SOGNI
D’ORO
CAPITOLO 2
UNA
FAMIGLIA ATTORNO AL TAVOLO
Quando Takashi
cominciò a svegliarsi, la prima cosa che percepì fu un tenue tepore che,
partendo dalla schiena, scendeva fino alla punta dei piedi, facendolo sentire
bene.
Una volta aperti
pigramente gli occhi, si stupì di trovarsi al buio; frastornato, si mise seduto:
non riusciva a distinguere nulla, ma udiva come un mormorio di voci allegre
proveniente da fuori: sicuramente era ancora in camera sua, ma…
Era da solo.
Eppure la giacca di
Shigeru-san era lì, quel tessuto era inconfondibile, al tatto, e anche il vago
aroma dolciastro del tabacco da pipa dell’uomo, che impregnava sia l’indumento
che l’aria, confermava la sua presenza lì, almeno fino a poco prima.
Doveva averlo
trovato addormentato e, per non fargli prender freddo, doveva averlo coperto con
quella.
A quel pensiero,
Natsume sentì un misto di felicità e malinconia farsi strada in lui: da che
ricordava, nessuno si era mai comportato così con lui, e l’affetto che i
Fujiwara provavano per lui lo disorientava e, al tempo stesso, lo faceva sentire
amato.
Una sensazione che
non ricordava di avere mai provato.
Natsume si sfregò
gli occhi, asciugando furtivamente una lacrima prima di alzarsi in piedi poi,
cercando di mantenere l’equilibrio, mosse qualche passo verso la porta: la testa
pulsava terribilmente e il collo gli faceva male, accidenti! S’era addormentato
sui compiti senza aver finito e il torcicollo se l’era meritato.
Da una delle
finestre del corridoio, vide la Luna ormai alta nel cielo e si chiese quanto
avesse dormito: era tutto indolenzito e frastornato.
Si guardò attorno
con aria circospetta ma non vide Nyanko-sensei da nessuna parte, malgrado fosse
assolutamente certo di ricordare la sua presenza sul morbido cuscino mentre lui
si arrabattava con i libri di scuola.
A passo lento e
cadenzato, si mosse lungo il corridoio, tra uno sbadiglio e l’altro, e infine
raggiunse le scale: i suoi occhi, non abituati alla luce, gli fecero appena un
po’ male, ma non durò molto.
Perché la voce
gentile di Touko-san raggiunse le sue orecchie e lui provò l’irresistibile
desiderio di raggiungerla.
Proveniva dalla
cucina.
Una volta trovatosi
lì davanti, non poté fare a meno di sorridere, chiedendosi come avesse fatto,
fino a quel momento, a rinunciare a tutto quello mentre vedeva i coniugi
Fujiwara seduti attorno al tavolo apparecchiato e con la piccola radio accesa
poggiata accanto alle spezie, e Nyanko-sensei che se ne stava appollaiato sulle
ginocchia della donna, sgranocchiando un calamaro grigliato.
Nascosto per metà
dallo stipite della porta, Takashi continuava a godersi quella vista che gli
allietava il cuore, senza avere il coraggio di interrompere quell’idillio
mentre, alle labbra, saliva spontanea una parola che, mai, aveva associato a
qualcuno dei tanti parenti che lo avevano preso a vivere con loro.
Famiglia…
Anche il solo
pensarla lo rendeva oltremodo felice.
Mamma…
Papà…
Altre parole che mai
era riuscito a pronunciare, neppure tra sé e sé, ma che gli sembravano così
naturali in quel momento, in quella casa e davanti a quelle persone, che si,
avevano legami di sangue con lui ma forse erano così flebili da essere quasi
inesistenti; eppure, per lui era quella la sua famiglia.
In quel momento,
Touko-san alzò la testa e lo vide.
Alzarsi di scatto,
facendo cadere un indispettito Nyanko-sensei, e raggiungere il biondo fu un
attimo.
“Ben svegliato,
Takashi-kun.” disse lei, tirandolo dentro la cucina, al caldo: “Dovresti dormire
di più,” la voce di Shigeru-san suonava ferma e gentile, pur se con una nota di
rimprovero, dovuto in massima parte alla preoccupazione che, Natsume lo sentiva
chiaramente, provava per lui, “Non ti fa bene crollare in quel modo.”.
Il micio si
appropriò della spalla del biondo, osservando con attenzione i gesti della donna
mentre riempiva il piatto del ragazzo con tutte le leccornie che aveva preparato
per cena, lo vide avvampare leggermente mentre prendeva in mano le bacchette e
cominciava a mangiare.
Era cambiato
qualcosa in lui, anche lo yokai se n’era accorto, nel cuore del suo protetto
ribolliva tutto un calderone di sentimenti intensi, che non c’erano quando si
erano incontrati per la prima volta.
E per quanto i
sentimentalismi non facessero per lui, era contento di vedere quell’espressione
felice sul viso di Natsume.
E anche al ragazzino
piaceva stare lì, riunito assieme ai Fujiwara, come una normalissima famiglia
attorno al tavolo, perché sentiva che era quello il posto dove doveva, e voleva
stare.
E che voleva sognare
sempre e comunque.
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