The young yellow line

di Kokato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Empty heads break down ***
Capitolo 2: *** 2- Quiet blue ***
Capitolo 3: *** 3- Jumpy legs ***
Capitolo 4: *** 4- To change the world starting by you ***



Capitolo 1
*** 1- Empty heads break down ***


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Scritta per il KinkMerlin Italia http://kinkmerlin-ita.livejournal.com/

 

 

CAPITOLO I - Empty heads break down

Cosa faceva credere loro che lo avrebbe fatto? Cosa faceva credere loro che avrebbe fatto quel passo? Che avrebbe sollevato la pianta del piede dal terreno, spostandola oltre quel limite? Merlin sbuffò, senza accennare a nessun altro movimento. Non era pronto alla rivoluzione. L’autobus era in ritardo ed intorno a lui le persone scalpitavano d’indignazione, tamburellavano le dita sui gomiti, si mordevano le labbra, toglievano e infilavano la mano con l’orologio dalla tasca dei pantaloni. La linea era lì, sull’asfalto. La fissava come se intendesse sfidarla a prendere vita, magicamente. Ma lei non lo faceva mai, non correva via da lui, non gli tirava via la mano, non lo invitava né alla fuga né alla lotta. Placidamente colorava l’asfalto.

Merlin sembrava il più ansioso dell’arrivo dell’autobus. Non era capace di stare fermo sulle gambe, voltava la testa da una parte all’altra, apriva e chiudeva la bocca sbattendo le labbra con un rumore di schiocco. Eppure non si muoveva da lì. Era irritante, quel ragazzetto magro coi suoi tic e l’indecisione che traspirava dai vestiti. Non era pronto alla rivolta.

Che problema questi giovani senza futuro.

 

 

“Intendi iscriverti in questa università?”.

Alla fine l’autobus si era degnato di passare, posandosi sulla linea come sé, procedendo, avesse poi potuto cancellarla dal suolo. Così non era stato. “Non intendo, sono iscritto”, rispose alla ragazza dalla pelle candida e i capelli neri che gli aveva sbarrato la strada all‘entrata della facoltà. Era bella in maniera quasi irreale, eterea nel senso stretto del termine, come un riflesso che si possa adombrare allungando una mano per sfiorarlo. Sorrise, porgendole la mano: “Sono Merlin”.

“Morgana. Mi hanno incaricato di fare da guida a dei liceali in visita e… sai che sembri un liceale?”.

“Me lo dicono piuttosto spesso. Ma sono una matricola, se la cosa può toglierti dall‘imbarazzo!”. mise da parte la sua battaglia generazionale per constatare che, effettivamente, quella ragazza era troppo bella per sperare che si fosse fermata ad interloquire con lui per un motivo diverso da quello che lei aveva addotto. Le sorrise nel modo meno stupido che gli riuscisse di fare. “Sarai pieno di entusiasmo! Io sono al terzo anno…. ah, piacerebbe anche a me tornare ad essere una matricola, qualche volta. Quando ti ritrovi ad essere un senior disilluso e sommerso dalle scadenze l’unica cosa che vorresti è andare a lavorare in una miniera… ah scusami, forse ho parlato troppo!”, ridacchiò, di fronte al suo sorriso ormai distorto dal vile peso della realtà. Amava semplicemente smontare le matricole con i racconti delle sue gesta, perciò liquidò la faccenda con una pacca sulle magre spalle. In un primo momento le era sembrato di aver fatto colpo, ma Merlin fece spallucce e salutandola proseguì con lo zaino in spalla che, tutt’ad un tratto, sembrava gigantesco.

“Ciao, ciao”, salutò, civettuola.

 

 

Era da quando aveva messo il piede su quel dannato autobus che il suo viso si rifiutava di assumere un’espressione umana. Le persone, solitamente, amavano le forme che il suo viso era in grado di assumere, erano bizzarre e tenere quasi. Aumentavano l’attenzione per lui, rendevano le conoscenze più approfondite. Ma quel mattino il suo viso non lo aveva aiutato a non farsi piantare lì da quella bella ragazza dai capelli neri e i gesti regali. Sospirò, sedendosi ad un tavolo della biblioteca. Fuori il cielo era sereno e prometteva una serenità che non lo toccava. Chissà come mai. Non aveva mai pensato seriamente di correre via dalla fermata dell’autobus verso chissà dove, era solo una fantasia.

Adorava la borsa di studio che gli aveva permesso di far capolino fuori dall’East end, adorava la sottile plastica della panchina alla fermata, adorava l’umidità impalpabile ed insistente della sua città. Solo che gli pareva ci dovesse essere qualcos’altro, come se si fosse trovato nel capitolo di un libro senza poter riuscire a voltare la pagina verso il successivo. Appoggiò il viso sottile sul palmo della mano.

Alla sua lezione mancava solo mezz’ora, ma non aveva la minima intenzione di alzarsi da lì se non pochi minuti prima dell‘inizio. A costo di farsi tutta la lezione scrivendo col quaderno appiccicato al muro. Non gliene importava un dannato fico secco.

Fu quando le lancette segnalarono che mancavano dieci minuti che accadde. Considerato che un insolito intorpidimento aveva accompagnato il suo insolito stato d’animo, si ritrovò a rendersi conto che la finestra davanti a lui era finita in frantumi più o meno quando una palla era rotolata vicino ai suoi piedi, dopo avergli colpito la testa e dimezzato le capacità intellettive. “Cosa diavolo…?”.

Raccolse la palla da baseball e si affacciò alla finestra, sotto la quale un ragazzo dai capelli biondi sventolava la mano al suo indirizzo. “Scusa ragazzo! Potresti rilanciarci la palla?”. Vicino a lui c’era Morgana, con le labbra rosse incurvate verso di lui. Lo salutò sventolando la mano rivolta verso il basso, come una dama composta ma allo stesso tempo vezzosa. Ragazzo a chi, poi? Aggrottò la fronte. “Dovreste stare attenti, dannazione! Mi è rimbombata la testa come una dannata campana!”.

Il ragazzo, con una mano su un fianco ed un atteggiamento superbo, ridacchiò. “Sarà perché è vuota! Ora rilanciaci quella palla prima che sia notte!”. What the fuck…? Fu fiero di sé stesso per l’essersi trattenuto dal dargli dell’imbecille, dell‘idiota, del nerboruto asino senza cervello... Finché effettivamente non lo fece. “IDIOTA! IMBECILLE! NERBORUTO ASINO SENZA CERVELLO!!!”.

Si limitò a distruggere ciò che rimaneva della finestra sbattendola, prendere la palla e avviarsi alla lezione al cui inizio, tutt’ad un tratto, mancavano solo pochi minuti.

 

 

Il suo zaino, senza una ragione, sembrava esser lievitato ulteriormente. Lo gettò per terra e sembrò quasi rimbalzare via. Sbuffò sedendosi e preparandosi all’inizio di quel nuovo corso che, sommandosi agli altri, avrebbe finito per provocare probabilmente l’implosione del suo cervello. Intorno a lui era uno svolazzare di fogli ed un fremere di nervi.

Lui, che era stato inspiegabilmente nervoso tutta la mattina, si limitò a fissare davanti a sé. Molti di quelli che lo videro pensarono che stesse aspettando qualcuno, e che quel qualcuno fosse il ragazzo biondo che gli si era stagliato davanti nel giro di pochi secondi, con un sorriso tremolante e un sopracciglio alzato. Merlin non se ne accorse che dopo parecchi secondi. Poi alzò il viso sgranando gli occhi ed unendo inconsapevolmente le labbra in un punto. “Ah, l’idiota”.

Indossava una camicia bianca su pantaloni di velluto -un abbigliamento da intellettualoide che mal si conciliava con la sua faccia da idiota, per l’appunto-. Uno scervellato calciatore con polpacci enormi ed un quoziente intellettivo inversamente proporzionale, e che per giunta pretendeva di negare la propria natura. Fu il suo momento di ridere.

“… ed imbecille, nerboruto asino senza cervello”, specifico l’altro, condiscendente. “Lasciami dire che il tuo modo di offendere la gente è piuttosto bizzarro”.

“Il tuo giocare a baseball lo è ancora di più”

“Oh, già… a proposito. Tu avresti qualcosa di mio, se ben ricordi”. Non che pensasse di fargliela pagare a quel modo, ma Merlin non aveva alcuna intenzione di restituirgli la sua palla.

“Non so di che cosa parli. Ora se vuoi scusarmi avrei da una lezione da seguire!”.

“Oh lo so”, improvvisamente sembrava trionfante. “Arthur Pendragon, comunque”, gli porse la mano. Merlin la prese distrattamente, ancora intento a guardare il vuoto e deciso a non dargli più attenzione di quanta ne meritasse. “… Pendragon?”, gli ricordava qualcosa.

Osservò meglio quello che gli era sembrato un ragazzo, notando che forse, in effetti, poteva anche non esserlo esattamente. “Pe… pe… Pendragon?”. Oh my god.

Professor Pendragon… per te”.

La gente nei paraggi trovò molto divertente il modo in cui Merlin era sbiancato ed era oscillato con la piccola testa, incassando la notizia come un pugno. Aveva dato dell’idiota ad un professore. Non che i professori non potessero esserlo -anzi, il più delle volte lo erano-, ma è un pensiero che un membro della sfortunata categoria- studenti non può esplicitare. Avrebbe preferito che fosse stato un Conte, un Duca… un Principe, qualcuno che avesse potuto lavare via l’onta mandandolo alla forca, alla ghigliottina, o magari alla gogna. Non rovinando la salute del suo fegato per molti mesi a venire, ad ogni modo.

Lo vide dirigersi verso la cattedra, su uno sfondo di risate.

Stupidi professori palestrati e troppo giovanili.

 

 

 

Stranamente il Professor Pendradon non aveva più reclamato la sua palla. Aveva parlato fluentemente della genesi della cardiochirurgia prima di radunare dei fogli in una cartellina, salutare, e uscire dall’aula lasciando la popolazione femminile in un tripudio di feromoni. Aveva spesso guardato verso di lui, sorridendo e ancheggiando nella sua direzione senza mai arrivare ad avere un contatto con lui. Era stato mortalmente stressante e i suoi appunti riportavano perlopiù la frase ‘Pendragon è un asino‘… nozione che, com’è evidente, non gli sarebbe stata molto utile per un futuro esame.

Sua madre Hunith lo vide chiudersi la porta di casa dietro le spalle e rimanere per qualche secondo fermo a respirare, di un respiro che avrebbe potuto attribuire ad un moribondo. Poi aveva alzato gli occhi verso di lei e aveva esclamato: “Sono morto!”.

“Cos…?”.

“Sono morto!”, ribadì lui, senza cenno di rettifica.

“Non mi sembra che tu sia…”.

“In senso figurato, mamma. O perlomeno sono certo che lo sarò molto presto!”. Marciò nella sua stanza prima che Hunith potesse aggiungere ulteriori consolazioni. John Lennon e compagni sembrarono incrociarlo e passargli accanto fugacemente dal poster attaccato al muro, camminando a grandi passi. Non riusciva a spiegarsi perché si sentisse così minacciato dal Professor Pendragon -in fondo non gli aveva arrecato chissà quale oltraggio-, ma dal sorriso che gli aveva rivolto si poteva pensare tutto tranne che non avrebbe dato seguito alla faccenda. “Ho come l’impressione che mi renderà la vita un inferno, lo so!” borbottò tra sé, prima di cadere all’indietro sul suo letto. Joe Strummer, dal soffitto, parve soffiargli una boccata di fumo sulla faccia. Finirò a Parigi a suonare una fisarmonica sotto un ponte, bevendo vodka da una bottiglia. Anche se come arriverò a Parigi, come mi procurerò una fisarmonica e come imparerò a suonarla non lo so ancora…

Dalla cucina sentì Hunith commentare la notizia che, nel carcere nordirlandese di Long Kesh, uno sciopero della fame era finito col bilancio di dieci detenuti morti (*). Sua madre era nordirlandese, e lui stesso aveva vissuto in Irlanda buona parte della sua infanzia, perciò l’andamento dei ’Troubles’ lo avevano sempre interessato in una maniera che lui stesso poco riusciva a capire. Chi combatteva per cambiare qualcosa, in particolare, chi avrebbe avuto il coraggio che lui non aveva di saltare oltre la linea di vernice tratteggiata sull’asfalto e correre chissà dove, tranne dove era previsto che si dovesse andare. Sbuffò, afferrando il suo costosissimo walkman, conquistato lavorando come un mulo come porta- birre in un pub irlandese.

(*)3 ottobre 1981- Finisce lo sciopero della fame dei detenuti repubblicani nel carcere di Long Kesh, in Irlanda del Nord. Durante lo sciopero sono morti 10 detenuti.

http://it.wikipedia.org/wiki/Troubles

 

NOTE DELL’AUTORE!

Dopo millenni passati a languire nei miei archivi, finalmente riesco a pubblicare questa fic. Si tratta sostanzialmente di un puzzle di vari input, derivanti dai due contest a cui ha partecipato (uno andato piuttosto bene, l’altro un po’ meno), e dal kink preso da KinkMerlin Italia che recitava “Arthur/Merlin, slash, AU. Merlin frequenta il college e Arthur è il giovane professore per cui perde la testa”, e siccome mi sembrava un’idea strana (io avrei visto più Merlin nei panni del professore, credo come un po’ tutti), ho voluto provarci. Spero che i personaggi siano IC.

La storia sarà composta da 4 capitoli piuttosto corti, e aggiornerò ogni lunedì per quattro settimane.

Spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate con un commento.

Bye! ^^

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Capitolo 2
*** 2- Quiet blue ***


CAPITOLO II - Quiet blue

 

Arthur Pendragon trovava Merlin Emrys un esemplare di ragazzo che sarebbe stato a pennello con cartello e pantaloni a zampa d’elefante nel 1968. Sembrava sempre sul punto di cominciare a ringhiare contro qualche autorità, non ascoltava quando gli si parlava e quando lo faceva aveva sempre qualcosa da ridire. Aveva un viso tenero e scarno da ragazzino, membra esilissime che nascondeva sotto abiti troppo larghi. Arthur Pendragon, che era un atletico quarantenne e l’immagine vivente del detto ‘mente sana in corpo sano’, aveva passato il 1968 già laureato, col sedere al sicuro ed un buon futuro annunciato dal suo status. Eppure aveva indossato dei pantaloni orrendi e, contro il perentorio parere negativo di suo padre Uther, era stato davanti all’università a strillare e ad innalzare cartelli. Semplicemente non sapeva da che parte cominciare per avere a che fare con lui, né benché meno perché avrebbe dovuto farlo. Stava seduto sul bordo di un’aiuola con le cuffie alle orecchie, battendo ripetutamente il piede sul terreno a ritmo. Gli si sedette accanto, sottraendogli una cuffia.

I fought the law… and the law won…”(**), canticchiò.

Merlin lo fulminò neanche fosse stato un drago o un unicorno.

“Sei un sovversivo tu, eh?”. Merlin corrugò la fronte, parve così dilaniato dai dubbi da essere sul punto di esplodere. Ribadire il suo iniziale giudizio, o cedere al nemico? Scelse di aprire la bocca e richiuderla, sembrando un pesce senz’aria.

“Non ti boccerò per partito preso solo perché mi hai dato dell’idiota… forse”. Il professor Pendragon era un uomo fatto e finito, ma sembrava aver fermato il tempo a dieci anni prima. A volte faceva lo stesso tragitto all’indietro anche con la mente, ed era forse per questo che gli studenti avevano con lui una confidenza persino disdicevole, talvolta. Gli ricordava un bambino, un bambino intelligente che si permetteva di essere capriccioso, proprio perché consapevole della propria intelligenza. Si era creato intorno un circolo di geni della medicina eccentrici e chiacchieroni, prima fra tutti Morgana con la sua spavalderia, il suo aspetto da Biancaneve e i suoi modi di fare talvolta spocchiosi. Eppure Merlin si sentiva minacciato, in qualche maniera.

“Non sarebbe molto professionale farlo, in ogni caso”, rispose infine, scegliendo di non piegare la testa. Arthur soppesò quelle parole, poi batté una mano dalle lunghe dita sulle sue esili spalle.

“Voi giovani siete sempre così nervosi. Non che non lo fossero anche ai miei tempi, ma non me ne sono mai andato in giro come fai tu, pieno di pensieri e come se l’intero peso del mondo pesasse sulle mie spalle. Anzi, in effetti ero un grande idiota da giovane!”.

“Me lo posso immaginare”, si coprì la bocca dopo averlo detto. In compenso arrivò uno schiaffo dietro alla nuca a punirlo della sua sfacciataggine. “Ahia”.

“Ribadisco il mio giudizio iniziale. La tua testa è vuota e ti boccerò per le prossime dieci volte che oserai presentarti al mio esame”.

“Ma faccia quello che vuole!”, sbraitò, mentre il Professor Pendragon si allontanava ridendo in un modo che gli parve malefico.

***

Neanche la biblioteca con la sua atmosfera vuota e asettica gli aveva impedito di pensare al Professor Pendragon. Sospirò sbattendo la testa sul tavolo e sperando, in tal modo, di far uscire quei pensieri dalla sua testa. Era molto nervoso, questo era vero, sottilmente insoddisfatto per una serie di ragioni, oggetti, sensazioni e relazioni.

Per le sue ossa sottili, per il cielo perennemente grigio, per il latte scaduto nel frigorifero, per la fredda indifferenza che la sua ex ragazza sfoggiava nei suoi confronti quando lo incontrava per strada.

Solo non capiva perché Arthur Pendragon fosse così ansioso di averlo nella sua cerchia di studenti geniali e affascinanti che abbellivano l’università come una specie di attrazione turistica. Sgranocchiò una mela acerba, sperando di farsi distrarre dal rumore che faceva.

Damn, stupid, idiot, moron of a Pendragon!”. sbottò infine tra sé e sé, frustrato, ottenendo di far rotolare via la mela dalla sua bocca. Si chinò sotto il tavolo, sbattendo immediatamente la testa contro una delle sue gambe. Era piuttosto ovvio, ma non prese la cosa con filosofia, imprecando nel bel mezzo di una silenziosa biblioteca. Si voltò di lato, sbattendo contro qualcos’altro. Alzò la mano per massaggiarsi la testa che, da qualche giorno a quella parte, doveva aver visto il proprio contenuto dimezzarsi. Cosa diavolo era?

“Emrys…”.

“…”, no, ma davvero? Ancora lui?

“Un momento che mi alzo!”, ma qualcosa che gli sembravano tanto delle gambe parvero bloccargli la testa. Poi udì una risata inconfondibile, e capì. “Dovresti metterti un paio di occhiali sai? O riempirti la testa di qualcosa che non siano ideali trascendentali che non t’impediscono di renderti ridicolo”. Dall’alto il Professor Pendragon lo fissava, con le labbra stirate in un sorriso irritante.

Io sono… tra le sue gambe? Si fece indietro il più in fretta che poté, rischiando più volte di finire con la testa praticamente conficcata nel tavolo. Poi indicò Pendragon con un dito, come se intendesse accusarlo di chissà quale crimine. Quello fece spallucce: “Io stavo solo leggendo”. “Non ha un diavolo di studio lei?!”.

“Preferisco qui”.

“Proprio di fianco a me?!”.

“Nessuno me lo impedisce”.

“Gliel’avrei impedito io se me l’avesse detto!”.

Quello sbuffò. “Sei terribilmente lamentoso sai?”. decretò con tono da paternale. “Avresti bisogno di qualcosa che ti calmi, ragazzo mio”.

“Non sono affari suoi!”, mentre sbraitava si accorse di Morgana che, fingendo di cercare un libro in uno scaffale poco lontano, tratteneva le risate.

“E tu cosa diavolo hai da ridere?!”. Quella lo apostrofò con un altro dei suoi gesti affettati ed incomprensibili, per poi andarsene.

Si sarebbe presto pentito di quella domanda.

***

Guinerete ‘Gwen’ Planitia (***), sentì dire in giro, era la moglie di Arthur Pendragon, oltre che un personaggio politico di grande rilievo, candidata come primo ministro dei Laburisti. Una donna bella e fin troppo sincera per stare in politica, e che Merlin aveva sempre approvato per quanto poteva. Ogni tanto la si vedeva girare il campus a braccetto di suo marito, sorridente ed incurante e con delle scarpe da tennis bianche ai piedi. Senza sapere perché Merlin, tutte le volte che li aveva visti, aveva aumentato il volume del suo walkman e aveva calato il cappuccio della felpa sugli occhi. Joe Strummer aveva strillato nelle sue orecchie che Londra lo stava chiamando (****), ma lui non intendeva rispondere.

Una volta Morgana gli si era seduta accanto davanti ad un‘aiuola.

“Il Professor Pendragon è davvero un bell’uomo”, considerò lei.

“E con questo?”.

“Nulla”.

Silenzio.

“Lui ti piace?”.

“Come scusa?”, Morgana rise della sua faccia sconvolta.

“Ha degli occhi molto belli”, spiegò.

“E questo sarebbe il motivo per cui dovrebbe piacermi?”.

“Sono simili ai tuoi, ma più chiari… i tuoi sono più… di un blu che ispira calma”. Quello era decisamente una grande e grossa stupidaggine. Ma prima di incontrare Pendragon Merlin era stato un ragazzo socievole, sorridente, persino dolce, e quella ragazza gli piaceva -più delle sue insinuazioni, perlomeno-. “Sei simpatica, Morgana”.

“Anche tu”.

“Ma hai appena detto una grossa stupidaggine”.

“Vuoi forse negare che gli occhi del Professor Pendragon siano belli?”, Merlin balbettò, in confusione come Morgana aveva voluto che fosse.

“Non ho detto questo”.

“Allora sono belli o no?”.

Cercò di focalizzarli, ed in effetti li trovò molto belli. Come il leggero accenno di barba sulla mascella definita, le grandi labbra e il leggero reticolo di rughe che scavavano la pelle senza togliergli fascino. Ma sì, gli occhi erano belli. “Credo di sì”.

Morgana sorrise trionfante, facendo per alzarsi. “Ah, un’ultima cosa”, si fermò. “Ricordati di guardarti negli occhi, ogni tanto”, e detto questo se ne andò.

***

Durante le lezioni del Professor Pendragon a Merlin sembrava di tornare al liceo. Non era stato paranoico pensando che il suo sottile odio verso di lui avrebbe portato a qualche conseguenza. Pedanti, fastidiose, odiose conseguenze. Arthur Pendragon coglieva ogni minima occasione per fargli domande di ogni genere sulle lezioni precedenti, di chiamarlo in causa ogni volta che ce n’era l’occasione. Temeva l’interrogazione come uno stupido liceale di primo pelo, e tutte le volte che non riusciva a rispondere il professore rideva, faceva qualche battuta sarcastica sulla presunta vuotezza della sua testa, e continuava a parlare.

Ogni giorno c’era sempre un bottone in meno abbottonato sulla sua camicia. La cosa lo innervosiva, e com’è ovvio non sapeva il perché.

Un giorno, dopo aver esposto nel dettaglio come riconoscere una fibrillazione atriale, Merlin aveva fissato l’indecente petto scoperto del professore, e aveva trattenuto il respiro. Poi lo aveva detto.

“Professor Pendragon, posso chiederle una cosa?”.

“Sì signor Emrys… mi dica”.

“Potrebbe abbottonarsi la camicia, se non le dispiace?”.

Intorno a lui gli altri studenti risero, qualcuno gli dette della checca ridacchiando sottovoce. Ma a lui non importò, perché si sentiva molto più calmo ad ogni bottone che veniva inesorabilmente allacciato.

“È soddisfatto ora, sua altezza?”, chiese infine, quando ebbe finito.

Merlin aveva sorriso, amaro.

“Perché io sia soddisfatto lei dovrebbe sparire dalla faccia della terra, Professore”, disse, meritandosi un’altra domanda.

***

Era ossessionato dalle sue gambe.

Arthur Pendragon non se lo sapeva spiegare, ma nutriva come una sorta di preoccupazione per gli arti inferiori di Merlin Emrys. Fin da quando questo aveva gattonato ed era colliso inevitabilmente contro le sue parti basse. Ricordava quella scena con divertimento, ma non l’aveva raccontata a sua moglie. A sua moglie raccontava tutto, ma di Merlin Emrys non era ancora riuscito a raccontarle nulla. Eppure, su quel curioso ragazzo dalle grandi orecchie e grandi nervi, avrebbe avuto molti e divertenti aneddoti da sciorinare.

Merlin Emrys era un magro diciannovenne dell’East end, gioviale, solare e benvoluto quanto poteva essere cupo e vibrante, irritabile e pronto a scattare come una molla per ogni tocco o parola fuori posto.

Merlin Emrys era un mistero, come l’interesse che Arthur Pendragon aveva per lui. Circondò le spalle di Gwen con un braccio, lasciando che questa gli si accoccolasse addosso mentre dormivano sotto coperte ancora leggere. “Lancelot tornerà in città la fine del mese”.

Arthur accolse la notizia riguardante uno dei suoi più fidati amici con disinteresse malamente dissimulato. “Invitalo a cena”, ordinò soltanto, come se non avesse potuto farlo lui stesso.

Gwen annuì, e stette immobile.

Le gambe di Merlin non erano mai ferme. Facevano movimenti ondulatori, fremevano, si muovevano sempre seguendo un ritmo che solo il loro proprietario sentiva. Starlo a guardare era un delirio. Anche quando la mela gli era caduta dalla bocca quella era rotolata fino a lui solo perché, rimbalzando sul suo ginocchio danzante, era stata pressoché lanciata tre sedie più avanti. Quello, poi, aveva criticato le sue gambe che lo facevano sembrare un calciatore del Manchester United, aveva borbottato varie imprecazioni con le guancie rosse e se n’era andato lasciando la mela morsicata sotto il tavolo. Arthur l’aveva presa e fissata come se avesse potuto svelargli il mistero della perenne agitazione di quel ragazzo. I contorni del morso erano irregolari, circoscrivevano una bocca piccola e dai denti affilati. Merlin era nervoso ed indisponente, ma anche uno studente di eccezionale talento, e a Gwen parlava di tutti gli studenti di talento che incontrava. Erano il suo vanto, eppure di Merlin non le aveva parlato.

“Gli scavi di Lancelot in Egitto sono andati bene”, quel che sapeva Arthur con certezza è che non voleva sentir parlare di Lancelot.

“Mi fa piacere”, commentò soltanto, poggiando la testa sul seno di sua moglie e facendo finta di addormentarsi.

(**) “I fought the law”, cantata dai The clash.

(***) http://it.wikipedia.org/wiki/Guinevere_Planitia XD Scusate se ho dovuto inventarmi un cognome così ridicolo, ma “Guinevere Pendragon” non potevo metterlo perché disapprovo nella maniera più assoluta le donne che prendono il cognome del marito.

(****) Ascolta “London Calling”, dei The clash.

Note dell’autore!

Sì, un altro capitolo di cazzeggio random… ma dal prossimo ci sarà la svolta XD Uhm, non ho molto altro da dire.

Spero mi vogliate far sapere cosa ne pensate *O*

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Capitolo 3
*** 3- Jumpy legs ***


CAPITOLO III - Jumpy legs

Quella mattina Merlin aveva provato a seguire il consiglio di Morgana, ma nei suoi occhi riflessi nello specchio non aveva visto niente. La linea alla fermata dell’autobus aveva cominciato a sbiadire, ed entro pochi giorni qualcuno sarebbe venuto a tratteggiarla insieme alle strisce pedonali più in là lungo il viale. Ma, tutto sommato, i suoi muscoli e la sua presenza di spirito erano fermi quando stazionò di fronte all’ufficio di Arthur Pendragon con un quaderno in mano ed una domanda sul programma d’esame che soltanto lui avrebbe potuto chiarire.

Interpretò il mugugno che udì come un permesso ad entrare. Dalla sua scrivania l’altro gli sorrise, ma gli occhi scavati lo fecero tremare ed arrestare sul posto.

“Non avrei mai immaginato di vederti qui, Emrys. Ti credevo troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di me”. Merlin non rispose, improvvisamente intristito. Il suo ginocchio si sforzava di non scattare in avanti verso di lui, o indietro verso la porta, ma in ogni caso tremava.

“Non ti boccerò davvero per le prossime dieci volte che ti presenterai all‘esame, se è questo che stai pensando”.

“Non l’ho pensato”.

“Bene. Allora dimmi cosa non hai capito”.

“Non ha dormito stanotte?”. Arthur lo fissò interdetto, reclinando la schiena all’indietro. “Non ho alcun problema d’insonnia”.

“È preoccupato per qualcosa?”

“Non vedo perché dovrebbe interessarti”. Era la prima volta che lo vedeva senza un sorriso di qualunque tipo sulla faccia. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie, facendolo sentire tutt’ad un tratto molto ignorante. Era stato sempre così aperto, così disponibile a mettergli su un piatto d’argento ogni indulgenza ed ogni nozione. Eppure si sentì minacciato, ignorante e stupido.

“A me… interessa”.

Arthur sollevò la testa verso di lui, coi capelli arruffati. “Non è niente, davvero”.

“Io… dico sul serio”. Arthur gli rivolse un sorriso che era diverso da tutti gli altri, che lo faceva sembrare saggio e tormentato come un Re oppresso dal peso di una decina di strategie politiche e militari non andate a buon fine, dall’imminente caduta del suo regno privato.

“Mia moglie mi tradisce col mio migliore amico”.

Merlin avrebbe ricordato quel momento come in una sorta di nebuloso caos che rende tutto indistinto. Eppure aveva pressoché conficcato i gomiti sulla superficie della scrivania e, protendendosi verso il suo professore, lo aveva baciato.

Non aveva pensato di consolarlo, né di giovargli in qualche modo.

Lo aveva semplicemente baciato, prima di fuggire senza che il suo dubbio sul programma gli fosse stato chiarito.

 

 

 

Arthur non approvava il gesto di Merlin. Aveva il doppio dei suoi anni, e farsela con uno dei suoi studenti per vendicarsi di sua moglie era quanto di più stereotipato avrebbe potuto fare per sentirsi meglio. Durante le lezioni non gli chiedeva più nulla, non lo guardava, manteneva un contegno maturo che faticava a rendere credibile. Il corso sarebbe finito molto presto, ma paradossalmente la constatazione non consolava nessuno dei due. Merlin lo fissava, incapace di fingersi indifferente.

Era nervoso oltre ogni più nera aspettativa.

L’autobus non arrivava mai, rideva in modo isterico per ogni più piccola sciocchezza e le gambe gli formicolavano continuamente. Dannato Pendragon. Ma non giunse alcuna reazione. Merlin capì perché si era sentito tanto minacciato da lui, e si maledì per non essere fuggito -dove?-. Si era immaginato a correre per Londra senza una meta, e si era parso solo molto ridicolo.

Ma quel che non sapeva è che Arthur non aveva parlato di lui a sua moglie. Perché non lo faceva? Lancelot sarebbe venuto a cena a fine mese. E lui aveva baciato un suo studente, maschio per giunta.

“Potrei preparare io la cena. Oppure potremmo uscire a cena fuori?”.

“Mh”.

“Mi senti, Arthur?”.

“Sì, Gwen”.

“Sicuro di stare bene?”.

“Sì. Scusami, ho da fare”.

Quando ebbe riattaccato Merlin era sulla porta del suo studio, e la scena del giorno prima gli tornò alla mente. “La porta era aperta”, si giustifico.

“Vattene via, per favore”.

“Le faccio così schifo?”. Arthur si pentì per essere stato tanto brusco. Il ragazzo sulla porta era giovane, ed era fragile come appariva. Lo scrutava coi grandi occhi blu con aspettative che non poteva soddisfare, ma lui non voleva ferirlo. “No, ma qualunque cosa provi per me non è reale”. Merlin inaspettatamente, rise.

“Questo sì che è un cliché. Ho la metà dei suoi anni, non sono idiota. Direi che è molto diverso”.

Arthur sgranò gli occhi, protendendosi sulla sedia come se intendesse scrutarlo meglio, a livello molecolare. Poi aveva ricambiato il sorriso sghembo, più tranquillo. “Che non sei idiota è tutto da dimostrare”.

“Molto adulto da parte sua”. Merlin si era avvicinato con le mani in tasca, scompigliandosi poi i capelli neri per prendere tempo, senza sapere che il gesto aveva fatto saltare un battito del cuore del suo professore. Si sentì in grado di mantenere tagliente il suo sarcasmo, un’arma in qualche modo sempre affidabile.

“Vorrei vedere te nei miei panni, ragazzino!”.

“Mmmh, credo sarei vecchio, stupido e cornuto”.

“Molto leale da parte tua!”, ora rideva a crepapelle. “E stai fermo con quelle gambe, mio dio. Mi farai diventare matto”.

“Gambe?”

“Sì, le tue gambe. Non stanno mai ferme”.

“E cosa ne sa lei delle mie gambe?”, ciò che aveva intuito lo aveva fatto sentire improvvisamente sull’orlo di conseguire una misteriosa vittoria. Superò la scrivania, posizionandosi al suo fianco. Si sentiva più sicuro, ancheggiò in una maniera che, a vedersi, gli avrebbe fatto desiderare di sotterrarsi. Arthur tergiversò, preso in fallo.

“Non gongolare, per l’amor del cielo. Il fatto che io mi sia interessato alle tue gambe non sta a significare che ricambierò i tuoi sentimenti infantili”.

“E chi ha parlato di sentimenti?”. Tutt’ad un tratto, coi suoi vent’anni, con le sue gambe sottili e con la sua inquietudine giovanile senza spiegazione, si sentì molto sicuro di sé stesso e con il manico del coltello in mano. “Non ho mai parlato di nessun sentimento”.

“Ho il doppio dei tuoi anni, non sono idiota. Direi che è molto diverso”.

Quella conversazione stava consumando i nervi di Arthur. Quello scimmiottarsi continuo a vicenda, in ogni caso, li faceva sembrare entrambi dei bambini dell’asilo. Merlin si era avvicinato più di quanto avrebbe voluto permettergli.

“E quali sentimenti crede che io provi?”.

“Non lo so. Ora allontanati”. Il ragazzo era in piedi alla sua destra, immobile. Sulle gambe magre i jeans ricadevano trasandati, solo il piccolo petto si muoveva appena sotto la forza del respiro trattenuto. In seguito avrebbe potuto giustificarsi dicendo di essersi voluto vendicare di sua moglie, che il ragazzo aveva detto di non provare niente per lui, che era maggiorenne e che la combinazione dei suoi occhi e delle sue labbra erano state letali per il suo buon senso. Ma erano state solo le sue maledette gambe.

“Vieni a casa mia. Mia moglie non è a casa stasera”.

 

 

In casa sua Merlin si sentì piccolo e miserevole. Non più giovane, ma piccolo, miserevole ed inopportuno. Eppure scandagliò l’elegante appartamento con una mano racchiusa nell’altra e con il respiro che passava quasi tangibile tra le sue labbra. Da un momento all’altro Arthur poteva rendersi conto di poter avere di molto meglio di uno come lui -come, in effetti, già aveva-. Ma in cuor suo sperò che non succedesse.

Erano fermi davanti al divano quando si accorse di essere tra le sue braccia. Represse il tremore delle ginocchia, per non indisporlo, e dopo parecchi secondi si accorse di star soffocando. Arthur depositò alito incandescente sul suo collo. “Io non sono quel tipo di uomo”, gli sussurrò quindi. Gwen non era quel tipo di donna.

“Buon per lei”.

“Davvero. Io non ho idea di cosa diavolo sto facendo”.

“Ne terrò conto”.

Sollevò il viso per baciarlo e lo trovò piacevole come la prima volta -anche se, la prima volta, neanche si era accorto di averlo trovato piacevole-. Circondò la vita sottile attirandolo il più possibile verso di lui, sollevandolo un po’. L’orlo della camicia scivolò sopra la sua mano, incitandolo ad esplorare la schiena scarna e far incontrare i loro inguini. Lo aveva in suo potere con una semplicità che lo spaventava. La bocca di Merlin era mantenuta chiusa con uno sforzo che gli parve disumano, e si sentì di non valere quello sforzo. Non aveva paura, semplicemente neanche lui sapeva cosa diavolo stava facendo, ed era un fenomeno che alla sua età era più frequente e più incontrollabile.

Gli morse un orecchio, lo cullò. Pian piano la bocca si aprì e le gambe iniziarono nei loro impietosi movimenti che li fecero vibrare entrambi. “Stai fermo”.

“Non ci riesco”, rispose soltanto, trattenendo la testa di Arthur nell’incavo tra collo e spalla. Arthur sorrise. Sfuggì alla morsa per togliergli la felpa e cominciare ad aprire la patta dei suoi jeans, più sicuro e privo di scrupoli. Non si accorse di non star pensando a niente se non alle sue gambe. Merlin lo vide scendere, inginocchiarsi davanti a lui, tirargli giù i pantaloni con una lentezza che lo stordì, osservare le gambe magre, quasi glabre e poco virili di cui non era mai andato fiero. Arthur lo guardò dal basso arrossire oltre ogni limite, e lo trovò irresistibile. Ne scelse una con cura, afferrandola con entrambe le mani. Vi posò le labbra, in un gesto così strano che Merlin lo fissò stralunato ed immobile.

“Sono ferme, finalmente”, commentò il professore ridendo. Tolse pantaloni, scarpe e calzini con la stessa espressione sulla faccia, incoraggiato dalla sua calma estatica. Riprese la gamba destra che aveva lasciato per qualche secondo -in cui gli era già parso d’impazzire-, continuando a baciarla per tutta la sua lunghezza. Merlin non si capacitava di come riuscisse ancora a reggersi in piedi -gli comunicava una tale… devozione-. Si sentiva un Re, o un principe. La camicia a quadri troppo lunga gli danzava attorno ai fianchi come un abito. Si riscosse appena per squittire, interrogativo: “Che? Cosa?”.

“Te l’ho detto, mi fai diventare matto…”, Merlin perse un battito, fraintendendo quelle parole per soltanto un secondo. “… devi calmarti, dannazione. Calmati, fidati, lasciati andare. Cambierai il mondo nel fine settimana!”.

“Io non ho bisogno di calmarmi!”, le sue proteste furono soffocate in un bacio inaspettato che lo spinse sul divano. Accolse Arthur tra le sue braccia.

NOTE DELL’AUTRICE!

Scusate, lunedì scorso mi sono completamente dimenticata di aggiornare e me ne sono ricordata soltanto adesso ._. I commenti sono pochi ma molti l’hanno messa tra le seguite quindi credo che a qualcuno importi… perciò mi scuso XD Ecco questa è la svolta. Molto inaspettata eh? Non vogliatemene, ma non ho cercato di essere molto originale, ma ho scritto solo in nome della verosimiglianza.

Spero possiate dirmi comunque cosa ne pensate XD

Bye!

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Capitolo 4
*** 4- To change the world starting by you ***


CAPITOLO IV - To change the world starting by you

 

Cambiare il mondo? Lui?

Nonostante fosse stato irrimediabilmente coinvolto dagli eventi, Merlin si era ricordato di quelle parole, e aveva voluto sapere cosa significassero. Sperò, inoltre, che il Professor Pendragon conoscesse la reale motivazione della sua inquietudine. Una simile saggezza gli sarebbe stata molto utile. “Perché sono così nervoso, secondo lei?”.

Giacendo a petto nudo sul letto, un Arthur stranamente beato si era voltato a guardarlo. Quel ragazzo nascondeva una meravigliosa bellezza che, a rivelarsi, lo aveva lasciato basito. Si era già reso conto di aver formulato un pensiero inadatto anche a qualsivoglia romanzetto rosa di quart’ordine ma, vedendo i grandi occhi blu inquadrarlo da sotto i capelli neri scompigliati, lo riformulò. Si sentì vecchio, nei suoi quarant’anni, vulnerabile a passioni transitorie, a baci dati d’impulso e al punk. “Sei giovane. Non sai cosa vuoi, non sai da che parte stare né come arrivarci. Ti muovi qua e là perché non sai in che direzione dirigerti. Sai che c’è un limite da superare, qualcosa da fare, qualcuno che devi diventare. Ma non sai dove, cosa, chi”. Stette zitto a guardare la sua espressione meditabonda. Quella saggezza posata e poetica non gli si addiceva, rese Merlin meno pensieroso di quanto sembrava, e piuttosto scettico.

Nei giorni seguenti Arthur si trasformò in adolescente innamorato, incurante delle regole, del proprio status, della differenza di età, del mondo e del buon giudizio. Il martedì lo attaccò trascinandolo in un aula in ristrutturazione completamente vuota, afferrandogli i fianchi e quasi sollevandolo di peso su uno dei banchi. Merlin non protestò, si sdraiò senza pensare e guardando al sorriso quasi ebete che aveva suscitato in Arthur. Sorrideva mentre lo baciava e mentre gli tirava via i pantaloni in tutta fretta e gli baciava il ginocchio, la coscia, il tallone.

“Meno male che era io a dovermi calmare!”, rise lui.

“Te l’ho detto che non so cosa sto facendo…”, rispose Arthur, alitando le parole nel suo interno coscia. “… quindi, di grazia, mi piacerebbe non me lo facessi notare in continuazione, Emrys!”.

“Ricevuto!”, rispose Merlin ridendo.

Non gli tolse nient’altro. Arthur amava semplicemente vedere le maglie o camicie troppo lunghe di Merlin ricadere sulle gambe nude, oscillando, sentire la sua pelle sotto le dita. Il suo senso di responsabilità non gli permise di fare nient’altro, di prendere da lui nient’altro. Era già impazzito per lui al punto da aver violato un bel po’ di norme deontologiche, ma sapeva che quella storia non aveva molte probabilità di finire bene. Solo… non gliene importava. Tutt’ad un tratto era tanto giovane ed incosciente da volere Merlin ogni secondo e prenderlo altrettanto spesso per sé.

“Strano, Morgana mi aveva detto che i miei occhi sono di un blu che ispira calma”, Arthur mugugnò, come infastidito, ma volle sperimentare quell’affermazione. Aveva già ammirato abbastanza i suoi occhi. Passò una mano sulla guancia che si arrossò al suo tocco, l’occhio si chiuse e si riaprì, puntato contro di lui. Rimase immobile per qualche secondo, col respiro sospeso e ‘Love is in the air’ che suonava nella sua testa come una nenia.

“No, non mi calma affatto”, sentenziò, prima di continuare a divorare la sua bocca.

 

 

 

 

“Sto cambiando il mondo facendomela con un uomo sposato, fantastico!”. Arthur, sentendolo, cadde giù dal letto tenendosi la pancia per le troppe risate.

“Oddio, ma allora è vero che vuoi cambiare il mondo… ragazzino!”.

“L’ha detto lei!”.

“Dicevo per dire! Tutti i ventenni con il tuo aspetto da supereroi sotto copertura vogliono salvare il mondo, è un cliché anche questo”.

“La nostra relazione va avanti a cliché. Direi che è degradante, professore”, quel commento lo fece ridere ancora di più. Risalì sul letto a tentoni, afferrandolo per la vita e ridendo contro il suo stomaco.

“Sarà, ma non mi pare che ti dispiaccia”. Merlin sbuffò e lasciò gonfie ed inermi le proprie labbra al suo attacco. Poteva essere una delle sue destinazioni quella, sarebbe potuto correre via una mattina oltre la linea alla fermata dell’autobus per poi volare via a salvare il mondo con mantello e tutina attillata. Si ritrovò a ridere insieme ad Arthur per altri motivi, a ricambiare il bacio con foga molto simile. Poi alzò gli occhi e vide Guinevere Planitia sorridergli da una foto dai colori accesi, con un cappello dalle falde larghe in testa.

“È ad un comizio a Manchester”.

“Perché la tradisce?”, Arthur fece solo spallucce, disinteressato. Lancelot sarebbe stato a cena da loro quel fine settimana. “Ci amava allo stesso modo. Pensava di aver scelto me… ma aveva sbagliato”. Merlin annuì, prese una grossa boccata d’aria. Cominciò a slacciarsi i bottoni della camicia, improvvisamente, con lo sguardo fisso nel vuoto come se vi stesse cercando coraggio per farlo. Lo aveva già sedotto una volta, ed altre ancora, poteva evitare di sentirsi dannatamente goffo. Eppure gli morse il collo in un modo che lo fece borbottare di dolore e gonfiare il petto da uomo fino a farlo sobbalzare. “Non c’è bisogno che mi consoli”. mentì, desiderando sempre più ardentemente di vedere tutti i suoi vestiti e le ansie cadere a terra, o meglio, dissolversi nel nulla. Merlin si tirò su a sedere, chinandosi poi su di lui. Sussurrò al suo orecchio, in un modo che poté divorare l’ultimo grammo della sua logica.

“No, ma ci posso provare”.

 

 

L’autobus lo scaricò come sempre a qualche metro da casa.

La linea sull’asfalto non era stata tratteggiata, e delimitava lo spazio di fermata del veicolo in modo non molto deciso. Era ormai sera, il lampione poco più in là lo illuminava mentre la fissava indeciso, immerso nelle sue fantasie. Improvvisò una specie di balletto, soffiò aria calda sulle proprie mani cercando conforto. Sai che c’è un limite da superare, qualcosa da fare, qualcuno che devi diventare. Ma non sai dove, cosa, chi.

… devi calmarti, dannazione. Calmati, fidati, lasciati andare. Cambierai il mondo nel fine settimana!

“Mia moglie mi tradisce col mio migliore amico”.

“Non c’è bisogno che mi consoli”. “No, ma ci posso provare”.

Merlin Emrys si ritrovò a correre lungo le strade di Londra senza rendersene conto, come in uno stupido film, tirando avanti i piedi l’uno davanti all’altro con spinte che gli facevano strattonare tutti i muscoli. Non sapeva dove stava andando, cosa o chi stava cercando.

Corse fin quando la meta non gli fu chiara.

 

 

Lancelot era la persona gentile, cordiale ed adorabile che Arthur ricordava. Mangiava gli spaghetti dall’altra parte del tavolo, mentre una Gwen entusiasta spiegava di poter presentare un programma politico efficace per recuperare la sconfitta alle elezioni di due anni prima. Arthur era stato così silenzioso da urtare più volte il campanello d’allarme di entrambi. Si sfregavano le mani, evitando di guardarsi a vicenda. Il seno di sua moglie descriveva un nervosismo consumante e mortale, sotto i respiri troppo grossi che inondavano la stanza. Era terrorizzata ed assolutamente raggiante allo stesso tempo.

Arthur tremò. “E dimmi, Arthur. Hai scovato qualche nuovo genio della medicina negli ultimi tempi?”. Si rivolse a Lancelot, incapace di deformare il proprio volto per sembrare naturale, diplomatico, per dare l’impressione di regnare sulle loro vite con scettro e corona. Non capì se prevaleva la rabbia per sé stesso, per loro… o l’attesa di qualcosa.

“Io non…”. Suonarono alla porta.

“Vado ad aprire”, annunciò Gwen, sollevata.

Lancelot non ebbe il tempo di ribadire la domanda, che dei passi veloci e leggeri si sentirono dal corridoio. Arthur si preparò a chiedere a Gwen, ridendo, perché andasse tutt’ad un tratto così di fretta. Poi lo vide, respirare molto più affannosamente di Gwen, con la testa chinata in avanti ed una mano a tenersi la pancia. La cortina di capelli corvini sul volto nascondeva la sua espressione, impedendogli di prevedere le sue intenzioni -anche se era troppo scioccato, troppo deliziato per cimentarsi in qualunque previsione-.

“Merlin”. Sua moglie osservava la scena dal corridoio.

Merlin scattò in avanti, lo afferrò per le spalle facendo unire le loro labbra. Durò un secondo, perché subito dopo appoggiò la testa su una sua spalla, quasi collassando sfinito su di lui. Aveva la faccia rossa, sentì il suo cuore battere veloce al punto di far pensare ad una tachicardia. Non poté semplicemente credere che fosse corso da lui, dall’East end al suo appartamento di lusso a South Kensington, per chilometri.

“Tu hai…?”.

“No, ad un certo punto ho preso l’autobus”.

“Ah, bene”.

Merlin aveva notato gli astanti, ma con grande sangue freddo li ignorò, pur sentendosi fissato -non con rimprovero, non con eccessivo stupore se non per il fatto che insomma… era un ragazzo, un ragazzo piombato in casa Pendragon da un momento all’altro, come una meteora-.

“Io per il momento non posso cambiare il mondo…”, sussurrò al suo orecchio. “… ma per adesso posso cambiare te”. Sorrideva.

Si staccò da lui, ancora sorridente, come se niente fosse si presentò stringendo la mano a Lancelot, e si sedette a tavola di fronte al cesto della frutta. Morse una mela con voracità.

“Uhm… bene, allora. Cosa c’è per cena?”.

 

Fine

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE!

Eggià, finisce così XD Sicuramente vorrete ammazzarmi in questo momento… quindi non mi dilungo sulle note finali. Come avevo già detto non mi sono impegnata a renderla troppo originale, ed in compenso mi sono divertita molto più del solito nel scriverla. E dire che di solito mi scervello in ogni maniera, ed il risultato non è mai molto migliore di questo XD

Tra l’altro i capitoli sono stati SCANDALOSAMENTE corti… ma non so perché quando ho fatto la divisione mi erano sembrati più lunghi. Tutto sommato potevo pubblicarla come One shot, ma alla fine avevo messo i titoli dei capitoli che adoravo e non potevo eliminarli *O* Quindi, scusatemi XD

Grazie a tutti coloro che hanno letto e commentato *O*

Alla prossima!

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