Sette ore e un gatto nero

di Il Saggio Trentstiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Five o'clock, snoop time ***
Capitolo 2: *** Six o'clock, loophole time ***
Capitolo 3: *** Seven o'clock, relaxing time ***
Capitolo 4: *** Eight o'clock, driving time ***
Capitolo 5: *** Nine o'clock, surprise time ***
Capitolo 6: *** Ten o'clock, dessert time ***
Capitolo 7: *** Eleven o'clock, black cat and glances time ***



Capitolo 1
*** Five o'clock, snoop time ***


~5.00 PM
Sede del CBI
 
Da un ufficio provenivano le voci ovattate di due donne, impegnate in un'accesa conversazione.
Non che qualcuno stesse azzardandosi ad origliare, ovviamente!
Per quanto di aspetto femminile e delicato, Grace Van Pelt e Teresa Lisbon avevano più volte dato dimostrazione di coraggio, sangue freddo e... Sì, anche di una certa vendicatività.
Come si sarebbero comportate nei confronti di un eventuale spione?
Decisamente meglio non scoprirlo...
Intanto all'interno dell'ufficio la conversazione era entrata nel vivo: Lisbon stava tenendo banco, ascoltata con attenzione e curiosità da Grace.
"Insomma, io e Cho eravamo lì in incognito, lui ha superato la sorveglianza, si è introdotto nella villa, e..."
Lisbon prese un profondo respiro.
"Ha appiccato il fuoco ad una siepe!"
Grace si portò le mani alla bocca, profondamente colpita: le abbassò poi lentamente, senza staccare gli occhi dal volto della collega.
"E...Cosa è successo?"
Teresa scosse appena la testa, con aria esasperata.
"L'impensabile, Van Pelt: mentre tutti fuggivano, Cho chiamava i pompieri, e io volevo uccidere Jane..."
Van Pelt la interruppe, senza riuscire a nascondere un sorriso.
"Non dirmi che Jane aveva di nuovo ragione!"
Lisbon socchiuse gli occhi.
"Purtroppo sì. Harold Rostand si è lanciato verso le fiamme, ridendo come un ossesso e cercando di farle aumentare rovesciando sulla siepe una tanica di benzina.
E indovina chi aveva distrattamente abbandonato quella tanica nel giardino?"
Grace non si prese neanche la briga di rispondere: quella era una mossa alla Patrick Jane, non c'era alcun dubbio!
Tentò di imbastire un sorriso comprensivo, ma evidentemente gliene riuscì soltanto uno divertito, perché l'espressione di Teresa si indurì di colpo.
La rossa cercò di recuperare quel momento di defaiance.
"Quindi il colpevole era Rostand?"
Lisbon annuì, senza perdere la sua espressione infastidita.
"Sì. Ovviamente lo abbiamo arrestato, e Jane è stato piuttosto prodigo di spiegazioni!" aggiunse con tono sarcastico, proseguendo poi con il racconto ed imitando il tono petulante del collaboratore.
"«Oh, era palese che l'assassino avesse un'ossessione per il fuoco, bastava vedere come le sue vittime fossero state narcotizzate e poi bruciate, per evitare che le loro urla lo distogliessero dalla contemplazione delle fiamme! E Rostand adorava occuparsi della brace durante le grigliate in famiglia, come oggi!» Bah!"
Grace ascoltò la collega a labbra serrate, non tanto per evitare di interromperla quanto per evitare che una risata divertita le sfuggisse inavvertitamente.
Mentre Lisbon borbottava ancora tra sé e sé, respirò a fondo e si costrinse per l'ennesima volta a non ridere.
Riacquistato un certo controllo delle sue azioni tornò a rivolgersi a Teresa.
"Dunque, tutto risolto! A parte le solite azioni sconsiderate di Jane, ovviamente!"
Lisbon si voltò di scatto verso Van Pelt, che si domandò cosa avesse detto di sbagliato stavolta.
"No, non è tutto risolto. L'eventuale colpevolezza di Harold Rostand era così assurda che..."
Abbassò lo sguardo, mentre Grace attendeva sulle spine la rivelazione.
"Ho fatto una scommessa con Jane."
Van Pelt sgranò gli occhi e si avvicinò appena a Lisbon.
"E...?"
Teresa rialzò il capo lentamente.
"Ovviamente ho perso. Stasera dovrò andare a cena con lui."
Il silenzio calò nella stanzetta, rotto soltanto dall'insistente ticchettio dell'orologio da parete che, ormai, indicava le cinque e venti del pomeriggio.
Grace non aveva il coraggio di infrangere quel silenzio, ma l'onere le fu risparmiato dalla stessa Teresa.
"Mi chiedevo, Van Pelt... Hai da fare stasera?"
La rossa si morse il labbro inferiore.
"Veramente sì... Sono stata invitata a cena da mia sorella, non posso proprio dirle di no..."
Lisbon fece un semplice cenno col capo, l'espressione stoica ed indifferente.
"D'accordo, nessun problema. Potrei chiedere a Cho, o a Rigsby..."
Grace annuì, più per educazione che per reale convinzione: pensava che una cena avrebbe potuto ridurre gli attriti che, sempre più frequentemente, c'erano tra quei due.
Improvvisamente un trillo ruppe il silenzio che, di nuovo, era calato nell'ufficio: Lisbon afferrò il cellulare dalla scrivania e si apprestò a leggere il messaggio appena arrivatole.
Man mano che procedeva nella lettura, le sopracciglia le si inarcavano sempre più, finché quasi non sparirono sotto la frangetta scura della donna.
Teresa sbatté il cellulare sulla scrivania, si alzò ed uscì dall'ufficio come una furia: Grace, vinta la sua iniziale indecisione, prese il cellulare della collega e lesse a sua volta il messaggio.
In fondo aveva una vaga idea di chi potesse essere il mittente!
 
"Rigsby è malato, Cho andrà al cinema con Danielle.
Rassegnati :)"
 
Grace sorrise mentre rimetteva il cellulare dove si trovava prima, senza più alcun dubbio riguardo il mittente del messaggio.
Inoltre, se ancora fosse stata incerta, la voce irritata di Lisbon l'avrebbe ulteriormente convinta.
"Adesso origli anche fuori dagli uffici?"
"Sai Lisbon, origliare da dentro un ufficio sarebbe un controsenso..."
Con un versetto di frustrazione Lisbon rientrò nell'ufficio, appropriandosi di giacca e cellulare e facendo un rapido cenno di saluto a Van Pelt, ancora silenziosa.
Patrick si affacciò sorridente nella stanza.
"Allora passi a prendermi alle otto?"

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Capitolo 2
*** Six o'clock, loophole time ***


~6.00 PM
Casa Lisbon
 
Teresa era giunta a casa a tempo di record.
Col senno di poi, dovette ammettere che sarebbe stato imbarazzante qualificarsi con un eventuale agente che l'avesse fermata per eccesso di velocità, ma fortunatamente questo non era avvenuto.
Aveva parcheggiato esattamente davanti casa, era scesa dall'automobile come una furia -premurandosi di sbattere lo sportello il più rumorosamente possibile- ed aveva raggiunto il suo appartamento senza smettere di borbottare neanche per un secondo.
Una sola idea le agitava i neuroni, in quel momento.
Non sarebbe uscita a cena con Jane.
Poteva scordarselo, quel bellimbusto!
Teresa, fortunatamente prossima a calmarsi -o, perlomeno, non più intenzionata a commettere omicidi-, gettò la giacca sul divano e si diresse in cucina.
Una tazza di tè caldo con una cucchiaiata di miele avrebbe potuto aiutarla, ne era certa!
Mise a bollire l'acqua, si lasciò cadere su una sedia e lanciò una rapida occhiata all'orologio appeso alla parete: le sei e un quarto.
Dunque aveva ancora...
No, niente "ancora"!
Lei avrebbe passato una tranquilla serata stesa sul divano, sgranocchiando biscotti e godendosi qualche film senza pretese alla televisione.
Annuì convinta e soddisfatta, alzandosi per spegnere il gas e prendere una bustina di tè.
Mentre osservava il liquido nel bricco passare da trasparente ad ambrato, un pensiero rapido e preoccupante le attraversò la mente: che scusa utilizzare con Jane?
Sospirò e tornò a sedersi, appoggiando i gomiti sul tavolo della cucina.
Difficile, se non impossibile, ingannare Jane!
Chi gliel'aveva fatto fare di scommettere con lui?
Sbuffò sonoramente, ricominciando a pensare: poteva fingersi malata?
No, Jane le avrebbe sicuramente telefonato e dal tono di voce avrebbe capito che stava mentendo.
A meno che non decidesse di presentarsi a casa sua con due cartoni di pizza e due birre...
Teresa rabbrividì appena al pensiero, cercando di concentrarsi: c'era qualche parente in visita proprio quella sera?
Decisamente no!
Jane conosceva la sua situazione familiare -Lisbon maledì mentalmente il giorno in cui si era confidata con lui-, dunque avrebbe potuto smascherare anche questa bugia.
I minuti passarono lentamente, e con essi vennero scartate numerose scuse, una meno plausibile dell'altra.
Esasperata, Teresa alzò lo sguardo verso il soffitto.
"Perché non sono in servizio stasera?" sibilò, osservando poi per la seconda volta l'orologio della cucina.
Le sei e quarantacinque.
Aveva davvero passato mezz'ora a pensare, senza risultati, ad una scusa da propinare a Jane?
Teresa si alzò di scatto, dimentica del tè ormai freddo e marciò fino al salotto: qui afferrò il cordless e lo spense, accingendosi poi a fare la stessa cosa con il cellulare.
Era giunta alla conclusione che l'unica cosa da fare fosse sparire, in modo che Jane non l'avrebbe potuta contattare in alcun modo, e poi...
Poi?
Cosa sarebbe accaduto?
Lisbon rimase con il pollice sospeso sopra il tasto di accensione e spegnimento del cellulare.
Sicuramente Jane avrebbe provato a chiamarla a casa e sul cellulare in caso di ritardi, poi avrebbe smesso e si sarebbe rassegnato all'idea di un'altra serata in completa solitudine.
Rassegnato.
Teresa odiava quella parola.
Lei, che aveva sempre combattuto, che si era sempre fatta in quattro per far sì che la giustizia trionfasse, che si fidava ciecamente delle persone a lei care.
Lei, adesso, si stava comportando come un'adolescente capricciosa.
Quasi senza rendersene conto posò il cellulare sul tavolino, riprese il cordless e lo riaccese.
Sarebbe andata a quella stramaledetta cena.
Per quale motivo? Non ne era certa, ma le piaceva pensare che così facendo Jane avrebbe smesso di tormentarla per un po'.
O forse non voleva leggere la delusione nei suoi occhi.
Con aria stizzita ritornò in cucina, notando subito il tè ancora in sua attesa.
Storse il naso e si passò una mano sulla fronte.
"Patrick Jane, mi pagherai anche questa..."

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Capitolo 3
*** Seven o'clock, relaxing time ***


~7.00 PM
Casa Lisbon
 
Il tempo era praticamente volato per Teresa.
Un istante prima stava inveendo mentalmente contro Jane, reo di averla convinta -pur non vedendosi da due ore- ad andare a cena con lui, l'istante seguente stava borbottando a mezza voce insulti verso se stessa e la sua stupidità nell'accettare quella scommessa.
Così, tra un'imprecazione ed un insulto, l'orologio della cucina aveva infine segnato impietosamente le sette.
Lisbon sarebbe dovuta passare a prendere Jane di lì ad un'ora.
Questo pensiero la fece nuovamente infuriare: quando mai si era vista una donna che andava a prendere un uomo per uscire fuori a cena?
Soprattutto trattandosi del primo appuntamento tra i due!
Lisbon rimase immobile al centro del salotto.
Non l'aveva pensato davvero.
No, doveva essere stata colpa della sua crescente irritazione, sicuramente!
Appuntamento...
Con lui, poi!
Che pensiero ridicolo!
Scosse la testa, dandosi mentalmente della stupida forse per la ventesima volta, e si diresse in bagno.
Una doccia veloce era quello che ci voleva per rilassarla e tranquillizzarla: e poi non poteva presentarsi in quelle condizioni all'appuntamento con Jane.
No.
Non di nuovo!
Con un verso di frustrazione Lisbon girò la manopola della doccia, attendendo impaziente che l'acqua si scaldasse.
Finalmente poté letteralmente abbandonarsi al piacere dell'acqua quasi bollente, del vapore che portava via pensieri fastidiosi e scomodi -come quella dannata parola, appuntamento!-, del profumo del bagnoschiuma.
Completamente rimessa a nuovo, con un sorriso sereno sulle labbra, Teresa uscì dal box doccia ed afferrò un asciugamano azzurro: vi si avvolse e, strofinandosi vigorosamente la testa, raggiunse la sua camera da letto.
Era serena.
La doccia calda aveva sortito l'effetto desiderato.
Sarebbe potuta rimanere lì, seduta sul letto ed avvolta in quell'asciugamano, di un azzurro così familiare, per ore.
Purtroppo il dovere la chiamava.
Anzi, a giudicare dall'ora, a breve l'avrebbe reclamata a gran voce!
Le sette e mezza.
Lisbon balzò in piedi e, raggiunto l'armadio, lo spalancò: aveva soltanto un abito per le occasioni importanti -non che quella rientrasse nella categoria!-, e non le sembrava il caso di utilizzarlo.
D'altronde non aveva scelta.
Jane non aveva minimamente accennato al luogo dove si sarebbero recati per cena, ma conoscendolo Lisbon sapeva che si sarebbe dovuta aspettare di tutto.
Sospirò e tirò fuori l'abito -lungo fino a metà coscia, nero, molto semplice-, deponendolo sul letto ed osservandolo con rinnovato scetticismo.
Non c'era il rischio che Jane, vedendola così vestita, si facesse strani pensieri?
Purtroppo, di nuovo, non aveva scelta.
Si vestì rapidamente, indossò con cautela l'abito e si sistemò i capelli davanti allo specchio, esercitandosi nelle espressioni sarcastiche con cui avrebbe sicuramente dovuto rispondere a Jane quella sera.
Infine, vestita di tutto punto, con tanto di scarpe -era certa che, entro le nove di sera, avrebbe rotto almeno uno dei due tacchi- e borsa, si accinse ad uscire dalla camera.
Lanciò un'occhiata all'asciugamano ancora umido ed abbandonato sul letto: la vista dell'oggetto la fece sorridere, immotivatamente.
Aveva un colore luminoso, che le faceva venir voglia di ridere, la stessa sensazione che provava quando...
Sgranò gli occhi, interdetta.
Di lì a dieci secondi era fuori dall'appartamento, nuovamente irritata con se stessa e, ovviamente, con Jane.
Perché cavolo un asciugamano azzurro le avrebbe dovuto ricordare gli occhi di quel cialtrone?

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Capitolo 4
*** Eight o'clock, driving time ***


~8.00 PM
Nei pressi di Main Avenue*
 
Jane non avrebbe potuto scegliere un orario peggiore per farsi venire a prendere.
Anzi, per pretendere che Lisbon uscisse di corsa da casa sua, finisse in mezzo al traffico e girovagasse un'eternità per trovare parcheggio.
Come Dio volle, Teresa riuscì a posteggiare poco lontano dalla sede del CBI e poté considerare la tortura terminata.
No, ad essere sinceri la vera e propria tortura doveva ancora cominciare...
Abbassò il finestrino, scrutando l'ingresso del CBI: ancora nessuna figura alta, ben vestita e dal sorriso sornione, meglio così!
Sospirò e lanciò un'occhiata all'orologio dell'automobile: i numeri luminosi indicavano le otto e dieci.
Bene, lei era in ritardo, ma Jane lo era ancor di più!
Non solo aveva preteso che lei gli facesse da autista, ma si permetteva anche di prendersela comoda?
Se non altro...
Quella situazione le avrebbe potuto permettere di tornarsene a casa: magari Jane si era dimenticato dell'appuntamento ("cena", si corresse mentalmente, storcendo la bocca), oppure si era addormentato, oppure...
Oppure di quella cena, in fondo, non gliene importava così tanto.
Lisbon si accigliò lievemente, osservandosi nello specchietto retrovisore: alzò una mano per sistemarsi i capelli, continuando a pensare al fatto che sarebbe potuta andar via senza problemi, senonché...
"E' proprio vero che la vanità è donna!"
Lisbon sobbalzò e la mano le volò automaticamente alla borsetta, abbandonata sul sedile accanto a lei, all'interno della quale teneva come sempre una pistola.
Si rilassò -anche se non del tutto- quando riconobbe Jane, sorridente e tranquillamente appoggiato alla sua auto: Lisbon lo fulminò con lo sguardo.
"Non farlo mai più!" sibilò, agitandogli un dito davanti al viso.
La cosa parve divertire Jane ma, prima che l'uomo potesse dire alcunché, Teresa lo bloccò.
"Tra l'altro non si dice che è la curiosità ad essere donna?"
Il sorriso di Jane si allargò.
"Sì, ma secondo il mio modesto parere è più adatto il mio proverbio. Piuttosto..." aggiunse, fissando Lisbon ed inclinando la testa da un lato.
"Perché avevi quell'espressione così seria e concentrata?"
Lisbon percepì il cuore batterle più rapido nel petto: ecco, adesso lei gli avrebbe mentito, lui avrebbe smascherato le sue menzogne e se ne sarebbe andato.
Sebbene questa successione di eventi le avrebbe consentito di tornarsene a casa, doveva ammettere che almeno un po' le sarebbe dispiaciuto.
Inspirò dal naso e tentò di ostentare un'aria tranquilla.
"Stavo provando ad indovinare dove saremmo andati a cena."
Anni ed anni di indagini ed interrogatori erano serviti a qualcosa, dunque!
Una bugia semplice ma efficace, difficilmente riconoscibile per la sua natura fallace e più che credibile: neanche Jane avrebbe potuto sbugiardarla!
L'uomo si fece meditabondo per qualche secondo, recuperando in fretta la sua solita espressione sorniona.
"Ti dirò, sarebbe potuto sembrare..."
Jane utilizzò volutamente il condizionale.
"...Che tu volessi fuggire da qui: forse non te ne sei resa conto, ma continuavi a guardarti attorno con aria circospetta!"
Lisbon sgranò gli occhi, stupita: da quanto la stava osservando a sua insaputa?
Quel... Quel... Ecco, non le veniva in mente neanche un aggettivo adatto per definirlo!
Jane parve intuire cosa stesse passando nella mente di Lisbon e scosse la testa divertito.
"Beh, allora andiamo?"
Lisbon annuì meccanicamente, facendogli cenno di accomodarsi al posto del passeggero: Jane tuttavia non si mosse.
"Non se ne parla: o guido io, o ce ne torniamo a casa."
Teresa alzò gli occhi al cielo, trattenendosi con difficoltà dall'imprecare: lo detestava quando faceva i capricci come un bambino dell'asilo!
"No Jane, sali e non fare storie!"
L'uomo sollevò le sopracciglia ed incrociò le braccia.
"Avanti, vuoi dirmi che non ti infastidisce dover essere tu a guidare? La mia è semplice cavalleria!"
Si produsse in un inchino rigido e stereotipato che Lisbon faticò a trovare divertente.
La donna era consapevole del fatto che se avesse continuato a rifiutare l'offerta, Jane non solo non se ne sarebbe andato a casa -come invece aveva affermato-, ma bensì l'avrebbe tormentata finché non avesse ceduto.
Dunque era meglio cedere da subito.
Lisbon si slacciò la cintura di sicurezza, aprì lo sportello ed uscì dall'automobile consegnando le chiavi a Jane.
"Vedi di rispettare il Codice della Strada, almeno!"
L'uomo ridacchiò divertito.
"Lisbon, non vuoi che ti apra lo sportello?" domandò mentre la donna entrava in auto e si sedeva accanto al sedile del guidatore.
"Sarebbe stata una mossa galante, da vero cavaliere!"
Un "Va' all'inferno" borbottato fu l'unica risposta che ottenne da Lisbon, ma non parve crucciarsene.
Entrò in auto e si mise alla guida, voltandosi verso Teresa e trovandola che fissava ostinatamente fuori dal finestrino.
Jane sorrise e mise in moto: nonostante quell'atteggiamento scontroso, Lisbon aveva un tono divertito quando l'aveva mandato al diavolo.
Ciò significava che la premura di Jane non le era dispiaciuta poi tanto.
Mentre viaggiavano in silenzio lungo le strade di Los Angeles, entrambi rifletterono sul fatto che la serata doveva ancora cominciare.
Jane sperava che Teresa la finisse di recitare la parte dell'arrabbiata, così da poter tornare a stuzzicarla in tutta tranquillità.
Lisbon sperava che la serata finisse il prima possibile, in modo da non dover ascoltare le provocazioni di Jane e da non doverlo guardare negli occhi.
E quel pensiero adesso? Che senso aveva?
Teresa sospirò e si voltò verso il guidatore.
"Jane? Esattamente, dove stiamo andando?"
L'uomo sorrise senza distogliere lo sguardo dalla strada.
"E' una sorpresa Lisbon! Ormai mi conosci, sai che mi piace stupire e sorprendere!"
Lisbon annuì lentamente: sì, lo conosceva bene.
Era proprio per questo che era preoccupata...







*Grazie alla recensione di Aoko Nakamori ho corretto l'indirizzo della sede del CBI, che ora è completamente inventato (ma si tratta di una via esistente a Sacramento) =D

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Capitolo 5
*** Nine o'clock, surprise time ***


~9.00 PM
Da qualche parte a Sacramento
 
"Jane, per l'ultima volta... Dove stiamo andando?"
La voce di Lisbon suonava scocciata ed irritata, sebbene la donna stesse tentando di rimanere calma.
Non voleva dare a Jane la soddisfazione di averla -di nuovo!- fatta uscire dai gangheri ma, a giudicare dal silenzio ostinato e dal sorrisetto divertito dell'uomo, aveva miseramente fallito.
Soffocò una salva di insulti che lottavano per uscire dalle sue labbra e puntò lo sguardo sulla strada: erano in macchina da più di mezz'ora e, nonostante il piede di Jane fosse solo raramente scivolato dall'acceleratore, non erano ancora in vista della loro meta.
Lisbon lanciò un'altra occhiata irritata a Jane, rilassato e sereno come suo solito: non l'aveva ancora presa in giro per la sua avventatezza nell'aver scommesso con lui...
Che stesse tenendosi quell'argomento come conversazione per la cena?
Di punto in bianco, senza neanche mettere la freccia, Jane cambiò corsia e si spostò verso destra, avvicinandosi ad una strada che Lisbon non aveva mai visto prima, così come tutta la zona, del resto.
La donna sbuffò e tornò a voltarsi verso Jane.
"Tralasciando il fatto che hai commesso un'infrazione al codice con me presente e con la mia macchina... Siamo finalmente arrivati?"
Jane annuì, il sorriso ancora presente sul volto, e posteggiò l'automobile poco più in là.
Una volta terminata la manovra scese rapidamente e riuscì ad aprire lo sportello di Lisbon prima che lo facesse lei: Teresa lo guardò, indecisa se mostrarsi stupita o irritata.
"Volevo tanto farlo visto che prima me lo hai proibito!" si giustificò allegramente Jane.
Teresa alzò gli occhi al cielo e sospirò, mentre Jane si incamminava e le faceva cenno di seguirlo.
"Comunque non sei brava a fingerti arrabbiata." sentenziò, sorridendole e lasciandola interdetta.
Lisbon stava per replicare che lei non fingeva, lei era effettivamente arrabbiata, ma la vista dell'entrata del ristorante le fece morire la voce in gola.
Sotto una lunga tettoia, dall'aspetto inusitatamente curato e pulito, campeggiava la scritta "The Firehouse Restaurant".
Non era un'esperta né un'appassionata di luoghi raffinati, ma di quel ristorante aveva sentito dire unicamente meraviglie.
Non esageratamente raffinato, si mangiava divinamente e non si spendeva un capitale: doveva ammetterlo, stavolta Jane l'aveva davvero colpita!
Seguì Jane verso il bancone della reception, dietro al quale stava un uomo in un impeccabile completo nero: si alzò al loro arrivo e sorrise cortesemente.
"Buonasera, c'è una prenotazione per due a nome di Patrick Jane."
L'uomo annuì e scorse un lungo elenco di nomi appuntato su un ordinato bloc notes, per poi riporlo e sorridere nuovamente.
"Accomodatevi pure, Chester vi accompagnerà al vostro tavolo."
Come richiamato da qualche forza misteriosa, l'appena nominato Chester si materializzò davanti a loro, salutando educatamente Jane e Lisbon e scortandoli verso il loro tavolo.
Teresa si guardava attorno sempre più stupita: di tutte le follie di Jane, questa era la più grande!
"Prego, accomodatevi: passerò tra poco per prendere le vostre ordinazioni."
La voce del cameriere riscosse Lisbon dai suoi pensieri: ringraziò il giovane con un cenno ed un sorriso frettoloso, apprestandosi poi a sedersi.
"Oh no, questo devi concedermelo!"
Lisbon si voltò, trovandosi a pochi centimetri da Jane, che...
Stava tenendo la sua sedia?
Oh no, quello no! Pensava forse di vivere nel Medioevo?
"Jane, no!" sussurrò rapida, guardandosi attorno.
Nessuno sembrava far caso a loro, ma era una scena che avrebbe volentieri evitato in pubblico.
Il rifiuto di Teresa non scalfì minimamente il sorriso di Jane.
"Non preoccuparti, gli altri clienti si scandalizzerebbero soltanto se non compiessi questo gesto."
Lisbon fu costretta a capitolare: piegò le gambe e lasciò che Jane le spingesse delicatamente la sedia sotto il posteriore, accomodandosi infine sul liscio sedile in legno.
Jane si accomodò dritto davanti a lei, sorridendo del suo imbarazzo.
"Hai caldo, Lisbon? Perché quelle guance rosse?"
Teresa gli lanciò un'occhiata che sperava apparisse tranquilla.
"Sì, un po'." dichiarò lapidaria.
Mai avrebbe ammesso che erano quel luogo, quella serata e quella situazione ad intimidirla!
L'arrivo del loro cameriere personale fu decisamente provvidenziale.
"Se i signori vogliono ordinare da bere, nel frattempo..."
Jane si voltò verso di lei.
"Del vino va bene?"
Lisbon annuì.
"Sì, del vino rosso sarebbe perfetto..."
Non appena ebbe pronunciato quelle parole, si sarebbe volentieri sotterrata: no, non aveva davvero chiesto del vino rosso in presenza di Jane...
Il suo accompagnatore non parve tuttavia turbato: si voltò verso il cameriere ed ordinò una bottiglia di Lancaster Estate, congedandolo poi con un sorriso.
"Jane, io... Sono una stupida..."
Teresa parlò di getto, sinceramente dispiaciuta: Jane però accolse con una risatina queste sue scuse.
"Figurati Lisbon, sarei io lo stupido se me la prendessi ogniqualvolta viene pronunciata la parola "rosso"!
E poi..." si fece pensieroso.
"Se il cameriere si chiamasse John, e tardasse nel portarci il vino, mi volterei senza problemi per urlargli "Ehi John, il rosso?"!"
Lisbon rise, sollevata: Jane era una sorpresa continua!
Poco dopo giunse il cameriere che abilmente stappò la bottiglia e, su invito di Jane, versò il primo bicchiere a Lisbon: lei lo sorseggiò lentamente, osservando Jane da sopra il bordo del suo bicchiere.
Sorrideva, come aveva fatto da quando si erano visti, ma più che divertito sembrava... Felice.
Lisbon si riscosse e posò il bicchiere sul tavolo.
"E' perfetto, grazie."
Il cameriere fece un piccolo cenno col capo e si allontanò nuovamente, lasciando Jane libero di riempire i loro bicchieri: ciò fatto, sollevò il proprio calice e strizzò l'occhio a Lisbon.
"A questa serata?"
Teresa sorrise e levò a sua volta il bicchiere.
"A questa serata."

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Capitolo 6
*** Ten o'clock, dessert time ***


~10.00 PM
"The Firehouse Restaurant"
 
Dopo le prime due portate, Lisbon e Jane potevano dirsi più che soddisfatti.
Il cibo era squisito, il vino di ottima qualità e la conversazione... Beh, era stata vivace ed amichevole dall'inizio alla fine.
Il cameriere stava portando via i piatti vuoti e Jane, rilassato e in pace col mondo intero, sorrise a Lisbon: la donna sorrise in risposta, sospirando.
Jane inarcò le sopracciglia.
"E quel sospiro?"
Lisbon si strinse nelle spalle.
"Niente, è solo che..."
Si interruppe, alla ricerca delle parole giuste: come esprimere quel concetto in modo poco... Compromettente?
"La serata è stata niente male!" concluse, sorseggiando dell'altro vino.
Jane sorrise sornione.
"E' stata? Lisbon, ancora non è finita! Potremmo ordinare un dolce, a meno che..."
Ridacchiò, facendo sì che Lisbon smettesse di bere e lo guardasse con diffidenza.
"... A meno che certe tue affermazioni non siano già state abbastanza dolci!"
Lisbon lo fulminò con lo sguardo ed abbassò il bicchiere con foga.
Troppa foga.
Mentre riponeva il calice sul tavolo urtò la saliera, rovesciandone il contenuto sulla tovaglia.
"Oh no..." le uscì detto, mentre Jane minimizzava.
"E' solo del sale, Lisbon, niente di irreparabile."
Nonostante le parole di Jane, del tutto veritiere, Lisbon non sembrava tranquilla: lanciò un'ultima occhiata ai numerosi granellini di sale che spiccavano sulla tovaglia, tornando poi a rivolgersi a Jane.
Lo trovò che la fissava con espressione a metà tra il divertito e l'inquisitorio, e non poté non avvertire un brivido percorrerle la spina dorsale: quale sconvolgente rivelazione stava per darle Jane?
"Beh? Cosa c'è?"
Jane annuì e sorrise, quel sorrisetto irritante che esibiva quando sapeva di aver ragione e, soprattutto, quando sapeva che Lisbon avrebbe negato fino alla morte.
"Tu sei superstiziosa." dichiarò.
Non era una domanda, era un'affermazione.
Se un'affermazione del genere veniva fatta da Jane, con un simile tono di voce, con un sorriso così convinto, si poteva star certi che non portava nulla di buono.
Lisbon, com'era prevedibile, fu molto sorpresa e negò tutto.
"Superstiziosa? Jane, questa tua uscita batte tutte le precedenti!"
Jane continuò a sorridere, divertito dall'imbarazzo dell'altra.
"Non me la racconti affatto giusta, Lisbon.
Stai cercando di difenderti con troppa energia: se questa mia ipotesi..."
Calcò intenzionalmente la parola "ipotesi".
"... Non corrispondesse al vero, che motivo ci sarebbe di prendersela tanto?"
Lisbon lo squadrò con aria truce, senza però riuscire ad intaccare il suo sorriso: avrebbe voluto rispondere "Il motivo sei tu!", ma non voleva fornire a Jane nuovi spunti per prenderla per i fondelli.
Si limitò dunque ad una seconda scrollata di spalle, fintamente indifferente, e ad una risposta rapida ed indolore.
"Non c'è alcun motivo, infatti: beh..."
Tentò di cambiare discorso.
"Ordiniamo questo dolce?"
Jane la guardò dritto negli occhi, ma straordinariamente evitò di commentare questo brusco cambiamento di argomento.
"Sì, qui fanno una crème brûlée sensazionale: ti va bene?"
Lisbon annuì quasi senza ascoltarlo: anche se avesse nominato il dolce più calorico e disgustoso della terra, avrebbe assentito.
Tutto pur di togliersi da quella situazione fastidiosa!
Ad un cenno di Jane il cameriere si avvicinò, annotando su un taccuino la loro ordinazione: Lisbon osservò Jane, e si ritrovò a pensare per l'ennesima volta in quella serata a quanto apparisse diverso.
Sereno, rilassato, a suo agio.
Non le capitava spesso di vederlo così e, doveva ammetterlo, la cosa in parte la sorprendeva, in parte le faceva piacere.
"Oh, sarebbe possibile avere del tè?"
Lisbon si trattenne con fatica dall'alzare gli occhi al cielo: no, nessun pericolo, era sempre il solito Jane.

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Capitolo 7
*** Eleven o'clock, black cat and glances time ***


~11.00 PM
Per le vie di Sacramento
 
Quella scena sembrava un déjà vu.
Un grosso SUV nero sfrecciava per le strade di Sacramento, incurante dei limiti di velocità.
Alla guida, sereno e rilassato, stava Patrick Jane.
Accanto a lui, immersa in un silenzio astioso ed irritato, c'era Teresa Lisbon.
Lei era convinta di avere tutti i motivi per essere irritata con lui.
Al ristorante stava procedendo tutto a gonfie vele, tra conversazioni serene, battute pungenti -ormai di routine, parlando di Jane-, sorrisi.
All'arrivo dei dolci e del tè i due erano tornati silenziosi.
Jane aveva sorseggiato misuratamente il suo tè -servito in un impeccabile servizio in porcellana, con tanto di dolcetti e bricco del latte-, osservando con interesse Lisbon che, dall'altra parte del tavolo, gustava la sua crème brûlée.
Lisbon aveva avvertito su di sé lo sguardo penetrante dell'altro, ma aveva continuato a mangiare a capo chino, affatto desiderosa di incrociare gli occhi azzurri di Jane, sicuramente ridenti e pronta ad imbarazzarla.
La tragedia era cominciata al momento del conto.
Non appena il cameriere aveva portato loro l'elenco delle consumazioni, celato da un elegante quadernetto in pelle nera, Jane se ne era appropriato.
All'occhiata stupita di Lisbon, già pronta ad estrarre il portafogli dalla borsa, aveva replicato con una frase che avrebbe fatto impazzire qualunque donna: "Non crederai che ti lascerò pagare, vero?".
Lisbon era effettivamente impazzita.
Dalla rabbia.
Aveva sussurrato improperi all'indirizzo di Jane mentre l'altro pagava, mentre si avviavano all'uscita e mentre si avvicinavano all'auto.
Davanti al SUV di Lisbon finalmente Jane si era degnato di risponderle.
"Perché te la prendi tanto, Lisbon? In fondo il termine della scommessa era che tu venissi a cena con me, non che mi offrissi la cena!"
Questo aveva completamente ammutolito Lisbon, che aveva comunque recuperato la parola qualche istante dopo.
"Guido io."
Aveva utilizzato un tono autoritario, lo stesso che adoperava per assegnare ai suoi sottoposti le diverse mansioni durante un'indagine: forse era stato quello l'errore più grande...
Se Jane la ignorava spudoratamente nel corso di un'indagine, come poteva pretendere che le desse ascolto durante un appuntamento?
"Una cena, una cena!" si era corretta mentalmente, giusto in tempo per ascoltare la breve replica dell'altro.
"Non credo proprio."
Prima che lei, piccata, potesse dire alcunché, Jane si era seduto al posto di guida e le aveva fatto cenno di salire.
A labbra strette, come a voler trattenere fisicamente il fiume di improperi che stava per vomitare addosso a lui, Lisbon si era seduta di malagrazia al posto del passeggero.
Da quando la macchina era uscita dal parcheggio fino a quel momento, nessuno dei due aveva spiccicato parola.
Mezz'ora di silenzio assoluto.
Sembrava diventata una sfida di testardaggine, una sfida che nessuno dei due sembrava disposto a perdere.
Lisbon lanciò l'ennesima occhiata incendiaria a Jane che, dal canto suo, sembrava trovare più interessante fissare la strada: la cosa che più irritava Lisbon era però l'ormai onnipresente sorrisetto che incurvava le labbra del guidatore.
Un sorriso che, insieme, la irritava e le faceva venire voglia di urlare; un sorriso ben diverso da quelli, ampi e sinceri, che riuscivano ad illuminargli gli occhi e che sembrava riservare unicamente a...
Lei?
Si voltò di scatto e tornò a fissare immusonita la strada: ormai mancava poco al suo appartamento, così avrebbe potuto salutare Jane -anzi, col cavolo che l'avrebbe salutato!- e se ne sarebbe potuta andare a dormire.
Purtroppo, un imprevisto mandò all'aria questo suo progetto.
Un imprevisto piccolo, rapido e completamente nero.
"Frena, frena!"
Jane pigiò bruscamente il pedale del freno, rischiando un testacoda e riuscendo a fermarsi soltanto dopo aver lasciato una lunga striscia nera sull'asfalto.
Lisbon intravide con la coda dell'occhio un'agile figura nera allontanarsi in tutta fretta e riprese a respirare più liberamente.
Con il respiro ritornò però anche l'irritazione, che non mancò di scaricare addosso a Jane.
"Perché accidenti devi correre come un matto?"
Jane sgranò gli occhi e alzò le mani.
"Non è successo niente, no? Mi hai spaventato con il tuo urlo!"
Lisbon assottigliò gli occhi.
"Senza il mio urlo avremmo investito quell'animale e probabilmente ci saremmo schiantati contro la prossima pattumiera!"
"Stai criticando la mia abilità di guidatore? Ti ricordo che una volta ho guidato bendato!"
Sorrise, Jane, come se quella frase fosse bastata a calmare Teresa: assolutamente no!
"Non mi interessa! Al posto di quella bestia poteva esserci un pedone!"
"Avanti Lisbon, era solo un gatto..."
Lisbon percepì che stava per giungere la stilettata.
"... Nero."
Appunto.
Inspirò profondamente, provando a calmarsi, tentativo vanificato dalla successiva domanda di Jane.
"Perché sei così superstiziosa?"
Lei lo squadrò con freddezza.
"Non sono superstiziosa, e non mi ero neanche resa conto che quel gatto fosse nero."
"Lisbon?"
Jane la stava fissando con uno sguardo strano, a metà tra il compassionevole e il divertito, ma incredibilmente nei suoi occhi era percepibile una punta di...
Dolcezza?
Doveva essere colpa del vino...
Teresa sospirò.
"Non lo so, va bene? Fin da piccola ho avuto il terrore dei gatti neri, di rompere uno specchio, di..."
"D'accordo, ho afferrato il concetto." la interruppe Jane, lanciando un'occhiata alla strada deserta davanti a loro.
"Suppongo che non potremo muoverci da qui prima che passi qualcun'altro, giusto?"
Lisbon annuì debolmente.
Subito dopo Jane, inaspettatamente, si sganciò la cintura di sicurezza e scese dall'automobile: lei rimase interdetta per un istante prima di fare altrettanto.
"Jane! Cos'hai intenzione di fare?"
L'uomo, qualche passo avanti a lei, si voltò e si strinse nelle spalle.
"Vorrei evitare di passare la nottata qui, dunque "spezzerò la maledizione" così potremo passare!"
Lisbon rimase piantata dove si trovava.
Il gesto di Jane era stato carino a modo suo, sebbene la motivazione non fosse propriamente cavalleresca, però...
Sì, Teresa Lisbon era superstiziosa.
Fottutamente superstiziosa.
Dunque sapeva bene che la sfortuna derivante dal passaggio di un gatto nero avrebbe colpito Jane, che ci credesse o meno.
Non poteva accettare che quell'uomo subisse altre sventure per...
Sì, per colpa sua.
"Patrick!"
Scattò in avanti, stupendosi per quel gesto e, senza rallentare, oltrepassò il punto dove si trovava Jane e gli si piazzò davanti, costringendolo a fermarsi.
"Sei venuta a salvarmi, Cavaliere Lisbon?"
"Smettila di fare l'idiota, e..."
Lisbon realizzò soltanto in quell'istante che Jane non aveva superato il punto dove aveva transitato il gatto nero: lo aveva appena fatto lei.
Le sfuggì un versetto orripilato, mentre Jane ridacchiava.
"Sapevo che avresti cercato di fermarmi.
Volevo che fossi tu a verificare che non ti accadrà nulla, e a superare questa tua superstizione."
Teresa lo fulminò con lo sguardo.
"Ti sembra normale quello che hai fatto?"
Jane inclinò il capo da un lato.
"Mi hai chiamato per nome."
Lisbon boccheggiò, ma riuscì a replicare.
"Non è una risposta alla mia domanda!"
"Mi hai chiamato per nome, e non lo fai mai."
"Resti sempre un idiota!"
Abbassò lo sguardo, vergognandosi di quella sua reazione da ragazzina spaventata, ma tornò ad alzarlo non appena Jane parlò di nuovo.
"Comunque... Grazie, Teresa."
Lisbon non potè trattenere un lieve sobbalzo: l'aveva chiamata per nome, senza pensarci due volte e senza motivazioni.
"Di cosa?"
Patrick si chinò appena verso di lei.
"Della serata, della pazienza e... Del salvataggio dalla nera bestia feroce."
Prima che Lisbon potesse rispondere o, più semplicemente, sorridere, Patrick la bloccò con un bacio leggero.
Teresa sbarrò gli occhi, smettendo quasi di respirare.
Lentamente, come a voler prolungare sempre più quell'attimo, gli si fece più vicina e rispose al bacio.
Patrick percepiva il calore delle labbra di lei, il profumo dei suoi capelli che si mescolava con l'aroma penetrante del suo dopobarba, le mani di lei appoggiate sulle sue.
Dopo qualche istante -o forse una vita intera- si separarono: Lisbon era piuttosto rossa in volto, Jane appariva più felice di quanto non fosse mai stato.
"Questo gatto nero deve essere difettoso." sentenziò lui, strappando una risatina a Teresa.
"Non credo: d'altronde so benissimo che tu sei e sarai sempre la mia sfortuna più grande."
Patrick rise a sua volta.
"E tu sarai la mia migliore sfortuna."
Teresa sorrise, finalmente libera di perdersi negli occhi azzurri di Patrick.
Patrick sorrise, finalmente libero di ritrovarsi negli occhi verdi di Teresa.







Nonostante il clamoroso insuccesso del precedente capitolo (xD), ho concluso questa storia.
La mia prima longfic portata a termine *w*
Grazie a Naky17, Gwriter, CarlyCourt, Tittili, Aoko Nakamori, isteria, Skinuzbear, Kay93 e I39k che hanno recensito almeno una volta questa storia =)
Grazie anche a NynmphCalypso e SereG per aver inserito la mia storia tra le preferite, e a Ainwen, Caskett96, Harmony89, NicotrisAmaltea, plum90, Vampire Ninja e _White_ per averla inserita tra le seguite =)

 

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