Piano 9 da un altro spazio

di Skinuzbear
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ok, questa fic riposava sul mio desktop da un po’ di tempo...l’ho riletta l’altro giorno e mi sembrava abbastanza decente da postare.

Era nata come oneshot, solo che mi sono resa conto che diventava più scorrevole spezzandola...quindi ne usciranno 2 o al massimo 3 capitoli. 

Non so ancora come finirla...forse l’ho finita e ancora non lo so...questa storia non mi parla....uff....

 

Comunque, ENJOY! Aspetto feedback positivi/negativi....mi fa sempre piacere sapere la vostra opinione!

 

Disclaimers: Mentalist è mio....l’ho prestato a Bruno Heller e ancora non me l’ha reso.....maledetto....

 

Capitolo 1

 

Erano da poco passate le 21 negli uffici del CBI, quando Teresa Lisbon spense il computer dopo aver finito il rapporto sul caso di quella settimana. 

 

Era stanca, si sfregò gli occhi e notò allora una cartellina rossa abbandonata nell’angolo più remoto della sua scrivania; il suo contenuto lo conosceva fin troppo bene anche senza aprirla: lettere di lamentela, querele e rapporti negativi relativi al comportamento di Jane durante il caso.

 

Il procuratore aveva preso l’abitudine, da un po’ di tempo a questa parte, di mettere tutto in cartelline rosse così che spiccassero in mezzo alla pila di dossier che Lisbon aveva sulla scrivania facendo sì che non potesse addurre la scusa che li aveva persi o confusi o dimenticati. 

 

E chi se li dimentica. Ormai erano diventati parte integrante del suo lavoro.

 

Sbuffò, di sicuro non ci avrebbe pensato quella sera.

 

Si alzò, prese le sue cose e si diresse verso l’ascensore passando per le scrivanie dei suoi sottoposti che a quell’ora erano vuote, esclusa quella di Cho a cui era toccato il turno di notte e che trovò a leggere un libro.

 

Lo salutò e lui rispose con un cenno.

 

Mentre aspettava l’ascensore l’occhio le cadde sulle scale che portavano alla soffitta. Era già da un paio d’ore che non vedeva il suo irritante consulente vagare in giro per gli uffici e in cuor suo sperò che fosse andato a casa, ma la sua mente la smentiva.

Salì le scale e aprì piano la pesante porta di ferro.

 

Mente 1 - Cuore 0.

 

Jane era sdraiato su quel letto improvvisato intento a leggere un dossier. Sguardo serio e concentrato, la fronte leggermente corrugata, con il pollice sinistro faceva ruotare la sua fede nuziale intorno all’anulare. 

 

John il Rosso. 

 

Ovviamente.

 

Sospirò, lo chiamò piano, lui alzò lo sguardo. 

 

-Lisbon! Non ti avevo sentito entrare...- disse spostando di nuovo l’attenzione sul dossier.

 

Lei rimase a fissarlo; solo pochi giorni prima gli aveva detto che non poteva vivere in quel modo, rinchiuso in una soffitta a leggere e rileggere rapporti e referti in modo ossessivo per poi crollare esausto su quel materasso ammuffito. 

 

Si chiedeva da quanto non si facesse una vera dormita. 

 

-Lisbon, so di essere un uomo veramente affascinante e staccarmi gli occhi di dosso è cosa ardua, ma vorrei tanto che la smettessi- scherzò Jane mostrando uno dei suoi soliti sorrisi sornioni.

 

Lei si destò dai suoi pensieri pur continuando a fissarlo. 

 

-Ok, alzati!- 

 

-Come?- 

 

-Su, muoviti! Alzati!- ripeté enfatizzando con un gesto della mano, Jane la fissava perplesso...

 

-Ora!- il tono perentorio non ammetteva repliche. Jane si alzò, recuperando la sua giacca e oltrepassò la porta che lei teneva aperta.

 

Scesero velocemente le scale fermandosi nuovamente davanti all’ascensore.

 

-Che ti prende?- lui la fissava quasi scioccato mentre lei guardava i numeretti che uno ad uno si illuminavano.

 

-John il rosso non esiste.- disse continuando a fissare in alto.

 

 Jane era allibito -Ma che diavo....- 

 

-Questa sera...- lo interruppe prima che potesse finire -...John il rosso non esiste. Adesso usciamo, ceniamo, facciamo qualsiasi cosa tranne pensare al lavoro poi ti porto a casa e tu dormi, in un vero letto, in una vera casa.- 

 

Non voleva che risultasse come un ordine ma, se fosse stato necessario, l’avrebbe trascinato fuori dal CBI legato mani e piedi.

 

Jane comprese che era solo preoccupata e per un attimo rimase in silenzio. 

 

-Lisbon, io sto bene...- 

 

Lei alzò la testa per guardarlo negli occhi. 

 

-Non prendermi in giro...- il tono era quasi rassegnato, si aspettava che dicesse una cosa del genere -...ascolta, non ti sto dicendo di abbandonare tutto, né di ammettere che stai precipitando in un baratro di cui non vedi la fine. Voglio solo che per una sera tu ti rilassi e faccia qualcosa di diverso perchè diciamocelo, tu non stai bene. Sei pallido ed esausto, indossi questo completo da almeno due giorni e non torni a casa da non so quanto. Considerala una pausa, e se non vuoi farla per te allora falla per me, te lo chiedo come favore personale- 

 

Jane non lo avrebbe mai ammesso, ma si ritrovava sempre spiazzato dalla sincerità di quello sguardo. Quando lei lo fissava in quel modo perdeva qualsiasi capacità di mentire, truffare o prendere in giro. Era la sua cryptonite e lo faceva vergognare del fatto che lui ormai era incapace da anni di rivolgersi a chiunque con una tale onestà.

 

-Ok...- disse guardandosi le punte dei piedi e dondolando sui talloni.

 

Salirono sull’ascensore che li portò al piano interrato del parcheggio.

 

-Certo che, detto da te, “serata di svago” suona particolarmente strano...- disse dirigendosi verso l’auto. 

-Cosa vorresti dire?!- 

 

Lei lo squadrò storto pronta a fargli molto male in caso di risposta errata.. 

 

-Niente!- disse lui veloce superandola e uscendo dalla sua zona di tiro        

 

-Guido io!- urlò poi scuotendo in aria le chiavi. 

 

Lisbon si tastò le tasche trovandole paurosamente vuote -JANE!-

 

TBC...

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Alla fine Jane la convinse a farlo guidare, promettendole che avrebbe rispettato tutti i limiti cosa che ovviamente non fece.

 

-Oh, andiamo! Non stavo andando così veloce!- 

 

-Hai bruciato un semaforo!- 

 

-Era giallo-     

 

-Era rosso!!- 

 

-Non ne hai le prove.- 

 

-La multa che arriverà domani sarà una prova più che sufficiente. E questa la paghi tu!- lui sorrise furbetto sussurrando un “vedremo” stando attento a non farsi sentire.

 

Lasciarono la macchina per camminare un po’ in centro. 

 

Era una serata calda ma un venticello fresco la rendeva piacevole. Pur essendo metà settimana le strade erano affollate, l’atmosfera era rilassata e gioviale.

Camminarono senza una meta precisa, presero un hot dog da un carretto ambulante parlando di niente.

 

Ad un certo punto Jane si bloccò tanto inaspettatamente che Lisbon quasi non gli andò a sbattere addosso. 

 

-Ma che cavolo, Jane!- 

 

-Piano 9 da un altro spazio- furono le sue uniche parole. 

 

-Cosa?- 

 

-Piano 9 da una altro spazio!- ripetè con più enfasi indicando il cartellone del piccolo cinema che avevano di fronte.

Lisbon si girò a guardare il poster. 

 

-Alieni?- chiese vedendo raffigurati dei dischi volanti. 

 

-E vampiri! E-e zombie!!- aggiunse Jane tradendo un entusiasmo decisamente infantile.

 

-Stai scherzando, vero?- non poteva credere ai suoi occhi, aveva già visto Jane elettrizzarsi di fronte a banalità ma era la prima volta che mostrava una tale esaltazione.

 

-Tu non capisci...- 

 

-Sei un fan del trash- 

 

-Non è trash- disse fissandola con sufficienza, lei di rimando abbozzò un sorriso di scherno. 

 

-Piano 9 da un altro spazio è un connubio di fantascienza e horror accompagnato da uno stile artigianale e naive, assolutamente unico- spiegò Jane. 

 

-Sei un fan del trash- 

 

-La tua ottusità mi delude...- scosse la testa rivolgendole uno sguardo di disapprovazione. 

 

-Andiamo, ti ricrederai!- la prese per un braccio trascinandola nel cinema.

 

Era peggio di quanto Lisbon potesse immaginare. Mai nella sua vita aveva visto nulla di più ridicolo e tremendo e imbarazzante allo stesso tempo, ma nonostante ciò non riuscì a non pensare che si stesse divertendo da morire.

 

Ogni tanto lanciava, nel buio della sala, degli sguardi a Jane. 

 

Sorrideva e rideva. 

 

Sorrideva e rideva sul serio, non quei sorrisi di scherno che era solito rivolgere agli altri, né quelli ammaliatori che usava per ottenere ciò che voleva e nemmeno quelli che accompagnavano i suoi “sto bene”, quando le mentiva.

 

Jane sembrava veramente felice in modo genuino e sincero, una cosa che Lisbon non aveva mai visto. Ne rimase affascinata. Si sentì privilegiata a vedere un lato di Patrick Jane che pochi al mondo conoscevano.

 

-Vampiri e alieni...- 

 

-Già.- 

 

-Non ha senso...- 

 

-E’ un film, ha perfettamente senso- 

 

-Oh, andiamo, era sgangherato dal primo minuto!- 

 

-Già! Non è fantastico?!- 

 

-E i fili? La cartapesta? Le inquadrature a cavolo?- 

 

-Pura arte!- 

 

-Jane!- 

 

-Non capisci? Nella sua totale inadeguatezza è perfetto! E’ puro intrattenimento! Il fatto che la regia fosse tremenda, i dialoghi pessimi e gli effetti speciali oltremodo caserecci fanno sì che lo spettatore sia spiazzato, che non sappia ciò che accade e come andrà a finire, non può far altro che guardare! E’ lo scopo massimo a cui un artista può aspirare, in più è involontariamente comico, cosa puoi chiedere di più?- 

 

Era in fibrillazione, come un bambino alla sua festa di compleanno. 

 

Lisbon lo guardava, qualche passo dietro a lui che avanzava svelto parlando di quanto i film di serie B fossero sottovalutati e sorrideva. 

 

Notando che la sua fedele compagna non era accanto a lui, Jane si fermò e la attese. 

 

-Che c’è?- le chiese notando il sorriso 

 

-Niente, sono felice- disse lei, sollevando leggermente le spalle 

 

-Tu sei felice?- gli chiese poi. 

 

Jane si bloccò. Era felice?

 

TBC?

 

 

 

Il punto di domanda è perchè non so ancora bene se scrivere o meno il 3 capitolo. 

Mi piacerebbe concludere in questo modo ma.....

Accetto suggerimenti!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Questo capitolo è menoso...oggi sono menosa...quello che ha inventato il silk epil era un uomo di sicuro....
 

 

Capitolo 3

 

Guardava Lisbon, che camminava tranquilla, soffermandosi ogni tanto a mirare le vetrine dei negozi, ancora illuminate nonostante la tarda ora.

 

Guardava Lisbon e ripensava a quella serata che stava ancora vivendo.

 

Era strano, ma per qualche ora la sua mente non era invasa da John il Rosso.

 

John il Rosso. 

 

La sua ossessione, il suo chiodo fisso, la sua ragione di vita.

 

John il Rosso.

 

L’assassino, il serial killer, colui che aveva trucidato in maniera tanto crudele la sua famiglia.

 

Non ci aveva pensato, e la ragione per cui non ci aveva pensato stava ora guardando un paio di stivali col naso quasi spiaccicato contro il vetro.

 

-Mmh, questi sembrano comodi....chissà se ce l’hanno del mio numero...ho il piede piccolo...è un schifo avere il piede piccolo, sai...-

 

Lisbon si girò. Jane la stava fissando, perso nei meandri della sua mente.

 

-Jane...-

 

-Hai un piedino da Cenerentola-

 

-Ah ah, e un SUV a forma di zucca-

 

-Tornerebbe utile ad Halloween-

 

Lisbon scosse la testa lasciando che un sorriso le danzasse sulle labbra.

 

-Cosa vuoi fare adesso?-

 

-E’ la tua serata di relax, Jane...tu cosa vuoi fare?-

 

L’unica cosa cosa che venne in mente era fare quello che già stava facendo. 

 

Camminare nella folla con Lisbon.

 

Il chiasso della gente intorno a lui e la sua tranquillizzante presenza accanto a lui. L’aria fresca della sera che gli accarezzava il collo e il calore del braccio di lei, che ogni tanto sfiorava il suo. L’odore della città sotto i suoi piedi e il dolce profumo di cannella misto a muschio di lei.

 

Dopo tanto tempo la sua anima era serena e la sua mente rilassata.

 

Era come aveva detto Lisbon: quella sera John il Rosso non esisteva, il suo passato non esisteva, la vendetta non esisteva...e il mondo era un bel posto.

 

Un pensiero decisamente naive e infantile che lo fece sorridere. Lui che era sempre tanto razionale e composto su ciò che erano i fatti della vita, ora ne ricusava l’esistenza. 

 

-Camminiamo- disse semplicemente, con le mani affondate nelle tasche della giacca e uno dei suoi famosi sorrisi sornioni stampati in viso.

 

-Camminiamo- ripeté lei tranquilla, distanziandolo di qualche passo.

 

Questa era una cosa che gli piaceva di Lisbon. Non esistevano risposte giuste o sbagliate.  Cose possibili o impossibili. Se le avesse detto che voleva prendere la macchina e andare a Las Vegas, dilapidare tutti i suoi averi e cantare a squarciagola tutto il repertorio di Elvis dal tetto del Caesars Palace, lei avrebbe risposto “Ok...però prima devo fare benzina...e voglio un caffè!”

 

Era uno dei motivi per cui andavano d’accordo, sia sul lavoro che fuori. Lei gli dava corda, si fidava di lui...bhe, non si fidava-fidava ma sapeva che ogni cosa che Jane faceva, lo faceva per un motivo. Sapeva che non avrebbe creato volontariamente casini irrimediabili e mai l’avrebbe messa in una posizione compromettente (sempre volontariamente).

 

Lisbon era la sua compagna, la sua roccia, la sua ombra. Poteva sempre contare sul fatto che lei ci sarebbe stata, in ogni situazione. 

 

Non ha mai pianto di fronte a Lisbon. Non le ha mai rivelato le sue paure più profonde. Non le ha mai mostrato il suo lato più danneggiato e oscuro. 

 

Ma lei conosceva tutto questo. Lei sapeva.

 

Lo aveva osservato durante gli anni. Sette anni. Sapeva quando qualcosa lo turbava, sapeva quando stava architettando uno dei suoi piani, sapeva quando doveva fermarlo e quando era meglio lasciarlo fare. 

 

Sapeva di cosa aveva bisogno anche quando lui non lo sapeva.

 

E il tutto ci riporta al perchè quella sera stavano camminando per le strade di Sacramento.

 

Perchè lei sapeva che Jane aveva bisogno di staccare la spina prima di raggiungere il punto di non ritorno.

 

-Jane....facciamo quelli che vanno?-

 

-Uhm?-

 

-Ti riporto a casa?-

 

Jane annuì, girando i tacchi e dirigendosi verso l’auto.

 

Questa volta non le rubò le chiavi. Si sedette sul sedile del passeggero, Lisbon mise in moto e lui si trovò a guardare le luci dei lampioni che veloci si susseguivano.

 

Casa. Chiamare quella camera d’albergo “casa” era decisamente forzato, ma non glielo disse. Normalmente ci tornava solo per lavarsi e cambiarsi, non ci spendeva mai più di qualche ora. Era quasi un deposito per i suoi pochi averi...nulla all’infuori dello stretto necessario.

 

Eppure, quella sera, il pensiero della stanza spartana non gli fece crescere un senso di vuoto nel petto come in genere accadeva.

 

Voleva un tè, poi mettere un pigiama e sprofondare in un letto con lenzuola fresche, coperte e un cuscino.Voleva fare qualcosa di consueto, rilassare i muscoli e magari puntare anche la sveglia. Voleva svegliarsi l'indomani, fare colazione e andare al lavoro.

 

Voleva una routine. Valeva delle certezze. Voleva normalità.

 

Rise di sè stesso. La cosa che più si avvicinava alla normalità nella sua vita, era la brunetta intenta a parcheggiare il SUV... e se da qualche parte lassù c’era un Dio o un’entità analoga, allora Jane gli doveva un favore.

 

-Lisbon...-

 

-Mh?-

 

-Grazie.-

 

Fine

 

 

 

Questa volta niente punti di domanda. Ringrazio _kia91_, malory e Naky17, questo capitolo è dedicato a voi! Grazie per il supporto!!:)

Spero vi sia piaciuta.

Baciuz

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