Regrets

di Rita Scheen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il loro inizio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


L'americana sistemò con dolcezza un cuscino dietro le sue spalle, con il viso tirato in una smorfia di dolore e preoccupazione.
La sua bella pelle, liscia e compatta, un po' tirata sugli zigomi, sembrava spenta.
Mai in altro momento quella frase, che si trovava tanto spesso dentro la carta dei cioccolatini, le era sembrava più vera.
Quelle ultime, lunghe, buie guerre stavano toccando le regioni vitali dell'Inglese, portandolo lentamente alla morte.
Solo in quel momento capiva quanto gli volesse bene.
Sul viso provato di Arthur si faceva strada un debole sorriso, mentre alzava e abbassava lentamente le palpebre sugli occhi lucidi.
La ragazza intuì in disagio causatogli dalla luce, e senza una parola si alzò a chiudere le tende.
Nel cielo terso splendeva un sole luminoso.
Non era la giornata ideale per morire, o almeno non per l'Inglese.
Ally era sicura avrebbe preferito una giornata grigia e piovosa.
Una giornata umida, nebbiosa, di quelle che ti fanno penetrare il gelo nelle ossa.
Quelle giornate di Londra, con quell'umidità che si condensava al respiro contro i baveri dei cappotti scuri, con quella nebbia che avvolgeva le cabine telefoniche rosse, donando a quel luogo severo un aspetto soffice di sogno.
Una di quelle giornate dove la pioggia cadeva incessante e fitta, scurendo l'asfalto delle strade e creando muri invisibili tra le persone.
Arthur le strinse la mano.
Dopotutto, pensò la ragazza, sebbene il suo aspetto fosse sempre lo stesso, giovane e composto, gagliardo e severo, il suo amato fratellone era una nazione molto vecchia.
Forse, pensò ancora mentre una smorfia di dolore le si dipingeva sul viso, era una nazione troppo vecchia, e troppo provata, perché potesse reggere il suo dolore. Un dolore che era sempre esistito, ecco.
Se in Inghilterra cadeva quella pioggia sottile tanto spesso, era perché Arthur aveva molti, molti dispiaceri che gli pesavano sul petto, e che nessuno avrebbe mai potuto distruggere.
Ma quello, forse, era stato troppo.
Una rosa bianca, poteva essere paragonata a lui. Non era forse il suo simbolo, simbolo della sua nazione, della sua regalità e di tutto il suo essere?
Ed ecco, tante mani, farsi avanti, con rabbia, afferrando i petali e staccandoli con violenza, stropicciandoli, uno ad uno, provocando un dolore a ogni strappo, lasciando il fiore nudo, senza petali, indegno d'essere chiamato rosa.
Perché così era l'Inglese.
Come se gli avessero strappato i polmoni, il fegato o la milza di dosso, rendendolo più debole, più gracile, indegno di portare ancora il nome di nazione.
E forse era proprio quello che gli stavano facendo.
Il ragazzo le strinse la mano con più forza.

« Voglio raccontarti una storia, Ally.»

Mormorò con voce roca e graffiante, nella quale si poteva comunque intuire una nota di dolcezza.
Una.. storia?
L'Inglese le raccontava sempre delle storie quand'era bambina.
Un giorno aveva smesso. Ally non sapeva perché. L'unica cosa che sapeva, un filo sottile che la teneva appesa al suo passato con l'inglese, era quella promessa, fatta velocemente, ma con una certa solennità.
La promessa di una storia stupenda ed eterna, aveva detto così?, che Arthur un giorno le avrebbe raccontato.
Era quello il giorno? Ed era quella la storia? L'americana avrebbe preferito di no.
Non sarebbe mai morto senza raccontarle quella storia, se lo sentiva. Quindi, se stava per raccontargliela, significava che era pronto a morire?
Che il suo fratellone, la sua guida, il suo Arthur, era pronto ad abbandonarla, lasciandole tra le mani quell'ultimo filo, che raccontando avrebbe tagliato, staccandola definitivamente da sé e dal suo passato?
Non voleva che quella fosse l'ultima storia.
Voleva che ce ne fossero altre e altre ancora, perché fino a poco tempo prima, l'Americana nutriva ancora una traccia appena visibile di speranza.
Una traccia così sottile che le sembrava di non potere più vederla. Forse non era solo una sua impressione.
Non voleva essere abbandonata. Sentiva le lacrime premere dietro le palpebre.
Avrebbe voluto che fosse tutto semplice come quando da bambina faceva un incubo, quando si svegliava, e piangeva stretta ad Arthur, che la rassicurava parlandole dolcemente all'orecchio e la riportava nel letto.
Ma quello non era un incubo, e lei non era una bambina. E per quanto lo desiderasse, non poteva stringersi al ragazzo piangendo e aspettando che la paura tacesse e sprofondasse nella sua mente, dissolvendosi all'apparenza come un banco di nebbia.
Forse era giunto il momento che la ragazza affrontasse la vita, una volta per tutte.
Cacciò indietro le lacrime e strinse le mani sulle ginocchia, bloccando il tremore che le percuoteva le gambe. Era seduta sul pavimento, con la schiena appoggiata al materasso e la giacca sulle spalle.
Nonostante il sole, sentiva un gran freddo, che le partiva da dentro, e l'attraversava come tante piccole scosse pungenti.
Gli volgeva la schiena, per evitare che s'intristisse vedendola così.
Perché lei era quella solare e spensierata. Già, era. Sarebbe potuta esserlo ancora, senza il suo Arthur?
Quella ragazza, se si fosse voltata a guardarlo in viso, non sarebbe più stata capace di trattenere le lacrime.
Si fece forza e parlò, con grande fatica, cercando di controllare la voce, perché non fosse troppo stridula, e perché non si spezzasse come un bicchiere di un cristallo troppo sottile a metà della frase.

 «  Mi racconterai la tua storia, oggi, Inghilterra? »

Domandò, chiamandolo col nome della sua nazione, per fargli piacere: un tipo di delicatezza che Ally non aveva mai saputo di avere.
Arthur doveva ricordarsi di essere una nazione. Doveva ricordarsi che aveva ancora qualcosa, per cui vivere.
Che aveva ancora qualcuno.

« No, Ally. E' una storia più importante, molto più importante, quella che ti racconterò oggi.»

La ragazza rimase interdetta. La sua ultima storia doveva parlare di lui. Doveva illustrarle tutto ciò che aveva passato, doveva darle la forza di andare avanti.
Doveva darla la forza di proseguire senza di lui. Doveva parlare di lui. Lei aspettava quella storia. Lei ne aveva bisogno.
Quel filo, quell'ultimo filo del suo passato. Il suo passato era Arthur. Quella storia doveva parlare di Arthur.


« Oggi ti racconterò una storia d'amore..»
 
 
 


 

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Capitolo 2
*** Il loro inizio ***


Delusa, la ragazza si scostò i capelli da dietro le orecchie, di modo che venissero a nasconderle il viso.
La carezza pungente sulle punte, ma delicata, dei capelli biondi profumati di shampoo la facevano sentire a casa.
Le ricordavano i capelli di Arthur, biondi anche quelli. Le ricordavano le mani dell’Inglese, che le lavavano i capelli quand’era piccola, e faceva il bagnetto nella bacinella di plastica.
Non sapeva che tipo di sapone usasse Arthur, ma era pronta a dire che aveva lo stesso profumo del suo attuale shampoo.
Quel profumo famigliare, legato al ricordo di giorni felici, le fece salire un groppo alla gola, e le riempì gli occhi di lacrime. Lacrime che, coraggiosamente, trattenne.

« Ricordo molto bene il giorno in cui decisi di volerti come sorella, Ally.»

Ally si rese conto d’aver solo sentito le parole di Arthur. Cosa stava facendo?! Quella, per quanto fuori luogo, era la sua ultima storia, e Ally non doveva sentirla. Ally doveva ascoltarla.
Doveva assaporarne ogni parola, sciogliendola lentamente tra le labbra. Doveva godere di ogni interruzione, ogni virgola, ogni esitazione, come un gatto sei tiepidi raggi di sole di un mezzogiorno invernale.
Doveva custodire quel racconto dentro di sé, non a memoria, di più. Doveva ricordare ogni cosa, le parole, i gesti dell’Inglese, le interruzioni, le sue espressioni.
Doveva ricordarsi di ogni cosa.

« Quando.. Quando decisi di volermi come sorella? »

Domandò la ragazza per conferma, stringendo gli occhi.
Maledizione, la sua ultima storia, la sua storia d’amore, iniziava con lei. Le cose si facevano confuse. Talmente confuse da lasciar intravedere ai pensieri della ragazza un barlume di speranza che aveva accantonato tempo prima.
Si sforzò di non pensarci, con scarsi risultati.
D’improvviso ebbe una grande paura. Se il fratello fosse morto, prima di finire la storia, beh, allora forse sarebbe morta anche lei, e con lei quella debole speranza.
Ad Ally non piaceva sperare. L’aveva sperimentato a sue spese. L’americana se lo ricordava bene. Una volta, da bambina, doveva giocare una partita molto importante con la sua squadra.
Era tranquilla. Era portata per lo sport, la più atletica. Arthur non c’era, e lei aveva osato sperare che tornasse in tempo da quell’ennesimo viaggio di lavoro.
Quando era scesa in campo con la coda tirata e la cannottiera, la speranza ormai l’aveva persa.
Ma non del tutto. Sentì il suo cuore accelerare, vedendo una testa bionda, delle spalle larghe e robuste.
Ci sperava ancora, dopotutto. E quando si era accorta che quel ragazzo non era Inghilterra, si era sentita più delusa che mai.
Non era il volerci credere, a deludere. Era il volerci credere ancora. Quello sì che deludeva.
Ed Ally non voleva restare delusa di nuovo.
Le tornò alla mente il giorno citato da Arthur. Il loro inizio, dopotutto.
Quel giorno, poco ma sicura, non era rimasta delusa.
Aveva desiderato di andare con quel ragazzo biondo e profumato, dalle buffe sopracciglia, ed era stata accontentata: lui l’aveva presa con sé, portandola fino a quel giorno, in bilico, tra la speranza e la realtà.
La realtà dal punto di vista dell’Americana, chiaramente.

« L’ho sentito dentro che saresti stata mia sorella. Dovevi esserlo, Ally.»


Mormorò l’Inglese con un sorriso. Si poggiò una mano sul petto. Una scena molto teatrale, un gesto avvenuto spontaneamente.
Sentiva il cuore palpitargli sotto il palmo della mano, non più sudato come alcune ore prima, ma perfettamente asciutto.
Tutto lui era così, caldo, ma non sudato. Caldo e asciutto, come il deserto di sabbia graffiante baciato dal sole. Pace, polvere.
Quei battiti regolari gli ricordavano d’essere vivo, e scandivano insieme alla sua voce le parole di quel messaggio che sperava Ally avrebbe capito, una volta terminata la storia.

« Eri così piccola e indifesa. Mi guardavi con occhi grandi e spauriti. Eri.. Eri una bella bambina. Sembravi un angelo, con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Sentivo di doverti proteggere. E adesso, guarda cosa sei diventata. Sei la più potente di tutti noi, Ally, sei l’unica che non se n’è resa conto. »
Soggiunse divertito.
La ragazza si limitò a chinare la testa, di più.
Avrebbe voluto voltarsi, piangere, e dirglielo.
Dirgli che aveva bisogno di lui. Che ne aveva un disperato bisogno. Che era ancora indifesa, che era ancora la bambina che sembrava un angelo, che rispondeva a modo e vestiva per bene.
Quel tipo di sorella che rendeva orgoglioso Arthur.

« ..Credo sia stato uno dei periodi più belli, quello. Quando eri piccola. Non credo tu possa ricordarlo, Ally, ma un giorno, ti strinsi la mano e ti guardai negli occhi, e poi ti dissi..»

« ‘..ti proteggerò sempre Ally. Non temere, diventerai forte. Più di quanto tu non possa immaginare.’»

Lo interruppe la ragazza con voce stridula, torcendosi una mano sudata.

‘Non sono ancora forte Arthur. Proteggimi ancora.’

 

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