Hurricane

di Elpis Aldebaran
(/viewuser.php?uid=8671)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hurricane 1.2 ***
Capitolo 2: *** Hurricane 2.2 ***



Capitolo 1
*** Hurricane 1.2 ***


Essere un jonin comportava diverse e non poche responsabilità.

Essere un jonin donna comportava diverse e molte responsabilità.

Si sa, una donna, oltre al lavoro, deve pensare alla casa, alla famiglia, al marito e ai figli.

Per questo a Konoha le kunoichi decidevano di mettere su famiglia abbastanza presto, quando erano ancora giovani e nel pieno delle loro forze.

Tenten, in tutta la sua vita, non aveva conosciuto donne che avessero avuto più di due figli: lei era figlia unica, Lee anche, Neji pure. Poi c’erano Hinata e Hanabi, Kiba e Hana, e c’erano stati i fratelli Uchiha. Aveva conosciuto kunoichi che non si erano mai legate a qualcuno, come Tsunade-sama, e lei era arrivata in alto, era diventata prima uno dei tre ninja leggendari, poi Hokage.

Fin da piccola, Tenten aveva avuto grandi sogni di gloria, si era sempre immaginata come una ragazza forte e combattiva, che mai e poi mai avrebbe perso la testa per un ragazzo. Non perché non credesse nell’amore, ma semplicemente perché non le interessava.

Questo era il suo pensiero, finché Neji non l’aveva baciata per la prima volta.

 

 

 

 

 

Hurricane

No matter how many days I die, I will never forget 
No matter how many lies I live, I will never regret 
There’s a fire inside of this heart in a riot 
about to explode into flames 

 

 

 

 

 

1 di 2

 

 

 

A detta di Ino, Neji il più delle volte era inquietante, più di Shikamaru.

Sorrideva poco e non dava molta confidenza alle persone, ma Tenten sapeva perfettamente che non lo faceva di proposito. Era soltanto il suo modo di essere, perché non si poteva certo dare tutta la colpa a Hiashi Hyuuga.

Però lei sapeva che Neji, quando voleva, sapeva anche essere passionale. Non dolce o romantico, ci mancherebbe, ma ogni tanto si lasciava sopraffare dai suoi sentimenti e diventava quasi umano, un uomo che oltre a difendere il proprio villaggio, provava anche amore. Verso di lei.

E ogni volta che formulava quel pensiero, Tenten provava sempre un brivido dietro la schiena, perché non riusciva a capire come mai un ragazzo fantastico come Neji avesse potuto innamorarsi di una come lei.

Si amavano, di questo non avevano mai fatto mistero. Lui glielo aveva detto chiaro e tondo la prima volta che erano usciti ufficialmente per un appuntamento.

Neji era un tipo diretto, che non si lasciava condizionare da quello che era il protocollo di comportamento comune.

Solitamente un ragazzo, prima di dichiararsi, corteggiava per un po’ la ragazza che gli interessava; la portava fuori a cena, le faceva regali, cercava di passare ogni momento libero con lei. Poi, se era sicuro che i suoi sentimenti fossero ricambiati, si confessava.

Più o meno era quello che aveva fatto Naruto, anche se ci aveva messo anni per far cadere Sakura ai suoi piedi. Questo era quello che stava facendo Shikamaru con Ino, anche se lui non lo avrebbe mai ammesso pubblicamente, neanche sotto tortura.

Neji aveva saltato tutto quello ed era arrivato dritto al punto, senza nemmeno lasciarle il tempo di abituarsi all’idea.

Ma in fondo, a Tenten Neji piaceva anche per quello.

 

 

 

Neji le si era avvicinato, porgendole un braccio per aiutarla negli spostamenti.

Il giorno dopo la fine della guerra, Tenten si era ritrovata in infermeria con una gamba ingessata, confinata a letto da Sakura che in quei giorni sembrava un robot.

Ma c’erano troppe cose da fare, come aiutare a ricostruire Konoha, aiutare i feriti, contare i morti. Poi doveva ritrovare la sua famiglia in tutto quel macello, e restare ferma a letto era certamente l’ultima cosa che voleva.

Per questo Neji, senza rimproverarle nulla, aveva deciso di aiutarla quando l’aveva vista scendere dalla brandina dell’infermeria.

«Se Sakura dovesse chiederti qualcosa, tu non hai visto nulla» gli aveva intimato, mentre si aggrappava a lui per camminare.

Neji aveva risposto con uno dei suoi soliti mugugni, come segno d’assenso. O semplicemente non gliene importava granché.

L’accompagnò fino alla tenda delle Registrazioni, dove venivano denunciati i ninja disperarsi e si organizzavano le squadre di ricerca.

Tenten ebbe un attimo di esitazione nel vedere Iruka-sensei riferire a una giovane donna che il proprio marito era stato ritrovato morto. Ebbe un attimo la visione di lei che chiedeva notizie dei suoi genitori e Iruka che le diceva che erano morti anche loro.

Sarebbe stato un duro colpo.

Neji si accorse di quel suo turbamento e di come il suo corpo avesse cominciato leggermente a tremare. La fece sedere lentamente sull’erba, ben attento a non forzarle la gamba ingessata.

«Stai bene?» le chiese apprensivo, guardandola negli occhi.

«Certo… devo solo calmarmi un attimo. I miei stanno bene, lo so, me lo sento» rispose Tenten con un filo di voce. Stava cercando di auto convincersi che tutto sarebbe andato bene. Avrebbe ritrovato la sua famiglia, suo padre era un buon jonin e sua madre se la sapeva cavare: non doveva temere niente.

«Certo che stanno bene» fece Neji, fermo nel tono di voce. Tenten lo guardò perplessa, non capendo se la stesse rincuorando o meno.

«L’ho chiesto a Iruka, questa mattina. Immaginavo che fossi preoccupata. E’ meglio ricevere una brutta notizia da qualcuno che sia tuo amico, no?».

Tenten rimase in silenzio e nella sua testa tutta la frustrazione e le paure di quelle settimane di guerra si sciolsero come cera, portandola a piangere come una bambina.

«Grazie» gli mormorò appena, tentando invano di nascondersi gli occhi.

Neji si fece sfuggire un sorriso, aiutandola a tirarsi in piedi, ma prima che Tenten se ne potesse rendere conto, lui le aveva appena sfiorato le labbra con le sue, in un gesto del tutto innocente.

Si guardarono per pochi secondi, lei confusa e lui impassibile. Poi Neji se ne andò, lasciandola da sola.

 

 

 

 

Erano ormai due anni da quando avevano deciso di fare coppia fissa.

Avevano diciassette anni quando era finita la guerra e lui le aveva regalato il primo bacio, senza poi pretendere niente in cambio. Non era neanche mai tornato su quell’episodio, si comportava come se il tutto fosse stato solo una mera illusione della sua mente.

Avevano vent’anni quando lei si era presa un appartamento tutto suo e lui le aveva riferito, come se niente fosse, che usciva con un’altra ragazza.

Avevano ventidue anni quando erano usciti la prima volta assieme e lui le aveva confessato di amarla.

Adesso, due anni dopo, Tenten guardava perplessa la sua figura allo specchio. Si soffermò in particolare sui capelli in disordine, le guance scavate e gli occhi lucidi.

Si mise di profilo, adocchiando il seno che nelle ultime settimane si era gonfiato, scendendo giù fino all’addome piatto e con ancora gli addominali accennati.

Forse si stava sbagliando, forse il suo ritardo non era dovuto a una gravidanza, ma solo al troppo lavoro.

Insegnare all’Accademia e allo stesso tempo svolgere le missioni era dura, ma era anche necessario.

Un colpo di tosse richiamò la sua attenzione e Sakura le sorrise dallo specchio; indossava il camice bianco e in mano teneva una cartellina di plastica, con dentro i moduli per la visita. Aveva i capelli raccolti in un codino piccolo e strampalato e la sua espressione era calma e serena: stava bene, a differenza sua.

«Mi hai fatto preoccupare al telefono, sembrava una questione di vita o di morte!» Sakura si chiuse la porta alle spalle.

Scrutò per qualche istante Tenten, cercando di capire cosa potesse turbare l’amica. A parte la faccia sbattuta e il colorito perlaceo, le sembrava in forma.

Le fece cenno di mettersi a sedere sul lettino, ma lei si mosse in direzione della sua borsa, pescandone fuori una scatolina sottile e rettangolare, abbastanza lunga da contenere un test di gravidanza.

Sakura spalancò gli occhi quando Tenten glielo porse, imbarazzata.

Era positivo.

«Tenten…».

«Può sbagliare, vero?».

«Sì, ma è una percentuale molto bassa e…».

«Può sbagliare, vero?» ripeté ancora Tenten, quasi sul punto di mettersi a piangere, «Insomma, quando lo fece Ino sbagliò, no?».

«Questo perché Ino non sa leggere le istruzioni: fa tutto di fretta senza pensare!».

Sakura lesse negli occhi dell’amica lo sconforto e quel briciolo di speranza che ancora persisteva dentro di lei.

La fece sdraiare sul lettino e le alzò la maglia quel tanto che bastava per scoprirle il ventre. Accese la macchina per l’ecografia e spalmò una generosa quantità di gel con la sonda, aspettando di vedere qualcosa sul monitor.

Tenten si voltò nella direzione opposta, timorosa di ricevere una conferma ai suoi timori.

Sentì Sakura sospirare.

«Tenten… sono quasi dodici settimane».

«Ne sei sicura?».

«Tenten, almeno guarda…».

«No».

Sakura rimase in silenzio, osservando sullo schermo il bambino della sua amica. Era piccolo e sfocato, ma aveva riconosciuto i lineamenti della testa, del naso, delle mani.

Spense tutto e porse a Tenten un pezzo di carta per pulirsi la pancia.

Si mise a sedere sulla sedia della scrivania, aspettando che l’amica si ricomponesse.

Tenten aveva cominciato a tirare su col naso e cercava di bloccare le lacrime, perché non le piaceva farsi vedere debole e vulnerabile, neanche dagli amici.

«Ti va di parlarne?» le chiese Sakura, con delicatezza.

«Non c’è niente da dire».

«Io credo di sì. Perché questa non è una reazione normale a una notizia del genere!».

Tenten si appoggiò al lettino, puntando lo sguardo sui suoi piedi.

«Per caso… tu e Neji avete litigato?».

La ragazza rimase in silenzio e Sakura lo interpretò come una negazione.

Cercò nella sua testa se il motivo potesse essere un altro, ricordando le ultime conversazioni e gli ultimi pettegolezzi che si erano scambiate lei e Ino, alla ricerca di qualcosa che l’aiutasse a fare chiarezza.

«Lui… non vuole avere figli» sussurrò Tenten, sospirando rassegnata.

Sakura fu sorpresa da quella rivelazione, ma rimase in silenzio, aspettando chiarimenti.

«Mi ama, ma… non li vuole, tutto qui».

 

 

 

 

«Non voglio avere figli».

Tenten si bloccò, con le mani insaponate e un piatto tra le mani, che per poco non era cascato nel lavello, frantumandosi.

Neji era seduto al piccolo tavolo della cucina, intento a sbucciarsi un mandarino.

Per tutta la sera avevano riso di come Ino, sbadata, si era convinta di essere rimasta incinta a causa di un ritardo di pochi giorni. Era anche andata a comprare un test di gravidanza, che era risultato positivo.

Solo che poi la giovane Yamanaka si era accorta di aver letto male le istruzioni, che nessun bambino stava arrivando, e ciò aveva portato un po’ di malinconia nel suo umore.

Nonché aveva evitato una sincope al povero Shikamaru.

Avevano parlato solo di Ino; Tenten non aveva fatto alcun accenno al suo desiderio, un giorno, di diventare madre, ma aveva sperato che Neji entrasse in argomento e magari manifestasse la stessa intenzione.

Ma adesso quella confessione l’aveva del tutto spiazzata.

E un po’ impaurita.

«Non vuoi avere figli in generale… o non vuoi averli con me?» si azzardò a dire, chiudendo il rubinetto dell’acqua.

Neji la guardò con tranquillità, come se stesse affrontando un argomento qualsiasi.

«Sai che le cose ora sono diverse nel mio clan… ma non voglio avere figli che passino quello che ho passato io. So che Hinata, quando prenderà in mano l’eredità di Hiashi sama, non mi chiederà mai nessun sacrificio. Ma è inevitabile che io ne compia alcuni, è mio dovere proteggerla. Se è necessario, un giorno potrei anche arrivare a sacrificare la felicità dei miei figli, se il clan lo ritenesse necessario. Perciò non voglio averne. Mi capisci?».

Tenten annuì piano, senza trovare la forza di dire altro, e tornò a lavare i piatti.

Lo capiva e lo amava ancora di più per quel pensiero.

Ma dentro aveva cominciato ad avvertire come una specie di vuoto, come se le avessero tolto qualcosa.

Ma non sapeva dire con certezza cosa fosse.

 

 

 

 

 

Neji sonnecchiava sul divano, le braccia aperte sullo schienale e la testa reclinata all’indietro.

Era appena tornato da una missione e il mattino seguente sarebbe dovuto ripartire per due giorni.

Tenten gli aveva detto che forse era il caso che restasse a villa Hyuuga per quella sera, che là certamente si sarebbe riposato meglio; ma lui l’aveva bellamente ignorata e durante la sera l’aveva raggiunta, come spesso faceva. Ormai neanche bussava più, entrava direttamente con il doppione della chiave, come se quel piccolo appartamento fosse stato anche suo.

Durante la cena, aveva cercato in vari modi di dirgli di quel piccolo problema che aveva in pancia, ma tutte le volte che prendeva coraggio, una vocina fastidiosa nel cervello continuava ripeterle “e se decide di lasciarti?”.

Non lo avrebbe fatto.

Ne era quasi sicura.

Solo che quel “quasi” l’aveva martellata per tutta la serata, finché Neji non si era appisolato mentre guardavano la televisione e le sue opportunità erano svanite.

Poggiò la testa contro un braccio di Neji, osservandone il profilo del viso, del mento, giù fino alla gola con il pomo d’Adamo.

S’immaginò il suo bambino con quelle fattezze, con quei tratti delicati, con i suoi occhi bianchi e l’espressione imbronciata. Magari avrebbe preso il naso di lei, più sottile e più a punta, ma nel complesso sarebbe stato bellissimo. O bellissima.

Sospirando, Tenten spense la televisione e con delicatezza scrollò una gamba del ragazzo, cercando di svegliarlo.

Neji aprì lentamente gli occhi, rimanendo nella sua posizione, un po’ frastornato; a Tenten veniva da ridere, lui faceva un’enorme fatica a svegliarsi e a mettere in moto i sensi.

«Ti conviene andare a letto o domattina sarai pieno di dolori…» lo ammonì, come una madre.

Neji sbadigliò per tutta risposta, stiracchiandosi la schiena e le braccia.

«Giuro che quando torno mi prendo una vacanza».

Si alzò dal divano, diretto verso il bagno.

«Tu non vieni?» le chiese, vedendo che era rimasta a sedere.

«Tra poco» aggiunse Tenten, sorridendogli.

Lo osservò, mentre con passo strascicato entrava in bagno e iniziava a lavarsi i denti.

Decise che gli avrebbe parlato, ma solo quando sarebbe tornato dalla missione. In quel momento, voleva solamente stargli accanto.

Quando finalmente s’infilò sotto le coperte, pronta per dormire, Neji l’avvolse con le sue braccia, immergendo il viso nei suoi capelli. Era un gesto talmente romantico, che Tenten per un attimo pensò che in qualche modo lui avesse intuito qualcosa.

Si dovette ricredere quando senti una sua mano intrufolarsi sotto la maglia.

«Ma tu non eri stanco?» gli chiese, voltandosi nella sua direzione.

«Ero. Ora sono sveglio».

Neji premette la bocca contro quella di Tenten, dando subito inizio a quella danza notturna. La sovrastò con il suo corpo, sfilandole subito la maglia, lasciando i seni in balia del freddo.

Glieli baciò famelico, toccandole i capezzoli che subito diventarono turgidi. Con la bocca scese fino all’ombelico, baciando con delicatezza il suo addome; Tenten s’irrigidì.

Chissà se poteva sentirlo?

Ma quando Neji passò oltre, arrivando all’elastico dei pantaloni, un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, un singhiozzo che avrebbe dovuto sopprimere.

«Ten, tutto bene?» chiese subito lui, alzando la testa di scatto.

Tenten avvertì una punta di panico nella voce di Neji. Avrebbe potuto scommettere che anche i suoi occhi riflettevano quell’incrinatura, ma era troppo buio per poterli vedere con chiarezza.

«Sì. Non ti fermare, ti prego».

E lui non se lo fece ripetere due volte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

“Hurricane” – fan fiction © Elpis Aldebaran

“Hurricane” – dall’album This is War, 2009 © 30 Seconds to Mars

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Hurricane 2.2 ***


Hurricane

No matter how many days I die, I will never forget 
No matter how many lies I live, I will never regret 
There’s a fire inside of this heart in a riot 
about to explode into flames 

 

 

 

 

2 di 2

 

 

 

 

Neji partì all’alba con il massimo silenzio, come solo lui poteva fare.

Tenten lo aveva sentito solo perché era sveglia e ben cosciente; lo aveva sentito quando era andato al bagno, quando si era vestito e quando aveva preparato la sua sacca da viaggio.

Lo aveva sentito quando era montato sul letto per sbirciare il suo volto, sperando forse di trovarla sveglia per un ultimo bacio prima della missione. Tenten avrebbe tanto voluto darglielo, ma aveva paura di tradirsi e per questo era rimasta ferma e immobile con gli occhi chiusi, aspettando che lui se ne andasse.

Durante la notte Tenten non aveva dormito affatto. Le era sembrato come se il bambino bruciasse dentro il suo ventre, una sensazione talmente dolorosa che quasi pareva reale. Si era chiesta quanto ancora sarebbe riuscita a mantenere il segreto: Neji con il byakugan poteva vedere qualsiasi tipo di chackra e non dubitava che se lo avesse usato in sua presenza, sicuramente si sarebbe accorto che nel suo corpo ce n’era uno in più. Debole e poco fluido, ma c’era.

Anzi, adesso che ci ragionava, era già un miracolo che non se ne fosse accorto lui in quei tre mesi.

Tenten avrebbe dovuto capirlo che qualcosa non andava già il primo mese che le era saltato il ciclo; aveva pensato che si fosse trattato di un semplice cambio di stagione e che il troppo lavoro l’aveva un po’ sballottata a livello fisico. Inoltre, aveva appena smesso di prendere la pillola, quindi uno sbalzo di umori e un’irregolarità del genere erano del tutto normali. Non aveva avuto neanche le nausee.

Solo una settimana prima si era resa conto che aveva saltato anche il secondo mese di ciclo e che probabilmente avrebbe saltato anche il terzo.

Aveva tentennato parecchio prima di trovare il coraggio necessario per entrare in farmacia e comprare il test di gravidanza; aveva passato i giorni prima a rincuorarsi, dicendosi che una cosa del genere non era possibile. Neji era attentissimo quando si trattava di certe cose.

Ma quelle tre lineette blu che erano apparse sul bastoncino le avevano confessato che forse il suo ragazzo non era stato così scrupoloso come aveva pensato.

Come un lampo a ciel sereno, Tenten ricordò, stesa sul letto, la volta in cui poteva essere successa la disgrazia.

Tre mesi prima erano stati mandati in missione insieme a Lee, Shino e Hinata. L’ultima sera prima di rientrare a Konoha, si erano accampati in una foresta appena fuori dal confine con il Paese del Fuoco e Neji aveva cominciato a risentire di quei nove giorni di totale astinenza. A notte fonda l’aveva trascinata fuori dalla tenda e si erano appartati poco lontano, quanto bastava perché gli altri non sentissero.

L’avevano fatto sull’erba, tra le foglie secche degli alberi e tra i cespugli pieni di spine. Prima che lui la penetrasse, in un momento di lucidità, Tenten gli aveva detto di fare attenzione, perché non aveva più la protezione della pillola. Neji aveva solo mugugnato, in segno di assenso forse, e l’aveva penetrata con una spinta, spostando la sua attenzione in tutt’altra parte. Tenten era sicura che Neji non si portasse i preservativi in missione, ma era quasi certa che quella volta fosse venuto fuori.

Certezza che adesso andava a frantumarsi in tanti piccoli pezzettini.

Si alzò dal letto sfinita, chiedendosi come avrebbe potuto affrontare quella giornata in Accademia, tra bambini piccoli che urlavano e quelli grandi che combinavano danni provando i vari jutsu.

Cominciò a lavarsi i denti (non aveva per niente voglia di fare colazione) quando sentì qualcosa di bagnato correrle lungo la gamba. Abbassò lo sguardo e con orrore vide delle gocce scure che le macchiavano la pelle all’altezza della cosce.

Lasciò lo spazzolino cadere nel lavandino e corse di nuovo nella camera da letto, spostando le coperte con uno strattone.

Il lenzuolo era macchiato di sangue.

Si toccò piano il ventre e lo sentì ancora dolorante, come se stesse prendendo fuoco.

C’era decisamente qualcosa che non andava e l’unica persona che potesse aiutarla era Sakura.

Prese il telefono e con le dita tremanti compose il numero di casa dell’amica, sperando che non ci fosse Naruto.

Sospirò di sollievo quando realizzò che Naruto era in missione con Neji.

«Pronto?».

«Sono io, hai da fare oggi?».

Tenten sentì Sakura farfugliare qualcosa, disorientata. Forse si era appena svegliata.

«In verità sì, ho il turno in ospedale questa mattina…» rispose, senza pensarci.

Sakura gemette appena quando focalizzò nella sua mente con chi stava parlando e la sua voce risultò più chiara e decisa.

«Ten, stai bene? È successo qualcosa?».

«Io… no, cioè sì, ma non credo che sia nulla di grave. Oggi pomeriggio posso venire a farmi dare una controllata?».

«Puoi venire anche adesso, dammi dieci minuti per cambiarmi e ti raggiungo in ospedale».

«No, devo andare all’Accademia, ho una lezione importante da tenere…».

Tenten si morse il labbro, mentre le fitte al ventre sembravano aumentare a ogni minuto che passava. Avrebbe retto per qualche ora, aveva sopportato dolori peggiori.

«Come vuoi, ti aspetto questo pomeriggio. Chiamami se hai bisogno».

Tenten annuì e riattaccò, buttando un occhio al letto disfatto.

Strappò il lenzuolo dal materasso e appallottolandolo lo buttò nel cestino dell’immondizia.

Si tolse le mutande macchiate di sangue e fece lo stesso, respirando a fatica, in preda al panico.

 

 

«Quindi oggi pomeriggio ti prendi i maschi, le femmine invece verranno con me».

«No Ino, i maschi li ho presi ieri».

«Non m’interessa. Io con quei terremoti non la faccio lezione!».

Kiba incrociò le braccia al petto, cercando di reprimere i suoi istinti omicidi verso Ino, che gli stava davanti con un cipiglio seccato.

«Ino, devi fare lezione con tutti. E le bambine, oltre a sapere riconoscere e catalogare le piante curative, devono anche sapere combattere con gli animali. Alcune di loro, una volta diventate chunin, vorranno imparare la Tecnica del Richiamo. E mi spieghi cosa evocheranno? Un cactus carnivoro?».

«Se serve per sbranarti, allora sì».

Tenten entrò nella sala insegnanti proprio nel momento in cui Kiba mostrava a Ino il suo dito medio, con tanto di linguaccia. La giovane Yamanaka lo ignorò: per lei la discussione finiva lì, con tanto di vittoria.

Si avvicinò a Tenten, che presa com’era dai suoi pensieri, non si era accorta di quel battibecco. Teneva fra le mani dei documenti, ma i suoi occhi e la mente erano da tutt’altra parte, immersi in chissà quali pensieri.

Ino la dovette scuotere per un braccio per riuscire a catturare la sua attenzione.

«Cerchiamo di essere reattive: Neji è partito solo da due ore e tu non puoi già essere in questo stato di depressione!».

Ino pensò di aver fatto una gran bella battuta, perché rise di gusto battendo una pacca sulla spalla dell’amica. Ma Tenten non rideva affatto, anzi, si mise a sedere a una scrivania e poggiò la testa sul ripiano del tavolo, senza proferire parola.

«Rettifico, abbiamo già superato la depressione e siamo entrare nella disperazione».

Ino si accomodò accanto a Tenten, notando solo in quel momento il biancore cadaverico del suo volto. Le prese il viso fra le mani e lo scrutò da vicino, mentre gli occhi castani dell’amica non la guardavano nemmeno, anche se erano puntati su di lei.

«Stai ferma qui, non muoverti».

Ino raggiunse la sua borsa, trafficando al suo interno e prendendo una piccola torcia, che da fuori sembrava una comunissima penna.

Si rimise accanto a Tenten e puntò la luce sulle sue pupille, poi passò alla bocca.

«Non mi sembri malata, rispondi agli stimoli…» sussurrò appena, aggrottando le sopracciglia bionde.

Le mise una mano sulla fronte: era imperlata di sudore freddo.

Tenten si lasciò visitare senza dire nulla. Ino le prese anche il polso, contando i battiti.

«Sudore freddo, battiti accelerati. Se non ti conoscessi bene, direi che potresti anche avere un attacco di panico, ma non riesco a vederne il motivo».

«E’ solo stanchezza, questi bambini mi fanno dannare…».

«Oh, a chi lo dici! Kiba non aiuta come suo solito, tutto noi donne dobbiamo fare!».

Ino rimise la torcia a posto, voltandosi di nuovo verso Tenten, appena in tempo per vederla vomitare nel cestino della carta.

«Questa non è certo stanchezza…» bofonchiò, correndole in aiuto.

Le tirò indietro i capelli, mentre Tenten finiva di rimettere anche l’anima.

Ino la fece di nuovo sedere, ma sembrava che ormai quella posizione le facesse ancora più male, perché non appena toccò la sedia, un rantolo di dolore sfuggì dalla sua bocca.

Ino si allontanò un attimo, affacciandosi nel corridoio.

«Kiba! Per la miseria, vieni subito qui!».

Tenten intanto cominciò a credere che presto sarebbe morta.

Un dolore lancinante le stava tagliando in due il ventre, era consapevole di star continuando a perdere sangue e la sua mente era troppo concentrata nel sopportare il dolore, tanto che le risultava anche difficile aprire la bocca e chiedere aiuto o lamentarsi.

«Oh mio Dio, che puzza!» fece Kiba, non appena entrò nella stanza.

«Non rompere e renditi utile! Accompagnala in infermeria, io vengo subito!».

Tenten si sentì strapazzata da Ino, che cercava di farla camminare, ma le gambe non le reggevano, continuava a inciampare nei suoi stessi piedi.

Kiba allora prese in mano la situazione, mettendole un braccio intorno alle spalle e uno sotto le ginocchia.

Quell’improvviso sollevamento e il dolore che ne seguì fecero definitivamente perdere i sensi a Tenten.

 

 

Quando Neji varcò i cancelli di Konoha insieme a Shino e Naruto, capì subito che qualcosa non andava.

Sakura li stava aspettando e non sembrava per niente felice di rivederli.

Si avvicinò a Naruto, baciandolo e chiedendogli se fosse andato tutto bene. Senza ricevere risposta si voltò verso Neji, dedicandogli un sorriso spento.

«Possiamo parlare?» gli domandò solo per una questione di cortesia, perché dal suo tono Neji capì che non aveva altre scelte.

Si avviarono per il centro e con preoccupazione, Neji vide che non si stavano recando né a villa Hyuuga, né all’appartamento di Tenten. Sakura lo stava portando all’ospedale.

Fecero tutto il viaggio in silenzio, cosa che urtò non poco i nervi di Neji.

Quando arrivarono nella sala d’attesa dell’ospedale, Sakura si fermò a guardarlo.

«Meglio che ti siedi».

«Sto bene in piedi».

«Neji…».

«Ascoltami bene, Sakura. Ti ho seguito senza dire niente, anche se la voglia di urlarti addosso e chiederti che diavolo stesse succedendo era tanta e ho fatto fatica a reprimerla. Perciò ti conviene dirmi perché siamo qui e subito!».

Sakura, in circostanze normali, gli avrebbe risposto a tono, perché di certo non aveva paura a entrare nelle ire del giovane genio del clan Hyuuga.

Ma quella non era certo una circostanza normale.

«Tenten è stata male negli ultimi due giorni» iniziò lentamente, senza sbilanciarsi.

Vide gli occhi di Neji spalancarsi un attimo, ma il ragazzo non disse niente, aspettandosi maggiori informazioni.

«Adesso sta bene, anche se rimane un po’ debole» si fermò, mettendosi lei stessa a sedere.

All’inizio aveva pensato che a dirgli quella brutta verità sarebbe dovuta essere Tenten, perché era giusto in quel modo.

Ma Tenten, allo stato attuale delle cose, non era psicologicamente pronta.

«Il giorno che sei partito è venuta da me, per una visita. Ha scoperto di essere incinta».

Sakura, fino a quel momento, non aveva potuto capire in che stato di ansia e preoccupazione era piombata Tenten dal momento in cui aveva saputo del suo bambino.

Immaginava che le motivazioni di Neji per non volere dei figli potessero essere serie, ma sperava anche che il ragazzo, messo davanti al fatto ormai compiuto, potesse cambiare idea.

Evidentemente si sbagliava di grosso.

Neji rimase per qualche secondo imbambolato nella sua posizione, incapace di dire o fare qualcosa. Poi, con un gesto repentino, aveva lasciato la sacca da viaggio cadere a terra, mettendosi a sedere accanto a Sakura, col volto fra le mani.

Non la stava prendendo affatto bene.

Sakura cercò di non scomporsi, perché  il pezzo brutto della storia doveva ancora arrivare.

«Il giorno dopo ha avuto delle perdite di sangue. Si è rotta la sacca uterina e lei ha avuto un’emorragia interna. E’ svenuta che era all’Accademia, l’hanno portata qui Ino e Kiba».

Piombò il silenzio tra loro due, circondato solo dal rumore inutile del resto dell’ospedale.

Sakura aspettava soltanto il momento giusto per dargli il colpo di grazia, che per Neji ormai, doveva essere alquanto ovvio.

«Il bambino non c’è più, vero?» chiese infatti Neji, senza guardare Sakura, che si limitò soltanto a scuotere la testa.

Il giovane Hyuuga si alzò, cominciando a passeggiare avanti e indietro per la sala, cercando di raccogliere le idee e di formulare un pensiero, uno qualsiasi, su quello che era successo in sua assenza.

Tenten non gli aveva mai nascosto nullo.

Era una ragazza semplice e ingenua a volte, che non gli aveva mai dato motivo di essere geloso o di essere preoccupato; gliel’avrebbe detto della gravidanza, se non fosse stata spaventata.

Con orrore, Neji arrivò alla conclusione che Tenten avesse avuto paura di lui.

«Posso vederla?» chiese a Sakura, con voce distrutta.

«Puoi anche portarla a casa. Ino la sta aiutando a sistemare le sue cose».

Neji dovette aspettare solo cinque minuti prima di veder comparire la sua ragazza, spettinata e stanca, accompagnata da Ino che teneva in mano i fogli per le dimissioni.

Tenten guardò Neji, consapevole di quello che il ragazzo sapeva, e dovette lottare con tutte le sue forze per non scappare e andarsi a nascondere da qualsiasi parte, in modo che lui non potesse trovarla.

Neji le si avvicinò e in un gesto del tutto spontaneo, le mise le braccia intorno alle spalle, premendosela lentamente contro il petto; Tenten ne fu così sorpresa, che solo in quel momento si rese conto di quanto le fosse mancato in quei due giorni, di quanto avesse avuto bisogno di lui. Scoppiò a piangere, aggrappandosi disperatamente alla sua giacca da jonin.

«Ti porto a casa» le sussurrò Neji.

Recuperò la sua sacca e insieme a Tenten uscì dall’ospedale.

«E’ una gran brutta faccenda» fece Ino, rivolta a Sakura.

E lei, per una volta tanto, si trovò a concordare con l’amica.

 

 

Neji aprì la porta dell’appartamento di Tenten e la fece entrare per prima.

Non si erano scambiati una sola parola per tutto il tragitto, nonostante lui l’avesse tenuta stretta a sé, come a proteggerla dal mondo esterno.

Tenten aveva atteso con ansia e agitazione quel momento, in cui si sarebbero ritrovati da soli.

Quello che l’aveva veramente sconvolta, dopo l’operazione, non era stato il dolore insopportabile o la vista nauseabonda delle flebo attaccate al suo braccio, ma il vuoto che le era rimasto dentro.

Aveva sempre pensato che quel bambino era sbagliato in quella relazione, perché non era stato programmato e da una parte non era voluto. Averlo, avrebbe potuto anche significare perdere Neji.

Ma Tenten aveva constatato, con un fitta al cuore, che il dolore che aveva provato nel perdere il bambino era maggiore a quello che aveva provato quando aveva scoperto di essere incinta.

Quella gravidanza era sbagliata, doveva essere evitata, ma lei la voleva. Neanche per un istante aveva pensato all’aborto.

Nel momento in cui si era risvegliata dall’anestesia e Sakura le aveva dato la brutta notizia, Tenten aveva finalmente compreso cosa volesse finalmente dalla vita.

«Credo che dovremo discutere della cosa» azzardò Neji, posando le sue cose per terra, «ma adesso non è il momento. Entrambi abbiamo bisogno di risposo».

Tenten annuì, dirigendosi con passo pesante verso la sua stanza da letto. Ci si buttò a peso morto, sentendo lo scroscio della doccia dal bagno.

Neji la raggiunse poco dopo, con i capelli ancora umidi e si distese accanto a lei, prendendola tra le braccia, addormentandosi in quella posizione, senza che altri pensieri e preoccupazioni invadessero quel loro attimo di pace, quel momento che era solo per loro.

Tenten chiuse gli occhi, addormentandosi mentre ispirava il profumo del sapone.

Quando si risvegliò, erano da poco passate le otto di sera.

Neji era ancora accanto a lei, con lo sguardo perso sul paesaggio che s’intravedeva fuori dalla finestra.

«Sei arrabbiato?» gli chiese Tenten, rimanendo nello stesso abbraccio in cui si era addormentata.

«No. Sono… non lo so, forse triste».

Anche lei lo era. Forse avevano avuto lo stesso pensiero.

«Mi spiace di non avertelo detto».

«Stai bene?».

«No. Per niente».

Neji sospirò, cominciando a disegnarle dei cerchi sulla schiena, nella speranza di tranquillizzarla, anche se era lui il primo a non essere tranquillo.

«Avresti voluto tenerlo?».

Tenten rimase in silenzio, non sapendo che rispondere. In quel momento, qualsiasi risposta avesse dato, le sembrava sbagliata.

Ma il problema non era cosa volesse lei, ma quello che voleva Neji.

E quello che non voleva.

«Tu l’avresti voluto, invece?».

Neji esitò.

«No, non l’avrei voluto».

Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, dritto sul labbro, dove fa più male.

«Neji, devo chiedertelo. In futuro, tra qualche anno, avrai intenzione di avere dei figli?».

Tenten si alzò a sedere, perché voleva vederlo dritto negli occhi quando avrebbe risposto.

Neji, si voltò verso di lei, incatenando insieme i loro occhi, affinché non ci fossero più scappatoie o fraintendimenti.

«No».

«Io lo vorrei. Non subito, non adesso, ma tra un po’ di anni. Mi piacerebbe avere un figlio, al massimo due… e un marito. Voglio avere una famiglia tutta mia».

Neji si alzò, in modo da guardarla da pari a pari.

Tenten era una ragazza che non piangeva. Avrebbe preferito darsi un colpo in testa che piangere, eppure Neji poteva notare il rossore intorno ai suoi occhi, prova che non aveva fatto altro in quei due giorni che erano stati lontani.

Due giorni in cui la sua ragazza aveva lottato da sola, contro un dolore più forte di lei, più forte di qualsiasi altra arma affillata.

«Mi dispiace, ma non sarò io il fortunato a darti tutto questo».

Neji non aveva più il coraggio di mentire, neanche per rassicurarla, neanche in quel momento in cui sapeva d’infliggerle altre pene. Prolungare quella relazione, anche se di qualche giorno era impensabile, non in quelle condizioni, non con quei presupposti.

Tenten deglutì a fatica.

Osservò Neji che si alzava e cominciava a recuperare le sue cose sparse per la stanza, infilandole senza nessun ordine dentro la sacca.

«Ci stiamo lasciando?» gli chiese, a mezza voce, ma Neji fece finta di non sentirla, recuperando nel bagno il suo spazzolino da denti.

«NEJI! CI STIAMO LASCIANDO?!» gridò ancora, perché non le piaceva essere ignorata.

Lui si fermò sulla porta del bagno, osservando la figura di lei ancora sul letto, circondata dalle coperte disfatte. Cercò di memorizzarla in ogni suo dettaglio.

«Sì, ci stiamo lasciando».

Tenten cercò di mantenere l’auto controllo mentre le veniva spiattellato in faccia quello che ormai aveva immaginato da tempo, ma che mai aveva pensato potesse diventare così reale.

«Non mi è possibile darti una famiglia. Pensavo che lo stare insieme fosse l’unica cosa che ci serviva, ma sono stato egoista a pensare che anche a te potesse andare bene un rapporto così. Mi spiace solo di averti fatta soffrire».

Tenten gli voltò le spalle e Neji era sicuro che avesse cominciato a piangere.

Finì di prendere le sue cose, cercando le parole per dirle ancora qualcosa, una qualsiasi altra cosa. Ma una volta arrivato alla porta dell’appartamento, pronto per uscire, l’unica cosa che sentì fu uno dei singhiozzi di Tenten soffocati dal cuscino.

Estrasse dalla tasca dei pantaloni il doppione della chiavi e glielo poggiò sul tavolo della cucina.

Poi uscì, sbattendo la porta.

 

 

 

 

 

 

Sakura chiuse piano la porta della camera da letto e in punta di piedi raggiunse la cucina, dove Ino aveva appena finito di preparare del tè.

«E’ riuscita ad addormentarsi, ma non so quanto durerà».

La faccia di Haruno era stravolta, con i capelli disordinati e gli occhi gonfi per il mancato sonno.

Versò nel tè una generosa quantità di zucchero, mescolando energicamente; sperò che almeno la teina l’aiutasse a riaccendere un po’ di neuroni.

«Quando Neji tornerà supplicante da lei, giuro che lo riempio di botte! Non si tratta una donna così, non si tratta Tenten così! Ma chi si crede di essere?!».

Ino sembrava sul punto di esplodere. Avrebbe voluto urlare ai quattro venti tutto il suo disprezzo per il genio della casata Hyuuga, ma Tenten stava finalmente dormendo e se l’avesse di nuovo svegliata Sakura l’avrebbe uccisa.

Cercò d’ingoiare quel boccone amaro, rimettendo a posto la teiera.

«Ti ha detto perché si sono lasciati?», chiese ancora Ino, una volta ritrovata la calma.

«Mi ha detto un sacco di cose, tutte molto confuse. Ma credo sia a causa del bambino…».

«Giuro che lo uccido, giuro che…».

Sakura sorrise, nel vedere tanta determinazione in Ino.

Lavò la tazza e si rimise i sandali, prendendo poi il giacchetto da jonin.

«Andiamo, torneremo stasera a vedere come sta».

«Non possiamo andarcene! E se torna Neji? Non è ancora pronta per-».

Ino fu bloccata da una lunga occhiata di Sakura.

Era in piedi, davanti alla porta d’ingresso e sorrideva. Non un sorriso felice, ma uno di quelli rassegnati, di chi non può fare più nulla, di chi sa già il finale di una storia troppo triste.

Ino capì solo allora quella che Sakura aveva capito già da due giorni.

Sospirò affranta, mentre intravide con la coda dell’occhio la figura di Tenten, sveglia, che le ascoltava in silenzio dalla camera da letto.

Lo aveva capito anche lei.

Tenten aveva smesso di aggrapparsi a un’inutile speranza.

«Ino, Neji non tornerà».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

E’ triste, lo so.

E mi sento una carogna a far soffrire Tennie in questo modo. Ma non vi preoccupate, forse ci sarà un qualcosa, un seguito magari, chissà, dove le cose potrebbero mettersi a posto. Forse.

Per adesso, finisce in questo modo.

Ringrazio Mileidi per il betaggio “Oh, guardami se qui la trama fila, dimmi se le cose hanno un senso!”, e Algedi per il betaggio “Controllami la grammatica, sto fusa e potrei aver scritto delle castronerie uniche!”.

Un ringraziamento bello grande va anche a chi ha recensito ed è stato così gentile da perdere un po’ del suo tempo con la mia fic *smile*

 

Elpis

 

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

“Hurricane” – fan fiction © Elpis

“Hurricane” – dall’album This is War, 2009 © 30 Seconds to Mars

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=828143