stesso istante Wes ci richiamò all’attenzione con il suo classico, tipico, monotono, discorso di apertura.
Mi guardai intorno, cercando di decifrare l’espressione degli altri. Erano tutti annoiati. Le regionali erano alle porte, e nessuno sembrava veramente preoccuparsene.
Tanto c’è Blaine! Esclamò la vocina nella mia testa, interpretando le loro facce.
In quel modo non avremmo mai vinto le regionali!
Era colpa mia se erano così menefreghisti, quindi spettava a me cambiare le cose.
“Posso avere la parola?”
Provai a proporre una cosa innocua, giusto per vedere un po’ le loro reazioni.
“Secondo me, per le regionali, dovremmo rinnovare il nostro look. Perché non renderci più appariscenti, più…frizzanti?”
“Frizzanti!?” Dalla bocca di Wes quella parola assumeva tutto un altro suono.
“Sì! Voglio dire, portiamo sempre gli stessi abiti…”
“Certo, Blaine. –sputò Thad, stringendo il taccuino- Sai, si chiama divisa.”
“Beh…potremmo perfezionarla un pochino!”
“CHE COSA!?”
Trai membri del consiglio che inveivano contro di me, ragazzi che si fissavano confusi, e altri che si domandavano se fossi impazzito del tutto, scoppiò il pandemonio.
“Warblers! Warblers!! Sto soltanto suggerendo che, invece di indossare la giacca blu con i risvolti rossi, potremmo indossare una giacca rossa con i risvolti blu!”
Non l’avessi mai detto.
Ricominciò immediatamente il caos, e nemmeno il martelletto di Wes sembrava placarlo. I miei amici erano indecisi se ridere o piangere.
Poi, tutto ad un tratto, la porta si aprì. Era Kurt.
Indossava un elegante completo nero, che ovviamente gli stava molto bene, ma…perché non aveva la divisa?
Fu soltanto quando notai il volto increspato da una smorfia di dolore e gli occhi arrossati, che capii fosse una tenuta da lutto.
“Kurt! Che è successo!?”
Rimase un secondo in silenzio, cercando la forza per parlare.
“Pavarotti…è morto. Probabile infarto.”
…Da un lato fui sollevato, perché in quei brevissimi secondi mi ero immaginato uno scenario molto peggiore. Dall’altro, però, rimasi disarmato da quella notizia. Anche se si trattava di un semplice uccellino, mi ero affezionato.
Borbottai delle condoglianze, non sapendo bene cos’altro dire.
Gli altri erano ammutoliti quanto me, fissando quel ragazzo che era semplicemente distrutto.
“Lo so che è stupido piangere per un uccello… ma era lui ad ispirarmi, con il suo canto, con il suo ottimismo…era mio amico.”
Oh, Kurt. Era così dolce da straziarmi il cuore.
“Ora –riprese lui, lanciandomi un’occhiata incolore- lo so che oggi dovremmo fare doo-wop dietro Blaine mentre lui prova tutti i medley di Pink…ma vorrei cantare una canzone per Pavarotti.”
In verità quella frecciatina non mi fece granché effetto, visto che non sono particolarmente permaloso, e poi, non mi sembrava davvero il caso di prendersela, non in un momento simile.
Con ancora l’amaro in bocca mi sedetti,  ascoltando silenziosamente l’attacco di chitarra della base e, successivamente, la voce soave di Kurt.
 
Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly

All your life
You were only waiting for this moment to arise

 
Era strano, ma mi sarebbe mancato, quel canarino. Ne aveva passate di disavventure: era sopravvissuto ad un rapimento furtivo, ad un assalto da parte di Pannocchia e a chissà quante offese di Chase…eppure, con tutte le attenzioni ricevute dal suo padrone, credevo che sarebbe vissuto per altri cento anni.
 
Black bird singing in the dead of night
Take these sunken eyes and learn to see
all your life
you were only waiting for this moment to be free

 
Il dolce canto di Kurt mi colpiva dritto al cuore.
Senza nemmeno pensarci cominciai ad accompagnare il suo elogio, armonizzando in sottofondo, e così fecero pian piano tutti gli altri ragazzi, la testa bassa, il coro soffuso, per non disturbare la voce principale.
 
Blackbird fly, Blackbird fly
Into the light of the dark black night.

 
E’ così che funziona, negli Warblers. Quando uno è triste, gli altri lo assecondano per infondergli forza, appoggio.
Era esattamente quello che volevo trasmettergli io. Come per dire “mi dispiace, Kurt”. Come per dire: “non temere, sono qui. Sono proprio accanto a te.”
Ma è stato proprio in quel momento che, paradossalmente, smisi improvvisamente di cantare.
Avevo capito una cosa.
Mi ero appena reso conto che Kurt stava cantando, piangendo, e non si faceva alcuno scrupolo a riguardo.
Perché Kurt agiva in quel modo, senza riserve; non aveva mai problemi a dire la verità, anche quando affermava di essere geloso, o inesperto, o eccezionalmente portato per la musica; perché non si tratteneva nel mostrare il suo dolore per un canarino.
Non si era trattenuto nemmeno nell’ammettere il suo affetto per me.
Perché Kurt era così. Kurt viveva, ogni secondo della sua vita, senza alcun rimpianto.
E io?
Cosa stavo facendo, io?
Cosa stavo facendo, della mia vita?
Avevo così tanta paura di iniziare una relazione da rinunciare a tutta la gioia, a tutti quei momenti magici che mi avrebbe regalato. Li stavo negando…per cosa?
Per una via più facile, sicura, esattamente come due anni prima?
No.
Non ero più il ragazzino che si rifugia in una scuola privata incapace di correre un rischio.
Era stato Kurt, a cambiarmi. E con pazienza, con perseveranza, attraverso i suoi sorrisi, le sue lacrime, il suo grandissimo coraggio, aveva fatto breccia nel mio cuore.
Aveva sempre dato il massimo, talvolta finendo persino col farsi male. Eppure, non aveva mai smesso di credere in me, in noi. E non soltanto come amici, no: per lui siamo sempre stati qualcosa di più. Qualcosa di meglio.
E capii che anche per me era la stessa cosa.
 
You were only waiting for this moment to arise.
 
Avevo capito che volevo stare con Kurt. Più di ogni altra cosa al mondo.
 
 
Era incredibile quanto la mia mente fosse più serena, dopo quell’auto-rivelazione.
Ero riuscito perfino a convincere gli Warbler a cambiare Misery con un duetto, fatto da me e Kurt.
In parte lo feci perché quello che mi aveva detto dopo Misery mi aveva scosso; in parte, faceva tutto parte di un piano: non sapevo bene come dichiararmi, ma almeno attraverso le prove avrei passato un sacco di tempo prezioso in sua compagnia.
Erano passati tre giorni da quando Kurt aveva cantato Blackbird, eppure non avevo alcuna fretta.
Volevo il momento giusto. Volevo l’atmosfera romantica, il silenzio innaturale, le luci soffuse del tramonto. Volevo che fosse tutto perfetto. Perché lui era perfetto.
Mi trovavo in biblioteca assieme ai miei amici e, incredibilmente, Chase. I ragazzi lo avevano convinto a dar loro ripetizioni di fisica. A pagamento, ovviamente.
Io stavo mettendo in bella copia gli appunti di algebra, perché Kurt era mancato alla lezione a causa della febbre, e mi aveva chiesto di prestarglieli. E visto che si trattava di lui, volevo fare un bel lavoro.
Evidenziavo tutte le formule più importanti e cerchiavo le parole chiave, immaginandomi divertito la sua espressione disperata di fronte agli integrali impropri.
“Allora fammi capire bene.” Lo sguardo di Nick era puntato sul disegnino di un’altalena bidimensionale.
“Se io mi siedo da un lato… e Flint si siede dall’altro…non ci muoviamo?”
“Visto che pesate più o meno uguali, no.” La voce di Chase era più cadaverica del solito. Non so se dipendesse dalla materia, o dalla stupidità dei miei amici.
“E se Colin si sedesse di scatto addosso a me?”
“Probabilmente Flint volerebbe via.”
“Fantastico!!”
“Una Flint-catapulta!!” esultarono tutti e quattro, sfoggiando dei sorrisoni da bambini troppo cresciuti.
“E se mettiamo Ed nel mezzo?”
“Non succede niente, perché quello è il fulcro.”
“Ha! Ed, sei un fulcro!”
“Sfigato!”
Lui aggrottò le sopracciglia mettendo il broncio. “Non mi piace fare il fulcro…perché non lo fa Blaine il fulcro?”
“A proposito, Blaine? Che fai tutto silenz…”
E se il mio silenzio mi rendeva sospetto, il mio sorriso diede il colpo di grazia.
“Oh.”
“Mio.”
“Dio.”
Mi sentii leggermente osservato. Alzai la testa, non mutando di una virgola la mia espressione.
“Ragazzi? Che succede? Ho qualcosa trai capelli?”
“…E’ lui?” Domandò Flint, con un velo di incertezza.
“Non lo so…cioè, sembra, ma…è potenziato.”
“E’ salito di livello.”
“Si è evoluto. Come un pokèmon.”
“Che cosa adorabile.”
“Ma di che state parlando?” Chiesi infine, inarcando un sopracciglio.
“Del Kurt-sorriso.”
“Sì ma, non è il tuo classico Kurt-sorriso. Sembra, più che altro… Uno stra-super-Kurt-sorriso-elevato-all’ennesima-potenza…”
“Un Kurt-sorriso super sajan.”
“…Oh.” Feci io, sviando leggermente lo sguardo.
“…Sì, beh, scusate.”
“…Co-COME!?”
“Lo sta ammettendo?????”
“Lo sta ammettendo!!”
I cinque ragazzi – Chase compreso- mi fissarono pietrificati.
“Blaine…ti senti bene?”
Oh, infondo, era giusto che sapessero.
“Mai stato meglio in vita mia. In effetti, volevo giusto annunciare una cosa…”
“Aspetta – mi fermò Ed- non dirmi che ricominci con la storia dell’etero perché sennò ti affogo la testa nella maionese.”
Ridacchiai. “No, direi decisamente di no…”
“Sei innamorato? -Domandò Flint, con gli occhi luccicanti- E’ così, vero?”
Rimasi qualche secondo in silenzio. Indugiai soprattutto su Chase. Mi chiedevo se avesse già intuito qualcosa, essendo compagno di stanza di Kurt.
“Devo dirvi una cosa.”
Non avevo mai sentito così tanto silenzio in vita mia. O almeno, non da loro. Pendevano letteralmente dalle mie labbra.
“…A San Valentino, dopo la mia serenata da Gap…io e Kurt siamo andati a prendere un caffè…e lui ha…ha detto che gli piaccio.”
“...Eh.”
“Mbè?”
“Come mbè? Non mi dite che lo sapevate già!”
Dai loro occhi trapelava soltanto scetticismo.
“Blaine. L’avevano capito tutti.”
“A parte te, a quanto pare.”
“Cosa!? Non è vero!”
“A me l’ha detto lui.”
“COSA!?”
Ci voltammo di scatto verso Chase. Mi aveva spiazzato su tutta la linea.
“O meglio, me l’ha confermato lui, dopo che ho scoperto il suo altarino.”
“Il suo…cosa?” Balbettai, ancora folgorato.
“Sì. Tiene una sottospecie di santino di te, con attorno un sacco di cose. L’ho trovato nascosto nell’armadio qualche giorno dopo Natale. C’era la tua foto dell’annuario e una di voi innevati da capo a piedi, un profumo di kalvin klein che onestamente non ho compreso molto bene, una scritta courage fatta con dei ritagli di giornale, e persino un fazzoletto ricamato con le tue iniziali. All’inizio ho pensato volesse fare un rito satanico.”
Temetti che il cuore mi schizzasse via dal petto, per quanto batteva forte.
Non pensavo di piacergli così tanto.
Mi alzai di scatto, correndo via; precipitandomi in camera di Kurt, il respiro accelerato, il sangue che ribolliva freneticamente, bussai più volte, lo chiamai a gran voce trattenendo a stento l’euforia, ma non ottenni risposta.
Non lo trovai nemmeno in aula canto, né in cortile.
Stavo quasi per rinunciare, quando lo intravidi seduto in sala comune. Era concentrato, chino su una scatoletta nera.
Mi presi qualche secondo di contegno, dopodiché mi avvicinai.
“Che fai?” Domandai, con un sorriso forse troppo emozionato.
“Sto decorando la bara di Pavarotti.” Non mi guardò nemmeno. Sapeva che ero io, il suo migliore amico, ed era tutto come al solito.
Dentro di me fremevo, perché l’idea che lui non si aspettasse assolutamente niente mi faceva impazzire.
“Beh, hai finito. Ho trovato la canzone perfetta per il nostro duetto e dovremmo provarla.”
“Cioè?”
“…Candles. Degli Hey-Monday.”
“Sono sorpreso. –ammise, alzando il capo- di solito scegli una tra le top 40.”
“Beh, è che volevo qualcosa di più…emotivo.”
Sperai di non essermi rovinato con quella frase. Ma, a quanto pareva, Kurt non se ne accorse. Forse aveva imparato a non illudersi troppo.
Però, dopo qualche secondo di attesa, posò di nuovo lo sguardo su di me, e mi fissò intensamente.
“Perché hai scelto proprio me per questo duetto?”
Ok, Blaine. Eccoci qui.
E’ arrivato il momento di confessare i tuoi sentimenti.
Non era come avevo programmato. Non c’erano le luci soffuse del tramonto, e nemmeno l’atmosfera romantica. Ma c’era lui. E i suoi occhi limpidi erano tutto ciò di cui avevo bisogno.
“Kurt…c’è un momento, quando dici a te stesso: oh, eccoti qui. Ti stavo cercando da una vita.”
Vidi il suo sguardo illuminarsi un poco sotto l’effetto caldo della mia voce.
Mi avvicinai a lui, timido, prendendo la sua mano nella mia.
“Guardarti cantare Blackbird, questa settimana…è stato quel momento, per me…su di te.”
Non era una vera e propria frase di senso compiuto. Ma quel contatto mi aveva mandato in tilt.
Quindi mi buttai. Gli dissi la prima cosa che mi passò per la testa, perché era quella che sentivo davvero, e perché sapevo di non essere bravo con le parole, era inutile girarci intorno.
“Tu mi emozioni, Kurt.”
Perché non c’era un altro modo per descrivere ciò che provavo. Qualunque altra parola sarebbe stata inutile, o inappropriata.
“E questo duetto sarebbe una scusa per passare più tempo con te.”
E, nel momento in cui chiusi gli occhi, il calore delle mie labbra toccò quello delle sue.
Fu come se il tempo si fosse immobilizzato, di fronte al nostro primo, vero, bacio.
Fu come se fosse la cosa più giusta del mondo.
Lo baciai con un certo impeto, con una pressione forse eccessiva. Ma avevo bisogno di sentire le sue labbra; avevo bisogno di sentire che non era soltanto un sogno, una mia rosea fantasia.
E me ne convinsi soltanto quando sentii la mano di Kurt accarezzarmi la guancia, incitandomi verso di lui, desideroso quanto me di quel contatto; anzi, forse, più di me.
Perché io avevo sognato quel momento da appena una settimana; lui, probabilmente, da mesi.
Quel bacio finì di colpo, con un leggero schiocco, e ne approfittammo per riprendere fiato, rimettendoci composti nelle rispettive sedie.
Non riuscivo ancora a credere di averlo fatto.
 “Dovremmo…-borbottai, rosso in viso, ma radioso nello sguardo- dovremmo provare.”
Lui mi lanciò un’ultima occhiata accesa.
“Credevo che lo stessimo già facendo.”
E, un secondo dopo, mi ero di nuovo proteso verso di lui, riprendendo il contatto.
Più ci baciavamo, più ne volevamo altri, caldi, appassionati, e ogni volta che le nostre lingue si intrecciavano provavo una scossa nuova, un calore diverso.
Non sapevo che cosa fosse l’amore. Ne capivo tanto poco, quanto lui. Ma conoscevo la felicità. E mi resi conto, di non essere mai stato così felice in vita mia. Mi resi conto di provare un insieme di sensazioni indecifrabili, nuove, entusiasmanti, ma allo stesso tempo, familiari. Tutta quella situazione, paradossalmente, mi sembrava familiare. Perché era come se le nostre labbra si conoscessero da una vita. Si cercavano a vicenda come se non fossero mai state divise.
E dopo un tempo lunghissimo, ma per me troppo breve, lui si staccò da me, con un profondo sospiro, gli occhi lucidi per l’emozione e le labbra arrossate.
“Da quanto tempo ci stiamo baciando?”
Guardai velocemente il mio orologio da taschino, le mani ancora mi tremavano per la bellezza di quel contato.
“Hem…un’ora…trentasette minuti…e otto secondi esatti.” E per me non erano sufficienti.
Posò delicatamente la fronte sulla mia, abbozzando un sorriso.
“E ora…che si fa?”
“…Riprendiamo a baciarci?”
La sua risata cristallina riempì automaticamente tutto il mio cuore.
“No, intendevo, con il Glee Club. Vuoi dirglielo?”
“…Non lo so…” ammisi pensieroso, ma non riuscendo a sviare lo sguardo dal suo. A quella distanza riuscivo a contare le smagliature di verde brillante che incorniciavano i suoi occhi.
Erano bellissimi.
“Mi piaci, Kurt. E voglio stare con te.”
Trattenne il respiro per un momento. Poi, il suo sorriso si allargò, assieme al mio.
“Onestamente, sono contento che tu non ci abbia messo dodici anni, per capirlo.”
 
 
 
***
Nota: l'ultima frase è un riferimento al film Harry ti presento Sally, già citato da Kurt nel capitolo "silly love song". I due si mettono insieme dopo 12 anni che si conoscono...Blaine/Billy Crystal è stato un po' più svelto, per nostra grande fortuna.
Questa fanfiction, all'inizio, è nata come una sfida. Il mio scopo era di dimostrare che Blaine non è un personaggio 2D, totalmente dipendente da Kurt e inutile senza di esso, e soprattutto che il Klaine non è una cosa nata così, a caso, durante la puntata "Original Songs", perchè un bel giorno di primavera Blaine si sveglia e fa "Tò! Ma tu guarda! Sono innamorato di Kurt! Bella giacca comunque." Il Klaine è frutto di un processo lungo, durato dieci puntate e ricco di tantissimi spunti che si possono cogliere benissimo, se ci si sofferma ad osservare con un minimo di attenzione. Anzi, secondo me, è una delle poche ship sensate in Glee.
Ad ogni modo, spero di essere riuscita almeno un poco in questi intenti.
Quindi, in teoria, il mio compito sarebbe finito qui. Ma questa storia ha raggiunto un successo così commovente, e ho così tante idee, che ho deciso di continuarla.
Continuerò a seguire il telefilm, ma come hanno già detto alcune lettrici, ci sono poche scene Klaine dalla 2x17 in poi, e ci sono tantissime cose che non sono state messe. Ecco, io mi voglio occupare di quelle cose.
Che dire, spero che continuerete a seguirmi con la stessa passione fatta finora. E voglio ringraziarvi un'altra volta, la centesima volta, ma non smetterò mai di farlo, perchè, citando una frase del mio caro protagonista, "you move me".
Grazie.

PS - la prossima settimana, finalmente, mi concederò dieci giorni di vacanza. Non so se riuscirò a scrivere (potrò comunque rispondere alle vostre recensioni grazie al mio Iphone), ma vi prometto che farò di tutto per aggiornare almeno una volta.
Fossi in voi ne approfitterei per rileggere la storia con calma, e lasciare qualche recensione infamandomi a dovere (ahahah)!

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Capitolo 18
*** Perdendo, da vincitori ***


Capitolo 17

Perdendo, da vincitori

 

Ero leggermente in ritardo. Cioè, ero comunque in anticipo, ma rispetto al mio solito tempismo arrivai al parcheggio dieci minuti dopo. Avevo passato la giornata diviso tra compiti snervanti della Pitsbury –che in quel periodo aveva raggiunto livelli disumani di scelleratezza- e prove distruttive degli Warblers, ripetendo allo sfinimento tutti i passi della nuova coreografia e cantando “Raise your glass” fino a che avessi avuto fiato nei polmoni.

Fortunatamente era venerdì sera, e i negozi restavano aperti tutta la notte per i saldi di fine stagione. Un’occasione imperdibile per Kurt, che non ci pensò due volte a mandarmi un sms obbligandomi ad uscire. Ero stanco morto, e faticavo a tenere gli occhi aperti, ma non potei assolutamente dire di no. Prima cosa, perché mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani; e secondo, perché avevo davvero tantissima voglia di passare un po’ di tempo con lui, con il mio ragazzo. Oh, suonava così bene: Kurt, il mio ragazzo.

Da quel giorno di “prove” passammo tutti i pomeriggi insieme, e anche le cose più noiose assumevano tutto un altro colore; persino lo studio era diventato molto più interessante. O meglio, le lunghe pause che lo interrompevano.

In pubblico, però, non eravamo altrettanto disinibiti. Non avevamo detto nulla agli altri, per via dell'ansia delle regionali che li attanagliava. Comunque, conoscendo Flint e la sua indole da suocera repressa, aveva già scoperto tutto e pubblicato la notizia su Facebook.

Completamente perso nei mie pensieri mi accorsi a malapena della voce di Kurt, che mi chiamava da lontano. Fortunatamente sembrava troppo preso da altro per accorgersi del mio imbarazzante Kurt-sorriso.

“Scusami scusami scusami, sono in ritardo, ma non trovavo assolutamente un paio di scarpe adatte!”

Mi voltai di scatto. E Kurt era lì, con un paio di stivaletti neri dai lacci bianchi, dei pantaloni aderenti del medesimo colore, una camicia azzurra di Ralph Lauren e un gilet scuro, che si intonava al resto del completo. Indossava, poi, un graziosissimo basco pendente da un lato, che risaltava la sua carnagione chiara.

“Come sto?” Chiese lui, sorridendo compiaciuto. Oh, al diavolo, conosceva perfettamente la risposta a quella domanda.

“…Benissimo” sussurrai, cercando in tutti i modi di eliminare le palpitazioni e qualsiasi pensiero impuro.

Dopo un secondo sentii l’impulso di osservarmi: io indossavo dei semplicissimi jeans ed un maglione con scollo a v, che lasciava intravedere una camicia neutra.

Una gran bella differenza.

Intanto Kurt era già montato in macchina.

“Allora? Che vuoi fare?”

“Non saprei –ammisi, imitandolo- a me basta fare un giro, sai, una cosa tranquilla. Tu dove vuoi andare?”

I suoi occhi si illuminarono. Aspettava quella domanda con ardore.

“Beh, in effetti, avrei un paio di negozi da vedere, se non ti dispiace.”

“Nient’affatto. Siamo qui per questo, no?”

 

 

Aveva detto un paio, me lo ricordo bene.

Ma dovevo immaginare che fosse soltanto un termine retorico per definire “ogni sorta di negozio presente in circolazione”.

Avevo perso il conto dei posti in cui eravamo entrati: ricordavo che Zara fu il ventesimo, perché fu lì che Kurt mi presentò una felpa rosso sgargiante, sfoggiando un sorriso compiaciuto.

“Devi assolutamente provaratela! Scommetto un caffè che ti sta d’incanto.”

“Kurt, è molto bella, ma…non è proprio il mio stile.” Affermai, gentilmente.

“Certo, perché è di un colore che non sia nero, blu, grigio o marrone! Per favore, provatela. Fallo per me.”

Ecco. Se giocava quella carta, come facevo a dirgli di no?

La indossai senza troppo entusiasmo, e mi guardai allo specchio un attimo dopo. Con quel colore acceso davo sicuramente nell’occhio, ma non stavo male.

“Non so se la metterei.” Ammisi, a testa bassa. Me lo sfilai e glielo passai svogliatamente; mi lanciò un' occhiata comprensiva e si diresse alla cassa.

“La prendo. Ah, e prendo anche tutta quella roba laggiù.” Indicò una pila di maglioni, felpe, giacche e gilet appoggiate ad un tavolo.

“La indosserai. -Disse soltanto, sfiorandomi la spalla con la mano. – Un giorno mi ringrazierai, fidati.”

Per quanto mi riguardava, qualsiasi indumento che mi facesse uscire dall’anonimato non era accettabile. In ogni caso, sapevo bene che non potevo oppormi alla testardaggine di Kurt, e quindi ci dirigemmo alla prossima tappa con il mio nuovo acquisto sotto braccio.

Entrammo in una bottega mai vista prima, piena di profumi, creme e oli profumati. Kurt stava proprio fissando uno di questi ultimi prodotti.

“E’ un estratto di caucciù e menta. Adatto per gli interni e le sedute di yoga.” Commentò una signorina, con un ghignetto da ho-appena-trovato-un-nuovo-acquirente.

“Buonissimo” commentò, facendolo annusare anche a me. Era un odore dolce, ma forse troppo forte per una camera.

“Tra le sue tantissime doti, ha capacità emollienti e rilassanti. Dà beneficio ai pori della pelle senza sciuparli. Rende bellissimi in meno di un mese!”

Kurt sembrava quasi rapito dalla favola della commessa. Favola, certo, perché mi chiedevo seriamente come un semplice olio potesse far diventare Cenerentola.
A quel punto la domanda che mi sorse spontanea fu: “Quanto costa?”

“Trecentoventi dollari. Scontata del 30%, per giunta. E' un affare!”

“E’ un affare! –ripetè Kurt, saltellando sul posto. Ma non ero proprio della sua stessa idea- Non è fantastico?” Aggiunse infatti, notando il mio scetticismo.

“Certo! La ringraziamo, signorina, arrivederci.”

Trascinai fuori Kurt prima che quella donna potesse risucchiarlo di nuovo nel vortice degli aromi.

“Trecentoventi dollari per quello spruzzino!? Dico, ma la boccetta era ricoperta di platino!? Neanche il filtro dell’eterna giovinezza varrebbe tanto!”

“Ma hai sentito la signorina! –sbottò Kurt- Rende bellissimi in meno di un mese!”

Mi fermai un momento, guardandolo dritto negli occhi.

“Appunto, Kurt. Tu non ne hai bisogno. Lascia che qualcun altro spenda tutti i suoi soldi.”

Lui arrossì di colpo, e finalmente accennò ad un tenero sorriso, dirigendosi verso il Lima Bean.

E poi prendemmo il nostro solito caffè, ci sedemmo al nostro solito tavolo, commentammo per l'ennesima volta tutti i capi d'abbigliamento visti e quelli comprati da Kurt; dopodiché discutemmo un poco sui film in uscita, e su qualsiasi sorta di musical presente nella zona.
Insomma, era tutto, perfettamente, come sempre.

O forse no.

Mentre Kurt esponeva la sua critica all'ultima interprete di Grisabella al musical di Broadway, per poco non mi strozzai con il caffè macchiato.

“Blaine! -Esclamò, posando una mano sulla mia spalla- Stai bene?”

“...Non ci avevo pensato...”

“A cosa? Che succede?”

Rialzai la testa, gli occhi spalancati puntati suoi suoi.

“Questo sarebbe …. il nostro primo appuntamento.”

Rimase qualche secondo inerme, e poi la sua espressione si addolcì.

“Lo so.”

Lo sapeva!? Oh, certo che lo sapeva. Dopotutto aveva fatto un quarto d'ora di ritardo solo per scegliere cosa mettersi, perché voleva essere carino, per me. Perché era la nostra prima uscita come una coppia. E io indossavo dei jeans e un banalissimo maglione.

“Mi dispiace... -sussurrai, affondando il viso tra le mani – è il nostro primo appuntamento, e mi sono comportato come...come un amico.”

“Ma tu sei mio amico. – ribatté, con un sorriso- e sei anche il mio ragazzo. E' colpa mia, non dovevo trascinarti in tutti quei negozi... non è una cosa da primo-appuntamento!”

“Beh, neanche un paio di jeans e un maglione sono da primo appuntamento! E il caffè!?”

“Oh mio Dio, stiamo bevendo caffè al nostro primo appuntamento!”

Rimanemmo un secondo pietrificati, ognuno intento ad osservare il proprio bicchiere.

“Cosa si fa ad un primo appuntamento?” Domandò, con un sussurro.

“Non lo so...”

Nei film i primi appuntamenti seguivano dei canoni prestabiliti: passeggiate notturne mano nella mano, dolci effusioni al chiaro di luna, confessioni romantiche in riva al mare...

Cavolo. Il mare era distante cento chilometri!

“Blaine?” Kurt sembrava preoccupato.

“Ci sono dei tizi strani che ci stanno fissando.”

“Cosa?”

Seguendo la scia del suo sguardo ed individuai un paio di figure in nero, uno con il montgomery, il cappello, e gli occhiali da sole -gli occhiali da sole di notte?!?-, l'altro seduto sulla panchina, intento a leggere il giornale e...un momento. Al centro del quotidiano c'erano due fori per gli occhi.

Cacciai una smorfia.

“Non ti preoccupare, Kurt. Sono Colin ed Ed.”

Lui li fissò per un attimo, e poi inarcò le sopracciglia.

“Oh. E' vero. Come hai fatto a riconoscerli?”

“Beh, non ci sono tanti idioti che tentano miseramente di fingersi spie della CIA.”
In meno di un minuto piombammo alle loro spalle.

“Colin, Ed. Che ci fate qui?”

Scattarono in piedi come se avessero udito una bomba.

“Blaine, Kurt, ma che sorpresa!!! E' una vera sorpresa, non è vero, Ed?”

“Sorpresissima, Colin! Noi stavamo, stavamo....”

“Ci stavate spiando.” Commentò Kurt, a braccia conserte.

“NO! Cioè, forse. Un pochino?”

Rimanemmo in silenzio.

“Flint? Nick? La missione 007-in-love è fallita.”

Da dei cespugli poco distanti sbucarono i due ragazzi, armati di elmetto e divisa mimetica militare, con dei cannocchiali in mano e la ricetrasmittente nell'altra.

E la cosa ancora più strana fu che, né io, né Kurt, rimanemmo scandalizzati. Li squadrammo per un secondo, e poi lui chiese: “perché quest'azione alla Ocean's Eleven?”

“Oh, andiamo! -sbottò Ed- Il vostro primo appuntamento da piccioncini! Non potevamo perdercelo!”

“Cosa!? E voi come fate a sapere che stiamo insieme!?”

“...Blaine, andiamo. Così ci offendi.”

“Sono mesi ormai che intercettiamo tuoi sms.”

“E siamo stati così contenti quando abbiamo letto il messaggio di Kurt, che ti ringraziava per quel pomeriggio di PROVE...”

Avvampammo all'unisono. E la nostra reazione non fece altro che incrementare quella divertita della loro.

“Oh, ma guardatevi. Siete adorabili.”

“Adorabilmente smielati.”

“Ragazzi, sto per vomitare arcobaleni.”

“Anche io, Colin. Ho seriamente bisogno di un'iniezione di insulina. Kurt, Blaine, ci vediamo alla Dalton.” E dopo quella raffica di commenti si dileguarono, scavalcando siepi e panchina, continuando a camminare quatti quatti come le controfigure degli attori di NCIS.

Noi due non ci eravamo mossi di un millimetro.

Indugiai un attimo a osservare Kurt.. Un secondo dopo, scoppiammo a ridere.

Oh, al diavolo. Non eravamo la coppia più esperta del mondo, e il nostro primo appuntamento era stato piuttosto strano, ma non ci importava. Eravamo stati bene. Eravamo stati noi stessi. Avremmo imparato anche a fare degli appuntamenti da manuale, passo dopo passo. Insieme.

 

 

A quell'appuntamento ne seguirono tanti altri, tutti fantastici, e pian piano stavamo acquisendo sempre più sicurezza nel nostro rapporto. Ormai non c'era niente che non facevamo insieme: leggere, studiare, guardare film...e poi, ovviamente, c'era il duetto. Quella canzone ci era entrata nelle vene. La cantavamo a casa, a scuola, a mensa, la cantavamo da soli e se ci veniva in mente un'armonia particolare ci chiamavamo all'istante, riferendo tutti i particolari. E non ci eravamo mai sentiti così vicini.

Per questo motivo, nel giorno delle Regionali, ero piuttosto emozionato, ma anche sicuro di me.

Mi stavo sciogliendo dietro le quinte, in attesa di entrare in scena, quando Kurt mi si avvicinò, lo sguardo allarmato, perso nel vuoto.

“E' mai morto qualcuno sul palcoscenico?”

Lo guardai. “Sei nervoso?” Kurt Hummel, nervoso per un'esibizione!?

“Non giudicarmi -si affrettò a dire- è che...è la mia prima competizione da solista, e ho paura di perdere la voce, o non ricordarmi più le battute... ok, ora puoi giudicarmi.”

Sorrisi, e gli dissi esattamente la prima parola che mi passò per la testa in quell'istante.

“Penso che sia una cosa adorabile. Penso che tu sia adorabile.” Quelle parole uscirono fuori con estrema facilità, perché me l'ero sempre detto tra me e me ogni singola volta che osservavo il suo viso, le sue azioni, il suo sorriso interdetto. Lo afferrai per le spalle, cercando di rilassargli i muscoli.

“Le uniche persone che moriranno sarà quel pubblico laggiù, perché noi uccideremo questa cosa. Ok?”

Lui annuì, incerto, e ci recammo sul palco per metterci in posizione.

Il sipario era ancora chiuso.

Il cuore cominciò a battere forte, così come il mio respiro divenne affannato.

La tensione è un grandissimo problema, per il canto. Perché, quando sei agitato, o teso, la prima cosa a risentirne è proprio la tua voce. Cercai quindi di calmarmi, facendo appello ad ogni fibra di autocontrollo presente in me, ma l'ansia era arrivata tutta in un colpo e non riuscivo a gestirla.

E poi i miei amici cominciarono a cantare. E poi vidi Kurt.

The power lines went out
And I am all alone
But I don't really care at all
Not answering my phone

La sua voce riecheggiò nell'auditorium in modo cristallino, ed era fantastico vederlo avanzare sotto ai riflettori, guardare il pubblico con un sorriso appena abbozzato, aspettando che mi facessi avanti anche io, superando il gruppo. E così feci.

All the games you played
The promises you made
Could't finish what you started
Only darkness still remains

Continuavamo a cantare guardando noi stessi, invece del pubblico. Riconosco che fosse poco professionale; ma, dopotutto, non poteva essere altrimenti. Quella era la canzone che avevo scelto per noi due, mentre pensavo al modo migliore per rivelargli i miei sentimenti. Sentivo il testo dentro di me; ogni singola parola, ogni sorriso, era dedicato a lui. Al mio migliore amico, al mio ragazzo.

 

Lost sight
Couldn't see
When it was you and me
 

Non riuscivo a vedere, quando eravamo io e te. Non riuscivo a vedere i nostri mille primi appuntamenti, le nostre risate, i nostri taciti sorrisi. Questi erano già nati prima che me ne accorgessi.

Perché, in fondo, noi ci eravamo legati sin da quel primo giorno alla Dalton.

Blow the candles out
Looks like a solo tonight
I'm beginning to see the light
Blow the candles out
Looks like a solo tonight
But I think I'll be alright

Penso che starò bene. Penso che andrà tutto bene. Perché sto cantando un duetto romantico davanti a centinaia di persone come voce solista per una competizione regionale. Perché sto affrontando il mondo, e accanto a me c'è Kurt.

One day
You will wake up
With nothing but you’re sorries

And someday
You will get back
Everything you gave me

Kurt. Spero che tu sia felice almeno la metà di quanto lo sono io adesso. Perché è tutto merito tuo. E non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza per questo.

Blow the candles out
Looks like a solo tonight
I'm beginning to see the light

Blow the candles out (candles out)
Looks like a sol
o tonight (solo tonight)
But I think I'll be alright

 

E, nel frattempo, la canzone finì.

La folla ci dedicò un lungo applauso, grazie al quale mi sentii fiero di me stesso, e del mio sensazionale partner.

Lo esposi alla luce, lasciandolo agli applausi del pubblico e dei miei. Sorrisi ancora di più vedendolo inchinarsi in modo piuttosto imbarazzato, ma decisamente divertito.

Eccolo, il mio ragazzo. Kurt Hummel, bellissimo uomo e fantastico cantante.

Mi sarebbe piaciuto perdermi in quelle tacite lodi, ma restava ancora un'altra canzone da fare; quindi, senza neanche un attimo di pausa, cantai Raise Your Glass di Pink, accompagnato da degli Warbler carichi e assolutamente dinamici, e sconvolgemmo la folla, ballando, cantando, coinvolgendo tutti quanti.

Era stata la migliore esibizione della nostra vita, e ne eravamo perfettamente coscienti.

Stavolta, a differenza delle provinciali, mi lasciai andare all'entusiasmo, abbracciando Kurt e tutti i miei amici, complimentandoci l'uno con l'altro e cominciando a sperare veramente nel tanto desiderato primo premio. Meritavamo di vincere. Nella mia testa cominciarono a scorrere immagini di me e i ragazzi a New York, correndo per strada come dei folli e lanciandoci in un flash-mob di Empire State of Mind nel bel mezzo di Central Park.

Ma era troppo presto per sognare le nazionali: dovevano ancora esibirsi le New Directions.

Mentre prendevamo posto tra il pubblico, compiaciuti, e leggermente ansiosi, Kurt guardò il palcoscenico con una strana luce negli occhi. Non ci volle un genio per capire a cosa stesse pensando: sotto sotto, nonostante il grande affetto che provava per gli Warblers, e per me, voleva essere su quel palco insieme a loro.

Provai una fitta di malinconia, ma preferii non badarci e mi concentrai sull'esibizione.

Rachel ci toccò profondamente tramite una canzone scritta da lei, nella quale ci mise corpo e anima. Quella ragazza, davvero, fu sensazionale. Sapevo di non dover pensare quelle cose, essendo il leader del gruppo a lei rivale, ma davvero, in cuor mio, per un secondo, sperai che fosse lei a vincere. Perché non aveva altro che la musica, e il suo dolore da sfogare.

La seconda canzone, invece, fu tutto un altro genere. Mi esaltai insieme ai miei amici sfoggiando delle manone giganti e danzando a ritmo di musica. Il testo diceva “loser like me”. Soltanto loro potevano aver scritto una canzone simile, rendendola così magnifica.

L'esibizione finì. Salimmo tutti sul palco, attendendo il responso dei giudici. Questo arrivò piuttosto velocemente: mi domandai se fosse un bene o un male.

“Che barba – disse la presentatrice, forse con un po' troppo gin nelle vene- vediamo chi ha vinto d'accordo?”

Trattenni il respiro.

Ci furono dieci lunghissimi secondi di silenzio.

E poi, alla fine, le New Directions urlarono di gioia.

Avevamo perso.

 

 

“Addio, mio dolce principe.”

La voce di Kurt suonò incredibilmente melanconica, mentre i suoi occhi si soffermavano sulla piccola lapide di Pavarotti. Avevamo rimandato quel momento da troppo tempo.

“Mi dispiace, Kurt. Ti ricorderà il funerale di tua madre...”

“Beh -fece lui, con una leggera punta di sarcasmo- la bara era un pochino più grande. Ma...sì.”

Diedi un ultimo colpetto con la vanga e mi rialzai in piedi, guardandolo dritto negli occhi.

“Non è solo per questo. -Aggiunse- E' che...ci tenevo tanto a vincere.”

Mi soffermai a osservare il suo volto angosciato, e i suoi limpidi occhi azzurri. Era così adorabile, con la sua competitività. Ma io non mi sentivo così amareggiato.

“Ma tu hai vinto. E io con te.”

Si voltò verso di me, ascoltando il mio tono caldo, confortante.

“Ci siamo trovati, grazie a tutto questo.” Se non fosse stato per le numerose prove, la passione del canto che ci accomunava, il romantico duetto cantato a Natale, saremmo arrivati lo stesso a quel punto?

Mi resi conto che non avevo bisogno di vincere una competizione. Non avevo bisogno di ulteriore popolarità, autostima o gloria personale. Avevo Kurt.

“Vale di più di un misero trofeo, non credi?”

La vita aveva già esaudito ogni mio più roseo desiderio.

Quello pensai, mentre gli porsi gentilmente la mano. Si rilassò in un sorriso, e l'afferrò dolcemente.

Mentre passeggiavamo in silenzio, assorbiti da quel dolce benessere, pensai a tutto il resto del Glee Club. Durante il viaggio di ritorno nessuno aveva proferito parola: sperai che la situazione fosse migliorata un minimo.

 

La sala comune non era mai stata così silenziosa.

Ed, Colin, Nick e Flint continuavano a rimanere in silenzio, seduti composti sul divanetto della camera.

E se LORO erano in quello stato, non osavo immaginare il resto del Glee Club...

Wes continuava ad accarezzare il martelletto come se fosse un figliolo ripudiato; David stava giochicchiando con i lacci delle scarpe, Thad aveva la testa appoggiata sul tavolo e nascosta dalle braccia, incapace persino di guardare il resto del gruppo. Questi ultimi, infatti, erano con il morale veramente a terra.

Lanciai un'occhiata a Kurt che ricambiò subito, soltanto più demoralizzato.

Aspettai altri cinque minuti. Mi dondolai un po' sulle ginocchia, mi sistemai la divisa, aspettai una qualsiasi reazione da chiunque altro, ma niente. Erano risucchiati dal baratro della disperazione.

“Ragazzi, -esordii, non tollerando oltre quell'atmosfera- possibile che sia l'unico a non essere disperato per la nostra sconfitta?”

Le loro non-risposte furono piuttosto loquaci.

“Andiamo! Abbiamo perso, è vero. Ma per quanto mi riguarda, abbiamo fatto un ottimo lavoro, uno splendido lavoro!”

“Certo -disse finalmente Wes, gelido- un lavoro frutto di mesi e mesi di prove...”

“Buttati nel cesso.”

Guardai torvo Thad.

“Non è assolutamente vero. Tutte queste prove ci hanno migliorato tantissimo! Alle Regionali non siamo mai stati così in sintonia, ed eravamo pieni di energia, di voglia di fare... voglio dire, Ed! - il mio amico sussultò sul posto- Hai tenuto un ritmo perfetto!”

“Grazie...” mormorò, sorpreso.

“No, sono io a dover ringraziare voi. Non ho mai cantato così bene in tutta la mia vita. Ed è merito vostro, ragazzi.”

I miei quattro amici abbozzarono un sorriso. Fortunatamente, erano tipi che cadevano sempre in piedi.Gli altri, invece, parevano ancora del medesimo umore. Mi guardai intorno, rimuginando su cos'altro potessi dir loro; poi mi venne in mente un'idea. Che stupido, dopotutto, era la cosa più naturale del mondo.

Mi alzai in piedi, dirigendomi al centro della stanza. Feci cenno ai miei amici di assecondarmi e cominciai ad intonare una canzone che andava molto di moda in quel periodo, semplicemente perfetta per l'occasione.

Alright, already the show goes on

Alright, till the morning we dream so long

Anybody ever wonder, when they would see the sun up

Just remember when you come up

The show goes on!

 

Dopo un secondo Kurt mi si affiancò con un sorriso, supportandomi con la sua voce cristallina.

Alright, already the show goes on

Alright, till the morning we dream so long

Anybody ever wonder, when they would see the sun up

Just remember when you come up

The show goes on!

 

I ragazzi del Glee Club ci fissarono scettici. Quelli del consiglio, soprattutto, scrollarono la testa esasperati, come per dire “non riuscirai a farci cantare questa canzone, non adesso”.

Ma proprio in quel momento Flint fece un passo avanti, cominciando a molleggiare sulle gambe, e assunse il ruolo del solista.

Have you ever had the feeling that you was being had

Don’t that shit make you mad

They treat you like a slave, with chains all on your soul,

And put whips up on your back,

They be lying through they teeth

Hope you slip up off your path

 

E poi arrivò Colin, con dei bizzarri occhiali da sole a moscone, continuando la strofa.

I don’t switch up I just laugh

Put my kicks up on they desk

Unaffected by they threats than get busy on they ass

See that’s how that Chi-Town made me

That’s how my daddy raised me

That glittering may not be gold, don’t let no body play me

 

Poi fu il turno di Ed, con la cravatta slacciata e la divisa aperta.

 

If you are my homeboy, you never have to pay me

Go on and put your hands up, when times are hard you stand up

 

E alla fine quello di Nick, con i capelli tirati all'indietro a mò di Fonzie, e un paio di immancabili fogli lanciati in aria attraverso una teatrale piroetta.

L-U-P the man, cause a brand that the fans trust

So even if they ban us they’ll never slow my plans up!

E continuando a cantare il ritornello, incitammo il resto del gruppo a cantare insieme a noi. Io facevo cenno di alzarsi in piedi, gli altri usarono metodi un po' più radicali: li sollevarono di peso.

Erano rimasti seduti soltanto David, Wes e Thad. Il boss finale, come direbbe Colin.

Quindi ci mettemmo ancora più grinta nell'ultima strofa, io cercavo di imitare in qualche modo le movenze da rapper, mentre Flint e Colin si divertivano in splendide performance da Break-dance.

So no matter what you been through

No matter what you into

No matter what you see when you look outside your window

Brown grass or green grass

Picket fence or barbed wire

Never ever put them down

You just lift your arms higher

Raise em till’ your arms tired

Let em’ know you’re their

That you struggling and survivin’ that you gonna persevere

Yeah, ain’t no body leavin, no body goin’ home

Even if they turn the lights out the show is goin’ on!

 

 

Alla fine, cantammo l'ultimo ritornello. Tutti quanti insieme.



****



In diretta dall'isola d'Elba, ecco il nuovo capitolo!! L'avevo promesso ed ecco qui, anzi, vi chiedo scusa perchè avrei dovuto postarlo prima! E scusate anche per l'intestazione

strana, il pc portatile ha un word strambissimo!

Ho soltanto tre ore di sonno quindi perdonatemi se non farò un commento esauriente. Comunque, nel duetto, le parti sottolineate sono di Kurt, quelle in grassetto di Blaine,

quelle fuse del Klaine.

Come al solito spero che il capitolo vi piaccia, le canzoni citate sono ovviamente quelle delle Regionali + Show Goes On di Lupe Fiasco.

Ringrazio di cuore tutti i lettori, i seguitori e i ricordatari, gli idoli che hanno messo la storia trai preferiti e tutti i recensori, siete stramiticissimissimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiihhhh

e adesso vi saluto, non so quando ci sarà il prossimo aggiornamento, sicuramente non prima di giovedì. Sorry :(

Ps - amo i fringuelli.

PPs- amo voi.

 

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Capitolo 19
*** La notte dei negletti ***


Capitolo 18
La notte dei negletti

 
“Stai scherzando, Blaine.”
Eravamo seduti ad un tavolo della sala comune, i libri appoggiati svogliatamente sulle ginocchia e i nostri amici sdraiati per tutta la stanza, stanchi come non mai. L’unico che sembrava studiare seriamente era Chase. Io e Kurt avevamo abbandonato ogni speranza per fiondarci, attraverso il mio portatile, sul sito di Billiboard, per guardare le ultime hit del momento.
Ed è stato proprio mentre esultavo per il secondo posto di Firework di Katy Perry invece che del primo di Born this way di Lady Gaga, che Kurt mi guardò gelido, e mi disse quella frase.
“No, Kurt, sono serissimo!” Risposi io, non capendo bene il perché di tutto quello stupore.
“No no no frena un secondo.” Si mise composto sulla sedia, rielaborando mentalmente tutta la situazione.
“Tu intendi dire che preferisci quella donnetta di Katy Perry alla Somma Lady Gaga?”
Lo guardai accigliato. “Non è affatto una donnetta, Kurt! Ha una voce fenomenale e i suoi testi sono pieni di significato.”
“Certo, perché in effetti boom boom boom ha un significato molto profondo.”
“Beh nemmeno rawa-rawa-u-là-là è il massimo del sottotesto, non trovi?”
Emanò un lungo sospiro, chiudendo lentamente lo schermo del portatile.
“Blaine, capisco che ti piaccia Katy Perry, ok? Ma non puoi assolutamente paragonarla con Lady Gaga. Non ci sono proprio paragoni.”
“Certo che non ci sono!” Lui sorrise un secondo, fraintendendo le mie parole.
“Perché Katy Perry è di gran lunga migliore!”
Ecco, ora non sorrideva più. Vidi i suoi occhi infiammarsi, la sua mascella serrarsi di scatto, il suo corpo protendersi minacciosamente verso il mio, e stavo già per usare il libro di arte come scudo, quando la voce di Ed attirò la nostra attenzione.
“Colin! Ma quanta cavolo di pizza hai preso!?”
“Dieci farcite, tre normali” recitò il ragazzo delle consegne. Colin si strinse nelle spalle e incrociò le braccia.
“Amico, lo studio è faticoso! Ho bisogno di zuccheri!”
“Grazie – esordì Nick verso il ragazzo, prendendole in mano- hai il resto da farmi? Ho soltanto una banconota da venti.”
“Fammi controllare…”
Non potevo vederlo dalla mia posizione, ma aveva un tono di voce familiare; anche Kurt se ne accorse, e il suo sguardo si faceva sempre più curioso di parola in parola.
“Hei aspetta un attimo! –Esclamò Flint, indicandolo- Tu sei uno delle New Directions!”
Cosa!?
“N-no, mi spiace, devi avermi confuso per un altro.”
“Non esiste proprio! Noi Warbler memorizziamo il volto di tutti i nostri nemici. Per affrontarli meglio sul campo di battaglia. Come dei veri samurai!!”
“Non so proprio di cosa tu stia…”
“Sam!?”
Kurt era in piedi davanti a lui con un’espressione di puro stupore. Lui non disse niente: pietrificato dalla paura lanciò le pizze ad un barcollante Nick e scappò via, senza voltarsi indietro. Ovviamente quella reazione ci costrinse a rincorrerlo, e se non fosse stato per la geometria sconclusionata della Dalton non l’avremmo mai raggiunto, vista la sua notevole prestanza fisica. Per fortuna, però, si bloccò nel bel mezzo del corridoio che dava sui dormitori, incapace di riconoscere l’uscita.
“Sam! -Kurt lo afferrò per un braccio facendolo voltare- E’ questo il modo di salutare un amico?”
Rimase interdetto, cercando di dire qualcosa che lo discolpasse. Notando il suo imbarazzo, mi feci avanti, abbozzando un sorriso.
“Ciao Sam. Come va?” Non ci conoscevamo molto, ma Kurt l’aveva sempre descritto come un bravo ragazzo.
“Oh, Blaine… -mormorò, come per ricordarsi il mio nome- Piuttosto bene, grazie.”
Kurt lo guardò silenziosamente. Si vedeva lontano un miglio che non era la verità.
“Allora –ripresi io- che fai di bello qui? Anche tu sei rimasto affascinato dalle nostre divise? Se vuoi una spintarella in più, chiedi pure a me. A quanto pare sono molto bravo a convincere ragazzi disorientati nel trasferirsi qui.”
A Kurt scappò un mezzo sorriso. Sam, al contrario, divenne ancora più teso.
“Sam, Blaine stava scherzando” disse subito il mio ragazzo, posandogli delicatamente una mano sulla spalla. Ecco, in quel preciso istante, le guance del biondo cominciarono a rigarsi di lacrime.
“Scusate… non è colpa vostra” singhiozzò, notando la mia faccia seriamente allarmata. Pensavo di averlo offeso io, stavo per morire di crepacuore!
Dopo averlo calmato un poco ci sedemmo sulle scale della Dalton. Era ancora piuttosto scosso, e sembrava non aver intenzione di sfogarsi. Balbettò qualcosa riguardo ai soldi, alla casa, con Kurt che rimaneva accanto a lui, ascoltando in silenzio. Anche Sam sembrava sul punto di confessare tutto al suo amico, come se si potesse fidare ciecamente di lui. E io li guardavo da lontano, mi sentivo un po’ di troppo in quella sfera amichevole che non mi apparteneva.
“Vado a prendere dei caffè” Kurt mi rivolse un sorriso di gratitudine: sapeva che lo facevo soltanto per conceder loro un po’ di intimità.
Ero in caffetteria, non sapendo bene per quanto tempo sarei dovuto rimanere lì. Continuavo a stringere il latte macchiato scremato di Kurt, come se fosse lui in persona. Erano passati diversi mesi dal suo trasferimento, ma non passava un giorno senza chiamare Mercedes, o scrivere un messaggio a Finn, e talvolta riceveva perfino delle chiamate da Rachel, che finivano prontamente in un litigio. E ora questa cosa con Sam…non aveva mai avuto questo rapporto con Flint e gli altri.
Era già la seconda volta che quel pensiero compariva nella mia mente, e stavolta non avevo nessun pretesto per scacciarlo via; ma era dalle regionali che mi domandavo se la Dalton fosse veramente il posto adatto a lui.
Quanto tornai, con mio grande sollievo, Sam e Kurt stavano parlando, il primo si era tranquillizzato quasi del tutto.
“Scusami Sam, non sapevo che caffè prenderti, così ti ho scelto un espresso.”
“Va benissimo – commentò, mentre passavo il latte a Kurt e afferravo il mio cappuccino - vi chiedo scusa, ragazzi, per avervi disturbato in questo modo. Non ne avevo mai parlato a nessuno, e ci hanno tolto la casa giusto ieri…sono ancora molto scosso.”
“Non ti devi scusare” dissi io, e Kurt gli posò una mano sulla spalla. Tirò su col naso, prendendo un sorso del suo caffè. Era caldo, sperai che gli donasse un minimo di sollievo.
“E’ solo che, qui siete tutti così…ricchi. E io invece ho dovuto vendere la mia chitarra per pagare il pranzo ai miei fratellini. Il confronto è stato davvero troppo.”
Cacciai una smorfia di compassione. Kurt mi lanciò un’occhiata, come per intimarmi di non fare nessun tipo di commento, perché qualunque cosa detta da uno come me, uno che poteva permettersi non una, ma due rette alla Dalton, sarebbe risultata inappropriata.
“Ti aiuteremo noi. –Disse Kurt- Io ti posso prestare qualche vestito, e Blaine ha un sacco di roba che non usa, giusto Blaine?”
“Sicuro. Quello che vuoi.”
Sam sembrò davvero scosso dalla nostra offerta. Ci guardò con occhi limpidi, per poi sviare di nuovo a terra.
“Grazie –sussurrò- Posso…posso chiedervi un altro favore? Non dite niente a nessuno di questa faccenda…soprattutto tu, Kurt, sai bene come volano le notizie al McKingley.”
Lo rassicurammo anche di quello, e a quel punto non ci fu altro da dire. Si alzò in piedi, dirigendosi verso la bicicletta. A metà strada si voltò di nuovo, schioccando le dita.
“Quasi me lo dimenticavo: ci venite alla notte dei negletti? E’ un concerto che farà il Glee Club per raccogliere fondi per New York.”
“Certo che ci saremo.” Disse Kurt, e io annuii.
Lui abbozzò un sorriso. “Forte. Grazie ragazzi. Adesso devo andare…un’altra consegna, ed è dall’altra parte della città. Ma, dopotutto: Un viaggio così lungo per nascondere un sommergibile in un fiume.
Inarcammo un sopracciglio all’unisono. “Caccia all’ottobre rosso!” Noi eravamo ancora più perplessi. Con un ghigno soddisfatto salì in sella alla sua bici e sfrecciò via.
Kurt si concesse un sospiro soltanto quando il suo amico fu a debita distanza da noi.
“Povero Sam…” mormorò, davvero dispiaciuto. Senza nemmeno pensarci lo presi per mano, dandogli un leggero bacio sulla guancia. “Se la caverà, vedrai.”
Posò delicatamente la testa sulla mia spalla. “Lo spero.”
Rimanemmo qualche secondo in quel modo, ognuno perso nei propri pensieri. Dopo un poco, sentii il mio ragazzo scoppiare in una risata cristallina.
“Che hai?” Domandai, divertito anche io, soltanto guardandolo ridere in quel modo.
“Oh, niente. E’ solo che ripensavo al mio primo incontro con Sam.”
“…E?”
“E…l’avevo scambiato per gay.”
“Sul serio!??”
“Non mi guardare così! Dovevo ancora riprendermi dalla cotta per Finn, ero piuttosto scombussolato.”
“Cotta per Finn? Come mai non la sapevo questa cosa??” Domandai, cercando di risultare il più calmo possibile.
“Oh, non te l’avevo detto?”
A giudicare dalla mia espressione allibita, dedusse di no. Scoppiò di nuovo a ridere, stringendomi ancora di più a sé.
“Blaine Warbler, sei forse geloso?”
“Geloso!? Io!? Ma non esiste proprio! Quella parola non è presente nel mio vocabolario!”
Mi lanciò un sorriso malizioso. “Certo. Comunque, ci sono tante cose che non sai di me.”
Stavolta colsi al volo la sua provocazione. “Bene –sussurrai, mentre il mio viso si avvicinava lentamente al suo – perché voglio sapere tutto di te, Kurt, qualsiasi cosa, anche come ti vestivi quand’eri piccolo.”
Lui si scostò un attimo, facendosi pensieroso. “Pantaloni con bretelline e papillon abbinato. Stavo una favola.”
Sorrisi. “Non ne dubito.”
Ci scambiammo un lungo, tenero, bacio.
 
 
Prima di andare alla notte dei negletti ci concedemmo un intero pomeriggio libero per stare insieme. Andammo al cinema. C’era un bel film in sala, uno di quelli che ci regalavano sempre un sorriso, e  un’occhiata di tacito affetto. In più, adoravo andare al cinema. Non solo perché commentare ogni singolo dettaglio con Kurt era incredibilmente divertente, dalle tendine del bagno al mascara dell’attrice protagonista, ma anche perché, nei momenti romantici, quando lei bacia lui, e tutto sembra perfetto, io afferravo la mano di Kurt; lui, ogni volta, ricambiava la presa, e restavamo così, per diversi minuti, guardando silenziosamente lo schermo. Non c’era nemmeno bisogno di guardarci: semplicemente, godevamo di quel dolce contatto, ringraziando mentalmente l’oscurità della sala che ci aveva concesso un’altra volta quel magico momento.
Il film era molto bello, e noi due eravamo di buon umore. Perfino il caffè del Lima Bean sembrava più buono, quel giorno.
Verso le nove, poi, dopo una lunga passeggiata, e una tranquilla chiacchierata su tutto –e, di fatto, su niente-, arrivammo al liceo McKingley.
Era completamente diverso, di notte. Non sembrava affatto quell’inferno scolastico che aveva trascinato Kurt in un vortice di depressione, costringendolo persino a trasferirsi. Sembrava quasi un posto tranquillo. Eppure, in mezzo a quel silenzio inusuale, riuscivo ancora a percepire la tensione delle occhiate, il rumore dei pettegolezzi, il fastidioso disprezzo  che avvelenava l’aria.
Non era niente di nuovo: l’avevo già provato quando ero andato a trovare Kurt, e mentre frequentavo il liceo pubblico.
Kurt, a differenza di me, sembrava piuttosto contento. Camminavamo per i corridoi della scuola, lui che mi indicava raggiante tutte le classi e l’ufficio della coach Sylvester che, a detta sua, era l’antro delle peggiori macchinazioni contro il Glee Club. Mi soffermai ad osservare gli armadietti, cercando di ricordare la sensazione di aprirlo ogni giorno per afferrare i libri, e non quella di essere sbattuto contro uno di essi.
“E questa è l’aula di canto” disse infine, con un grande sorriso. In quello stesso momento arrivarono Brittany e Artie, vestiti di tutto punto per il concerto.
“Hei ragazzi, sbrigatevi! Lo show sta per cominciare!”
“Ci sarà il pienone! Correte a prendervi i posti migliori!”
“Arriviamo subito – dichiarò Kurt – faccio fare un giro a Blaine.”
Prima di andarsene, Artie ci rivolse un’ultima occhiata felice.
“Grazie per essere venuti. Siete mitici.”
Brittany ci salutò con un cenno, e dopo svoltarono l’angolo.
Kurt rimase qualche secondo a fissare il punto nel quale erano spariti, con un sorriso interdetto e un’espressione sognante. Nel vederlo, mi venne un groppo alla gola.
“Oh, Kurt. Ti mancano così tanto…”
Chissà a cosa stava pensando, in quel momento. Magari stava immaginando di fare i vocalizzi insieme a loro, prepararsi per il concerto, sedersi sul divanetto delle prove accanto a Mercedes per commentare le ultime news sul mondo del gossip.
Stava per rispondere, ma fummo di nuovo interrotti da una voce. Era bassa e prepotente. Il mio corpo, a quel suono, si irrigidì di colpo. Avevo già capito di chi si trattasse senza bisogno di girarmi. Dopotutto, non avrei mai potuto scordare la sua voce.
 “E voi che diavolo ci fate qui!?”
David Karofsky.
Il bullo del McKingley. Il ragazzo che aveva terrorizzato Kurt. Che lo aveva baciato con la forza. Che aveva minacciato di ucciderlo. Il ragazzo per cui Kurt aveva pianto così tanto, da far piangere persino me, qualche sera.
Era lì, davanti a me, come se niente fosse. Come se non si fosse davvero reso conto di tutto il male che aveva fatto. Ma io sì.
Il sangue cominciò a ribollirmi nelle vene mentre Kurt gli rispose a tono, cercando di mascherare il suo timore.
“Tu, piuttosto? Non dirmi che vai a vedere il concerto.”
La risposta arrivò immediata con tono quasi schifato: “Preferirei morire.”
Serrai la mascella. Istintivamente provai l’irrefrenabile impulso di avvicinarmi a lui, e di colpirlo. Perché stava guardando Kurt in quel modo; quel modo da “sono il tuo peggiore incubo e lo sai”, e non doveva, non poteva farlo. Non da quando Kurt si era allontanato da lui. Non da quando aveva ricominciato a sorridere, a non aver più paura della sua vita. No. Non gli avrei permesso di rovinare tutto quanto.
“Ero in palestra quando un uccellino mi ha detto che voi due eravate qui a spargere dappertutto la vostra polvere di fatina.” E quasi cacciò un ghigno mentre sputava quelle parole come se fossero veleno.
“Ma la vuoi piantare!?”
Mi fissò sprezzante; era davvero sorpreso del mio intervento. Ma come? Credeva forse che sarei rimasto inerme mentre offendeva Kurt in tutti i modi possibili? Mi credeva davvero così codardo!? Oh, no. Assolutamente no.
“Puoi mentire a chiunque –proseguii, a muso duro- ma tanto noi tre sappiamo qual è la verità.”
La verità è che sei un povero ragazzo impaurito che non riesce nemmeno ad ammetterlo a se stesso.
“Tu non sai niente, frocietto!”
E, a quel punto, non riuscii più a trattenermi.
Gli diedi una spinta con tutta la rabbia possibile. Lui indietreggiò di qualche passo, colpito, dopodiché senza esitazione mi piombò addosso, cercando di darmi un pugno. Io provai a fare lo stesso, tenendolo per quella sua dannata giacca da giocatore di football, quando una ragazza si intromise tra di noi, costringendoci alla calma.
“Basta! Smettetela!” Urlò Santana, guardando prima me, poi Karofsky.
“Fai tanto il gradasso – commentò Kurt, a denti stretti- ma quando si tratta della verità diventi proprio un codardo.”
“Quale verità?” Domandò la ragazza. Karofsky si rivolse a lei con tono minaccioso.
“Non sono affari tuoi, J-Lo.”
Lei rimase qualche secondo immobile, palesemente offesa; poi, parlò.
“Innanzitutto OGNI COSA che fai E’ un affar mio da quando mi hai versato un’intera granita addosso.”
Lui ci scrutò dall’alto verso il basso. “Penso di poter gestire due ragazzine e una signorina.”
“Oh, ok.” Santana emise un leggero ghigno nervoso, mentre si avvicinava con passo lento al bullo.
“Ecco cosa succederà,  hai due opzioni: stai qui, e ti becchi una ginocchiata nelle palle, destra o sinistra, a tua scelta, oppure alzi i tacchi, e vai a fare il cazzone un altro giorno. Oh, e ho delle lamette. Un sacco di lamette, tutte sparse nei capelli.”
Non so se fosse stato per lo sguardo omicida, o per il tono diabolicamente gelido, fatto sta che Karofsky indietreggiò, fino a girarsi e lasciarci in pace.
Emisi un lungo sospiro. Se n’era andato, certo, ma non mi sentivo affatto meglio.
“Potevamo farcela anche da soli”, commentai. In verità, avrei tanto voluto non essere interrotto. La mia mano ancora tremava dalla voglia di dare un pugno a quell’energumeno.
“In tre è più divertente”, fece lei, e subito dopo corse via a causa di un messaggio del cellulare.
Kurt la guardò correre via, e poi, molto lentamente, posò lo sguardo su di me. Sembrava teso e demoralizzato. Probabilmente era mortificato per quella scenata, e per il fatto che per poco non avessi preso a pugni Karofsky, perché aveva osato intimarlo.
“Blaine-“
“No.” Non volevo sentire niente. Era una bella serata. Eravamo andati al cinema, avevamo fatto una bella passeggiata e stavamo per sentire gli amici di Kurt cantare in delle performance strepitose. Non volevo pensare ad altro. E, soprattutto, non volevo pensare a Karofsky.
“Andiamo a sentire il concerto.”
Lo presi per mano, dirigendomi verso l’auditorium. Sentii la mano di Kurt aggrapparsi alla mia, sottostando a quella stretta che per poco gli impediva la circolazione. Fu soltanto quando fummo a sedere, lontani da tutto e da tutti, che parlò di nuovo, il tono dolce, gentile.
“Così mi spezzerai il polso.”
Lasciai la presa, e puntai lo sguardo fisso sul palcoscenico. Lui fece altrettanto; aspettammo l’inizio della canzone senza aggiungere altro.
La prima a cantare fu Tina. Con fare teatrale e disinvolto si posizionò al centro del palco, cominciando a cantare una canzone lenta, melodiosa, e quasi riuscì a farmi passare il cattivo umore per dedicarmi unicamente alla sua esibizione, ma non fu così. Anzi, se prima ero nervoso, adesso ero veramente arrabbiato, di fronte alla reazione di quel misero pubblico di cinque persone.
Dei ragazzi e un signore davvero meschino cominciarono ad inveire contro di lei. La sminuirono, la riempirono di offese, e la povera cantante fu costretta a fermarsi, incapace di andare oltre, scappando in lacrime da dietro le quinte.
“Oh, questa poi.” Mi guardai intorno, cercando in tutti i modi di contenere la mia incredulità.
Kurt mi lanciò una rapida occhiata, ma non disse niente.
La volta dopo fu il turno di Mike. Si esibì in un ballo strepitoso sulle note di Bubble toes, pieno di volteggi, di ritmo e, soprattutto, di stile. Era un ballerino eccelso, molto meglio di chiunque dei miei compagni presenti alla Dalton. Mi era davvero piaciuto e finita la canzone mi alzai in piedi assieme a Kurt, regalandogli un applauso entusiasta.
Evidentemente, però, il resto del pubblico non la pensava allo stesso modo: anche su di lui non risparmiarono frecciatine e crude imprecazioni. Ma che diavolo stavano facendo!? Non si rendevano conto di essere degli incivili e maleducati, che stavano criticando delle bravissime persone senza nessun motivo!?
Per fortuna ci fu l’intervallo. Se non mi fossi alzato sarei probabilmente imploso sulla sedia. Kurt mi seguì trafelato mentre mi dirigevo a passi pesanti verso una meta non definita, fino a bloccarmi di fronte ad un vicolo cieco, circondato unicamente da armadietti polverosi e luci mezze rotte.
“Non ci posso credere!” Sbottai, mettendomi le mani trai capelli per non addossarle su qualcos’altro.
“Ma esiste qualche persona sana di mente in questa scuola!? O sono tutti dei trogloditi senza un minimo di rispetto verso l’altro!?”
“Blaine…” esordì Kurt, non sapendo esattamente come gestire tutto quel mio nervosismo. Non succedeva spesso che ero arrabbiato, e non era mai capitato in sua presenza.
“Perché non ti calmi, adesso?”
“No che non mi calmo! Questo posto è orribile, gli studenti sono senza cuore…e tu non puoi ritornare dai tuoi amici, soltanto per colpa loro!”
Restò un attimo immobile, colpito dalla durezza del mio tono di voce e dalla franchezza di quella rivelazione. Avevo colto nel segno, e lui lo sapeva bene. Non aveva senso, però, prendersela con lui in quel modo.  Osservando i suoi occhi cerulei farsi leggermente più intensi, mi sentii terribilmente mortificato per aver alzato la voce.
“Scusami…Scusami Kurt…  è solo che tu sei fantastico. E anche i tuoi amici sono fantastici. E queste offese, queste umiliazioni, questa paura che vi attanaglia – e in quel momento sapeva bene che mi riferivo a Karofsky- voi…non vi meritate tutto questo.” Lui non si meritava tutto quello.
“Voglio che tu sia felice.” Dissi, con voce soffiata.
Il suo sguardo si colmò di affetto, mentre mi rivolse un sorriso malinconico. “Lo so.”
Senza ulteriori indugi, lo abbracciai. Lui, semplicemente, si strinse a me, come per trovare sollievo dalle sue stesse parole.
Dopo quello sfogo mi calmai quasi del tutto.
Certo, non mi trattenni dal rivolgermi al signore che prima inveiva contro il palco dandogli della “persona orribile”, ma Kurt mi spinse a sedere interrompendo ogni altro commento.
Non avrei mai pensato di finire la serata con il buon umore.
E invece fu così.
Perché lo show di chiusura lo fece Mercedes, e fece la più emozionante di tutte le esibizioni.
Quella ragazza aveva una voce incredibile. Cantava Aretha Franklyn come se riuscisse a sentirla dentro di sé, e con i suoi acuti e le sue note melodiose riuscì a ridarmi il sorriso, mentre la guardavo affascinato e, sì, anche un pochino invidioso.
Le New Directions erano davvero piene di talento. Ogni elemento era valido, riusciva a sostenere un pubblico anche se preso singolarmente. Si meritavano davvero le nazionali.
“Sai… -esordì Kurt, con voce soffusa - E' incredibile quanto le cose possano cambiare all'improvviso.” Continuava a fissare la sua amica, ma le sue guance si fecero più rosee.
“Due anni fa non riuscivo nemmeno ad accettare chi fossi. Un anno fa ero solo, qui al McKingley, e pensavo che non avrei mai ottenuto la felicità. E una settimana fa, ero soltanto il tuo migliore amico.”
Ora si voltò, guardandomi fisso, e sereno.
“Io sono felice, Blaine. Ed è tutto merito tuo.”
Le sue parole mi riscaldarono l’anima. Nonostante tutta la rabbia provata soltanto qualche minuto prima, guardai Kurt, il mio ragazzo, e pensai a quanto fossi incredibilmente fortunato. E a quanto fossi stato incredibilmente stupido, nell'arrabbiarmi così tanto rovinando una giornata così bella.
“Anche io sono felice.” Ammisi, ricambiando il sorriso. Perché lo guardavo negli occhi, ne ero perdutamente convinto.
“Non sono mai stato così felice in vita mia.”
 
 
 ***
Sì, lo so. Dovevo pubblicare ieri. Ma sarò sincera: sono tornata dal mare ieri mattina, e poi sono stata dalle 4 alle 7 a ricaricare la pagina di Pottermore per trovare quel maledetto indizio. Ero talmente in ansia da non riuscire a fare altro. E non riesco a trattenere un sorriso sapendo che, nonostante la mia forte incostanza, voi continuate a seguirmi sempre, con grande entusiasmo. Grazie davvero. Best reader ever!!!
Una piccola nota: sì, sono consapevole di aver descritto Karofsky come il diavolo in persona. Ma ricordiamoci che questa storia è narrata dal punto di vista di Blaine, un ragazzo di 16 anni che ha visto l'uomo che ama disperarsi fino alle lacrime a causa di questo bullo. A me piace tantissimo il personaggio di Kafosky, ma ne converrete con me che Blaine si è giustamente innervosito, e da lì ci vuole poco a vedere tutto storto (visto anche come è andato il concerto).
Fan di Karofsky, non odiatemi!
Prometto che d'ora in poi pubblicherò più frequentemente. Vi adoro tutti!!
 
Ps - ci tengo a ringraziare mia moglie Lievebrezza per aver ricontrollato tutto il capitolo. Davvero, sono in debito con te.  
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Pioggia ***


Capitolo 19
Pioggia

 
 
I lecci che si intravedevano dalla finestra erano coperti di luminose goccioline grondanti dalle cime fino al terreno, stranamente non illuminati dai lampioni che circondavano la Dalton; l’unico bagliore proveniva da dei lampi occasionali che squarciavano il cielo e dalla lampada vicino al letto.
“Eh sì – commentai io, lanciando un’occhiata al paesaggio- è davvero un brutto temporale. Temo che dovremmo rimandare la nostra uscita.”
“Addio passeggiata sulle luci del tramonto.” Borbottò Kurt, continuando a sfogliare il libro con fare annoiato. Era da più una settimana che l’avevamo programmata, senza mai riuscire nell’intento.
“Non ne posso più di questa pioggia. Non posso fare un passo fuori che i miei capelli cominciano a gonfiarsi come dei marsh-mallow. Le previsioni che hanno detto?”
“Sembra che pioverà fino a Giovedì.”
“Oh, perfetto.” Commentò secco, sbattendo una mano contro la il libro ormai chiuso e accantonando sul letto sul quale eravamo seduti. “Quindi staremo chiusi in questa scuola per altri tre giorni!? E ovviamente doveva succedere con l’esame di fine semestre alle porte!”
Intenerito e divertito allo stesso tempo, lo presi per mano. “Kurt, non ti innervosire, ce la farai, fidati, lo sai che sei bravissimo, e poi sono qui apposta no? Ti darò una mano io.”
“Certo –fece lui, vago- come se noi due, insieme, fossimo mai riusciti a studiare sul serio.”
Beh, non aveva tutti i torti.
“Eppure –canzonai, stringendomi nelle spalle- non mi sembrava che ti dispiacesse così tanto.”
Senza osservare la sua reazione sviai lo sguardo, fingendomi in colpa per la mia mancanza di volontà. Ma che ci potevo fare se tutte le mie attenzioni si piroettavano puntualmente su di lui, ogni qual volta che ci trovavamo da soli, che fosse studiare, leggere, o guardare un film?
In effetti mi resi conto che, da qualche giorno, non facevamo altro che pomiciare. E per me non era affatto un problema, ma Kurt si vergognava della nostra incapacità di stare staccati per massimo e non oltre i cinque minuti. Le lezioni erano diventate una sorta di tortura psicologica: essendo compagni di banco, per andare in escandescenze bastava un flebile sfioramento di dita nel passarsi la gomma, o qualche fulminea occhiata languida mentre le nostre ginocchia, accidentalmente, si scontravano. Inutile dire che i nostri “malori” misteriosi, con successive lunghe convalescenze in infermeria, erano diventati sempre più frequenti.
E pensare che io ci provavo davvero, a sopprimere i miei ormoni. Ma di certo Kurt non mi aiutava nell’impresa, visto che spesso e volentieri mi guardava in quel modo, quello da “baciami, qui e adesso”, con quel suo sorrisetto diabolicamente malizioso che rendevano le sue labbra ancora più attraenti del previsto. Il ché equivale ad un livello di sopportazione non più tollerabile.
Tipo adesso, pensai, stringendo un poco la sua mano, divenuta improvvisamente più calda.
Un ultimo scambio di sguardi, poi allontanai lentamente il libro, e con un battito di ciglia eliminai la distanza che separava le nostre labbra.
Cullati dal picchiettio delle gocce sul vetro e da quell’atmosfera a dir poco suggestiva, con una mano sulla sua spalla e l’altra sul suo morbido collo, lo sdraiai sul letto, attraverso movimenti lenti e controllati. Lui, in risposta, non interruppe mai il contatto e si sistemò meglio sotto di me, facendo scorrere la mano lungo tutto il mio braccio, mentre l’altra lambiva ogni centimetro del mio viso, in completa adorazione, fino ad arrivare alla tempia, ai capelli…e fu proprio a quel punto che si interruppe, guardandomi dritto negli occhi con aria umile, ma anche leggermente spossata.
“Blaine, senti… non è che, la prossima volta, eviteresti di mettere tutto questo gel?”
Restai un momento allibito di fronte a quella richiesta.
“Ma è l’unica cosa in grado di domare i miei capelli!”
“Ma non hanno affatto bisogno di essere domati – ribatté lui, calmo - dovresti davvero dargli libera uscita, ogni tanto.”
“Ma perché?” L’idea di lasciare indomiti i miei ricci ribelli non mi allettava affatto.
“Perché… - balbettò, diventando paonazzo – perché mi piacerebbe…”
“Perché ti piacerebbe accarezzarli? –conclusi io, sorridendo incantato- E’ questo che vuoi dirmi?”
Lui annuì, strizzando gli occhi per la vergogna; con ancora più devozione di prima ripresi a baciare le sue guance incandescenti, cercando di fargli capire quanto fossi rimasto affascinato, ed elogiato, dalla sua richiesta: ogni volta che si apriva in quel modo mi sembrava di aver fatto un piccolo passo avanti. Sapevo quanto fosse importante per Kurt procedere per gradi: dopo quasi un mese dal nostro primo bacio potevo saggiare la sua pelle immacolata non coperta dalla camicia della Dalton, e anche lui mi sembrava più a suo agio, concedendosi di indugiare un po’ di più sulla mia bocca, o sul mio mento appena pizzicato dalla barba. Eppure, nonostante quei miglioramenti, ero sempre io a prendere l’iniziativa; ero sempre io a proporgli di saltare la lezione per andare in infermeria, ed ero sempre io ad interrompere il nostro studio.
Ci provavo davvero, a contenermi. Ma, per quanto sembrasse impossibile, ogni bacio era un’emozione nuova. Era una gioia nuova. Come se il mio amore stesse crescendo a dismisura, regalando fremiti e sensazioni che non credevo nemmeno esistessero.
E non riuscivo davvero a farne a meno.
“Blaine?” Kurt si scostò un poco, le labbra gonfie e arrossate, che mi fecero venir voglia di ricominciare daccapo.
“Non per fare il guastafeste, ma… ti va di smettere, adesso? Avrei un bel po’ di roba da studiare.”
“Certo.” Risposi io, rimettendomi subito composto a sedere. Fosse per me, sarei rimasto a baciarlo per tutta la vita.
Kurt notò immediatamente il mio disappunto, sebbene velato da un gentile sorriso. Sentendosi un poco in colpa si accoccolò a me, la testa appoggiata sulla mia spalla, e afferrò contemporaneamente evidenziatore e libro.
“Coraggio, -commentò, con una punta di malizia- mezz’ora di studio, e poi ricominciamo la pausa.”
 
 
Kurt non era l’unico a temere gli esami di fine semestre. Gli Warblers avevano decretato la settimana lutto-party, che equivaleva ad un periodo privo di qualsiasi festino o riunione straordinaria per tutta la durata degli esami. E visto che non si poteva uscire per via della pioggia, non rimaneva altro da fare che studiare.
Perfino i miei amici si stavano dando da fare. A modo loro, ovviamente.
A Kurt per poco non prese un infarto quando vide la camera di Colin ed Ed completamente tappezzata di documenti e fascicoli.
“Che state facendo!? Sembra che sia esploso lo stanzino degli archivi!”
“Stiamo studiando.” Rispose Nick, senza distogliere gli occhi da uno dei diecimila fogli attorno a lui. Flint, invece, si alzò in piedi e mostrò il materiale con fare compiaciuto.
“Questi, amico mio, sono i test di fine semestre degli ultimi trent’anni. Un cimelio che si tramanda da generazione in generazione nelle nostre famiglie, ottenuti con anni di duro furto e spionaggio.”
Kurt inarcò un sopracciglio. “Furto e spionaggio? Mi stai dicendo che questi sono i compiti rubati dai vostri parenti fino ad oggi?”
“Hei! –chiamò Ed, sbucando da una pila non ben definita di appunti- C’è anche roba nostra, qui dentro! E’ tradizione!”
Afferrai Kurt per le spalle, cercando di farlo rinvenire dal suo shock.
“E’ il loro modo di studiare – spiegai – loro…beh, loro studiano come truffare gli esami.”
“E io che ho passato mezza giornata a studiare i logaritmi e gli esponenziali…” mormorò, avvilito, per poi abbracciarmi con fare teatrale.
“Su, su, ignora questi ladri…”sussurrai, cercando di confortarlo con qualche carezza lungo la schiena; ma, così, attirai ancora di più l’attenzione dei quattro pazzi.
Prima che potessero dire qualcosa li fulminai con un’occhiata, intimandogli al silenzio. Meno male che Kurt era di spalle rispetto a loro, così non vide le loro facce isteriche, del tipo “ho appena visto la mia coppia VIP preferita esibirsi in gesti d’affetto in luogo pubblico”. E, ovviamente, Flint ci scattò una foto con l’iphone di Nick. Fortunatamente, quando Kurt sciolse l’abbraccio, ebbe l’accortezza di lanciarlo via sfoggiando il suo miglior sorriso falso.
“Il mio Iphone!”
“E comunque! - Riprese, incrociando le braccia al petto – Credete davvero di passare, con questo metodo? Chi ve lo dice che non cambiano test ogni anno?”
Scoppiarono tutti a ridere, e lui mi guardò confuso. 
“Kurt, pensi veramente che uno come il professor O’ Riley, si metterebbe a creare un test nuovo ogni anno?”
“Ecco qui –fece Nick, mostrandogli una serie di fascicoli- fisica 1991. Fisica 1996. Fisica 2001, e così via fino al 2011. Ripete lo stesso esame ogni cinque anni.”
“E’ come se ci fosse un tacito accordo tra gli studenti e l’amministrazione.- Chiarì Colin, compiaciuto -se non otteniamo almeno una C in tutte le prove, non potremmo più partecipare alle attività extrascolastiche. Compreso il Glee Club.”
“Ma nessuno ha intenzione di perdere il fiore all’occhiello della scuola!”
“E noi non vogliamo di certo lasciare gli Warblers, giusto Blaine?”
“Non mi mettete in mezzo, –canzonai- il fatto che vi abbia aiutato ogni tanto non vuol dire che approvi il vostro metodo!”
“La fai facile, tu. Vai talmente bene che tra poco dovranno inventare un voto soltanto per te.”
Il voto Blaine.” Sentenziò Colin, fissandomi torvo. Stavo quasi per prendermela, ma poi Kurt sfoggiò un bellissimo sorriso: “siete solo invidiosi perché è più intelligente di voi!”
“Kurt! –Eruppe Nick- Il tuo commento non vale, tu sei di parte!”
“Hanno ragione, -affermai- ma grazie per il supporto.” Gli diedi un velocissimo bacio sulla guancia. Non mi ero nemmeno avvicinato che esplosero in cori e applausi di approvazione. Kurt arrossì leggermente, ma si sentì felice: soltanto con loro potevamo godere di quella tranquillità. Per tutto il resto del tempo avevamo paura di destare troppo nell’occhio, e non eravamo per niente curiosi di sapere se la politica tolleranza-zero della Dalton si applicasse anche alle relazioni illecite trai banchi di scuola, oltre che alle discriminazioni.
Insomma, per quanto disponibili potessero essere, non tutti i professori avrebbero visto di buon gusto una relazione tra due ragazzi gay.
Un secondo dopo Kurt si tastò la tasca della divisa, afferrando velocemente il cellulare. Si fiondò fuori non appena lesse il nome “Mercedes” sul display. Non la vedeva da una vita e mi aveva confessato di sentire fortemente la sua mancanza. Come per tutto il resto del Glee Club, dopotutto.
“Dunque –esordì Ed, estraendo da sotto il letto una scatola dall’aspetto sin troppo anonimo- come ci organizziamo, questa volta? Nick?”
“Io mi affido all’orologio-bigliettino.”
“Tecnologico, ma non entusiasmante. Colin?”
“Cartuccera. E’ un cimelio di famiglia, la usava mio nonno quand’era al fronte. E quando me l’ha data mi ha detto: figliolo, usala alla Dalton, perché quelli non sono esami. Quelli sono delle GUERRE.”
“Patriottico, ma tipico. Flint?”
“Credo che userò il mio ipod. Sai, auricolare interno e mp3 con tutti i files.”
“Mmm…sì, ma troppo sofisticato.”
“Bene, Sherlock, dicci tu allora cosa farai!” Bofonchiarono, innervositi. Ed sfoggiò un lungo sorriso sornione.
“Fazzoletti. Mi scriverò tutto sui fazzoletti. E se un prof si avvicina, mi ci soffio il naso. Sfido chiunque a dire ‘mostrami quel fazzoletto’. E se mi chiede perché lo stavo fissando così a lungo, gli rispondo che stavo contemplando le mie caccole.”
“E’ disgustoso.”
“E’ GENIALE.” Fecero gli altri, in netta contrapposizione al mio commento.
Sospirai. Sarebbe stato davvero un lungo esame.
 
 
 
“Lui cosa!?”
“Shh! La Pitsbury ti potrebbe sentire!” Sussurrò Kurt, a denti stretti.
La professoressa Pitsbury, quel giorno, era più provata del solito. Le sue strilla sembravano dei veri e propri ultrasuoni e, soprattutto, era tipo la settecentesima volta che mi sgridava. Ormai le sue parole mi scivolavano addosso come olio, però era sempre meglio avere un po’ di riguardo nei suoi confronti, specie dopo quello scherzetto fatto a Pannocchia.
 “Scusa, mi hai preso alla sprovvista…” mugugnai, abbassando docilmente il capo, ma soltanto per poter parlare con Kurt a voce ancora più bassa. I nostri amici, seduti nei banchi intorno, avevano occhi e orecchie ben aperti.
“Karofsky ha chiesto scusa al Glee Club?”
“Sembra proprio di sì. E non ti ho ancora detto tutto, tieniti forte.”
Mi aggrappai alle gambe della sedia. Cosa ci poteva essere di più esorbitante?
“Si è messo insieme a Santana.”
“LUI COSA!?!?!??!?”
“Atwood e compagnia bella! -Strillò la Pitsbury, lanciando il gesso ad un povero Flint indifeso –Alla prossima vi faccio ingoiare la cimosa!”
“Ci scusi, professoressa…”
“Un momento, chi è questa?”
“E’ una ragazza delle New-Directions. Per quanto ne sapevo io, stava con Sam.”
“Non oso immaginare come si siano lasciati” commentò Kurt, veramente dispiaciuto. Povero Sam, prima la famiglia, ora quello…
“Sam? E chi è Sam?”
“Aspetta, è quel poliziotto che chiama i proiettili della sua pistola le mie caramelline?!?”
“Ma che dici!? Quello è Sam, il guardiano!”
“Il guardiano di Pavarotti?”
“No, quello è Sean. Io dico di Sam, il guardiano notturno.”
“Ah, Sam! Quello sì che fa paura…”
“Sìsì, è un pazzo. Cioè, non un pazzo simpatico carino e attraente come noi. Un pazzo pazzo.”
“E insomma che ha fatto Sam?”
Kurt stava per ucciderli tutti quanti.
“Ragazzi –feci io-, sta parlando di Sam, il ragazzo che vi ha portato le pizze quel giorno.”
“AAAAAAAAAH! SAM! E dillo prima, no?!?”
Sì. Stava davvero per ucciderli tutti quanti.
“Comunque non capisco… -continuai, cercando di attirare la sua attenzione, più che altro, per non fargliela riversare sugli altri - Karofsky è gay!”
“Sono sconcertato quanto te, –ammise lui- Da quanto mi ha riferito ‘Cedes Karofsky ha iniziato a ringraziarla pubblicamente per avergli aperto gli occhi…”
“E come? Perché un gay non dichiarato si mette con una ragazza non lo definirei proprio aprire gli occhi.”
“Non essere cinico, Blaine. Sembrava aver davvero capito quanto male abbia provocato alle persone…”
“Certo, come no…” borbottai, con una smorfia di puro disappunto dipinta sul volto. L’immagine di lui che mi spintonava furioso e offendeva Kurt nel peggiore dei modi era ancora vivida nella mia mente.
Kurt, però, non aveva la stessa espressione.
“Aspetta un momento.” Rialzò velocemente lo sguardo, leggermente intimorito dalla pressione esercitata dal mio.
“Tu…ci credi?”
I miei amici emanarono un grido sommesso, ma la sua risposta di diniego arrivò quasi all’istante.
“No! …Non ancora.”
Non ancora? Cosa voleva dire, non ancora?
Ma riprese a parlare prima che potessi chiederglielo.
“Mi ha chiamato anche mio padre. Dopo pranzo devo andare da lui.”
Non mi sorpresi più di tanto: succedeva spesso che Burt lo chiamava con qualche scusa, quando in verità aveva soltanto voglia di rivederlo. “Vuoi che ti accompagni?”
“No, no, non ti preoccupare. Tu pensa a studiare per gli esami, tornerò stasera.”
Annuii, sorridente. “Okay.” Avrei passato un intero pomeriggio senza Kurt…
“Mi mancherai.” Lui avvicinò la sua mano alla mia e cominciò ad accarezzarne dolcemente il dorso.
“Anche tu.”
“Farfalline nello stomaco, Kurt-sorriso…Eeeeeeeeeeee TAGLIA! Buona ragazzi, ne facciamo un’altra per il suono?”
Lanciammo a Ed un’occhiata veramente scettica. Colin, decisamente il meno smielato dei quattro, afferrò il suo ipod.
“Boh io ascolto la musica…”
“Davvero, ragazzi, sembrate usciti da un film per ragazze.”
“O da una fanfiction.” (*)
“Prendetevi una stanza, vi prego! Vi posso dare la mia. Io vado da Jessica e voi…beh, voi.”
“Flint! Ma che diavolo stai dic-“
“THOMPSON!”
La voce della Pitsbury tuonò, brutale e omicida.
Ci voltammo di scatto. E vidi Colin alzare la testa svogliatamente.
“Mi dica.”
“Stava ASCOLTANDO LA MUSICA durante la MIA LEZIONE!?”
Con un’espressione assolutamente incolore, così come la sua voce, disse: “Scusi.”
La faccia della donna divenne spaventosamente violacea.
“Mi stai chiedendo SCUSA!? BEH, sappi che NON ACCETTO le scuse di qualcuno che MI HA DATO FASTIDIO!”
E lui, in modo impeccabile, la fissò.
“Beh. Scusi per le scuse.”
In classe scoppiò il pandemonio più totale. Tutti, eccetto la professoressa e Chase, che era rimasto con la sua solita calma, non riuscivano a trattenere le lacrime dal ridere.
“BASTA! BASTA!” Strillò lei, in preda al panico.
“Prof, la smetta, la prego, la mia milza!” Schernì Ed.
“Non ce la faccio – brontolò Flint, tappandosi le orecchie - E’ peggio di scimmia urlatrice!”
“Vi amo –Nick era in lacrime- Vi amo tutti!”
“Vi punirò TUTTI!”
E, se in quel momento non prendemmo seriamente in considerazione le sue parole, mentre finiva la frase cominciammo ad ammutolirci uno dopo l’altro.
“Vi farò fare UNA RELAZIONE di CINQUANTA PAGINE sui CONGLOMERATI, da consegnare entro Giovedì!! E chi non la fa…beh, può pure ritenersi NON AMMESSO agli esami di fine semestre!”
Ecco, non ridevamo più.
 
 
“Warblers, iniziamo la riunione.”
“Dov’è Kurt?”
“E’ andato a Lima, da suo padre.” Dichiarai, rispondendo alla domanda di Wes.
“Capisco. Beh, spero che tra pioggia ed esami siate ancora sani di mente, Perché vi annuncio ufficialmente che la casa di riposo Mary Stuart ha accettato il nostro invito ad esibirci. Ecco qui una lista di canzoni che gradirebbero sentire.”
Come prima cosa diedero il foglio con la tracklist a me. Essendo solista, la maggior parte della scelta dipendeva dalla mia voce. O dal mio gusto. Per la prima non c’erano molti problemi. Per la seconda, invece, rimasi incredibilmente sconcertato.
“Half Bleed di Cher…1973… Physical di Olivia Newton…1981”
“Queste canzoni sono più vecchie di questa scuola!”
“E anche più pallose.”
“Dove sono le top 40?”
“Sono tutte degli anni ’70…Ah no aspettate, ce n’è una datata 2007…
Moonsoon, dei Tokio Hotel.”
“Ok. Uccidetemi adesso.”
“Ci dev’essere qualcosa! Una canzone, almeno una, che sia decente!”
“Non lo so, io nemmeno le conosco. Già solo i titoli mi sanno di dentiera andata a male…”
“Warblers! Non reagiamo così.”
I ragazzi mi guardarono straniti.
“Sì, lo so che non è proprio il nostro stile…ma insomma, siamo artisti! Dobbiamo adattarci a tutto, essere versatili! Vedrete che, con un po’ di esercitazione, saremo strepitosi come se cantassimo l’ultima hit del momento. Siamo o non siamo delle rockstar??”
I ragazzi esultarono, incitati dal mio discorso commemorativo. Fummo tutti d’accordo e, riacquistata la grinta decidemmo brevemente quale fosse la canzone migliore da cantare a cappella. Non sapevamo manco cosa fosse, ma infondo, l’importante era sentire il testo della canzone, no?
Certo, non eravamo molto sicuri del risultato, e fu proprio per questo che decidemmo di fare una prova aperta, chiamando a raccolta un paio di ragazzi.
Ovviamente, sapendo dell’esibizione, accorse mezza scuola.
Avanzammo lentamente, i Ray-ban, le divise sbottonate e i capelli arruffati. E avevamo dei fiori in testa. Lo diceva il testo: assicurati di avere dei fiori in testa. E noi dovevamo sentire la canzone, quindi ci mettemmo dei fiori in testa per entrare nello spirito giusto.
Il pubblico rimase un attimo allibito nel vederci in quel modo. Per entrare meglio nella parte, ovviamente.
“Ragazzi? –sussurrò Thad, visibilmente preoccupato- Non è che…hem, stiamo sbagliando tutto?”
“Thad. Rilassati.” Ebbene sì. Anche io ero entrato in quel misterioso mantra del flower-power. I fiori in testa…davano davvero alla testa!
“Ragazzi, benvenuti. Questa è una prova per un’esibizione che faremo fuori dalla sede. La canzone parla di… -beh, in verità, non avevamo capito molto di cosa parlasse- una città. Spero vi piaccia.”
Dopo qualche secondo, partirono con la base. Io mi feci avanti, la chitarra in mano, solo per fare scena.
 
If you're going to San Francisco
Be sure to wear some flowers in your hair
If you're going to San Francisco
You're gonna meet some gentle people there

 
Alcuni ragazzi cominciarono a commentare tra di sè.
“San Francisco? Ma noi siamo in Ohio.”
“E perché bisogna metterci dei fiori in testa!?”
 
E noi ondeggiavamo, come nostro solito, con qualche schiocco di dita e un-due con i piedi.

For those who come to San Francisco
Summertime will be a love-in there
In the streets of San Francisco
Gentle people with flowers in their hair

 
Visto che ero solito gesticolare spesso, durante le canzoni, feci il simbolo del cuore con le mani, poi indicai i fiori, camminai per tutta la sala, indicai qualche ragazzo sul fondo...ma nessuno, dico, nessuno, stava interagendo. In verità, l’unica cosa che dissero fu:
“Ma per caso la gita di quest’anno sarà a San Francisco?”

All across the nation such a strange vibration
People in motion
There's a whole generation with a new explanation
People in motion people in motion


If you come to San Francisco
Summertime will be a love-in there.

 
Silenzio.
“Hem…è finita.”
“OH!”
E un secondo dopo si lanciarono in forti applausi, come sempre.
Ma, dal fondo, sentii una risata sin troppo acida perforarmi le orecchie. Riconobbi subito quel timbro di voce.
“Cos’è che ti fa tanto ridere, Chase?”
Il ragazzo avanzò tra uno studente e l’altro, posandomi una mano sulla spalla.
“Oh, Anderson –cantilenò, asciugandosi le lacrime- ti ringrazio. Non ho mai riso così tanto in vita mia.”
Inarcai un sopracciglio. “…Prego. Credo.”
Ben presto la folla si diramò per le varie stanze, mentre lui continuava a ridere, e a guardare i miei fiori in testa.
“Penso che Scott McKenzie si stia rivoltando nella tomba.”
Arricciai le labbra in una smorfia. “E perché mai? Abbiamo cantato bene.”
“Oh, non ne dubito. Ma sai, quando dice, assicurati di avere dei fiori in testa, non intende in senso letterale.”
“…Come?”
E, in quel momento, capii di aver fatto una clamorosa figuraccia.
 
 
“Blaine? Sono Kurt.”
Aprii la porta di scatto, fiondandomi tra le braccia del mio splendido ragazzo. Indossava un montgomery giallo acceso abbinato alla sciarpa della Burberry che gli avevo fatto per Natale. Oltre a lusingarmi, rimasi davvero folgorato. Non mi capitava spesso di vederlo senza divisa: mozzava davvero il fiato.
“Mi sei mancato.” Mormorai, strofinando il naso contro il suo orecchio, appena inumidito dalla pioggia.
Non aveva ancora smesso di piovere.
Lui inclinò la testa da un lato. “Tutto da programma, allora.”
Ridacchiai, trascinandolo dentro la stanza, e senza nemmeno lasciargli posare la borsa cominciai a baciarlo.
Cavoli, erano passate soltanto cinque o sei ore, ma a me era sembrata una vita. Ringraziai il cielo di averci messo nella stessa scuola, in contatto 24 ore su 24. E per un attimo ringraziai anche quel tempo bruttissimo, che ci aveva permesso dei lunghi pomeriggi di studio.
“Vedo che sei di buon umore.” Commentò, quando finalmente ebbe modo di respirare.
“Beh, diciamo di sì. Più che altro sto ancora ridendo per la clamorosa figura fatta prima.”
“Cosa? Quale figura?”
“Oh, ti spiegherò. Ti dico solo che non sono molto tagliato per la musica anni ’70.”
Lui mi guardò interrogativo, e io scrollai la testa, con un sorriso quasi imbarazzato. “Lasciamo stare. Tu, piuttosto? Com’è andata con tuo padre?”
Il suo sorriso si fece più incerto.
“Tutto bene.”
Si mise a sedere sul letto, seguito a ruota da me; senza nemmeno pensarci gli cinsi le spalle con un braccio, affondando il viso nei suoi morbidi capelli. Adoravo il profumo di Kurt. Stava iniziando a essere quasi un’assuefazione. E adoravo quei momenti: noi due, da soli, con il nostro silenzio carico di emozioni. Sarei potuto stare in quel modo per sempre. Anzi, francamente, stavo iniziando a desiderarlo. Perché, dopotutto, cosa c’era di meglio? Cosa c’era di meglio di noi due, sempre più infatuati, che trascorrevamo ogni singolo momento insieme e, nonostante tutto, non averne mai abbastanza?
Era, semplicemente, bello.
Ma, forse, era troppo bello, per essere vero.
Kurt mi guardò attraverso i suoi grandi occhi azzurri, esitando soltanto per un secondo.
“Ho delle buone notizie, penso.”
Abbozzai un sorriso incerto: “Non sono delle buone notizie, se ci devi pensare!”
Un’altra pausa.
“Torno al McKingley.”
Non aveva ancora smesso di piovere.
 

 ****

(*) Sì, mi prendo in giro da sola.

La canzone cantata è San Francisco, di Scott McKenzie (che probabilmente si starà DAVVERO rivoltando nella tomba). Un'icona per il movimento hippie degli anni '70. Ma, ovviamente, i nostri ragazzi non ci hanno capito un'acca. L'idea mi è venuta quando Kurt, nella puntata 1x18, canta "Pink Houses", e all'inizio pensava fosse una canzone che parlasse dell'arredamento di interni. E poi mi sono ricordata di quando Blaine, nella 2x20, pensando a Tony Orlando fa: "Era uno stilista?"
Ho dovuto cogliere la palla al balzo.
E insomma, i ragazzi di oggi afferrano proprio poco il sottotesto delle canzoni di una volta. Beh, in effetti, non è che i testi moderni siano così profondi. (E' Venerdì! Dove mi siedo? Davanti? Dietro?!?!?!? Argh, che dilemmone!!!)
Eeeeeeeeeee che altro dire! Questo capitolo lo dedico a tutti gli esaminandi, ahahah! Avevo voglia di un po' di follia, dopo tutti questi capitoli fluffosi/drammatici. Così ho alternato momenti puramente warblerosi (o warbleriani?) a momenti Klaine. Ma il Klaine ci doveva essere. Perchè Kurt torna al McKingley. Come la prenderà Blaine??? E come andranno gli esami??? (Beato Kurt che non se li becca uahahahah) E riuscirà a finire la relazione della Pitsbury??? E il metodo fazzolettini di Ed avrà veramente effetto??? Lo scoprirete nella prossima puntata!!! Stay Tuned!!
Ps _ Visto che ultimamente avete abbassato la guardia con le recensioni, vi ricordo una piccola, piccolissima cosa:

Recensioni=Love.
E come dicono i Beatles=All you need is love.
Grazie mille!!!

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Capitolo 21
*** Non ti dirò mai addio ***


Capitolo 20

Non ti dirò mai addio.


 

Blaine? Sei sveglio? -Kurt

Il display del mio cellulare illuminò parte di quella stanza silenziosa. Notai con disappunto che erano soltanto le due di notte. Ergo, ero stato quasi tre ore semplicemente a fissare il vuoto, pensando a lui. Chissà come mai, avrei giurato che fosse passato più tempo.

Sì... Non riesco a dormire. -Blaine

Non ci sarei riuscito nemmeno volendo. C’erano troppi pensieri che affollavano la mia testa, troppi ricordi incancellabili che cercavo di imprimere nella mia mente. Dopo qualche secondo il telefono prese a vibrare, notificando il messaggio di risposta:

Nemmeno io -scrisse lui, e il mio cuore si strinse con una fitta- oggi è stata una lunga giornata, non trovi? -K

Già. La più lunga della mia vita. -B


 


 


 

“Oh mio Dio Blaine guarda questo abito, è bellissimo! Oh, è così sprecato per lei, guardala, poverina, ha le gambe così storte che potrebbe passarci in mezzo un treno. E’ un vero peccato.”

Ridacchiai appena, sfogliando metodicamente la sua rivista di Fair. Aveva acconsentito a leggerlo insieme, a patto che mi fossi lavato accuratamente le mani e avessi fatto molta attenzione. Diceva sempre che il mio modo di trattare le riviste era pari ad uno stupro, soltanto perché mi divertiva giocherellare con le pagine e cerchiare di tanto in tanto i capi più belli con un pennarello indelebile. Ricordavo ancora il giorno in cui stavamo leggendo Vogue insieme, usando la sua rivista, e senza nemmeno pensarci troppo avevo fatto un’orecchia su una pagina che ritraeva un bellissimo smoking bianco. Neanche avevo fatto in tempo ad accorgermene che vidi il suo volto impallidire all’istante, al contrario dei suoi occhi, che si accesero di una strana scintilla intrisa di furore.

Si decise a rivolgermi la parola di nuovo soltanto dopo che ebbi fatto il giro della città alla ricerca di una nuova copia, assieme ad una di Fair e di Autumn, scusandomi in tutte le lingue che conoscessi, e giurando solennemente di non rifarlo mai più.

Dopo quella volta, avevo imparato ad essere preciso a livelli quasi maniacali. Rivivere quel momento era uno dei miei peggiori incubi: Kurt poteva essere incantevole, quanto terrificante.

“Oh, Blaine, guarda questo cappello. E’ leggermente stravagante, ma fa molto Victor Victoria. In effetti, penso che me lo comprerò!”

“Ne hai uno uguale, lo sai? Quello nero con i pennacchi blu.” Osservai divertito il suo disappunto, mentre con fare vagamente teatrale sosteneva di non aver mai avuto una cosa simile, e che se mi stessi riferendo al copricapo di Louis Vitton allora sarei dovuto andare dall’oculista, perché i pennacchi non erano blu, ma viola, e quel cappello era una cosa del tutto diversa da quell’altro.

E, dopo mesi di amicizia e quasi uno di fidanzamento, sapevo benissimo che esisteva soltanto una frase pronta a salvaguardarmi da una sfuriata sul mio poco senso della moda:

“Oh, in effetti, ora che guardo meglio, hai perfettamente ragione. Lo sai? Devi assolutamente comprarlo; saresti ancora più bello, per quanto questo sia umanamente possibile, ovvio.”

Sfoggiò un bellissimo sorriso, lusingato e compiaciuto allo stesso tempo, e dentro di me esultai per lo scampato pericolo.

Smisi di leggere la rivista per soffermarmi un attimo ad osservare lui: la luce della sala comune non rendeva giustizia ai suoi occhi cangianti, che quel giorno erano come zaffiri, e nemmeno alla sua pelle immacolata, che immaginai accarezzare lentamente, indugiando sul suo delizioso nasino all’insù e su quelle adorabili fossette che si creavano, ogni qual volta che si abbandonava ad una risata. E la sua voce, oh, quella voce, avrei potuto ascoltarla per ore, e non sarei mai riuscito a coglierne tutte le sfumature, tutta la soave musicalità, la perfezione dei suoi acuti, lo splendore dei suoi sospiri eccitati al contatto delle mie labbra contro le sue, contro il suo collo sinuoso, lambendolo talvolta con dei leggeri pizzicotti e trattenendomi con tutto me stesso dal lasciare anche un morso.

Kurt era troppo preso dalla nuova collezione, e quando se ne accorse, lo stavo fissando già da una dozzina di minuti.

All'inizio rimase spiazzato dall’intensità dei miei occhi dorati, ora così colmi di affetto, ma subito dopo si chinò lievemente su di me, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei paraggi, e mi regalò un tenero bacio. Era un modo per dirmi “grazie”, perché ero riuscito a farlo sentire amato, soltanto attraverso un’occhiata.

Ma lui sapeva perfettamente il motivo di tutta quell’attenzione.

Senza dire altro estrasse dalla cartella un quadernino ad anelli, e la sua espressione si addolcì un poco.

“Ti ridò i tuoi appunti –esordì, facendolo scorrere tra le mie mani- credo che, da domani, non mi serviranno più.”

E tutto quello che riuscii a dire fu “oh”.

Perché, allora, era vero. Non era stato un sogno. Non era stata una mia sciocca allucinazione, un frutto della mia mente contorta e disperata. Era proprio vero.

Kurt sarebbe tornato al McKingley.

Era tutto il giorno che cercavo di non pensarci. La sera prima mi aveva raccontato nel dettaglio il suo lungo incontro con il preside, suo padre e Karofsky. Una parte di me era davvero felice che ritornasse dai suoi amici, nel posto che veramente gli apparteneva. Un’altra parte, però, era ancora scettica riguardo a Karofsky. Devo ammettere che non condividevo appieno la sua scelta di dargli fiducia. Tutt’oggi non riesco a credere all’incredibile bontà di Kurt, in grado di perdonare persino l’uomo che era stato il suo peggiore incubo per moltissimo tempo. Al posto suo, sicuramente, non sarei stato capace di tanta prodigalità.

Ma il giorno dopo ci svegliammo di buon ora, e decidemmo di trascorrere la giornata facendo le stesse cose di sempre: mentre ascoltavo una noiosa spiegazione sui sistemi lineari, mi resi conto che quella sarebbe stata l'ultima lezione di Kurt alla Dalton. Perfino il modo con cui scarabocchiava sul quaderno era diventato un cimelio che avrei dovuto conservare per sempre nella mia memoria, così come il nostro rituale scambio di bigliettini, occhiate, sfioramenti e sorrisi.

Chissà se avrebbe avuto problemi a mettersi in pari col programma; probabilmente no. Mi aveva detto che al Mckingley usavano le matite come armi; anche se, in effetti, noi usavamo i fogli come oggetti di scena.

Il pranzo sotto al nostro leccio preferito nel cortile della Dalton sembrò l’unica cosa che valesse la pena di fare: lì, sdraiati sotto alle fronde, godendo di quella brezza primaverile che si faceva sempre più strada attraverso il pungente inverno ormai deceduto, io e Kurt stavamo mano nella mano, senza proferire parola: era come se, sotto quel silenzio, si celassero tutte quelle parole troppo complicate per venire a galla.

Dopo la pausa uscimmo per fare spese e guardare un bel film al Cinema Revival. E quando fummo alla nostra tappa finale, il caffè in mano, e la rivista sul tavolo dell'aula magna, cominciai a chiedermi se quelle uscite quasi quotidiane sarebbero diventate sempre più rare, fino a scomparire del tutto.

Sebbene cercassi in tutti i modi di non farlo notare a Kurt, lui aveva colto benissimo i miei sorrisi distendersi con una vena di malinconia, i miei sospiri mozzarsi ancor prima di nascere, le mie lunghe occhiate atte ad analizzarlo centimetro per centimetro, come per scolpire la sua figura nella mia mente, come se fosse l’ultima occasione per farlo.

E quei pensieri, che ci avevano accompagnati fino ad allora, confluirono tutti quanti in una fitta di malinconia, nel momento in cui mi ridiede il quaderno di algebra, quello che avevo fatto appositamente per lui nel periodo in cui era malato, giusto poco prima di metterci insieme. Rispetto all’originale, però, era leggermente cambiato: non riuscii a trattenere un sorriso nel vedere il mio nome sull’etichetta contornato da piccoli cuoricini rossi, e persino all’interno c’erano alcune graziose scritte che recitavano “Kurt+Blaine” in tutte le calligrafie e colori possibili.

Avrebbe sentito molto la mia mancanza, non avevo dubbi a riguardo.

Ma, trai due, quello che si sarebbe sentito più solo ero io.


 


 

Che stai facendo? –K

Sto cercando di far smettere alla mia testa di bombardarmi di pensieri. –B

Sveglia Flint e fatti raccontare uno dei suoi aneddoti improbabili. -K

Non posso. Flint è da Jessica. –B

La risposta successiva arrivò con un leggero ritardo, così come il battito del mio cuore.

…Sei da solo? -K

Non volevo fraintendere le sue parole. Forse, era soltanto una domanda innocente. O, forse, si era appena aperta una piccola possibilità, che dentro di me sapevo di non poter ignorare.

Kurt, la domanda che ti sto per fare, ti assicuro, ha le migliori intenzioni e non nasconde nessun messaggio subliminale. Volevo solo chiederti…ti va di venire qui? –B

Volevo soltanto stare con Kurt il più possibile, volevo soltanto sentirlo accanto a me, per quell’ultima notte. Avevo bisogno di immagazzinare ogni sensazione; ne avevo bisogno, perché mi avrebbero dovuto cullare, e confortare, per tutti i giorni a venire.

Mi resi conto di aver smesso di respirare soltanto quando sentii il telefono vibrare tra le mie mani, come una scarica elettrica.

Arrivo. -K

Balzai fuori dal letto, neanche mi avesse colpito un fulmine. Cominciai a mettere in ordine la stanza –anche se, devo ammetterlo, era già in perfetto stato- e a rassettare il mio pigiama blu a righe rosse, marchiato con il simbolo della Dalton.

Aprii leggermente la porta cercando di contenere tutta l'agitazione, sporgendomi quanto bastava per intravedere il corridoio vuoto; fino a quando non vidi un’ombra scura attraversarlo rapidamente.

Con un rapido gesto richiusi la porta alle sue spalle di Kurt, stando ben attento a non fare rumore.

“Se qualcuno ci scoprisse –commentò lui, puntandomi l’indice contro- temo proprio che diventerebbe l’ultimo giorno qui alla Dalton anche per te, mio caro Warbler.”

Ridacchiai con voce soffusa, mentre lentamente lo conducevo verso il letto. Nel vedere la sua faccia completamente terrorizzata strinsi con sicurezza la sua mano, cercando di infondergli con gli occhi l'innocenza dettata dalle mie parole.

“Kurt, stai tranquillo. Ti prometto che non farò niente che tu non voglia. E poi, onestamente, non ti ho chiesto di venire qui per quel motivo. Voglio soltanto stare con te.”

Visibilmente rassicurato da quelle parole, si mise a sedere assieme a me sul materasso.

“Anche io volevo stare con te,” rispose, intrecciando le dita affusolate con le mie.

Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione. So solo che, ad un tratto, sentii l’impellente bisogno di abbracciarlo. Un’immagine della nostra quotidianità ormai perduta si era di nuovo manifestata davanti ai miei occhi, e non mi sentii abbastanza forte da scacciarla con il solo aiuto del pensiero.

Ero felice per lui, davvero, ma d'altro canto ero troppo giovane ed inesperto per trattenere quel briciolo di amarezza. A sedici anni, tutte le emozioni sono amplificate al massimo, e persino una cosa di fondo così piccola, come la breve distanza che ci avrebbe separato, sembrava una montagna invalicabile. Infondo, erano ormai sette mesi che io e Kurt passavamo ogni singolo giorno insieme. E soltanto quando mi accorsi delle conseguenze implicate dal suo trasferimento mi resi conto di essere profondamente, incondizionatamente, legato a lui. Così tanto da spaventarmi.

Mi feci più vicino; affondai il viso nell’incavo del suo collo, ed espirai a pieni polmoni il profumo della sua pelle fresca. E il mio corpo cominciò a tremare, di fronte a quel calore così incoraggiante, trasmesso dallo scorrere delle sue mani sulla mia schiena curva.

“Blaine…cos’hai?” Kurt vedeva quanto fossi distrutto, e in un certo senso si sentì a pezzi anche lui. Il solo vedermi soffrire in quel modo lo annientava.

“Scusami… –sussurrai, con voce appena udibile dalle sue dolci orecchie - scusami, Kurt…sono felice per te, lo sai, è solo che…sono preoccupato. Quel Karofsky, lui…”

“Mi ha chiesto scusa, Blaine. E ti devi fidare di me.”
“Mi fido di te.” Ribattei svelto, assumendo per un attimo un’espressione contrita.

“Non ti fidi di lui, lo so.” Commentò lui, gentilmente.

Cacciai una smorfia e sviai lo sguardo a terra, mordendomi appena il labbro inferiore.

“Blaine, Blaine guardami.” E prese il viso tra le sue mani, costringendo i miei occhi ad incrociare i suoi, che mi penetrarono dentro come un oceano sconfinato.

“Starò bene. E non smetterò mai di pensare a te, nemmeno per un secondo. Ti manderò un messaggio ogni mezz’ora, e ti descriverò in diretta tutti i vestiti di Rachel giorno per giorno. E tu mi informerai su ogni follia fatta da Flint e gli altri, e sulle isterie meschine della Pitsbury. E ogni Venerdì, non appena sentirò il suono dell’ultima campanella, mi fionderò nella mia auto e verrò immediatamente qui da te. Per poi trascinarti in una dozzina di negozi e una ventina di boutique.”

Dentro di me cominciavo pian piano a convincermi delle sue parole, mettendo da parte un po’ del mio pessimismo.

“Ti voglio bene, Kurt.”
Si crogiolò un attimo nel calore della mia dichiarazione, per poi accoccolarsi a me, con un dolce sorriso.

“Credimi, Blaine: io di più.”

E, quella notte, tra discorsi e promesse, rievocazioni delle giornate passate, e fantasticherie sulle uscite future, ci sistemammo sempre meglio sul mio modico letto ad una piazza e mezzo –orgogliosamente più grande di quello di Flint-, e finimmo per addormentarci, l’uno abbracciato all’altro, facendoci cullare dai nostri respiri fusi in un unico solo, lento e regolare, e dalle nostre mani intrecciate in una morsa calda e forte, come dei rami di un solo albero.

E visto che non mi ricordavo affatto della notte dopo il party di Rachel, per me, quella fu la prima volta che dormii assieme a Kurt. La prima di una lunga, felice, fortunata, serie.


 



 

C'era il sole, un sole che spaccava le pietre. Era giusto che ci fosse. Kurt sarebbe ritornato dai suoi amici: doveva essere una bella giornata.

“Kurt.”

Fu letteralmente sorpreso nel vedere tutti gli Warblers scendere la ripida scalinata della Dalton, mentre io lo guardavo dritto negli occhi, parlando con una calma ponderata.

“Ci mancherai, alla Dalton. Sei stato importantissimo per gli Warblers, ci hai reso un gruppo migliore. Mi dispiace che tu te ne vada, ma sappiamo che è quello che vuoi veramente.
Io ti vedrò comunque dopo scuola e nei weekends, ma loro no, quindi…volevano salutarti.”

“E dirti grazie, Kurt.”


 

 

 

I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand

I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete
 


 

Avevo promesso a me stesso di sorridere. Volevo sorridere, perchè se Kurt era felice, lo ero anche io. Eppure, non riuscivo ancora a scrollarmi di dosso l'immagine di lui in divisa alla Dalton, che veniva a prendermi per la colazione, perché altrimenti non mi sarei mai svegliato in tempo.

 

 

Oh simple thing where have you gone
I’m getting old and I need something to rely on
Oh simple thing where have you gone
I’m getting old and I need something to rely on

So tell me when you’re gonna let me in
I’m getting tired and I need somewhere to begin
 


 

E nemmeno la riunione straordinaria di quella mattina, che costrinse tutti gli Warblers a marinare le lezioni per preparare una canzone per Kurt, come ringraziamento. I miei amici lo avevano già salutato a dovere, lasciandogli una foto di loro con un'enorme targa con su scritto Dalton, e persino Chase gli aveva regalato un cd, contenente non so che cosa, e si era soffermato qualche minuto a raccomandargli di star bene, e di chiamarlo in caso qualche malfidato avesse avuto il coraggio di schernirlo.

 

And if you have a minute why don’t we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don’t we go
Somewhere only we know?


 

Ma volevano salutarlo un'ultima volta. Perchè Kurt aveva cambiato il nostro Glee Club. E aveva cambiato la mia vita.


 

And if you have a minute why don’t we go
Talk about it somewhere only we know?

This could be the end of everything
So why don’t we go
Somewhere only we know?


 

Infine si voltò, verso di me, gli occhi limpidi, un sorriso lusingato.

Non saprei dire chi dei due stava trattenendo di più le lacrime.

E poi, come se ci fossimo letti nel pensiero, come se fosse stato prescritto da un istantaneo bisogno comune, ci stringemmo in un abbraccio.

Ma io non lo stavo soltanto abbracciando. Mi stavo aggrappando a lui, volevo sentire il calore del suo corpo contro il mio ancora una volta, così come I battiti del nostro cuore.

Avevo paura. Paura che Kurt sarebbe stato ferito di nuovo, da un mondo che non lo meritava. Ed ero terrorizzato, perchè non gli sarei stato vicino. Non avrei potuto proteggerlo, sorreggerlo, non quanto avrei desiderato fare.

E, dentro di me, una piccola, minuscola parte di me, aveva paura di perderlo. Di perdere l'unica persona in grado di dare un senso alla mia vita.

Ma non avevano importanza le mie paure. Non aveva importanza quanto mi sarei sentito solo.

Kurt era felice. Ed era l'unica cosa che contasse davvero.

Ma quando Kurt mi sussurrò all'orecchio, con la sua bella voce spezzata da un singhiozzo, dentro di me si accese qualcosa.

“Non ti dirò mai addio.”

E gli credevo.

Quelle parole furono l'unica cosa in grado di allontanarmi di lui, sciogliendo l'abbraccio.

E mentre lo vedevo attorno ai suoi amici, alla sua vera famiglia, lo guardai un'ultima volta.

Sarebbe andato tutto bene.


 


 

"Potevi anche dirmelo che avevi intenzione di cantarmi una serenata davanti a tut-"

Non gli permisi di continuare. O meglio, le mie labbra non glielo permisero, perché era da tutto il giorno che bramavano quelle rosee e morbide di Kurt.

Continuando a baciarlo, lo trascinai dentro la mia stanza e chiusi la porta alle nostre spalle, per poi farlo scontrare delicatamente contro di essa attraverso una mezza-giravolta.

Per lui non fu difficile intrufolarsi: dopo aver passato sei mesi in compagnia di Flint, Ed, Colin e Nick, conosceva a memoria tutte le entrate secondarie e il modo migliore per aggirare i prof di sorveglianza; e io gli avevo fatto promettere di passare a trovarmi la sera stessa, per raccontare per filo e per segno il suo primo giorno di scuola; ma, alla vista di quello splendido ragazzo con dei pantaloni rosso sgargianti, estremamente aderenti, e una canotta che risaltava il suo fisico perfetto, il sangue aveva smesso di confluire al mio cervello, andando verso la direzione opposta.

Dopo dieci minuti abbondanti - per me comunque troppo pochi- ci staccammo, entrambi con il fiato corto.

"Hey" Sussurrò Kurt alle mie labbra, che si incresparono in un sorriso.

"Hey. Mi sei mancato."

"Già, questo l'avevo intuito."

"Problemi?" Maliziosamente lo intrappolai tra le mie braccia, una tenendogli la mano e l'altra appoggiata al legno della porta.

"No, affatto. Mi sei mancato anche tu."

Felice di sentirglielo dire, lo feci sedere velocemente sul letto, costringendolo a raccontarmi tutto.

“Sono andato ai grandi magazzini per fare la Barbraterapia a Rachel. Voleva rifarsi il naso come quello di Quinn.”
“Che cosa?!? Ma è ridicolo! E' una ragazza bellissima.”
“E' vero. O meglio, lo sarebbe di sicuro, se si decidesse a vestirsi in modo normale. Dovevi vedere che assurdo tubino fuori moda indossava questo pomeriggio, era tutto a chiazze e poi...”

“E com'è andata a scuola? Tutto bene?” Incalzai, troncando dal nascere quello che sarebbe stato un lungo ed estenuante sproloquio.

“Tutto bene.” Affermò, sereno. Feci un sospiro di sollievo, che non sfuggì al suo sguardo, ma preferì lasciar stare.

“Il professor Shuester mi ha detto il compito di questa settimana per il Glee Club. E' a dir poco sensazionale, ho già progettato l'outfit per l'esibizione!”

“Oh, fantastico! Dimmi tutto.”

“Bastano tre parole: Born this way.” E i suoi occhi zampillarono di entusiasmo, mentre tutto eccitato cominciò a spiegarmi la coreografia da adottare, e quello strano compito delle magliette. Dovevano scrivere su una t-shirt il lato del loro carattere che un tempo avevano detestato, ma che adesso erano riusciti ad accettare. Le mie sopracciglia si inarcarono in un'espressione stupita quando con fare incuriosito mi chiese quale sarebbe stata la scritta che avrei messo sulla mia maglietta.

“Non lo so, forse qualcosa sull'altezza...oppure... capelli senza un senso logico? Non saprei!” Ammisi, scoppiando a ridere insieme a lui.

“E tu? - Ribattei, guardandolo di sottecchi- Tu che cosa ci scriverai?”

Lui mi lanciò un sorriso sghembo, per poi darmi un caldo bacio.

“Ho già deciso.” Un brivido percorse tutto il mio corpo non appena sentii la sua voce estremamente sensuale sussurrare la risposta contro le mie labbra.

“Likes boys.”

Fu come una scarica pura di adrenalina.

E mentre riprendevamo a baciarci, stavolta con rinnovata passione, le mie mani fremevano contro la sua pelle chiara, i suoi occhi brillavano di luce propria mostrando tutto il suo affetto per me, e il cellulare cominciò a vibrare insistentemente, facendoci tornare con i piedi per terra, come se fossimo stati appena svegliati da un sogno molto acceso.

“Ma chi cavolo...” borbottai, per poi leggere a caratteri cubitali il nome di “Flint”.

“Blaine? Volevo soltanto chiederti come hai fatto la relazione per la Pitsbury. L'ho appena consegnata e penso di aver fatto uno schifo...”

“Oh, porc...la relazione per la Pitsbury!! Me ne ero completamente, totalmente dimenticato! Oh, sono fregato, non potrò fare gli esami, non potrò più cantare negli Warblers!”

Anche Kurt spalancò la bocca, cominciando ad agitarsi insieme a me.

Ero stato troppo immerso nella mia malinconia per il trasferimento di Kurt, da potermi ricordare persino di studiare.

“Blaine, tranquillo.”
“Come faccio a stare tranquillo, Flint?!? La scadenza è passata, e la mia relazione è praticamente a metà!”

“Ti dico di stare tranquillo. Tu pensa a finire la relazione. Al resto ci pensiamo noi.”

E così feci. Grazie al provvidenziale aiuto di Kurt in mezz'ora riuscii a raggiungere miracolosamente le cinquanta pagine di relazione. Corremmo in aula magna, dove mi stavano già aspettando i miei amici, con degli strani abiti e un'espressione sorniona dipinta sul viso, che cambiò per un secondo, giusto il tempo di salutare Kurt con un abbraccio stritolante.

“Uomini. Non abbiamo tempo per questo.” Ed sembrava il vecchio caporale di un battaglione di deficienti.

“Blaine, hai la refurtiva?”

Gli passai la relazione, guardandolo stranito. Perché aveva la divisa da quarterback che avevamo trovato nello stanzino mesi prima?

La passò velocemente a Nick, e quando posai lo sguardo su di lui...

“Ma quella è la divisa da inserviente di Chuck, il bidello? E quello è il suo carrello?”
“Blaine. Per favore. Stiamo cercando di fare un lavoro, qui.”

Mi ammutolii assieme al mio ragazzo, che era rimasto basito forse anche più di me. Seguendoli con passo felpato, non riuscivamo davvero ad immaginare le loro intenzioni.

Fu solo quando vidi la Pitsbury, con la sua immancabile valigetta di pelle antiquata e il suo volto arcigno, che cominciai a capire. Si diresse a grandi passi verso il suo ufficio, probabilmente per correggere le relazioni, ma fu ostacolata da un Nick mascherato da un cappellino troppo grande.

“Signora, mi scusi, ma il pavimento è bagnato. Deve fare il giro.”

“Ma come si permette!? Lo sa chi sono io!?”

“Sì. E so anche che ha dei mocassini ammuffiti che sporcano dappertutto. Quindi, faccia il giro.”

Assolutamente sconcertata alzò i tacchi e si diresse dall'altra parte, in direzione delle gradinate.

Per andare nel suo ufficio avrebbe dovuto uscire dalla scuola, per poi rientrare dalla porta secondaria, quella che dava sulla scala anti-incendio.

Una volta che si trovò esattamente a dieci metri dalla Dalton, nel bel mezzo del cortile, sentì una voce non molto lontana da lei.

“ROSSO A VERDE! ROSSO A VERDE! SCHEMA TRUFF AHEM COFF COFF SCHEMA 3! HAT, HAT!”

Flint passò la palla da football a Ed, che la lanciò lontano, mentre Colin correva come un lampo per afferrarla al volo. E, guarda caso, la palla cadde precisamente addosso alla Pitsbury. Quest'ultima perse l'equilibrio, e la valigetta finì a terra assieme a tutte le relazioni.

Cominciò ad inveire contro i ragazzi, minacciando l'espulsione e, mi parve di sentire, anche la morte, e in mezzo a tutti quegli improperi la mano furtiva di Flint fece scivolare la relazione in mezzo a tutte le altre sparse sul suolo, giusto un secondo prima che la donna si fosse chinata a raccoglierle, aiutata dai tre ragazzi.

Ce l'avevano fatta. Avevo consegnato la relazione; non sarei stato cacciato fuori dagli Warblers, ed era solo merito loro. Li ringraziai con il cuore in mano, ma fui interrotto quasi subito.

“Amico -esordì Flint, raggiunto dagli altri tre, le braccia conserte, il sorriso orgoglioso- andiamo, pensavo che avessimo superato queste formalità. Siamo i tuoi migliori amici. Saremo sempre pronti ad aiutarti, anche quando sei in stato troppo catatonico per spiccicare mezza parola.”

Arrossii. Kurt strinse debolmente la mia mano. Era rimasto sempre accanto a me, godendosi lo spettacolo con fare leggermente ammirato. Quei ragazzi, davvero, ne sapevano una in più del diavolo.

E capii che, dopotutto, non mi sarei sentito così solo.


 

*************************
 

Piccola nota di servizio:

il mio computer è morto.

E' un miracolo che sia riuscita a recuperare questo capitolo, ma purtroppo temo di non poter scrivere e/o pubblicare fino a quando il mostro non avrà effettuato la sua resurrezione . E non credo che avverrà tra tre giorni. Lo spero, ma come si suol dire, bisogna aver fede. In ogni caso scriverò tutto a penna, e pubblicherò tramite computer abusivi (come sto facendo adesso). Temo, però, che il prossimo capitolo arriverà un po' in ritardo. Vabè, ormai siete abituati alla mia incostanza (ahahah), però mi dispiace davvero tanto, questa situazione mi mortifica e sono nel panico più totale.

Una piccola nota sul capitolo: spero che vi piaccia, non vorrei che Blaine fosse risultato un po' OOC.

Come sempre vi prego, vi supplico, vi scongiuro di lasciarmi una recensione. A voi costa soltanto due minuti del vostro tempo, e riuscirete a rendermi felice per l'eternità. E visto che sono depressissima,perché non potrò scrivere fino a tempo indeterminato, mi farebbe molto piacere. (adesso sto usando il cellulare e un computer abusivo per pubblicare)

Avrei voluto festeggiare insieme a voi la decina (capitolo 20), ma come ben capirete, sono un po' demoralizzata, e non saprei cosa scrivere, se non grazie, davvero, perché mi state facendo provare una serenità che non avrei mai immaginato. Non sono mai stata così felice di scrivere.

Che altro dire? Alla prossima...una settimana massimo, promesso. Stay tuned!!!


 

Ps – amo i fringuelli. Ma questo lo sapete già.

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Capitolo 22
*** Un appuntamento alla Warbler ***


Capitolo 21

Un appuntamento alla Warbler

 

Ormai il cellulare era diventato il prolungamento del mio braccio.

Io e Kurt ci mandavamo così tanti messaggi che dopo nemmeno mezza giornata fummo costretti a fare un abbonamento speciale che ci permetteva messaggi e chiamate verso l'altro numero ad un prezzo notevolmente più basso.

Ogni tanto gli mandavo qualche foto, come quella del mio banco, dove avevo scritto “miss you” nell'angolo che lo collegava al suo, con una faccina triste e qualche cuoricino spezzato. Notai con disappunto che non sapevo per niente disegnare: i miei cuori sembravano piuttosto delle mele spappolate, al contrario dei suoi, che potevo ammirare dal mio ormai più caro quaderno di algebra. E poi un giorno, dopo avergli inviato la solita dedica mattutina, mi inviò un disegno a dir poco splendido, a tutta pagina, rappresentando un perfetto Pavarotti con cravatta degli Warblers, e sotto di esso, una versione sintetica di io e lui che ci tenevamo per mano, cantando le note di Somewhere Only We Know. A quanto pare gli piaceva tanto, quella canzone. O meglio, era diventata la sua suoneria, sveglia e avviso di sms da quando gliel'avevo cantata di fronte a tutta la scuola. Con mio grande orgoglio e soddisfazione, aggiungerei.

Adoravo sorprendere Kurt con delle cose mozzafiato. Amavo vedere il suo volto impallidire per lo stupore, per poi tingersi di un rosso acceso, mentre veniva illuminato da un sorriso radioso e da degli occhi man mano sempre più lucidi. Per me. Il mio cuore si scaldava al solo pensiero.

Ed era per questo che avevo in mente un'altra cosa speciale, per il nostro mesiversario.

Lui aveva categoricamente vietato regali di qualsiasi sorta: non che gli dispiacessero, ma sapeva benissimo che mi sarei fatto prendere la mano, dal momento che avevo già puntato un occhio su una borsa esageratamente cara di Louis Vitton che stava letteralmente per rubare, un giorno, quando l'aveva vista miracolosamente esposta in uno stockhouse di Westerville; sembrava aver visto un'apparizione divina. In effetti, mi aveva detto di essere ateo; probabilmente, allora, l'alta moda era ciò che si avvicinava di più al suo credo personale.

Parlando di credi... non avevo mai visto così tanti santini raccolti in una volta sola.

Colin li stava ponendo con cura sopra al suo banco, soffermandosi ad osservarli uno ad uno, partendo da San Giovanni, protettore degli studenti, a Santa Rita, protettrice dei casi impossibili.

“Come il mio”, specificò, abbandonando la testa contro il banco con un tonfo sordo.

“Non sapevo tu fossi cattolico.” Commentai, mentre prendevo posto nel banco dietro di lui.

“Io sotto esami divento necessariamente politeista, -Esordì Nick, a pochi passi da noi- mi appello a tutte le divinità, pure a Odino. Qualcuno, lassù, ascolterà le mie preghiere e mi farà prendere la sufficienza a quest'esame.”

“Blasfemo” borbottò l'altro ragazzo.

“Inutile. -sentenziò Ed, arrivando insieme a Flint- Io non ho bisogno di rivolgermi a essenze superiori. Tutto ciò che mi serve è a portata di mano...anzi, di naso.” E mostrò il suo fantomatico fazzolettino, tutto pieno di formule minuscole appena accennate con il lapis.

L'aveva fatto sul serio. Così come Flint si era preparato l'ipod con le tracce audio, o meglio...

“Una mia registrazione su tutti gli argomenti del programma!? Ma quando diavolo l'hai fatta!?”
“Blaine, Blaine. -cantilenò, sospirante- Sono il tuo compagno di stanza, ricordi? Non è stato difficile lasciare acceso il registratore mentre eri tutto solo soletto a ripetere. A proposito, speravo di intercettare una chiamata piccante a Kurt -affermò, rivolgendosi ai miei amici esaltati-, ma tutto ciò che ho ottenuto è stato un noioso e sfarfallino dai Kurt, devo andare. No riattacca tu. No, tu! Eccetera eccetera.”

“Non è vero!” Arrossii fino alla punta delle orecchie. “Oh andiamo, non siamo così smielati!”

E in quel momento ricevetti quattro paia di occhiate scettiche.

“...Lo siamo?”

Fortunatamente la professoressa Pitsbury irruppe nella stanza prima che potessi ricevere una risposta.

“Lasciate sul banco un foglio e una penna. Avete un'ora e mezza a partire da...adesso. Ah. Se scopro qualcuno di voi a copiare..”

“Finirà in prigione senza passare dal via?”

“Verranno tolti cinquanta punti a Grifondoro?”

“Atwood. Morrison. Tenete il vostro umorismo per quando vi boccerò.”

E fu così che iniziò il nostro test di fine semestre.

Erano le domande più difficili che avessi mai visto. Perfino io faticavo a rispondere, talvolta, soffermandomi troppo su una domanda e non avendo tempo per farne un'altra.

E se quella era la mia situazione, sperai davvero che i sotterfugi dei miei amici stessero funzionando; iniziai a preoccuparmi quando udii un'imprecazione di Flint, poco distante da me, che iniziava ad inveire contro la batteria del suo Ipod, che lo aveva appena abbandonato.

E così Nick si rese conto di non aver affatto caricato i dati sul suo orologio, oppure, semplicemente, questo si era bloccato e tutto ciò che mostrava era una banalissima ora che iniziava a pendere sulla sua testa, decretando la sua imminente sconfitta.

La cartucciera di Colin, invece, era inservibile: la professoressa era esattamente davanti a lui e non poteva semplicemente alzarsi il blazer per estrarre un bigliettino, leggerlo e poi riporlo accuratamente al suo posto.
Ironia della sorte: l'unico stratagemma che sembrava funzionare era proprio il fazzoletto-bigliettino di Ed. La vita ti pone di fronte a scenari davvero insoliti.

Stavo per espormi un poco dal banco con l'intenzione di passare il compito ad uno dei tre in difficoltà, o almeno, quello che ero riuscito a fare, quando la voce della Pitsbury mi fece sobbalzare all'indietro, la fronte grondante di freddo sudore e gli occhi spalancati per la paura.

Eppure, era strano: la sua faccia rugosa, non era indirizzata verso di me, ma sul banco dietro.

“Chase Edlund.... stavi copiando.”

Il ragazzo alzò la testa di scatto, affermando il contrario con fare piuttosto accigliato.

“Non negare, ragazzo, ti ho visto benissimo. Stavi per chiedere qualcosa ad Anderson.”

Ecco. Sarà che non mi metteva in mezzo, quella dannata strega!?

“Professoressa – ribattei io, interrompendo il loro scambio di gelide occhiate – glielo assicuro, sarei l'ultima persona a cui chiederebbe una mano.”

“Confermo.” Fece lui, sembrando piuttosto sorpreso del mio commento sincero.

La cosa finì lì, con grande rammarico della professoressa, e io tornai a concentrarmi sul compito.

Non mi stupii di trovarmi davanti a Chase, non appena fui uscito dalla stanza, il suo volto oscurato da un'espressione titubante.

“Perché lo hai fatto?” Mi chiese infatti il ragazzo, ignorando la disperazione dei miei amici che mi stavano strattonando a destra e a sinistra, completamente immersi nel panico e nell'ansia di confrontare le loro risposte con le mie.

Mi strinsi nelle spalle, non sapendo bene cosa dire: “Non lo so. Perché non avrei dovuto farlo? Dopotutto, ho soltanto detto la verità.”

“Appunto, perché mi hai difeso? Era l'occasione perfetta per vendicarti.”

“Vendicarmi?”

Oh, in effetti, avrei potuto. Avrei potuto fargliela pagare per tutte quelle volte che mi aveva schernito, preso in giro e paragonato a qualsiasi essere vivente con altezza inferiore ad un metro. Avrei potuto riscattarmi da quel giorno in cui, chiamando a raccolta Pitsbury e Preside, aveva quasi fatto espellere me e Kurt per la lotta violenta tra Pavarotti e Pannocchia. Avrei potuto semplicemente dire “sì” alla Pitsbury, fare un cenno, perfino un silenzio sarebbe stato sufficiente, e lui sarebbe stato automaticamente bocciato; e io nemmeno me n'ero reso conto.

Oh, beh, poco male. Non sarei mai riuscito a fare una cosa così meschina, nemmeno volendo.

E poi, nonostante il nostro astio reciproco, Chase rimaneva comunque l'ex-compagno di stanza di Kurt, con il quale si era comportato da buon amico.

E pensando a quelle cose le mie labbra si incurvarono in un sorriso, mentre quelle di Chase si stavano increspando sempre di più in una smorfia di puro terrore.

 

 

 

“E poi gli ho augurato buona fortuna per il test di francese di domani, e sono andato via. Mi è sembrato piuttosto scandalizzato. Probabilmente si stava chiedendo che razza di piano diabolico avessi in mente.”

Kurt rimase qualche secondo a fissarmi da dietro il suo latte macchiato scremato.

“Non riusciresti ad ideare piani diabolici nemmeno se ne avessi davvero l'intenzione. Probabilmente saresti assalito dai rimorsi di coscienza ancor prima di metterli in atto.”

“Così sembro un buono a nulla...”mormorai ironico, e lui scosse velocemente la testa.

“Tutt'altro: sei la persona più buona che io conosca. E sono convinto che lo capirà anche Chase.”

Sorrisi, morendo dalla voglia di allontanare quel bicchiere dalla sua bocca, per permettere alla mia di baciarlo con passione. Ma non potevo farlo, o ci saremmo ritrovati un migliaio di clienti sconvolti e l'esilio a vita dalla caffetteria.

“Allora, -riprese lui- com'è andato l'esame?”

“Un disastro.” Commentò Colin, seccato, mentre si accasciava su una sedia accanto alla mia.

Io e Kurt sussultammo all'unisono.

“Io ho risposto a tutto -fece Ed, sornione- lo avevo detto io che il metodo fazzolettino è infallibile.”

Guardai il mio ragazzo, interdetto quanto me.

“Ragazzi...che ci fate qui?”

Anche se Starbucsk era un luogo pubblico e avevano tutto il diritto di sedersi al tavolo con noi, non ci aspettavamo di certo quell'intromissione.

“Dobbiamo parlarvi.

“Di donne.”

“...Come!?”

“Sì, so che non è esattamente il vostro argomento di conversazione preferito. Ma abbiamo bisogno di un vostro consiglio.”

“In effetti, abbiamo bisogno soprattutto del consiglio di Kurt. Senza offesa, Blaine, ma lui ci sa davvero fare quando si tratta di look.”

Il mio ragazzo sorrise compiaciuto. Beh, di certo, sapevano come arruffianarselo per bene.

“Sono tutt'orecchi.”

“Domani sera abbiamo appuntamento con due ragazze.”

“Si chiamano Ann e Mary, le abbiamo conosciute qualche giorno fa quando ci siamo infiltrati di soppiatto alla Crawford.”

“Ci hanno chiesto loro di uscire... e quindi partiamo già in svantaggio. Ma il ristorante lo scegliamo noi.”

“Non usciamo con delle ragazze da...beh, molto tempo. E l'ultima volta non è andata molto bene.”

“No, direi di no.”

Deglutii, sviando lo sguardo. Di quella serata mi ricordavo soltanto le loro facce arrossate da due grossi schiaffi pulsanti. Vedendo quelli, non avevo avuto il coraggio di chiedere altro.

“Insomma, ci chiedevamo se...insomma, se potessi darci una mano. Sai, con il vestiario, e tutto il resto.”

Non c'era nemmeno bisogno di attendere una sua risposta verbale.

I suoi occhi azzurri cominciarono a illuminarsi estasiati, e assicurò tutto il suo supporto con un battito delle mani. Kurt adorava le storie d'amore. E, soprattutto, adorava rivoluzionare il guardaroba delle persone.

 

 

 

Ero seduto sul cofano della macchina, giocherellando svogliatamente con le chiavi.

Come sempre, Kurt era in ritardo, ma non era un grande problema: ormai mi ero totalmente abituato al suo quarto d'ora accademico; e poi, ogni volta che lo vedevo affrettarsi verso di me, con un completo diverso, sempre più splendido, io pensavo immediatamente che sì, valeva davvero la pena aspettare qualche minuto di più.

“Allora? Che te ne pare?” Domandò una volta arrivato; fece cenno a qualcosa posta dietro di lui, ma la mia attenzione era già stata completamente catturata dalla sua camicia aderente, dal papillon blu oltremare che richiamava i suoi occhi, e da quei pantaloni...oh, quei pantaloni, stretti, con un taglio che risaltava i suoi fianchi longilinei... erano così...così...

“Perfetti”, sussurrai tutto d'un fiato, avanzando lentamente verso di lui. Questo capì immediatamente a cosa mi stessi riferendo.

“Blaine! -Protestò, imbarazzato e, doveva ammetterlo, anche un po' lusingato- Mi stavo riferendo a Ed e Colin!”

E finalmente capii che cosa stesse indicando la sua mano: i due ragazzi stavano camminando verso la propria macchina, indossando dei vestiti eleganti e dei cravattini colorati.

“Oh! -Esclamai, cambiando completamente espressione – hem...sì, davvero perfetti.”

“Per forza, li ho vestiti io.” Cinguettò, e poi si lasciò avvolgere dalle mie calde braccia, sporgendosi quanto bastava per far scontrare le sue labbra con le mie.

Si staccò dopo qualche secondo, con mio grande dispiacere.

“Coraggio, non dobbiamo perderli di vista!”

Montammo velocemente in macchina; era la prima volta che pedinavo qualcuno, ed ero piuttosto emozionato.

Proprio così: avremmo pedinato Ed e Colin. Onestamente, non riuscivo nemmeno a ricordare come avessero fatto Flint e Nick a convincerci. Immagino che in parte fu merito dell'estrema curiosità del mio ragazzo, che voleva vedere l'esito del suo lavoro, in parte, il mio fervido desiderio di essere finalmente io quello che avrebbe spiato i miei amici, e non il contrario.

Le ragazze arrivarono nel luogo prefissato qualche minuto dopo, vestite di tutto punto, e grazie a Kurt seppi che indossavano un Gucci e un Armani della collezione appena passata, e che, sempre a detta del mio ragazzo, calzavano a pennello per i loro fisici risaltando i pregi e nascondendo i difetti. E io rimanevo semplicemente incantato dalla sua abilità nel riconoscere l'autore di un abito semplicemente osservandone il taglio, o i colori, ed individuarne subito i minimi dettagli.
Il ristorante che avevano scelto per l'appuntamento era molto bello: esageratamente di lusso, come ci si poteva aspettare da due facoltosi ragazzi della Dalton, e comprendeva sia cucina francese che italiana. Kurt era senza parole. Forse, però, si era ammutolito una volta che aveva letto il prezzo delle portate. Nonostante l'atmosfera boriosa, e il netto disagio suscitato dal suo portafogli, ben presto riuscii a metterlo a suo agio, descrivendogli nel dettaglio l'esame di quella mattina, le scenate della Pitsbury verso un malcapitato ragazzino e i tentativi di Chase di scoprire i miei misteriosi piani diabolici, nonostante gli avessi ripetuto più e più volte che non esistessero.

Lui, invece, mi raccontò dell'esibizione Born this Way, della quale era rimasto estremamente entusiasta, e mi aggiornò su tutte le news della sua scuola, il Glee Club e le Nazionali. Il preside aveva dato loro tutto il budget delle Cheerios, dal momento che la coach Sylvester aveva perso clamorosamente la competizione nazionale delle cheerleaders. E ora che finalmente poteva assaporare l'idea di andare a New York come una cosa concreta, e non uno dei suoi sogni notturni, Kurt sembrava felice come non mai: cominciò a fantasticare su Broadway, Central Park e Patti Lupone, perché dentro al suo cuore sapeva di incontrarla, e io non ho voluto dirgli che c'erano più possibilità di essere schiacciati da un meteorite, che di incontrare quella cantante nel bel mezzo della più grande e caotica città d'America.

Parlammo a lungo di tutte quelle cose, dimenticandoci temporaneamente del perché ci trovassimo lì: quando me ne ricordai, mi resi conto di non aver ancora visto Flint e Nick, nascosti chissà dove.

E, infatti, dopo qualche minuto, vidi una sottospecie di cameriere arrancare verso i tavoli, cercando in tutti i modi di non far cadere quei piatti terribilmente in bilico sulle sue braccia.

“Volete ordinare, signori?”

Kurt sbiancò di colpo non appena si accorse che quel ragazzo era proprio Flint.

“Ho fatto servizio catering la scorsa estate. Poi mi hanno licenziato perché passavo più tempo a mangiare che a servire ai tavoli...ma questa è un'altra storia.”

“Come sta andando?” domandai, guardando con la coda dell'occhio le due coppiette.

“Non tanto bene. Le ragazze sono piuttosto carine, ma Ed e Colin hanno la reattività di un bradipo. Continuano ad annuire e a parlare a monosillabi.”

Ci guardammo tutti e tre con una sorta di ansia negli occhi, e poi Flint tornò al suo pseudo-lavoro.

Dopo di lui, però, comparve un vero cameriere, e ne approfittammo per ordinare due piatti di pasta fatta in casa e un'insalata mista. Kurt si pentì quasi subito di averlo fatto, non appena lesse il prezzo della sua ordinazione, e dentro di sé cominciò a fare dei rapidi calcoli finanziari per razionare la paghetta di suo padre, restando profondamente amareggiato quando si rese conto che non si sarebbe più potuto comprare quelle scarpe di camoscio che aveva visto su ebay.

“Blaine? -Fece ad un tratto, inarcando un sopracciglio- Penso di aver trovato Nick. Sempre se non sono diventato improvvisamente cieco da non riconoscere degli osceni baffi finti e un parrucchino spettinato.”

“Come?”

“HOLA, AMIGOS!”

Sgranai gli occhi. Nick era diventato una sottospecie di texano di mezza età, con tanto di cappello da cowboy, e stava dando delle forti pacche sulle spalle ad Ed e Colin.

“Edward! Come sta la genitrice? Porgile i miei più caldi saluti. Spero che sia riuscita a trovare il lubrificante per il timone del suo yacht. E...Colin? Ma sei cresciuto tantissimo!” Esclamò, cominciando a stritolare le guance del ragazzo, e lui era semplicemente troppo allibito, troppo incredulo, per poter reagire in qualsiasi modo.

“Le piantagioni di ananas stanno bene? Ma sì che stanno bene, ci scommetterei la mia gamba di legno! Ma vedo che siete in dolce compagnia...chiquititas, buenas dias” baciò le mani di entrambe le signorine, e per poco non ci lasciò il paio di baffi sul dorso di una delle due.

“State uscendo con dei veri bocconcini. I migliori del branco. Ah, ai miei tempi...! Le donne venivano selezionate come dei puledri di razza. Ma sono troppo vecchio, per queste cose. Vi lascio da soli. GARCON! .-Flint si voltò di scatto, riacchiappando al volo un piatto di calamari- Preparami una bella bistecca di bisonte. Al sangue!“

Ci fu un attimo di silenzio. Le ragazze si scambiarono un'occhiata piuttosto strana, Flint guardò Nick, Ed fissò Colin, e Colin si accorse soltanto in quel momento della nostra presenza, perché eravamo, in linea d'aria, nella stessa direzione di Nick.

E noi, rimasti ad osservare la scena in sconcertato silenzio, non sapevamo bene se ridere a crepapelle, o e pagare il conto e dileguarci all'istante.

Da quella scenetta a dir poco inverosimile, però, ne uscì qualcosa di buono: i due ragazzi si sciolsero completamente, e cominciarono a parlare in modo disinvolto, con nostro grandissimo sollievo.

“Forse non è ancora finita”, bisbigliò Kurt.

E aveva anche ragione: se da quel momento in poi si fossero comportati in modo esemplare, magari, sarebbero riusciti a salvarsi in calcio d'angolo.

Kurt mandò velocemente un sms a Colin. Dopo qualche secondo il ragazzo si rivolse ad Ann, cercando di recitare a memoria il testo appena letto sul display.

“Hem...hai...hai un bel vestito. Quella Redi-gote fa pendente con le tue splendide de-collant.”

“Ma che diavolo...?” La ragazza ci mise qualche secondo a tradurre la frase.

“Volevi forse dire...che la mia redingote fa pendant con le mie decolletè?”

“...E io che ho detto!?”

“Kurt...” esordii, lanciandogli un'occhiata eloquente.

“Che c'è!? Io cercavo di essere utile!”

“Certo, lo so questo, ma... la prossima volta... usa termini meno gay.”

“Non sono termini gay. -borbottò, stizzito- Oh, beh, forse un po' lo sono. Ma tutti dovrebbero conoscere la differenza tra delle parigine e un paio di tacchi a spillo!”

Afferrai il mio Iphone e inviai velocemente un sms a Ed.

Raccontale qualcosa. Un aneddoto simpatico. Falla ridere!

Ed ci rimuginò qualche secondo, e poi lo vidi illuminarsi. Che avesse trovato la storia perfetta?

“Sai.., -fece lui, il tono calmo, lo sguardo da saccente - ho letto che in certi ristoranti c'è un grosso contenitore di mentine da prendere all'uscita, e molti vanno in bagno e non si lavano le mani. Poi tutti uscendo prendono la mentina; ecco, è provato che sulle mentine ci sono tracce di urina. Sono...sono menturine.” (*)

“Oh.” Commentò Mary, smettendo improvvisamente di mangiare. “Io le prendo sempre.”

E, stavolta, fu Ed a dire “oh”.

Kurt mi guardò cinico. E io rimisi accuratamente il cellulare in borsa, con l'intenzione di non usarlo mai più.

 

 

 

“Non penso che usciremo più”, disse Colin, una volta che fummo tutti riuniti – Flint e Nick con ancora i costumi di scena -. Eppure, avevano ammesso di essersi divertiti molto, e tutto grazie a noi.

“All'inizio quando vi abbiamo visti abbiamo seriamente pensato all'omicidio di massa...-affermò Ed, scrocchiandosi minacciosamente le nocche -ma devo ammettere che mi sono sentito subito meglio, sapendo che eravate al nostro fianco.”

“Un Warbler non canta mai da solo”, sentenziai, e i miei amici mi guardarono sognanti.

“Questo vuol dire che acconsenti a farci leggere tutti i tuoi sms e spiare tutti i tuoi appuntamenti con Kurt?”

“Ovviamente no.”

“Comunque sia, se la mettiamo in questi termini, -aggiunse Nick, con fare spavaldo- un Warbler non beve mai da solo! E questi baffi finti mi hanno fatto venire sete. Voglio vedere se con questo travestimento riesco a farmi spacciare per un ventunenne. Andiamo in qualche pub?”

“Mi dispiace, devo accompagnare Kurt a casa.”

I ragazzi si guardarono uno ad uno, con i loro immancabili sorrisetti.

“Certo, come no. A casa.”

“Ma prima della casa, c'è la macchina.”

“Una bellissima, comoda, con i sedili reclinabili, macchina.”

“Quando Kurt sarà arrivato veramente a casa come minimo dovrà comprarsi una lingua nuova.”

Una parte di me stava per controbattere indignata. Un'altra, però, cominciò a valutare con un certo entusiasmo quell'idea.

Quando lo vidi tornare dal bagno cercai con tutto me stesso di darmi un contegno, ed eliminare qualsiasi pensiero ritenuto decisamente inopportuno. Tanto per cominciare, avrei potuto evitare di squadrarlo da capo a piedi. Ma sembrava un'impresa impossibile.

Eppure, tutto il mio entusiasmo fu mozzato in un attimo.

Kurt era arrabbiato.



 

“Eccoci arrivati. Ti chiamo domani?”
Kurt non rispose alla mia domanda, continuando ad abbottonarsi il trench. Se l'era presa a morte perché avevo pagato tutto il conto mentre lui era andato in bagno, come facevo praticamente sempre e come mi ripeteva continuamente di non fare o, come minimo, di pagare una volta per uno; ma perché negargli quelle scarpe di ebay, quando io avevo una carta di credito a disposizione e il grasso stipendio di mio padre?

Ma lui, senza sentire ragioni, era montato in macchina con tanto di cintura allacciata.

Sospirai, e a malincuore fui costretto a mettere in moto e dirigermi verso casa sua.

“Andiamo, Kurt, hai intenzione di tenermi il broncio per tutta la sera?” Mormorai, facendomi un poco più vicino e cercando di catturare i suoi occhi, ma invano. Erano incollati al suo cappotto e non avevano intenzione di muoversi.

“E va bene! Mi dispiace. Vorrà dire che la prossima volta andremo nel nuovo ristorante giapponese extra-lusso e offrirai tutto tu.”
E, finalmente, rialzò la testa.

“Ci conto.”

E non riuscii a non intenerirmi per quel suo adorabile orgoglio.

Mi avvicinai a lui, accarezzando lentamente il suo dolcissimo broncio, e lo guardai con i miei occhioni da cucciolone dispiaciuto, che avevo imparato a mostrare in casi come quelli.

“Mi dispiace.” Ripetei, la voce calma, e con grande soddisfazione sentii le sue labbra incurvarsi all'insù.

“Oh, accidenti. -Borbottò, per poi stringermi la mano libera- non riesco nemmeno ad arrabbiarmi come si deve per più di cinque minuti.”

Ridacchiai, facendo scorrere le mie dita dalla bocca al lobo dell'orecchio, per poi intrecciarle nei suoi morbidi capelli.

“Beh, -esordii, la voce con un tono più basso del solito- mi piace quando ti arrabbi. O meglio, mi piace quando facciamo pace.”
Il suo sorriso si allargò ancora di più, e poi si scontrò contro il mio, delicatamente, e finalmente le nostre bocche si dischiusero, cominciando a studiarsi scrupolosamente, e in poco tempo le cinture di sicurezza erano diventate incredibilmente scomode.

Con un gesto secco le togliemmo di mezzo, facendo delle buffe acrobazie con le braccia e la testa per interrompere il meno possibile quel contatto.

La sua mano libera andò a posizionarsi sulla mia spalla, quasi aggrappandosi ad essa, i baci si facevano sempre più umidi e i respiri più caldi.

Non era un semplice bacio della buonanotte. Non erano le tipiche coccole che ci facevamo di solito. Era qualcosa di più, qualcosa di meglio, qualcosa dettato dal nostro istinto e l'incredibile mancanza che provavamo l'uno per l'altro, perché dopo quel saluto saremmo tornati alle nostre scuole, ai nostri messaggi nostalgici e alle nostre telefonate telegrafiche.

Perché Kurt mi mancava da morire, e in quel preciso momento, capii che anche io mancavo a lui.

Mi sporsi un po' di più, sovrastando praticamente il suo sedile, e ci mancava poco che scavalcassi quel fastidioso cambio automatico e mi inginocchiassi sopra di lui, per approfondire quel momento di pura passione. Dopotutto, lui era lì: era bellissimo, incredibilmente pazzo di me e non mi stava respingendo per via di imbarazzi o studi necessari. Lui era lì, e la sua lingua stava analizzando ogni centimetro della mia bocca con una scrupolosità che mi costrinse ad allontanare la mano dal suo collo per aggrapparmi al suo poggiatesta, colto da un'improvvisa vertigine.

Non era mai stato così intraprendente. E, francamente, la cosa mi eccitava tantissimo.

Così tanto che, per un momento, completamente in balia dei miei sentimenti, pensai di poter fare qualcosa di più.

Sciogliendo le nostre due mani intrecciate, iniziai a far scorrere le dita lungo il suo collo, poi il pomo d'Adamo, fino a giungere a quella camicia aderente che, a distanza ravvicinata, mi mozzava il fiato.

E stavo già assaporando con il pensiero l'azione di slacciargli un bottone, poi due, per poi accarezzare caldamente le splendide fattezze di quella pelle fresca e morbida...ma qualcosa andò storto. O meglio, il mio gomito andò storto: urtò contro il volante e attivò il clacson, che fece uno strillo lancinante e mi fece balzare immediatamente in piedi, con tanto di clamorosa testata contro il tettuccio.

E in quel momento fu come se io e Kurt ci fossimo svegliati all'istante: lui guardò l'orologio, poi me, e accennando a qualcosa circa l'orario e suo padre saettò fuori dalla macchina, ma non prima di avermi dato un ultimo bacio a stampo e avermi augurato buona notte.

E io?

Beh...io dovetti stare seduto diversi secondi, prima di poter accendere di nuovo la macchina e tornare a casa.




*********

(*) La frase l'ho presa da Gilmore Gilrs, la puntata 4x15 (mi pare), quando Rory ha il suo primo vero appuntamento. Che grande donna!

Buon Ferragosto a tutte!!
Io sto ancora celebrando il funerale del mio computer. Ma come potete ben vedere sono riuscita a pubblicare un capitolo!
Ringrazio tutte le splendide persone che mi stanno leggendo, seguendo, recensendo. Davvero, è troppo fantasticosissimo assai!!!!

PS -All'inizio questo capitolo si chiamava "Warblers' date". Ma ho notato di aver messo tutti i titoli in italiano, quindi l'ho reintitolato "Un appuntamento alla Warbler". Non cambia niente, è solo un mio capriccio personale.
Per oggi è tutto. Grazie ancora, non smetterò mai di ringraziarvi!!

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Capitolo 23
*** Hummel&Hummel ***


Capitolo 22

Hummel&Hummel

 

 

Controllai per l'ennesima volta l'orologio e mi sistemai la camicia, lasciandola fuoriuscire dai jeans scuri. 

Quella volta avevo davvero fatto magie con il gel: non c'era un singolo ciuffo di traverso, e avevo perfino comprato un nuovo profumo per l'occasione, dolce e leggero, ma elegante e seducente allo stesso tempo, che in un certo senso mi rispecchiava molto; il ristorante giapponese ci attendeva un poco fuori città, con i suoi freschi sushi e sashimi, il tempura fumante e la carne cotta alla grigia davanti ai nostri occhi.

Insomma, era tutto pronto; eppure, quel giorno, quella macchina sembrava decisa a farmi fare tardi: nonostante tenessi premuto costantemente l'acceleratore, sembrava non voler andare oltre i venti chilometri orari, e ogni tanto si azzardava perfino a emettere un basso lamento di sottofondo, che zittivo immediatamente dando più gas. 

Un mese. Cavoli, non riuscivo ancora a crederci. Era un mese che stavo con Kurt, che lo baciavo, che lo accarezzavo, che uscivo assieme a lui passando le migliori giornate della mia vita.

Può sembrare un tempo relativamente piccolo, e in effetti è così: ma in appena trenta giorni erano successe talmente tante di quelle cose -il nostro primo appuntamento, le regionali, il trasferimento di Kurt- che ci eravamo promessi di festeggiare. A patto che pagasse Kurt la cena, e che non ci facessimo alcun regalo di nessun tipo. 

Nonostante quest'ultima clausola un po' scomoda, soprattutto per come ero fatto io, non vedevo l'ora di spegnere il motore della macchina, bussare alla porta di Kurt e trascinarlo fuori di casa senza nemmeno dargli il tempo di salutarmi: lo avremmo fatto più tardi, tra baci passionali e carezze affettuose, mentre avrei aspettato il verde del semaforo, che sarebbe arrivato sempre troppo in fretta.

Alla fine, con mio grande sollievo, arrivai a destinazione. Staccando la cintura ancor prima di fermarmi, afferrai il cellulare posato sul cruscotto ed estrassi velocemente le chiavi dal quadro, con un gesto secco e sicuro.

Forse troppo secco e sicuro.

Fu un battito di ciglia. Neanche il tempo di sussultare che udii un guaito disperato, un fragoroso crepitio metallico provenire dal cofano, e dopo...nulla.

Il silenzio più totale. 

E l'atmosfera si caricò di un denso aroma di lutto.

Mi diressi, stavolta molto lentamente, verso quella che sarebbe stata la fonte di tutte le mie imprecazioni, ma esitai un attimo prima di sollevare il cofano della macchina: non volevo veramente guardare. Una vocina nella mia testa mi stava suggerendo di ignorare quegli otto mesi di costruzione della Chevrolet Impala del '56 che mi avevano reso un meccanico in erba; mi stava suggerendo anche di ignorare quei rumori appena sentiti, perché dentro di me sapevo benissimo che erano la traduzione di un paio di candele nere come la pece, una marmitta danneggiata e, chissà, ipotizzai anche un tamburo non perfettamente oliato. Un'altra vocina, invece, stava già chiamando le pompe funebri.

Alzai il coperchio, ed osservai con i miei occhi inermi ciò che rimaneva di un motore distrutto.

La macchina era inservibile, questo sarebbe stato chiaro anche ad un bambino. Ma era anche palese che fosse appena saltato in aria tutto il nostro appuntamento.

Mi abbandonai contro la portiera, la testa bassa, il morale sottoterra.

“Merda... -mormorai, verso quell'ammasso di plastica e ingranaggi- grazie, grazie davvero. Direi che hai avuto un tempismo perfetto per romperti.”

“Stavo pensando la stessa cosa.”

Un uomo alto si avvicinò con passo sicuro e voce ferma, il cappellino tirato all'indietro sulla testa calva e il viso marcato, ma con dei dolci occhi chiari, che stavano saettando da me, alla mia macchina.

“Signor Hummel.” Non era tanto un saluto. Era più un “oh, diavolo, quest'uomo mi ha appena sentito imprecare come uno scaricatore di porto”. Era più un “oh diavolo, l'ultima volta che ho visto quest'uomo gli ho detto di parlare a suo figlio di sesso gay.”

Era più un “oh, diavolo. Questo è il padre del mio ragazzo.”

“Ciao, Blaine.” Era una mia impressione, o aveva pronunciato il mio nome in modo strano? “Problemi con la macchina?”

Gli spiegai velocemente i danni riportati, specificando anche che quella macchina aveva all'incirca dieci anni ed era sopravvissuta ad un'incursione in montagna con sette persone -di cui quattro folli amici-.

Lui rimase un attimo a fissare il motore, leggermente sorpreso dall'esattezza della mia diagnosi.

“Mi avevi già dimostrato di conoscere i motori, ma non avevo capito che fossi così bravo.”

Arrossii, sviando velocemente lo sguardo e sussurrando un “grazie”.

Dopo qualche secondo di riflessione propose di lasciare la macchina nella sua officina, annunciando che sarebbe stata pronta entro il fine settimana e senza alcuna spesa di servizio. Io insistetti che non era necessario, che non doveva accollarsi altro lavoro e soprattutto non retribuito, ma non sentì ragioni; lo guardavo con la coda dell'occhio mentre spingevamo la macchina dentro al garage, e pensai che, in quanto a testardaggine, fosse tale e quale a suo figlio.

Non ancora soddisfatto, mi fece entrare quasi a forza dal momento che Kurt ancora non era pronto, e io non potevo aspettarlo fuori dalla porta come uno sconosciuto.

Perché, in effetti, non ero affatto uno sconosciuto.
Appena entrato mi soffermai qualche secondo ad osservare l'arredamento: la casa era piuttosto grande, con un salotto arredato da quadri colorati e mobili di legno, un divano scuro posto davanti alla televisione e una zona cucina, che comprendeva anche la sala da pranzo. Accanto all'entrata, poi, si ergeva una scala che ipotizzai conducesse alla zona notte.

E fui sopraffatto da una vampata di tenero calore quando mi resi conto che, quella, era la scala dalla quale Kurt scendeva ogni mattina, con il suo adorabile pigiama di seta, gli occhi ancora assonnati e i capelli liberi dalla lacca, mentre il suo corpo si trascinava svogliatamente in cucina, per addentare il suo solito yogurt e barretta ai cereali integrali.

Quella era casa di Kurt.

Ed anche se non era grande, sfarzosa, o piena di maggiordomi, era incantevole. Proprio come lui.

E notai che non fosse nemmeno molto silenziosa.

Infatti non erano passati nemmeno dieci secondi quando vidi Finn correre da una parte all'altra, con una scarpa sì e una no, seguito da quella che dedussi fosse sua madre, non solo dall'aspetto, ma soprattutto da come stava inveendo contro suo figlio con una voce che raggiungeva gli ultrasuoni.

Ecco da chi aveva preso le sue doti canore.

“Mamma!” Sbottò il ragazzo, togliendosi le dita dalle orecchie. “Non è colpa mia se quella maledetta lavatrice ha dei disegnini sbagliati!”
“SBAGLIATI!? FINN HUDSON, tu ci hai messo l'intera divisa di football!”

Beh, fin qui, pensai, non c'era niente di male.

“Compresa di parastinchi e dentiera!”

...Ah.

“Quel coso diceva lavaggi pesanti, mamma! La divisa pesa otto chili!”

“Vallo a dire al bagno allagato e alla centrifuga spaccata! Oh, io ti...Io ti-”

“Carole? Tesoro?”

La donna, finalmente, si accorse della presenza di suo marito, e della mia. Il suo viso passò da un'espressione terrificante ad una assolutamente angelica.

“Tu devi essere Blaine!!”

“E' Blaine.” Ribatté il marito, con tono decisamente meno entusiasta.

“Oh mio Dio Blaine, sono così felice di conoscerti come si deve! Ti avevo visto alla partita di campionato del mio Finn, però non abbiamo parlato molto, no?” 

“Sono felice di rivederla. -esordii, gentilmente- E non si preoccupi, anche io ero piuttosto preso dalla partita.”
Burt sollevò un sopracciglio, come preso contropiede.

“Ti piace il football?”

“E' il mio sport preferito.”

“...Ti piace lo sport!?”

Prima che potessi rispondere in modo affermativo un altro urlo riecheggiò per tutta la casa.

“Mamma! Dov'è l'altra scarpa!?”
“FINN HUDSON! Mi manderai in galera un giorno di questi!!”

“Ma si può sapere cosa sono tutte queste urla!?”

Mi illuminai. Il mio sorriso si fece più largo, e il mio sguardo più acceso. Mi ero quasi dimenticato del motivo per cui mi trovavo lì.

“Io starei cercando di prepararmi per un appuntamento, con un armadio miseramente limitato e dei capelli increspati dal vento! Un po' di comprensio...”

Non finì la frase. Perché Kurt aveva appena finito di scendere le scale, con il papillion sbottonato e i calzini a pois bianchi e rossi, e davanti a lui c'ero io.

“Ciao.” Sussurrai, il cuore che assomigliava ad una mitraglietta per quanto batteva forte.

Il suo viso si dipinse di un'espressione a metà tra il sorpreso, l'imbarazzato e l'innamorato.

“Blaine!” Esclamò, avvicinandosi a me con un solo lungo passo, e rimanendo qualche secondo così, immobili, l'uno di fronte all'altro.

“Che...che ci fai qui? E'...è da tanto che aspetti?”

Era sinceramente contento di vedermi. Era entusiasta della nostra serata, si stava impegnando per prepararsi a dovere, l'avevo sentito bene.

E fu ancora più doloroso per me, quando gli dissi che la macchina aveva subito dei seri danni, e ci aveva lasciato a piedi.

Lui ci mise un po' ad afferrare il concetto, preferendo tralasciare inutili dettagli tecnici e concentrandoci sul fulcro del problema.

“Quindi...niente giapponese?”

“Mi dispiace, Kurt.” Abbassai lo sguardo. Ero davvero amareggiato.

“Beh, poco male. Possiamo sempre usare la macchina di Finn.”
“Cosa!? - Il ragazzo sbucò da sotto il divano, con una scarpa impolverata in mano – No, non esiste! Io devo uscire con Quinn stasera!”

“Oh, andiamo, Quinn la vedi tutti i giorni!”

“Ma ora lei è presissima da questa faccenda del Prom Queen e Prom King, e vuole che vada a casa sua a provare i discorsi di ringraziamento e le pose per il ballo di apertura! E dai, lo sai com'è fatta, se le do buca all'ultimo momento è capace di non rivolgermi la parola fino alle Nazionali!”

Sbuffò sonoramente, incrociando le braccia al petto, e Finn sgattaiolò via prima che il fratellastro facesse qualche manovra di sabotaggio per rubargli le chiavi della macchina.

Mi scervellai per trovare un piano B, ma niente sembrava allettante quanto il giapponese e la passeggiata sotto al chiaro di luna.

“Senti, perché non andiamo a mangiare dal Bel Grissino?”

“E' Sabato sera, sarà tutto pieno, lo sai..”

“Oh, già...”

Abbassammo istintivamente le spalle, ma senza interrompere lo sguardo. I nostri occhi sembravano domandarsi a vicenda che cosa fare.

Carole, che aveva assistito alla scena in silenziosa contemplazione, ci propose timidamente di cenare lì con loro, e di fare un bel giro per il centro dopocena.

“Mi va! -Esclamò Kurt- Cioè, sempre se va bene anche a te...”

Sorrisi. Mi sarei potuto perdere nel mare dei suoi occhi azzurri.

“Sembra perfetto.”

“Ottimo. Vado a...hem... -lanciò uno sguardo ai suoi calzini colorati, per poi correre via lungo le scale- mi cambio in un attimo e scendo!”

Più ci pensavo, e più fremevo dalla voglia di salire le scale con lui, per poi dirigermi in camera sua e tempestarlo di baci. 

Ma, evidentemente, Burt aveva in serbo un altro piano.

“Blaine, potresti raggiungermi un attimo in cucina?”

Mi fece sedere sul tavolo, faccia a faccia, e prima che me ne potessi accorgere Carole mi aveva chiuso la porta alle spalle lanciandomi un sorriso piuttosto tirato.

“Allora.” 

Non prometteva niente di buono.

“Kurt mi ha detto che oggi è esattamente un mese che state insieme.”

Oh, cavolo. 

Aveva iniziato la “chiacchierata”. “L'interrogatorio”. “La resa dei conti”. Chiamatela come vi pare, fatto sta che ero fottuto.

“E insomma...sei il ragazzo di mio figlio?” Domandò, con un tono spaventosamente tranquillo.

Era una domanda a trabocchetto!?

“...Sì, signore.” 

“Sei sicuro di essere gay al cento per cento, vero? Voglio dire, le macchine, il football...”

“Sono sicurissimo.” Feci d'istinto, e lui non apprezzò molto la determinazione con cui affermai quella parola. Era come se gli avessi appena detto che suo figlio mi arrapava da impazzire! Oh, Dio, volevo morire.

“Tu...fumi?”

Inspirai profondamente.

“No, signore.”

“Però, da quanto ricordo, bevi.”

Oh, giusto. Perché il nostro primo incontro era stato con io in stato semi-comatoso sul letto di suo figlio.

Mi guardai intorno; doveva esserci per forza una scala anti-incendio, o una pala per scavarmi una fossa. Oh, c'era uno spago. Chissà se avrebbe funzionato, come corda da impiccagione?

“Le giuro -balbettai, il volto pallido come la morte- che non ho più toccato una goccia da quella sera.” 

“Lo spero bene. Siete ancora troppo piccoli per fare queste cose. E non solo queste cose.”

Mei-dei. Mei-dei. Autocombiustione tra tre, due, uno....

“Parliamo da uomo ad uomo, ti va?”

No, non mi andava. Non mi andava per niente!

“Tu, con mio figlio...” e fece un gesto convesso con le mani,che voleva dire tutto e niente, che voleva intendere delle cose e molte altre che mi fecero avvampare soltanto all'idea.

“Oh, N-NO! Cioè, mi lasci spiegare! I-io le posso assicurare che n-non ho mai cercato n-nemmeno una volta di..di..non ho alcuna intenzione di...o almeno, non adesso...Oh, Dio! Non intendevo, voglio dire, Kurt è il mio ragazzo, però non vorrei mai...cioè, certo che vorrei, è il mio ragazzo! Ma non vorrei che, non adesso, cioè, non senza che...non...mi scusi, qual era la domanda..??”

Mi fissò incolore. 

E il colletto della camicia si era fatto improvvisamente molto, molto stretto.

“Tu...sei un tipo strano.”

Deglutii. Non ebbi il coraggio di chiedere se fosse uno strano positivo, o uno strano da “stai lontano da mio figlio”.

Eppure, dopo qualche secondo, vidi il suo viso distendersi.

“Sai...” non c'era più astio, nelle sue parole, e nel suo sguardo non c'era più quella punta di freddezza da terzo grado. Sembrava soltanto un uomo, che si stava confidando ad un altro uomo, come un amico.

“Kurt...Kurt è mio figlio.”

Sospirò, posando il cappellino sul tavolo e tenendoselo stretto tra le sue dita.

“Da quando mi ha dichiarato di essere gay, abbiamo iniziato ad essere una vera famiglia. Non lo eravamo da tanto tempo, da quando sua madre è morta. Ma nonostante tutto il mio appoggio possibile, Kurt si è sempre sentito molto solo. E il fatto di essere l'unico gay dichiarato lo distruggeva.”

Fece una breve pausa, prima di riprendere.

“Non è mai stata facile, per lui. Prima sua madre, poi la scuola...quest'anno ho avuto un infarto, e mentre cadevo a terra l'unica cosa a cui ho pensato è stata mio figlio.''

Rimasi in silenzio. Non c'era niente da dire, di fronte ad una cosa simile. Non mi sarei mai aspettato un simile discorso, da parte sua. Non mi sarei aspettato tanta confidenza.

“Non volevo che si sentisse solo. Perché si era sempre sentito da solo. O meglio...fino ad un mese fa.”

Sussultai.  

“Non so come dirtelo... -mormorò, la voce fatta più tremolante. -Un giorno torna a casa e mi dice: papà, io sono felice.”

I miei occhi si fecero improvvisamente più limpidi.

“E per un momento -continuò lui- ho avuto paura. Paura che questo ragazzo facesse del male a mio figlio. Paura che...che me lo portasse via da me.”

“Non lo farei mai.” Sussurrai, la gola secca, il respiro irregolare.

E in quel momento lui si sporse un po' più in avanti, abbozzando un sorriso.

“Lo so, Blaine.

L'ho capito subito. Cavolo, lo capirebbe chiunque: mi è bastato osservarti per un minuto nel corridoio per vedere quanto gli vuoi bene. Non appena lo hai visto ti sei illuminato come una lampadina. Avevi un sorriso che arrivava fino ai capelli!”

Arrossii leggermente, ma allo stesso tempo mi sentii lusingato. 

“I miei amici lo chiamano Kurt-sorriso.”

Il signor Hummel esitò un secondo, guardandomi confuso, e poi ridacchiammo entrambi; fu come se fossimo stati inondati da una gettata di acqua fresca, rincuorante e benigna. 

Andava tutto bene. Conoscevo per fama la bontà e l'intelligenza di quell'uomo, ma mai e poi mai mi sarei aspettato una cosa simile. Mi stava parlando con il cuore in mano. Non mi stava giudicando come uno sconosciuto ragazzo che pretendeva di stare con suo figlio. Mi stava guardando come Blaine, il ragazzo che Kurt aveva scelto. 

E le mie mani tremarono. Ma non di paura. 

Ero commosso.

“Sei un bravo ragazzo, Blaine. -concluse, più sicuro di ciò che diceva- Un po' strano, a dirla tutta. Ma sei un bravo ragazzo e, soprattutto, tieni veramente a mio figlio.”

Sorrisi. Ecco, adesso sapevo che era un complimento.

“Kurt si fida di te, ciecamente. E io mi voglio fidare.”

Lui mi aveva accettato. Mi aveva affidato suo figlio,  la cosa più importante, suo figlio, perseguitato da bulli, e sofferenze. E ora sentiva di poter essere tranquillo. Sentiva di poter accettare che un altro ragazzo, uno sconosciuto, un altro gay, come lui, lo amasse e entrasse a far parte della sua vita, della loro vita.
“Non la deluderò,” affermai, e lui mi rispose orgogliosamente: “Oh, ti conviene non farlo. Altrimenti potrei accidentalmente distruggerti la macchina con il montacarichi.”

Ridemmo di nuovo, stavolta più fragorosamente, e così facendo attirammo l'attenzione di Carole, che intuì fossimo giunti alla fine della chiacchierata.

Non appena entrò in cucina capì che era andato tutto bene: “era ovvio”, mi disse in seguito, mentre l'aiutavo ad apparecchiare la tavola. Io la ringraziai del complimento sottinteso, e preferii non dirle che per me, invece, non era poi così tanto ovvio.

La signora Hudson mi chiese di andare a chiamare Kurt per la cena, e io non me lo feci ripetere due volte. Feci le scale a due a due, rischiando di inciampare tre o quattro volte per l'emozione, e una volta arrivato alla sua camera feci un bel respiro, rimanendo diversi secondi ad osservare la targhetta sulla porta con su scritto il suo nome. Era deliziosa, tutta decorata di brillantini e con una calligrafia indimenticabile.

“Kurt?” domandai, bussando gentilmente alla porta.

Il ragazzo l'aprì di scatto: era vestito in un modo completamente diverso da prima, fatta eccezione per i calzini a pois.

“Come sto?”

Diedi una veloce occhiata ai suoi jeans aderenti, il cardigan abbottonato all'altezza della cintura e la maglietta di cotone elasticizzato sotto di questa, raffigurante una stampa in bianco e nero di New York.

“Come prima. Benissimo.” Specificai, eliminando all'istante la sua espressione delusa. “Mi spieghi perché ti sei cambiato?”

“Oh, non ero molto convinto della giacca da abbinare.”

“I calzini, però, sono rimasti.”
Si coprì i piedi nel miglior modo possibile, e io scoppiai a ridere a crepapelle.

“Non mi giudicare!! Ovviamente non sono quelli che metto per uscire. In verità non li metto MAI! E' solo che me li ha regalati Finn per Natale, e se non me li metto una volta ogni morte di Papa si offende! Sono orribili, lo so, sembro la versione a colori di Charlie Chaplin!”

“Io li trovo adorabili.” 

Sentendo quella frase si rilassò all'istante, increspando le labbra in un sorriso.

“Lo dici solo per non offendermi...”

“Invece sono serissimo. Guarda.” Alzai l'orlo dei miei jeans ripiegati, mostrando un paio di calzini neri a righe blu e rosse.

“Blu e rosse? -Sbottò Kurt, con una risata- Non riesci proprio ad indossare altro?”

“La Dalton ti penetra fin dentro l'anima.” 

 

 

 

La cena passò in un lampo. In verità ero troppo concentrato ad ammirare lo splendido rapporto tra Kurt e il signor Hummel per poter mangiare granché. Si raccontavano la giornata, Kurt aggiungeva qualche particolare della scuola e Burt ci faceva ridere con qualche aneddoto divertente che gli avevano detto in officina. Carole, poi, cominciò a parlare dei saldi e di come volesse comprarsi un vestito nuovo, e ovviamente Kurt colse la palla al balzo per prenotare una giornata di sano shopping, tutto sotto alla sospirante rassegnazione del padre, che non poté far altro che annuire, e garantire la sua carta di credito. Perché Kurt e Carole, insieme, non riusciva a fermarli nessuno.

E io sorridevo, commentavo, ridevo alle battute di Kurt e alle urla isteriche di Carole, che avevo capito essere una cosa di routine, e non un campanellino d'allarme per qualcosa di più serio.

Stavo davvero bene. Il cibo non era di qualità, la televisione era rigorosamente spenta, e gli argomenti di conversazione non riguardavano cose serie o importanti come la crisi economica, le ultime elezioni o lo scandalo avvenuto nello sporting club vicino. Si parlava di vita, di lavoro e di sfilate di moda, e all'inizio fui un po' titubante quando Kurt mi chiese un parere sulla copertina dell'ultimo Vogue: alzai lo sguardo, incrociando quello dei due adulti, e mi assicurai che fosse ok, che potessi farlo veramente, parlare di riviste, musical e quant'altro, in piena libertà.

Era una bella sensazione. Essere a tavola, con il mio ragazzo e la sua famiglia, ed essere libero di esprimermi in tutto me stesso.

E i miei occhi cominciarono a pungere terribilmente quando pensai che, a casa mia, una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere.

 

 

Finita la cena mi era rimasto poco tempo da passare con Kurt, se non volevo perdere l'ultimo autobus possibile. Carole mi aveva proposto di restare a dormire per la notte, con grandissimo entusiasmo di Kurt e pochissimo di suo padre, ma io gentilmente rifiutai l'offerta, spiegando che dovevo alzarmi presto per studiare, e che non volevo recare alcun disturbo. 

Senza perdere ulteriore tempo, quindi, ci rifugiammo in camera di Kurt, stando bene attenti a socchiudere la porta, invece di lasciarla completamente spalancata come ordinato dal padre. Va bene che si fidava, ma era pur sempre il super-protettivo Burt Hummel.

Entrai nella stanza... e rimasi semplicemente estasiato. C'erano poster di Barbra Streisand e Lady Gaga appesi al muro, vestiti di qualsiasi sorta sparsi per la camera, il letto coperto da delle lenzuola di seta blu, intonate con il suo pigiama raffinato, e la scrivania era tappezzata da riviste di Vogue, Fair e Matrimoni, mentre le altre erano perfettamente catalogate e riposte nella lunga libreria a muro.

“Scusa il disordine... -borbottò- non ho fatto in tempo a sistemare.”

“Intendi dire che...questi sono tutti i vestiti che ti sei provato per stasera?”

Lui annuì, un po' incerto, mentre cominciava a piegarli accuratamente e ad infilarli nella cassettiera.

“Stasera ammetto di aver esagerato un pochino.”

“Solo un pochino?” Incalzai, avvicinandomi a lui da dietro, lentamente, continuando a guardarlo con amore.

“Beh, un pochino-tanto.” Si voltò, sentendo il calore del mio corpo attraverso i vestiti. 

Mi sporsi quanto bastava per annullare quella distanza e lasciargli un tenero bacio a stampo, premendo appena le labbra.

“Siamo ad un mese.” commentò, e il mio sorriso scomparve non appena mi ricordai della serata che avevamo perduto a causa del mio stupido catorcio. Ma Kurt non sembrò essere tanto dispiaciuto: “Sai quanti altri Mesiversari ci saranno? Avremo tutto il tempo per fare cenette romantiche.”

Il mio cuore perse qualche battito per la strada.

“E' vero. E comunque abbiamo passato una bella serata. Beh, quando ero con tuo padre ho seriamente preso in considerazione il suicidio, ma..”

“Cosa? Mio padre? Che ti ha detto? Quando? Oh ti prego, non dirmi che ti ha parlato.”

“L'ha fatto.” E nei suoi occhi comparve il terrore. Cominciò ad osservarmi millimetro per millimetro, accarezzò i capelli, controllò le guance, afferrò i polsi in cerca di segni di lotta, e continuava a domandarmi scusa, perché suo padre era una piaga, secondo lui, e non ci poteva credere che mi aveva veramente fatto una chiacchierata da suocero.

“Kurt, Kurt.” Presi il volto tra le mani, cercando di calmarlo con il mio sguardo dolce.

“Non mi devi chiedere scusa. Tuo padre non ha tentato di uccidermi, anzi, è stato molto gentile. Aveva il diritto di parlarmi...e se devo dirla tutta, l'ho apprezzato molto. Il mio non l'avrebbe mai fatto.”

I miei occhi si rabbuiarono un poco, mentre si scostavano dai suoi, e lui semplicemente inarcò un sopracciglio, dubitante, ma anche profondamente curioso di sapere qualcosa di più. Ma non era il momento adatto. Dovevamo festeggiare il nostro Mesiversario.

“Un mese”, ripetei, cominciando ad assaporare quella parola dentro di me.

“E' soltanto l'inizio”, disse, cominciando ad accarezzare la mia mano tra le sue, le dita affusolate che scorrevano su e giù sul dorso e sul palmo.

“Un bellissimo inizio.”

E stavolta fu lui ad avvicinarsi, con sorprendente e alquanto piacevole audacia, intrecciando le mani e passando quella libera sopra al mio collo.

“Hai un buon profumo. Come si chiama?”

“Polo. L'ho preso per l'occasione. - spiegai, crogiolandomi dei suoi respiri caldi contro la mia guancia – come mai non usi quello che ti ho regalato io? Quello di Kalvin Klein.”

Si scostò leggermente, guardandomi leggermente allibito, per poi dire: “Non posso certo usare quello, dopo si consuma!”

“Kurt, in teoria il suo scopo sarebbe quello.”

“Giammai. Lo tengo come un cimelio.”

Ridacchiai, ripensando a quello che mi aveva detto Chase: un altarino con tutte le mie cose. Chissà che fine aveva fatto. 

Inaspettatamente, anche lui scoppiò a ridere. Ma di gusto. E io inarcai un sopracciglio chiedendogli che cosa lo rendesse tanto allegro.

“Rachel Berry crede che ti stia tradendo con Sam.”

“Che cosa?!?”

“Gli ho prestato una mia giacca, e lei si è ricordata che l'avevo messa l'anno scorso. Non so se essere profondamente lusingato, o cominciare ad aver paura.”
Giusto: nessuno sapeva che Kurt stava prestando dei vestiti a Sam, che era in serie difficoltà economiche. Io gli avevo regalato un paio di felpe, ma tornarono indietro attraverso Kurt, scoprendo che gli stavano piccole e strette.

Risi insieme a lui dopo aver immaginato la faccia sconcertata di Rachel che fantasticava su scenari a dir poco improbabili. Dopodiché lo abbracciai, dolce, lento, e lui si accoccolò con la testa sopra la mia spalla, e una mano intrecciata alla mia, all'altezza del cuore.
Ci guardammo negli occhi, entrambi pensando la cosa: battevano fortissimi. Ma era come se, nel loro frenetico rimbombo, fossero collegati. Sembrava il suono di un duetto.

“Credi...credi che posso baciarti?”

Alzò velocemente la testa, guardando la porta socchiusa e la nostra posizione decisamente sconveniente. Probabilmente avevamo superato già di una spanna il limite di gesti di affetto consentiti nel territorio Hummel. 

Ma, quando vidi il suo viso avvicinarsi sempre di più, e il suo sorriso farsi sempre più divertito, capii che potevamo concederci una piccola trasgressione, di tanto in tanto.

 

 

*****

Sì, so che morite dalla voglia di sapere che diavolo di padre abbia Blaine, ma vi chiedo un altro pochino di pazienza, e vi assicuro che avrete molto presto le risposte alle vostre domande.

Nonostante la settimana di Ferragosto abbia mietuto molti lettori ci sono state lo stesso sette fantastiche persone che hanno recensito: vi ringrazio!! Mi avete fatto passare davvero delle belle vacanze.

E ringrazio anche tutte quelle persone che continuano a leggere, a preferirmi e soprattutto a commentarmi.

Se avete qualche secondo, potreste recensire questo capitolo? Vorrei davvero sapere il vostro parere su questa fantomatica chiacchierata.

Grazie ancora, e alla prossima!!

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Capitolo 24
*** Mi piaci ***


Prima di lasciarvi al capitolo, volevo fare l'ennesimo ringraziamento. Questa storia sta avendo sempre più successo e io stessa fatico a crederci.

Quindi con un po' di gioia (più che altro per voi, lo so benissimo) vi avviso che questo capitolo si tingerà di giallo. Giallo chiaro, per così dire. Avevo già cambiato il rating della fanfic da un po', ma visto che per 22 capitoli non ho scritto niente del genere, mi sembrava giusto avvisarvi.

Beh, scommetto che sarà una buona lettura.

 

 

Capitolo 23

Mi piaci

 

 

Con la scusa di controllare le riparazioni della macchina passavo sempre più tempo in casa di Kurt. E quando ebbi la conferma di non essere affatto considerato un peso, o un reietto, cominciai ad andare a casa sua anche nei week-end.

In questo modo conobbi sempre più a fondo Finn, con il quale guardavo spesso le partite di football alla televisione, e Carole, per la quale dovevo cantare qualcosa praticamente ogni volta che ci vedevamo, ma soprattutto il signor Hummel: era un uomo semplice, devoto al suo lavoro ed incredibilmente iperprotettivo verso suo figlio, con grande seccatura da parte sua e ammirazione dalla mia: ogni volta che arrivavo me lo trovavo sulla soglia di casa, dicendo che aveva del lavoro arretrato, stava aspettando l'idraulico o aveva un improvviso e lancinante crampo in parti non molto definite. In pratica, non sarebbe uscito per tutta la durata della mia permanenza. Era ovvio che il suo secondo fine fosse di controllare me e Kurt, ma non era un grosso problema: oltre a qualche effusione sporadica, mentre aspettavamo che si caricasse un video di youtube, o durante la pubblicità di una sfilata, non facevamo niente di indiscreto, anche se avrei tanto voluto dargli un bacio che durasse più di cinque secondi. Dopo tutte quelle lunghe giornate alla Dalton era davvero difficile resistere, ma da parte mia non volevo tradire la fiducia che mi aveva donato suo padre, e poi avevo sempre paura che sbucasse da un momento all'altro -cosa che, in effetti, faceva spesso-, e Kurt ha sempre dimostrato il suo affetto per me tramite piccoli gesti, sorrisi, carezze, occhiate semplicemente disarmanti, ma niente di più. Non lo avevo mai visto fremere dalla voglia di baciarmi, anzi, spesso ero io a trascinarlo con la mia passione, a fare la prima mossa, a convincerlo di buttare all'aria libri e quaderni per dedicarci ad una sana pausa.

Insomma, non avrei mai sperato che potesse avvenire il contrario.

Un giorno come tanti stavamo seduti ai piedi del suo letto, i pop-corn in una mano e la diet-coke nell'altra, e di fronte a noi il “Mouline Rouge”, uno dei musical più commuoventi della storia. Con le sue scenografie, le canzoni, la storia d'amore, eravamo letteralmente incollati allo schermo, così tanto che non ci accorgemmo della presenza di Burt.

Verificato che il nostro contatto si limitasse ad una vicinanza di spalle, disse: “Mi ha chiamato Bill. C'è un'emergenza in officina. Non ci andrei se non fosse grave, ma temo proprio di dovervi lasciare da soli.”

Io continuavo a mangiare pop-corn, guardando Satine che cominciava a sentirsi male. Kurt, fortunatamente, ebbe la prontezza di rispondere: “Ah-ah, ok.”

Il signor Hummel per un attimo parve accigliato, ma poi vide il soggetto della questione e abbozzò un sorriso: “Le Mouline Rouge” era uno dei film preferiti di Kurt. Gliel'aveva fatto vedere una decina di volte e lui, a malincuore, si addormentava involontariamente verso la metà. Forse era rimasto contento di vederci presi dal film, nello stesso identico modo. L'ennesimo interesse in comune, direbbe lui, ma non aveva tutti i torti: dopotutto, era anche uno dei miei film preferiti.

“Mi raccomando, ragazzi.”

“Sì, papà. Ciao.”
Detto quello se ne andò, socchiudendo a malapena la porta.

Non ci eravamo davvero accorti della possibilità che ci era stata offerta. Paradossalmente, avevo passato un sacco di tempo bramando quel momento, e ora tutto ciò a cui pensavo era Satine che si accasciava debolmente al suolo, Edward che la afferrava dolcemente per la nuca, e lei diceva: “Come What may...”

Come What may...” continuò l'attore, con voce tremante.

I will love you. 'Till the end of time.”

Lo ammetto, mi ero commosso.

Blaine.” Kurt strinse la mia mano così tanto da farmi quasi male. I suoi occhi azzurri erano pieni di lacrime, mentre fissavano i miei fatti improvvisamente più grandi e limpidi.

Promettimi che non morirai mai di tubercolosi. Promettimelo.”

Ridacchiai. “Per ora non è nei miei piani.”

Gli cinsi le sue spalle per un braccio, e rimanemmo qualche altro minuto a fissare i titoli di coda, i fazzolettini nelle mani libere e la musica che continuava a riecheggiare nelle nostre teste.

Sarà stata la cinquantesima volta che vedevamo quel film, e ogni volta piangevamo come dei bambini. Era assurdo. Ma era anche splendido.

Quando lo schermo divenne completamente nero sorrise, sistemandosi meglio contro il mio petto coperto dalla sottile camicia della divisa.

Ci fu una lunga pausa.

“Beh...ora che vuoi fare?” Chiese, accarezzando delicatamente il mio braccio.

No. Non colsi la leggera punta di malizia nella sua voce.
“Non lo so... potremmo...potremmo mettere su un altro film?”

“...Ah. Ok.”

Cos'era quella risposta secca e fredda?

Inarcai un sopracciglio, ma i miei dubbi erano fondati: dopo un secondo lo vidi alzarsi in piedi e dirigersi verso la libreria.

“Kurt?”

“Che film vuoi vedere?” La domanda uscì fuori in modo piuttosto acido, anche se cercava in tutti i modi di mascherarlo.

“Kurt...ma che hai? Sei arrabbiato?”

Si voltò di scatto. E dalle sue guance rosee, dalla sua mascella serrata, dalle sue mani che si stavano torturando a vicenda, capii.

Non c'era nessuno in casa. Finn era agli allenamenti, Carole era uscita con delle amiche e Burt era corso al lavoro. Eravamo completamente soli.
“No. -Mentì lui, in risposta alla mia domanda – Perché dovrei? Ti ho chiesto che ti andava di fare, e tu hai risposto con un film. Non c'è nessun problema.”

Oh, diavolo. Come potevo essere stato tanto stupido?!? Kurt aveva sempre avuto problemi ad affrontare la sua sensualità, benché gli avessi ripetuto più e più volte che lui era sexy, e non aveva nemmeno bisogno di impegnarsi per esserlo. E ora che aveva cercato di essere carino, di sedurmi, io gli avevo detto di guardare un altro stupidissimo film.

Accidenti a me.

“Kurt...” provai a dire, ma fui subito interrotto.

“Cosa? Che c'è?”

Oh, era imbarazzato. Accidenti, accidenti a me.

“Posso dire una cosa?”

Lui rimase un secondo a fissarmi, in trepidante attesa. Mi feci sempre più vicino, il sorriso più lungo, gli occhi più intensi.

“Sono un grandissimo stupido.”

E, alla fine, lo baciai.

Non avevo mai considerato le cose dal suo punto di vista. Non avevo mai pensato a come doveva essersi sentito lui, quel pomeriggio alla Dalton, quando fummo interrotti da Flint, o quella sera in macchina, quando con una gomitata al clacson feci svegliare mezzo vicinato, o nel giorno del nostro Mesiversario, quando si era esposto per baciarmi, lui, di sua spontanea iniziativa. Non avevo considerato che, forse, desiderava quel contatto tanto quanto me. Ma iniziai a capirlo, quando sentii la sua mano scorrere lungo la mia schiena, e i suoi baci farsi sempre più invadenti.

Non saprei dire quale fu il campanello d'allarme, ciò che lo spinse a proseguire la scia di baci lungo la mia mascella, e poi il collo. L'unica cosa che posso dire, è che era stupendo. Lui era stupendo. La sua lingua che massaggiava delicatamente il pomo d'Adamo era qualcosa di indescrivibile.

Godendo di quel caldo contatto lo spinsi dolcemente verso il letto, facendolo sedere sopra di me. Ora ero io a tempestarlo di baci, passando dalla fronte alla guancia, mordicchiando e succhiando il lobo del suo orecchio sinistro, fino ad indugiare sul suo morbido labbro inferiore che si era già fatte più gonfie e umide.

“Kurt...” sospirai, contro la sua pelle calda.

Lui, in risposta, si sistemò meglio sulle mie gambe, e continuò a studiare scrupolosamente ogni centimetro del mio collo, soffermandosi di tanto in tanto ad annusare qualcosa, non sapevo bene cosa, non avevo indossato nessun profumo, eppure lui sembrava respirare intensamente, sembrava sentire qualcosa di veramente buono, che gli piaceva da impazzire.

E poi intuii: era il mio odore.

Il mio tocco cominciò a farsi più fermo, mentre con una mano stringevo la sua, con l'altra facevo scorrere le dita lungo la sua maglia, dal torace, fino al fianco.

Blaine...”

Sussultai. Non avevo mai sentito la voce di Kurt così bassa. Così sensuale.

Una scarica di adrenalina percorse tutta la mia spina dorsale, e mi diede i brividi.

Non riuscivo nemmeno a capire cosa stava succedendo. Un momento prima eravamo seduti a piangere per “Le Mouline Rouge”, e ora stavo toccando senza ritegno il corpo del mio fidanzato, coperto da un sottile strato di maglina sintetica.

Ma lui, evidentemente, era nella mia stessa situazione. Perché continuava a baciarmi, a sospirare, e potevo sentire il suo cuore battere sempre più veloce.

E non sentii solo quello.

Perché, in effetti, Kurt era seduto a cavalcioni sopra di me, ed era emozionato.

Molto emozionato.

E questo, di certo, non poté sfuggire alla sua attenzione.

Si fermò all'istante. Guardò dapprima me, poi lui, e poi sbiancò immediatamente non appena indirizzò gli occhi spalancati verso il mio collo.

E se all'inizio avrei potuto far finta di non notare tutta la passione manifestata, come prova lampante dei sentimenti che lo avevano travolto c'era una piccola, ma evidente, macchietta color prugna a pochi centimetri dalla mia mandibola.

“...Kurt?”

“Mi dispiace.” Disse tutto d'un fiato, scostandosi da me e cercando di sfiammare le sue guance rossastre.

“E di cosa? Kurt. Parliamone.”

“No no no no no. Non ne voglio parlare. Non ne voglio assolutamente parlare! Dovresti andar via. Anzi, sai che ti dico? Se non ti sbrighi perderai l'autobus. Dio, mi sento così stupido...”

“Autobus? Stupido? Ma che cosa...Kurt, non starai dicendo sul serio!”

Ma lui aveva già afferrato la mia cartella, ci aveva messo dentro un paio di libri -non curandosi di controllare quali fossero i suoi e quali i miei- e me l'aveva letteralmente lanciata addosso.

Non ci potevo credere. Mi sembrava di vivere un dejà-vù. Kurt che rifiutava di guardarmi negli occhi, e io che cercavo in tutti i modi di catturare i suoi. Era successa la stessa cosa mesi prima, quando si era rifiutato di parlare di sesso.

Ma non poteva rifiutarsi, non adesso. Non ero più un suo semplice amico. Ero il suo ragazzo.

Ma non feci davvero in tempo a dirglielo. In effetti, non feci in tempo nemmeno a pensarlo.

In meno di un secondo, ero fuori dalla sua porta. Ed ero davvero confuso.

“Kurt-”

“Mi dispiace, Blaine. Mi dispiace.”
Mi chiuse la porta in faccia.

 

 

 

“Allora, Blaine.”

Odiavo quella frase.

“Hai una sciarpa molto carina.”

Lanciai un'occhiataccia a Ed, ma questo sembrò ancora più divertito.

“Grazie. E' un regalo di Kurt.”

“Che cosa? La sciarpa, o il succhiotto?”

Serrai la mascella. Sarebbe stato meglio lasciarlo in bella vista. Potevo dire che mi aveva leccato un cane. O che mi aveva morso Flint nella notte. Adesso quella sciarpa invernale che arrivava fino al mento sembrava gridare “guardatemi! Sono Blaine Anderson, e ho un succhiotto!”

In verità avrei tanto voluto farlo. Andavo fiero di quel succhiotto. Era il simbolo che Kurt si sentiva attratto da me. Adoravo quel succhiotto. Però, purtroppo, la Dalton aveva delle regole molto rigide a riguardo, e la Pitsbury non aveva ancora riconsegnato le relazioni di chimica.

Ciliegina sulla torta, avevo mandato tipo una sessantina di messaggi a Kurt, chiedendogli di chiamarmi, di parlarmi, perché volevo assolutamente chiarire la situazione, e l'unica risposta ricevuta fu:

Mi dispiace, Blaine. Non posso ancora vederti. Devo risolvere questo problema. Ti voglio davvero, davvero bene. -K”

E non potei trattenermi dal digitare: “Ma non è affatto un problema! E ti assicuro che questa cosa non ha fatto altro che incrementare il mio affetto per te. Ti prego, parlami. -B”

Come sospettato, non ricevetti risposta.

Va bene, -scrissi, un'ultima, disperata, volta- prenditi tutto il tempo che vuoi. Dormici su. Io sarò qui, quando ne vorrai parlare. Ti voglio bene. -B”

Sperai soltanto di non dover aspettare troppo. Sperai seriamente di non aver compromesso il nostro rapporto.

“Hai visto gli altri?” Mi domandò Ed tutto ad un tratto, guardandosi intorno.

“No.” In effetti, mancavano diverse persone. La riunione degli Warblers sarebbe cominciata a momenti, e non c'erano neanche metà dei membri.

Che stava succedendo?

“Warblers, ordine prego.”
Ci sedemmo all'istante, osservando con circospezione le espressioni incolore dei tre membri del consiglio. Come mai iniziavano senza aspettare l'arrivo degli altri? Come mai non domandavano niente riguardo la loro assenza?

“Se vi state chiedendo che fine abbiano fatto gli altri membri, sappiate che hanno ricevuto stamani una lettera dal preside, sospendendoli da qualsiasi attività extrascolastica. Ci rincresce molto.”

Colin, Nick e Flint non c'erano. Non avevano superato gli esami.

E insieme a loro mancavano Wilson, Jeff e moltissimi altri ragazzi del Glee Club.

“Che significa?” borbottò Ed, più a me che ai membri del consiglio.

Io non ebbi la forza di rispondere. Non potevano semplicemente aver smesso di far parte degli Warblers, così, da un giorno a quell'altro. Non era giusto.

“Sarebbe a dire che abbiamo un numero da preparare per il festival di primavera, e siamo appena in otto. Diamoci da fare. Blaine? Scegli pure una di queste canzoni, hai carta bianca.”

Non degnai di un'occhiata i fogli che mi passarono davanti.

“Non possiamo farlo.”
Gli altri ragazzi mi fissarono allibiti.

“Che stai dicendo!? -Sbottò Thad- Non è colpa nostra se non hanno studiato a dovere. Non fare il bambino, e pensa alla canzone.”
“Adesso staremo molto meglio!” Decretò un ragazzo del terzo anno, con fare altezzoso. “Non avremo più trai piedi tutti quei casinisti, e potremmo finalmente fare una prova come si deve, senza interruzioni!”

Strinsi i pugni.

“E' così che li definisci i tuoi compagni? Casinisti?”

“Ma dove diavolo è finito lo spirito di squadra!?” Sbottò il mio amico, scandalizzato quanto me.

Sperai di trovare qualche cenno di supporto negli altri ragazzi, ma sembravano tutti della stessa opinione.

Ma noi due non saremmo mai riusciti ad abbandonare i nostri amici in quel modo. Non senza aver fatto di tutto per aiutarli.

Mi alzai in piedi, seguito a ruota dal mio amico.

“Io me ne vado.”

“Blaine! Non puoi fare niente!” Chiamò David, cercando di trattenermi.

Mi voltai di scatto, e un moto di orgoglio avvampò dentro al mio corpo.

“Staremo a vedere.”

Avrei parlato con la Pitsbury. Sarei andato dal preside. Avrei ricostruito gli Warblers, anche a costo di fare uno sciopero.

Il signor Morris era sempre stato gentile, con me. Ricordavo ancora quella volta con Kurt, quando ci congedò con un semplice richiamo verbale.

Quando gli chiesi di ammettere tutti i bocciati al Glee Club propose di fargli rifare gli esami di fine semestre.

Ed non riusciva a crederci. Non avrebbe mai concesso una cosa simile, lo sapevo bene. Non volevo ammettere a me stesso che, molto probabilmente, quella bontà nei miei confronti era dovuta all'amicizia che lo legava con mio padre. Cacciai una smorfia: ero di nuovo segretamente in debito con quell'uomo. E non riuscivo a sopportarlo.

 

 

Il piano era semplice: avrei cercato di inculcare in quelle teste vuote tutto il necessario per raggiungere la sufficienza, e poi avrei sperato in qualche miracolo. Perché non c'era modo di farli copiare, stavolta la sorveglianza sarebbe stata durissima, e non potevano assolutamente rischiare di essere scoperti.

Ma ce l'avrei fatta? Sarei davvero riuscito a insegnargli il programma di mezzo anno scolastico, in appena una settimana?

Forse avevo bisogno di una mano. Ed aveva passato l'esame solo grazie a quel suo orrendo fazzolettino, e non avevo nessuna intenzione di chiedere ai ragazzi del Glee Club.

Oh no.

Emisi un lungo, profondo, sospiro.

C'era soltanto una persona in grado di aiutarmi. Ma sapevo che non sarebbe stato affatto facile convincerlo.

 

 

“Frodo?”
Chase mi fissò incredulo, indeciso se sbattermi la porta in faccia o sentire che cosa avessi da dire.

“Che ci fai qui? Sappi che se vuoi fare qualche giochino sconcio con le lenzuola di Kurt, le ho mandate tutte a lavare. Anzi no, le ho bruciate.”

Ma che razza di uomo credeva che fossi?

“Veramente sono qui...per te.”

E lui, ovviamente, fraintese le mie parole.

Sbiancò di colpo, indietreggiando di un passo: “Stai scherzando spero.”

“No.”

Un momento: Chase era imbarazzato?

“NO!” Urlai, diventando completamente paonazzo, e gesticolando con le mani davanti alla faccia.

“Voglio dire, devo chiederti un favore! Ho soltanto una settimana per spiegare ai ragazzi il programma di mezzo anno, e so che da solo non ce la potrò mai fare. Quindi stavo pensando...tu hai già dato ripetizioni a Flint e gli altri, no? Quella volta in biblioteca.”

“Oh. Capisco. Meno male, avevo temuto il peggio.” Commentò, attraverso un sospiro di sollievo, troppo teatrale per risultare verosimile.

“In ogni caso, non ho intenzione di perdere altro tempo per quei ragazzi, sono una causa persa. Otterrei più soddisfazioni cercando di far asciugare gli scogli.”

“Sapevo che avresti detto così. Ma ti ricordo una cosa: tu sei in debito con me.”

E a quel punto il suo ghigno beffardo sparì del tutto. Ancora non si era ripreso dallo shock degli esami, quando lo avevo difeso in pubblico da un'accusa infondata della Pitsbury.

“Non puoi farlo.” Decretò, gelido. “Non puoi costringermi a farlo.”

“Pensala così, Chase: io ti ho aiutato, tu mi aiuti adesso, e siamo pari. Non dovrai più rivolgermi la parola.”

Ci fu un attimo di pausa, nella quale ci scrutammo a fondo, lui perso nei suoi fitti e oscuri pensieri.

Alla fine scrollò leggermente le spalle.

“Immagino di non aver altra scelta.”

 

 

Tre ore e mezza. Tre ore e mezza, e avevo finito il programma di storia. Ero un insegnante provetto! I miei amici ricordavano quasi tutte le date, ed ero sinceramente felice di vederli così impegnati a recuperare, con il solo scopo di rientrare negli Warblers. Non riuscivo a ricordare l'ultima volta che li avevo visti così seri: l'unica battuta che provarono a fare era, ovviamente, rivolta alla mia vistosa sciarpa di lana. Ma a giudicare dal mio sguardo glaciale capirono che non era aria. Evitarono l'argomento “Kurt” per tutta la durata del pomeriggio, e fortunatamente si dedicarono allo studio.

Ben presto il nostro gruppo si era esteso a tutti i ragazzi bocciati, e notai con piacere che, in gruppo, si rendeva molto di più. Quello era il potere degli Warblers.

Chase dapprima fece qualche polemica, circa la loro ignoranza, e la sua pazienza limitata, e potrei giurare di averlo anche sentito borbottare qualche maledizione nei miei confronti, ma alla fine si rivelò un valido alleato nello spiegare il differenziale, le onde elettromagnetiche e tutti gli argomenti più complicati.

Stavamo andando bene. I ragazzi erano motivati, ed io ero veramente concentrato. Così tanto che quasi mi ero quasi dimenticato della questione lasciata in sospeso con Kurt; ma era stato solo per un momento: non appena sentii il telefono vibrare, la mia faccia cambiò totalmente espressione.

Sono davanti alla tua camera, ma non c'è nessuno. Dove sei? - K

“Chase.” Il ragazzo mi guardò, interpretando solo in parte il tono della mia voce.

“Potresti andare avanti tu? Io devo...devo fare una cosa.”

Mi aspettavo che dicesse qualcosa, che cominciasse a lamentarsi, e invece tornò con lo sguardo sul libro, senza aggiungere altro.

Forse non era così meschino come pensavo. Forse, e dico, forse, dietro a quella maschera di freddezza e prese in giro si celava un ragazzo comprensivo. Ma era ancora troppo presto per dirlo.

Corsi così tanto velocemente che per poco non travolsi qualche studente per la via. Ma Kurt era lì, davanti a me, e sembrava a metà tra l'imbarazzato e il dispiaciuto mentre timidamente incrociava il suo sguardo con il mio.

Rallentai di qualche passo, fino a fermarmi completamente una volta di fronte a lui. Strano: non indossava nessuna sciarpa, e il cappotto sembrava leggermente stropicciato. Che fosse venuto di corsa?

Un'ultima occhiata, e poi mi strinse in un abbraccio.

“Mi dispiace.” Disse d'impulso, aggrappandosi a me.

“Non avrei dovuto cacciarti via in quel modo. E' che...”

“Eri sconvolto. Lo so. Non ti preoccupare, Kurt. Va tutto bene.”

Sentii le sue spalle rilassarsi un poco, e decisi che fosse il momento adatto per sciogliere la presa, e invitarlo dentro la camera. Spiegai che Flint era in sala comune assieme a tutti gli altri per una riunione di studio straordinaria. Lui non sembrò molto interessato, gli bastò sapere che il mio compagno di stanza non c'era, dopodiché si accasciò sul mio letto, come se fosse psicologicamente esausto.

In effetti aveva compiuto un grosso sforzo a venire qui, accantonando tutta la sua vergogna, per parlare. Adesso era arrivato il mio turno.

Mi avvicinai e lo abbracciai di nuovo; in quel momento lui provò ad affondare la testa nell'incavo del mi collo, ma trovò la pesante sciarpa di lana ad ostacolarlo; fu come se si riproposero davanti a lui tutte le immagini del giorno prima, tutta la sua passione non contenuta, e lo sentii irrigidirsi di colpo, farsi un poco più distante.

Tutto ciò che feci fu di stringerlo ancora di più a me, e cercai di togliermi l'indumento di dosso.

Kurt per un momento provò ad impedirmelo, ma il mio sguardo tenace non ammise intromissioni: me la sfilai senza pensarci due volte, e ora il succhiotto era lì, in bella mostra, come per dire “sì, l'hai fatto, e ne vado assolutamente fiero”.

Kurt lo stava fissando inerme, come un carnefice che guarda un'ultima volta la sua vittima; balbettò qualche parola sconnessa. Cercava di discolparsi? Di chiedermi scusa?

“Kurt -esordii, prendendo dolcemente le sue mani nelle mie- quello che è successo ieri, il fatto che tu ti sia comportato in quel modo...mi è piaciuto.”

Cercavo di essere sincero, ma anche gentile. Non volevo ferirlo in nessun modo, volevo soltanto fargli capire che era ok, che non c'era niente di cui imbarazzarsi o aver paura.

Ma lui sembrava non capire. Era come se non riuscisse più a guardarmi come prima. Beh, in effetti, era proprio così: non poteva più guardarmi come prima, perché con quel gesto aveva ammesso a se stesso che gli piacevo, e non soltanto a livello caratteriale o platonico. Gli piacevo, come un ragazzo piace ad un altro ragazzo. Probabilmente aveva cercato di non pensarci per tutto quel tempo. O se lo aveva fatto, l'aveva sempre considerato una cosa lontana da lui, e inadeguata.

Ma per me non era niente di inadeguato, anzi: era la cosa più esatta del mondo.

“Kurt, ti fidi di me?”
Esitò qualche secondo, interdetto.

“Certo che mi fido, Blaine.”

Sorrisi.

“Allora chiudi gli occhi.”

Con estrema delicatezza cominciai a baciarlo, accarezzando le sue guance soffici, e i suoi capelli morbidi, e lui all'inizio non sembrò capire le mie intenzioni. Ricambiò il bacio solo in parte, teneva lo sguardo fisso sui miei occhi socchiusi, e cominciò ad arrossire quando sentì il mio tocco farsi più tenue, diretto verso il collo, le spalle, la schiena.

Sussurrai contro la sua clavicola: “Sei bellissimo.”

Non disse niente, lasciò che continuassi la mia azione intervallata da baci e sospiri, e più passava il tempo, meno riuscivo a contenere la delicatezza dei miei tocchi, la morbidezza dei miei baci, e cominciavo ad ubriacarmi del suo profumo, ad inebriarmi della freschezza della sua pelle, ed era fantastico, non riuscivo ad immaginare ad una sensazione più forte e perfetta di quella, perché ero follemente attratto dal mio ragazzo, e ne ero consapevole.

Ecco che, dolcemente, afferrai la mano di Kurt, calmandomi quanto bastava per guardarlo dritto negli occhi.

Lui si lasciò condurre tra le mie gambe, dove poté sentire, attraverso la divisa, l'evidente eccitazione che mi aveva donato.

Assunse un'espressione stupita, quasi allibita, e per un attimo lo sentii ritrarsi di scatto. Ma non lo fece. Era sorpreso? Sorrisi. Come faceva ad esserlo? Come faceva a non aver capito che mi faceva quell'effetto, che mi piaceva, e non solo perché era uno splendido ragazzo, ma perché era Kurt, il mio ragazzo, l'uomo con cui passavo i momenti più belli della mia vita?

“Vedi -sussurrai, il respiro fatto più regolare- anche io ho il tuo stesso problema. Come ti senti?”

Ci fu un attimo di esitazione, mentre mi guardò con la coda dell'occhio.

“Sono...sono imbarazzato.”

“Anche io. Credo che sia normale.”

Kurt adesso voltò la testa verso di me. Con quella frase volevo intendere che anche per me era una sensazione nuova. Anche per me era tutto un mondo da scoprire, misterioso e allo stesso tempo affascinante.

“Ma dì la verità, -seguitai- non ti senti felice? Non ti senti... lusingato? Io mi sono sentito così, Kurt. Mi ha fatto piacere. Mi ha fatto molto piacere.”

Rifletté sulle mie parole come se fosse un problema complicato di geometria. Alla fine, abbozzò un piccolo sorriso.

“Anche a me -commentò, la voce fatta un flebile sussurro- anche a me fa piacere.”

Restò quasi ammaliato dal mio viso, che si dipingeva sempre più velocemente di un'espressione radiosa.

Tu mi piaci, Kurt.”

Sussultò. Restò qualche secondo immobile, quasi per rielaborare quella frase nella sua testa. Non era come la prima volta: intendeva un messaggio più intimo, un significato più profondo.

E poi, alla fine, attraverso un sorriso ancora un po' incerto, lasciò le mie mani, e mi abbracciò.

“Anche tu mi piaci, Blaine.”

E non c'era imbarazzo, nelle sue parole.

Lo aveva detto come se fosse la cosa più scontata del mondo.

Come se fosse stato stupido non averlo detto fino ad allora.

“Kurt?” La mia voce giunse come un sussurro, caldo e rassicurante.

“Mi permetti di...hem, sarei onorato, di risolvere il tuo problema.”

E quei secondi che precedettero la sua risposta mi sembrarono i più lunghi della mia vita.

Ma, alla fine, lo vidi annuire.

 

 

***

 

 

 

Uh. Ci avviciniamo al lemon. O all'orange. Non ho mai capito bene questi rating.

In ogni caso, è un capitolo molto importante.

Ho sempre avuto un certo timore a scriverlo, ma alla fine ho preso il coraggio a quattro mani, e l'ho fatto. Spero di non aver combinato un disastro.

Per chi avesse qualche dubbio su Kurt: vi ricordo che questa storia è narrata dal punto di vista di Blaine. E vi ricordo che Blaine è un po' tonto. Non può capire perfettamente i pensieri del suo ragazzo, ma spero di aver dato qualche segnale qua e là negli scorsi capitoli. E non può nemmeno immaginare il tipo di pensieri che ha avuto in quel giorno. Magari ci scriverò uno spin off.

Non ho altro da dire, anche perché, dopo un capitolo simile, credo che dobbiate essere voi a parlare. Ci terrei davvero tantissimo a sapere cosa ne pensate.

Grazie in anticipo a chi mi recensirà. Vi adoro tutti!

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Capitolo 25
*** Primavera. Cambiamenti? ***


Capitolo 24
Primavera. Cambiamenti?




“Sarei onorato di risolvere il tuo problema.”
 
Non ci potevo credere che fosse già passata una settimana da quando gli avevo detto quella frase.
Ci stavamo baciando sul mio letto della Dalton, le gambe intrecciate e i respiri fusi in uno solo, e le mie mani stavano scorrendo lungo tutto il corpo di Kurt, finalmente libere di poterlo fare.
Quella era stata la settimana più breve della mia vita: il tempo era volato in un attimo, e le ore erano fluite via senza che né io né Kurt ce ne fossimo veramente accorti, principalmente perché avevamo passato gran parte delle giornate analizzando minuziosamente l’uno ogni centimetro dell’altro, soffermandosi in particolare sui nostri corpi, dal momento che conoscevamo già a memoria le fattezze dei reciproci volti.
Non avremmo mai immaginato che potesse risultare così emozionante, così bello…e perfino divertente: sì, perché Kurt soffriva il solletico. L’avevo scoperto a sue spese quando, con una delicatezza quasi tremolante, sfiorai accidentalmente la pelle dei suoi fianchi, e lo vidi sobbalzare trattenendo a stento un gridolino. Da quel momento ovviamente non passò un singolo minuto senza che minacciassi un attacco, e tutte le volte lui supplicava inutilmente pietà, sotto alle mie espressioni affettuosamente divertite, per poi soccombere di risate ancora prima che mi fossi realmente avvicinato al suo bacino.
Devo ammettere che in alcuni momenti, quando il contatto diventava quasi eccessivo, e il mio autocontrollo vacillava senza ritegno, il mio istinto cercò puntualmente di mandare all’aria tutti i buoni principi e il discorso che gli avevo fatto quel pomeriggio di una settimana prima: avevo promesso a Kurt che sarebbe dipeso solo e unicamente da lui, se farlo e quando farlo, passare alla fase successiva, scoprire un nuovo lato della nostra relazione. Perché Kurt aveva un blocco, questo era chiaro: era meno chiaro, però, come avrebbe fatto a superarlo. Quindi l’unica idea che mi venne in mente fu di procedere per gradi: prima di fare qualsiasi cosa doveva acquisire familiarità con il suo corpo, ma soprattutto con il mio. Certo, non nego di essere rimasto piacevolmente sorpreso quando notai di essere stato preso in parola: un giorno, con uno slancio di audacia, lo sentii infilare una mano sotto alla camicia della mia divisa, e indugiare sui miei addominali in rilievo. Lo scontro tra la sua mano fredda e il mio petto caldo provocò a entrambi una fitta di piacere, che incrementò la pressione dei nostri baci e la stretta delle nostre mani intrecciate.
Ma cosa ancora più grande, non avrei immaginato di rimanere così folgorato dal suo corpo. Vivendo in una scuola maschile ero stato da sempre a stretto contatto con corpi maschili e avevo dovuto imparare presto ad abituarmici. Ma avere Kurt, seminudo, avvolto nelle mie braccia, era tutta un’altra cosa.
Grazie ai suoi completi attillati mi ero sognato tante volte il suo torace, e in diversi modi anche; ma la fantasia non fu minimamente paragonabile alla realtà, al momento in cui, con delicatezza, e dopo aver ottenuto una conferma dal suo sguardo, avevo cominciato a sbottonare la sua camicia rosso sgargiante, assaporando con baci sempre più umidi il petto, l’ombelico, i fianchi, gli addominali appena accennati, ma estremamente piacevoli.
Kurt era bellissimo. E non lo pensavo soltanto perché era il mio ragazzo. Era davvero l’essere più bello che avessi mai visto in vita mia. Se non l’avessi conosciuto bene, avrei potuto scambiarlo per un angelo, o qualcosa di etereo. Ma non era un angelo, no. I pochi e chiari peli che lambivano l’addome non facevano altro che ricordarmi quanto umanamente eccitante fosse, dal momento che scendevano maliziosamente in basso, per poi nascondersi sotto all’eventuale cintura firmata. Ma le mie mani si fermavano sempre prima, perché non volevo affrettare i tempi, era già tanto che avesse fatto quel passo avanti e sinceramente non riuscivo ancora a crederci.
E così, man mano che passarono i giorni, i nostri baci cominciarono a diventare più disinibiti, le nostre carezze meno discrete, e non c’era più imbarazzo nei nostri occhi, semplicemente, la voglia di scoprire, di assaggiare il sapore dell’altro, e a dirla tutta, quello di Kurt era talmente buono che talvolta ero io a lasciare dei marchi sulla sua pelle, piuttosto che il contrario. E scoppiai fragorosamente a ridere quando ammise di essere contento di quei succhiotti, perché così aveva una scusa in più per indossare tutte quelle sciarpe che amava tanto.
Kurt era migliorato tantissimo in solo una settimana. Eravamo passati da tranquilli pomeriggi di baci a interessanti pomiciate senza maglietta. Un momento mi stava baciando appassionatamente e il momento dopo si ricordava di dovermi dire qualche novità riguardo al Glee Club, con una tranquillità tale da stupire entrambi. Non era cambiato nulla, nel nostro rapporto. Anzi, ad essere sinceri, era notevolmente migliorato. Baciarci in quel modo, e poi parlare del più e del meno: era bello. Dava una confortevole sensazione di normalità.
Adesso ci stavamo concedendo una riposante “pausa” da studio, sdraiati sul mio letto, e con le rispettive magliette posate a terra. Ed era fantastico.
“Blaine…” esordì il mio ragazzo, tra un sospiro e l’altro, mentre io succhiavo la vena accanto al suo pomo d’Adamo.
“Blaine, se continuiamo così, dovrò comprarmi un altro burro cacao. E questo è nuovo.” Specificò, mordicchiando appena il lobo del mio orecchio, abbandonando la presa dalla mia mano per posarla sui capelli ormai scompigliati.
A giudicare dal suo tono, non mi pareva che gli dispiacesse granché, quindi ignorai quel commento e continuai a dedicarmi al suo collo, lasciando una scia di baci umidi che si diressero sempre più velocemente verso il suo petto.
Lui gemette a quel tocco, e inarcò un poco la schiena permettendo di cingergli il fianco con un braccio e tirarlo verso di me, mentre l’altra mano passò lungo i suoi capezzoli, per poi fermarsi placidamente sopra al suo stomaco. Ma ecco che, di nuovo, una vocina nella mia testa mi urlò di continuare.
Rallentai il ritmo, ascoltando la voce della ragione piuttosto che quella del sentimento, ed emisi un lungo respiro carico di emozioni, abbracciandolo completamente, e lasciai che si accoccolasse al mio petto caldo, appoggiando la testa sotto al mio mento, inspirando intensamente il profumo del dopobarba.
Il silenzio che si era creato intorno a noi era interrotto soltanto da lievi respiri e dall’ondeggiare dei nostri petti. Si muovevano in perfetta sincronia, come accordi di una melodia che conoscevamo a memoria. Solo noi due.
“Blaine.”
I miei occhi nocciola fissarono immediatamente i suoi, limpidi, cristallini.
“Io…volevo dirti soltanto che sono felice. Non so nemmeno perché, so solo che sentivo il bisogno di dirtelo. E’ da stupidi?”
Ridacchiai soffusamente, dicendogli semplicemente che non era affatto da stupidi, anzi, era una cosa bellissima.
“Sono così felice che ho paura di svegliarmi e di scoprire che è stato tutto un sogno. Che tutto questo non è mai esistito, e io sono ancora al McKingley senza sapere cosa fare della mia vita…da solo.”
Appoggiai delicatamente la mia fronte sulla sua, per guardarlo dritto negli occhi. Erano velati da una sorta di insicurezza, o di paura. Ma durò soltanto un secondo, perché io accarezzai la sua guancia e dissi: “Succede spesso anche a me. E sai che cosa faccio?”
Scosse un attimo la testa, curioso.
“Penso a tutti i momenti che abbiamo passato insieme. E mi rendo conto che sono reali. Che siamo reali. Perché neanche nei miei sogni più belli ho immaginato una cosa simile.”
Sorrisi, in un modo talmente dolce da risultare disarmante.
“Sei il mio sogno, Kurt.”
E lui si sporse in un abbraccio, strizzando gli occhi per la felicità.
“E tu sei il mio.” Sussurrò alle mie labbra, per poi eliminare quell’ultima minuscola distanza che le separava dalle sue.
Ed era tutto perfetto.
 
 
 
 
La Dalton era in fermento. Dopo due anni che vivevo in quella scuola dovevo aspettarmelo: il festival di Primavera era l’evento più importante di tutto l’anno, le lezioni venivano sospese e la scuola veniva aperta al pubblico per fare orientamento a future matricole, e le ragazze della Crawford ne approfittavano per intrufolarsi e fare conoscenza di tutti i facoltosi e seducenti studenti.
E poi, ovviamente, c’era il Glee Club: ogni anno gli Warblers si esibivano in una sorta di spettacolo, uno show di due o tre canzoni, ed erano l’attrazione principale della giornata.
E dopo aver riaccolto tutti i ragazzi precedentemente bocciati, ci sentivamo ancora più motivati e volevamo dare il meglio di noi stessi; avevamo selezionato un tris di canzoni alla moda e travolgenti, che avrebbero mandato in visibilio la folla. I ragazzi erano felici come non mai, e non smettevano di ringraziarmi per tutte le ripetizioni che avevo dato loro, e io ero sinceramente contento di riavere il gruppo come prima.
Restava soltanto un’ultima cosa da fare: c’era ancora un ragazzo che non era ritornato negli Warblers.
Wes David e io bussammo sonoramente alla porta di Chase, assumendo un’espressione professionale. In verità, io ero leggermente scocciato. Non mi piaceva granché quell’idea.
Il ragazzo aprì la porta, e il suo sguardo gelido ci scrutò dall’alto verso il basso, uno per volta.
“Oh.” Si fece più avanti, a braccia conserte. “Un asiatico, un nero ed un gay. Sembra l’inizio di una barzelletta infelice.”
“Dobbiamo parlarti.” Disse il primo, con un sorrisetto compiaciuto.
“E di cosa? Mi sembra di aver saldato il mio debito con Anderson, no? Lasciatemi in pace.”
“Chase.” Lo chiamai, e questo, inaspettatamente, si voltò verso di me. Forse era rimasto stupito dal mio tono di voce, o dal mio sguardo seccato.
“Tu amavi gli Warblers. Fingi che non ti interessi nulla, ma ti abbiamo visto ad ogni esibizione, e ho visto come cantavi quando hai fatto quello show con gli Eagles. Ti piace. E sei bravo. L’unica cosa che ti impedisce di tornare sono io.”
“No. –Fece lui, secco- Non credere di avere così tanta importanza, puffo.”
“Anche se non lo vuoi ammettere, è la verità. Non sopporti l’idea di cantare sotto di me.”
Non rispose. Sapeva che avevo ragione. E io sapevo che non aveva mai accettato il modo con cui avevo “spodestato” Ethan; il suo migliore amico umiliato da un ragazzino appena arrivato. Ma era successo tanto tempo fa. Eravamo entrambi persone diverse, l’avevo capito dopo aver passato tutte quelle ore assieme a lui nel dare ripetizioni agli altri ragazzi. Chase era freddo, scontroso e scorbutico, aveva la lingua tagliente e a volte sentivo che poteva uccidermi soltanto con un’occhiata, ma dovevo ammettere che era un ragazzo d’onore. Nessuno avrebbe perso tanto tempo con dei ragazzi di cui non gliene importava niente, solo per riscattare uno stupido favore.
E quando i miei amici proposero di farlo tornare negli Warblers dovetti accantonare il mio astio nei suoi confronti, e seguire le volontà del gruppo.
“E allora? –Incalzò lui, inarcando un sopracciglio- Cosa volete da me? Siete venuti a raccontarmi la barzelletta infelice?”
“Vogliamo che tu torni.” Sentenziò David, quasi implorante.
“Preferivo la barzelletta.”
“Andiamo, Chase. Abbiamo bisogno della tua voce.”
“Davvero? Non vi basta la vostra gallina dalle uova d’oro?” E mi guardò torvo.
Sospirai. “Non smetterai mai di odiarmi, vero?”
Ci fu un attimo di esitazione, nella quale la sua espressione mutò da seccato a pensieroso.
“Io non ti odio.”
“Come?” Ero rimasto davvero sbalordito. Mi sarei aspettato qualsiasi risposta, tranne quella.
Fu come se si fosse accorto della frase appena detta. Scrollò la testa impercettibilmente, e riassunse il solito tono freddo.
“Intendevo dire che non vali nemmeno la pena di essere odiato.”
Ah, ecco.
Ma in quel momento i due del consiglio si illuminarono.
“In effetti! –Esclamò Wes, posando una mano sulla mia spalla- Lo sai che Blaine non voleva assolutamente che tu tornassi?”
Beh, non potevo proprio negarlo.
“Non ne dubito.” Commentò lui, aggrottando le sopracciglia.
“E quindi…-seguitò David, con un sorriso a trentadue denti- ragiona: quale sarebbe il modo migliore per fargli un dispetto?”
“Rubargli tutti gli assoli…”
“Stonare appositamente per mandarlo fuori armonia…”
“Spintonarlo accidentalmente nel bel mezzo di una coreografia…”
“Ti immagini? E tutto ciò che devi fare è…”
“Tornare.” Conclusero in coro, neanche stessero recitando un copione. Un attimo, forse sì: mi voltai di scatto a fissarli, e notai una leggera luce nei loro occhi. Ma allora era per quello che mi avevano costretto ad accompagnarli! Avevano progettato quel teatrino sin da subito!
E la cosa peggiore fu che Chase valutò seriamente quell’idea.
Si accarezzò il mento lentamente, squadrandomi dall’alto verso il basso, e io stringevo i pugni, offeso e innervosito.
E questo, ovviamente, non sfuggì alle attenzioni del ragazzo di fronte a me.
“Potrebbe essere divertente.”
Wes e David esultarono. E io ero senza parole.
 
 
 
“Insomma, per uno strano scherzo del destino, Chase adesso è negli Warblers grazie a me.”
Eravamo nel bel mezzo del festival, di fronte al palcoscenico sopra al quale ci saremmo esibiti, e io avevo appena raccontato la scena di quella mattina  a Ed, Colin, Nick, Flint e Kurt, che adesso mi guardavano allibiti.
“Il colmo per Blaine Anderson.” Commentò il più alto, dandomi delle sonore pacche sulle spalle.
“Non ci pensare, amico. Chase è uno in gamba, in fondo!”
“Certo. La fate facile voi. Non proverà a sabotare ogni vostra singola cosa.”
“Okay okay non entrare nel panico adesso –Kurt si avvicinò a me, sfoggiando un sorriso rassicurante- andrà tutto bene, tu sarai fantastico, e Chase resterà talmente ammaliato dalla tua voce da non riuscire a muovere un muscolo.”
Forse Kurt aveva ragione, ma dentro di me si celava ancora l’ansia di fare una figuraccia di fronte a centinaia di persone.
Alzai lo sguardo, incontrando con incertezza il suo: “Mi guarderai, vero?”
Senza riuscire a trattenersi oltre mi strinse in un abbraccio, che ricambiai immediatamente aggrappandomi alle sue spalle.
“Sarò il ragazzo carino in prima fila.”
Gli altri mimarono il gesto di sciogliersi al sole, e noi ridacchiammo sommessamente, sciogliendo l’abbraccio, ma rimanendo comunque molto vicini.
Dopo un po’ che ci stavamo guardando quasi incantati Colin ci strattonò per le maniche, borbottando qualcosa e trascinandoci verso lo stand più vicino. Il concerto sarebbe iniziato più tardi, quindi avevamo tutto il tempo per fare un giro.
Il festival quell’anno aveva superato se stesso: era pieno di ragazzi, striscioni colorati e palloncini svolazzanti, i ragazzi addetti all’orientamento stavano facendo vedere i laboratori a dei futuri Daltoniani e Colin ne approfittò per presentare Mortimer, lo scheletro umano che usavamo per studiare anatomia.
Ovviamente, la reazione fu una folla di ragazzini urlanti e imploranti la mamma.
Era incredibile quante persone si avvicinassero allo stand degli Warblers per chiedere informazioni. Potevo vedere i loro volti illuminarsi quando Thad gli raccontava delle Provinciali e delle Regionali, forse esagerando qualche dettaglio –non ricordo di aver visto Pink complimentarsi con noi per l’ottima esibizione-, spiegando tutti i flash-mob e il codice d’onore di uno Warbler.
E mentre io stavo ammirando i futuri membri, Kurt aveva passato in rassegna tutti i capi di abbigliamento delle loro madri esageratamente ricche. Kurt non aveva mai apprezzato la pomposità della Dalton. Non che fosse invidioso dei loro portafogli. Beh, più che altro, era invidioso dei loro capi d’abbigliamento. Tra cui una costosissima borsa di Valentino che una signora stava indossando come se fosse “uno straccetto qualunque”.
“Cioè, ma guardala! La sta agitando a mezz’aria! La sta sciupando tutta! Se non le piace allora la regalasse a me, che diavolo! Costerà quanto tutti i miei abiti messi insieme! Oh, ma…ma l’ha abbinata con delle Jimmy Choo VIOLA!? No, è troppo. Non posso vedere.”
Si nascose dietro la mia spalla. Io stavo ancora cercando di capire se stava parlando della borsa, o di una scena horror che mi ero perso.
Ancora confuso, notai soltanto in quel momento il preside Morris, assieme alla Pitsbury e ad altri professori. Sfoggiavano tutti i loro abiti migliori, per far bella figura sulle matricole. Tipico.
“Blaine? Andiamo, per favore? Sento che sto per andare ad uccidere quella donna fatta di silicone.”
Sviai lo sguardo al cielo, ma sotto sotto ero divertito. Lo presi per mano senza nemmeno pensarci, e proposi di andare a vedere se la caffetteria era ancora in funzione.
“Non ci giurare. Sarà assalita da un branco di donne di mezza età in crisi d’astinenza. Ho letto che il caffè è la nuova dipendenza dell’anno.”
“Ah sì, l’ho letto anche io. Noi due allora dovremmo farci ricoverare in qualche clinica.”
“Già.” Commentò, e scoppiammo a ridere entrambi.
E, qualche secondo dopo, una voce mi chiamò. Una voce che conoscevo bene.
“Eccolo mamma l’ho trovato!”
Una ragazzina sui tredici anni, con i capelli neri raccolti in delle code basse, e dei grandissimi occhi castani, identici ai miei, stava saltellando sul posto con l’indice rivolto verso di me.
Dietro di lei si mostrò una signora alta, la carnagione olivastra e il portamento elegante, che indossava un raffinato tailleur beige, e non appena mi vide sul suo volto perfettamente truccato si dipinse un’espressione di stupore mista a gioia.
Ignorando i suoi tacchi a spillo corse verso di me, raggiante, per poi stringermi in un forte abbraccio che quasi mi spezzò il fiato.
Non mi ero nemmeno accorto di aver lasciato la mano di Kurt.
“Blaine! Oh, Blaine! Mi sei mancato così tanto!”
La sua voce era spezzata, come se stesse per piangere da un momento all’altro. E io ero troppo pietrificato per poter ricambiare l’abbraccio. Anche se una piccola parte di me avrebbe tanto voluto farlo.
Non sapevo davvero cosa dire, di fronte a quella donna che non vedevo da quasi un anno, che non sembrava invecchiata di una virgola, e che mi stava fissando come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto.
“Mamma…”
Lei mi abbracciò un’altra volta, quasi non mi volesse lasciare andare.
“Mi sei mancato così tanto, tesoro.”
“…Anche tu.” Ammisi, ritraendo in dietro le lacrime.
E poi, entusiasticamente, la bambina si fece avanti, prendendomi le mani.
“Fratellone! Come stai?”
Timidamente, mi chinai verso Catherine. Mia sorella. Francamente, stentavo a riconoscerla.
“Hey, Kitty. Io sto alla grande. Sei cresciuta parecchio.”
“Lo so! Diventerò sicuramente più alta di te!”
Feci una smorfia. Beh, almeno quello non era cambiato.
Soltanto in quel momento mi resi conto che mia madre aveva puntato lo sguardo su Kurt, e quest’ultimo sembrò esitare un attimo prima di tenderle una mano con un sorriso.
“Signora Anderson! E’ un vero piacere conoscerla. Mi chiamo Kurt Hummel.”
“Susanne Cooper. E’ un piacere mio.” Affermò lei, stringendo calorosamente la sua mano. “Sei un amico di Blaine?”
Trasalii. Kurt mi guardò rapidamente con la coda dell’occhio.
“…Sì. Siamo amici.” Rispose, con tono sospeso e vago.
Sviai lo sguardo a terra. Era come se si fosse posato un macigno all’altezza del cuore. Avrei dovuto essere io a fare le presentazioni. Avrei dovuto essere io a mentire. E invece Kurt aveva capito tutto al volo, e mi aveva aiutato.
Ma questo non mi faceva sentire meglio.
“Oh Blaine, non ci vediamo da così tanto tempo... sei diventato ancora più bello.” Commentò mia madre, quasi commossa. Io abbozzai un sorriso, ma si vedeva che era tirato.
Mia sorella stava puntando l’indice contro al petto: “Come mai non sei venuto a casa per le vacanze di Natale?”
“Avevo…hem, avevo da fare. Tanto studio e pochissimo tempo libero. Mi dispiace.”
“Tua sorella è voluta venire qui a tutti i costi, - spiegò mia madre, melliflua- ci mancavi davvero troppo.”
“Sì…l’ho capito.” L’avevano detto tipo trenta volte in mezzo minuto. Sembrava quasi che lo ripetessero a loro stessi, piuttosto che a me.
“Oh, abbiamo così tante cose da raccontarci! Perché non prendiamo un caffè e parliamo un po’?”
“…Okay.” Ma non riuscivo a fare un passo. Kurt, nel vedermi in quel modo, mi prese per le spalle, e poté sentire quanto fossero rigide.
“E’ preoccupatissimo per l’esibizione –mentì alle due donne, vedendole perplesse- deve cantare tre canzoni di fila di fronte a tutte queste persone!”
“Non sapevo cantassi ancora! E’ sempre andato pazzo per la musica. Da piccolo ha voluto a tutti i costi che gli regalassi una chitarra, anche se non riusciva nemmeno a tenerla in mano.”
Kurt e mia madre risero all’unisono, e io cacciai una smorfia, ma non per Kurt.
“Sto imparando a suonare il piano!” Esclamò Kitty, congiungendo entrambe le mani.
“Così un giorno canterò anche io come il mio fratellone e sarò bravissima come lui!”
Arrossii, un poco rinfrancato. Le scompigliai i capelli, come mi era sempre piaciuto fare. Perché era Kitty, la mia innocente sorellina. Le volevo un bene dell’anima.
“Andiamo, piccola Elton John, ti offro una bella tazza di latte caldo.”
Sfoggiò un sorriso incantevole.
“Hai una sorella adorabile.” Mi sussurrò Kurt all’orecchio, mentre ci dirigevamo alla caffetteria. “Preferisco tralasciare il fatto che tu non me ne abbia mai parlato.”
Abbassai lo sguardo. “Scusami.”
“Non importa. Dimmi solo come mi devo comportare.”
E in quel momento mi fermai di scatto, guardandolo inerme.
“Oh, Kurt…tu non ti devi comportare in nessun modo… è colpa mia. Non ti ho mai spiegato a dovere come stanno le cose con la mia famiglia… ma non devi fingere per me, Kurt. Ti prego. Io voglio che tu sia te stesso.”
“Potrei dirti la stessa cosa. -Ribatté, facendosi un poco più vicino- Tua madre sembra sinceramente felice di vederti. Perché sei così teso?”
“E’…complicato.”
“Quanto complicato?”
“Non ti saprei dire, Kurt. Non la vedevo da un anno, e adesso sbuca qui, e pretende di giocare alla famiglia felice…non è così facile.”
Rimase un secondo in silenzio, osservando i miei occhi velarsi sempre più di una sorta di tristezza, o rabbia.
“Senti Blaine, non so cosa sia successo tra te e lei, ma perché non le dai una possibilità? E’ tua madre. Ti vuole bene. E mi distrugge vederti così afflitto. Prova a parlare con lei.”
Annuii. Avrei potuto farlo. Parlare con mia madre, mettere le cose a posto. Mi erano mancate terribilmente, durante quell’ultimo anno, e sapevo bene che mi volevano bene, me lo avevano sempre dimostrato, attraverso telefonate alle quali rispondevo di rado, e messaggi in segreteria riascoltati più volte.
Dopotutto, il fatto che fossero lì, che fossero venute a trovarmi, era la prova lampante che ci tenevano a me.
E non erano loro il motivo per cui avevo interrotto tutti i contatti.
Non erano loro ad avermi trattato male, quando avevo dichiarato di essere gay.
Quindi, con tanta pazienza e un po’ di coraggio, provai a essere me stesso. A non indossare la maschera del figlio perfetto, etero e intelligente.
E devo dire che passammo una bellissima ora.
Mia madre sorrideva in modo spontaneo e ascoltava con attenzione tutto quello che le dicevamo. E Kurt era semplicemente fantastico, naturale ed educato, e per tutta la durata del caffè continuarono a parlare e a scherzare, mia madre raccontava tutte le sue imprese con la sua boutique di gioielleria e Kurt per poco non aveva avuto un infarto quando scoprì che la sua ditta aveva confezionato i gioielli per Beyoncè, nel suo ultimo tour.
E, pian piano, cominciai a raccontare anche io, dell’ultimo anno di scuola, delle tragedie greche fatte dalla Pitsbury, delle pazzie in cui ci avevano convolto Nick e gli altri, e poi narrai delle regionali, di come avevamo perso, e di tutte le cose successe fino ad allora.
Alla fine del mio ultimo discorso mia madre sospirò, afferrandomi dolcemente la mano.
“Sono così felice per te, Blaine.”
La guardai. Lo era davvero? Dai suoi occhi non trapelava il minimo dubbio. Potevo ancora ricordarmi quegli stessi occhi che mi supplicavano di andare alla Dalton, perché non sopportava più di vedermi soffrire in quel modo.
E volevo dirle che, finalmente, ero felice.
Ma non feci in tempo. Perché mio padre si avvicinò al nostro tavolo, e lei smise immediatamente di parlare.
In effetti ero stato proprio stupido. Quando lo vidi avanzare verso di noi, con il suo impeccabile completo firmato, i suoi occhi scuri e imperscrutabili, pensai dovesi aspettarmelo, che avesse accompagnato mia madre e mia sorella. Era la cosa più scontata del mondo.
No, forse una parte di me lo sapeva. Ma non avevo voluto ascoltarla.
“Papà.”
Non c’era commozione, nella mia voce. Non fu come quando abbracciai la mamma o Kitty. Ci salutammo come due perfetti sconosciuti. Come se quindici anni passati insieme non significassero nulla.
Forse, ai suoi occhi, era proprio così.
“Ciao, Blaine. Ti vedo in forma.”
“La Dalton mi tratta bene.”
Mi voltai verso Kurt, e feci piccolo cenno con la mano.
“Ti presento Kurt Hummel. Lui è…un mio amico. Kurt, questo è mio padre.”
“Molto piacere.” Ma la sua mano non fu afferrata.
Non fu degnato nemmeno di uno sguardo.
E io cercai in tutti i modi di trattenere il mio disprezzo.
“Ho parlato con Philip, il preside –seguitò mio padre- mi ha detto che ti dai da fare.”
“Sì. E’ molto gentile con me.”
No, non feci menzione di tutti i favori che mi fece. E nemmeno del fatto che li fece perché ero suo figlio. Non potevo dargli la soddisfazione di sentirsi superiore a me.
“Richard. Hai visto che bella divisa? Gli sta benissimo, non trovi?” Domandò mia madre, cercando di attirare la sua attenzione. Ma non ci riuscì.
“Hai preso ottantotto, agli esami di metà anno.”
Aggrottai le sopracciglia. Non mi piaceva il suo tono di voce.
“E’ troppo poco, Blaine. Yale o Harvard non accetteranno mai un ragazzo che passa con ottantotto. Hai smesso di studiare.”
“Non è così.” Ma che lo dicevo a fare? Lui mi aveva già giudicato. Aveva già trovato un'altra cosa di me che non tollerava. L’ennesima. Le mie unghie stavano affondando la carne delle mie mani da quanto stavo stringendo forte i pugni.
Un’altra pausa. E poi il suo viso mutò espressione.
“So che tra poco dovrai esibirti assieme al gruppo di canto della scuola.”
Serrai la mascella. Quante altre cose gli aveva detto, quel preside!?
“Mi sembra un’ottima cosa. Così mentre i tuoi amici canteranno tu potrai ballare con Priscilla. L’ho incontrata prima, e le ho detto che non vedevi l’ora di ballare con lei. E’ inutile dirti che devi comportarti in modo rispettoso nei suoi confronti, non è vero?”
Non poteva veramente averlo detto. Non poteva veramente averlo fatto.
Mi alzai in piedi, non riuscendo a sopportare oltre, e mi diressi a grandi passi verso l’uscita.
Kurt chiamò il mio nome, ma non mi voltai. Volevo soltanto andarmene via. Volevo soltanto tornare al giorno prima, quando tutto era perfetto e non c’era niente che andasse male.
Dagli altoparlanti del palcoscenico si levava una musica di sottofondo, piacevole e di atmosfera.
E davanti a me mi trovai Priscilla, il sorrisetto compiaciuto, il vestito che sembrava uscita dalla casa delle bambole.
“Ciao, Blaine! Mi sei mancato.” E mi diede uno schioccante bacio sulla guancia. Kurt, che mi aveva seguito in silenzio per tutto quel tempo, si fermò di colpo non appena vide quel gesto.
“Coraggio, andiamo.” Mi prese per mano conducendomi al centro del cortile, esattamente davanti al palcoscenico. Io ero troppo devastato dagli eventi per opporre resistenza. Non mi ero nemmeno accorto che i miei amici si stavano riscaldando: tra poco avrei dovuto cantare assieme a loro.
Mio padre era a pochi metri da me. Accanto a lui Kitty e mia madre sembravano quasi interdette, e poi Kurt, che fissava la scena inespressivo. Non gli avevo mai presentato Priscilla. In effetti, era da prima di Natale che non la vedevo, e di certo non mi sarei aspettato di ritrovarla in una situazione simile. Ma non potevo prendermela con lei: sapevo bene che c’era mio padre, dietro a tutto quello.
Cercai di discolparmi, dicendole che non potevo ballare con lei, ma non accettò spiegazioni. Pretese di ballare. E io non sapevo come liberarmi dalla sua presa, che sembrava quasi una morsa di un granchio.
“Richard è un uomo meraviglioso.” Commentò, dopo aver posato una mano sulla mia spalla e aver afferrato saldamente l’altra.
Mormorai qualcosa, senza darle veramente ascolto. Adesso stavo guardando solamente Kurt.
Sapevo che avrebbe capito. Sapevo che potevo fidarmi, bastava che leggesse nei miei occhi tutti i miei pensieri. Bastava che mi guardasse negli occhi.
Ma non lo fece. Invece, lo vidi scambiare qualche parola con mio padre.
La musica diminuì. I ragazzi mi fecero cenno di alzarmi e andare da loro.
Priscilla mi prese per mano, cercando in tutti i modi di attirare la mia attenzione.
E poi vidi il volto di Kurt incresparsi in una smorfia, e voltarsi dall’altra parte, dirigendosi verso l’uscita della scuola.
Mi staccai da lei.
La mia corsa fu interrotta da mio padre, che mi afferrò per un braccio così forte da farmi male.
“Torna a ballare con quella ragazza.”
Lo guardai dritto negli occhi.
“Te lo puoi scordare.”
Andai da Kurt.
“Blaine?” Inaspettatamente il mio corpo si scontrò contro quello di Chase, facendo barcollare entrambi.
“Dove stai andando? Adesso devi cantare.”
Sembrava davvero sorpreso. Ma non avevo tempo per quello.
“Canta tu.”
Detto quello, sotto al suo sguardo allibito, ripresi a correre.
“Kurt!”
Finalmente scorsi il mio ragazzo al cancello, appoggiato ad una grata.
“Ti stavo aspettando.”  La sua voce era stranamente atona.
“Perché sei andato via?”
Si morse il labbro inferiore, sviando lo sguardo.
“Tuo padre…mi ha detto che quella ragazza è la figlia di uomini importanti, amici di famiglia. E mi ha detto anche che progettavano il vostro matrimonio da una vita. Affari di lavoro, cose del genere. Io gli ho detto che non poteva decidere della tua vita, con chi dovessi stare, che non siamo più nel Medioevo. E lui…-i suoi occhi vacillarono un attimo, assieme alla sua voce- lui ha detto che un ragazzo come me non può capire.”
Non riuscivo a credere alle mie orecchie.
Temevo una cosa del genere. No: avevo paura che potesse accadere.
E adesso il mio ragazzo era lì, ferito e avvilito, e mi fissava come se nei miei occhi cercasse la motivazione a tutto quello. E io non sapevo cosa dire. Cosa avrei potuto dirgli? Suo padre era sempre stato buono con lui. Lo amava, aveva accettato la sua sessualità. Era ovvio che non riuscisse a comprendere gli atteggiamenti del mio, freddo e meschino, che aveva trattato male me e osato offendere lui.
Lo abbracciai forte. Lui ricambiò il gesto, affondando il volto nell’incavo del mio collo.
“Mi dispiace, Kurt. Mi dispiace.”
Lo sussurrai un centinaio di volte, mentre prendevo a baciargli il collo, la fronte, gli occhi limpidi, poi le labbra, e non appena lo feci, sentii il suo corpo aggrapparsi bisognoso al mio, e prese a baciarmi con passione, afferrando la testa tra le sue mani, cercando di farmi più vicino possibile a lui.
Dopo qualche secondo si staccò, ricordandosi improvvisamente di una cosa: “E la canzone? L’esibizione?”
“Sta cantando Chase.”
“Che cosa? Ma così…rischi di venire sopraffatto. Lo sai quanto sia determinato Chase, e se lo farai cantare al festival di Primavera rischi perfino di perdere il ruolo da solist-“
“Non mi interessa.” La mia interruzione lo fece sussultare.
“Non c’è niente che mi interessi, Kurt. Il canto, Priscilla, la mia famiglia…non mi importa niente. L’unica persona di cui mi importa sei tu.”
Lo presi per mano, ma sentii una piccola resistenza.
“Che vuoi fare?” Mi chiese, allarmato.
“Voglio andare da mio padre. Voglio dirgli che può farmi ballare con tutte le Priscilla che vuole, ma io rimarrò gay. E voglio dirgli che sto con te.”
I suoi occhi si spalancarono, mentre io spingevo entrambi verso il cortile del Festival.
“No, Blaine, non farlo. Non ti devi preoccupare per me, io capisco…non devi dirglielo per forza. Non devi dirglielo in questo modo.”
“No.”
Si ammutolì. Non mi aveva mai visto così determinato e, allo stesso tempo, arrabbiato.
“Glielo devo dire. Glielo voglio dire.”
Ormai eravamo a pochi metri.
“Papà.”
Si voltò. Non si aspettava un nostro ritorno così in fretta. Non si aspettava di vederci con le mani intrecciate, avvinghiate, quasi come se l’una stesse ottenendo sostentamento dall’altra.
“Ti presento Kurt Hummel. Lui non è soltanto un mio amico. E’ il mio ragazzo.”
La mamma si sollevò una mano alla bocca.
Quella fu la prima volta che mio padre posò lo sguardo sul mio ragazzo.
Dopodiché, con un’amara smorfia in volto, se ne andò.
 
 
***

Incredibilmente, mi trovo con poche cose da dire.
Questo capitolo mi ha depressa a dir poco.
E chiedo scusa, perché è uscito esageratamente lungo. Spero di non avervi annoiata.
So che vi aspettavate una scena lemon...e invece no! Ahahah! Ma volevo che fosse verosimile, e che procedessero per gradi. E so anche che molti di voi aspettavano questo momento da tanto, il fatidico incontro di Blaine con la sua famiglia. Beh, spero che vi sia piaciuto. In senso buono, certo. Rileggendolo mi verrebbe da dare un pugno al padre di Blaine. Comunque le vicende non sono finite: il prossimo capitolo è tutto incentrato sulla famiglia di Blaine.
Grazie mille a chi mi recensisce e chi mi recensirà. Vi adoro tantissimo.

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Capitolo 26
*** Lacrime ***


Capitolo 25
Lacrime

 
 
“Blaine, ti prego, rispondi.”
L’ennesimo messaggio di mia madre, ma non avevo alcuna intenzione di obbedire. Continuavo a fissare il cellulare sul comodino, che vibrava per ore fino a quando non partiva la segreteria telefonica.
Non volevo parlare con nessuno. L’atteggiamento di mio padre mi aveva semplicemente deluso e mortificato, non mi sarei mai dimenticato l’espressione allibita di Kurt mentre vedeva le spalle di quell’uomo farsi sempre più lontane.
Non aveva detto niente. Forse più per educazione che per altro: non voleva inveire contro mio padre, anche se gli avevo detto che non c’era bisogno di farsi tanti scrupoli.
Ecco che il cellulare si illuminava di nuovo, mostrando sul display un nome che non leggevo da tanto.
E, stavolta, non riuscii ad ignorarlo.
“Kitty?”
“Blaine! Finalmente hai risposto!” La sua voce acuta per poco non mi perforò le orecchie.
“Come stai?” Chiesi, con una nota di dolcezza.
“Io bene…dopotutto non sono io quella che ha spezzato il cuore di papà.”
Spezzato il cuore? E’ questo che le aveva detto?
“La mamma è da ieri che piange senza sosta. Ha paura che non tornerai più a casa.”
Restai in silenzio. Beh, una parte di me voleva ancora puntare i piedi e dirle che era così. Ma un’altra parte, quella di un ragazzino che aveva rivisto la sua famiglia dopo quasi un anno, sentiva il bisogno di andare da sua madre, di abbracciarla, di rivivere quelle emozioni sopite da tempo nella memoria, ma che avevano iniziato ad emergere durante il Festival di Primavera. Perché, infondo, durante quella breve ora al caffè, eravamo stati bene. Molto bene. Fino a quando non era arrivato lui.
“Non lo so, Kitty. Io vi voglio bene, davvero, ma…”
“Che sta succedendo Blaine?”
Sentire la sua voce sempre allegra divenire così seria mi provocò un tuffo al cuore.
“Perché non torni più a casa? Perché fai piangere la mamma?”
I miei occhi cominciarono a pungere terribilmente.
Aveva solo tredici anni… non volevo fronteggiarla ad una realtà più grande di lei. Non volevo che perdesse tutto l’amore per suo padre, perché conoscevo Kitty, non sarebbe mai riuscita a perdonarlo.
Quindi, dopo un lungo respiro, risposi: “E’ complicato.”
“Oh, certo. E’ sempre complicato con te, Blaine. Senti, fai un po’ come ti pare.”
“Kitty, aspetta.” Ma lei aveva già riattaccato.
Non ce la facevo più. Non sopportavo più di litigare con mia sorella. Non sopportavo più di evitare mia madre. Il macigno che si era posato sul mio cuore aveva cominciato a perforarmi causando un dolore lancinante.
Composi un numero che conoscevo a memoria, attendendo di sentire la voce dell’unica persona con cui volevo davvero parlare.
“Blaine?”
“Non ce la faccio più…io…” cercai di dire altro, ma le parole mi morirono in gola.
“Blaine, che succede?”
Oh, la sua voce, era come una ventata d’aria fresca e pulita. Perché era Kurt, il mio ragazzo, l’uomo che adoravo con tutto me stesso. E che si stava preoccupando per me, lo capivo, anche se cercava di nasconderlo sotto ad un atteggiamento pacato.
“Kitty…la mamma… non so cosa fare…”
“Blaine, ti prego calmati.” La mia voce era spezzata, il tono esasperato. Ma non avrei pianto. Mi ero ripromesso di non piangere.
Presi dei respiri profondi. Dall’altro capo del telefono sentivo Kurt aspettare silenziosamente che mi fossi ripreso; dopo aver riflettuto qualche secondo, con la mente un po’ più lucida, e il cuore un po’ più aperto, dissi la prima cosa che mi passò per la testa, quella che mi attanagliava da giorni, forse mesi, e che non riuscii più a sopprimere.
“Voglio rivederle.”
Kurt mi rispose senza esitazione.
“Allora fallo. Sono la tua famiglia.”
“E’ solo che…”
“Tuo padre?”
“Sì.”
Rimase in silenzio. Forse, cercava la cosa più giusta da dirmi.
“Che ne dici di andare a fare shopping? Possiamo portare tua sorella e tua madre a Westerville. Scommetto che non ci sono mai state, faremo vedere loro il fascino dei negozietti di provincia!”
“Verrai anche tu?” Domandai d’istinto, quasi ansioso, ma la sua risposta fu di nuovo immediata: “Beh, solo se mi vorrai.”
Certo che lo volevo. Sorrisi.
“Kurt…cosa farei senza di te?”
 “Oh, probabilmente non combineresti un bel niente.”
Scoppiammo a ridere. E anche se non potevo vederlo, riuscii ad immaginarmi perfettamente le fossette sulle sue guance, i suoi occhi divenire un po’ più limpidi, e le sue labbra rosee incurvarsi fino alle orecchie.
Scommettevo che era bello come non mai.
 
 
La radio sembrava intenzionata a non trasmettere nessuna canzone decente. Più che altro, nessuna canzone sembrava giusta a calmarmi. Maneggiai nervosamente con l’autoradio, e alla fine con un gesto secco la spensi. Kurt guardò di sottecchi e continuò a guidare.
“Andrà tutto bene, lo sai, vero?”
Annuii. Ma non ne ero proprio convinto. In verità avevo paura: non mi sentivo ancora pronto a sentire quello che mia madre aveva da dirmi.
Lui lo capì subito, e in risposta spostò la mano dal cambio alla mia mia, stretta rigidamente a pugno.
Era proprio accanto a me. Avrei potuto farlo. Parlare con mia madre, mettere le cose apposto. Ma prima di tutto, Kurt meritava di sapere. Perché il calore emanato dalla sua mano mi infondeva tutto il coraggio necessario per riaprire quel vecchio cassetto custodito dalla mia memoria.
Presi un bel respiro, e cominciai a spiegare.
“C’è stato un periodo in cui io e mamma uscivamo tutti i giorni a fare spese.”
Rimase in silenzio, ma fu come se tese le orecchie ad ascoltarmi. E io mi scoprii incredibilmente calmo mentre riepilogavo tutta la storia, come se fosse ormai un ricordo lontano che mi scivolava addosso, senza farmi alcun graffio.
“Poi tornavo a casa, e mio padre mi costringeva a guardare partite di football e a riparare macchine. Mi divertivo, ma in verità avrei fatto qualsiasi cosa pur di passare del tempo con lui. Lui era…-abbozzai un sorriso- beh, era il mio mito, suppongo. Non ebbi alcuna incertezza quando dissi loro di essere gay, a scuola ormai lo sapevano già tutti ed era soltanto questione di giorni prima che lo scoprissero anche loro. Mia madre non sapeva come comportarsi, e alla fine optò per il far finta di niente, in tutti i sensi: non toccammo più quell’argomento e per il resto del tempo vivevamo in una sorta di calma apparente. Mentre mio padre…non avevo dubbi, pensavo che mi avrebbe amato allo stesso modo. Ma non fu così. Poco dopo mi trasferii alla Dalton, e nonostante ogni tanto mi chiamasse, il suo tono era freddo, seccato. Capii solo più tardi che mi stava evitando, e fu come se mi fosse crollato il mondo addosso. Un giorno prima ero Blaine, il figlio di cui era tanto orgoglioso…e poi il vuoto. Non riuscivo a capire: ero sempre io, eppure pian piano il tornare a casa nei weekend diventava sempre più fastidioso, il suo sguardo sempre più freddo, e le chiacchierate sempre più false.
E poi tornai a casa per il giorno del Ringraziamento. Durante il pranzo, di fronte a tutti i familiari e i colleghi, mi alzai in piedi, preso dall’ira e dalla frustrazione, e con tono sprezzante feci un brindisi: Alla mia omosessualità.”
Kurt trattenne il respiro. Sollevai la sua mano ora ancorata alla mia e la baciai dolcemente, come se in quel momento fossi io a calmare lui.
“Mi cacciò di casa. Disse di ritornare soltanto dopo aver messo la testa apposto. Come se fossi fuori di testa, ti rendi conto?”
Kurt era mortificato. Aprì e richiuse la bocca più e più volte, e alla fine balbettò: “Mi dispiace così tanto, Blaine…”
Lo baciai ancora. “Va tutto bene. Sto bene. E’ acqua passata, ormai. Godiamoci lo shopping con la mamma e Kitty, ok? Io credo che loro abbiano capito. Soprattutto la mamma, l’ho vista molto cambiata.”
Per un attimo mi chiesi se cercavo di convincere lui o me stesso.
“Sai una cosa? Hai ragione tu: andrà tutto bene.”
Ma la mia voce non suonò affatto sicura di sé.
Parcheggiò e velocemente scendemmo dalla macchina. Io camminavo a passi lenti, incerti, continuavo a studiare i lacci delle mie scarpe come se fossero la cosa più interessante che avessi mai visto. Lui si fermò un attimo, abbozzò un sorriso e poi mi condusse delicatamente verso l’entrata. Cominciò a parlarmi di tutti i vestiti che si voleva comprare, dei negozi che avremmo visitato e di quel paio di scarpe irresistibili che aveva visto in vetrina l’altro giorno, e il suo entusiasmo fu una sorta di calamita per me: lo osservai come ipnotizzato, ascoltando attentamente e sorridendo di fronte a quell’euforia, così tanto che riuscì a sciogliere i miei nervi, almeno un pochino.
Fu per questo che, quando rividi la mia sorellina, con il suo vestito blu e gli occhi nocciola che mi salutarono innamorati, non riuscii a trattenermi dal sorriderle di rimando, e dal correre verso di lei per abbracciarla. Rialzai lo sguardo, e notai che mia madre stava già piangendo.
“Oh Blaine, non ti rendi conto che gioia quando mi hai chiamata, pensavo non l’avresti mai fatto…”
“Mamma…” la canzonai affettuoso, abbracciando anche lei e stringendola più forte. Sviai un attimo lo sguardo verso Kurt, e lui aveva uno strano sorrisetto: forse aveva capito da chi avessi preso tutto il mio drastico pessimismo.
Mia madre, dopo aver sciolto la presa, si rivolse a Kurt. Per un attimo temetti un qualche commento cinico, uno sguardo sprezzante nei suoi confronti, ma non accadde niente di tutto questo. Gli parlò dolcemente, come se fosse sinceramente contenta di incontrare lui: l’uomo che ormai sapeva essere il mio ragazzo.
“E’ un piacere rivederti, Kurt. Onestamente speravo che venissi anche tu.”
Lui ringraziò gentilmente, prima che Kitty lo squadrasse da capo a piedi con aria sognante. Osservò il suo cardigan di Marc Jacobs, i suoi pantaloni di Armani e la sua camicia di Ralph Lauren, ed esclamò: “Wow, sembri un modello di una di quelle riviste della mamma!”
Non si aspettava di certo quel complimento. Arrossì enormemente facendo un piccolo inchino, e io mi sentii incredibilmente fiero di mia sorella. Anche perché non potevo essere più d’accordo con lei.
Mia madre ridacchiò, accarezzando benevolmente la spalla di sua figlia, per poi battere le mani: “Allora! Cominciamo questo shopping selvaggio?”
 
Dopo aver passato lunghi pomeriggi a fare compere con Kurt  pensavo di essere preparato a tutto, ormai.
E invece dovetti ricredermi: perché se Kurt era una furia in balìa dei negozi, diventava una sottospecie di macchina arraffa abiti in compagnia di una signora che lo assecondava in tutto e per tutto.
Non saprei dire quanti abiti si era provato ma, soprattutto, quanti abiti aveva fatto provare a me. Tra lui e mia madre sembrava facessero a gara per trovare maglioni, felpe, jeans e scarpe da farmi indossare, e a dirla tutta, quando uscivo dal camerino, un po’ impacciato e intimidito da tre paia di occhi puntati addosso, non sapevo dire chi mi guardava con più ammirazione.
Beh, una cosa era certa: andavano molto d’accordo. 
Mia madre era una persona allegra e sensibile, con tantissimo amore da dare e che era capace di lottare con le unghie e con i denti per ottenere ciò che voleva –che, in quel momento, consisteva in un paio di stivali di D%G scontati del settanta per cento, si sarebbe macchiata volentieri di omicidio se quella signora non avesse tolto alla svelta le mani dalla sua preda-. Forse il suo lavoro come direttrice di una gioielleria l’aveva resa un tantino maniaca delle firme e dello shopping; oppure, forse, era da tanto tempo che non si concedeva un pomeriggio di follia in compagnia dei suoi figli, e stava scatenando tutta la sua gioia repressa.
Kurt…beh, Kurt era splendido, come sempre. Aveva un occhio per la moda invidiabile dai migliori personal shopper della città, e mia madre sarebbe rimasta ore ad ascoltarlo mentre annunciava gli ultimi trend del momento, o criticava quella collezione amaranto che era fuori moda da una vita.
Mia sorella non capiva: era ancora troppo piccola per assaporare le bellezze delle firme e dei vestiti in generale, quindi si limitava ad osservare in silenziosa contemplazione, come se stesse guardando una scena del suo film preferito.
E io ero raggiante. Perché avevo il miglior fidanzato del mondo, che non si era fatto intimidire dal completo ultra costoso di mia madre, anzi, era riuscito a mettere a suo agio se stesso e noi altri, con la sua vitalità e gentilezza.
Soltanto quando li sentii discutere di qualcosa cominciai a preoccuparmi. Ma mi calmai non appena intuii la ragione di quel dibattito.
“Non esiste, Kurt. Ho deciso e lo farò.” Sentenziò mia madre, incrociando le braccia.
“Ma signora, la prego…”
“Niente ma. Voglio assolutamente comprarti questo trench. Dico, guardati! Sembri un divo degli anni ’60.”
E a quella frase, il suo viso si illuminò all’istante. Sorrisi, facendomi un po’ più vicino a lui.
“Ti conviene arrenderti: sei troppo bello.”
Mi diede una leggera gomitata, come per riprendermi. Ma si pentì immediatamente di quell’azione: adesso lo stavo guardando ghignando, e le mie mani puntarono fameliche i suoi fianchi sinuosi.
“N-no Blaine! Ti prego!”
Sfoggiai un sorriso sghembo: “Fossi in te comincerei a correre.”
Mi ricordai di aver usato quella stessa frase quando giocammo per la prima volta a palle di neve. Lo scenario era simile, ma allo stesso tempo era completamente diverso: a quei tempi eravamo semplici amici. A quei tempi non mi sarei mai immaginato una cosa simile. Cosa…no, non era il termine adatto per descrivere la vastità di emozioni e felicità che stavo provando in quel momento, mentre lo inseguivo tra una risata e l’altra: era sicuramente amicizia, ammirazione, affetto…ma iniziava ad essere anche qualcos’altro. Qualcosa di più, stavo cominciando a capirlo.
Nel frattempo Kurt mi supplicò in tutte le lingue di fermarmi, perché eravamo ridicoli e stavamo dando spettacolo in mezzo alla piazza; ma, sotto sotto, sapevo benissimo che si stava divertendo, lo si vedeva dallo sprizzo di felicità che fuoriusciva dai suoi sguardi allarmati ogni volta che sbucavo da dietro un angolo per assalirlo. E alla fine ce la feci: con un balzo felino lo acchiappai tra le mie braccia, attendendo coraggiosamente che avesse finito di dimenarsi e ridere. Non si era nemmeno reso conto che non gli stavo facendo nessun tipo di solletico: non appena lo fece si zittì di colpo, assumendo un fare disinvolto e vago. Io non riuscii più a trattenermi per il suo atteggiamento troppo adorabile, e non so come la mia presa letale divenne un caldo abbraccio, allungando le mani lungo i fianchi; lui portò le braccia al mio collo, facendosi un po’ più vicino, ma non troppo: quanto bastava per ispirare ognuno il profumo dell’altro, per dimenticarci un attimo di tutto e tutti, per ignorare le occhiate gelide e le risatine di ragazzi che ci indicavano sconcertati.
E poi, un secondo dopo, ci staccammo. Il mio sorriso si fece più incerto, guardando la moltitudine di persone che ci stava fissando di sottecchi, ma quello di Kurt non vacillò per niente: il resto del mondo era divenuto troppo poco importante per intimidirlo.
“Penso di essermi innamorato di tua madre.” Affermò, dopo avermi detto che la discussione di prima era nata dal fatto che lei volesse comprargli un trench di Alviero Martini.
“E’ una donna fantastica! Non capisco perché tu fossi così preoccupato.”
“Già…-feci io- forse hai ragione, ero solo un po’ paranoico.”
“No, non lo eri.”
Oh. Mia madre era dietro di noi, aveva sentito tutto. E adesso i suoi occhi scuri sembravano vacillare di qualcosa simile all’amarezza.
Ci portò da Starbucsk. Io e Kurt ci scambiammo delle lunghe occhiate, senza dire niente; Kitty era rimasta al negozio di dischi, probabilmente sotto suggerimento della madre. Con in mano un caffè con doppio zucchero iniziò a parlare, tamburellando freneticamente le dita contro il tavolino.
“Blaine… io non so da dove cominciare. Anzi, lo so benissimo, ma ho paura che non basti.”
La sua voce era cupa, talmente cupa da preoccuparmi.
“Mamma…che vuoi dire?”
Alzò la testa: “Io ti devo chiedere umilmente e profondamente scusa.”
Fui preso in contropiede. Kurt sembrò stupito quanto me. Notando la mia assenza di risposta, mia madre continuò: “Ho sbagliato. Mi sono comportata nel peggiore dei modi, ed è una cosa che non dimenticherò mai. Ero troppo acciecata dal denaro e da quei ricchi borghesi per rendermi conto di quello che stava succedendo: ti stavo perdendo, e non riuscivo nemmeno a vederlo.”
Non distolsi lo sguardo. Era una cosa troppo importante.
“Ti ricordi il giorno del Ringraziamento? Quando hai fatto quel brindisi?”
Certo che me lo ricordavo. Non avevo il coraggio di guardare l’espressione di mia madre, ma sapevo che anche lei aveva sviato lo sguardo a terra.
“Ero furiosa, -ammise, dopo una breve pausa- pensavo che fosse stato l’ennesimo capriccio, un modo infantile per metterti in mostra. Insomma, fino a quel momento non avevo mai creduto che tu fossi serio, quando dicevi di essere gay.”
Vidi Kurt lottare a metà di un’azione, che interpretai fosse a metà tra l’abbracciarmi o stringermi fortemente la mano.
“Per un attimo pensai perfino di aver sbagliato a mandarti alla Dalton –seguitò-. Anche se apprezzavo la sua tolleranza zero verso il bullismo, in un certo senso credetti che l’immergerti in quel mondo di maschi ti avesse dato alla testa. Lo so Blaine –aggiunse, vedendo la mia smorfia-, è la stessa cosa che ti disse tuo padre quel giorno, quando tornammo a casa. E io avrei dovuto fermarlo. Ma che dico, avrei dovuto fermarlo quando ti ha urlato che lo avevi umiliato davanti a tutti, che dovevi andartene da quella casa, e tornare soltanto quando saresti tornato in te. Come se tu non lo fossi già…”
La sua voce si spezzò. La sentii tirare indietro un singhiozzo, prima di dire: “Devo smetterla di piangere, Blaine. Per  tutti questi mesi non ho fatto altro che piangere, e a urlare contro la mia stupida debolezza.  Non mi perdonerò mai per non aver fatto niente. Non mi perdonerò mai per non aver capito in tempo…ma adesso capisco, Blaine. Tu sei sempre il mio amato figlio…e anche tu, Kurt, sei una persona speciale.
Vi ho osservato, prima. E ho capito ancora di più… che non c’è niente di sbagliato in quello che provate l’uno per l’altro.”
Le nostre mani si trovarono nello stesso istante, intrecciandosi come se fossero due parti di una cosa sola.
Guardai finalmente mia madre, con un sorriso che non le rivolgevo da tanto tempo.
Le dissi grazie.
E non era la sola ad essersi commossa, quando si sporse verso di me per abbracciarmi.
 
 
Mi ero quasi dimenticato di come fosse casa mia.
Da lontano potevo scorgere le grandi finestre, le mura color panna e il vasto giardino, riempito con piscina, sdraio, angolo cocktail e perfino una casetta dove di solito alloggiavano gli ospiti.
La mascella di Kurt cadde di tre piani: “Blaine…quant’è grande casa tua?”
Abbozzai un sorriso sghembo, cingendogli le spalle con il braccio. “E’…un po’ più grande della tua, direi.”
“Solo un po’!?”
Parcheggiammo in uno dei tanti posti riservati alle nostre macchine – non ebbi il coraggio di dire a Kurt che avevamo cinque macchine per tre persone patentate – e afferrammo le tantissime buste ottenute dallo shopping.
Mia madre ci aveva proposto di andare a casa per posare tutti i miei vestiti, che non sarebbero mai entrati nel piccolo armadio della Dalton. Per quanto ebbi avuto delle riserve all’inizio, alla fine cedetti quando mi disse che mio padre era fuori città e sarebbe ritornato la sera tardi. Inoltre, ci teneva che mettessi di nuovo piede in quel posto: aveva insistito tanto nel dire di ignorare quello che mi aveva detto quel giorno e che non dovevo farmi nessun problema a tornare, come e quando lo volevo.
Non appena scesi dalla macchina mi venne incontro Omar, il nostro fidato giardiniere, e a seguire la signora Burr, nostra domestica da anni, e perfino Tom, lo chef, uscì dalla sua postazione per farmi le feste.
E mentre salutavo tutti con gioia, Kurt rimaneva semplicemente attonito a fissarmi.
“Hai un cuoco personale?”
“Non io, mia madre. E’ negata per la cucina…” ridacchiai, ma lui non era della stessa espressione.
“Vieni, ti mostro il dentro.”
E se prima era scosso, adesso era sbiancato del tutto.
Casa mia era fatta da tre piani, piena di quadri e oggetti di valore, rigorosamente bianca e con mobilia di antiquariato, oltre che ad un enorme televisore posto in mezzo al salotto, contornato da una vastissima gamma di dvd, cd e dischi in vinile.
“Scusa il disordine! –Esclamò mia madre- Alfred non ha ancora finito di pulire tutto quanto.”
“Alfred…”memorizzò lui, come se stesse contando il numero di domestici a nostra disposizione. Quando si accorse che lei stava attendendo un suo parere si rianimò di scatto sfoggiando un perfetto sorriso finto.
“E’ una casa incantevole.”
“Grazie! In effetti penso che cambierò i divani in pelle per sostituirli con qualcosa di più classico…ho come l’impressione che siano un pugno nell’occhio, non trovi?”
“Tutt’altro. Si addicono perfettamente a… -lanciò un’occhiata- tutto. In effetti, tutta questa casa si addice a voi.”
Inarcai un sopracciglio: il suo tono conteneva una nota di amarezza.
“Blaine, perché non gli fai vedere la tua camera?”
“Oh, giusto! Andiamo Kurt.” Lo presi per mano, e mentre attraversavamo le lussuose scale di marmo sentii mia madre urlare: “Io e Kitty andiamo in giardino, quando avete fame ditelo a Tom, vi farà dei toast!”
Camera mia non era niente di speciale. Fatta eccezione per la chitarra e un pianoforte a muro, non c’era niente che mi rappresentasse: sui muri non era appeso nessun poster e la libreria non conteneva altro che vecchi libri di medicina. Il letto era banalmente coordinato con le tende blu scuro e tutto era perfettamente pulito e ordinato. E fui contento di vedere che non era cambiato nulla, dall’ultima volta in cui ci ero stato.
“Non è bella come la tua… -esordii, facendo un cenno all’arredamento- ma questa è camera mia.”
Kurt annuì. Sembrava perso nei suoi pensieri.
“Voglio vedere se…-mi avvicinai cautamente al letto, tastando il pavimento sotto ad esso- eccole!”
Lui si avvicinò, afferrando tutte le mie riviste di Vogue. Erano più vecchie di un anno, ma scommettevo che le conosceva a memoria pagina per pagina.
“Come mai le tenevi sotto al letto?”
Sorrisi. “C’è chi ci tiene le riviste osè…io ci tenevo Vogue. Avevo paura che mio padre le buttasse via.”
Si sedette sul letto, cominciando a sfogliarle con una certa malinconia.
“Kurt?” Mi posizionai accanto, cercando il suo sguardo. “Kurt, qualcosa non va?”
Finalmente rialzò la testa verso di me, e disse: “Lo avevo sempre pensato, ma…Blaine, tu sei ricco.” Non era una domanda.
“…Dipende cosa intendi per ricco.”
“Intendo che hai una casa enorme e otto persone alla tua mercé.”
“Soltanto otto? Allora sono diminuite.”
Ma la mia battuta non lo fece ridere. Continuava a fissarmi incolore. Era…in soggezione?
“Mio padre è un imprenditore, ma è mia madre che ha permesso tutto questo. Ma non lo ammetterà mai, è troppo modesta.”
Accarezzò la copertina della rivista ora chiusa e non disse niente.
“Kurt…hey.” Presi il viso tra le mie mani, per poi dargli un dolce e leggero bacio.
“Questo non cambia niente, lo sai, vero?”
Esitò un secondo. “Beh…ora almeno capisco perché offri sempre tutto tu. Mi sento meno in colpa.”
Ridacchiai. E poi mi sporsi per un altro bacio, stavolta più lungo e passionale.
Sorprendentemente ricambiò con un certo impeto, posando una mano dietro la mia nuca e l’altra sopra al braccio.
In un battito di ciglia lo avevo fatto sdraiare sul letto e io mi ero disteso accanto a lui, accarezzandogli la schiena e cominciando a saggiare la pelle del suo collo.
Kurt emise un gemito quando la mia lingua si soffermò sulla parte sotto all’orecchio, cominciando a succhiarla lentamente.
“Blaine...” mormorò, come se dovesse ricordarmi qualcosa di cui si era dimenticato lui stesso.
“Mia madre e Kitty sono fuori –sussurrai, come se avessi letto nella sua mente- E scommetto che l’hanno fatto apposta, per farci…per darci un po’ di spazio. Non verrebbero mai a disturbarci, tranquillo.”
Il tocco divenne un po’ più sicuro mentre scendeva dalla spalla al fondoschiena. Lui, però, si scostò un attimo: “Okay, non ho il coraggio di dirti di smettere. Ma potresti almeno chiudere la porta?”
Obbedii senza fiatare, e poi mi ributtai accanto a lui con uno slancio, che fece scaturire una risata divertita.
Riprendemmo a baciarci come se quei dieci secondi di distacco fossero stati un tempo troppo lungo e doloroso. Avevamo bisogno di sentire il calore dei nostri fiati che accarezzavano la pelle, le lingue che si intrecciavano in una danza frenetica, le mani che non smettevano di esaminare il corpo dell’altro, curiose e attente.
E poi, colto dal momento, da un’improvvisa fitta di piacere, lo afferrai per il sedere e spinsi il suo bacino contro il mio.
E dovemmo fermarci un attimo a respirare, perché potevamo sentire l’erezione reciproca attraverso il tessuto dei jeans, ed era una cosa decisamente nuova.
Ci scambiammo una lunga occhiata. Io ero incerto: non sapevo se fosse il caso di continuare. Ma i suoi occhi chiari in quel momento erano così scuri, così carichi di piacere, che non riuscii a trattenermi.
Cominciai piano a muovermi contro di lui, provocandogli dei sospiri che avrei giurato mi potessero mandare in orbita. Forse non aveva connesso quello che stava succedendo; forse era troppo in balìa delle sensazioni per potersi permettere qualsiasi pensiero coerente. Ma così ero anche io: socchiusi gli occhi. Baciai tremolante le sue labbra e affondai il viso nell’incavo del suo collo, perché non riuscivo a fare due cose in contemporanea, non in quel momento. Inspirai a pieni polmoni il suo profumo come se fosse la mia droga preferita. Accelerai il ritmo, mi facevo più veloce ad ogni scossa, Kurt non smetteva di stringermi e chinò la testa in avanti, appoggiandola contro al mio torace, come se fosse stata troppo pesante da sorreggere. Ora cominciava a rispondere al singulto, ondeggiando nel verso contrario delle mie spinte, lasciandosi scappare qualche gemito più acuto che arrivava dritto in mezzo al mio cuore. Perché i versi di Kurt erano la cosa più emozionante che avessi mai sentito in vita mia. Volevo sentirli di più, volevo che abbandonasse ogni timore. Perché eravamo solo io e lui, ed era tutto perfetto.
Ma non ci eravamo accorti che i nostri gemiti erano diventati piuttosto rumorosi, tanto da poter essere ascoltati anche attraverso la porta chiusa.
Sentimmo un rumore sordo. Si era aperta: mostrò mio padre in giacca e cravatta con uno sguardo a dir poco esterrefatto. Dietro di lui mia madre, con la guancia arrossata e gli occhi pieni di lacrime, che teneva la sua manica come per impedirgli di fare qualcosa.
Fissò noi, Kurt, il suo corpo adagiato al mio, il mio viso che aveva perso tutto dell’espressione precedente.
Non riuscivo a capire.
Aveva detto che sarebbe tornato la sera tardi.
Aveva detto che non l’avrei rivisto.
E adesso era lì, e ci stava fissando con disprezzo, con rabbia.
“Richard…”esordì mia madre, ma fu subito zittita con un urlo secco del marito.
Emanò un verso di disgusto. E poi se ne andò. Di nuovo. Come quel giorno al festival.
Non ci vidi più.
“Perché fai così!?” Urlai, inseguendolo per le scale, senza far caso a tutti i domestici incuriositi, a Kitty che osservava da un angolo e a mia madre che non aveva il coraggio di farsi avanti.
“Perché non puoi accettare che Kurt è il mio ragazzo, e che mi piace!?”
Ma lui non rispose. E la mia ira aumentò ancora di più.
“Perché non lo vuoi conoscere!?”
Eravamo l’uno davanti all’altro. Tutto ciò che potevo vedere erano le sue spalle tese.
“Penso che sia troppo presto.”
“Troppo presto? –Canzonai- Tu a che età hai conosciuto la mamma!?”
“…E’ diverso.”
“Oh, certo, è diverso. IO sono diverso, non è così!?”
“Sì Blaine! -Urlò, voltandosi di scatto- tu sei diverso! E io ho sempre sperato che un giorno varcassi quella soglia di casa mano nella mano con una ragazza. Non con...lui.” Sputò quelle parole come se fossero veleno, lanciando una rapida occhiata a Kurt. Per tutto il tempo era rimasto dietro di me, silente, con gli occhi ancora sgranati dallo shock e il volto pallido.
Ma io non ero affatto intimorito dalle sue parole.
“Non ti permetto di guardarlo in quel modo. Non ti permetto di infangare quello che abbiamo.”
“Quello che avete!? –Era sull’orlo dell’esasperazione- Ma come fai a dire queste cose!? Hai sedici anni! Non avete un bel niente, se non un rapporto sbagliato per natura e una fase di ribellione che finirà con la tua pubertà!”
Era stata l’ultima goccia.
Mi voltai.
“Andiamo via, Kurt.”
“Non ti permettere di voltare le spalle a tuo padre!”
“TU NON SEI PIU’ MIO PADRE!”
Silenzio.
Afferrai il mio ragazzo per mano, rischiando di fargli male per quanto stringevo forte. Salii le scale e per poco non crollò lo stipite quando sbattei la porta della mia camera.
Dovevo calmarmi. Dovevo assolutamente calmarmi, prima di distruggere qualcosa.
Affondai le mani nei capelli, per poco non me li strappai, respirai profondamente quattro o cinque volte e continuavo a camminare su e giù per la stanza.
Non avrebbe mai capito. Non avrebbe mai accettato quello che ero.
E per colpa mia la mamma stava piangendo, Kitty era estremamente confusa, e Kurt era stato brutalmente umiliato.
Le mie gambe non ressero più e fui costretto a scivolare contro il muro, affondando i viso tra le ginocchia.
Non era così che doveva finire la giornata. Non era così che avrei voluto parlare con mio padre.
Era tutto sbagliato.
 “Blaine…” la voce timida di Kurt mi riportò per un attimo con i piedi per terra.
Il suo tono era incrinato. E quando alzai lo sguardo, vidi i suoi occhi farsi sempre più limpidi, le sue labbra increspate in una smorfia di dolore.
Stava soffrendo per me.
Mi abbracciò senza aggiungere altro. Dopotutto, qualunque parola sarebbe risultata superflua. Non c’era davvero niente da dire, volevo soltanto sentirlo, aggrapparmi a lui, perché mi sembrava l’unica cosa degna di essere fatta.
Non mi ero nemmeno reso conto che stavo bagnando il colletto della sua camicia con delle lacrime.
“Ti prego… –mi accarezzò dolcemente- sfogati.”
Mi ero ripromesso di non piangere.
Ma ormai era inutile resistere.
 
 
 
***
 
I fazzolettini sono alla vostra destra.
I guantoni da box, per chi volesse picchiare Richad, li potete trovare nell’angolo in fondo a sinistra.
E’ stato un capitolo molto difficile da scrivere, spero che vi sia piaciuto.
E so che è un tantino triste…ma mi permettete di festeggiare le 201 recensioni? Sono troppo felice!!! Vi ringrazio davvero, davvero tanto. Siete dei lettori splendidi e non riesco ancora a capacitarmi di tutto questo affetto che mi dimostrate.
Vi adoro, dal primo all’ultimo.
 
 

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Capitolo 27
*** Casa ***


Nota: vi consiglio di ascoltare a palla questa canzone durante la lettura. Mi ha accompagnata per tutta la stesura del capitolo ed è semplicemente perfetta.
http://www.youtube.com/watch?v=IxsVwomhnmA
Ah, un’ultima cosa.
Se lo scorso capitolo lo avete trovato deprimente…preparatevi.
 
 
 

Capitolo 26
Casa

 
 
When you try your best but you don't succeed
When you get what you want but not what you need
When you feel so tired but you can't sleep
Stuck in reverse

(Quando fai del tuo meglio ma non ce la fai.
Quando ottieni quello che vuoi ma non ci riesci.
Quando ti senti stanco, ma non riesci a dormire
Bloccato al contrario.)
 
Continuavo a strimpellare la chitarra mormorando quelle frasi terribilmente vere, immerso in quella stanza che non riuscivo più a sentire mia. Il mio canto riecheggiò attraverso un flebile sussurro, un disperato bisogno di uscire fuori, ma non abbastanza forte da farsi strada in mezzo al mio dolore, e ne fu travolto.
 
And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone but it goes to waste
could it be worse?

(Quando le lacrime si versano sul tuo viso
quando perdi qualcosa che non puoi rimpiazzare
quando ami qualcuno ma tutto va perduto
potrebbe andar peggio?)

 
Il volto disgustato di mio padre era ancora lì, davanti a me. Potevo ancora sentire la sua voce trafiggermi brutalmente. Continuava a ricordarmi quanto fossi sbagliato.
Quel giorno, dopo quel breve scontro, e il crollo di tutte le mie speranze, conobbi il gemito di un cuore spezzato.
Era un suono amaro.
 
E poi un altro suono, del tutto diverso.
La voce di Kurt.
Si era fatto avanti verso di me, mi stava guardando in modo intenso, aveva continuato a cantare al posto mio dal momento che i singhiozzi e le lacrime mi avevano impedito di proseguire.
Ed era incredibile quanto quella canzone fosse adatta, per me e per lui, per quello che mi stava succedendo.
 
Lights will guide you home
and ignite your bones
And I will try to fix you

 (Le luci ti guideranno a casa
e accenderanno le tue ossa
ed io proverò ad aggiustarti.)

 
 
Distolsi lo sguardo dallo strumento. I nostri occhi si incrociarono come se si fossero accordati da una vita.
Semplicemente, mi sorresse, aiutandomi a mantenere la chitarra e posando l’altra mano sul pavimento, accanto a me.
Finimmo la canzone insieme. Creammo un’armonia che non saremmo mai più riusciti a fare. Perché io non stavo soltanto cantando: stavo urlando, piangendo, tracollando. Stavo esternando tutto ciò che non riuscivo a dire a parole, ma che, un’altra volta ancora, riuscivo a trasmettere con la musica.
 
Tears streaming down your face
When you lose something you cannot replace
Tears streaming down your face and I

 (Le lacrime si versano sul tuo viso
quando perdi qualcosa che non puoi rimpiazzare
le lacrime si versano sul tuo viso ed io..)

 
 
Mi stavo sfogando nell’unico modo che io e lui conoscevamo per farlo.
Perché la musica mi aveva accompagnato quando ero solo e triste e niente aveva più senso, quando sognavo ad occhi aperti un futuro che mai come allora mi sembrò irraggiungibile; quando pensavo all’amore.
Ne avevo bisogno, per vivere.
Perché, in quel momento, mi sentivo morto dentro.
 
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you

(Le luci ti guideranno a casa
e accenderanno le tue ossa
ed io proverò ad aggiustarti.)

 
 
Kurt.
Portami in un posto che sia solo nostro.
Portami dove l’unico suono che posso sentire è quello della tua voce che pronuncia il mio nome.
Portami via da tutto questo, da un padre che non mi vuole, e un mondo che non capisco.
Solo…portami via con te.
Perché tu sei la mia luce.
 
 
La notte era scesa silenziosa sopra ad un giorno che era sempre stato buio.
Gli alberi scorrevano veloci attraverso il finestrino, come piccoli dettagli che non meritavano di essere notati.
Eppure, nonostante fossimo completamente rinchiusi in quella macchina, potevo sentire un insolito freddo pungermi la pelle, penetrarmi fin dentro le ossa.
Mi raggomitolai tirando su le ginocchia e sospirai, cercando di scaldarmi almeno quel poco da farmi smettere di tremare.
Ma, in verità, il quadrante della macchina segnalava diciotto gradi centigradi.
E io non stavo tremando a causa del freddo.
Kurt, che per tutto quel tempo era rimasto in silenzio a guidare, si voltò verso di me.
Cercò di dire qualcosa, qualche frase che però non poteva essere espressa a parole.
E io, mosso da un riflesso involontario, gli sorrisi, come se non avessi mai smesso di farlo: perché era stato con me per tutto il tempo. Mi aveva abbracciato, aveva pianto per il mio dolore, e poi dopo quello strano duetto straziante mi aveva condotto in macchina, sotto lo sguardo attonito di mia madre e quello inerme di mia sorella.
Non volevo autocommiserarmi in quel modo. Odiavo farlo. Non volevo accollare a Kurt dei problemi che non erano suoi. Ma in quel momento non potevo fare altro che aggrapparmi completamente a lui, perché non avevo più la forza per reagire.
 
 
Kurt smanettò velocemente con le chiavi di casa cercando di fare il meno rumore possibile: era notte inoltrata e credeva che stessero tutti dormendo. Invece, con sua grande sorpresa, non appena aprì la porta la luce si accese di scatto, merito di un alquanto cupo Burt Hummel, che ci fissò dal divano con l’aria di chi aveva appena passato un brutto quarto d’ora.
“Kurt Elizabeth Hummel. Hai una vaga idea di che ore siano?”
“Papà, posso spiegare…”
“E’ colpa mia.” Dissi tutto d’un fiato, attirando l’attenzione di entrambi.
“Blaine? –Il tono del signor Hummel divenne più teso- Che ci fai qui?”
“Io…”
Cosa potevo dire? Mi ero lasciato trascinare da Kurt senza pensare alle conseguenze. Ero piombato in casa loro, con nient’altro che me stesso, pretendendo di essere accolto a braccia aperte all’una di notte.
Non dovevo essere lì. Il signor Hummel mi avrebbe riportato immediatamente alla Dalton, o peggio, a casa mia.
E non appena quel pensiero attraversò la mia mente il mio corpo fu scosso da un fremito,  che mi costrinse a sviare lo sguardo a terra per nascondere il rossore degli occhi.
La voce di Burt adesso era più vicina, e decisamente preoccupata.
“Che cos’è successo? Vi hanno fatto del male?”
“No, papà, stiamo bene. Blaine ha…”
Mi lanciò un’occhiata, non era sicuro di poterlo dire. Con un gesto impercettibile scrollai le spalle.
“…è una storia lunga, papà…ma ha davvero, davvero avuto una brutta giornata. Può rimanere qui per questa notte?”
Ci fu qualche secondo di silenzio, immaginai che il padre stesse valutando il modo migliore per rispedirmi a casa.
Ma non fu così.
“Vado a prendere delle coperte e un cuscino. Immagino che dovrai accontentarti di un divano.” Mi disse, mentre balbettavo qualche ringraziamento sconnesso.
Non mi ero ancora abituato alla sua spropositata comprensione. Prima che potessi evitarlo pensai a mio padre: il paragone era inevitabile, e mi ritrovai un’altra volta a soffrire in silenzio.
“Vieni.” Sussurrò Kurt, prendendomi dolcemente per mano. Entrammo in camera sua e lo vidi trafficare trai cassetti alla ricerca di un pigiama pulito ed uno spazzolino nuovo.
“Temo che ti starà un po’ lungo –ammise, indicandomi dei pantaloni di cotone- in ogni caso, usa pure il mio bagno.”
Non avevo la forza per discutere con Kurt su quanto disturbo gli arrecassi e su come potevo arrangiarmi usando il bagnetto degli ospiti, quindi eseguii senza fare tante storie.
Se fossi stato dell’umore adatto avrei sicuramente ammirato la quantità industriale di creme, lozioni per il corpo e oli profumati, le numerosissime marche di shampoo e balsamo, il dolce aroma di lavanda che aleggiava per tutta la stanza. Mi infilai velocemente pantalone e la maglietta –della quale dovetti arrotolare le maniche- e mi lavai i denti con il suo dentifricio alla menta.
Avendo ancora i capelli sistemati con il gel fui costretto a sciacquarmi velocemente la testa sotto al lavandino, per poi asciugarmi con un asciugamano che mi aveva lasciato Kurt e il suo phone agli ioni. Quella sottospecie di doccia mi aiutò a ritornare in me, mettendo da parte tutta la depressione per cominciare a ragionare con il cervello: che cosa avrei dovuto fare? L’indomani ci sarebbe stata scuola. Tornare alla Dalton senza aggiungere altro, ignorando completamente gli avvenimenti accaduti; sì, potevo di certo farlo. Dopotutto, lo avevo fatto altre volte: far finta di niente, dimenticare la mia famiglia.
Ma non volevo.
Perché per un attimo, per un breve, intenso, attimo, ero stato bene. Passare quel pomeriggio con Kitty, parlare in quel modo a mia madre… ora che avevo avuto un assaggio di felicità, sentivo di volerne di più.
Volevo la mia famiglia. No: volevo tornare a casa.
Ma, dall’altro lato, cominciai a chiedermi dove fosse.
Perché non poteva essere in un posto abitato da quell’uomo.
Una volta calmatomi uscii dal bagno. Trovai Kurt seduto sul ciglio del letto, e non appena mi vide sfoggiò un tenero sorriso.
Lipperlì non capii: avevo i capelli in condizioni non descrivibili, il pigiama mi stava lungo e il mio viso era scavato da delle occhiaie violacee. Eppure, lui sembrava incantato.
“Sei bellissimo.” Riuscì a dire, venendo verso di me e ammirandomi da più vicino.
“Bugiardo.”
“Nient’affatto: vederti con il mio pigiama, con questi capelli liberi dal gel… - le sue guance si tinsero di un rosa pallido – fa un bell’effetto.”
Timidamente, abbozzai un sorriso. Kurt era capace di farmi dimenticare tutto il dolore soltanto attraverso un’occhiata.
“Sarà meglio che vada. - affermai, prendendo delicatamente le sue mani- Non vorrei davvero approfittare della gentilezza di tuo padre.”
Sembrò esitare un secondo; poi, con tono deciso, sussurrò: “Resta ancora un po’.”
Oh, avrei tanto voluto. “Ma tuo padre…”
“Mentre eri in bagno gli ho spiegato la situazione. Gli dispiace molto e mi ha detto di prendermi cura di te. E tu, Blaine, hai bisogno di riposare. Nemmeno un bradipo riuscirebbe a dormire sopra a quel divano polveroso. E’ un portatore sano di scoliosi, te lo assicuro. Mio padre non farà storie: voglio dire, ti ha scoperto mezzo ubriaco sul mio letto e sei ancora vivo per raccontarlo, per quanto mi riguarda hai una specie di immunità addosso.”
Strabuzzai gli occhi. Voleva che dormissi insieme a lui?
“Kurt…non posso…sto già arrecando così tanto disturbo…”
Mi fissò torvo, quasi offeso. “Farò finta di non aver sentito quello che effettivamente ho sentito. Perché il mio ragazzo sa che queste formalità non esistono, ma adesso è troppo scosso per formulare pensieri coerenti, quindi glielo dico io: queste formalità non esistono proprio. Non sono mai esistite e non vedo perché crearle adesso.”
Sorrisi. Le sue mani morbide, ancora intrecciate alle mie, erano piacevolmente calde.
“Questo ragazzo è davvero fortunato ad avere un fidanzato come te.”
Appoggiò la sua fronte alla mia. “No, Blaine. Sono io quello fortunato a stare con te.”
 
 
Dormire con Kurt era la cosa più rilassante del mondo.
Osservavo il suo torace ondeggiare a tempo con il respiro, che lambiva placidamente il mio viso, appoggiato sul cuscino a pochi centimetri dal suo; le sue labbra erano distese in un languido sorriso, a metà tra sogno e realtà.
Era una visione della quale non mi sarei mai abituato, lo sapevo bene: avrei potuto guardarlo per ore, e questi sarebbero sembrati dei piccoli minuti. E improvvisamente le immagini di quel giorno mi sembrarono più sfocate, come un innocuo ricordo lontano. Perché Kurt non aveva smesso di tenermi la mano nemmeno durate il sonno.
Poi, lentamente, le sue ciglia lunghe lasciarono spazio a due grandi occhi azzurri.
E anche se non erano del tutto aperti, o del tutto svegli…erano splendidi. Come la prima volta che li avevo conosciuti.
“Non riesci a dormire?”
Scossi la testa in segno di diniego.
Lui si fece ancora più vicino e si accoccolò tra le mie braccia, affondando il viso nell’incavo del mio collo, i nostri corpi divisi soltanto dalle sue mani che accarezzavano con calma il mio petto.
“Ne vuoi parlare?”
Feci di no un’altra volta, tracciando con le dita dei piccoli cerchi sul suo braccio.
Non era il momento adatto. Mi sentivo semplicemente troppo pieno d’amore per essere triste.
Restammo qualche secondo in quel modo, beandoci l’uno del contatto dell’altro, finché lui non alzò la testa e mi guardò rammaricato.
Non sopportavo di vederlo crucciarsi in quel modo per causa mia.
“Su, dormiamo. –Bisbigliai, abbozzando un sorriso- Domani ci aspetta una lunga giornata di scuola.”
Kurt mugugnò qualcosa di non definito e si lasciò cullare dai miei tocchi gentili, coordinando il suo respiro al mio. Una parte di lui stava cercando con tutte le sue forze di rimanere sveglio, ma quella che si era svegliata da pochi minuti stava cominciando a prendere il sopravvento.
“Buonanotte, Kurt.”
Masticò un “buonanotte” e poi, dolcemente, si sporse verso le mie labbra per lasciarci un candido bacio.
E io mi soffermai ad inspirare forte il suo odore, lasciando che varcasse fin dentro la mia anima.
Aveva il profumo di casa.
 
 
Nessuna sveglia tamburellò violentemente le mie orecchie, nessuna tenda illuminò con crudeltà il mio viso, costringendomi alla veglia.
In effetti, quando aprii gli occhi, mi stupii di non vedere Kurt già in piedi e pronto per andare a scuola.
Era ancora accanto a me e con una mano stava scostando qualche ricciolo dalla mia fronte.
“Buongiorno Kurt.”
“Buongiorno. Dormito bene?”
In effetti mi sentivo molto meglio. Una notte di sano riposo era capace di stravolgere completamente lo stato d’animo di una persona: mi sentivo molto più tranquillo e sereno.
“Che ore sono…?” Mi sporsi verso il cellulare e lessi sul display le dieci e trenta.
“Cavolo! Ma è tardissimo!”
“Blaine, rilassati.”
“E…e la scuola?”
Mi lanciò un’occhiata divertita.
“Quale scuola?”
Sotto al mio sguardo interrogativo spiegò: “Mio padre è andato al lavoro di buon’ora e così Carole. Ho chiesto a Finn di tenermi il gioco, nessuno scoprirà mai la verità.”
“Kurt Hummel…-sogghignai- sei davvero l’essere più bello e machiavellico che abbia mai conosciuto.”
E se la metteva in quei termini, allora potevo veramente dormire un po’ di più.
“Blaine!” Esclamò, quando mi vide risprofondare sul cuscino. “Non ti ho svegliato per lasciarti dormire! Andiamo!”
“Dammi altri cinque minuti…”
“Aha, certo. Hai detto la stessa cosa quella volta alla Dalton, ricordi? Ho dovuto buttarti giù dal letto per farti alzare.”
Ridacchiai, ripensando a quella volta in cui avevamo dormito insieme nel mio letto della Dalton, il giorno prima che lui ritornasse al McKingley.
Con un grande sospiro mi misi a sedere, strofinandomi gli occhi e sbuffando per le condizioni dei miei capelli: terribilmente appiattiti da un lato, quello che era stato a contatto con il cuscino, esageratamente esplosi dall’altro, come un fungo atomico.
Eppure a Kurt sembravano piacere tantissimo. Continuava a giocherellarci criticando il gel e i tipi di balsamo che usavo, sempre se li usassi.
Non mi permise di toccarli nemmeno con il pensiero: me li aggiustò lui con qualche colpo di spazzola – per poco non ci rimase incastrata dentro- e dopo aver studiato centimetro per centimetro il suo armadio alla fine riuscì a scegliere dei vestiti appropriati da prestarmi, ovviamente abbinati al suo completo formato da gilet di Marc Jacobs e pantaloni di Enrico Coveri.
Facemmo colazione con delle frittelle e per poco non gli venne un infarto quando vide la quantità di sciroppo d’acero che ci avevo messo sopra. Io in risposta ne aggiunsi dell’altro, e lo guardai con aria di sfida.
Prima che potesse avventarsi su di me e sottrarmi il piatto dalle mani il mio cellulare vibrò insistentemente: onestamente non mi sorpresi di leggere il nome di Nick.
 “Si può sapere dove DIAVOLO sei finito!?”
“Buongiorno anche a te Nick. Sei di ottimo umore sento.”
Kurt ridacchiò da dietro il suo bicchiere di succo d’arancia.
“Flint è letteralmente impazzito ed è corso in camera nostra in preda ad un attacco di panico. Ed ieri sera ha bevuto troppo e ha visto una luce strana, tutta nella tua testa dirai tu, e certo! Intanto adesso è stra convinto che fossero gli alieni che ti hanno rapito e messo incinto di un ibrido intergalattico. E Colin…Colin è da tre ore che sta fisso davanti a quel cavolo di computer!”
“Devo aspettare l’indizio di Pottermore!” Sbottò quello, da lontano.
“Insomma –incalzò Nick- dimmi che hai passato una nottata di fuoco a casa di Kurt e che la mia chiamata vi ha interrotti nel dolcissimo momento  del risveglio, così la facciamo finita.”
Diedi un leggero colpo di tosse. “Sì…e no. Ho dormito da Kurt, ma non è come pensate voi.”
Vidi il viso del mio ragazzo avvampare sempre di più, e prima che potessi dire “a” si era già volatilizzato con la scusa di qualche cosa da lavare.
 “HA! Che vi avevo detto!? Ho vinto io!” Esclamò nel frattempo Nick.
“…Come scusa?”
“Mi dovete trenta dollari, ragazzi. Scusa Blaine, non mi riferivo a te.”
…No. Non avevano scommesso su una cosa del genere. E, soprattutto, non l’avevano appena spiattellato davanti a me. Davvero. Non potevano averlo fatto.
“Nick…non è come pensate.” Non sapevo se essere offeso o morire per l’imbarazzo.
“Ah. Beh, allora dicci tutto. Ti ho messo in vivavoce.”
Sospirai, cominciando a massaggiarmi le tempie. A volte avere degli amici così indiscreti era davvero snervante. Ma, dopotutto, meglio dare la notizia bomba via telefono, piuttosto che sorbirsi i loro scleri dal vivo. Sapevano la storia della festa del Ringraziamento e mi avevano visto parlare con mia madre al festival, quindi fui piuttosto sintetico nel raccontargli cos’era accaduto.
“Ieri sono stato con mia madre e mia sorella. Poi sono tornato a casa…e ho litigato con mio padre. Duramente. Del tipo che non credo gli parlerò mai più. Ero piuttosto a pezzi, ma Kurt mi ha aiutato. Tutto qui.”
Ci fu una breve pausa. Potevo immaginarmeli guardarsi tra di loro a metà tra l’interdetto e il mortificato.
“E…stai bene, ora?”
“Abbastanza, sì. O meglio, non ho ancora la forza per chiamare mia madre e cercare di capire cosa diavolo le fosse passato in mente quando ha condotto mio padre davanti a me e Kurt.”
Facendoci rischiare l’infarto, pensai.
Ma forse non era proprio colpa di mia madre. Insomma, va bene che ci aveva lasciato da soli, ma probabilmente era per farci parlare con calma, o, al massimo, per concederci qualche piccola effusione.
Di certo non si aspettava di trovarci in quello stato.
Francamente, non ce lo saremmo aspettati nemmeno io e Kurt.
“Possiamo fare qualcosa?” Domandò Nick, interrompendo i miei pensieri.
“No, non vi preoccupate. Tornerò alla Dalton il più presto possibile.”
“Ti conviene farlo, o Chase finirà per ammutinarsi e autoproclamarsi nuovo solista del gruppo.”
E purtroppo sapevo che non stava scherzando.
Riattaccammo dopo un breve saluto ed emanai un pesante sospiro, abbandonandomi completamente alla sedia.
“Ti salutano Nick e gli altri.” Annunciai a Kurt, che stava sciacquando dei piatti.
“Mi mancano quei pazzi.” Commentò, continuando a darmi le spalle.
Mi avvicinai verso di lui, cingendogli la vita con un braccio.
“Anche tu manchi a loro.” Cominciai a baciare il suo collo fresco, provocandogli dei brividi lungo tutto il corpo.
“Blaine…”
“Shh…” Un altro bacio, stavolta più umido, sulla base della spalla.
Se in quel momento stavo bene era tutto merito di Kurt. Volevo fargli capire quanto fosse importante per me, e quanto gli fossi grato per tutte le attenzioni che avevo ricevuto.
Una mia mano si spostò dalla vita al braccio, facendolo voltare con una mezza giravolta.
Senza indugiare oltre premetti le mie labbra contro le sue, e aspettai pazientemente che queste ultime si dischiudessero tracciando i contorni della bocca con la mia lingua, e mordicchiandogli leggermente il labbro inferiore.
Lo sentii aggrapparsi a me e ricambiare il gesto con altrettanta minuziosità, che venne quasi subito scartata in favore di un bisogno più impellente.
Le nostre lingue si scontrarono con veemenza, una sua mano era intrecciata nei miei capelli e l’altra posata sulla mia pancia, saggiando quel poco di addominali che si potevano percepire attraverso la maglietta.
E io massaggiai placidamente il collo, le spalle, fino ad aggrapparmi alla sua schiena. Lui gemette a quel tocco e ne approfittai per spostare i miei baci verso il basso.
“Blaine, no…”
“Tranquillo, non ti sgualcisco la camicia…” mormorai, mentre sbottonavo i primi bottoni permettendomi di succhiare e baciare ripetutamente la clavicola, lasciando un piccolo ma evidente marchio color rossastro.
“No, non è…” non riusciva a formulare una frase molto coerente, in quel momento.
Beh, non che potessi biasimarlo.
Carezzai languidamente la sua schiena fino a raggiungerne il fondo.
Con un gesto secco lo avvicinai a me, senza interrompere il lavoro che stavo facendo con la bocca.
Sentire che, nelle parti basse, c’era già un movimento mi fece completamente perdere la testa.
E visto che la cosa era reciproca, mandò in tilt anche lui.
Ma in un modo diverso.
“Non ce la faccio!” Si scostò di colpo e corse via verso una direzione non definita.
Guardai attonito il punto dove si trovava pochi secondi prima. Se fosse stato un cartone ci sarebbe rimasta la nuvoletta di fumo.
Avevo il fiato corto e la pelle d’oca, e a causa di un piccolo problema tecnico non riuscivo a muovere un passo.
E a quel punto mi sorse spontanea una domanda: che cos’era successo?
 
 
 
Avevo pensato che si fosse sotterrato da qualche parte. Ma non intendevo in senso letterale.
“Kurt?”
 “…Sì?”
“…Che stai facendo sotto al tavolo?”
“Sto…sto cercando una cosa.”
“Mhm.” Inclinai il capo ed incrociai e braccia.
Dopo qualche secondo ero accovacciato accanto a lui rivolgendogli un sorriso sghembo.
“Ch-che stai facendo?”
“Ti aiuto a trovare quello che stai cercando. Cos’è che stai cercando?”
Si morse appena il labbro, sviando lo sguardo a terra.
“…Forse il coraggio per poter uscire da qui sotto.”
“…Kurt… -gli presi dolcemente la mano e lo guardai dritto negli occhi, parlando con voce bassa ma sicura- se ho fatto qualcosa di sbagliato, ti chiedo profondamente, umilmente scusa.”
“No…-mi fermò subito, diventando sempre più rosso in viso- non è colpa tua…cioè tu sei…insomma, tu sei…”
E fece un gemito di imbarazzo, lasciando in sospeso la frase.
Io ridacchiai compiaciuto e mi feci un po’ più vicino, con fare seducente.
“Oh, bene…-bisbigliai, accarezzando con il pollice il suo labbro inferiore- perché non avevo affatto finito con te…”
E a quel punto, mosso da chissà quale pensiero, si aggrappò alla mia camicia ed esclamò: “Ti prego non mi lasciare!”
“Che cosa!? –Strabuzzai gli occhi- Kurt, non potrei MAI lasciarti! Come diavolo ti è venuta in mente una cosa simile?”
“Perché sono un disastro…”
Inarcai un sopracciglio. “Non sei un disastro. Certo, la tua fuga alla Speedy Gonzales mi ha sorpreso, ma…”
Lui sbiancò di colpo, passandosi una mano sulla faccia.
“Va tutto bene! –Lo rassicurai- Mi spieghi che succede?”
“Non riesco più a farlo.”
E a quel punto mi bloccai.
“…Spiegati meglio.” Perché quella frase poteva avere ottomila significati diversi, e onestamente nessuno di quelli mi convinceva molto.
 “Ieri pomeriggio…mentre noi stavamo…”
“Non ti è piaciuto?” Per un momento il mio cuore si riempì di preoccupazione.
“No! Cioè, sì! Sì, mi è piaciuto, e anche molto.”
Lo disse talmente veloce che dovetti rielaborare la frase al rallentatore prima di sorridergli affettuosamente.
“E’ solo che…siamo stati scoperti. Mentre stavamo per...cioè, o è un maledetto scherzo del destino, o lassù c'è qualcuno che mi vuole male."
Lassù?
“Ma non eri ateo?”
Mi fissò.
“Già. Beh, allora ribadisco la teoria della legge di Murphy.”
“Kurt…-accarezzai dolcemente la sua guancia, intenerito- è vero, siamo stati scoperti. Ma mica stavamo rubando qualcosa, no? Siamo giovani e fidanzati. Non facevamo niente di male.”
Insomma, fino a prova contraria, eravamo entrambi vestiti e semplicemente sdraiati sul letto.
Beh, non tanto semplicemente…Ma quelli erano dettagli.
Lui sospirò. “Ma come fai a essere così tranquillo? Ti rendi conto che ci ha visto tua madre? Oddio che cosa penserà di me? Starà già appendendo i manifesti con la mia taglia!”
Ridacchiai. Potevo capire il suo allarmismo, vista l’iperprotettività di suo padre, ma mia madre non era affatto così: “E’ stata un’adolescente anche lei, ha accettato la nostra relazione e ne è contenta. E poi è troppo timida per poterci rimproverare su un argomento simile.”
Il suo volto, però, si rabbuiò ancora di più: “Per non parlare di tuo padre che…”
Mio padre?
“Ma che ti importa!?”
Rialzò il viso verso di me, interdetto.
“Che ti importa se quell’uomo ci ha visto? Che ti importa della faccia che ha avuto? Con tutti i passi avanti che abbiamo fatto, vuoi veramente lasciarti influenzare dal suo giudizio? Lascialo stare. E’ solo un idiota.”
Kurt rimase un po’ sorpreso nel sentirmi sbottare in quel modo.
“Scusami…-mugugnai, sospirando- è solo che…è così diverso… non riesco più a riconoscerlo.”
La sua espressione preoccupata si distese, diventando malinconica.
“Non so cosa stai provando in questo momento…non so nemmeno se posso immaginarlo…ma posso dirti che mi dispiace, mi dispiace tantissimo.”
La sofferenza trasmessa da quelle parole era palpabile nell’aria.
Ci guardammo un secondo, e poi venimmo l’uno incontro all’altro, stringendoci forte.
“Anche a me.” Ammisi, sussurrandolo contro la sua spalla.
“Blaine…-esordì lui, dopo qualche secondo- Non che mi dispiaccia stare qui…ma sento che la polvere si sta facendo strada lungo i miei vestiti per assalirmi stanotte durante il sonno.”
Uscimmo dal tavolo con una lieve risata e ci scambiammo un’ultima occhiata eloquente.
Speravo di aver sbloccato almeno in parte il terrore di Kurt. Ma anche se ci fossi riuscito, in quel momento avevo perso tutta la voglia di verificarlo.
E sebbene il mio piano non fosse andato in porto, il resto della giornata passò piuttosto velocemente.
Ci rilassammo mettendoci in pari con lo studio e guardando quasi tutti i film presenti nella sua videoteca. Restammo per tutto il tempo abbracciati sul divano, cantando di tanto in tanto le colonne sonore di “Come Eravamo” o “Cantando sotto la pioggia.”
Carole e Finn arrivarono verso le sei, in perfetto orario per la cena. Nessuno dei due si domandò il motivo per cui fossi ancora lì, e con dei vestiti che ricordavano tanto quelli di Kurt. Semplicemente, la mia presenza sembrava una cosa scontata e normale.
Quando li vidi indaffarati ad apparecchiare la tavola e cucinare Kurt mi disse che la cena del Venerdì era una cosa sacra e riservata unicamente alla famiglia, una tradizione assolutamente imperdibile.
“Oh –commentai, inarcando le sopracciglia- allora tolgo il disturbo. Grazie mille per…”
“Ma che stai dicendo?” Sbottò Carole, portando le mani coperte dai guanti da forno sui fianchi.
“Sei uno di famiglia, Blaine.” Sul suo viso si dipinse un sorriso, e il mio cuore perse qualche battito.
Era da tanto che non provavo quella sensazione di calore.
Era confortante.
“Finn, vieni a darmi una mano, che non riesco ad impastare per bene questo sugo.”
Guardai Kurt, confuso. Lui si strinse nelle spalle e sfoggiò un ampio sorriso.
“Blaine, tesoro, aiuta Finn ad apparecchiare, prima che rompa qualche piatto.”
Finn sbuffò sonoramente e mi passò accanto con una scodella e dei bicchieri.
“La tua prima cena del Venerdì e già ti ha messo al lavoro. Mi dispiace, amico.”
Abbozzai un sorriso incerto, afferrando tutto il materiale.
“Grazie.” E sapeva bene che era rivolto ad un ambito più generale.
Finn mi diede una sontuosa pacca sulla spalla che per poco non mi fece cadere. Kurt corre immediatamente verso di me, imbronciato.
“Finn, ti sarei grato se tu non uccidessi il mio ragazzo con la tua forza non controllata. –Si rivolse verso di me- Al Glee Club ha rotto il naso di Rachel mentre faceva finta di ballare…”
“E’ stato un incidente!”
E tra una risata e l’altra, un commento spossato di Finn e una risposta pronta di Kurt, la spiegazione di Carole che mi illustrava come fare un perfetto sufflè, la porta d’ingresso si aprì lentamente, mostrando Burt e altre due figure oscurate dalla penombra.
“Blaine?”
Andai verso di lui, con addosso il grembiule che mi aveva dato Carole e le mani completamente cosparse di farina.
“Ci sono delle persone che vorrebbero parlare con te.”
Kitty. E mia madre.
 
 
Era strano vedere mia madre con dei semplici jeans e delle scarpette. Da quando avevo memoria l’avevo sempre vista con dei tacchi vertiginosi e dei vestiti estremamente raffinati. Adesso, invece, non aveva neanche un filo di trucco, ed i capelli erano lasciati sciolti lungo le sue spalle.
Era seduta sul divano davanti al mio, mentre Kitty era accanto a me; continuava ad abbracciare il mio braccio, senza dire niente.
Kurt e la sua famiglia erano in un’altra stanza, probabilmente in ascolto.
E io avevo troppe domande per la testa.
Come avevano fatto a sapere dove fossi?
Come aveva fatto Burt a contattarle, a parlare con loro?
Oppure, era forse stato il contrario, erano andate loro da lui, supplicando di vedermi?
Ma tutto ciò che riuscii a dire, fu: “Perché siete qui?”
Mia sorella sorrise.
“La mamma deve dirti una cosa.”
“La mamma deve dirmi tante cose.” Commentai, aspro.
Lei sospirò. Eppure, non l’avevo mai vista così seria. Quasi…professionale. Era come se avesse un obiettivo prefissato e stesse dando il massimo per raggiungerlo.
“Lo so, Blaine: ti avevo detto che Richard sarebbe tornato la sera tardi, ma non era così. Ho voluto usare questo espediente come mio ultimo tentativo di riconciliazione. Ma ho fallito.”
“Miseramente.” Aggiunsi.
“Sì, è così. E mi dispiace tantissimo per quello che è successo. Soprattutto perché… -arrossì un poco, lanciando un’occhiata a Kitty – beh, perché ha avuto una reazione esagerata di fronte a te e Kurt.”
Altro che esagerata.
“E’ stato orribile, mamma.”
La sua voce divenne un sussurro: “Lo so.”
“Perché? –Domandò Kitty, incuriosita- Che è successo? Cosa stavate facendo?”
Avvampai di colpo.
E anche se detestavo quando lo faceva, mia madre ricorse all’unica arma veramente efficace.
“Kitty…quando sarai grande, capirai.”
E lei a quel punto sobbalzò, inviperita.
Mia madre si voltò di nuovo verso di me e strinse i pugni.
“Dopo che ve ne siete andati ho parlato con Richard. Beh, parlare è un eufemismo: abbiamo litigato. Ho cercato tutta la notte di fargli capire i suoi errori e lui non ha vacillato nemmeno per un secondo. Gli ho detto che non è una fase. Gli ho detto che tu e Kurt vi volete seriamente bene. Ma non ha capito.”
Ecco. Tutti i dubbi, i pensieri che avevano assillato la mia mente fino ad allora si erano concretizzati.
“Non accetterà mai quello che sono, vero?”
Mia madre fece una smorfia.
“Per il momento sembra di no.”
E i miei occhi cominciarono a pungere terribilmente.
“Blaine… stamani sono andata dall’avvocato, e ho chiesto la pratica di divorzio.”
Alzai la testa di scatto.
“D-Divorzio?”
“Ne ho parlato anche con Kitty. Non sei l’unico che non riesce più a stare in quella casa.”
Kitty annuì e mi guardò intensamente, cacciando indietro le lacrime.
“Odio quell’uomo.”
“Oh, Kitty…”
Come faceva ad odiarlo? Nonostante tutto il dolore che mi aveva provocato, io non riuscivo a farlo.
Eppure sembrava veramente convinta.
“Non lo perdonerò mai. Io…rivoglio il mio fratellone.” Sussurrò, prima che l’avvolgessi in un abbraccio.
Non sapevo cosa dire.
Era successo tutto troppo in fretta.
“Blaine –tentò di spiegare mia madre- la discussione che abbiamo avuto questa notte io e tuo padre è stata l’ennesima di una lunga serie. E’ da più di un anno, ormai. Da quando ci hai detto di essere gay…lui è cambiato. E io non riesco più a riconoscere in lui l’uomo che ho sposato.”
Trasalii. Era la stessa cosa che avevo pensato io.
“Ho preso questa decisione, Blaine. E non lo faccio solo per te. Lo faccio per noi…perché voglio avere altre giornate di shopping come quella di ieri, perché voglio vederti fare il solletico a Kurt tutte le volte che vuoi…”
Una lacrima le rigò il viso, e io serrai la mascella in un’espressione affranta.
“Io amo vostro padre… ma amo molto di più voi. I miei unici, splendidi, figli.”
E, a quel punto, mi alzai in piedi.
E mentre abbracciavo mia madre e Kitty, sorridendo, e piangendo allo stesso tempo, dentro di me si insinuò di nuovo quel piacevole calore provato prima.
Soltanto che, stavolta, era molto più forte.
Non era un lieto fine.
Non c’era stato il “vissero felici e contenti”, non era filato tutto liscio.
Ma la realtà non è una favola.
Ci sono uomini che non cambiano.
Ci sono famiglie che si spezzano.
Ma quelle che si formano dopo, quelle che rimangono, formano un legame talmente forte da sconfiggere qualsiasi cosa.
Lo avevo visto con Kurt. Lo stavo provando in quel momento.
Non avrei riavuto mio padre.
Ma avevo pur sempre qualcosa. Io, mia madre, e mia sorella.
E poi, ovviamente, c’era Kurt.
Qualcosa. Sì, poteva piacermi.
Era una bella sensazione.
 
 
 
****
 
 
Per chi se lo aspettava, complimenti.
Per chi invece sperava nell’happy ending… ricordo i fazzoletti sulla sinistra.
Si è conclusa questa “faccenda”. Non mi piace trascinarmi le cose per ventimila capitoli, di solito li faccio sempre autoconclusivi (come avrete sicuramente notato) e quindi annuncio subito che il padre non ricomparirà più. Mi piacerebbe approfondire questa cosa, ma siamo al capitolo 26 e non ho ancora parlato né del prom né dell’ultima puntata del telefilm!! Quindi mi dispiace, ma continuerò a seguire i miei binari. Non mi piacciono i salti temporali molto lunghi, quindi ci saranno ancora due capitoli filler prima di quello del Prom. Spero di non annoiarvi troppo!
Ah, giusto per la cronaca: questa fanfiction terminerà in concomitanza con la fine della seconda stagione. Quindi...non mancano tanti capitoli. Già.
Tornando al capitolo, non voglio nemmeno parlare della scena sotto al tavolo tra Kurt e Blaine. Perché davvero, se non fossero stati tremendamente IC ci avrei fatto una SIGNORA scena lemon con tanto di dettagli. Ma lasciamo stare…
 
Posso dire un grandissimo GRAZIE a tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo??? Avete battuto ogni record, sia di numero, sia di qualità di recensioni! Siete FANTASTICI!
Un’ultima cosa: diversi utenti mi hanno chiesto di mandar loro un mp ogni qual volta che metto un nuovo capitolo. Se qualcuno di voi vorrebbe lo stesso trattamento mi faccia sapere, a me non costa davvero niente avvisarvi!

Ps - la canzone dell'inizio è Fix You, dei Coldplay. Il link che vi ho messo è la versione acustica dei Secondhand Serenade, che si addiceva molto di più alla situazione, visto che Blaine suonava la chitarra...e poi alla fine c'è una sorta di duetto tra il cantante e la voce femminile che mi hanno ricordato troppo loro due!!

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Capitolo 28
*** Un passo indietro, poi sempre avanti! ***


Capitolo 27

Un passo indietro, poi sempre avanti!



Pensavo che sarebbe stato strano ritornare a scuola.
Avevo passato un giorno a casa con mia madre e Kitty, scoprendo che mio padre aveva già fatto le valigie per andare chissà dove. Preferii non pensare ai motivi o ai pensieri menefreghisti  che probabilmente avevano accompagnato la sua dipartita e mi concentrai su mia madre e mia sorella: parlammo a lungo, di tutto e di niente, di cose importanti e stupidità. Chiarimmo finalmente questa situazione e ci comportammo come una vera famiglia.
Quel pomeriggio avevano perfino invitato Kurt a casa nostra, per scusarsi apertamente per il comportamento di mio padre, e invitandolo per una bella cenetta take-away alla quale, ovviamente, non poteva rifiutare; e il modo con cui Kurt si trovava a suo agio con loro mi rendeva incredibilmente felice. Era come se si conoscessero da una vita, e mia madre si comportava come se avesse trovato un nuovo figlio da amare.
Dopo la cena ci sedemmo sul divano per vedere “Colazione da Tiffany”, e per due ore nessuno disse una parola: eravamo troppo concentrati ad assaporare ogni battuta di quel capolavoro, ogni espressione facciale di Audrey Hepburn e George Peppard. E poi alla fine, quando lei riprese il gatto che aveva precedentemente abbandonato, e ritornò dall’amore della sua vita, io e Kurt ci prendemmo per mano. Non ci saremmo nemmeno accorti di averlo fatto se non fosse stata per un’occhiata di Kitty, a metà tra il divertito e l’innamorato.
“Non so quale scena sia più romantica, quella sullo schermo o quella dal vivo.” Mi sussurrò all’orecchio, e io semplicemente le sorrisi: non c’era più motivo di essere imbarazzato di fronte a loro.
Quindi, lentamente, cinsi le spalle di Kurt con un braccio, e lui si fece più vicino a me. Gli diedi un leggero bacio sulla fronte quando lo sentii singhiozzare contro la mia maglietta: adoravo questo aspetto del suo carattere, riusciva ad emozionarsi per le cose più piccole. Grazie a lui stavo imparando a guardare tutto da un'altra prospettiva, passo dopo passo, perché quando i nostri sguardi si incrociavano potevo osservare il mondo attraverso i suoi occhi. Ed era tutta un’altra cosa.
A ripensarci bene, quella giornata era stata una sorta di sogno.
Era stata così diversa dalla routine alla Dalton, o dai pomeriggi in casa del signor Hummel...una cosa nuova, ma altrettanto bella; per questo pensai che sarebbe stato strano ritornare a scuola, dopo quei giorni così insoliti: l’ultima volta che avevo sentito i miei amici mi erano sembrati piuttosto demoralizzati per la mia situazione. Adesso mi immaginavo i loro volti oscurati mentre tiravano fuori qualche frase imbarazzata da dirmi, mentre mi davano delle placide pacche sulle spalle con lo scopo di essermi vicino, e io avrei sorriso dicendo loro che stavo bene, perché avevo parlato a lungo con mia madre e mia sorella, e anche se il divorzio e la delusione che mi aveva provocato mio padre sarebbero state delle cose non tanto facili da digerire, era come se tutto l’amore dimostrato da Kurt, Kitty e mia madre mi ripagasse dal pensarci. Decisi che la cosa migliore da fare fosse tornare alla normalità, assimilare la cosa un po’ per volta, evitando che mi piombasse tutto addosso in un vortice di disperazione.
E adesso la familiarità di quella scuola era davvero una boccata d’aria fresca; scuola, studio e Glee Club. Tutto perfettamente normale.
O quasi.
Varcando il cortile della Dalton avevo già sfoderato il mio sorriso rassicura-amici, quando vidi sgattaiolare nella mia direzione quattro ombre inquietanti, dall’aspetto non ben definito, e con dei liquidator in mano.
“Blaine! Era ora!! Dove diavolo eri finito!?”
Aggrottai le sopracciglia; poi misi a fuoco Ed, Colin, Nick e Flint, che indossavano dei sacchi della spazzatura forati ai lati e in cima, per farci passare braccia e testa.
Era quasi più inquietante di quando li avevo visti con addosso soltanto delle scatole di cartone. Senza vestiti.
Ed ero troppo incredulo perfino per riuscire a trovare una spiegazione logica a quell’abbigliamento, anche se i liquidator dovevano essere un campanello d’allarme che mi era sfuggito.
“Indossa la tua tenuta da guerra!” Mi sollecitò Flint, posandomi un sacco del medesimo stile.
“Ma che…ma non ci penso proprio!”
A quella risposta Ed sbuffò sonoramente, rivolgendosi agli altri cantilenante: “Ecco, lo sapevo che sembriamo dei preservativi giganti.”
“Preferisci che la divisa venga completamente macchiata di vernice?”
“Che cosa!?” Cominciai a ripassare mentalmente il calendario, nel caso mi fosse sfuggita la giornata mondiale del ‘diffondiamo pazzia gratuita’.
“Ok ok –esordì Nick- riassunto delle puntate precedenti: Wes ha litigato con Thad perché non si decidevano su che canzone portare al Talent Show. Thad ha continuato a dire ‘Nessuno mi ascolta! Sono il membro fantasma!’ e con tutto il suo vittimismo ha deciso di scioperare dal consiglio del Glee Club.
“Ah –intervenne Flint- poi Colin e Ed hanno iniziato a picchiarsi, ma questo è normale.”
“Ogni tanto sentiamo il bisogno di farlo.”
“I ragazzi allora hanno iniziato a sclerare, -riprese il moro- dicendo che non saremmo mai stati pronti per lo spettacolo, e Chase ha cominciato ad atteggiarsi da capetto e a dare istruzioni a destra e a manca, neanche fosse tu!!”
Evitai di offendermi per l’ultima frase appena detta, e invece domandai: “Un momento aspettate un secondo… -ero quasi esasperato- tutto questo… in appena un giorno?”
“Oh, no, certo che no!”
Ah, ecco. Mi sembrava troppo eccessivo, perfino per noi Warblers.
“E’ successo tutto stamattina!”
Come non detto.
Mi massaggiai le tempie cercando la forza dentro di me per non prendere, alzare i tacchi e ritornare dal mio amato fidanzato, dove il mondo era bello e non c’erano terze guerre mondiali in corso.
“Amico?? - Colin mi passò una mano davanti agli occhi, cinico – Puoi evitare di Kurt-sorriseggiare anche in questo momento? Siamo nel bel mezzo di uno scontro a fuoco!”
“Giusto. –Commentai- E voi avete dei sacchi di immondizia addosso perché…”
Si strinsero nelle spalle.
“Volevamo allentare la tensione. Non c’è niente di meglio di una guerra di vernice per sfogarsi, no?”
“Certo…”mormorai, con una smorfia, ma fui subito interrotto da Nick: “Truppa? Penso di aver avvistato un movimento a ore sei.”
Roteai gli occhi, ma non riuscii a trattenere un sorrisetto quando li vidi accovacciarsi all’unisono e strisciare verso la ‘trincea’. Dall’altro lato potevo scorgere Jeff, Wilson e qualche altro Warbler con elmetti e palloncini-granate.
Oh, quando lo dirò a Kurt non ci crederà mai! Pensai, allontanandomi con il cellulare in mano.
“Blaine?”
Mi voltai di nuovo verso i quattro ragazzi, che per un momento parvero tornati con un quoziente intellettivo superiore ai sei anni.
“Tutto bene, vero? Voglio dire, con tuo padre e tutto il resto…”
Sorrisi. “Mai stato meglio.”
Non era la verità, ma non volevo far preoccupare anche loro.
Quando raggiunsi la sala comune non mi sorpresi di trovarla vuota: probabilmente erano tutti sparsi in cortile a consumare le loro ultime cartucce.
Con un sorriso raggiante lessi la risposta di Kurt alla descrizione della scena appena vista:
 
Foto o non ci credo. Ps__ Baci.  -K.
 
Non seppi se gongolare di più per la prima parte –perché lo avevo detto, che non ci avrebbe creduto- o per il Post Scriptum, totalmente nuovo ma enormemente gradito: di solito ci scrivevamo soltanto “ciao” o, al massimo si disegnava lo smile di un cuoricino…ma quello era decisamente meglio.
 
Non posso farla, mi dispiace: se tornassi lì fuori  diventerei un arcobaleno vivente. Ps_ Baci baci baci baci baci.  –B
 
Qualche secondo di attesa, e poi lessi:
 
Abbinaci una sciarpa di Tommy Hilfiger e sarai perfetto!  PS__ Baci all’ennesima. –K
 
Ridacchiai tra me e me.
 
Baci all’infinito. PS_ E ora come la mettiamo?  -B
 
Ma, a quanto pare, non si lasciò scoraggiare:
 
Sempre un bacio in più di te.  PS__ Ho vinto. -K
 
Il mio sorriso si fece più ampio, mentre il cuore perdeva qualche battito per la via; senza nemmeno pensarci gli scrissi l’ultimo messaggio:
 
Quanto vorrei che questi baci non fossero soltanto virtuali…  -B
 
Sapevo che era un po’ troppo smodato per Kurt: già me lo immaginavo arrossire in mezzo alla lezione e nascondere il viso sotto al banco per contenere l’imbarazzo, prima di canzonarmi sulla mia sfacciataggine, o tirare in ballo un argomento completamente diverso non essendo in grado di proseguire il precedente.
E mentre arrivò la notifica di messaggio inviato una voce fredda richiamò la mia attenzione: “Guarda chi è di ritorno dalla terra di Mezzo.”
Non c’era nemmeno bisogno che mi voltassi per capire di chi fosse quella voce così urtante.
“Anche io sono felice di vederti, Chase.”
Con la spavalderia degna del miglior cowboy si sedette sulla sedia davanti alla mia, allo stesso tavolino.
“Lo sai che ho spaccato, al festival di Primavera? La folla era in visibilio. Ed è tutto merito tuo, che ironia.”
Non risposi.
“In effetti, penso di aver cantato davvero bene. Meglio di quanto avresti mai fatto tu.”
“Mi fa piacere.” Dissi allora, abbozzando un sorriso un po’ tirato. Lui mi fissò perplesso, come preso in contropiede, ma poi riassunse il suo solito tono beffardo: “Hai sentito del litigio trai membri del consiglio? Wes vuole portare I gotta feeling al Talent Show, e Thad invece ha insistito per Moves Like Jagger. Sembravano Cip e Ciop che si contendevano una ghianda.”
Per quanto odiassi dare ragione a Chase, dovevo ammettere che fosse un’immagine piuttosto adatta.
“Non vedo quale sia il problema.” Affermai, calmo. “Sono entrambe ottime canzoni, e perché non la mettiamo ai voti come facciamo sempre? Da parte mia penso che la nuova canzone dei Maroon 5 sia fantastica.”
“Ma davvero? –Domandò, con una vena di eccessiva sorpresa- Che buffo: io pensavo la stessa cosa dei Black Eyed Peas.”
E ti pareva, aggiunsi tra me e me.
Poi, dopo qualche secondo, vidi il suo volto illuminarsi meschinamente.
“Perché non mostrar loro entrambe le canzoni? Tu canti la tua e io la mia. Aiuterebbe ad avere le idee più chiare per l’eventuale votazione, non credi?”
Certo, perché pensava davvero che sarei caduto in un tranello così banale? Tutto ciò che voleva era mostrare agli Warblers quanto fosse più bravo di me. E io non avevo per niente voglia di una competizione, quindi cacciai un sospiro e dichiarai: “Sai che ti dico? Hai ragione: I gotta feeling è decisamente più bella. Dopo vado da Wes e Thad e li convincerò a farla, non ti preoccupare, sono piuttosto bravo in questo genere di cose.”
Ma lui non sembrava per niente risollevato. Anzi, era piuttosto seccato dalla mia arrendevolezza.
“Dì, hai cambiato pusher per caso? Per carità, questa apatia è molto meglio del tuo solito isterismo da ragazzina in calore, ma devo ammettere che è strano.”
“Non ho voglia di discutere…” ammisi, continuando a sfiorare il cellulare con le dita: Kurt non mi aveva ancora risposto.
“Ah beh allora non ci saranno problemi se mi proporrò come solista per la canzone da cantare al Talent Show.”
A quel punto alzai la testa di scatto, e a quella reazione fece un ghigno.
“Dopotutto, perché no? I ragazzi mi adorano. Canto e ballo molto meglio di te. Il fatto che nessuno ti sfidi più per gli assoli non vuol dire che non sia consentito.”
Oh, grandioso. Davvero, ci mancava soltanto quella. Perché i problemi sembravano non abbandonarmi mai? Perché Chase continuava a torturarmi in quel modo, senza un minimo di tregua?
“Mi spieghi che vuoi!? -Sbottai verso di lui, lasciandolo incredulo- Vuoi togliermi il ruolo da solista?!? Bene, fallo! Ma basta che la piantiamo con questa storia, perché non ne posso davvero più.”
Mi fissò veramente incredulo.
“…Mi hai appena ceduto il ruolo da solista?”
“Sì…” Mormorai, abbandonando la testa fra le mie braccia. Un secondo dopo ripensai a quello che avevo appena detto, ed urlai: “NO! Certo che no! Voglio dire, è ovvio che se tu vincessi regolarmente una sfida contro di me sarei costretto a cederti il posto…”
“Un po’ come hai fatto tu con Ethan, giusto?” Aggiunse lui, con tono divenuto più serio.
Era ora di farla finita, una volta per tutte.
“Esattamente.” Sentenziai, sostenendo il suo sguardo. Per un attimo sembrò non credere alle mie parole, pensava che non avessi avuto il coraggio di dirlo apertamente? Si sbagliava di grosso.
“Bene.”
Lo fissai incolore per una manciata di secondi, e poi ribattei: “Bene.”
“Stasera, al tramonto. Tu con i Maroon 5, io con i Black Eyed Peas.”
“Ci sto.”
“Cinque coristi: non un membro di più.”
“Me ne bastano quattro.” Proferii, pensando immediatamente a Ed, Flint, Nick e Colin.
“Audace, Anderson. Ma non ti conviene sottovalutarmi.”
“Potrei dire la stessa cosa, Chase.”
Ci scambiammo una lunga, intensa, occhiata; dopodiché si alzò in piedi.
“Ci vediamo in aula magna.”
E detto quello se ne andò.
Non appena la porta della stanza si richiuse le mie spalle cedettero istintivamente, attraverso un lungo respiro straziato.
Che diavolo, quando avrei smesso di essere così impulsivo per pensare alle conseguenze!? Non ero fisicamente e psicologicamente preparato per un duello, soprattutto se lo sfidante era un talentuoso e ormai apprezzato Chase.
Ma non dovevo farmi prendere dal panico: avevo mezza giornata per preparare la canzone in modo impeccabile e sconvolgere il Glee Club.
Ero talmente immerso in quei pensieri che non mi accorsi nemmeno del messaggio di Kurt, arrivato chissà quando durante il mio dialogo con Chase. Ed ero troppo preoccupato, troppo impegnato a cantare, per rendermi conto del vero significato nascosto in quelle parole.
 
Anche io Blaine... - K
 
 
 
Ok, niente panico.
Non era la prima volta che partecipavo ad una sfida, e ne ero sempre uscito vincitore.
Purtroppo, però, la situazione ci era leggermente sfuggita di mano.
Come diavolo eravamo arrivati a quel punto? Io, dietro alle quinte del palchetto in aula magna, con il cuore in gola e un centinaio di persone in attesa??
Nella mia testa ripassarono al rallentatore i messaggi su Facebook, Twitter e Netlog diffusi da tutto il Glee Club: SCONTRO TRA TITANI STASERA IN AULA MAGNA. PORTATE I PARASTINCHI (e i pop-corn)!
Oppure dall’annuncio affisso in bacheca, e trasmesso via interfono: Anderson VS Edlund. EcthelioncontroGothmog. Voldemort contro Harry freaking Potter.(**) Si accettano scommesse.
Per non parlare del passaparola trasmesso da ragazzo in ragazzo, giunto in seguito anche dalle ragazze della Crawford. Perché sì, ci sarebbero state anche loro quella sera; lo avevo scoperto soltanto grazie ad un alquanto bizzarro sms di Priscilla, ricevuto nel bel mezzo delle mie prove forsennate con i ragazzi:
 
*__* Blainy <3 <3 <3 ciauz!! Jessica mi ha dtt k stasera c sarà un sux duello contro quel BONAZZO di Edlund…k fikoooooooooooooooooooooooooooo!! :Q________  Ma nn ti preokk tu 6 100 volte + sexy... >///<  le gattine della Crawford saranno in 1° fila a fare il tifo x te!^O^ A stase! XOXOXO
.,,,_.-*°  ® PrIsCiLlA;P ™ °*-._,,,.
 
Ho avuto bisogno del traduttore per leggerlo.
“Blaine!!” Wes e Thad mi corsero incontro, con dei sorrisi a trentadue denti stampati in viso.
“Amico, questa cosa è GENIALE! C’è tutta la scuola e molto di più! Tu e Chase, davvero…siete dei divoratori del palcoscenico!”
Oh beh, almeno qualcuno era contento, perché io stavo cominciando a disperarmi.
“Un momento… –esordii, perplesso- ma che ci fate qui?”
“In che senso? –Chiese l’asiatico- Siamo venuti ad augurarti in bocca al lupo!”
“No, intendo dire…che ci fate qui…insieme? Non avevate litigato?”
Si scambiarono un’occhiata, e poi mi sorrisero: “Oh, è storia vecchia ormai! Siamo troppo emozionati per voi, questa serata sarà stratosferica, altro che Talent Show!”
Per un attimo considerai seriamente l’idea di urlargli qualcosa in faccia. Tutto quel casino era nato per causa loro…e adesso eccoli lì, pimpanti ed amorevoli come sempre.
Forse aveva ragione Kurt, riguardo alla Legge di Murphy.
“Andrà tutto bene.” Sussurrai, più a me che a Flint e gli altri; questi erano in cerchio con le mani in posizione zen e continuavano a ripetere “Paaace interiore…”. Evidentemente non ero l’unico ad essere nervoso.
“Anderson?” Mi voltai di nuovo per vedere un ragazzo che non conoscevo.
“Mi ha mandato Wilson…mi ha detto che c’è un problema e che devi correre subito in sala prove.”
Lanciai un’occhiata ai miei amici, e questi si strinsero nelle spalle, esitanti quanto me; alla fine mi convinsi ad andare, sperando di fare il più in fretta possibile perché la mia esibizione era subito dopo quella di Chase.
“Wilson?”
In quella stanza erano presenti due dei quattro Warbler che avrebbero dovuto accompagnare Chase, e la cosa mi sembrò piuttosto strana.
“Che è successo? Non dovreste essere con Chase a riscaldarti?”
“Volevamo soltanto accertarci di una cosa.”
Inarcai un sopracciglio: “Beh…okay. Di che si tratta ragazzi?”
“Vedi… -esordì Sam, indietreggiando di qualche passo verso l’entrata- in questi giorni siamo stati davvero bene, con Chase che ti sostituiva in tutto e per tutto… è discreto, e non parla mai senza essere interpellato.”
“Sai è da quando c’erano gli Eagles che lo riteniamo molto bravo. Forse perfino più di te.”
“Ma tu hai quel tuo stramaledetto carisma che fa crollare il pubblico ai tuoi piedi.”
Sfoggiai un sorrisetto, a metà tra il compiaciuto e l’imbarazzato, e li ringraziai per il complimento velato.
“Non farlo. –Mi interruppe Wilson- Ci ringrazierai dopo.”
E, a quel punto, mi resi conto che si erano diretti verso la porta.
“Dopo? Dopo quando?”
Sogghignarono.
“Quando avremmo vinto la sfida.”
In meno di un secondo erano usciti, e un terribile rumore di chiavistello riecheggiò per tutta la stanza.
Oh no.
Oh no no no no no no.
Cercai in tutti i modi di aprire la maniglia che, ovviamente, risultava essere bloccata.
Grandioso. Davvero. Grandioso.
Afferrai immediatamente il cellulare dalla tasca della divisa e chiamai Flint.
“Blaine! Dove diavolo ti sei cacciato!? Chase è salito sul palco e sta per cominciare a cantare!”
“Mi hanno chiuso dentro.”
Ci fu un lungo silenzio.
“Blaine… amico, tu e la tua ironia irlandese…”
(*) “Non sto scherzando Flint! Wilson e Sam mi hanno chiuso dentro la sala comune. Sicuramente gliel'avrà ordinato Chase...fatto sta che non posso uscire!”
Lo sentii fare un lungo respiro, come se gli mancasse aria.
“Ooooooooookay…nie-niente panico.”
In quello stesso momento udii la voce soffusa di Wes e Thad: “Che succede?”
“Hanno chiuso Blaine nella sala comune.”
Un urlo. E poi un tonfo, sicuramente di Wes.
“Wes è svenuto.”
Appunto.
“Blaine!! Sei troppo giovane per morire!!!”
“Thad, non ti preoccupare, ci pensiamo noi. Tranquillo amico, stiamo venendo a prenderti.”
“No! –Esclamai- E’ quello che vorrebbe Chase, così vincerà a tavolino! Dovete cantare.”
“Che cosa? Ma senza di te è inutile!”
“Io…troverò un modo per uscire di qui, non vi preoccupate. Intanto...perdete tempo!”
“Okay, perdiamo tempo. Possiamo farlo, giusto ragazzi?”
“Certo...e che cosa dovremmo fare!?”
“Beh, possiamo...possiamo ballare la danza Kuduro!
“E improvvisare delle gag di Stanlio ed Olio!”
Sorrisi. “Grazie, ragazzi. Sarò subito da voi.”
E non appena chiusi la chiamata mi guardai intorno: belle parole, sul serio; ma come diavolo avrei fatto!?
Provai ad aprire le finestre –chissà, magari avrei potuto arrampicarmi come feci con la finestra di Kurt- ma ovviamente erano sigillate dall’esterno. Tentai allora di forzare la serratura della porta d’ingresso, come facevano nei telefilm d’azione, ma mi resi conto che sfondare una porta era una cosa molto più difficile di quanto pensassi. Dopo ripetuti e vani tentativi mi accasciai sul divano esausto e deluso.
In quel momento, mentre cominciavo a gettare la spugna, il cellulare vibrò sonoramente.
“Blaine!! Chase è stato…è stato…non so neanche dirti com’è stato, sono ancora troppo sconvolto!”
“Colin…” canzonai, come per intimargli di non distruggermi il morale ancora di più.
“Ops, scusa. Ad ogni modo ti ho chiamato per dirti che gli altri ragazzi sanno del tuo problema e adesso stiamo cantando a turno per farti prendere tempo! Dovresti vederlo, sembra un vero e proprio concerto stile Warblers, sta venendo giù l’aula magna!!”
“Vi ringrazio –mormorai- ma temo di aver bisogno di una mano. Dovete andare da Wilson e rubargli la chiave.”
“Cosa credi? Ci stiamo già lavorando, ma sembra scomparso nel nulla. Ti tireremo fuori di lì, tranquillo!”
Riattaccammo entrambi. Adesso potevo soltanto aspettare…e quale modo migliore per farlo se non chiamando Kurt?
Composi velocemente il numero, ma non ottenni alcuna risposta. Strano: mi aveva detto che sarebbe rimasto attaccato al cellulare per sapere l’esito del duello. Era sembrato così in ansia per me… ma, forse, era stata soltanto una mia impressione.
Passai stancamente una mano sul viso, cercando un qualche modo per rimanere concentrato: ero stanco, spossato e anche un po’ scandalizzato dal comportamento dei miei compagni del Glee Club, anche se immaginavo che avrei dovuto aspettarmelo da Wilson e Sam.
Mentre scivolavo sempre più lentamente sul divano, quasi arrendendomi all’evidenza che non avrei mai cantato quella sera, ripensai a tutta la giornata passata, ai dolci messaggi di Kurt, e a quella sfida improvvisata su due piedi che era diventata uno show magistrale…
, pensai, mentre i miei occhi si socchiudevano inermi, la situazione ci è decisamente sfuggita di mano.

 
 
Il rumore sordo di una porta che si apre di scatto mi fece scattare in piedi. Immaginai il volto entusiasta dei miei amici, intenti a corrermi incontro e piagnucolare qualche frase di puro affetto, ma non fu così: davanti a me c’era Chase, pallido e con la mascella serrata, che stringeva in una mano la maniglia e nell’altra la chiave della sala comune.
“Che ci fai qui?” Domandai confuso, indietreggiando di qualche passo. Quanto tempo era passato? Il concerto era finito? Per quello Chase mi era venuto ad aprire, perché non aveva più bisogno di tenermi rinchiuso lì dentro?
Eppure, a giudicare dal suo viso, non sembrò niente di tutto ciò. Si avvicinò a me a passo pesante, trattenendo per un attimo il respiro.
“Non lo sapevo.”
Non capii a cosa si riferisse: “Come?”
“Non c’entro niente con questa storia. Wilson e Sam non mi avevano detto niente, è stata tutta una loro idea.”
Aggrottai le sopracciglia: “Ma allora…come…?”
“Gliel’ho detto io.”
Il suono di quella voce mi sembrò un miraggio.
Mi voltai di scatto, e il mio viso si illuminò di colpo in un sorriso incantato.
“Kurt.”
Bellissimo come sempre, sorridente come non mai. In più, vederlo con la sua vecchia divisa della Dalton –probabilmente per intrufolarsi meglio- mi provocò un tuffo al cuore.
Corse verso di me e mi abbracciò forte, affondando la testa nell’incavo del mio collo.
“Non potevo perdermi il tuo super duello contro Chase. Volevo farti una sorpresa, e invece quando sono venuto Flint e gli altri mi hanno raccontato tutto l’accaduto. Sapevo che Chase non avrebbe mai potuto organizzare una cosa simile, non è assolutamente da lui.”
Con la coda dell’occhio vidi quest’ultimo abbozzare un sorriso.
“Gli ho spiegato la situazione e ha capito tutto. Da lì non ci è voluto molto per acchiappare Wilson e farci ridare la chiave.”
“Mi dispiace, Anderson. -Borbottò Chase, sviando lo sguardo a terra – Io…per colpa mia…hanno davvero esagerato.”
Sciolsi l’abbraccio di Kurt e lo guardai, cercando di decifrare la sua espressione: sembrava davvero amareggiato.
“Non è stata colpa tua. E poi Wilson e Sam non mi hanno fatto niente di male, certo, a parte chiudermi qui dentro... ma l’hanno fatto solo perché volevano vincere a tutti i costi. Mi dispiace soltanto che non ho potuto cantare, so quanto ci tenevi a questa sfida...”
Esitò un secondo, stringendosi nelle spalle.
“Sì, beh, chi se ne importa. Avrò tutto il prossimo anno per rubarti il ruolo di solista. E in modo corretto, stavolta.”
"Il prossimo anno? -Ripetei, sorpreso- E' molto tempo, Chase. Sei sicuro di riuscire a sopportarmi fino ad allora?"
Kurt sorrise divertito, e Chase lo guardò con la coda dell'occhio, prima di rispondere: "Sono stufo di fare il leader. Quei ragazzi sono dei pazzi, non so nemmeno come fai a gestirli."
"Tanta pazienza."
Gli porsi la mano, e lui la strinse saldamente.
“Quindi...Tregua?”
Il suo ghigno si distese in ciò che più assomigliava ad un sorriso.
"Tregua. Hobbit."
Alzai gli occhi al cielo, ma non mi sentii offeso: Chase non era mai stato un tipo dalle molte parole. Eppure, con quella presa, e quella frase, sperai immediatamente che avremmo messo da parte il nostro astio reciproco, forse per sempre. Okay, per sempre no, ma almeno per qualche mese.
“Oh, grazie a Pavarotti! Blaine!”
Lanciai un’occhiata accigliata a Flint e gli altri, che nel frattempo erano piombati nella stanza.
“Sei vivo! –Piagnucolò Wes- Blaine, ti assicuro che questa cosa non sarà perdonata! Wilson e Sam la pagheranno cara!”
“Blaine, che stai facendo? Stiamo tutti aspettando te, coraggio!”
“C-Cosa?”
“Ti abbiamo riservato il numero di chiusura. Non puoi di certo tradire i tuoi fans, no?”
Strabuzzai gli occhi. Guardai gli Warblers uno ad uno, e poi incrociai lo sguardo vivido di Kurt.
“Okay. Ma a condizione che cantiamo tutti quanti insieme.”
Ci fu un’esultanza generale, e mi diressi in aula magna senza mai lasciare la mano del mio ragazzo.
 
 
Beh…devo anche dirvi com’è andata la canzone?
E’ stato semplicemente fantastico.
Salii sul palco con i miei occhiali da sole e la giacca sbottonata; i ragazzi mi seguirono a ruota, intonando una base perfetta e muovendosi a ritmo e incrementando i loro passi di danza da break-dance.
E mentre io saltavo da una parte all’altra, mi inginocchiavo verso il pubblico e mi divertivo come un matto, potevo scorgere Kurt da dietro le quinte, il sorriso compiaciuto, la testa che dondolava assieme alla musica.
E in quel momento più che mai fui preso da un’irrefrenabile voglia di trascinarlo al centro della scena e ballare con lui; ma c’erano un sacco di professori e perfino il preside Morris, ai quali non sarebbe sfuggito un viso di un ex-studente che si era camuffato utilizzando la loro divisa.
Mi lasciai coinvolgere completamente dalla canzone, che era davvero a prova di bomba, e quella folla in visibilio non faceva altro che aumentare la mia grinta: come avevo fatto a temere una cosa del genere?
Ero alla Dalton. Ero il solista degli Warblers. E per quanto in quei giorni precedenti fossi stato male, nessuno mi avrebbe mai privato di quello: il palco, la musica, il mio talento. I miei amici.
Con un ultimo, potentissimo acuto, terminai l’esibizione e quello che era diventato il concerto ufficiale degli Warblers.
Una folla indefinita di persone si alzò in piedi in preda ad urla e applausi.
E io rimasi qualche secondo lì, immobile, con il fiatone e l’adrenalina a mille, ad osservare il nostro pubblico: avrei voluto fare una fotografia; avrei voluto immortalare quel momento per conservarlo per sempre nella mia memoria, quando mi sarei sentito di nuovo triste. E poi mi inchinai, velocemente, e lasciai ai miei compagni la soddisfazione degli applausi. A me aspettava una gioia più grande.
Kurt saltellava sul posto con un sorriso raggiante, battendo ripetutamente le mani. E io non riuscii a trattenermi dall’accelerare il passo per dirigermi più in fretta verso di lui. Il cuore sembrava uscirmi dal petto per quanto batteva forte.
“Sei stato fant-“
Prima che potesse finire la frase mi alzai sulle punte e lo baciai, afferrandolo dolcemente per i fianchi.
Lo sentii irrigidirsi un attimo per la sorpresa, ma subito dopo avvolse le braccia intorno al mio collo, e dischiuse le labbra.
Non seppi dire quanto tempo rimanemmo a baciarci in quel modo. Forse ore, o forse minuti. Il tempo era diventato un dettaglio assolutamente insignificante di fronte a noi.
E non avevo bisogno di immortalare quel momento nella mia testa; non sarei mai riuscito a dimenticarmi il sapore di Kurt, la fitta di calore che invadeva il mio corpo ogni volta che lo baciavo.
E se mai lo avessi fatto, se per qualche strana evenienza avessi sbattuto la testa da qualche parte, finendo per scordarmi tutto quanto, Kurt sarebbe stato lì: semplicemente, mi avrebbe baciato di nuovo, e sarei ritornato a sognare.
Non mi ero mai sentito così vicino al cuore di una persona.
E cosa più incredibile di tutte, per lui valeva la stessa medesima cosa.
 
**
 
 
(*) Citazione di A Very Potter Musical. Non ho saputo resistere.
(**) Sì, anche questo, è un riferimento a Darren Criss, piuttosto che a Blaine. Ma che ci volete fare? Amo quell'uomo.
Questo capitolo non mi è uscito molto bene. Non lo so, ho perso un po’ l’ispirazione. Siate clementi…anche se è di passaggio ci tenevo a farlo…prima di tutto perché è l’ultimo capitolo dedicato agli Warblers, seconda cosa perché dopo due capitoli-mattone avevo bisogno di un po’ di sano sclero.
E poi dovevo finire questa storia di Chase. Voglio dire, mi piaceva il rivale-nemesi, ma adesso basta!
So che a molti questo capitolo non piacerà perché c’è poco Klaine ed è altamente demenziale, ma spero che vi siate divertiti almeno un pochino, insomma. Da parte mia chiederei un minuto di silenzio per la morte dell'italiano nel messaggio di Priscilla. Ahah!
Beh. Sapete tutti cosa succederà nel prossimo capitolo, non è vero?
Kurt e Blaine alla Dalton…una camera tutta per loro…
Siete pronti?
Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 29
*** Mi manchi ***


Capitolo 28
Mi manchi


 
Quattro giorni, otto ore, cinquantasei minuti e quattro secondi.
Okay, forse era esagerato contare anche i secondi. Ma ogni rintocco in più faceva aumentare il tempo che mi separava da Kurt: non lo vedevo da quasi una settimana.
Sapevo bene che avesse da fare con le Nazionali, con la scuola e tutto il resto, e la vocina razionale nella mia testa continuava a ripetermi che cinque giorni non erano poi tutto questo dramma.
Ma che stava dicendo? Era un dramma eccome! Ero in crisi. Quei miseri messaggi non riuscivano più a saziarmi, e sentire la sua voce robotizzata dal cellulare non faceva altro che rendere il tutto più difficile.
In compenso avevo passato molto tempo con Kitty e mia madre; in effetti un giorno, al telefono con Kurt, potrei aver accidentalmente menzionato un outlet al quale sarei andato con loro due, e, sempre accidentalmente, potrei anche aver accennato a degli scontri extra perché mia madre conosceva una delle proprietarie. E potei sentire i suoi denti digrignare lentamente, prima che mi dicesse di no.
Ma che diavolo. Se nemmeno lo shopping era riuscito a convincerlo, che speranze potevo avere, io?
Il fatto era che, dopo aver passato tre o quattro giorni a stretto contatto, non ero più abituato a stare senza di lui. Infatti cominciai a pensare di non volermici affatto abituare: volevo passare con Kurt ogni singolo momento della giornata. E più ci pensavo, più mi rendevo conto di quanto fossi inevitabilmente legato a lui: quando vedevo una giacca su una rivista esclamavo ‘oh, questa starebbe bene a Kurt!’; quando sentivo una canzone alla radio dicevo ‘Kurt riuscirebbe a farla molto meglio’; quando vedevo un film, uno qualsiasi, anche quel ridicolo film sparatutto che aveva noleggiato Ed, automaticamente mi immaginavo la mano di Kurt poggiata sulla mia, e la sua voce cristallina elargire commenti secchi e a dir poco cinici, ma assolutamente fantastici.
Insomma, pensavo a Kurt in continuazione. E purtroppo devo ammetterlo, la mia mente non era sempre casta e romantica: ogni tanto mi capitava di viaggiare un po’ con la fantasia. Un po’ troppo.  Ma dopotutto, che ci potevo fare? Ero un ragazzo, avevo sedici anni, ero in piena tempesta ormonale, e avevo il fidanzato più bello e involontariamente sexy che esistesse sulla faccia della terra.
Era proprio quello che mi faceva impazzire di Kurt: lui nemmeno ci provava a essere attraente; lui era attraente, in ogni secondo della sua giornata. Semplicemente, gli veniva naturale.
A volte, mentre leggevamo Vogue o studiavamo, si stiracchiava i muscoli portando le mani al cielo, e così facendo gli si alzava leggermente la maglietta, mostrando un impercettibile lembo di pelle, proprio all’altezza della vita, di quella curva così sensuale che continuava verso il basso…
Ma il peggio lo raggiungeva quando uscivamo a fare compere. Si provava ottomila abiti diversi, dalle camicie esageratamente aderenti - e puntualmente l’immagine del suo torso nudo piombava davanti ai miei occhi facendomi trasalire- o, dalla padella alla brace, quando indossava quei pantaloni illegalmente stretti, e mi chiedeva “come sto?”
Come se non si rendesse conto di che effetto mi facessero le sue gambe lunghe, i suoi fianchi longilinei, e quel suo sedere così…così…oh, era scolpito ad arte.
A volte non riuscivo nemmeno a rispondergli, perché dovevo davvero sviare lo sguardo e concentrarmi su qualcos’altro, qualsiasi cosa che mi calmasse, un attaccapanni, un maglione orribile, o una donna.
E lui tutto questo non lo capiva. Se facevo complimenti ai suoi vestiti si limitava a sorridere e a ringraziarmi compiaciuto, ma non appena accennavo a quello che nascondevano, al suo magnifico corpo, ecco che avvampava e balbettava qualcosa di indefinito. Certo, le mie numerose attenzioni avevano indubbiamente incrementato la sua autostima, ma lo vedevo che non si sentiva ancora a suo agio con se stesso. E io non riuscivo a concepirlo: non avevo mai avuto problemi con il mio fisico, nemmeno prima di trasferirmi in un istituto maschile, che mi fece forzatamente abituare a tutta quella fisicità; anzi, paradossalmente, mi piacevo. Certo, non mi ritenevo un Leonardo Di Caprio e nemmeno Brad Pitt, ma ero piuttosto consapevole di essere relativamente carino, ma solo in parte: perché, facendo i conti con la realtà, io ero basso, avevo i capelli orribilmente riccioli, le mani callose per via della chitarra, e c’erano delle volte in cui non sopportavo il mio naso, ed evitavo di guardarmi allo specchio. Ma Kurt…lui, invece, era alto, slanciato, con delle gambe lunghe e dritte, delle mani morbide che proseguivano in delle dita affusolate, i suoi capelli erano sempre setosi e profumati,  e il suo viso liscio incorniciava un naso adorabilmente all’insù e degli occhi incantevoli.
Per un attimo mi chiesi se tutti quei dettagli non fossero soltanto nella mia testa; ma poi lo guardavo e capivo: era ovvio che fossero nella mia testa, ma era anche ovvio che Kurt mi suscitava delle sensazioni che non avrei mai pensato di provare, e non solo perché lo adoravo, con tutto me stesso, ma anche perché era innegabilmente, oggettivamente, bello.
E sensuale. Molto sensuale.
Oh, Dio, lo stavo facendo di nuovo… dovevo smetterla. Basta, Blaine. Andando avanti di quel passo non sarei arrivato al week-end… ma potevo farcela: un giorno, due ore, dodici minuti e cinquantasei secondi, e sarei stato di nuovo con Kurt.
E in mezzo a tutte quelle macchinazioni mentali per poco non udii la voce rancida della Pitsbury, che urlò per ottenere la mia attenzione.
“ANDERSON!? –Notando il mio sussulto, la sua voce divenne sempre più diabolica, dicendo- potresti farci l’onore di tornare nel mondo dei vivi, e completare quest’esercizio alla lavagna?”
Esercizio?
Lavagna?
Non mi ero nemmeno accorto di essere a lezione!
“Hem…certo.”
Mentre mi alzavo in piedi vidi i sorrisi dei miei amici farsi sempre più ghignanti. Belli amici, davvero. Io ero nel panico, e loro se la ridevano perché sapevano benissimo che stavo fantasticando su Kurt!
Mi diressi velocemente verso la cattedra e afferrai il gesso. Che fortuna, pensai, l’esercizio non è difficile.
E in quell’istante la professoressa sentenziò: “Cancella la lavagna. Te ne do uno che è…alla tua portata.”
Prima o poi mi sarei stancato di aver sempre torto.
“Rappresenta con la simbologia di Lewis la formazione del legame ionico tra gli atomi nella molecola del Cherosene.”
Per poco non mi cadde il gesso di mano.
“Che cosa!?” Sbottai, in coro con i miei amici.
“Ma…ma che cos’è!?” Ed era incredulo.
Colin si grattò la testa, confuso: “…Lewis? Quello dei jeans!?”
“Ma…ma mi ci vorrà tutta la giornata!” Esclamai allora io, strabuzzando gli occhi.
E mi resi conto di aver appena detto una terribile verità.
“In effetti è una buona idea. Perché non lo fai come compito a casa? Anzi, sai che ti dico? Dovresti farlo per tutti i composti che abbiamo studiato finora. Sarà un ottimo esercizio per l’esame di fine anno.”
La mia espressione era sempre più straziata: “Professoressa, la prego… ci impiegherei tutto il week-end…”
“Ottimo! –Esclamò lei- Stavo pensando di farti delle lezioni extra la prossima settimana, ma direi che questa è un’idea decisamente migliore. Allora lunedì mattina mi aspetto il tuo compito sulla mia scrivania.”
Mi morsi il labbro. Stupido, stupido Blaine. Quando imparerai a tenere chiusa quella bocca!?
“Spero davvero che tu non avessi altri progetti per questo week-end.” Cantilenò, e sentii il gesso frantumarsi all’interno della mia mano saldamente stretta a pugno.
 
 
“La odio.”
Dall’altra parte del telefono Kurt aspettò qualche secondo, mentre finivo di sgranocchiare un biscotto al cioccolato.
“Mi dispiace, Blaine…ma lo sai meglio di me che non hai altra scelta, no? Se non lo fai potrebbe perfino bocciarti.”
Sospirai pesantemente, prendendo con violenza un altro biscotto dalla scatola.
“Ma si può sapere che le ho fatto di male!? Davvero, si può essere più acide di lei!? Che diavolo ha che non va!? Non ha ricevuto abbastanza affetto!? Da piccola è caduta dal seggiolone!?”
Kurt mi lasciò sfogare e lasciò perfino che trangugiassi un altro paio di biscotti, perché avevamo sancito un patto molto tempo prima: quando siamo nervosi, io mangio biscotti, lui si mangia le unghie, e nessuno deve dire niente all’altro.
Dopo il mio ennesimo borbottare mi chiese, un po’ confuso: “Perché sei così arrabbiato? Non è una novità che la Pitsbury ti dia compiti extra. Di solito la prendi con filosofia e cerchi di consegnare il più in fretta possibile per toglierti il pensiero.”
“Dovevamo uscire! E’ da una settimana che non ci vediamo, e non vedevo l’ora di andare al Bel Grissino con te, o al cinema, o qualunque altra cosa…e adesso per colpa di questo stupido compito sono ancorato in questa maledetta stanza!”
“Ma dai, stai esagerando! Abbiamo sempre la prossima settimana per vederci, no?”
E, a quel punto, mi fermai.
“La prossima settimana? –Ribattei, lento- Vuol dire che… non potremo vederci per due settimane?”
“Non è che abbiamo tanta scelta, sai…”
“Ma io non ce la faccio…” mugugnai, sprofondando sul letto di camera mia.
Lo sentii ridacchiare: “Che sarebbe a dire non ce la fai?”
“Mi manchi troppo.”
Quella sottospecie di dichiarazione lo lasciò interdetto. Ci fu un momento di esitazione, e poi rispose: “ E cosa vorresti fare? Buttare all’aria i nostri impegni e fiondarci l’uno a casa dell’altro?”
“Perché no?”
“Stai scherzando.”
“Non scherzo affatto. Al diavolo il compito, al diavolo il Glee Club.”
“Blaine…sii serio, abbiamo i telefoni, ci sentiamo tutti i giorni, e possiamo rimandare la nostra uscita di qualche giorno, no?”
Ma come faceva a capire che per me era impossibile?
E poi una domanda cominciò ad insinuarsi dentro di me, per poi fuoriuscire con una nota di amarezza:
“Kurt…ma io ti manco?”
“Certo che mi manchi.” Rispose, calmo.
“Ma forse non ti manco abbastanza.”
Potei sentire il suo tono farsi più scettico: “…Che intendi dire?”
“Non lo so…  è solo che… a volte mi sembri così…”
“Così come?” Ribatté, e io mi affrettai a dire: “Non fraintendermi Kurt. E’ solo che…non so, a volte ho come l’impressione che…voglio dire, io smanio dalla voglia di vederti e…”
“Anche io. –Mi interruppe, brusco- Soltanto che, a differenza tua, capisco che il dovere venga prima del piacere.”
E stavolta fui io ad aggrottare le sopracciglia: “Cosa vuoi dire? Stai forse dicendo che io non sono un tipo responsabile?”
“Non ho detto questo. Il punto è che a volte sei troppo impulsivo. Ragiona: se non farai quel compito la Pitsbury avrà un buon pretesto per intrappolarti. E tu vorresti rischiare tutto soltanto per passare una giornata con me?”
“Sì.” Risposi, senza alcuna esitazione. “Sì Kurt. E francamente mi stupisce che tu voglia il contrario.”
“Io non voglio il contrario... –lo sentii fare una breve pausa, come se si fosse trattenuto dal dire qualcosa- Blaine, perché sei così testardo!?”
“IO testardo!? Ma se sei tu quello che deve sempre avere ragione, tipo adesso!”
“Certo, perché ci sono dei momenti, tipo adesso, in cui io so già che stai per fare una grandissima cavolata, e cerco di fermarti in tempo!”
“Ah. –Commentai, aspro- Perché voler stare con te il più tempo possibile e morire dalla voglia di vederti è una grandissima cavolata?”
“Blaine!! –Sbottò, e il suo tono era decisamente esasperato- Senti solo quello che vuoi sentire-“
“Ho sentito e capito benissimo, invece. Non ci sono problemi.”
“Blaine…” sospirò, affranto, ma io, con voce ferma e seria, lo salutai: “Ci vediamo tra due settimane, allora. Ciao. Ti voglio troppo bene.”
“…Anche io…” mormorò, non sapendo bene cos’altro dirmi: il mio tono era arrabbiato, ma le mie parole no. Perché, nonostante mi avesse fatto innervosire, nonostante non avessi compreso il suo atteggiamento, non riuscivo a rispondergli male.
E quindi, senza aggiungere altro, riattaccammo contemporaneamente il telefono.
 
 
Passarono i minuti, e poi le ore.
E così arrivò Venerdì, e io me ne stavo seduto davanti alla mia scrivania cercando di finire quell’orribile compito della Pitsbury.
Kurt non mi aveva mandato nessun messaggio. Tipico. Ero sempre io a dover fare la prima mossa, visto il suo smodato orgoglio. E sebbene una piccola, minuscola parte di me volesse chiamarlo, mi ero deciso a puntare i piedi per non farlo, e così rispettai la promessa fatta a me stesso stringendo ancora di più la penna e continuando a trascrivere pesantemente le formule chimiche sul quaderno.
Non avevo nemmeno il coraggio di guardare l’orologio per segnare il tempo che passava, perché Flint era da Jessica, Ed, Colin e Nick erano usciti con Wes e David e io ero probabilmente l’unico sfigato costretto a studiare di Venerdì sera, e studiare di Venerdì sera mentre il resto del mondo è fuori a divertirsi è davvero estremamente deprimente.
Ma, dopotutto, non avevo nient’altro da fare, no?
Come da un giorno a quella parte ero solito fare, nella mia mente cominciò a ripetersi il dialogo del giorno prima; più lo sentivo, più si figurarono scenari diversi, risposte alternative, frasi che avrebbero dovuto esser dette.
E a quelle, ovviamente, susseguì il senso di colpa.
Oh, diavolo. Non avrei dovuto parlare in quel modo. Ero stato nervoso per via della Pitsbury, stressato per il fatto della lontananza, e avevo riversato tutto quanto addosso a Kurt.
E ora lui era sicuramente arrabbiato. Come poteva non esserlo? Lo avevo accusato senza motivo, come sempre, del resto; battei la testa contro il tavolino di legno, emanando un gemito straziato: possibile che dovessi sempre essere così irrimediabilmente idiota!?
Adesso non solo non avrei visto Kurt per un’altra settimana, ma non avrei potuto nemmeno sentirlo.
Quella piccola parte che prima optava per mandargli un messaggio, o chiamarlo per implorare a voce il suo perdono, ormai non era più tanto piccola e stava prendendo il sopravvento, ma sapevo bene che avrebbe peggiorato soltanto le cose: Kurt mi avrebbe lanciato una sua qualche rispostina acida, ma terribilmente geniale, e io sarei rimasto inerme, senza poter fare altro.
Non riuscii a trattenere un sorriso: perché se ero arrivato ad adorare perfino i suoi commentini sadici, allora ero davvero, davvero pazzo di lui.
Coraggio, mi dissi, rialzando la testa verso i libri, non sono uscito con Kurt per colpa di questa maledetta chimica, e quindi è giusto che soffra in silenzio nel farla.
E quegli esercizi noiosi mi aiutavano tantissimo, nel sentirmi sempre più uno schifo.
 
 
Dopo un tempo imprecisato, ma sicuramente lungo, qualcuno bussò alla porta.
“Flint… -borbottai, trascinandomi verso l’ingresso- cos’hai dimenticato questa volta? Le chiavi? La testa??”
Ma davanti a me non c’era Flint.
Flint non era così bello, e non mi avrebbe mai fissato con quello sguardo di ammirazione misto a rimpianto.
Perché c’era soltanto una persona che riusciva a farmi battere il cuore, a farmi venire una vertigine che invadeva prontamente tutto il corpo per poi scaricarsi a terra con la velocità di un fulmine.
C’era soltanto una persona in grado di far illuminare i miei occhi in quel modo.
Kurt.
“Mi dispiace, non sono Flint. –Esordì, porgendomi la mano con un sorriso- Ma effettivamente anche io ho dimenticato qualcosa.”
“C-come?” Balbettai, e lui, controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi, si chinò verso di me per lasciarmi un dolce, placido bacio.
E io pensai veramente che mi sarei sciolto lì, sull’uscio di camera mia; dovetti aggrapparmi alle sue spalle per non cadere a terra con un tonfo sordo.
Senza interrompere il contatto lo feci entrare in camera, richiudendo la porta alle sue spalle, e appoggiandolo contro il muro cominciammo ad approfondire il bacio, lasciando che le nostre lingue si intrecciassero frenetiche e i nostri respiri si fondessero in un unico sospiro pesante.
Dopo qualche secondo, però, fummo costretti a staccarci, con le labbra arrossate e il fiato corto; ci guardammo per un attimo, e poi cominciammo a parlare a vanvera nello stesso momento:
“Kurt, mi dispiace tantissimo, non dovevo dirti quelle cose non so che mi è preso…”
“Blaine ti chiedo scusa mi dispiace così tanto…tu volevi stare con me, e io sono sempre il solito rompiscatole, e…”
Rendendoci conto di non aver capito niente di quello che aveva detto l’altro, scoppiammo a ridere.
“Dì prima tu.” Mi incitò, e io scossi la testa, ribattendo il contrario.
“Mi si è spappolato il sufflè. ” Disse tutto d’un fiato.
“Il sufflè?” Strabuzzai gli occhi, perplesso.
“Oggi ho provato a cucinarlo… ed è venuto uno schifo! Avevo sbagliato tutti gli ingredienti, e piuttosto che un sufflè sembrava un fungo andato a male!”
“Oh Kurt, mi dispiace…”
“Ma no, è fantastico!” Esultò.
“F-Fantastico?” Ci capivo sempre meno.
“Ma non capisci? Non ho smesso di pensare a te nemmeno per un secondo, Blaine! Non è vero che non ti penso, non è vero che non mi manchi… sono ormai ventiquattr’ore che mi ripeto in testa il dialogo della scorsa sera e ogni volta mi sento sempre di più uno straccio!”
“Mi è successa la stessa cosa!” Esclamai, a metà tra il colpito e l’incantato.
Il suo sorriso si distese, e io gli presi dolcemente le mani.
“Kurt…ti chiedo scusa. Ero nervoso, stupido e come sempre ho parlato senza riflettere. Hai ragione tu, non penso mai alle conseguenze.”
“Ma va bene! –Affermò, raggiante- Voglio dire, siamo giovani, dobbiamo goderci la vita! Io sono il solito esagerato, invece di entusiasmarmi per tutto l’affetto che mi dimostri finisco per smontarti…”
“Ma che dici, Kurt? Non hai nessuna colpa, tu sei assolutamente perfetto.”
“No, Blaine, tu sei perfetto, e a volte mi chiedo davvero come tu faccia a sopportarmi.”
“Sopportarti? Kurt, stare con te è la cosa più bella che mi potesse capitare. E’ per questo  che sono impazzito, all’idea di non vederti per un’intera settimana. Mi manchi così tanto che è quasi imbarazzante ammetterlo…”
“Mi manchi tantissimo anche tu, Blaine. Mi manchi così tanto che sono montato in macchina e sono corso da te senza nemmeno pensarci. Ho agito d’impulso, ti rendi conto?”
“Sì –ridacchiai, facendomi più vicino- sono molto fiero di te.”
Lui sorrise compiaciuto. “Grazie.”
E, nel momento successivo,  non ci stavamo più guardando. Perché le nostre labbra si incontrarono come se ne sentissero urgentemente il bisogno, le nostre mani si intrecciarono saldamente l’una all’altra, mentre lentamente lo spingevo verso i piedi del letto, facendolo sedere, poi distendere; mi accoccolai accanto a lui e lasciai che avvinghiasse le gambe alle mie; adesso con le dita sfioravo con leggerezza il suo torace attraverso il sottile tessuto della maglietta, e lui portò la mano libera dietro al mio collo, spingendomi più vicino, abbandonandosi completamente ai sensi e alle sensazioni.
“Non litighiamo mai più.” Commentò, spossato.
“No, mai e poi mai. Quanto mi sei mancato…” sussurrai ad un suo orecchio, prima di mordicchiargli il lobo inferiore.
“Anche tu, Blaine…pensavo che avessimo chiarito il concetto.” Bisbigliò. E poi cominciò a baciarmi il mento, il pomo d’Adamo, il collo…
“Oh, Kurt…”
Sentire la sua lingua umida lambire abilmente la mia pelle mi provocò dei gemiti che non riuscii in alcun modo a trattenere. Lui, però, non parve preoccuparsene, e continuò a lavorare il mio collo slacciando lentamente i primi bottoni della camicia, permettendo alla sua mano di infilarsi sotto e saggiare di persona il calore del mio torace.
La sua mano era fresca. A contatto con il mio corpo caldo, donò ad entrambi un brivido di piacere.
Kurt non era mai stato così audace, impavido, intraprendente e incredibilmente sexy.
Senza indugiare oltre mi apprestai a sfilargli di dosso il cardigan, facendolo sollevare sui gomiti e poi a sedere, e con dei brevi scatti abili riuscii a togliere anche la maglietta di sotto.
Languidamente, dedicai tutte le mie attenzioni ai suoi capezzoli, stuzzicandoli dapprima con le dita e poi con la bocca, e stavolta fu lui ad ammettere, attraverso un sospiro: “Oh Blaine mi sei mancato…”
“Pensavo che avessimo chiarito il concetto.” Canzonai, riportando le labbra contro le sue, ma non smettendo di accarezzare il torace.
Lo sentii ridacchiare sommessamente.
“Solletico?”
“Sì.” Ammise, e io afferrai più saldamente i suoi fianchi, facendolo quasi sobbalzare.
“Ti prego!” Mugolò, tra una risata e l’altra, mentre io continuavo a torturarlo.
“Ti prego, cosa?”
Non riusciva nemmeno a parlare per quanto rideva forte. Alla fine decisi di lasciargli un po’ di tregua, e mentre tentava in tutti i modi di riprendere fiato e ricomporsi, incrociò il mio sguardo sognante; non riuscì più a trattenersi dal dirmi: “Ti adoro.”
Il mio cuore perse qualche battito.
“Anche io.” Risposi, dopo aver lasciato un altro bacio alle sue labbra.
“E mi piaci tantissimo. –Seguitò- Non voglio che tu abbia dubbi a riguardo.”
“Non ne ho –lo rassicurai, con voce dolce e profonda- non ne avrò più, te lo prometto.”
Kurt, continuando a baciarmi sommessamente, armeggiò con l’ultimo bottone della divisa, e poi mi aiutò a toglierla di mezzo.
Adesso eravamo lì. Mezzi seduti, mezzi abbracciati, ci osservavamo reciprocamente come se fosse stata la prima volta che lo facevamo. La pelle diafana di Kurt aveva qualche macchiolina all’altezza della clavicola, dovuta ad un eccessiva laboriosità delle mie labbra, e questo non faceva altro che renderlo ancora più attraente.
E quando rialzai la testa, per incrociare i suoi occhi, sembrarono vacillare di qualcosa simile alla trepidazione, ma anche al timore.
Che avessi esagerato?
“Oh, Kurt…” lo presi dolcemente per le mani e gli lasciai un placido bacio a fior di labbra, sospirando.
“Scusami, perdonami, mi sono fatto prendere la mano…ero così preso che…”
“No.”
Mi guardò di scatto, fermo.
“Va…va bene. Anche io…sì, insomma, anche io la penso come te.”  
Inarcai un sopracciglio: “Sul serio?”
Annuì. “E’ da quel pomeriggio in camera tua che ci penso. Oh, è diventato un chiodo fisso ormai…” ammise con un fil di voce, avvampando tutto d’un colpo. “Io…voglio andare avanti. Voglio superare il mio blocco, il mio imbarazzo, qualunque cosa sia, voglio fare un passo avanti, con te.”
Deglutii. Dovetti riepilogare la frase una ventina di volte dentro di me, prima di assimilarne il concetto.
“Tu, tu vuoi che io…?”
Le sue guance si infiammarono di colpo, e poi mi abbracciò come per affondare il viso da qualche parte.
“Io…io non sono ancora sicuro di me stesso, di tutto questo…ma mi fido di te.”
Annuii quasi in modo impercettibile.
“Beh, allora sarebbe meglio se tu…se ti sdraiassi…”azzardai, e lui si distese sotto di me senza opporre alcuna resistenza.
Kurt era bellissimo. Mi fissava come se fosse ancorato a me, il suo respiro irregolare faceva ondeggiare il suo bacino avanti e indietro, provocandomi dei brividi e delle vampate istantanee di calore.
Lentamente, mi chinai verso di lui, e cominciai a baciarlo in modo soffuso e intenso, socchiudendo gli occhi e facendo scorrere la mia mano dal suo collo fino al fondo della pancia.
Ricambiò il gesto con altrettanta minuziosità, provocando degli schiocchi ad ogni distacco e dei respiri sommessi ad ogni nuovo bacio. Le sue gambe si allargarono lentamente sotto la pressione delle mie mani, mentre le sue, quasi per bisogno, si portarono automaticamente dietro al mio collo, intrecciandosi e aggrappandosi a me, come per ottenere un sostegno, perchè altrimenti non sarebbe stato in grado di continuare.
Eccola, la linea immaginaria che non avevo mai osato valicare.
Ma adesso che potevo, adesso che a lui andava bene, fremevo dalla voglia di oltrepassarla, e le mie mani cominciarono quasi a tremare mentre slacciai in modo impacciato quella cintura complicatissima per poi dedicarmi alla zip dei suoi pantaloni.
I miei occhi non scesero mai a guardare. Rimasero debitamente chiusi, anche se i miei baci si fecero involontariamente più lascivi e meno precisi. Probabilmente, però, questo mio atteggiamento piacque a Kurt: rafforzò la presa verso di me e sentii le sue labbra estendersi in un sorriso, quasi a ringraziarmi di quella gentilezza che gli stavo riservando, perché anche in una situazione simile non mi ero mai lasciato andare alla passione, al desiderio: Kurt era troppo importante per me. Aveva bisogno di sentirsi bene, perché aveva questa malsana idea che quelle cose fossero indicibili e appartenessero soltanto a dei film di serie B, ma non era così: toccarsi poteva essere bello, piacevole ed estremamente confortante, poteva essere un gesto normale e allo stesso tempo un modo per dimostrare affetto.
E io volevo tutto quello. Volevo fargli capire che lui mi piaceva, in tutti i modi possibili, e che mi piaceva così tanto da poterlo manifestare anche attraverso quel gesto.
All’inizio appoggiai con estrema delicatezza la mano a palmo aperto, esitante, aspettando che lui mi desse il consenso per andare oltre.
Una volta ottenuto un flebile, minuscolo, sospiro di piacere, cominciai a sfregare lentamente contro il tessuto degli slip. Sentii quasi immediatamente il suo membro farsi più rigido, e il suo viso divenire più caldo.
Lo baciai un’altra volta. E poi infilai una mano sotto all’ultimo strato di tessuto. E lo toccai.
Il suo sospiro si trasformò automaticamente in un gemito. Per un attimo si imbarazzò di averlo fatto, ma io gli trasmisi lo stesso identico piacere, mormorando contro le sue labbra, mugolando in modo non ben definito.
Era una sensazione completamente diversa da quella che conoscevo, a cui ero solitamente abituato. Era tutto più incerto, e per un attimo mi chiesi se stessi facendo bene. Ma poi Kurt si abbandonava a dei respiri spezzati, che mi incoraggiavano ad andare avanti.
Aumentai leggermente la velocità. Lui a questo punto cominciò a stringersi a me, aggrappandosi alle mie spalle, e i nostri baci ormai erano diventati tremolanti carezze perchè non eravamo in grado di fare altro, mentre la sua testa affondava sempre di più nell’incavo del mio collo.
Balbettò qualcosa, non capii bene cosa: era tutto troppo intenso, troppo forte e allo stesso tempo troppo astratto, per poter connettere realmente il cervello.
Ero io che stavo dando piacere a Kurt, ma i suoi gemiti che aumentavano di intensità e il tatto del suo membro avvolto dalle mie dita mi stava completamente alienando dal mondo.
Senza neanche volerlo veramente, la mia presa si fece più salda. Si abbandonò ad un ansito che sembrò quasi un urlo.
E poi pronunciò il mio nome. La sua voce calda, bassa e roca, che mi avvisava di essere vicino, che mi avvertiva, forse, in realtà non fece altro che spronarmi ancora di più.
Kurt ora dipendeva da me. Era semplicemente troppo incredibile per poterlo esprimere a parole. Non era soltanto una questione fisica. Non era un uomo che stava dando piacere ad un altro. Ero io, ed era Kurt. Se fosse stato altrimenti, io non sarei stato così dolce e lui non sarebbe stato così appagato. Era perfetto, era magico, perché eravamo noi due, perché ci piacevamo in un modo ormai non più esprimibile a parole.
Il movimento si fece più rapido, le palpitazioni più forti, il nostri corpi si sfregarono aiutati da un sottile strato di sudore.
I suoi gemiti aumentarono sempre più d’intensità, fino a quando, tutto ad un tratto, si ridussero ad un lungo, intenso spasmo.
E sentii la sua schiena inarcarsi fortemente mentre io, piano, sfilai la mano dal suo membro e l’asciugai prendendo un kleenex dal comodino accanto.
Lui si accoccolò automaticamente a me, stringendomi forte ed emettendo dei lunghi respiri, come se gli fosse mancata l’aria.
“Kurt? -Domandai, avvolgendolo con le braccia- Tutto bene?”
Dopo qualche secondo rialzò lo sguardo verso di me.
“Direi di sì.” Sussurrò, mentre le sue iridi dilatate ritornavano al loro aspetto originario.
“Sicuro? Sono stato troppo brusco, o-”
“Blaine –mi interruppe allora, allungando il suo sorriso- sei stato…wow. Soltanto…wow. Non pensavo che potesse essere così…”
“Piacevole?”
“Intimo.” Ammise, baciandomi languidamente sul torso.  “Ti ringrazio.”
Scoppiai a ridere. Non mi sarei mai aspettato di essere ringraziato in quel modo così affettuoso e gentile.
“Beh…figurati. Quando vuoi.”
Lui assecondò la mia risata, e velocemente riprendemmo a coccolarci tenendo l’uno stretto all’altro.
Mi chiesi che ore fossero. Mi chiesi quando sarebbe ritornato Flint, e per un attimo sperai con tutto me stesso che non ci sorprendesse lì, in quel momento, perché non avrei davvero tollerato un altro assalto a sorpresa.
Scostai qualche ciocca di capelli dalla sua fronte, accarezzandolo dolcemente.
La prima volta che avevamo litigato avevo fatto Tarzan contro la sua finestra, e avevo capito che Kurt mi piaceva più di qualsiasi altra persona al mondo.
Cercai di alzarmi in piedi, con l’intento di cercare un paio di slip puliti da prestargli, ma Kurt borbottò qualche lamentela e allora risprofondai tra le sue braccia, lasciando che si avvinghiasse ancora di più a me.
La seconda volta che avevamo litigato avevamo fatto pace nel migliore dei modi possibili.
E avevo cominciato a capire che quel sentimento di affetto, ammirazione e piacere, nato diversi mesi prima nei suoi confronti, si stava trasformando sempre più velocemente verso qualcosa di più forte.
Ed era semplicemente perfetto.
 
 
**
 
Oh mamma.
Per questa volta salterò il mio commento personale al capitolo e arriverò direttamente ai ringraziamenti, che ne pensate?? Ahah!
No, a parte scherzi… spero di aver scritto bene.
Forse è sin troppo fluffoso, per un momento lemon. In effetti la cosa più lemon che ho scritto è stata “membro”. Ahah! Mi dispiace, temo di essere negata per queste cose.
Beh, ho voluto postare il capitolo con un giorno di anticipo, perché voi siete semplicemente FANTASTICI, e ho voluto ringraziarvi in questo modo un po’ strano.
Che dire, spero che vi piaccia il “regalo” che vi ho fatto. Ahah!
Davvero, grazie per tutte le recensioni, grazie a chi mi legge, mi segue, mi ricorda e addirittura mi preferisce. Non merito tutto questo.
Al prossimo aggiornamento!! 

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Capitolo 30
*** Passato, presente e futuro ***


Nota: Spero che questo capitolo, con la sua lunghezza, mi ripaghi dall'aver aggiornato in ritardo. Scusate!!


Capitolo 29
Passato, presente e futuro

 
 
 
Blaine? Sei libero oggi pomeriggio? –Kurt
 
Rilessi più e più volte il messaggio cercando di non farmi troppe idee. Ma dopo quel momento intimo avuto nella camera della Dalton, e poi in camera sua il giorno successivo, e poi a casa mia giusto la serata precedente, come potevo non pensarci!?
Francamente parlando, però, la cosa non mi dispiaceva affatto, ed ero felice di vedere Kurt acquistare sempre di più un minimo di sicurezza e familiarità a riguardo, abbandonando molto lentamente l’imbarazzo e la tensione. La sera scorsa, poi, c’era stato un momento nel quale, per un frangente di secondo, credetti che volesse ricambiare il gesto: si era chinato verso di me, cominciando a baciarmi languidamente e a massaggiarmi il torace… e poi non so, tutto ad un tratto si era staccato di colpo, bisbigliando qualcosa di incomprensibile e che non volle ripetere per nessuna ragione al mondo. Per me non fu affatto un problema, certo, mi avrebbe fatto molto piacere ricevere quel tipo di attenzioni da parte sua, ma non volevo assolutamente forzarlo, ed ero comunque felice e soddisfatto di me stesso per riuscire a donare un po’ di piacere a Kurt. Beh, in verità, a giudicare dai suoi gemiti, era molto più di un po’.
 
Se hai intenzione di riprendere il… discorso di ieri sera, sarei perfino capace di saltare le lezioni e correre immediatamente da te. –B
 
Sfoggiai un ghigno malizioso, che non sparì nemmeno una volta ricevuta la risposta:
 
Sei senza ritegno. Devo dirti una cosa. –K
 
Beh, – scrissi– anche ieri sera dovevi dirmi una cosa…ma non mi sembra di aver fatto una conversazione molto eloquente, ti pare? –B
 
Potei immaginarmi il suo volto arrossato sentenziare:
 
No, Blaine. Non riuscirai a farmi parlare di queste cose, soprattutto via sms. Non esiste. Ad ogni modo sì, devo chiederti una cosa, è piuttosto importante! –K
 
 E fu allora che la mia malizia sparì del tutto, lasciando spazio alla curiosità.
 
Alle sei da Breadsticks?  -B
 
 
 
“Era l’ora! -Esclamò Kurt, quando finalmente mi sedetti davanti a lui- Sono cinque minuti che ti aspetto!”
Gli lanciai un’occhiata scettica e lo canzonai: “Oh, dev’essere stato terribile.”
“Infatti è stato proprio così! Stavo seduto qui tutto da solo, e la cameriera continuava a fissarmi…ho bevuto ben due coca-cola, ti rendi conto!? Saranno un chilo di zuccheri! Oh, diventerò una caramella vivente, già lo so…”
“Mi dispiace –asserii, con un ghigno- la prossima volta farò sparire tutto il traffico.”
Annuì con forza: “Bravo.”
Lo osservai meglio: era così agitato…cos’era questa cosa così importante da dirmi?   
“Allora? –incitai, mettendomi composto- Che succede?”
“Dammi la mano.” Esordì, deciso.
Feci scorrere lentamente le dita sul suo palmo esposto verso di me, e poi mosse l’altra sua mano sopra la mia, rinchiudendola con gentilezza.
“Blaine Warbler…” sorrisi: mi piaceva quando mi canzonava affettuosamente per il mio attaccamento al Glee Club. E poi, quando iniziava in quel modo, si trattava sempre di una grossa sorpresa, che mi lasciava ogni volta senza fiato. Ma la frase che sentii, la domanda che mi fece, tutto d’un fiato, e con il tono appena sospeso, superò qualsiasi stupore mai provato fino ad allora.
“Vuoi venire al junior prom con me?”
Quella, decisamente, non me l’aspettavo.
“Il…il prom!?”
“L’evento mondano della stagione?” Fece eco lui, ancora più esaltato.
E poi, improvvisamente, rielaborai.
Il prom.
Il ballo di fine anno, dove sarebbe stata presente tutta la scuola e non sono, dove i ragazzi più popolari si mettevano in ghingheri assieme alle loro ragazze carine e perfette, i genitori si commuovono impugnando la polaroid e tutto è canonico e perfetto così, e non c’era spazio per persone come me, o Kurt; quindi, ancora di più, non c’era spazio per me e Kurt, insieme.
Lo sapevo troppo bene.
Ma Kurt era troppo sagace per non cogliere quei pensieri che si manifestarono prontamente sul mio viso.
“Non vuoi venire al ballo con me?”
 “No! Ma certo, ma certo che vorrei venire con te!” Affrettai a dire, cercando in qualche modo di afferrare le sue mani, ora lontane dalle mie.
Mi sarebbe piaciuto andare al ballo con Kurt. Diavolo, mi sarebbe piaciuto da morire: scegliere il vestito, comprare qualche fiore carino da abbinare ai nostri completi, passare con la macchina sotto casa sua e ballare guancia a guancia sotto le luci dei riflettori.
Ma tutti quei desideri erano allo stesso modo ricordi ancora troppo vividi nella mia mente, troppo dolorosi per essere ignorati.
“E’ solo che… -sospirai pesantemente, sviando lo sguardo a terra- il prom.”
“Cosa c’è che non va nel prom, Blaine?”
Kurt mi guardava esitante, attendendo una spiegazione logica del mio comportamento.
Ci era rimasto male. Aveva visto qualcosa, nei miei occhi, simile alla paura ma vicino all’allarmismo, e non era riuscito a comprenderla.
E come facevo a dirglielo? Stavo per raccontargli il mio peggiore incubo, sapendo che ci sarebbe rimasto male e sì, probabilmente avrebbe pianto, probabilmente avrebbe sofferto come un cane soltanto all’idea che una cosa del genere fosse capitata proprio a me.
“Nella mia vecchia scuola c’era una cosa simile…e io avevo appena fatto coming out.”
Mi odiavo per quello. Non rimpiangevo di averlo fatto, quanto di averlo fatto troppo tardi, o troppo presto, a seconda delle prospettive: perché era stato dannatamente vicino al ballo scolastico e terribilmente lontano dal momento più appropriato.
“Ho chiesto ad un mio amico, l’unico altro ragazzo gay della scuola, di andarci con me. E mentre aspettavamo che suo padre venisse a prenderci con la macchina...questi tre ragazzi…”
Esitai. Mi presi un secondo di pausa, e poi rialzai lo sguardo, cercando di minimizzare la cosa attraverso la voce, lo sguardo, delle piccole scrollate di spalle.
“Ci picchiarono a sangue.”
Kurt cambiò totalmente espressione. Lo vidi cercare la forza per rimanere lucido e non scoppiare a piangere lì, davanti a tutti.
“Io…mi dispiace così tanto...”
“Sono gay, dichiarato, e sono fiero di esserlo, è solo che… è un tasto dolente.” Bisbigliai, in modo non molto chiaro e impacciato.
Kurt ripensò qualche secondo sulle mie parole.
“E’ perfetto. –Affermò- non sei riuscito ad affrontare i bulli alla tua scuola…puoi farlo alla mia. Possiamo farlo insieme.”
Magari fosse così semplice, pensai, tirando un sorriso malinconico.
“Ma, Blaine –riprese, cercando il mio sguardo, facendosi più dolce e serio allo stesso tempo- devo dirti che se questa cosa ti dà fastidio, allora noi ci dimenticheremo del Prom, e ce ne andiamo a vedere un bel film.”
Alla fine, lo guardai.
E mi domandai da quanto progettasse di chiedermelo, quanto a lungo avesse fantasticato sul vestito, sulla cerimonia, sul ballo e sulle canzoni; chissà quanto aveva sognato quel momento, e il momento successivo in cui io, con un grande sorriso e altrettanta euforia, avessi accettato e detto di sì.
Invece era lì, davanti a me, con un sorriso incantevole e rilassato, e gli era bastato vedere un briciolo di oscurità nei miei occhi per cambiare completamente idea e scegliere un banalissimo film a “l’evento mondano della stagione”.
No, non aveva scelto il film.
Aveva scelto me. Lo aveva fatto per me.
Kurt era, semplicemente, l’essere più dolce, gentile e perfetto che esistesse sulla faccia della terra.
Sono pazzo di te.”
Si illuminò a quell’affermazione, del tutto inaspettata ma completamente vera: lo dissi in uno slancio di amore, un impeto irrefrenabile che sperai servisse a fargli capire almeno un decimo di tutto il sentimento che stavo provando.
Portò lentamente lo sguardo su di me, rivolgendomi i suoi bellissimi occhi cangianti.
“Quindi…lo prendo per un sì?”
E tutta quella speranza che tentava di contenere mi scaldò il cuore.
Kurt meritava quello, e anche di più.
Stavolta dovevo essere io a dimostrare quanto ci tenessi a lui.
“Sì.” Affermai, sotto al suo sobbalzo intriso di felicità “Sì, io e te andremo al ballo.”
 
  
 
“Mamma, sono a casa.”
“Blaine? Che bella sorpresa!” Il timbro squillante di Susanne Cooper sarebbe potuto essere udito a distanza di chilometri, soprattutto se questo proveniva dalla cima di una pericolosa scaletta di ferro arrugginito.
“Mamma! Ma che stai facendo!?” Urlai, correndo verso di lei per cercare di tenere fermo l’arnese.
“Ma che domande fai, tesoro? Sto sistemando le calate. Queste tende sono più vecchie di te e tua sorella messi insieme!”
Quella spiegazione non fece altro che aumentare la mia smorfia: “Non devi rischiare la vita per cambiare delle tende, per favore scendi…ti devo parlare. Dov’è Kitty?”
“Oh Blaine, avrei aspettato il week-end per dirtelo, ma visto che sei già qui…”
“Che succede?” Il suo viso si fece ancora più dolce, mentre con un sorriso che le andava da un orecchio a quell’altro esclamò: “La nostra piccola Kitty è uscita con un ragazzo! Si chiama Scott Williams, e setacciando il suo profilo di Facebook devo dire che è davvero molto carino! Avresti dovuto vedere tua sorella, era tutta nervosa per il suo primissimo - primo appuntamento! Pensa, l’ho persino convinta a mettersi un filo di trucco, non è bellissimo?”
In tutto quel lungo monologo esaltato io ero rimasto ancora alla prima parte. E questo chi diavolo era!?
“Come hai detto che si chiama? Lo conosciamo? Quanti anni ha? Come si sono conosciuti?”
Ma soprattutto, che cavolo voleva da mia sorella!?
Lei mi fissò un attimo allibita, ascoltando inerme le mie parole e imprecazioni. Dopo aver capito qualcosa, d’improvviso, scoppiò a ridere, così tanto che per poco non perse l’equilibrio.
“Mamma! –Sbottai, completamente sbiancato- Ti prego, scendi da queste scale maledette prima che tu ti faccia male!”
Tra mia madre che tentava il suicidio, mia sorella che era uscita con mister-foto del profilo molto sexy- e Kurt che mi aveva disarmato con la proposta del ballo stavo seriamente rischiando l’infarto.
“Oh, Blaine… -sussurrò, tirando indietro le lacrime per poi raggiungere finalmente il piano terra – il mio bambino è diventato l’ometto di casa…”
Mi abbracciò forte, e io non potei fare altro che ricambiare il gesto, lasciandomi cullare dalla sua stretta confortante.
“Sono così fiera di te.”
Quell’ultima frase mi arrivò dritta in mezzo al cuore. Detta così sinceramente mi diede la forza per annunciarle la grande novità.
“Mamma…devo dirti una cosa.”
“Aspetta! E’ una buona notizia od una cattiva notizia? Hai preso un bel voto? Perché ho giusto comprato un nuovo set di piatti che…”
“Mamma – la interruppi, e lei si zittò all’istante con il gesto di tapparsi la bocca- in verità…è molto bella.”
Il mio sguardo si illuminò, ma non seppi esattamente dire di cosa.
“Ho visto Kurt oggi…e mi ha proposto di andare al ballo di fine anno con lui.”
Non appena finii la frase vidi il suo volto oscurarsi dal terrore; balbettò qualcosa, e poi richiuse la bocca, come per lasciarsi del tempo per riflettere.
“Io…non so che dire.”
Una parte di lei sembrava felice, ma un’altra, quella molto simile alla mia, era totalmente, enormemente terrorizzata. Ricordavo perfettamente le sue lacrime amare versate sul lettino di quell’ospedale, e il suo gesto disperato di condurmi via da tutto quello, facendomi fuggire via, dall’orribile mondo della scuola pubblica a quello paradisiaco della Dalton.
“Non…non sono sicura che sia una buona idea.” Ammise infine, guardandomi dritto negli occhi.
“Kurt ci tiene tanto. E io anche. Non voglio più fuggire mamma, qualunque cosa succederà quella sera. Io…non lo so… -ripensando al viso angelico del mio ragazzo la mia espressione si addolcì- quando sono con Kurt, sembra tutto perfetto. Io sono perfetto. Mi sento felice, forte, e pieno di vita…oh, non lo so davvero mamma, ma so soltanto che voglio farlo, che posso farlo. E’ una cosa strana.”
“E’ una cosa bellissima.” Commentò lei con un moto di commozione. “Blaine…quello che hai appena detto…” e poi si fermò di nuovo, come rendendosi conto di una cosa, come se avesse deciso di non rivelarmi qualcosa di importante.
“Non importa. -riprese, la voce soffice, melliflua- Lo capirai da solo.”
Inarcai un sopracciglio. Capire cosa? C’era forse qualcosa sfuggitomi, ma che a lei era parso immediatamente chiaro come il sole?
Non dando soddisfazione alla mia curiosità, mi abbracciò un’altra volta, asciugandosi velocemente le lacrime e sfoggiando un bel sorriso.
Passammo il resto della giornata a progettare tutto: il vestito per il ballo –non sapevamo ancora dove prenderlo, ma avevamo le idee molto chiare circa il modello-, il profumo da abbinarci, e perfino i fiori per me e Kurt; ci fermammo soltanto per interrogare duramente e a fondo mia sorella, non appena questa fu tornata dal suo fatidico appuntamento con mister-carineria: il risultato? Niente. Nemmeno una parola. Continuava a sorridere in quel modo odioso e si chiuse in camera con delle sdolcinatissime musiche di sottofondo. Ma come poteva non dire niente a me!? Ero suo fratello maggiore, che cavolo! E se questo ragazzo non fosse stato quello giusto? E se fosse stato un tipo strano, o peggio? Rabbrividii al solo pensiero, sapevo meglio di chiunque altro come fossero i ragazzi a quell’età, e mia madre, ovviamente, non fece altro che ridere e ripetere di lasciarle i suoi spazi. E poi, come per incorniciare tutto quel delirio, disse che quando parlavo di Kurt avevo la stessa faccia! Ma come poteva? Io non tenevo quell’assurdo sorrisetto stampato sul volto, non parlavo con quella voce languida, non camminavo come se stessi sopra ad una nuvola!
E lei, in tutta risposta, mi lanciò un’occhiata eloquente, e poi fece finta di tossire.
“Kurt-sorriso?”
Mi voltai di scatto. Cos’aveva appena detto?
“Sai, qualche giorno fa mi ha chiamata un tuo amico…il tuo compagno di stanza, credo. Pensava che fossi qui, e io gli ho detto che eri da Kurt, ma lui a quel punto ha cominciato a straparlare di questo tuo Kurt-sorriso e di quanto fosse incredibilmente adorabile.”
Il mio compagno di stanza, che parlava di mia madre, sulla mia relazione sentimentale, denominandola con il Kurt-sorriso.
Sul serio. Cominciai a valutare tutti i migliori metodi per suicidarmi.
Ma mia madre mi rassicurò e disse che era stato carino, che non aveva detto niente di compromettente, e che aveva capito quanto ci tenesse a me.
Kurt-sorriso...sì, in effetti fai sempre quel sorriso quando pensi a Kurt.”
Dopo una breve esitazione il suo sguardo si intenerì, si avvicinò e accarezzò dolcemente una guancia.
“Ti sta bene. Dovresti indossarlo sempre, come se fosse il tuo miglior completo.”
Sorrisi.
“Sai, mamma? In effetti, penso che sia il mio abito preferito.”
 
 
 
 Faceva freddo, in quella piccola camera della Dalton.
Kurt mi aveva appena dato la buonanotte e io cercavo in tutti i modi di prendere sonno, girandomi e rigirandomi tra le coperte, finendo per accartocciarle tutte addosso a me come una stramba mummificazione.
Mi sentivo strano. Erano successe troppe cose in un giorno solo, e in qualche modo dovevo ancora rielaborare la cosa: mia sorella aveva avuto un appuntamento, mia madre aveva detto di essere fiera di me, e poi sarei andato al ballo di fine anno con Kurt.
Il ballo.
La mia mente si divise in due: una parte si proiettò verso il futuro, verso la mia serata con Kurt, quella splendida serata con Kurt.
Ma c’era un’altra parte, una più profonda, che cominciò a scavare verso la superficie. E non riuscii ad ignorarla: non riuscii ad ignorare il passato, Josh, il mio coming out, la mia vita prima di farlo, e quel ballo.
Quella notte sognai tutto quello. Fu come riviverlo una seconda volta.
 
 
DUE ANNI PRIMA
 
 
Non mi dispiaceva essere nell’anonimato.
Certo, c’erano dei momenti in cui mi sentivo terribilmente inutile, e pensare che il mondo sarebbe andato avanti anche senza di me mi deprimeva a tal punto che ingurgitavo una vaschetta e mezzo di gelato al cioccolato sparandomi di fila tutti e due i film de “Il diario di Bridget Jones”; ma il più delle volte mi ritrovavo a ringraziare il mio essere nessuno, perché la mia invisibilità mi permetteva di seguire comodamente le lezioni, mi riservava un tavolo in disparte ad ogni pausa pranzo… e poi, di tanto in tanto, quando ero seduto in fondo alla classe, e nessuno poteva vedermi, mi concedeva il lusso di indugiare un po’ più del consentito sul fondoschiena dei miei compagni di classe, mentre si alzavano per andare alla lavagna, o uscivano dalla stanza con la loro solita aria annoiata.
Ero gay. Era da un po’ di tempo che lo sapevo e più il tempo passava, più quella convinzione diventava la pura e semplice verità: avevo perfino cominciato a comprare Vogue, all’insaputa di mia madre e mio padre, e non passava un singolo giorno in cui non improvvisassi dei concerti degni del più grande teatro di Broadway direttamente davanti al mio specchio del bagno.
All’inizio, lo confesso, ero terrorizzato; ma ora che avevo potuto assimilarlo, che sentivo di averlo accettato,era diventata una cosa piuttosto ovvia, quasi… piacevole.
Per un attimo mi chiesi addirittura se fosse il caso di dichiararlo apertamente; ma solo per un attimo.
“Ohi, Anderson!” Urlò Thomas Scorn, dandomi una fortissima pacca sulla schiena.
“He-Heilà, Thomas…come va?”
“Alla grande.” Disse il grosso giocatore di football, con uno strano sorriso sul volto. Dietro di lui c’erano Albert Adams e Samuel Longtom, suoi compagni di classe e miei compagni di squadra.
Amavo il football, ed ero anche piuttosto bravo: il mio compito, sostanzialmente, consisteva nel correre il più velocemente possibile schivando i placcaggi degli enormi difensori. Dopo l’ultima partita, dove avevo fatto una meta particolarmente gloriosa, quei tre ragazzi avevano cominciato a girarmi intorno con aria alquanto amichevole; non che avessimo qualcosa in comune: io ero un semplice ragazzo che amava lo sport, loro erano prepotenti, popolari ed etero.
“Sai che cosa abbiamo qui?” Mormorarono, facendosi più vicini ed indicando un qualcosa nascosto nei loro zainetti.
“Non so, cosa avete, caramelle?”
Scoppiarono a ridere, e per un momento pensai di farlo anche io, così, solo per assecondarli, ma il mio sorriso si spense subito non appena sentii: “Caramelle!? Ma che, sei diventato gay!?”
Cercai di camuffare il pallore del mio viso con un breve colpo di tosse.
“Sono porno, amico.”
“Un porno di due lesbiche, vietato ai minori di diciassette anni!”
Un porno?
Di due ragazze?
No, decisamente, non era il mio genere.
Infatti commentai con breve “Ah”, per poi correggerlo immediatamente in un “ah, ooh!” di finta eccitazione.
“Che diavolo fai, Anderson!? Ti rendi conto, qui abbiamo della roba bollente, in tutti i sensi!”
“Allora che fai, sei dei nostri?”
“Dei vostri?” Feci eco io, come quando ad un interrogazione si ripete la domanda cercando di guadagnare tempo.
“Sì! Lo guardi o non lo guardi questo film con noi!?”
Che potevo dirgli? Se avessi detto di sì, avrebbero visto il mio poco interesse e si sarebbero insospettiti di sicuro. Ma, dall’altro lato, se avessi detto di no, avrei rischiato ancora di più. Voglio dire: nessun ragazzo etero di quindici anni rinuncia ad un porno vietato ai minori.
Deglutii. A malincuore, scelsi la migliore delle peggiori ipotesi.
“Sicuro. Ci sto. Dopo le lezioni?”
“Perfetto.” Commentarono, con un’altra pesante pacca sulla spalla. “Ci vediamo a casa mia alle quattro.”
Emanando un lungo, straziato sospiro, mi trascinai stancamente verso la prossima lezione, maledicendomi dal più profondo delle viscere.
Ma la disperazione non durò a lungo: in classe di storia, proprio nel banco accanto al mio, si sedette Josh.
Josh era l’unico ragazzo apertamente gay in tutta la scuola. Era alto, bello e per la maggior parte delle volte sicuro di sé, tranne per quando scappava via in modo piuttosto strano, non capivo ancora per quale motivo; conosceva a memoria tutti i film di Liz Taylor e aveva sempre l’impellente bisogno di commentare qualsiasi cosa.
“Ma come diavolo ti sei conciato i capelli? –Esclamò, strabuzzando gli occhi neri- Hai litigato con il barbiere?”
Ridacchiai, e vidi il suo sorriso distendersi in modo più naturale; avevo cominciato ad essere suo amico da qualche settimana. All’inizio era piuttosto scettico, ma dopo un po’ di tempo decise di darmi fiducia, e diventammo subito grandi amici. Non gli avevo ancora detto di essere gay, ma a volte mi veniva da pensare che lo avesse già capito da sé.
Lui non poteva saperlo, ma mi aveva aiutato tantissimo.
“Ci hai messo davvero troppo gel!” Cantilenò, squadrandomi in modo cinico.
“Piantala – lo canzonai, affettuoso - sto lavorando sul mio nuovo look. Voglio darmi un tono più…pulito.”
“Pulito? –Ribatté, inarcando un sopracciglio- Un giocatore di football che vuole essere pulito.  E’ come una mucca che si fa investire da un ambientalista!”
“Come?”
“E’ un paradosso, Blaine!”
Scoppiai fragorosamente a ridere, lui fece altrettanto e poi passammo il resto della lezione a ridere e parlare. Josh era fantastico ed intelligente, ma, pur essendo gay, non l’avevo mai considerato come qualcosa di più che un caro amico. Era ancora troppo presto per pensare a quel genere di cose, all’amore, e a tutto il resto. Gli volevo bene, certo: con lui ero totalmente a mio agio, e non chiedevo altro.
La situazione con i tre giocatori di football era, ovviamente, di livello nettamente opposto.
Una volta entrati in camera cominciarono ad armeggiare con dvd e televisione, mentre io cercavo in tutti i modi di fingermi almeno un pochino emozionato, dovevo concentrarmi e recitare la parte del ragazzo etero ed arrapato. La cosa, fortunatamente, non fu difficile: i tre erano troppo impegnati a sbavare davanti allo schermo per accorgersi della mia espressione totalmente incolore e del mio sguardo completamente perso tra le nuvole.
Un unico, piccolo, moto di nervosismo mi colse in pieno soltanto quando avevo ripensato accidentalmente alla mia imbarazzantissima ricerca su internet, fatta giusto qualche giorno prima in preda alla più fervida curiosità. Dopotutto, avevo quindici anni: a quell’età, soprattutto quando capisci di essere gay, sorgono le prime domande su chi sei, e non soltanto dal punto di vista psicologico e platonico…ma anche da quello, come dire, pratico.
Quindi, mosso da un impeto irrefrenabile e da tanto, tantissimo coraggio, lo avevo fatto.
Avevo cercato su Google sesso gay. Sì. L’avevo googlato.
E i risultati ottenuti erano stati…erano stati…beh, a confronto, quel misero dvd vietato ai minori di 17 sembrava una favoletta per bambini.
E per fortuna, dopo una lunga –e noiosa- ora, quel video finì.
I miei amici tra una risata e l’altra rimasero qualche minuto a commentare, e dopo si alzarono quasi contemporaneamente quando sentirono il cellulare di Albert annunciare l’arrivo di sua madre, che ci avrebbe riaccompagnato tutti nelle proprie case.
“Ok, noi andiamo. Che grande serata, eh?”
“Grandissima.” Commentai, sfoggiando un sorriso piuttosto tirato.
Ma qualcosa andò storto.
Thomas, che evidentemente ogni tanto mi aveva fissato, mi guardò torvo e disse: “Non ti è piaciuto?”
I miei occhi nocciola saettarono verso il basso.
“Ma…ma che stai dicendo? Dai, è ovvio, no?”
Il tono non era sicuro al cento e per cento, ma a lui bastò così.
“Uhm, certo. Ci vediamo domani, ok?”
“Sicuro. A domani.”
Una volta richiusa la porta di camera mia sprofondai sul materasso ad una piazza e mezzo, affondando il viso trai tanti cuscini ricamati.
Ero fisicamente e psicologicamente esausto. Non ce la facevo più di fingere in quel modo, comportarmi come se niente fosse.
Ma perché  dovevo fingere? Cosa c’era di male? Cosa c’era di male a preferire gli uomini invece delle donne, ad amare i musical e le riviste di moda?
Semplicemente, non ce la facevo più.
 
 
Il tempo passò, e alla fine arrivò la settimana dello “Student party”.
Non era un vero e proprio ballo: assomigliava più ad una discoteca in palestra, con tanto di luci al neon e bevande analcoliche, non bisognava vestirsi eleganti e non c’erano fiori o elezioni a re e reginetta del ballo, ma nonostante quello rimaneva comunque una delle serate più ambite di tutta la scuola: le ragazze correvano tutte trafilate a dichiarare il proprio amore ai loro fidanzati ed i ragazzi facevano a gara a chi otteneva più proposte, e quando potevano scegliere tra un paio di belle cheerleaders si sentivano gli dei del mondo.
A me, francamente, non interessava. Tutto ciò che volevo era uscire con Josh, perché solo in quel momento potevo evitare di nascondere la mia omosessualità; ma a lungo andare questa uscì fuori senza che me ne accorgessi: i capelli ormai erano quotidianamente in ordine, la logora divisa da football era stata abbandonata in favore di polo, giacche e camicie, i profumi erano sempre più forti ed eleganti e le scarpe sempre più alla moda.
Con il supporto di Josh, poi, quello che stavo diventando cominciava davvero a piacermi.
Ma, per via di quei piccoli ma significativi dettagli, le cose avevano cominciato a prendere una brutta piega, perché Thomas era sempre più nervoso e durante gli allenamenti capitava spesso che mi rivolgesse dolorose spallate accidentali, Albert e Samuel ormai mi rivolgevano a malapena la parola, e in generale tutta la squadra mi guardava in modo strano, freddo.
“Non li sopporto più.”
Josh alzò lo sguardo dal suo vassoio, smettendo improvvisamente di mangiare.
“Mi fissano come se fossi un mostro.”
“E’ ovvio. -Fece lui, con un cenno della mano- Sei bello, simpatico e hai un corteo di ragazzine che ti sbavano dietro. Sono palesemente invidiosi.”
Sorrisi, e nella più totale tranquillità mi scappò detto: “Ah beh, se è per questo se le possono anche tenere.”
Josh rimase per un attimo interdetto. Io mi bloccai di colpo, con la forchetta a mezz’aria e gli occhi che saettarono verso i suoi.
Dopo di ché, lentamente, lo vidi sorridere in modo gentile.
“Niente partner per lo student party?”
Emisi un sospiro a metà tra il sollevato e il felice.
“Niente partner.”
Rimanemmo qualche secondo immersi nei propri pensieri, io che internamente stavo gridando per la felicità.
Lo avevo detto. Cioè, non lo avevo proprio detto, e lo avevo detto a Josh, ma era pur sempre qualcosa, no?
Era bello. Ma che dico, era bellissimo: essere gay e senza riserve, tutto semplice e chiaro.
O almeno, così credevo.
“Anderson!”
Alzammo la testa: alcuni della squadra di football erano davanti a noi due, e ci squadrarono dal basso verso l’alto.
“Che diavolo fai!? E’ da una vita che ti siedi con questo frocetto invece che andare nel tavolo degli atleti. Ci spieghi che cazzo ti prende!?”
Serrai la mascella. Josh mi lanciò un’occhiata eloquente, intimandomi ad un silenzio che, ovviamente, non mantenni a lungo.
“Faccio quello che voglio – sbottai- e non dovete permettervi di chiamare Josh in quel modo. E’ un mio amico.”
“Già…lo abbiamo notato.”
“E’ diventato un tuo amico speciale, Anderson!?”
Il mio sguardo non vacillò di un minimo mentre mi alzai velocemente in piedi.
“Blaine, no…”
“Josh, non ti preoccupare. Sono stufo di come mi trattano questi ragazzi. Sono stufo di ricevere spallate e occhiate acide.”
“Blaine, così non faranno altro che aumentare…”
“No. –Risposi, secco e più determinato che mai- Finirò questa cosa, una volta per tutte.”
“Un momento: è colpa sua!” Esordì allora un altro ragazzo, che afferrò Josh per il colletto della giacca. “Adesso ti sistemo io, frocetto di merda!” Ringhiò, mentre il viso del mio amico si riempì sempre più velocemente di terrore.
Non ci pensai nemmeno. Lo spinsi via con tutta la forza che avevo in corpo ed urlai a pieni polmoni.
“TOGLIGLI LE MANI DI DOSSO!”
Silenzio.
“Mi sono rotto del vostro comportamento! Mi sono rotto della vostra ignoranza! Perché non lo lasciate stare!? Anzi, perché non lasciate stare entrambi!?!?”
“Anderson…” balbettò uno, il più alto e schifato di tutti.
“Sei diventato come lui. Sei diventato uno di loro.”
Uno di loro. Sembrava una malattia, una forma aliena.
Ero soltanto gay, maledizione!
E fu proprio in quel momento, immerso nell’ira, nel terrore di Josh, nel disprezzo della squadra di football, nel silenzio di tutta la scuola, che guardai il ragazzo nelle palle degli occhi, e mi feci improvvisamente più serio.
“E anche se fosse?”
Non rispose. Nessuno di loro ebbe il coraggio di rispondere. Il mio cuore prese a battere all’impazzata, potevo sentire gli occhi del mondo puntati su di me.
Aiutai Josh ad alzarsi ed uscimmo dalla sala mensa. Non c’era bisogno di aggiungere altro.
 
 
Da quel giorno la situazione crollò.
Risate, commenti, prese in giro e spinte contro gli armadietti.
La mia vita era diventata ufficialmente un inferno.
Ad un tratto tentai perfino di appellarmi a qualcosa, a qualcuno che potesse salvarmi da tutto quello, perché non me lo meritavo, stavo soffrendo ed era tutto orribile, e le uniche persone che potevano aiutarmi erano i professori.
Ma questi, dopo un breve colloquio, mi guardarono, e si strinsero nelle spalle. Ero gay? Affare mio. Loro non avrebbero battuto ciglio per me.
Che persone orribili. Che posto orribile.
Non era passata nemmeno una settimana ed io mi ero completamente stufato.
Volevano il ragazzino gay? Volevano lo shock, lo scalpore, l’indignazione?
L’avrebbero avuta. Sarei andato al ballo con Josh. All’inizio lui tentò in tutti i modi di fermarmi, si oppose, cercò di farmi ragionare, ma era del tutto inutile: ero furioso. Ma, allo stesso tempo, ero frustrato.
Tutta la scuola avrebbe ballato con qualcuno, e perché io non potevo farlo? Volevo ballare con un mio amico senza sentirmi un mostro, volevo essere me stesso, almeno per una volta.
Era un’idea folle, desiderare la libertà?
Josh pensò di no. E fu per questo motivo che andammo allo Student party insieme.
Ricordo che avevo messo il cardigan nuovo comprato con mia madre, e avevo passato tre ore davanti allo specchio per sistemarmi i capelli; ero emozionato e felice, continuavo a canticchiare canzoni da discoteca e a provare tutte le varie pose da fare in mezzo alla pista.
Ricordo che faceva freddo.
Il vento pungeva la pelle e ti penetrava fin dentro alle ossa; stavamo aspettando suo padre: lui, a differenza della mia famiglia, sapeva e comprendeva, era una cosa incredibile, che invidiavo molto.
Ricordo che, in mezzo a quel desolato parcheggio, mi sporsi verso Josh cercando di riscaldarlo con le mani, e lui sorrise di fronte a quel gesto amichevole.
E poi non ricordo più niente.
Perchè tutto ciò che avvenne dopo fu troppo veloce, troppo inaspettato, troppo cruento per riuscire ad essere assimilato.
Ho soltanto flash di tre figure scure: Thomas, Albert e Samuel, quelli che una volta avevo considerato amici; accenni di suoni, urla, risate malvagie, rantoli, singhiozzi sommessi, rumore di ossa spezzate; vivide percezioni di pugni, calci e il freddo contatto dell’asfalto sotto al mio corpo inerme.

Un ferroso odore di sangue.
Dolore. Molto dolore.
E poi il buio.
 
 
 
Mi svegliai di soprassalto nel bel mezzo della notte.
Le coperte erano diventate stracci, il pigiama grondante di sudore.
Sul mio viso, poi, c’erano ancora i segni lasciati da delle lacrime amare.
Scoppiai di nuovo a piangere. Perché era stato tutto troppo reale e le cicatrici sul mio fianco sinistro cominciarono a pulsare nervosamente; perché il mio cuore batteva forte, sembrava volesse esplodere da un momento all’altro.
Perché faceva male. Non sapevo nemmeno dove, come e quando, era una sensazione che pervadeva in egual modo tutto il corpo, e io non riuscivo a fare niente, mi sentivo uno strazio, stringevo il cuscino e alla fine piansi, piansi senza nemmeno trattenere i singhiozzi, piansi senza curarmi di bagnare le lenzuola, o di svegliare Flint.
Dopo un tempo inesorabile mi accasciai sul materasso, e tremai.
Mi sentivo come se avessero appena bruciato una parte della mia anima.
Perché era la centesima volta che facevo quell’incubo. Ogni volta era sempre più doloroso.



*****


Qualche dettaglio tecnico:

ho commesso un gravissimo errore.
All'inizio mi avevano detto che il liceo americano era di QUATTRO ANNI.
E invece è di TRE.
Nel secondo capitolo di questa storia avevo fatto in modo che Blaine si trasferisse alla Dalton a metà del suo secondo anno. Ma questo ovviamente non è possibile, dal momento che Kurt e Blaine si incontrano proprio all'inizio del secondo anno, quindi ho fatto un piccolo cambiamento: Blaine viene pestato e si trasferisce a metà del primo, per far tornare i calcoli. Ho modificato questo dettaglio nei capitoli iniziali e vi chiedo umilmente scusa per l'errore. Tralaltro adesso con gli ultimi spoiler sulla S3 non si capisce nemmeno più se Blaine fa il secondo, il terzo o addirittura il primo anno, quindi comprenderete la mia confusione mentale.
Poi...ci sono dei riferimenti a I love shopping, film (e libri) che amo alla follia, e che vi consiglio di leggere se avete un'oretta libera, sono davvero semplici e divertenti.
Ah, Il mio word è razzista. Mi sono resa conto soltanto adesso che mi segna Blaine in rosso, come se fosse una parola sbagliata, mentre di Kurt non dice niente. Forse si è rotto le scatole di sopportare tutti i suoi deliri introspettivi e ha iniziato ad alienarlo, ahahahah!!!

A proposito del capitolo...è venuto esageratamente lungo e complicato. Ringrazio un mio amico (non faccio nomi perchè non vuole) per avermi ispirata a scrivere questo capitolo. Se non vi piace il coming out, o il pestaggio, mi dispiace molto, ma era proprio così che volevo scriverlo. Se non fosse stato dal punto di vista di Blaine sarei stata sicuramente più descrittiva. Ma essendo un suo ricordo/sogno, mi piaceva così.
E spero che sia piaciuto anche a voi!!!

Davvero, vi devo ringraziare infinitamente per tutte le recensioni e le letture che mi regalate. Siete il massimo, lo giuro.

Il prossimo capitolo, impegni permettendo, arriverà tra due o tre giorni! Stay tuned!

Ps - giusto per la cronaca: mancano tre capitoli alla fine, più l'epilogo. Prepariamoci....

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Capitolo 31
*** Kilt, pensieri inattesi ***


Nota: mi sono resa conto che il capitolo del prom superava le quattordici pagine. Praticamente il doppio di un capitolo normale, che è già bello lunghetto di suo. Così ho pensato di dividerlo in due parti. In sintesi, ci sarà un aggiornamento in più, rispetto ai tre prefissati. Spero non vi dispiaccia! Staremo insieme per qualche giorno in più...e come dicono quelli di Paperissima, VICINI VICINI!
 

 
Capitolo 30
Kilt, pensieri inattesi

 
 
 
“Il prom!” Esordì Kurt, mettendo da parte il suo latte macchiato scremato. “Dio Blaine, ci credi che manca pochissimo al nostro ballo di fine anno? E’ stupendo!”
Abbozzai un sorriso tirato. Il sogno di quella notte continuava ancora a ferirmi, ma Kurt era raggiante, i suoi occhi brillavano, il suo sorriso illuminava tutta la stanza, sicché non potei dire altro se non: “Non vedo l’ora!”
E lui fu felice della mia risposta, tanto che si chinò verso di me per stringermi una mano colto dall’eccessiva emozione, mentre con l’altra era intento ad estrarre il cellulare dalla tasca della sua tracolla.
“Pronto? Oh ciao ragazze! Sono Brittany e Tina.” Mi sussurrò, posando una mano sul ricevitore.
Mi piacevano quelle ragazze. “Salutamele!”
“Vi saluta Blaine. Sì, certo che è con me. Mettere il vivavoce? Beh, se proprio ci tieni…”
“Ciao Blaine!” Salutò una voce, che riconobbi essere di Tina.
“Hei, ragazze! Come va?”
“Tutto bene! Kurt stamani ci ha detto che andrete al prom insieme.”
“Stavo decidendo i loro outfit.” Spiegò lui, con una vena di orgoglio.
“Sì –affermai- faremo strillare qualche gruppo di omofobi.”
Vidi lo sguardo del mio ragazzo farsi per un momento più serio; ma fu solo per un momento, perché sviai il mio verso il caffè medio e cominciai a berlo con una certa insistenza.
“Kurt? – riprese Tina, notando il nostro improvviso silenzio- Vi disturbiamo? Chiamiamo più tardi?”
“No, no affatto! Noi stavamo soltanto…”
E poi arrivò, come un lampo, la domanda innocente di Brittany.
“State pomiciando?”
Ci fu una piccola pausa, nella quale vidi la carnagione di Kurt passare dal rosa pallido al rosso acceso “BRITTANY! Non…siamo al Lima Bean. Il Lima-Bean. Un posto pubblico, hai presente!? Fatto di caffè, tavolini, di persone…”
“E allora? Ah, ho capito! State facendo fiki-fiki sotto al tavolo?” (*)
Forse sarei dovuto essere sconvolto. Ma Kurt lo era abbastanza per entrambi, quindi mi limitai a ridere fragorosamente, e lui mi guardò stizzito non sapendo se uccidere prima me, o quella pazza della sua amica.
Dopodiché si accasciò velocemente sul tavolino coprendosi la mano con il viso, e io ne approfittai per fingere un broncio ed incrociare le braccia.
“No, Brittany. Per tutte le mie riviste di Vogue, no.”
“Hey. Potrei anche offendermi per questo, lo sai?”
Rialzò la testa di scatto, il telefono ancora stretto tra le dita. “Non ti azzardare.”
“Ecco, ora sono proprio offeso.”
“Ma dai, lo sai che cosa intendo dire!! Insomma, andiamo! Lo sai che mi piaci, e mi piace che tu…insomma, quando noi…oh, ma che cosa mi fai dire!?” E sprofondò di nuovo nel suo angolino della vergogna, sotto al mio sorriso sempre più soddisfatto.
“Ti adoro.” Sussurrai, strofinando delicatamente il pollice contro il palmo della sua mano scoperta.
“Vi odio. Tutti quanti.”
Sentii le risate delle due ragazze, seguite a ruota da un lungo sospiro.
“Kurt, in verità, ti abbiamo chiamato per chiederti una cosa.” Disse Tina, tornando improvvisamente seria.
“Finn ci ha scaricate per fare la canzone del Prom, dice che Quinn lo sta uccidendo con tutta questa storia del re e reginetta della scuola, e non può allontanarsi da lei nemmeno per un secondo.”
Kurt era ancora piuttosto seccato dalla magra figura di prima.
“E al popolo?” Sbottò, con voce gelida ed incolore.
“Ecco…non è che ti andrebbe di farla tu?”
Restò qualche secondo immobile. Poi, assumendo una faccia allibita, disse: “Non posso preparare una canzone che non conosco in così poco tempo! E poi sono già in crisi con i preparativi per il mio vestito, figurati se trovo anche il tempo per cantare! Avete già chiesto agli altri ragazzi?”
“Sam, Puck e Artie cantano Friday di Rebecca Black…”
Lo vidi sforzarsi con tutto se stesso per non commentare in alcun modo la scelta della canzone. Sospirò pesantemente e si massaggiò una tempia con fare teatrale, e poi continuò: “ E adesso come facciamo? Non possiamo annullare la canzone…ma chi è che in un giorno riuscirebbe a preparare…com’è che si chiama?”
“Non me lo ricordo. –Rispose Brittany- Ha troppe lettere.”
“Qualcosa come I’m not gonna teach your boyfriend…”
I’m not gonna teach your boyfriend how to dance with you!”  Esclamai. Kurt mi guardò straniato. “E’ bellissima Kurt! L’ascolto tipo due volte al giorno, è assolutamente perfetta per il Prom, so già che farà crollare la scuola!”
Ero stato un po’ entusiasta.
Un po’ troppo entusiasta, forse.
Dall’altro lato del ricevitore udii un qualcosa che percepii come un ghigno.
Lo stesso comparso sul viso di Kurt.
“Ragazze? Ho appena trovato il vostro cantante.”
 
 
 
Era il giorno prima del ballo, e Kurt mi aveva mandato un messaggio invitandomi a casa sua; dopo l’ultimo scambio di messaggi avvenuto il giorno prima decise di troncare sul nascere i miei pensieri sinistri, aggiungendo, alla fine del suo sms: ci saranno mio padre e Finn. Comportati bene. -K
Io mi comporto sempre bene, risposi io, con fare orgoglioso: beh, sempre che tu non mi faccia impazzire in qualche modo. A quel punto non sarò più responsabile delle mie azioni. –B
 
“Blaine!” Il fratellastro si presentò alla porta con un sorriso a trentadue denti e un pacchetto di nachos tra le mani. “Entra amico! Vuoi un nachos?”
Lo ringraziai e ne ingurgitai un paio, prima che Kurt potesse cogliermi in flagrante e farmeli vomitare interi.
“Ah, è in camera. Ma non ti consiglio di andare da lui.”
Inarcai un sopracciglio: “Certo che andrò da lui, che stai dicendo?”
“Non lo fare!!” Mi prese per un braccio, mentre l’altro era già impegnato ad afferrare il corrimano delle scale. “Sono andato da lui prima, e in risposta mi ha sbattuto la porta in faccia, ha cominciato a urlare, a lanciare esorcismi in una lingua satanica...”
“Ha cominciato a parlare francese?”
“Sì! Forse!? Ma che ne so! E’ stato orribile, orribile ti dico!”
Deglutii. Se aveva davvero parlato in francese, allora era una cosa seria.
“Vado da lui. Magari gli è successo qualcosa.”
Finn continuò a insistere di non farlo, ma mi seguì fedelmente mentre salivo le scale dirigendomi verso la camera di Kurt.
“Tanto non ti farà entrare…” lo guardai storto.
“Non ti preoccupare, ci penso io.”
Insomma, ero il suo ragazzo! A me avrebbe fatto sicuramente entrare!
 “Kurt? Sono io, Blaine…”
“NON ENTRARE PER NESSUNA RAGIONE AL MONDO.”
Prima o poi mi sarei stufato di avere torto. E sì, una piccola parte del mio orgoglio si frantumò in piccoli pezzettini, ma non ci feci caso.
“…Kurt? Tu-tutto bene?”
“Benissimo. Però dico sul serio, non entrare. Devo finire di…devo finire una cosa. Appena ho fatto scendo, promesso.”
Esitai qualche secondo, guardando Finn, perplesso quanto me. Alla fine, un po’ incerto, acconsentii, e gli dissi che lo avrei aspettato di sotto. Il fratellastro si strinse nelle spalle: “Almeno a te non ha urlato nella lingua dei demoni…”
E prima che potessi ammonirlo sul non parlare di Kurt in quel modo, udii un rumore di chiavi, e poi la voce del signor Hummel che ci salutò cordialmente; mentre lui si diresse in corridoio, Finn mi chiese:
“Come va con la canzone per il Prom?”
“Molto bene! Brittany e Tina sono così brave...mi diverto tantissimo.”
Annuì mettendosi a sedere sul divano, imitato da me subito dopo.
“Quindi…vi sta bene che io canti una canzone con voi al Prom?” Era una domanda che mi era sorta spontanea, essendo abituato all’ambiente della Dalton, estremamente ligio alle regole, e alla formalità degli Warblers, che praticamente non permettevano nessun assolo al di fuori dei miei.
“Certo. –Disse infatti Finn, con un cenno incoraggiante della mano- Assolutamente.”
Mi sentii felice, ma allo stesso tempo nutrii un pizzico di invidia nei loro confronti: per quanto amassi gli Warblers, a volte mi trovavo ad immaginare con un certo entusiasmo la mia vita nelle New Directions, dove la competitività veniva affrontata in modo diverso, e c’era sempre spazio per tutti.
“Buone notizie ragazzi!” Burt risbucò dal corridoio con la giacca in mano “Il mio amico Enzo dal negozio degli abiti a noleggio vi farà uno sconto del 50% sul prezzo.”
“Forte!” Esultò Finn.
“Già! Quindi che cosa prenderete?”
Soddisfatto, gli esposi il modello progettato da me e mia madre: “Io andrò semplice: nero, risvolti sottili…molto discreto.”
“Sapete cosa indossai io? –Fece il signor Hummel, con un sorrisetto compiaciuto sul volto- Un vestito blu pastello con una camicia plissettata e papillion di velluto. Un vero Tony Orlando!”
Tony Orlando? L’avevo già sentito nominare, probabilmente in qualche rivista…
“Era uno stilista?”
Si sedette sulla poltrona aprendo il giornale con un gesto secco. “No.”
E poi, finalmente, arrivò la voce di Kurt.
“Io non avrò bisogno dello sconto del 50%!”
Sfrecciò in sala con le mani sui fianchi ed un sorriso di puro orgoglio. Indossava degli anfibi di pelle, dei leggins scuri di microfibra, una giacca del medesimo colore con scollo a v dal quale si intravedeva una camicia inamidata compresa di papillion…e una gonna. No, non una gonna: un kilt.
Kurt indossava un kilt. Kurt aveva ideato uno splendido vestito per il ballo, in onore del matrimonio tra Kate e William, e indossava un kilt. Semplicemente, l’indumento più bello, elegante e cavolo, più sexy che avessi mai visto in vita mia.
Il cuore cominciò a pompare come una macchina da guerra mentre lui fece una giravolta su se stesso, lasciando intravedere parte delle sue bellissime gambe longilinee.
E poi tutto quel flusso di sangue si diresse interamente verso il basso.
Cos’aveva detto Kurt riguardo al comportarsi bene? Quell’avviso comprendeva anche una pomiciata selvaggia, nel bel mezzo del salotto, e magari anche qualcos’altro di più…indiscreto?
 Sì, probabilmente sì. Quindi, dovevo evitare di pensarci e rimanere concentrato.
“Non mi piace.” Disse Burt, dopo non so quale commento. Kurt lo guardò esasperato: “Per forza non ti piace, non è ancora finito! Forse ho bisogno di qualche cintura, o qualche nastro…” Si avvicinò a me. Si avvicinò a me, e mi mostrò il sedere con estrema nonchalance. Mi mostrò il suo perfetto sedere scolpito ad arte come se fosse la cosa più innocente del mondo, con l’atteggiamento più innocente del mondo, ma non era innocente per niente. I miei pensieri, in quel preciso istante, erano tutto fuorché innocenti.
Fui costretto ad accavallare le gambe e portare una mano alla bocca, perché non potei non mordermi il labbro inferiore e soffrire in silenzio.
Rimani. Concentrato.
“Non ti sto dicendo di non indossarlo – proseguì Burt, mettendo da parte il giornale e guardandolo dritto negli occhi – ma devo essere sincero, penso che la tua sia soltanto una provocazione, penso che tu stia soltanto cercando di attirare l’attenzione.”
Ecco. Quel discorso, non so se per sfortuna o, paradossalmente, per miracolo, fu come una doccia fredda, perché improvvisamente davanti a me comparvero per l’ennesima volta le immagini di quel ballo, e una fitta di dolore attraversò tutto il mio corpo.
Mi ero calmato, poco ma sicuro: adesso, però, mi sentivo terribilmente amareggiato e malinconico, e questi sentimenti non fecero che aumentare quando Kurt esclamò: “Esattamente! Non è forse questo lo scopo de vestirsi bene? Altrimenti, perché i ragazzi si mettono il frak oppure il cilindro e le ragazze l’abito da sera? Coraggio Blaine, dammi una mano!”
Per un attimo desiderai non me lo avesse chiesto.
Perché fui costretto ad accantonare ogni mio pensiero e dirgli la più sincera verità, anche se sapevo che non gli sarebbe piaciuta.
“Credo che tuo padre abbia ragione. Penso che voglia dire che è inutile fornire altre ragioni per…per farci prendere di mira.” L’ultima parte la dissi in un sussurro. Kurt mi stava guardando allibito e io riuscivo a malapena a sostenere il suo sguardo.
“Ci sono molte persone cattive, Kurt. –Dichiarò suo padre- Molto più cattive di quel Karofsky, e tutto quello che cercano è un accendino per dar fuoco alla loro cattiveria. Ovviamente, ovviamente desidero che tu sia te stesso. Ma voglio anche che tu sia pratico.”
Rimase un secondo in silenzio. Ci guardò tutti, uno ad uno, e parlò con tono terribilmente freddo.
“Ok io ho fatto tutto nel verso giusto. E Blaine –aggiunse, prima di voltarsi ed andarsene- capisco che dopo quello che hai passato tu sia preoccupato.”
Non mi aspettavo che lo dicesse davanti a tutti; davanti a Burt che mi guardò serio, e Finn che mi fissò scettico. Intimidito, mi strinsi in me stesso, posando gli occhi altrove. Faceva male. Non volevo comportarmi in quel modo, ma non potevo farci nulla: le cicatrici ripresero a bruciare, faceva terribilmente male.
E poi Kurt continuò: “Il prom riguarda la gioia, non la paura. Quindi metterò questo vestito. Ci ho lavorato molto, e penso che sia fantastico. E se tu non vorrai più venire al ballo con me…lo capirò.”
Kurt… pensai, esasperato, ma lui era già andato via.
Non mi aveva lasciato nemmeno il tempo di replicare. Ma come poteva pensare una cosa simile? Ovviamente volevo andare al ballo con lui: volevo prendergli da bere, volevo salutare i suoi amici, e volevo anche che indossasse quel vestito; ma era anche ovvio che avessi una paura terribile di quello che sarebbe potuto succeder, perché non lo avrei sopportato un’altra volta, non di nuovo, non a Kurt. Ma lui non poteva capire: lui era così buono, e così felice, perché Karofsky non lo stava tormentando più, e nessuno lo aveva più spinto contro gli armadietti…lui era ottimista. E quella, forse, era la cosa peggiore di tutte.
Ma perché, tra tutti, dovevo essere io, a demoralizzarlo?
Che diavolo, ero il suo ragazzo: lui, in quel momento, aveva cercato appoggio da me. E io gli avevo sbattuto la porta in faccia.
Ma perché non potevo lasciarmi influenzare dalla sua positività, accantonare tutti gli oscuri pensieri, sperare per il meglio assieme a lui?
Perché non poteva andare tutto bene, almeno per una volta?
Poteva succedere. Era difficile ed improbabile, ma poteva comunque succedere. Una piccola possibilità, non valeva almeno il beneficio del dubbio? Perché, infondo, poteva essere una delle serate più belle ed importanti della nostra vita: avremmo potuto raccontarla ai nostri amici, con un sorriso dolce e accennando a qualche battuta ridicola. Avremmo potuto raccontarla alla nostra famiglia.
Dovevo provarci. E senza rimorsi o angosce: dovevo semplicemente andare lì, e dare il meglio di noi stessi.
Perché Kurt meritava soltanto il meglio di me, e io fino ad allora gli avevo mostrato il peggio.
“Vado a parlargli.”
Burt e Finn non dissero niente, sapevano perfettamente che fosse la cosa migliore. Non mi sorpresi di trovare la porta chiusa, e non mi sorpresi nemmeno quando non sentii nessuna risposta alla mia invocazione.
“Kurt, apri la porta, ti prego.”
Silenzio.
“Kurt…” appoggiai la testa contro la porta, le mani strette a pugno che si appoggiavano stancamente al freddo legno.
“Mi dispiace. Ti prego Kurt, mi dispiace… non voglio che tu rinunci al tuo vestito per colpa mia. Non voglio che tu rinunci alla felicità, per colpa della mia stupida codardia. Perché sono soltanto un codardo, Kurt, e un idiota, un completo e totale idiota…e non merito di stare con una persona così coraggiosa come te. Io…io non ti merito.”
In quel momento, anche se esagerate, quelle parole erano sincere; ma lui, evidentemente, non fu della mia stessa opinione, perché aprì la porta di scatto, gli occhi rossi e gonfiati dalle lacrime, e corse da me con un forte abbraccio.
“Non dirlo neanche per scherzo. –Piagnucolò, contro la mia spalla- Tu sei tutto per me Blaine, tutto.”
“Lo so…mi dispiace…”
Non ci eravamo neanche accorti di essere entrati in camera, lasciando la porta chiusa dietro di noi.
“Dispiace a me.” Disse infine, continuando a tirare su con il naso. “Sono stato un egoista, non ho pensato a quanto tu possa sentirti ferito, non ho pensato a quello che hai passato, e…-“
La sua voce si spezzò e riprese a singhiozzare, così forte che mi mossi per stringerlo ancora di più a me, eliminando qualsiasi tipo di distanza umanamente possibile.
“No Kurt, hai ragione tu: il passato è il passato, e devo lasciarmelo alle spalle, non posso permettere che mi tormenti per tutto il resto della mia vita.”
“E’ bello sentirtelo dire.”
“E’ merito tuo. -Sussurrai, accarezzandogli languidamente la schiena- Sei tu che mi infondi coraggio.”
Esitò un secondo, poi si distaccò quanto bastasse per guardarmi negli occhi, e sorrise: “Couragé.”
Mi addolcii. “Giusto. Ricordi? Ci sarò sempre per te, te l’avevo promesso.”
“Ci sarai anche al ballo?” Domandò attraverso un sussurro, e il mio volto si distese completamente.
“Kurt, ma come fai anche solo a pensare che non voglia andare al ballo con te? Ascoltami bene, perché te lo dirò una volta sola.”
Lui annuì, ormai era quasi del tutto calmo, e lo sguardo limpido era concentrato sul mio.
“Kurt Hummel. Sei la persona più importante della mia vita. Più importante di qualsiasi altra cosa...sei talmente importante che a volte, se ci penso, mi cedono le ginocchia, e devo fermarmi a respirare.”
Una lacrima riprese a scorrere lungo il suo viso.
“No –mi interruppe lui, vedendo la mia espressione dispiaciuta- no, continua.”
Presi un bel respiro, mentre gli occhi si colmavano di amore.
“Io…io non solo muoio dalla voglia di andare al ballo con te. Io ne sarei onorato. E tu? Vuoi ancora venire al ballo con questo stupido, codardo e basso ragazzo? Mi faresti quest’onore?”
Emise una risata cristallina, e il mio cuore perse qualche battito.
“Blaine…non sei un codardo. E non sei affatto stupido. E sì, magari non sei proprio il re dell’altezza, ma sei bellissimo. Sei il più bel ragazzo che abbia mai visto. E non solo esternamente: sei splendido, dentro e fuori. Tu non fai altro che ripetermelo…mentre io te lo dico troppo poco spesso.”
“Non è vero, -ribattei, gentile- non me lo dirai a parole, ma me lo fai capire ogni secondo che passa.”
Ci sorridemmo a vicenda, e poi allentammo un po’ la presa di quel solidissimo abbraccio. Ci furono altre scuse, e altri abbracci, e dopo diverso tempo, quando la tensione fu finalmente passata, ci furono altri baci, altre carezze, altre dolci effusioni appena sospirate l’uno contro la pelle dell’altro, mentre stavamo distesi sopra al suo letto, le gambe intrecciate, i visi ravvicinati.
“Accidenti. –Borbottò, rassettandosi il kilt- Così mi si stropiccerà tutto il vestito.”
E fu in quel momento che tutti i pensieri avuti in salotto ricomparvero come una scarica elettrica.
Esattamente quando Kurt si rialzò in piedi, portò una mano lungo i fianchi, passò l’altra sotto la gonna e sfiorò in modo impercettibile la coscia coperta dal tessuto elasticizzato, ma evidentemente rimarcata.
“A proposito! -Fece lui, come se non si fosse accorto della mia espressione imbambolata – Non mi hai ancora dato un parere sul completo.”
Deglutii.
“Vuoi un parere sincero?”
La domanda uscì irrimediabilmente bassa e roca.
Mi avvicinai a lui gattonando, e poi, molto lentamente, risalii tutto il dorso della sua giacca compita, e passai avidamente la lingua sopra la sua bocca, per poi intrecciarla alla sua non appena ne ebbi l’occasione, attraverso un vortice di sensazioni e gemiti, di piacere e sospiri, di sfregamenti e morsi inumiditi.
Dopo qualche secondo mi staccai di colpo, provocando un terribile e sono schiocco.
“Ti basta come risposta?”
Kurt rimase a fissarmi a metà tra l’eccitato a morte e il distrutto. Dopodiché, si aggrappò languidamente a me e cominciò a spingermi all’indietro.
“In effetti, credo di aver bisogno di un approfondimento…”
Non me lo feci ripetere due volte.
Passai una mano contro la sua schiena mentre l’altra cominciò a lambire i muscoli delle sue gambe toniche, sollevando lentamente il kilt e soffermandosi sull’interno coscia.
E la tensione era tanta, era troppa e tutta insieme, tale da dimenticarci per un momento di suo padre e Finn che stavano proprio al piano sotto di noi, da qualsiasi altro tipo di problema; perché dovevamo sentire la presenza dell’uno sull’altro, e non era una cosa che poteva essere rimandata, o annullata, a causa di qualche stupido contrattempo: ne avevamo bisogno entrambi, e subito.
Quando credetti di potermi dedicare unicamente alla sua eccitazione, Kurt mugugnò qualcosa, che interruppi bruscamente con un altro bacio.
“Blaine...-disse di nuovo, combattuto- non posso…”
Mi fermai: “come, non puoi?”
“Non posso farlo con il vestito del ballo, lo rovinerei tutto!”
“Ma…”
Il suo sguardo non ammise repliche.
“Va bene...” sbuffai. Mi rimisi seduto composto e feci per alzarmi dal letto, quando lui mi afferrò per un braccio, e mi guardò con fare piuttosto agitato.
“Aspetta.”
Inarcai un sopracciglio, ma rimasi in silenzio. Kurt sembrò davvero lottare contro qualcosa. Vidi le sue mani spostarsi dalla spalla al petto, sfilandomi delicatamente la maglietta, ma il vero stupore lo provai quando sentii il ruvido tessuto dei jeans scivolare giù, seguito a ruota da quello dei miei slip grigi.
Infine, lentamente, percepii il tocco morbido della sua mano chiusa a coppa contro il mio inguine, e trasalii.
Lo guardai incredulo, come per dire, “l’hai fatto davvero?” e lui mi fissò con occhi profondi e tenaci, come per dire, “l’ho fatto davvero.”
E quando cominciò a muovere su e giù quella mano, con ostentata minuziosità e attenzione, il mio corpo si sentì tremare.
Oh, Kurt…”
“S-sì?”
Lo guardai per un attimo.
“N-no, non ti stavo proprio chiamando, cioè…scusa, mi è scappato così e…”
“Oh. Ah, hem, certo, io...che stupido…” Arrossì di colpo, e io mi chinai immediatamente a baciarlo.
“No, sei perfetto. Ti prego, ti scongiuro, continua.”
Annuì, con riacquistato coraggio, e riprese a massaggiarmi delicatamente.
La mia erezione si fece sempre più evidente e pulsante, fino a quando non venne afferrata con dolcezza dalle dita affusolate di Kurt, e cominciò a fremere.
Non riuscii più a connettere il cervello. Il mio capo si reclinò all’indietro senza ritegno, e la mia bocca emise dei gemiti che non pensavo di saper fare.
Era…era incredibile. Quella lentezza così estenuante, contrapposta ad una moderata e salda presa, mi stava facendo letteralmente impazzire.
“Kurt…di…di più…” riuscii ad impastare, in qualche modo, e lui eseguì aumentando la velocità, indugiando soprattutto sulla punta ormai arrossata per poi ripassare su tutta la lunghezza, il respiro affaticato, il tocco più caldo ed umido.
Il mio corpo cominciò a tremare di spasmi involontari a ritmo con il suo andamento. Rallentò per un attimo, soltanto per avvicinarsi a me e lasciarmi un tenero bacio sulla bocca, che ricambiai febbricitante, avvinghiando le mani contro la sua nuca mentre queste si contorcevano di piacere; e poi cominciò ad accompagnare il movimento della mano con delle leggere rotazioni delle dita che mi fecero girare la testa.
Tenevo gli occhi socchiusi, talmente travolto dai sensi da non riuscire ad aprirli: non potei quindi vedere il suo viso eccitato e allo stesso tempo lusingato nel vedermi gemere, ansimare e mugolare di piacere per merito suo, ma sentii le sue labbra, premute contro le mie, distendersi in un sorriso languido, e poi mi diede un altro bacio, proprio nel momento in cui un formicolio familiare cominciò ad invadere tutto il mio corpo.
Cercai di farglielo sapere: ma tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu un respiro caldo spezzato a metà ancor prima di nascere, direttamente rivolto al suo. Lui, però, intuì la natura di quel verso, e non fece altro che stringere ancora di più la presa e incrementare al massimo la velocità.
Ero invaso, completamente: il suo odore, il suono della sua voce, il suo corpo premuto contro il mio, era tutto ciò che riuscivo a percepire.
E fu allora che, finalmente, il mio corpo si inarcò di scatto, e venni sul mio stomaco, attraverso un ultimo, liberatorio, spasmo.
Mi accasciai sfinito contro i cuscini, mentre Kurt mi ripulì dolcemente usando delle salviettine profumate, per poi fare altrettanto con la sua mano.
“Kurt.” Lo chiamai, con il respiro ancora affannato, perché era troppo distante, e io invece volevo sentirlo accanto a me, volevo tenerlo tra le mie braccia.
“Come sono stato?” Chiese timido, sdraiandosi accanto a me e lasciandosi avvolgere.
“Ho…Ho bisogno di un momento.”
Rimase interdetto: “Sono…sono andato così male?”
“Cosa!? No!” Esclamai, di scatto. E poi mi voltai verso di lui: era felice. Ma era anche confuso. Aveva fatto una cosa completamente nuova ma allo stesso tempo familiare, e per un attimo potei perdermi nel mare sconfinato dei suoi occhi, prima di rispondere, con un bacio soffuso: “Sei stato talmente incredibile da privarmi di tutte le forze.”
All’inizio non credette alle mie parole, ma vedendo la sincerità nel mio volto, il mio sorriso completamente aperto a lui, si accoccolò contro il mio petto e contento prese a respirare intensamente il mio profumo, mentre io, con il pollice, tracciai dei cerchi immaginari sul suo braccio.
E non ci fu più niente da dire. Semplicemente, ci saziammo dell’aria densa del nostro amore.
 
 
“Kurt!” Esclamò il signor Hummel, una volta che io e lui fummo scesi dalle scale mano nella mano.
“Allora? Avete fatto pace, vedo!”
Ci scambiammo un’occhiata silenziosa.
“Sì, papà.” Disse lui con un sorriso sghembo, rafforzando la presa delle nostre dita, e io ringraziai il cielo che nessuno avesse sospettato nulla.
“Assolutamente.”
 


************
(*) Il riferimento è ovviamente a The Sims. Quel gioco mi ha fuso tipo tre computer... 
Hem…dunque.
Mi sono resa conto che la causa di questo prolungamento di capitolo è causato soprattutto dalla scena lemon. Ma spero che non vi dispiaccia. Come al solito, vi prego di farmelo sapere con una bellissima recensione, di quelle che solo voi sapete fare <3
 
E adesso, ho tanti piccoli ringraziamenti da fare:
 
-Ebbene sì. Dopo lunghe riflessioni, ho creato anche io la mia pagina sul faccialibro. Onestamente non so ancora se mi servirà, ma più che altro l’ho fatto per voi: visto che praticamente aggiorno quando cavolo mi pare a me, in un lasso di tempo che varia dai tre ai cinque giorni (se tutto va bene XD) ho pensato che vi avrebbe fatto piacere seguire il work in progress del capitolo in diretta, giusto per avere un’idea di quando potrebbe uscire XD e poi, potrò diffondere i miei scleri all’aria aperta e potremmo fare tutti delle grandi e folli chiacchierate! Non è stupendo??? *__* (NO nd tutti) ….vabè…se qualcuno di voi è interessato mi aggiunga, mi farebbe piacere ^^ http://www.facebook.com/pages/Medea00-EFP/278859582126525?ref=ts
 
- A tutti coloro che mi hanno permesso di raggiungere e superare le 300 recensioni (300! Ma vi rendete conto!? 300!! Mi ricordo ancora quando mi stupivo per le mie umili 36 recensioni....e adesso, 300!! Oh mamma, non ci credo...in pratica l'euforia è sempre la stessa di quando leggevo le 36 recensioni, soltanto...CENTUPLICATA!!!). Con i vostri commenti mi illuminate la giornata, mi fate passare dei bellissimi minuti, mi permettete di scambiare delle bellissime chiacchierate facendo così tante nuove e belle amicizie. GRAZIE.
 
-A tutti coloro che mi hanno corretta dal ri-errore riguardo gli anni del liceo, informandomi che gli anni sono effettivamente quattro come credevo all’inizio, e non tre. Quindi a questo punto tutto ritorna come prima, Blaine si trasferisce nel suo secondo anno e siamo tutti felici e contenti. Ringrazio soprattutto foreverAlone che mi ha anche detto i nomi dei singoli anni. Mi piace imparare cose nuove!
 
-Come sempre, ringrazio tutti coloro che mi seguono, mi ricordano, mi preferiscono e recensiscono. Come fare per ringraziarvi a dovere?? Mmm…appena troverò un modo giuro che lo farò!!!
E adesso basta, vi ho rotto abbastanza. Buona notte (anzi, contando che sono le cinque, buongiorno XDD)

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Capitolo 32
*** Il ballo ***


Capitolo 31
   Il ballo 
 

 
Dopo aver parcheggiato adeguatamente la macchina, lo guardai.
“Ho una cosa per te.”
Kurt si voltò disattento, troppo concentrato com’era ad osservare la miriade di persone che si dirigeva verso l’entrata del McKingley, ma i suoi occhi azzurri si illuminarono radiosi non appena vide due piccoli fiorellini dolcemente posati sulle mie mani.
“Garofani rosa…” bisbigliò, incredulo e toccato.
“Spero vadano bene. Onestamente non sapevo cosa prendere, so che ci tenevi tanto, e io avevo optato per una primula, o un fiore d’arancio, ma poi mia madre mi ha guardato come se fossi impazzito, sbraitando qualcosa sul linguaggio dei fiori, e-“
“Blaine –mi interruppe lui, con una vena di commozione nella voce- sono…sono perfetti.”
Sorrisi. “Come te.”
Ci fu un momento di pausa. Entrambi morimmo dal desiderio di tenerci per mano, di scambiarci un languido e tenero bacio scavalcando quella minima distanza causata dal freno a mano, ma non potemmo. Non lì, non in quel momento.
“Allora? -Chiese infine il mio ragazzo, rivolgendomi un ampio e caldo sorriso -Andiamo?”
 
 
Non avevo mai visto una palestra così piena di persone.
C’era probabilmente tutto il terzo e il quarto anno, e anche qualche altro ragazzo che, come me, era venuto in veste di accompagnatore; nell’aria si sentiva il rimbombo di bassi e suoni computerizzati, di musica house e grida sovraeccitate, di risate allegre e spensierate. La musica era talmente forte da non permettermi nemmeno di pensare con coerenza ma, dopotutto, era molto meglio così.
 “Kurt! Blaine!!” Mercedes ci chiamò a gran voce, rincorrendoci freneticamente seguita da Rachel e Sam. “Finalmente siete arrivati! Oh Kurt, il tuo vestito è splendido!”
“Grazie!” Fece una breve piroetta su se stesso, e questo mi permise ancora una volta di ammirarlo in tutto il suo splendore. Ma non solo: sono sempre stato un tipo dal forte autocontrollo, dagli atteggiamenti compiti e modestamente eleganti, ma quel kilt…oh, quel kilt, suscitava in me un certo effetto. Un pericoloso certo effetto. Del tipo che se qualcuno non mi avesse fermato subito sarei stato capace di trascinare Kurt in qualche aula sperduta e riprendere da dove ci eravamo fermati il giorno prima.
 “Blaine!” Esclamò Sam, che per fortuna mi distrasse dalle mie fantasie indiscrete stringendomi in un forte abbraccio. “Come stai, amico? Sono contento di rivederti.”
Ricambiai il gesto con affetto, rispondendogli con garbo e cominciando a chiedergli del più e del meno.
Nel rispondermi, il suo sorriso si fece più tirato: “…Si tira avanti. Sai, con mio padre, e tutto il resto…”
“Già…” gli diedi una lieve pacca sulla spalla, mentre Kurt gli parlò con tono confortante: “andrà meglio, vedrai. Ma non parliamo di questo, il prom è gioia, non dolore! Stasera dobbiamo pensare soltanto a divertirci!”
I tre davanti a noi esultarono, e io non potei che assimilare un po’ di tutta quell’euforia, che mi rilassò gran parte dei muscoli estremamente tesi: mi divertii da matti a scherzare con Sam e ad osservare dal vivo i classici battibecchi fra Kurt e Rachel; prima Kurt si era lamentato del vestito di lei, perché era troppo pacchiano, troppo fuori moda, troppo “Rachel”, poi lei lo aveva canzonato per non aver portato una canzone, ed ecco che, non si sa come, finirono per complimentarsi a vicenda per gli ottimi gusti musicali e si scambiarono un enorme abbraccio.
E proprio mentre stavano parlando di qualche cosa a me ignara, la ragazza si voltò verso di me: “Anche tu non stai affatto male, Blaine, lo sai?”
Ringraziai quasi timidamente, ma allo stesso tempo scorsi con la coda dell’occhio l’ espressione minacciosa di Kurt, puntata fissa su di lei: sapevo bene che dopo quel mio bizzarro appuntamento con Rachel aveva nutrito nei suoi confronti ancora più rivalità di quanto fosse umanamente concepibile e, soprattutto, aveva fatto scaturire in lui un’insensata, spassionata gelosia. Ma vederlo in quello stato, per un semplice commento di cortesia, era a dir poco emozionante.
“Sì, lo sa.” Commentò secco, e poi fece di un passo più vicino a me, come per rivendicare la proprietà. E quello, quello fu a dir poco adorabile. Mercedes gli lanciò un’occhiata melliflua e ridacchiò.
“Beh, vi lasciamo soli. Noi andiamo a vedere l’esibizione di Sam.”
“Poi canterò io! –Cinguettò Rachel- E sarò assolutamente fantastica.”
E in quel momento il volto del biondo si accese, folgorato da un’illuminazione.
Soltanto un Sith vive di assoluti.
Lo squadrammo all’unisono. No, non poteva veramente aver usato una citazione di Guerre Stellari nel bel mezzo del ballo di fine anno. Ma a giudicare dall’espressione scandalizzata di Rachel e Kurt, dedussi di sì.
“Coraggio, Obi-Wan Kenobi! Va’ e stendili.”
Sam sorrise all’esortazione di Mercedes, si guardarono negli occhi per una frazione di secondo e poi, molto tranquillamente, si diressero tutti e tre verso il palco. Io rimasi divertito da tutta quella scenetta comica, ma quando riposai lo sguardo su di Kurt questo aveva appena assunto la sua faccia da “ho appena scoperto uno scoop sensazionale”. E ovviamente, ovviamente, a me era appena sfuggito.
“Oh mio Dio!” Strillò sottovoce, saltellando per l’emozione.
“Chi!? Cosa!? Che è successo!?”
“Ma come! Non ti sei accorto di niente?!?”
“Ma di che parli?”
Mi fissò scettico, sbuffando.
“Non ti preoccupare, prima o poi lo capirai anche da solo. Credo.”
“Ma capire cosa? Kurt!” Ma lui, ridendo, si era già allontanato in modo teatrale.
 
 
Dovevo ammettere che, grazie al calore delle New Directions, e alle euforiche attenzioni di Kurt, mi sentii nettamente risollevato.
Kurt continuò a trascinarmi dai suoi amici, mi offrì un bicchiere di punch, commentò sarcasticamente tutti i vestiti presenti nella sala, votò per Finn e Quinn come re e reginetta del ballo come se fosse Hillary Clinton in preda alle elezioni presidenziali, non stette fermo nemmeno per un secondo. E sorrideva. Kurt sorrideva sempre, in continuazione: era felice, sinceramente felice per quella serata, perché adorava quel ballo, adorava guardare le ragazze che si commuovevano per una qualche frase romantica pronunciata dal partner, adorava soffermarsi a contemplare ogni singola emozione che era in grado di provare, perché si sentiva libero di farlo: quello, per lui, era il simbolo e il coronamento di una splendida settimana. Nessuno lo aveva importunato, nessuno lo aveva sbattuto duramente contro gli armadietti. E io lo vedevo, lo capivo ogni volta che esultava emozionato, o rideva spontaneo: Kurt era ottimista. Non credeva in una conversione di tutti gli studenti del McKingley, ma era felice abbastanza da sperare in una confortevole indifferenza.
E una parte di me cominciò a credere a quelle parole, perché il tempo passava e non stava succedendo assolutamente niente, noi eravamo al ballo, ridevamo e chiacchieravamo, e agli occhi del mondo niente di tutto ciò sembrava strano. Eravamo quasi invisibili; no, non invisibili: normali. Era come se la presenza di due ragazzi gay in piedi l’uno accanto all’altro non suscitasse la minima reazione.
E se fosse realmente andato tutto bene?
Avremmo potuto aggrapparci ad una piccola stella di libertà?
 
 
 “Questa canzone è bellissima.”
Guardai Kurt con la coda dell’occhio: sotto sotto ammirava il talento di Rachel più di chiunque altro.
Le luci erano soffuse, l’aria carica di emozioni. Coppiette di ragazzi si abbracciavano attorno a noi come se fosse la cosa più giusta del mondo. Perché loro potevano mostrare il loro amore senza riserve, e per un breve momento una parte di me desiderò con tutto il cuore di poter fare altrettanto.
Ma non ballammo.
Non ce la sentimmo di ballare un lento in mezzo a tutti, non ce lo domandammo nemmeno, stava andando tutto troppo bene per rischiare un gesto tanto avventato. Continuavo a guardarmi intorno, come alla ricerca di una conferma a tutte le mie paure, ma non vi trovai niente, nemmeno il più misero straccio di prova di un’ipotetica riluttanza; non vidi minacciosi bulli pronti a darci la caccia. non vidi risate sguaiate e indici puntati contro.
Una fitta di calore attraversò tutto il mio corpo. E poi la voce di Kurt mi riportò alla realtà:
“Non è fantastico che il ballo di quest’anno sia così aperto?”
Oh, si riferiva alle coppiette intorno a noi.
“Hanno tutti un partner.” Commentai vago, continuando a lanciare occhiate per tutta la sala.
“Già. Anche se è una bugia.”
Incuriosito da quella frase mi scostai e seguii la scia del suo sguardo: Santana e Karofsky si tenevano abbracciati, rivolgendosi sguardi timidi e gesti insicuri.
Tutto ciò che vedevo era un’enorme ed inutile falsità. A che cosa avrebbe portato, quella relazione?  Di certo non avrebbe aiutato Karofsky a fare coming out, e nemmeno Santana ad essere sincera con se stessa. Mi soffermai soprattutto ad osservare il ragazzo: dopo essere venuto a conoscenza delle profonde scuse che Karofsky aveva fatto a Kurt giusto qualche giorno prima, anche io dovetti riconoscere che fosse effettivamente cambiato.
Non lo odiavo: non avrei mai potuto odiare un ragazzo solo, e spaventato, che non riusciva ad ammettere la realtà a se stesso e agli altri. Non lo odiavo, ma non potevo compatirlo come aveva fatto Kurt: aveva sofferto troppo a causa sua. Lui forse lo aveva superato, ma io no. L’immagine di lui in lacrime che urlava la sua disperazione era ancora troppo forte nella mia mente, troppo viva per poter essere ignorata.
No, non lo odiavo. Ma non sarei mai stato in grado di fidarmi di lui.
 
 
Se prima dei piccoli segnali mi avevano dato speranza, suscitando in me un certo ottimismo, quando salii sul palco per cantare la canzone dei Black Kids non pensai più a niente. Mi succedeva sempre, durante un’esibizione importante: il cervello si scollegava automaticamente, e tutto ciò che restava erano passioni e grinta, una grinta capace di far crollare il tetto di una casa. E quando la voce cominciava a cantare, le gambe tremare, le braccia volteggiare in aria, quello, era il momento in cui tutto era chiaro e limpido e niente mi poteva privare di quelle sensazioni.
Brittany e Tina continuavano ad incoraggiarmi e a cantare con una forza incredibile. Adoravo l’entusiasmo delle New Directions, era così diverso da quello degli Warblers, molto più mite e, in un certo senso, calcolato; l’atteggiamento di quelle ragazze, in un certo senso, era molto simile al mio: saltavano, gridavano e assumevano delle espressioni totalmente dipendenti dall’esibizione, perché si lasciavano andare, completamente.
E in mezzo alla folla, a metà tra una Santana molto poco etero che sculacciava Karofsky, e Rachel che si esibiva in danze non molto professionali assieme ad un altro ragazzo, in mezzo a tutto quel caos, quelle grida, e quella folla esultante, c’era Kurt.
Quella notte non cantai per il pubblico, e nemmeno per me stesso: lo feci per lui. Per l’uomo più importante della mia vita, che non aveva mai smesso di sorridermi, di farmi sentire l’unica cosa degna di essere osservata.
 
“Come sono andato?”
Rimase qualche secondo a fissarmi, immobile. E poi, come combattuto tra l’abbracciarmi togliendomi il respiro e prendere direttamente il viso tra le mani e darmi un bacio che mi lasciasse senza parole, saltellò trattenendo a stento un urlo emozionato e mi disse: “Sei stato FANTASTICO! Blaine, tu ami davvero quel microfono. Sei nato per fare questo.
Sorrisi, lusingato. “Il tuo giudizio è di parte…”
“Dico sul serio!”
Lo ringraziai. E poi dolcemente lo afferrai per le spalle, avvicinandolo un po’ di più a me. Era il massimo che potevamo concederci, ma era anche tutto quello di cui avevamo bisogno.
Dopo qualche secondo mi guardò di sottecchi sussurrando, con un entusiasmo sommesso, “Hai visto?”
Non capii. “Visto cosa?”
“Niente. E’ proprio questo il punto, Blaine: nessuno ci sta fissando.”
Oh.
Era vero.
E tutta la gioia di Kurt si riversò attraverso un unico, grande sorriso, semplicemente disarmante, che mi fece ringraziare il cielo per aver fatto ritardo, quel giorno alla Dalton, ed aver avuto l'onore di incontrare per la prima volta quegli splendidi occhi azzurri.
 
 
 
 “Scusate, scusate tutti.” La voce metallizzata dal microfono del preside Figghins interruppe automaticamente qualsiasi tipo di musica.
“Prova. Prova prova. Sa, sa. Ffffa. Funziona? Bene.”
Ok. Quel preside era strano.
“Siamo arrivati al fine di questa serata. I candidati a re e reginetta del ballo si alzino e vengano sul palco, per favore.”
“Secondo te chi vincerà?” Domandò Kurt, mettendosi di fianco a me con fare incuriosito.
Risposi sinceramente, e gli dissi la prima cosa che mi passò per la mente: “Spero non Karofsky.”
Prima che potesse guardarmi storto e darmi qualche commento cinico, il preside parlò di nuovo.
“… David Karofsky!”
“Ecco, appunto.”
“E ora…-seguitò il preside- la reginetta del 2011.”
Stavolta il silenzio fu meno denso. Avevano già eletto Karofsky, ed era automatico che venisse eletta anche Santana.
Nessuno si sarebbe aspettato di udire un altro nome al di fuori del suo.
Nessuno si sarebbe aspettato un colpo di scena, un capovolgimento della situazione.
Io, di certo, non me lo aspettavo. Tantomeno Kurt.
Ma la vita, a volte, ti mette di fronte a delle situazioni che non puoi comprendere.
Ti prende in giro, ti solleva in alto e poi ti fa precipitare verso il baratro.
E’ in grado di realizzarti, come di distruggerti.
Ed è incredibile come due semplici parole possano spezzare completamente il cuore di una persona.
“Kurt Hummel.”
 Dei fischi. Delle urla. E poi il volto impallidito di Kurt illuminato dai riflettori.
Non capii.
Non poteva essere.
Ci doveva essere un errore, ci doveva essere una spiegazione a tutto quello.
Era andato tutto bene.
Eravamo stati bene, fino ad allora.
E poi, il baratro.
 
 
“Kurt!”
La porta si richiuse dietro di noi, con un tonfo sordo.
“Non mi sono mai sentito così umiliato in vita mia!”
“Kurt, ti prego, fermati!”
Finalmente si fermò, e si voltò.
E il mio cuore si frantumò in tanti, minuscoli pezzettini.
Kurt era dilaniato. Era sconfitto, era lacerato. Le sue lacrime erano piene di rabbia, frustrazione e disperazione che non avrei mai voluto vedere dentro di lui.
“Ti rendi conto di quanto siamo stati stupidi!? –Sbottò, la voce spezzata, il respiro singhiozzante- Abbiamo pensato che, perché nessuno ci stesse prendendo in giro, o urlando contro, allora non importasse più, come se fosse avvenuto un passo avanti. Ma è tutto uguale…”
Si portò una mano sulla bocca. Non aveva le forze per continuare a parlare, a guardarmi, e temetti anche, ad affrontare la realtà.
Cercai di dire qualcosa. Non importava che fosse la verità o meno, cercai di confortarlo. Perché non sopportavo di vederlo in quello stato, non dopo tutta la serata passata a ridere e a sperare, non dopo aver avuto un assaggio di libertà.
Kurt, ti prego, non piangere.
“E’ soltanto uno stupido scherzo…”
“No, non lo è. Tutto quell’odio…avevano soltanto paura di dirlo ad alta voce. Così hanno usato il voto segreto.”
Non seppi più cosa dire.
E poi, mi sentii morire.
“Sono diventato lo zimbello vivente della scuola.”
Kurt si diresse verso gli armadietti, il cuore in fiamme, le lacrime che non accennavano a smettere.
Era ingiusto. Era tutto ingiusto. Il mondo era ingiusto.
Non se lo meritava, non lui: era la persona più buona che avessi mai conosciuto, ma allora perché? Perché quei maledetti continuavano a dargli contro, perché non potevano soltanto lasciarlo in pace!?
In quei momenti feci soltanto pensieri egoistici. Ma con il senno di poi capii; non era Kurt, che disprezzavano: era ciò che rappresentava a renderlo odioso, ostile, perfino, temibile.
Perché Kurt era gay, era fiero di esserlo.
E questo, semplicemente, non era contemplato.
 

Non seppi dire quanto tempo passò. Minuti, forse ore.
Kurt era lì, camminava avanti e indietro, senza mai darsi pace; non avevamo detto niente, dopo quel breve discorso. Dopotutto, cosa potevamo dire? Cosa potevo dire, io? Mi dispiace? Te l’avevo detto?
No. Non potevo fare niente. Feci una smorfia: mi sentivo completamente, irrimediabilmente inutile.
Pensavo che il mio peggiore incubo fosse rivivere la serata di due anni fa; invece quel giorno scoprii, con mio grande dolore, che la paura più grande di tutte era vedere Kurt in quello stato. Mi spezzava il cuore.
Ma lui non era afflitto quanto me: era più che altro arrabbiato.
Dopo l’ennesimo giro che faceva per il corridoio rialzai la testa, e lo guardai.
“Cosa vuoi fare?”
Nessuna risposta.
“Vuoi andare a casa? –Proposi allora, stringendomi nelle spalle- Non dobbiamo per forza stare qui.”
Quella frase fece scattare una molla dentro di lui.
“Questo prom non doveva riguardare la redenzione? Il liberarti di quel peso che ti aveva fatto fuggire dalla tua scuola? Così facendo anche io avrò il tuo stesso peso.”
Non aveva tutti i torti. Ma ora come ora non mi importava più di me, io avrei potuto convivere con quel rimorso, lo avevo fatto fino ad allora.
“Allora, cosa vuoi fare?”
Ma non Kurt. Kurt non era un ragazzo che si rifugiava nelle sue paure, era una persona molto più forte di me, e centinaia di volte più coraggiosa; fu per questo che ci rifletté un’ultima volta, e alla fine prese la sua solenne decisione.
“Tornerò lì dentro e mi farò incoronare.”
Una debole fiammella cominciò a scaldare il mio sguardo, come il mio cuore.
“Perché voglio dimostrargli… -seguitò, il tono più fermo, lo sguardo deciso - che anche se mi ridono dietro, o urlano alle mie spalle, loro non possono toccarmi. E non possono toccare noi -si chinò verso di me, prendendomi le mani- quello che abbiamo.”
Oh, Kurt.
Ero orgoglioso e commosso allo stesso tempo.
E capii che il mio compito era di stare accanto a Kurt. E l’avrei rispettato, per il resto della mia vita.
 
Dopo breve tempo gli porsi un fazzoletto, per asciugarsi le lacrime.
Mi rialzai in piedi rassettandomi brevemente i pantaloni, e gli porsi la mia mano.
“Sei pronto per questo?”
L’afferrò con dolcezza, e mi rivolse un sorriso di ringraziamento.
“Ci sono io con te, Kurt.” Gli dissi, poco prima di lasciarlo all’entrata secondaria e alla sua incoronazione.
“Sarò il ragazzo in prima fila, ricordi?”(*)
La sua espressione si addolcì di colpo, e la stretta delle nostre mani si fece per un momento più salda.
Era un “grazie”.
 
Fu una strana impressione vedere Kurt così inespressivo, così teso, venire incoronato davanti a tutta la scuola.
Come il resto della folla, ero in trepidante attesa di sentire che cos’avesse da dire, di fronte a così tanta ignoranza.
E poi, semplicemente, disse la cosa più giusta, ironica, e superiore di tutte.
“Roditi il fegato, Kate Middleton.”
Perché quello era Kurt Hummel, il ragazzo per il quale provavo sentimenti talmente forti e misteriosi, da essere in grado di fare qualsiasi cosa.
Perfino affrontare i miei demoni, e superare i miei incubi.
Vidi Kurt scendere le scalette del palco assieme a Karofsky; si scambiarono un’occhiata, sussurrandosi chissà quale parola.
Qualunque cosa fosse, fu in grado di terrorizzare quell’uomo.
E in quel momento ci andò molto vicino: in quel momento, di fronte a centinaia di occhi puntati su di lui, e all’abbandono di Karofsky, Kurt andò molto vicino dal crollare.
Avevo cominciato a correre ancora prima che David se ne fosse andato, lasciandolo solo in mezzo alla pista.
No, non era solo.
“Mi scusi?”
Si voltò. E il suo viso, dapprima contorto nell’angoscia, si illuminò di colpo.
“Posso avere questo ballo?”
Coraggio Kurt.
Affrontiamo questa cosa insieme.
“Sì -rispose lui, in un misto di sollievo e commozione – ne sarei onorato.”
 
You can dance, you can jive, having the time of your life
See that girl, watch that scene, dig in the Dancing Queen



All’inizio mi sentii molto insicuro.
Con uno scatto involontario, strinsi Kurt facendolo più vicino a me, e lui in risposta si aggrappò alla mia spalla, con forza, come per sostenersi a qualcosa.
Ma poi mi resi conto che nessuno ci avrebbe urlato contro, nessuno ci avrebbe picchiato.
Non che non volessero farlo, più che altro non ne avevano la forza, il coraggio, l'audacia, qualsiasi cosa fosse, di fronte a noi due, e non me e Kurt, ma quello che rappresentavamo, quello che formavamo, con il nostro ballo che sembrava più un abbraccio, con le nostre mani che stringevano entrambe quello scettro di plastica senza provare la benché minima paura, di fronte a tutto quello, loro non potevano fare nulla. Eravamo invincibili. Eravamo inarrivabili.
Non potevano toccarci, proprio come aveva detto Kurt.
E poi c’erano Rachel, Sam, Mercedes e tutti gli altri delle New Directions, che si fiondarono in pista e cominciarono a ballare attorno a noi, finendo per coinvolgere tutti i presenti in sala.
E io cantai assieme a Kurt, lo presi per mano, gli feci fare una tenera giravolta, e scansai qualche palloncino piombato dal cielo addosso a noi.
E tutta l’angoscia, tutta la frustrazione provata fino ad allora, ci scivolarono via come gocce d’acqua.
 
 
 
 
Abbiamo un ricordo, di quella serata: una foto ricordo, scattata giusto prima di andare via.
La teniamo ben conservata dentro al cassetto del nostro comodino, per ricordarci di quei momenti, per ricordarci di come ad appena sedici anni avevamo affrontato il mondo.
E lui ogni volta che la vede si lamenta del fatto che tenessi gli occhi troppo chiusi, scomparsi sotto all’accecante flash; ma non potei farci niente, ero troppo felice. Ero felice di essere andato al ballo di fine anno, ero felice di essere riuscito a togliermi quel grandissimo rimorso dalla coscienza, e tutto per merito suo.
Kurt non lo sapeva ancora, e in quel preciso momento nemmeno io: quel giorno il suo coraggio mi aveva fatto innamorare di lui.





***

(*) Se vi ricordate, Kurt gli aveva detto la stessa cosa nel capitolo 24.

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Capitolo 33
*** Un nuovo addio ***


Capitolo 32
Un nuovo addio

 
Pensavo che, visto come si era concluso, il ballo fosse ormai un capitolo chiuso e piuttosto bene, perfino.
Eppure, a distanza di giorni, Kurt sembrava turbato: nelle rare volte in cui i nostri impegni ci concedevano una serata libera, e ci incontravamo per andare al cinema, o a cena fuori, lui sembrava spesso silenzioso e in generale disattento. Pensai che fosse ancora sotto shock per tutta quella faccenda dell’incoronazione, ma cominciai a credere che non fosse quello il vero problema, dal momento che veniva trattato con tranquillità e talvolta perfino con ironia, quando Kurt si vantava della bellezza della sua corona rispetto a quello di Kate Middleton, e sosteneva la superiorità della sorella Pippa sia in campo estetico che intellettuale; c’erano delle volte, però, in cui si perdeva in chissà quali pensieri, e i suoi occhi si facevano incredibilmente profondi, tanto che rischiavo di annegare dentro, per quanto fossero belli. Non sapevo per quale motivo stesse in quel modo e lui non sembrava avere intenzione di dirmelo, ma nemmeno io lo forzavo a farlo: sapevo bene che, in quei casi, dovevo lasciargli i suoi spazi, e aspettare pazientemente la sua prima mossa; e così fu. Con mia grande sorpresa successe di notte, attraverso una telefonata che mi fece sobbalzare per lo spavento.
“Kurt!?”  Esclamai, facendo scattare in piedi Flint che per poco non cadde giù dal letto. Erano le tre di notte; è scientificamente testato che le telefonate alle tre di notte non portino mai buone notizie. Strinsi il telefono tra le mie dita rischiando seriamente di romperlo, e il mio cuore si congelò durante quegli attimi che precedevano una qualsiasi sua risposta:
“Blaine…Oddio, ma che ore sono? Ti ho svegliato? Ma che dico, ti avrò svegliato sicuramente…non-non so nemmeno che mi è preso, non avrei dovuto chiamarti, mi dispiace…”
Non si era nemmeno accorto dell’ora?
“Che succede?” Domandò allarmato Flint, e io lo rassicurai con un gesto della mano, per poi avvicinarmi ancora di più alla cornetta.
“Kurt, va tutto bene? E’ successo qualcosa?”
“Sto bene.” emisi automaticamente un enorme sospiro e mi riaccasciai sul letto, palesemente sollevato; o almeno, fino a quando non continuò: “E’ solo che…”
“Cosa?” Incalzai, e un attimo dopo mi pentii di averlo fatto. Kurt faceva fatica a parlare, e le mie frecciate impulsive di certo non lo aiutavano nell’intento; eppure, alla fine, mi rivelò il problema.
“Ho avuto un incubo.”
E tutto ciò che riuscii a dire fu: “…Oh.”
Mi accorsi che la sua voce non era così ferma come voleva far credere; mi alzai a sedere, passandomi una mano trai capelli scompigliati, e dopo aver sussurrato a Kurt “aspetta un attimo” guardai Flint, e gli lanciai un’eloquente occhiata di scuse. Non ci volle molto per recepire il messaggio: avevo bisogno di parlare con Kurt, da solo.
“Andiamo Blaine! –sbottò lui- domani ho tre ore di trigonometria, ho bisogno di dormire!”
Sfoggiai l’espressione più tenera e supplichevole che l’orario poteva concedermi, e fortunatamente funzionò.
“Ok, va bene, andrò da Colin e Ed. Ma tu domani sarai il mio servetto personale, ti avverto.”
Annuii e lo ringraziai lusingato, così tanto da scandalizzarlo e farlo volare via con coperte e cuscini.
“Scusami, Kurt, adesso ci sono. Dimmi tutto.”
Evidentemente, quella pausa gli servì a tornare più lucido, a giudicare dal tono serio con cui mi disse: “Non è un vero incubo, cioè, non è niente di importante. In effetti, ti ho chiamato per una sciocchezza, dovremmo tornare a dormire.”
Oh, quanto avrei pagato per stare con lui in quel momento, stringerlo a me, accarezzarlo dolcemente, riempirlo di baci fino a quando non si fosse addormentato... ma tutto ciò che potevo fare, invece, era trasmettergli il mio affetto tramite le parole.
“Kurt –ribattei, con voce estremamente dolce e morbida- mi hai chiamato alle tre di notte, ed eri spaventato da morire, per me questo è importante. E ti assicuro che non mi hai dato nessun fastidio, anzi: sono felice che tu mi abbia telefonato. Francamente, mi sento quasi lusingato.”
Lo sentii emettere un minuscolo gemito, come se stesse sorridendo.
“Ne vuoi parlare?”
Mi chiesi che cos’avesse sognato per traumatizzarlo tanto. Perché, insomma, Kurt ne aveva davvero passate di tutte i colori, e francamente per indovinare il soggetto di quell’incubo avevo l’imbarazzo della scelta: aveva forse sognato di perdere le nazionali, di fallire miseramente nel suo sogno? No, scartai immediatamente quell’idea, perché Kurt non sarebbe stato così avvilito per un sogno simile, al contrario, mi avrebbe chiamato infuriato e ne avrebbe approfittato per reiniziare un’invettiva contro quel Jessie St James che aveva osato criticare aspramente la sua performance di Some People; cosa che, oltretutto, fece imbestialire anche me: quale essere fuori di testa aveva osato criticare un’esibizione di Gipsy fatta da Kurt!? Tutta invidia, dicevo io.
Ma quindi, se non era per il Glee Club, cos’altro poteva essere?
Ci fu un momento di esitazione, nel quale io trattenni il respiro, e lui fece tutto l’opposto.
“Non importa – sospirò, con tono molto più calmo- Adesso sto bene.”
Restai interdetto: “Sei sicuro? Guarda che non è un problema, cioè, se vuoi sfogarti io…”
“L’ho già fatto.” La sua risposta mi lasciò ancora più perplesso, ma ormai mi ero rassegnato all’imprevedibilità del mio ragazzo; francamente, era uno, anzi, l’ennesimo lato di lui che mi faceva impazzire.
“Grazie.” Aggiunse, e la sua voce soave mi provocò un tuffo al cuore.
“Figurati, Kurt. Dovere.” Sfoggiai con un languido sorriso che sperai potesse immaginare attraverso il telefono.
Lui ridacchiò, e con quell’ultimo gesto capii che era veramente tutto apposto.
Ci scambiammo di nuovo la buonanotte e ritornammo a dormire, e io, nella mia piccola stanza della Dalton, continuai a ripensare a quell’insolita chiacchierata e a riepilogare frase per frase, un po’ confuso, un po’ disarmato da tutti quei sentimenti che continuavano a invadere il mio corpo, senza che io riuscissi a dar loro un nome.
E mi addormentai così, con il volto angelico di Kurt impresso nella mia mente, e un piacevole calore incastonato nel mio cuore.
 
 
“Come sta Kurt?”
Ed, Colin, Nick e Flint mi fecero quella domanda in perfetto sincrono, e per un attimo mi sentii incredibilmente fiero degli allenamenti degli Warblers.
“Tutto bene. Ha passato una notte agitata, tutto qui.”
“Sarà in ansia per le Nazionali...” commentò il moro, e potei percepire una vena di invidia misto a rimpianto.
“Giusto! –Esclamò Ed- Manca poco ormai, vero?”
Annuii. “Partirà questo weekend.” E non volli nemmeno pensare a quei interminabili tre giorni nei quali saremmo stati a centinaia e centinaia di chilometri.
Nick batté una mano sul tavolo: “Facciamo il tifo per loro! Soprattutto per Kurt: merita davvero di coronare il suo sogno.”
“Già –fece Colin- sognava New York da una vita, vero? Me lo avrà detto un centinaio di volte.”
“Per forza, è il suo trampolino per il college…”
“Se vince quello, la Juliard è assicurata!”
Riabbassai involontariamente lo sguardo, non sapendo se sentirmi emozionato, o soltanto incerto: Kurt sarebbe andato a New York. E non solo per tre giorni, che già di per sé mi sembravano un inferno da sopportare: Kurt si sarebbe trasferito definitivamente dopo il diploma. Era una cosa talmente decisa e concreta che potevo percepirla come un’ombra minacciosa sulle mie spalle, anche se si trovava a più di un anno da me.
“Ragazzi… -esordii, con tono leggermente sospeso – avete già pensato al vostro futuro?”
La raffica di frasi che arrivarono subito dopo provocarono nella mia faccia un crescendo di espressioni scandalizzate.
“Certo.”
“Naturale.”
“C-Che cosa!?”
“Ad essere sinceri, io ho un leggero dubbio tra Yale e Harvard, ma a parte questo, è ovvio, Blaine.”
“Yale e Harvard!? Amico, non c’è nemmeno bisogno di pensarci: devi andare assolutamente ad Harvard!”
“Sì beh, ho provato un pre-test di ammissione in entrambe le università, e mi hanno detto che ho buone possibilità in entrambe, quindi…”
“E’ logico che ci abbiamo pensato! Altrimenti mi spieghi perché diavolo saremo in questa scuola di damerini a farci il mazzo dalla mattina alla sera?”
Non risposi, perché, davvero, non avrei saputo che cosa dire; e per la seconda volta parlarono con un coro sincronizzato, facendomi sentire ancora più insignificante, e perfino più piccolo di quanto già fossi.
“E tu?”
Deglutii. “Io…non lo so.”
“Come sarebbe a dire, non lo sai?”
“Non ci ho mai pensato sul serio, ecco. Fino ad ora ho Kurt, ho gli Warblers, e non ho mai avuto bisogno di pensare a cos’altro potessi desiderare.”
Mi fissarono allibiti. “Questo è molto romantico da parte tua.”
“E incredibilmente stupido.”
“Il tuo ragazzo ha già deciso, Blaine, e senza ombra di dubbio! Se non vuoi finire per commettere una scelta troppo affrettata, ti conviene seguire il suo esempio.”
Mi ammutolii: avevo appena ricevuto una paternale dai re dell’ozio e dello “evitare il più possibile qualsiasi sorta di problema”. Quello sì che era un colpo basso, e cosa ancora più terribile, avevano perfettamente ragione.
 
 
“Blaine?”
Le mie orecchie non si erano ancora del tutto connesse al cervello: per questo mormorai “Kurt?” quasi incredulo, mentre con la mano cercavo inutilmente di aprire i miei occhi stanchi.
“Blaine…ma hai risposto al telefono nel sonno?”
“Telefono?”
Aggrottai le sopracciglia.
“…Sonno?”
Ma dove mi trovavo?
Fissai il mio letto, il pigiama, poi il telefono illuminato dalla chiamata sul display, e poi, automaticamente, la sveglia appoggiata sul comodino; con il suo ticchettio freddo segnava le cinque di mattina.
“Hai superato il tuo record personale, Kurt…”
Lui balbettò qualcosa, chiaramente mortificato, e io rimediai subito facendomi più dolce: “Hei, sto scherzando, dai. Un altro incubo?”
Notando la sua assenza di risposta, mi misi composto e questa volta uscii dalla stanza, finendo per sedermi contro la porta esterna della mia camera.
“Lo stesso di ieri sera?” Domandai infine, e potei sentire la sua gola emettere un respiro mozzato a metà.
“E’ il funerale.” Disse infine; il mio sguardo si accese di colpo.
“Quale funerale?”
“Il funerale della sorella della coach Sylvester… lo stiamo organizzando con il Glee Club.”
E fu in quel momento che, in modo molto cauto, ma estremamente forte, cominciai a capire qualcosa.
“Stiamo facendo una canzone della fabbrica di cioccolato, abbiamo arredato la camera ardente di palloncini e foto…”
Sorrisi, ma in modo molto tirato: dentro di me, una sensazione pesante, amara, cominciò ad attanagliarmi, trascinandomi verso il fondo.
E poi, sentendo la sua ultima frase, tutta l’ansia accumulata scivolò via come un battito di ciglia.
“E finisco per ripensare a lei.
Ci penso ogni giorno, Blaine, ogni secondo… a volte vado in camera sua, e comincio ad annusare tutti i vecchi vestiti nel suo armadio. C’è ancora il suo odore…ti rendi conto, Blaine? Dopo tutto questo tempo, è come se… come se fosse ancora lì con me. E poi…poi io mi sento incredibilmente triste, e solo, e…”
“Kurt, Kurt, ti prego, calmati.” Sussurrai, perché il suo discorso si era fatto ormai un lamento incostante e i respiri dei singhiozzi sommessi. E il mio cuore cominciò a battere freneticamente, mentre il mio corpo cominciava a sentirsi incredibilmente pesante.
“Non so quello che stai provando, non posso nemmeno immaginarlo…ma mi dispiace, Kurt, mi dispiace così tanto.”
“Blaine –mugolò- Blaine, ti prego, stai un po’ al telefono con me.”
Quella richiesta umile, disperata, carica di amore, mi fece trasalire e allo stesso tempo commuovere.
“Ma certo Kurt, starò con te fino a quando non ti addormenterai, starò con te per sempre.”
Sentii il suo respiro farsi leggermente più regolare: “Lo so.”
Sembrò dire qualcos’altro. Eppure, l’ennesimo rantolo gli impedì di continuare. Strinsi ancora più forte il telefono, e allo stesso modo tentai con tutto me stesso di calmarmi e riacquistare un briciolo di forza, anche se mi straziava sentire Kurt in quello stato, anche se mi distruggeva non poterlo tenere tra le mie braccia.
Dovevo farlo calmare. Kurt aveva bisogno di me, mi aveva chiamato, mi aveva supplicato di dargli una mano, e io feci tutto il possibile per trasmettergli almeno un briciolo del mio conforto.
Cominciai a cantare, dapprima in modo soffuso, e quasi impercettibile; ma poi, dopo qualche nota accennata, e qualche suo singhiozzo metallico, iniziai a sussurrare dolcemente.
Non era una melodia premeditata: era una cosa strana, istantanea, nata da tutta quell’angoscia e strettamente legata al nostro amore. Assomigliava molto ad una ninnananna, anche se priva di parole.
Era dolce, proprio come lui. Era intensa, proprio come me.
Ed era perfetta. Come il rapporto che ci univa.
 
 
 
Faceva freddo, quel pomeriggio. Per essere a Maggio era sin troppo ventilato e alcuni i fiori non erano ancora del tutto sbocciati: era come se la Primavera fosse arrivata un po’ in ritardo, in quel piccolo cimitero di Lima.
Kurt indossava una camicia bianca e un gilet nero, abbinato ai pantaloni: non sembrava in lutto. Più che altro, sembrava un figlio che si era messo elegante per trovare sua madre.
Per quel breve tragitto che ci portò alla lapide, le nostre mani non smisero di stringersi nemmeno per un secondo.
E, alla fine, ci fermammo davanti ad un cumulo di pietra chiara.
“Eccola.”
Non avevo mai visto la mamma di Kurt: in casa sua non c’erano foto, e se c’erano, non avevo mai avuto modo di vederle.
Non mi sarei mai aspettato di poter ammirare una donna così bella.
Aveva la pelle nivea, i capelli chiari, e dei lineamenti dolci e femminili. Il suo sorriso era raggiante, così come i suoi occhi chiari e splendenti.
E ogni cosa, qualsiasi cosa di quella foto, mi ricordava l’uomo che amavo.
“Kurt, è…è bellissima.”
Lui annuì. Era ovvio, era completamente d’accordo.
“Avresti dovuto vederla dal vivo: era mozzafiato.”
“Non ne dubito” sussurrai, continuando ad ammirarla incantato.
Non mi accorsi dello sguardo commosso di Kurt, che adesso era puntato su di me, e sulla mia espressione.
Appoggiò una testa sulla mia spalla. Io mi feci più vicino, cingendogli la vita con un braccio, e lasciando che versasse qualche lacrima in silenzio.
E poi, dopo un lungo silenzio, in modo gentile, e completamente sincero, disse una cosa che mi toccò profondamente.
“Le saresti piaciuto molto.”
Non mi ero nemmeno accorto di aver cominciato a piangere.
Perché quella era la madre di Kurt, e lui l’amava più di se stesso, ed era lì, proprio di fronte a noi, quasi come se potessimo sentirla, eppure, così irrimediabilmente lontana.
Non avevo mai creduto in Dio, nel Paradiso o cose simili. Ma in quel momento pregai con tutto me stesso che esistessero davvero, perché Kurt doveva reincontrare sua madre, non era giusto che fosse già tutto finito, così, senza nemmeno avergli dato l’opportunità di crescere insieme, piangere, ridere; non sarebbe stata presente al diploma di fine anno. Non lo avrebbe salutato mentre era in partenza per il college, e non avrebbe avuto un posto riservato per il suo primo spettacolo a Broadway. Non avrebbe litigato con lui per il vestito da indossare a serate di gala, non avrebbe lanciato qualche commento indiscreto e fuori moda, rischiando seriamente di farlo infuriare; ma Kurt non si sarebbe mai infuriato, non con sua madre, la donna più importante della sua vita. E lei non sarebbe stata presente nella sua. Non avrebbe mai avuto modo di conoscere l’uomo che ama.  
Ma, dal canto mio, io quel giorno feci la sua conoscenza, tramite Kurt. Perché ci sedemmo l’uno abbracciato all’altro sull’erba fresca dinanzi a lei, e lui cominciò a raccontarmi tutti i vividi ricordi rimasti nella sua memoria, e mi disse di come la costrinse a fare il giro dell’isolato per rincorrere una farfalla, o di quando lei si presentò da lui vestita in modo incantevole, e prima di metterlo a letto gli accarezzò la guancia, gli narrò una storia inventata spacciandosi per una principessa. E al piccolo Kurt non fu difficile crederle, perché lei era bellissima, più bella di qualsiasi altra donna presente nei suoi libri, o nei cartoni che tanto amava.
E i suoi occhi si facevano sempre più limpidi mentre si soffermava per una risata, un sospiro, o una lacrima.
Senza neanche pensarci, tutte le volte, mi avvicinavo e gli baciavo la guancia, seguendo la scia del suo pianto, e poi l’angolo della bocca, seguendo la scia del suo cuore.
Mi resi conto, attraverso quei tocchi leggeri e caldi, di quanto realmente fosse collegato al mio.
 
 
**
 
 
Ok.
Sono completamente divisa a metà.
Una parte di me piange perché è il penultimo capitolo (terzultimo, se contiamo l'epilogo) e perché l’ho fatto estremamente melodrammatico.
Un'altra parte sta SCLERANDO.
Perchè dopo 118 GIORNI, è reiniziato GLEE. E’ RITORNATO IL KLAINE!!!!
Non so davvero come esprimere i miei sentimenti adesso, quindi ricorrerò al sempre efficace eloquente urlo Urukai di Monochrome (che non smetterò mai di ringraziare per aver betato diversi e sostanziosi capitoli <3)
KLAINE
K L A I N E
KURT
BLAINE
NUOVE SCENE KLAINE
NUOVE FACCE KLAINE
NUOVO KLAINEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
AIEBIRBUIEABTILEBRILTBGUOIBOFUòHBOGNION
 
Ma vi rendete conto? Sono così emozionata da questa season première che se prima avevo qualche dubbio sul fare un sequel di questa fanfic, adesso stanno diventando tutti delle grandissime certezze: io DEVO scrivere di Blaine. Cioè, non posso non farlo, dai! Mi hanno messo delle scene del genere su un piatto d’argento….Oddio, come faccio!? No, devo calmarmi.
Magari comincerò un sequel di Blame it on Blaine durante le vacanze invernali. Almeno aspetto qualche altra puntata per capirci qualcosa, e formulare un buon piano.
Che altro dire?
Spero che questo capitolo non vi abbia demoralizzate troppo (e non pensate che è il penultimo, dai!), mi scuso per la lunghezza perchè è un po' più corto dei precedenti. Ma non vi preoccupate, il prossimo sarà bello sostanzioso! E poi non dimentichiamoci dell'epilogo.......cioè, dopo aver visto questa puntata....no, non voglio spoilerare nulla.
Vi ringrazio per tutto l’entusiasmo, le recensioni, le letture che mi avete regalato finora.
Davvero, siete fantastici.
 
Ps – un’ultima cosa! Io e mia moglie Lievebrezza abbiamo creato un contest Glee per tutti coloro che amano scrivere e soprattutto amano scrivere di Glee. Se avete tempo o voglia, date un’occhiata qui!
 http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9931875&tid=489f5ea4227fab25fbf5a6a1e8b975ec1aca386f6e9282132412b7961b88f9dc

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Capitolo 34
*** Non è la fine, è un inizio ***


Capitolo 33
Non è la fine, è un inizio

 
 
Kurt stava per partire. Indossava uno splendido impermeabile color ghiaccio e la sciarpa che gli avevo regalato per Natale – gliel’avevo detto io, che era troppo calda per il periodo di Maggio, ma lui non ha voluto sentire ragioni-;  accanto a lui, un set di trolley, borsa a tracolla e beauty case, tutti perfettamente coordinati e abbinati al colore del soprabito.
L’aereo sarebbe partito tra pochi minuti, eppure lui sembrava non aver alcuna intenzione di lasciarmi, come se avesse paura di qualcosa. Ma era troppo emozionato all’idea di visitare la Grande Mela, e quindi non smise di fantasticare su New York, sulla Juliard, e sul servizio di benvenuto che gli avrebbe offerto la compagnia aerea. Io rimanevo lì, appoggiato al cofano della macchina, diviso a metà se accompagnarlo di filato all’aeroporto o lasciarlo abbandonare nel suo sognante sproloquio: già, sognante. I suoi occhi, che erano sempre stati incredibilmente belli e affascinanti, ora brillavano di luce propria, di un bagliore che raramente era stato tanto forte, e che aumentava sempre di più assieme al suo discorso. Perché Kurt stava parlando del suo futuro, ed era la cosa più adorabile che avessi mai visto.
Soltanto ad un tratto, quando si accorse che non lo stavo veramente ascoltando, perchè ero piuttosto preso a immergermi nell’azzurro dei suoi occhi, si fermò e mi guardò rammaricato.
“Blaine…mi dispiace.”
Aggrottai le sopracciglia, ma solo un poco: “Per cosa?”
“Io…ho cominciato a straparlare di New York, della Juliard… sono stato un insensibile, non ho la più pallida idea di quello che tu voglia fare nel futuro, e…”
“Kurt, non devi scusarti. Questo è il tuo sogno. Ma che dico, è il tuo futuro: tu sei destinato a questa vita, e io ci tengo troppo a te per non esserne felice.”
Rimase in silenzio. E a poco a poco, con voce sempre più debole, esternò quello che era uno dei suoi peggiori dubbi: “Ma quindi, quando io andrò a New York, e intendo, definitivamente…non ci vedremo più?”
Non risposi. La sola idea di non poter vedere Kurt, per chissà quanto tempo, mi straziava. Già era difficile stare lontano da lui per tre, lunghissimi giorni, non riuscivo a contemplare la concezione di “settimane”, o –e tremavo al solo pensiero- “mesi”.
No, non sarebbe stato possibile; ma cercai di essere ottimista, per amore di Kurt, e anche un po’ per me.
“Beh…non è detto. Potremmo vederci spesso, voglio dire, ti verrò a trovare tutte le volte che posso, e…”
E fu in quell’esatto istante che il suo viso si accese come colpito da un fulmine. I suoi occhi, ora incredibilmente spalancati e deliziosi, brillarono dall’emozione mentre con voce emozionata esclamò quella che gli sembrò l’idea migliore di sempre.
“Potresti venire a New York?”
Rimasi interdetto: “Come scusa?”
“Certo! Oh, Blaine, tu DEVI venire a New York, è perfetta per te! E poi potremmo prendere un bilocale vicino alla Juliard, fare l’abbonamento a tutti i teatri di Broadway…”
“Kurt –lo interruppi, sebbene mi costasse davvero molto- io non sono così sicuro sul mio futuro come te… non posso dire se…”
“Appunto! –Ribatté, raggiante- Qualsiasi cosa tu voglia fare, e lasciamelo dire, se smetti con la musica commetti un crimine contro l’umanità, a New York avrai la possibilità di farla. E la faremo insieme, Blaine: cominceremo una nuova vita, via da questa città, via da tutto.”
Le parole che usò, e il tono con cui furono dette, mi colpirono dritto in mezzo al cuore: perché soltanto in quel momento capii una cosa così dolce, e incredibilmente bella, che quasi non credetti ai miei pensieri finché lui stesso non li confermò, attraverso un sorriso, un’affermazione espressa in modo dolce.
“Il punto è che…in ogni futuro che immagino, in ogni variazione possibile del mio sogno…tu ci sei sempre.”
Sempre.
Che bel suono, sempre. Non era un forse, non era un può darsi. Era un sempre. Era un piano, che andava oltre gli anni del liceo, oltre ogni mia più rosea immaginazione. Era un futuro, non mio, né di Kurt, ma di tutti e due messi insieme: era il nostro futuro.
Eravamo ancora tanto giovani, e forse troppo ingenui, ma si sa, a quell’età ogni cosa sembra realizzabile, e grazie a quell’ipotesi così bella e rassicurante, cominciai ad accarezzare l’idea di un’accademia di musica, di un’università d’arte. Quante ce n’erano a New York? Decine? Dozzine?
Erano sufficienti. Insomma, stavamo parlando di New York. Ma non solo: stavamo parlando dell’idea di trascorrere il college insieme a Kurt.
Non ero certo di quello che avrei fatto, non avevo un piano ben delineato come il suo, e nemmeno dei desideri molto chiari, ma su una cosa ero sicuro: io volevo stare con lui. Se il tempo, e i sentimenti me lo avrebbero concesso, avrei trascorso con lui ogni attimo della mia vita.
E dentro di me quel piccolo fuoco che da un po’ di tempo si stava facendo spazio dentro al mio cuore cominciava sempre di più a crescere, ad infondermi delle leggere e piacevoli scariche di calore.
Mi resi conto solo in quel momento che Kurt mi stava ancora fissando, in attesa di una risposta: perché lo aveva fatto davvero, mi aveva proposto di andare al college insieme, di sfidare il tempo e quel lunghissimo anno di fine liceo per raggiungere poi la vetta dei nostri sogni, dei suoi sogni, in cui io ero assolutamente presente.
E quella cosa mi permise di amarlo un po’ di più.
“New York, eh?”
Assunsi un’espressione pensierosa, come quando mi aveva chiesto se avessi letto il libro di Patty Lupone, e  anche stavolta Kurt ci stava cascando sul serio, credeva che fossi in dubbio: ma come poteva? La risposta era chiara, trasparente, era esattamente davanti ai suoi occhi, e racchiusa dentro ai miei.
“Sarebbe fantastico.”
Si concesse soltanto un attimo: poi mi abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo, riempiendo il mio collo e la mia bocca di baci.
Alla fine lo accompagnai all’aeroporto: partì, ma senza timori. Sapeva che, al suo ritorno, sarei stato proprio lì, ad aspettarlo.
 
 
C’erano delle volte in cui adoravo mia sorella, sul serio.
Ma c’erano altre volte in cui rischiavo seriamente di strangolarla, tipo quel giorno, quando mi prese dalle mani il cellulare con fare dispettoso e cominciò a leggere tutti quanti i miei messaggi; ovviamente, tutti di Kurt. E non tutti parlavano dei poster di Wicked o del negozio Tiffany.
“Kitty!”
La sorellina mi ignorò completamente e continuò a saltellare per tutta la casa, ridacchiando e sospirando con dei modi da vera primadonna.
“Kitty, TI PREGO, potresti ridarmi la mia PRIVACY!?”
“Ma siete così carini! E oggi hanno cancellato la puntata di O.C, dovrò pur svagarmi in qualche modo!”
Feci una smorfia. Molto, molto divertente.
“Sei soltanto invidiosa, e adesso ridammi il cellulare!”
“Invidiosa? –Sbottò, salendo sulle scale e facendomi la linguaccia- Sappi che il MIO ragazzo è cento volte meglio del tuo!”
Oh, questa poi…
Sorvolai sull’enorme stupidaggine appena detta, e da brava persona matura mi limitai a rincorrerla a destra e a manca rischiando seriamente di assalirla alle spalle pur di riottenere il tanto agognato bottino.
Alla fine, un po’ per divertimento, un po’ per esasperazione, nostra madre sbucò dalla sua camera e con un’occhiataccia paralizzò entrambi.
“Kitty, consegna il telefono a tuo fratello.”
Lei sbuffò sonoramente, ma con mia grande fortuna obbedì; senza neanche pensarci lo afferrai e lessi velocemente l’ultimo messaggio di Kurt, dal momento che lei mi aveva impedito di farlo prima.
Ho appena cantato in un teatro di Broadway. E non uno qualsiasi. Ho appena cantato For Good, insieme a Rachel, nel teatro di Broadway di Wicked!!! E’ il giorno più bello della mia vita. –K
Sorrisi. Sì, potevo immaginarmelo perfettamente volteggiare tra le quinte e la scenografia, padroneggiando il palco come se fosse nato per questo. Mi sentii soltanto dispiaciuto per non aver assistito alla scena: doveva essere stata sensazionale.
E prima di poter scrivere una risposta, Kurt mi aveva inviato un altro messaggio:
Mi correggo. Sarebbe il giorno più bello della mia vita, se ci fossi tu a viverlo con me. Sappi che ho già adocchiato un paio di appartamenti nell’Upper East Side. E adesso vado, prima che Shuester scopra la nostra piccola “trasferta”. Ci vediamo dopodomani, baci. -K
Fui costretto ad appoggiarmi al muro per impedirmi di accasciare a terra attraverso una poltiglia informe.
Mia madre mi trovò in quello stato esattamente dieci minuti dopo e mi guardò sconcertata: “Blaine, devo preoccuparmi?”
Scoppiai a ridere; il perché, poi, non lo sapevo nemmeno io. Sarà stata la mancanza di Kurt per due lunghi giorni, sarà stata una nuova consapevolezza che stava pian piano insediandosi nella mia mente…no, non nella mente: nel mio cuore.
“Andiamo –continuò mia madre, compassionevole- altre trentasei ore e rivedrai il tuo Kurt.”
Trentasei ore. Sì, avrei potuto sopportarle. Dopotutto, che cos’era un misero giorno e mezzo, messo a confronto con l’immagine che avevo davanti? L’immagine di noi due, seduti su un divano troppo grande per una casa troppo piccola, immersi fino al collo di dvd d’epoca e latte caldo, travolti dal traffico di New York ma allo stesso tempo completamente indifferenti, perché, quando eravamo solo noi due, accoccolati da una copertina di lana, tutto il resto del mondo scompariva.
Quella sensazione piacevole nel petto, ora, rendeva tutto terribilmente offuscato, perfino mia madre, che mi fissò con un’espressione di commozione.
“Oh, tesoro… se solo potessi vederti adesso…sei così dolce. Forse non ti sei reso conto di quello che provi…ma lo capirai presto.”
E fu allora che la guardai, con un volto nuovo, una rinnovata sorpresa.
Perché tutto, in quel momento, mi apparve chiaro e semplice, esattamente per com’era.
“Credo…credo di aver capito.”
Rimasi sopraffatto da quella rivelazione, fatta più a me stesso che a lei, ma dopotutto nemmeno più di tanto: più che altro, provai un’irrefrenabile gioia, un’incontenibile trepidazione, una voglia indescrivibile di vedere Kurt, abbracciarlo, vederlo, dirglielo.
Era una cosa troppo grande, e troppo forte, per poter essere conservata nelle mura del mio cuore.
Con un gesto lento, meccanico, quasi come se dovessi ricordarmi di come fare a pensare, diedi un ultimo messaggio a Kurt, e sospirai.
Devo dirti una cosa, quindi vedi di tornare presto. Ti aspetto. -B
Perché lo aspettavo da sempre. Lo avrei aspettato per tutta la vita.
 
 
Pensai che ci avrei messo una vita a scegliere cosa mettermi. Eppure, quel giorno, quasi per miracolo, quasi per una volontà del destino, ritrovai quella felpa rossa che avevo comprato insieme a Kurt, il giorno del nostro primo appuntamento.
“Un giorno mi ringrazierai”, mi aveva detto. In effetti aveva ragione: dovevo ringraziarlo per essere inciampato nella mia vita. Come un fiore in inverno: inaspettato, eppure, così bello, da lasciarti completamente senza difese.
Mia madre aveva già capito tutto; dopotutto, era pur sempre mia madre. Mi diede un forte bacio sulla nuca e trattenendo un singhiozzo mi sussurrò “vai”, come se mi allontanassi definitivamente da lei, come se partissi lontano. Ma era strano: non stavo andando da nessuna parte, insomma, il Lima Bean non era poi così distante.
Eppure lei sapeva. Da quel giorno in poi, sarebbe cambiato tutto. Sarebbe cominciato tutto.
 
Nel bel mezzo delle strade di Lima cominciai a correre. Correvo talmente forte da ignorare i passanti che mi fissavano scandalizzati, i conoscenti che volevano fermarmi, gli amici che per poco non placcai con la mia energia.
“Blaine!” Esclamarono in coro Nick, Ed, Colin e Flint, afferrandomi per un braccio e costringendomi a rallentare.
“Woah amico, ma dove corri?”
“Da Kurt.” E il mio cuore accelerò di colpo. Ma non era per colpa della corsa.
I quattro, semplicemente, sorrisero.
“Salutacelo.”
“Dobbiamo fare un’altra uscita, un giorno di questi!”
“Se per uscita intendi SPIONAGGIO DI MASSA…”
“Spionaggio, uscita…che differenza fa?”
“Siamo Warblers! Questi mezzi-termini con noi non funzionano.”
“Ma che c'entra!? Un conto è usare correttamente le parole del dizionario, un conto è inventarcene di sana pianta, come il Kurt-sorriso!”
“Già, a proposito Blaine, oggi stai battendo te stesso. Il tuo iper-Kurt-sorriso-Super-Sajan si è digievoluto un’altra volta.”
“Lo so. E’ lo stadio finale, suppongo.” E loro strabuzzarono gli occhi, mentre i miei li fissarono uno alla volta.
Non feci nemmeno in tempo a correre via, che tutti e quattro mi soffocarono in una presa che di abbraccio aveva ben poco. E anche se rischiai seriamente di rompermi qualche costola, non potei fare altro che ricambiare il gesto, con un piccolo moto di orgoglio.Siamo Warblers, ripetei dentro di me, e pensai anche ad un’altra cosa: il mondo era stato veramente benevolo con me.
 
Il lungo viale di Lima non mi era mai sembrato così interminabile e faticoso.
Volevo soltanto raggiungere la caffetteria il più presto possibile, vedere Kurt, ascoltare l’esito delle Nazionali, dirgli che…
“Anderson!”
Mi voltai di scatto: e davanti a me, c’erano Chase...e un’altra persona.
“Priscilla!?”
I due si scambiarono un’occhiata piuttosto eloquente. No, questa non me l’aspettavo davvero.
“Non pensare male -Aggiunse infatti il ragazzo, assumendo il suo solito tono gelido – questa qui non ha voluto mollarmi nemmeno per mezzo secondo.”
“Blainy!” Mi schioccò un bacio sulla guancia, ma non feci obiezioni: ero talmente di buon umore da riuscire a sopportare perfino l’isteria di quella ragazza.
“Un momento: che ci fai qui?”
“Dovrei farvi la stessa domanda – feci io- da quando in qua Lima è diventata la meta degli studenti della Dalton?”
“Oh, noi abbiamo soltanto seguito i Fantastici 4. Ma immagino che oltre Westerville non conoscano altra citta al di fuori di questa.”
Ridacchiai. In effetti, era molto probabile.
“Un momento. –Sbottò la ragazza, con una voce che non era mai stata così seria- Blaine, mi hai detto che hai un ragazzo…”
“Sì.” Affermai, radioso, spostando il peso da un piede all’altro.
Priscilla fissò prima Chase, poi me.
“…Per caso voi due state insieme?”
Ci fu una piccola pausa, minuscola.
Dopodiché, l’orrore.
“CHE COSA!?”
“M-Ma stiamo scherzando!?”
“L’unica cosa che io e questo nano abbiamo in comune…è il fatto di non avere proprio NIENTE in comune!”
“Esatto!”
“Oh - Commentò, in parte dispiaciuta – Peccato.”
Come sarebbe a dire, peccato?!?
“Io devo andare.”
Perché se fossi rimasto un altro minuto, probabilmente avrei sentito altre teorie deliranti che non avevo davvero la forza di sopportare.
“Sì, ok.” Dichiarò Chase, con un leggero cenno del capo, come dire “è meglio per entrambi”.
Salutai quella coppia azzardata. Per via di tutte quelle interruzioni, avrei finito per fare tardi, e non potevo fare tardi, non quella volta.
 
 
Infine, quasi per miracolo, quasi per magia, vidi Kurt. E fu come rivederlo per la prima volta.
Il mio passo rallentò quasi inconsciamente, mentre il mio cuore, al contrario, cominciava a fare i salti su se stesso.
“La compagnia aerea americana è anche sin troppo scrupolosa.” Fu la prima cosa che mi disse, mugugnando ancora per qualche controllo minuzioso ottenuto in aeroporto.
E io, semplicemente, lo abbracciai. Non che non mi interessasse dei soprusi rivolti ai suoi innocenti bagagli, ma in quel momento l’unica cosa che riuscivo a concepire era il corpo di Kurt stretto contro il mio. Erano tre giorni che volevo farlo, eppure, mi sembrava di non averlo mai abbracciato come si deve, fino ad allora.
E, forse, anche Kurt se ne accorse: si distaccò un poco da me, a metà tra lo scosso e l’emozionato: “Tutto bene?”
“Mai stato meglio.”
Prendemmo le nostre solite ordinazioni, ci sedemmo al nostro solito tavolo, e una volta messi comodi, e l’uno di fronte all’altro, Kurt mi parlò di nuovo.
“Allora? Cos’è che dovevi dirmi? Il tuo messaggio era piuttosto emblematico.”
Per fortuna, ero comodamente appoggiato alla sedia, altrimenti le mie gambe non avrebbero retto l’improvvisa ondata di emozione che mi aveva colto alla sprovvista.
“No –mormorai, lottando contro la gola improvvisamente secca- no, prima tu. Raccontami di queste nazionali.”
Potevo aspettare. Dovevo aspettare. Kurt non sospettava di niente, e quello, oh, quello rischiò seriamente di mandare a monte tutto il mio piano, eppure, resistetti, perché volevo ascoltare tutto il racconto di New York, ancora non mi aveva spiegato nel dettaglio il motivo della loro sconfitta; mi aveva detto soltanto due cose, in un messaggio pressoché telegrafico: 1) Abbiamo perso. 2) Due settimane e Finn e Rachel diventeranno TT con il titolo “the kiss that missed”.
“Beh, non c’è molto da dire, in realtà. -Prese un sorso dal suo caffè, e continuò- Siamo arrivati dodicesimi.”
“Dodicesimi!? Non è neanche nella top-ten!”
“Lo so! Oh mio Dio, dovevi vederci. Abbiamo tutti guardato la lista della top-ten e siamo rimasti allibiti. E poi Jesse ha continuato a lamentarsi di quanto il bacio di Finn e Rachel ci avesse costato le nazionali, e…”
“Beh –lo interruppi- capisco la passione, ma anche io penso che non fosse professionale. Comunque scusa, continua.”
“Ok, e insomma torniamo all’Hotel, e Santana perde la testa.”
“Che vuol dire, perde la testa?”
“Nel senso che tra poco non staccava quella di Rachel in un raptus di follia!”
“…Oh.” Chissà perché, riuscivo ad immaginarmi perfettamente quella scena.
“Voglio dire –seguitò lui- il viaggio di ritorno è stato assolutamente silenzioso, nessuno ha detto una parola! Stavamo tutti seduti nei nostri posti a leggerci le copie di Sky-mall.”
Kurt sorrise, e io lo assecondai.
“Un momento –commentai, non appena mi fui reso conto della cosa- non, non capisco. Non sembri affatto dispiaciuto.”
Mi ricordavo perfettamente il suo rammarico per aver perso le Regionali, giusto qualche mese prima, e adesso invece sembrava sereno e tranquillo, come se non avesse davvero perso la competizione più importante dell’anno.
Esitò un secondo, stringendosi nelle spalle.
“Beh…è stato comunque fantastico.”
Oh.
Non seppi davvero descrivere ciò che provai: orgoglio, ammirazione, e tanta, tantissima gioia. Perché era lo stesso ragazzo di qualche mese prima, eppure, era diverso. Era maturato, era sereno, perché ne aveva passate tante, in quell’ultimo anno di scuola, e nonostante tutto si era sempre rialzato in piedi.
Ciò che vidi nei suoi occhi fu la cosa più incredibile di tutte: sprizzavano energia, forza, e un altro sentimento che soltanto allora riuscii a decifrare. Soltanto allora potei riconoscerlo, perché era uguale al mio.
E fu proprio in quel momento, mentre lui continuava a parlare entusiasta del suo viaggio a New York, della sua colazione da Tiffany, del suo primo viaggio in aereo, fu proprio allora che glielo dissi. Perché era una cosa che provavo da troppo tempo, ma che avevo capito di provare da molto poco.
“Ti amo.”
Magari poté anche sembrare fuori luogo, dirlo lì, nel bel mezzo di una caffetteria, per di più interrompendo un suo discorso nemmeno molto romantico.
Ma non c'è lo slow-motion nella vita vera, e nemmeno il quartetto di archi.
E quel posto, sebbene fosse banale, ordinario, quasi dozzinale, non poteva essere più giusto, perché ci aveva visto nascere, crescere, soffrire e fare di nuovo pace, ci aveva visto ridere ad un qualche battibecco scherzoso e sospirare di fronte alla grandezza dei nostri sentimenti.
Perché, in quella piccola caffetteria del centro di Lima, c’eravamo noi, con il nostro amore.
Kurt rimase per un attimo interdetto. Fu costretto ad ingoiare un ingente sorso di caffè per evitare di soffocarcisi dentro.
Il mio sorriso, per quanto umanamente possibile, si addolcì ancora di più: davvero ti ho sorpreso? Davvero non ti eri reso conto di quanto ti ho amato, profondamente e incondizionatamente, sin dal primo momento che ti ho visto?
Quello, davvero, era inconcepibile.
Ma, in un certo senso, capii il suo stupore, non appena sentii quattro piccole paroline.
“Ti amo anche io.”
Lo aveva detto come se fosse la cosa più scontata del mondo.
Che stupido: era scontata. Anche se si era trattenuto nel dirlo ad alta voce, come quella notte in cui mi aveva chiamato per l'incubo, o quando i suoi occhi si illuminavano come fari nell’ombra non appena incontravano i miei. Era ovvio che fosse innamorato di me. Era ovvio che, dopo tutto quello che avevamo passato, i nostri sentimenti fossero i più puri e assoluti di sempre.
E quando me ne resi veramente conto, lasciai che le mie labbra si incurvassero giusto un altro pochino all’insù, attraverso un piccolo, tenero sorriso. Perché l’uomo che amavo più di ogni altra cosa al mondo provava le stesse medesime cose.
“Lo sai? Se ci pensi un attimo, Kurt Hummel ha passato davvero un bell’anno.”
Non era vero. Kurt, in quell’anno, aveva rischiato di perdere suo padre, era stato minacciato di morte, aveva perso gli amici e la scuola per recarsi in un posto del tutto nuovo, era stato distrutto attraverso uno stupido voto segreto, e in quella stessa serata era risorto dalle sue ceneri.
In effetti, l’unica cosa buona che gli era capitata in quel lungo, difficile anno, ero proprio io.
Ma fu proprio per questo motivo che lo disse: per merito mio, tutte le cose brutte erano soltanto dei piccoli ricordi; perché non potevano contrastare la felicità, e la fortuna, di esserci incontrati. Questo voleva dirmi, in un modo ironico, un po’ cinico, come soltanto lui sapeva fare.
E in quel momento, il mio cuore si permise di amarlo un po’ di più.
Ma non fu possibile: lo amavo già completamente, con ogni fibra del mio essere.
 
 
 
Passammo il resto della giornata insieme.
Comprammo gli spartiti per la mia esibizione al Six Flags, parlammo del suo musical dedicato a Pippa Middleton –sapevo, anzi, temevo che prima o poi l’avrebbe fatto- e, cosa più importante di tutte, continuammo a dirci “ti amo”. Ce lo dicemmo praticamente in ogni momento.
“Vuoi un altro caffè, Kurt?”
“Ti amo.”
“Ti sei messo la felpa che ti ho comprato!”
“Ti amo.”
“Blaine, perché stiamo piangendo?”
“Non lo so, Kurt. So solo che ti amo.”
“Ti amo anche io. Forse è per questo. Forse, siamo soltanto troppo felici.”
Eravamo ormai in macchina quando successe quella cosa. La giornata si era trasformata in sera, e alla caffetteria si era sostituito il piccolo parcheggio di casa sua.
Kurt si asciugò le lacrime con la manica del suo cardigan, e io ne approfittai per staccarmi la cintura del sedile e sporgermi verso di lui.
“Kurt?” Enunciai, prendendo dolcemente il viso tra le sue mani, ed inspirando a pieni polmoni il suo profumo.
“Sì?” Chiese in modo ingenuo, trattenendo un’altra volta il fiato, come se fosse la prima. Era incredibile quanto riuscisse ancora a sorprendersi di quelle piccole paroline, in un modo talmente spontaneo da renderlo ancora più splendido.
“Ti amo.”
Sorrise ancora di più, e mi baciò.
Blaine, io ti amo, dal primo momento che ti ho visto camminare lungo quelle benedette scale della Dalton.
“Sul serio?” Domandai, perché non riuscivo a crederci che mi amasse da così tanto tempo, era semplicemente troppo bello.
Lui annuì, e subito dopo scoppiò a ridere come se si fosse appena ricordato di una cosa.
“Hai presente il giorno in cui ci siamo visti per la prima volta, dopo che hai cantato Teenage Dream?”
Certo che me lo ricordavo. “Il nostro primo incontro”, sussurrai.
“Ecco. Io quel giorno ho rubato un annuario scolastico dalla biblioteca e ho tagliato via la tua foto.”
Strabuzzai gli occhi. “Che cosa?”
“L’ho messa nel mio armadietto subito dopo aver ricevuto il tuo primo sms.”
Courage.” Ricordai, e i miei occhi luccicarono di commozione.
Allora era proprio vero. Era tutto reale, Kurt mi amava quanto e forse più di me.
“Anche io ti ho amato.” E lui scoppiò di nuovo a ridere.
“Beh, prima di me hai amato Jeremiah, e anche un po’ Rachel.”
“Oh no..” mormorai, affondando la testa nell’incavo del suo collo, e potei sentire la sua gola emettere delle vibrazioni di pura ilarità.
“Non è vero - ribattei, con voce piccola piccola, e il morale sotto terra – non è vero Kurt, io ti ho sempre amato.”
“Io ti amo da più tempo.” Rispose, e io mi strinsi ancora di più a lui, perché era competitivo perfino in una situazione simile, e soprattutto, lo amavo da morire per questo.
Si scostò un attimo, quanto bastava per guardarmi dritto negli occhi.
“Ho amato solo te.”
Valeva molto di più di “ti amo”. Ed era molto più veritiera di “ti amerò sempre.” Perché non potevamo essere sicuri del futuro, ed eravamo ancora troppo piccoli per concepire quelle enormi e bellissime emozioni vissute in quell’istante. Ma c’era una cosa, una sola cosa di cui potevamo essere perfettamente certi: Kurt mi aveva amato, senza se e senza ma, e io avevo ricambiato il suo amore, e anche se lo avevo fatto con un po’ di ritardo, non toglieva nulla all’intensità dei miei sentimenti.
Perché i nostri due cuori si erano incastrati ancor prima che io, o lui, ce ne fossimo veramente accorti.
Perché ormai non riuscivo a vedere nient’altro al di fuori di Kurt, e Kurt poteva vedere la sua anima dentro ai miei occhi nocciola.
Guardai gli occhi di Kurt e potei contemplare il cuore di Kurt, perché adesso era completamente aperto verso il mio, ed era bellissimo, mi riempiva di un amore che non avrei mai sognato provare. Era tutto ciò di cui avevo bisogno.
 
Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi.
Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole.
Probabilmente, l'incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po' di se, a scoprire pian piano quel che il cuore cela. Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti, i pregi, per le arrabbiature e le battute. O forse accade perché doveva accadere. Perché le anime son destinate a trovarsi, prima o poi.(*)
 
 

*****
 
(*) L’ultima frase, ahimè, non è mia. Era troppo bella per essere stata scritta dalle mie umili mani. Appartiene, invece, a Paulo Coehlo, ed era semplicemente perfetta.
Come loro due.
E come la gioia che sto provando adesso mentre compongo la mia ultima prefazione, perché ho deciso di non fare nessun epilogo, sarebbe inutile, non voglio rovinare questo capitolo e voglio che concluda questa storia.
 
E quindi, quando rilascerò questo capitolo 33, spunterò la casellina “completa”, e mi si stringerà il cuore nel farlo, ma so che è giusto così.
Ho voluto salutarvi così, passando un po’ in rassegna tutti i personaggi di questa storia, e poi, concludendo quella bellissima scena della 2x22.
Non sono portata per i finali. Sono tristi, e in un certo senso, danno l’idea di qualcosa che finisce. Ma sappiamo tutti che questa non è la fine, ma l’inizio!! A parte che sicuramente continuerò a scrivere qualcos’altro (all’inizio qualche one-shot senza pretese, e poi chi lo sa? Questa terza stagione promette bene…), ma esiste facebook, esiste skype e msn (chi mi vuole, mi aggiunga), esistono le mail e gli mp.
Insomma, io SO che non smetterò di sentirvi. In ogni caso, mi farebbe piacere leggere le vostre ultime recensioni (lacrimuccia), soprattutto da tutti quei lettori fantasma che hanno riso, pianto (o magari schifato) in silenzio sulla mia fanfic... mi riferisco soprattutto a questi ultimi, di cui pareri so poco o niente: spero che questa storia vi sia piaciuta.
Ne scriverò altre? Sicuramente. Diverse one-shot, per il momento, in attesa di ricevere l'ispirazione geniale per un'altra long-fic. Voi comunque continuate a seguire la sezione “Glee”, e se trovate qualcosa di insensato, romantico, o estremamente fuori controllo, con riportato il nome “Medea00”, allora fateci un salto. Ma solo se vi va! ;)
E adesso, i ringraziamenti. Preparatevi, perché sono belli lunghi.
Innanzitutto ringrazio le 349 recensioni ricevute (finora)
Le 64 persone che hanno ritenuto questa storia degna di essere messa tra le preferite (e di questo non ringrazierò mai abbastanza)
Le 89 persone che mi hanno seguita, rendendomi incredibilmente fiera di me
Le 7 perone che mi hanno ricordata, perché io di certo mi ricorderò di voi.
E ora, i ringraziamenti ad personam.
 
A Lievebrezza, perché…beh, perché è mia moglie.
 
Monochrome. Ottima beta, e carissima amica.
Ne approfitto per ringraziare tutti i miei amici in real che mi hanno sopportata finora, Nih, HellenMarieClaire, Sosia92…ragazze, scusatemi. So di essere una frana quando mi prendono le paranoie.
 
Sirymcgregor perché ha recensito TUTTI e dico TUTTI I CAPITOLI!! E mi ha veramente spiazzata...e da lì ogni recensione era una gioia!
 
Aurinella che ho conosciuto in seguito ma con cui è nata una bella e reciproca amicizia ^^
 
Akindofmagic, perché le sue recensioni mi fanno sempre emozionare!!
 
Livya_Vitty, perché ha segnato le 200 e le 300 recensioni…quando si dice il destino!! Ahah
 
Sakura_Elisa perchè ha letto e recensito quasi I CAPITOLI in una botta sola....STIMA PROFONDA!!!!
 
Safelia 22 perché ormai ti ritengo una mia amica, visto che abbiamo condiviso delle bellissime chiacchierate che andavano oltre Glee, e di questo ti ringrazio infinitamente.
 
Evy78 ed ElyCey perché…beh, perché sono degli idoli...mi hanno seguita da sempre…oh vi voglio bene ragazze! <3
 
Alchbell. A parte che mi ha fatta rotolare dalle risate, ma grazie a diversi mp ho potuto conoscerti meglio, e fattelo dire: ti adoro!!
 
Hale_y...che dire, sei fantastica. Ottima traduttrice, e ancora di più splendida come lettrice. Davvero, sei la lettrice che ho sempre sognato (lacrimuccia)
 
Endgame_Klaine… troppi scleri e mp che mi hanno portata ad adorarla con tutta me stessa XD che dire, grandi menti, stesso nome! ahahah
 
Daisydrop che mi ha fatta rotolare con la sua euforia. Spero che tu mi lasci una recensione delle tue, almeno mi risolleverai un po’ il morale da questa depressione post-fanfic!
 
Ilaryf90, perché le sue recensioni sono sempre molto riflessive, e mi permettono di ragionare insieme a lei. Adoro quando si va oltre i complimenti e mi esprimi i tuoi pareri, soprattutto perché sei una Kurt-addict convintissima!
 
Nem, perché sei stata sempre gentilissima e le tue recensioni mi hanno sempre fatta sorridere di gioia.
 
Paloma_201…hai ancora il blocco del recensore? Ho davvero bisogno di una recensione delle tue ç_ç sono già in status depressivo per la fine della fanfic…a parte questo, davvero, GRAZIE.
 
Heyitsgeorgia13 -anche se non leggerà questo post perchè mi ha tolta dalle seguite
 
kithiara - che ha creato i fantastici 4 e la adoro per questo.
 
mistica ---SUPER recensione per il cap 25 (Richard deus ex machina) e miticissimi scleri… quante risate spese davanti al pc!!!
 
Ringrazio anche
GleeKinn518,  Beatrice S, valigleek, Angel666, ColferAddict gentilissima ;), ForeverAlone, Bababortola, Gleekoscia, Natalie91, Bryn123, LoveUpMe, GiuliaCriss, Babyitscoldoutside, VomitingKlainbows, Carolina110411, Whereismymind, e tutte le altre persone che SICURAMENTE ho dimenticato di scrivere, ma vi assicuro, non ho dimenticato la gioia che ho provato grazie alle vostre recensioni.
Perdonatemi, ma sono quasi le tre, e io comincio a sentire la depressione post-fanfiction.
 
Ci risentiamo per i saluti personali attraverso i messaggi di risposta.
Grazie.
Come ve lo devo dire?
GRAZIE.
Non sarei mai riuscita a finire questa storia senza di voi. Quindi, sul serio, grazie.
E alla prossima! (O almeno, lo spero!)
Un bacio, Fra.

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